APPUNTI DI INTRODUZIONE ALL ECONOMIA PUBBLICA...APPUNTI DI INTRODUZIONE ALL’ECONOMIA PUBBLICA...

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Università degli Studi di Bari “Aldo Moro“ Dipartimento di Scienze economiche e metodi matematici A PPUNTI DI INTRODUZIONE ALL ECONOMIA PUBBLICA Ernesto Longobardi e Vito Peragine Nuova edizione - ottobre 2012

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Università degli Studi di Bari “Aldo Moro“Dipartimento di Scienze economiche e metodi matematici

APPUNTI DI INTRODUZIONE

ALL’ECONOMIA PUBBLICA

Ernesto Longobardi e Vito Peragine

Nuova edizione - ottobre 2012

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Indice

1 Il giudizio di efficienza 1

2 I fallimenti del mercato 19

3 Scelta sociale 31

4 Analisi della disuguaglianza 43

5 Economia delle scelte pubbliche 61

Suggerimenti per ulteriori letture 77

Riferimenti bibliografici 78

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CAPITOLO 1Il giudizio di efficienza

1.1 L’efficienza nel senso di Pareto

Una tendenza largamente dominante ritiene che nel giudizio di efficienza cisi debba affidare alla percezione che i singoli individui hanno del proprio

benessere individuale. Si parla in questo caso di principio della sovranità delconsumatore oppure di individualismo: si assume che ciascuno sia il migliorgiudice dei propri interessi e ci si rimette pertanto alla sua valutazione.

Se si accetta tale principio sorge immediatamente un problema. Avendo unproprio sistema di preferenze e un dato ammontare di risorse (dotazioni), cia-scuno giudicherà diversamente un determinato stato del mondo. Come si puòallora, muovendo dai giudizi individuali, pervenire a un giudizio di efficienzache riguardi l’intera collettività? Il giudizio di efficienza sembra indissolubilmen-te legato al giudizio di equità, perché non pare possibile evitare di valutare gliinteressi degli uni a fronte degli interessi degli altri.

Gli economisti hanno tentato di separare i due livelli di giudizio e di affidarlia schemi concettuali distinti. Tale tentativo viene a tutt’oggi legato al nome diPareto.1

Definizione 1.1 (Il criterio (forte) del Pareto). Dati due stati α e β, si dice cheα è migliore di β (oppure che α domina β) nel senso di Pareto, e che pertantouno spostamento da β a α è un miglioramento paretiano, se e solo se almeno unindividuo preferisce α a β e nessuno preferisce β ad α.

Indichiamo in parentesi tonde le relazioni attinenti ordinamenti di preferenza in-dividuali e in parentesi quadre quelle attinenti ordinamenti di preferenza sociale.Il criterio del Pareto può essere espresso nel modo seguente. Dati due stati α e β,e n individui, i ∈ {1, ..., n} ,

[α � β]P ⇔ ∃i ∈ {1, ..., n} tale che (α � β)i & @j ∈ {1, ..., n} tale che (β � α)j

1Vilfredo Pareto (1848-1923), economista e sociologo. Le sue opere più importanti sono ilCorso di economia politica (1897-98) e il Trattato di sociologia generale (1916).

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2 CAPITOLO 1

Tabella 1.1 Il criterio del Pareto.

α β γ

ui 30 35 35uj 25 25 30uk 45 45 45

Tabella 1.2 Gli “ottimi” di Pareto.

α β γ δ ε

ui 7 6 1 8 3uj 9 9 2 8 2uk 6 5 9 8 9

che va letta: α domina β nel senso di Pareto se e solo se esiste almeno un individuoi per il quale α è strettamente preferito a β e non esiste alcun individuo j per ilquale β è strettamente preferito ad α.

Se α non domina β nel senso di Pareto e β non domina α nel senso di Pareto,allora diremo che α e β non sono confrontabili in base al criterio di Pareto.Nella definizione del criterio di Pareto si assume:

• misurabilità ordinale delle utilità• non confrontabilità delle utilità di diversi individui

Nella Tabella 1.1 α, β, γ sono tre stati e ui, uj , uk sono indici di utilità ordinalerelativi a tre individui i, j, k.Lo stato β domina nel senso di Pareto lo stato α (maggiore è infatti l’utilità del-l’individuo i, ferme restando le posizioni degli individui j e k). Lo stato γ dominaa sua volta lo stato β.

Definizione 1.2 (Ottimo paretiano). Uno stato è detto efficiente nel senso di Pa-reto o ottimo paretiano qualora non sia possibile realizzare un miglioramento pa-retiano, vale a dire quando non sia possibile migliorare la situazione di almenoun individuo senza peggiorare quella di qualche altro.

Nella Tabella 1.1 lo stato γ è un ottimo paretiano. In generale gli stati ottiminel senso di Pareto sono più di uno. Si consideri, per esempio, la Tabella 1.2, inquesto caso α, δ e ε sono tutti ottimi paretiani.

Si noti che il criterio del Pareto non consente di ordinare gli stati di ottimo:essi, in base al criterio del Pareto, non sono confrontabili.

Ma può risultare anche impossibile confrontare uno stato di ottimo con unostato sub-ottimale. Nella Tabella 1.2, per esempio, α, pur essendo un ottimo, nonè confrontabile con γ, che ottimo non è.

Questo aspetto può essere meglio chiarito considerando la Figura 1.1 che rap-presenta una curva delle possibilità di utilità. Come si vedrà meglio più avanti,tale curva, dati due individui i e j, esprime, per ogni determinato livello di utilitàdi uno dei due individui, l’utilità massima conseguibile dall’altro.

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Il giudizio di efficienza 3

Il giudizio di efficienza 3

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G

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F

Figura 1.1 Il criterio del Pareto. I miglioramenti paretiani dal punto F sono compresinell’area BCF .

L’area ADO, delimitata dalla curva delle possibilità di utilità e dagli assi carte-siani, costituisce l’insieme delle utilità.Per ogni punto interno, come il punto il punto F , l’insieme delle utilità può esseresuddiviso in 4 sottoinsiemi:

• l’areaBCF , compresi i contorni, rappresenta il sottoinsieme delle combinazio-ni di utilità che dominano la combinazione F: il passaggio da F a uno qualsiasidei punti di quest’area è un miglioramento paretiano;

• l’area GFEO, compresi i contorni, rappresenta il sottoinsieme delle combina-zioni di utilità che sono dominate da F nel senso di Pareto.

L’unione di questi due sottoinsiemi compone l’insieme di stati che sono confron-tabili con F in base al criterio del Pareto.Invece l’unione dei due sottoinsiemi:

• ABFG (esclusi i segmenti BF e GF );• FCDE (esclusi i segmenti FC e FE)

rappresentano l’insieme degli stati non confrontabili con F in base al criterio delPareto.

Finché l’insieme BCF non è vuoto non si ha una situazione efficiente. Uninsieme vuoto di miglioramenti paretiani è rappresentato nella Figura 1.2: il puntoF è ora un ottimo paretiano, in quanto non risulta dominato da nessun altro puntoall’interno dell’insieme delle utilità. Tuttavia, il punto F non domina tutti i puntidell’insieme, ma solo quelli dell’area GFEO. Rimangono le due aree AFG eFDE di non confrontabilità.

Figura 1.1 Il criterio del Pareto. I miglioramenti paretiani dal punto F sono compresinell’area BCF .

L’area ADO, delimitata dalla curva delle possibilità di utilità e dagli assi carte-siani, costituisce l’insieme delle utilità.Per ogni punto interno, come il punto il punto F , l’insieme delle utilità può esseresuddiviso in 4 sottoinsiemi:

• l’areaBCF , compresi i contorni, rappresenta il sottoinsieme delle combinazio-ni di utilità che dominano la combinazione F: il passaggio da F a uno qualsiasidei punti di quest’area è un miglioramento paretiano;

• l’area GFEO, compresi i contorni, rappresenta il sottoinsieme delle combina-zioni di utilità che sono dominate da F nel senso di Pareto.

L’unione di questi due sottoinsiemi compone l’insieme di stati che sono confron-tabili con F in base al criterio del Pareto.Invece l’unione dei due sottoinsiemi:

• ABFG (esclusi i segmenti BF e GF );• FCDE (esclusi i segmenti FC e FE)

rappresentano l’insieme degli stati non confrontabili con F in base al criterio delPareto.

Finché l’insieme BCF non è vuoto non si ha una situazione efficiente. Uninsieme vuoto di miglioramenti paretiani è rappresentato nella Figura 1.2: il puntoF è ora un ottimo paretiano, in quanto non risulta dominato da nessun altro punto

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4 CAPITOLO 1

4 CAPITOLO 1

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Figura 1.2 L’ottimo paretiano. F rappresenta un punto di ottimo perchè l’insieme deipossibili miglioramenti paretiani è vuoto.

In tali aree solo i punti sulla curva delle possibilitL di utilità (i tratti AF e FD)sono punti di ottimo: tutti gli altri, interni alle due aree, rappresentano stati inef-ficienti. Come si era già accennato, dunque, il criterio del Pareto non consentedi ordinare gli stati di efficienza come socialmente superiori a tutti gli stati diinefficienza.

1.1.1 Criterio di Pareto e potere di veto

È quest’ultimo il limite più grave del criterio del Pareto. Se infatti la non con-frontabilità dei punti di ottimo è il risultato della scelta di separare il giudizio diefficienza dal giudizio di equità, la non confrontabilità tra punti di ottimo e puntisubottimali limita l’operatività del criterio proprio sotto il profilo della valutazionedi efficienza.

In comunità di milioni di persone, è sufficiente che anche un solo individuorisulti danneggiato, per escludere, almeno sul piano del giudizio di efficienza, mi-sure che potrebbero produrre consistenti benefici alla collettività nel suo insieme.Si attribuisce in questo modo a minoranze, anche molto ristrette, un paralizzante“potere di veto” sulle scelte collettive.

1.1.2 Criterio di Pareto e conservazione dello status quoIl criterio del Pareto, quale metro di valutazione sociale, è basato su giudizi divalore molto deboli e quindi largamente condivisibili. Questa apparente neutralità

Figura 1.2 L’ottimo paretiano. F rappresenta un punto di ottimo perchè l’insieme deipossibili miglioramenti paretiani è vuoto.

all’interno dell’insieme delle utilità. Tuttavia, il punto F non domina tutti i puntidell’insieme, ma solo quelli dell’area GFEO. Rimangono le due aree AFG eFDE di non confrontabilità.In tali aree solo i punti sulla curva delle possibilità di utilità (i tratti AF e FD)sono punti di ottimo: tutti gli altri, interni alle due aree, rappresentano stati inef-ficienti. Come si era già accennato, dunque, il criterio del Pareto non consentedi ordinare gli stati di efficienza come socialmente superiori a tutti gli stati diinefficienza.

1.1.1 Criterio di Pareto e potere di veto

È quest’ultimo il limite più grave del criterio del Pareto. Se infatti la non con-frontabilità dei punti di ottimo è il risultato della scelta di separare il giudizio diefficienza dal giudizio di equità, la non confrontabilità tra punti di ottimo e puntisubottimali limita l’operatività del criterio proprio sotto il profilo della valutazionedi efficienza.

In comunità di milioni di persone, è sufficiente che anche un solo individuorisulti danneggiato, per escludere, almeno sul piano del giudizio di efficienza, mi-sure che potrebbero produrre consistenti benefici alla collettività nel suo insieme.Si attribuisce in questo modo a minoranze, anche molto ristrette, un paralizzante“potere di veto” sulle scelte collettive.

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Il giudizio di efficienza 5

6 CAPITOLO 1

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j

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y

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Figura 1.3 La scatola di Edgeworth. Ogni punto nella scatola rappresenta un’allocazione,cioè la combinazione di due panieri (x, y), uno per ciascun consumatore.

3. la condizione di efficienza generale.

Consideriamo un sistema con due consumatori (i, j), due fattori produttivi (k, l)e due beni (x, y). La disponibilità di fattori produttivi e la tecnologia sono date.

1.2.1 La condizione di efficienza nello scambioIpotizziamo per il momento che le quantità prodotte di x e y siano date: l’ipotesisarà rimossa più avanti, quando le quantità dei beni prodotti saranno lasciate liberedi variare, ferme restando, invece, le quantità dei due fattori produttivi k e l.

La Figura 1.3 riproduce una scatola di Edgeworth, all’interno della quale ognipunto rappresenta un’allocazione (combinazione di panieri) dei due beni (x, y) trai due consumatori (i, j). La mappa delle curve di indifferenza del consumatorei è rappresentata a partire dal vertice sud-ovest della scatola; quella del consu-matore j è rappresentata, rovesciata, a partire dal vertice nord-est. In ogni puntodella scatola si ha l’intersezione oppure la tangenza tra una curva di indifferenzadell’individuo i e una curva di indifferenza dell’individuo j. Le allocazioni ottimenel senso di Pareto coincidono con i punti di tangenza. Se infatti le curve diindifferenza si intersecassero sarebbero possibili miglioramenti paretiani.

Consideriamo per esempio, nella parte sinistra della Figura 1.4, il punto C diintersezione tra due curve. Per ogni punto sulla curva di indifferenza dell’indivi-duo j, come il punto B, si ha:

(B ! C)i e (B " C)j # [B ! C]P

Figura 1.3 La scatola di Edgeworth. Ogni punto nella scatola rappresenta un’allocazione,cioè la combinazione di due panieri (x, y), uno per ciascun consumatore.

1.2 Allocazione ottimale delle risorsePer generare un risultato efficiente nel senso di Pareto, un meccanismo di alloca-zione delle risorse deve soddisfare simultaneamente tre condizioni:

1. la condizione di efficienza nello scambio;2. la condizione di efficienza nella produzione;3. la condizione di efficienza generale.

Consideriamo un sistema con due consumatori (i, j), due fattori produttivi (k, l)e due beni (x, y). La disponibilità di fattori produttivi e la tecnologia sono date.

1.2.1 La condizione di efficienza nello scambioIpotizziamo per il momento che le quantità prodotte di x e y siano date: l’ipotesisarà rimossa più avanti, quando le quantità dei beni prodotti saranno lasciate liberedi variare, ferme restando, invece, le quantità dei due fattori produttivi k e l.

La Figura 1.3 riproduce una scatola di Edgeworth, all’interno della quale ognipunto rappresenta un’allocazione (combinazione di panieri) dei due beni (x, y) trai due consumatori (i, j). La mappa delle curve di indifferenza del consumatorei è rappresentata a partire dal vertice sud-ovest della scatola; quella del consu-matore j è rappresentata, rovesciata, a partire dal vertice nord-est. In ogni puntodella scatola si ha l’intersezione oppure la tangenza tra una curva di indifferenza

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i

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A

C

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Figura 1.4 L’efficienza nello scambio. Nella parte sinistra della figura C non è un pun-to di ottimo, in quanto a partire da C sono possibili miglioramenti paretiani nell’areadelimitata dall’intersezione delle due curve. Nella parte destra il punto di tangenza Crappresenta un punto di ottimo: l’insieme dei possibili miglioramenti paretiani è vuoto.

Per ogni punto sulla curva di indifferenza dell’individuo i, come il punto A, si ha:

(A ! C)i e (A " C)j # [A " C]P

Infine per ogni punto come D, interno all’area delimitata dall’intersezione delledue curve di indifferenza, si ha:

(D " C)i e (D " C)j # [D " C]P

L’area delimitata dall’intersezione delle due curve, compresi i contorni, rappre-senta quindi l’insieme dei possibili miglioramenti paretiani a partire dal puntoC .Nei punti di tangenza invece (come il punto C nella parte destra della Figura 1.4)l’insieme dei miglioramenti paretiani è vuoto: si tratta pertanto di allocazioni otti-me. In tali punti, la curva di indifferenza del consumatore i ha la stessa pendenzadi quella del consumatore j: i saggi marginali di sostituzione dei due consumatorisono pertanto eguali.

Definizione 1.3 (Condizione di efficienza nello scambio). Un’allocazione di beniè Pareto-ottimale quando i saggi marginali di sostituzione sono eguali tra tutti iconsumatori:

SMSix,y = SMSj

x,y

L’insieme delle allocazioni ottime può essere rappresentato con due diversi stru-menti analitici.Se, all’interno della scatola di Edgeworth, si uniscono tutti i punti di tangenza trale curve di indifferenza si ottiene la curva dei contratti, che è appunto il luogogeometrico delle allocazioni ottime nel senso del Pareto (Figura 1.5).

Figura 1.4 L’efficienza nello scambio. Nella parte sinistra della figura C non è un pun-to di ottimo, in quanto a partire da C sono possibili miglioramenti paretiani nell’areadelimitata dall’intersezione delle due curve. Nella parte destra il punto di tangenza Crappresenta un punto di ottimo: l’insieme dei possibili miglioramenti paretiani è vuoto.

dell’individuo i e una curva di indifferenza dell’individuo j. Le allocazioni ottimenel senso di Pareto coincidono con i punti di tangenza. Se infatti le curve diindifferenza si intersecassero sarebbero possibili miglioramenti paretiani.

Consideriamo per esempio, nella parte sinistra della Figura 1.4, il punto C diintersezione tra due curve. Per ogni punto sulla curva di indifferenza dell’indivi-duo j, come il punto B, si ha:

(B � C)i e (B ∼ C)j ⇒ [B � C]P

Per ogni punto sulla curva di indifferenza dell’individuo i, come il punto A, si ha:

(A ∼ C)i e (A � C)j ⇒ [A � C]P

Infine per ogni punto come D, interno all’area delimitata dall’intersezione delledue curve di indifferenza, si ha:

(D � C)i e (D � C)j ⇒ [D � C]P

L’area delimitata dall’intersezione delle due curve, compresi i contorni, rappre-senta quindi l’insieme dei possibili miglioramenti paretiani a partire dal puntoC.Nei punti di tangenza invece (come il punto C nella parte destra della Figura 1.4)l’insieme dei miglioramenti paretiani è vuoto: si tratta pertanto di allocazioni otti-me. In tali punti, la curva di indifferenza del consumatore i ha la stessa pendenzadi quella del consumatore j: i saggi marginali di sostituzione dei due consumatorisono pertanto eguali.

Definizione 1.3 (Condizione di efficienza nello scambio). Un’allocazione di beniè Pareto-ottimale quando i saggi marginali di sostituzione sono eguali tra tutti iconsumatori:

SMSix,y = SMSjx,y

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Figura 1.5 La curva dei contratti.

Se misuriamo invece sugli assi le utilità dei due consumatori, le combinazio-ni di utilità associate ai punti di ottimo compongono la curva delle possibilità diutilità (Figura 1.6), che avevamo già utilizzato nella Sezione 1.1.

Definizione 1.4 (La curva delle possibilità di utilità). Dati due consumatori e duebeni, e considerando fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità diutilità esprime, per ogni determinato indice di utilità di un consumatore, l’utilitàmassima che può ottenere l’altro consumatore.

Lo studente noti che:

• se si considerano fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità di utilitàsi modifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori;

• date le preferenze dei consumatori, esiste una curva delle possibilità di utilitàper ogni coppia di quantità dei due beni.

1.2.2 Condizione di efficienza nella produzioneSi rimuove ora, come annunciato, la condizione che le quantità dei due beni x e ysiano date.

La condizione marginale di ottimo nella produzione può essere determinatautilizzando ancora una scatola di Edgeworth, misurando, questa volta, sugli assi lequantità dei due fattori produttivi, k e l, disponibili in quantità fisse. La tecnologiaimpiegata nella produzione dei due beni x e y sarà rappresentata da famiglie diisoquanti. Ogni punto all’interno della scatola rappresenta una allocazione diinput.

Figura 1.5 La curva dei contratti.

L’insieme delle allocazioni ottime può essere rappresentato con due diversi stru-menti analitici.Se, all’interno della scatola di Edgeworth, si uniscono tutti i punti di tangenza trale curve di indifferenza si ottiene la curva dei contratti, che è appunto il luogogeometrico delle allocazioni ottime nel senso del Pareto (Figura 1.5).

Se misuriamo invece sugli assi le utilità dei due consumatori, le combinazio-ni di utilità associate ai punti di ottimo compongono la curva delle possibilità diutilità (Figura 1.6), che avevamo già utilizzato nella Sezione 1.1.

Definizione 1.4 (La curva delle possibilità di utilità). Dati due consumatori e duebeni, e considerando fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità diutilità esprime, per ogni determinato indice di utilità di un consumatore, l’utilitàmassima che può ottenere l’altro consumatore.

Lo studente noti che:

• se si considerano fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità di utilitàsi modifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori;

• date le preferenze dei consumatori, esiste una curva delle possibilità di utilitàper ogni coppia di quantità dei due beni.

1.2.2 Condizione di efficienza nella produzioneSi rimuove ora, come annunciato, la condizione che le quantità dei due beni x e ysiano date.

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Figura 1.6 La curva delle possibilità di utilità.

Le allocazioni ottime sono date dai punti di tangenza tra gli isoquanti relativial prodotto x e gli isoquanti relativi al prodotto y: in tali punti si ha l’eguaglianzadei saggi marginali di sostituzione tecnica tra i fattori nella produzione dei duebeni.Definizione 1.5 (Condizione di efficienza nella produzione).Un’allocazione di fattori produttivi è Pareto-ottimale quando i saggi marginali disostituzione tecnica sono eguali nella produzione di ogni coppia di beni:

SMST xk,l = SMST y

k,l

Le allocazioni di fattori efficienti possono essere rappresentati, oltre che dallacurva che unisce tutti i punti di tangenza nella scatola di Edgeworth, anche mi-surando sugli assi le quantità dei due beni: le combinazioni di beni associate aipunti di ottimo compongono la curva delle possibilità di produzione (o curvadi trasformazione).Definizione 1.6 (La curva delle possibilità di produzione). La curva delle pos-sibilità di produzione (o curva di trasformazione) esprime, per ogni determinataquantità di uno dei due beni, la quantità massima che si può produrre dell’altrobene, considerando fisse la tecnologia e le quantità dei fattori di produzione.

1.2.3 Condizione di efficienza generaleAssumiamo, in prima approssimazione, che tutti i consumatori abbiano lo stessosistema di preferenze, rappresentabile pertanto da un’unica mappa di curve diindifferenza (consumatore rappresentativo).

Figura 1.6 La curva delle possibilità di utilità.

La condizione marginale di ottimo nella produzione può essere determinatautilizzando ancora una scatola di Edgeworth, misurando, questa volta, sugli assi lequantità dei due fattori produttivi, k e l, disponibili in quantità fisse. La tecnologiaimpiegata nella produzione dei due beni x e y sarà rappresentata da famiglie diisoquanti. Ogni punto all’interno della scatola rappresenta una allocazione diinput.

Le allocazioni ottime sono date dai punti di tangenza tra gli isoquanti relativial prodotto x e gli isoquanti relativi al prodotto y: in tali punti si ha l’eguaglianzadei saggi marginali di sostituzione tecnica tra i fattori nella produzione dei duebeni.

Definizione 1.5 (Condizione di efficienza nella produzione).Un’allocazione di fattori produttivi è Pareto-ottimale quando i saggi marginali disostituzione tecnica sono eguali nella produzione di ogni coppia di beni:

SMST xl,k = SMST yl,k

Le allocazioni di fattori efficienti possono essere rappresentate, oltre che dallacurva che unisce tutti i punti di tangenza nella scatola di Edgeworth, anche mi-surando sugli assi le quantità dei due beni: le combinazioni di beni associate aipunti di ottimo compongono la curva delle possibilità di produzione (o curvadi trasformazione).

Definizione 1.6 (La curva delle possibilità di produzione). La curva delle pos-sibilità di produzione (o curva di trasformazione) esprime, per ogni determinata

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Il giudizio di efficienza 9

0 X

Y t s

B

II

A

I

Figura 1.7 La curva delle possibilità di produzione. A rappresenta un punto di ottimo.

quantità di uno dei due beni, la quantità massima che si può produrre dell’altrobene, considerando fisse la tecnologia e le quantità dei fattori di produzione.

1.2.3 Condizione di efficienza generaleAssumiamo, in prima approssimazione, che tutti i consumatori abbiano lo stessosistema di preferenze, rappresentabile pertanto da un’unica mappa di curve diindifferenza (consumatore rappresentativo).

Il problema di massimizzazione del benessere si risolve nello scegliere, lungola curva delle possibilità di produzione, la combinazione di output che consente diraggiungere la curva di indifferenza di indice più elevato: si tratterà di un punto ditangenza della curva delle possibilità di produzione con una curva di indifferenza(Figura 1.7).

Nel punto di tangenza si ha l’eguaglianza tra il saggio marginale di sostitu-zione (misurato dalla pendenza della curva di indifferenza) e il tasso marginale ditrasformazione (misurato dalla pendenza della curva di trasformazione).Si può pertanto enunciare la condizione di efficienza generale.

Definizione 1.7 (Condizione di efficienza generale).Un’allocazione delle risorse è Pareto-ottimale quando per ogni coppia di beni ilsaggio marginale di sostituzione è eguale al saggio marginale di trasformazione:

SMSx,y = SMTx,y

Il significato dell’eguaglianza tra saggio marginale di trasformazione e saggiomarginale di sostituzione come condizione di ottimo può essere meglio compre-

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10 CAPITOLO 1

0 X

Yt

s

B

C D E

Figura 1.8 Nel puntoB il SMTxy è, in valore assoluto, minore del SMSxy . Spostamentia destra di B (maggiore quantità di x) rappresentano miglioramenti paretiani.

sa considerando più da vicino (Figura 1.8) la situazione rappresentata dal pun-to B ove non si ha tangenza, bensì intersezione, tra la curva delle possibilità diproduzione e una curva di indifferenza.

In tale punto il SMS è dato dall’inclinazione della retta s tangente alla cur-va di indifferenza, ovvero dal rapporto BC/CD: una riduzione BC del bene y,accompagnata da un aumento CD del bene x, lascia inalterato il livello di utilitàdel consumatore rappresentativo. Il SMT è dato invece dall’inclinazione dellaretta t, tangente alla curva delle possibilità di produzione: dal lato della produ-zione, dunque, la rinuncia a una quantità BC del bene y consente un incrementoCE nella produzione di x. Essendo CE > CD, l’utilità aumenterebbe: vi sonopertanto dei punti, a destra del punto B, che lo dominano nel senso di Pareto.Della condizione generale di ottimo può essere data una diversa rappresentazionegrafica. Abbandonando l’ipotesi del consumatore rappresentativo e tornando aquella di un’economia con due individui, i e j, consideriamo le infinite scatole diEdgeworth che possono essere inserite nell’area delimitata dalla curva di trasfor-mazione, con il vertice nord-est lungo la curva. Nella Figura 1.9 ne sono staterappresentate due.

In generale all’interno di ogni scatola vi sarà un punto, sulla curva dei con-tratti, in cui l’inclinazione delle due curve di indifferenza tangenti è eguale all’in-clinazione della curva di trasformazione. In tale punto si avrà pertanto:

SMSix,y = SMTx,y = SMSjx,y (1.1)

Si noti che un punto come B nella Figura 1.9 rappresenta una determinata com-binazione delle quantità totali prodotte dei due beni x e y, mentre un punto come

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Il giudizio di efficienza 11

12 CAPITOLO 1

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B!

y

A

x

A!B

Figura 1.9 Configurazioni di ottimo generale.

• se si considerano fisse le quantità dei due fattori, la frontiera delle utilità simodifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori o la tecnologia;

• date le preferenze dei consumatori e la tecnologia, esiste una frontiera delleutilità per ogni coppia di quantità dei due fattori.

1.3 I due teoremi fondamentali dell’economia del benes-sere

Riepiloghiamo le condizioni marginali di ottimo, rimuovendo la restrizione di unmondo a due dimensioni.

Siano N , M, H gli insiemi, rispettivamente, dei consumatori, dei beni e deifattori produttivi.

1. Condizione di efficienza nello scambio:

SMSix,y = SMSj

x,y

!i, j " N ; !x, y " M2. Condizione di efficienza nella produzione:

SMST xk,l = SMST y

k,l

!k, l " H ; !x, y " M

Figura 1.9 Configurazioni di ottimo generale.

B′ definisce una ripartizione delle risorse tra i due individui i e j.Vi sono infinite configurazioni di ottimo generale, ciascuna corrispondente

a una determinata combinazione di output e a una determinata ripartizione delbenessere tra i due individui. Il luogo delle combinazioni di utilità associate aciascuno di essi, è chiamato frontiera delle utilità.Lo studente noti che:

• se si considerano fisse le quantità dei due fattori, la frontiera delle utilità simodifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori o la tecnologia;

• date le preferenze dei consumatori e la tecnologia, esiste una frontiera delleutilità per ogni coppia di quantità dei due fattori.

1.3 I due teoremi fondamentali dell’economia del benes-sere

Riepiloghiamo le condizioni marginali di ottimo, rimuovendo la restrizione di unmondo a due dimensioni.

Siano N ,M, H gli insiemi, rispettivamente, dei consumatori, dei beni e deifattori produttivi.

1. Condizione di efficienza nello scambio:

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12 CAPITOLO 1

Il giudizio di efficienza 13

! "# $x

j

i

y

%&&&&&&&&&&&&&&&&&&'&&&&&&&&&&&&&&&&&&(

A

BC

Figura 1.10 Solo in equilibrio si ha efficienza paretiana.

3. Condizione di efficienza generale:

SMSx,y = SMTx,y

!x, y " M

I due teoremi fondamentali dell’economia del benessere stabiliscono un legametra gli esiti di un meccanismo di mercato concorrenziale e i criteri di desiderabilitàsociale.In un mercato concorrenziale, a determinate condizioni, abbiamo:

1. Per ogni coppia di beni, ciascun consumatore massimizza l’utilità eguagliandoil saggio marginale di sostituzione al prezzo relativo:

SMSix,y = px/py = SMSj

x,y

!i, j " N ; !x, y " MRisulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nello scambio.

2. Le imprese minimizzano i costi, nella produzione di ciascun bene, eguagliandoil saggio marginale di sostituzione tecnica tra fattori al loro prezzo relativo:

SMST xk,l = pl/pk = SMST y

k,l

!k, l " H ; !x, y " MRisulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nella produzione.

Figura 1.10 Solo in equilibrio si ha efficienza paretiana.

SMSix,y = SMSjx,y

∀i, j ∈ N ; ∀x, y ∈M2. Condizione di efficienza nella produzione:

SMST xl,k = SMST yl,k

∀k, l ∈ H ; ∀x, y ∈M3. Condizione di efficienza generale:

SMSx,y = SMTx,y

∀x, y ∈M

I due teoremi fondamentali dell’economia del benessere stabiliscono un legametra gli esiti di un meccanismo di mercato concorrenziale e i criteri di desiderabilitàsociale.In un mercato concorrenziale, a determinate condizioni, abbiamo:

1. Per ogni coppia di beni, ciascun consumatore massimizza l’utilità eguagliandoil saggio marginale di sostituzione al prezzo relativo:

SMSix,y = px/py = SMSjx,y

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Il giudizio di efficienza 13

∀i, j ∈ N ; ∀x, y ∈MRisulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nello scambio.

2. Le imprese minimizzano i costi, nella produzione di ciascun bene, eguagliandoil saggio marginale di sostituzione tecnica tra fattori al loro prezzo relativo:

SMST xl,k = pl/pk = SMST yl,k

∀k, l ∈ H ; ∀x, y ∈MRisulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nella produzione.

3. Per ogni coppia di beni, i consumatori massimizzano l’utilità eguagliando ilsaggio marginale di sostituzione al prezzo relativo; le imprese massimizzano ilprofitto eguagliando il saggio marginale di trasformazione al prezzo relativo:

SMSx,y = px/py = SMTx,y

∀x, y ∈MRisulta pertanto soddisfatta la condizione di efficienza generale.

L’equilibrio di un mercato concorrenziale è dunque efficiente nel senso di Pareto.

Teorema 1.1 (Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere). L’e-quilibrio di un sistema di mercati concorrenziali, se esiste, è Pareto-efficiente.

Deve trattarsi di una situazione di equilibrio. Per rendersene conto lo studen-te consideri la Figura 1.10. Anche se i saggi marginali di sostituzione risultanoeguali, non essendo una situazione di equilibrio non vi è tangenza tra le curve diindifferenza: non risulta pertanto determinata un’allocazione ottima.

Il primo teorema, stabilendo l’ottimalità paretiana di qualsiasi equilibrio con-correnziale, fornisce una giustificazione normativa del meccanismo di mercatobasata sull’idea di efficienza. Il teorema riprende l’intuizione della mano invisibi-le formulata originariamente da Adam Smith (1776): l’idea cioè che il persegui-mento dell’interesse personale da parte di ogni singolo agente economico porti,attraverso l’operato di una mano invisibile, al raggiungimento di un risultato desi-derabile per l’intera collettività. In base a questa intuizione, peraltro già presentenell’elaborazione filosofica del XVIII secolo (si pensi a La favola delle api diBernard de Mandeville, del 1714), per raggiungere un risultato desiderabile perla collettività non è dunque necessario che gli agenti siano buoni o altruisti: gliegoismi individuali, guidati dal meccanismo dei prezzi di mercato, contribuisconoal raggiungimento di un risultato efficiente per l’intera collettività.

Il secondo teorema affronta un tema diverso. Si consideri la frontiera delleutilità: ogni punto su tale frontiera è ottimo nel senso di Pareto. Tuttavia, i di-versi ottimi hanno implicazioni profondamente diverse sotto il profilo dell’equitàdistributiva. In virtù del primo teorema sappiamo che il mercato concorrenziale,partendo da un dato assetto delle dotazioni iniziali, condurrà il sistema ad una al-locazione efficiente; supponiamo però che questa allocazione non sia desiderabileper ragioni di equità. E ipotizziamo esista un altro ottimo, tra quelli possibili, che

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14 CAPITOLO 1

14 CAPITOLO 1

! "# $x

j

i

y

%&&&&&&&&&&&&&&&&&&'&&&&&&&&&&&&&&&&&&(

M !

m!

A

M

! !

B

m

Figura 1.11 L’allocazione A rappresenta un equilibrio di mercato concorrenziale con ilvettore di prezzi m e la dotazione iniziale M. L’allocazione B può essere generata dalvettorem

! e la dotazioneM! .

3. Per ogni coppia di beni, i consumatori massimizzano l’utilità eguagliando ilsaggio marginale di sostituzione al prezzo relativo; le imprese massimizzano ilprofitto eguagliando il saggio marginale di trasformazione al prezzo relativo:

SMSx,y = px/py = SMTx,y

!x, y " MRisulta pertanto soddisfatta la condizione di efficienza generale.

L’equilibrio di un mercato concorrenziale è dunque efficiente nel senso di Pareto.

Teorema 1.1 (Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere). L’e-quilibrio di un sistema di mercati concorrenziali, se esiste, è Pareto-efficiente.

Deve trattarsi di una situazione di equilibrio. Per rendersene conto lo studen-te consideri la Figura 1.10. Anche se i saggi marginali di sostituzione risultanoeguali, non essendo una situazione equilibrio non vi è tangenza tra le curve diindifferenza: non risulta pertanto determinata un’allocazione ottima.

Il primo teorema, stabilendo l’ottimalità paretiana di qualsiasi equilibrio con-correnziale, fornisce una giustificazione normativa del meccanismo di mercatobasata sull’idea di efficienza. Il teorema riprende l’ intuizione della mano invi-sibile formulata originariamente da Adam Smith (1776): l’idea cioè che il per-seguimento dell’interesse personale da parte di ogni singolo agente economico

Figura 1.11 L’allocazione A rappresenta un equilibrio di mercato concorrenziale con ilvettore di prezzi m e la dotazione iniziale M. L’allocazione B può essere generata dalvettore m

′e la dotazione M

′.

risulta essere desiderabile anche in termini distributivi. Dovremo rinunciare alsistema di mercato e adottare un altro meccanismo di allocazione delle risorse innome dell’equità? Il secondo teorema risponde precisamente a questa domanda,stabilendo che, al fine di raggiungere l’allocazione desiderata, sarà sufficiente in-tervenire sulle dotazioni iniziali attraverso opportuni strumenti di redistribuzione- imposte e sussidi in somma fissa - lasciando poi che il mercato faccia il resto. Inaltre parole, il secondo teorema dimostra che ogni allocazione efficiente, e quin-di anche l’allocazione preferita sotto il profilo distributivo, può essere ottenutamediante un meccanismo di mercato decentralizzato; purchè si operi una redistri-buzione delle dotazioni iniziali attraverso imposte e sussidi in somma fissa (lumpsum).

Teorema 1.2 (Il secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere).Esiste sempre un vettore di prezzi tale che ciascuna allocazione Pareto-efficienteè un equilibrio di mercato concorrenziale, una volta assegnate le opportune do-tazioni iniziali (si veda la Figura 1.11).

I due teoremi sono di fondamentale importanza perché forniscono un quadro ana-litico e concettuale per l’analisi normativa dei meccanismi di allocazione dellerisorse. Tuttavia, la loro dimostrazione si basa su condizioni altamente irrealisti-che.

Il primo teorema assume che i mercati siano perfettamente concorrenziali eche non vi siano altre imperfezioni di mercato. In realtà i mercati sono spesso

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Il giudizio di efficienza 15

caratterizzati da insufficiente concorrenza o da altre imperfezioni (beni pubblici,esternalità, asimmetrie informative): in tutti questi casi il mercato conduce unaallocazione delle risorse inefficiente.

Il secondo teorema assume che lo Stato sia in grado di operare una redistri-buzione delle risorse attraverso imposte e sussidi in somma fissa (lump sum). Leimposte e i sussidi in somma fissa sono strumenti commisurati a fattori esogeni,cioè fuori dal controllo degli individui a cui vengono applicati: per questa ra-gione questi strumenti non generano distorsioni nei comportamenti degli agentie non violano le tre condizioni di efficienza paretiana. Un esempio è costituitoda imposte legate alle abilità individuali innate. Questo tipo di imposte, pur im-portanti come modello teorico di riferimento, nella realtà non esiste: l’autoritàpubblica non dispone delle informazioni necessarie e la tecnologia tributaria di-sponibile non permette di predisporre strumenti adeguati. In realtà, gli strumentidi redistribuzione utilizzati dal settore pubblico hanno effetti distorsivi, generanocioè perdite di efficienza. Come conseguenza, ogni intervento mirante a raggiun-gere una allocazione desiderabile sotto il profilo dell’equità comporterà dei costiin termini di efficienza. Esiste un inevitabile conflitto (trade-off ) tra obiettivi diefficienza e obiettivi di equità.

ESERCIZI

Esercizio 1.1. La Figura 1.12 rappresenta una curva delle possibilità di utilità.Le utilità dei due individui (1 e 2) sono ordinali e non confrontabili.

Indicare se le seguenti affermazioni sono vere o false.

1. Nel punto A l’individuo 2 sta meglio dell’individuo 1.

V F

2. Per l’individuo 2, A � B.

V F

3. Per l’individuo 2, B ∼ D.V F

4. Nel senso di Pareto A � B.V F

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16 CAPITOLO 1

16 CAPITOLO 1

come modello teorico di riferimento, nella realtà non esiste: l’autorità pubblicanon dispone delle informazioni necessarie e la tecnologia tributaria disponibilenon permette di predisporre strumenti adeguati. In realtà, gli strumenti di redi-stribuzione utilizzati dal settore pubblico hanno effetti distorsivi, generano cioèperdite di efficienza. Come conseguenza, ogni intervento mirante a raggiunge-re una allocazione desiderabile sotto il profilo dell’equità comporterà dei costi intermini di efficienza. Esiste un inevitabile trade-off tra obiettivi di efficienza eobiettivi di equità.

ESERCIZI

Esercizio 1.1. La Figura 1.12 rappresenta una curva delle possibilità di utilità.Le utilità dei due individui (1 e 2) sono ordinali e non confrontabili.

!

"

0

u2

G

F B

HA

CE

D

I

u1

Figura 1.12 Il criterio di Pareto.

Indicare se le seguenti affermazioni sono vere o false.1. Nel punto A l’individuo 2 sta meglio dell’individuo 1.

V F

Figura 1.12 Il criterio di Pareto.

5. Nel senso di Pareto C � B ∼ F .

V F

6. Nel senso di Pareto C non è confrontabile con I.

V F

7. Il punto A domina nel senso di Pareto tutti i punti compresi nell’area HGBFesclusi quelli sul tratto curvilineo HG.

V F

Esercizio 1.2. Individuare le situazioni efficienti nel senso di Pareto nella se-guente tabella dove A,B,C,D,E, F sono distribuzioni di benessere (u) tra treindividui (1, 2, 3)

A B C D E F

u1 70 68 72 70 100 100u2 65 70 45 60 68 60u3 70 72 30 70 100 100

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Il giudizio di efficienza 17

Esercizio 1.3. Si consideri un’economia con due beni, x ed y, e due individui,A e B. Le preferenze di A e di B sono rappresentate dalle seguenti funzioni diutilità:

UA (x, y) = log x14 + log y

UB (x, y) = log x+ log y4

da cui si deduce che le utilità marginali degli individui A e B, per i beni x e y,sono, rispettivamente:

UMA (x) =1

4x

UMA (y) =1

y

UMB (x) =1

x

UMB (y) =4

y

Si assuma inoltre che la curva di trasformazione dei beni x ed y nell’economiaabbia inclinazione costante e uguale a uno. Si considerino le seguenti allocazionidei due beni x ed y tra i due individui A e B (con xA indichiamo la quantità dibene x assegnata all’individuo A, ...):

α β γ

xA 3 2 2yA 6 8 8xB 3 2 4yB 6 8 6

Quale tra le allocazioni α, β, γ può essere un equilibrio concorrenziale?

Esercizio 1.4. Si consideri un’economia con due beni, x ed y, e due fattoriproduttivi, K e L. Le produttività marginali dei fattori K e L per i beni x e y,sono, rispettivamente:

PMx (K) =1

3K

PMx (L) =2

3L

PMy (K) =2

3K

PMy (L) =1

3L

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18 CAPITOLO 1

Attualmente, 1/2 del capitale totale e 1/2 del lavoro totale è allocato alla produ-zione di ciascun bene. Si tratta di una soluzione efficiente? Nel caso in cui nonfosse efficiente, in quale direzione dovrebbero essere riallocati i fattori al fine diottenere un miglioramento paretiano?

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CAPITOLO 2I fallimentidel mercato

Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere dice che un mercatobasato sulla proprietà privata, se in equilibrio concorrenziale, genera un’allocazio-ne delle risorse ottima nel senso di Pareto. Il secondo teorema dice che un sistemadecentralizzato di economia di mercato consente di raggiungere ogni situazionePareto ottimale che corrisponda alla desiderata distribuzione del benessere.

Presi insieme i due teoremi costituiscono le fondamenta del pensiero econo-mico liberale. Nel mondo che prefigurano, l’intervento pubblico riguarderebbe,solo ed eventualmente, la correzione delle conseguenze distributive dell’economiadi mercato e questa potrebbe avere luogo senza alcun costo in termini di efficien-za. Si tratta di un paradigma che occupa una posizione di assoluta centralità nellavoro degli economisti, l’interesse dei quali si rivolge, tuttavia, in larga prevalen-za proprio a osservare e studiare gli scostamenti del funzionamento concreto deisistemi economici rispetto al modello ideale dal quale prendono le mosse.

La teoria considera dunque, sotto il profilo positivo e normativo, da una parte,i casi in cui per il venire meno di una o più condizioni necessarie per il primoteorema, si verifica un fallimento del mercato; dall’altra, in un mondo in cui nonesistono strumenti di redistribuzione lump sum, indaga la relazione di trade off traequità ed efficienza.

Questo capitolo è dedicato ad una breve introduzione al primo aspetto. Trale numerose cause di fallimento del mercato se ne prendono qui in esame tre: lamancanza di concorrenza, le esternalità e i beni pubblici.

2.1 Mercati non concorrenzialiSe il mercato non è in condizioni di concorrenza perfetta il surplus sociale non èmassimo. Ci si limita a considerare il caso del monopolio (Figura 2.1).

Il monopolista produce la quantità qm (per la quale Rmg = Cmg) al prezzopm. Se questo mercato, anziché in monopolio, fosse stato in concorrenza perfetta,e quindi la curva Cmg fosse intesa come l’aggregazione del costo marginale dellesingole imprese concorrenziali (curva di offerta), la quantità prodotta sarebbe stataqc e il prezzo pc. In monopolio si hanno pertanto quantità minori e prezzi più alti

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20 CAPITOLO 2

20 CAPITOLO 2

!

"p

qO

A

BF

E

Cmg

RmgD

C

pm

pc

qm qc

Figura 2.1 L’equilibrio del monopolista

rispetto alla concorrenza. E’ già intuibile come questo riduca il benessere dellacollettività.

Il concetto può essere precisato considerando le variazioni del surplus. Inconcorrenza perfetta il surplus è dato dall’area CBD. In particolare l’area CBpc

rappresenta il surplus del consumatore e l’area pcBD quello del produttore. Inmonopolio il surplus del consumatore è CApm, con una riduzione pari a pmABpc

rispetto al caso concorrenziale. Il surplus del produttore è invece pmAED. Egliha guadagnato pmAFpc e ha perso FBE: dal momento che la prima area èmaggiore della seconda, il surplus del produttore risulta maggiore rispetto allaconcorrenza.

Il surplus sociale complessivo è invece minore. In monopolio è infatti pari al-l’area CAED: la perdita netta rispetto alla concorrenza è pertanto data dal trian-golo ABE. E’ questo il problema allocativo, che va tenuto distinto dall’aspettodistributivo dovuto al fatto che il surplus del produttore aumenta a danno del con-sumatore (il rettangolo pmAFpc è surplus del consumatore di cui in monopolio siappropria il produttore).

In presenza di un monopolio, vi sono due principali modi per affrontare ilproblema allocativo. La prima politica è quella di togliere di mano al privato l’im-presa monopolistica e costituire un’impresa pubblica (nazionalizzazione). C’èstata una lunga fase, in tutti i paesi industriali, in cui si è fatto un ampio ricorsoalle nazionalizzazioni. L’idea alla base dell’impresa pubblica è che lo stato, o ingenerale l’ente pubblico, possa applicare una politica dei prezzi ottimale, perchéè in grado di rinunciare alla massimizzazione del profitto a favore di quella delsurplus sociale.

Da alcuni decenni si è entrati in una fase completamente diversa rispetto a

Figura 2.1 L’equilibrio del monopolista

rispetto alla concorrenza. E’ già intuibile come questo riduca il benessere dellacollettività.

Il concetto può essere precisato considerando le variazioni del surplus. Inconcorrenza perfetta il surplus è dato dall’area CBD. In particolare l’area CBpcrappresenta il surplus del consumatore e l’area pcBD quello del produttore. Inmonopolio il surplus del consumatore èCApm, con una riduzione pari a pmABpcrispetto al caso concorrenziale. Il surplus del produttore è invece pmAED. Egliha guadagnato pmAFpc e ha perso FBE: dal momento che la prima area èmaggiore della seconda, il surplus del produttore risulta maggiore rispetto allaconcorrenza.

Il surplus sociale complessivo è invece minore. In monopolio è infatti pari al-l’area CAED: la perdita netta rispetto alla concorrenza è pertanto data dal trian-golo ABE. E’ questo il problema allocativo, che va tenuto distinto dall’aspettodistributivo dovuto al fatto che il surplus del produttore aumenta a danno del con-sumatore (il rettangolo pmAFpc è surplus del consumatore di cui in monopolio siappropria il produttore).

In presenza di un monopolio, vi sono due principali modi per affrontare ilproblema allocativo. La prima politica è quella di togliere di mano al privato l’im-

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I fallimenti del mercato 21

presa monopolistica e costituire un’impresa pubblica (nazionalizzazione). C’èstata una lunga fase, in tutti i paesi industriali, in cui si è fatto un ampio ricorsoalle nazionalizzazioni. L’idea alla base dell’impresa pubblica è che lo stato, o ingenerale l’ente pubblico, possa applicare una politica dei prezzi ottimale, perchéè in grado di rinunciare alla massimizzazione del profitto a favore di quella delsurplus sociale.

Da alcuni decenni si è entrati in una fase completamente diversa rispetto aquella delle nazionalizzazioni. A partire dagli anni ’80 del ventesimo secolo, inmolti paesi industriali si sono restituite ai privati molte attività (privatizzazioni)passate decenni prima in mano pubblica. In questo caso si è fatto ricorso allaseconda delle possibili risposte al problema dell’inefficienza allocativa del mo-nopolio, la regolamentazione dell’impresa privata. Con la regolamentazione, lostato instaura con l’impresa privata un rapporto contrattuale che, in linea di prin-cipio, può essere congeniato in modo tale da indurlo alla scelta dei prezzi e dellequantità socialmente desiderabili.

2.2 Le esternalitàNelle economie di mercato le scelte degli agenti economici, individui e imprese,si riflettono in variazioni dei prezzi, le quali inducono ulteriori modifiche nellescelte. Se il meccanismo di mercato è di tipo concorrenziale e non ci sono imper-fezioni, il vettore dei prezzi di equilibrio riflette correttamente il valore marginaledei benefici e dei costi di tutti i beni scambiati.

Tuttavia, esistono relazioni di interdipendenza tra gli agenti che non si riflet-tono in variazioni dei prezzi e delle quali pertanto i singoli agenti non tengonoconto nel proprio calcolo di convenienza.

Esempio 2.1. La decisione di effettuare un viaggio usando l’automobile dipen-derà dalla valutazione che il singolo compie dei costi e dei benefici che la propriascelta gli procura. Tra i costi egli terrà conto di quanto paga di carburante, dellespese di ammortamento e di manutenzione del veicolo, del valore che attribuisceal tempo che il viaggio occuperà. Non considererà invece i costi che impone aglialtri, ma per i quali il mercato non lo chiama a pagare: per esempio, le emissioniinquinanti e il proprio contributo alla congestione del traffico, che alza il tempo delviaggio per tutti gli automobilisti. Si tratta di effetti esterni negativi o esternalitànegative.

Definizione 2.1 (Esternalità negative). Si hanno esternaltà negative quando lascelta di un agente economico comporta costi per altri agenti economici senzache egli debba pagare loro alcuna compensazione.

Esempio 2.2. Nel decidere se e in che misura procedere al restauro della facciatadi un edificio di interesse artistico nel centro storico di una città, il proprietarioconfronterà il piacere e la soddisfazione che ne trarrà con i costi che dovrà soste-nere. Non considererà invece i benefici che procurerà agli altri fruitori del centrostorico, ma per i quali il mercato non gli consente di chiedere un corrispettivo. Sitratta di un effetto esterno positivo o esternalità positiva.

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22 CAPITOLO 2

Definizione 2.2 (Esternalità positive). Si hanno esternalità positive quando lascelta di un agente economico comporta benefici per altri agenti economici senzache egli riceva alcuna compensazione.

Possiamo allora formulare una definzione generale di esternalità.

Definizione 2.3. Le esternalità sono fenomeni di interdipendenza tra le funzioni diutilità e/o di produzione che, non realizzandosi attraverso lo scambio, non dannoluogo a compensazioni monetarie tra gli agenti economici.

In altre parole, si è in presenza di una esternalità tutte le volte che le sceltedi un agente economico producono effetti sul benessere di almeno un altro agenteeconomico (e cioè ne influenzano l’utilità o il profitto) al di fuori del meccanismodi mercato.

2.2.1 Esternalità e allocazione efficiente delle risorseIn presenza di esternalità, l’allocazione delle risorse generata in equilibrio da unmercato concorrenziale non è efficiente in senso paretiano. Infatti, il sistema deiprezzi che regola il funzionamento delle economie di mercato concorrenziali nonfornisce agli agenti economici segnali corretti sui costi e sui benefici associa-ti all’impiego delle risorse e, pertanto, non consente che il perseguimento dellamassimizzazione del benessere individuale da parte dei singoli agenti economicirisulti, in equilibrio, nella massimizzazione del benessere sociale.

Vediamo perché.Ogni agente economico razionale persegue la massimizzazione del proprio

benessere compiendo scelte che, al margine, assicurano l’uguaglianza tra beneficie costi privati (benefici e costi che per ogni agente economico sono associati allasua scelta individuale):

Bpmg = Cpmg (2.1)

D’altra parte la massimizzazione del benessere sociale richiede che, al mar-gine, i benefici sociali siano uguali ai costi sociali:

Bsmg = Csmg (2.2)

In assenza di esternalità vi è coincidenza tra benefici e costi marginali privatie benefici e costi marginali sociali

Bpmg = Bs

mg e Cpmg = Csmg (2.3)

e quindi:

Bpmg = Cpmg ⇔ Bs

mg = Csmg (2.4)

In presenza di esternalità, le scelte individuali producono benefici (costi) pri-vati e benefici (costi) esterni. I benefici e costi sociali sono quindi la somma dibenefici e costi privati ed esterni:

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I fallimenti del mercato 23

Bsmg = Bp

mg +Besmg e Csmg = Cpmg + Cesmg (2.5)

La massimizzazione del benessere sociale richiede quindi che sia verificatala seguente uguaglianza:

Bpmg +Bes

mg = Cpmg + Cesmg ⇔ Bsmg = Csmg (2.6)

Per definizione, benefici e costi esterni non influenzano i termini in cui avvie-ne lo scambio nei mercati concorrenziali e quindi in presenza di effetti esterni gliagenti economici razionali continuano a fare le loro scelte in modo da realizzareal margine solo l’uguaglianza tra benefici e costi privati, ma questa non implicapiù l’uguaglianza tra benefici e costi sociali.

Tipicamente le scelte individuali producono effetti esterni in due situazioni:

• in presenza di fenomeni di consumo congiunto o produzione congiunta;• in presenza di risorse di proprietà comune.

2.2.2 Esternalità dovute a fenomeni di consumo congiunto o produ-zione congiunta

Consideriamo il caso di una esternalità unilaterale positiva derivante da consumocongiunto.

Sia data un’economia nella quale si producono solo due beni y e x e ci sonosolo due individui i e j. I beni sono interamente consumati dai due individui e leloro preferenze sono definite nel modo seguente:

U i = U i(xi, yi) (2.7)

U j = U j(xj , xi, yj) (2.8)

xi è la quantità del bene x consumata dall’individuo i ecc.

aU j

axi> 0 definisce l’effetto esterno positivo che il consumo del bene x da parte

dell’individuo i produce sul benessere di j.La perdita di benessere associata all’equilibrio concorrenziale nel mercato

del bene x è illustrata nella Figura 2.2.La curva di domanda per il bene x da parte dell’individuo i è la curva del

beneficio marginale privatoBpmg(Bi

mg,xi) che i deriva dal consumo di x. La curvadel beneficio marginale che j deriva dal consumo di x da parte di i è la curva delbeneficio marginale esterno Bes

mg(Bjmg,xi) associata al consumo di x da parte di i.

Per ogni valore di xi la curva del beneficio marginale sociale è la somma verticaledelle curve Bp

mg e Besmg, che corrisponde a Bi

mg,xi +Bjmg,xi .

Il prezzo p è il prezzo di equilibrio concorrenziale ed è quindi pari al costocosto marginale privato (Cpmg). Dato p, l’individuo i sceglie la quantità di x in

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24 CAPITOLO 224 CAPITOLO 2

Bmgxj

! !

""

xjxix!iO O

Bmgxi

xi

p p

Bmgixi

+ Bmgjxi

Bmgixi

Bmgjxi A

BC

x!j

Bmgjxj

Figura 2.2 Esternalità positiva derivante dal consumo congiunto di xi tra gli individui ie j.

La perdita netta di benessere associata all’equilibrio competitivo è pari alladifferenza tra il beneficio totale ed il costo totale associati alle unità di xi = x!

i !xi

(l’area ABC).In presenza di esternalità positive, in equilibrio concorrenziale si scambiano

dunque quantità di beni inferiori rispetto a quelle ottime dal punto di vista sociale.Si può mostrare che in presenza di esternalità negative, in equilibrio concor-

renziale si scambiano invece quantità di beni superiori rispetto a quelle ottime dalpunto di vista sociale.

2.2.3 Esternalità in presenza di risorse di proprietà comune

In presenza di una risorsa di proprietà comune, il costo dello sfruttamento da par-te di ciascuno individuo si ripartisce su tutti: il risultato è un uso eccessivo dellarisorsa e il suo eventuale esaurimento. Il fenomeno fu portato all’attenzione diun vasto pubblico da un articolo apparso sulla rivista Science nel 1978 [Hardin,1978], dal titolo molto significativo: “The Tragedy of the Commons“. Nell’artico-lo si faceva riferimento ai pascoli di proprietà comune. Poniamo che per ciascunpastore il beneficio di aggiungere un animale al suo gregge sia dato dal valore dimercato dell’animale. Il costo invece è dato dalle risorse consumate dall’animalediviso per il numero - molto alto in caso di proprietà comuni - dei proprietari delpascolo. Ogni pastore è così incentivato ad aggiungere animali senza limite. Il ri-sultato sarà la distruzione della proprietà comune. La parabola si applica a molterisorse ambientali.

Figura 2.2 Esternalità positiva derivante dal consumo congiunto di xi tra gli individui ie j.

corrispondenza della quale Bpmg = p e quindi Bp

mg = Cpmg. Scegliendo in questomodo i non tiene conto dei benefici esterni associati alla sua scelta e la quantità dix acquistata in equilibrio è inferiore a quella ottima dal punto di vista sociale cheè invece la quantità x∗i > xi.

La perdita netta di benessere associata all’equilibrio competitivo è pari alladifferenza tra il beneficio totale ed il costo totale associati alle unità di xi = x∗i−xi(l’area ABC).

In presenza di esternalità positive, in equilibrio concorrenziale si scambianodunque quantità di beni inferiori rispetto a quelle ottime dal punto di vista sociale.

Si può mostrare che in presenza di esternalità negative, in equilibrio concor-renziale si scambiano invece quantità di beni superiori rispetto a quelle ottime dalpunto di vista sociale.

2.2.3 Esternalità in presenza di risorse di proprietà comune

In presenza di una risorsa di proprietà comune, il costo dello sfruttamento da par-te di ciascuno individuo si ripartisce su tutti: il risultato è un uso eccessivo dellarisorsa e il suo eventuale esaurimento. Il fenomeno fu portato all’attenzione diun vasto pubblico da un articolo apparso sulla rivista Science nel 1978 [Hardin,1978], dal titolo molto significativo: “The Tragedy of the Commons“. Nell’artico-lo si faceva riferimento ai pascoli di proprietà comune. Poniamo che per ciascunpastore il beneficio di aggiungere un animale al suo gregge sia dato dal valore dimercato dell’animale. Il costo invece è dato dalle risorse consumate dall’animalediviso per il numero - molto alto in caso di proprietà comuni - dei proprietari delpascolo. Ogni pastore è così incentivato ad aggiungere animali senza limite. Il ri-

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I fallimenti del mercato 25

sultato sarà la distruzione della proprietà comune. La parabola si applica a molterisorse ambientali.

2.2.4 Intervento pubblico e internalizzazione delle esternalità

L’operatore pubblico può definire politiche d’intervento dirette ad internalizzarele esternalità eliminando la perdita di efficienza.

E’ possibile distinguere tra due principali modalità di intervento pubblico.

1. L’intervento pubblico disegnato per influenzare le scelte degli agenti economicimodificando le regole che definiscono il contesto istituzionale nell’ambito delquale si svolge lo scambio.Potrà trattarsi dell’assegnazione dei diritti di proprietà nei contesti dove l’ineffi-cienza si produce a causa della loro mancata definizione, oppure della fissazio-ne di limiti esogeni all’attività di consumo o produzione degli agenti economici(regolamentazione).

2. L’intervento pubblico disegnato per influenzare le scelte degli agenti economi-ci attraverso strumenti che incidono sulla formazione dei prezzi di equilibrio,come le imposte e i sussidi.1

2.3 I beni pubblici

2.3.1 Rivalità ed escludibilità

Possiamo classificare i beni secondo due caratteristiche: la rivalità e l’escludibi-lità.

La rivalità

Definizione 2.4. La rivalità è data dalla misura in cui il consumo del bene daparte di un individuo riduce la quantità di cui altri possono disporre.

Si ha rivalità piena quando il consumo di un individuo riduce dello stessoammontare quanto gli altri possono consumare. Si ha non rivalità piena (rivalitànulla) quando la quantità che altri possono consumare non si riduce affatto. Sihanno, infine, casi intermedi (rivalità non piena) quando la quantità che altri pos-sono consumare di riduce, ma in misura inferiore a quanto consumato dal primoindividuo.

Esempio 2.3. Se nell’aula un posto a sedere è occupato da uno studente, non puòessere occupato da un altro: la rivalità è piena.

1Per l’uso delle imposte come strumento correttivo delle esternalità si rinvia lo studente aLongobardi [2009], Cap.10.

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26 CAPITOLO 2

Esempio 2.4. Il fatto che uno studente ascolti il docente che parla, non riduceaffatto la possibilità che altri lo ascoltino: la rivalità è nulla.

Frequentemente il grado di rivalità dipende dal livello della domanda rispettoalla capacità di soddisfarla, cioè dal livello di congestione.

Esempio 2.5. Se l’aula è molto affollata, la presenza di un ulteriore studente puòridurre le capacità di ascolto degli altri: la misura della rivalità dipende dal gradodi congestione.

L’escludibilità

Definizione 2.5. L’escludibilità è la possibilità di evitare che una volta che ilbene è reso disponibile ad un individuo, ogni altro individuo possa liberamenteaccedere al consumo.

Esempio 2.6. La lezione è un bene escludibile perchè si può condizionare l’ac-cesso all’aula, per esempio al pagamento di un corrispettivo. Invece una volta chelo studente è in aula non si può impedirgli di ascoltare: la lezione diventa nonescludibile.

L’escludibilità dipende dalla tecnologia ed è pertanto variabile nel tempo. Letrasmissioni televisive sono oggi escludibili, come ben sappiamo, ma non lo eranoqualche decina di anni fa, quando erano trasmesse solo via etere e non esistevanosistemi per criptare il segnale.

2.3.2 Beni privati, beni pubblici, beni misti

Definizione 2.6. Il bene privato puro è (pienamente) rivale ed escludibile. Il benepubblico puro è (pienamente) non rivale e non escludibile.

Il mercato può fornire beni privati perché, in quanto escludibili, possono esse-re venduti. Non così i beni pubblici: nessuna impresa privata produrrà un bene perla cui fornitura, non essendo escludibile, non può essere chiesto un corrispettivo.

Nel caso dei beni pubblici il razionamento del consumo tramite il sistema deiprezzi non solo è impossibile ma sarebbe anche inefficiente.

2.3.3 La quantità ottima di bene pubblico

La figura 2.3 illustra la costruzione della domanda di mercato nel caso di un beneprivato. Si suppone un’economia formata da due soli individui. A ciascun prezzo,ognuno dei due individui sceglie la quantità alla quale il prezzo è eguale al bene-ficio marginale. La quantità complessiva domandata è data, ad ogni determinatoprezzo, dalla somma delle quantità scelte dai due individui (somma orizzonta-le). In equilibrio concorrenziale si ha eguaglianza tra il beneficio marginale (diciascuno dei due) e il costo marginale.

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I fallimenti del mercato 27

I fallimentidel mercato 27

!

""

! !

individuo j

Bmg

equilibrio di mercato

xi xj xi + xj

Bimg Bj

mgindividui i e j"

"

!

Bmg

o

Bimg = Bj

mg = Cmg

oo

p!

Cmg

individuo i

o

xi + xjq!

Figura 2.3 Il bene privato: costruzione della curva di domanda ed equilibrio di mercato

corrispondenza della quale il costo marginale è eguale alla somma dei benefici2.Generalizzando ad n individui:

B1mg + B2

mg + ... + Bnmg =

n!

i=1

Bimg = Cmg

Il problema del free rider Ogni soggetto razionale sa che nel caso un bene pub-blico venga fornito, egli ne può godere senza limitazioni, perché non c’è rivalitànel consumo, e il suo accesso al bene non può essere subordinato al pagamentodi un corrispettivo, perché non c’è escludibilità. Egli non avrà alcun interesse arivelare le proprie preferenze per il bene pubblico: ognuno cercherà di non pagaree fare in modo che paghino gli altri. Questo comportamento, che viene chiama-to del free rider, produce una produzione sub-ottimale o addirittura la mancataproduzione del bene pubblico.

2Confrontando la 2.4 con la 2.2 lo studente noti come i beni pubblici possano essere consideratiuna forma estrema di esternalità reciproca derivante dal consumo congiunto.

Figura 2.3 Il bene privato: costruzione della curva di domanda ed equilibrio di mercato

La figura 2.4 illustra invece la costruzione della domanda di mercato nel ca-so di un bene pubblico. Ogni quantità di bene pubblico (G) è a disposizione deidue individui nella stessa misura (per quale proprietà del bene pubblico?). Il be-neficio totale è dato, ad ogni determinata quantità, dalla somma dei benefici deidue individui (somma verticale). La quantità ottima di bene pubblico è quella incorrispondenza della quale il costo marginale è eguale alla somma dei benefici.2Generalizzando ad n individui:

B1mg +B2

mg + ...+Bnmg =

n∑

i=1

Bimg = Cmg

Il problema del free rider Ogni soggetto razionale sa che nel caso un bene pub-blico venga fornito, egli ne può godere senza limitazioni, perché non c’è rivalitànel consumo, e il suo accesso al bene non può essere subordinato al pagamentodi un corrispettivo, perché non c’è escludibilità. Egli non avrà alcun interesse arivelare le proprie preferenze per il bene pubblico: ognuno cercherà di non pagaree fare in modo che paghino gli altri. Questo comportamento, che viene chiama-to del free rider, produce una produzione sub-ottimale o addirittura la mancataproduzione del bene pubblico.

2Confrontando la 2.4 con la 2.2 lo studente noti come i beni pubblici possano essere consideratiuna forma estrema di esternalità reciproca derivante dal consumo congiunto.

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28 CAPITOLO 2

28 CAPITOLO 2

!

"

!

!

GBi

mg + Bjmg

G

individuo j

G

!

Bimg

individui i e j

o

"

Bjmg

"

individuo i

Bimg + Bj

mg

o

Cmg

G

o

G!

o

"

Bimg + Bj

mg = Cmg

la quantità ottima

Figura 2.4 Il bene pubblico: costruzione della curva di domanda e determinazione dellaquantità ottima

ESERCIZI

Esercizio 2.1. Un monopolista fronteggia una curva di domanda inversaP = 14 ! Q (2.9)

ed ha un costo marginaleCmg = 2 + 2Q (2.10)

Determinare la perdita secca di efficienza imputabile al monopolio.

Figura 2.4 Il bene pubblico: costruzione della curva di domanda e determinazione dellaquantità ottima

ESERCIZI

Esercizio 2.1. Un monopolista fronteggia una curva di domanda inversa

P = 14−Q (2.9)

ed ha un costo marginaleCmg = 2 + 2Q (2.10)

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I fallimenti del mercato 29

Determinare la perdita secca di efficienza imputabile al monopolio.

Esercizio 2.2. L’individuo a ha la seguente curva di beneficio marginale rispet-to al proprio consumo di un bene x:

Bamg = 12− 1.5xa (2.11)

Un individuo b trae beneficio dal consumo di x da parte di a secondo la seguentefunzione:

Bbmg = 4− 0.5xa (2.12)

Supposto che il prezzo di mercato del bene sia pari a 6, determinare:

1. la quantità di x scelta da a;2. la quantità di x socialmente ottima;3. la perdita di benessere imputabile all’esternalità.

Esercizio 2.3. Le curve di disponibilità a pagare di due individui (a e b) per unbene publico siano

Bamg = 3− 0.75Q (2.13)

Bbmg = 7− 1.75Q (2.14)

Il costo marginale di produzione del bene pubblico sia

Cmg = 5 (2.15)

Determinare

1. la quantità ottimale di bene pubblico;2. il surplus totale in corrispondenza della quantità ottimale.

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CAPITOLO 3Scelta sociale

3.1 La massimizzazione del benessere sociale

Ciascun punto sulla frontiera delle utilità comporta una diversa distribuzionedel benessere. Il problema è quello della scelta dell’ottimo tra gli ottimi.

Se si assume di poter attribuire alla collettività un ordinamento di preferenze suidiversi stati del mondo e se tale ordinamento è continuo e transitivo, esso puòessere rappresentato da una funzione (la funzione del benessere sociale, FBS),che svolge lo stesso ruolo della funzione di utilità nella rappresentazione degliordinamenti di preferenza individuali. Dalla FBS può essere derivata una mappadi curve di indifferenza sociali: a ogni curva è associato il medesimo livello dibenessere sociale.

La scelta sociale ottima è quella che massimizza la FBS sotto il vincolo dellafrontiera delle utilità. Essa è data dal punto di tangenza tra la frontiera delle utilitàe una curva d’indifferenza sociale (Figura 3.1).

3.2 Le funzioni del benessere socialeUna formulazione molto generale di FBS è basata su seguenti tre giudizi di valore“deboli”, vale a dire sui quali si ritiene possa esservi un ampio accordo: wel-farismo, individualismo (o “sovranità” del consumatore), principio (debole) delPareto.

1. Welfarismo.Gli argomenti della FBS sono le utilità dei singoli individui:

W = f(u1, u2, u3, . . . , un) (3.1)

dove W rappresenta il benessere sociale in una collettività di n individui.Questa ipotesi, per quanto sia ancora largamente dominante, è stata messa indiscussione dagli sviluppi del dibattito teorico dell’ultimo ventennio. Il puntodi partenza è stato un saggio di Sen [1977]. Sen notava come il welfarismo malsi conciliasse con alcuni valori largamente accolti nelle società contemporanee.Il principio di libertà, per esempio, non poggia su valutazioni di benessere, ma

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32 CAPITOLO 3

32 CAPITOLO 3

!

"

0 u1

u2

W !

Figura 3.1 Il problema della massimizzazione del benessere sociale. Il punto di massimobenessere sociale, W !, è dato dalla tangenza tra la frontiera delle utilità e una curva diindifferenza sociale.

sul riconoscimento che certe scelte vanno lasciate integralmente nel dominiodei singoli individui. Anche il principio di giustizia distributiva, qualora vengadefinito in termini di caratteristiche diverse dal benessere (reddito, ricchezza,livello di istruzione, opportunità di scelta, trattamento di fronte alla legge ecc.)non trova spazio in un approccio welfarista.

2. Individualismo o sovranità del consumatoreL’utilità dei singoli individui è valutata in base al giudizio degli interessati.Un approccio alternativo è costituito dal paternalismo, con il quale un giudizio“collettivo” si sostituisce a quello individuale.Nelle società moderne, politiche orientate da criteri paternalistici sembrano am-piamente diffuse: si impongono divieti e obblighi, si incentivano determinaticomportamenti, se ne sanzionano altri. Si pensi, per limitarsi a qualche esem-pio, alla tassazione dei consumi nocivi (fumo, alcol); agli obblighi imposti inmateria di assicurazione, di previdenza, di livelli minimi di istruzione; a quelliin campo sanitario, come l’obbligo di vaccinazione. Questa può tuttavia ri-sultare una conclusione affrettata, perché quasi sempre queste misure possonoessere anche motivate, o quanto meno razionalizzate a posteriori, dalla presenzadi esternalità negative.

3. Principio debole del ParetoIl benessere sociale cresce o al più rimane costante quando aumenta una soladelle utilità individuali, ferme restando le altre.In simboli:

Figura 3.1 Il problema della massimizzazione del benessere sociale. Il punto di massimobenessere sociale, W ∗, è dato dalla tangenza tra la frontiera delle utilità e una curva diindifferenza sociale.

sul riconoscimento che certe scelte vanno lasciate integralmente nel dominiodei singoli individui. Anche il principio di giustizia distributiva, qualora vengadefinito in termini di caratteristiche diverse dal benessere (reddito, ricchezza,livello di istruzione, opportunità di scelta, trattamento di fronte alla legge ecc.)non trova spazio in un approccio welfarista.

2. Individualismo o sovranità del consumatoreL’utilità dei singoli individui è valutata in base al giudizio degli interessati.Un approccio alternativo è costituito dal paternalismo, con il quale un giudizio“collettivo” si sostituisce a quello individuale.Nelle società moderne, politiche orientate da criteri paternalistici sembrano am-piamente diffuse: si impongono divieti e obblighi, si incentivano determinaticomportamenti, se ne sanzionano altri. Si pensi, per limitarsi a qualche esem-pio, alla tassazione dei consumi nocivi (fumo, alcol); agli obblighi imposti inmateria di assicurazione, di previdenza, di livelli minimi di istruzione; a quelliin campo sanitario, come l’obbligo di vaccinazione. Questa può tuttavia ri-

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Scelta sociale 33

sultare una conclusione affrettata, perché quasi sempre queste misure possonoessere anche motivate, o quanto meno razionalizzate a posteriori, dalla presenzadi esternalità negative.

3. Principio debole del ParetoIl benessere sociale cresce o al più rimane costante quando aumenta una soladelle utilità individuali, ferme restando le altre.In simboli:

∂W/∂ui ≥ 0, ∀i ∈ {1, . . . , n} (3.2)

(Come va modificata la (3.2) per definire il principio (forte) del Pareto comeè stato definito nel primo capitolo?)Una FBS che rispetti le tre proprietà finora introdotte è importante come schemaanalitico, ma piuttosto povera di indicazioni concrete di politica economica. Inparticolare, mancando completamente considerazioni di carattere distributivo, unaFBS di questo tipo è del tutto inadeguata a risolvere i problemi di trade-off traefficienza ed equità. Per poter trattare aspetti distributivi, è necessario introdurreun quarto giudizio di valore.

4 La disuguaglianza non è un “bene”.Se si riduce il grado di disuguaglianza nella distribuzione delle utilità indivi-duali, il benessere sociale non diminuisce (cresce o, al più, rimane costante).In termini analitici, questo significa imporre la condizione che la FBS sia con-cava nelle utilità individuali:

∂2W/∂u2i ≤ 0, ∀i ∈ {1, . . . , n} (3.3)

Quando ∂2W/∂u2i < 0 (FBS strettamente concava, curve di indifferenza socialistrettamente convesse), si ha avversione alla disuguaglianza.Quando invece ∂2W/∂u2i = 0 (FBS lineare, curve di indifferenza sociali linea-ri) si ha neutralità rispetto alla disuguaglianza.Nella Figura 3.2, date le due curve di indifferenza strettamente convesse I e II ,il puntoC, di tangenza della curva di indifferenza I con una retta inclinata nega-tivamente a 45o, che ha una distribuzione del benessere più equilibrata, risultasocialmente preferito al punto A (e al punto B), pur essendo eguale l’utilitàcomplessiva (trovandsi A e B sulla retta a −45o tangente a C). Di converso, ilpunto D, pur rappresentando una somma delle utilità minore rispetto ai punti Ae B, risulta loro indifferente: la minore disuguaglianza “compensa”, nella valu-tazione sociale, il minore benessere aggregato. Maggiore il grado di avversionealla disuguaglianza, maggiore sarà la convessità delle curve di indifferenza.Nel caso di neutralità rispetto alla disuguaglianza, invece, l’ordinamento di pre-ferenze sociali non risulta influenzato dal grado di disuguaglianza nella distri-buzione delle utilità. Nella Figura 3.3 sulla curva di indifferenza di indice W4,per esempio, nel punto A, che rappresenta una distribuzione che favorisce intermini relativi l’individuo 2, il benessere sociale è eguale a quella del puntoB, che è invece più favorevole all’individuo 1, e a quella del punto C dove ladistribuzione del benessere è più equilibrata.

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34 CAPITOLO 3

Scelta sociale 33

!

u1

u2

0"

AII

I

D

B

C

Figura 3.2 Curve di indifferenza sociali strettamente convesse implicano avversione neiconfronti delle diseguaglianza.

!W/!ui ! 0,"i # {1, . . . , n} (3.2)

(Come va modificata la (3.2) per definire il principio (forte) del Pareto comeè stato definito nel primo capitolo?)Una FBS che rispetti le tre proprietà finora introdotte è importante come schemaanalitico, ma piuttosto povera di indicazioni concrete di politica economica. Inparticolare, mancando completamente considerazioni di carattere distributivo, unaFBS di questo tipo è del tutto inadeguata a risolvere i problemi di trade-off traefficienza ed equità. Per poter trattare aspetti distributivi, è necessario introdurreun quarto giudizio di valore.

4 La disuguaglianza non è un “bene”.Se si riduce il grado di disuguaglianza nella distribuzione delle utilità indivi-duali, il benessere sociale non diminuisce (cresce o, al più, rimane costante).In termini analitici, questo significa imporre la condizione che la FBS sia con-cava nelle utilità individuali:

!2W/!u2i $ 0, "i # {1, . . . , n} (3.3)

Quando !2W/!u2i < 0 (FBS strettamente concava, curve di indifferenza sociali

strettamente convesse), si ha avversione alla disuguaglianza.Quando invece !2W/!u2

i = 0 (FBS lineare, curve di indifferenza sociali linea-ri) si ha neutralità rispetto alla disuguaglianza.

Figura 3.2 Curve di indifferenza sociali strettamente convesse implicano avversione neiconfronti delle diseguaglianza.

Una FBS la quale rispetti le 4 proprietà finora introdotte rifletterà sia considera-zioni di carattere allocativo (attraverso il principio di Pareto) sia considerazioni dicarattere distributivo (attraverso il principio di avversione alla disuguaglianza).

La classe delle FBS che rispettano le quattro proprietà Guardando alla Figu-ra 3.4 possiamo delimitare lo spazio delle curve di indifferenza sociale generateda FBS che rispettano le quattro proprietà.

Si consideri il punto A posto sulla bisettrice. Esso rappresenta la soluzioneegualitaria: i due individui godono dello stesso livello di benessere.

Un curva di indifferenza sociale passante per A non potrà attraversare le areea e b, perché, se così fosse, non si rispetterebbe il principio debole di Pareto.D’altra parte, l’ipotesi di avversione/neutralità alla disuguaglianza esclude cheuna curva di indifferenza passante per A possa tagliare le aree c e d (perché inquesto caso si tratterebbe di una curva di indifferenza strettamente concava).

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Scelta sociale 35

34 CAPITOLO 3

D

u2

W1

W3

u10

W2

W4

!

"

A

B

C

Figura 3.3 Curve di indifferenza sociali lineari implicano neutralità rispetto alladisuguaglianza.

Nella Figura 3.2, date le due curve di indifferenza strettamente convesse I eII , il punto C , di tangenza della curva di indifferenza I con una retta inclina-ta negativamente a 45o, che ha una distribuzione del benessere più equilibrata,risulta socialmente preferito al punto A (e al puntoB), pur essendo eguale l’uti-lità complessiva (trovandsi A eB sulla retta a 45o tangente a C). Di converso, ilpuntoD, pur rappresentando una somma delle utilità minore rispetto ai punti AeB, risulta loro indifferente: la minore disuguaglianza “compensa”, nella valu-tazione sociale, il minore benessere aggregato. Maggiore il grado di avversionealla disuguaglianza, maggiore sarà la convessità delle curve di indifferenza.Nel caso di neutralità rispetto alla disuguaglianza, invece, l’ordinamento di pre-ferenze sociali non risulta influenzato dal grado di disuguaglianza nella distri-buzione delle utilità. Nella Figura 3.3 sulla curva di indifferenza di indice W4,per esempio, nel punto A, che rappresenta una distribuzione che favorisce intermini relativi l’individuo 2, il benessere sociale è eguale a quella del puntoB, che è invece più favorevole all’individuo 1, e a quella del punto C dove ladistribuzione del benessere è più equilibrata.

Una FBS la quale rispetti le 4 proprietà finora introdotte rifletterà sia considera-zioni di carattere allocativo (attraverso il principio di Pareto) sia considerazioni dicarattere distributivo (attraverso il principio di avversione alla disuguaglianza).

La classe delle FBS che rispettano le quattro proprietà Guardando alla Figu-ra 3.4 possiamo delimitare lo spazio delle curve di indifferenza sociale generate

Figura 3.3 Curve di indifferenza sociali lineari implicano neutralità rispetto alladisuguaglianza.

Lo spazio delle curve di indifferenza sociale, passanti per A, che rispettanosia il principio debole di Pareto sia l’ipotesi di avversione/neutralità alla disu-guaglianza sarà allora quello composto dall’unione delle aree e e f , compresii contorni. I contorni assumono un significato ben preciso: quello inferiore (ilsegmento AB) rappresenta infatti una curva di indifferenza sociale derivata dauna FBS utilitarista; quello superiore (la L che poggia nel punto A) una curvaderivata da una FBS rawlsiana. Studiamo allora queste due ipotesi.

3.2.1 La funzione del benessere sociale utilitaristaIl benessere sociale è dato dalla somma delle utilità individuali:

W = u1 + u2 + u3 + · · ·+ un =∑n

i=1 ui

Requisiti informativi:

1. Misurabilità cardinale delle utilità individuali.2. Confrontabilità degli stati di benessere individuali.

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36 CAPITOLO 3

Scelta sociale 35

u2

a

FBS utilitarista

FBS rawlsiana

!"

u1

b

e

d

c

f

A

"

FBS con le quattro proprieta!"

"

Figura 3.4 Le aree E e F , compresi i contorni, compongono lo spazio delle curve diindifferenza generate da FBS che rispettano le quattro proprietà.

da FBS che rispettano le quattro proprietà.Si consideri il punto A posto sulla bisettrice. Esso rappresenta la soluzione

egualitaria: i due individui godono dello stesso livello di benessere.Un curva di indifferenza sociale passante per A non potrà attraversare le aree

a e b, perché, se così fosse, non si rispetterebbe il principio debole di Pareto.D’altra parte, l’ipotesi di avversione/neutralità alla disuguaglianza esclude cheuna curva di indifferenza passante per A possa tagliare le aree c e d (perché inquesto caso si tratterebbe di una curva di indifferenza strettamente concava).

Lo spazio delle curve di indifferenza sociale, passanti per A, che rispettanoinsieme sia il principio debole di Pareto sia l’ipotesi di avversione/neutralità alladisuguaglianza sarà allora quello composto dall’unione delle aree e e f , compresii contorni. I contorni assumono un significato ben preciso: quello inferiore (ilsegmento AB) rappresenta infatti una curva di indifferenza sociale derivata dauna FBS utilitarista; quello superiore (la L che poggia nel punto A) una curvaderivata da una FBS rawlsiana. Studiamo allora queste due ipotesi.

3.2.1 La funzione del benessere sociale utilitaristaIl benessere sociale è dato dalla somma delle utilità individuali:

W = u1 + u2 + u3 + · · · + un =!n

i=1 ui

Requisiti informativi:

Figura 3.4 Le aree E e F , compresi i contorni, compongono lo spazio delle curve diindifferenza generate da FBS che rispettano le quattro proprietà.

Le curve di indifferenza sociali derivate da una funzione del benessere utilitaristasaranno lineari e inclinate negativamente a 45o (come quelle rappresentate nellaFigura 3.3): lungo ogni curva la somma delle utilità è costante.

Si tratta dunque di neutralità rispetto alla disuguaglianza. Ciononostante l’u-tilitarismo, come filosofia politica, ha svolto storicamente un ruolo molto impor-tante nell’influenzare in senso egualitario le politiche sociali.

In effetti, la neutralità rispetto alla disuguaglianza nelle utilità non implicaneutralità rispetto alla disuguaglianza nei redditi (o nella ricchezza). Occorrespecificare il legame tra reddito e utilità individuale. Se si assume che l’utili-tà marginale del reddito sia decrescente al crescere del reddito (Figura 3.5), laneutralità rispetto alla disuguaglianza nelle utilità implica avversione rispetto alladisuguaglianza nei redditi.

Nella Figura 3.6 si ipotizzano due individui (Ricco e Povero) con la stessafunzione di utilità marginale del reddito. Nella situazione iniziale Ricco ha unreddito OF , Povero un reddito OI . Se con un’imposta si sottrae a Ricco unaquantità di reddito pari a GF e la si trasferisce a Povero con un sussidio(IH = GF ), l’utilità totale del primo si riduce dell’area DEFG, mentre l’utilitàtotale del secondo cresce dell’area BCHI: la somma delle utilità aumenta.

La redistribuzione di risorse dai “ricchi” ai “poveri” farà aumentare il be-nessere sociale, nel senso dell’utilitarismo, fino a che tutti non avranno lo stesso

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Scelta sociale 3736 CAPITOLO 3

!

"

!

"Y

uT umg

Y

Figura 3.5 Una funzione di utilità totale del reddito strettamente concava (parte sinistradella figura) dà luogo a una funzione di utilità marginale del reddito decrescente (partedestra della figura).

1. Misurabilità cardinale delle utilità individuali.2. Confrontabilità degli stati di benessere individuali.A rigore è sufficiente un tipo di confrontabilità parziale, chiamata confronta-bilità per unità: devono essere confrontabili le differenze tra le utilità degliindividui in diversi stati del mondo, mentre non è necessario il confronto tra ilivelli assoluti di utilità. Per esempio, dati due stati del mondo, ! e ", e dueindividui, poniamo che:

u1(!) = 6 ; u1(") = 2 e u2(!) = 2 ; u2(") = 5

Per ordinare, nel senso dell’utilitarismo, lo stato ! come superiore allo stato "(! !u ") è sufficiente sapere che:

[u1(!) " u1(")] = 4 > [u2(") " u2(!)] = 3

senza dover confrontare i livelli assoluti delle utilità dei due individui (dire,per esempio, che l’individuo 1 nello stato ! “sta meglio” dell’individuo 2 nellostato ! o nello stato ").Nel seguito, in relazione all’utilitarismo, assumero tuttavia confrontabilità pie-na.

Le curve di indifferenza sociali derivate da una funzione del benessere utilitaristasaranno lineari e inclinate negativamente a 45o (come quelle rappresentate nellaFigura 3.3): lungo ogni curva la somma delle utilità è costante.

Si tratta dunque di neutralità rispetto alla disuguaglianza. Ciononostante l’u-tilitarismo, come filosofia politica, ha svolto storicamente un ruolo molto impor-tante nell’influenzare in senso egualitario le politiche sociali.

Figura 3.5 Una funzione di utilità totale del reddito strettamente concava (parte sinistradella figura) dà luogo a una funzione di utilità marginale del reddito decrescente (partedestra della figura).

reddito (perfetta eguaglianza nella ripartizione delle risorse).Il risultato può essere generalizzato rimuovendo l’ipotesi che gli individui

abbiano la stessa funzione di utilità marginale.Invece, come si vedrà meglio, esso dipende crucialmente dall’assunzione,

implicita nell’esempio grafico, che la redistribuzione non abbia un costo (nonriduca cioè l’ammontare complessivo delle risorse da distribuire).

3.2.2 La funzione del benessere sociale rawlsiana

Un importante criterio di benessere è ispirato alla teoria della giustizia formulatada Rawls [1971], uno fra i maggiori filosofi politici contemporanei. Rawls ripren-de la tradizione della filosofia politica contrattualista e propone una visione dellagiustizia come equità, in base alla quale le istituzioni fondamentali di una socie-tà sono eque se e solo se possono essere spiegate come il frutto di un accordo(contratto sociale) firmato dai cittadini in un ipotetico stato di natura. Con questoimpianto metodologico, Rawls propone una costruzione teorica ampia ed artico-lata in cui trovano armoniosa composizione principi diversi, tra i quali: a) l’ugua-glianza dei cittadini nei diritti e nelle libertà civili e politiche; b) l’uguaglianzadi opportunità, intesa come assenza di discriminazioni ingiustificate nell’accessoai ruoli e alle carriere nella società; c) una distribuzione delle risorse in base allaquale il benessere sociale aumenta se viene migliorata (max) la posizione di chista peggio (min).

Quest’ultimo criterio distributivo, se interpretato entro l’impostazione welfa-rista da noi finora seguita, permette un confronto tra la teoria rawlsiana e i criteridi benessere utilitaristico e egualitario. Esprimendo il criterio del maximin in

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38 CAPITOLO 3

Scelta sociale 37

0

C

D

umg

E

A

FGHI!

"

B

Y

Figura 3.6 Con una FBS utilitarista, il benessere sociale cresce se si trasferisce un redditopari a FG = IH dall’individuo più ricco all’individuo più povero.

In effetti, la neutralità rispetto alla disuguaglianza nelle utilità non implicaneutralità rispetto alla disuguaglianza nei redditi (o nella ricchezza). Occorrespecificare il legame tra reddito e utilità individuale. Se si assume che l’utili-tà marginale del reddito sia decrescente al crescere del reddito (Figura 3.5), laneutralità rispetto alla disuguaglianza nelle utilità implica avversione rispetto alladisuguaglianza nei redditi.

Nella Figura 3.6 si ipotizzano due individui (Ricco e Povero) con la stessafunzione di utilità marginale del reddito. Nella situazione iniziale Ricco ha unreddito OF , Povero un reddito OI . Se con un’imposta si sottrae a Ricco unaquantità di reddito pari a GF e la si trasferisce a Povero con un sussidio(IH = GF ), l’utilità totale del primo si riduce dell’area DEFG, mentre l’utilitàtotale del secondo cresce dell’area BCHI: la somma delle utilità aumenta.

La redistribuzione di risorse dai “ricchi” ai “poveri” farà aumentare il be-nessere sociale, nel senso dell’utilitarismo, fino a che tutti non avranno lo stessoreddito (perfetta eguaglianza nella ripartizione delle risorse).

Il risultato può essere generalizzato rimuovendo l’ipotesi che gli individuiabbiano la stessa funzione di utilità marginale.

Invece, come si vedrà meglio, esso dipende crucialmente dall’assunzione,implicita nell’esempio grafico, che la redistribuzione non abbia un costo (nonriduca cioè l’ammontare complessivo delle risorse da distribuire).

Figura 3.6 Con una FBS utilitarista, il benessere sociale cresce se si trasferisce un redditopari a FG = IH dall’individuo più ricco all’individuo più povero.

termini di utilità, la funzione del benessere sociale rawlsiana risulta essere deltipo:

W = min(u1, . . . , un)

Si notino i requisiti informativi sulle utilità:

1. misurabilità ordinale;2. confrontabilità dei livelli di utilità individuali.

Le curve di indifferenza rawlsiane rappresentano la massima avversione rispettoalla diseguaglianza (Figura 3.7).La funzione di Rawls combina aspetti tipicamente egualitari con aspetti utilitaristi-ci e liberali. Il principio egualitario spiega la priorità assegnata al più povero nellavalutazione del benessere di una società; in comune con l’utilitarismo è invecela completa indifferenza del criterio rawlsiano rispetto alle disuguaglianze cheinteressano la popolazione, una volta che si sia tutelato il benessere dell’individuopiù povero. Per cogliere questi aspetti, si considerino tre distribuzioni di benessere(A,B,C) tra due individui (i, j):

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Scelta sociale 39

Scelta sociale 39

u2

IV

III

I

u1

!

"

BAII

Figura 3.7 Una mappa di curve di indifferenza generata da una FBS rawlsiana. Nelpunto A sulla curva di indifferenza di indice II l’individuo 2 è in una posizione peggiorerispetto all’individuo 1. Il movimento da A a B, che non produce alcun miglioramentoper l’individuo 2, non incrementa il benessere sociale.

noti che la distribuzione B prevede una minore somma delle utilità rispetto a C,ma anche un maggior grado di disuguaglianza rispetto ad A: il criterio di Rawlscorregge l’assoluta indifferenza rispetto alle questioni distributive, propria dei cri-teri puramente aggregativi come l’utilitarismo, non in nome di un maggior gradodi uguaglianza, ma con una attenzione alle fasce più povere nella distribuzione.Sotto un profilo prescrittivo il criterio di Rawls quindi non giustifica politiche diredistribuzione orientate alla riduzione delle disuguaglianze; piuttosto, fornisceun fondamento teorico alle politiche volte ad aumentare il benessere di chi stapeggio: le politiche di lotta alla povertà e le politiche di inclusione sociale.

3.3 Confronti tra criterio del Pareto, FBS utilitarista, FBSrawlsiana

Si consideri la Tabella 3.1:

• con il criterio del Pareto A, B e C sono non confrontabili (sono tutti punti diottimo);

• con una FBS utilitarista: [A ! B ! C]U ;• con una FBS rawlsiana: [C " A ! B]R.

Figura 3.7 Una mappa di curve di indifferenza generata da una FBS rawlsiana. Nelpunto A sulla curva di indifferenza di indice II l’individuo 2 è in una posizione peggiorerispetto all’individuo 1. Il movimento da A a B, che non produce alcun miglioramentoper l’individuo 2, non incrementa il benessere sociale.

A B C

ui 10 12 9

uj 10 20 100

L’allocazione A è quella preferita secondo l’egualitarismo (è infatti l’unica a pre-vedere una eguale distribuzione delle utilità); l’allocazione C è quella preferitasecondo l’utilitarismo; la funzione del benessere sociale di Rawls invece è massi-mizzata dalla allocazione B, in cui il più povero ha il più alto indice di utilità. Sinoti che la distribuzione B prevede una minore somma delle utilità rispetto a C,ma anche un maggior grado di disuguaglianza rispetto ad A: il criterio di Rawlscorregge l’assoluta indifferenza rispetto alle questioni distributive, propria dei cri-teri puramente aggregativi come l’utilitarismo, non in nome di un maggior gradodi uguaglianza, ma con una attenzione alle fasce più povere nella distribuzione.Sotto un profilo prescrittivo il criterio di Rawls quindi non giustifica politiche diredistribuzione orientate alla riduzione delle disuguaglianze; piuttosto, fornisce

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40 CAPITOLO 3

un fondamento teorico alle politiche volte ad aumentare il benessere di chi stapeggio: le politiche di lotta alla povertà e le politiche di inclusione sociale.

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Scelta sociale 41

ESERCIZI

Esercizio 3.1. Scrivere la funzione del benessere sociale utilitarista e quellaispirata a Rawls. Ordinare le seguenti distribuzioni di benessere.

A B C D

u1 70 68 72 72u2 50 55 55 50u3 65 100 60 65

Esercizio 3.2. Si consideri la seguente Frontiera delle utilità:

UA + 2UB = 10 (3.4)

Si individui graficamente l’allocazione ottimale (o le allocazioni ottimali) in baseai seguenti criteri:

1. Pareto2. Utilitarismo3. maximin à la Rawls4. Egualitarismo

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42

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CAPITOLO 4

Analisidella disuguaglianza

Questo capitolo è dedicato al tema delle disuguaglianze economiche e, in modoparticolare, al problema della misurazione della disuguaglianza in una di-

stribuzione delle risorse.La disuguaglianza tra le posizioni economiche dei diversi individui costitui-

sce un elemento di valutazione che, assieme al giudizio di efficienza, permettedi apprezzare la desiderabilità sociale di un dato assetto dell’economia. Oltrea essere intrinsecamente rilevante per la valutazione sociale, l’analisi della di-suguaglianza è necessaria alla comprensione di fenomeni sociali diversi, a essalegati da relazioni di tipo causale. Per esempio, ci si interroga sulla relazioneesistente tra grado di disuguaglianza e potenzialità di crescita di un’economia;tra grado di disuguaglianza (o “polarizzazione”) nella distribuzione delle risorsee possibilità di tensioni e conflitti sociali; viceversa, ci si domanda quale effettoabbia avuto la globalizzazione dell’economia mondiale sul grado di disuguaglian-za tra i paesi del mondo e all’interno dei singoli paesi. In tutti questi casi, loscienziato sociale ha la necessità di effettuare confronti tra distribuzioni sulla basedella disuguaglianza: per confrontare le economie di un intervento pubblico sulgrado di disuguaglianza in un paese, per studiare l’evolversi nel tempo della disu-guaglianza in una data economia.

Per quanto le disuguaglianze economiche tra gli individui possano manife-starsi nelle forme più varie - disuguaglianze nel grado di istruzione, nel tipo dioccupazione, nel livello di reddito e di patrimonio, nella capacità di consumo -in questa sede si assumerà che tutte queste dimensioni siano rappresentabili daun’unica variabile: il reddito. Il problema delle disuguaglianze economiche saràdunque ridotto a un problema di tipo unidimensionale: si tratterà di effettuaremisurazioni e confronti di disuguaglianza e di benessere fra diverse distribuzionidi reddito. Per semplicità, si limiterà ulteriormente l’analisi al confronto di distri-buzioni con lo stesso numero di individui. In generale, date due distribuzioni diredditi X e Y , si tratta di stabilire se la disuguaglianza in X sia maggiore, ugualeo minore della disuguaglianza in Y.

La maniera forse più elementare per valutare la disuguaglianza in una di-stribuzione consiste nel confrontare il reddito dell’individuo più povero con il

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44 CAPITOLO 4

reddito dell’individuo più ricco. Una semplice generalizzazione consiste nel con-frontare, piuttosto che l’individuo più povero con quello più ricco, il gruppo diindividui più poveri con il gruppo di individui più ricchi. Guardando per esempioall’economia mondiale nel suo complesso, si osserva che nel 1960 il 20% più ric-co della popolazione mondiale possedeva il 70,2% del reddito del mondo, mentreil 20% più povero toccava circa il 2,3%: il rapporto tra il gruppo più ricco e quellopiù povero era quindi di 30 a 1. Dopo circa 40 anni (nel 1998), il primo gruppoè giunto a disporre dell’86% delle risorse, mentre il 20% più povero è sceso al-l’uno per cento. Il rapporto tra i più ricchi e i più poveri è passato a 86 contro 1.Differenze ancora più rilevanti si osservano all’interno di singoli paesi.

Per quanto efficace e facilmente comprensibile, questo indicatore non ci dicenulla sulle posizioni intermedie. Sarebbe auspicabile utilizzare una misura cheguardasse a tutta la distribuzione, e non solo ai valori estremi.

Una modalità largamente utilizzata per rappresentare l’intera distribuzionedei redditi e per confrontare distribuzioni alternative sulla base della disuguaglian-za è basata sulla curva di Lorenz.

4.1 Ordinamenti parziali di distribuzioni del reddito

4.1.1 La curva di Lorenz

Si consideri una generica distribuzione X = (x1, x2, . . . , xN ) in cui i redditiposseduti da N individui siano stati ordinati in maniera crescente:

x1 ≤ x2 . . . ≤ xNLa curva di Lorenz della distribuzione X, LX , indica, per ogni percentuale cu-mulata di individui, la percentuale di reddito complessivo da questi posseduta. Èquindi il luogo dei punti di coordinate:

(pi,

1

T

i∑

k=1

xk

)

dove:i = 1, . . . , N ;pi = i

N ;T =

∑Nk=1 xk.

La curva di Lorenz è rappresentata nella Figura 4.1.

Esempio 4.1. Si consideri la seguente distribuzione:

X = (10, 20, 30, 40, 60)

Nella Tabella 4.1 si individuano le ascisse e le ordinate della curva di Lorenz.

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Analisi della disuguaglianza 45

Analisi della disuguaglianza 49

Perc. di reddito totale!

0

Perc.

della perfettaeguaglianza

1T

!5k=1 xk

"

Curva

!

"

di individui

!

1"

#

1/N 5/N N/N = 1

linea

di Lorenz

Figura 4.1 La curva di Lorenz.

La popolazione è costituita da cinque persone, dunque ciascuna di esse rappresentaun quinto della popolazione. Al primo 20% della popolazione è attribuito il 6.2%del reddito complessivo: dunque, come si vede nella Figura 4.2, il primo puntodella curva di Lorenz è individuato dalle coordinate (0.20; 0.062). Al secondo20% della popolazione è attribuito il 12.5% del reddito. Insieme al primo, essiformano il 40% della popolazione e posseggono il 18.7% del reddito complessi-vo: il secondo punto della curva di Lorenz sarà individuato dalle coordinate (0.40;0.187). Così via fino all’ultimo punto, in corrispondenza del quale vi è il 100%della popolazione che naturalmente possiede il 100% del redito totale. Dunque siavrà LX (0) = 0 e LX (1) = 1.

Se i redditi fossero distribuiti esattamente in parti uguali, in modo che al 20%della popolazione più povera fosse attribuito il 20% del reddito, al 40% il 40% direddito, e così via, la curva di Lorenz verrebbe a coincidere con la bisettrice delquadrato di lato uno, che dunque rappresenta la linea della perfetta uguaglianza.Nel caso opposto, quando cioé tutto il reddito fosse concentrato nelle mani di un

Tabella 4.1 La curva di Lorenz.

i xi pi = iN

!ik=1 xk L(pi) = 1

T

!ik=1 xk

1 10 0,20 10 0,0622 20 0,40 30 0,1873 30 0,60 60 0,3754 40 0,80 100 0,6255 60 1 160 1

Figura 4.1 La curva di Lorenz.

La popolazione è costituita da cinque persone, dunque ciascuna di esse rappresentaun quinto della popolazione. Il primo e il secondo 20% della popolazione, presiinsieme, formano il primo 40% della popolazione, che possiede il 18.7%. Così viafino all’ultimo punto, in corrispondenza del quale vi è il 100% della popolazioneche naturalmente possiede il 100% del reddito totale. Dunque si avrà LX (0) = 0e LX (1) = 1.

Se i redditi fossero distribuiti esattamente in parti uguali, in modo che al 20%della popolazione più povera fosse attribuito il 20% del reddito, al 40% il 40% direddito, e così via, la curva di Lorenz verrebbe a coincidere con la bisettrice delquadrato di lato uno, che dunque rappresenta la linea della perfetta uguaglianza.Nel caso opposto, quando cioé tutto il reddito fosse concentrato nelle mani di unsolo individuo, la curva di Lorenz assumerebbe un andamento ad angolo retto,coincidente con l’asse delle ascisse e con il segmento verticale di destra. Al di là

Tabella 4.1 La curva di Lorenz.

i xi pi =iN

∑ik=1 xk L(pi) =

1T

∑ik=1 xk

1 10 0,20 10 0,0622 20 0,40 30 0,1873 30 0,60 60 0,3754 40 0,80 100 0,6255 60 1 160 1

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46 CAPITOLO 4

50 CAPITOLO 4

0, 2 10, 4 0, 6 0, 8

1

0, 062

0, 375

0, 187

0

0, 625

Figura 4.2 Il caso della Tabella 4.1.

solo individuo, la curva di Lorenz assumerebbe un andamento ad angolo retto,coincidente con l’asse delle ascisse e con il segmento verticale di destra. Al di làdi questi casi polari, la curva di Lorenz rimarrà in genere al di sotto della retta diequa ripartizione, presentando una inclinazione negativa e un andamento conves-so. Quanto più la curva di Lorenz sarà vicina alla bisettrice, tanto più egualitariala distribuzione. Quanto più se ne distanzierà, tanto maggiore la disuguaglianza.

4.1.2 Ordinamento di Lorenz

Date due distribuzioni di reddito X e Y, diremo che la disuguaglianza in Y èminore della disuguaglianza in X in base al criterio di Lorenz se e solo se lacurva di Lorenz di Y giace sempre al di sopra della curva di Lorenz di X (Figura4.3). In termini analitici, definiamo l’ordinamento di Lorenz come segue.

Definizione 4.1 (Ordinamento di Lorenz). Date due distribuzioni X e Y , Y do-mina Xnel senso di Lorenz (Y !L X) se e solo se

i!k=1

yk

N!k=1

yk

"

i!k=1

xk

N!k=1

xk

per ogni i = 1, ..., N e LX #= LY

Figura 4.2 Il caso della Tabella 4.1.

di questi casi polari, la curva di Lorenz rimarrà in genere al di sotto della retta diequa ripartizione, presentando una inclinazione negativa e un andamento conves-so. Quanto più la curva di Lorenz sarà vicina alla bisettrice, tanto più egualitariala distribuzione. Quanto più se ne distanzierà, tanto maggiore la disuguaglianza.

4.1.2 Ordinamento di LorenzDate due distribuzioni di reddito X e Y, diremo che la disuguaglianza in Y èminore della disuguaglianza in X in base al criterio di Lorenz se e solo se lacurva di Lorenz di Y giace sempre al di sopra della curva di Lorenz di X (Figura4.3). In termini analitici, definiamo l’ordinamento di Lorenz come segue.

Definizione 4.1 (Ordinamento di Lorenz). Date due distribuzioni X e Y , Y do-mina Xnel senso di Lorenz (Y �L X) se e solo se

i∑k=1

yk

N∑k=1

yk

i∑k=1

xk

N∑k=1

xk

per ogni i = 1, ..., N e LX 6= LY

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Analisi della disuguaglianza 47Analisi della disuguaglianza 51

!

L(p)

1

Lx(p)

!""""""""""""""""""#""""""""""""""""""$

p

1

0 % &' ("

"

"

Ly(p)

Figura 4.3 La distribuzione Y domina, nel senso di Lorenz, la distribuzione X.

Nella Tabella 4.2 sono riportati i valori delle curve di Lorenz delle distribuzionidei redditi in Italia, relative agli anni 1980, 1989, 2000 (dati della Banca d’Italia).

È evidente come la distribuzione dei redditi relativa al 1980 domini nel sensodi Lorenz la distribuzione del 1989, e quest’ultima domini quella del 2000. Emer-ge una indicazione chiara: la disuguaglianza in Italia, negli ultimi venti anni, ècresciuta in maniera costante.

L’ordinamento di Lorenz è transitivo ma non completo. Nel caso in cui lecurve di Lorenz relative a due distribuzioni si intersechino tra loro (Figura 4.4), ilconfronto rimane indeterminato: le due distribuzioni sono non confrontabili in ba-se al criterio di Lorenz. Gli ordinamenti incompleti vengono chiamati ordinamentiparziali.

Tabella 4.2 La distribuzione dei redditi in Italia.

% popolazione % reddito-1980 % reddito1989 % reddito 2000

10 2,9 2,9 2,120 7,7 7,4 6,130 13,4 12,8 11,340 20,4 19,7 17,750 28,4 27,3 25,360 37,7 36,7 34,270 48,3 47,3 44,980 60,6 59,7 56,790 75,6 75,2 72,4

Figura 4.3 La distribuzione Y domina, nel senso di Lorenz, la distribuzione X.

Nella Tabella 4.2 sono riportati i valori delle curve di Lorenz delle distribuzionidei redditi in Italia, relative agli anni 1980, 1989, 2000 (dati della Banca d’Italia).

È evidente come la distribuzione dei redditi relativa al 1980 domini nel sensodi Lorenz la distribuzione del 1989, e quest’ultima domini quella del 2000. Emer-ge una indicazione chiara: la disuguaglianza in Italia, negli ultimi venti anni, ècresciuta in maniera costante.

L’ordinamento di Lorenz è transitivo ma non completo. Nel caso in cui lecurve di Lorenz relative a due distribuzioni si intersechino tra loro (Figura 4.4),il confronto rimane indeterminato: le due distribuzioni sono non confrontabili inbase al criterio di Lorenz. Gli ordinamenti incompleti sono chiamati ordinamentiparziali.

Tabella 4.2 La distribuzione dei redditi in Italia.

% popolazione % reddito-1980 % reddito1989 % reddito 2000

10 2,9 2,9 2,120 7,7 7,4 6,130 13,4 12,8 11,340 20,4 19,7 17,750 28,4 27,3 25,360 37,7 36,7 34,270 48,3 47,3 44,980 60,6 59,7 56,790 75,6 75,2 72,4

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48 CAPITOLO 452 CAPITOLO 4

!

L(p)

1

!""""""""""""""""""#""""""""""""""""""$

p

1

0 % &' ("

" Lx(p)

" Ly(p)

Figura 4.4 Le distribuzioni X e Y non sono confrontabili nel senso di Lorenz.

L’ordinamento di Lorenz soddisfa il principio dell’invarianza alla scala: se tutti iredditi in una distribuzione sono moltiplicati per una stessa costante positiva k, lacurva di Lorenz non cambia.

Si considerino le seguenti distribuzioni:• X = (10, 20, 30, 40, 60, 140);• Y = (10k, 20k, 30k, 40k, 60k, 140k);dove k > 0.

È facile verificare che le curve di Lorenz relative alle distribuzioni X e Y coinci-dono. La stessa curva di Lorenz può quindi rappresentare due diverse distribuzionidel reddito. Le misure che rispettano l’invarianza alla scala sono dette misure re-lative di disuguaglianza. Per tutte le misure che rispettino questa proprietà, è peresempio indifferente che la distribuzione dei redditi sia espressa in valori nominalio reali, o che sia espressa in una divisa piuttosto che in un altra (dollari o euro, peresempio).

4.1.3 Ordinamento alla Robin HoodUn trasferimento alla Robin Hood è un trasferimento di reddito da un individu-o più ricco a uno più povero, che lasci inalterata la posizione relativa dei dueindividui.Definizione 4.2 (Trasferimento alla R.H.). Data una distribuzione dei redditi X,un trasferimento pari a ! > 0 fra gli individui j e k è un trasferimento alla R.H.se la nuova distribuzione X ! che si ottiene è tale che:

Figura 4.4 Le distribuzioni X e Y non sono confrontabili nel senso di Lorenz.

L’ordinamento di Lorenz soddisfa il principio dell’invarianza alla scala: se tutti iredditi in una distribuzione sono moltiplicati per una stessa costante positiva k, lacurva di Lorenz non cambia.

Si considerino le seguenti distribuzioni:

• X = (10, 20, 30, 40, 60, 140);• Y = (10k, 20k, 30k, 40k, 60k, 140k);

dove k > 0.

È facile verificare che le curve di Lorenz relative alle distribuzioni X e Y coinci-dono. La stessa curva di Lorenz può quindi rappresentare due diverse distribuzionidel reddito. Le misure che rispettano l’invarianza alla scala sono dette misure re-lative di disuguaglianza. Per tutte le misure che rispettino questa proprietà, è peresempio indifferente che la distribuzione dei redditi sia espressa in valori nominalio reali, o che sia espressa in una divisa piuttosto che in un altra (dollari o euro, peresempio).

4.1.3 Ordinamento alla Robin HoodUn trasferimento alla Robin Hood (R.H.) è un trasferimento di reddito da un indi-viduo più ricco a uno più povero, che lasci inalterata la posizione relativa dei dueindividui.

Definizione 4.2 (Trasferimento alla R.H.). Data una distribuzione dei redditi X,un trasferimento pari a δ > 0 fra gli individui j e k è un trasferimento alla R.H.se la nuova distribuzione X ′ che si ottiene è tale che:

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Analisi della disuguaglianza 49

1. xi = x′i per ogni i 6= j, k

2. xj+δ = x′j

3. xk−δ = x′k

4. x′j≤ x

′k

Il principio del trasferimento alla Robin Hood asserisce che, ceteris paribus, iltrasferimento di una unità di reddito da una persona più ricca a una più povera,se lascia invariate le posizioni relative, deve ridurre il grado di disuguaglianza. Ilprincipio del trasferimento alla R.H. può essere utilizzato per definire un nuovocriterio di disuguaglianza.

Definizione 4.3 (Dominanza di Robin Hood). Date due distribuzioni Y e X conla stessa media (µy = µx) se Y può essere ottenuto da X mediante una sequenzadi trasferimenti alla R.H., allora X è più ineguale di Y e Y domina X nel senso diR.H.:

Y >R.H. X

Anche questo ordinamento, come quello di Lorenz, è transitivo ma non completo.In particolare, si noti che per poter confrontare due diverse distribuzioni di redditoin base al criterio di R.H. è necessario che queste abbiano medie eguali: non saràinfatti mai possibile modificare la media (o il reddito totale) di una distribuzioneattraverso una sequenza di interventi di pura redistribuzione come i trasferimentialla R.H. Due distribuzioni con media diversa sono non confrontabili in base alcriterio di R.H.

Esempio 4.2. Nella Tabella 4.3 sono riportate tre distribuzioni di redditi X, Y e Zrelative a cinque individui.

La distribuzione X è più ineguale della distribuzione Y: infatti quest’ultima si puòottenere da X mediante la sequenza di trasferimenti alla R.H. riportata alla Tabella4.4. Nessun confronto può essere fatto tra X e Z e nemmeno tra Y e Z in quantonon esiste alcuna sequenza di trasferimenti che ci permetta di derivare la secondadalle prime. Quale relazione sussiste tra i due criteri di disuguaglianza finoraintrodotti?

È possibile dimostrare che, date due generiche distribuzioni di reddito X e Y,se X domina Y nel senso di R.H. allora X domina Y nel senso di Lorenz. Non valeil contrario.

Tabella 4.3 L’ordinamento alla Robin Hood.

i X Y Z

1 2 3 32 3 3 43 5 6 44 9 8 75 11 10 12∑5i=1 30 30 30

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50 CAPITOLO 4

Tabella 4.4 Trasferimenti alla Robin Hood.

X 7→ X′ 7→ X′′ 7→ X′′′ 7→ Y

2 2 2 2 33 3 3 4 35 5 7 6 69 10 8 8 8

11 10 10 10 10

Che la dominanza di Lorenz non implichi la dominanza secondo R.H. può esseredimostrato con il seguente esempio. Si consideri la distribuzioneX = (10, 20, 30) e si applichi a questa distribuzione un trasferimento di cinqueunità di reddito dall’individuo più ricco a quello più povero, ottenendo cosìla distribuzione Y = (15, 20, 25) . Y dominerà X in base al criterio di R.H.:Y >RH X, e, da quanto detto in precedenza, segue che Y dominerà X anchesecondo il criterio di Lorenz: Y >L X. Si moltiplichino ora tutti i redditi di Y peruna costante k. Si otterrà una nuova distribuzione Z = (15k, 20k, 25k) la quale,in base alla proprietà di invarianza alla scala, sarà indifferente alla distribuzioneY secondo il criterio di Lorenz. Dunque risulterà:

• Y >L X• Z ∼L Y

Essendo l’ordinamento di Lorenz un ordinamento transitivo, segue che Z >LX. D’altro canto, le distribuzioni Z e X hanno media diversa: dunque non sa-ranno confrontabili in base all’ordinamento di R.H. Abbiamo dimostrato che ladominanza di Lorenz non implica la dominanza alla R.H.

4.1.4 Ordinamenti parziali: benessere e disuguaglianzaAbbiamo finora introdotto i seguenti ordinamenti di disuguaglianza:

1. Ordinamento di Lorenz: date due distribuzioni X e Y, X >L Y se e solo seLX(pi) ≥ LY (pi) per ogni pi = i

N con i = 1, 2, . . . , N.2. Ordinamento di Robin Hood: date due distribuzioni X e Y, X >RH Y se e

solo se X può essere ottenuto da Y mediante una sequenza di trasferimentialla R.H.

Nel Capitolo 3 è stato introdotto e discusso il criterio di scelta sociale basato sullafunzione di benessere sociale utilitaristica. In base al criterio utilitaristico, datedue distribuzioni delle risorse X e Y , X sarà preferita a Y se e solo se la sommadelle utilità individuali in X è maggiore della somma delle utilità individuali inY :

X >U Y ⇔N∑

i=1

U(xi) >

N∑

i=1

U(yi)

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Analisi della disuguaglianza 51

Si è anche visto come, pur esibendo neutralità rispetto alla disuguaglianza nelleutilità, in presenza di funzioni di utilità individuali crescenti e concave il crite-rio utilitarista premi qualsiasi redistribuzione di risorse da un individuo ricco aun individuo più povero. Si consideri la Figura 3.6: il trasferimento ipotizzatoè un esempio di trasferimento alla R.H.: un qualsiasi trasferimento alla R.H. èin grado di aumentare il benessere sociale in base al criterio utilitaristico, pur-ché gli individui siano caratterizzati da utilità marginale positiva e decrescente.D’altro canto, sappiamo che applicando un trasferimento alla RH a una distribu-zione X di partenza, si otterrà una nuova distribuzione Y che dominerà X in baseall’ordinamento di Lorenz. Queste osservazioni, opportunamente estese e genera-lizzate, costituiscono il contenuto del teorema fondamentale dell’economia delladisuguaglianza.

Teorema 4.1 (Teorema fondamentale della disuguaglianza). Date due distribu-zioni di reddito X e Y con media uguale (µX = µY ), le seguenti affermazioni sonoequivalenti:

1. Y >L X2. Y >R.H. X3. Y >U X per tutte le funzioni di utilità U crescenti e concave.

Il teorema fondamentale della disuguaglianza stabilisce una connessione tra lateoria del benessere e della scelta sociale (introdotta nel Capitolo 3) e la teoriadella misurazione della disuguaglianza. Si noti tuttavia che il risultato si applicasolo a confronti tra distribuzioni con media uguale. Entro il dominio costituitodalle distribuzioni con media uguale, il teorema fornisce una giustificazione rigo-rosa, basata su chiari e comprensibili giudizi di valore, a una metodologia statisti-ca facilmente implementabile: la curva di Lorenz. Il significato dell’equivalenzatra ordinamento di Lorenz e ordinamento utilitaristico è duplice. Da un lato, seX domina Y in base all’ordinamento di Lorenz, allora X sarà preferita a Y dallaFBS utilitarista - quali che siano le funzioni di utilità individuali prescelte, purchécrescenti e concave. D’altro canto, se X domina Y per tutte le possibili funzioniindividuali crescenti e concave, aggregate secondo la regola utilitaristica, alloraX dominerà Y in base alla curva di Lorenz.

4.1.5 Curva di Lorenz generalizzataPer quanto l’ordinamento di Lorenz sia applicabile anche a distribuzioni con me-dia diversa, la giustificazione normativa - basata sul teorema fondamentale - èlimitata al solo caso di distribuzioni con media uguale. È tuttavia possibile for-mulare un criterio di dominanza tra distribuzioni il quale abbia un supporto nor-mativo anche nella ipotesi, altamente realistica, di confronto tra distribuzioni conmedia diversa. Si tratta del criterio basato sulla curva di Lorenz generalizzata,ottenuta moltiplicando la curva di Lorenz per la media della distribuzione.

La curva di Lorenz generalizzata di una distribuzione X, GLX , indica, perogni percentuale cumulata di individui, la percentuale di reddito complessivo

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52 CAPITOLO 4

da questi posseduta moltiplicata per il reddito medio della distribuzione. Quin-di, sull’asse delle ordinate, la curva di Lorenz generalizzata riporta l’ammontarecumulato di reddito, espresso in termini procapite dell’intera popolazione.

Analiticamente, data una generica distribuzione X = (x1, x2, . . . , xN ), lacurva di Lorenz generalizzata della distribuzione X , GLX , è il luogo dei punti dicoordinate:

(pi,

1

N

i∑

k=1

xk

)

dove i = 1, . . . , N e pi = iN .

È facile verificare che le curve di Lorenz generalizzate sono ottenute dal prodottodelle normali curve di Lorenz L(p) per la media della distribuzione µ. Infat-ti, ricordando che, data una distribuzione X, per ogni i = 1, ..., N, LX (pi) =1T

∑ik=1 xk e che µX = T

N , otteniamo

GLX (pi) =T

N

1

T

i∑

k=1

xk =1

N

i∑

k=1

xk.

È immediato verificare che GL (0) = 0 e GL (1) = µX .

4.1.6 Ordinamento di Lorenz generalizzatoDefinizione 4.4. Date due distribuzioni X e Y , X domina Y nel senso di Lorenz

generalizzato (X �GL Y ) se e solo se 1N

i∑k=1

xk ≥ 1N

i∑k=1

yk per ogni i = 1, ..., N

e GLX 6= GLY .

Nel caso particolare di due distribuzioni con media uguale, l’ordinamento di Lo-renz generalizzato coincide con l’ordinamento di Lorenz. A differenza dell’or-dinamento di Lorenz, che è un puro ordinamento di disuguaglianza, il criterio diLorenz generalizzato riflette sia considerazioni di equità sia considerazioni di ef-ficienza. A illustrazione di questo punto, si consideri la distribuzioneX = (10, 20) . Si supponga ora di aumentare del 50% il reddito dell’individuopiù ricco, in modo da ottenere la distribuzione Y = (10, 30) . Pur essendo aumen-tato il grado di disuguaglianza (cosa che potrà essere verificata osservando che Xdomina Y in base al criterio di Lorenz), la curva di Lorenz generalizzata di Y èal di sopra della curva di X: dunque Y �GL X. Si supponga ora di modificarela distribuzione Y attraverso un trasferimento alla Robin Hood, in modo da otte-nere la distribuzione Z = (15, 25) . È facile verificare che Z �GL Y (in questocaso, confrontando distribuzioni con la stessa media, gli ordinamenti di Lorenz edi Lorenz generalizzato coincidono). L’ordinamento delle distribuzioni X,Y e Zsarà il seguente: Z �GL Y �GL X, dove la prima relazione di dominanza ri-flette considerazioni di carattere esclusivamente distributivo e la seconda è dovutaall’aumento del reddito aggregato.

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Analisi della disuguaglianza 53

Analisi della disuguaglianza 57

GLy

!

"0

GL(p)

µx

µy

1

GLx

p

Figura 4.5 La distribuzione Y domina la distribuzione X nel senso di Lorenz generaliz-zato.

Anche l’ordinamento di Lorenz generalizzato, al pari dell’ordinamento di Lo-renz, è un ordinamento incompleto: può darsi il caso di due distribuzioni le cuicurve di Lorenz generalizzate si intersechino.

Il seguente teorema, stabilendo l’equivalenza tra ordinamento di Lorenz ge-neralizzato e ordinamento di benessere utilitaristico, fornisce la giustificazionenormativa del criterio di Lorenz generalizzato.

Teorema 4.2 (Shorrocks). Date due distribuzioni di reddito X e Y, Y >GL X sesolo se Y >U X per tutte le funzioni di utilità crescenti e concave.

In questo teorema, a differenza di quanto accade con il teorema fondamentale,non è richiesta l’uguaglianza delle medie.

4.2 Ordinamenti completi di distribuzioni del redditoNel caso in cui gli ordinamenti parziali di disuguaglianza (ordinamento di Lo-renz, di RH, ...) non diano una risposta univoca, i confronti tra distribuzionipossono essere effettuati utilizzando un indice di disuguaglianza. Un indice didisuguaglianza è una funzione che assegna a ogni distribuzione un numero rea-le: data una distribuzione di redditi X e un indice I , I(X) sarà il livello di di-suguaglianza nella distribuzione X in base all’indice I . Date due distribuzioniX e Y , diremo che la distribuzione X è più disuguale della distribuzione Y seI(X) > I(Y ). Poiche i numeri sono sempre confrontabili, non si verificheranno

Figura 4.5 La distribuzione Y domina la distribuzione X nel senso di Lorenz generaliz-zato.

Anche l’ordinamento di Lorenz generalizzato, al pari dell’ordinamento di Lo-renz, è un ordinamento incompleto: può darsi il caso di due distribuzioni le cuicurve di Lorenz generalizzate si intersechino.

Il seguente teorema, stabilendo l’equivalenza tra ordinamento di Lorenz ge-neralizzato e ordinamento di benessere utilitaristico, fornisce la giustificazionenormativa del criterio di Lorenz generalizzato.

Teorema 4.2 (Shorrocks). Date due distribuzioni di reddito X e Y, Y >GL X sesolo se Y >U X per tutte le funzioni di utilità crescenti e concave.

In questo teorema, a differenza di quanto accade con il teorema fondamentale,non è richiesta l’uguaglianza delle medie.

4.2 Ordinamenti completi di distribuzioni del redditoNel caso in cui gli ordinamenti parziali di disuguaglianza (ordinamento di Lo-renz, di RH, ...) non diano una risposta univoca, i confronti tra distribuzionipossono essere effettuati utilizzando un indice di disuguaglianza. Un indice didisuguaglianza è una funzione che assegna a ogni distribuzione un numero rea-le: data una distribuzione di redditi X e un indice I , I(X) sarà il livello di di-suguaglianza nella distribuzione X in base all’indice I . Date due distribuzioniX e Y , diremo che la distribuzione X è più disuguale della distribuzione Y se

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54 CAPITOLO 4

I(X) > I(Y ). Poiche i numeri sono sempre confrontabili, non si verificherannocasi di non confrontabilità tra distribuzioni (non ci saranno casi di incompletez-za dell’ordinamento). Tuttavia, esiste una pluralità di indici di disuguaglianza,ciascuno basato su un insieme di giudizi di valore, e può darsi il caso di due in-dici che, nel confronto tra due distribuzioni, diano due risposte diverse. Date duedistribuzioni di reddito X e Y , e due diversi indici di disuguaglianza I1 e I2, èpossibile il seguente risultato: I1(X) > I1(Y ) e I2(X) < I2(Y ). Questo succedeperché diversi indici in genere catturano aspetti diversi della disuguaglianza: peresempio, alcuni indici attribuiscono un peso relativamente maggiore alla disugua-glianza presente nella coda bassa della distribuzione, cioé alla disuguaglianza tragli individui più poveri; altri indici attribuiscono una importanza particolare alleposizioni relative degli individui (al rango), piuttosto che ai livelli di reddito; ecosì via. Si tratta allora di scegliere l’indice di disuguaglianza che meglio rifletta igiudizi di valore dell’analista. È possibile domandarsi quale relazione sussista traindici di disuguaglianza. Pur senza entrare nel dettaglio, è possibile individuare uninsieme S di indici di disuguaglianza, basati su una serie di proprietà desiderabili,tra le quali il principio di invarianza alla scala e il principio del trasferimento allaRH, in modo da ottenere il seguente risultato: date due generiche distribuzioni Xe Y , X dominerà Y in base all’ordinamento di Lorenz se e solo se I(X) < I(Y )per tutti gli indici appartenenti alla famiglia S. Gli indici nella famiglia S sonochiamati indici consistenti con l’ordinamento di Lorenz. In altre parole, la domi-nanza di Lorenz corrisponde alla unanimità tra i componenti la famiglia S. Segueche, nel caso di intersezione tra le curve di Lorenz di due distribuzioni X e Y ,esisteranno di sicuro almeno due indici, I1 e I2, appartenenti alla famiglia S, chenel confronto tra X e Y daranno dominanze di segno opposto. Nei paragrafi cheseguono si descrivono due tra gli indici di disuguaglianza più utilizzati.

4.2.1 Il coefficiente di Gini (G)

Intuitivamente, il coefficiente di Gini misura di quanto la Curva di Lorenz di unadistribuzione sia distante dalla linea della perfetta uguaglianza. Il coefficiente delGini è dato da:

G =A

A+B= 2A = 1− 2B

dove B è l’area al di sotto della curva di Lorenz e A l’area compresa tra la curvadi Lorenz e la linea della perfetta eguaglianza (Figura 4.6).

L’indice G può assumere valori compresi tra 0 e 1. Sarà uguale a 0 nel casodi perfetta uguaglianza - l’area A, in questo caso, si annulla. Sarà uguale a 1nel caso in cui tutto il reddito sia concentrato nelle mani di un solo individuo: inquesto caso sarà l’area B ad annullarsi. In generale, maggiore è il valore assuntodal coefficiente di Gini, maggiore è il grado di disuguaglianza.

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Analisi della disuguaglianza 55Analisi della disuguaglianza 59

Perc. di reddito totale!

0

Perc.

della perfettaeguaglianza

1

"

A

B

"

di individui

!

1"

linea

Figura 4.6 Il coefficiente di Gini è dato dal rapporto tra l’area A e l’area (A+B):quest’ultima è pari a 1/2.

G(x) = 1 +1

N! 2

!Ni=1(N ! i + 1)xi

N2µ=

=

"1

2N2µ

# N$

i=1

N$

j=1

|xi ! xj | .

4.2.2 L’indice di Atkinson-Kolm-SenL’indice di AKS è stato formulato all’interno di un approccio alla disuguaglianzabasato sul benessere sociale, sotto l’ipotesi che la distribuzione dei redditi de-termini direttamente il livello di benessere sociale. L’indice di AKS misura ladistribuzione dei redditi come la riduzione percentuale del reddito complessivoche potrebbe essere sopportata, grazie a una redistribuzione egualitaria del red-dito rimanente, senza ridurre il benessere sociale. Si basa cioé su valutazioni diquesto tipo: un reddito totale inferiore del 20% (per esempio) a quello attuale, sefosse distribuito in maniera egualitaria, darebbe lo stesso livello di benessere delreddito attuale, più elevato ma distribuito in maniera diseguale.

Analiticamente l’indice di AKS è derivato esplicitamente da una funzione delbenessere sociale.

Consideriamo la distribuzione X! = (x!1 , x!

2 ) e supponiamo che la FBS siadefinita direttamente sui redditi W (X) = W (x!

1 , x!2 ). Consideriamo la Figura

4.7:

Figura 4.6 Il coefficiente di Gini è dato dal rapporto tra l’area A e l’area (A+B):quest’ultima è pari a 1/2.

4.2.2 L’indice di Atkinson-Kolm-Sen

L’indice di AKS è stato formulato all’interno di un approccio alla disuguaglianzabasato sul benessere sociale, sotto l’ipotesi che la distribuzione dei redditi de-termini direttamente il livello di benessere sociale. L’indice di AKS misura ladistribuzione dei redditi come la riduzione percentuale del reddito complessivoche potrebbe essere sopportata, grazie a una redistribuzione egualitaria del red-dito rimanente, senza ridurre il benessere sociale. Si basa cioé su valutazioni diquesto tipo: un reddito totale inferiore del 20% (per esempio) a quello attuale, sefosse distribuito in maniera egualitaria, darebbe lo stesso livello di benessere delreddito attuale, più elevato ma distribuito in maniera diseguale.

Analiticamente l’indice di AKS è derivato esplicitamente da una funzione delbenessere sociale.

Consideriamo la distribuzione Xα = (xα1 , xα2 ) e supponiamo che la FBS sia

definita direttamente sui redditi W (X) = W (xα1 , xα2 ). Consideriamo la Figura

4.7:

• W ∗ è una curva di indifferenza sociale passante per la distribuzione Xα;• la retta DE con pendenza −1 passante per Xα individua tutte le possibili di-

stribuzioni aventi la stessa media della distribuzione Xα data da µ =(xα1+xα2 )

2 ;• la retta bisettrice OC individua tutte le possibili distribuzioni di reddito perfet-

tamente egualitarie;

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56 CAPITOLO 460 CAPITOLO 4

!

"

0

x2

xa1

xa2

µ

xEED

ExEED

A

µB

C

Xa

W !

D

x1

Figura 4.7 Il REED.

• W ! è una curva di indifferenza sociale passante per la distribuzione X!;• la retta DE con pendenza !1 passante per X! individua tutte le possibili di-stribuzioni aventi la stessa media della distribuzione X! data da µ =

(x!1 +x!

2 )2 ;

• la retta bisettrice OC individua tutte le possibili distribuzioni di reddito perfet-tamente egualitarie;

• l’intersezione di OC con la retta DE, indica, tra le distribuzioni egualitarie,quella con la stessa media della distribuzione X!;

• l’intersezione diOC con la curva di indifferenza socialeW ! indica, tra le distri-buzioni egualitarie, quella che garantisce lo stesso livello di benessere socialedella distribuzione X!.

Si definisce il Reddito Equivalente Egualmente Distribuito (REED) di una distri-buzione X = (x1, x2) come quell’ammontare di reddito xEED che, se dato aciascun individuo, dà luogo a una nuova distribuzione socialmente indifferente aX.

Definizione 4.5. Il Reddito Equivalente Egualmente Distribuito è quel livello direddito xEED che soddisfa la seguente equazione:

W (x!1 , x!

2 ) = W (xEED, xEED)

Graficamente questa nuova distribuzione si individua nel punto A di intersezionetra la curva di indifferenza sociale e la bisettrice OC.

Si noti che, per qualsiasi FBS avversa alla disuguaglianza xEED sarà sempreminore o al massimo eguale (nel caso di neutralità all’ineguaglianza) al reddito

Figura 4.7 Il REED.

• l’intersezione di OC con la retta DE indica, tra le distribuzioni egualitarie,quella con la stessa media della distribuzione Xα;

• l’intersezione di OC con la curva di indifferenza socialeW ∗ indica, tra le distri-buzioni egualitarie, quella che garantisce lo stesso livello di benessere socialedella distribuzione Xα.

Si definisce Reddito Equivalente Egualmente Distribuito (REED) di una distribu-zione X = (x1, x2) quellÕammontare di reddito xEED che, se dato a ciascunindividuo, dà luogo a una nuova distribuzione socialmente indifferente a X .

Definizione 4.5. Il Reddito Equivalente Egualmente Distribuito è quel livello direddito xEED che soddisfa la seguente equazione:

W (xα1 , xα2 ) = W (xEED, xEED)

Graficamente questa nuova distribuzione si individua nel punto A di intersezionetra la curva di indifferenza sociale e la bisettrice OC.

Si noti che, per qualsiasi FBS avversa alla disuguaglianza, xEED sarà sem-pre minore o al massimo eguale (nel caso di neutralità all’ineguaglianza) al redditomedio µ.

Nµ è il reddito complessivo della distribuzione attuale Xα;

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Analisi della disuguaglianza 57

Nx il reddito complessivo della distribuzione egualitaria socialmente indifferentealla distribuzione Xα;

(Nµ − NxEED) = N(µ − xEED) rappresenta il costo della disuguaglianza,ovvero l’ammontare di reddito cui si potrebbe rinunciare al fine di ottenere unadistribuzione egualitaria.

Se rapportiamo il costo della disuguaglianzaN(µ−xEED) al reddito complessivodella distribuzione di partenza Nµ, otteniamo il seguente indice di disuguaglian-za:

IAKS(x) =N(µ− xEED)

Nµ=µ− xEED

µ= 1− xEED

µ

Questo indice è noto come indice di Atkinson-Kolm-Sen. L’indice di Atkinson-Kolm-Sen mette in evidenza quella percentuale di reddito totale che si sarebbedisposti a bruciare al fine di ottenere una distribuzione egualitaria. IAKS(X) dun-que cattura la perdita di benessere sociale imputabile alla disuguaglianza, ovverol’inefficienza della disuguaglianza.

A parità di media µ, il valore dell’indice cresce al crescere del grado di avver-sione alla disuguaglianza della FBS (espresso graficamente dalla convessità dellecurve di indifferenza sociali). A parità di avversione alla disuguaglianza (quin-di data una mappa di curve di indifferenza sociale), quanto maggiore il grado didisuguaglianza della distribuzione, tanto minore sarà il REED e maggiore sarà ilvalore dell’indice.

Esempio 4.3. Data una distribuzione di redditi X, si consideri una funzione delbenessere sociale utilitarista: W =

∑Ni=1 U (xi) , dove le funzioni individuali di

utilità siano date da U (xi) =x1−εi1−ε , con ε > 0.

Dunque avremo

W (X) =N∑

i=1

x1−εi

1− ε

Il REED in questo caso è definito dall’equazione

N∑

i=1

x1−εi

1− ε =

N∑

i=1

x1−εEED

1− εovvero

N∑

i=1

x1−εi

1− ε = Nx1−εEED

1− ε

da cui, dopo qualche semplice passaggio, si ottiene

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58 CAPITOLO 4

xEED =

(1

N

N∑

i=1

x1−εi

) 11−ε

Scegliendo, per esempio, ε = 12 otterremo

xEED =

(1

N

N∑

i=1

√xi

)2

Si consideri ora la distribuzione X = (4, 9, 25, 36) . In questo caso

µ = 18, 5

e

xEED =

(1

4(2 + 3 + 5 + 6)

)2

= 42 = 16

Quindi

IAKS = 1− xEEDµ

= 1− 16

18, 5=

5

37

ESERCIZI

Esercizio 4.1. Si considerino le seguenti distribuzioni di reddito:

1. X=(8,14,14,18,20)2. Y=(13,14,14,15,18)3. Z= (8,12,16,18,20)

Si indichi l’ordinamento delle tre distribuzioni in base ai seguenti criteri:

1. Dominanza di Lorenz2. Dominanza di Lorenz generalizzata3. Dominanza di Robin Hood4. Criterio utilitaristico (W =

∑Ni=1 U(xi), U è crescente e concava)

Esercizio 4.2. Si scrivano due distribuzioni del reddito, relative a 4 individui,non confrontabili in base all’ordinamento di Lorenz.

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Analisi della disuguaglianza 59

Esercizio 4.3. Introduciamo le seguenti definizioni:

• �L: ordinamento di Lorenz• �GL: ordinamento di Lorenz generalizzato• �RH : ordinamento di Robin Hood• �U : ordinamento utilitaristico

Indicare se le seguenti affermazioni sono vere false.

1. Date due distribuzioni, X e Y, X �L Y implica che X �U Y .

V F

2. La dominanza di Robin Hood è una condizione sufficiente perché ci sia domi-nanza di Lorenz.

V F

3. Date due distribuzioni, X e Y, con media eguale,X �GL Y implica cheX �RHY .

V F

4. Date due distribuzioni, X e Y, con media eguale, X �GL Y implica che X �UY .

V F

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CAPITOLO 5Economiadelle scelte pubbliche

5.1 Introduzione

Nei sistemi democratici a economia mista le decisioni economiche vengonoprese essenzialmente attraverso due meccanismi di scelta: il mercato e il

processo politico democratico. In particolare, le decisioni di prelievo e di spesada parte del settore pubblico vengono assunte attraverso un processo di sceltaoperato dal sistema politico.

L’oggetto di questo capitolo è l’analisi dei processi decisionali operati da unsistema politico democratico. In realtà, i processi decisionali che hanno luogo inuna democrazia sono complessi e dipendono dai comportamenti di una pluralitàdi attori politici e istituzionali: gli elettori, i partiti politici, i legislatori, l’ammi-nistrazione, i gruppi di pressione. In un sistema politico ciascun attore agisce alfine di massimizzare la propria funzione obiettivo sulla base delle informazioni dicui dispone, e le decisioni finali sono il risultato della interazione dei diversi attorisulla base delle regole politiche democratiche vigenti.

In questo capitolo, tuttavia, ci si limiterà ad analizzare i processi politici entroun contesto estremamente semplificato: ci concentreremo sui sistemi di democra-zia diretta, in cui cioè il passaggio dalle volontà e dagli interessi presenti nel corpoelettorale alle decisioni collettive è diretto; sarà in particolare ignorato il ruolo dimediazione che in una democrazia rappresentativa è tipicamente svolto dai partitipolitici. Lo studio sarà condotto utilizzando un modello fortemente stilizzato: siconsidererà un generico gruppo di individui che debba scegliere una tra diversealternative possibili, e si assumerà che ciascun individuo sia dotato di un ordi-namento di preferenza definito sull’insieme delle alternative. In questo contestoun processo di decisione collettiva è allora semplicemente una regola di voto: unmeccanismo che traduce (aggrega) l’insieme delle preferenze individuali in un or-dinamento di preferenza dell’intero gruppo e quindi in una scelta collettiva. Lealternative tra cui scegliere sono interpretabili sia nel senso di politiche i cui ef-fetti ricadono direttamente sull’assemblea, sia nel senso di candidati da eleggereal fine di rappresentare l’assemblea in altre sedi.

L’analisi sarà di tipo positivo e normativo: si cercherà di spiegare il funzio-namento delle diverse regole di voto, individuando i possibili esiti e le eventuali

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62 CAPITOLO 5

difficoltà associate ai diversi meccanismi; si cercherà anche di valutare le diverseregole di voto sulla base di criteri di desiderabilità formulati in maniera esplicita.

Il modelloSi consideri una assemblea N composta da n individui, N = {1, ..., n}, chiamataa scegliere tra m politiche alternative: sia X l’insieme delle politiche e x, y, z, ...le varie opzioni o politiche possibili, X = {x, y, z, ...}.Si supponga inoltre che ciascun individuo i in N sia dotato di un ordinamentodi preferenza sull’insieme delle politiche X : �i è l’ordinamento di preferenzadell’elettore i, e {�1,�2, ... �i, ...,�n} l’insieme delle preferenze individuali,chiamato anche profilo di preferenze. Per ogni individuo i si assumerà che l’ordi-namento di preferenza sia completo, transitivo e lineare: la completezza implicala capacità di esprimere un giudizio in merito a qualsiasi confronto tra due opzio-ni; la transitività è un requisito di coerenza; la linearità implica che le preferenzesiano sempre di tipo forte: non ci sono cioè casi di indifferenza tra opzioni. Que-st’ultima ipotesi, pur non essendo cruciale per i risultati, semplifica fortementel’esposizione.

Sia infine �S l’ordinamento di preferenza dell’assemblea N . Una regola divoto potrà allora essere rappresentata come una funzione la quale, per qualsia-si insieme di politiche X, associ un ordinamento di preferenza sociale �S a unprofilo di preferenze individuali.

5.2 Le regole di voto: analisi descrittiva

5.2.1 La regola della unanimità

In base alla regola dell’unanimità, una alternativa x è socialmente preferita a unaalternativa y se e solo se tutti gli elettori preferiscono x a y. Segue che, dato un

insieme di alternativeX , l’alternativa x sarà collettivamente scelta se e solo se x èl’alternativa preferita da tutti gli elettori. È agevole rilevare la corrispondenza traregola dell’unanimità e criterio del Pareto: qualsiasi scelta effettuata in base allaregola dell’unanimità è efficiente nel senso di Pareto. Una qualunque altra regolache consenta di approvare un’opzione che non è preferita all’unanimità violerà ilcriterio paretiano.

Il criterio dell’efficienza sembrerebbe dunque spingere per l’adozione dell’u-nanimità quale regola di voto in un’assemblea. D’altronde, la richiesta di consen-so unanime potrebbe rendere il processo decisionale lungo e costoso; al limite,potrebbe impedire la scelta collettiva. Questo succede perchè, vigente la regoladell’unanimità, a ciascun individuo è riconosciuto un potere di veto. Se, in ungruppo di n persone, n − 1 elettori preferiscono l’opzione x a tutte le altre e unsolo elettore preferisce un’altra opzione y a x, in base alla regola dell’unanimitàquesto gruppo non potrà effettuare alcuna scelta.Proposizione 5.1. La regola dell’unanimità genera un ordinamento di preferenzasociale incompleto.

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Economia delle scelte pubbliche 63

Economia delle scelte pubbliche 67

100%0

! costi

CE + CDCDCE " #

q!

!costi

Figura 5.1 Determinazione percentuale ottima. Modello di Buchanan e Tullock (1962).

Ci si può chiedere cosa accada quando, abbandonando la regola della unanimità,si riduca progressivamente il quorum, ossia la percentuale di voti necessaria perl’approvazione. In generale, più elevato il quorum, più prossima la regola di votoalla soddisfazione dell’efficienza paretiana - minore infatti il numero degli elettoriche potrebbero essere danneggiati dalla decisione. Al tempo stesso, più elevato ilquorum, più lungo e costoso il processo decisionale. Si è in presenza di un tradeoff : maggiore la capacità di prendere una decisione collettiva (o grado di decisi-tività della regola di voto), minore la capacita di rappresentare compiutamente lepreferenze e gli interessi coinvolti nella scelta (grado di rappresentatività o de-mocraticità della regola di voto). Come vedremo, si tratta di una tensione chepercorre profondamente i sistemi di decisione collettiva. Indicando le due voci diquesto trade off con CD (costi di decisione) e CE (costi esterni, ovvero costi sop-portati dalla minoranza), è possibile calcolare la percentuale ottima di voti comequella che minimizza il costo totale dato da CE+CD (si veda la Figura 5.1).

Evidentemente, l’applicazione concreta di questo modello richiede la cono-scenza delle curve CE e CD.

5.2.2 La regola della maggioranza

Nel caso vi siano n individui e due sole alternative, una regola comunementeaccettata è quella della maggioranza semplice: tra due alternative è scelta quellapreferita dalla maggioranza degli elettori, ovvero da un numero N di elettori noninferiore al 50% più uno dell’elettorato:

Figura 5.1 Determinazione percentuale ottima. Modello di Buchanan e Tullock (1962).

Ci si può chiedere cosa accada quando, abbandonando la regola della unanimità,si riduca progressivamente il quorum, ossia la percentuale di voti necessaria perl’approvazione. In generale, più elevato il quorum, più prossima la regola di votoalla soddisfazione dell’efficienza paretiana - minore infatti il numero degli elettoriche potrebbero essere danneggiati dalla decisione. Al tempo stesso, più elevato ilquorum, più lungo e costoso il processo decisionale. Si è in presenza di un tradeoff : maggiore la capacità di prendere una decisione collettiva (o grado di decisi-tività della regola di voto), minore la capacita di rappresentare compiutamente lepreferenze e gli interessi coinvolti nella scelta (grado di rappresentatività o de-mocraticità della regola di voto). Come vedremo, si tratta di una tensione chepercorre profondamente i sistemi di decisione collettiva. Indicando le due voci diquesto trade off con CD (costi di decisione) e CE (costi esterni, ovvero costi sop-portati dalla minoranza), è possibile calcolare la percentuale ottima di voti comequella che minimizza il costo totale dato da CE+CD (si veda la Figura 5.1).

Evidentemente, l’applicazione concreta di questo modello richiede la cono-scenza delle curve CE e CD.

5.2.2 La regola della maggioranza

Nel caso vi siano n individui e due sole alternative, una regola comunementeaccettata è quella della maggioranza semplice: tra due alternative è scelta quellapreferita dalla maggioranza degli elettori, ovvero da un numero N di elettori noninferiore al 50% più uno dell’elettorato:

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64 CAPITOLO 5

N ≥ n

2+ 1 (con n pari) (5.1)

N ≥ n− 1

2+ 1 (con n dispari) (5.2)

Quando le alternative sono più di due le cose possono complicarsi.

Il vincitore di Condorcet Una generalizzazione della regola precedente al casodi più di due opzioni è la seguente: date m alterative, vince quell’alternativa xche batte tutte le altre in confronti di coppia secondo la regola della maggioranzasemplice. Questa alternativa, se esiste, è chiamata il vincitore di Condorcet.

Definizione 5.1 (La regola della maggioranza semplice.). Data un’assembleaN edue opzioni x e y, x è preferita a y secondo la regola della maggioranza semplice

x �M y (5.3)

se e solo se x riceve più voti di y.

Definizione 5.2 (Il vincitore di Condorcet). . Dato un insieme di opzioni X ,x ∈ X è il vincitore di Condorcet se e solo se ∀y 6= x ∈ X, x �M y.

Al fine di studiare le caratteristiche del voto a maggioranza semplice si suppongache un’assemblea di 3 individui, N = {A,B,C}, sia chiamata a pronunciarsi sutre possibili opzioni, X = {x, y, z}. Si supponga ancora che l’individuo A prefe-risca x a y e y a z (e, data la transitività delle preferenze individuali, preferisca xa z); che l’individuo B preferisca y a z e z a x; infine, che lÕindividuo C prefe-risca x a z e z a y. Le preferenze dei tre individui sono sintetizzate nella tabellaseguente:

Posizione IndividuiA B C

I x y x

II y z z

III z x y

Ponendo in votazione le tre coppie {x, y}, {x, z} e {y, z} secondo la regola dellamaggioranza si ottengono le relazioni seguenti:

• x �M y• x �M z• y �M z

L’ordinamento di preferenza sociale sarà cioè x �M y �M z. Il vincitore di Con-dorcet in questo caso è x. Si rilevi l’indipendenza del risultato dall’ordine seguitonelle votazioni.

Si supponga ora che le preferenze dell’individuo C cambino. La tabella seguenteriporta il nuovo profilo delle preferenze individuali.

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Economia delle scelte pubbliche 65

Posizione IndividuiA B C

I x y z

II y z x

III z x y

Ponendo ancora in votazione le tre coppie {x, y}, {x, z} e {y, z} secondo la regoladella maggioranza si ottiene il seguente risultato:

• x �M y• y �M z• z �M x

In base all’ordinamento di preferenza sociale x è preferito a y e y è preferito az. Il presupposto della transitività vorrebbe che x fosse a sua volta preferito a z.In questo caso x sarebbe il vincitore di Condorcet. Ma, come si rileva, esiste unamaggioranza che preferisce z a x. L’ordinamento sociale non è transitivo e, comeconseguenza, non c’è un’alternativa preferita a tutte le altre. Non c’è un vincitoredi Condorcet. Pertanto, la regola del voto a maggioranza, espresso su coppie dialternative, può portare a scelte sociali contraddittorie.Questo risultato è noto come Paradosso del voto a maggioranza o Paradosso diCondorcet.

Il paradosso di Condorcet

Proposizione 5.2 (Paradosso di Condorcet). Pur in presenza di preferenze indivi-duali complete e transitive, il voto a maggioranza può condurre a un ordinamentodi preferenza sociale intransitivo.

Questo risultato, dovuto a Marie Jean Antoine Nicolas de Caritat, meglio notocome marchese di Condorcet (1743-1794), mostra che, anche se le preferenze deisingoli votanti rispetto alle varie alternative sono complete e transitive, la votazio-ne a maggioranza può produrre un ordinamento sociale circolare, in cui ciascunadelle tre alternative è in grado di vincere su tutte le altre (si veda la Figura 5.2).

Poichè la votazione a maggioranza su più di due alternative è un sistemalargamente applicato in assisi locali, nazionali e sovranazionali, l’interesse delparadosso è evidente.

Economia delle scelte pubbliche 69

Posizione IndividuiA B C

I x y z

II y z x

III z x y

Ponendo ancora in votazione le tre coppie {x, y}, {x, z} e {y, z} secondo la regoladella maggioranza si ottiene il seguente risultato:

• x !M y• y !M z• z !M x

In base all’ordinamento di preferenza sociale x è preferito a y e y è preferito az. Il presupposto della transitività vorrebbe che x fosse a sua volta preferito a z.In questo caso x sarebbe il vincitore di Condorcet. Ma, come si rileva, esiste unamaggioranza che preferisce z a x. L’ordinamento sociale non è transitivo e, comeconseguenza, non c’è un’alternativa preferita a tutte le altre. Non c’è un vincitoredi Condorcet. Pertanto, la regola del voto a maggioranza, espresso su coppie dialternative, può portare a scelte sociali contraddittorie.Questo risultato è noto come Paradosso del voto a maggioranza o Paradosso diCondorcet.

Il paradosso di Condorcet

Proposizione 5.2 (Paradosso di Condorcet). Pur in presenza di preferenze indivi-duali complete e transitive, il voto a maggioranza può condurre a un ordinamentodi preferenza sociale intransitivo.

Questo risultato, dovuto a Marie Jean Antoine Nicolas de Caritat, meglio notocome marchese di Condorcet (1743-1794), mostra che, anche se le preferenze deisingoli votanti rispetto alle varie alternative sono complete e transitive, la votazio-ne a maggioranza può produrre un ordinamento sociale circolare, in cui ciascunadelle tre alternative è in grado di vincere su tutte le altre (si veda la Figura 5.2).

Poichè la votazione a maggioranza su più di due alternative è un sistemalargamente applicato in assisi locali, nazionali e sovranazionali, l’interesse delparadosso è evidente.

!"

x

y

z

#

Figura 5.2 Ordinamento sociale circolare.Figura 5.2 Ordinamento sociale circolare.

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66 CAPITOLO 5

Paradosso di Condorcet e unimodalità delle preferenze È opportuno esami-nare i motivi della mancata esistenza di un vincitore globale nel voto a maggio-ranza.Si supponga che le alternative in votazione siano rappresentabili lungo un’unicadimensione, dal valore più piccolo a quello più grande, oppure graficamente dasinistra verso destra. Si pensi, per esempio, a livelli via via crescenti di spesapubblica, oppure a quantità diverse di bene pubblico da produrre.

Un ordinamento di preferenza è unimodale quando esiste una alternativa idea-le, e le altre alternative sono classificate in base alla distanza rispetto a questa. Unprofilo di preferenze è unimodale se tutti gli individui hanno preferenze unimodali.

Le Figure 5.3 e 5.4 riportano, rispettivamente, casi di preferenze unimodali emultimodali.

La unimodalità delle preferenze individuali appare ipotesi del tutto plausibilein alcuni contesti, estremamente improbabile in altri. In particolare, la multi-modalità delle preferenze è frequente nei casi in cui lo spazio politico sia mul-tidimensionale - ciascuna opzione rappresenta in verità una pluralità di aspetti edimensioni da valutare - ovvero nel caso si tratti di politiche distributive. Nelseguito sono riportati due esempi atti a esemplificare i due casi.

Esempio 5.1 (Preferenze unimodali). Nel primo esempio, si consideri il voto suuna questione politica unidimensionale: la spesa pubblica per la difesa. Vi sianotre possibili livelli di spesa, (100, 50, 30) , e si ipotizzi che l’intero corpo eletto-rale sia diviso in tre gruppi. La politica ideale del primo gruppo sia 100, quelladel secondo sia 50, quella del terzo sia infine 30. Appare del tutto ragionevoleipotizzare che l’ordinamento completo del I gruppo sarà 100 � 50 � 30, quelladel II gruppo 50 � 30 � 100, quella del III infine 30 � 50 � 100.

Il voto a maggioranza su coppie di alternative permetterà di ottenere un ordi-namento sociale completo e un vincitore di Condorcet, la politica di spesa ugualea 50.

Esempio 5.2 (Preferenze non unimodali). Si considerino tre individui (A,B,C)i quali debbano dividersi una somma pari a 100. Si supponga vi siano tre opzionipossibili (x, y, z), corrispondenti a tre diverse ipotesi distributive riportate nellatabella seguente.

Opzioni IndividuiA B C

x 50 20 30y 30 50 20z 20 30 50

Assumendo monotonicità e razionalità delle preferenze individuali, il profilo dipreferenze di questa collettività per le tre opzioni sarà il seguente:

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Economia delle scelte pubbliche 67

Economia delle scelte pubbliche 71

!

"

0

B

A

C

II

30 100

I

III

50

Posizioni VotantiA B C

I 100 50 30

II 50 30 50

II 30 100 100

Figura 5.3 Esempio di preferenze unimodali.

Esempio 5.2 (Preferenze non unimodali). Si considerino tre individui (A,B,C)i quali debbano dividersi una somma pari a 100. Si supponga vi siano tre opzionipossibili (x, y, z), corrispondenti a tre diverse ipotesi distributive. Assumendomonotonicità e razionalità delle preferenze individuali, il profilo di preferenze diquesta collettività per le tre opzioni sarà il seguente:

• Preferenze di A : x !a y !a z• Preferenze di B : y !b z !b x• Preferenze di C : z !c x !c y

Votando a maggioranza si otterrà il seguente risultato: x !M y, y !M z ez !M x! Le preferenze sono multimodali e il voto a maggioranza porta agliesiti paradossali previsti da Condorcet.

Opzioni IndividuiA B C

x 50 20 30y 30 50 20z 20 30 50

Posizioni VotantiA B C

I 100 50 30

II 50 30 50

II 30 100 100

Figura 5.3 Esempio di preferenze unimodali.

• Preferenze di A : x �a y �a z• Preferenze di B : y �b z �b x• Preferenze di C : z �c x �c y

Votando a maggioranza si otterrà il seguente risultato: x �M y, y �M z ez �M x! Le preferenze sono multimodali e il voto a maggioranza porta agliesiti paradossali previsti da Condorcet.Il seguente teorema stabilisce la rilevanza della unimodalità delle preferenze egeneralizza il risultato dei due esempi precedenti.

Teorema 5.1 (D. Black, 1948). Se le preferenze sono unimodali, allora esiste unvincitore di Condorcet.

Si noti che la unimodalità del profilo di preferenze è una condizione sufficientema non necessaria per l’esistenza di un Vincitore di Condorcet. Se vi è unimo-dalità, certamente non vi saranno cicli. Se non vi è unimodalità, è probabile, ma

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68 CAPITOLO 5

72 CAPITOLO 5

!

"

0

A

B

C

x y z

I

II

III

Posizioni VotantiA B C

I x y z

II z x y

II y z x

Figura 5.4 Esempio di preferenze multimodali.

Il seguente teorema stabilisce la rilevanza della unimodalità delle preferenze egeneralizza il risultato dei due esempi precedenti.

Teorema 5.1 (D. Black, 1948). Se le preferenze sono unimodali, allora esiste unvincitore di Condorcet.

Si noti che la unimodalità del profilo di preferenze è una condizione sufficientema non necessaria per l’esistenza di un Vincitore di Condorcet. Se vi è unimo-dalità, certamente non vi saranno cicli. Se non vi è unimodalità, è probabile, manon certo che vi sia un ciclo. Quanto è probabile? La probabilità che vi sia unciclo aumenta con il numero delle politiche (alternative). D’altronde, a parità dinumero di politiche, maggiore l’omogeneità delle preferenze individuali, minorela possibilità di cicli.

Il teorema dell’elettore mediano Data un’assemblea e un insieme di opzionirappresentabili lungo una dimensione, si definisce elettore mediano l’elettore taleche la metà dei componenti l’assemblea preferisce opzioni a sinistra e la metàopzioni a destra rispetto a quella da lui preferita.

Posizioni VotantiA B C

I x y z

II z x y

II y z x

Figura 5.4 Esempio di preferenze multimodali.

non certo che vi sia un ciclo. Quanto è probabile? La probabilità che vi sia unciclo aumenta con il numero delle politiche (alternative). D’altronde, a parità dinumero di politiche, maggiore l’omogeneità delle preferenze individuali, minorela possibilità di cicli.

Il teorema dell’elettore mediano Data un’assemblea e un insieme di opzionirappresentabili lungo una dimensione, si definisce elettore mediano l’elettore taleche la metà dei componenti l’assemblea preferisce opzioni a sinistra e la metàopzioni a destra rispetto a quella da lui preferita.

Teorema 5.2 (Teorema dell’elettore mediano). Dato uno spazio politico unidi-mensionale e un profilo di preferenze unimodali, la politica ideale dell’elettoremediano sarà la politica vincente con la regola della maggioranza.

Per illustrare il teorema, si consideri un’assemblea di 15 individui che debba de-cidere la quantità ottimale di un bene pubblico da produrre. Il costo medio diproduzione CM , che si assume essere costante, sarà diviso in parti uguali tra i

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Economia delle scelte pubbliche 69

componenti l’assemblea: sia CMi = CM15 il costo medio procapite, coincidente

con il costo marginale individuale. Per ciascun individuo la quantità ottima sa-rà individuata dall’uguaglianza tra costo marginale CMi e beneficio marginale.Supponiamo esistano 5 gruppi di individui nell’assemblea, ciascun gruppo carat-terizzato da una uguale funzione del beneficio marginale. La struttura dei gruppiè la seguente:

Gruppi I II III IV V

Numero componenti 2 3 2 1 7

La Figura 5.5 riporta le funzioni di benefico marginale individuale per ciascungruppo. Le intersezioni con la curva del costo marginale individualepermettono di individuare le quantità ottimali per ciascun gruppo di elettori:(xI , xII , xIII , xIV , xV ). Per ciascun individuo, la quantità ottimale corrispondeall’uguaglianza tra beneficio e costo marginale: allontanandosi progressivamentedal punto di ottimo, si allarga la forbice tra costi e benefici unitari e dunque siriduce il surplus. Le preferenze degli agenti sono quindi di tipo unimodale.

Supponiamo ora si voti per decidere la quantità di bene pubblico da produrre.Ci sono diverse modalità di applicazione della regola della maggioranza, le qualiperò portano a risultati equivalenti. Supponiamo si voti su incrementi successi-vi di produzione: si inizia votando sulla opportunità di produrre la quantità xI ,quindi si prosegue con la votazione su xII , e così via. Ciascun elettore valuteràpositivamente la proposta fino a quando il beneficio marginale supera o eguaglia ilcosto marginale. Dunque, la prima proposta sarà approvata all’unanimità: in cor-rispondenza di xI tutti gli individui hanno beneficio marginale maggiore o ugualeal costo marginale; la seconda (il passaggio da xI a xII) sarà approvata dai gruppiII, III, IV e V ma avrà il voto contrario del gruppo I: dunque la proposta passeràcon una maggioranza di 13 contro 2. È agevole verificare che saranno accettatia maggioranza tutti gli incrementi fino alla quantità XIV . L’ultima votazione ri-guarda il passaggio da xIV a xV : voteranno contro i membri dei gruppi I, II, III,e IV; voteranno a favore i membri del gruppo V. Dunque la proposta sarà battutacon una maggioranza di 8 contro 7. In definitiva, sarà scelta la quantità xIV . Unaprocedura alternativa consiste nel mettere in votazione a maggioranza le diversequantità di bene pubblico a due a due, individuando così il vincitore globale: lostudente potrà verificare che xIV risulta essere l’unica alternativa che batte tut-te le altre nei confronti di coppia. In sintesi, con il voto a maggioranza prevalel’alternativa xIV , che è l’alternativa preferita dall’unico componente del gruppoIV: l’elettore mediano, cioè quell’elettore che occupa la posizione mediana nelladistribuzione delle preferenze per il bene pubblico tra i componenti l’assemblea.Risulta cioè dimostrata la prevalenza dell’elettore mediano: pur in assenza di vo-tazione o di simulazione della votazione, il teorema dell’elettore mediano avrebbepotuto indicarci i risultati del voto.

Si rilevi la differenza tra alternativa preferita dall’elettore mediano e alternati-va mediana. Nell’esempio precedente l’alternativa preferita dall’elettore medianoè la quantità xIV , l’alternativa mediana invece è xIII .

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70 CAPITOLO 5

74 CAPITOLO 5

quantitá0

costi

costo medio

N

xV

BMV (7)

xIII xIVxII

BMI (2)

costo medio

BMIV (1)

benefici

!

"

BMIII (2)

xI

#

##

##

BMII (3)

#

#

Gruppi Alternative sottoposte al votoxI xII xIII xIV xV

I (2 componenti) si no no no noII (3 componenti) si si no no noIII (2 componenti) si si si no noIV (1 componenti) si si si si noV (7 componenti) si si si si siTotale favorevoli 15 13 10 8 7Totale sfavorevoli 0 2 5 7 8

Figura 5.5 Teorema dell’elettore mediano.

e IV; voteranno a favore i membri del gruppo V. Dunque la proposta sarà battutacon una maggioranza di 8 contro 7. In definitiva, sarà scelta la quantità xIV . Unaprocedura alternativa consiste nel mettere in votazione a maggioranza le diversequantità di bene pubblico a due a due, individuando così il vincitore globale: lostudente potrà verificare che xIV risulta essere l’unica alternativa che batte tut-te le altre nei confronti di coppia. In sintesi, con il voto a maggioranza prevalel’alternativa xIV , che è l’alternativa preferita dall’unico componente del gruppoIV: l’elettore mediano, cioè quell’elettore che occupa la posizione mediana nelladistribuzione delle preferenze per il bene pubblico tra i componenti l’assemblea.Risulta cioè dimostrata la prevalenza dell’elettore mediano: pur in assenza di vo-tazione o di simulazione della votazione, il teorema dell’elettore mediano avrebbepotuto indicarci i risultati del voto.

Si rilevi la differenza tra alternativa preferita dall’elettore mediano e alternati-

Gruppi Alternative sottoposte al votoxI xII xIII xIV xV

I (2 componenti) si no no no noII (3 componenti) si si no no noIII (2 componenti) si si si no noIV (1 componenti) si si si si noV (7 componenti) si si si si si

Totale favorevoli 15 13 10 8 7Totale sfavorevoli 0 2 5 7 8

Figura 5.5 Teorema dell’elettore mediano.

Esempio 5.3. Si consideri una società in cui gli individui abbiano delle preferenzeunimodali intorno al livello di spesa pubblica. Nella tabella seguente per ciascungruppo di elettori è riportata la numerosità del gruppo e la politica ideale.

Votanti per gruppo 3 3 3 2 1 1 2 1 2 1 1

Spesa pubblica ideale 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Il vincitore di Condorcet corrisponderà all’alternativa preferita dall’elettore me-diano, cioè la politica 3. L’alternativa mediana invece è 5.

Il teorema dell’elettore mediano ha una estrema importanza per analisi di caratterepredittivo. Data un’assemblea elettorale e un insieme di politiche possibili, saràsufficiente conoscere la politica ideale dell’elettore mediano per prevedere l’esi-to di un voto a maggioranza. Rimarrebbe la difficoltà di conoscere le politicheideali di tutti i componenti l’assemblea, al fine di individuare l’elettore mediano.Tuttavia, queste informazioni non sono sempre necessarie: la posizione media-

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Economia delle scelte pubbliche 71

na è individuabile spesso sulla base di altre variabili individuali osservabili. Unesempio servirà a illustrare il punto.

Supponiamo si tratti di decidere la quantità di risorse pubbliche da destinarealle politiche sociali, e supponiamo che il livello ideale di spesa sociale sia, perogni individuo, funzione decrescente del reddito: i più ricchi preferiranno menospesa sociale, e viceversa. Per conoscere il livello di spesa sociale che sarà votatoa maggioranza non è necessario simulare le votazioni; sarà sufficiente conosce-re la politica ideale che occupa la posizione mediana tra le politiche ideali deicomponenti la società. Data la relazione tra livello del reddito e preferenze sullaspesa sociale, la posizione mediana tra le politiche ideali coinciderà con la politicapreferita dall’individuo che occupa la posizione mediana nella distribuzione deiredditi della società. Sarà quindi sufficiente conoscere la distribuzione dei redditi,e le preferenze dell’individuo che occupa la posizione mediana, per prevedere illivello di spesa sociale che sarà votato a maggioranza.

5.2.3 Il voto a maggioranza sequenzialeUna possibile soluzione al paradosso di Condorcet è rappresentata dal voto a mag-gioranza sequenziale: secondo questa regola, dopo il voto a maggioranza su unacoppia di alternative, l’alternativa sconfitta viene eliminata, mentre la vincenteviene opposta a un’altra; questo processo continua fino a quando non siano esau-rite le opzioni disponibili. Evidentemente, un aspetto decisivo in questa proceduraè l’ordine di votazione.

Esempio 5.4. Le preferenze di tre individui {A, B, C} su tre alternative {x, y, z}sono sintetizzate nella tabella seguente:

Posizione IndividuiA B C

I x y z

II y z x

III z x y

Si considerino ora i tre possibili ordini di voto, individuando i relativi vincitori:

1. Ordine del giorno 1: x contro y, il vincente contro z.• x contro y : x �M y → y eliminata• x contro z : z �M x→ x eliminata• Risultato finale : vince z.

2. Ordine del giorno 2: x contro z, il vincente contro y.• x contro z: z �M x→ x eliminata• z contro y: y �M z→ z eliminata• Risultato finale : vince y.

3. Ordine del giorno 3: z contro y, il vincente contro x.

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• z contro y: y �M z→ z eliminata• x contro y: x �M y→ y eliminata• Risultato finale : vince x.

Un problema di questa regola è l’arbitrarietà del risultato o “dipendenza dal sentie-ro”: a seconda dell’ordine del giorno (o.d.g.) adottato, tutte le opzioni potrebberorisultare vincitrici. Dunque la scelta dipende dal caso oppure dall’abilità di chi ge-stisce l’o.d.g, nel caso conosca le preferenze individuali. Tipicamente, le opzionivotate per ultime hanno minor probabilità di essere battute e quindi eliminate: ilpresidente della commissione, cioè chi decide l’o.d.g., è incentivato a far votarela propria opzione preferita alla fine. Questo risultato spiega in parte l’importan-za delle battaglie procedurali che hanno luogo nelle assemblee sull’ordine dellevotazioni.

5.2.4 Il sistema maggioritario a turno unicoCon questo metodo, si presentano tutte le alternative simultaneamente, ciascunvotante dichiara la propria alternativa preferita, e vince quella che riceve il mag-gior numero di voti. A differenza dei metodi precedenti, in cui era richiesta laconoscenza dell’intero ordinamento di preferenza di ciascun elettore, in questocaso è sufficiente conoscere l’insieme delle alternative ideali.

Questo sistema garantisce l’esistenza di un vincitore e non si pone un proble-ma di ordine nella votazione. Inoltre è soddisfatto il criterio dell’unanimità.Anche questo sistema, tuttavia, presenta dei limiti rilevanti. In primo luogo ilvincitore con il maggioritario potrebbe non essere il vincitore di Condorcet, cioèl’opzione che batte tutte le altre in confronti diretti a maggioranza.

Esempio 5.5. Si considerino quindici votanti, che debbano scegliere rispetto allealternative x, y e z. Supponiamo che gli ordini di preferenze individuali siano iseguenti:

• 6 votanti preferiscono x a y, e y a z;• 4 votanti preferiscono y a z, e z a x;• 5 votanti preferiscono z a y, e y a x.

Posizione N. votanti6 4 5

I x y z

II y z y

III z x x

Quando si pongano in votazione le alternative con il maggioritario a turno unico,x vince su z per 6 a 5, e z vince su y per 5 a 4: è scelta l’alternativa x. Quandoinvece si pongano in votazione le alternative a maggioranza, allora y vince su z

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per 10 a 5, z vince su x per 9 a 6, e coerentemente y vince su x per 9 a 6: è sceltal’alternativa y. I due sistemi di votazione producono dunque ordinamenti socialidiversi, e diversi vincitori.

Un secondo limite del sistema maggioritario a turno unico risiede nella possibilitàche risulti vincitrice un’opzione che è fra le meno preferite dagli elettori.

Esempio 5.6. Si considerino diciassette votanti, che debbano scegliere rispettoalle alternative (x, y, z, s, t) . La tabella seguente riporta le preferenze per i diversigruppi.

Posizione N. votanti5 2 3 3 4

I x y z s t

II y z y y y

III z s s z z

IV s t t t s

V t x x x x

Il sistema maggioritario sceglie x. Ma x è giudicata l’opzione peggiore da 12votanti su 17! Per ogni altra alternativa, vi è una maggioranza che la preferisce adx. In generale, i limiti dei sistemi maggioritari dipendono dal fatto che nella vo-tazione si considera soltanto una parte dell’informazione contenuta nei vari ordinidi preferenza individuali: precisamente, l’alternativa ideale. In effetti, il sistemamaggioritario è indicato solo nel caso di due alternative. Questa considerazioneporta a formulare il prossimo meccanismo di voto.

5.2.5 Il sistema maggioritario a doppio turno

Con questo metodo, nel primo turno ciascun individuo vota per un’unica alter-nativa. Se esiste un’alternativa con una maggioranza superiore al 50% dei voti,questa è l’alternativa vincente. Altrimenti, si vota una seconda volta a maggio-ranza semplice per le due opzioni che nel primo turno hanno ottenuto il maggiornumero di voti. Il vincitore di questo secondo turno vince l’elezione.Anche questo sistema garantisce l’esistenza di un vincitore, il quale risulta essereindipendente dall’ordine seguito nella votazione. Inoltre è soddisfatto il criteriodell’unanimità.

Anche con il maggioritario a doppio turno il vincitore potrebbe non coinci-dere con il vincitore di Condorcet, cioè l’opzione che batte tutte le altre in con-fronti diretti a maggioranza. (Nel caso dell’Esempio 5.6 il sistema maggioritarioa doppio turno porterebbe a sceglie t invece di y).

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74 CAPITOLO 5

5.2.6 Il metodo di BordaIl metodo di Borda è il più semplice tra i sistemi di voto ponderato, sistemi chepermettono l’espressione della intensità delle preferenze individuali sulle diversealternative attraverso l’esplicita attribuzione di pesi.

Supponiamo ci siano n alternative. Ciascun votante, classificando le alterna-tive in base alle proprie preferenze, attribuisce alla prima in classifica n punti, allaseconda n− 1 punti, alla terza n− 2, e così via. Vince l’alternativa che registra ilmaggior punteggio.

Esempio 5.7. Le preferenze di tre agenti {A,B,C} rispetto a 4 alternative {x, y,z, s} sono:

• Preferenze di A : x �a y �a z �a s;• Preferenze di B : y �b z �b s �b x;• Preferenze di C : z �c s �c x �c y.

Ora vediamo il punteggio attribuito alle 4 alternative con il metodo di Borda:

x y z s

A 4 3 2 1B 1 4 3 2C 2 1 4 3

Totale 7 8 9 6

In questo caso vince l’alternativa z.

Supponiamo ora che le preferenze dell’individuo A cambino effettivamentee diventino le seguenti: y �a x �a s �a z. L’esito di questo cambiamento saràche ora il vincitore è y invece di z. Si noti che la preferenza di tutti gli individui- e in particolare dell’individuo A - tra y e z non è cambiata: è cambiata la posi-zione di y e di z rispetto ad altre alternative, ma non è cambiata in alcun modo lapreferenza tra le due. E tuttavia l’ordinamento sociale tra y e z è cambiato. Si puòritenere che questa eventualità sia indesiderabile. Quando si verifica questo casola regola di voto non rispetta la seguente proprietà:

Indipendenza dalle Alternative Irrilevanti (IAI): la preferenza sociale tra duealternative x e y deve dipendere solo dalle preferenze individuali su tali alternati-ve.

5.3 L’approccio assiomatico deduttivoNei paragrafi precedenti, si è evidenziata la difficoltà di disegnare una regola divoto soddisfacente. Tutte le regole di voto considerate, pur presentando pregi dirilievo, si caratterizzano per limiti e difetti.

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In questo paragrafo si seguirà un percorso inverso: si formuleranno delleproprietà eticamente desiderabili (assiomi), e ci si porrà la seguente domanda:quale regola (o quale insieme di regole) di voto soddisfa queste proprietà di base?Si tratta cioè di dedurre, attraverso un processo logico, il meccanismo di decisionecollettiva da alcuni principi largamente condivisibili.

Il metodo assiomatico, introdotto nella teoria delle scelte collettive da Arrow[1951], scompone una regola di voto in un insieme di assiomi elementari, ottenen-do in tal modo due diversi risultati: rende trasparenti i giudizi di valore impliciti inuna regola di voto; rende chiaro e rigoroso il confronto tra meccanismi di voto al-ternativi. È dunque un contributo molto ricco alla riflessione logica e al confrontoragionato.

5.3.1 Il teorema dell’ impossibilità di Arrow

Si tratta del risultato più importante nella teoria delle scelte collettive, sia per ilmetodo assiomatico per la prima volta introdotto in questo campo di studi, sia peril risultato sorprendente e paradossale messo in luce.

Il modello è quello già utilizzato nelle pagine precedenti: una assemblea Ncomposta da n individui deve scegliere tram politiche alternative, appartenenti al-l’insieme X . Ciascun individuo i in N è dotato di un ordinamento di preferenza,completo e transitivo, sull’insieme X . �i è l’ordinamento di preferenza dell’e-lettore i, {�1, ...,�n} il profilo di preferenze individuali e �S l’ordinamento dipreferenza sociale. Una regola di voto è una funzione la quale, per qualsiasi in-sieme di politiche X, associ un ordinamento di preferenza sociale �Sa un profilodi preferenze individuali.

Arrow [1951] formula il seguente problema: esiste una regola di voto la qualesoddisfi contemporaneamente un insieme di proprietà desiderabili?

Le proprietà desiderabili (assiomi) proposti da Arrow sono i seguenti:

1. Completezza e transitività dell’ordinamento di preferenza collettivo �S ;2. Dominio non ristretto: ammissibilità di qualsiasi ordinamento di preferenza

individuale, purchè completo e transitivo;3. Unanimità: se per tutti gli individui x è preferito a y, allora anche per la società

x deve essere preferito a y;4. Assenza di dittatura: non esiste alcun individuo i in N il cui ordinamento

di preferenza �i su X coincide sempre e comunque con l’ordinamento sociale�S ;

5. Indipendenza dalle alternative irrilevanti: la preferenza sociale tra due alter-native x e y deve dipendere solo dalle preferenze individuali su tali alternative.

Arrow [1951] dimostra che i 5 assiomi precedenti sono tra loro incompatibili.

Teorema 5.3 (Teorema di Impossibilità di Arrow [1951]). Non esiste alcunaregola di voto la quale soddisfi le condizioni 1-5.

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Per una semplice dimostrazione, si veda Dardanoni (2002).Dunque, non esiste alcuna regola di voto la quale possa soddisfare contem-

poraneamente le cinque proprietà formulate. Ogni regola di voto, secondo Arrow,deve necessariamente violare almeno una di queste proprietà. Per esempio, la re-gola dittatoriale, in cui un individuo sceglie per tutti, rispetterebbe tutte le altrecondizioni.

Il teorema svela l’esistenza di una difficoltà profonda dei sistemi democratici,rendendo tra l’altro manifesta l’esistenza di un conflitto tra esigenze di rappresen-tatività democratica delle regole di voto (espresse dagli assiomi 3 e 4) ed esigenzedi decisività delle stesse (espresse dagli assiomi 1 e 2). Si tratta di un risultato cer-tamente negativo. Tuttavia, il senso dei risultati assiomatici di impossibilità non èquello di suggerire la rinuncia alle richieste di fondo che sottendono le proprietàformulate. Un risultato di impossibilità individua il limite estremo cui è possibilespingersi con le diverse richieste espresse dagli assiomi. Indebolendo uno o piùassiomi, soluzioni positive sono possibili. In effetti la ricchissima letteratura natadal teorema di Arrow ha dimostrato come, indebolendo uno qualsiasi degli assio-mi originari, è possibile ottenere risultati positivi, cioè regole elettorali. Il teoremaperò permette di individuare in maniera rigorosa a cosa si sta rinunciando con unaqualsiasi delle regole di voto possibili.

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Suggerimenti per ulteriori letture

I testi classici, già citati nel testo, rimangono: Arrow [1951], Buchanan andTullock [1962], Gibbard [1973], May [1952], Satterthwaite [1975] e Sen [1970].Si consiglia anche la lettura dei seguenti testi: Dardanoni [2002], Roemer [2001]e Sen [1986].

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Bibliografia

Arrow, K. (1951). Social Choice andIndividual Values. 2nd ed. 1963.Wiley, New York.

Buchanan, J. and Tullock, G. (1962).The Calculus of Consent. TheUniversity of Michigan Press, AnnArbor.

Dardanoni, V. (2002). “A pedago-gical proof of Arrow’s impossibili-ty theorem”. Social Choice andWelfare.

Gibbard, A. (1973). “Manipulationof voting schemes”. Econometrica,(41):587–601.

Hardin, G. (1978). “The Tragedy of theCommons”. Science.

Longobardi, E. (2009). Economiatributaria. McGraw-Hill, Milano.Seconda edizione.

May, K. (1952). “A set of indepen-dent, necessary and sufficient condi-tions for simple majority decision”.Econometrica, (20):680–684.

Rawls, J. (1971). A Theory of Justice.Harvard University Press, Cambrid-ge. Traduzione italiana Una teoriadella giustizia, Feltrinelli, Milano,1991.

Roemer, J. (2001). Political Competi-tion. Harvard University Press.

Satterthwaite, M. A. (1975). “Strategy-proofness and Arrow’s conditions:existence and correspondence theo-rems for voting procedures and so-cial welfare functions”. Journal ofEconomic Theory, (10):187–217.

Sen, A. K. (1970). Individual choiceand Social Welfare. Holden-Day, San

Francisco.Sen, A. K. (1977). “On Weights and

Measures: Informational Constraintsin Social Welfare Analysis”. Econo-metrica, (45). Traduzione italiana inScelta, Benessere, Equità, Il Mulino,1986.

Sen, A. K. (1986). Scelta, benessere,equità. Il Mulino, Bologna.