Appunti Su Linguaggio, Comunicazione Ed Interazione

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La comunicazione indisciplinata. La radice del termine risale ai verbi greci “rendo comune”, “unisco” e “partecipo”, “sono implicato” o dal latino communico, ossia metto in comune, condivido. Dunque, coinvolgere qualcuno per arrivare all’instaurazione di un vincolo comunicativo. Però il problema non sta nel collegamento bensì nella sua articolazione e nei suoi esiti. Non esistendo una sola "idea" di comunicazione, bensì tante idee quante sono le derivazioni scientifiche e culturali in vario modo implicate nell’analisi, non possono che derivare una serie di difficoltà di inquadramento dell’oggetto empirico (confuso entro un arco assai variabile che spazia dalla "onnicomprensività" del paradigma informazionale, che comprende anche gli scambi tra macchine, alla "selettività" del paradigma relazionale, che considera pienamente comunicativo soltanto quel processo in cui si raggiunga la formulazione di un’unità sociale a partire dai singoli individui). Oltre alla difficoltà dell’inquadramento dell’oggetto, ci sono diversi ostacoli che si interpongono sul cammino degli studiosi, quali un forte ecclettismo degli approcci scientifici, la condivisione da parte della comunicazione di tutta l’imprevedibilità dell’azione umana, le radicate idiosincrasie cognitive. Gli ostacoli ad una corretta identificazione dell’oggetto sono ancora maggiori in un’epoca in cui l’elettronica e la telematica muovono ogni giorno passi da gigante in avanti e hanno provocato, appunto per questa ragione, uno sconvolgimento senza precedenti. Tra le più importanti trasformazioni subite dai processi comunicativi, quelle decisive consistono nell’incremento straordinario della competenza comunicativa, cioè la liberalizzazione degli spazi comunicativi in seguito alla democratizzazione delle società occidentali, nella moltiplicazione e semplificazione dei canali comunicativi, nella notevole vastità del raggio d’azione e dell’influenza della comunicazione. Come già detto della comunicazione non esiste una definizione unica ma piuttosto una vasta e poco ordinata pluralità di definizioni. Si parla infatti di comunicazione 1-come trasferimento di risorse da un soggetto ad un altro, applicabile, quindi, secondo l’accezione di Charles Morris anche alla comunicazione tra oggetti inanimati; l’esempio è quello del radiatore che comunica calore all’ambiente,

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Appunti del corso 2012.2013

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La comunicazione indisciplinata.

La radice del termine risale ai verbi greci “rendo comune”, “unisco” e “partecipo”, “sono implicato” o dal latino communico, ossia metto in comune, condivido. Dunque, coinvolgere qualcuno per arrivare all’instaurazione di un vincolo comunicativo. Però il problema non sta nel collegamento bensì nella sua articolazione e nei suoi esiti. Non esistendo una sola "idea" di comunicazione, bensì tante idee quante sono le derivazioni scientifiche e culturali in vario modo implicate nell’analisi, non possono che derivare una serie di difficoltà di inquadramento dell’oggetto empirico (confuso entro un arco assai variabile che spazia dalla "onnicomprensività" del paradigma informazionale, che comprende anche gli scambi tra macchine, alla "selettività" del paradigma relazionale, che considera pienamente comunicativo soltanto quel processo in cui si raggiunga la formulazione di un’unità sociale a partire dai singoli individui). Oltre alla difficoltà dell’inquadramento dell’oggetto, ci sono diversi ostacoli che si interpongono sul cammino degli studiosi, quali un forte ecclettismo degli approcci scientifici, la condivisione da parte della comunicazione di tutta l’imprevedibilità dell’azione umana, le radicate idiosincrasie cognitive. Gli ostacoli ad una corretta identificazione dell’oggetto sono ancora maggiori in un’epoca in cui l’elettronica e la telematica muovono ogni giorno passi da gigante in avanti e hanno provocato, appunto per questa ragione, uno sconvolgimento senza precedenti.Tra le più importanti trasformazioni subite dai processi comunicativi, quelle decisive consistono nell’incremento straordinario della competenza comunicativa, cioè la liberalizzazione degli spazi comunicativi in seguito alla democratizzazione delle società occidentali, nella moltiplicazione e semplificazione dei canali comunicativi, nella notevole vastità del raggio d’azione e dell’influenza della comunicazione.

Come già detto della comunicazione non esiste una definizione unica ma piuttosto una vasta e poco ordinata pluralità di definizioni. Si parla infatti di comunicazione

1-come trasferimento di risorse da un soggetto ad un altro, applicabile, quindi, secondo l’accezione di Charles Morris anche alla comunicazione tra oggetti inanimati; l’esempio è quello del radiatore che comunica calore all’ambiente,

2-come influenza di un organismo verso un altro secondo una relazione articolata per cui l’uno può modificare il (o interferire sul) comportamento dell’altro,

3-come scambio di valori sociali condotti secondo determinate regole per cui l’attività comunicativa dev'esser ricondotta alle strutture fondamentali della culturan e dei sistemi simbolici,

4-come trasmissione o trasferimento di informazioni da un soggetto ad un altro per mezzo di veicoli di varia natura,

5-come condivisione di un significato concordato all'interno del gioco comportamentale interattivo strutturato tra gli agenti, si passa così dalla considerazione del procedimento motivato da strutture e circostanze all’agire dotato di senso recuperandone il carattere teleologico e cooperativo,

6-come relazione sociale e come formazione di un’unità sociale mediante l’uso di un linguaggio o di segni per cui oltre alla condivisione di un significato concordato tra gli agenti, viene messa in evidenza anche la comunione di stili di vita, basata su insiemi di regole e modelli comportamentali (visione chiaramente sociale e antropologica). Gli attori secondo questo modello non solo “partecipano alla comunicazione” ma “sono in comunicazione” in quanto attraverso la comunicazione giocano la propria identità.

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Lo strumento fondamentale, ma sia chiaro, non unico, attraverso il quale si sviluppano e si concretizzano le capacità comunicative dell'essere umano, è il linguaggio il cui studio ha interessato discipline diverse.

- Se si considera il linguaggio come medium è possibile attribuire alla comunicazione lo status di processo generale in cui il linguaggio è manifestazione particolare, sotto l’aspetto della costruzione, regolazione ed interpretazione dei messaggi.

- Designando il linguaggio come un codice, o l’insieme di più codici - umani (verbali e non) o animali - che trasmettono, conservano ed elaborano informazioni (e soprattutto riconducendovi anche fenomeni espressivi ipocodificati) si ripropone invece una tendenziale identificazione del linguaggio con la comunicazione (in particolare con la 4' definizione di comunicazione) ipostatizzando il ruolo delle componenti informazionali nell’interazione dell’organismo con l’ambiente e con se stesso, facendolo coincidere con l’interazione stessa.

"Il linguaggio è inseparabile dall'uomo e lo accompagna in ogni sua attività... ma non è un accompagnamento esteriore, esso sta nel più profondo della mente umana, tesoro di memorie ereditate dall'individuo e dal gruppo, coscienza vigile che ricorda e ammonisce" [Hjelmslev, The Lang]"Si è tentati, in queste condizioni, di porre il linguaggio tra le istituzioni umane, e questo punto di vista presenta dei vantaggi incontestabili; le istituzioni umane sono il risultato della vita in società; questo è proprio il caso del linguaggio che si concepisce essenzialmente come strumento di comunicazione. Le istituzioni umane....possono essere molto estese e addirittura, come il linguaggio, universali, senza essere identiche da una comunità all'altra....Le istituzioni...non sono immutabili. sono suscettibili di cambiare sotto la pressione di bisogni diversi e sotto l'influenza di altre comunità" [Martinet, Linguistica Generale] "Ma che cosa è la lingua? Per noi non si confonde con il linguaggio....È allo stesso tempo un prodotto sociale della facoltà del linguaggio e un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per permettere l'esercizio di questa facoltà negli individui. Preso nel suo insieme, il linguaggio è multiforme ed eteroclito; a cavallo di diversi ordini, allo stesso tempo fisico, fisiologico e psichico, appartiene anch'esso al dominio individuale e a quello sociale.....La lingua, al contrario, è un tutto in sé e un principio di classificazione." [de Saussure, Cours]"L'oggetto della linguistica è costituito in primo luogo da tutte le manifestazioni del linguaggio umano.....Il compito della linguistica sarà:a) fare la descrizione e la storia di tutte le lingue che essa potrà raggiungere, che equivale a fare la storia delle famiglie di lingue e a ricostruire, per quanto possibile, le lingue madri di ciascuna famiglia;b) cercare le forze che sono in gioco in modo permanente e universale in tutte le lingue, e di estrarre le leggi generali alle quali si possono ricondurre tutti i fenomeni particolari della storia;" [de Saussure, Cours]

"Bisogna che consideriamo la lingua non tanto come un prodotto inerte, ma come una creazione continua, ossia che prescindiamo dalle sue funzioni di designazione degli oggetti e di mediazione dell'intelligenza per dedicarci con tanta maggior cura alla sua origine, così strettamente collegata con l'intima attività spirituale, ed alla loro influenza reciproca" [W. von Humboldt 1836]"Il linguaggio ha un lato individuale e un lato sociale, e non si può concepire l'uno senza l'altro." "Tra tutti gli individui così collegati dal linguaggio, si stabilisce una sorta di media: tutti riprodurranno, certo non esattamente, ma approssimativamente, gli stessi segni uniti agli stessi

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concetti.....L'esecuzione è sempre individuale, l'individuo ne è sempre il padrone; noi la chiameremo la parole.....Separando la lingua dalla parole, si separa a un solo tempo: 1. cià che è sociale da ciò che è individuale; 2. ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale" [F. de Saussure 1922]"La teoria linguistica si occupa principalmente di un parlante-ascoltatore ideale, in una comunità linguistica completamente omogenea, il quale conosce perfettamente la sua lingua e non è influenzato da condizioni grammaticalmente irrilevanti quali le limitazioni di memoria, le distrazioni, i cambiamenti di attenzione e di interesse e gli errori (casuali o caratteristici) nell'applicazione della propria conoscenza della lingua nel corso dell'esecuzione effettiva.......Facciamo quindi una distinzione fondamentale tra la competenza (la conoscenza che il parlante-ascoltatore ha della sua lingua) e l'esecuzione (l'uso effettivo della lingua in situazioni concrete). L'esecuzione è un riflesso diretto della competenza soltanto nell'idealizzazione enunciata nel capoverso precedente.....La distinzione a cui mi riferisco qui è connessa con la distinzione langue-parole di Saussure; ma sarà necessario respingere il suo concetto di langue, intesa come semplice inventario sistematico di termini, e tornare piuttosto al concetto humboldtiano di competenza sottostante intesa come sistema di processi generativi." [N. Chomsky 1965]"Si sente spesso dire che il linguaggio umano è articolato......La nozione di articolazione del linguaggio....si manifesta su due piani diversi: ciascuna delle unità che risultano da una prima articolazione è in effetti articolata a sua volta in unità di altro tipo.La prima articolazione del linguaggio è quella secondo cui ogni fatto d'esperienza che si debba trasmettere, ogni bisogno che si desideri far conoscere ad altri, si analizza in una serie di unità dotate ciascuna di una forma vocale e di un senso.....se pronuncio la frase ho mal di testa; qui nessuna delle unità successive ho, mal, di, testa, corrisponde a quello che il mio dolore ha di specifico, anzi ognuna di esse può trovarsi in contesti diversi per comunicare fatti d'esperienza diversi...Quanta economia si faccia con questa prima articolazione appare chiaro...La prima articolazione è il modo in cui si ordina l'esperienza comune a tutti i membri di una determinata comunità linguistica......Ognuna di queste unità di prima articolazione presenta, come si è visto, un senso e una forma vocale (o fonica)......Ma la forma vocale è invece analizzabile in una successione di unità di cui ciascuna contribuisce a distinguere testa per es. da altre unità come resta, tasta, tenta ecc. Si tratta della seconda articolazione del linguaggio.....Quanta economia si faccia con questa seconda articolazione appare chiaro: se dovessimo far corrispondere a ogni unità significativa minima una produzione vocale specifica e inanalizzabile, bisognerebbe distinguerne migliaia, ciò che sarebbe incompatibile con le possibilità articolatorie e la sensibilità uditiva degli esseri umani. Grazie alla seconda articolazione le lingue possono accontentarsi di qualche decina di produzioni foniche distinte che vengono combinate per ottenere la forma vocale delle unità di prima articolazione." [Martinet]La descrizione linguistica deve tener conto di questa caratteristica. Seguendo l'ipotesi della doppia articolazione dovremo, quindi, fornire una descrizione di almeno tre livelli linguistici- il livello del suono- il livello della parola- il livello della fraseInoltre, adottando la nozione saussuriana di segno linguistico come dotato di significante e significato, dovremo cercare di analizzare in che termini questi due aspetti si correlano nei tre livelli sopra menzionati.Infine dovremo dar conto di un livello poco caro ai linguisti, cioè quello pragmatico, che si interessa dell'espressione linguistica non in astratto, ma collegata con i contesti d'uso.I suoni La prima unità linguistica è il suono. Le parole e, quindi, le frasi sono formate di concatenazioni di suoni. I suoni di una lingua non sono soltanto accidenti fisici che esprimono un contenuto, ma sono

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anche entità astratte che costituiscono l'insieme finito di elementi costitutivi, sempre riutilizzabili nella costruzione di elementi di ordine superiore. Ciò che costituisce la sostanza linguistica del suono è la sua analizzabilità, e, quindi, riutilizzabilità.Il suono può essere analizzato a tre diversi livelli di astrazione.

Livello acusticoAcusticamente, la comunicazione linguistica è costituita da un continuum di suoni, da cui la nostra facoltà analitica isola gli elementi costitutivi di parole e frasi. Sul piano acustico è molto difficile identificare i suoni e differenziarli gli uni dagli altri. Le consonanti corrispondono, spesso, a pause di silenzio, dovute all'occlusione totale o parziale del canale fonatorio, tali che la determinazione del tipo di consonante è affidata ai suoni di transizione, tra silenzio (occlusione) e vocale successiva, e a elementi acustici parassitari rispetto e quelli principali.

Livello foneticoUn modo di identificare più formalmente i suoni di una lingua è la classificazione. La classificazione è, in gran parte, un fatto artificioso, ma non è da escludere che sia proprio questa astrattezza ed artificiosità che aiuta l'ascoltatore a decodificare le sequenze di suoni.Un modo molto accreditato di classificazione fonetica è quella in base al punto di articolazione ed al modo di articolazione. Il punto di articolazione indica il luogo, nel cavo orale, in cui avviene l'articolazione del suono. Il modo di articolazione indica il comportamento degli organi fonatori nel corso dell'articolazione del suono.La prima grande distinzione si ha tra vocali, in cui l'organo fonatorio è poco mobile, ma ha luogo un pesante intervento delle corde vocali, e le consonanti, in cui l'organo fonatorio compie un lavoro di occlusione, restrizione ecc. Le vocali vengono classificate, in base al volume sviluppato dal cavo orale, in palatali, se la lingua tende a restringere tale spazio verso il palato, e velari, se la lingua arretra verso il velo platino. Esistono numerosi suoni intermedi, tutti rappresentabili nel cosiddetto triangolo delle vocali.Le consonanti vengono classificate in base al punto di articolazione, cioè il punto in cui le parti del cavo orale entrano in contatto totale o parziale tra loro, ed il modo di articolazione, cioè la modalità del contatto, occlusione, costrizione, vibrazione ecc.

Livello fonologicoLa fonologia, cioè lo studio della funzionalità dei suoni venne introdotta dalla scuola strutturalista di Praga, facendo capo al Grundzüge der Phonologie di N.Trubetzkoy (1939).Un suono può distinguersi da un altro solo in base alla sua funzione comunicativa. L'unità fonetica minima significativa è detta fonema. Il criterio di distinzione è l'opposizione fonologica. Un suono diviene fonema, cioè unità funzionalmente significativa, se partecipa di un'opposizione, cioè vale a distinguere una parola dall'altra.In italiano:- p / t/ k sono fonemi perché si oppongono nelle coppie minime pane / tane/ cane, realizzandosi funzionalmente;- e / e sono fonemi funzionalmente deboli, in quanto l'opposizione (pesca / pesca) è sensibile solo ad un sottoinsieme ridotto di parlanti (toscani);- l'opposizione s/ è ancora più debole, in quanto si realizza in pochissimi casi (presentiamo da presentire vs. pre /s/ entiamo da pre /z/ entare);- l'opposizione n / n/ ñ / n non ha valore, in quanto non realizza un'opposizione significativa (non distingue due parole). In questo caso diremo che si hanno delle varianti combinatorie dello stesso fonema, cioè delle varianti dipendenti dal contesto.I fonemi si distinguono tra loro per mezzo di un numero ristretto di caratteristiche la cui presenza o assenza determina il fonema stesso. Si tratta dei cosiddetti tratti distintivi, che possono assumere solo valore di presenza o assenza, cioè valore binario + o -. Così, occlusiva bilabiale + sonora = b,

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mentre occlusiva bilabiale - sonora = p. I tratti distintivi rappresentano un dispositivo classificatorio più astratto rispetto al punto e modo di articolazione, in quanto vengono identificati da proprietà astratte.

Dalla percezione alla classificazioneDal quadro descritto, si capisce che il percorso tra la percezione dei suoni e la decodifica si possono identificare almeno due livelli classificatori. La psicologia percettiva è perfettamente cosciente che percepire è un atto complesso che coinvolge anche funzioni classificatorie. Non si può escludere quindi, che nel processo di comprensione del primo livello linguistico l'uomo attivi diversi processi di percezione/classificazione con diversi livelli di astrattezza.

Suoni in contattoIl processo di classificazione dei suoni di una lingua può portare, ed ha portato, nel caso della grammatica antico-indiana, allo studio dei fenomeni di adattamento dei suoni ai suoni circostanti. Distinguiamo due tipi di adattamento:- sandhi, il fenomeno di adattamento dei suoni nei punti di incontro tra parole. In italiano, la forma iN si realizza, per sandhi, comei [n] terrazza come in nano ['naːno]i [ɱ] faccia come in panfilo ['paɱfilo]i [ŋ] casa come in anche ['aŋke]i [ŋ] città simile al fono presente nella parola gnocchi ['ɲɔkki]L'antico indiano ha formulato una teoria del sandhi.- armonia, il fenomeno di armonizzazione vocalica o consonantica all'interno di un derivato morfologico. Cosìturco gözleriniz "i tuoi occhi" indica il plurale aggettivale in -iz per armonia con le vocali palatali precedenti, mente ingözümüz "i nostri occhi" lo stesso formante prende, per motivi di armonia, la forma -üz.Similmente, per quello che concerne le consonantiturco -dir "è" prende la formakitap-tir "è il libro" vs. kitab-i-dir "è il suo libro".

Elementi fonetici accessoriI sistemi classificatori descritti non includono alcuni altri fenomeni fonetici, pure funzionalmente rilevanti come:- l'accento, che può avere funzione fonologica completa, come nell'italianoàncora ancòraporto portò ecc.- la tonalità musicale, elemento fortemente distintivo in molte lingue orientali come il cinese, il tonchinese ecc.- il tono, o tonalità musicale, che costituisce elemento distintivo tra parole in molte lingue orientali, come il cinese o il tonchinese.

Il livello della parolaFormazione delle parole: la morfologia

I suoni formano parole, ma il processo di formazione avviene in maniera mediata attraverso una serie di regolarità.Il primo problema che si presenta nell'analisi della parola è la definizione stessa di parola. La parola non è necessariamente ciò che e; compreso tra due spazi bianchi. Vi sono unità grafico-foniche che corrispondono a concetti multipli, come

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Götterdämmerunge succesioni di parole che corrispondo ad un unico concetto, comepietra focaiaLa nozione di parola è puramente convenzionale e resta sottesa tra la convenzione grafica ed il significato che porta su di sé.Tenendo conto, dunque, della non corrispondenza tra unità grafiche e parole, distingueremo diversi livelli di formazione della parola:

1. flessione: si tratta dell'assegnazione di diverse desinenze ad una radice, con lo scopo di assegnare ad una parola informazioni comuni a tutte le parole della stessa categoria. Così, il sostantivo avrà desinenze per il singolare, per il plurale, per il maschile, per il femminile, per il caso ecc.; il verbo recherà informazioni più complesse. A questo proposito, occorre osservare che non sempre l'informazione lessicale viene assegnata mediante desinenze, cioè mediante modificatori che si aggiungono al tema, ma anche mediante formazioni sincretiche, come in ho visto, dove la marca di persona e numero risiede nell'ausiliare ho, e la marca di tempo nella somma dei due elementi.

2. derivazione, cioè il processo di produzione di nuove parole mediante apposizione di suffissi o prefissi a radici appartenenti a certe categorie, per creare parole appartenenti ad altre categorie. Il suffisso di applica nella parte terminale della parola, i prefissi nella parte iniziale. Sono parole prefissaterifareasistematicosono parole suffissatesistemazioneparlatoreDi solito i suffissi hanno la caratteristica di modificare la categoria di una radice; cosi gli esempi che abbiamo dato trasformano due verbi (sistemare e parlare) in due sostantivi detti deverbativi.Vi sono parole comeazioneattoreche hanno un legame con il verbo da cui derivano, ma tale relazione è ormai fossilizzata e non più sentita dai parlanti. Diremo che si tratta di derivati lessicalizzati; la condizione primaria per poter parlare di derivazione è la vitalità produttiva attuale del meccanismo. In altri termini,per poter parlare di derivazione morfologica, occorre che i meccanismi di derivazione siano sentiti dai parlanti stessi come vitali e ripetibili.Ciò nonostante, esistono forme di derivazione che si fondano su elementi non produttivi del linguaggio. Parole comebioingegneriaecosistemautilizzano elementi (bio-, eco-), che non hanno una vita autonoma nella lingua italiana, ma vengono interpretati per inferenza da altre parole di origine greca dotta comebiologiaecologiaIn questo caso si parla, talora, di pseudo-derivazione, e gli affissi che si utilizzano vengono detti affissoidi.

3. composizione, un procedimento noto alle lingue indoeuropee fin dalle origini, che consiste nel giustapporre due (o più) parole, istituendo un legame sintattico tra esse. Abbiamo, cosìcapostazione = capo della stazionepomodoro = pomo di oroscampaforche = chi sa scampare dalle forche

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ecc.Le modalità di composizione sono diverse.

4. locuzione; si può parlare di locuzione quando ci si trova di fronte ad una espressione composta di più' di una parola, che però costituiscono un'unità. Il passaggio da locuzione a composta è obbligato, anche se avviene secondo modalità diverse; si può, di nuovo, dire che un composto è una locuzione lessicalizzata.I diversi metodi di formazione delle parole si applicano in modi diversi e con diverse proporzioni alle lingue umane. Resta fermo, tuttavia, il concetto che una parola si forma di suoni, ma anche di segmenti di maggior lunghezza e complessità descrittiva. L'unità minima significativa nella formazione della parola è detta morfema.Comunque esso avvenga, il processo di formazione delle parole istituisce una relazione permanente tra un radice e le sue modificazioni. Questo rapporto viene detto relazione paradigmatica.La linguistica classifica le lingue del mondo in modo diverso a seconda della morfologia, distinguendo:• lingue isolanti (cinese), che non presentano un articolato meccanismo di formazione delle parole;• lingue flessive (lingue indoeuropee), che hanno un ricco sistema di formazione delle parole e di flessione;• lingue agglutinative (turco, finnico), che demandano all'utilizzo di varie decine di suffissi la determinazione anche della struttura sintattica della frase.

Il livello della frase: la sintassi

La sintassi è la scienza che studia le modalità mediante le quali le parole vengono messe insieme per formare frasi. È la branca più antica delle scienze del linguaggio, in quanto affonda le sue radici nell'antica grammatica greca e latina.

1. La sintassi tradizionaleLa sintassi tradizionale, cioè quella classica che muove dagli studi logici e filosofici degli stoici e delle altre correnti del pensiero greco, fa coesistere aspetti semantico-funzionali. Nozioni come quelle di soggetto e predicato sono, principalmente nozioni logico-semantiche, che trovano una realizzazione a livello sintattico (il nominativo per il soggetto; la presenza di un verbo nel predicato). Non manca una certa coscienza dell'aspetto strutturale della grammatica; ad esempio, la distinzione tra complemento oggetto e frase oggettiva, serve a differenziare l'uso del sintagma nominale da quello di un'intera frase nella funzione di oggetto.La linguistica storica e comparatista non si occupa estesamente di sintassi, tesa come era allo studio dei mutamenti fonetici ed alla ricostruzione delle etimologie. Se qualche studioso si dedica all'indagine sintattica [Schrijnen] lo fa usando le categorie della grammatica tradizionale.Anche la linguistica strutturale non aggiunge molto alle nozioni evolute in ambito tradizionale [Brondal]; si va precisando, tuttavia, la nozione di sintagma [Martinet, Harris] come entità grammaticale minima, indipendente dalla sua funzione. Così, nella frase

Il bel cane nero mangia con molto appetito la carne tenera

si può asserire che, benché il bel cane nero, (con) molto appetito e la carne tenera svolgano funzioni diverse nella frase, hanno una struttura simile, che consiste nella sequenza <(articolo)(aggettivo) nome (aggettivo)> e, considerando che l'unica presenza necessaria (non tra parentesi) in questo sintagma è quella nel nome, si può chiamare questa sequenza un sintagma nominale.

2. Lo studio scientifico della sintassi

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Lo studio della sintassi come attività scientifica autonoma inizia con l'opera di Noam Chomsky, Syntactic Structures, del 1957.Chomsky afferma, innanzi tutto, l'autonomia della sintassi dal livello semantico, identificando nella lingua la possibilità di formulare frasi prive di senso che possono essere giudicate ben formate da un parlante nativo. Sono di Chomsky gli esempi

Pirots curulize elatically

frase formata da non-parole, che rispondono, però, alle regole elementari della morfologia, e sono ordinate in modo sintatticamente accettabile, e

Green colourless ideas sleep furiously

dove parole della lingua inglese sono, di nuovo, ordinate in modo sintatticamente accettabile, senza, per questo, formare una frase dotata di senso.Chomsky colloca le sue teorie linguistiche in una prospettiva innatista; egli ritiene, infatti, che, mentre le grammatiche delle singole lingue possono essere oggetto di apprendimento da parte del bambino, la facoltà generica di acquisire una grammatica faccia parte del patrimonio genetico dell'uomo.La teoria linguistica ha lo scopo di descrivere la competenza (competence) linguistica, cioè la conoscenza che ogni uomo possiede nella sua mente e che è la base della sua capacità di usare la lingua. La competenza è la conoscenza astratta della lingua che si estrinseca di volta in volta nella esecuzione (performance).Con l'intervento di Chomsky la teoria sintattica vede lo svilupparsi di una frattura tra l'ipotesi strutturale pura, del tutto spogliata di elementi funzionali come, appunto l'ipotesi chomskiana, e quella funzionale, anch'essa pura, cioè spogliata degli elementi strutturali. È solo in tempi recentissimi che si ricompongono i due aspetti in teorie che mirano ad esprimere in maniera formalmente più chiara di quanto accadesse nella grammatica tradizionale il rapporto tra strutture distribuzionali del linguaggio e funzioni sintattiche.

3. La sintassi strutturale3.1. La grammatica generativaSecondo Chomsky una grammatica può essere una solo una grammatica generativa, cioè un meccanismo in grado di produrre espressioni di una lingua, partendo da un numero ristretto di categorie. Se mettessimo in un'urna tutte le parole del vocabolario italiano ed estraessimo a sorte serie di lunghezza variabile, produrremmo stringhe di parole, la maggioranza delle quali non risponderebbero a nessuna grammatica, mentre alcune sarebbero frasi dell'italiano. Un parlante italiano sarebbe sempre in grado di distinguere le frasi grammaticali da quelle non grammaticali. La capacità di compiere questo riconoscimento è da attribuirsi proprio al meccanismo generativo. Infatti, è da escludere che il parlante riconosca per valide frasi già sentite, perché ognuno di noi è in grado di accettare o respingere anche frasi mai udite prima. D'altro canto, la mente umana è una risorsa limitata, mentre il numero di frasi che si possono produrre in una lingua è, per la natura stessa del linguaggio umano, illimitato. Dunque, l'uomo deve possedere un meccanismo limitato capace di generare un numero illimitato di frasi; questo meccanismo è, appunto, la grammatica.La g. g. (di cui la g. trasformazionale è il tipo più importante) costituisce la maggiore novità nella linguistica teorica contemporanea. È stata ideata e costruita da N. Chomsky a partire dall'elaborazione che il suo maestro, Z. Harris, aveva fatto delle nozioni, usate nella linguistica strutturale, di sostituzione e di espansione. Secondo Chomsky la g. g. nasce dalla confluenza di due componenti: l'intuizione idealistica dell'infinita creatività della lingua (si ricordi l'affermazione di Humboldt che la lingua deve "fare un uso infinito di mezzi finiti") e gli studi compiuti nel nostro secolo sulla teoria matematica della computabilità e della ricorsività (A. M. Turing, E. Post, ecc.)

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che consentono di dare una formulazione precisa a tale intuizione. Il termine "generativo" si riferisce non alla produzione concreta di singole frasi ma, secondo l'accezione matematica del verbo "generare", a un dispositivo astratto che specifica, enumera certe strutture. La linguistica non studia i testi, o un corpus di frasi effettivamente usate, ma ciò che consente a chi usa la lingua di produrre e capire un numero potenzialmente infinito di frasi diverse. Chomsky usa le due nozioni di esecuzione e competenza, che non possono non richiamare la dicotomia saussuriana di parole e langue; ma mentre nella langue prende rilievo l'aspetto della socialità, la competenza si riferisce a un "parlante-ascoltatore ideale in una comunità linguistica completamente omogenea", e non solo a ciò che egli sa coscientemente, ma anche a ciò che egli deve sapere, anche se non se ne rende conto, per potersi servire della lingua. Analogamente, possiamo dire che l'aritmetica non mira a descrivere una serie di operazioni effettivamente compiute, ma a specificare le regole che consentono di compiere un numero infinito di operazioni diverse: che esse siano state compiute, possano essere compiute a mente, o richiedano carta e penna, o una macchina calcolatrice, non è pertinente per l'aritmetica più di quanto lo sia per la g. il fatto che una frase sia o non sia stata usata, o sia troppo ingombrante o ambigua per potersene servire di fatto (così la g. deve poter generare una frase come la seguente, anche se essa non è probabilmente stata mai usata, e forse non è usabile per la sua ambiguità: lo studente sostiene il professore che conosce il saggio sulla teoria linguistica di Chomsky che afferma che non è l'utilizzabilità il criterio per giudicare una frase grammaticale: chi è il soggetto di sostiene? e di conosce? e di afferrma? il saggio è di Chomsky o su Chomsky) grammaticale è attributo o complemento predicativo?). Sarebbe evidentemente assurdo costruire regole che rendessero conto di frasi lunghe, poniamo, meno di cento parole ed escludessero le frasi più lunghe perché di fatto non si usano.

In opposizione ai postulati della psicologia comportamentistica, coi suoi meccanismi di associazione e di stimolo e risposta, Chomsky sottolinea che caratteristica dell'agire umano, e del linguaggio in particolare, è proprio di sottrarsi a tali meccanismi. Non è tipico che delle frasi vengano ripetute (come nelle formule di saluto); al contrario, tipico è che ogni frase sia nuova. Una frase viene usata e capita non in quanto essa sia stata già incontrata e memorizzata prima, ma se se ne possiede internamente la g., cioè appunto il sistema astratto delle regole che specificano tutte e solo le frasi di una lingua. Questo dispositìvo dev'essere di una complessità tale che non è possibile che venga elaborato partendo da zero, dal bambino, sulla base del materiale linguistico inevitabilmente difettivo con cui viene a contatto (l'esecuzione, per il suo carattere non solo finito, ma anche accidentale e di solito accidentato non può essere pienamente rappresentativa della competenza). Questo apparato deve essere in gran parte ereditario e universale, sostiene Chomsky, riprendendo, con radicale originalità di visione storica, le ipotesi innatistiche e universalistiche della filosofia sei-settecentesca.

La g. chomskiana offre un'interpretazione nuova della tradizionale dicotomia di significante e significato e dell'arbitrarietà del loro rapporto. Il suono e il senso delle frasi sono talmente eterogenei che ogni tentativo di saldarli l'uno all'altro senza mediazioni è destinato al fallimento. La mediazione è offerta, secondo Chomsky, dalla sintassi. Ogni frase ha due strutture sintattiche diverse: una è la struttura profonda, che riceve un'interpretazione semantica ed è portatrice del significato; l'altra è la struttura superficiale, che viene dotata di una realizzazione fonetica. La struttura profonda e la struttura superficiale sono collegate da operazioni matematiche particolari: le trasformazioni.

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Il significatio della parola: la Semantica

Il significato è centrale nella comunicazione umana, esso è stato oggetto di numerosi studi in diverse discipline. Seguono sei grandi indirizzi di studio.1) La semantica vero-funzionale2) La semantica generativa3) La semantica cognitiva4) La semiotica lessicale5) La semantica a tratti6) la teoria del prototipo

1) Il significato come referenza oggettiva. Semantica vero-condizionale.

Primo aspetto fondamentale è la connessione tra significato e realtà, è al centro degli studi della semantica vero-condizionale. Questi studi nascono all’interno della filosofia del linguaggio. La semantica vero-condizionale ritiene che il significato di una parola o frase è dato dal rapporto che esiste tra linguaggio e realtà. Ogni enunciato è dotato di un valore di verità in quanto esso è affermazione di uno stato di cose che può essere vero o falso. Le condizioni di verità sono intrinsecamente diverse dalla verità o falsità di un enunciato. Le condizioni di verità sono di natura linguistica. Il rapporto tra un’espressione linguistica e il suo referente è stata spiegata attraverso un rapporto diretto o una relazione mediata. I nomi propri, per es., hanno un riferimento diretto coi loro referenti. Tuttavia la maggioranza degli studiosi opta per una relazione mediata fra segno e referente. Frege propose la distinzione tra senso e riferimento: è possibile fare riferimento alla stessa realtà usando espressioni diverse, che hanno un senso diverso. Frege però afferma che il senso non è soggettivo ma costituisce “un terzo ambito” una proprietà intermedia (e oggettiva) della parola che garantisce l’intersoggettività comune grazie alla quale è possibile la reciproca comprensione. Intensione, estensione e mondi possibili. Il concetto di intensione (Carnap) serve a spiegare le situazioni dei contesti opachi (non vero-condizionali). Tali contesti sono generati da verbi di atteggiamento proposizionale tipo credo che p, in essi il valore di verità fa riferimento all’atteggiamento del parlante. Per superare tale difficoltà Carnap introduce il concetto di mondo possibile, entro il quale il significato di una frase sia determinato come intensione. L’estensione di un enunciato è ciò a cui si riferisce. Limiti della semantica vero-condizionale. Ci sono dei seri limiti nella semantica vero-condizionale dal punto di vista della psicologia della comunicazione. Infatti tale prospettiva oggettivistica esclude qualsiasi aspetto soggettivo e individuale (presupposto dell’indipendenza) ancorandosi in modo esclusivo al referente, ai suoi valori di verità e al significato come realtà oggettiva e assoluta indipendente dalla mente dei singoli individui. Siamo di fronte a una concezione referenzialista e antipsicologica. In realtà sappiamo che è impossibile individuare criteri oggettivi e assoluti per stabilire quali proprietà della realtà sono da tenere in considerazione o meno e che la realtà è sempre filtrata e mediata da un processo di categorizzazione e di conoscenza da parte degli esseri umani.

2) Il significato come valore linguistico. Semantica strutturale

"Il legame che unisce il significante al significato è arbirario... La parola arbitrario...non deve dare l'idea che il significante dipende dalla libera scelta del soggetto parlante...vogliamo dire che è immotivato, cioè arbitrario in rapporto al significato, con il quale non ha alcun aggancio naturale nella realtà" (Ferdinand de Saussure, Cours de Linguistique Générale)

Come abbiamo visto quando si è parlato di Saussure, il segno linguistico, e, quindi, la parola, si compone di un significante e di un significato. Oggetto di studio della semantica lessicale e' proprio il significato del segno linguistico, cioe' della parole.

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Già Saussure afferma che la relazione tra significante e significato è arbitraria, cioe' convenzionale, e non trova alcuna giustificazione nella realtà. Il fatto che lo stesso concetto di "albero" sia realizzato come albero, come arbre o come tree, dimostra che non esiste un legame di necessità tra la forma delle parole e il concetto che esse designano.Nel testo The meaning of meaning, 1923, C.K.Ogden e I.A.Richards propongono una lista di almeno 22 diversi modi di intendere il significato. Secondo questi autori, le difficoltà in cui si dibatte la semantica dipendono proprio da questa mancanza di accordo sull'oggetto di studio della semantica, ed auspicano un approfondimento scientifico sull'arogmento. La loro proposta consiste nel tentare di definire una volta per tutte la relazione tra simbolo, concetto e realtà, cosa che fanno con il celebre triangolo semantico.

Questo elimina ogni relazione diretta tra parola e realtà. La forma della parola (simbolo) simbolizza un concetto che, a sua volta, si riferisce ad una realtà (referente). Dunque la parola "sta per" la realtà, la sostituisce nell'universo linguistico.Questo tipo di relazione, comunque mediato attraverso il concetto, vincola il significato all'universo cognitivo, che non è necessariamente legato alla realtà, ma rispecchia l'analisi che della realtà compie il parlante o, più correttamente, la comunità dei parlanti. L'ipotesi che il significato sia una qualche funzione della convenzione linguistica ha sicuramente un largo fondamento di verità; ha trovato, tuttavia, una ofrmulazione estrema nell'ipotesi di Sapir-Whorf [vedi sotto].Al di là della valutazione che si può dare di quest'ultima ipotesi, essa porta in luce il fatto, che ormai nessuno può negare, che il significato è una relazione mediata tra linguaggio e realtà e che la mediazione è realizzata nella sfera cognitiva.

Campi Associativi / Campi semantici

Uno dei primi modi con cui si e' tentato di caratterizzare il significato di una parola consiste nel collegarla con tutte le altre parole del lessico che hanno con essa una relazione concettuale. Già Saussure notava che un termine può esser rappresentato come il centro di una costellazione di significati.L'evoluzione naturale di questa teoria è, quindi, l'ipotesi di Sapir-Whorf, secondo la quale sono le strutture linguistiche che plasmano le strutture cognitive dell'uomo.The linguistic system of each language is not merely a reproducing system for voicing ideas, but rather is itself the shaper of ideas, the program and guide for the individual's mental activity, for his analysis of impresions, for his synthesis of his mental stock-in-trade...We dissect nature along lines laid down by our native languages. [Language, Thought, and Reality. Selected Writings of Benjamin Lee Whorf, 1956]L'ipotesi di Sapir-Whorf sembra render conto in maniera molto efficiente di fenomeni trans-culturali, come il fatto che all'unico termine che le lingue occidentali hanno per "neve", le lingue eschimesi fanno corrispondere una ventina di termini diversi.Tuttavia essa non gode di un'uniforme accettazione. Il terreno di maggiore discussione e' stato quello dei nomi di colori, dove si sono opposte due posizioni, rappresentate da Conklin [Hanunóo Color Categories, 1955] e Berlin e Kay in Basic Color Terms, 1969. Conklin porta l'esempio della lingua Hanunóo come prototipo di una distribuzione dei colori totalmente diverso dalla percezione che le nostre culture hanno della stessa realtà. Berlin e Kay, invece, pur riconoscendo le divergenze di partizione dipendenti da diverse situazioni culturali ritengono che, comunque, il sistema dei colori sia riducibile ad unoschema unico di validità' universale.Secondo Berlin e Kay, infatti, ogni lingua può disporre del proprio sistema di classificazione dei colori, ma ciascuna si situa secondo una linea di crescente complessità rappresentata dalla sequenza di inclusioni; perciò una lingua che conosca i termini per green e yellow include forzatamente anche la nozione di red e di white e black, mentre una lingua che riconosce solo red include esclusivamente white e black. Ciò che è universale è la sequenza di inclusioni, cioè di precedenze,

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che affonderebbe le radici in un sistema universale di percezione.

Analisi componenziale

Vi sono gruppi di parole per le quali si può proporre un'analisi in termini di combinazioni di formanti primarie. La serie uomo/donna; ragazzo/ragazza si può descrivere come segue

che si può linearizzare come segue

uomo : +UMANO +ADULTO +MASCHIOdonna : +UMANO +ADULTO -MASCHIOragazzo : +UMANO -ADULTO +MASCHIOragazza : +UMANO -ADULTO -MASCHIOQuesto tipo di rappresentazione ha una chiara matrice fonologica, in quanto consiste nell'identificazione di una serie minima di tratti la cui presenza o assenza (+, -) contribuisce a formare un significato. Inoltre, i tratti sono determinati sulla base di opposizioni binarie distintive, esattamente secondo il metodo usato in fonologia. Questo genere di approccio è l'unico che tenta di stabilire un confine tra denotazione e connotazione, usando il metodo delle opposizioni distintive per determinare le proprietà inerenti di un concetto, in opposizione a quelle semplicemente evocate. Inoltre, un tale metodo può vantare elementi di universalità, che sono il requisito fondamentale della teoria linguistica. Infatti, a questa si chiede di esprimere concetti generali applicabili a tutte le lingue, piuttosto che descrizioni parziali di singole lingue.Così possiamo estendere il sistema descrittivo ad includere+UMANO 'umano' +ADULTO 'adulto' +MASCHIO 'maschio'-UMANO 'animale' -ADULTO 'giovane' -MASCHIO 'femminapermettendo di descriverepersona : +UMANO (0MASCHIO) (0ADULTO)adulto : +UMANO +ADULTO (0MASCHIO)bambino : +UMANO -ADULTO (0MASCHIO)femmina : (0UMANO) (0ADULTO) -MASCHIOdove alcuni tratti sono neutralizzati (0---), cioè perdono rilevanza nella descrizione della specifica voce.L'analisi che così si compie delle voci lessicali è detta componenziale in quanto suddivide il significato in diversi componenti minimali, appunto secondo un criterio di tipo fonologico.La notazione componenziale rende conto di tutte le relazioni semantiche basilari, i particolare della ipo-/iperonimia e dell'incompatibilità. La prima si realizza come una ulteriore specificazione di tratti, per cui -MASCHIO è meno specifico di +UMANO +ADULTO -MASCHIO e realizza la coppia iperonimo: femmina / iponimo: donna. Si può, dunque, formulare il principio che tanto minore è il numero dei tratti specificati per un termine, tanto più esso è generico e, quindi, collocato in alto nella gerarchia degli iperonimi. L'incompatibilità si definisce in termini di presenza di tratti uguali con valori opposti; uomo e donna sono incompatibili perché opposti dal tratto MASCHIO + o -.La presenza di certi tratti può essere subordinata alla presenza di altri, come nel caso di ±MASCHIO che può essere specificato solo per il valore +ANIMATO. Un modo di rappresentare questa dipendenza è l'albero che può essere utilizzato per rappresentare interi sistemi di tratti, come, appunto, nella grammatica sistemica funzionale di Halliday.Questo ci porta a spostare la discussione sulla effettiva natura di questi tratti che noi abbiamo, fin qui, trattato come esplicitazione del significato di una parola. Alcuni linguisti, invece, con Chomsky in testa, li considerano parte integrante della teoria sintattica, come meccanismo di filtro che elimina numerose frasi spurie. Così, di un verbo come "mangiare" si può dire che seleziona un oggetto

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facoltativo (Maria mangia una mela vs. Maria mangia), e seleziona, alla stessa stregua, un soggetto animato. In Aspects of a Theory of Syntax Chomsky ricorre ad una notazione comemangiare [+V, +Sogg [+ANIM]_______(+Ogg)]per specificare che mangiare è un verbo che regge obbligatoriamente un Soggetto Animato e facoltativamente un Oggetto.Per questo tipo di funzione che svolgono i tratti binari (cioè ±) si chiamano spesso, in sintassi, restrizioni di selezione, cioè restrizioni sulla selezione dei costituenti di una frase. Le restrizioni di selezione sono il meccanismo mediante il quale, nelle prime teorie chomskiane, gli elementi lessicali esercitano il controllo sulla struttura sintattica della frase.Molti linguisti, però, fanno rientrare la teoria dei tratti e l'analisi componenziale a pieno diritto nella teoria semantica.Vi sono, però, molte aree di lessico che rispondono a modalità diverse di trattualizzazione. Riconosciamo, in particolare,- opposizioni binarie, come in vivo e morto, che possono essere ridotte a opposizioni di valore in un unico tratto (±VIVO)- tassonomie multiple, simili al campo semantico, ma più esatte, in cui un iperonimo, ad es. METALLO, si specifica in una serie di iponimi, ad es. oro, rame ecc, senza che questo comporti un'analisi in componenti elementari, dal momento che ogni iponimo è di per sé un componente elementare-opposizione relativa, come nel caso di grande e piccolo, il cui unico componente elementare, ad es. MISURA, assume valori scalari attribuibili solo su base soggettiva e relativa.- relazioni, che analizzano parole come genitore e figlio in termini di partecipanti ad una relazione dotata di verso.

L'analisi componenziale non termina qui, in quanto vi sono anche altre relazioni che si possono istituire tra parole e con diversi sistemi di descrizione. I meriti principali di questo tipo di analisi sono- il procedimento descrittivo relativamente formale- una relativa universalità del metodo, cui fa riscontro una buona diffusione ed accettazione delle descrizioni, anche da parte di chi è convinto che la semantica sia "ben altro".

Reti semanticheLa scomposizione del significato delle parole in componenti minimi si allaccia al problema dell'ontologia di tali componenti, cioè se si tratti di espedienti decrittivi o di proprietà effettivamente presenti o in natura o nel sistema cognitivo dei parlanti.La psicologia cognitiva e sperimentale hanno un interesse particolare per il modo in cui i concetti e le relative proprietà vengono memorizzati.Nel 1968 lo psicologo Ross-Quillian formulò un'ipotesi di struttura di memoria, detto reti semantiche, che doveva render conto sia della memorizzazione che delle operazioni di accesso.Una rete semantica è l'espressione di relazione tra concetti e di questi con le relative proprietà. Così, ad esempio, concetti come animale, uccello, canarino si rappresentano attraverso uno schema che indica una relazione di iponimia di uccello rispetto a animale e di canarino rispetto a uccello. La relazione is_a non indica, però, solo l'iponimia, ma anche l'eredità da parte dell'iponimo delle proprietà associate all'iperonimo. Così, in virtù di questa linea di ereditarietà, canarino eredita da uccello le proprietà tegumento: penne e locomozione:volo.Questa distribuzione delle proprietà, sempre associata al concetto più alto, cioè più generale, nella gerarchia, costituirebbe una forma di economia della memoria, in quanto evita di memorizzare tutte le proprietà in associazione con tutti i concetti. Inoltre spiegherebbe il fatto, comprovato sperimentalmente, che occorre più tempo per dichiarare vera l'associazione tra un iponimo e la proprietà di un iperonimo, che non una sua proprietà; così occorre più tempo a verificare (dire se è

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vera o falsa) la frase "un canarino vola" che la frase "un canarino è giallo". Questo perché il cammino, in termini di connessioni, è più lungo da canarino a volo che da canarino a giallo. Si ricordi, in ogni caso, che i dati sperimentali in psicologia sono sempre dubitabili.Un'altra caratteristica delle reti semantiche è che non esiste un insieme chiuso di proprietà. A parte il legame is_a, che è caratteristico, ma non indispensabile, tutti gli altri sono puramente convenzionali e possono essere ampliati a piacere, pur di creare l'etichetta opportuna sul legame e di collegarlo con il concetto relativo. Così a canarino posso aggiungere verso: canto, orgine: Canarie, dimora-abit.: gabbia, ecc. in modo da caratterizzare un canarino nella nostra esperienza urbana, piuttosto che il canarino che vive in libertà. Questo significa che le reti semantiche possono essere usate per rappresentare ogni sorta di proprietà di concetti, anche quelle che scaturiscono da esperienze individuali. Le reti semantiche costituiscono un formalismo per rappresentare concetti e proprietà, ma non impongono alcuna restrizione su che cosa rappresentare. Non si può, quindi, chiedere alle reti semantiche una risposta su quale sia il significato di un dato elemento lessicale, ma occorre definire tale significato con metodi autonomi, prima di tradurlo in termini di reti semantiche. Con ciò la distinzione tra denotazione e connotazione perde significato, in quanto tutto è rappresentato uniformemente.Un problema particolare è posto proprio dalla rigidezza dell'ereditarietà. Se, infatti, accanto a canarino avessimo pinguino questo erediterebbe la proprietà di volare, ciò che non è vero. La soluzione, che consisterebbe nel degradare la proprietà locomozione: volo a tutti gli iponimi di uccello eccetto pinguino, non è praticabile perché annulla un'importante generalizzazione ("tutti gli uccelli volano"). D'altro canto, anche la frase "questo canarino non può volare perché gli sono state tarpate le ali" è in contraddizione con l'ereditarietà delle proprietà. In termini più astratti le reti semantiche, come pure le definizioni universali ("tutti gli uccelli volano", "tutti gli uccelli hanno penne"), non dispongono di meccanismi per il trattamento dell'eccezione (il pinguino) e la proprietà transitoria (ali tarpate).

3) Il significato come comprensione dell’esperienza. Semantica cognitiva

Concezioni più attente sia agli aspetti psicologici sia a quelli referenziali sono la semantica cognitiva (Fillmore) e la semantica dinamica. La semantica è intesa come teoria della comprensione, infatti secondo questo orientamento il significato concerne il modo in cui gli individui comprendono ciò che comunicano. Si tratta di concezioni antioggettiviste in quanto i significati non sono più entità astratte e universali ma dipendono dall’elaborazione mentale dei parlanti. Il giudizio di verità viene comunque dopo la comprensione. La semantica cognitiva assume come vincolo quello della plausibilità psicologica, in quanto parametro per accettare o meno un determinato modello esplicativo. La semantica cognitiva integra lo studio dei significati all’analisi dei processi psicologici a essi associati. Il linguaggio è una funzione e un’attività cognitiva e in quanto tale non è separabile dalle altre funzioni psicologiche bensì è strettamente interdipendente con esse. Inoltre l’uso dei significati dipende non solo dalle conoscenze dizionariali ma anche dalle conoscenze enciclopediche che scaturiscono dall’esperienza e dall’appartenenza a una determinata cultura. Tali conoscenze molto spesso avvengono semplicemente per ostensione (mostrare un oggetto per far capire cos’è spesso è meglio che spiegarlo a parole), altre volte comportano il ricorso all’elaborazione di scripts per la comprensione di sequenze di azioni e per l’elaborazioni di categorie mentali. Queste ultime comportano l’impiego di processi di inferenza per interpretare gli indizi presenti nella realtà. La semantica cognitiva pone inoltre l’accento sulla stretta relazione tra significati e concetti, ovvero il significato come manifestazione comunicativa della struttura concettuale. Nella semantica cognitiva e dinamica si rifiutano forme di soggettivismo e relativismo e si adotta una concezione realista del significato. Il significato emerge dunque dalla elaborazione cognitiva e dalla rappresentazione mentale di un determinato oggetto o evento da parte

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dell’individuo. E’ dunque una posizione referenziale in quanto vi è un ancoraggio alla realtà ma non in senso assoluto come nella semantica vero-condizionale.

Lo studio della natura dei segni: la Semiotica

La semiotica o semiologia è lo studio della natura dei segni (nella semiotica avanzata si parlerà di testi ), della loro produzione, trasmissione e interpretazione. Padri della semiotica si considerano F. de Saussure (linguista francese, che coniò il termine di semiologia ) e C.S. Peirce (filosofo statunitense, che parlava invece di semiotics ), i quali hanno posto le basi teoriche per una elaborazione della disciplina come teoria della cultura, applicabile non solo alla letteratura ed alle arti, ma anche a campi quali la religione, l'abbigliamento, la forma dei prodotti commerciali, ecc.

Successivamente la semiotica riceverà grandi contributi dalla scuola linguistica slava, che si riuniva originariamente intorno al circolo di Praga. Essa diede vita ad un filone proprio della semiotica, che riuniva posizioni anche molto differenti tra di loro.Solo con Umberto Eco la semiotica ha conosciuto un tentativo di sintesi dei vari contributi, arrivando alla definizione di una disciplina uniforme.Possiamo quindi dire, molto semplicemente, che la semiotica studia il significato dei testi, qualunque essi siano, anche quando si tratta di meri oggetti, come per esempio uno scudo (la forma, il colore, etc...), un disegno, una costruzione architettonica, ma con un'applicazione pratica chiaramente più a favore di testi complessi (miti, fiabe, etc...).

Secondo il linguista francese De Saussure la semiologia studia gli elementi minimi della comunicazione, cioè i segni, per capire l'attribuzione di significato ai messaggi.Per De Saussure la lingua è un sistema di segni distinti corrispondenti a delle idee distinte.Il Significato (o Concetto ) si unisce al Significante (o Immagine acustica ) per dare vita al Segno. Questi elementi hanno un legame arbitrario perché basato su convenzioni. La lingua è una catena lineare. Il Sintagma è la combinazione di due o più elementi consecutivi all'interno della catena di parole. Ciascun termine del sintagma ha valore perché è opposto ai termini precedenti e seguenti della catena. La lingua è perciò un sistema di segni che si influenzano reciprocamente.

La definizione di relazione segnica o semiosi di Peirce avviene invece tra tre elementi: un Representamen, la parte materiale del segno; un Oggetto, il referente a cui il segno fa riferimento; e un Interpretante, ciò che deriva o viene generato dal segno. Il punto di partenza della semiosi di Peirce è nella realtà esterna, dove in Saussure il Referente aveva invece un ruolo solo accessorio nel definire la relazione tra il significante e il significato. L'Oggetto quale è nella realtà viene definito da Peirce Oggetto dinamico. A partire dall'oggetto dinamico si definisce quello che Peirce chiama l'Oggetto Immediato che sembra corrispondere al significato di Saussure. Infatti l'oggetto immediato nasce dal 'ritagliare' o dal mettere in rilievo alcune delle caratteristiche dell'oggetto dinamico, quindi dell'oggetto reale. Questo vuole dire che l'oggetto immediato ci dà dell'oggetto dinamico solo una prospettiva tra le tante possibili; nel segno quindi il representamen (significante) ritaglia o identifica atraverso l'oggetto immediato (significato) un particolare punto di vista sull'oggetto dinamico (referente). L'aspetto più interessante del processo di semiosi come è stato pensato da Peirce consiste nel concetto di interpretante. L'interpretante di Peirce è infatti un ulteriore segno che sorge dal rapporto tra il representamen e l'oggetto immediato; come dire che un segno genera un altro segno attraverso un processo di interpretazione. Tale processo di generazione di un interprentante da un segno, e poi di un altro segno-interpretante successivo e così via, identifica un processo potenzialmente interminabile detto di semiosi illimitata. Quindi il concetto di segno o della semiosi in Peirce è triadico.

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La semiotica interpretativa

La prospettiva della semiotica estetologica o interpretativa di Umberto Eco muove proprio dalla centralità del concetto di interpretazione messo in gioco da Peirce. Il lavoro di Eco muove in due direzioni: ridefinizione teorica ed epistemologica della semiotica; analisi della cultura e dei testi con particolare riferimento alla loro ricezione. Eco è stato tra i primi critici della prospettiva strutturale 'ortodossa', mettendo in discussione il fatto che un testo manifesti strutture significative di per sé, indipendentemente dalle letture che di esso si possano dare. Attaccherà dunque l'idea levi-straussiana di considerare le 'strutture' che danno valore ai testi come entità realmente esistenti (strutturalismo ontologico), per attribuire ad esse valore euristico e sempre provvisorio. Fondamentale in Eco è quindi il problema dell'interpretazione (il che lega le sue riflessioni alla prospettiva più generale dell'ermeneutica). Eco muove dall'idea che l'analisi delle strutture del testo coincida con la ricerca delle sue potenziali strategie interpretative. Eco definisce il testo "una macchina pigra" in quanto ritiene che il senso di un testo sia determinato solo in parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali costruiti dall'emittente, ma che un ruolo fondamentale venga svolto dal fruitore del testo senza il cui intervento il senso resterebbe lettera muta. Quindi la costruzione del senso di un testo si gioca nel processo dialettico che si attiva tra le strutture retorico-testuali e le strategie di interpretazione del lettore (principio della cooperazione interpretativa nei testi narrativi, v. Lector in fabula).Altra questione centrale nella ricerca di Eco è il problema del significato. In sostanza Eco ha proposto un modello semantico a istruzioni in formato di enciclopedia. La metafora dell'enciclopedia serve ad Eco per evidenziare la differente struttura interna del modello di sapere da lui utilizzata che si definisce come una rete di unità culturali tra loro interconnesse. Il modello ad enciclopedia viene contrapposto a più rigidi modelli semantici a dizionario in cui ogni significato è semplicemente definito da una serie di unità minime tra loro interdefinite e autosufficienti (semantica strutturale). Ma il funzionamento del processo cognitivo che porta all'identificazione del significato è molto più aperta ed è legata all'attivazione di porzioni del sapere culturale complessivo in ragione delle esigenze contestuali. Il significato è infatti determinato dall'uso di concetti legati alla nostra generale esperienza o conoscenza del mondo, a stereotipi e strutture culturalmente predefinite che abbiamo appreso nel tempo e/o da altri testi (competenza intertestuale). La nozione di enciclopedia è quindi un postulato semiotico o ipotesi regolativa che non può essere descritta nella sua totalità, ma che può rendere ragione dei meccanismi di costruzione e negoziazione del senso nei diversi contesti comunicativi.

La semiotica generativa

Partendo da diversi presupposti la semiotica strutturale e generativa assume anche una diversa prospettiva riguardo al modo in cui si deve intendere la stessa analisi semiotica.Il tentativo di individuare un modello astratto della costruzione del significato di singoli lessemi attraverso la loro scomposizione in tratti elementari e primitivi (come era riuscita a fare la fonetica per il piano dell'espressione) ha portato Greimas a individuare anche all'interno di ogni testo un nucleo semantico fondamentale scomponibile in elementi in opposizione. Il concetto stesso di categoria semantica di Greimas è fondato sull'idea che si tratti sempre di una categoria oppositiva: il bianco senza il nero non è in sé dotato di senso. Ogni categoria semantica per essere esplorata e analizzata nei singoli contesti deve quindi essere pensata come una categoria oppositiva: ad esempio il maschile si oppone al femminile (contrari), allo stesso tempo si trova in relazione di contraddittorietà con il non-maschile (contraddittori), e di complementarità con il non-femminile (complementari). In sostanza ogni categoria semantica può essere rappresentata attraverso il modello grafico di un quadrato (derivato dal quadrato logico aristotelico). Le relazioni tra i quattro vertici del quadrato definiscono poi i termini complessi: ad esempio se uomo e donna si collocano

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ai vertici rispettivi del maschile e del femminile, ciò che è maschile e femminile (l'asse dei contrari) allo stesso tempo definisce l'ermafroditismo; mentre sull'asse corrispondente dei sub-contrari del non-femminile e del non-maschile si trova la non-sessualità dell'angelo.

Greimas porta a fondo l’idea di un parallelismo nell’analisi dei piani (fon)emico/(fon)etico:Fonema-Foni // Semema-SemiIdentificando il Semema con la Figura del contenuto di Hjelmslev, Greimas può estendere l’analisi ai fenomeni non linguistici.G. introduce anche una dimensione di profondità all’analisi delle figure hjelmsleviane: come i foni si pongono a livello più profondo dei Fonemi, così si comportano i Semi rispetto ai Sememi, che si avvicinano di più alla manifestazione superficiale.

Greimas mette alla prova questa concezione proponendo l’analisi del lessema: ‘testa’.Il primo passo è procurarsi una buona definizione dizionariale (Littré per Greimas).Testa = “La parte superiore del corpo umano, ben distinta dal tronco, cui è attaccata per mezzo del collo” (Battaglia, vol. XX, s.v.).Il senso letterale è il primo che viene indicato nei dizionari, ed è quindi il principale.

Il secondo passo è vedere le accezioni secondarie, ma sempre dipendenti da quella principale.Queste accezioni sono in rapporto gerarchico con la principale: ci sono quelle rispetto alle quali la principale si pone sopra (ed è iperonima rispetto ad esse) e quelle rispetto alle quali si pone sotto (ed è iponima rispetto ad esse).

Tra le prime (relazione di iperonimia):a. Calotta cranica, teschioes.: cappello in testa; testa di morto; la testa di San Petroniob. Volto, fronte (la parte che sta sotto i capelli)es.: colpo di testa (calcio)c. Capigliaturaes.: testa bionda; lavata di testa

Tra le seconde (relazione di iponimia):a. Persona, individuo (capo, capofamiglia)es.: a testa; testa coronatab. Membro di un gruppo (anche non umano)es.: un gregge di cento testec. Vita (della persona)es.: sotto pena della testa; taglia sulla testa

NB: le relazioni gerarchiche non sono esattamente di iperonimia o di iponimia, ma si instaurano per sineddoche: la parte per il tutto (o il membro per l’insieme) (relazione ipotattica) o il tutto per la parte (relazione ipertattica).Esiste anche una relazione che si installa per metonimia (testa = carattere, intelletto, ecc.; contenitore per contenuto), ma Greimas la prende in considerazione solo parzialmente, come vedremo.

Greimas propone di individuare all’interno del Semema (ovvero di una unità di contenuto o percorso di lettura coerente di un Lessema):a. un elemento invariante, che permane al cambiare dei contesti d’uso, e lo chiama Nucleo semico (Ns);b. un elemento variabile, in funzione dei contesti, e lo chiama Sema contestuale o Classema (Cs).

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Greimas procede per comparazione tra espressioni, modi di dire, contesti d’uso, raggruppandoli per identità di Nucleo semico.Le espressioni (o classi di contesti)a. testa di palo, essere alla testa di una ditta, avere debiti fin sopra la testapresentano i semi“estremità” + “superiorità” + “verticalità” Le espressioni (o classi di contesti):b. testa di una trave, testa di un canale, stazione di testa, testa di pontepresentano i semi“estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “continuità” Le espressioni (o classi di contesti):g. vettura di testa, testa del corteo, titoli di testapresentano i semi“estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “discontinuità”

1. In nessuna delle espressioni citate, ‘testa’ significa “parte del corpo”.2. “Estremità” è il sema che ricorre più frequentemente e si candida a essere parte del Nucleo semico, ovvero sema invariante;3. “Superiorità” e “anteriorità” si trovano sempre assieme a “verticalità” e “orizzontalità” e possono esser considerati come articolazioni del sema “superatività” (= essere parte principale); In prima approssimazione il Ns sarà composto dai due semi“estremità” e “superatività”.4. “Verticalità” e “orizzontalità” sono semi contestuali che producono variazioni tra sememi;5. “Continuità” caratterizza i contesti b, “discontinuità” i contesti g, e la loro negazione (“né cont., né discont.”) i contesti a. Altri semi nucleari derivano dall’esame di altre classi di contesti o gruppi di espressioni.a. Testa di cometa, testa di spillo, testa di chiodo, testa d’aglio…presentano il sema “sferoidità”.b. rompersi la testa, aver la testa dura, testa d’uovopresentano anche il sema “solidità”. Infine, le espressionic. mettersi in testa qualcosa, imbottirsi la testa, avere la testa fra le nuvole…presentano anche il sema “contenitore” (o “contenente”, per metonimia).Da questa seconda comparazione, Greimas trae alcune conclusioni circa l’identificazione dei componenti del Nucleo semico. L’individuazione di un sema “sferoidità” nel secondo gruppo di classi contestuali, fa supporre che al Ns precedentemente individuato sia necessario aggiungere anche l’opposizione “sferoidità”/”puntiformità”.Il secondo termine dell’opposizione (“puntiformità”) si trova nel primo gruppo, e viceversa per il primo (“sferoidità”).

Semantica a tratti e teoria del prototipo

La semantica a tratti.Per la semantica a tratti il significato di una parola è scomponibile in diversi componenti più generali di senso. Due sono le condizioni:a) Il significato è scomponibile in tratti semantici considerati come condizioni necessarie e sufficienti (CNS).b) Il numero dei tratti semantici costituisce un inventario limitato.La semantica a tratti impiega il metodo componenziale, per cui all’interno delle differenze fonetiche (differenze a livello sonoro) sono le differenze fonemiche ad avere valore linguistico. Il fonema svolge dunque una funzione

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distintiva. Il significato di una parola è dunque inteso come l’insieme finito di proprietà che fissano e determinano la sua estensione.

I principi del modello CNS sono:

a) nessun tratto può essere eliminato in quanto ognuno di essi è necessariob) nessun tratto può essere aggiunto in quanto i tratti semantici sono condizioni sufficienti.c) tutti i tratti hanno la medesima rilevanza, sono sullo stesso piano non organizzati gerarchicamente.d) il significato di qualsiasi termine presenta confini netti e precisi di natura binaria (tutto o niente).

Tale modello dunque si presenta come modello binario in cui ogni tratto semantico è trattato in maniera dicotomica e privativa: la presenza di un tratto implica l’assenza del tratto opposto. Il modello CNS implica la distinzione netta tra conoscenze dizionariali costitutive del significato e conoscenze enciclopediche intese come conoscenze accessorie e secondarie.In quest’ottica le componenti basilari del significato costituiscono proprietà analitiche, assolute non soggette a cambiamenti nel tempo. Il significato è dunque univoco, assoluto e determinato dalle sue componenti costitutive.

-Limiti della semantica a tratti.I significati hanno confini definiti e sono considerati unità discrete per cui non sono concepibili sfumature o posizioni intermedie. Inoltre l’ipotesi che il significato sia costituito da un limitato e chiuso numero di tratti semantici non regge di fronte ad alcuni aspetti della realtà, per es. se indichiamo come tratto semantico per un cane l’avere quattro zampe come ci comportiamo di fronte a un cane che ha perso una zampa? Inoltre risulta impraticabile anche una distinzione netta tra i tratti semantici necessari e quelli accidentali, per ogni parola esiste una gradualità delle proprietà semantiche. Anche la netta distinzione tra conoscenze dizionariali e enciclopediche risulta inconsistente, in quanto sono entrambe costruzioni culturali nate da processi di convenzionalizzazione comunicativa esistenti in una data società. Dunque i dizionari non sono separabili dalle enciclopedie anzi sono enciclopedie in formato ridotto. Un altro fenomeno che mette in crisi il modello CNS è la vaghezza semantica attraverso cui è possibile classificare un oggetto ora come bicchiere, ora come tazza oppure come ciotola a seconda dell’uso che se ne fa. La linea di confine tra un significato e un altro molto spesso è vaga.

La semantica del prototipo. La semantica del prototipo rimanda al concetto di categoria mentale e al processo di classificazione.Il processo di categorizzazione: consiste nella segmentazione del flusso continuo della realtà e dell’esperienza in categorie (o classi) ed è un vincolo psicologico che rende possibile il funzionamento mentale degli esseri umani. Consente un notevole risparmio di energie cognitive (economia) e consente di organizzare il mondo secondo una serie di criteri (tassonomia). Le categorie possono essere analizzate secondo due dimensioni: una verticale, l’altra orizzontale.La dimensione verticale consente di collegare fra loro diverse categorie attraverso il processo di inclusione. Quanto più la categoria è inclusiva tanto più alto è il suo livello di astrazione. Rosch ha individuato tre livelli di inclusione dalla più inclusiva alla meno inclusiva: il livello sovraordinato (per es. l’arredamento), il livello di base (per es. la sedia) e il livello subordinato (per es. sedia da cucina, sedia a dondolo ecc.). La dimensione orizzontale riguarda il modo in cui ogni categoria è organizzata al suo interno. Fondamentale è il concetto di prototipo inteso come miglior rappresentante di una data categoria. Esistono due concezioni di prototipo:1) Teoria standard del prototipo.Questi studi considerano il prototipo come migliore esemplare di una data categoria, quello che al rappresenta meglio. Per esempio nella categoria uccello il passero, l’aquila o la rondine sono maggiormente rappresentativi di pollo o struzzo. I vari elementi di una categoria si confrontano fra di loro in base al principio di somiglianza e analogia, cioè in base alla

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maggiore o minore somiglianza al prototipo, procedendo in maniera graduale ovvero dal più somigliante al meno somigliante o viceversa, attraverso attività logiche di natura inferenziale. Il prototipo presenta un’elevata stabilità intersoggettiva all’interno di una cultura che non si basa né sulla familiarità delle esperienze ne sulla frequenza lessicale, per es. il pollo che ha elevata familiarità ha scarsa rappresentatività nella categoria uccello.Limiti della teoria standard del prototipo.In questa teoria si confondono i concetti di rappresentatività e appartenenza alla categoria. Essi sono infatti due processi distinti. Un conto è la rappresentatività ovvero possedere il maggior numero di proprietà tipiche di una categoria, un conto è l’appartenenza a una categoria. L’appartenenza a una categoria va fondata su criteri più robusti e precisi come il possesso di alcune proprietà essenziali comuni a tutti i membri della medesima categoria.Inoltre bisogna separare il concetto di prototipo da quello di struttura categoriale, il prototipo non rappresenta la struttura categoriale.2) Teoria estesa del prototipo.Più recentemente è stata elaborata una teoria “estesa” del prototipo, che rivede diverse assunzioni della teoria standard. In primo luogo si passa da un prototipo inteso come istanza reale a un prototipo inteso come costrutto mentale. In questo senso il prototipo diventa un insieme di proprietà astratte. Il prototipo diviene la configurazione degli effetti prototipici, ossia l’insieme delle proprietà che distinguono una categoria da un’altra. E’ possibile distinguere tra prototipicità della categoria e tipicità di significato. La prima corrisponde alla maggiore o minore presenza di effetti prototipici; al seconda rimanda al concetto di valore medio.Occorre inoltre distinguere tra le proprietà essenziali e le proprietà tipiche. Le prime sono quelle comuni a tutti i membri di una categoria anche per quelli meno rappresentativi (per es. il pinguino per la categoria uccello), esse definiscono l’appartenenza categoriale non in senso positivo (come nel modello CNS) ma in senso negativo ovvero se un animale non possiede becco e non è oviparo non può appartenere alla categoria uccello. Le seconde, le proprietà tipiche, sono intese come proprietà specifiche aggiunte, soggette a eccezioni e cancellabili. Per es. avere le piume è una proprietà tipica ma non essenziale in quanto i pinguini sono uccelli ma senza piume, oppure volare (lo struzzo non vola ed è un uccello). Al pari delle proprietà essenziali, quelle tipiche sono definite dalla cultura di appartenenza.Il caso della polisemia e la somiglianza di famiglia.I termini dotati di polisemia semantica sono quelle parole che hanno significati diversi lungo dimensioni distinte. Per es. la parola FRESCO significa: a) nuovo, recente, appena dato (dimensione temporale), b) in condizioni ottimali, incontaminato, puro (dimensione di stato positivo), c) “non caldo” (dimensione termica). Si nota che alcune dimensioni sono in parte sovrapponibili per es. a con b, e b con c.La spiegazione di questo fenomeno sembra essere la somiglianza di famiglia. Per il concetto di gioco per esempio non esiste un prototipo, né un insieme di proprietà comuni, ma soltanto somiglianze parziali e locali.

Verso una teoria unificata del significato.

Tre sono gli aspetti enfatizzati dalle sei teorie fin’ora esposte: la dimensione referenziale, quella inferenziale e quella differenziale.

- La dimensione referenziale. Essa sottolinea la necessità di porre un rapporto tra significato e realtà. Il vincolo o riferimento alla realtà risulta necessario per non cadere nell’assoluto soggettivismo e relativismo. Tale riferimento tuttavia non va inteso come realtà oggettiva noumenica e totalmente indipendente dal soggetto, esso invece rimanda al contenuto dell’esperienza del parlante cioè al modo in cui il parlante ha conosciuto e percepito la realtà. Il rapporto tra significato e realtà è dunque mediato dall’esperienza del parlante. Tale esperienza è inoltre influenzata dalla cultura di appartenenza del parlante, essa è paragonabile a una lente che ingrandisce, rimpicciolisce o distorce la realtà attraverso un punto di vista comune che applicato ai fatti reali genera i significati. I significati sono dunque l’esito di un’attività culturale.

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– La dimensione inferenziale. Essa pone in evidenza l’organizzazione cognitiva dei significati, la quale implica che i significati rimandano a specifici concetti. I concetti sono costrutti mentali che servono a definire e categorizzare gli oggetti e gli eventi della realtà. Significati e concetti non coincidono ma sono interdipendenti. Non sempre un concetto ha il suo corrispettivo lessicale, oppure può averlo in una lingua e non in un altra per cui bisogna ricorrere a un giro di parole (scarto lessicale). Talvolta capita l’opposto, ovvero si conosce il termine ma non il concetto (ignoranza concettuale) per es. il concetto di numero immaginario a meno che non si sia esperti in matematica è un termine a cui difficilmente possiamo associare il corrispettivo concetto. Anche nella polisemia non si ha una relazione biunivoca tra termine e concetto, infatti un verbo come consumare ha diversi significati che rimandano a diversi concetti (consumare il patrimonio, consumare il matrimonio, consumare il pranzo ecc.). Sul piano cognitivo dunque è importante l’inferenza per comprendere i significati di una frase o discorso, attraverso l’analisi del contesto di uso e l’uso degli indizi che via via emergono. Le parole in questo senso sono indizi linguistici da cui trarre ipotesi interpretative.

- La dimensione differenziale. Il sistema differenziale sottolinea che il sistema linguistico contribuisce a costruire i significati attraverso i vincoli che le strutture semantiche impongono alle rappresentazioni mentali che accompagnano l’enunciato. La lingua, in quanto sistema di comunicazione, è un sistema di differenze attraverso cui è possibile generare variazioni linguistiche di significato in grado di influenzare la formazione di concetti. In sintesi il significato è un percorso interpretativo e non semplicemente un dato di fatto da trasmettere da una mente a un’altre, esso è costruito e modificato costantemente dai partecipanti. Componenzialità e prototipicità del significato.

Significato letterale e significato figurato.

- Significato denotativo e significato connotativo. Per denotazione s’intende l’attribuzione di un significato ovvio (o primario), convenzionale e neutro a una certa parola o espressione e implica l’insieme delle proprietà di base di una data categoria semantica. La connotazione è invece l’attribuzione di un significato associato o secondario a una parola in aggiunta a quello primario. Per es. le parola piccino, bimbo, pupo, bambino hanno lo stesso significato denotativo ma differente connotazione. Tuttavia questa distinzione appare superata considerando ciò che è stato detto fin’ora, ovvero parlare di un significato denotativo significa ammettere l’esistenza di un significato di base assoluto e oggettivo condiviso da tutti cosa che risulta impraticabile. In realtà in ogni parola o espressione coesistono diversi significati connotativi e denotativi interponessi in modo inestricabile.

-Oltre il significato letterale. Il significato letterale concerne il significato linguistico generato dalla combinazione delle singole parole presenti in un enunciato ed è il risultato di operazioni esclusivamente linguistiche. Si tratta del significato primario, semplice e immediato e rappresenta la base per qualunque interpretazione successiva. Il significato figurato invece implica l’uso simbolico e traslato del significato letterale attribuendogli un significato secondario. Distinzione tra logica del linguaggio e logica della conversazione, la prima si riferisce ai significati letterali mentre la seconda si riferisce alle regole che le persone usano per inferire ciò che l’interlocutore intende comunicare e che sono alla base delle implicature conversazionali. In realtà il significato letterale non è unicamente il risultato di una decodifica linguistica ma anch’esso è sottoposto a una interpretazione semantica. La comprensione del significato figurato è rapida quanto quella del significato letterale.

- Il significato metaforico. Il significato figurato si manifesta attraverso l’uso di una vasta gamma

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di figure retoriche (metonimia, sineddoche, iperbole, allegoria, anafora ecc.) e figure grammaticali (ellissi, pleonasmo, asindeto ecc.). Discorso a sé deve essere fatto per la metafora per cui si parla di significato metaforico. Tre sono i modelli per spiegare la metafora:a) Modello semantico. Metafora intesa come anomalia o deviazione semantica: in essa vi è un errore denotativo poiché non può significare ciò che afferma direttamente. Deve essere operata una correzione che trasformi quest’anomalia attraverso una parafrasi letterale di senso compiuto.b) Modello della comparazione. Risale ad Aristotele, esso prevede un confronto implicito e indiretto tra un primo termine (topic) e un secondo termine (vehicle) sulla base di una condivisione di determinate proprietà (ground). Es.: Il lavoro è una prigione dove lavoro è il topic, prigione è il vehicle e le proprietà implicite condivise (ground) sono costrizione, chiusura in una realtà circoscritta ecc.c) Modello dell’attribuzione di proprietà. In questo caso al topic vengono attribuite direttamente qualità del vehicle, per es.: Il mio avvocato è uno squalo.

Stabilità e instabilità del significato.

Il significato di qualsiasi parola presenta al contempo elementi di stabilità e di instabilità, ovvero da un lato una certa costanza dall’altro una certa flessibilità o adattabilità in contesti diversi.

- La variabilità e la flessibilità del significato.I significati di una parola o di un gesto non sono dati una volta e per tutte (come previsto nel modello CNS) ma la loro elaborazione è il risultato di una elaborazione eterogenea contingente e dinamica fra due o più persone. Ci sono diversi elementi che intervengono nella creazione dei significati in un determinato atto comunicativo: le scelte semiotiche, il genere discorsivo, le convenzioni comunicative, gli scopi dei parlanti ecc.Numerosi fenomeni sono implicati in questo processo tra cui:a) La cancellabilità dei tratti semantici in quanto essa si basa sulla natura convenzionale del significato (storicamente e culturalmente definito) per cui è impossibile determinare le proprietà semantiche per i generi naturali e per gli artefatti.b) Confini sfumati e continui. Un enunciato è sfumato quando è dotato di opacità referenziale, ovvero quando i qualificatori e i quantificatori pongono il significato lungo un continuum semantico. Per es., una lezione può essere non male, Paola può essere abbastanza simpatica ecc. Quindi una parola può avere confini sfumati attraverso un rafforzamento o una diminuzione del valore semantico. In questa prospettiva il significato consiste in un fuzzy set cioè una classe di unità comunicative con una gradazione semantica continua.c) Vaghezza semantica. Essa entra in gioco quando man mano ci allontaniamo dai casi standard (o prototipici) per cui il medesimo oggetto può essere alternativamente definito ora come bicchiere, ora come scodella oppure come ciotola. Questi fenomeni conducono alla graduabilità semantica, per esempio la parola morto veicola significati diversi a seconda del contesto di uso e del suo impiego in espressioni popolari o modi di dire: completamente morto, quasi morto, stanco morto, morto di sonno, morto stecchito ecc. Queste espressioni definiscono significati molto diversi fra loro che vanno da uno stato biologico ad una condizione psicologica.d) L’importanza del contesto risulta molto evidente nel fenomeno della risemantizzazione contestuale. In questo caso il parlante può attribuire tratti semantici a un oggetto che di per sé non li possiede. Per es. posso chiamare sedia un tavolo, una pila di libri, una cassa ecc, posso dire addirittura: non occupare la mia sedia. Il tavolo resta tavolo ma in quel particolare contesto funge da sedia ovvero consente l’azione del “sedersi”. La risemantizzazione pone in evidenza l’estrema flessibilità dei significati. I fenomeni comunicativi sottesi all’instabilità e variabilità dei significati fin’ora menzionati sono alla base della plasticità dei significati. Essa consente ai parlanti di impiegare in modo flessibile i significati a seconda del contesto e delle intenzioni.

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La regolarità dei significati.

Se i fenomeni di instabilità e flessibilità dei significati venissero considerati in maniera esclusiva, essi condurrebbero certamente ad una prospettiva di incomunicabilità e di caos comunicativo. In realtà i fenomeni di instabilità semantica sono compensati da processi di stabilità semantica. Essi sono alla base dell’intellegibilità e comprensione reciproca fra i parlanti. Il significato di cui si presume la competenza è quello condiviso all’interno di una comunità di comunicatori. Si tratta dei significati presuntivi di Levinson. La stabilità semantica implica una qualche forma di convenzione tra i parlanti in quanto appartenenti alla medesima cultura di riferimento. La cultura è un sistema di mediazione che fornisce griglie di categorie, di simboli e rappresentazioni mentali con cui interpretare il mondo, apprendere e condividere i processi di significazione. Si tratta di un processo di convenzionalizzazione. Esso richiede la partecipazione attiva degli interlocutori, la negoziazione delle regole, delle pratiche, dei valori e dei significati e conduce alla formazione ed elaborazione di una serie di format comunicativi. Ogni format è dato da una sequenza strutturata di scambi interattivi che consente di raggiungere insieme uno scopo, di seguire le medesime procedure e sistemi di regole, nonché di condividere il significato di ciò che si sta dicendo o facendo. In particolare i format comunicativi oscillano tra processi di riproduzione e processi di produzione. I format comunicativi grazie al primo tipo di processi tendono a ripetersi nel tempo in maniera stereotipata, generando vere e proprie “routine comunicative”, nonché a stabilire una continuazione con le convenzioni semantiche e comunicative del passato. Tale ripetizione rende stabili e regolari i significati. La regolarità e stabilità dei significati si basa sulla regolarità e stabilità dei contesti. Il contesto standard è il contesto che presenta una elevata regolarità nelle interazioni, negli eventi e negli scambi comunicativi. Possiamo dire che la regolarità dei contesti è la regolarità dei significati. Mentre grazie ai processi di produzione, i format comunicativi non sono totalmente vincolati né determinati dal passato e dalla regolarità dei contesti ma prevedono e producono variazioni e deviazioni in base agli elementi di novità che ogni situazione comunicativa potenzialmente racchiude in sé. Tali processi di produzione richiedono un lavoro di riaggiustamento e negoziazione. Dunque componenti essenziali del significato sono: regolarità e variazione, che si presuppongono a vicenda e si completano. In sintesi stabilità e instabilità del significato creano lo spazio comunicativo dei significati e il loro equilibrio garantisce una comprensione ottimale tra i comunicanti. Se ci si accosta troppo alla stabilità si cade nel formalismo e nella rigidità, viceversa se ci si accosta troppo all’instabilità si cade nella confusione, nella contraddizione e nel caos comunicativo.

Significato, contesto e indessicalità.

L’impostazione teorica fin qui esposta ci consente di superare la concezione additiva del contesto, ovvero la concezione secondo cui testo e contesto siano due realtà indipendenti e che il contesto subentri ala testo per completarlo. Testo e contesto in realtà sono due aspetti del significato che interagiscono fra loro. Non c’è testo senza contesto (e viceversa). Il contesto va inteso come l’insieme delle condizioni, delle opportunità e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali, istituzionali e culturali che assieme a un dato testo genera il significato come unità comunicativa. Il contesto non è un a priori oggettivo né tanto meno un contenitore vuoto, già dato, universale e uguale per tutti, bensì è il risultato di scelte e negoziazioni fatte dai comunicatori in un data situazione. Il contesto dipende anche dai numerosi punti di vista che si possono assumere di fronte a una data situazione (molteplicità contestuale) e dall’ordine gerarchico in cui ogni contesto particolare è inglobato in un altro più generale (gerarchia contestuale), il passaggio da un livello contestuale a un altro si chiama slittamento di contesto.Nel rapporto tra testo e contesto si fa riferimento a tre prospettive:a) Prospettiva esternalista. Priorità del contesto sul testo. Il contesto è inteso come matrice del

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significato.b) Prospettiva internalista. Priorità del testo sul contesto. La parola vincola l’applicabilità di taluni contesti, ovvero ogni parola o frase è applicabile ad alcuni possibili contesti e non ad altri.c) Prospettiva interazionista. Tale prospettiva è quella in uso nella psicologia della comunicazione. Testo e contesto sono due entità che si integrano in modo intrinseco e dinamico. Il significato è la sintesi di un testo e di un contesto. Il significato è il risultato di una collaborazione fra gli interlocutori nell’uso del linguaggio in un dato contesto. Il significato emerge dalla partecipazione attiva a uno scambio comunicativo quindi non è prodotto da principi generali e astratti ma attivato in maniera contingente nel flusso delle interazioni degli interlocutori, per questo occorre parlare di gestione locale del significato.Gli interlocutori possono gestire al meglio il fuoco comunicativo che riguarda il modo in cui essi orientano il loro interesse e l’attenzione sugli aspetti prominenti di un certo atto comunicativo. Si tratta di un processo attivo, dinamico e reciproco di condivisione che fornisce anche una cornice interpretativa di ciò che è detto in una data circostanza. Particolare importanza ha anche la deissi, costituito da numerosissime espressioni linguistiche che fanno riferimento diretto alla situazione comunicativa nel tempo e nello spazio. Il significato delle espressioni deittiche (o indessicali) può indicare un referente solo se è definito in modo preciso il contesto in cui ha luogo la frase, per es. la frase: Fatti trovare qui fra dieci minuti, non può essere compresa se non si conoscono gli indici spaziali, temporali e contestuali. L’indice è un segno da cui inferire il significato. L’indessicalità àncora il significato e l’interpretazione di una frase al suo contesto d’uso.

In conclusione possiamo affermare che il significato non esiste se non vi è da una parte un contesto interattivo in cui ogni partner collabora attraverso una negoziazione del senso da attribuire agli scambi comunicativi e dall'altra un’intenzione comunicativa che entrambi gli interlocutori manifestano e in base alla quale interpretano il contributo altrui. Il significato rappresenta quindi il collante tra certi contenuti mentali e l’intenzione di comunicarli all'interno di un contesto relazionale e culturale. Un programma di ricerca per una teoria del significato dev’esser quindi condotto secondo tre direttrici fondamentali: in primo luogo dovrà chiarire la centralità del concetto di intenzionalità comunicativa, in secondo luogo avrà il compito di distillare gli elementi essenziali impliciti nello sfondo interattivo in cui questa intenzionalità si esprime, da ultimo dovrà cercare di esplicitare i diversi sistemi di pensiero sul mondo come "orizzonte ultimo" del processo comunicativo.

Significato e pragmatica

L’impostazione teorica fin qui esposta ci consente di superare la concezione additiva del contesto, ovvero la concezione secondo cui testo e contesto siano due realtà indipendenti e che il contesto subentri al testo per completarlo. Testo e contesto in realtà sono due aspetti del significato che interagiscono fra loro. Non c’è testo senza contesto (e viceversa). Il contesto va inteso come l’insieme delle condizioni, delle opportunità e dei vincoli spaziali, temporali, relazionali, istituzionali e culturali che assieme a un dato testo genera il significato come unità comunicativa. Il contesto non è un a priori oggettivo né tanto meno un contenitore vuoto, già dato, universale e uguale per tutti, bensì è il risultato di scelte e negoziazioni fatte dai comunicatori in un data situazione. Il contesto dipende anche dai numerosi punti di vista che si possono assumere di fronte a una data situazione (molteplicità contestuale e prospettica) e dall’ordine gerarchico in cui ogni contesto particolare è inglobato in un altro più generale (gerarchia contestuale), il passaggio da un livello contestuale a un altro si chiama slittamento di contesto. Nel rapporto tra testo e contesto si fa riferimento a tre prospettive:

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a) Prospettiva esternalista. Priorità del contesto sul testo. Il contesto è inteso come matrice del significato.b) Prospettiva internalista. Priorità del testo sul contesto. La parola vincola l’applicabilità di taluni contesti, ovvero ogni parola o frase è applicabile ad alcuni possibili contesti e non ad altri.c) Prospettiva interazionista. Tale prospettiva è quella in uso nell’antropologia della comunicazione. Testo e contesto sono due entità che si integrano in modo intrinseco e dinamico. Il significato è la sintesi di un testo e di un contesto conseguita attraverso la collaborazione/conflitto fra gli interlocutori nell’uso del linguaggio, emerge quindi dalla partecipazione attiva a uno scambio comunicativo, non è prodotto perciò da principi generali e astratti ma attivato in maniera contingente nel flusso delle interazioni degli interlocutori, per questo occorre parlare di gestione locale del significato (approccio emico). Gli interlocutori possono gestire al meglio il fuoco comunicativo che riguarda il modo in cui essi orientano il loro interesse e l’attenzione sugli aspetti prominenti di un certo atto comunicativo. Si tratta di un processo attivo, dinamico e reciproco di condivisione che fornisce anche una cornice interpretativa di ciò che è detto in una data circostanza. Particolare importanza ha anche la deissi, costituito da numerosissime espressioni linguistiche che fanno riferimento diretto alla situazione comunicativa nel tempo e nello spazio. Il significato delle espressioni deittiche (o indessicali) può indicare un referente solo se è definito in modo preciso il contesto in cui ha luogo la frase (per es. la frase: "Fatti trovare qui fra dieci minuti" non può essere compresa se non si conoscono gli indici spaziali, temporali e contestuali). L’indessicalità àncora il significato e l’interpretazione di una frase al suo contesto d’uso.La disciplina che si occupa dell’origine, dell'impiego ed degli effetti dei segni linguistici sul comportamento dei partecipanti alla comunicazione, di tutto ciò che quindi non può essere spiegato da regole grammaticali/semantiche in quanto implica lo studio delle azioni che si possono mettere in atto parlando in un determinato contesto in funzione delle abitudini comportamentali di una comunità linguistica, è stata denominata dai suoi fondatori "Pragmatica linguistica".

Le funzioni del linguaggio

In base al modello elaborato da Roman Jakobson in un lavoro del 1960 (si legge in traduzione italiana, con il titolo Linguistica e poetica, nei suoi Saggi di linguistica generale, Milano 1966, pp. 181-218), la comunicazione verbale può avere sei diverse funzioni, denominate referenziale, emotiva, conativa, fàtica, metalinguistica e poetica, le quali caratterizzano e differenziano tra loro i diversi enunciati.A ciascuna delle sei funzioni Jakobson riconduce un fattore costitutivo della comunicazione, tenendo comunque a mente quanto sia difficile produrre atti linguistici che corrispondano a una sola delle funzioni del linguaggio: la specificità di un dato enunciato non risiede tanto nel monopolio dell'una o dell'altra funzione, ma nella preminenza esercitata dalla funzione in esso saliente.Le funzioni principali del linguaggio sono le prime tre, ovvero la referenziale, l'emotiva e la conativa.La funzione referenziale, definita anche denotativa o cognitiva, è orientata verso il referente (in rapporto al contesto), ossia verso la realtà extralinguistica attraverso l’aspetto semantico dei suoi elementi costitutivi; i messaggi prodotti in conformità a questa funzione tendono a trasmetterci una informazione, una asserzione su un contenuto dell'esperienza, sia concreta (ad es. "oggi piove") sia mentale (come quando si dice "la felicità non esiste") sia persino immaginaria ("i marziani sono verdi"). La funzione referenziale trova espressione tipica nella terza persona verbale.La funzione emotiva (o espressiva) è invece orientata verso l'emittente, del quale proietta in primo piano una determinata emozione ovvero l'atteggiamento rispetto a ciò di cui si parla("Sono stanco. Non ce la faccio più!"; "Come sei elegante!"; "Che angoscia!"). Dal punto vista delle strutture formali, gli enunciati in cui prevale la funzione emotiva si caratterizzano per la frequenza di frasi esclamative, interiezioni ecc. La funzione espressiva, o affettiva, riguarda quindi la capacità di un

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mittente di manifestare se stesso, di comunicare la sua affettività, i propri stati d’animo, sentimenti e emozioni, per ciò che dice e per come lo dice. La funzione conativa (o persuasiva) è indirizzata verso il destinatario. Sono messaggiessenzialmente conativi quelli che trovano espressione grammaticale in frasi imperative ("Fai presto!"; "Alzati!"), esortative ("Su, usciamo!") o nel vocativo ("Ma ti prego, cara, accetta questo regalo!"). La persona verbale tipica di tale funzione è la seconda; ma possono aversi anche tecniche comunicative indirette che comportano altre strategie ("non sarebbe male se chiudessimo il finestrino").L'individuazione delle tre funzioni fin qui esaminate non era una novità assoluta; si tratta dell'ampliamento di un precedente schema ternario elaborato dal filosofo viennese Karl Bühler ed esposto in Sprachtheorie (Jena 1934); tra le due proposte classificatorie c'era da registrare solo una differenza terminologica: a quelle che nella tipologia di Jakobson erano denominate funzione referenziale, emotiva e conativa corrispondevano nel quadro teorico bühleriano rispettivamente la rappresentazione, la notifica o espressione, il richiamo o appello. L'originalità del modello jakobsoniano risiede in realtà nell'aver attirato l'attenzione su tre ulteriori funzioni, chiamate rispettivamente fàtica, metalinguistica e poetica.La funzione fàtica o di contatto, si esplica in messaggi, privi di autentica carica informativa e referenziale, che servono essenzialmente per stabilire, prolungare e mantenere o anche riattivare la comunicazione. Sono da considerare essenzialmente fàtici i convenevoli e gli enunciati di cortesia che si producono nelle comuni interazioni verbali (ad es. "ciao, come va?"; ted. "Prego.."), gli attacchi di conversazione, in particolare quelli con cui si dà inizio ad una telefonata (it. "Pronto!" o semplicemente "Si!"), le formule rituali e vuote di significato comeho capito, da intendere alla stregua di un segnale che significa "ti sento, continua pure".La funzione fatica è dunque orientata sul canale, quasi a verificare che il circuito comunicativo sia sempre operante e a prevenire una situazione di silenzio, che il parlante avvertirebbe come inusuale e anomala. Jakobson riprende il termine dall'etnologo B. Malinowski, il quale aveva parlato (1923) di ‘comunione fatica’ (ingl. phatic communion) in riferimento a pratiche comunicative proprie delle società primitive: mentre nelle società sviluppate la lingua è uno strumento del pensiero, in quelle comunità essa "diventa una forma di attività stessa" (Klein, Sociolinguistica, p. 14) mirata a stabilire o consolidare i rapporti sociali, per esempio la sera al fuoco. In realtà non è difficile trovare un corrispettivo nelle nostre società: basti pensare alle conversazioni futili, come quelle dei parties, "che gli individui fanno semplicemente per mostrare che riconoscono l'uno la presenza dell'altro" (Hudson 1996, p. 116).La funzione metalinguistica si ha ogni qual volta il discorso è focalizzato sul codice; il messaggio convoglia informazioni sulle strutture linguistiche, fa del codice stesso l'oggetto della comunicazione. E' stata la logica moderna che ha introdotto la distinzione tra due livelli di linguaggio, il 'linguaggio-oggetto', che parla di entità estranee al linguaggio come tale e appunto il metalinguaggio (termine proposto da Alfred Tarski nel 1930) che parla del linguaggio stesso. Sono innanzitutto tipicamente metalinguistici, ad esempio, i contenuti di una lezione di linguistica, le prescrizioni di una grammatica ovvero le definizioni dei vocabolari; ma, "lungi dall'essere limitate alla sfera della scienza, le operazioni metalinguistiche si dimostrano parte integrante delle nostre attività linguistiche quotidiane": è ad esempio metalinguistico l'enunciato di un parlante che precisi "Capisci quello che voglio dire?"; ed ancora fanno sistematico ricorso al metalinguaggio e a interpretazioni metalinguistiche i bambini nella fase dell'apprendimento del linguaggio.La funzione poetica (o estetica) si individua in quelle produzioni verbali nelle quali l'accento sia posto sul messaggio per se stesso. E' da far rilevare, in linea con le concezioni di Jakobson, che la funzione poetica si ritrova non solo in poesia, dove certo tale funzione predomina, ma anche all'infuori della poesia, ogni qual volta cioè si desideri produrre un enunciatostilisticamente ricercato ed esteticamente efficace.Rientrano dunque a pieno titolo in tale funzione filastrocche, formazioni rimate e vari procedimenti

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ritmici, nonché l'uso di alcune figure foniche: lo stesso Jakobson richiamava in particolare l'attenzione sullo slogan politico I like Ike, usato negli anni Cinquanta a supporto del candidato Eisenhower durante una campagna elettorale per le presidenziali americane ed il cui successo si doveva alla struttura fonica, basata sull'allitterazione (si succedono tre dittonghi, ognuno dei quali è seguito da un suono consonantico). In definitiva per stabilire se sia in gioco lafunzione poetica di un testo non si tratta di controllare se i testi volta per volta vagliati siano poetici o impoetici, quanto piuttosto di "appurare che peso e valore abbia in essi la funzione poetica" (Lepschy, Linguistica del Novecento, p. 149).Abbiamo del resto già ricordato che la specificità di un messaggio non si fondasul monopolio, ma sull'importanza relativa di una determinata funzione.La prospettiva pragmatica, mirando a far risaltare il valore di ciò che le persone fanno con le parole ed essendo interessata a reperire l’ordine interazionale del discorso, non può che far riferimento a due costrutti teorici che diverranno fondamentali nella seconda metà del XX secolo: gioco e atto linguistico.

PAUL GRICE

Al cuore della riflessione di Paul Grice (1913-1988), docente dapprima a Oxford e successivamente a Berkeley, stanno due grandi temi: a) il concetto di significato; b) la logica della conversazione. I linguisti, nota Grice, sono propensi a concepire il significato in termini causali: essi credono cioè che l’obiettivo di un enunciato sia quello di produrre un qualche atto cognitivo o di altra natura in chi ascolta l’enunciato. Ma questa “concezione causale del significato” è per Grice valida soltanto se riferita al significato standard: se riferita al significato specifico che gli enunciati assumono in date occasioni. In forza di questo presupposto, per Grice il significato non consiste principalmente nel trasferimento di contenuto informativo (contenuto che può essere cognitivo, ma non solo): né consiste nel mero riferimento a qualcosa. Al contrario, il significato può essenzialmente ridursi alle intenzioni del soggetto parlante e al loro riconoscimento da parte di chi ascolta. Il parlante cerca di produrre un certo effetto sull’ascoltatore tramite il riconoscimento da parte di quest’ultimo della sua intenzione. Per questa via, il linguaggio è inteso come conversazione. Capovolgendo con ciò il tradizionale atteggiamento che metteva in relazione significato e parole o frasi, Grice si propone di costruire una semantica incardinata sul punto di vista del soggetto parlante. Accade molto spesso, infatti, che quel che io voglio comunicare con le mie parole non sia il loro significato letterale, ma qualcosa di diverso, che nasce dall’interazione delle parole con altre e differenti componenti. Prendiamo il caso che io, a proposito di un noto vigliacco, dica: “che coraggioso!”. Il mio tono ironico o, banalmente, l’identificazione che i miei ascoltatori fanno del soggetto di cui parlo, farebbero immediatamente capire che voglio dire l’esatto opposto di quel che alla lettera vogliono dire le parole che ho impiegato. Detto altrimenti, per Grice l’elemento fondamentale è l’intenzione sottesa all’atto comunicativo. Soprattutto con Logica e conversazione, del 1975, Grice vuole mettere in chiaro tutte le componenti che usualmente sfuggono a un’analisi semantica del linguaggio effettuata nei soli termini di valore di verità degli enunciati: e ciò è possibile qualora si mettano in relazione il significato convenzionale dell’espressione linguistica e il contesto conversazionale in cui esso affiora. La conversazione è per Grice un’attività linguistica razionale e cooperativa, governata dal “principio di cooperazione”: in base a questa regola tacita, i partecipanti si sentono, per così dire, obbligati a dare un loro contributo affinché la conversazione in cui sono immersi funzioni bene. Il “principio di cooperazione” è così formulato da Grice in Logica e conversazione: “Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato”.

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Ben si capisce, da tale formulazione, come quella di Grice sia una concezione eminentemente pragmatica del linguaggio, inteso come una forma di azione. Il principio di cooperazione si declina in quattro gruppi di massime, che si richiamano direttamente alle categorie kantiane: a) della quantità; b) della qualità; c) della relazione; d) della modalità. Secondo la massima della quantità, occorre dare un contributo conversazionale in modo opportuno, ossia né maggiore né minore di quanto richiesto: l’evasività e la laconicità fanno smarrire l’obiettivo della conversazione, e la ridondanza è fonte di confusioni e talvolta può indurre a pensare che l’intento della comunicazione sia un altro rispetto a quello esplicito. Secondo la massima della qualità, occorre fornire un contributo appropriato, ossia quello che ci si crede essere in diritto e in dovere di fornire. In altri termini, il soggetto parlante è tenuto a dire la verità e ad effettuare affermazioni della cui fondatezza è certo. Secondo la massima della relazione, occorre essere pertinenti, senza uscire fuori tema: nel caso in cui si vada fuori tema, si vanifica il raggiungimento della comunicazione o si dà di nuovo l’impressione di voler comunicare qualcosa di diverso da quel che esplicitamente si è espresso. Infine, secondo la massima della modalità, occorre essere perspicui, ossia occorre evitare ambiguità di ogni sorta, oscurità, prolissità e caos nel modo in cui si articola il proprio discorso. La trasgressione di queste quattro massime può far uscire l’interlocutore dalla strada della comunicazione: ma esse possono naturalmente anche essere trasgredite spontaneamente, caso in cui il soggetto parlante tenterà di riportare tale trasgressione all’interno del “principio di cooperazione” e la concepirà come il tentativo di suggerire qualcosa che va al di là del significato esplicito delle parole impiegate. Vi sono però diversi modi di non soddisfare una massima; ci si può dissociare anche dallo stesso principio di cooperazione: in tal caso ci si sottrae alla conversazione. Ma se un parlante accetta di conversare, ogni suo proferimento sarà valutato in funzione del principio di cooperazione e la sua più o meno esplicita violazione di una massima diviene un modo per sfruttare la massima, e far intendere qualcosa. La implicatura conversazionale nasce dunque come un modo di sfruttare le massime conversazionali, con apparenti violazioni. Possiamo vedere almeno tre casi;

1) uno in cui la violazione è apparente , e il proferimento trova il suo senso se fatto rientrare in una massima. Es. - ho finito la benzina - dietro l'angolo c'è un garage La risposta pare violare la massima della relazione (pertinenza), a meno che si pensi che il garage venda benzina, sia aperto, ecc. 2) la violazione di una massima è spiegata da un conflitto con un'altra massima. Es. - dove abita Tizio? - da qualche parte nel sud della francia La risposta viola la massima della quantità; ma si può inferire che l'autore non poteva fare altrimenti per non violare la massima della qualità (non dire ciò per cui non hai prove adeguate)

3) il farsi esplicitamente beffa di una massima della conversazione allo scopo di generare implicatura conversazionale, attraverso qualcosa di simile a una figura retorica. Le implicature conversazionali sono inferenze suggerite dal fatto che il parlante ha detto una certa cosa, in congiunzione all'assunto (Principio di Carità o Benevolenza) che il parlante sta rispettando le massime della conversazione o almeno il principio di cooperazione conversazionale. Cioè da premesse costituite dal fatto che il parlante ha detto una certa cosa, e dalla supposizione che egli sta seguendo le massime o almeno il principio, più eventualmente informazioni contestuali, si può inferire, come conclusione, il contenuto dell'implicatura. Questa parte implicita della comunicazione, definita appunto come “implicatura conversazionale”, è dotata di alcune caratteristiche ben definite:

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1) la sostituibilità (anche se usualmente la si coglie intuitivamente, può comunque essere sostituita da un ragionamento) e quindi Calcolabilità, cioè l'implicatura conversazionale, indipendentemente da come di fatto ci accade di capirla, deve poter essere calcolabile (ricavabile mediante un percorso inferenziale), a partire dal fatto che il parlante ha detto una certa cosa; 2) la cancellabilità (può essere negata senza che con ciò si modifichino i comportamenti e gli esiti delle azioni che si sono intraprese) cioè le implicature conversazionali, anche quelle generalizzate, possono essere cancellate o esplicitamente o contestualmente se il parlante dà segno di essere uscito dalla situazione di cooperazione3) la inseparabilità (non può venir formulata se non come è effettivamente formulata, pena il violare la massima della modalità). cioè, se il fatto che il parlante abbia detto una certa cosa dà origine a un'implicatura conversazionale, qualunque parafrasi con parole diverse di ciò che è stato detto dovrebbe suscitare la stessa implicatura4) Non verofunzionalità - è una caratteristica di tutte le implicature: nel casol'implicatura sia falsa, ciò non ha alcuna ripercussione sul valore di veritàdell'enunciato che la suggerisce

John Langshaw Austin

- L'atto linguistico è un costrutto teorico intrinsecamente interattivo: se qualcuno parla necessariamente c’è un destinatario, anche nel caso del monologo è previsto uno sdoppiamento tra il “sé parlante” e il “sé in ascolto”. Il discorso richiede l’apporto di un’intenzione condivisa entro cui le parole, i gesti e i segni ricevono il loro significato dall’uso che le persone ne fanno all’interno delle interazioni. L’interazione discorsiva è resa possibile dall’attivazione tacita di uno sfondo di conoscenze condivise. Non sarebbe possibile una comunicazione qualora mancasse un’intersoggettività condivisa. In questo ambito la funzione del contesto assume una rilevanza fondamentale per l’attribuzione di senso di ciò che avviene in un’interazione, esso infatti non si limita a far da cornice agli enunciati ma penetra nell’azione dialogica dando forma alla progettazione ed all'interpretazione dei diversi atti linguistici da parte degli interlocutori.Austin dà una rappresentazione della contrapposizione tra dire e fare nellinguaggio istituendo una contrapposizione tra:enunciati performativi che sembrano descrivere un’azione ma invece lacompionoenunciati constativi che secondo la tradizione filosofica dicono qualcosa divero o falso, e non sono azionie sostiene che tale contrapposizione è spuria: anche gli enunciati constativi compionoa loro modo azioni, sottostanno a regole dello stesso tipo di quelle che reggono glienunciati performativi (condizioni di felicità o di appropriatezza), possono essereriformulati apponendovi una formula performativa esplicita ("La terra è rotonda"può essere riformulato come "Affermo/ sostengo/ ribadisco.. che la terra è rotonda");e anche gli enunciati performativi almeno in qualche senso della parola "dicono"qualcosa.Sulla base di queste considerazioni Austin passa a descrivere i modi in cuipronunciare un enunciato può essere fare qualcosa.Non essendoci una contrapposizione esclusiva tra “dire” e “fare”, il linguaggio deve essere visto e studiato come azione sociale. come è stato messo in evidenza da J. L. Austin ogni atto comunicativo dev'essere considerato e studiato rispetto a 3 livelli di azione quindi questi 3 “atti” costituiscono non tre diversi gesti psicofisici ma tre aspetti dell’“atto linguistico totale nella situazione linguistica totale” che è secondo Austin il vero oggetto della teoria del linguaggio.

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1) ATTO LOCUTORIO cioè l’azione mediante la quale si combinano opportunamentesuoni (dimensione fonetica-> fonologia), parti del discorso - parole e frasi di una lingua (dimensione fàtica-> sintassi e grammatica), significati - uso delle frasi con senso determinato (dimensione retica -> semantica)

2) ATTO ILLOCUTORIOÈ un atto effettuato nel dire qualcosa; oltre a informare, constatando una certa realtà (ad esempio, il fatto che una finestra sia effettivamente aperta), può contenere implicitamente o indirettamente una richiesta, una preghiera, un’esclamazione: l’atto comunicativo ha in questi casi una forza legata alla reale intenzione di chi lo compie in relazione a colui al quale è rivolto nel contesto in cui si situa. Questa forza illocutoria dipende direttamente dal modo in cui le parole vengono usate per fare affermazioni, dare valutazioni, dare ordini, fare richieste, fare promesse, ringraziare, scusarsi… Es.: ("Vattene!" "Ti ordino di andartene" "Ti comando di andartene" "Ti scongiuro di andartene" "Domani ci sarò sicuramente" "Ti assicuro che domani ci sarò" "Ti garantisco che domani ci sarò" "Ti prometto che domani ci sarò")Sono state proposte molteplici tassonomie degli atti illocutori, secondo J. Searle è possibile distinguerne 5 tipi:Rappresentativi/Assertivi (sostenere, comunicare, annunciare,descrivere,raccontare)Direttivi (pregare, ordinare, consigliare, supplicare)Commissivi (promettere, accordare, offrire, minacciare, proporsi)Espressivi (ringraziare, salutare, augurare, denunciare, insultare)Dichiarativi (nominare, rilasciare, battezzare, inaugurare)

Un atto illocutorio può essere esplicito (ossia espresso mediante l'uso di indicatori di forza illocutoria e verbi performativi: "Ti chiedo di andartene"), diretto ("vattene!") o indiretto ("devi rimanere ancora molto?". I verbi performativi esistono solo alla prima persona singolare del presente indicativo e sono così definiti perché il pronunciarli equivale a compiere l'azione che essi descrivono, ovvero per compiere l'azione che essi descrivono bisogna pronunciarli. "Giuro di aver detto la verità", "Prometto di venire al più presto", è sufficiente cambiare soggetto, "Roberto giura di aver detto la verità", "Tu prometti, ma non mantieni", "Voi negate l'evidenza", o tempo verbale, "Giuravo di aver detto la verità", per verificare come i verbi giurare, promettere e negare perdano la loro funzione performativa e assumano quella costativa o descrittiva.In un atto illocutorio indiretto è possibile esprimere una forza illocutoria sotto le sembianze formali di un atto illocutorio di tipo diverso. Così il parlante può rimproverare, ringraziare o minacciare attraverso la formulazione di una domanda, complimentarsi attraverso un ordine, ecc...Altro aspetto importante da tenere in considerazione è la convenzionalità del’atto illocutorio, esso infatti da una parte, è realizzabile solo se c’è una procedura convenzionale accettata per compierlo e riesce - risulta felice - solo se questa procedura è eseguita correttamente (altrimenti si parla di atto improprio) , le circostanze sono appropriate e il parlante ha l'autorità o il potere per effettuare l'atto (in caso contrario si ha una invocazione indebita o un abuso), gli stati interni –credenze, intenzioni,desideri- del parlante corrispondono a ciò che è presupposto da ciò che viene proferito (diversamente saremmo di fronte ad atti ostentati ma vacui), dall'altra produce un effetto non-naturale (che non è un semplice cambiamento nel corso naturale degli eventi ma qualcosa di socialmente stabilito e passibile di annullamento)

3) ATTO PERLOCUTORIO: l’azione che mira a raggiungere effetti anche non immediati sull’interlocutore

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L’atto perlocutorio è l’atto compiuto per mezzo del dire qualcosa: questo aspetto mette in evidenza la funzione pratica e politica del linguaggio e dunque gli effetti che gli atti linguistici determinano negli interlocutori e descrive gli effetti (premeditati o preterintenzionali) sui pensieri, sui comportamenti, sulle intenzioni e sui sentimenti del destinatario. Ad esempio è possibile lusingare (atto perlocutorio) attraverso un complimento (atto illocutorio) oppure tranquillizzare (atto perlocutorio) per mezzo di una richiesta (atto illocutorio) in quanto il sentirsi lusingato o tranquillizzato da parte dell'interlocutore sono conseguenze dell'atto comunicativo dell'emittente ossia possono essere considerate come qualcosa che è stato posto in essere dal parlante, e siamo con ciò autorizzati a dire che egli, col dire ciò che ha detto (atti illocutori), ha compiuto un altro tipo di atto ancora: l'"atto perlocutorio" (per esempio, un atto di convincere o persuadere, di allarmare, di far fare qualcosa a qualcuno) .I due tipi di atti sono facilmente distinguibili se teniamo a mente il fatto che mentre i primi mantengono la loro efficacia se vengono espressi esplicitamente attraverso i verbi corrispondenti ( vattene == ti ordino di andartene) e hanno successo in relazione alla situazione comunicativa e sociale, i verbi che designano atti perlocutori non possono essere usati esplicitamente senza con questo perdere ogni efficacia: dire "Io ti lusingo.. " o "Io ti tranquillizzo.." non può di per se stesso servire a lusingare o a tranquillizzare, anzi! Austin rileva che tanto l'atto illocutorio che quello perlocutorio comportano degli effetti; per distinguere l'uno dall'altro è quindi necessario discernere fra loro i tipi di effetto che ciascuno di essi comporta.Gli effetti prodotti dall'atto perlocutorio sono tipicamente non convenzionali; non sono, ad esempio, annullabili a causa di abusi, colpi a vuoto, mancanza di condizioni sociali che ne permettano la validità, ecc...Inoltre, diversamente dall'effetto consistente nella ricezione ed accettazione che esaurisce l’effetto illocutorio, richiedono il verificarsi di qualche evento diverso ed esterno rispetto all'atto linguistico e alla sua comprensione: una reazione psicologica dell'ascoltatore o un suo comportamento successivo.L'atto perlocutorio non è un gesto in più da parte del parlante ma consiste nelsuo essersi reso responsabile delle conseguenze del proprio atto locutorio/illocutorio, possiamo inoltre distinguere due tipi di effetti perlocutori ovvero gli effetti degli atti illocutori a cui è intrinsecamente associato un determinato obiettivo perlocutorio: ad es. l'obbedire rispetto all'ordinare, il mettere in guardia rispetto all'avvertire, il convincere rispetto al dimostrare (obiettivo perlocutorio) e gli effetti degli atti illocutori che provocano conseguenze, intenzionali o involontarie (seguiti perlocutori) ad esempio far arrabbiare qualcuno comandandogli di fare qualcosa.L’atto perlocutorio non è convenzionale perché la sua riuscita non dipende dall’osservanza di regole, perché causa effetti materiali (fisici o psicologici) non annullabili e perché non può essere reso esplicito dalla formula performativa.

La comunicazione come costruzione dei soggetti

Non più ‘emittenti’ o ‘riceventi’, non solo ‘locutori-allocutori’, i soggetti implicati nei processi di comunicazione sono da considerare co-enunciatori, vale a dire interlocutori impegnati in un'azione comunicativa congiunta di cui sono corresponsabili. La definizione delle caratteristiche di questa nozione di co-enunciatori è il risultato di un doppio movimento che ha segnato la successione dei modelli. Da un lato ci si è troviati di fronte ad un'accentuazione progressiva della dimensione psicosociale dell'identità degli interlocutori. ‘Emittente’ e ’ricevente’, entità astratte e monofunzionali, hanno lasciato il campo ad interlocutori dotati di pensiero, di emozioni, di affetti, di un'identità psicosociale espressione della loro collocazione familiare, di gruppo, organizzativa ed istituzionale. Parallelamente si deve registrare però una costante de-fisicizzazione degli interlocutori o, per meglio dire, una periferizzazione della loro fisicità. La perdita di importanza del faccia-a-

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faccia come condizione essenziale dell'interazione ha reso accettabile da parte dei ricercatori che si occupano di comunicazione una mediazione/rappresentazione della soggettività degli interlocutori attraverso simulacri di varia natura. Per poter parlare di interazione comunicativa non è indispensabile che i soggetti si trovino in co-presenza fisica; ciò che caratterizza un processo comunicativo e che di conseguenza può diventare oggetto di indagine sono le modalità di “co-presenza enunciativa, intendendo con questa locuzione il risultato di uno scambio comunicativo in cui i due interlocutori siano in grado di esercitare l'influenza reciproca sulle rispettive azioni… e di regolare i valori della propria comunicazione attraverso una qualche forma di feed-back.” (Galimberti, 1992, p.45). Siamo ben lontani, quindi, dall'astrattezza e dalla meccanicità di ‘emittente‘ e ‘ricevente’: come si è detto, il congegno che determina grado e modalità della co-presenza enunciativa porta in sè le ‘tracce’ della soggettività e dell'attività degli interlocutori le cui caratteristiche psicosociali non vengono occultate né tantomeno annullate. Si pensi, ad esempio, ad un'organizzazione che decide di adottare un sistema di comunicazione multimediale (testi, suoni, immagini fisse e in movimento) di carattere interattivo per presentare i propri prodotti o servizi. Lo studio dell'impatto che tale cambiamento avrà sui rapporti con la clientela potenziale o effettiva e sull'immagine pubblica dell'organizzazione, non potrà limitarsi a considerare i miglioramenti derivanti dalle caratteristiche della comunicazione multimediale, ma dovrà necessariamente tenere conto, tra l'altro, delle caratteristiche psicosociali dei destinatari, del modo in cui lo strumento multimediale persenta o ‘rappresenta’ l'organizzazione e del significato culturale attribuibile ad un tale cambiamento. L'esempio è banale, ma indicativo del fatto che nei processi di comunicazione l'identità degli interlocutori non può più essere considerata qualcosa di accessorio o di unicamente fisico, materiale, bensì la risultante dell'intreccio di una pluralità di livelli di realtà connotati in termini simbolico-culturali oltre che psico-sociali.

Statuto del linguaggioPer quanto riguarda, infine, lo statuto accordato al linguaggio nella ricerca antropologica, il portato più rilevante della messa a fuoco progressiva della dimensione conversazionale della comunicazione è il riconoscimento della centralità che esso riveste nel processo di semiotizzazione della realtà umana. Alla luce di quanto abbiamo detto in precedenza, il linguaggio verbale assume la connotazione di attività fondamentale nella costruzione dell'esperienza interiore, delle relazioni intersoggettive e dei rapporti di trasformazione della realtà sociale e della natura. Questo ruolo di ‘primo tra pari’ non comporta ovviamente il misconoscimento della rilevanza che altri registri - iconico, non verbale, paraverbale, prossemico - hanno rispetto alla comunicazione, ma permette comunque di stabilire delle differenze e determinare delle specificità. Mentre infatti le attività relative a tali registri non si danno immediatamente come significative - se non post-factum - l'attività linguistica si presenta sempre e subito come atto significativo, dal momento che chi parla, come ha mostrato Grice, è da ritenersi ‘responsabile’ di ciò che dice e ‘pertinente’ rispetto all'andamento della conversazione.In questa prospettiva il rapporto tra la dimensione linguistica e quella sociale si precisa nel senso che la lingua viene ad essere considerata il luogo di generazione delle convenzioni che permettono di regolare l'interazione sociale. Sostenere tutto ciò significa proporre una concezione interazionale ed interlocutoria dei processi di comunicazione, relativizzando la funzione rappresentazionale del linguaggio a vantaggio di quella pragmatica. Di conseguenza, le pratiche discorsive non vengono più considerate epifenomeni di altri comportamenti meno visibili o di latenti strutture psicosociali non linguistiche - quali atteggiamenti, rappresentazioni, categorizzazioni cognitive o tratti di personalità - ma veri e propri comportamenti autonomi. Siamo di fronte ad una serie di sforzi convergenti verso l'elaborazione di una ‘pragmatica dialogica’, una pragmatica della conversazione che sposti l'accento “dalla soggettività all'intersoggettività, dall'illocuzione all'inter-illocuzione” (Kerbrat-Orecchioni, 1988).Questi guadagni, integrando quelli relativi agli altri due livelli di analisi, di fatto si trovano a

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fondamento della gran parte dei programmi di ricerca più recenti. A differenza di quanto è avvenuto nel passato, essi costituiscono un patrimonio teorico-metodologico la cui diffusione non si sta arrestando al confine tra una disciplina e l'altra, ma, al contrario, sembra essere all'origine di un movimento convergente. La conferenza annuale dell'International Communication Association per il 1993, ad esempio, è stata dedicata in modo significativo al tema Faces and interfaces: communicating across disciplines , a testimonianza dell'esigenza di forzare i confini teorico-metodologico-tecnici dei singoli settori. Se la ‘forzatura’, il ‘colpo di mano’ darà vita ad una prospettiva inter-, multi-, pluri- o trans-disciplinare non è ancora ben chiaro e forse neppure troppo importante. Ciò che conta, mi pare, è invece la possibilità di lavorare attorno ad un oggetto composito, ma comune - la dimensione dialogico-conversazionale dei processi comunicativi che utilizzano il linguaggio verbale orale - per promuovere fin da ora una prospettiva di comprensione dei giochi di comunicazione adeguata al grado di complessità e di pervasività che essi mostrano nei confronti delle forme più varie di interazione sociale.

In conclusione attraverso una rassegna dei principali modelli - tecnici, linguistici, psicosociologici, interlocutori, di carattere multimediale - è nostro obiettivo ricostruire le matrici storiche e teorico-metodologiche delle prospettive di studio dei processi comunicativi attualmente praticati in campo psicosociale e antropologico. Particolare attenzione viene dedicata al costituirsi di un approccio dialogico-conversazionale e all'influenza da esso esercitata sulle componenti principali dei modelli psicosociologici più recenti (modalità di descrizione del processo comunicativo; definizione delle caratteristiche dei soggetti implicati in esso; statuto accordato al linguaggio). In riferimento alle ricerche sul modulo linguistico verbale orale va evidenziato il progressivo spostamento d'interesse dalla comunicazione in senso lato all'interazione conversazionale, argomentando quindi sull'utilità dell'analisi delle conversazioni nella ricerca sull'interazione psicosociale.

ETNOMETODOLOGIAL’etnometodologia si fonda sul presupposto che i membri di ogni società non cessano mai:. di attribuire un senso al proprio mondo;. di spiegare che cosa accade. e lo fanno principalmente mediante la comunicazione.La struttura sociale viene di conseguenza intesa come un’entità generata continuamente dall’incessante processo di interpretazione che è messo in atto dai membri della società (Bailey, 1985). Questi infatti cercano di fornire spiegazioni sociali esattamente come gli scienziati, anche se servendosi di un apparato concettuale diverso. Lo fanno ad esempio ogni volta che si domandano perché un ragazzo si è dato alla droga o è scappato da casa.Ciò che l’etnometodologia esamina sono proprio i modi in cui le persone attribuiscono un senso mediante l’interpretazione.Il suo oggetto di studio privilegiato è costituito, all’interno di ogni comunicazione, da quelle che gli etnometodologi chiamano espressioni indicali, ovvero quelle espressioni il cui significato non è universale, ma dipende dal contesto in cui vengono usate. Tali sono ad esempio termini come i seguenti: "essi, egli, voi, più tardi, questo, quello …". Questi assumono un significato differente a seconda:. della persona che le pronuncia;. della persona a cui sono dirette;. di come sono dette;. dal contesto entro il quale sono affermate.L’etnometodologia cerca di comprendere il modo in cui gli indicali sono utilizzati nel discorso quotidiano: modo che consente agli interlocutori di afferrare il significato di queste espressioni. Mentre però i contenuti particolari degli indicali sono relativi alla specifica situazione, le regole, mediante le quali le persone che conversano utilizzano gli indicali, seguono un ordine generale,

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indipendente dal contesto particolare e dalle caratteristiche dei soggetti che le usano.Le persone aderiscono in modo molto rigoroso a queste norme, anche se non si accorgono di farlo e spesso non si rendono neppure conto della loro esistenza.Questo ci fa capire che il normale discorrere anche se ci sembra un evento casuale, è in realtà altamente strutturale. Basti pensare a tutte le regole d’interazione che ogni volta applichiamo:. distanza fisica tra i soggetti;. volume della voce;. turni di parola;. frasi standard che aprono e chiudono la conversazione.Sono regole che applichiamo spesso in modo inconsapevole, ma tale inconsapevolezza non ci porta quasi mai a violarle per evitare una sanzione dalle altre persone. Colui ad esempio che urla in mezzo alla strada, viola una norma, ed è sanzionato dai soggetti che lo vedono con un dito puntato, un’occhiata "tagliente", la fronte corrugata, ecc…

Scoprendo e catalogando le regole che le persone danno per scontate, attraverso l’osservazione del comportamento esterno, gli etnometodologi cercano di scoprire come viene chiarito il significato degli indicali in un processo specificatamente legato alla situazione. Per fare questo i ricercatori utilizzano una metodologia che comprende: · analisi della conversazione· studio dell'interazione non verbale . osservazione partecipante e non partecipante. Tale metodologia richiede che per ogni indagine venga utilizzata una quantità di tempo rilevante, per cui la maggior parte degli studi etnometodologici sono di tipo micro. Si tenga presente che molto spesso non solo le espressioni indicali hanno un significato che non può essere dato per scontato, ma anche altre parole o intere frasi dal significato per nulla ambiguo, assumono un particolare senso all’interno di un preciso contesto.

1. Gli altri metodi utilizzati in sociologia si fondano sul presupposto che la conoscenza antropologica non solo sia diversa da quella di senso comune, ma anche superiore.Gli etnometodologi invece, le considerano del tutto simili, pur tenendo presente la maggior attenzione per la validità e l’attendibilità delle affermazioni da parte degli antropologi. In questo modo sottolineano il valore, spesso dimenticato, della conoscenza di senso comune e l’importante ruolo che giocano quelle "cose che sanno tutti".2. Gli antropologi e i sociologi in generale prendono i risultati finali di un processo come dato e da qui procedono alla ricerca delle spiegazioni.Ad esempio considerano la devianza come un dato e poi cercano le spiegazioni, magari nelle prime relazioni instaurate con i genitori, nel luogo di abitazione o nell’appartenenza ad una determinata classe sociale.Gli etnometodologi non considerano un fenomeno sociale come un dato da cui prendere le mosse per l’indagine ma piuttosto come un tema d’indagine in se stesso.Ad esempio quando studiano la devianza, s’interessano al processo mediante il quale un determinato comportamento viene ad essere etichettato, dai membri della società, come deviante e dal modo in cui, le persone etichettate come devianti, reagiscono (conformandosi al ruolo o ribellandosi ad esso).3. L’approccio tradizionale studia le espressioni indicali ambigue specifiche di un contesto e ne cerca di chiarire il significato al fine di renderle generalizzabili. L’etnometodologia studia le espressioni indicali ambigue, specifiche di un contesto, senza cercare di estrapolarle da tale contesto per generalizzarle. Cerca invece di trovare un ordine generalizzabile per le regole che determinano l’uso delle espressioni indicali ed il loro significato in ogni particolare situazione.

L’etnometodolgia e l’approccio tradizionale , fondato su metodi come l’osservazione partecipante e

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l’intervista, sono dunque profondamente diversi. Questo però, non deve portarci a considerarli come inconciliabili e quindi a farcene scegliere uno ed a scartare l’altro, bensì ad intenderli come complementari e quindi usarli entrambi quando possibile.

L’etnometodologia trova le sue fonti principali di ispirazione in Husserl (che aveva affermato che la conoscenza scientifica presuppone sempre la conoscenza del prescientifico mondo della vita) e in Alfred Schutz (per il quale il mondo della vita è fin dall’inizio un mondo intersoggettivo di significati condivisi). In realtà Schutz precisa che la stessa esperienza non è mai propriamente la stessa con il mutare degli individui e delle loro posizioni ma per gli scopi pratici della vita quotidiana si presume invece che tale esperienza rimanga immodificata. Gli etnometodologi, però poi si discosteranno da Schutz per quanto riguarda la concezione che questi ha delle scienze sociali. Ricorderemo che per Schutz la scienza (che costruisce i suoi modelli sulla base di un’osservazione disinteressata delle attività pratiche di coloro che interagiscono effettivamente nel mondo della vita quotidiana ma i modelli costruiti devono avere senso anche per coloro sui quali la ricerca si svolge) costituisce una provincia finita di significato diversa da quella della vita quotidiana la quale comunque è quella preminente e condiziona tutte le altre: gli etnometodologi non accetteranno mai questa dicotomia.Influenza notevole è poi esercitata dall’interazionismo simbolico perché anche per questa scuola il significato degli oggetti è sempre un significato di origine sociale ed è costantemente negoziato e rinegoziato nelle interazioni sociali per cui esso non si può considerare come dato una volta per tutte.Etimologicamente, etnometodologia è l’insieme dei metodi di cui i membri di un gruppo etnico si servono per comprendere la loro stessa attività e Garfinkel stesso cerca di spiegare che la tesi fondamentale dell’etnometodologia dicendo che le attività attraverso cui gli individui gestiscono la loro vita quotidiana organizzata sono identiche ai procedimenti usati dai membri per renderle spiegabili così, l’etnometodologia conferisce alle attività ordinarie della vita di tutti i giorni la stessa attenzione generalmente accordata agli eventi straordinari e cerca di apprendere qualche cosa su tali attività come fenomeni degni di studio in quanto tali.Caratteristiche dell’azione sociale, secondo l’etnometodologia, sono:1) l’indicalità: significa che ogni spiegazione vuol dire (indica) molto di più di quanto esprime letteralmente, la sua comprensione è problematica e il suo senso non può essere definito pienamente se lo si isola dai particolari contestuali della situazione in cui esso viene fornito. Ciò vuol dire che ogni affermazione è riferibile solo a se stessa, rispecchia solo se stessa e non fa riferimento ad alcuna realtà diversa da se stessa.2) la riflessività - secondo gli etnometodologi non esiste da un lato la società e dall’altro modi di osservare e descrivere la società: le due cose sono connesse perché i membri di un gruppo etnico agiscono e nell’agire essi danno senso a quello che fanno, lo spiegano. Questo senso, dunque, non è diverso da quello che fanno ma identico ad esso.3) la descrivibilita (accountability) le concrete interazioni usate dai membri in un determinato contesto conferiscono un senso al mondo sociale, lo rendono accountable(descrivibile, giustificabile, comprensibile, spiegabile). Questa proprietà coincide esattamente con il carattere normale, ordinario, comprensibile e naturale degli eventi.Garfinkel, riportandosi all’affermazione secondo la quale un’affermazione significa molto di più di quanto essa esprime letteralmente, aggiunge che gran parte di ciò che un’affermazione significa è dato per scontato da parte di coloro che si esprimono nella vita quotidiana. Garfinkel escogita la tecnica, da mettere in atto da parte dei suoi ricercatori, di dimostrare incomprensione dinanzi alle affermazioni più ovvie oppure di comportarsi in modo completamente diverso da quello usuale: l’irritazione spesso fortissima dimostrata dagli ignari interlocutori starebbe a dimostrare, secondo Garfinkel, la precarietà, la fragilità dell’ordine sociale che si dà per contato.Altra caratteristica essenziale della pratica interattiva messa in luce dagli studi di Garfinkel è connessa la concetto di negoziazione.

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Intesa, disaccordo, conflitto, disallineamento… sono tutti fenomeni che si realizzano progressivamente, attraverso la sequenza dei contributi dei partecipanti, coi quali essi mostrano d’intendere ciò che sta avvenendo come problema di comprensione (o di ricezione uditiva, o di produzione verbale), o come disaccordo, o come conflitto, o in particolare come disallineamento procedurale, ecc..Tutti questi fenomeni possono darsi ad un grado maggiore o minore, e la successione dei contributi può ridurre oppure ampliare il fenomeno in corso: tutto ciò si può chiamare genericamente negoziazione della situazione, di ciò che sta avvenendo. Poiché i significati di ciò che viene detto, le azioni che vengono compiute con le parole e i ‘gesti’ associati, e le attività che vengono alimentate dalla successione dei contributi dei partecipanti, vengono tutti riconosciuti mediante inferenze, mediante un lavoro interpretativo che ha margini più o meno ampi d’incertezza, è del tutto naturale che i partecipanti – qualsiasi cosa dicano e facciano – simultaneamente negozino la definizione di ciò che sta avvenendo. Tutti questi aspetti sono sovrapposti nell’interazione concreta e l’analisi etnometodologica non può considerarli separatamente – se non per un artificio espositivo. Tra le norme che i soggetti applicano in modo più o meno inconsapevole durante l'interazione e su cui l'etnometodologia ha compiuto i propri studi noi prenderemo in considerazione solo tre esempi: quelle che regolano i turni di parola, quelle che stanno alla base delle pratiche di cortesia e le regole messe in luce da Bateson e altri che stanno alla base delle interazioni complesse (coppie adiacenti, individuazione della posizione sociale, punteggiatura della relazione, ecc...).

Alternanza dei turniE’ considerata una delle dimensioni fondamentali di ogni interazione umana. Il meccanismo della presa di turno regola la conversazione in modo che si parli uno alla volta e che il ruolo del parlante sia scambiato tra i partecipanti, dal punto di vista emico i soggetti coinvolti selezionano come significativo e interpretano come comunicativo alcune unità costitutive della presa del turno quali:

Unità costitutiva di turno (Turn constructional Unit, TCU). E’ qualsiasi segmento verbale del parlante che, nel contesto in cui è collocato, possa apparire agli altri partecipanti dotato di senso compiuto, così da consentire ad altri di replicarvi, commentarlo, o reagire ad esso in qualsiasi modo. Può essere una proposizione, una frase, una parola, o perfino un suono o un gesto cui sia attribuibile nel contesto un senso compiuto. I partecipanti monitorano il flusso verbale ed espressivo di un parlante in modo da cogliere e prevedere lo sviluppo – la possibile traiettoria – di un’unità in costruzione, tenendo conto insieme di aspetti lessicali, grammaticali, prosodici, gestuali, nonché degli aspetti pragmatici connessi al contesto.Punto di rilevanza transizionale (PRT). In particolare, i partecipanti, nel monitorare il flusso verbale ed espressivo del parlante, rilevano ogni punto in cui una sua unità (costitutiva di turno) può considerarsi completata. In tale punto, qualsiasi altro partecipante può prendere la parola, oppure il parlante può continuare il turno iniziando a costruire un’ulteriore unità: perciò tale punto viene chiamato punto di rilevanza transizionale. Se nessuno prende la parola all’istante, all’istante successivo si riproduce la medesima situazione, cioè ciascun partecipante può prendere la parola, e così via. Un silenzio prolungato, in un punto di rilevanza transizionale, viene quindi sentito dai partecipanti come un continuo riprodursi della medesima situazione (come quando due persone stanno davanti ad una porta che entrambe devono attraversare e nessuna delle due si decide a farlo per prima.)Selezione del prossimo parlante. Il parlante può costruire un’unità in modo tale da selezionare il prossimo parlante, ad esempio mediante una domanda. Può anche selezionare un insieme di partecipanti come possibili prossimi parlanti (ad esempio, quando un’insegnante rivolge una domanda all’intera classe). Il partecipante selezionato come prossimo parlante è tenuto a prendere la parola al termine dell’unità che lo seleziona, se l’azione del rivolgergli la domanda non viola altre norme sociali vigenti in quella situazione.Partenze simultanee. Se in un PRT, più partecipanti prendono la parola, chi la dura la vince.

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Tecniche comuni per spuntarla sono continuare a ripetere una medesima parola o frase, e alzare la voce. Gli altri partecipanti possono favorire uno dei contendenti rivolgendo a lui/lei lo sguardo e l’atteggiamento di ascolto, e negandolo all’altro/a. L’inizio di un turno può essere occupato da espressioni (ad esempio ehhh) e parole (allora..., dunque... e simili) non tanto significative, in modo che la loro eventuale copertura per effetto della voce sovrapposta di un altro partecipante non pregiudichi la comprensione dell’unità in costruzione (Fasulo e Pontecorvo 1999, pp. 46-48).Turni estesi, e turni pluri-unità. Un turno pluri-unità può derivare dal fatto che, al completamento di una prima unità da parte del parlante, nessun altro prende la parola e il parlante inizia una seconda unità (e così via, eventualmente). Un’altra possibilità è che al parlante sia riconosciuto dagli altri partecipanti il diritto di produrre una unità complessa, costituita da una serie di proposizioni. Ciò avviene in casi come il racconto di una storia, o di una barzelletta, o la produzione di una spiegazione o di un’argomentazione, ecc. Generalmente, simili turni estesi sono preceduti da pre-sequenze in cui chi si candida ad un turno esteso ottiene il consenso degli altri, in un certo senso ottiene di ‘prenotare’ un turno esteso (Sacks 1974, Schegloff 1980).Pause. Pause, o silenzi, possono essere, sulla base delle regole dell’alternanza dei turni sopra delineate, di varia natura, e variamente imputabili o non imputabili ai partecipanti. Una pausa interna ad una TCU è imputabile al parlante. Una pausa al termine di una unità che ha selezionato il prossimo parlante è imputabile a questi. Una pausa in un PRT, ove non sia stato selezionato il prossimo parlante, è imputabile a tutti, e quindi a nessuno in particolare.Violazioni delle regole dell’alternanza dei turni. Avvengono, ma vengono regolarmente trattate come violazioni, cioè o manifestamente compiute in modo minimo e funzionale al discorso di chi viene interrotto (1a-b) o riparate (2a) o usate in modo ostile (2b):(1a) minime: il senso della unità in costruzione appare ormai chiaro, chi si sovrappone anticipa di poco un prevedibile PRT, mostrandosi peraltro orientato alla comprensione del discorso altrui;(1b): ausiliarie al discorso altrui, in particolare a fini di correzione;(2) interruzioni vere e proprie;(2a) riparate con espressioni di scusa;(2b) non riparate: interazione conflittuale.

DISSONANZE DI ATTI LINGUISTICIInterazione e relazione

Sequenze di azioni producono attività sociali, quando – come comunemente avviene – partecipanti diversi producono azioni complementari, ad esempio coppie adiacenti, che contribuiscono alla medesima attività (domandare-rispondere, offreire-accettare/rifiutare, ecc...).In concreto, le cose si complicano perché:• un medesimo enunciato, come abbiamo visto, può compiere simultaneamente più azioni,• un turno di parola può contenere varie unità discorsive (TCU), a ciascuna delle quali l’interlocutore può reagire con segnali non verbali o con semplici segnali verbali minimi di ricezione: si hanno così varie attività all’interno di un medesimo turno;• una coppia adiacente può espandersi in vari modi (Schegloff 1990) e la sequenza risultante può contenere svariate attività.

Uno dei modi in cui un’attività può essere alimentata e prolungarsi nel tempo è la successione di coppie adiacenti del medesimo tipo: interviste, interrogazioni e interrogatori sono caratterizzabili come attività complesse di questo genere.Ogni attività, ad esempio ogni coppia adiacente, prevede un’ampia varietà sia di azioni ‘iniziali’ (prima parte di una coppia), sia di ‘azioni complementari’ (seconda parte), sia di successivi sviluppi della medesima attività. E’ un questo un immenso campo di ricerca esplorato assai parzialmente e non ancora oggetto di tentativi di sistemazione concettuale. Un fenomeno che ha ricevuto speciale attenzione è quello delle azioni complementari (o reazioni) preferite o dispreferite, nel senso di

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comunemente ritenute meno o più socialmente problematiche (Pomerantz 1984). Ad esempio, vi è l’aspettativa sociale che, dovendo rispondere ad un invito, accettarlo sia meno problematico che declinarlo. Le reazioni dispreferite sono regolarmente prodotte in modo marcato: sono cioè precedute da pause, segnali di esitazione, inizi di azione preferita che subito ‘abortiscono’, scuse o giustificazioni.

Ogni attività comporta, dunque, una varietà di posizioni interazionali, che gli etnometodologi tendono a identificare caso per caso, senza azzardare teorie generali (la ‘teoria’ della dispreferenza fa eccezione). Possono essere però di aiuto teorie esterne all’analisi della conversazione: il lavori di Goffman sono utili in questo senso, come pure le tesi di Bateson riprese in Watzlawick, Beavin e Jackson. I quali identificano la dimensione del potere come generalmente rilevante nell’interazione sociale: in certe attività le posizioni interattive dei partecipanti possono, a un dato momento, essere paritarie, ma non raramente una posizione è riconoscibile come superiore (up) e la posizione complementare come inferiore (down). Simili concetti vanno usati con cautela: ad esempio, sebbene chi fa le domande possa acquisire una posizione up rispetto a chi risponde (down), ciò non vale in generale e un’analisi del caso particolare è sempre richiesta – ciò che conta è come i partecipanti mostrano di trattare la situazione. Un altro insieme di concetti utili proposti dai medesimi autori è quello di connotazione positiva, squalifica e disconferma:qualsiasi azione può apprezzare un’azione precedente come positiva (connotazione positiva), oppure manifestare una valutazione negativa (squalifica, da non confondere col disaccordo, il quale non comporta necessariamente una valutazione negativa); se la valutazione negativa è rivolta non semplicemente all’azione dell’altro, ma all’altro nella sua interezza personale, si parla di disconferma (ad esempio, ignorare manifestamente un’azione altrui che richiederebbe invece una risposta di qualche tipo).Altro concetto utile, sempre della stessa provenienza, è quello di punteggiatura, applicabile ai resoconti di episodi d’interazione ricorrenti che coinvolgono le medesime persone, ad esempio due coniugi: il marito può sostenere una versione in cui la posizione che egli assume nell’interazione con la moglie è presentata come una conseguenza della posizione assunta inizialmente dalla moglie, come una reazione inevitabile o comunque legittima ad una iniziativa della moglie, e viceversa. Si può allora dire che i due coniugi presentano punteggiature diverse della medesima situazione ricorrente: entrambi imputano all’altro/a la colpa di aver assunto per primo/a una posizione sgradevole foriera di una reazione pure sgradevole. L’analisi conversazionale di interazioni reali spesso rileva la ‘complicità’ dei partecipanti nell’attivare situazioni conflittuali.Come già accennato, una relazione interpersonale si sviluppa come accumulo degli esiti di episodi d’interazione ricorrenti e delle posizioni assunte in esse dai partecipanti.Abbiamo anche suggerito che il capirsi è solo un aspetto, per quanto importante, di una più generale sintonizzazione intersoggettiva, che include altri aspetti. Fra questi, dedichiamo qui un po’ più di attenzione alla sintonizzazione procedurale, cioè a se e come e quanto i partecipanti contribuiscano ad alimentare la medesima attività – cioè al grado della loro cooperazione.Potremmo dire che è difficile non cooperare nell’interazione, almeno ad un certo grado. Se un partecipante fa qualcosa che ‘invita’ l’altro o gli altri a produrre un seguito appropriato, di solito un seguito appropriato viene prodotto, preferito o dispreferito che sia. Ad esempio, se A esprime una valutazione destinata a B riguardo ad un oggetto di comune interesse, è molto difficile per B non produrre nulla che possa essere inteso come una valutazione al riguardo, concordante o ‘agnostica’ o discordante che sia. Analogamente, se A fa una domanda, è difficile per B non produrre prima o poi (sequenza espansa) una risposta pertinente. Anche due persone che litigano o si insultano, possono farlo in modo abbastanza cooperativo, ad esempio rispettando l’alternanza dei turni di parola quel tanto che basta per consentire all’uno di udire (buona parte di) ciò che dice l’altro. Per riuscire ad azzerare davvero la cooperazione, bisognerebbe cessare d’interagire, come quando si sbatte giù la cornetta del telefono, o si esce sbattendo la porta, o ci si rivolge ad un’attività che esclude manifestamente ogni attenzione all’altro (non facile!). Sono forme estreme di disconferma dell’altro, che mettono a repentaglio la qualità o addirittura la sopravvivenza di una relazione

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interpersonale.Più comune è un certo grado di disallineamento procedurale, che si realizza quando l’azione di un partecipante risulta contrastare lo sviluppo di un’attività alimentata dall’azione precedente di un altro partecipante. Dovrebbe essere ormai chiaro, come incomprensione, fraintendimento e disaccordo non costituiscano, di per se stessi, disallineamento procedurale. Nel nostro esempio, quale che sia l’attività alimentata dall’azione di A, uno almeno degli altri due (B o C) contrasta tale attività – a meno che l’azione di A sia sta deliberatamente compiuta in modo da rendere irriconoscibile in modo univoco il senso dell’azione stessa e consentire quindi entrambi i divergenti sviluppi alimentati dalle divergenti reazioni di B e C.

Forse sarebbe utile disporre di una tassonomia delle attività realizzabili mediante parlare in interazione per riconoscere più agevolmente i disallineamenti procedurali, i casi cioè in cui partecipanti diversi producono in sequenza azioni che alimentano attività divergenti. Da un lato, le attività riconoscibili come distinte sono così tante, e ciascuna di esse così variamente modulabile a seconda del contesto in cui si colloca, che una sistemazione appare oggi prematura – le ricerche di etnometodologia hanno esplorato solo settori particolari di un universo molto ampio. Dall’altro, sono i partecipanti che discriminano, caso per caso, la rilevanza di una possibile divergenza procedurale: quella che in un contesto e per certi partecipanti potrebbe essere una divergenza trascurabile, in un altro contesto e per altri partecipanti può essere trattata come un disallineamento drammatico, e viceversa.

Da quanto messo in luce dall’etnometodologia la comunicazione linguistica risulta essere la forma privilegiata ed il medium dell’interazione sociale. Ma che cosa si intende propriamente per interazione?

Una definizione sintetica potrebbe essere questa: “C’è interazione sociale quando le persone agiscono una in presenza dell’altra e si influenzano reciprocamente, cosicché tra quel che fa uno e quel che fa l’altro c’è un concatenamento.” Vediamo di chiarirne sommariamente le componenti essenziali:

Il termine agire indica sia i semplici comportamenti, sia le vere e proprie azioni. Tra esse c’è una sostanziale differenza:

• COMPORTAMENTO: quando una persona fa automaticamente, per ragioni fisiologiche (tossire, starnutire) o reagendo ad uno stimolo (smorfia di dolore).

• AZIONE : più o meno consapevolmente sono volute: l’azione è VOLONTARIA. Chi le fa le considera significative e pensa abbiano un senso assumendosene, almeno in parte la responsabilità.

LA AZIONI A LORO VOLTA POSSONO ESSERE:

• SOCIALI: si fanno in vista degli altri (cedere il passo ad una signora, fare i complimenti ad un amico);

• PRIVATE: si compiono per se stessi (ascoltare la musica, leggere un giornale, mangiare un panino).

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E’ difficile stabilirne i limiti e i comportamenti, le azioni private e le azioni sociali allo stato puro probabilmente non esistono, la maggior parte delle cose che facciamo è un misto dei tre elementi. Per questo è stato elaborato il famoso triangolo di weber,, rappresentazione schematica dello spazio bidimensionale in cui è possibile collocare le singole azioni per individuare la loro posizione secondo i due assi volontario/involontario e sociale/privato.

comportamento

azione sociale azione privata

È inoltre necessario assumere una prospettiva emica e riconoscere il fatto che nell’interazione non conta ciò che “oggettivamente” involontario o volontario, sociale o privato ma ciò che è definito tale dai partecipanti e quindi la loro interpretazione di ciò che “fa la differenza” in quanto ha un senso all’interno dell’episodio interattivo stesso.

“UNA IN PRESENZA DELL’ALTRA”

Ciò che conta è che i partecipanti si muovono all’interno di una STESSA SCENA PSICOLOGICA E SOCIALE (che non è la semplice compresenza spaziale e temporale).

• In gran parte delle interazioni le persone si trovano faccia a faccia, l’una in presenza dell’altra.

• Ma talvolta non è così: mentre uno agisce, l’altro non è lì. Ma in un secondo momento il secondo soggetto può riscontrare che ciò che è stato fatto lo influenza. Abbiamo comunque una medesima scena sociale.

Importante elemento della scena psicologica sono i centri di attenzione ovvero i punti di interesse su cui è focalizzata l’attenzione durante l’interazione (focalizzata, plurifocalizata, non focalizzata)

“SI INFLUENZANO RECIPROCAMENTE”

-la natura prevalentemente mentale o simbolica l’altro è influenzato in base a quello che pensa e a come interpreta l’accaduto.

-la latenza variabile la latenza è il tempo che intercorre tra un’azione e i suoi effetti sull’altro

-la bi-direzionalità o reciprocità quel che fa A influenza B e quel che fa B influenza A (com’è stato evidenziato da Bateson e altri teorici della comunicazione, non sempre gli individui sono consapevoli di questa circolarità, talvolta si verifica invece una diversa “punteggiatura” delle sequenze interattive da parte dei partecipanti e questo può dar luogo a conflitti più o meno nascosti su chi sia il responsabile delle azioni dell’altro.

Si parla invece di contatti senza interazione quando manca la bi-direzionalità. L’azione di A ha effetto su B ma non c’è alcuna risposta da parte di B.

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“TRA QUEL CHE FA UNO E QUEL CHE FA L’ALTRO C’E’ UN CONCATENAMENTO”

-azione e risposta (vedi il concetto di “coppie adiacenti” nell’analisi conversazionale) Le coppie adiacenti si basano su un meccanismo semplice di azione e reazione, che durante lo sviluppo dell’interazione viene di solito riconosciuto come tale e quindi facilita la gestione dei turni conversazionali.

- previsione di un’eventuale azione dell’altro e anticipazione di una azione in base all’aspettativa.

-esposizione ed presentazione all’attenzione dell’altro di un’azione allo scopo di comunicare qualcosa su di sé, sull’altro o sulla relazione senza che questo implichi da parte del partner un’azione di risposta ma solo una presa di coscienza e/o una reazione affettiva.

È inoltre necessario distinguere l’interazione dalla relazione interpersonale, quest’ultima è una storia di interazioni in continuità tra loro in quanto le interazioni presenti sono influenzate da quelle passate e influenzeranno quelle future. Ma non è detto che più interazioni diano una relazione come non è detto che se ci sono poche interazioni non ci sia una relazione.Un caso particolare di relazione, in cui i partner sono fortemente motivati e tenere in vita la relazione stessa si chiama legame interpersonale (implica un certo grado di profondità, di stabilità emotiva, è correlato al desiderio di stare insieme e al disagio da separazione).

Lato esterno e lato interno di una interazione

Mentre il lato esterno comprende i comportamenti manifesti e considerati dotati di valore interattivo dai partecipanti, il lato interno include la dimensione affettivo-cognitivo-motivazionale dei partecipanti e si sviluppa secondo diversi processi:

-percezione interpersonale: durante l’interazione si svolge un’intensa attività cognitiva volta alla comprensione del comportamento, dello stato psicologico attuale del partner e dei tratti stabili della sua personalità

-formazione di aspettative: mediante la quale si cerca di capire cosa accadrà dopo e quale sarà l’esito dell’interazione in conseguenza dei fatti che stanno accadendo nel presente

-attribuzioni di motivazioni e intenzioni: mediante le quali si cerca di capire perché l’altro fa una determinata azione fornendo di volta in volta una spiegazione intenzionale o impersonale, contingente o generalizzata, esterna o interna, collocando quindi ogni azione all’interno dello spazio bidimensionale del triangolo di Weber, .

-valutazioni: per mezzo delle quali ci si forma un giudizio sull’altro e su di sé, sulla soddisfazione relativa all’interazione ed alla relazione, ed in cui ogni azione propria o altrui è giudicata piacevole, spiacevole, desiderabile, da evitare (per sé e per l’altro),

-investimento emotivo dell’interazione: la carica emotiva che più o meno consapevolmente accompagna l’interazione

Questi processi cognitivi, affettivi e motivazionali non vengono vissuti solo in prima persona da entrambi i partecipanti, ma ognuno cerca anche di capire come vengono vissuti dall’altro: per

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mezzo di un processo di decentramento si cerca di capire come l’altro percepisce e valuta ciò che stiamo facendo e questo ci permette di regolare le nostre azioni tenendo conto dell’impatto cognitivo-affettivo e motivazionale che avranno sull’altro. Questa capacità di uscire da sé e immaginare il punto di vista dell’altro sembra essere una delle condizioni necessarie di ogni comportamento interattivo non scoordinato o tangenziale. L’eccessiva attenzione agli aspetti relativi alla percezione interpersonale può però condurre a difficoltà interattive altrettanto disturbanti (eccessivo controllo dell’esito dell’interazione e conseguente atteggiamento calcolatore, iper-attenzione alla propria immagine sociale e conseguente insicurezza, mancanza di spontaneità, di trasparenza o di padronanza nelle transazioni ->effetto reciprocità C=1/P, attribuzioni infondate alle azioni altrui ed elucubrazioni ingiustificate-> effetto facciata , ecc.)

Il processo interattivo può terminare con un accordo, un litigio, un disaccordo o non concludersi e questo dipende da molti fattori:

-il contributo del partner:in alcuni casi un partner ha una chiara responsabilità dell’esito dell’interazione

-l’influenza della relazione: la relazione tra i partner influisce sullo sviluppo dell’interazione (è vero anche il reciproco, l’interazione retroagisce sulla qualità della relazione)

-le regole sociali:i partecipanti tendono a seguire regole sociali (generali o specifiche dell’interazione in corso - scripts), è anche vero che la loro violazione, e delle conseguenti aspettative determina in modo decisivo l’esito dell’interazione.

-le pressioni esterne:sullo sviluppo dell’interazione possono agire fatti indipendenti dalla volontà, condizioni ambientali e contestuali, le condizioni psicofisiche dei partecipanti e fatti accidentali.

-lo sviluppo interno:ogni evento ed ogni azione considerata significativa all’interno di una interazione influenza quello che segue, la direzione e l’esito dello scambio interattivo.