Appunti Di Igiene Per Le Professioni Sanitarie Odt

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IGIENE L’Igiene e la Medicina preventiva si servono dell’epidemiologia per individuare le cause di malattia ed i fattori di causa o protettivi. L’epidemiologia è la disciplina che studia le malattie e i fenomeni ad esse correlate attraverso l’osservazione della distribuzione e dell’andamento delle malattie stesse nella popolazione, l’individuazione dei fattori di rischio e la programmazione di idonei interventi preventivi e curativi. Dall’epidemiologia delle malattie infettive a vere e proprie sub specializzazioni. Epidemiologia socio-sanitaria che analizza le prestazioni sanitarie erogate (definizione, nell’ambito di questa, di stato di salute ottimale definito dall’OMS). Evoluzione dell’epidemiologia Ambiti di applicazione: modello delle paesi in via di sviluppo e l’altro dei paesi sviluppati. STATISTICA SANITARIA APPLICATA ALL’EPIDEMIOLOGIA Le informazioni statistiche espresse in termini quantitativi rappresentano un fondamentale strumento per lo studio epidemiologico. Queste fonti possono fornire la rappresentazione di una popolazione secondo due modalità: una descrive statisticamente la configurazione in un determinato momento (stato della popolazione), l’altra mette in luce le principali modificazioni che avvengono in essa nel tempo (movimento della popolazione). • Censimento (rilevazione delle principali caratteristiche di una popolazione, in genere ogni 10 anni). • Piramide dell’età (struttura della popolazione per sesso ed età). • Registri anagrafici e notificazioni obbligatorie. • Certificazioni delle cause di morte. • Registrazione delle nascite (per eventuale assistenza sanitaria di quei bambini che necessitano di particolare cura). • Notificazione delle malattie infettive (prevenire eventuali epidemie e per adottare adeguate misure preventive). • Fonti ospedalieri, scheda di dimissione ospedaliera e registri ospedalieri. • Indagini ad hoc: sistemi di rilevazione impiegati su insiemi (campioni) della popolazione. Maggiore completezza e pertinenza dei dati. Interviste e questionari. • Registri di patologia. METODOLOGIA DEL RILEVAMENTO DEI DATI -osservazioni dirette -sondaggi -documentazione sanitaria Misure della frequenza degli eventi sanitari Per lo studio della distribuzione degli eventi all’interno di una determinata popolazione sono usati particolari indicatori di frequenza: • Frequenza assoluta: numeri di eventi verificatisi in un determinato periodo all’interno di una popolazione; • Rapporti: relazione tra due quantità indipendenti tra loro. • Proporzioni (o frequenze relative): rapporto tra due quantità, in cui il numeratore è incluso nel denominatore. • Tassi: si compone di una popolazione a rischio di ammalare; di un intervallo di tempo in cui si effettua la misura; il numero di eventi che si sviluppano all’interno della popolazione scelta. In genere un tasso viene espresso come numero di eventi per 100 o multipli di 100.

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IGIENE

L’Igiene e la Medicina preventiva si servono dell’epidemiologia per individuare le cause di malattia ed i fattori di causa o protettivi. L’epidemiologia è la disciplina che studia le malattie e i fenomeni ad esse correlate attraverso l’osservazione della distribuzione e dell’andamento delle malattie stesse nella popolazione, l’individuazione dei fattori di rischio e la programmazione di idonei interventi preventivi e curativi. Dall’epidemiologia delle malattie infettive a vere e proprie sub specializzazioni. Epidemiologia socio-sanitaria che analizza le prestazioni sanitarie erogate (definizione, nell’ambito di questa, di stato di salute ottimale definito dall’OMS). Evoluzione dell’epidemiologia Ambiti di applicazione: modello delle paesi in via di sviluppo e l’altro dei paesi sviluppati. STATISTICA SANITARIA APPLICATA ALL’EPIDEMIOLOGIA Le informazioni statistiche espresse in termini quantitativi rappresentano un fondamentale strumento per lo studio epidemiologico. Queste fonti possono fornire la rappresentazione di una popolazione secondo due modalità: una descrive statisticamente la configurazione in un determinato momento (stato della popolazione), l’altra mette in luce le principali modificazioni che avvengono in essa nel tempo (movimento della popolazione). • Censimento (rilevazione delle principali caratteristiche di una popolazione, in genere ogni 10 anni). • Piramide dell’età (struttura della popolazione per sesso ed età). • Registri anagrafici e notificazioni obbligatorie. • Certificazioni delle cause di morte. • Registrazione delle nascite (per eventuale assistenza sanitaria di quei bambini che necessitano di particolare cura). • Notificazione delle malattie infettive (prevenire eventuali epidemie e per adottare adeguate misure preventive). • Fonti ospedalieri, scheda di dimissione ospedaliera e registri ospedalieri. • Indagini ad hoc: sistemi di rilevazione impiegati su insiemi (campioni) della popolazione. Maggiore completezza e pertinenza dei dati. Interviste e questionari. • Registri di patologia.

METODOLOGIA DEL RILEVAMENTO DEI DATI -osservazioni dirette -sondaggi -documentazione sanitaria

Misure della frequenza degli eventi sanitariPer lo studio della distribuzione degli eventi all’interno di una determinata popolazione sono usati particolari indicatori di frequenza: • Frequenza assoluta: numeri di eventi verificatisi in un determinato periodo all’interno di una popolazione; • Rapporti: relazione tra due quantità indipendenti tra loro. • Proporzioni (o frequenze relative): rapporto tra due quantità, in cui il numeratore è incluso nel denominatore. • Tassi: si compone di una popolazione a rischio di ammalare; di un intervallo di tempo in cui si effettua la misura; il numero di eventi che si sviluppano all’interno della popolazione scelta. In genere un tasso viene espresso come numero di eventi per 100 o multipli di 100.

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Incidenza e prevalenza Criteri che studiano la distribuzione di un evento all’interno della popolazione, che collocano diversamente nel tempo il processo osservazionale. Incidenza: (Numero di nuovi casi di malattia nel tempo t / popolazione a rischio di ammalare in quel periodo) x 100 Prevalenza: (Numero di casi di malattia rilevati in un determinato istante t / popolazione totale) x 100 Prevalenza puntuale o periodale Per le malattie inguaribili (nelle quali i casi prevalenti rimangono tali per tutta la vita) si può stabilire una relazione tra incidenza (I) e prevalenza (P) (dove I e durata d della malattia siano costanti nel tempo): P = I x d La prevalenza è influenzata dallo sviluppo e dalla durata dell’evento. Tassi grezzi: numeri di eventi verificatisi all’interno di una determinata popolazione. Tassi specifici. Standardizzazione dei tassi: metodologia con la quale si procede all’aggiustamento dei tassi grezzi, con la quale è possibile “ pesare” le diverse componenti. Valutazione del rischio I fattori di rischio possono essere attribuiti alla persona stessa, o essere elementi a cui la persona è esposta che aumentano la probabilità che una malattia o una condizione si verifichino. Possono comprendere componenti genetiche (intrinseche all’individuo); ambientali (inquinamenti di varia natura); comportamentali (errati stili di vita). I fattori di rischio pur aumentando le probabilità che una determinata malattia si verifichi, no ne determina necessariamente lo sviluppo. Rischio relativo : esprime di quanto è maggiore il rischio dei soggetti esposti ad un determinato fattore rispetto ai non esposti RR = Incidenza exp / Incidenza non exp Studi epidemiologici Epidemiologia di osservazione ed epidemiologia di intervento Epidemiologia di osservazione si divide in: 1. epidemiologia ecologica o descrittiva (studi ecologici) 2. epidemiologia analitica (studi trasversali, studi a coorte, studi casocontrollo) Studi ecologici: forniscono informazioni generali sulla diffusione(frequenza e distribuzione) delle malattie e dei fattori di rischio. Inoltre, forniscono indicazioni generali sull’associazione di una malattia con determinate caratteristiche di base dell’individuo. Tra le fonti da cui attingere troviamo: schede di morte, notifiche delle malattie infettive, registri di patologia, registri ospedalieri, censimenti, indagini ad hoc ecc. Analisi per coorti: riferite ad un gruppo di soggetti nati in un determinato periodo. Epidemiologia analitica : ha lo scopo di individuare la causa di una malattia o i fattori che la favoriscono o la ostacolano. Le indagini analitiche consistono in studi progettati per verificare le ipotesi causali suggerite dall’epidemiologia descrittiva. Studi di prevalenza o trasversali: sono quelli in cui una popolazione definita viene esaminata in un determinato istante al fine di valutare lo stato di malattia o all’esposizione ad un particolare fattore di rischio. In realtà si tratta di uno studio descrittivo, ma si differenzia da questo perché non utilizza fonti già esistenti, ma si ricorre a rilevamenti diretti su un campione della popolazione. Fotografia istantanea della popolazione (difficile indagare sul rapporto temporale causa-effetto). Screening Studi a coorte: si definisce coorte un gruppo di soggetti che hanno in comune una o più caratteristiche. Gli studi a coorte osservano dei soggetti appartenenti alla coorte selezionata per un determinato periodo di tempo; esse includono il tempo come variabile essenziale. La coorte va scelta in rapporto all’ipotesi che si vuole verificare. Quando si vuole verificare se un determinato fattore sia responsabile dell’insorgenza di una malattia, la coorte sarà costituita da tutti i soggetti esposti a quel fattore; fra di essi si rileverà la prevalenza all’inizio dell’indagine e la sua incidenza negli anni

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successivi, in paragone con la prevalenza e l’incidenza del resto della popolazione o con un’altra coorte ma non esposta a quel fattore, nello stesso periodo di tempo. È importante determinare la durata del tempo di osservazione e l’evento terminale. Studi caso-controllo: indagini retrospettive effettuate su due gruppi, uno costituito da soggetti affetti da una determinata patologia (i casi) ed uno da individui con le stesse caratteristiche ma non affetti da quella patologia (i controlli). Ad ogni caso si appaia un controllo. Confronto quantitativo o qualitativo (esposizione o non esposizione a un determinato fattore di rischio). Studi poco costosi perché non bisogna aspettare il verificarsi della malattia. Stima sufficientemente approssimata del rischio relativo. Epidemiologia sperimentale si divide in:

1. studi terapeutici 2. studi preventivi: interventi che consistono nella rimozione di uno o più fattori di rischio o

nell’imposizione di misure preventive che si ritengono efficaci. Sperimentazioni di intervento sul campo (interventi presi su un’intera comunità o su un ben preciso territorio); sperimentazioni sul campo (interventi condotti su individui non malti, ma semplicemente a rischio di ammalare).

EPIDEMIOLOGIA GENERALE DELLE MALATTIE INFETTIVE Eziologia delle malattie infettive :Malattia infettiva → Causa microbica → Specifico agente microbico Infezione opportunistica → Minore specificità eziologia Ecologia microbica # Microrganismi saprofiti # Microrganismi commensali # Microrganismi parassiti Microrganismi patogeni

Patogenicità: capacità del microrganismo di causare un danno all’ospite Invasività (capacità di penetrare e diffondersi in tutto l’organismo o in un organo preferenziale) e tossigenicità (capacità di produrre tossine) Patogeni invasivi e non invasivi producono o liberano per disfacimento metabolici tossici, esoenzimi, endotossine, responsabili delle lesioni locali e generali. Virulenza: diverso grado con cui si esprime la patogenicità a seconda dei diversi stipiti microbici. Carica infettante → Infettività: capacità di un microrganismo patogeno di penetrare, attecchire e moltiplicarsi nell’ospite. Contagiosità: capacità di un microrganismo patogeno di passare da un soggetto recettivo ad un altro, a seguito della sua eliminazione all’esterno nel corso del suo processo infettivo. Malattie infettive contagiose (eliminazione all’esterno dell’agente microbico) e non contagiose (intervento di vettori). Patogeni opportunisti: microrganismi saprofiti o commensali che possono essere responsabili di processi infettivi quando vengono meno le normali barriere di difesa che impediscono loro di penetrare nell’organismo in condizioni normali.

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Spettro d’ospite -Uomo o animali o entrambi -Ubiquitari o ristrette localizzazioni geografiche

Rapporti ospite-parassita Non sempre la penetrazione di un microrganismo patogeno è seguita dal suo impianto e dalla sua moltiplicazione nell’organismo ospite. Solo in quest’ultimo caso (quando le barriere di difesa dell’organismo non hanno impedito l’impianto e la moltiplicazione) si realizza l’infezione. Infezione asintomatica e malattia sintomatica. Infezione → Risposta immunitaria da parte dell’organismo (in entrambi i casi) Periodo di incubazione (PI): periodo intercorrente tra la penetrazione dell’agente patogeno e l’inizio della sintomatologia clinica (dipende dal microrganismo patogeno e dalle difese dell’ospite). PI breve nelle infezioni superficiali e con lesioni localizzate PI più lungo quando l’agente patogeno deve penetrare, moltiplicarsi, diffondersi e raggiungere un organo bersaglio. Barriere di difesa dell’organismo ospite

Cute e mucose (struttura, secrezioni, microrganismi commensali) Intervento di fagociti Produzione di anticorpi. Stato di immunità attiva (naturale o artificiale) o passiva (naturale o artificiale) Refrattarietà: dovuta a fattori intrinseci dell’ospite, geneticamente determinati, che impediscono la penetrazione, l’attecchimento e la moltiplicazione del microrganismo patogeno. Fattori aspecifici

Il rapporto ospite-parassita è un rapporto temporaneo che si conclude con il sopravvento dell’ospite sul microrganismo prima che esso penetri (subito dopo il contagio), oppure dopo che è penetrato e si è moltiplicato ma prima che abbia causato un danno evidente (infezione in apparente) o dopo che si è manifestata la malattia (guarigione).Nell’infezione latente si arriva ad uno stato di equilibrio tra l’ospite e il parassita, quest’ultimo persiste nei tessuti dell’ospite dove si moltiplica ma da segno della sua presenza solo occasionalmente. Nel portatore cronico la malattia si è conclusa con la guarigione, tuttavia il microrganismo patogeno ha potuto localizzarsi in un particolare sito anatomico dove si moltiplica e raggiunge l’ambiente esterno con gli escreti.

TRASMISSIONI DELLE INFEZIONI Caratteristica delle malattie infettive è la trasmissibilità orizzontale da un ospite all’altro o in alcuni casi verticale (attraverso la placenta). Sorgente di infezione: ospite umano o animale di un microrganismo patogeno, quando quest’ultimo può essere trasmesso ad altri organismi recettivi. Soggetto ammalato. L’eliminazione dell’agente patogeno può avvenire attraverso diversi escreti o secreti, in rapporto alla localizzazione del processo infettivo. Portatori. Soggetto non ammalato che alberga microrganismi patogeni e li

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elimina all’esterno. -Portatori convalescenti -Portatori cronici -Portatori di incubazione -Portatori sani (infezione inapparente) Serbatoi di infezione: specie animale o vegetale o substrato inanimato in cui il microrganismo patogeno trova il suo habitat naturale e da cui può essere trasmesso ad organismi recettivi.

Antropozoonosi Zooantroponosi

Vie di penetrazione e modalità di trasmissione Mucose dell’apparato digerente, dell’apparato respiratorio, delle vie genito-urinarie, della congiuntiva. Cute, barriera che può essere superata con la puntura di alcuni insetti o con la morsicatura di alcuni animali. Solo le larve di alcuni elminti possono attraversare la cute sana. Modalità di trasmissione dipendono dalle vie di ingresso obbligate o preferenziali del microrganismo patogeno e dalla resistenza che essi hanno nell’ambiente.

Trasmissione diretta - per contatto - mediante inoculazione - per via aerea in genere questa modalità di trasmissione è tipica di microrganismi che vengono inattivati rapidamente nell’ambiente.

Trasmissione indiretta-veicoli: substrati inerti: acqua, aria, alimenti e oggetti -vettori: organismi animati. Gli antropodi fungono da vettori di virus, batteri, protozoi che si moltiplicano all’interno del vettore e sono trasmessi gli ospiti recettivi mediante puntura o deposizione delle feci su lesioni della pelle. Vettori obbligati e vettori meccanici o passivi.

Catene di contagio -catena di trasmissione omogenea omonima (tra individui appartenenti alla stessa specie) -catena di trasmissione omogenea eteronima (tra individui appartenenti a specie diverse) -catena di trasmissione eterogenea omonima (tra individui della stessa specie tramite un vettore obbligato) - catena di trasmissione eterogenea eteronima (tra individui di specie diverse con l’intervento di un vettore) Conoscere le catene di trasmissione sono importanti per l’elaborazione di strategie di intervento

Fattori favorenti le infezioni-Fattori individuali: fattori biologici e fattori comportamentali -Fattori ambientali: condizioni socio-economiche, affollamento, scarsità di acqua potabile, cattivo smaltimento di rifiuti

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MODI DI COMPARSA DELLE MALATTIE INFETTIVE

Epidemia: più casi di malattia che si presentano nella stessa popolazione o nello stesso gruppo di individui entro un breve periodo di tempo avente la stessa origine. Può avere durata variabile e coinvolgere un numero più o meno elevato di soggetti in relazione alla contagiosità del microrganismo patogeno e alla recettività dei soggetti. Caso indice, casi secondari e intervallo seriale. Mappa temporale: studio della sequenza nel tempo della malattia. Pandemia Endemia: l’agente responsabile della malattia è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero più o meno elevato di casi ma uniformemente distribuito nella popolazione. Equilibri tra il microrganismo e la popolazione (fattori biologici, fattori sociali, ambientali e metereologici). Sporadicità: si manifesta in una popolazione in cui quella malattia è assente da tempo e non si trasmette ad altri individui rimanendo un caso isolato.

Notificazione obbligatoria e indagini di laboratorio

Storia naturale di una malattia infettiva: insieme delle carattreistiche biologiche del microrganismo patogeno, a recettività dell’ospite e le caratteristiche della popolazione concorrono a determinare il decorso nel singolo e nella collettività.

EPIDEMIOLOGIA GENERALE DELLE MALLATTIE NON INFETTIVE Non sono caratterizzate dalla trasmissibilità orizzontale Causa: tutti gli agenti che svolgono un ruolo determinante per l’inizio e il decorso della malattia. -Cause biologiche comprendenti cause genetiche (alterazioni dei geni) e cause biologiche ambientali (allergeni naturali) -Cause chimiche: sostanze chimiche che causano alterazioni patologiche. Tossicità acuta, cronica e genetica. -Cause fisiche: calore, rumori, traumi, radiazioni ionizzanti e non. Fattori causali: pur non avendo i requisiti delle “cause” (unicità, indispensabilità, specificità, sufficienza) hanno un rapporto causa-effetto con la malattia (fumo di sigaretta, abuso di bevande alcoliche, ecc.). Fattore di rischio: condizioni che aumentano la probabilità che un evento patologico si manifesti. Variabili biologiche, comportamentali ed ambientali. Fattori protettivi. Variabili biologiche, comportamentali ed ambientali

.PREVENZIONE ED OBIETTIVI DELLA PREVENZIONE La prevenzione ha il fine di impedire l’insorgenza e la progressione della malattia. A seconda degli obiettivi e dei metodi di intervento distinguiamo tre tipi di prevenzione: primaria, secondaria e terziaria. Prevenzione primaria. Obiettivo della prevenzione primaria è impedire l’insorgenza di nuovi casi di malattia nelle persone sane. Diminuzione del tasso di incidenza. Per ottenere la diminuzione del tasso di incidenza è necessario ridurre il rischio individuale e questo può essere ridotto completamente a zero se si elimina completamente la causa della malattia o ad impedire che essa agisca sulla popolazione. In questo caso anche l’incidenza tenderà a zero in tempi più o meno brevi. (Brucellosi)

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Metodologia della prevenzione primaria - eugenetica; - potenziamento delle capacità di difesa dell’organismo; - rimozione di comportamenti nocivi; - induzione di comportamenti positivi; - interventi sull’ambiente di lavoro e di vita

Prevenzione secondaria. Obiettivo della prevenzione secondaria è la scoperta e la guarigione dei casi di malattia prima che essi si manifestino clinicamente. Riduzione del tasso di prevalenza (i casi che vengono scoperti e subito sottoposti a cura, giungono rapidamente a guarigione) ma non del tasso di incidenza. Non tutte le malattie sono suscettibili di prevenzione secondaria, ma soltanto quelle aventi certi requisiti, come: - conoscenza della storia naturale della malattia per prevederne l’evoluzione; – periodo di latenza in fase asintomatica sufficientemente lungo;

– disponibilità di un test (clinico, strumentale o di laboratorio);– disponibilità di terapie efficaci.

Metodologia della prevenzione secondaria

Ogni intervento di prevenzione secondaria richiede l’esame di una massa di persone apparentemente sane per effettuare lo screening, cioè la selezione di coloro che non presentano ancora i sintomi della malattia. Screening selettivo (categoria con rischio di ammalare particolarmente elevato) o di massa. Requisiti perché si possano programmare interventi di prevenzione secondaria mediante screening: - frequenza e gravità della malattia; - evoluzione della malattia; - disponibilità di efficaci terapie;

– esame (saggio di laboratorio o indagine strumentale) semplice, rapido, sensibile (falsi negativi), specifico (falsi positivi) e poco costoso.

–Prevenzione terziaria. Obiettivo della prevenzione terziaria è impedire l’invalidità in persone già ammalate di malattie croniche.

OBIETTIVI STRATEGICI DELLA PREVENZIONE

• proteggere il singolo individuo dalle malattie; • raggiungere il controllo delle malattie nella popolazione (diminuzione dei casi di malattia); • eliminare le malattie (scomparsa dei casi di malattia);• eradicare le malattie

PREVENZIONE DELLE INFEZIONI Nel caso di malattie infettive si attua una prevenzione primaria e secondaria. La prevenzione primaria delle infezioni mira ad evitare il contagio o, quando non è possibile, l’infezione. 1. per evitare il contagio è necessario impedire che l’agente eziologico venga a contatto con un ospite recettivo, agendo sulle sorgenti e sui serbatoi di infezione; 2. per evitare l’infezione è necessario impedire che il microrganismo venuto a contatto con l’ospite si moltiplichi all’interno di esso. Strategie: A .scoprire e rendere inattive le sorgenti di infezione; B. interrompere le catene di trasmissione; C. aumentare le resistenze alle infezioni.

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A. notificazione obbligatoria primo atto per la scoperta delle sorgenti di infezione e successiva inchiesta epidemiologica. Isolamento e contumacia. Disinfezione e sterilizzazione. Disinfestazione. Scoperta e inattivazione dei portatori. Eradicazione dei serbatoi naturali. B. Intervento sui fattori ambientali che ne favoriscono la diffusione attraverso la bonifica dell’ambiente (riduzione dei casi di malattia agendo sui vettori e sui veicoli) ed educazione sanitaria (modifica dei comportamenti). C. Resistenze aspecifiche: barriere fisiologiche (cute e mucose). Importanti per evitare l’ingresso di microrganismi saprofiti e commensali. Immunoprofilassi attiva (vaccini) e/o passiva (immunoglobuline umane e sieri eterologhi). Chemioprofilassi primaria (per impedire l’attecchimento e il moltiplicarsi del microrganismo patogeno una volta penetrato in soggetti esposti ad un rischio di contagio). La prevenzione secondaria ha lo scopo di impedire che l’infezione evolva in malattia conclamata. Teoricamente si deve impedire, una volta che è avvenuto il contagio e dopo che il microrganismo ha dato inizio al processo infettivo, che quest’ultimo dia segni clinicamente manifesti. In pratica non sempre questo è possibile a causa di periodi di incubazione piuttosto brevi. Gli interventi consistono essenzialmente nella diagnosi precoce mediante screening e nel trattamento della malattia in fase preclinica. Chemioprofilassi secondaria: somministrazione di chemioterapici e farmaci a persone in cui è già in atto il processo infettivo.

OBIETTIVI DELLA PREVENZIONE

- Protezione individuale; - Controllo delle infezioni (processo dinamico che, per mezzo di un opportuno programma di prevenzione, porta ad unasignificativa e progressiva riduzione dell’incidenza della malattia, ad esempio tramite vaccinazioni di massa;- Eliminazione delle infezioni (assenza di casi di malattia pur essendo ancora presenti i serbatoi di infezione - Eradicazione delle infezioni (scomparsa del microrganismo patogeno).

MODALITA’ E MEZZI PER LA STERILIZZAZIONE, LA DISINFEZIONE E LA DISINFESTAZIONE

SterilizzazioneDistruzione totale delle forme vegetative e delle forme sporali di microrganismi patogeni e non. Sterilizzazione con il caloreIl calore agisce alterando le sostanze che costituiscono le strutture dei microrganismi; particolarmente sensibili all’azione del calore sono le proteine con funzioni enzimatiche. Diversa sensibilità dei microrganismi al calore. Calore umido (vapore saturo e tindalizzazione) e calore secco (incenerimento, flambaggio di superfici e oggetti, aria calda e radiazioni infrarosse). 1. Aria caldaStufe o armadietti con temperatura tra 180°C-200°C per 30-60 minuti. (vetreria di laboratorio, siringhe, altro materiale di vetro o di metallo. Alcuni materiali possono subire alterazioni. 2. Raggi infrarossi Notevole capacità di penetrazione 3. Vapore saturo sotto pressioneI microrganismi sono più sensibili quando si trovano in ambiente umido. Questo è dovuto alla minore stabilità delle proteine ed alla maggiore conducibilità termica dell’acqua e del vapore rispetto all’aria.

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Raggi ultravioletti I raggi UV nella lunghezza d’onda di 2.500Å possiedono la maggiore attività microbicida. Agiscono alterando il DNA. Raggi gammaRadiazioni ionizzanti prodotti dal cobalto 60 Sterilizzazione con ossido di etileneSi utilizza per tutti quei materiali che possono subire alterazioni se sottoposte a calore umido o secco. L’ossido di etilene è un etere ciclico, che passa allo stato gassoso alla tem

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FEBBRE TIFOIDE Agente eziologico: Salmonella typhi. PATOGENESI Le metodiche batteriologiche di accertamento diagnostico devono tenere conto delle fasi patogenetiche della malattia: − emocoltura Periodo di incubazione: 1-7 giorni − sieroagglutinazione Periodo di invasione− coprocoltura Periodo di stato Periodo di defervescenza

SORGENTI DI INFEZIONI L’uomo malato o portatore, elimina il batterio attraverso le feci nelle fasi avanzate della malattia, o attraverso le urine durante la fase di batteremia. I portatori sono per la maggior parte convalescenti o cronici. Trasmissione diretta interumana (attraverso le mani) o indiretto. Veicoli: acqua, latte, molluschi, ortaggi. Vettori: mosche.

PREVENZIONE − Adeguato smaltimento dei liquami; clorazione delle acque della rete idrica pubblica; lotta contro le mosche; scrupolosa adozione di misure igieniche nella manipolazione dei cibi; bollitura e pastorizzazione del latte; controllo della commercializzazione dei frutti di mare; protezione delle acque, suolo e alimenti dall’inquinamento fecale Periodo di incubazione: 1-7 giorni Periodo di invasione Periodo di stato Periodo di defervescenza − Identificazione, isolamento e bonifica dei portatori, dei contatti e dei malati

INTERVENTI DI PREVENZIONE SPECIFICA − Vaccino inattivato: costituito da sospensioni di S.typhi e S. paratyphi inattivate con formolo o con acetone. 80-90% dei soggetti si ha una protezione immunitaria di 3-4 anni. − Vaccino vivo attenuato: preparato da un mutante di S. typhi incapace di metabolizzare il galattosio, pertanto va inconytro ad autolisi. Obbligo di vaccinazione: − Personale addetto ai servizi di cucina, disinfezione, pulizia degli ospedali e degli istituti e case di cura; − Personale addetto ai servizi di approvvigionamento idrico, raccolta del latte; − Personale addetto alla manipolazione, produzione e preparazione di alimenti.

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SALMONELLOSI Il genere Salmonella comprende due specie: S. enterica, che è divisa in 6 sottospecie (divise a loro volta in serovar sulla base degli antigeni somatici O, di superficie Vi e flagellari H) e S. bongori. Sono distrutte alla temperatura di 60°C per tempi d i 15-20 minuti (processi di pastorizzazione). Adeguata cottura degli alimenti Refrigerazione degli alimenti Possibile ricontaminazione dopo la cottura o prima della refrigerazione Si distinguono: 1. Sierotipi adattati all’uomo (S. typhi, S. paratyphi A e C); 2. Sierotipi adattati a particolari ospiti animali (S. abortus-equi, S. gallinarum, S. abortus-ovis, S. typhi-suis); 3. Sierotipi non aventi un ospite preferenziale. Degli oltre 1600 sierotipi che si conoscono solo 50 ricorrono comunemente. Serbatoi naturali: rettili. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della diffusione di sierotipi negli animali da allevamento. PATOGENESI Maggiore è il numero di microrganismi introdotti per via orale, maggiori sono le probabilità che un certo numero giunga nell’intestino. Una volta giunte nell’intestino, se riescono ad aderire all’epitelio dell’intestino tenue, penetrano nella mucosa intestinale fino a raggiungere la lamina propria dove si motiplicano e provocano diversi gradi di risposta infiammatoria. L’infezione (che in alcuni è inapparente) si manifesta dopo un periodo di 12-24 ore ( in alcuni casi anche dopo 72 ore). Sintomi: diarrea, vomito, dolori addominali, febbre (di varia intensità a seconda di diversi fattori). In alcunu casi si possono avere anche forme setticemiche con localizzazioni diverse (S. cholerae suis e S. wien). EPIDEMIOLOGIA Le salmonelle sono veicolate in larga misura dagli alimenti. Meno frequenti sono i portatori cronici di salmonelle rispetto a quelli di S. typhi. Gli animali portatori sani e quelli ammalati contribuiscono alla trasmissione diretta tra gli animali stessi e alla trasmissione indiretta all’uomo attraverso i prodotti animali. Obbligo della notificazione dal 1975. Aumento della diffusione dei sierotipi introdotti nelle diverse regioni, ascrivibile a diversi fattori concomitanti ( importazione di carni e bestiame, diffusione degli allevamenti intensivi, impiego di mangimi a base di farine animali, abitudine di consumare i pasti fuori casa, aumento del consumo di carne). Nonostante il diffondersi di diversi sierotipi, la maggiorparte delle infezioni da salmonelle sono dovute a S. typhimurium. Aumento del numero delle infezioni Aumento del numero dei sierotipi Aumento della resistenza tra le salmonelle agli antibiotici

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EPATITE VIRALE A Al genere Campylobacter appartengono batteri Gram negativi, di forma bastoncellare, incurvati a spirale, con un unico flagello polare (richiama la morfologia del genere Vibrio). Si conoscono diverse specie: innocui saprofiti degli animali (C. bubulus) o della cavità orale dell’uomo (C. sputorum). C. fetus causa infezioni degli annessi fetali. C. jejuni causa enterite acuta in seguito all’invasione da parte del microrganismo dell’intestino tenue e crasso.È particolarmente diffusa nei paesi in via di sviluppo, legata alle condizioni igienico-sanitarie. L’agente eziologico (HAV) è un piccolo virus a RNA, privo di rivestimento, a simmetria icosaedrica, appartenente alla famiglia Picornaviridae. Resiste alla temperatura di 60°C per un’ora, a concentrazioni di 1 ppm di etere e cloro per 30 minuti, è inattivato dal calore umido a 100°C per 5 minuti. Possiede un solo determinante antigenico. L’infezione induce la produzione di anticorpi IgM e IgG. Il virus penetra per via orale e giunge nell’ intestino,e per via portale il fegato, dove si moltiplica attivamente negli epatociti, provocando lesioni di tipo degenerativo-necrotico. Dal fegato il virus passa nel sangue, diffondendosi ad altri organi e attraverso la bile ritorna nell’intestino. Periodo di incubazione: 10-50 giorni Periodo preitterico: 1 settimana con astenia, anoressia, nausea, dolore all’ipocondrio di destra e febbre che si manifesta prima della comparsa dell’ittero e che in genere non supera i 38-38.5°C.Periodo itterico: 2-4 settimane, scomparsa della febbre, emissione di urine del tipico color marsala, colorazione giallastra delle sclere. Aumento notevole delle transamminasi, della bilirubinemia e dei pigmenti biliari nelle urine e alterazione del tracciato elettroforetico. Non esiste lo stato di portatore cronico. Forme atipiche di epatite virale A# Fulminanti (encefalopatia epatica) # Gravi o subacute # A decorso protratto # Recidivanti La diagnosi clinica è effettuata rilevando le modificazioni dei parametri biochimici (transamminasi). La diagnosi eziologia è effettuata con la ricerca delle IgM anti –HAV nel siero di pazienti in fase acuta o convalescenti. E’ possibile effettuare la ricerca diretta del virus nelle feci e nel sangue mediante PCR.

EPIDEMIOLOGIA La malattia è diffusa in tutto il mondo, con maggiore frequenza nelle zone tropicali e subtropicali. La diffusione del virus HAV dipende da diversi fattori: # Densità della popolazione # Condizioni socio-economiche # Abitudini alimentari ecc. In Italia il 40 % delle epatiti è di tipo A (soprattutto nelle regioni meridionali).

SORGENTI DI INFEZIONE Sorgente di infezione: l’uomo malato. Il virus è eliminato attraverso le feci qualche settimana prima della comparsa dell’ittero fino ad alcuni giorni dopo. Periodo di contagiosità: fase preclinica, asintomatica. L’infezione avviene per via orale e il contagio può avvenire direttamente o indirettamente (come per le altre malattie a trasmissione oro-fecale). Il contagio può avvenire anche mediante il sangue e i suoi derivati, ma è eccezionale per la breve durata della viremia. Maggiore frequenza nei soggetti di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Andamento stagionale simile a quello della febbre tifoide.

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PREVENZIONE Isolamento per non più di 7 giorni a partire dalla scomparsa dell’ittero. Disinfezione delle feci e degli oggetti venuti a contatto con i malati Bonifica ambientale

Educazione sanitaria Vaccinazione con virus inattivi (strategia vaccinale: somministrazione a particolari soggetti esposti a rischio di ammalare)Somministrazione di immunoglobuline per tutti quei soggetti esposti ad un rischio immediato.

EPATITE VIRALE E Forma di epatite conosciuta prima come NANB. L’agente eziologico denominato HEV è un piccolo virus a RNA a simmetria icosaedrica, privo di involucro. Nel siero di pazienti e d convalescenti è stato ritrovato un anticorpo antiHEV. Periodo di incubazione: 6 settimane Il decorso della malattia è simile a quello causato dal virus dell’epatite A, si differenzia solo per il numero maggiore delle forme fulminanti e per la sintomatologia piuttosto grave nelle donne in gravidanza, specialmente nel terzo trimestre. La diagnosi eziologia si basa sulla ricerca degli anticorpi specifici anti HEV mediante tecniche imunoenzimatiche e Western Blot. Diffusione: maggiormente nei paesi in via di sviluppo. Trasmissione tipica delle malattie a trasmissione oro-fecale. Colpisce soprattutto i giovani adulti. Non è disponibile una profilassi immunitaria.

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BRUCELLOSILa brucellosi è una tipica zoonosi (che riguarda ovini, bovini, caprini, cani, renne): l’uomo è un ospite accidentale. L’infezione meglio conosciuta come febbre ondulante, si contrae o per contatto diretto (professionale) o per consumo di carne infettata (alimentare) con Brucella melitensis, microrganismo tipico del bestiame (che ha la patogenicità massima per l’uomo, mentre Brucella suis e Brucella abortus presentano patogenicità decrescente). Le brucelle sono Gram negativi di forma cocco-bacillare, immobili. Sono esigenti da un punto di vista nutritivo, sono aerobi, ma spesso lo sviluppo è favorito dalla presenza di CO2. Il genere Brucella comprende 6 specie e diversi biotipi. La malattia, che non è una gastroenterite, non presenta sintomi specifici e ben definiti, bensì febbre intermittente, brividi, dolori diffusi e cefalea. Non si tratta di una infezione mortale, ma è comunque una malattia estremamente debilitante: il microrganismo è infatti di difficile eliminazione poichè la sua localizzazione a livello intracellulare è tale che rimane protetto dai trattamenti con antibiotici. Possiedono due antigeni M e A localizzati alla superficie della cellula batterica ( entrambi presenti nelle tre specie patogene). Produzione di una endotossina, costituita da una frazione fosfolipidica e da un polisaccaride azotato. Le brucelle sono tra le forme vegetative le più resistenti nell’ambiente. Il batterio si moltiplica nel bovino nell'utero e nelle ghiandole mammarie provocando aborti . Infettano l’uomo per via alimentare o per via cutanea. Una volta penetrato nell’organismo si diffonde per via linfatica e attraverso il circolo ematico in tutto l’organismo, localizzandosi nelle cellule del sistema reticoloendoteliale, in particolare nei linfonodi, milza , fegato, rene e midollo osseo fLa sintomatologia si manifesta, dopo un periodo di incubazione estremamente variabile (da pochi giorni a 4/6 settimane), con astenia, malessere generale, cefalea, algie, brividi, febbre che generalmente segue una curva ondulante (alta al pomeriggio, bassa la notte) ma non è la regola. Poi appaiono le tumefazione dei linfonodi di milza e fegato. Possono anche comparire problemi al sistema nervoso sia centrale che periferico. La Forma subacuta colpisce l’apparato motore, è complicata da meningite, meningo encefalite a liquor limpido.La forma cronica dà uno stato di abbattimento mentale e psichico. I gangli linfatici sono il primo focus infettivo. La risposta immunologica consiste da un iniziale rialzo del titolo delle immunoglobuline IgM seguita dopo qualche settimana dalle IgG. Quando si comincia il trattamento, il declino del titolo anticorpale è un segno di buona risposta terapeutica agli antibiotici. Nella fase cronica non vi è di solito batteremia, che si verifica invece nelle prime fasi della malattia.

Epidemiologia La brucellosi è endemica in tutto il mondo, in alcuni paesi sembra scomparsa e in altri sembra in declino. In Italia i casi pur essendo diminuiti, rimangono sempre in numero elevato. Sorgenti di infezione Il serbatoio naturale di infezione è rappresentato dagli animali malati o portatori. Il contagio interumano è eccezionale. Gli animali selvatici infettano l’uomo solo indirettamente attraverso il contagio di animali domestici. L’eliminazione delle brucelle può durare per mesi o anni, avviene attraverso le urine, il latte, le secrezioni vaginali e i prodotti abortivi. Tra gli alimenti i più a rischio sono latte crudo e prodotti lattiero caseari non pastorizzati; in essi, benchè il batterio non si riproduca, è in grado di tollerare: • pH< 5 per almeno due settimane a temperatura di 11-14°C • Concentrazione di NaCl del 10% • Sopravvive in fase latente da 1uno a sei mesi. I rischi di disseminare Brucella nell’ambiente sono molti: • Viene eliminata a lungo • Si diffonde tra gli animali con estrema rapidità • Non sempre gli animali colpiti manifestano con evidenza la malattia • Persiste a lungo nell’ambiente

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Però l’uomo può infettarsi anche per ingestione di alimenti contaminati, soprattutto latte non trattato e suoi derivati (ma anche la carne cruda...), oppure per via aerea inalando escrementi o secrezioni varie, o ancora per inoculazione, ovviamente accidentale, a carico soprattutto di addetti a laboratori e veterinari. L’infezione per contatto è quella che riveste maggiore importanza. Accertamenti diagnosticiData la disseminazione per via ematica bisogna fare l’emocoltura che va tenuta per almeno 10 giorni. Questi batteri liberano endotossine, responsabili dei picchi febbrili, che provocano una ipersensibilità cellulo mediata di tipo ritardato. I sintomi della infezione possono aumentare o diminuire durante un lungo arco di tempo , in rapporto al rilascio in circolo dei batteri (o dei prodotti di essi, quali il lipopolisaccaride). I macrofagi fagocitano ma non lisano le brucelle che si moltiplicano dentro le cellule. Nelle fasi acute va ricercato nel sangue, mentre nelle fasi croniche nel midollo osseo. Nel 10-15% di questi pazienti si hanno complicazioni quali l’osteomielite. Le colture di midollo osseo sono positive in pazienti con brucellosi acuta, sub acuta e cronica, le emocolture sono positive solo in pazienti in fase acuta. Cresce a pH tra 6.6-7.4. Non è molto stringente riguardo la temperatura di crescita. E’ un aerobio stretto. Solo B. abortus è microaerofilo e richiede CO2 al 5-10%. In anaerobiosi non crescono. Hanno bisogno di un terreno ricco in aminoacidi e di fattori di accrescimento quali Mg, tiamina (vit B), niacina, biotina. Altre specie richiedono pantotenato di calcio. La base è sempre un tripticase soy agar TSA (che va bene per le Brucelle meno esigenti), con aggiunta di siero di cavallo al 5%, con aggiunta di antibiotici e/o coloranti batteriostatici. Si puo’ fare il test di agglutinazione delle colonie isolate con lo stesso siero del paziente. L’alta positività dei campioni di midollo osseo è dovuta all’accumulo di batteri nel sistema reticolo endoteliale. Una buona crescita è ottenibile utilizzando il terreno per Legionella al carbone attivo e estratto di lievito. • Nel test di agglutinazione su vetrino, i microrganismi vengono prima sospesi in fenolo e soluzione fisiologica e scaldati a 60 °C (gli antigeni sono termostabili) per circa una ora. Si aggiunge una goccia di sospensione e una goccia di siero monospecifico. L’agglutinazione deve avvenire entro 1 minuto. Come si preparano i sieri monospecifici: l’antisiero è ricavato da animali mmunizzati da parte del ceppo liscio e agglutinano le tre principali specie di Brucella. A e M sono gli epitopi che cross reagiscono. A è il determinante maggiore in B. abortus e B. suis ed è un determinante minore in B. melitensis. Mentre M predomina in B. melitensis . Classificazione di HuddlesonPermette di distinguere le differenti specie e i differenti biotipi.La versione qui sotto è molto semplificata . Vi sono 6 biovar e 15 biotipi che costituiscono il genere Brucella spp.. •Nella siero diagnosi di Wright si titolano sia le le IgM che le IgG. nza di diagnosi. Prevenzione della brucellosi nell’uomo Notificazione obbligatoria Misure di protezione e prevenzione individuale e collettiva: • Educazione igienica del personale addetto ai lavori agricoli • Bonifica del latte • Vaccinoprofilassi (vaccini vivi ed attenuati, vaccini inattivi, vaccini preparati con frazioni antigeniche di B. melitensis e B. abortus di ultimo impiego). Prevenzione della brucellosi negli animali • Ricerca e individuazione degli animali infetti (ricerca di anticorpi anti-brucella nel latte); • Abbattimento degli animali che risultano infetti; • Vaccinazione deDefinizioneLe micotossine sono sostanze tossiche prodotte dal metabolismo di funghi (o muffe) che si sviluppano in particolari condizioni su foraggi insilati, cereali e mangimi aziendali od industriali. Effetti sulla salute d'uomo ed animaliLe micotossine posseggono azione cancerogena, mutagena e teratogena sulla salute umana, come risulta dalla

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Tra gli alimenti d'origine animale, e quindi d'interesse per l'alimentazione umana, il latte e i suoi derivati sono i prodotti più frequentemente contaminati dalla presenza di micotossine, a causa del trasferimento di questi metaboliti dai mangimi contaminati di cui si nutrono le bovine. I bovini sono in grado di operare una bioconversione ruminale delle micotossine in prodotti meno dannosi, tuttavia sono comunque suscettibili all'azione nociva di queste sostanze, cosa intuibile da alcuni sintomi di tipo generale o specifico: · L'ingestione di sostanza secca può aumentare o diminuire in modo incoerente con la produzione della bovina; in genere se c'è calo d'assunzione si può pensare ad una presenza d'aflatossine, mentre aumenti d'ingestione stanno ad indicare presenza di DON o zearalenone. · Si verificano facilmente disordini digestivi, come diarrea (anche emorragica), mancanza d'appetito e rifiuto del cibo, stasi ruminale, chetosi, dislocazione dell'abomaso, anomale quantità di muco nelle feci. · Un'alta incidenza d'aborti, riassorbimento embrionale, ridotto grado di fertilità e concepimento sono indice di presenza di micotossine, così come vulva e capezzoli ingrossati, prolassi rettali o vaginali, manifestazioni estrali in animali gravidi, calori silenti ecc.. · Le forti lattifere sono particolarmente sensibili alla presenza di tossine, cosa evidenziata anche dall'immediato calo produttivo e dall'aspetto arruffato del pelame. Condizioni predisponenti lo sviluppoUmidità ambientale o acqua libera (aw) Il parametro maggiormente utile nello stimare le probabilità di sviluppo fungino è l'aw, definito come il rapporto tra la pressione di vapore di un substrato rispetto all'acqua pura. In base al diverso comportamento in funzione della disponibilità d'acqua, le muffe sono state suddivise in:gli animali. Più in generale, se un substrato presenta un valore basso d'aw c'è una minor disponibilità d'acqua per lo sviluppo fungino. Temperatura Le temperature ideali per lo sviluppo dei funghi sono comprese tra 15 e 30°C, con un optimum di 20-25°C. In effetti, alcune tossine come le ocratossine ed i tricoteceni possono ritrovarsi già a T° di + 4-6 °C (ottimale sui 18 °C), mentre le aflatossine vengono prodotte preferibilmente in condizioni di caldo-umido (ottimale sui 25 °C). Climi più temperati e secchi sono ideali per le muffe produttrici di fumonisina e zearalenone (temperatura di sviluppo intorno ai 14 °C) pH e ossigeno Lo sviluppo delle muffe si verifica generalmente con valori di pH compresi tra 4 e 8; alcune di esse tuttavia sono in grado di comparire anche a valori più bassi o più elevati. Le muffe sono generalmente organismi aerobi, cioè hanno bisogno d'aria per vivere, si sviluppano perciò sulla superficie dei substrati. Diverse specietuttavia possono crescere anche in profondità o su substrati liquidi, con bassa disponibilità d'ossigeno.

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ACQUA POTABILE

Approvvigionamento idrico Acque profonde1) Terreni rocciosi. Attraversato da un sistema di fessurazioni nelle quali l’acqua si infiltra e si approfonda. Rocce silicee (fessure di limitata ampiezza e di numero limitato)- Acqua poco mineralizzata, non abbondante e di buona qualità. Rocce calcaree: notevole solubilità soprattutto in presenza di acque acidule(ad esempio quelle contenenti disciolta una elevata concentrazione di anidride carbonica). Volume e pressione elevati dell’acqua danno luogo a fenomeni carsici e in questo caso i fenomeni di autodepurazione risultano limitati. Fessurazioni limitate, invece, possonoessere ostruite da sabbia e detriti staccatisi dalle pareti per erosione e trasportati dalle acque, costituendo dei sistemi di filtrazione piuttosto efficaci

2) Terreni sciolti. Sono caratterizzati da un’alternanza di strati permeabili (humus in superficie, ghiaie e sabbie) ed impermeabili all’acqua (argille, costituite da particelle finissime di silicati di alluminio e potassio idrati). L’acqua percolando attraverso gli strati permeabili forma delle falde sugli strati impermeabili. Falda freatica, la prima falda superficiale e falde profonde. Le acque di falda possono avere anche una pressione idrostatica positiva (rispetto al livello del suolo) dando luogo a fenomeni artesiani. Nel processo di percolazione attraverso gli strati permeabili si realizzano fenomeni di autodepurazione per filtrazione e assorbimento dei microrganismi. Tuttavia molte acque di falde freatiche sono contaminate (spessore dello strato permeabile modesto, granulometria dei terreni rilevante, contaminazione del suolo). Contaminazione delle falde profonde in seguito a contaminazioni massicce in superficie all’apice di conoidi alluvionali dove prendono origine le diverse falde o per perforazioni di pozzi.

Acque superficiali

Fiumi, laghi e bacini artificiali. a) Fiumi. La composizione dell’acqua dei fiumi è variabile in funzione della portata, dei fenomeni metereologici e alla eventuale discontinuità degli scarichi. Si verificano fenomeni di autodepurazione per: - sedimentazione; - reazioni chimiche: ossidazione chimica e complessazione dei metalli pesanti; - azioni biochimiche: nei sedimenti le sostanze organiche vengono demolite con meccanismi anaerobici piuttosto lenti, man mano che si sale negli strati superficiali prevalgono meccanismi aerobi messi in atto da una flora microbica; - concorrenza vitale: la flora microbica autoctona è assai più adatta a sfruttare il substrato colturale nel quale si è selezionata b) Laghi e bacini.

Acque meteorichePossono essere raccolte su superfici limitate o in bacini artificiali più o meno vasti. Il passaggio attraverso l’atmosfera, il dilavamento di superfici di raccolta, la conservazione in cisterne o in bacini fa si che queste acque contengano gas e sostanze organiche ed inorganiche piuttosto variabili. Si rendono necessari trattamenti di potabilizzazione.

Acque di mareInquinamenti delle acque

CRITERI DI POTABILITA’

Criteri idrogeologici L’esatta delimitazione del bacino imbrifero, lo studio del tipo di alimentazione delle falde, della composizione

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e della struttura dei terreni e delle rocce attraversate, danno un primo e fondamentale ragguaglio sul grado di protezione delle acque sotterranee. Allo studio idrogeologico si affianca uno studio sulle possibili cause di inquinamento e studio della popolazione che insiste sul bacino, sul tipo delle attività industriali e agricole che comportano scarichi liquidi.

Criteri organolettici Acqua priva di odore, colore e sapore. Torbidità transitorie (presenza di gas o di aria, presenza di particelle di silice) e torbidità più stabili (sostanze di origine vegetale o presenza di metalli che si ossidano in presenza di aria). Criteri fisici Conducibilità elettrica, pH e temperatura.

Criteri chimici Facies naturale di un’acqua e tipo ed entità di inquinanti. Di regola anioni e cationi non hanno un effetto negativo sulla salute e costituiscono un importante quota dell’apporto giornaliero di minerali. Solfati e cloruri: limite 250 mg/L. Superiore a tale limite si hanno acque di gusto variabile. Calcio e magnesio che costituiscono la “durezza” delle acque. Durezza temporanea (bicarbonato di calcio e magnesio) e durezza permanente (solfati, cloruri e nitrati di calcio e magnesio). Valori superiori a 500 mg/L comportano acqua di sapore poco gradevole e valori superiori sono causa di incrostazioni, neutralizzano l’azione di detergenti anionici e ostacolano la regolare cottura degli alimenti. Non è stato fissato alcun limite di legge. Ferro e manganese. Sotto forma di bicarbonato ferroso e manganoso si ossidano rapidamente a contatto con l’aria, dando origine a colorazioni, intorbidamenti e precipitati. In seguito ad evaporazione possono dare depositi rossastri o brunastri. Limite per il ferro: 200 mg/L. Limite per il manganese: 50 mg/L. Nitrati: limite di legge 50 mg/L. Valori superiori comportano metaemoglobinemia infantile. Fluoro: limite minimo 0,7 mg/L (prevenzione della carie dentale); limite massimo: 1,5 mg/L (prevenzione della fluorosi dei denti). Sodio: 200 mg/L. Oltre alle componenti inorganiche, nell’acqua sono presenti sostanze organiche. COD o Chemical Oxygen Demand. In ecologia, parametro che esprime la quantità di composto necessaria per ossidare attraverso un reagente chimico, le sostanze inquinanti presenti in un corpo d’acqua, ad esempio un lago. Uno dei composti comunemente usati per la determinazione del COD è il bicromato di potassio, K2Cr2O7; la reazione tra il bicromato e le sostanze inquinanti viene fatta decorrere in una soluzione contenente acido solforico. Il rilevamento del COD risulta indicato nel caso di acque il cui carico inquinante è costituito da sostanze non biodegradabili o comunque poco attaccabili dall’azione dei batteri, caso in cui non è possibile applicare il metodo del BOD (Biological Oxygen Demand).

MISURAZIONE DEL COD La misurazione del COD si esegue mettendo a reagire in una soluzione di acido solforico, un campione dell’acqua da esaminare con una quantità conosciuta di bicromato di potassio; avvenuta la reazione, si misura con una reazione di titolazione il quantitativo di bicromato rimanente, da cui si può calcolare quello consumato nel corso della reazione. La quantità di bicromato di potassio consumato è direttamente proporzionale alla quantità di sostanza ossidabile (cioè di inquinante) che era presente nella soluzione. BOD o Biological Oxygen Demand In ecologia, parametro che esprime la quantità di ossigeno necessaria perché possano essere ossidate e, quindi, demolite, a opera di microrganismi, le sostanze inquinanti presenti in un corpo d’acqua (ad esempio, un lago). La misurazione del BOD permette di valutare, sia pure indirettamente, il carico inquinante presente nelle acque: infatti, valori di BOD alti indicano che nelle acque esaminate vi è stato un elevato consumo di ossigeno; ciò signifca che i microrganismi ne hanno richiesto grandi quantità per degradare forti quantitativi di inquinanti.

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2 CARATTERISTICHE DEL BOD Il parametro BOD prende in considerazione l’ossigeno disciolto nelle acque e viene misurato a particolari condizioni di temperatura, di luce e di pH. Il BOD viene riferito a un certo lasso di tempo, solitamente 5 giorni; pertanto, si indica come BOD5 la quantità di ossigeno consumata nel corpo d’acqua in 5 giorni. Le sostanze inquinanti che la misurazione del BOD permette di rilevare sono: sostanze biodegradabili, cioè composti che possono essere ossidati e degradati da batteri eterotrofi, i quali dalle reazioni di ossidazione ottengono energia per il proprio metabolismo; sostanze organiche azotate e composti derivati da nitriti, che vengono attaccati da batteri autotrofi chemiosintetici, i quali dalle reazioni di ossidazione ottengono energia per effettuare la fotosintesi; composti che possono essere ossidati mediante reazioni chimiche con altri composti.

3 MISURAZIONE DEL BOD La misura della quantità di ossigeno che viene consumata in un corpo d’acqua dai batteri può essere effettuata in modo diretto, con un metodo che si basa sul confronto tra l’ossigeno presente all’inizio della misurazione e l’ossigeno presente nel campione dopo un certo lasso di tempo. In particolare, i campioni da esaminare vengono raccolti entro bottiglie scure (per impedire che la luce, penetrandovi, possa stimolare attività di fotosintesi e conseguente liberazione di nuovo ossigeno, in alghe eventualmente presenti); si eliminano o si correggono i fattori che potrebbero interferire con l’esame (ad esempio, alcuni metalli e composti come i nitrati); in un campione si effettua subito la misura della concentrazione dell’ossigeno, mentre le altre bottiglie vengono collocate al buio per 5 giorni, alla temperatura costante di 20 °C. Trascorso tale periodo, si misura la concentrazione dell’ossigeno in queste bottiglie; la misura, sottratta al valore ottenuto nella prima rilevazione, corrisponde al BOD5. La degradazione delle sostanze organiche azotate porta a composti inorganici come l’ammoniaca che per successive ossidazioni porta alla formazione di nitrati e nitriti. La presenza di nitriti è un indice di una contaminazione in atto, menttre la presenza di nitrati di una contaminazione remota. Scarichi industriali e agricoli. L’ammoniaca può avere effetti sfavorevoli se all’acqua si aggiunge cloro (formazione di cloroammine); limite massimo 0,5 mg/L. Fosfati (liquami domestici) e acido solfidrico (degradazione delle sostanze organiche). Il reperirli è indice di infiltrazione di liquami (salvo rare eccezioni: i fosfati si possono trovare in rocce costituite da graniti; l’acido solfidrico può derivare da residui di attività vulcanica). Componenti dovute ad inquinamenti Tensioattivi: limite massimo 200 µg/L Oli minerali 10 µg/L Rame: 2000 µg/L Fenoli (contaminanti industriali): 0,5 µg/L Processi di clorazione (in presenza notevole di sostanze organiche) e ozonizzazione. Riduzione delle sostanze organiche ed ottimizzazione dei trattamenti.Criteri microbiologici Indici microbiologici: carica microbica totale a 22°C e a 37°C; coliformi totali e fecali; enterococchi (minore resistenza nelle acque rispetto ai coliformi); spore di clostridi solfito riduttori (elevata resistenza nelle acque). Ricerca di enterovirus e di cisti di protozoi parassiti e uova di elminti.

SISTEMI DI POTABILIZZAZIONE Correzione dei caratteri fisico-organolettici1) Filtri lenti o inglesi. Costituiti da strati sovrapposti di ghiaia via via più fine, di sabbia di granulometria decrescente e dallo strato filtrante vero e proprio costituito da sabbia silicea di diametro medio di 0,5mm alto 70-120 cm. Periodo di maturazione di alcuni giorni. Formazione della membrana biologica. Uso attualmente limitato (spazi notevoli e modesto rendimento). Riduzione del 99% della carica microbica. Trattamenti successivi disinfettanti. 2) Filtri rapidi o americani. Brevissimo tempo di maturazione. Si tratta di un procedimento combinato di coagulazione, sedimentazione e filtrazione vera e propria. All’acqua si aggiunge un coagulante, generalmente solfato di alluminio che in presenza di bicarbonato alcalino terrosi forma un precipitato fioccoso di idrossido

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di alluminio che sedimentando, trascina al fondo una buona parte dei solidi sospesi. Le particelle più fini di idrossido di alluminio sfuggite alla sedimentazione vengono filtrate attraverso granuli di sabbia con interstizi dal diametro maggiore rispetto a quelli inglesi, di più facile colmatura e quindi di più rapida maturazione. Durata breve del filtro. Semplice lavaggio in controcorrente. Si ha una riduzione microbica del 95-99%. Correzione dei caratteri chimici

Durezza 1) Metodo alla calce soda. Aggiunta di idrossido di calcio che precipita i bicarbonato alcalino terrosi. 2) Metodo di scambio ionico. Zeoliti sodiche. Naturali ed artificiali. Resine organiche contenti gruppi scambiabili. Sistema di filtri di resine che comportano una completa demineralizzazione. Deferizzazione e demanganizazione. In solo eccesso di ferro, aerazione abbondante, con ossidazione del Fe++ a Fe+++ che precipita come idrossido ferrico e successiva filtrazione del precipitato. Se il ferro è presente come solfato ferroso e in presenza di manganese è necessario utilizzare speciali permutiti. Se eccessi di ferro e manganese si ritrovano in presenza di un COD piuttosto elevato si ricorre ad una clorazione al break point od ozonizzazione e successiva separazione del precipitato su filtro. Dissalazione di acque marine e salmastre 1) distillazione a pressione inferiore a quella atmosferica; 2) congelamento, con separazione e lavaggio del ghiaccio formatosi, povero in Sali; 3) eletroosmosi; 4) osmosi inversa, basata su membrane semipermeabili con l’applicazione di una forte pressione su acqua a contatto con una membrana.

Correzione delle caratteristiche microbiologicheMezzi fisici Calore. Inconvenienti quali: elevati costi energetici, necessità di raffreddare l’acqua, alterazione delle caratteristiche organolettiche per perdita ddi gas, precipitazione di Sali ecc. Raggi ultravioletti. Fattori importanti sono l’intensità di emissione, profondità e velocità dell’acqua, limpidezza e contenuto di sostanze organiche ed inorganiche disciolte. Svantaggi: costi elevati di impianto e di gestione, necessità di controlli e scarsa elasticità di fronte a portate variabili. Mezzi chimici - efficacia contro i microrganismi patogeni; - innocuità nei confronti del consumatore. Cloro gassoso. Azione ossidante Cl2 + H2O → HClO + H + Cl ←HClO +H2O ← + H + OCl

Gli equilibri della reazione sono determinati dalla temperatura e soprattutto dal pH. Il potere ossidante pur essendo legato sia alla forma dissociata che indissociata dell’acido ipocloroso è maggiore nella forma indissociata, di conseguenza il potere ossidante è maggiore in ambiente acido. Il cloro essendo un ossidante agisce contro non solo i batteri ma nei confronti di tutte le sostanze ossidabili (in particolar modo su quelle organiche). Ipocloriti. Ipocloriti di sodio, di potassio e di calcio. Il più utilizzato è quello di sodio. L’aggiunta di ipocloriti all’acqua dà gli stessi risultati del cloro gassoso. Na + ClO ←H+ ClO← HClO In rapporto ai valori di pH.

L’acido ipocloroso può dare origine, in presenza di sostanze organiche ed inorganiche, a composti intermedi dotati ancora di potere ossidante. Ad esempio, con l’ammoniaca forma monocloroamine, dicloroamine e tricloroamine. Con composti contenenti gruppi amminici può dare le stesse reazioni ed in presenza di fenoli a

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cloro fenoli, responsabili di sapori e odori sgradevoli. Composti clororganici privi di potere ossidante (trialometani).

Metodi di clorazione. Cloro residuo attivo: l quantità di cloro che è in grado di spoatere lo iodio dallo ioduro di potassio; lo iodio viene poi titolato in presenza di un indicatore. Si definisce anche come cloro attivo, la quantità di cloro che è in grado di reagire colorimetricamente con l’ortotolidina. Cloro residuo attivo libero (acido ipocloroso) e combinato (cloroamine, clorofenoli, ecc.). Cloro richiesta: quantità minima di cloro che è necessaria aggiungere all’acqua per avere un clororesiduo attivo. 1) clorazione semplice o marginale. Sistema tradizionale. A volumi uguali di acqua si aggiungono dosi scalari di cloro, si lascia agire per 15-30 minuti, poi si aggiunge ortotolidina. Il primo campione in cui si il viraggio dà la clororichiesta e quindi la concentrazione minima di cloro da aggiungere all’acqua. Un clororesiduo combinato è molto più stabile e meno capace di ossidare rapidamente. 2) Clorazione al break point. Aggiungendo progressivamente cloro ad acque contenenti composti capaci di dar luogo a cloro residuo attivo combinato, la concentrazione di quest’ultimo prima aumenta, poi diminuisce, poiché le ulteriori aggiunte di cloro ossidano anche i composti costituenti il cloro residuo combinato. Questo punto prende il nome di break point; continuando si ha un aumento lineare del cloro residuo attivo libero. 3) Il cloro è inattivo sulle oocisti di Cryptosporidium parvum. Biossido di cloro. Ossidante più energico del cloro. Vantaggi: - attivo anche a pH alcalini; - non dà origine a clororesiduo combinato; - non dà origine a trialometani; - attivo anche contro le forme cistiche dei protozoi.Limiti all’applicabilità:

– formazione di cloriti.

Ozono.Stato allotropico dell’ossigeno, ottenuto sottopendo l’aria secca ricca di ossigeno a differenze di potenziale di 7.000 15.000 volts. Si tratta di un ossidante energico, attivo contro virus e batteri, che non impartisce odori e sapori sgradevoli all’acqua. Velocità di azione maggiore del biossido di cloro parità di concentrazione. Oocisti di Cryptosporidium sono inattivate al 99% ad una concentrazione di 0,3 mg/L in 2 minuti.

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I DIVERSI TIPI DI PREVENZIONE:

La prevenzione è un insieme di azioni e di comportamenti con il fine d’impedire l’insorgenza e la progressione delle malattie e il determinarsi di danni irreversibili quando la patologia è in atto.

La prevenzione è possibile se se realizza una larga diffusione dell’informazione sanitaria. Gli interventi di prevenzione si dividono in:

- primaria;

- secondaria;

- terziaria.

PREVENZIONE PRIMARIA:

Comprende tutti gli interventi destinati ad ostacolare l’insorgenza della malattia nella popolazione, combattendo le cause e i fattori predisponenti.

Si attua attraverso:

- progetti mirati di ed. alla salute;

- profilassi immunitaria;

- interventi sull’ambiente per eliminare o correggere le possibili cause delle malattie;

- interventi sull’uomo per rilevare e correggere errate abitudini di vita (es. fumo);

- individuazione e correzione delle situazioni che predispongono alla malattia (es. obesità).

PREVENZIONE SECONDARIA:

Comprende tutte le misure destinate ad ostacolare l’aumento del numero di casi di una malattia nella popolazione, riducendone la durata e la gravità.

Ha come obbiettivo l’individuazione precoce dei soggetti ammalati o ad alto rischio per poter ottenere la guarigione o impedirne l’evoluzione. Lo strumento essenziale è la diagnosi precoce rivolta a persone ritenute a rischio. Gli interventi di prevenzione secondaria rivolti a gruppi di popolazioni sono definiti screening. L’esempio più significativo è costituito dagli screening condotti per la diagnosi precoce dei tumori alla mammella tra la popolazione femminile fra i 40 ed i 70 anni.

La diagnosi precoce è fondamentale perché rende ancora attuabili interventi terapeutici in grado di condurre alla guarigione. Screening: es. mammografia.

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PREVENZIONE TERZIARIA:

Comprende tutte le misure che hanno lo scopo di controllare l’andamento di malattie croniche per evitare o limitare la comparsa di complicazioni e di esiti invalidanti. Viene applicata quando la patologia è già in atto per evitare complicazioni e la cronicizzazione della malattia. Richiede un insieme di interventi e strutture molto diversi. Gli strumenti fondamentali della prevenzione terziaria sono la terapia e soprattutto il recupero e la riabilitazione negli aspetti medico, psicologico, sociale e professionale. Es. somministrazione di cure e farmaci, attività riabilitative fisioterapiche con lo scopo di:

- ottimizzare le capacità residue dell’anziano;

- migliorare la qualità di vita del paziente;

- prevenire ulteriori complicazioni.

GLI SCREENING:

Sono una serie di controlli e accertamenti su cui si basano i programmi della sanità pubblica nel campo della prevenzione secondaria. Con screening si intende una ricerca ,mirata di una patologia in una popolazione. È sempre un’operazione di massa che deve essere condotta con razionalità e precisi obbiettivi. Un programma di screening è giustificato solo se:

- deve interessare un numero elevato di persone e deve provocare dei danni molto gravi;

- la patologia deve essere preceduta da uno stadio precoce;

- il test utilizzato deve essere applicabile in questo periodo di reversibilità;

- deve esistere la possibilità di un efficace intervento terapeutico praticabile sui malati;

- il test deve essere ad elevata specificità, alta attendibilità, di facile e rapida esecuzione e di costo ragionevole.

A volte con lo screening si vuole invece mettere in evidenza solo una disposizione ad ammalare o un carattere ereditario importante da conoscere per la prevenzione. Ad es. individuare le donne portatrici di emofilia. In molti paesi lo screening di massa è stato applicato per svelare casi di diabete iniziale attraverso la ricerca e la quantità di glucosio.

LA PREVENZINE DELLE MALATTIE INFETTIVE:

Ha lo scopo di prevenire l’insorgenza e la diffusione di malattie infettive nella popolazione. Studia da un lato gli strumenti e i mezzi per combattere gli agenti eziologici e dall’altro lato i provvedimenti rivolti al risanamento dell’ambiente fisico e sociale. L’organizzazione degli interventi prevede:

- profilassi diretta: insieme delle misure di prevenzione che mirano ad impedire la diffusione dei germi attraverso l’isolamento del malato e l’uccisone dei germi;

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- profilassi specifica: comprende l’insieme delle attività volte a potenziare le difese dei soggetti sani per renderli resistenti alle infezioni.

- Profilassi indiretta: insieme delle operazioni di carattere generale destinate a risanare l’ambiente e a irrobustire i singoli individui.

LA PROFILASSI INDIRETTA: (Ed. sanitaria)

Comprende tutti i provvedimenti indirizzati al risanamento dell’ambiente di vita per creare condizioni sfavorevoli alla divulgazione degli agenti patogeni aumentando la resistenza dell’individuo. Non viene attuata in relazione alla presenza di un certo numero di casi di una malattia ma al rilevamento dell’incidenza di determinate malattie. La prevenzione indiretta si basa su:

- l’adeguata disponibilità di risorse economiche da dedicare alla tutela della salute;

- l’individuazione di parametri sanitari per valutare lo stato sanitario di base del paese;

- il raggiungimento di condizioni socio-economiche adeguate;

- l’estensione delle vaccinazioni dell’infanzia a tutti i bambini.

LA PROFILASSI DIRETTA:

Comprende sia la profilassi immediata che specifica e si divide nei provvedimenti relativi alle sorgenti, ai veicoli, ai vettori di infezione e all’uomo sano.

DENUNCIA O NOTIFICA DELLE MALATTIE INFETTIVE:

Quando un medico diagnostica ad un paziente una malattia infettiva ha l’obbligo della denuncia della stessa alle autorità sanitarie. L’obbligo non riguarda però tutte le patologie ma comprende quelle che comportano una facile propagabilità degli agenti eziologici all’interno della collettività. L’obbligo riguarda il medico ma si estende anche agli altri operatori sanitari e alle autorità scolastiche e sanitarie delle istituzioni pubbliche. La denuncia viene raccolta dal servizio di medicina preventiva della ASL e viene poi inviata all’ufficio regionale competente e da qui al Ministero della salute. Per alcune malattie (es. colera, vaiolo, febbre gialla) sono previsti dall’OMS protocolli di scambio di informazioni a livello internazionale.

ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO:

Ha lo scopo di confermare la diagnosi clinica attraverso indagini di laboratorio condotte sul siero del paziente, o attraverso l’isolamento dal sangue, dalle feci, dalle urine ecc. dell’agente infettivo responsabile della malattia. Le analisi saranno applicate gratuitamente presso i laboratori provinciali d’igiene e profilassi. La denuncia deve essere fatta anche per casi sospetti ed è preferibile isolare subito il paziente in attesa dei risultati delle analisi che richiedono alcuni giorni.

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INCHIESTA EPIDEMIOLOGICA:

Ha lo scopo di individuare le fonti d’infezione, il meccanismo attraverso il quale l’infezione si è propagata e tutte le situazioni che hanno favorito l’evento infettivo. È importante per riconoscere per es. un episodio di una tossinfezioni alimentare che colpisce i partecipanti ad un pranzo a cui sono stati serviti cibi contaminati.

ISOLAMENTO:

Misura di profilassi decisa dall’autorità sanitaria come conseguenza della denuncia ed ha lo scopo di circoscrivere il focolaio infettivo, isolando il malato o il portatore. È compito dell’autorità sanitaria utilizzarla solo in casi di reale pericolo. L’isolamento può essere sia domiciliare (scelta utilizzata maggiormente) che ospedaliero. Quest’ ultimo offre una serie di garanzie per evitare la propagazione dell’infezione soprattutto quelle molto diffuse e molto gravi. Un’altra forma di sorveglianza è il piantonamento che è una sorveglianza stretta al domicilio del malato affidato a persone dell’autorità sanitaria con la presenza della forza pubblica. Si ricorre raramente a questo ma solo con persone venute a contatto con un ammalato od un portatore di una malattia infettiva molto grave o fortemente diffusiva come le malattie esotiche.

DISINFEZIONE:

E’ la procedura per eliminare i microrganismi patogeni. Si distinguono una disinfezione artificiale (operata dall’uomo) e naturale (costituita dal complesso di fattori naturali che influiscono negativamente sulla vita dei germi). La disinfezione artificiale può essere effettuata con mezzi chimici e fisici ed è continua (se uccide i germi man mano che vengono eliminati dal paziente), terminale (se attuata alla fine del processo infettivo. La sostanza utilizzata prende il nome di disinfettante. Un buon disinfettante deve essere efficace nell’eliminare, non tossico, facile da utilizzare e deve costare poco. La sterilizzazione si propone di uccidere, in un determinato materiale, tutti i microrganismi presenti, quindi non solo i patogeni ma anche batteri e funghi. Il risultato finale ottenuto varia in base al tempo di esposizione, alla quantità, alla concentrazione di disinfettante utilizzato.

MEZZI NATURALI:

- Luce solare grazie ai raggi uva;

- Temperatura, 100° battericida mentre il freddo è batteriostatico;

- Essiccamento all’esterno dell’organismo ospite perdono acqua e muoiono;

- Competizione con altri microrganismi.

La disinfezione naturale non è comunque molto efficace perché i germi sporigeni riescono a sopravvivere a questi tipi di interventi.

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MEZZI ARTIFICIALI:

Si dividono in fisici e chimici.

MEZZI FISICI:

- Calore: fondamentale e può avvenire attraverso incenerimento, calore secco e calore umido. Incenerimento utilizzato per distruggere bende, siringhe e materiale d’uso medico. Nel calore secco si utilizzano speciali apparecchiature dove si espongono all’aria calda gli oggetti di laboratorio. Il calore umido è il mezzo più efficace e si ottiene sotto forma di vapore o acqua a temperatura di ebollizione. Gli oggetti non vengono alterati e la disinfezione è più energica.

- Le radiazioni.

- La filtrazione: consiste nel far passare liquidi contenenti microrganismi attraverso speciali filtri sottilissimi in modo che le parti microbiche sono trattenute sul filtro e la soluzione (filtrato) passi al recipiente sottostante. Questo è usato per sterilizzare sieri, soluzioni ecc.

MEZZI CHIMICI:

Sono tra i più usati per l’estrema praticità e l’elevato potere battericida. Alcuni sono dannosi per l’uomo ma generalmente vengono venduti in forma diluita per ridurre il rischio. Ricordiamo:

- Cloro e i suoi derivati: utilizzato per rendere potabile l’acqua o aggiunto alle piscine per la sua azione antibattericida. Tra i derivati troviamo le candeggine per la disinfezione della biancheria e l’amuchina per la disinfezione di posate, bicchieri ecc.;

- Alcool etilico: antisettico disidratante in grado di denaturare le proteine del germe ma attualmente è poco usato per la sua scarsa attività antimicrobica e perché sulle ferite ne ritarda la guarigione;

- Acqua ossigenata: utilizzata per la disinfezione delle ferite grazie alla sua azione sporicida;

- Composti del mercurio: il più importante è il mercurocromo, soluzione rossa utilizzata per disinfettare le ferite, ha un’ intensa attività antibatterica;

- Lisoformio: soluzione saponosa usata come disinfettante delle mani, dei pavimenti ecc.

LA STERILIZZAZIONE:

Mezzi chimici e mezzi fisici.

Mezzi fisici: la sterilizzazione ha il compito di uccidere, in un determinato materiale, tutti i microrganismi presenti, non solo i patogeni ma anche i saprofiti. Sterile è diverso da disinfezione perché un oggetto sterilizzato saranno tali solo se presentano un’assenza di microrganismi patogeni e non patogeni.

DISINFESTAZIONE:

E’ l’insieme delle pratiche con l’obbiettivo di eliminare o ridurre tutti i macroparassiti, possibili vettori o serbatoi di malattie. I più dannosi e invadenti che possono parassitare l’uomo o l’ambiente sono: le mosche, i

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pidocchi, le pulci, le zanzare, le cimici, gli acari, gli scarafaggi, i ratti ecc. Quando questi sono presenti in un edificio o in una zona si ha un intervento di disinfestazione realizzati dalla ASL che ha il compito di informare gli abitanti sul motivo, sulla data e sulle cautele da prendere. I prodotti utilizzati per la disinfestazione si dividono in fisici e chimici. Tra i fisici ricordiamo il calore, le trappole per topi, li ultrasuoni le lampade che attraggono gli insetti e poi trasmettono delle scariche elettriche. I disinfestanti chimici sono più numerosi e rappresentano una “guerra chimica” con tutti i macroparassiti. Agiscono per inalazione, ingestione o per contatto.

Un buon disinfettante deve essere: efficace, innocuo per l’uomo e gli animali domestici, economicamente vantaggioso e deve uccidere le larve e le uova e non solo le forme adulte.

INTERVENTI RELATIVI ALL’UOMO SANO:

Profilassi specifica: mira a rendere l’uomo sano più resistente verso i parassiti. I tipi di misure che vengono adottati sono: 1- vaccinoprofilassi, 2- sieroprofilassi e 3- chemioprofilassi.

VACCINOPROFILASSI:

Lo scopo è quello di indurre una risposta immunitaria per prevenire la moltiplicazione di un agente patogeno o virale introdotto nel nostro organismo. È uno strumento di prevenzione applicato nei soggetti sani per renderli immuni ad una specifica malattia. L’obbiettivo viene raggiunto tramite la somministrazione di un preparato, il vaccino, efficace ed innocuo contenente l’agente specifico.Il vaccino è un preparato di materiale infettivo, ottenuto con batteri, virus o con tossine prodotte dagli stessi trattato in modo da perdere il potere tossico ma non la proprietà antigene ed è somministrato all’individuo per provocare un’immunizzazione artificiale attiva. I vaccini sono dei preparati diversi tra di loro ma che contengono sempre l’antigene per la malattia da prevenire. I tipi di vaccini più diffusi sono:

1- V. costituiti da microrganismi viventi usati prevalentemente contro i virus che stimolano i linfociti T. questi preparati determinano un’immunità solida e duratura. Sono di questo tipo per es. il vaccino di Sabin contro la poliomielite.

2- V. costituiti da microrganismi uccisi col calore o altre sostanze chimiche prodotti quando non si ha la sicurezza di dare la malattia. Es. vaccino per la pertosse o quello antinfluenzale.

3- V. costituiti da anatossine cioè da tossine, perdono il loro potere tossico ma conservano il loro antigene. Utilizzate soprattutto nelle vaccinazioni antitetanica e antidifterica.

4- V. costituiti da componenti batteriche purificate con metodiche moderne che consentono la separazione dei diversi costituenti di una cellula batterica;

5- Attualmente vengono utilizzate alcuni vaccini ottenute attraverso la tecnica del DNA ricombinante (di ingegneria genetica). Le caratteristiche di un buon vaccino:

Devono essere efficaci, durevoli, innocui, di facile impiego e economicamente vantaggiosi.

Efficace: è in grado di evitare il presentarsi della malattia.

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Durevole: varia tra i diversi vaccini; alcuni vaccini proteggono per in anni altri invece per pochi mesi. I richiami consentono di prolungare l’effetto.

Innocuo: non deve dare reazioni collaterali e deve essere pratico d’impiego (somministrato senza personale specializzato).

Vie d’introduzione e di somministrazione:

Via intramuscolare e sottocutanea: vie più importanti perché in grado di assorbire completamente quantità considerevoli di antigene. Attraverso queste vie vengono somministrati vaccini ottenuti da microrganismi uccisi, tossine, componenti batteriche purificate.

1 Via intradermica: iniezione nel derma con ago sottile vista la piccola quantità di vaccino iniettabile impiegata per vaccini viventi.

2 Via percutanea: deposizione del vaccino con una piccola ferita, oggi si preferisce il metodo delle punture multiple.

3 Via orale: utilizzata per la vaccinazione antipoliomielitica, il luogo d’azione è l’intestino. È vantaggioso anche perché non richiede attrezzature particolari.

4 Via intranasale: per la vaccinazione antirosolia, poco utilizzata per ora in Italia.

Per le vaccinazioni di massa è utilizzato il jet-injector, una siringa senza ago che inserisce la dose di vaccino nel derma.

COSTITUENTI DEI VACCINI:

Un vaccino è una sospensione orale di microrganismi o di anatossine in un mezzo che ne permette la diffusione all’interno dell’organismo. I vaccini posso trovarsi:

- idrovaccini; sospesi in soluzione fisiologica,

- lipovaccini; s ospesi in soluzione oleosa,

- Legati a sali di alluminio;

- Associati in combinazione di anatossine e vaccini batterici.

Idrovaccini: costituiti da microrganismi vivi ed attenuati, capaci di riprodursi nell’organismo e vengono assorbiti rapidamente. Lo stimolo che provocano non è però sufficientemente prolungato nel tempo e si deve ricorrere a dei richiami.

Lipovaccini: validi in quanto diffondono con maggior lentezza ma provocano un buon grado di immunità con una sola somministrazione. Periodo di larga utilizzazione.

I vaccini legati a sali di alluminio: immunità più elevata e duratura, e provocano risposte anticorpali. La presenza del sale di alluminio determina una liberazione del vaccino lenta e graduale che stimola un’immunità di maggior durata.

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Vaccini ottenuti dalla combinazione di anatossine con batteri uccisi: es. vaccino associato DTP che richiede però tre dosi successive per l’immunizzazione del soggetto.

Definizione Malattie infettiveper malattia infettiva si intende una malattia determinata dall’azione di,un microrganismo

Fattori determinanti per la diffusione Fattori determinanti per la diffusionedelle malattie infettive delle malattie infettive

agente ambiente ospite patogenicità virulenza carica infettante ↓ agente ambiente ospite

Fattori determinanti per la diffusione Fattori determinanti per la diffusionedelle malattie infettive delle malattie infettive difese aspecifiche immunità patogenicità possibilità di incontro difese aspecifiche ↓ virulenza fra ospite e parassita immunitàagente ambiente ospite carica infettante ↓ agente ambiente ospite Patogenicità per patogenicità si intende la capacità d i un microrganismo di determinare malattia invasività: capacità di diffondersi e aggredire direttamente tessuti ed organi

tossigenicità: capacità di produrre tossine

NB: per virulenza si intende il differente grado d ipatogenicità che possono presentare ceppidifferenti della stessa specie di microrganismo

Non tutte le speciemicrobiche sono patogene

Saprofiti: specie non patogene che hanno come habitat abituale l’ambiente esterno Commensali: specie non patogene che hanno come habitat abituale cute e mucoseSaprofiti e commensali, in particolari condizioni possono assumere il ruolo di patogeni: si parla inquesto caso di patogeni opportunisti

Meccanismi di difesa Aspecifici Cute Meccanismi mucosali sostanze antibatteriche contenute in lacrime e saliva movimenti ciliari della mucosa respiratoria acidità gastrica flora commensale (intestino, app. genitale, ecc.) Specifici Immunità attiva e passiva (naturale o acquisita)

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Non sempre dall’incontro fra ospite eparassita si genera una malattia no immunità → Eliminazione immediata del microrganismo da parte di meccanismi aspecifici Infezione infezione inapparente infezione latente immunità→ Malattia guarigione con restitutio ad integrum guarigione con esiti morte

Storia naturale delle malattie infettive Incubazione Stadio clinico Convalescenza Guarigione

Trasmissione delle malattie infettive

sorgente o fonte soggetto recettivo dell’infezione

NB: non tutte le malattie infettive sono contagiose

Fonte dell’infezione può essere un soggetto malato o portatore Per portatore si intende un soggetto non ammalato che alberga nel proprio organismo microrganismi

patogeni ed è quindi in grado di contagiare portatore sano (infezione inapparente) portatore in incubazione portatore convalescente portatore cronico

Serbatoio di infezione è rappresentato dall’habitat abituale del microrganismo

Ambiente Animale Uomo

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Zoonosi (antropozoonosi)

Vie di penetrazione di agenti microbici Cute Mucose Congiuntive Apparato respiratorio Apparato digerente Apparato uro/genitale

Modalità di trasmissione Trasmissione attraverso veicoli ←virus →

Diretta ambiente →animali → uomo→ uomo→ ambiente→ sessuale parenterale aerea Trasmissione attraverso vettori verticale Indiretta animale → insetto →uomo veicoli vettori uomo → insetto→ uomo

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Definizione di sanità pubblica• scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della società, utilizzando tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della salute

Malattia: deviazione dalla normale condizione fisiologica dell’organismo che insorge per azione di fattori nocivi, interni o esterni, e che si può manifestare con segni e/o sintomisignificato del termine Significato del termine “malattia”• la malattia non è solo una condizione biologica– patologia con alterazioni di organi e/o apparati– disease• ma anche sociale

– con i suoi aspetti culturali, sociali, morali, psicologici– illness

Definizione di sanità pubblica• scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della società, utilizzando tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della Salutenon semplice assenza di malattia ma stato di completo benessere fisico psichico e sociale (WHO, 1947)alimentazione razionale - ambiente di vita idoneo - possibilità di studiare e lavorare - disponibilità di alloggi idonei, etc.Definizione di salute• La salute è una condizione di armonico equilibrio funzionale, fisico e psichico, dell’individuo dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e socialeConcetto di salute• Abbandono del concetto negativo di salute come assenza di malattia• Esigenza di curare la persone, non solo le malattie• Superamento di una condizione puramente biologica dei fenomeni morbosi• Concetto di equilibrio dinamico fra individuo e ambiente• L’individuo, nella sua unità, deve poter acquisire la capacità di ristabilire l’equilibrio di salute nell’interazione con l’ambiente

INDIVIDUO, SALUTE, AMBIENTELa salute è centrata nell’uomo come unitàfisica-psichica-sociale

Questa centralità dell’uomo pone l’accento sul significato unitario della salute nelle sue componenti inscindibili: fisica, mentale, sociale

Le tre componenti sono immerse nell’ambiente e da questo sono influenzate:• ambiente interno (biologico, genetico)• ambiente esterno (naturale e sociale, modificato e modellato dall’uomo stesso)

DETERMINANTI DI SALUTELe cause di un “cattivo stato di salute” sono complesse# Dovute a fattori individuali, determinati geneticamente e normalmente non modificabili come il sesso e l’età;# Determinate da fattori che risentono più del comportamento del singolo e della società, come per esempio l’ambiente e gli stili di vita, che sono quindi modificabili.

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I Determinanti di Salute: quali sono?

Non modificabili Socio –economici Ambientali Stili di vita Accesso ai Servizi

Genetica Reddito Aria Alimentazione IstruzioneSesso Occupazione Acqua e alimenti Attività fisica Servizi SanitariEtà Esclusione sociale Abitato Fumo Servizi Sociali Disuguaglianze Ambiente sociale Alcool Trasporti socio-economiche e culturale Attività sessuale Attività Farmaci produttive Fattori predisponenti # conoscenze# credenze ↑# percezioni # attitudini Comportamento individuale# auto-efficacia # conoscenze# credenze ▲ ▲ ▲

Fattori abilitanti# disponibilità e accessibilitàalle risorse# leggi e altre forme di ▲ Saluteimpegno delle istituzioni# capacità correlate alla salute# disponibilità e accessibilitàalle risorse# leggi e altre forme di ▼ impegno delle istituzioni# capacità correlate alla salute ▼

Fattori rinforzanti# famiglia Ambiente # gruppo dei pari ( condizioni del vivere)# insegnanti# datori di lavoro# operatori sanitari ▼# famiglia# gruppo dei pari# insegnanti ◄ # datori di lavoro# operatori sanitari

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Il livello globale di salute è legato a:

Fattori salutogeni

Area -Fattori comportamentali: alimentazione corretta, attività fisica regolare, non dipendenze fisica da alcool, fumo, droghe, riposo, adozione di misure di sicurezza, igiene personale -Fattori ambientali: qualità aria, acqua, suolo, controllo agenti patogeni

Area Libertà e indipendenza, autostima, convinzioni personali, spirituali, religiose, emozioni psicologica positive, controllo stress, relazioni interpersonali positive

Area sociale Risorse finanziarie adeguate, lavoro e istruzione, servizi e abitazioni, coesione sociale

Fattori Patogeni

Area Fattori comportamentali: alimentazione scorretta, sedentarietà, dipendenze da personale alcool, fumo, droghe, affaticamento, non adozione di misure di sicurezza, non rispetto di igiene

Area Fattori ambientali: inquinamento aria, acqua, suolo, non controllo agenti psicologica patogeni. Dipendenza, scarsa autostima, disimpegno personale, stress, relazioni interpersonali conflittuali

Area Povertà, disoccupazione, abbandono scolastico, emarginazione sociale, sociale disservizi.. .

Definizione di sanità pubblica• scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della società, utilizzando tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della salute ▼“Atti finalizzati a eradicare o a eliminare le malattie o a minimizzare il loro impatto”prevenzione primaria, secondaria e terziariaDizionario di Epidemiologia, IV Edizione, a cura di John M. Last

Definizione di sanità pubblica• scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della società, utilizzando tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della salute ▼“È formata da quella serie di:controlli legali ed amministrativi regole e procedure codicidestinati ad influenzare la società civile in modo da favorire la salute (es.: leggi sulle cinture di sicurezza, inquinamento, etichette degli alimenti, etc.Dizionario di Epidemiologia, IV Edizione, a cura di John M. Lastdefinizione di sanità pubblica

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Promozione della salute e educazione sanitaria• la promozione della salute sostiene lo sviluppo personale e sociale attraverso l’informazione, l’educazione alla salute e attraverso il potenziamento delle competenze• in questo modo, accresce le possibilità per le persone di esercitare un controllo sulla loro salute e sul loro ambiente e di fare scelte che contribuiscono al loro benessereCarta di Ottawa per la promozione della salute (Ottawa Charter for Health Promotion, OMS, 1986)

Promozione della salute

Potenziamento dei fattori salutogeni: 1.in condizioni di salute per mantenersi sani 2.in condizioni di malattia-disabilità per mantenere e potenziare le capacità residue, così da consentire le Attività e la Partecipazione nelle varie aree di vita (domestica, lavorativa, sociale...) Es. 1. Adozione di uno stile di vita corretto 2 Riabilitazione

Educazione sanitaria● esperienza di apprendimento basata su presupposti validi che forniscano agli individui, ai gruppi e alla comunità l’opportunità di acquisire le informazioni e la capacità di fare delle scelte consapevoli sulla propria salute” (JointCommittee, 2001)• l’obiettivo principale dell’educazione sanitaria èquello di aiutare le persone ad attuare appropriate decisioni correlate alla salute

– circa comportamenti da attuare– circa l’uso di risorse disponibili

Modifica degli atteggiamenti ▲ ▲ ▼ Educazione Adozione di sanitaria ► ►comportamenti Acquisizione delle ▼conoscenze ◄ Salute

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EDUCAZIONE SANITARIAStrategia finalizzata a fornire Conoscenze, Comportamenti e Motivazioni per la Promozione della salute e la Prevenzione delle malattie

Motivi Etici La Salute è un diritto dei cittadini ed è compito dei Servizi mettere in atto azioni congiunte dei diversi settori (politico, economico, sociale, sanitario...). L’ES è strategia per tale obiettivo Motivi Culturali La Salute è oggetto di attenzione dei mass-media ed il cittadino riceve e chiede sempre più informazioni. L’ES propone la informazioni corrette sulla “cultura della Salute”

Motivi Sanitari La Salute va conservata e, in caso di malattia, recuperata. L’ES è in grado di migliorare il livello di salute

Motivi Economici La perdita della Salute ha un costo elevato. L’ES insegna come mantenere, difendere e recuperare la Salute, riducendo i costi della assistenza

METODI1 1. Interventi individuali (singoli pazienti) 2. Interventi collettivi (gruppi di cittadini)

STRUMENTI Informazioni :

1. Conoscenza dei comportamenti positivi per la salute2. Comprensione dei propri fattori di rischio e/o della malattia 3. Comprensione degli interventi da attuare per ridurre il rischio di malattia o l’aggravamento-ricadute della stessa (strategie per la interruzione abitudini voluttuarie, dieta ipocalorica per ridurre il sovrappeso, modalità di pratica motoria)4. Adesione ai programmi di diagnosi precoce 5. Conoscenza dei servizi di supporto Empowerment

Attribuzione di potere al Paziente e alla Famiglia 1.Stesura del piano assistenziale con il paziente e la famiglia

Educazione al self-carSviluppo della autonomia di cura, con dimostrazione di:1. Attuazione di pratiche (es. preparazione cibi, rilevazione di FC allenante, esecuzione di tratatmenti riabilitativi…)2. Sollecitazione alla adesione a gruppi di auto-aiuto

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Storia naturale di una patologia

Eventi che precedono la ► che ne caratterizzano comparsa di una patologia la fase iniziale

il decorso inizio l’evoluzione ◄ malattia

Storia naturale di una patologia

Eventi che precedono la ► che ne caratterizzano comparsa di una patologia la fase iniziale

fase di latenzaassenza di malattie ▼ Fase sintomatica fattori di rischio ◄ Risoluzione il decorso

l’evoluzione

inizio sintomi e segni visibili Ritorno all'assenza di malattia

O

morte

O

stato cronico

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Definizione di salute pubblica L’individuazione del concetto di “salute pubblica” è estremamente complesso: il problema infatti non è quello di stabilire l’esatta etimologia dell’espressione, ma di capire quali conseguenze negative derivino al consumatore qualora questo bene venga messo in pericolo da particolari condotte criminose. Innanzitutto è essenziale operare una distinzione tra “salute” ed “assenza di malattia”. In ambito penalistico il concetto di salute pubblica e quello di malattia sono completamente diversi tra loro tanto che il legislatore ha ricondotto la prima di queste definizioni agli articoli 440, 442 e 444, mentre la seconda agli articoli 583 e 590 del Codice Penale. La nozione di salute, a sua volta, trae fondamento non solo come già visto, dal dettato costituzionale (articolo 32), ma anche dalla definizione offerta nell’Atto Costitutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità firmato a New York il 22.07.1946; tale definizione è stata recepita nel nostro ordinamento giuridico con il D.L.C.P.S. 1068/48; da questo Decreto si evince una significativa presa di posizione sul concetto di salute inteso quale “stato di completo benessere fisico, mentale, e sociale che non deve arbitrariamente identificarsi con la completa assenza di malattie”. A sua volta questa concezione costituisce lo sviluppo di quanto contenuto nell’articolo 25 n. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che è la premessa fondamentale di ogni ordinamento giuridicodemocratico. D’ altra parte, se per un verso questadefinizione è stata ritenuta ampiamente soddisfacente, per un altro la stessa è stata considerata generica ed imprecisa. In ogni caso, si verifica una situazione di pericolo per la salute non solo quando ricorre la possibilità che dalla condotta incriminata derivi una malattia nel corpo o nella mente, ma anche qualora venga messo in pericolo lo stato di benessere psicofisico e sociale del soggetto stesso. Diviene pertanto rilevante ogni disarmonia o squilibrio psicofisico così da determinare un’estensione dei fatti che possono ricadere sotto la previsione delle norme incriminatici contemplate dal Codice Penale. Dopo aver chiarito cosa deve intendersi per “stato di salute” ci si è impegnati onde stabilire quale debba essere il punto di riferimento cui rapportare questo concetto: secondo alcuni studiosi, esso dovrebbe essere riferito all’individuo c.d. “medio” ed in buona salute, mentre secondo altri, a 13 particolari categorie di individui quali per esempio i bambini o gli anziani. Nel primo caso entra in gioco un particolare alimento od un particolare ingrediente avuto riguardo della potenziale nocività dello stesso verso i loro assuntori abituali (es. la farina lattea per un lattante), mentre nell’altro non viene preso in considerazione nessun prodotto in particolare. Vi è poi che vorrebbe legare il concetto di “pericolosità” alle condizioni psicofisiche di un determinato soggetto. La soluzione intermedia appare come la più equilibrata: se non è possibile stabilire l’effettiva pericolosità di un alimento in riferimento all’uomo medio indistintamente e genericamente, non è neppure agevole ricondurre la nocività di una sostanza alle particolari condizioni di salute di un determinato soggetto. La dottrina più autorevole in materia, escludendo il riferimento alla normalità assoluta, ha inteso attribuire rilevanza al pericolo cagionato da un determinato alimento nei confronti della categoria di soggetti che si nutrono dello stesso. Solo in questo modo è possibile valutare la pericolosità della sostanza senza incorrere in equivoci. Prendendo per esempio in considerazione una partita di carne bovina contenente una (illecita) quantità di estrogeni, 14 vi è un’altissima probabilità che le stesse venganoconsumate da bambini e donne in stato di gravidanza; sicuramente gli estrogeni sono pericolosi per le suddette categorie di consumatori, “probabilmente” sono pericolose per il soggetto “medio, sano e nel pieno delle sue forze”.

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Quindi ciò che conta è distinguere tra categorie complesse e ben individuate, che inevitabilmente devono essere tenute in considerazione, e situazioni particolari che non possono intervenire a definire il concetto di salute: si pensi ad un soggetto allergico che può rischiare la morte per “shock anafilattico” se si ciba di alimenti quale il pane aromatizzato al sesamo: nessuno potrebbe ritenere integrato il reato di cui all’articolo 444 del Codice Penale da parte del commerciante che pone in vendita tale tipo di pane, solo perché una percentuale irrilevante di persone è allergica a questa sostanza. In altri termini, la “pericolosità” va definita escludendo le situazioni eccezionali o anormale, e tenendo conto invece di ampie categorie di soggetti, avuto riguardo delle particolari condizioni di ognuna di esse, tralasciando parimenti le situazioni troppo generalizzate. Conseguentemente, è pericolosa per la salute pubblica la sostanza che può creare un perturbamento nello stato di 15 benessere psico-fisico anche di soggetti non medi, ma appartenenti a categorie generali di cittadini. Per quanto riguarda sostanze alimentari e bevande che pur essendo legalizzate, possono risultare dannose per particolari categorie di persone, (anziani, malati etc…), sarà il soggetto a dover difendersi da tale pericolosità evitandone l’assunzione. Nel caso di contraffazioni o adulterazioni alimentari, invece la sostanza pericolosa è introdotta surrettiziamente, e il soggetto a rischio si trova nell’impossibilità di difendersi, proprio perché consuma il prodotto per apportare al proprio organismo un certo contributo calorico, ed invece, senza saperlo, turba il proprio delicatissimo equilibrio ormonale. La tutela penale pertanto, è giustificata a favore di quei soggetti che si trovano in una particolare situazione di debolezza, tale da ritenere del tutto ingiustificata ed inaccettabile un’esposizione al pericolo derivante dall’assunzione di sostanze nocive. Il principio che compito dello Stato sia anche quello di rimuovere le condizioni che determinano il venir meno dell’ effettiva uguaglianza tra i cittadini, non può non far ritenere necessario un atteggiarsi dell’intervento repressivo penale 16 che tenga conto delle situazioni particolari di debolezza e di maggior esposizione a rischi; sembra dunque inevitabile che il nostro legislatore penale sia chiamato a proteggere con maggior efficacia proprio quelle situazioni che più sono esposte ad aggressioni o lesioni. In questo modo è possibile realizzare l’effettivo stato di benessere fisico, psichico e sociale che permette lo sviluppo armonico di tutte le funzioni dei cittadini, avuto particolare riguardo delle categorie di soggetti che versano in situazioni meritevoli di tutela, a prescindere da situazioni di anormalità oeccezzionalità.

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Malattie infettive a trasmissione aerea

Ambiente: Ospite: densità della popolazione stato immunitario occasioni di contagio difese locali clima

Come si trasmette l’influenza?* Il virus viene trasmesso tramite goccioline di saliva starnutendo, tossendo o semplicemente parlando* E’ altamente contagioso*I soggetti infetti sono contagiosi da pochi giorni prima e per i 5-7 giorni successivi alla comparsa dei sintomi* La trasmissione è facilitata dal contatto stretto

I virus influenzali A B C

sottotipi: H1N1, H3N2, (H2N2) soggetto a drift antigenico associato a casi sporadici oserbatoio: uomo (anatre, polli, suini) serbatoio: uomo eventi epidemici minorisoggetto a drift e shift antigenici epidemie diffuseepidemie diffuse e pandemie

Variazioni maggiori e minori Shift: variazione maggiore, sostituzione di uno dei due antigeni di superficie, sierologicamente diverso Drift: variazione minore, H ed N pur presentando variazioni mantengono una parentela antigenica

Caratteristiche delle pandemie Cambiamenti strutturali importanti dell’emagglutinina e/o neuraminidasi – Shift antigenico Riguarda solo l’influenza di tipo A Morbosità

-fino al 50% - fino all’80% in popolazioni selezionate e chiuse

Diffusione mondiale

Caratteristiche delle epidemie Mutazioni secondarie o minori degli antigeni di superficie (emagglutinina o neuraminidasi) – Drift antigenico Influenza A o B

Insorge improvvisamente - picco entro 2-3 settimane - durata di 6-8 settimane Morbosita’ - 10-20% complessivamente - 40-50% in popolazioni selezionate e chiuse (case di riposo o cura)

L’attività epidemica può essere localizzata o diffusa

Ipotesi del riassortimento genetico del virus A dell’influenza

I virus umani responsabili delle pandemie del 1957 e 1968

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contenevano geni strettamente imparentati a quelli dei virus aviaria

influenzia aviaria influenza umana

Co- infezione nel maiale

Ceppo ricombinante capace di

infettare l’uomo ma che contiene

nuovi geni di origine aviaria

Influenza da virus A(H9N2) Ceppo isolato da due bambini ospedalizzati di 1 e 4 anni a Hong Kong nell’aprile 1999. Il sottotipo virale è risultato antigenicamente simile ad analoghi isolati in suini, sempre ad Hong

Kong nel 1997 (nel corso dell’epidemia da virus A H5N1). Per i due casi non è stata riferita alcuna complicanza clinica di rilievo

Prevenzione dell’influenzale Definizione clinica di caso

Sorveglianza epidemiologica Esordio brusco della febbre ≥38 °C

Sorveglianza virologica Sintomi respiratori

Dolori muscolari Vaccinazione

Rete OMS di sorveglianza

I vaccini antinfluenzali

A cellule intere, “split” e a subunità Disponibili vaccini con adiuvanti Indicazione alla vaccinazione tutti i soggetti >64 anni portatori di patologie croniche importanti lavoratori addetti a settori di pubblica utilità Vaccinazione da ripetere ogni anno con una sola dose di vaccino (salvo diversa indicazione

da parte delle autorità sanitarie)

EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE DELLE MALATTIE A TRASMISSIONE RESPIRATORIA

Via principale di eliminazione degli agenti infettanti è l'apparato respiratorio. La sorgente è esclusivamente umana e il serbatoio è costituito quasi esclusivamente dall'uomo ammalato o portatore sano.

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E' possibile la diffusione per contatto diretto con le secrezioni naso - faringee, tracheali, bronchiali ecc.

TBC: tubercolosi

•Agente eziologico = Micobacterium tuberculosis•Incubazione = 4 - 12 settimane•Cenni Clinici = la sintomatologia all'esordio è caratterizzata da febbre,tosse produttiva con sudorazione notturna e perdita di peso. La prima infezione, o tbc primaria , presenta un ingrossamento dei linfonodi latero - cervicali, in base alla risposta immunitaria si passa dalla febbricola ed astenia a forte interessamento polmonare con febbre e difficoltà respiratorie. La tbc post prima si presenta con infezione d'organo o disseminazioni (rene, meningi, ossa)•Contagiosità = altamente contagiosa; inoltre, la contagiosità dipende dalla presenza e dalla carica di bacilli nell'escretato; può persistere per anni•Epidemiologia = malattia diffusa in tutto il mondo, ma soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove colpisce in tutte le età ed anche nell'infanzia (prima infezione). La contagiosità elevata deriva dall'alta carica delle secrezioni polmonari e dal contatto prolungato con i soggetti malati. Le fonti di infezione sono l'uomo. Il malato elimina i bacilli per via aerea, e di rado, attraverso le feci (tubercolosi intestinale), le urine (tubercolosi renale) ed eccezionalmente per altre vie. Le vie di penetrazione sono: inalatoria, che si realizza in oltre il 95% dei casi. Le altre sono la via orale (con latte e derivati) e quella cutaneo - mucosa (lesioni cutanee, mucosa congiuntivale ecc).•Prevenzione = denuncia è obbligatoria. L'isolamento è obbligatorio sino alla negativizzazione dell'espettorato•Vaccinazione = Il vaccino non è obbligatorio. La vaccinazione viene effettuata su gruppi a rischio quali il personale sanitario e gli studenti delle facoltà sanitarie

Difterite

La difterite è una malattia infettiva acuta provocata dal batterio Corynebacterium diphtheriae, che, una volta entrato nel nostro organismo, rilascia una tossina in grado di danneggiare/distruggere organi e tessuti. Gli organi coinvolti variano a seconda del tipo di batterio: il più diffuso colpisce la gola, il naso e talvolta le tonsille, mentre un altro tipo, presente soprattutto nelle zone tropicali, provoca ulcere della pelle. Più raramente, l’infezione coinvolge la vagina o la congiuntiva. La diagnosi differenziale va effettuata con le seguenti patologie: faringiti batteriche e virali, mononucleosi infettiva, sifilide orale, candidosi, angina di Vincent. La diagnosi viene confermata dall’esame batteriologico delle lesioni.L'ultimo caso di difterite in età pediatrica in Italia (peraltro in una bambina non vaccinata) risale al 1991.

Come si trasmetteLa difterite si trasmette per contatto diretto con una persona infetta o, più raramente, con oggetti contaminati da secrezioni delle lesioni di un paziente. In passato, anche il latte non pastorizzato ha rappresentato un veicolo di infezione.Chi è a rischioPer quanto la difterite possa colpire a qualsiasi età, la difterite riguarda essenzialmente i bambini non vaccinati. Nei Paesi con clima temperato, si diffonde durante i mesi invernali.La sintomatologiaIl periodo di incubazione dura da due a cinque giorni. Quando l’infezione riguarda l’apparato orofaringeo, i primi sintomi sono mal di gola, perdita dell’appetito e febbre leggera. Entro due o tre giorni, sulla superficie delle tonsille e della gola si forma una caratteristica membrana grigiastra, dai margini infiammati. Talvolta queste lesioni possono sanguinare e assumere un colore verdastro o nero. Altri sintomi associati all’infezione possono essere gonfiore del collo e ostruzione delle vie respiratorie.Le complicanze

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Generalmente la malattia ha un decorso benigno, ma in alcuni casi possono insorgere complicanze gravi a livello cardiaco: aritmie, con rischio di arresto cardiaco, miocardite, insufficienza cardiaca progressiva.La terapiaGli individui che sviluppano la malattia vanno trattati immediatamente con l’antitossina e antibiotici, quindi messi in isolamento per evitare che contagino altre persone. In genere, già dopo due giorni di terapia non sono più contagiosi.

Meningite

La meningite è un’infiammazione delle membrane (le meningi) che avvolgono il cervello e il midollo spinale. La malattia è generalmente di origine infettiva e può essere virale, batterica o causata da funghi. La forma virale, detta anche meningite asettica, è quella più comune: di solito non ha conseguenze gravi e si risolve nell’arco di 7-10 giorni La forma batterica è più rara ma estremamente più seria, e può avere conseguenze fatali.Il periodo di incubazione della malattia può variare a seconda del microorganismo causale.Nel caso della meningite virale va dai 3 ai 6 giorni, per la forma batterica dai 2 ai 10 giorni.La malattia è contagiosa solo durante la fase acuta dei sintomi e nei giorni immediatamente precedenti l’esordio.

I batteri più frequentemente in causa sono tre:

• Neisseria meningitidis (meningococco) è un ospite frequente delle prime vie respiratorie. Dal 2 al 30% della popolazione sana alberga meningococchi nel naso e nella gola senza presentare alcun sintomo, e questa presenza non è correlata a un aumento del rischio di meningite o di altre malattie gravi. La trasmissione avviene per via respiratoria, e il rischio di sviluppare la malattia sembra maggiore in persone che hanno acquisito l’infezione da poco, rispetto a chi è portatore da più tempo. Esistono 13 diversi sierogruppi di meningococco, ma solo 5 (denominati A, B, C, W 135 e Y) causano meningite e altre malattie gravi. In Italia e in Europa i sierogruppi B e C sono i più frequenti.I sintomi non sono diversi da quelli delle altre meningiti batteriche, ma nel 10-20% dei casi la malattia è rapida e acuta, con un decorso fulminante che può portare al decesso in poche ore, anche in presenza di una terapia adeguata.I malati sono considerati contagiosi per circa 24 ore dall’inizio della terapia antibiotica specifica. La contagiosità è comunque bassa, e i casi secondari sono rari. Il meningococco può tuttavia dare origine a focolai epidemici.Disponibile un vaccino contro il meningococco C.

• Streptococcus pneumoniae (pneumococco) è, dopo il meningococco, uno degli agenti più comuni della meningite. Oltre alla meningite, può causare polmonite o infezioni delle prime vie respiratorie, come l’otite. Come il meningococco, si trasmette per via aerea e può trovarsi nelle prime vie respiratorie, senza causare alcuna malattia. Esistono molti tipi di pneumococco. Le meningiti da pneumococco si presentano in forma sporadica; non è indicata la profilassi antibiotica di chi è stato in contatto con un caso.

• Haemophilus influenzae tipo b (emofilo o Hib) era fino alla fine degli anni novanta la causa più comune di meningite nei bambini fino a 5 anni. Con l’introduzione della vaccinazione i casi di meningite causati da questo batterio si sono ridotti moltissimo. In caso di meningite da Hib è indicata la profilassi antibiotica dei contatti stretti.

Per quanto riguarda la meningite virale, gli agenti più frequenti sono herpes virus ed enterovirus.La meningite di origine fungina si manifesta invece soprattutto in persone con deficit della risposta immunitaria e può rappresentare un pericolo per la vita.

La sintomatologiaI sintomi della meningite sono indipendenti dal germe che causa la malattia.All'inizio i sintomi possono essere aspecifici: sonnolenza, cefalea, inappetenza. In genere, però, dopo 2-3

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giorni peggiorano e compaiono nausea e vomito, febbre, pallore, fotosensibilità; tipiche la rigidità della nuca e quella all'estensione della gamba. Nei neonati alcuni di questi sintomi non sono molto evidenti, mentre può esserci un pianto continuo, irritabilità e sonnolenza al di sopra della norma, e scarso appetito. A volte si nota l'ingrossamento della testa, soprattutto nei punti non ancora saldati completamente (le fontanelle), che può essere palpato facilmente.

Le complicanzeLa malattia può avere complicazioni anche gravi, con danni neurologici permanenti, come la perdita dell’udito, della vista, della capacità di comunicare o di apprendere, problemi comportamentali e danni cerebrali, fino alla paralisi. Tra le complicazioni di natura non neurologica, possibili i danni renali e alle ghiandole surrenali, con conseguenti squilibri ormonali.

La terapiaIl trattamento deve essere tempestivo. La meningite batterica viene trattata con antibiotici; la cura è più efficace se il ceppo agente dell'infezione viene caratterizzato e identificato. Nel caso di meningiti virali, non c'è cura antibiotica, ma la malattia è meno grave e i sintomi si risolvono di solito nel corso di una settimana, senza necessità di alcuna terapia specifica.

Le misure di profilassiOccorre identificare i contatti stretti da sottoporre a chemioprofilassi o a sorveglianza sanitaria. Quindi, individuare i conviventi e coloro che hanno avuto contatti stretti con l’ammalato nei 10 giorni precedenti la data della diagnosi.I 10 giorni sono il tempo massimo previsto per la sorveglianza sanitaria, tenuto conto del massimo periodo di incubazione della malattia. Qualora al momento dell’identificazione fossero già trascorsi 10 giorni dall’ultimo contatto, i soggetti esposti non sono più considerati a rischio (vedi Circolare min. n. 4 del 13 marzo 1998)

Morbillo

E’ una malattia infettiva causata da un virus del genere Morbillivirus, della Famiglia Paramyxovirus, che si localizza in vari organi e tessuti.La recettività (possibilità di essere infettati da un agente patogeno) è universale e il morbillo è una delle malattie più contagiose che si conoscano.Prima dell’introduzione dei vaccini antimorbillosi, quasi tutti i bambini si ammalavano di morbillo prima del 15° anno di vita.Il morbillo è una malattia endemo-epidemica, vale a dire che è sempre presente nelle collettività, presentando picchi epidemici ogni 3-4 anni, legati al fatto che i nuovi nati vengono a formare gradualmente una massa cospicua di soggetti suscettibili all’infezione.Il morbillo lascia un’immunità che dura per tutta la vita; anche l’immunità indotta dal vaccino è di durata lunghissima.Come si trasmetteIl morbillo è una delle malattie più contagiose che si conoscano; si trasmette per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con tosse, starnuti o semplicemente parlando.Il periodo di contagiosità va da poco prima del periodo prodromico a 4 giorni dopo la comparsa dell’esantema.Nelle persone con alterazioni del sistema immunitario il morbillo può assumere un decorso particolarmente grave e prolungato, con persistenza dell’eliminazione del virus per molte settimane dopo la fase acuta.Chi è a rischioPraticamente tutti, se non hanno avuto la malattia naturale o se non sono stati vaccinati, sono a rischio di contrarre il morbillo.La sintomatologiaDopo un periodo di incubazione (periodo che intercorre tra l’esposizione ad un contatto infettante e la comparsa dei primi sintomi) che può variare da un minimo di 7 ad un massimo di 18 giorni (solitamente però è

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di una decina di giorni), si ha comparsa di febbre, raffreddore, tosse secca, congiuntivite, chiazze rossastre sulla mucosa della bocca e della faringe e macchioline bianche sulle gengive, all’altezza dei molari (macchie di Koplik): questo è il periodo prodromico della malattia, che dura 4-5 giorni, al termine del quale compare un'eruzione cutanea maculo-papulosa che dal collo e dal capo si estende ad interessare tutto il corpo (esantema discendente).L’inizio dell’esantema è solitamente accompagnato da un innalzamento della febbre che diminuisce poi piuttosto rapidamente.L’esantema persiste per 5-6 giorni e, così come era iniziato, scompare a cominciare dal collo.Per qualche giorno rimane una desquamazione della pelle (fase di convalescenza). Il decorso del morbillo può essere mite nei lattanti, se ancora in parte protetti da anticorpi di origine materna ma, solitamente, la malattia è più grave nei bambini molto piccoli e negli adulti.Le complicanzeLe più frequenti sono laringiti e laringotracheiti, polmoniti e broncopolmoniti, anche dovute a superinfezione batterica, otiti medie, encefaliti ed encefalomieliti. Queste ultime si manifestano con frequenza di circa un caso su 1000.La mortalità dell’encefalite morbillosa arriva al 15% e si stima che il 20-40% delle persone sopravvissute ad una encefalite morbillosa subiscano conseguenze permanenti a livello neurologico.Una complicanza del morbillo, rarissima, ma dagli effetti devastanti, è la panencefalite sclerosante subacuta (PESS).Si tratta di una encefalite a lenta evoluzione, che può manifestarsi in un caso su 100.000 a distanza di molti anni dall’infezione con virus morbilloso, per lo più in persone che avevano avuto il morbillo nei primi due anni di vita.La terapiaRiposo a letto in un ambiente confortevole, ben riscaldato ed arieggiato, ma non eccessivamente illuminato, insieme con una dieta leggera, ricca di zuccheri e liquidi, costituiscono la base per il trattamento del morbillo.Possono essere impiegati rimedi ad azione sintomatica per la febbre e la tosse ma la terapia antibiotica, sempre su prescrizione medica, dovrebbe essere attuata solo in caso di complicazioni di natura batterica (broncopolmoniti).

RosoliaE’ una malattia infettiva, molto contagiosa, causata da un virus, appartenente al genere Rubivirus, famiglia Togaviridae, che si localizza in vari organi e tessuti. Precedentemente alla introduzione dei vaccini antirosolia, almeno l’80% delle persone venivano infettate dal virus della rosolia prima dei 20 anni.Molto spesso la rosolia non si presenta con segni clinici evidenti e con una sintomatologia ben definita, per cui le infezioni possono passare del tutto inosservate; questo può essere particolarmente rischioso nel caso di un’infezione contratta durante la gravidanza. La rosolia è, come il morbillo, una malattia endemo-epidemica: essa è cioè sempre presente nelle collettività con picchi epidemici ogni 7 anni e più.La rosolia, sia in forma clinicamente evidente che di infezione inapparente, lascia un’immunità (protezione nei confronti di successive infezioni) che dura per tutta la vita. Anche l’immunità indotta dal vaccino è di lunga durata.Come si trasmetteLa rosolia è una malattia molto contagiosa, anche se non raggiunge i livelli di diffusività del morbillo.Il virus della rosolia viene trasmesso per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando.Il virus della rosolia passa attraverso la placenta e, per questa via, infetta il prodotto del concepimento.Il periodo di contagiosità, in cui la malattia può essere trasmessa dalle persone infette (con o senza sintomi manifesti) a quelle suscettibili, va da una settimana prima a 4 giorni dopo la comparsa dell’esantema, che può mancare del tutto.I bambini affetti da sindrome da rosolia congenita possono eliminare il virus e quindi, rimanere infettanti per molti mesi dopo la nascita.

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Chi è a rischioPraticamente tutti, tranne i vaccinati o coloro che sono immuni per avere già contratto la malattia.Nel caso delle donne in gravidanza, il rischio si estende, con conseguenze che possono essere drammatiche, al prodotto del concepimento.La sintomatologiaDopo un periodo di incubazione, che può variare da un minimo di 12 ad un massimo di 23 giorni (solitamente però è di 16-18 giorni), si ha comparsa di febbre, mal di testa, dolori alle articolazioni, raffreddore e gonfiore dei linfonodi posti ai lati delle orecchie e dietro la nuca.Sul viso e sul collo compaiono macchioline leggermente sollevate, di colore roseo o rosso pallido, molto meno fitte di quelle del morbillo e senza alcuna tendenza a confluire tra loro.Tale eruzione cutanea, sotto forma di esantema, si estende successivamente al resto del corpo e scompare nel giro di due o tre giorni.Un bagno o una doccia caldi rendono più evidente l’esantema, che non compare affatto in circa il 40% dei casi, mentre nel 20-25% dei casi compaiono soltanto la febbre e la tumefazione dei linfonodi. La rosolia, quindi, si manifesta in modo conclamato soltanto nel 50% circa dei casi.Le complicanzeLa rosolia è considerata una malattia ad evoluzione benigna, tuttavia complicazioni come artriti acute e artralgie sono frequenti, soprattutto nel caso di rosolia contratta in età adulta.Complicazioni meno frequenti della rosolia sono la trombocitopenia (diminuzione del numero delle piastrine, elementi del sangue fondamentali per il processo della coagulazione) e l’encefalite, che si manifesta in circa un caso su 6.000. L’encefalite da rosolia può essere mortale.Se la rosolia viene contratta da una donna durante la gravidanza, tutti gli organi ed i tessuti fetali sono coinvolti e gli effetti sul prodotto del concepimento possono essere molto gravi: aborto spontaneo; morte intrauterina del feto; malformazioni e lesioni di tipo infiammatorio, principalmente a carico del sistema nervoso, dell’apparato cardiocircolatorio, degli organi di senso, con ritardato sviluppo fisico e psichico (Sindrome da rosolia congenita).Il rischio di avere gravi malformazioni nel feto quando la rosolia viene contratta in gravidanza è massimo nel primo trimestre (85% nelle prime 8 settimane, 52% dalla nona alla dodicesima settimana di gestazione), mentre le infezioni contratte dopo la ventesima settimana raramente provocano malformazioni congenite.Le donne che intendano intraprendere una gravidanza, non vaccinate o non immuni in seguito alla malattia, dovrebbero sottoporsi, prima del concepimento, ad una ricerca degli anticorpi antirosolia ed eventualmente alla vaccinazione (il test è offerto gratuitamente secondo il Decreto ministeriale 10 settembre 1998 per la tutela della maternità).La terapiaIl riposo a letto, insieme con una dieta leggera ma ricca di zuccheri e liquidi, costituiscono la base per il trattamento della rosolia.Per alleviare i sintomi dell’artrite il medico curante potrà prescrivere la terapia sintomatica più adatta.Per le donne in gravidanzaSe si ha il sospetto che una donna in gravidanza possa avere contratto l’infezione, è opportuno eseguire immediatamente la ricerca degli anticorpi antirosolia su un campione di sangue conservando una parte del campione utilizzato per l‘esame, in modo da poterlo confrontare con campioni prelevati successivamente.La presenza di anticorpi della classe IgG nel campioni è segno di un’infezione avvenuta nel passato e, quindi, di immunità nei confronti di infezioni successive, mentre la presenza di anticorpi della classe IgM indica infezioni in atto.Se nel campione non si riscontrano anticorpi, è necessario ripetere l’esame a distanza di circa un mese.La positività nel secondo campione è segno di infezione recente o in atto; se anche il secondo campione risulta negativo, il test deve essere nuovamente ripetuto dopo 6 settimane dall’esposizione al contagio. La persistenza della negatività indica che l’infezione non è avvenuta.

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Epatite virale BE’ una malattia infettiva causata da un virus, costituito da più componenti, che colpisce il fegato.

La sintomatologiaL’epatite virale B, dopo un periodo di incubazione di 2-6 mesi dall’infezione, si manifesta con la comparsa di inappetenza, malessere generale, febbre e nausea, particolarmente nei confronti del fumo.Dopo qualche giorno compare l’ittero, cioè la presenza di colorito giallognolo della pelle, dovuto alla aumentata concentrazione di bilirubina nel sangue a causa della diminuita funzionalità del fegato.Anche le sclere (la parte bianca dell’occhio) possono tendere al colore giallo. Un altro segno caratteristico della malattia in atto è il colore delle urine che si presentano scure come marsala, sempre per la presenza della bilirubina.Nella maggior parte dei casi la malattia guarisce e nel sangue rimane la presenza di anticorpi anti-virus dell’epatite B (anti-HBc, anti-HBs, anti-HBe) che testimoniano l’avvenuta infezione. In un certo numero di casi, però, per fattori non ancora chiariti, il virus continua a replicarsi e a produrre particelle infettanti chiamate “antigeni” (HBsAg, HBeAg), gli anticorpi protettivi non si formano, ed in tale situazione il soggetto può trasmettere l’infezione ad altre persone, la sua malattia può cronicizzare ed evolvere verso quadri clinici di grave compromissione epatica. In questi casi è importante eseguire periodicamente, sotto controllo medico, esami della funzionalità epatica. A volte capita che, facendo delle analisi del sangue per controllo, un soggetto scopra di essere positivo per gli anticorpi anti-HBV (indice di guarigione) o per gli antigeni (indice di replicazione virale e di potenziale infettività), ma non ricordi di aver mai avuto l’epatite virale B. Ciò è possibile perché, per fattori non ancora chiariti, l’epatite virale B non sempre si manifesta con i classici sintomi che sono stati suddescritti e decorre in modo inapparente.Come si trasmetteE’ una malattia che si trasmette venendo a contatto con liquidi biologici, quali sangue e suoi derivati, sperma e liquidi vaginali infetti; la trasmissione può avvenire anche da madre infetta al bambino durante la gravidanza.Cosa fare quando ci si ammalaE’ importante ricorrere tempestivamente al proprio medico curante il quale prescriverà delle analisi che confermino la diagnosi di epatite B (presenza di antigeni o di anticorpi per HBV) e per valutare la funzionalità del fegato (cioè il valore degli enzimi transaminasi - GOT o AST e GPT o ALT - e delle gammaGT). La rapida guarigione è favorita dallo stare a riposo a letto, seguendo una dieta leggera e ricca in zuccheri e proteine,

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limitando il consumo dei grassi ed evitando l’alcool.Come si evitaEsiste una vaccinazione sicura ed efficace nel prevenire l’epatite virale B; la malattia può essere prevenuta, comunque, adottando corretti comportamenti quali:

• usare il preservativo nei rapporti sessuali con partner sconosciuti o portatori di HBsAg;• evitare lo scambio di siringhe usate;• evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi, tagliaunghie, siringhe

riutilizzabili;• in caso di tatuaggi, fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing), pratiche estetiche che

prevedano l’uso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche dei locali in cui vengono eseguiti e pretendere l’uso di aghi usa e getta;

• esistono, inoltre, precise indicazioni per gli operatori sanitari da adottare nell’assistenza ai pazienti per evitare il contatto con il sangue ed i liquidi biologici eventualmente infetti.

Modalità di trasmissione delle malattie infettive

CATENA DELL’INFEZIONE

SERBATOI :

AGENTI: PERSONE: MALATI (noti o meno), PORTATORI

BATTERI

FUNGHI AMBIENTE: ATTREZZATURE,

VIRUS STRUMENTARIO,

PARASSITI DISPOSITIVI MEDICI,

SOLUZIONI,

ACQUA, ARIA, SUPERFICI

PORTE D’INGRESSO: VIE DI TRASMISSIONE

OSPITI Mucose (congiuntive) per contatto (diretto ed indiretto)

SUSCETTIBILI Cute lesa per droplet

Tratto gastrointestinale per via aerea

Tratto respiratorio tramite veicoli

tramite vettori

Condizioni necessarie per la catena dell’infezione

1. una quantità sufficiente di microrganismi (dose infettante)

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2. la capacità del microrganismo di causare infezione (patogenicità)

3. la capacità del microrganismo di causare malattia (virulenza)

4. un’appropriata modalità di trasmissione o trasferimento del microrganismo dalla fonte all’ospite

5. fattori ambientali che favoriscono la trasmissione dei microrganismi (sopravvivenza o crescita)

6. un ospite suscettibile (neonato, anziano, immunodepresso…)

7. una corretta porta di ingresso nell’ospite

Trasmissione da contatto

Si tratta del più importante e frequente modo di trasmissione delle infezioni in ambito sanitario

contatto diretto contatto fisico diretto (da superficie corporea a

superficie corporea) tra un soggetto colonizzato o infetto e un soggetto suscettibile

Contatto indiretto

Trasferimento passivo dei microrganismi a un ospite suscettibile tramite oggetti intermedi inanimati, come strumenti, aghi, attrezzature, superfici circostanti il paziente, abiti, mani contaminate non lavate, guanti non cambiati, ecc.

Trasmissione da contatto

Rosolia congenita ∗

Scabbia∗

Pediculosi∗

Varicella∗

Herpes simplex neonatale o mucocutaneo∗

Herpes Zoster ∗

Infezioni cutanee da Stafilococchi∗

Diarrea da: Salmonella, Shigella∗

Virus dell’epatite A∗

SARS

Trasmissione da droplet (goccioline)

E’ una forma di trasmissione da contatto. Non deve essere confusa con la trasmissione per via aerea.

•I droplets sono goccioline di dimensione ≥ 5 micron (large droplets)

•Sono generate dal paziente fonte con la tosse, gli starnuti e durante particolari procedure come

aspirazione e broncoscopia.

•Vengono espulse nell’aria a breve distanza e possono depositarsi sulla congiuntiva o sulle mucose nasali e orali del nuovo ospite.

Malattie trasmissione da droplet

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Malattia invasiva da Haemophilus influenzae: meningite, epiglottite, sepsi, altre∗

Malattia invasiva da Neisseria meningitidis : meningite, polmonite, sepsi∗

Difterite∗

Polmonite da Mycoplasma∗

Pertosse∗

Faringite o polmonite streptococcica ∗

Influenza e Parainfluenza∗

Parotite∗

Rosolia∗

Rhinovirus∗

SARS∗

Trasmissione per via aerea ( Airborne)

1 metro Malattie trasmissibili per via aerea

morbillo∗

varicella∗

tubercolosi∗

vaiolo∗

febbri emorragiche virali con polmonite∗

influenza?∗

SARS CoV? ∗

Trasmissione attraverso veicoli

Trasmissione attraverso veicoli

• una singola fonte contaminata quale:

alimento, acqua o bevande, serve a trasmettere l’infezione a uno o più soggetti

• una singola fonte contaminata quale:

medicazione, fluido intravenoso, presidio sanitario serve a trasmettere l’infezione a uno o più soggetti.

Malattie trasmissibili attraverso veicoli

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ALIMENTI SANGUE, PRESIDI MEDICI

salmonellosi epatite B

shigellosi epatite C

campilobatteriosi epatite D

tifo AIDS

epatite A legionellosi...

isteriosi…

Trasmissione attraverso vettori

la trasmissione è mediata da vettori animati (insetti, roditori…)

malaria encefalite giapponese

malattia di Lyme dengue

leishmanios febbre gialla

encefalite da zecche peste, tripanosomiasi

Segnalazione di un caso di malattia infettiva sospetta o accertata

• Scheda di segnalazione di caso di malattia infettiva (SSCMI)

•Tempi di segnalazione (rapida/ordinaria)

Dal medico ai Servizi competenti dell’Azienda

Servizio competente di ciascuna Azienda Sanitaria

I MOTIVI PER VACCINARSI:

INFLUENZA

-PROTEZIONE INDIVIDUALE: Evita la malattia

-PROTEZIONE DEI COLLEGHI: Protezione della struttura organizzativa (assenze di massa)

-PROTEZIONE DEGLI UTENTI: Migliore qualità del servizio

ROSOLIA MORBILLO VARICELLA

ROSOLIA

Può decorrere come infezione inapparente o con la forma clinica evidente

Se contratta in GRAVIDANZA:

- Aborto spontaneo, morte intrauterina

- Malformazioni del feto

La VACCINAZIONE è EFFICACE E DURATURA

MORBILLO

Malattia tra le più contagiose, trasmessa per via ………….

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E’ endemica, in quanto è sempre presente nella popolazione, con PICCHI EPIDEMICI (20-30 mila casi/anno) ogni 3-4 anni

MALATTIA in GRAVIDANZA: non conseguenze per il feto

VACCINAZIONE: è rivolta soprattutto alle

persone di età inferiore a 30 anni mai vaccinate e

senza ricordo di malattia

VARICELLA

TRASMISSIONE: contagio diretto interumano; il virus mediante le secrezioni oro-faringee penetra

nell'organismo per via aerea.

RISCHIO BIOLOGICO da VIRUS EPATITICI B e C e da HIV

Contagio diretto e/ o parentale

Sangue

Alto rischio Sperma, secrezioni vaginali

Liquido cefalorachidiano, pleurico

Liquidi amniotico,peritoneale,pericardico,sinoviale

corporei

* Basso rischio Saliva, sputo, sudore, lacrime, feci,

secrezioni nasali,urine,vomito

• se non contaminati da sangue

VIE DI TRASMISSIONE

Parenterale (trasfusione)

Esposizione Mucose

Cute non integra

Percutanea

Virus Epatite B (HBV)

Penetrazione attraverso la cute di ago cavo o di un tagliente contaminati con sangue proveniente

da un soggetto possibile fonte di infezione

Presente nel sangue da pochi virioni a 109 virioni/ml

Resistente all’essicamento, alcool, detergenti semplici

Sopravvive a temperatura ambiente >7giorni, al calore (60°) per 10 ore

Possibile trasmissione in modo inapparente per contaminazione di superfici, strumenti sanitari,

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cute non integra

Virus Epatite C (HCV)

Presente nel siero da 105 a 108 virioni/ml

Sopravvive in plasma secco a temperatura ambiente > 16 ore ma < 4 giorni

Inattivato in autoclave e da detergenti ad attività intermedia

La trasmissione avviene attraverso grosse quantità di sangue oppure in seguito a ripetute esposizioni

parenterali

Virus dell'Immunodeficenza Umana (HIV)

Circolano nel sangue da pochissime copie fino a >500.000 copie/ml

Non resiste all’essicamento perdendo dopo poche ore il 90-99% della sua vitalità

Incapace di riprodursi al di fuori dell’ospite

Non è in grado di diffondersi o di mantenere la capacità infettante al di fuori dell’ospite

TETANO

Il Tetano è una malattia che colpisce i muscoli ed i nervi del nostro organismo: è grave, ma può essere prevenuta con successo. Di solito ha origine quando una ferita della pelle viene contaminata da un batterio di nome Clostridium tetani, che spesso si trova nel terreno.Dopo essere penetrati nell’organismo, il batteri producono una neurotossina (una proteina che agisce come un veleno sul sistema nervoso), di nome tetanospasmina, in grado di provocare spasmi muscolari. La tossina può diffondersi in tutto il corpo mediante il flusso sanguigno ed il sistema linfatico, in questo modo va ad interferire con la normale attività dei nervi in tutto l’organismo, causando spasmi muscolari generalizzati.

In realtà il tetano è ormai molto raro negli Stati Uniti e negli altri paesi che hanno reso obbligatorie le vaccinazioni antitetaniche, almeno per le categorie a rischio come in Italia: ogni anno nel nostro Paese vengono diagnosticati circa 100 morti di tetano. In molti paesi sviluppati che hanno programmi di prevenzione e di vaccinazione meno efficaci la malattia è invece molto più frequente, situazione ancora più grave si registra nei Paesi del Terzo Mondo.

Se non viene curato, il tetano può essere letale; questa malattia è in grado di provocare la morte per collasso cardio-respiratorio, causando la contrazione con paralisi della muscolatura, perché si localizza a livello dei nervi. In un caso su dieci porta a morte per l’impossibilità di respirare.

CauseIIn Italia la maggior parte dei casi di tetano è causata da un taglio o da una lesione profonda, come ad esempio un’unghia schiacciata: a volte la lesione è talmente lieve che il paziente non va nemmeno dal dottore.Le lesioni che comportano la morte della pelle (come ad esempio le scottature, il congelamento, la cancrena o le lesioni da schiacciamento) hanno maggiori probabilità di provocare il tetano. Anche le ferite contaminate da terra, saliva o feci, soprattutto se non vengono disinfettate con attenzione, e le punture effettuate con aghi non sterili (come ad esempio quando ci si droga o si fa un tatuaggio od un piercing casalingo) presentano un rischio maggiore.Esiste anche un altro tipo di tetano, il tetano neonatale, che si verifica nei neonati partoriti in condizioni igieniche precarie, soprattutto se il cordone ombelicale si infetta dopo essere stato reciso. Negli Stati Uniti, prima dell’introduzione dei vaccini, il tetano neonatale era molto più frequente. Al giorno d’oggi le vaccinazioni antitetaniche obbligatorie producono gli anticorpi che le madri trasmettono ai figli durante la gravidanza. Questi anticorpi materni ed il miglioramento delle tecniche di recisione del cordone ombelicale hanno diminuito drasticamente la frequenza del tetano neonatale nei paesi sviluppati.

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SintomiIl primo sintomo del tetano spesso sono gli spasmi muscolari della mascella (trisma), che possono essere accompagnati da difficoltà di deglutizione. Seguono quindi altri muscoli del capo che danno luogo al Riso Sardonico (aspetto tipo iena), poi si rileva la discesa degli effetti del tetano che provoca rigidità e dolore dei muscoli del collo, delle spalle, della schiena e degli arti, fino ad arrivare alla posizione “cane di fucile” (tutto rannicchiato).I sintomi possono verificarsi in un periodo variabile da alcuni giorni ad alcuni mesi dopo che si è venuti in contatto con i batteri; in genere il periodo di incubazione varia da 2 giorni a mesi, anche se la maggior parte dei casi si manifesta entro 14 giorni. Ferite più gravi sono in genere legate a periodi di incubazione minore.Cura e terapiaI medici hanno un ruolo importante nella prevenzione del tetano, perché si devono accertare che le vaccinazioni dei bambini siano valide e perchè si occupano della profilassi post-esposizione se il paziente ha una ferita che è a rischio tetano. Il bambino che si ammala di tetano dovrà essere ricoverato in ospedale, di solito nel reparto di terapia intensiva. Qui, di norma, gli verranno somministrati degli antibiotici per eliminare i batteri ed il siero per neutralizzare la tossina già rilasciata dai batteri. Al bambino verranno anche somministrati farmaci in grado di tenere sotto controllo gli spasmi muscolari e altre terapie a supporto delle funzioni vitali dell’organismo.

PrevenzioneEsistono due modi importanti per prevenire il tetano: fare le vaccinazioni antitetaniche, insieme a tutte le altre vaccinazioni obbligatorie, oppure dopo una lesione che potrebbe provocare il tetano, ricevere una dose di vaccino (profilassi antitetanica post-esposizione). Per i bambini, il vaccino antitetanico fa parte delle vaccinazioni DtaP (contro la difterite, il tetano e la pertosse). I bambini di solito ricevono una serie di 3 dosi di vaccino prima dei due anni, e poi una dose di richiamo tra i 5 e i 6 anni. In seguito è consigliata un’ulteriore dose di richiamo tra gli 11 e i 12 anni e, in età adulta, un richiamo del vaccino contro il tetano e la difterite ogni 10 anni. Non lasciate che i vostri bambini saltino questi appuntamenti importanti e fateli vaccinare al momento giusto. Come per qualsiasi calendario di vaccinazione, ci sono dei casi particolari e delle eccezioni da tenere presenti. Il medico vi fornirà tutte le informazioni aggiornate. La vaccinazione degli adulti si esegue somministrando due dosi di vaccino per via intramuscolare ad una distanza di 4 settimane, seguita da una terza dose dopo 6-12 mesi. La protezione non è permanente, per restare protetti occorre una dose di richiamo ogni dieci anni. Anche nella profilassi antitetanica post-esposizione, ossia dopo l’infortunio, vengono somministrate dosi di vaccino antitetanico, ma solo dopo che si è verificata la ferita o la lesione. Il numero di dosi dipende da quanti anni sono trascorsi dall’ultimo richiamo, dal totale di vaccinazioni antitetaniche effettuate fino a quel momento e dalla natura della ferita. Il medico può consigliarvi un richiamo di vaccino antitetanico e/o un’iniezione di immunoglobulina tetanica (siero) per neutralizzare tutte le tossine prodotte dai batteri. Tutte le ferite della pelle, soprattutto le lesioni profonde o le ferite che potrebbero essere contaminate da feci, terra o saliva, dovrebbero essere disinfettate e medicate immediatamente. La medicazione delle ferite è fondamentale, ma non rappresenta un’alternativa in grado di sostituire la vaccinazione. Il tetano neonatale può essere prevenuto se tutte le

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LA SCABBIA

Aspetti epidemiologici

• CASI SPORADICI e piccoli cluster familiari

• CASI “SOMMERSI” legati al turismo sessuale

• FOCOLAI EPIDEMICI frequenti nelle strutture assistenziali

SINTOMI: PRURITO INTENSO SPECIE NOTTURNO, TRONCO e/o ARTI

SCABBIA: controllo della trasmissione

Trattare adeguatamente gli effetti letterecci e la biancheria personale

a) Cambio lenzuola

b) Confezionamento lenzuola e oggetti in sacchetti per alcuni giorni

• Organizzare un programma continuativo di sorveglianza

Terapia della SCABBIA

• terapia topica con permetrina 5%

• terapia topica con benzoato di benzile 25%

Terapia della PEDICULOSI

• terapia tipica con permetrina (NIX crema)

• shampoo con : piretrina (MOM)

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Trasmissione attraverso vettori

la trasmissione è mediata da vettori animati (insetti, roditori…)

malaria encefalite giapponese

malattia di Lyme dengue

leishmanios febbre gialla

encefalite da zecche peste, tripanosomiasi

Segnalazione di un caso di malattia infettiva sospetta o accertata

• Scheda di segnalazione di caso di malattia infettiva (SSCMI)

•Tempi di segnalazione (rapida/ordinaria)

Dal medico ai Servizi competenti dell’Azienda

Servizio competente di ciascuna Azienda Sanitaria

La malaria3 novembre 2011 - La “Mal aria” così definita in seguito alla credenza che venisse contratta dai miasmi malsani emanati dalle acque stagnanti delle paludi è una grave malattia causata da protozoi parassiti trasmessi all’uomo da zanzare ad attività crepuscolare-notturna del genere Anopheles.Oggi la malaria è endemica in vaste zone dell’Asia, Africa, America latina e centrale, isole caraibiche e Oceania, con circa 500 milioni di malati ogni anno e oltre un milione di morti, minacciando nel complesso oltre il 40% della popolazione mondiale, soprattutto quella residente in Paesi poveri. Assieme alla tubercolosi e all’Aids, la malaria è oggi una delle principali emergenze sanitarie del pianeta. Oltre a essere endemica in molte zone del pianeta, la malaria viene sempre più frequentemente importata anche in zone dove è stata eliminata, grazie ai movimenti migratori, risultando in assoluto la prima malattia d’importazione, trasmessa da vettori, in Europa e negli Usa.

Gli agenti patogeni e i loro vettoriI protozoi agenti eziologici della malaria umana sono 4, tutti appartenenti al genere Plasmodim: Plasmodium falciparum, agente della cosiddetta terzana maligna, la forma più grave che può portare al decesso, P. vivax e P. ovale, agenti di due forme di tersi a benigna, e P. malariae, agente della quartana. Un quinto plasmodio, P. knowlesy, che ha come serbatoi alcuni primati, può più raramente causare anche una forma di quartana benigna anche nell’uomo.La malaria si contrae in seguito alla puntura della femmina di una delle circa 60 specie diverse di zanzare appartenenti al solo genere Anopheles, dopo che questa si è a sua volta infettata suggendo il sangue da un soggetto malarico. Prima che l’Anofele diventi infettante, il plasmodio deve compiere un ciclo di sviluppo all’interno della zanzara stessa, che può durare da qualche giorno a qualche settimana, a seconda della specie plasmodiale e soprattutto della temperatura ambiente.

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All’interno dell’ospite umano, il parassita (endocellulare) si modifica passando attraverso diversi stadi di sviluppo e riuscendo a eludere le difese del sistema immunitario, localizzandosi prima nel fegato, dove invade gli epatociti e si amplifica per schizogonia, quindi invadendo i globuli rossi, dove si riproduce nuovamente per schizogonia, dando luogo a nuove generazioni di parassiti ogni 3 (terzana) o 4 (quartana) giorni. Dopo alcuni cicli di sviluppo, il Plasmodio produce le forme sessuate (gametociti), il Plasmodio è nuovamente pronto a infettare una nuova zanzara.

Comparsa dei sintomi della malattiaLa comparsa dei sintomi dipende da fattori diversi, i cui più importanti sono la specie plasmodiale e la carica infettante. In linea di massima, i sintomi della malaria da P. falciparum appaiono da 7 a 14 giorni dopo la puntura da parte della zanzara infetta e sono di varia natura, (mal di testa, vomito, diarrea (sudorazioni e tremori, ecc), comuni, almeno inizialmente, a quelli un’ influenza o ad altre infezioni, ma comunque sempre accompagnati da febbre elevata. La malaria da P. falciparum arriva a essere letale distruggendo i globuli rossi e quindi causando una forte anemia ma soprattutto ostruendo i capillari che irrorano il cervello (in questo caso si tratta di malaria cerebrale) o altri organi vitali (in genere, ma non sempre, gli accessi febbrili si presentano ciclicamente seguendo il ciclo stesso di riproduzione e moltiplicazione del parassita).Le forme di malaria dovute agli altri parassiti sono decisamente meno gravi. I sintomi possono presentarsi anche con qualche giorno di ritardo rispetto a P. falciparum, ma soprattutto P. viva e P. ovale possono dare recidive a distanza di qualche mese dall’attacco primario, per via di alcune forme che rimangono silenti nel fegato (ipnozoiti) per periodi dipendenti dalla specie (soprattutto P. ovale può riapparire dopo molti mesi) e dal ceppo plasmodiale. P. malariae può invece dare recrudescenze anche a distanza di anni, per via di forme che rimangono vitali nel circolo ematico, evadendo le difese immunitarie e causando un nuovo accesso malarico quando queste si abbassano per motivi diversi.

Dove si contrae la malariaP. falciparum è presente in tutte le aree a endemia malarica situate nella fascia tropicale e subtropicale, di 4 continenti, ma il rischio maggiore di contrarre questo plasmodio si corre nei Paesi dell’Africa sub-Sahariana, in Papua-Nuova Guinea e in alcune isole del Pacifico orientale. La malaria da P. vivax è predominante in America Latina, e in molti Paesi Asiatici. Soprattutto P. vivax è la sola specie presente in quelle aree a clima temperato dove ancora persiste l’endemia malarica (Medio oriente, Turchia, Nord Africa). P. ovale è molto comune in Africa occidentale, raro o assente negli altri continenti. La distribuzione di P. malariae si sovrappone più o meno a quella di P. falciparum, dove è però è presente come specie minoritaria.

PrevenzioneCeppi di P. falciparum, e più recentemente anche di P. vivax, resistenti ai più comuni farmaci antimalarici si sono selezionati in molte zone di endemia, soprattutto nel Sud-Est asiatico e in Africa Orientale. Sebbene farmaci ancora pienamente efficaci siano disponibili sul mercato, non esiste un unico schema profilattico applicabile dovunque; pertanto la profilassi idonea per chi si rechi in zona di endemia, va studiata caso per caso, in base al Paese visitato, al tipo di viaggio e al tempo di permanenza. Sul fronte vaccini, la ricerca non ha ancora prodotto un vaccino effettivo anche se esistono diversi possibili candidati su cui gli scienziati stanno lavorando, soprattutto grazie al completamento della sequenza gnomica di Plasmodium spp.

ProfilassiEsistono però numerose misure di prevenzione e di profilassi a basso costo, che vengono promosse soprattutto nei Paesi africani dalla Global Partnership Roll Back Malaria coordinata dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’uso di zanzariere trattate con insetticidi e di trattamenti preventivi a intermittenza con farmaci antimalarici può significativamente ridurre l’incidenza della malattia nelle zone endemiche, sia tra i bambini che tra le donne in gravidanza, soggetti particolarmente vulnerabili.Le donne incinte sono una categoria particolarmente a rischio. Quelle non immuni rischiano malattie cliniche sia acute che gravi, con conseguenze che possono arrivare fino al 60% delle perdite del feto e oltre il 10% delle morti materne. Le donne incinte semi-immuni che contraggono la malaria rischiano anemie gravi e

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crescite fetali compromesse, anche se non mostrano sintomi di malattie severe. Circa 10 mila di queste donne e 200 mila dei loro neonati muoiono ogni anno in seguito a infezione da malaria durante la gravidanza.Una diagnosi accurata e precoce è una delle chiavi per gestire in modo efficace la malattia. Attualmente la pratica diagnostica si basa su due approcci: quello clinico che identifica i sintomi della malattia, e quello volto a isolare e riconoscere l’agente causale, utilizzando test immunocromatografici o, molto più comunemente, con osservazioni al microscopio. Una rapida risposta all’insorgenza, con trattamento farmacologico con i farmaci più recentemente sviluppati e dati in combinazione, in alternativa alle monoterapie tradizionali, può ridurre significativamente il numero di morti. L’uso esteso e poco controllato di terapie a base di chinolina e di antifolati ha contribuito ad aumentare lo sviluppo delle resistenze. Nell’ultima decade, un nuovo gruppo di antimalarici, diversi composti combinati dell’artemisinina (ATCs), stanno dando ottimi risultati terapeutici anche nell’arco di una settimana, con riduzione della presenza di plasmodio e quindi della sua capacità di trasmissione e miglioramento dei sintomi.Lo sforzo messo in atto dalla Global Partnership è quello di adottare una strategia globale coordinata in tutte le zone in cui la malattia è endemica e in quelle a rischio, e di monitorare in modo efficace e continuo l’evolversi della resistenza manifestata dal plasmodio, e le sue aree di diffusione. Gli effetti più disastrosi della malaria si hanno infatti nell’evento epidemico in zone dove la popolazione non è affatto immunizzata alla presenza stabile del plasmodio e dove le strutture di risposta sono più carenti.I fattori che possono favorire lo sviluppo di una epidemia sono sia naturali, come una variazione climatica o un’inondazione, che antropici, come una guerra o lo sviluppo di opere agricole, di dighe, di miniere o l’incapacità di esercitare un controllo sulla zanzara, il vettore del plasmodio. Grandi movimenti migratori interni a un continente favoriscono ancor più l’esposizione di popolazione vulnerabile al parassita. La combinazione di fattori meteorologici, socioeconomici ed epidemiologici, sia a livello locale che globale, può permettere una previsione del rischio di epidemie, soprattutto se dovute a fattori antropici. Lo studio accurato dei fenomeni epidemici del passato e la costruzione di una rete di monitoraggio e di un database per registrare l’occorrenza e la prevalenza della malaria nelle diverse zone diventano quindi importanti strumenti di prevenzione.

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Toxoplasmosi: prevenzione, alimentazione, sintomi, gravidanza

Secondo i Centers for Disease Control and Preventing (CDC), circa 60 milioni di persone negli Stati Uniti potrebbero avere la toxoplasmosi. Molti non sanno nemmeno di averla perchè è possibile avere un’infezione asintomatica o con sintomi comuni ad altre malattie. Questa infezione è causata da un microscopico parassita (protozoo Toxoplasma gondii) che può vivere nelle cellule degli uomini e degli animali, soprattutto gatti e animali da allevamento.

Diagnosi E’ possibile diagnosticare con sicurezza la toxoplasmosi attraverso prove di laboratorio che rilevano i microscopici parassiti nel sangue, nel liquido spinale, nel liquido amniotico,nella placenta, nei linfonodi, nel midollo osseo o altri tessuti derl corpo. Più frequentemete si prescrivono tuttavia esami del sangue per misurare i livelli di anticorpi (sostanze che fanno parte delle reazioni immuno difensive del corpo) prodotti per combattere i parassiti. Sofisticati nuovi test genetici riescono ad identificare il DNA contenente geni di parassiti della toxoplasmosi dopo che hanno invaso il corpo. Questi test sono utili soprattutto per testare nel liquido amniotico la presenza di toxoplasmosi congenita in un feto, rilevabile anche attraverso gli ultrasuoni. Entrambi i test non sono purtroppo sufficientemente accurati e possono dare falsi risultati positivi. Sintomi La toxoplasmosi si trasmette dagli animali alle persone, a volte senza causare alcun sintomo. Quando i bambini hanno dei sintomi, possono variare in base all’età del bambino ed alla risposta del sistema immunitario all’infezione. Anche i gatti infettati spesso non mostrano alcun segno di infezione da toxoplasmosi. Le infezioni da toxoplasmosi nelle persone possono essere di tre tipi:

1.toxoplasmosi congenita, in cui un bambino viene infettato prima di nascere,2.toxoplasmosi in soggetti sani (con gli stessi sintomi che può avere una donna incinta),3.toxoplasmosi in pazienti con sistema immunitario indebolito

Toxoplasmosi congenitaQuando una donna incinta (anche se non ha sintomi) contrae la toxoplasmosi durante la gravidanza e non viene curata, c’è più di una possibilità che possa trasmettere l’infezione al feto. I bambini che vengono infettati durante il primo trimestre di gravidanza della mamma tendono a manifestare i sintomi più gravi. E’ invece raro che una donna che abbia contratto la toxoplasmosi prima di rimanere incinta trasmetta l’infezione al feto perchè lei, e di conseguenza il suo bambino, avranno sviluppato immunità all’infezione. Può invece succedere che una donna in gravidanza, che abbia avuto una precedente infezione, diventi immunocompomessa e la sua infezione si ripresenti. Si consiglia quindi di norma di aspettare prima di cercare una gravidanza almeno 6 mesi dopo la toxoplasmosi. Fino al 90% dei bambini nati con una toxoplasmosi congenita non manifestano sintomi nella prima infanzia, ma una grande percentuale di loro mostrerà segni di infezione mesi o anni dopo. I pochi che mostrano chiari segni di infezione alla nascita, o poco dopo, potrebbero essere nati prematuramente e/o essere sottopeso. Altri segni e sintomi , se si manifestano, possono essere:

•febbre,•ghiandole gonfie (linfonodi),•ittero (pelle e occhi ingialliti a causa di anormali livelli di bilirubina chimica del fegato),•una testa particolarmente grande o piccola,•esantema,•lividi o emorragia sotto la pelle,

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•anemia,•fegato o milza ingrossata,

Alcuni bambini con toxoplasmosi congenita presentano poi disturbi al cervello e al sistema nervoso causa di attacchi epilettici, problemi nel tono muscolare, difficoltà di alimentazione, perdita di udito e ritardo mentale. C’è infine un alto rischio di danni agli occhi, in particolare alla retina (il rivestimento dietro all’occhio sensibile alla luce, responsabile della vista) che si manifesta con gravi problemi alla vista. Se un bambino nasce con la toxoplasmopsi congenita e non viene curato durante l’infanzia, manifesterà sempre qualche segno di infezione (spesso danni agli occhi) dalla prima infanzia all’adolescenza. Toxoplasmosi in pazienti sani Un soggetto sano che viene infettato dalla toxoplasmosi può non manifestare sintomi o solo ghiandole gonfie nel collo, senza particolari conseguenze. Toxoplasmosi in pazienti immunocompromessi I soggetti il cui sistema immunitario è indebolito (ad esempio malati di AIDS, cancro, o sotto terapia di farmaci assunti dopo trapianti di organo) sono invece in una condizione di forte rischio se infettati dal protozoo. Soprattutto per i malati di AIDS, la toxoplasmosi potrebbe casusare encefalite toxoplasmica (un infiammazione al cervello) con sintomi quali:

•febbre,•attacchi,•emicrania,•psicosi,•problemi alla vista, al linguaggio, ai movimenti, alla capacità di pensiero.

TrasmissioneSi può contrarre la toxoplasmosi:

•toccando o venendo a contatto con le feci infette del gatto (i gatti prendono l’infezione mangiando roditori infetti, uccelli e altri piccoli animali),•mangiando carne cruda o non cotta bene che è contaminata,•mangiando cibi crudi, frutta non lavata o verdure che sono state contaminate dal concime

Sebbene l’infezione normalmente non si diffonda da persona a persona, ad eccezione della gravidanza,in rari casi la toxoplasmosi può essere trasmessa attraverso trasfusioni di sangue e organi donati per trapianto.

PericoliI pericoli maggiori sono legati alla toxoplasmosi congenita ed in tutti casi di forte immunodepressione.DurataNonostante i parassiti siano in grado di moltiplicarsi nel giro di una settimana nell’organismo ospite, i sintomi possono manifestarsi fino a settimane o mesi dopo il contatto con il protozoo. Una volta contratta la toxoplasmosi il microrganismo responsabile stazionerà a vita nell’organismo, seppure in forma latente (inattiva) non più in grado di manifestare alcun tipo di sintomo. Solo in caso di episodi di immunodepressione l’infezione può nuovamente ricomparire. In un bambino con sistema immunitario indebolito, la toxoplasmosi congenita può essere fatale.

Cura e terapiaA meno di sistema immunitario indebolito o gravidanza, non c’è bisogno di curare un infezione da toxoplasmosi. I sintomi (principalmente le ghiandole gonfie) regrediscono in poche settimane o mesi. I bambini dovrebbero comunque essere sempre visitati da un dottore, perché le ghiandole gonfie potrebbero essere anche segno di un’altra malattia. Se una donna incinta manifesta un’infezione da toxoplasmosi, nel consulto con il medico e uno specialista di malattie

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infettive si deciderà il piano di cure. Le ricerche hanno mostrato che curando la madre si può aiutare a ridurre la gravità della malattia nel bambino, ma non necessariamente prevenirla. I bambini nati con una toxoplasmosi congenita vengono curati con una varietà di farmaci anti-toxoplasmosi, di solito per il primo anno successivo alla nascita. In un bambino più grande, sano, che sviluppa una seria infezione da toxoplasmosi, la cura di norma dura dalle 4 alle 6 settimane (o almeno 2 settimane dopo che i sintomi sono scomparsi). I bambini con un sistema immunitario indebolito spesso hanno bisogno di essere ricoverati quando contraggono la toxoplasmosi e quelli che hanno l’AIDS possono aver bisogno di assumere farmaci anti-toxoplasmosi a vita.

PrevenzioneSe il gatto di casa vive sempre all’interno e non è mai stato cibato con carne cruda o non cotta bene, probabilmente ha un basso di rischio di contrarre o diffondere la toxoplasmosi. Tuttavia esiste la possibilità di contrarla mangiando carne cruda o non cotta bene, o prodotti contaminati. Per prevenire la toxoplasmosi:

•cuoci bene la carne,•lava le mani con sapone e acqua dopo aver toccato cibi crudi o verdure non lavate,•lava tutta la frutta e le verdure prima di servirla, sbucciarla è un’ulteriore garanzia,•congela la carne per qualche giorno prima di cucinarla, perché aiuta a ridurre la probabilità di toxoplasmosi,•lava bene i taglieri, gli altri utensili e le superfici della cucina (soprattutto quelle che vengono a contatto con la carne cruda) con acqua calda saponata dopo ogni uso,•fai cuocere bene la carne,•se sei incinta fai cambiare la lettiera del tuo gatto a qualcun’altro. E chiedi a lui o lei di usare detergente o acqua calda per pulirla e lavarsi bene le mani dopo averlo fatto. Se nessun altro può cambiare la lettiera, indossa dei guanti quando lo fai e lava bene le mani subito dopo,•tieni il tuo gatto sempre in casa per evitare che prenda la toxoplasmosi con gli escrementi,e/o piccoli animali infetti che cerchi di prendere o mangiare,•tieni la sabbiera all’aperto e coperta, per evitare che gatti vagabondi la usino come lettiera,•non dar da mangiare al tuo gatto carne cruda,•tieniti alla larga dai gatti randagi,•non prendere un nuovo gatto se sei incinta,•metti i guanti quando pratichi giardinaggio e lava le mani subito dopo,•usa delle zanzariere per evitare che entrino in casa gli insetti (le feci dei gatti sono il covo preferito di mosche e blatte, e le zanzare potrebbero diffondere le feci, e di conseguenza la toxoplasmosi, sul cibo),•non bere acqua non depurata,soprattutto se stai viaggiando verso paesi sottosviluppati.

DEFINIZIONE DI "INFEZIONE OSPEDALIERA"

Si definiscono infezioni ospedaliere "le infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale, o in

alcuni casi dopo che il paziente è stato dimesso, e che non erano manifeste clinicamente né in

incubazione al momento dell'ammissione". Tutte le infezioni già presenti al momento del ricovero

(con un quadro clinico manifesto o in incubazione) vengono, invece, considerate acquisite in

comunità (infezioni comunitarie), ad eccezione di quelle correlabili ad un precedente ricovero

ospedaliero. I pazienti rappresentano la popolazione a maggior rischio di infezione ospedaliera;

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altre figure possono, però, contrarre, anche se meno frequentemente, una infezione in ospedale:

personale ospedaliero, personale volontario di assistenza, studenti, tirocinanti.

Per le infezioni nei neonati sono stati adottati criteri particolari: vengono, infatti, definite

comunitarie le infezioni acquisite per via transplacentare (es. Herpes simplex, rosolia,

toxoplasmosi, CMV e sifilide) ed insorte entro 48 ore dal parto. Vengono, invece, considerate

ospedaliere le infezioni acquisite durante il passaggio attraverso il canale del parto e le infezioni

che insorgono dopo 48 ore dalla nascita.

EPIDEMIOLOGIA

Aspetti di base

L'insorgenza di una infezione è conseguenza della interazione tra un agente infettivo ed un ospite

suscettibile. Tale interazione può verificarsi anche senza necessariamente dar luogo a malattia:

l'infezione insorge solo se si rompe l'equilibrio esistente per particolari caratteristiche del

microrganismo (patogenicità, virulenza, invasività, dose infettante, variante antigenica, resistenza

al trattamento), per una condizione di maggiore suscettibilità dell'ospite oppure per particolari

modalità di trasmissione che fanno sì che i microrganismi abbiano accesso diretto ad aree del

corpo normalmente sterili.

Si intende per serbatoio di infezione il luogo ove un determinato microrganismo riesce a

sopravvivere e in alcuni casi anche a moltiplicarsi.

Un ruolo centrale nella trasmissione delle infezioni è svolto dalle mani del personale ospedaliero:

moltissimi microrganismi sia gram-positivi (S. aureus, S. epidermidis) che gram-negativi (E. coli,

Serratia, Enterobacter, Acinetobacter spp., Pseudomonas spp) sono in grado di colonizzare

temporaneamente o stabilmente le mani. Anche tutti i liquidi (farmaci, apparecchiature

contenenti liquidi ecc.) rappresentano un buon serbatoio per i microrganismi ed, in particolare,

per le Enterobacteriaceae, che per questo motivo sono molto frequentemente causa di infezioni

ospedaliere. Nel caso di gram-positivi, al contrario dei gram-negativi, il serbatoio e la fonte di

infezione sono in genere rappresentati dall'uomo (soggetti colonizzati o infetti).

L'ambiente ospedaliero (inteso come sistemi idrici, sistemi di ventilazione, superfici ambientali in

prossimità dei pazienti) gioca, al contrario di quanto si credesse alcuni anni fa, un ruolo nella

trasmissione solo di alcune ben determinate infezioni: alcune infezioni di origine comunitaria

(tubercolosi, varicella, morbillo che si trasmettono per via aerea), lo stafilococco aureo e lo

streptococco di gruppo A in sala operatoria, gli Aspergillus spp. (trasmessi per via aerea), la

Legionella (trasmessa attraverso i sistemi idrici e gli impianti di condizionamento dell'aria), il

Clostridium difficile, il virus dell'epatite B e il virus respiratorio sinciziale (per i quali è stata

dimostrata una contaminazione ambientale in caso di epidemia).

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FREQUENZA DI SPECIFICHE LOCALIZZAZIONI DI INFEZIONE

Le infezioni ospedaliere si distribuiscono in quattro principali localizzazioni, che rappresentano

l'80% circa di tutte le infezioni osservate: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l'apparato

respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie). Tra queste le più frequenti sono le

infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere.

L'importanza relativa di ciascuna localizzazione di infezione varia nel tempo, in diversi reparti e in

diversi sottogruppi di pazienti. Per descrivere la frequenza di infezioni nel tempo e per specifici

gruppi di pazienti, si farà riferimento al sistema di sorveglianza statunitense, perché solo in

questo Paese esiste un sistema di sorveglianza delle infezioni in funzione dagli anni '70. Il NNIS (il

sistema di sorveglianza statunitense) ha rilevato negli ultimi quindici anni un cambiamento nella

frequenza relativa delle localizzazioni di infezioni e della loro incidenza: all'inizio degli anni '80, le

infezioni urinarie rappresentavano il 40% delle infezioni ospedaliere rilevate, le infezioni della

ferita chirurgica il 20%, le polmoniti il 16% e le batteriemie il 6%. Nel 1990, la distribuzione di

queste infezioni era, invece, la seguente: infezioni urinarie 35%, infezioni della ferita chirurgica

18%, polmoniti 16%, batteriemie 11%. Le infezioni sistemiche stanno diventando via via più

frequenti, come conseguenza di un graduale aumento dei fattori di rischio responsabili di queste

infezioni, quali le condizioni di rischio intrinseco del paziente, l'uso di antibiotici e di cateterismi

intravascolari.

FREQUENZA DI INFEZIONI OSPEDALIERE PER REPARTO E PER ESPOSIZIONE A PROCEDURE INVASIVE

I reparti nei quali si osserva una frequenza più elevata di infezioni ospedaliere sono quelli che

ricoverano pazienti gravi e nei quali si effettuano interventi assistenziali invasivi: in particolare, i

reparti di terapia intensiva e i reparti chirurgici. Le infezioni segnalate a tale sistema di

sorveglianza rappresentano secondo alcune stime i due terzi di quelle realmente insorte: tali dati,

sono però utili per avere una idea di quali siano i reparti a maggior rischio di infezione

L'esposizione a procedure invasive rappresenta uno dei fattori di rischio più forti per l'insorgenza

di complicanze infettive. Ciò è dovuto a: 1) accesso diretto dei microrganismi ad aree del corpo

normalmente sterili; 2) moltiplicazione dei microrganismi per le condizioni favorevoli che si

determinano (presenza di materiali plastici, di liquidi, creazione di nicchie ove i microrganismi

possono crescere); 3) contaminazione dei presidi stessi durante la produzione o al momento

dell'uso (mani del personale).

MICRORGANISMI RESPONSABILI DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE E ANTIBIOTICO-RESISTENZA

Uno dei fenomeni più preoccupanti dell'epidemiologia delle infezioni ospedaliere a livello mondiale

è rappresentato dall'emergenza e rapida disseminazione di microrganismi con resistenze

antibiotiche. I microrganismi più problematici da questo punto di vista sono gli enterococchi, gli

stafilococchi meticillino-resistenti, i gram-negativi, la Candida e i micobatteri tubercolari

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multiresistenti.

Enterococchi. Gli enterococchi sono noti per la rapida emergenza di resistenze a molti antibiotici,

quali gli aminoglicosidi, le penicilline e, più recentemente, i glicopeptidi.

Stafilococchi meticillino-resistenti (MRSA). Introdotti in una struttura sanitaria da un paziente o un operatore

colonizzati (soprattutto a livello delle narici) o infetti.

Bacilli gram-negativi. - Candida. - Micobatterio tubercolare multiresistente.

EPIDEMOLOGIA E PROFILASSI DELLE INFEZIONI OSPEDALIERELe infezioni ospedaliere sono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria. Si definiscono così infatti le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Sono l’effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall’altra consentono l’ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili. Un altro elemento cruciale da considerare è l’emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico. Negli ultimi anni l’assistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti. Mentre prima gli ospedali erano il luogo in cui si svolgeva la maggior parte degli interventi assistenziali, a partire dagli anni Novanta sono aumentati sia i pazienti ricoverati in ospedale in gravi condizioni (quindi a elevato rischio di infezioni ospedaliere), sia i luoghi di cura extra-ospedalieri (residenze sanitarie assistite per anziani, assistenza domiciliare, assistenza ambulatoriale). Da qui la necessità di ampliare il concetto di infezioni ospedaliere a quello di infezioni correlate all’assistenza sanitaria e sociosanitaria (Ica). Fattori di rischioLe persone a rischio di contrarre un’Ica sono innanzitutto i pazienti e, con minore frequenza, il personale ospedaliero, gli assistenti volontari, studenti e tirocinanti. Tra le condizioni che aumentano la suscettibilità alle infezioni ci sono:

• età (neonati, anziani)• altre infezioni o gravi patologie concomitanti (tumori, immunodeficienza, diabete, anemia,

cardiopatie, insufficienza renale)• malnutrizione• traumi, ustioni• alterazioni dello stato di coscienza• trapianti d’organo.

Modalità di trasmissioneEcco i principali meccanismi di trasmissione delle Ica:

• contatto diretto tra una persona sana e una infetta, soprattutto tramite le mani• contatto tramite le goccioline emesse nell’atto del tossire o starnutire da una persona infetta a una

suscettibile che si trovi a meno di 50 cm di distanza• contatto indiretto attraverso un veicolo contaminato (per esempio endoscopi o strumenti chirurgici)• trasmissione dell’infezione a più persone contemporaneamente, attraverso un veicolo comune

contaminato (cibo, sangue, liquidi di infusione, disinfettanti, ecc)• via aerea, attraverso microrganismi che sopravvivono nell’aria e vengono trasmessi a distanza.

Tipologia delle infezioniCirca l’80% di tutte le infezioni ospedaliere riguarda quattro sedi principali: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l’apparato respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie). Le più frequenti sono le infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere. Tuttavia, negli ultimi

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quindici anni si sta assistendo a un calo di questo tipo di infezioni (insieme a quelle della ferita chirurgica) e a un aumento delle batteriemie e delle polmoniti. L’aumento delle infezioni sistemiche è la conseguenza di un graduale aumento dei fattori di rischio specifici, in particolare l’uso abbondante di antibiotici e di cateterismi vascolari. Per quanto riguarda i microrganismi coinvolti, variano nel tempo. Fino all’inizio degli anni Ottanta, le infezioni ospedaliere erano dovute principalmente a batteri gram-negativi (per esempio, E. coli e Klebsiella pneumoniae). Poi, per effetto della pressione antibiotica e del maggiore utilizzo di presidi sanitari di materiale plastico, sono aumentate le infezioni sostenute da gram-positivi (soprattutto Enterococchi e Stafilococcus epidermidis) e quelle da miceti (soprattutto Candida), mentre sono diminuite quelle sostenute da gram-negativi. La resistenza agli antibioticiTra i batteri gram-positivi, quelli con maggiore resistenza agli antibiotici sono Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (-oxacillina), gli pneumococchi resistenti ai beta-lattamici e multiresistenti, gli enterococchi vancomicina-resistenti. Tra i gram-negativi, le resistenze principali sono le beta-lattamasi a spettro allargato in Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli, Proteus mirabilis, la resistenza ad alto livello alle cefalosporine di terza generazione tra le specie di Enterobacter e Citrobacter freundii, le multiresistenze osservate in Pseudomonas aeruginosa, Acinetobacter eStenotrophomonas maltophilia. Inoltre, a partire dal 1988 sono state segnalate negli Stati Uniti numerose epidemie di tubercolosi multiresistente in ospedale fra pazienti sieropositivi. Negli anni Novanta segnalazioni simili sono state riportate anche in Europa (Italia, Gran Bretagna, Francia, Spagna), tutte accomunate da una letalità elevatissima (72-90%), da un intervallo breve tra esposizione e sviluppo della malattia e tra diagnosi e decesso. La tubercolosi multiresistente rappresenta un rischio consistente per gli operatori sanitari. PrevenzioneNon tutte le infezioni correlate all’assistenza sono prevenibili: è, quindi, opportuno sorvegliare selettivamente quelle che sono attribuibili a problemi nella qualità dell’assistenza. In genere, si possono prevenire le infezioni associate a determinate procedure, attraverso una riduzione delle procedure non necessarie, la scelta di presidi più sicuri, l’adozione di misure di assistenza al paziente che garantiscano condizioni asettiche. Le Ica hanno un costo sia in termini di salute che economici, sia per il paziente che per la struttura. Da qui la necessità di adottare pratiche assistenziali sicure, in grado di prevenire o controllare la trasmissione di infezioni sia in ospedale che in tutte le strutture sanitarie non ospedaliere. Occorre cioè pianificare e attuare programmi di controllo a diversi livelli (nazionale, regionale, locale), per garantire la messa in opera di quelle misure che si sono dimostrate efficaci nel ridurre al minimo il rischio di complicanze infettive.

IGIENE: si occupa dei problemi inerenti la difesa e la promozione della salute individuale e collettiva. Essa

studia i fattori condizionanti lo stato di salute (FATTORI DI RISCHIO e FATTORI PROTETTIVI) e concorre

con altre discipline ad individuare gli strumenti per

Modificare opportunamente l’ambiente

Aumentare le capacità di resistenza dell’organismo all’azione delle cause offensive esterne

Prevenzione PRIMARIA

Informare, formare ed educare

Se necessario: obbligare, proibire

Contrastare l’azione dell’ambiente di vita e di lavoro degli agenti eziologici e dei fattori di rischio

Favorire la realizzazione di favorevoli condizioni ambientali, culturali, sociali ed economiche

Identificare i soggetti con comportamenti a rischio

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Aumentare le resistenze e le difese individuali

Favorire la realizzazione dei “prerequisiti per la salute”

(pace, alloggio, educazione, cibo, reddito, ambiente sicuro di vita, ecosistema stabile, risorse sostenibili, giustizia sociale ed equità)

Prevenzione SECONDARIA

Si attua nel periodo di latenza o di incubazione

È di fondamentale importanza quando:

È fallita o mancata la prevenzione primaria

Non esiste prevenzione primaria efficace e/o attuabile

Programmi di SCREENING per la prevenzione SECONDARIA

Screening = Vaglio, Separazione

Sani Malati asintomatici

Diagnosi

TERAPIA

PREREQUISITI dei programmi di SCREENING

• Rilevanza sociale (diffusione o gravità) della patologia oggetto di screening

• Disponibilità di trattamenti efficaci

• Disponibilità di servizi di 2° livello per approfondimento diagnostico

• Esistenza di uno stadio pre-clinico individuabile

• Disponibilità di un test attuabile e a rischio accettabile

• Accettabilità del test da parte della popolazione

• Definizione di parametri di normalità

• Rapporto favorevole costi-benefici

• Attuazione continuativa del programma

PATOLOGIA CRONICA-DEGENERATIVA

Sani con elementi di avvenuta esposizione

PREVENZIONE

PRIMARIA

PREVENZIONE

SECONDARIA

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Ambientali,comportamentali,multipli,aspecifici, in genere ad azione lenta

Per lo più lunga(anni o decenni)

Spesso subdolo e lento

Cronico

Sfavorevole (in genere)

Allunga il decorso (più malati)

Caratteristiche delle malattie sociali

1) Larga diffusione nella popolazione (ed alta incidenza) e continuità di alta frequenza,2) gravi ripercussioni di ordine economico e sociale determinati da queste popolazioni3) gravità di danni che provocano nel singolo individuo colpito (es meningite)

Tumori: Malattia ad eziologia non certa, di cui si conoscono i Fattori di rischio: agenti fisici, agenti chimici, agenti virali ed ormonaliMalattia reumatica: malattia delle articolazioni rilevante danno economico per il singolo poiché colpisce in età lavorativa.Malattie cardiovascolari: ereditarietà, fattori genetici, sesso, alti tassi di colesterolo e trigliceridi.Fattori di rischio: alterate abitudini alimentari, fumo e riduzione attività fisica

Stati dismetabolici: obesità, alto indice di mortalita e le malattie correlateFattori di rischio: scorretta abitudine alimentare

Tossicosi da stupefacenti: stato di intossicazione periodica e cronica nociva all’individuo e alla società causata da droga naturale o sintetica (OMS) la cui causa è individuata nella costituzione psicologica del tossicodipendente e nell’ambiente in cui vive

Uso e abuso di alcool: forma di bere che nella sua estensione eccede il tradizionale ed abituale uso dietetico o la sua condiscendenza alle abitudini sociali di bere della comunità (OMS)causa malattie collegate e problemi sociali

Tabagismo: responsabile del 30% dei tumori totali e 80% di quelli polmonari. Uso legato al comportamento individuale.Provvedimenti legislativi: divieto di propaganda pubblicitaria, divieto di vendita ai minori di 14 anni, divieto di fumo nei luoghi pubblici

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Le malattie cardiovascolariSono responsabili di un terzo delle morti a livello mondiale e rappresentano la principale causa di morte nei Paesi sviluppati.In Italia nel 1990 le malattie cardiovascolari sono state responsabili di oltre il 43% della mortalità generale. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni, la mortalità è notevolmente diminuitaDal punto di vista epidemiologico, attualmente, rivestono grande importanza:

la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa le malattie circolatorie dell’encefalo (ictus cerebrale).

Nonostante l’andamento in discesa della mortalità quindi, la patologia cardiovascolare è tuttora un rilevante problema sanitario e sociale, sia in termini di spesa sanitaria che in termini di disabilità e bisogno di assistenza.

Cardiopatia ischemica (C.I.)E’ l’insufficienza cardiaca, acuta o cronica, derivante dalla riduzione o arresto dell’apportodi sangue al miocardio, in associazione con processi patologici nel sistema delle arteriecoronariche.La riduzione dell’apporto ematico è, nella maggior parte dei casi, conseguenza delle lesioni aterosclerotiche insorte nel corso degli anni per il depositarsi dei grassi e il restringimento progressivo del lume vasale.La presenza dell’ateroma, la formazione di un trombo a livello della placca ateromasica calcificata o ulcerata, oppure uno spasmo, potrebbero dar luogo all’occlusione repentina del vaso, con stato ischemico e conseguente infarto del miocardio.

Epidemiologia delle C.I.Le manifestazioni cliniche più tipiche delle C.I. sono:

Angina pectoris; Infarto del miocardio; Morte improvvisa (da pochi minuti fino a 24 ore

dall’insorgenza della sintomatologia acuta); Scompenso cardiaco e aritmie non mortali (più

frequenti nelle persone anziane)

Il rischio di C.I. come tutte le malattie cardiovascolari, è basso in età giovanile ma aumenta esponenzialmente dai 45 anni in poi negli uomini e dai 55 anni in poi nelle donne In un’età compresa tra i 35 e i 74 anni il rischio di morte per C.I. è complessivamente maggiore nell’uomo che nella donna. Tale differenza tende però progressivamente a ridursi con l’avanzare dell’età fino ai 75 anni, quando il rischio diviene simile in entrambi i sessi

L’incidenza della C.I. nella popolazione registradifferenze geografiche importanti.

Nei Paesi Sono le classi socioeconomichesviluppati più basse a presentare una più alta prevalenza dei fattori di rischio e quindi una più alta incidenza di malattia e mortalità.

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Nei paesi in L’impatto maggiore è a carico deivia di sviluppo gruppi di popolazione socio economicamente più svantaggiati.

Numerosi studi epidemiologici negli anni hanno portato a delineare l’insieme dei fattori di rischio, capaci di mettere in relazione la prevalenza della C.I. in varie popolazioni e il loroambiente di vita.I fattori di rischio

l’età il sesso la storia familiare positiva per la malattia coronarica la predisposizione genetica l’obesità l’ipertensione l’ipercolesterolemia

Sono distinti in:

• MAGGIORI: ipercolesterolemia (più elevato è il livello di• HDL tanto minore è il rischio di C.I. mentre il contrario• avviene per LDL) e il fumo di sigaretta (in particolare il• monossido di carbonio e nicotina).• MINORI: diabete e la ridotta tolleranza al glucosio,• l’ereditarietà, la scarsa attività fisica e l’obesitàGli stress psico-emotivi sono importanti come fattori scatenanti nei soggetti con lesioni coronariche preesistenti. L’esposizione ai fattori emotivi è difficilmente “quantificabile” per cui sfugge ad un’accurata valutazione epidemiologica.

Prevenzione I principali obiettivi sono:

primaria • riduzione dei livelli medi di colesterolemianegli adulti(200 mg/ml)

• diminuzione di NaCl nella dieta (<5 g/die)

• eliminazione del fumo di sigaretta

• aumento dell’attività fisica

• regime dietetico normocalorico e variato

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Prevenzione Prevenzione delle C.I.

Secondaria Riduzione o rimozione dei fattori di rischio

già presenti, insistendo sulla necessità che i

soggetti a rischio (ultraquarantenni,

ipercolesterolemici, infartuati, ipertesi,

fumatori) modifichino lo stile di vita.

Senza la rimozione dei fattori di rischio,

l’assunzione di farmaci ipocolesterolemizzanti,

potensivi, betabloccanti e calcio-antagonisti, sebbene

efficace, non è in grado di attivare il

programma di prevenzione secondaria.

Ipertensione arteriosa

Gli studi epidemiologici sull’ipertensione presentano notevoli difficoltà perché i valori di pressione arteriosa

non sono costanti ma variano in rapporto a molteplici fattori:

la posizione in corso di determinazione,

l’attività fisica,

le condizioni psicologiche e fisiche,

l’orario della determinazione (bioritmo)

l’atteggiamento di chi effettua il rilevamento

Ipertensione arteriosa In condizioni standard le uniche variabili sono rappresentate dall’età e dal sesso. In

tutte le popolazioni, con l’avanzare dell’età, aumenta la prevalenza dell’ipertensione.

In Italia l’ipertensione è responsabile del 6,3% della mortalità per malattie cardiovascolari.

Prevenzione:

PREVENZIONE PRIMARIA : Si traduce in uno stile di vita teso all’eliminazione dei fattori di rischio;

principalmente nel contenere il consumo di NaCl, nel mantenere il peso forma e nel limitare il consumodi

alcool.

PREVENZIONE SECONDARIA: Si effettua mediante la somministrazione di farmaci ipotensivi

a tutti i soggetti con valori maggiori di quelli soglia. Ciò è realizzabile negli individui con ipertensione grave

(piccola quota di ipertesi) ma l’effetto epidemiologico è minimo. È prioritaria, pertanto, l’identificazione degli

individui asintomatici.

Ictus cerebrale

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È la manifestazione clinica fondamentale della malattia cerebrovascolare e si manifesta con segni clinici, a

rapido sviluppo, di turbe delle funzioni cerebrali di tipo focale o globale, della durata di oltre 24 ore o che

portano a morte.

Si distingue in due tipi:

su base emorragica (15%)

su base ischemica (85%) (tromboembolica)

Le cause delle lesioni vascolari, in rapporto alla sede, sono rappresentate:

dall’emorragia subaracnoidea (deriva da anomalie vascolari

o da aneurismi congeniti),

dall’emorragia cerebrale (consegue a microaneurismi

acquisiti)

dall’infarto cerebrale (la cui causa è una è una

tromboembolia originata da placche ateromatose delle grosse e

medie arterie)

L’ictus rappresenta in Italia, come in gran parte dei paesi industrializzati, la terza causa di morte dopo i tumori

e le cardiopatie ischemiche, rappresentando l’11-13% delle morti totali. Esso è inoltre la più importante causa

di invalidità nelle comunità occidentali.

La mortalità è più elevata nei maschi in tutti i gruppi di età ma l’incidenza dell’ictus aumenta in modo

esponenziale in entrambi i sessi, con l’aumentare dell’età, tanto che 3 episodi di ictus su 4 colpiscono persone

di età maggiore di 65 anni.

I fattori di rischio

L’IPERTENSIONE è ritenuta il principale fattore di rischio dell’ictus cerebrale.

Altri fattori importanti sono:

il fumo di sigaretta;

il diabete;

l’alcool;

l’iperomocistinemia.

PREVENZIONE PRIMARIA: Si realizza con la scelta di uno stile di vita che eviti l’aumento dei

valori pressori mediante un’alimentare equilibrata, povera di

sale e il ricorso all’attività fisica sistematica.

PREVENZIONE SECONDARIA : Consiste nella diagnosi precoce, ovvero con il trattamento dietetico

e farmacologico degli ipertesi.

DIABETE

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E’ una sindrome dismetabolica ad andamento cronico, caratterizzata dall’incapacità dell’organismo

di utilizzare normalmente il glucosio; la concentrazione di questo zucchero nel sangue

pertanto aumenta (iperglicemia) e può comparire anche nelle urine (glicosuria) dove in condizioni

normali è assente.

La diagnosi di diabete e di ridotta tolleranza al glucosio è fondata essenzialmente sulla

rilevazione dei tassi glicemici a digiuno e dopo carico di glucosio.

Si distinguono 4 tipi di diabete mellito:

1) Insulino dipendente (tipo I)- Corrisponde al diabete giovanile, ed è determinato da un danno irreversibile

delle isole del Langherans, con carenza insulinica più o meno improvvisa.

E’ caratterizzato dall’inizio rapido, con insulinemia bassa o assente e tendenza alla cheto-acidosi;

necessita quindi della terapia insulinica

Colpisce soprattutto l’età giovanile, inizia spesso in modo brusco ed ha la sua maggiore incidenza neimesi

invernali.

Secondo l’ipotesi eziologia più attendibile, sarebbero in causa gruppi di virus (in particolare i virus

Coxsackie), la cui azione si esplicherebbe sia direttamente nei confronti delle cellule beta, sia

indirettamente attraverso meccanismi autoimmunitari

2) Non insulino-dipendente (tipo II)- E’ la forma di diabete di gran lunga più frequente e

comprende la quasi totalità dei casi nell’adulto. Colpisce di norma dopo i 40 anni. E’ dovuto ad una anomalia

della secrezione di insulina o della sua azione biologica I più importanti fattori di rischio oggi accertati sono:

• l’obesità,

• la sedentarietà,

• la carenza di fibre vegetali nell’alimentazione,

• il genotipo.

3) Associato ad altra patologia- In queste forme cliniche l’intolleranza al glucosio è sempre secondaria ad

altre cause ben accertate.

4) Diabete gestazionale- Si manifesta nelle donne con insorgenza del diabete o della ridotta tolleranza al

glucosio limitatamente al periodo della gravidanza

La prevenzione

Diabete non insulino-dipendente

La prevenzione della malattia diabetica può essere effettuata efficacemente dal momento che il

fattore ereditario non viene attivato alla nascita, ma solo dopo l’intervento degli altri fattori

di rischio, che abitualmente fanno sentire i loro effetti nell’età adulta.

Diabete insulino-dipendente

La prevenzione è allo stato attuale fuori dalle nostre possibilità.

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TUMORI

Con il termine TUMORE (o CANCRO) sono indicate malattie che, che, pur pur avendo avendo in

in comune comune alcune alcune caratteristiche caratteristiche biologiche, biologiche, che sono

diversissime tra loro per cause determinanti sintomatologia sintomatologia e e per per i i mezzi

mezzi di di diagnosi diagnosi e e di di cura. cura.

Nella maggior parte dei casi si presenta :

*Insorgenza non improvvisa, si presenta in modo subdolo con decorso lento

*Non compare senza cause

*Può guarire e questo avviene tanto più facilmente quando la diagnosi è precoce

*Può portare a volte alla morte.

NEI PAESI SVILUPPATI I La seconda causa di morte dopo

TUMORI RAPPRESENTANO le malattie cardiovascolari; sia

OGGI la mortalità globale per

neoplasie, sia quella specifica

per tipo di tumore, mostrano

una notevole variabilità geografica

TASSI DI MORTALITA' Negli ultimi 50 anni, nelle aree occidentali crescita in aumento

esponenziale con l'età . In 21 anni è aumentata del 40%

VALORI DELLA MORTALITA Più elevata negli uomini esposti a sostanze cancerose sul lavoro

Tumori femminili sono curabili nel 50% dei casi (mammella

Cervice uterina)

I fattori di rischio delle neoplasie maligne

INDIVIDUALI

1. Sesso

2. Razza

3. Ereditarietà

4. Progressi stati morbosi

ESTERNI

A. comportamentali

1. Fumo di tabacco

2. Alcool

3. Regimi dietetici (alimentazione e dieta)

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4. Comportamenti sessuali

B. ambiente di vita

1. Inquinamento atmosferico(radiazioni naturali)

2. Inquinamento delle acque, del suolo, degli alimenti

3. Fattori iatrogeni

C. ambiente di lavoro

1. produzione, manipolazione di sostanze mutagene e/o cancerogene

2. Radiazioni diagnostiche

PREVENZIONE PRIMARIA Si basa sulla rimozione degli agenti cancerogeni fisici,chimici, biologici,

riduzione all'esposizione delle sostanze presenti nell'ambiente

PREVENZIONE SECONDARIA Diagnosi precoce, screening, intervento chirurgico o farmacologico

PREVENZIONE TERZIARIA Terapie farmacologiche per la prevenzione delle recidive(metastasi) e

terapie riabilitative psico- fisiche

BRONCOPNEUMOPATIE CRONICHE OSTRUTTIVE

Le broncopneumopatie croniche ostruttive (B.P.C.O.) comprendono un gruppo di affezioni croniche, di solito

ostruttive, clinicamente anche molto differenti per il diverso grado di associazione dei sintomi della bronchite,

dell’asma e dell’enfisema.

Il decorso cronico è caratterizzato, generalmente,dall’ostruzione delle vie bronchiali e dall’ipersecrezione di

muco

In passato le B.P.C.O. sono state considerate “malattie minori”, almeno rispetto ad altre dell’apparato

respiratorio quali bronchiti e polmoniti. Negli ultimi decenni è stato

registrato, un sensibile incremento di queste affezioni.

Le principali cause di tale incremento sono

L’abitudine al fumo;

L’aumento dell’inquinamento atmosferico urbano;

L’incremento della produzione di sostanze tossiche ed irritanti;

Particolare importanza assume la BRONCHITE CRONICA, è la patologia oggi più diffusa.

I motivi sono:

La sindrome evolve frequentemente verso l’insufficienza respiratoria ed il cuore polmonare cronico;

Provoca danni economici rilevanti per minor rendimento produttivo e maggior onere assistenziale;

Ha la possibilità di interventi di prevenzione primaria e secondaria.Bronchite cronica

I principali sintomi per una corretta diagnosi sono:

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Presenza di tosse e catarro per almeno 3 mesi all’anno o per almeno 2 anni consecutivi;

Assenza di altre particolari malattie suppurative croniche in siti circoscritti dei bronchi (bronchiectasie);

Ostruzione bronchiale che caratterizza, però, altre B.P.C.O

Si distinguono almeno tre forme di bronchite cronica:

Bronchite cronica semplice → Caratterizzata da

periodico e cronico

aumento delle secrezioni e

produzione di espettorato

Bronchite cronica

mucopurulenta → Caratterizzata da escreato

mucopurulento, senza una

particolare alterazione

broncopolmonare

Bronchite cronica ostruttiva → Diffuso restringimento delle

vie aeree intrapolmonari

I principali fattori di rischio evidenziati dagli studiepidemiologici sono:

• Il fumo di tabacco

• L’inquinamento atmosferico

• I fattori occupazionali

• Le condizioni socio-economiche

• L’età infantile

La bronchite cronica è più frequente nei fumatori

Nei lavoratori esposti all’inalazioni di polveri (minatori e operai di fonderie) viene osservata una maggiore

frequenza di bronchiti.

E’ ipotizzata una esposizione a fattori nocivi (in ambiente domestico, maggiore consumo di sigarette) tra gli

appartenenti a classi sociali più basse.

L’ esposizione a fattori di rischio in età infantile (fumo passivo) sembra predisporre ad una frequenza

maggiore di bronchite cronica ostruttiva.

Prevenzione

Prevenzione primaria Rimozione dei fattori casuali di

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rischio come l’abolizione

dell’abitudine al fumo, riduzione

dell’inquinamento atmosfericio e la

protezione dei bambini al fumo

passivo

Prevenzione secondaria Diagnosi precoce e terapia delle

alterazioni funzionali

eventualmente già insorte. Utile è

ricorrere alla vaccinazione da

effettuare, ad ogni inizio di

stagione, alle categorie a rischio.

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IMPATTO AMBIENTALE DEGLI INQUINANTI

Inquinamento

dell'aria

Si considera inquinata un'aria che abbia una composizione chimica diversa da quella media determinata su campioni prelevati in zone lontane da ogni fonte di inquinamento (v. tab. I). I principali agenti inquinanti presenti nell'aria sono le polveri (o materiali particellati) e alcuni gas quali il diossido di zolfo, il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto e alcuni idrocarburi. Le polveri di origine artificiale (da combustioni, da lavorazioni meccaniche nell'industria e nell'agricoltura, ecc.) si aggiungono a quelle già presenti naturalmente (ceneri prodotte da eruzioni di vulcani o da incendi di foreste, spruzzi vaporizzati di acqua marina, ecc.). Le particelle con diametro minore sono trattenute in aria per molto tempo e in parte trascinate da correnti ascensionali fino alla stratosfera. Tra queste polveri ve ne sono anche di quelle contenenti nuclidi radioattivi prodotti nelle esplosioni nucleari eseguite nell'atmosfera.L'atmosfera è depurata dalle particelle in sospensione per sedimentazione, nel caso delle più grosse, per azione della pioggia, nel caso di quelle minori; le particelle, infatti, funzionano, ad alta quota, come centri di cristallizzazione per il vapor acqueo e sono poi trascinate giù dalla pioggia. A bassa quota le polveri sottili in sospensione nell'aria, come i fumi (smoke), funzionando da centri di condensazione, danno luogo a goccioline d'acqua in sospensione formanti nebbia (fog); ne risultano delle nebbie scure e contaminanti indicate con il termine smog (formato per fusione delle due predette parole).Sia queste nebbie sia quelle comuni divengono più nocive quando disciolgono gas inquinanti, perché ne aumentano la concentrazione e la tossicità; il caso più frequente si ha con il diossido di zolfo, che inoltre, in tali condizioni, si ossida facilmente a triossido di zolfo (anidride solforica), formando quindi acido solforico, sostanza particolarmente corrosiva. Viceversa, anche brezze locali deboli consentono efficaci diluizioni delle sostanze inquinanti. Pertanto, per prevedere l'inquinamento che risulterà dall'immissione nell'aria di una data quantità di gas o di fumo, occorre conoscere i dati meteorologici locali. Essi si debbono però determinare a bassa quota e considerando anche l'influenza di ostacoli ai moti dell'aria; tale micrometeorologia si differenzia dalla meteorologia comune che, per la previsione del tempo, si interessa di venti in quota e del moto di grandi masse d'aria.

Un primo problema nell'esame dell'inquinamento dell'aria è l'individuazione delle principali fonti di inquinamento e di quelle sostanze che possono essere prese come indici per la loro valutazione.Attualmente si considerano tre tipi di fonti: gli impianti per il riscaldamento domestico e le centrali termiche, gli autoveicoli con motore a scoppio e Diesel e le industrie.Per gli impianti termici generalmente si considerano come indici le concentrazioni del diossido di zolfo, delle ceneri e della fuliggine (polveri); per gli autoveicoli quelle del monossido di carbonio e degli idrocarburi incombusti; per le industrie, pur essendo gli agenti inquinanti i più vari, poiché tra questi il diossido di zolfo e le polveri sono quantitativamente prevalenti, le loro concentrazioni possono essere usate come indici nel caso di grandi zone industriali

l grande apporto che gli impianti per il riscaldamento domestico recano all'inquinamento urbano è dimostrato dalle maggiori concentrazioni di fuliggini e soprattutto di diossido di zolfo che si riscontrano nell'aria urbana nei mesi in cui si effettua il riscaldamento.L'inquinamento dovuto agli autoveicoli nelle città è notevole e particolarmente dannoso alla popolazione, perché esso è prodotto nelle vie a livello del suolo, dove il ricambio dell'aria è generalmente lento, e soprattutto perché, per i frequenti e improvvisi ingorghi del traffico, si possono raggiungere forti concentrazioni locali di monossido di carbonio e di prodotti vari derivati dall'incompleta combustione del carburante.Quanto infine agli inquinamenti di origine industriale, essi sono costituiti da un gruppo assai eterogeneo di sostanze che devono essere trattate caso per caso ai fini del controllo e dell'abbattimento, ma che debbono essere esaminate assieme quando si affronta il problema dell'ubicazione delle nuove zone industriali o residenziali.Valutazione delle conseguenze dell'inquinamento atmosfericoDanni alla salute. - In passato furono gli effetti tossici acuti sull'uomo che richiamarono l'attenzione delle autorità e dell'opinione pubblica sui problemi dell'inquinamento atmosferico; attualmente, invece, i lontani episodi della valle della Mosa (1-5 dicembre del 1930, con 20 morti), di Donora (Pennsylvania, 26-30 ottobre del 1948, con 20 morti), ecc. rappresentano dei casi limite che ormai potrebbero difficilmente ripetersi, essendo le zone industrializzate sotto

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controllo, almeno preventivo, specie quelle in località meteorologicamente sfavorite. Ripetibili, sia pure in scala ridotta, sono invece quei periodi di inquinamento con effetti subacuti, come quello di Londra del 1952, in cui i disturbi, pur essendo meno vistosi, furono considerati la causa di un eccesso di mortalità di circa 3.500 persone, prevalentemente malati cronici alle vie respiratorie o di cuore.Attualmente sono i portatori di malattie come la bronchite cronica, l'enfisema e altre affezioni delle vie respiratorie che subiscono il danno maggiore dell'inquinamento atmosferico urbano, specie se congiunto a condizioni meteorologiche sfavorevoli. È ancora difficile dimostrare la correlazione tra inquinamenti e malattie del tipo suddetto in quelle città dove le condizioni di inquinamento sono meno gravi, soprattutto perché prevalgono in molti individui i danni similari conseguenti al fumo del tabacco; è stato dimostrato che vi è sinergismo tra le cause, cioè l'effetto complessivo è maggiore della somma delle due. Più semplici, e quindi più numerose, sono le indagini sperimentali su animali, per studiare le concentrazioni massime consentibili e anche per comprendere il meccanismo d'azione biochimico dei vari inquinanti.Danni ai materiali. - Occorre distinguere tra danni specifici prodotti da una sostanza che inquina l'aria nelle vicinanze di un dato tipo di industria e danni generici causati in vaste zone dall'inquinamento complessivo prodotto da centri industriali e urbani. Nel primo caso il problema è di solito più facilmente risolvibile con la prevenzione dell'inquinamento, in quanto questo ha dimensioni limitate, e comunque anche i danni sono piccoli nel complesso dell'economia. Nel secondo caso, invece, che è quello generale, i danni sono assai più vasti e la loro riduzione è necessariamente lenta; infatti, si tratta in prevalenza dell'azione del diossido di zolfo, di polvere e di fuliggine, inquinanti che, come già detto, non possono ancora essere completamente abbattuti in tutte le loro fonti.Tali danni si manifestano come corrosione di molti materiali, specialmente metallici; l'azione corrosiva del diossido di zolfo e dell'acido solforico che da esso deriva è maggiore in presenza di materiale particellato che accelera questa trasformazione. Ma anche la polvere e la fuliggine, da sole, insudiciando i materiali, portano a un loro deprezzamento e rendono necessarie ripuliture più frequenti che spesso ne accelerano l'usura, come nel caso dei tessuti.

e) Risultati acquisiti e previsioni nella lotta contro l'inquinamento atmosferico Per valutare l'incidenza dei risultati acquisiti e fare qualche previsione per il futuro, occorre esaminare la situazione di paesi nei quali l'intervento attivo nella lotta contro l'inquinamento atmosferico è operante da oltre un decennio, come è il caso della Gran Bretagna. Qui infatti il primo Clean air act divenne legge nel 1956 e inoltre vi sono ampi dati sulle emissioni e sufficienti misure dell'inquinamento, fin da prima dell'applicazione di tale legge. Dal raffronto risulta, dopo la predetta data, una costante diminuzione dell'inquinamento da fumi e da diossido di zolfo nonostante che la popolazione sia aumentata nel frattempo del 10% e la produzione di energia abbia avuto un incremento annuo del 17%; a tali miglioramenti medi contribuiscono successi locali maggiori o minori, su cui influiscono molte cause. La conclusione fondamentale è che l'aumento dei consumi è ancora compatibile con una riduzione dell'inquinamento atmosferico, purché vengano presi efficaci provvedimenti amministrativi e tecnici. Come già vi sono state le trasformazioni profonde di alcune attività, quale il passaggio, nelle ferrovie, dalla trazione a vapore a quelle Diesel ed elettrica, anche per il futuro sono prevedibili cambiamenti profondi, come il prevalere, nella costruzione delle nuove centrali termoelettriche, del tipo a energia nucleare su quello a combustibile convenzionale. Quest'ultima sostituzione consentirà anche di contenere l'aumento annuale dell'emissione di diossido di carbonio che, essendo solo lentamente assorbito dagli oceani o fissato nel suolo come carbonato e non potendo essere assorbito dalle piante verdi, attraverso la fotosintesi clorofilliana, in misura maggiore dell'attuale, va annualmente aumentando di concentrazione nell'atmosfera (dal 1945 al 1970 di circa il 5%, raggiungendo le 320 ppm). Anche se ciò non si ritiene possa per ora provocare danni, un ulteriore aumento porterebbe a un corrispondente innalzamento della temperatura media terrestre. Tale effetto globale sembra tuttavia destinato a essere più che neutralizzato da un effetto inverso prodotto dall'aumento del contenuto in polveri dell'atmosfera, che, diminuendo la trasparenza di questa, riduce l'irradiazione solare della Terra.

4.Inquinamento del suolo da rifiuti solidi

In passato i rifiuti solidi connessi con i consumi urbani erano in prevalenza biodegradabili e il loro utilizzo come fertilizzanti era facilitato dalla vicinanza dei terreni agricoli. Attualmente invece, con l'aumento dell'uso di prodotti industriali (carta, plastica, vetro, ecc.), la composizione chimica dei rifiuti è assai variata ed essi non sono più utilizzabili come concimi senza una cernita. In generale, però, si trova ora più conveniente bruciarli in impianti inceneritori, che si autoalimentano come sorgente di calore e che anzi in alcuni modelli forniscono energia termica da

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utilizzare. Essi sono forniti di adeguati sistemi di depurazione dei fumi, in modo da non provocare inquinamenti atmosferici; un particolare problema è rappresentato dalla combustione del cloruro di polivinile (tipo di plastica ora molto diffuso), che bruciando dà luogo ad acido cloridrico gassoso.Una soluzione intermedia che forma oggetto di studio è il cosiddetto compostaggio, costituito da parziale degradazione, per combustione, dei residui solidi e loro utilizzazione come fertilizzante in agricoltura.

5.Altri inquinamenti

a) Inquinamento termico delle acque Un aspetto particolare della contaminazione ambientale è l'inquinamento termico, causato dall'impiego dell'acqua dei fiumi e dei laghi per il raffreddamento di condensatori in centrali termiche e nucleari. In queste condizioni, infatti, si provoca un innalzamento, sia pure lieve, della temperatura del fiume o del lago.Tale variazione di temperatura può indurre, in un corso d'acqua, un'alterazione degli equilibri ecologici, di cui non è spesso possibile valutare a priori le conseguenze; queste sono ancora più gravi nei laghi, dove il prendere l'acqua più fredda negli strati più bassi, restituendola quindi alla superficie del lago a una temperatura più alta, può provocare un aumento della velocità di ricambio degli strati inferiori dell'acqua, che, insieme alla contaminazione termica, può causare un profondo rivolgimento degli equilibri limniciParticolari sistemi di osservazione e di rilevamento a raggi infrarossi consentono di stabilire con esattezza, anche operando a bordo di un aereo, i limiti e l'intensità dell'inquinamento termico.Attualmente la necessità di limitare la contaminazione termica delle acque sta creando ulteriori difficoltà alla pianificazione degli insediamenti di centrali elettriche, sia termiche sia nucleari, specie in zone altamente popolate e industrializzate, come per esempio nel bacino del Reno.b) Inquinamento sonoro dell'ambiente

La produzione catena alimentare - come il cibo viene contaminato

Produzione

Produzione significa crescere le piante che raccolgono o alzando gli animali che usiamo per il cibo. Maggior parte degli alimenti proviene da animali domestici e piante, e la loro produzione avviene in aziende agricole o ranch. Alcuni alimenti vengono catturati o raccolti in natura, come alcuni pesci, funghi e selvaggina.Molti inquinanti si accumulano lungo la catena alimentare

Esempi di contaminazione in produzione

•Se gli organi riproduttivi di gallina sono infetti, il tuorlo di un uovo possono essere contaminati nella gallina prima ancora di averla prevista.•Se i campi vengono irrorati con acqua contaminata per l'irrigazione, frutta e verdura possono essere contaminati prima del raccolto.•Fish in alcune barriere tropicali può acquisire una tossina da parte delle creature marine più piccole che mangiano.

Elaborazione

Elaborazione significa cambiare piante o animali in ciò che noi riconosciamo e acquistare il cibo.Trattamento comporta fasi diverse per diversi tipi di alimenti. Per la produzione, il trattamento può essere semplice come pulizia e la cernita, o può coinvolgere rifilatura, affettatura, o triturazione e insaccamento. Il latte viene di solito trattati con pastorizzazione che, a volte viene trasformato in formaggio. Frutta a guscio può essere arrostito, tagliato, o terra (ad esempio con burro di arachidi). Per gli animali, il primo passo del trattamento è la macellazione. Carne e pollame possono poi essere tagliato in pezzi o di terra. Essi possono inoltre essere affumicati, cotti o congelati e possono essere combinati con altri ingredienti per fare una salsiccia o antipasto, come un potpie.

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Esempi di contaminazione in Trattamento

•Se l'acqua contaminata o ghiaccio è usato per lavare, preparare, o frutta o verdura freddo, la contaminazione può diffondersi a tali elementi.•Burro di arachidi può essere contaminata se arachidi tostate sono conservati in condizioni immonde o di entrare in contatto con le arachidi contaminate prime.•Durante il processo di macellazione, gli agenti patogeni sulla pelle di un animale che provenivano dall 'intestino può entrare nel prodotto finale carne.

Distribuzione

Distribuzione di cibo significa ottenere dalla pianta agricola o di trasformazione al consumatore o di un centro di assistenza alimentare come un ristorante, una caffetteria, o cucina dell'ospedale.Questo passaggio potrebbe comportare il trasporto di alimenti solo una volta, come il trasporto su gomma di prodotti dall'allevamento al mercato degli agricoltori locali. Oppure potrebbe coinvolgere molte fasi. Per esempio, tortini hamburger surgelati possono essere trasportati da un impianto di trasformazione di carne a un fornitore di grandi dimensioni, conservato per alcuni giorni nel magazzino del fornitore, ancora una volta trasportati ad un impianto di distribuzione locale per una catena di ristoranti, e, infine, consegnato a un ristorante individuale.

Esempi di contaminazione di distribuzione•Se il cibo refrigerato viene lasciato su una piattaforma di carico per lungo tempo nella stagione calda, che può raggiungere temperature che permettono ai batteri di crescere.•Prodotti freschi può essere contaminato se viene caricato in un camion che non è stato pulito dopo il trasporto di animali o prodotti animali.•Il contenuto di un barattolo di vetro che si rompe nel settore dei trasporti possono contaminare gli alimenti vicini.

ECCO IL CASO DEL DDT

Pur non essendo più utilizzato in Europa dagli anni ’70, il DDT si ritrova ancor oggi nel

latte materno o nel grasso degli orsi del Polo Nord

Diossine, Furani, PCB, sono pericolosi perchè:Si concentrano lungo la catena alimentare

-Bio accumulabilità

Interferenti endocrini

• Gli studi tossicologici indicano che l'esposizione a livelli bassi di diossine durante i periodi cruciali dello sviluppo può indurre danni permanenti alla salute. Finora tuttavia, erano noti solo i meccanismi d'azione anti estrogenica delle diossine, che determinano gli effetti - osservati sperimentalmente e sospettati clinicamente sul ciclo riproduttivo femminile (in particolare,disturbi dell'ovulazione e infertilità).

• Restavano però inspiegati, a livello molecolare, gli effetti a carico dell'apparato riproduttivo maschile, come il calo della fertilità, o le malformazioni. Soprattutto, restava da chiarire l'origine delle manifestazioni più fortemente associate all'esposizione a diossine, come i disturbi della funzione immunitaria, alcuni tumori.

Per tutelare la salute pubblica è più importante controllare la quantità di diossine emesse giornalmente da un

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impianto e non la concentrazione nei sui fumi la quantità di diossine emesse

dipende dalla Quantità di rifiuti inceneriti

Altri interferenti endocrini : PCB, BPA (bisfenolo A)ALT

ALTRI INQUINANTI: Metalli pesanti (mercurio e metilmercurio, cromo, ecc)

Radionuclidi (centrali nucleari)

Ambiente e salute

Fonti di inquinamento atmosferico Lavorazioni industriali Impianti termici Traffico veicolare

Contaminanti atmosferici Ossidi di zolfo (SO2 SO3) Prodotto legato alla presenza di zolfo nei combustibili Azione irritante sulle mucose Ossidi di azoto (NO, NO2) Traffico veicolare Azione irritante sulle mucose

Contaminanti atmosferici Monossido di carbonio (CO) Prodotto della incompleta combustione Intossicazione acuta (coma, morte) Intossicazione cronica (cefalea, astenia,vertigini) Ozono (O) Prodotto della ossidazione fotochimica Azione irritante sulle mucose Polveri

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Importanti quelle comprese fra 0,5 e 4 µ Asbesto (mesotelioma)

Inquinamento atmosferico e salute umana Asma Broncopatia cronica ostruttiva Malattie cardiovascolari Cancro al polmone

3 milioni di persone ogni anno muoiono per patologie correlate all’inquinamento atmosferico Il 30%-40% dei casi di asma ed il 20%- 30% dei casi di patologie respiratorie sono legate all’inquinamento Un aumento di 75 µg/m3 di NO2 determina un incremento del 30% di morti per malattie respiratorie in bambini <5

anni

Rifiuti liquidi (liquami) FognatureAcque nere Fognatura dinamica

Acque bianche Sistema unitario (insieme acque nere e Acque di scarico industriale bianche)

Separato (per acque nere e bianche) Misto (scaricatori di piena) Fognatura statica (pozzo nero)

Smaltimento dei liquami Disinfezione dei fanghi (cloro o calore) Trattamenti primari Essiccamento dei fanghi Allontanamento materiali grossolani letti di essiccamento con sabbia e ghiaia

(griglie o trituratori) Smaltimento dei fanghi Separazione della sabbia (vasche, 30 cm/sec) Riutilizzo in agricoltura Separazione dei grassi Smaltimento in discarica Sedimentazione primaria Incenerimento Trattamenti secondari Problemi legati agli effluenti degli Letti percolatori (vasche con fondo poroso) impianti di trattamento dei liquami Sistemi a fanghi attivi Eutrofizzazione (composti azotati

Trattamento dei fanghi e fosforati) Digestione dei fanghi (trattamento Carica microbica residua (clorazione)

biologico)

Approvvigionamento idrico Le acque potabili Requisiti di potabilità Sistemi di potabilizzazione

Fonti di approvvigionamento idrico Acque meteoriche

pure all’origine, possono contaminarsi durante la raccolta pH acido (CO2)

Acque superficiali (laghi, fiumi, bacini) Suscettibili di facile contaminazione Composizione chimica estremamente variabileFonti di approvvigionamento idrico (2) Acque telluriche di falde superficiali (freatiche): più facilmente contaminate di falde profonde: più difficilmente contaminate, generalmente più dure di vene rocciose: filtrazione limitata, caratteristiche chimiche variabili

Acque marine (e salmastre) raramente utilizzate per l’elevato costo della dissalazioneRequisiti di potabilità (1)

Caratteri organolettici

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colore odore sapore torbidità

Caratteri fisici temperatura conducibilità elettrica pHRequisiti di potabilità (2)

Caratteri chimici Valutazione del grado di mineralizzazione

Alcalinità totale Residuo fisso (<1500 mg/l a 180°) Durezza temporanea (bicarbonati di Ca e Mg) e permanente (cloruri, nitrati, solfati, ecc. di Ca e Mg) Solfati, Cloruri, Na e K, Fe

Indici di inquinamento organico COD (Chemical Oxygen Demand, sostanze organiche ossidabili) Prodotti della degradazione di sostanze organiche: ammoniaca, nitriti, nitrati, fosfati, H2 S, detergenti

Parametri chimici tossici piombo, mercurio, arsenico, pesticidi, IPARequisiti di potabilità (3)

Caratteri batteriologici Carica batterica totale (a 36 °C e 22 °C, rispettivamente <10 e <100 colonie per ml di acqua)

Indicatori di contaminazione fecale Coliformi totali e fecali Streptococchi fecali (inquinamento recente) Clostridi solfito-riduttori (inquinamento remoto)

Sistemi di potabilizzazione Correzione dei caratteri fisico-organolettici Correzione dei caratteri chimici (durezza) Correzione dei caratteri batteriologici Filtrazione, UV, (calore) Ozono, cloro

Clorazione Clorazione semplice

clororichiesta: quantità minima di cloro richiesta dall’acqua per realizzare l’azione microbicida e la formazione di clororesiduo attivo

si misura aggiungendo a campioni di acqua di egual volume dosi scalari di cloro (0,2 - 0,4 -0,6 - 0,8 - 1,0 mg/l) e valutando il clororesiduo attivo con la colorazione all’ortotolidina

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Microclima e inquinamento “indoor”Il microclima è l’insieme dei fattori (temperatura, umidità, velocità dell’aria, calore radiante) che regolano le condizioni climatiche di un ambiente chiuso o semi-chiuso come ad esempio un ambiente di lavoro.Considerando che la maggior parte della popolazione urbana trascorre il 75-80 % del tempo all’interno di edifici chiusi, è facilmente intuibile quale importanza rivesta la qualità del microclima per il benessere dell’uomo.Il corpo umano, per le sue caratteristiche termiche, può essere paragonato ad una macchina termica alimentata da combustibili sotto forma di alimenti che vengono trasformati parte in lavoro (10-20%) e in massima parte in calorie (80-90%). Essendo, poi,costretto a mantenere costante la sua temperatura interna, cioè quella degli organi piùimportanti (sistema nervoso centrale, cuore, polmoni, ecc.), deve essere in grado di dissipare nell’ambiente il calore metabolico che viene prodotto in eccesso, specie quando si incrementa il lavoro meccanico muscolare o si riduce la cessione di calore se in ambienti caldo umidi.La quantità di calore prodotto da un individuo a completo riposo è di circa 1,2Kcal/min, corrispondente a circa 70 Kcal/ora ed a 1700 Kcal/giorno (metabolismo dibase), corrispondente cioè al consumo energetico di base per la normale attività degliorgani viscerali (60%) e dei muscoli (20%).Nel corso di qualsiasi attività fisica si ha un aumento delle produzione di calore proporzionale al tipo di attività svolta, si parla così di lavoro moderato quando èrichiesto un dispendio energetico non superiore a 2,5 Kcal/min, lavoro medio compreso tra 2,5 Kcal/min e 5 Kcal/m, lavoro pesante se superiore a 5 Kcal/min.

La termodispersione

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L’eccessivo calore prodotto viene smaltito quasi esclusivamente per via cutaneaattraverso vari meccanismi fisiologici:Conduzione-Convenzione• Il corpo cede calore a tutto ciò cui è strettamente a contatto: vestiti, aria che ci circonda; quest’ultima a sua volta riscaldandosi va verso l’alto richiamando altra aria più fresca che a sua volta viene riscaldata e così via. È evidente che se la temperatura dell’aria è elevata questo meccanismo si annulla, potendo così diventare negativo e indurre un riscaldamento nella cute (superando i 30-32 °C di T ambientale). Con questo meccanismo il corpo cede dal 25 al 30% del calore.Irraggiamento• Il corpo umano è in grado di emanare calore mediante onde elettromagnetiche trasferendo così energia termica verso corpi più freddi (pareti, mobili, etc). Con questo meccanismo si riesce ad eliminare il 45-50% di tutto il calore prodotto. Anche questo meccanismo risente però dello stato termico degli oggetti circostanti: in presenza di fortifonti di calore (caldaie, forni di fonderie, etc), l’irraggiamento può diventare negativo, cioè il corpo può surriscaldarsi per l’elevato calore proveniente da queste fonti.Evaporazione• Consiste nel passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello gassoso (1 gr. d’acqua evaporato a 30 °C sottrae al corpo 0,58 Kcal.)L’evaporazione interviene quando la temperatura ambiente raggiunge i 35 °C, quando cioè viene a cessare la termodispersione con le modalità della conduzione-convezione e dell’irragiamento.È un meccanismo che avviene attraverso queste tre modalità fisiologiche: l’espirazione, la perspiratio insensibilis (in riposo ed a temperatura bassa), la sudorazione (nel lavoro muscolare e a temperatura elevata).- Espirazione: si verifica durante la normale respirazione quando l’aria inspirata è di temperatura inferiore a quella corporea, mentre l’aria espirata abbandona i polmoni con una temperatura di 33-34 °C ed una saturazione in vapore d’acqua al 100%.- Perspiratio Insensibilis: consiste nella evaporazione costante ed autonoma dalla pelle e dalle mucose che si svolge indipendentemente dalla funzione delle ghiandole sudoripare. Questo meccanismo comporta una scarsa ma persistente evaporazione dalla superficie cutanea: essa fa perdere in media nel corso di un’ora 25 gr di acqua, con una sottrazione di 14,5 Kcal/ora.- Sudorazione: con la sudorazione invece si può avere facilmente la perdita di 1 litrodi sudore per ora. Essa entra in gioco nel momento in cui la produzione calorica (lavoro fisico in ambiente caldo), supera la perdita delle precedenti modalità di termodispersione.Quanto più l’aria ambiente è satura di umidità tanto minore è l’evaporazione; tanto piùelevata è la velocità dell’aria tanto più essa è favorita.L’evaporazione interviene nella misura del 20-30% della quota globale di calore chel’organismo può disperdeLa situazione termica di un organismo può quindi essere rappresentata mediante lasua equazione di bilancio termico (BT) che, nella sua forma semplificata, viene espressa nel seguente modo:BT=M ± C ± R – E (*)(*) dove:M= calore metabolico prodotto dall’organismo. Può essere distinto nelle due componenti: metabolismo basale e dispendio energetico associato alla specifica attività lavorativa.C= quantità di calore scambiata per CONVEZIONE-CONDUZIONER= quantità di calore scambiata per IRRAGGIAMENTO.E= quantità di calore dissipata attraverso l’EVAPORAZIONE del sudore.Il calore metabolico M è sempre e soltanto positivo, quello di evaporazione è sempre negativo, mentre il calore di convezione C e quello di irraggiamento R possonoessere alternativamente di segno + o – a seconda che gli scambi termici siano rispettivamente diretti dall’ambiente all’uomo o viceversa. Trascurabile la quantità di calorescambiate per conduzione.Quando il bilancio termico è uguale a zero (BT=0) si ha la condizione ideale di omeotermia, cioè la stabilità dell’equilibrio termico.Se il bilancio termico supera lo zero (BT>0) la temperatura corporea aumenta; se il bilancio termico è inferiore a zero

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(BT<0) la temperatura corporea tende a diminuire.Per cercare di mantenersi vicino alla neutralità termica, l’organismo attua dei meccanismi di compenso, sotto il diretto controllo di zone ipotalamiche, che permettono di aumentare la quota di calore che viene ceduta (vasodilatazione cutanea, riduzione del vestiario, riduzione dell’attività fisica, etc.) o di ridurla(vasocostrizione cutanea, aumento del vestiario, aumento dell’attività fisica).Perdurando condizioni climatiche incongrue l’ipotalamo stimola il sistema endocrinoverso una maggiore o minore increzione di ormoni (specialmente tiroidei) che provvedono a modificare i processi metabolici.Quando l’equilibrio termico viene mantenuto con un minimo sforzo da parte dei sistemi di termoregolazione, le corrispondenti condizioni microclimatiche possono essere definite di benessere termico e l’individuo non avverte né freddo né caldo, ma esprime soddisfazione per la propria situazione termicaCon il termine di disconfort termico o disagio si intendono quelle condizionimicroclimatiche che danno luogo alla sensazione di caldo o di freddo (che già richiedono un impegno dei meccanismi di termoregolazione).Si parla di stress termico o scompenso quando l’organismo non riesce più amantenere costante la T interna potendo sfociare verso uno stato di vera e propriamalattia (colpo di calore, esaurimento, congelamento, assideramento).Un ambiente di lavoro confortevole deve avere una temperatura tale da consentireai lavoratori di compiere la propria attività senza alcun pericolo per la propria salute.Abbiamo anche altri fattori che possono condizionare il benessere termico dell’individuo come per esempio: il vestiario indossato, il tipo di attività svolta nel lavoro, lapercezione soggettiva del caldo o del freddo.Il corpo umano ha una temperatura interna costante di circa 37 gradi °C, condizione necessaria a garantire il regolare svolgimento di tutti i processi biochimici all’internodell’organismo e quindi la vita stessa.Variazioni della temperatura oltre i normali limitideterminano sofferenze delle principali funzioni fisiologiche con ripercussioni più omeno gravi sulle capacità lavorative e, in condizioni estreme, manifestazioni patologiche.Non esistono al momento attuale delle norme precise che prevedano dei valoristandard delle variabili microclimatiche salvo che per alcune lavorazioni particolari;viene sempre prospettata la necessità generica di assicurare ai lavoratori un certobenessere termico anche in funzione del lavoro svolto.Dal punto di vista igienistico vengono considerate delle fasce di benessere termiconell’ambito delle quali l’organismo ha minori necessità di correzioni, differenti a seconda delle stagioni:20-25 °C per la T dell’aria;50-60 % per l’umidità relativa;0,05-0,2 m/s per la ventilazione.In generale si considerano adeguati per l’uomo valori di temperatura in inverno intorno ai 20 C° ed in estate dagli 8 ai 3 C° in meno della temperatura esterna, in funzionedi un tempo di permanenza nel locale più o meno lungo; per quanto riguarda l’umiditàrelativa si cerca di mantenerla tra il 40-60% al fine di evitare l’essiccamento delle vierespiratorie o la condensa sulle superfici fredde (finestre) dei locali.Negli ambienti dove il riscaldamento è fornito da radiatori o apparecchi simili siverifica una progressiva diminuzione dell’umidità relativa; è pertanto importante provvedere all’installazione di umidificatori idonei che riequilibrino il contenuto dell’umidità dell’aria (ad esempio le vaschette colme d’acqua poste sui radiatori, la presenza dellepiante, i vaporizzatori ad elettricità).Nei luoghi di lavoro chiusi è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente. L’aria dei locali chiusi di lavoro deve essere, perciò, convenientemente e frequentemente rinnovata.microclima e inquinamento «indoor»22Sicurezza e Salute nell’AteneoSe viene utilizzato un impianto di aereazione, esso deve essere mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve

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essere segnalato.Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell’aria o di ventilazione meccanica,essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d’ariafastidiose e/o dirette.Gli impianti di condizionamento devono garantire:• un effettivo ricambio di aria in termini di volume;• l’immisione di aria pura nell’ambiente di lavoro;• una disposizione delle bocche di immissione dell’aria esterna e di quelle diripresa, tale da evitare qualsiasi contaminazione.Per quanto riguarda un effettivo ricambio di aria nei posti di lavoro è necessariodisporre di molte bocche di immissione ad esempio mediante controsoffittature forate. Le bocchette di ripresa devono essere dotate di un sistema aspirante e disposte inmodo tale da garantire un effettivo ricambio dell’aria ambientale (per es. in basso inprossimità del pavimento). Infine, le prese d’aria esterne devono essere localizzate lontano da possibili fonti di inquinamento (per es. lontano dalla superficie stradale) e dotate di un sistema filtrante.La manutenzione sugli impianti deve essere tale da poterne garantire la conservazione di questi nelle migliori condizioni di pulizia ed efficienza. In ambienti tipo ufficioi filtri vanno puliti ogni sei mesi.Misura delle caratteristiche fisiche del microclimaÈ abbastanza facile al giorno d’oggi poter misurare le variabili del microclima sia singolarmente che in modo integrato.La temperatura si misura mediante comuni termometri ad alcool o a mercurio.La ventilazione mediante anemometri a filo caldo.Per l’umidità è comune l’uso di igrometri o di un sistema a doppio termometro, il bulbodi uno tenuto umido.Per il calore radiante viene utilizzato il globo termometro (è costituito da un termometro a mercurio che è incorporato in una sfera di rame annerita).Sistemi elettronici più moderni e completi (centraline microclimatiche) consentono ilrilievo contemporaneo dei vari parametri e l’integrazione dei vari valori anche nel tempo.In molti articoli di varie leggi e decreti sono comunque date delle indicazioni generiche circa le caratteristiche del microclima negli ambienti di lavoro

Art. 2087 cod.civ. Obbligo per il datore di lavoro di “adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori”

Art. 10 Legge 864/70 Nei locali utilizzati dai lavoratori deve essere mantenuta la temperatura più confortevole e più stabile possibile in relazione alle circostanze

Allegato I, punto 7.1direttiva CEE 89/654 La temperatura dei locali di lavoro deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori

Allegato, punto 16.6.1 direttiva CEE 92/104 Nei luoghi di lavoro chiusi occorre provvedere affinchè, in relazione ai metodi di lavoro in uso ed all’entità delle sollecitazioni fisiche a carico dei lavoratori,questi ultimi dispongano di sufficiente aria fresca

Art.7 comma 1 DPR 303/56 modificato dal D.Lgs 626/94 A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione, è vietato adibire a lavori continuativi i locali chiusi che non abbiano le seguenti caratteristiche:• buona difesa contro gli agenti atmosferici• isolamento termico sufficiente• aperture sufficienti per un rapido ricambio d’ariaben asciutti e ben difesi contro l’umidità

Art. 9 DPR 303/56 modificato dal D.Lgs 626/94 Nei luoghi di lavoro chiusi i lavoratori devono disporre

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di aria salubre in quantità sufficiente, l’eventuale impianto di aerazione deve essere sempre mantenutoefficiente e si devono evitare correnti d’aria fastidiose

Art 11 DPR 303/56 modificato dal D.Lgs 626/94 Quando non è conveniente modificare la temperatura di tutto l’ambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi di protezione individualiAmbienti termiciConvenzionalmente gli ambienti termici vengono distinti in:1) AMBIENTI MODERATI 2) AMBIENTI CALDI3) AMBIENTI FREDDIGli ambienti moderati sono principalmente caratterizzati da un moderatogrado d’intervento alla termoregolazione corporea e in cui risulta facilmente realizzata la condizione di omeotermia (mantenimento costante della T interna) del soggetto.In concreto tali ambienti sono caratterizzati da:• condizioni ambientali piuttosto omogenee e con ridotta variabilità nel tempo;• assenza di scambi termici localizzati fra soggetto ed ambiente che abbianoeffetti rilevanti sul bilancio termico complessivo;• attività fisica modesta e sostanzialmente analoga per i diversi soggetti;• uniformità del vestiario indossato dai diversi operatoriGli ambienti caldi sono caratterizzati da un notevole intervento del sistema di termoregolazione umano al fine di diminuire l’accumulo di calore nel corpo.L’azione termoregolatrice si esplica, come già accennato, primariamente sul piano fisiologico mediante i meccanismi di vasodilatazione dei vasi sanguigni cutanei (con aumento della temperatura della cute) e di sudorazioneLe caratteristiche degli ambienti caldi sono:• valori elevati di temperatura in relazione alle caratteristiche dell’attività svolta e del vestiario indossato dagli operatori;• possibili alti valori di umidità relativa dell’aria e richiedenti un considerevole scambio termico per sudorazione al fine di conservare l’omeotermia;• variabilità della temperatura e dell’umidità da postazione a postazione di lavoro;• disuniformità del livello di impegno fisico richiesto e del vestiario indossatodagli operatori.

Gli ambienti freddi sono caratterizzati da condizioni che richiedono un sensibile intervento del sistema di termoregolazione umano per limitare la potenzialeeccessiva diminuzione della temperatura caratteristica dei diversi distretti ed in particolare del nucleo corporeo. L’azione termoregolatrice si traduce sul piano fisiologiconella vasocostrizione dei capillari cutanei, che comporta una diminuzione della temperatura della cute e nell’incremento della produzione di calore per via metabolica (di cuii brividi e l’orripilazione ne sono segni evidenti).In concreto e con specifico riferimento alle attività lavorative, gli ambienti freddipresentano i seguenti aspetti fondamentali:•valori di temperatura bassi (indicativamente compresi fra 0 e 10°C per ambienti moderatamente freddi e inferiori a 0°C per ambienti freddi severi);• contenuta variabilità spaziale e temporale delle condizioni;• attività fisica e tipologia del vestiario indossato abbastanza uniformi.

Indici microclimaticiLa sensazione soggettiva di benessere non dipende da uno solo dei relativi fattoriambientali (temperatura, umidità, velocità dell’aria, ecc.), bensì dalla loro combinazione.Per esprimere questo concetto, sono stati quindi studiati vari indici microclimatici chesono l’espressione della correlazione tra parametri ambientali e sensazioni soggettivedi benessere o disagio termico, ricavate da un gran numero di esperienze sperimentali in camere climatiche.Tra i numerosi indici proposti gli Indici di Fanger, attualmente, sono tra i più utilizzati per la determinazione di un

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ambiente accettabile per lavori sedentari; essi consentono di poter valutare le condizioni microclimatiche di un ambiente di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo, confortevole) espresso dai soggetti in esame e delloro eventuale disagio termico.Se il complesso di fattori:- resistenza termica del vestiario - attività fisica svolta - parametri ambientali oggettivi

Gli indici di Fanger sono il PMV ed il PPD.• PMV (predicted mean vote o voto medio previsto): esprime un voto medio previsto per la sensazione di benessere termico di un campione di soggetti posti nel medesimo ambiente, i quali esprimono la propria sensazione termica soggettiva attraverso una scala psicofisica comprendente sette voci.Il PMV risulta un indice particolarmente adatto alla valutazione di ambienti lavorativi a microclima moderato, quali abitazioni, scuole, uffici, laboratori di ricerca, ospedali, ecc.....• PPD (predicted percentage of disatisfied o percentuale prevista di insoddisfatti): individuato il valore medio della sensazione termica espressa dalla popolazione di soggetti nei confronti dell’ambiente (PMV), Fanger ha correlato tale valore numerico al gradodi insoddisfazione dei soggetti stessi individuando la percentuale di presumibili soggetti insoddisfatti associata ad ogni valore dell’indice PMV compreso tra +3 e -3.Questi due indici, strettamente correlati tra loro, consentono di poter valutare le condizioni microclimatiche di un ambiente di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo, confortevole) espresso dai soggetti in esame e del loro eventuale disagio termico.Viene definito “soggetto insoddisfatto” quello che, nell’ambiente in esame si dichiarerebbe decisamente insoddisfatto, ossia voterebbe -3, -2 oppure +2, +3.La correlazione tra l’indice PMV e PPD è stata elaborata sulla base di ricerche sperimentali che hanno coinvolto complessivamente circa 1300 soggetti indossanti abiti leggeri ed esposti per tre ore consecutive negli ambienti climatizzati in prova.Dall’esame di tali ricerche è emerso che anche in corrispondenza del valore medio (PMV=0) esiste comunque una percentuale pari al 5% di soggetti insoddisfatti, ossia che voterebbero -3, -2, +2, +3; la percentuale di insoddisfatti cresce rapidamente man manoche il valore dell’indice PMV si discosta da zero.La norma ISO 7730, tenendo conto che il mantenimento di un valore di PMV=0 in permanenza nei diversi punti di un ambiente è un livello difficilmente raggiungibile sul piano tecnico, propone come obiettivo concreto da raggiungere negli ambienti di lavoro per il benessere dei lavoratori il range:PMV=-0,5 e PMV=+0,5Tale requisito, insieme al controllo dei fattori di disagio termico, dovrebbe consentire il raggiungimento di un valore PPD=10% e il contenimento della percentuale reale di insoddisfatti al di sotto del 20%.In conclusione un ambiente viene definito in condizioni di benessere termico per valori di PMV +/- 0,5 e PPD minore del 10%, mentre le condizioni microclimatiche sono accettabili se la percentuale degli insoddisfatti non supera il 20%.

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Igiene nell'ambiente

L'igiene ambientale riguarda quell'aspetto dell'igiene che mira e si interessa di tutela della salute negli ambienti di vita, ovvero nei diversi contesti in cui le persone trascorrono la loro vita non lavorativa, intesi sia come spazi aperti: l'ambiente outdoor, che confinati: l'ambiente indoor (l'ambiente urbano, quello domestico, i luoghi pubblici e anche i mezzi di trasporto collettivo). Tutti gli ambienti sono soggetti a inquinamento, anche se di diverso tipo (gas di scarico di automobili, emissioni industriali che ricadono su aree abitative ma anche le emissioni date a livello domestico da mobili, arredi e prodotti per la pulizia, tutti fattori che causano un deterioramento della qualità dell'aria nell'ambiente). La buona qualità dell'ambiente è strettamente legata al mantenimento dello stato di salute dell'uomo, ma non solo, anche delle altre specie animali che abitano in quel contesto; in quanto l'esposizione a contaminanti presenti in acqua, aria, cibo, suolo e derivanti dai rifiuti possono avere molti effetti nocivi sul benessere e salute delle specie viventi. Per mantenere una buona qualità ambientale sono quindi necessari provvedimenti di salvaguardia di essa in grado di ridurre fattori di rischio per la salute. L'organismo che, a livello nazionale, si occupa di protezione e igiene ambientale è l'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, istituito con la Legge 133/2008, con modificazioni, del D.Legge 25 giugno 2008, n.112, che opera sotto la tutela del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. A livello regionale, le competenze in materia di igiene e controllo ambientale ricadano sulle ARPA, agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, istituite nella maggior parte delle regioni italiane a seguito del Referendum popolare della primavera del 1993 che ha tolto la potestà in materia ambientale alle ASL. Esse operano per la prevenzione e la promozione della salute collettiva, indirizzando le loro risorse al conseguimento della massima efficacia nell'individuazione e nella rimozione dei fattori di rischio per l'uomo e l'ambiente; in particolare, si occupano di tutela della collettività dai rischi sanitari connessi all'inquinamentoambientale attraverso azioni di monitoraggio dell'inquinamento atmosferico ed acustico, da impianti di smaltimento di rifiuti solidi urbani, dalla detenzione e smaltimento dei rifiuti speciali tossici e nocivi, delle qualità delle acque destinate al consumo umano, delle piscine pubbliche o di uso pubblico, della qualità delle acque di balneazione, di scarichi civili, produttivi e sanitari; esse, inoltre, si occupano della produzione di mappe di rischio ambientale e di valutazione dell'impatto ambientale-sanitario, perseguendo gli obiettivi di protezione, attraverso i controlli ambientali che tutelano la salute della popolazione e la sicurezza del territorio e la prevenzione, attraverso la ricerca, la formazione, l'informazione e l'educazioneambientale.

Igiene negli alimenti

L'igiene degli alimenti e dei prodotti alimentari in genere riguarda quella branca dell'igiene che comprende l'insieme delle norme e delle misure applicative atte a garantire la salubrità e lasicurezza degli alimenti, intesa come consapevolezza della qualità igienico-sanitaria, nutrizionale e organolettica degli alimenti, e della qualità ambientale dei processi di produzione, trasformazione, preparazione e consumo dei cibi. La qualità e la sicurezza degli alimenti dipendono dagli sforzi di tutte le persone coinvolte nella complessa catena della produzioneagricola, della lavorazione, del trasporto, della preparazione, della conservazione e del consumo; proprio per questo, l'Organizzazione Mondiale della Sanità intende la sicurezza alimentare come una responsabilità condivisa dal campo alla tavola. Per mantenere e preservare la qualità e la sicurezza degli alimenti lungo l'intera filiera sono importanti procedure per garantire la salubrità dei cibi e sistemi di monitoraggio per una garanzia che le operazioni vengano effettuate in maniera corretta;

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tutto ciò è possibile grazie all'applicazione del quadro giuridico del settore alimentare incentrato sulla politica dai campi alla tavola andando a coprire l'intera filiera alimentare, all'attribuzione al mondo della produzione della responsabilità primaria di una produzione alimentare sicura, all'esecuzione di appropriati controlli ufficiali, alla capacità di attuare efficaci e rapide misure di salvaguardia e correzione di fronte a emergenze sanitarie manifestate in qualsiasi punto della filiera. Per quanto riguarda la normativa sono da citare il Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare (Bruxelles- 12 gennaio 2000) e soprattutto il Regolamento CE n.178/2002,dove si trovano i principi generali sui quali dovrebbe vertere la politica europea in materia di sicurezza alimentare:

•una strategia globale, integrata, applicata a tutta la alimentare (dai campi alla tavola),•una definizione chiara dei ruoli di tutte le parti coinvolte, per individuare le responsabilità di tutti gli operatori della filiera,•la rintracciabilità degli alimenti destinati agli esseri umani e agli animali e dei loro ingredienti, al fine di identificare ogni singolo prodotto finale,•la coerenza, l'efficacia e il dinamismo della politica alimentare, che deve confrontarsi con un sistema globale e in continuo cambiamento, caratterizzato da innovazioni nei sistemi di produzione e che deve far fronte spesso a episodi destabilizzanti in grado di arrecarne gravi danni all'immagine,•l'analisi dei rischi articolato in valutazione, gestione e comunicazione dei rischi, sia tra produttore, che verso il consumatore,•l'indipendenza, l'eccellenza e la trasparenza dei pareri scientifici, in quanto gli esperti devono garantire indipendenza da pressioni esterne, devono essere in grado di risolvere le controversie in materia di scientifica con l'adeguato grado di autorevolezza e devono anche garantire l'accesso dei cittadini a risultati e raccomandazioni scientifiche,•l'applicazione del principio di precauzione nella gestione dei rischi, che stabilisce la possibilità di adottare misure di protezione restrittive anche in assenza di dati certi in materia,•la necessità di instaurare un dialogo continuo con i consumatori e garantire informazione, educazione e ascolto, seguendo anche criteri legati ad altri fattori pertinenti, come considerazioni ambientali, benessere degli animali, agricoltura sostenibile, aspettative dei consumatori quanto alla qualità dei prodotti, adeguata informazione e definizione delle caratteristiche essenziali dei prodotti, nonché dei loro metodi di lavorazione e produzione.

Il regolamento ha, inoltre, istituito l'AESA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), che ha compiti fondamentali che vanno dal parere scientifico indipendente su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, alla gestione di sistemi di allarme rapido, alla comunicazione e al dialogo con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni sanitarie e la realizzazione di reti con le Agenzie nazionali e gli organismi specifici. Innovazione fondamentale introdotta in Italia con il D.Lgs 155/97, in recepimento delle Direttive 93/43/CEE e 96/3/CE è stato il sistema di autocontrollo dell'igiene degli alimenti, l'HACCP (Hazard Analisis Critical Control Point), secondo cui tutte le aziende sono tenute ad adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza igienica e la salubrità dei prodotti alimentari e quindi l'idoneità degli alimenti al consumo attraverso:

•analisi del pericolo•identificazione dei punti di controllo critici•definizione di limiti critici•applicazione di procedure di sorveglianza•definizione di azioni correttive•procedure per la registrazione dei dati•procedure atte a verificare il funzionamento

I punti di controllo, definiti Critical Control Point devono essere individuati in azienda e devono rispondere a criteri ben precisi per essere considerati tali: devono essere associati al pericolo individuato, interni al processo, misurabili e standardizzabili e deve essere possibile l'applicazione di misure di contenimento del problema. In Italia, a livello locale, la competenza per quanto riguarda l'igiene degli alimenti è di completenza prevalentemente delle Unità Sanitarie Locali, più precisamente dei Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione Sian, facenti parte dei Dipartimenti di Prevenzione delle Ulss, con compiti di controllo direttamente sugli alimenti, sui requisiti strutturali e funzionali delle

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imprese alimentari, verifica preliminare alla realizzazione e/o attivazione di imprese alimentari, tutela delle acque destinate al consumo umano e altri compiti inerenti alla sicurezza alimentare

”La raccolta differenziata come la raccolta idonea a raggruppare rifiuti urbani in

frazioni merceologiche omogenee, compresa la frazione organica umida, destinate al

riutilizzo, al riciclaggio ed al recupero di materia prima”.

Mentre tale decreto non prescrive in maniera vincolante alcuna tipologia specifica di

raccolta differenziata, esso prevede buoni obiettivi di raccolta differenziata.

Tali obiettivi sono riportati nell’art. 24, comma 1 che prevede che in ogni Ambito

Territoriale Ottimale (ATO) previsto nell’art. 23 (di solito corrispondente ai confini

provinciali) sia:

“assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali

minime di rifiuti prodotti:

a) 15% entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto;

b) 25% entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del decreto;

c) 35% a partire dal sesto anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto

Il coinvolgimento dei cittadini nel sistema di gestione dei rifiuti favorisce la loro sensibilizzazione alle problematiche connesse con la gestione dei rifiuti e lo sviluppo di una coscienza ecologica e può giocare un ruolo favorevole nella promozione della riduzione alla fonte dei rifiuti.

L’integrazione del progetto di raccolta differenziata nel più generale piano di gestione

dei rifiuti urbani è di fondamentale importanza tenuto conto che:

- la sola raccolta differenziata non è in grado di risolvere tutti i problemi di gestione

dei rifiuti;

- il miglior piano di gestione è quello che integra opportunamente una vasta

diversificazione di tecnologie di recupero (di materiali ed energia) e di

smaltimento;

- la raccolta differenziata può contribuire a ridurre l’incompatibilità di alcuni tipi di

rifiuto con i sistemi di recupero e di smaltimento previsti ovvero rendere possibili

modalità di recupero altrimenti impossibili (ad esempio compostaggio per la

produzione di compost di qualità)

- Tecnologie e gestione della raccolta differenziata

Tre modelli in uso per attuare la raccolta differenziata sono:

· raccolta mediante contenitori stradali,

· raccolta presso l’utenza (sistema porta a porta),

· conferimento a piattaforme di raccolta,

classificabili ulteriormente in base al tipo di utenza in raccolte a utenza generica e a

utenza specifica.

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c) Raccolta mediante contenitori stradali

sistema di raccolta differenziata ad utenza generica

contenitori di opportuna forma e dimensioni (in genere campane, cassonetti, o bidoni carrellati,

centri definiti comunemente isole o piazzole ecologiche )

Il sistema di raccolta mediante contenitori stradali è molto utilizzato a causa della sua

intrinseca semplicità e per il fatto di poter essere applicato a numerosi materiali

(carta e cartone, contenitori per liquidi in vetro, plastica e metallo, sostanza organica,

vestiti e calzature usati).. Nel caso di raccolte monomateriale esiste il rischio di

contaminazione con materiali non desiderati, ovvero incompatibili con i successi

trattamenti di riciclaggio.

Da ciò risulta necessario ricorrere ad ulteriori fasi di selezione che possono essere

manuali, automatiche o semiautomatiche; tale fatto ha suggerito di utilizzare i

contenitori stradali come dispositivi di raccolta differenziata multimateriale. L’impatto ambientale di questo sistema deriva sostanzialmente dal fatto della

difficoltà a localizzare i contenitori, in particolare nei centri storici, per occupazione di

suolo pubblico e per problemi estetici. Inoltre tale raccolta può causare problemi di

traffico e rumorosità durante le operazioni di svuotamento.

Gestione dei rifiuti

Contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti

L'importanza sociale e ambientale di una corretta ed efficiente gestione dei rifiuti si può evincere dallo stato delle strade in caso di sospensione del servizio per sciopero

Per gestione dei rifiuti si intende l'insieme delle politiche volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro sorte finale, e coinvolgono quindi: la raccolta, il trasporto, il trattamento (riciclaggio o smaltimento) e anche il riutilizzo dei materiali di scarto, solitamente prodotti dall'attività umana, nel tentativo di ridurre i loro effetti sulla salute dell'uomo e sull'ambiente.

Un interesse particolare negli ultimi decenni riguarda la riduzione degli effetti dei rifiuti sulla natura e sull'ambiente e la possibilità di recuperare risorse da essi, e la riduzione della produzione di rifiuti stessi

Principi del sistema integrato italiano

La strategia adottata dall'Unione Europea e recepita in Italia con il DL Ronchi del '97 [1] (abrogato e sostituito con il DL 152/06 Parte IV [2] e s.m.i.[3]) affronta la questione dei rifiuti delineando priorità di azioni all'interno di una logica di gestione integrata del problema. Esse sono, come descritto nella predetta parte IV negli articoli 180 e 181 nell' ordine di priorità definito dall'articolo 179:

• Criteri di priorità (Art 179)• Sviluppo di tecnologie pulite

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• Ideazione e messa in commercio di prodotti che non contribuiscano o diano un contributo minimo alla produzione di rifiuti ed all'inquinamento

• Miglioramenti tecnologici per eliminare la presenza di sostanze pericolose nei rifiuti• Ruolo attivo delle amministrazioni pubbliche nel riciclaggio dei rifiuti e loro utilizzo come fonte di

energia• Prevenzione della produzione di rifiuti (Art. 180)

• Corretta valutazione dell'impatto ambientale di ogni prodotto durante il suo intero ciclo vitale• Capitolati di appalto che considerino l'abilità nella prevenzione della produzione• Promuovere accordi e programmi sperimentali per prevenire e ridurre la quantità e pericolosità dei rifiuti• Attuare il DL 18 febbraio 2005 n. 59 e la direttiva 96/61/CE specifica per la riduzione e prevenzione

integrate dell'inquinamento• Recupero dei rifiuti (Art 181)

• il riutilizzo, il reimpiego ed il riciclaggio• Produzione di materia prima secondaria trattando i rifiuti stessi• Favorire tramite misure economiche e capitolati nelle gare d'appalto il mercato dei prodotti reimpiegati• Uso dei rifiuti per produrre energia (recupero energetico (ossidazione biologica a freddo,

gassificazione, incenerimento)Pertanto, se il primo livello di attenzione è rivolto alla necessità di prevenire la formazione dei rifiuti e di ridurne la pericolosità, il passaggio successivo riguarda l'esigenza di riutilizzare i prodotti (es. bottiglie, con il vuoto a rendere) e, se non è possibile il riuso, riciclare i materiali (es. riciclaggio della carta). Infine, solo per quanto riguarda il materiale che non è stato possibile riutilizzare e poi riciclare (come ad esempio i tovaglioli di carta) e il sottovaglio (ovvero la frazione in piccoli pezzi indistinguibili e quindi non riciclabili di rifiuti, che rappresenta circa il 15% del totale), si pongono le due soluzioni del recupero energetico tramite sistemi a freddo o a caldo, come la bio-ossidazione (aerobica o anaerobica), la gassificazione, la pirolisi e l'incenerimento oppure l'avvio allo smaltimento in discarica. Dunque anche in una situazione ideale di completo riciclo e recupero vi sarà una percentuale di rifiuti residui da smaltire in discarica o da ossidare per eliminarli e recuperare l'energia. Da un punto di vista ideale il ricorso all'incenerimento ed alle discariche indifferenziate dovrebbe essere limitato al minimo indispensabile. La carenza di efficaci politiche integrate di riduzione, riciclo e riuso fanno dello smaltimento in discarica ancora la prima soluzione applicata in Italia ed in altri paesi europei [4]. Per quanto riguarda il recupero, esistono progetti ed associazioni che si occupano dello scambio di beni e prodotti usati (per esempio Freecycle).

La prevenzione dei rifiuti

La prevenzione dei rifiuti consiste in un insieme di politiche volte a disincentivare, penalizzare economicamente o addirittura vietare la produzione di materiali e manufatti a ciclo di vita molto breve e destinati a diventare rifiuti senza possibilità di riuso. Soggetti interessati possono quindi essere tanto le imprese quanto i comuni cittadini, incentivati a ridurre a monte la produzione dei rifiuti, ad effettuare la raccolta differenziata. Oltre ad uno stimolo "etico", tali soggetti possono anche essere incentivati da una riduzione della TARSU, ad esempio quando ricorrano al compostaggio domestico (si consideri che la frazione organica è comunque una parte molto significativa dei rifiuti delle famiglie).

Il trattamento dei rifiuti

Il trattamento dei rifiuti consiste nell'insieme di tecniche volte ad assicurare che i rifiuti, qualunque sia la loro sorte, abbiano il minimo impatto sull'ambiente.

Può riguardare sostanze solide, liquide o gassose, con metodi e campi di ricerca diversi per ciascuno.

Le pratiche di trattamento dei rifiuti sono diverse tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, tra città e campagna e a seconda che i produttori siano residenziali, industriali o commerciali. Il trattamento dei rifiuti per gli utenti residenti e istituzionali nelle aree metropolitane è solitamente responsabilità delle autorità di governo locale, mentre il suo trattamento per utenti commerciali e industriali è solitamente responsabilità di colui che ha prodotto i rifiuti.

Lo schema seguente riassume le modalità e le filiere per il trattamento dei rifiuti solidi urbani secondo le attuali politiche di gestione in Italia.

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Naturalmente, si tratta di uno schema teorico che non sempre, non completamente e non dappertutto, è attuato allo stesso modo e soprattutto è solo una delle possibili modalità di gestione dei rifiuti. Evoluzioni tecniche e/o differenti indirizzi e priorità di gestione dei rifiuti possono comportare modifiche sostanziali allo schema, ma esso fornisce comunque uno schema di massima e le corrette terminologie riguardanti l'argomento. [5]

La filiera della raccolta differenziata

I rifiuti raccolti in maniera differenziata possono sostanzialmente essere trattati, a seconda del tipo, mediante due procedure:

1. riciclaggio, per le frazioni secche;2. compostaggio, per la frazione umida.

Riciclaggio dei rifiuti

Il riciclaggio comprende tutte le strategie organizzative e tecnologiche per riutilizzare come materie prime materiali di scarto altrimenti destinati allo smaltimento in discarica o distruttivo.

In Italia, il tasso di raccolta differenziata sta gradualmente crescendo (è oggi intorno al 22,7% per merito, soprattutto, delle regioni del Nord, dove supera il 35%), ma è ancora inferiore alle potenzialità. Soluzioni particolarmente efficienti come la raccolta differenziata porta a porta, ove adottate, permettono di incrementare notevolmente la percentuale di rifiuti riciclati.

A titolo di confronto, si consideri che in Germania il tasso di raccolta differenziata raggiungeva nel 2004 ben il 56% a livello nazionale.

Numerosi sono i materiali che possono essere riciclati: metalli, carta, vetro e plastiche sono alcuni esempi; vi sono tuttavia complessità associate ai materiali cosiddetti "poliaccoppiati" (cioè costituiti da più materiali differenti) come ad esempio flaconi di succhi di frutta o latte, nonché per oggetti complessi (per esempio automobili, elettrodomestici ecc): non sono tuttavia problemi insormontabili e possono essere risolti con tecnologie particolari, in parte già adottate anche in Italia.

Particolare è il caso della plastica, che come noto esiste in molte tipologie differenti e può essere costituita da molti materiali differenti (PET, PVC, polietilene ecc.). Tali diversi materiali vanno gestiti separatamente e quindi separati fra loro: questa maggior complicazione in passato ha reso l'incenerimento economicamente più vantaggioso del riciclo. Oggi tuttavia appositi macchinari possono automaticamente e velocemente separare i diversi tipi di plastica anche se raccolti con un unico cassonetto, pertanto l'adozione di queste tecnologie avanzate permette un vantaggioso riciclo.

Purtroppo in alcuni casi la plastica (in genere quella di qualità inferiore) viene comunque avviata all'incenerimento anche se dal punto di vista energetico e ambientale non è certo la scelta ottimale.

Compostaggio della frazione umida

Il compostaggio è una tecnologia biologica usata per trattare la frazione organica dei rifiuti raccolta differenziatamente (anche detta umido) sfruttando un processo di bio-ossidazione, trasformandola in ammendante agricolo di qualità da utilizzare quale concime naturale: da 100 kg di frazione organica si ricava una resa in compost compresa nell'intervallo di 30-40 kg. Tramite digestione anaerobica viene ottenuto anche del biogas che può essere bruciato per produrre energia elettrica e calore; in tal modo è possibile diminuire il livello di emissioni inquinanti della discarica e migliorarne la gestione approfittando anche della conseguente diminuzione dei volumi legata al riciclo dell'umido.

Il compostaggio, come si vede dal grafico, si differenzia dal TMB per il fatto di trattare esclusivamente l'umido e non il rifiuto indifferenziato, anche se il TMB può comprendere un processo simile al compostaggio (si veda sotto).

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La filiera della raccolta indifferenziata

I rifiuti raccolti indifferenziatamente sono naturalmente molto più difficili da trattare di quelli raccolti in modo differenziato. Possono essere seguite tre strade principali:

1. Trattamenti a freddo, ovvero separazione e parziale recupero di materiali, biostabilizzazione e conferimento in discarica

2. Trattamenti a caldo ovvero incenerimento tal quale o a valle di separazione e produzione di CDR e conferimento in discarica

3. Conferimento diretto in discarica (oggi molto usato ma certamente da evitarsi).In ogni caso è evidente che gli inevitabili scarti di questi processi finiranno per forza di cose in discarica.

Trattamento a freddo dei rifiuti

Un impianto di separazione a freddo della componente secca per l'ulteriore recupero di materiali da riciclare.

Scopo dei processi di trattamento a freddo dei rifiuti indifferenziati o residui (ossia i rifiuti che rimangono dopo la raccolta differenziata) è di recuperare una ulteriore parte di materiali riciclabili, ridurre il volume del materiale in vista dello smaltimento finale e di stabilizzare i rifiuti in modo tale che venga minimizzata la formazione dei gas di decomposizione ed il percolato. Da questi processi (fra cui il compostaggio), si ricava in genere sia materiali riciclabili, sia il biogas, cioè, in pratica, metano.

Il principale tipo di trattamento a freddo è il Trattamento meccanico-biologico (TMB). Esso separa la frazione organica ed i materiali riciclabili: permette quindi una ulteriore riduzione dell'uso delle discariche e degli inceneritori, il tutto con emissioni inquinanti nettamente inferiori rispetto a tali impianti. Infatti tratta i rifiuti indifferenziati a valle della raccolta differenziata, incrementando il recupero di materiali. In Germania, ad esempio, impianti TMB sono diffusi da circa una decina d'anni.

Il TMB può essere utilizzato anche per produrre CDR (combustibile derivato dai rifiuti): è questa l'applicazione principale che ufficialmente ne viene fatta in Italia, soprattutto al sud. In questo caso dovrebbe essere rimosso solamente l'umido ed i materiali non combustibili (vetro, metalli) mentre carta e plastica sarebbero confezionati in "ecoballe" da incenerire: in questo modo il trattamento a freddo si può intrecciare con quello termico.

Dati relativi al quantitativo di rifiuti trattati in Italia tramite TMB e riferiti al 2004 indicano un totale di 7.427.237 t di rifiuti, con un picco nelle regioni del sud 3.093.965 t. L'incidenza percentuale del dato relativo al 2004 indica un valore pari al 20,5% del totale di rifiuti smaltiti tramite biostabilizzazione e produzione di CDRL e inchieste giudiziarie per la crisi dei rifiuti in Campania stanno tuttavia evidenziando che le "ecoballe" prodotte non sono classificabili come CDR, per cui i quantitativi ufficiali sopra citati dovranno essere rivisti sulla base degli esiti di più approfondite verifiche.

Trattamento termico dei rifiuti

Fra i processi di trattamento a caldo (o termico) dei rifiuti, si distinguono tre processi di base:

1. Combustione (incenerimento)2. Pirolisi3. Gassificazione

Tutte queste tecnologie producono residui, a volte speciali, che richiedono smaltimento, generalmente in discarica. Sia in Italia che in Europa, gli impianti di trattamento termico di gran lunga più diffusi per i rifiuti urbani sono gli inceneritori.

Incenerimento con recupero energetico

L'incenerimento è una tecnologia consolidata che permette di ottenere energia elettrica e fare del teleriscaldamento sfruttando i rifiuti indifferenziati o il CDR. Questi vengono bruciati in forni inceneritori e l'energia termica dei fumi viene usata per produrre vapore acqueo che, tramite una turbina, genera energia elettrica. La quantità di energia elettrica recuperata è piuttosto bassa (19-25%), mentre quella termica è molto maggiore. Tale energia recuperata è da

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confrontarsi con quella necessaria al riciclaggio, che a sua volta si compone di vari fattori: la separazione, il trasporto alle rispettive fonderie o industrie di base, la fusione o trattamento fino alla produzione del materiale base, uguale a quello vergine.

Pirolisi e gassificazione

La pirolisi e la gassificazione sono dei trattamenti termici dei rifiuti che implicano la trasformazione della materia organica tramite riscaldamento a temperature variabili (a seconda del processo da 400 a 1200 °C), rispettivamente in condizioni di assenza di ossigeno o in presenza di una limitata quantità di questo elemento. Gli impianti che sfruttano tali tecnologie in pratica, piuttosto che fondarsi sulla combustione, attuano la dissociazione molecolare ottenendo in tal modo molecole in forma gassosa più piccole rispetto alla originarie (syngas) e scorie solide o liquide. In confronto agli odierni inceneritori i rendimenti energetici possono essere maggiori se il syngas ottenuto viene bruciato in impianti ad alto rendimento e/o ciclo combinato (dopo opportuni trattamenti per eliminare eventuali vari residui, fra cui polveri, catrami e metalli pesanti a seconda del rifiuto trattato), mentre l'impatto delle emissioni gassose risulta sensibilmente ridotto.[8] In particolare il rendimento in produzione elettrica può arrivare, a detta di alcuni produttori, a oltre il doppio del più moderno inceneritore (si vedagassificatore).

Nonostante la tipologia di rifiuti trattabili sia (per alcuni tipi di impianto) la stessa degli inceneritori, tuttavia sono pochi gli impianti di questo genere che trattano rifiuti urbani tal quali: molto spesso infatti riguardano frazioni merceologiche ben definite quali plastiche, pneumatici, scarti di cartiera, scarti legnosi o agricoli oppure biomasse in genere. Questi impianti più specifici sono maggiormente diffusi. Ciò nonostante vi è chi ritiene che gli impianti di pirolisi e di gassificazione siano destinati a sostituire in futuro gli attuali inceneritori anche per i rifiuti urbani, diffondendosi ulteriormente e divenendo i principali trattamenti termici di riferimento.

Va anche osservato che in genere gli impianti di pirolisi e/o gassificazione sono più piccoli degli inceneritori, cioè ciascun impianto tratta un minor quantitativo di rifiuti. Questo comporta alcuni vantaggi: anzitutto si evita il trasporto dei rifiuti per lunghe tratte, responsabilizzando ciascuna comunità locale in merito ai propri rifiuti (smaltiti in loco e non "scaricati" a qualcun altro). In secondo luogo la flessibilità e le minor taglia degli impianti permette facilmente di aumentare la raccolta differenziata e ridurre il quantitativo di rifiuti totali, politiche difficilmente attuabili con inceneritori da centinaia di migliaia di tonnellate annue che necessitano di alimentazione continua. Infine anche i costi di realizzazione ed i tempi di ammortamento dovrebbero essere inferiori.

Discarica

Il principale problema delle discariche è la produzione di percolato e l'emissione di gas spesso maleodoranti, dovuti alla decomposizione della frazione organica. Entrambi i problemi possono essere risolti rimuovendo la frazione organica mediante raccolta differenziata o pretrattando i rifiuti con il trattamento meccanico-biologico a freddo esposto in precedenza, riducendo fra l'altro anche i volumi da smaltire. La discarica può essere così usata per smaltire tutti i residui del sistema integrato di gestione dei rifiuti con un impatto ambientale minimo.

Conclusioni, costi e ruoli nel sistema integrato

La combustione dei rifiuti non è di per sé contrapposta o alternativa alla pratica della raccolta differenziata finalizzata al riciclo, ma dovrebbe essere solo un eventuale anello finale della catena di smaltimento. Inoltre è ovvio che, se un inceneritore viene dimensionato per bruciare un certo quantitativo di rifiuti, dovrà essere alimentato per forza con quel quantitativo, richiedendo di fatto l'ulteriore apporto di massa di rifiuti in caso di un quantitativo inadeguato.

Per ragioni tecnico-economiche la tendenza è oggi quella di realizzare inceneritori sempre più grandi, con la conseguenza di alimentare il "turismo dei rifiuti" (cioè il trasporto di rifiuti anche da altre province se non da altre nazioni). In Italia questo fenomeno è stato accentuato dai forti incentivi statali che hanno favorito l'incenerimento a scapito di altre modalità di smaltimento più rispettose dell'ambiente.

Nei fatti, tuttavia, l'incenerimento può generare logiche speculative alternative alla raccolta differenziata: lo dimostrano pressioni politiche e tangenti scoperte a settembre 2010 in Abruzzo mediante intercettazioni telefoniche. Qui si è deciso di abbassare gli obblighi di raccolta differenziata per favorire l'incenerimento, come "richiesto" da imprenditori interessati alla costruzione di impianti di incenerimento e che non "gradivano" che la raccolta differenziata raggiungesse anche solo il 40%.

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In Italia si sono inceneriti nel 2004 circa 3,5 milioni di t/anno su un totale di circa 32 milioni di tonnellate di RSU totale prodotto, cioè circa il 12% (per un confronto con altri paesi europei si veda Inceneritore); tale pratica specie al Nord è in aumento, e in Lombardia ad esempio raggiunge il 34%.[7]Ciò che balza all'occhio è il grande ricorso allo smaltimento indiscarica, che è in diminuzione (dal 2001 al 2004, al Nord -21%, al Sud -4% e al Centro -3%) [7] ma che interessa attualmente in tutto circa il 56,9% dei rifiuti urbani prodotti (45% al Nord, 69,5% al Centro, 73,2% al Sud; si stima che sul totale nazionale il 76% sia rifiuto da raccolta indifferenziata e il 24% siano residui dai diversi processi di trattamento: biostabilizzazione, CDR, incenerimento, residui da selezione delle R.D.), con conseguenze ambientali che si vanno aggravando soprattutto nel Sud, dove i pochi impianti di trattamento finale sono ormai saturi e la raccolta differenziata stenta a decollare: gli inceneritori sarebbero perciò, secondo alcuni, da aumentare (soprattutto al Sud). Tuttavia, se si considera che nei comuni più virtuosi la raccolta differenziata supera già adesso l'80%, si deduce che persino al Nord essa è ancora molto meno sviluppata di quanto potrebbe e che in alcune aree del Nord gli impianti di incenerimento sarebbero perfino sovradimensionati. Pertanto, il timore di alcuni è che non si potrà sviluppare appieno la raccolta differenziata e il riciclo per consentire agli inceneritori di funzionare senza lavorare in perdita, oppure si dovranno importare rifiuti da altre regioni.

Una considerazione importante è infatti che gli investimenti necessari per realizzare i termovalorizzatori sono molto elevati (il costo di un impianto in grado di trattare 421.000 t/anno di rifiuti è valutabile in circa 375 milioni di euro, cioè circa 850-900 € per tonnellata di capacità trattatabile[11]), e il loro ammortamento richiede, tenendo anche conto del significativo recupero energetico, circa 20 anni; perciò costruire un impianto significa avere l'«obbligo» (sancito da veri e propri contratti) di incenerire una certa quantità minima di rifiuti per un tempo piuttosto lungo.

È emblematico a questo proposito il caso dell'inceneritore costruito recentemente dall'Amsa a Milano, Silla 2: inizialmente aveva avuto l'autorizzazione per bruciare 900 t/giorno di rifiuti, poi si è passati a 1250 e infine a 1450t/g. Se si guarda alla gestione dei rifiuti a Milano, ci si accorge che la raccolta differenziata raggiunge il 30% circa[12] (dato sostanzialmente invariato da anni), e gran parte del rimanente viene incenerito da Silla 2. Si consideri che la media di riciclo della provincia di Milano è, escludendo il capoluogo, del 51,26% in costante miglioramento, e in particolare del 59,24% per i comuni con meno di 5 000 abitanti e del 55% per quelli fra i 5 e i 30 000,[ e che a Milano la raccolta dei rifiuti organici non è mai andata oltre la sperimentazione in piccole aree della città, nonostante il più che collaudato sistema di raccolta dei rifiuti porta a porta e la notevole sensibilizzazione della popolazione, che permetterebbero sicuramente di fare molto di più.

È interessante confrontare i costi dello smaltimento dei rifiuti di una città come Milano che fa ampio ricorso all'incenerimento con quelli di città che puntano sulla differenziata: a Milano nel 2005 si sono spesi 135,42 €/abitante contro una media provinciale di 110,16 e contro gli 83,67 di Aicurzio, paese più virtuoso di Lombardia nel 2005 col 70,52% di raccolta differenziata.[12] Il sindaco di Novara inoltre nel 2007 ha dichiarato che portando in due anni la raccolta differenziata nella città dal 35 al 68% si sono risparmiati due milioni di euro, mentre ad esempio il sindaco di Torino per sostenere la necessità dell'inceneritore del Gerbido ha dichiarato che «in qualsiasi centro urbano superare il 50% è un miracolo, perché la gestione di questo tipo di raccolta ha dei costi non sostenibili per i cittadini»; eppure a San Francisco è oltre il 50% già dal 2001.[13]

Europa valorizzazione/incenerimento, in 18 nazioni. In alcune situazioni, impianti di questo genere sono da tempo inseriti in contesti urbani, ad esempio a Vienna, Parigi, Londra, Copenaghen. Paesi quali Svezia (circa il 45% del rifiuto viene incenerito), Svizzera (~100%), Danimarca (~50%) e Germania (~35%) ne fanno largo uso; inOlanda (in particolare ad Avr e Amsterdam) sorgono alcuni fra i più grandi inceneritori d'Europa, che permettono di smaltire fino a un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti all'anno (~33% del totale). In Olanda comunque la politica – oltre a porsi l'obiettivo di ridurre il conferimento in discarica di rifiuti recuperabili – è quella di bruciare sempre meno rifiuti a favore di prevenzione, riciclo e riuso (ad esempio mediante incentivi, come cauzioni e riconsegna presso i centri commerciali sul riutilizzo delle bottiglie di vetro e di plastica).

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Tecnologie di incenerimento

Gli inceneritori più diffusi in Europa sono del tipo "a griglie". Trattandosi sostanzialmente di impianti che sfruttano il calore sviluppato dalla combustione, non è importante solo il tonnellaggio di combustibile (i rifiuti), ma anche il suo potere calorifico, ovvero il calore sviluppato durante la combustione (in genere pari a circa 9000-13000 MJ/t). In altre parole, un inceneritore progettato (ed autorizzato) per bruciare 100000 t di rifiuti con potere calorifico di 13000 MJ/t, può arrivare a bruciare anche il 45% in più se i rifiuti hanno potere calorifico di 9000 MJ/t.[18]

Il funzionamento di un "termovalorizzatore" a griglie può essere suddiviso in sei fasi fondamentali:

1.Arrivo dei rifiuti — Provenienti dagli impianti di selezione dislocati sul territorio (ma anche direttamente dalla raccolta del rifiuto), i rifiuti sono conservati in un'area dell'impianto dotato di sistema di aspirazione, per evitare il disperdersi di cattivi odori. Con un carroponte i materiali sono depositati nel forno attraverso una tramoggia. La tecnologia di produzione della frazione combustibile (CDR) ed il suo incenerimento sfrutta la preventiva disidratazione biologica dei rifiuti seguita dalla separazione degli inerti (metalli, minerali, ecc.) dalla frazione combustibile, che può essere "termovalorizzata" producendo energia elettrica con resa nettamente migliore rispetto all'incenerimento classico e con una diminuzione di impatto ambientale.[19]2.Combustione — Il forno è solitamente dotato di una o più griglie mobili (forno "a griglie") per permettere il continuo movimento dei rifiuti durante la combustione. Una corrente d'aria forzata viene inserita nel forno per apportare la necessaria quantità di ossigeno che permetta la migliore combustione, mantenendo alta la temperatura (fino a 1000 °C e più). Per mantenere tali temperature, qualora il potere calorifico del combustibile sia troppo basso, talvolta viene immesso del gas metano in una quantità variabile fra i 4 e 19 m³ per tonnellata di rifiuti. Accanto a una camera di combustione primaria viene associata una camera di combustione secondaria (camera di post-combustione), con lo scopo di completare la combustione dei fumi nel miglior rispetto della normativa vigente.3.Produzione del vapore surriscaldato — La forte emissione di calore prodotta dalla combustione di metano e rifiuti porta a vaporizzare l'acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per la produzione di vapore surriscaldato ad alto contenuto entalpico.4.Produzione di energia elettrica — Il vapore generato mette in movimento una turbina che, accoppiata a un motoriduttore e a un alternatore, trasforma l'energia termica in energia elettrica producendo corrente alternata per espansione del vapore surriscaldato.5.Estrazione delle ceneri — Le componenti dei rifiuti non combustibili vengono raccolte in una vasca piena d'acqua posta a valle dell'ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo modo, sono quindi estratte e smaltite in discariche speciali. Ovviamente, separando preventivamente gli inerti dalla frazione combustibile si ottiene una riduzione delle scorie. L'acqua di raffreddamento (circa 2.5 m3/t) deve essere depurata prima di essere scaricata in ambiente. Le ceneri sono classificate come rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del peso del rifiuto in ingresso) intercettate dai sistemi di filtrazione sono classificate come rifiuti speciali pericolosi. Entrambe sono smaltite in discariche per rifiuti speciali. Vi sono state esperienze di riuso delle ceneri pesanti.6.Trattamento dei fumi — Dopo la combustione i fumi caldi (circa il 140-150% in peso del rifiuto in ingresso[20]) passano in un sistema multi-stadio di filtraggio, per l'abbattimento del contenuto di agenti inquinanti sia chimici che solidi. Dopo il trattamento e il raffreddamento i fumi vengono rilasciati in atmosfera a circa 140 °C.[21]

Tipologie di inceneritore

Il joule è l'unità di misura dell'energia, del lavoro e del calore MJ=Megajaule

In funzione della specifica tecnologia adoperata nella camera di combustione primaria, è possibile distinguere le seguenti tipologie di inceneritore.

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Inceneritore a griglie

Questi inceneritori possiedono un grosso focolare, con griglie metalliche normalmente a gradini formate da barre o rulli paralleli. La griglia può essere mobile o fissa e in diverse zone vengono raggiunte differenti temperature che permettono un più graduale riscaldamento. È presente anche un sistema di raffreddamento. Oltre alla normale combustione primaria, viene effettuata anche una combustione secondaria, ottenuta con un'ulteriore insufflazione d'aria che genera una notevole turbolenza, permettendo di migliorare il miscelamento aria-combustibile. Le ceneri prodotte vengono raccolte e raffreddate in vasche piene d'acqua.

Gli inceneritori più vecchi e impiantisticamente più semplici consistevano in una camera di mattoni con una griglia posta rispettivamente sopra e sotto la raccolta delle ceneri. Mentre quella posta superiormente, e avente una apertura in cima o lateralmente, veniva utilizzata per caricare il materiale da bruciare, quella inferiore permetteva la rimozione del residuo solido incombusto tramite l'apertura laterale.

In confronto con le altre tipologie di inceneritori, gli impianti con griglie mobili sono quelli maggiormente sfruttati per i rifiuti urbani e permettono, grazie al movimento dei rifiuti all'interno della camera di combustione, una ottimizzazione della combustione stessa. Una singola griglia è in grado di trattare più di 35 t/h di rifiuti e può lavorare 8.000 ore l'anno con una sola sospensione dell'attività, per la durata di un mese, legata alla manutenzione e controlli programmati.[22] Una parte dell'aria necessaria alla combustione primaria viene fornita dal basso della griglia e questo flusso viene anche sfruttato per raffreddare la griglia stessa. Il raffreddamento è importante per il mantenimento delle caratteristiche meccaniche della griglia, e molte griglie mobili sfruttano anche il raffreddamento tramite un flusso interno di acqua. L'aria necessaria alla combustione secondaria viene immessa ad alta velocità superiormente alla griglia e ha lo scopo di portare a completamento la reazione di combustione, realizzando una condizione di eccesso di ossigeno e una turbolenza che assicura un mescolamento ottimale di combustibile e comburente.

È da notare però che alle griglie è legato un certo insieme di problematiche tecniche tra le quali spicca il deposito di polveri, con la necessità di un certo livello di manutenzione periodica programmata.

Inceneritore a letto fluido

Rappresentazione schematica di un letto fluido

La combustione a letto fluido è ottenuta inviando dal basso un forte getto di aria attraverso un letto di sabbia. Il letto quindi si solleva, mentre le particelle si mescolano e sono sotto continua agitazione. A questo punto vengono introdotti i rifiuti e il combustibile. Il sistema sabbia/rifiuto/combustibile viene mantenuto in sospensione sul flusso di aria pompata e sotto violento mescolamento e agitazione, assumendo in tale modo caratteristiche simil-fluide (da cui il letto fluido). Questo processo, detto fluidizzazione, ha l'effetto di diminuire la densità del sistema in oggetto pur senza alterarne la natura originaria. Tutta la massa di rifiuti, combustibile e sabbia circola completamente all'interno della fornace. La tecnologia a letto fluido è di comune utilizzo nell'ambito dell'ingegneria chimica, e viene utilizzata ad esempio anche in reattori per attuare la sintesi chimica e nell'ambito della petrolchimica.

Una camera di combustione a letto fluido permette di ridurre le emissioni di ossidi di zolfo SOx) mescolando calcare o dolomite in polvere alla sabbia: in tal modo infatti lo zolfo non viene ossidato formando gas, bensì precipita sotto forma di solfato. Tra l'altro, tale precipitato caldo permette di migliorare lo scambio termico per la produzione di vapor acqueo. Dato che il letto fluido consente anche di operare a temperature inferiori (800 °C), operando a tali temperature è possibile ridurre le emissioni di ossidi di azoto (NOx).[23]

Uno studio comparativo ha confrontato le emissioni di polveri sottili, caratterizzandone dimensione, composizione e concentrazione, e di elementi traccia relativamente all'utilizzo di una camera a griglie e di una camera a letto fluido (FBC) a monte dei sistemi di filtraggio. È emerso che le emissioni di particelle con diametro inferiore a 1 µm (PM1) sono approssimativamente quattro volte maggiori nel caso delle griglie, con valori di 1-1,4 g/Nm3 (grammi al normalmetrocubo) mcontro i 0,25-0,31 g/Nm3 del letto fluido. È stata misurata anche la quantità totale media di ceneri prodotte, che è risultata essere di 4,6 g/Nm3 nel caso del letto fluido e di 1,4 g/Nm3 nel caso delle griglie.[25]

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Il letto fluido ha il vantaggio di richiedere poca manutenzione e ovviamente, data la particolare costituzione, non necessita di componenti in movimento. Possiede anche un rendimento leggermente superiore rispetto ai forni a griglia, ma richiede combustibile a granulometria piuttosto omogenea.

Le tipologie di letto fluido più sfruttate rientrano principalmente in due categorie: sistemi a pressione atmosferica (fluidized bed combustion, FBC) e sistemi pressurizzati (pressurized fluidized bed combustion, PFBC). Questi ultimi sono in grado di generare un flusso gassoso ad alta pressione e temperatura in grado di alimentare una turbina a gas che può realizzare un ciclo combinato ad alta efficienza.[26]

Inceneritore a forno rotativo

Gli impianti a forno rotativo[27] hanno utilizzo di elezione nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti industriali e speciali, ma possono anche essere utilizzati per i RSU. Si hanno due camere di combustione: la camera di combustione primaria consiste in un tubo cilindrico costruito in materiale refrattario e inclinato di 5-15°, il cui movimento attorno al proprio asse dirotazione viene trasmesso ai rifiuti. La rotazione fa accumulare all'estremità del cilindro le ceneri e il resto della frazione non combusta solida, che viene infine raccolta all'esterno. I gas passano invece in una seconda camera di combustione stavolta fissa. La camera di combustione secondaria è necessaria per portare a completamento le reazioni di ossidazione in fase gassosa.

In relazione alla pericolosità del rifiuto trattato, le emissioni gassose possono richiedere un più accurato sistema di pretrattamento prima dell'immissione in atmosfera. Molte particelle tendono a essere trasportate insieme con i gas caldi, per questo motivo viene utilizzato un "post-bruciatore" dopo la camera di combustione secondaria per attuare una ulteriore combustione.[28] Un semplice diagramma schematico di un forno rotativo è questo.

Inceneritore a focolare multi-step

Il nome di questa tecnologia è legato al passaggio su più focolari del materiale da trattare. I rifiuti vengono trasportati attraverso la fornace muovendo una dentatura meccanica che fa parte di braccia agitanti montate su un asse centrale rotante che si estende a una certa altezza dal focolare. I rifiuti in entrata vengono caricati da una estremità, mentre i residui della combustione vengono asportati dall'altra estremità. Il carico/scarico dei rifiuti viene ripetuto automaticamente secondo il numero di focolari presenti. Un modello specifico è il forno di pirolisi a piani, studiato in origine per l'incenerimento di fanghi di varia natura (inclusi i fanghi biologici inattivati) ed occasionalmente usato nell'incenerimento di RSU che abbiano buone caratteristiche di trasporto.

Con questo metodo, oltre ai rifiuti industriali e solidi urbani, è possibile trattare anche fanghi di varia origine.

Recupero energetico

Tubature per teleriscaldamento a Tubinga, in Germania

Negli impianti più moderni, il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato e utilizzato per produrre vapore, poi utilizzato per la produzione di energia elettrica o come vettore di calore (ad esempio per il teleriscaldamento). Il rendimento di tali impianti è però molto minore di quello di una normale centrale elettrica, poiché i rifiuti non sono un buon combustibile per via del loro basso potere calorifico, e le temperature raggiunte in camera di combustione sono inferiori rispetto alle centrali tradizionali. Talvolta per aumentare l'efficienza della combustione insieme ai rifiuti viene bruciato anche del gasmetano.

L'indice di sfruttamento del combustibile i inceneritori e centrali elettriche può essere aumentato notevolmente abbinando alla generazione di energia elettrica il teleriscaldamento, che permette il recupero del calore prodotto che verrà poi utilizzato per fornire acqua calda. Tuttavia non sempre il calore recuperato può essere effettivamente utilizzato per via delle variazioni stagionali dei consumi energetici; ad esempio, in estate lo sfruttamento del calore può calare notevolmente, a meno che non siano presenti attrezzature che permettano di sfruttarlo per il raffreddamento.

Oggi gran parte degli inceneritori sono dotati di qualche forma di recupero energetico[30] ma va rilevato che solo una piccola minoranza di impianti è collegata a sistemi di teleriscaldamento e pertanto viene recuperata solo l'elettricità.

L'efficienza energetica di un termovalorizzatore è variabile tra il 19 e il 27% se si recupera solo l'energia elettrica [ ma aumenta molto col recupero del calore (cogenerazione). Ad esempio, nel caso dell'inceneritore di Brescia si ha un

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rendimento del 26% in produzione elettrica e del 58% in calore per teleriscaldamento, con un indice di sfruttamento del combustibile dell'84%.[32] A titolo di confronto una moderna centrale termoelettrica a ciclo combinato, il cui scopo primario è ovviamente quello di produrre elettricità, ha una resa del 57% per la produzione elettrica, e se abbinata al teleriscaldamento raggiunge l'87%.[33] Tipicamente per ogni tonnellata di rifiuti trattata possono essere prodotti circa 0,67 MWh di elettricità e 2 MWh di calore per teleriscaldamento.[34]

Volendo invece confrontare il rendimento energetico delle varie tecnologie di trattamento termico dei rifiuti, il discorso è molto più complesso, meno documentato e fortemente influenzato dal tipo di impianto. In linea di massima le differenze sono dovute al fatto che, mentre in un inceneritore i rifiuti vengono direttamente bruciati ed il calore viene usato per produrre vapore, negli impianti di gassificazione/pirolisi i rifiuti vengono invece convertiti parzialmente in gas (syngas) che può essere poi utilizzato in cicli termodinamici più efficienti, come ad esempio un ciclo combinato sopra richiamato. La possibilità di utilizzare diversi cicli termodinamici permette a tali impianti maggiore flessibilità nella regolazione dei rapporti fra produzione di calore e di elettricità, rendendoli meno sensibili alle variazioni stagionali dei consumi energetici (in altre parole d'inverno si può produrre più calore e d'estate più elettricità).

Scorie

L'incenerimento dei rifiuti produce scorie solide pari circa al 10-12% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, e in più ceneri per il 5%.[35] Gran parte della massa immessa nei forni viene infatti combusta ottenendo dei fumi che verranno opportunamente pretrattati prima di essere emessi dal camino.

•Le ceneri volanti e le polveri intercettate dall'impianto di depurazione dei fumi sono rifiuti speciali altamente tossici (in quanto concentrano molti degli inquinanti più nocivi), che come tali sono soggetti alle apposite disposizioni di legge e sono poi conferiti in discariche speciali.•Le scorie pesanti, formate dal rifiuto incombusto – acciaio, alluminio, vetro e altri materiali ferrosi, inerti o altro –, sono raccolte sotto le griglie di combustione e possono poi essere divise a seconda delle dimensioni e quindi riciclate se non troppo contaminate.

Le scorie sono generalmente smaltite in discarica e costituiscono una grossa voce di spesa. Tuttavia, possono rivelarsi produttive: un esempio di riciclaggio di una parte delle scorie degli inceneritori è l'impianto BSB di Noceto, nato dalla collaborazione fra CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) e Bsb Prefabbricati; qui si trattano le scorie provenienti dai termovalorizzatori gestiti dalle società Silea S.p.A. (impianto di Lecco) e Hera (impianti di Rimini, Ferrara, Forlì, Ravenna) con 30.000 tonnellate di scorie l'anno da cui si ricavano 25.000 tonnellate (83%) di materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate (5%) di metalli ferrosi e 300 tonnellate (1%) di metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. Infine, circa l'11% delle scorie non può essere recuperato.

Le scorie e le ceneri vengono caricate su un nastro trasportatore; i rottami ferrosi più consistenti sono subito raccolti, quelli più piccoli vengono rimossi poi con un nastro magnetico. Appositi macchinari separano dal resto i rimanenti metalli a-magnetici (prevalentemente alluminio); tutto il resto, miscelato con opportune dosi di acqua, inerti, cemento e additivi, e reso così inerte, va a formare calcestruzzo subito adoperato per la produzione di elementi per prefabbricati. Con un trattamento di questo genere, si riduce la necessità della discarica in seguito al trattamento nell'inceneritore in quanto ultimo anello della catena di gestione dei rifiuti, dal momento che le scorie pesanti risultano praticamente costituite solamente da sostanza organica o coke incombusti in ragione di una percentuale variabile dal 3,5% al 10-15%.A titolo di confronto, si segnala che il solo inceneritore di Brescia produce circa 105.000 tonnellate di scorie, che vengono in buona parte (nel 2011 il 100%) riciclate come materiali grazie al recupero di alcuni tipi di metalli (ferro,alluminio, rame, piombo e zinco) e di inerti utilizzabili nell'edilizia. Solo una percentuale ridotta (0% nel 2011 e comunque negli anni precedenti andava a sostituire ghiaia, materiale più pregiato) finisce in discarica.

Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato la tossicità dei calcestruzzi contenenti scorie[senza fonte][37], anche se con tecniche opportune la si può ridurre significativamente: sono ancora in corso degli studi.[38] Non è noto il bilancio energetico totale (e le relative emissioni) di queste procedure ed in che quota questo eroda il recupero energetico della filiera di trattamento dei rifiuti mediante incenerimento.

Un'altra tecnologia che si sta sperimentando è la vetrificazione delle ceneri con l'uso della torcia al plasma. Con questo sistema si rendono inerti le ceneri, risolvendo il problema dello smaltimento delle stesse come rifiuti speciali, inoltre si studia la possibilità di un loro riutilizzo come materia prima per il comparto ceramico e cementizio.

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Altri trattamenti termici dei rifiuti

Esistono alcune alternative ai classici inceneritori, attualmente però poco diffuse in Europa.

Gassificatori e pirolizzatori

Un'alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione sono i gassificatore (da non confondersi coi rigassificatori) e gli impianti di pirolisi. In tali impianti i rifiuti vengonodecomposti termochimicamente mediante l'insufflazione di una corrente di azoto nei gassificatori anche ossigeno) ad elevate temperature, ottenendo come prodotti finali un gas combustibile (detto syngas) e scorie solide. In pratica mentre negli inceneritori il materiale viene riscaldato in presenza di ossigeno e avviene una combustione che genera calore e produce composti gassosi ossidati, negli impianti di pirolisi lo stesso riscaldamento viene effettuato in assenza totale di ossigeno e il materiale subisce la scissione dei legami chimicioriginari con formazione di molecole più semplici. La gassificazione, che avviene in presenza di una certa quantità di ossigeno, può essere considerata come una tecnologia intermedia tra l'incenerimento e la pirolisi propriamente detta.

Esistono numerosi processi basati su pirolisi e gassificazione, più o meno diffusi e collaudati, che differiscono fra loro per tipo di rifiuto trattato, per emissioni e per prodotti di risulta (liquidi, gassosi, solidi). In generale la maggior parte di essi è caratterizzata dal fatto che il materiale da trattare deve essere finemente sminuzzato per essere investito in maniera uniforme dalla corrente di azoto (pirolizzatori) o azoto e ossigeno (gassificatori). Le temperature operative sono in genere fra 400 e 800 C° nel caso della pirolisi e mentre per la gassificazione sono nettamente più elevate. Le emissioni delle due tecnologie sono sensibilmente differenti rispetto a quelle relative ad un inceneritore, e variabili in relazione agli specifici impianti e processi utilizzati nonché al tipo di materiale trattato.

Torcia al plasma

Un particolare tipo di gassificazione fa uso di una torcia al plasma a temperature comprese fra i 7000 e i 13000 °C, che decompone del tutto le molecole organiche e vetrifica tutti i residui eliminando così in teoria le problematiche relative all' inquinamento, poiché non dovrebbe permettere la produzione di nessun composto gassoso tossico o pericoloso comediossine, furani o ceneri diventando perciò un ottimo modo per trattare pneumatici, PVC, rifiuti ospedalieri e altri rifiuti industriali, nonché rifiuti urbani non trattati. I punti critici di tali impianti sono però lo sfruttamento commerciale del materiale vetrificato e la produzione di nanopolveri, che possono sfuggire alla vetrificazione e sono presenti nei fumi in concentrazioni non ancora esattamente determinate.

Soluzioni di filtraggio delle emissioni al camino

I sistemi di depurazione dei fumi attuali sono costituiti da varie tecnologie e sono pertanto detti multistadio. Questi sistemi si suddividono in base al loro funzionamento in semisecco, secco, umido e misto. La caratteristica che li accomuna è quella di essere concepiti a più sezioni di abbattimento, ognuna in linea di massima specifica per determinati tipi di inquinanti. In base alla natura chimica della sostanza da "abbattere" vengono fatte avvenire delle reazioni chimiche con opportuni reagenti allo scopo di produrre nuovi composti non nocivi, relativamente inerti e facilmente separabili.

A partire dagli anni ottanta si è affermata l'esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione (ad esempio ossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l'anidride solforosa) e di perseguire un più efficace abbattimento delle polveri in relazione alla loro granulometria. Si è passati dall'utilizzo di sistemi, quali ciclonie multicicloni, con efficienze massime di captazione delle polveri rispettivamente del 70% e dell'85%, ai precipitatori elettrostatici (ESP) o filtri a maniche che garantiscono efficienze notevolmente superiori (fino al 99% e oltre). Attualmente le norme vigenti fanno riferimento alle emissioni di polveri totali.

Accanto a ciò, sono state sviluppate misure di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche costruttive dei forni e migliorando l'efficienza del processo di combustione. Questo risultato si è ottenuto attraverso l'utilizzo di temperature più alte (con l'immissione di discrete quantità di metano), di maggiori tempi di permanenza dei rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all'immissione di aria secondaria per garantire l'ossidazione completa dei prodotti della combustione.

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Tuttavia l'aumento delle temperature, se da un lato riduce la produzione di certi inquinanti (per es. diossine), dall'altra aumenta la produzione di ossidi di azoto e soprattutto di particolato il quale quanto più è fine, tanto più difficile è da intercettare anche per i più moderni filtri, per cui si deve trovare un compromesso, considerato anche che il metano usato comunque ha un costo notevole. Per questi motivi talvolta gli impianti prevedono postcombustori a metano e/o catalizzatori che funzionano a temperature inferiori ai 900 °C.

Abbattimento degli NOx

Come detto la formazione di ossidi d'azoto aumenta quasi esponenzialmente al crescere della temperatura di combustione. Vanno citate le attrezzature specificatamente previste per l'abbattimento degli ossidi di azoto, per i quali i processi che vengono normalmente utilizzati sono del tipo catalitico o non catalitico.

La prima di queste tecnologie, definita riduzione selettiva catalitica (SCR), consiste nell'installazione di un reattore a valle della linea di depurazione in cui viene iniettata ammoniacanebulizzata, che, miscelandosi con i fumi e attraversando gli strati dei catalizzatori, trasforma alla temperatura di 300 °C gli ossidi di azoto in acqua e azoto gassoso, gas innocuo che compone circa il 79% dell'atmosfera. Visto che è possibile che una certa quantità di ammoniaca non reagita sfugga dal camino ("ammonia slip"), sono state elaborate altre metodiche che non fanno uso di ammoniaca quale reagente ovvero che prevedono l'uso di un ulteriore catalizzatore per prevenirne la fuga.

La seconda tecnologia, chiamata Riduzione Selettiva Non Catalitica (SNCR), spesso preferita perché più economica, presenta il vantaggio di non dover smaltire i catalizzatori esausti ma ha caratteristiche di efficacia inferiori ai sistemi SCR, e consiste nell'iniezione di un reagente (urea che ad alta temperatura si dissocia in ammoniaca) in una soluzione acquosa in una zona dell'impianto in cui in cui la temperatura è compresa fra 850 °C e 1.050 °C con la conseguente riduzione degli ossidi di azoto in azoto gassoso e acqua. Altri processi non catalitici sfruttano la riduzione con ammoniaca attuata tramite irraggiamento con fascio di elettroni o tramite l'utilizzo di filtri elettrostatici.

Abbattimento dei microinquinanti

Altri sistemi sono stati messi a punto per l'abbattimento dei microinquinanti come metalli pesanti (mercurio, cadmio ecc) e diossine.

Riguardo ai primi, presenti sia in fase solida che di vapore, la maggior parte di essi viene fatta condensare nel sistema di controllo delle emissioni e si concentra nel cosiddetto "particolato fine" (ceneri volanti). Il loro abbattimento è poi affidato all'efficienza del depolveratore che arriva a garantire una rimozione superiore al 99% delle PM10 prodotte, ma nulla può contro il PM2,5 e le nanopolveri. Per tale motivo le polveri emesse sono considerate particolarmente nocive.

Per quanto riguarda l'abbattimento delle diossine e dei furani il controllo dei parametri della combustione e della post-combustione (elevazione della temperatura a oltre 850 °C), sebbene in passato fosse considerato di per sé sufficiente a garantire valori di emissione in accordo alle normative, è oggi considerato insufficiente e quindi accompagnato (nei nuovi impianti) da un ulteriore intervento specifico basato sulle proprietà chimicofisiche dei carboni attivi. Questo ulteriore processo viene effettuato attraverso un meccanismo dichemiadsorbimento, cioè facendo "condensare" i vapori di diossine e furani sulla superficie dei carboni attivi. Questi non sono altro che carbone in polvere, il quale può esibire 600 m² di superficie ogni grammo: detto in altri termini funziona come una specie di "spugna". Queste proprietà garantiscono abbattimenti dell'emissione di diossine e furani tali da premettere di operare al di sotto dei valori richiesti dalla normativa. Anche qui la filtrazione della polvere di carbone esausta è affidata al depolveratore in quanto evidentemente i carboni esausti (cioè impregnati di diossine) sono altamente nocivi e sono considerati rifiuti speciali pericolosi, da smaltire in discariche speciali.

Sono allo studio metodi di lavaggio dei fumi in soluzione oleosa per la cattura delle diossine che sfruttino la loro spiccata solubilità nei grassi.

Abbattimento delle polveri

Un precipitatore di polveri

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La pericolosità delle polveri prodotte da un inceneritore è potenzialmente estremamente elevata. Questo è confermato dai limiti particolarmente severi imposti dalla normativa per i fumi, limitata però alle polveri totali senza discriminare le relative dimensioni delle stesse. Infatti, se da un lato la combustione dei rifiuti produce direttamente enormi quantità di polveri dalla composizione chimica varia, dall'altra alcune sezioni dei sistemi di filtrazione ne aggiungono di ulteriori (in genere calce o carboni attivi) per assorbire metalli pesanti e diossine come sopra spiegato. Pertanto, le polveri finiscono per essere un concentrato di sostanze pericolose per la vita umana ed animale.

Per tali motivi, l'importanza e l'efficacia dei depolveratori è molto elevata. Vengono in genere usati sia filtri elettrostatici (dagli elevati consumi elettrici, poco efficaci su ceneri contenenti poco zolfo ma in generale abbastanza efficaci se frequentemente ripuliti[40]), sia filtri a maniche (non adatti ad alte temperature e soggetti ad intasamento). Attualmente la legge non prevede limiti specifici per le polveri fini (PM10, ecc.) per cui la reale efficacia di tali sistemi su queste particelle è oggetto di dibattiti accesi. Tuttavia il rispetto della legge vigente è, in genere, ampiamente garantito. In ogni caso, le polveri trattenute devono essere smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi: in taluni casi vengono smaltite all'estero (in Germania le miniere di salgemma vengono usate per questo oltre che per i rifiuti radioattivi).

Incentivi all'incenerimento

In Italia, i costi dello smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento sono indirettamente sostenuti dallo Stato sotto la forma di incentivi alla produzione di energia elettrica: infatti questa modalità di produzione era considerata (sebbene in violazione delle normative europee in materia), come da fonte rinnovabile (assimilata) alla stregua di idroelettrico, solare, eolico e geotermico.[41]

Le modalità di finanziamento sono due, correlate ma diverse:

1.pagamento maggiorato dell'elettricità prodotta per 8 anni (incentivi cosiddetti CIP 6);2.riconoscimento di "certificati verdi" che il gestore dell'impianto può rivendere (per 12 anni).

Problematiche sanitarie

Gli aspetti sanitari relativi alle ricadute sulla popolazione di una data attività umana non possono essere valutati solamente sulla base dei valori di emissione al camino (o allo scarico per inquinanti liquidi). In altri termini, fra i valori di emissione e l'effetto sulla salute possono inserirsi altri fattori, direttamente influenzati dalle emissioni ma intermedi fra "emissione" e "salute". Tali inquinanti "intermedi" sono detti inquinanti secondari per distinguerli dagli inquinanti primari direttamente emessi dagli impianti. Risulta ad esempio noto dalla chimica ambientale che alcuni inquinanti di estrema importanza per la salute sono inquinanti secondari (come l'ozono, non prodotto dalla combustione ma generato dall'interazione fra inquinanti primari derivati dalle combustioni e radiazione solare).

Un approccio sanitario completo deve (o dovrebbe) quindi valutare anche gli inquinanti secondari, cosa però molto difficile in pratica. Anche per questo motivo ci si limita pertanto agli inquinanti primari (facilmente rilevabili in quanto misurabili al camino o allo scarico) e, per gli inceneritori, le indagini considerano in primis le diossine ed i metalli pesanti.

A proposito dei dati, appunto strettamente sanitari, si rileva anche il fatto che gli stessi dati epidemiologici per loro natura possono sottostimare o fallire nel rilevare il rischio reale. Il problema è complesso; sull'errore influisce una buona dozzina di fattori, metodologici o no. Se ne segnalano i principali.

•Alcune metodiche di studio in genere congelano una data situazione anziché seguirla nel tempo, processo lungo e costoso (cross-sectional vs longitudinal epidemiologic studies);•si focalizzano su un determinato agente causale trascurando interazioni e sinergie tra i contaminanti;•si focalizzano solo su una specifica determinata patologia, magari per direzioni impartite dal committente;•fanno uso di statistica univariata e non di quella multivariata, di approccio in genere più ostico.•Bisogna considerare anche l'individuazione corretta della popolazione esposta;•la possibilità che la popolazione generale sia meno sana di quella in studio.

Anche per questo aspetto si può rappresentativamente citare un lavoro di Lorenzo Tomatis, già direttore IARC e punto di riferimento internazionale sugli aspetti sanitari e ambientali.[54]

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Studi epidemiologici

Son stati effettuati numerosi studi per analizzare l'incidenza di tumori nei dintorni di impianti di incenerimento. I risultati sono al momento ancora contrastanti.

Studi epidemiologici, anche recentissimi, condotti in paesi sviluppati e basati su campioni di popolazione esposta molto vasti, evidenziano una correlazione tra patologie tumorali (sarcoma) e l'esposizione a diossine derivanti da inceneritori e attività industriali.[55]

Altre indagini epidemiologiche prendono in particolare considerazione gli inceneritori come fonte d'inquinamento da metalli pesanti, ed eseguono accurate analisi considerando sia fattori socio-economici sia le popolazioni esposte nelle precise zone di ricaduta (mappe di isoconcentrazione tracciate per rilevamento puntuale e interpolazione spaziale col metodo di kriging). L'analisi, accurata pur se limitata solo ad alcune popolazioni, evidenzia inequivocabilmente aumenti statisticamente significativi di patologie tumorali, ad esempio nelle donne residenti in zona da almeno cinque anni. Nello studio viene ugualmente rilevata l'esposizione ad ossidi di azoto NOx).[56]

Un lavoro giapponese del 2005 ha tentato di mettere in relazione le diossine presenti nel latte materno con la distanza dagli inceneritori. Le conclusioni sono state che (nei limiti e nell'estensione dello studio) «nonostante gli inceneritori fossero la maggior fonte di diossine in Giappone al momento dello studio, i livelli di diossine nel latte materno non hanno mostrato apparente correlazione con le distanze tra il domicilio delle madri e gli inceneritori di rifiuti».

Un'analisi sintetica degli effetti sulla salute, svincolati dalla sola analisi dei singoli composti emessi – difficilmente studiabili se non in totoper gli effetti sinergici e di amplificazione dei componenti della miscela –, si può invece evincere da alcuni altri lavori: sempre in Giappone si è rilevata correlazione tra l'aumento di una serie di disturbi minori nei bambini e distanza dagli impianti.[ Passando a problemi di ordine maggiore, si sono rilevati aggregati (cluster) di aumento di mortalità per linfoma non Hodgkin; altri studi, nonostante difficoltà relative all'analisi dei dati, aggiungono risultati significativi sull'incidenza di tumore polmonare, linfoma non Hodgkin, sarcomi ai tessuti molli, tumori pediatrici, malformazioni neonatali. Diversi studi europei rivelano, sempre nell'ambito delle patologie tumorali, correlazioni con la presenza di inceneritori, in coerenza con analoghi studi precedenti.

Ma, in questo ambito, gli studi sono controversi e discordanti: a titolo di esempio uno studio effettuato in Gran Bretagna, con lo scopo di valutare l'incidenza di varie tipologie di cancro in una popolazione che vive in prossimità di impianti di incenerimento, ha evidenziato che il rischio aggiuntivo di contrarre il cancro dovuto alla vicinanza degli inceneritori è estremamente basso. Sempre lo stesso studio rileva che un moderno inceneritore influisce sull'assorbimento umano medio di diossina in percentuale inferiore all'1% dell'assorbimento totale derivato dall'insieme delle emissioni ambientali (come precedentemente rilevato l'assorbimento di diossina avviene principalmente con la dieta). Inoltre, riguardo a specifiche patologie tumorali, lo studio afferma che non c'è evidente correlazione tra l'esposizione alle emissioni degli inceneritori e l'incidenza di cancro allo stomaco, all'apparato gastrointestinale e ai polmoni; i fattori socio-economici hanno un ruolo determinante. Sull'incidenza dell'angiosarcoma, lo studio in questione evidenzia che non è possibile effettuare alcuna correlazione a causa della mancanza di informazioni sull'accuratezza della diagnosi effettuata sulla popolazione generale; comunque la commissione di studio è giunta alla conclusione che non c'è alcuna prova più generale dell'esistenza di aggregati e non sono necessari ulteriori studi nel breve termine.[62] Sempre in Gran Bretagna, nel 2008 la British Society for Ecological Medicine (BSEM) ha pubblicato uno studio[ avente l'obiettivo di riassumere i risultati dei principali studi epidemiologici e dimostrare gli effetti nocivi degli inceneritori sulla salute. Tale studio è stato ampiamente criticato dall'Health Protection Agency britannica che ha accusato la BSEM di aver utilizzato per le sue conclusioni solamente gli studi scientifici con risultati favorevoli alle conclusioni volute, tralasciandone altri con opposte vedute[64].

Sull'effetto dei metalli pesanti dispersi dalla combustione di rifiuti pericolosi sulla salute della popolazione si rileva che le emissioni non si limitano alle sostanze aerodisperse, ma possono riguardare anche le acque o i siti di stoccaggio delle ceneri.[65]

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Uno studio britannico ha analizzato la distribuzione del piombo e cadmio derivato dalle emissioni di polveri sottili di un inceneritore per fanghi di depurazione evidenziando che nelle adiacenze dell'inceneritore si rilevano picchi maggiori di concentrazione, seppure l'impatto sia relativamente piccolo rispetto alle altre attività antropiche nella zona oggetto di studio

In Italia, negli anni 2001-2004, è stato commissionato dal Ministro dell'Ambiente Altero Matteoli uno studio sulla Sostenibilità ambientale della termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani, svolto dal dipartimento di Fisica tecnica dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e dal dipartimento di ingegneria impiantistica dell'Università di Perugia. Secondo i resoconti della Commissione Ambiente e Territorio dell'epoca «la tecnologia di termovalorizzazione è ormai affidabile e sostenibile, [...] Inoltre, quando gli impianti sono a norma, i rischi di insorgenze di malattie tumorali nella popolazione sono stati abbattuti drasticamente. [...] i rischi di carattere sanitario connessi alla realizzazione di termovalorizzatori di ultima generazione sono assolutamente trascurabili».

Tale studio è stato criticato sia in Commissione, sia da soggetti esterni hanno rilevato come esso trascuri completamente le problematiche ambientali e non specifichi quali siano i parametri e indicatori di tale compatibilità ambientale di tali impianti.

Norme vigenti in Italia

Secondo l'articolo 216 del testo unico delle leggi sanitarie, gli inceneritori sono classificati come fabbriche insalubri di prima classe e come tali "debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni".

Emissioni

Il valore delle emissioni viene misurato "al metrocubo di fumi" cioè per concentrazione, e non sui valori totali.

I limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al metro cubo di fumi e non all'emissione totale. Pertanto, bruciando più rifiuti si ottengono più fumi e quindi più emissioni inquinanti, ma si rimane sempre nei parametri di legge.

Detto in altri termini, i limiti sono relativi alla concentrazione dell'inquinante all'emissione, ma non al flusso di massa: quindi si occupano della qualità dell'emissione, per incentivare l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, ma non della quantità delle emissioni cioè dell'impatto complessivo sull'ambiente. Per tale motivo, le norme non garantiscono necessariamente un valore di concentrazione degli inquinanti "sicuro" in base a studi medici ed epidemiologici sull'effetto degli inquinanti, ma si riferiscono ai valori che è possibile ottenere tecnicamente con gli impianti migliori.

I limiti sulle emissioni non sono stabili ma vengono adeguati nel tempo in base alle tecnologie di abbattimento degli inquinanti disponibili sul mercato, seppure con l'inevitabile ritardo dovuto ai tempi legislativi. Spesso però tali limiti vengono richiesti solo per la costruzione di nuovi impianti, mentre agli impianti già esistenti vengono concesse lunghe deroghe.

Nonostante le normative vigenti, non sono comunque mancati casi di impianti in cui si siano rilevate alcune infrazioni per il mancato rispetto di normative o per il superamento del tonnellaggio di rifiuti inceneriti originariamente ammesso. È comunque difficile che l'accertamento di un'infrazione sfoci in provvedimenti molto severi come il sequestro dell'impianto, perché in tal caso si potrebbe creare un'emergenza rifiuti molto pericolosa. Fra febbraio e giugno del 2007, tuttavia, l'inceneritore di Trieste è stato posto sotto sequestro per il superamento dei limiti di legge riguardanti le emissioni di diossine, superiori anche di 10 volte il limite autorizzato.

L'adeguamento dei vecchi impianti alle nuove normative procede a rilento, ed è solitamente collegato agli ampliamenti degli impianti. Da ciò deriva che spesso impianti di piccole dimensioni hanno emissioni (riferite al metrocubo di fumi e non al flusso totale) maggiori di impianti più grandi.

Norme sulle emissioni

Le nuove tecnologie permettono oggi di raggiungere valori assai elevati di abbattimento delle emissioni inquinanti, nel rispetto del Decreto Legislativo 133/2005.

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Il provvedimento regola tutte le fasi dell'incenerimento dei rifiuti, dal momento della ricezione nell'impianto fino alla corretta gestione e smaltimento delle sostanze residue:

•disciplina i valori limite di emissione degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti,•i metodi di campionamento, di analisi e di valutazione degli inquinanti derivanti dagli stessi impianti,•i criteri e le norme tecniche generali riguardanti le caratteristiche costruttive e funzionali, nonché le condizioni di esercizio degli impianti, con particolare riferimento alle esigenze di assicurare una elevata protezione dell'ambiente contro le emissioni causate dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti,•i criteri temporali di adeguamento degli impianti già esistenti alle disposizioni del presente decreto;•prevede che i cittadini possano accedere a tutte le informazioni, così da essere coinvolti nelle eventuali opportune decisioni.

Valori di emissione in atmosfera e nelle acque

Per ogni tonnellata di rifiuti immessi, si ha l'emissione di circa 6000 metri cubi di fumi.

Per quanto riguarda l'Italia, i limiti di legge imposti agli inceneritori per le emissioni in atmosfera sono evidenziati nella tabella 2, in paragone – semplificato – con altri tipi di impianto presenti sul territorio (si veda il DL 133/2005 per gli inceneritori e il DL 3 aprile 2006, n. 152 per gli altri impianti):

Le polveri

Gli inceneritori, e in generale qualsiasi processo di combustione di combustibili solidi e liquidi, rilasciano nell'aria polveri sottili. Indicativamente, per un inceneritore, considerando una produzione di fumi di 6000 m³/t di rifiuti e il limite giornaliero di 10 mg/Nm³, l'emissione è di 60 grammi/t.

Tuttavia, questa è una indicazione solo quantitativa: molto importante è anche l'aspetto qualitativo cioè la finezza delle polveri emesse (PM10, PM2,5 ecc.). In genere più sono alte le temperature di combustione e più aumenta la finezza delle polveri. Tali polveri sottili sono nocive a causa delle loro piccole dimensioni e del fatto che con sé trasportano, tramite fenomeni chimico-fisici quali l'adsorbimento, materiali tossici e nocivi residui della combustione, come idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene, metalli pesanti e diossine, pericolosi perché persistenti e accumulabili negli organismi viventi.

Gli inceneritori contribuiscono all'emissione antropica di polveri fini e ultrafini in aree urbane, motivo per cui tali emissioni sono sotto osservazione per valutarne l'importanza relativa rispetto alle altre fonti (naturali o antropiche), non ancora del tutto chiarita. Anche per via delle recenti preoccupazioni sulle nanopolveri gli inceneritori sono visti con sospetto sia da alcuni ricercatori che da parte dell'opinione pubblica, mentre altri li considerano sostanzialmente innocui.

Un recente studio svolto per la Provincia di Bolzano ha misurato la concentrazione di particelle di diametro compreso tra i 5,5 e i 350 nanometri (quindi polveri cosiddette ultrafini) in vari punti, trovando valori di 10-20000 particelle per centimetro quadrato nei pressi dell'autostrada, 5-7000 al camino dell'inceneritore, 5-10000 nel punto di massima ricaduta delle sue polveri e 5000 in una zona non antropizzata.[Si noti che i dati sono espressi in numero di particelle per unità di superficie e quindi non secondo il classico rapporto grammi di polvere per volume d'aria. Questo perché, data la finezza di tali polveri è inutile "pesarle". Del resto questo genere di problematiche è emerso relativamente di recente e non sono state ancora stabilite dalla legge delle regole di determinazione quantitativa.

Infatti, la legge italiana e le norme europee pongono limiti di qualità dell'aria solamente riferiti al PM10 (polveri di diametro aerodinamico inferiore 10 micrometri cioè 10000 nanometri), quantificando il limite medio massimo di tali polveri sottili nell'aria in 50 microgrammi/m³ (milionesimi di grammo per metrocubo d'aria). I limiti relativi alle emissioni degli inceneritori (e degli altri impianti industriali) sono ancora meno accurati: non considerano per niente la finezza delle polveri, ma solo il peso totale di 10 milligrammi/m3 (millesimi di grammo al metrocubo di fumi). Ad oggi, l'unico ambito in cui i limiti di emissione sono imposti sul PM10 è quello dei veicoli (si vedano le norme Euro3 ed Euro4).

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Diossine e furani

Struttura molecolare della TCDD, la più tossica fra le Diossine

Il bilancio di materia di un impianto di incenerimento nella prassi gestionale odierna.

Le diossine ed i furani sono tossici, cancerogeni e mutageni per l'organismo umano. Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare e sono solubili nei grassi, dove tendono ad accumularsi. Proprio per questo motivo tendono ad accumularsi nella catena alimentare e nell'organismo umano per cui anche un'esposizione a livelli minimi ma prolungata nel tempo può recare gravi danni alla salute. Le sorgenti delle diossine sono varie e hanno avuto molte variazioni nel corso degli anni, ed è difficile quantificarne esattamente la rilevanza relativa: gli inceneritori sono comunque una delle fonti maggiori, e vanno tenuti sotto accurata osservazione

Per quanto concerne l'incenerimento, le diossine vengono prodotte quando materiale organico è bruciato in presenza di cloro, sia esso ione cloruro o presente in composti organici clorurati come le plastiche in PVC.

La soglia minima di sicurezza per tali sostanze è ancora oggetto di investigazione scientifica; i limiti imposti dalla UE sulle emissioni sono di 0,1 nanogrammi/m3 (miliardesimi di grammo per metro cubo di fumi: sulle leggi valgono le considerazioni precedenti, all'inizio del paragrafo).

Per ridurre l'emissione di vari inquinanti fra cui la diossina, negli inceneritori è vietato (per legge) che i fumi scendano sotto gli 850 °C, che è poi il motivo per cui gli inceneritori non possono accettare materiale dal potere calorifico troppo basso oppure devono integrare la combustione con metano.[21]L'obiettivo di minimizzare le emissioni di diossine contrasta in parte con il recupero dell'energia, in quanto una elevata temperatura di combustione e un veloce raffreddamento dei fumi (condizioni ideali per ridurre la formazione di diossina) sono incompatibili con una massima efficienza nel recupero dell'energia termica.[83]

Gli impianti tecnologicamente più avanzati presentano un elevato grado di efficienza tale da contenere le emissioni a livelli significativamente inferiori al limite di legge ma bisogna considerare che la legge impone solo delle misurazioni periodiche e non continue sulla produzione di diossina,[84]e che solo in pochissimi impianti italiani è tenuta sotto costante controllo. Inoltre, le misurazioni, necessarie solo ad assicurare il rispetto della legge, spesso non sono precise e non servono a conoscere l'effettiva emissione in atmosfera. Ad esempio, in inceneritori come quello di Brescia la concentrazione di diossina nei fumi può essere abbastanza bassa da risultare non rilevabile dagli strumenti adottati (a Brescia la soglia di misurabilità è di 0,0001 ng/Nm3 di fumi, ovvero circa 5 ng/t di rifiuti). (I valori in emissione variano tra 0,0001 e 0,005 ng/Nm3, quindi l'emissione giornaliera data una emissione di circa 13milioni di m3/giorno sarebbe pari a 1.300 – 65.000 ng/giorno). Le concentrazioni di diossina e degli altri microinquinanti organici come IPA e PCB nelle emissioni del termovalorizzatore sono dello stesso ordine di grandezza (per le diossine di poco superiori, per PCB e IPA inferiori) delle concentrazioni di fondo presenti nell'aria esterna. Quindi complessivamente non si aggiungono microinquinanti organici all'aria, mentre vengono distrutti quelli già presenti nei rifiuti in ingresso all'impianto.[21]

Gli inceneritori rilasciano diossina non solo nell'atmosfera attraverso i fumi, ma anche nella terra e nell'acqua: le diossine sono presenti nelle scorie e nei residui solidi o liquidi del filtraggio dei fumi, e possono diffondersi per percolazione nel luogo di deposito di tali rifiuti o per dispersione delle acque di lavaggio delle zone di inquinate. La quantità di diossina nelle scorie – secondo misurazioni del DETR, Dipartimento inglese per l'ambiente – è di circa 12-72 nanogrammi/kg; il miglioramento tecnologico ha ridotto notevolmente l'emissione complessiva di diossina, tuttavia i sistemi di filtraggio più sono efficienti più concentrano le diossine prodotte nei loro residui: nei residui del filtraggio dei fumi attraverso precipitatori elettrostatici delle polveri (circa 30 kg/t di rifiuti) in passato la concentrazione era elevatissima, fra i 6600 e i 31100 ng/kg; negli impianti recenti è di 810-1800 ng I-TEQ/kg (quindi ca. 24,3-54 ng diossina/t rifiuti) e 680-12200 ng I-TEQ/kg nei fanghi dalle torri di lavaggio dei fumi (circa 10–1 kg/t di rifiuti, quindi ca. 8,5-152,5 ng diossina/t rifiuti).[85]

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Uno dei principali motivi della differenza tra i risultati dei diversi studi risiede nel diverso arco temporale in cui questi si sono svolti, infatti il fattore di emissione delle diossine da incenerimento si è ridotto di circa 50 volte negli ultimi 15 anni, quindi chiaramente studi degli anni '90 forniscono dati notevolmente diversi da quelli più recenti.

Gas serra

La valutazione dell'emissione effettiva di gas serra da parte degli inceneritori è questione dibattuta. Se da un lato l'emissione al camino è quantificabile (~1400 kg/t, si veda oltre), per una valutazione completa dell'influenza sulle emissioni globali di anidride carbonica bisognerebbe considerare in primo luogo la tipologia di rifiuti (organici o no, pretrattati o indifferenziati ecc.), le altre possibili modalità di smaltimento dei rifiuti residui[86], nonché la produzione di CO2 media usata per calcolare le emissioni evitate, ecc.

Un confronto fra il bilancio totale di CO2 derivante dall'uso dell'inceneritore (termoutilizzatore) e di una discarica priva di sistemi per la captazione di biogas, per lo smaltimento di rifiuti urbani è stato presentato nel 2005 dall'Università di Firenze[87].

In base a questo studio, statisticamente per una tonnellata di rifiuto urbano "termovalorizzato" si deve considerare una produzione di 1402 kg di CO2[20] (per combustione), un risparmio di 554 kg di CO2 ottenuto col recupero energetico (verrebbero emessi producendo la stessa energia con fonti fossili), altri 910 kg di anidride carbonica assorbita in origine dalla componente rinnovabile, per un bilancio totale negativo di contributo di 62 kg di CO2 sottratti ai gas serra. Questo sempre che vengano realmente bruciate solamente biomasse e non materiali di origine fossile (plastiche ecc.)

Viceversa una discarica produrrebbe per fermentazione della componente organica circa 56 kg/t di metano (gas serra circa 21 volte più potente della CO2, e quindi equivalenti a 1181 kg/t di CO2) oltre a 295 kg/t di CO2; di contro, il carbonio sequestrato in origine dalla componente organica, non trasformato in anidride carbonica durante la fermentazione, equivarrebbe ad un sequestro di 591 kg/t di CO2. Si otterrebbe quindi un bilancio totale positivo di 886 kg di CO2 al contributo dei gas serra.

Secondo questo studio la produzione di CO2 sarebbe quindi nettamente maggiore per una discarica di rifiuti indifferenziati che per un inceneritore. Questa procedura di valutazione ed i suoi risultati sono stati utilizzati per valutare il progetto dell'inceneritore di Torino [88] .

Va tuttavia rilevato che questo tipo di analisi non considera che le discariche controllate abbinate agli impianti di preselezione (TMB) e/o compostaggio con produzione di biogaspermettono il recupero del metano di fermentazione (i sopra citati 1181 kg/t equivalenti di CO2) riducendo drasticamente le emissioni di gas serra della discarica: inserendo questa componente nel confronto, la discarica avrebbe emissioni di CO2 nettamente inferiori ad un inceneritore, ribaltando il risultato dello studio.

Occorre quindi sottolineare che questi confronti e considerazioni riguardanti il recupero energetico e la riduzione dei gas serra sono forzatamente solo indicativi e facilmente manipolabili, poiché in funzione delle tipologie di impianti, rifiuti e trattamenti considerati, le conclusioni possono essere radicalmente diverse.

I RIFIUTI E L’OSPEDALE

L'ospedale, così come ogni altra realtà aziendale produttiva, dà origine ad una notevole quantità di rifiuti. Il problema relativo al loro smaltimento è piuttosto complesso e riguarda tutti gli operatori sanitari. Le fasi di gestione dei rifiuti ed in particolare quella di raccolta dei rifiuti possono, infatti, comportare dei rischi per la salute degli operatori stessi.

CHE COS’E’ LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI? La raccolta, la cernita, il trasporto, il trattamento dei rifiuti, nonché l'ammasso e il deposito dei medesimi sul suolo o nel suolo.Le operazioni di trasformazione necessarie per il riutilizzo, il recupero o il riciclo dei rifiuti.

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RIFERIMENTI LEGISLATIVI

La gestione dei rifiuti in ospedale viene normata dal DPR 254/2003 (G.U. 211/2003), indirizzato

principalmente alle Strutture Sanitarie, che rappresenta il Regolamento attuativo del Decreto

Legislativo 22/1997.

Questo decreto recepisce l’articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179; la vecchia normativa al

riguardo è stata abrogata.

DPR 15 LUGLIO 2003, N. 254 Disciplina la gestione dei rifiuti sanitari e degli altri rifiuti allo scopo di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e della salutepubblica e controlli efficaci. I rifiuti disciplinati dal presente regolamento sono:

• i rifiuti sanitari non pericolosi;

• i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani;

• i rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;

• i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;

• i rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di

smaltimento;

• i rifiuti da esumazioni e da estumulazioni, nonchè i rifiuti

derivanti da altre attività cimiteriali.

• i rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che

come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio

infettivo.

RISCHI CONNESSI CON LA GESTIONE DEI RIFIUTI

Rischio infettivo:

Legato solo ad alcuni tipi di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e a rifiuti che richiedono particolari modalità di trattamento. Questi prodotti vengono in gran parte sterilizzati prima dello smaltimento. I rischi di natura infettiva sono essenzialmente conseguenti a infortuni con conseguenti ferite da taglio o da punta.

CAUSE DI INFORTUNI DA RISCHIO BIOLOGICO

Manipolazione poco attenta de rifiuto,effettuata senza l'ausilio di dispositivi di protezione individuali.

Utilizzo di contenitori non adeguati per dimensioni, resistenza, impermeabilizzazione, chiusura, oppure applicazione di tecniche scorrette di condizionamento.

ALTRI RISCHI CONNESSI CON LA GESTIONE DEI RIFIUTI

Rischio infettivo:

Legato solo ad alcuni tipi di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e a rifiuti che richiedono particolari modalità di trattamento. Questi prodotti vengono in gran parte sterilizzati prima dello smaltimento. I rischi di natura infettiva sono essenzialmente conseguenti a infortuni con conseguenti ferite da taglio o da punta.

CAUSE DI INFORTUNI DA RISCHIO BIOLOGICO

Manipolazione poco attenta del rifiuto, effettuata senza l'ausilio di dispositivi di protezione individuali .Utilizzo di contenitori non adeguati per dimensioni, resistenza, impermeabilizzazione, chiusura, oppure applicazione di tecniche scorrette di condizionamento.

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ALTRI RISCHI CONNESSI CON LA GESTIONE DEI RIFIUTI

Rischio chimico: dovuto alla presenza nei rifiuti di sostanze chimiche (disinfettanti e farmaci, in particolare quelli tumorali) derivanti dall'attività ospedaliera. Rischio nella movimentazione dei contenitori per i rifiuti è anche presente un rischio di origine traumatica.

MISURE GENERALI DI PREVENZIONE

Utilizzo dei dispositivi di protezione individuali (guanti, ecc.).Adeguata chiusura e corretta manipolazione dei contenitori per i rifiuti, prestando particolare attenzione ai taglienti.Rispetto delle modalità di raccolta diverse per i vari tipi di rifiuti.Quando possibile, copertura vaccinale degli operatori.

CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI SANITARI

• Non pericolosi

• Assimilabili ai rifiuti urbani

• Pericolosi non a rischio infettivo

• Pericolosi a rischio infettivo

• Che richiedono particolari modalità di smaltimento

RIFIUTI SANITARI NON PERICOLOSI

Rifiuti taglienti non utilizzati, contenitori vuoti di farmaci, soluzioni per infusione, farmaci scaduti…

Esiste un formulario di registrazione e norme di carico/scarico. Da un punto di vista giuridico questi sono rifiuti speciali. Lo smaltimento viene fatto tramite ditta autorizzata.

RIFIUTI ASSIMILABILI AI RIFIUTI SOLIDI URBANI

Rifiuti il cui smaltimento segue il normale iter dei rifiuti solidi urbani (RSU).

Non è prevista alcuna registrazione.

Alcuni di essi sono passibili di riciclo e raccolta differenziata.

Costituiti da: Residui da preparazione pasti (strutture di ristorazione), residui da pasti esclusi

quelli da infettive (vista una malattia trasmissibile tramite tali residui), spazzatura, indumenti

monouso, gessi ortopedici, assorbenti igienici, pannolini e altri rifiuti per i quali sono possibili

riciclaggio o raccolta differenziata.

RSU RICICLABILI O PER I QUALI E’PREVISTA LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

Contenitori in vetro di farmaci e bevande

Soluzioni per infusione privati di cannule, aghi ed accessori,esclusi contenitori di antiblastici, materiali biologici, radioattivio provenienti da pazienti in isolamento infettivo.

• Mercurio

• Pile

• Oli minerali

• Rifiuti di imballaggio e giardinaggio

• Vetro

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• Carta e cartone

• Toner

• Pellicole e piastre radiografiche

RIFIUTI PERICOLOSI NON A RISCHIO INFETTIVO

• Rifiuti di laboratorio (solventi, reagenti, miscele).

• Modalità smaltimento da per rifiuti pericolosi (formulario, registro carico/scarico e smaltimento con ditta autorizzata).

• Da un punto di vista giuridico si tratta di rifiuti speciali.

RIFIUTI PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO

Componente di pericolosità più rilevante dei rifiuti ospedalieri

Materiali venuti a contatti con liquidi biologici, secreti o escreti, come sangue urina o feci.

Si tratta sia dei materiali sicuramente infetti o presunti tali (assimilabili a questi anche i rifiuti

provenienti da materiale laboratoristico venuto a contatto con materiali biologici)

TAGLIENTI O NON TAGLIENTI

Taglienti: Aghi, vetri, lancette, pungidito, rasoi, bisturi monouso. Rientrano in questa categoria i taglienti utilizzati, quelli non utilizzati.Non taglienti: Presidi vari medici e chirurgici, filtri, sangue, urine e feci.

GESTIONE DI QUESTI RIFIUTI: DEPOSITO

Raccolta con deposito temporaneo non superiore ai 5 giorni in condizioni che non comportino rischi per la salute, salvo situazioni particolari (quantitativi inferiori a 200 litri per i quali si può arrivare a 30 giorni).

GESTIONE DI QUESTI RIFIUTI: DISINFEZIONE

Già durante la raccolta, rifiuti sono sottoposti a disinfezione (glutaraldeide, ortofenilfenolo e lisoformio o, solo nel caso di termodistruzione, ipoclorito) prima dell’allontanamento dal

luogo nel quale sono stati prodotti (compito affidato al Responsabile dei Rifiuti della struttura).

Se possibile si fa sterilizzazione (miglior gestione della riduzione del rischio infettivo) che però non è un obbligo di legge e richiede impianti, certificazione, controlli periodici e appositi registri.

GESTIONE DI QUESTI RIFIUTI: STOCCAGGIO E RACCOLTA

Stoccaggio e raccolta necessitano di un apposito imballaggio a perdere con la scritta

“Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” . I materiali taglienti infetti devono essere raccolti in contenitori di cartone speciale con apertura a scatto e coperchio ribaltabile con chiusura irreversibile. In questo caso l’imballaggio a sua volta deve essere contenuto in quello esterno recante la scritta sopra ”Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e pungenti”.

RIFIUTI SANITARI CHE RICHIEDONO PARTICOLARI SISTEMI DI SMALTIMENTO

Animali da esperimento, organi e parti anatomiche non riconoscibili e sostanze stupefacenti. Prevista registrazione.In tutti i casi lo smaltimento, tramite Ditta autorizzata, viene fatto con la termodistruzione va effettuata in apposite strutture.Da un punto di vista giuridicogli animali da esperimento, tessutied organi rientrano nei rifiuti pericolosia rischio infettivo.

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Smaltimento Rifiuti Sanitari

rifiuti sanitari possono essere classificati come:

i rifiuti sanitari non pericolosi;i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani;i rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;i rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento.

Rifiuti sanitari non pericolosiSono i rifiuti costituiti da materiale metallico non ingombrante, da materiale metallico ingombrante, vetro per farmaci e soluzioni privi di deflussori e aghi, gessi ortopedici.Tali rifiuti denunciabili con il codice CER 180104 e, per gli oggetti da taglio, con il codice CER 180101, qualora non presentino condizioni di pericolosità da un punto di vista infettivo, devono essere recuperati.Sono inoltre rifiuti sanitari non pericolosi le parti anatomiche ed organi incluse le sacche per il plasma e le sostanze per la conservazione del sangue (codice CER 180102).Appartengono a questa categoria ancora i farmaci scaduti (codice CER 180105) ed i rifiuti provenienti dai laboratori dei servizi sanitari che non presentano caratteristiche di pericolosità.Rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbaniI seguenti rifiuti sanitari, qualora non rientrino tra quelli classificati come pericolosi, sono assoggettati al regime giuridico e alle modalità di gestione dei rifiuti urbani:

i rifiuti derivanti dalla preparazione dei pasti provenienti dalle cucine delle strutture sanitarie;i rifiuti derivanti dall'attività di ristorazione e i residui dei pasti provenienti dai reparti di degenza delle strutture sanitarie, esclusi quelli che provengono da pazienti affetti da malattie infettive per i quali sia ravvisata clinicamente, dal medico che li ha in cura, una patologia trasmissibile attraverso tali residui;

I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la pericolosità', da favorirne il reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta, il trasporto e lo smaltimento.A tale fine devono essere incentivati:

l'organizzazione di corsi di formazione del personale delle strutture sanitarie sulla corretta gestione dei rifiuti sanitari, soprattutto per minimizzare il contatto di materiali non infetti con potenziali fonti infettive e ridurre la produzione di rifiuti a rischio infettivo;la raccolta differenziata dei rifiuti sanitari assimilati agli urbani prodotti dalle strutture sanitarie;l'ottimizzazione dell'approvvigionamento e dell'utilizzo di reagenti e farmaci per ridurre la produzione di rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo e di rifiuti sanitari non pericolosi;l'ottimizzazione dell'approvvigionamento delle derrate alimentari al fine di ridurre la produzione di rifiuti alimentari;l'utilizzo preferenziale, ove tecnicamente possibile, di prodotti e reagenti a minore contenuto di sostanze pericolose;l'utilizzo preferenziale, ove tecnicamente possibile, di plastiche non clorurate;l'utilizzo di tecnologie di trattamento di rifiuti sanitari tendenti a favorire il recupero di materia e di energia.

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vetro, carta, cartone, plastica, metalli, imballaggi in genere, materiali ingombranti da conferire negli ordinari circuiti di raccolta differenziata, nonché altri rifiuti non pericolosi che per qualità e per quantità siano assimilati agli urbani ai sensi dell'articolo 198, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;la spazzatura;indumenti e lenzuola monouso e quelli di cui il detentore intende disfarsi;i rifiuti provenienti da attività di giardinaggio effettuata nell'ambito delle strutture sanitarie;i gessi ortopedici e le bende, gli assorbenti igienici anche contaminati da sangue esclusi quelli dei degenti infettivi, i pannolini pediatrici e i pannoloni, i contenitori e le sacche utilizzate per le urine (se non considerati rifiuti pericolosi).

Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo:tutti i rifiuti che provengono da ambienti di isolamento infettivo nei quali sussiste un rischio di trasmissione biologica aerea, nonché da ambienti ove soggiornano pazienti in isolamento infettivo affetti da patologie causate da agenti biologici di gruppo 4, di cui all'allegato XI del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni;i rifiuti che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche:

1provengano da ambienti di isolamento infettivo e siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto dei pazienti isolati;2 siano contaminati da:

a-sangue o altri liquidi biologici che contengono sangue in quantità tale da renderlo visibile;feci o urine, nel caso in cui sia ravvisata clinicamente dal medico che ha in cura il paziente una patologia trasmissibile attraverso tali escreti;liquido seminale, secrezioni vaginali, liquido cerebro-spinale, liquido sinoviale, liquido pleurico, liquido peritoneale, liquido pericardico o liquido amniotico.

i rifiuti provenienti da attività veterinaria, che:siano contaminati da agenti patogeni per l'uomo o per gli animali;

siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto per il quale sia ravvisato, dal medico veterinario competente, un rischio di patologia trasmissibile attraverso tali liquidi.

Questi rifiuti sanitari sono individuati dalle voci 180103* e 180202* del Catalogo Europeo dei Rifiuti. Recupero di materia dai rifiuti sanitariAi fini della riduzione del quantitativo dei rifiuti sanitari da avviare allo smaltimento, deve essere favorito il recupero di materia delle seguenti categorie di rifiuti sanitari, anche attraverso la raccolta differenziata;a) contenitori in vetro di farmaci, di alimenti, di bevande, di soluzioni per infusione privati di cannule o di

aghi ed accessori per la somministrazione, esclusi i contenitori di soluzioni di farmaci antiblastici o visibilmente contaminati da materiale biologico, che non siano radioattivi ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e non provengano da pazienti in isolamento infettivo;

b) altri rifiuti di imballaggio in vetro, di carta, di cartone, di plastica, o di metallo, ad esclusione di quelli pericolosi;

c) rifiuti metallici non pericolosi;d) rifiuti di giardinaggio;e) rifiuti della preparazione dei pasti provenienti dalle cucine delle strutture sanitarie;f) liquidi di fissaggio radiologico non deargentati;g) oli minerali, vegetali e grassi;h) batterie e pile;i) toner;l) mercurio;

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m pellicole e lastre fotografiche.

Sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo

Il processo di sterilizzazione consiste nell'abbattimento della carica microbica tale da garantire un S.A.L. (Sterility Assurance Level) non inferiore a 10-6.La sterilizzazione e' effettuata secondo le norme UNI 10384/94, parte prima, mediante procedimento che comprenda anche la triturazione e l'essiccamento ai fini della non riconoscibilità e maggiore efficacia del trattamento, nonché della diminuzione di volume e di peso dei rifiuti stessi. Possono essere sterilizzati unicamente i rifiuti sanitari pericolosi a solo rischio infettivo. La sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo e' una facoltà esercitabile ai fini della semplificazione delle modalità di gestione dei rifiuti stessi.La sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e' effettuata in impianti autorizzati ai sensi degli articoli 208 e 209 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Gli impianti di sterilizzazione localizzati all'interno del perimetro della struttura sanitaria non devono essere autorizzati ai sensi degli articoli 208 e 209 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, a condizione che in tali impianti siano trattati esclusivamente rifiuti prodotti dalla struttura stessa. A tali fini si considerano prodotti dalla struttura sanitaria dove e' ubicato l'impianto di sterilizzazione anche i rifiuti prodotti dalle strutture sanitarie decentrate ma organizzativamente e funzionalmente collegate con la stessa.L'attivazione degli impianti di sterilizzazione localizzati all'interno delle strutture sanitarie deve essere preventivamente comunicata alla provincia ai fini dell'effettuazione dei controlli periodici.Il direttore o il responsabile sanitario o i soggetti pubblici istituzionalmente competenti devono procedere alla convalida dell'impianto di sterilizzazione prima della messa in funzione degli stessi. La convalida deve essere ripetuta ogni ventiquattro mesi, e comunque ad ogni intervento di manutenzione straordinaria dell'impianto, e la relativa documentazione deve essere conservata per cinque anni presso la sede della struttura sanitaria o presso l'impianto e deve essere esibita ad ogni richiesta delle competenti autorità.Gli impianti di sterilizzazione sono sottoposti ad adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti.Fatto salvo l'obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico presso l'impianto di sterilizzazione deve essere tenuto un registro con fogli numerati progressivamente nel quale, ai fini dell'effettuazione dei controlli, devono essere riportate le seguenti informazioni:a) numero di identificazione del ciclo di sterilizzazione;b) quantità giornaliera e tipologia di rifiuti sottoposti al processo di sterilizzazione;c) data del processo di sterilizzazione.

Deposito temporaneo, deposito preliminare, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo

Per garantire la tutela della salute e dell'ambiente, il deposito temporaneo, la movimentazione interna alla struttura sanitaria, il deposito preliminare, la raccolta ed il trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere effettuati utilizzando apposito imballaggio a perdere, anche flessibile, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo" e il simbolo del rischio biologico o, se si tratta di rifiuti taglienti o pungenti, apposito imballaggio rigido a perdere, resistente alla puntura, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e pungenti", contenuti entrambi nel secondo imballaggio rigido esterno, eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d'uso, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo".Gli imballaggi esterni devono avere caratteristiche adeguate per resistere agli urti ed alle sollecitazioni provocate durante la loro movimentazione e trasporto, e devono essere realizzati in un colore idoneo a distinguerli dagli imballaggi utilizzati per il conferimento degli altri rifiuti.

Fatte salve le disposizioni sopracitate:a Il deposito temporaneo di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo deve essere effettuato in condizioni tali da

non causare alterazioni che comportino rischi per la salute e può avere una durata massima di cinque giorni momento della chiusura del contenitore. Nel rispetto dei requisiti di igiene e sicurezza e sotto la responsabilità del produttore, tale termine e' esteso a trenta giorni per quantitativi inferiori a 200 litri. La registrazione sul registro di carico e scarico deve avvenire entro cinque giorni;

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b le operazioni di deposito preliminare, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo restano sottoposte al regime generale dei rifiuti pericolosi;

c per i rifiuti pericolosi a rischio infettivo destinati agli impianti di incenerimento l'intera fase di trasporto deve essere effettuata nel più breve tempo tecnicamente possibile;

d Il deposito preliminare dei medesimi non deve, di norma, superare i cinque giorni. La durata massima del deposito preliminare viene, comunque, fissata nel provvedimento di autorizzazione, che può prevedere anche l'utilizzo di sistemi di refrigerazione.

Deposito temporaneo, deposito preliminare, messa in riserva, raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati

I rifiuti sanitari sterilizzati, assimilati ai rifiuti urbani, devono essere raccolti e trasportati con il codice CER 200301, utilizzando appositi imballaggi a perdere, anche flessibili, di colore diverso da quelli utilizzati per i rifiuti urbani e per gli altri rifiuti sanitari assimilati, recanti, ben visibile, l'indicazione indelebile "Rifiuti sanitari sterilizzati" alla quale dovrà essere aggiunta la data della sterilizzazione.

Le operazioni di raccolta e trasporto dei rifiuti sanitari sterilizzati, assimilati ai rifiuti urbani, sono perciò sottoposte al regime giuridico ed alle norme tecniche che disciplinano la gestione dei rifiuti urbani. Se vengono smaltiti fuori dell'ambito territoriale ottimale (ATO) presso impianti di incenerimento di rifiuti urbani o discariche di rifiuti non pericolosi, devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani.I rifiuti sanitari sterilizzati, non assimilati ai rifiuti urbani in quanto avviati in impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) od avviati in impianti che utilizzano i rifiuti sanitari sterilizzati come mezzo per produrre energia, devono essere raccolti e trasportati separatamente dai rifiuti urbani utilizzando il codice CER 191210.Le operazioni di movimentazione interna alla struttura sanitaria, di deposito temporaneo, di raccolta e trasporto, di deposito preliminare, di messa in riserva dei rifiuti sanitari sterilizzati, devono essere effettuati utilizzando appositi imballaggi a perdere, anche flessibili, di colore diverso da quelli utilizzati per i rifiuti urbani e per gli altri rifiuti sanitari assimilati, recanti, ben visibile, l'indicazione indelebile "Rifiuti sanitari sterilizzati" alla quale dovrà essere aggiunta la data della sterilizzazione.Alle operazioni di deposito temporaneo, raccolta e trasporto, messa in riserva, deposito preliminare dei rifiuti sanitari sterilizzati si applicano le disposizioni tecniche che disciplinano la gestione dei rifiuti speciali non pericolosi.

Smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo

I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo devono essere smaltiti mediante termodistruzione in impianti autorizzati ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con le modalità qui sotto riportate.I rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo che presentano anche altre caratteristiche di pericolo di cui all'Allegato I del decreto legislativo n. 152 del 2006, devono essere smaltiti solo in impianti per rifiuti pericolosi.I rifiuti sanitari pericolosi a solo rischio infettivo possono essere smaltiti, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 19 novembre 1997, n. 503, e successive modificazioni:

a) in impianti di incenerimento di rifiuti urbani e in impianti di incenerimento di rifiuti speciali. Essi sono introdotti direttamente nel forno, senza prima essere mescolati con altre categorie di rifiuti. Alla bocca del forno e' ammesso il caricamento contemporaneo con altre categorie di rifiuti;

b) in impianti di incenerimento dedicatiLe operazioni di caricamento dei rifiuti al forno devono avvenire senza manipolazione diretta dei rifiuti; per manipolazione diretta si intende una operazione che generi per gli operatori un rischio infettivo.Smaltimento dei rifiuti sanitari sterilizzati

I rifiuti sanitari sterilizzati:a possono essere avviati in impianti di produzione di CDR o direttamente utilizzati come mezzo per

produrre energia;b nel rispetto delle disposizioni del decreto del Ministro dell'ambiente 19 novembre 1997, n. 503, e

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successive modificazioni, possono essere smaltiti in impianti di incenerimento di rifiuti urbani o in impianti di incenerimento di rifiuti speciali alle stesse condizioni economiche adottate per i rifiuti urbani;

c qualora nella regione di produzione del rifiuto non siano presenti, in numero adeguato al fabbisogno, ne' impianti di produzione di CDR, ne' impianti che utilizzano i rifiuti sanitari sterilizzati come mezzo per produrre energia, ne' impianti di termodistruzione, previa autorizzazione del presidente della regione, possono essere sottoposti al regime giuridico dei rifiuti urbani e alle norme tecniche che disciplinano lo smaltimento in discarica per rifiuti non pericolosi. L'autorizzazione del presidente della regione ha validità temporanea sino alla realizzazione di un numero di impianti di trattamento termico adeguato al fabbisogno regionale.

Farmaci scadutiI farmaci sono prodotti chimici di sintesi sulle cui confezioni compare sempre una data di scadenza. Trascorso il termine ultimo indicato dalla casa farmaceutica, i medicinali non sono più utilizzabili e devono essere smaltiti correttamente. La parte del prodotto pericolosa è quella costituita dai principi attivi. In discarica, mischiati alla spazzatura domestica, possono dar luogo ad emanazioni tossiche e possono inquinare il percolato (il liquido che si accumula sul fondo della discarica). La presenza di antibiotici nei rifiuti può favorire la selezione di ceppi di microbi e virus assai pericolosi. E' per questo motivo che i farmaci scaduti non devono essere gettati nei normali cassonetti, ma collocati negli appositi contenitori presso le farmacie e le isole ecologiche.Lo smaltimento dei farmaci scaduti avviene attraverso la termodistruzione, oppure attraverso la loro inertizzazione in contenitori ermetici.

INTOSSICAZIONI ALIMENTARI

Cosa sono?

Le intossicazioni alimentari sono manifestazioni patologiche che si determinano in seguito al consumo di alimenti contenenti tossine prodotte da microrganismi che si sono moltiplicati nell’alimento precedentemente al suo consumo. Perché si manifesti l’intossicazione pertanto non obbligatoriamente ci deve essere il microrganismo, bensì è indispensabile la presenza della sua tossina.

Le sole e vere intossicazioni alimentari di origine batterica sono:

• Intossicazione botulinica o botulismo

• Intossicazione stafilococcica

Esistono poi le cosiddette tossinfezioni alimentari in sensu strictu determinate dal consumo di alimenti contenenti sia tossine che batteri. In questo caso la tossicità è data sia dalle tossine preformate sia da quelle prodotte da cellule vive ingerite con l’alimento all’interno dell’ospite e dai microrganismi viventi che continuano la moltiplicazione nell’intestino.

Sono tossinfezioni alimentari le sindrome tossiche provocate da:

• Bacillus cereus

• Clostridium perfringens

• Vibrio parahaemolyticus

Botulismo

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Responsabile di questa gravissima intossicazione, quasi sempre mortale,Clostridium botulinum, il cui habitat naturale è rappresentato dal suolo e dalla polvere.

Caratteristiche di Cl. botulinum

• Bastoncino - Gram positivo - Sporigeno (spora terminale o subterminale

• Anaerobio obbligato

Attualmente si conoscono 7 diversi tipi sierologici di Cl. Botulinum indicati con altrettante lettere dell’alfabeto: A - B - C- D - E - F e G, distinti in base alla specificità antigenica e delle esotossine prodotte. Tutte hanno in comune la caratteristica di produrre la tossina, ma si differenziano tra loro per l’attività proteolitica, per la specificità nei confronti dell’ospite e per una certa distribuzione geografica.

La tossina è una esotossina prodotta dal microrganismo durante la crescita microbica e poi liberata nell’alimento; una volta ingerita vieneassorbita nell’intestino tenue e da qui portata, attraverso il circolo anguigno, al sistema nervoso, agendo sulle sinapsi e sulle placche neuromuscolari ostacolando la liberazione di acetilcolina. Si tratta di una neurotossina avente azione paralizzante a livello del sistema nervoso periferico; facilmente distrutta dal calore (80°C per 15 min. i tipi A e B), ma stremamente potente è infatti sufficiente una quantità pari a 1*10-8/g di tossina a determinare la morte. I primi sintomi si manifestano dopo 18-36 ore l’ingestione dell’alimento contaminato e sono rappresentati da: nausea, vomito e diarrea. In breve tempo però subentrano disturbi più gravi a carico della vista, difficoltà di parola e di deambulazione sino alla paralisi dei muscoli e dell’attività respiratoria con conseguente morte che sopraggiunge nel 65% dei casi.

Esistono antisieri specifici tuttavia la loro somministrazione, perchè sia efficace, deve essere estremamente tempestiva. Le condizioni che determinano la germinazione delle spore e la moltiplicazione del microrganismo e quindi la produzione della tossina sono:

• assenza di aria (condizioni di anaerobiosi)

• temperatura > 10°C

• Aw > 94%

• pH > 4.5

• Concentrazione di NaCl < 7-8%

• Assenza di nitrati

Presenza di altre forme microbiche che, attraverso la loro attività metabolica, possono realizzare condizioni idonee alla crescita e moltiplicazione del patogeno anche in ambienti originariamente inadatti (conserve acide).

La difficoltà con cui si verificano contemporaneamente tutte queste condizioni spiega la scarsa diffusione di questa intossicazione. In particolare il rischio a livello di produzioni industriali, se vengono rispettate tutte le procedure, è nullo. Più pericolose sono invece le preparazioni casalinghe, soprattutto nel caso di conserve poco acide (verdure, carne). Gli alimenti maggiormente incriminati sono insaccati, carne in scatola e conserve vegetali sott’olio. E’ buona norma evitare il consumo di prodotti provenienti da confezioni gonfie, indice di una produzione di gas, mentre negli insaccati un campanello d’allarme può essere la presenza di zone verdastre ad indicare una più o meno spinta proteolisi, talvolta associata anche a fenomeni di rammollimento e a cattivi odori.

Prevenzione

Preparazioni casalinghe

• accurata pulizia dei prodotti

• utilizzo di prodotti freschi

• riscaldamento a 121°C per 3 minuti

(pentola a pressione)

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• acidificazione e salatura

Preparazioni industriali

• materie prime di qualità

• controllo parametri della sterilizzazione

L’accertamento di laboratorio consiste nel dimostrare la presenza nel siero del paziente, nelle feci o nell’alimento residuo di un fattore termolabile,letale per il topolino, che specificatamente neutralizzato da una delle antitossine botuliniche.

Intossicazione stafilococcica

Rappresenta forse la più diffusa intossicazione alimentare dei nostri tempi.

Responsabile è la specie Staphylococcus aureus, cocco Gram positivo, anaerobio facoltativo, saprofita delle mucose e della cute di uomo ed animali. Alcuni suoi ceppi durante la crescita sono in grado di produrre negli alimenti delle tossine, responsabili di una gastroenterite, conseguente il consumo di cibi contaminati. Le condizioni ideali di produzione della tossina, definita anche enterotossina, non sempre coincidono con quelle della crescita, a sua volta influenzata da temperatura, attività dell’acqua, concentrazione di NaCl, potenziale redox, pH dell’alimento. La principale caratteristica di questa enterotossina è di essere termostabile, pertanto i normali trattamenti di cottura non sono in grado di inattivarla.

Sono attualmente state identificate 5 diverse enterotossine indicate come A-B-C-D- ed E. La tossina A è quella maggiormente implicata nei casi di intossicazione (circa 80%), seguono poi la D, la C e la B, mentre la E è molto rara. Si tratta di proteine semplici e benchè diverse tra loro possiedono una certa capacità di reazione incrociata. I tipi B e C sono prodotte alla fine della fase stazionaria (prodotti del metabolismo secondario), mentre A, D ed E sono prodotte nella fase logaritmica. Le tossine sembrano codificate a livello cromosomiale, ma per alcune di queste recentemente è stata avanzata l’ipotesi di una loro espressione a livello plasmidico. I sintomi si manifestano rapidamente dopo l’ingestione del cibo contaminato, generalmente tra le 2 e le 6 ore e sono rappresentate da nausea, aumentata salivazione, vomito, cefalea, forti e frequenti dolori addominali e alcune volte diarrea, la febbre è rara.Le preparazioni più comunemente implicate, sono quelle piuttosto complesse, molto manipolate, a elevato contenuto proteico, poco acide e non propriamente sottoposte a refrigerazione dopo la cottura: carni (arrosti freddi), prodotti a base di carne (pasticci vari) e salumi, prodotti a base di uova, pesci cotti ed affumicati. Tra le carni quelle macinate presentano il maggior rischio a causa delle numerose manipolazioni cui sono sottoposte e della maggiore superficie di esposizione. Da non dimenticare inoltre che, essendo lo stafilococco un microrganismo resistente ad alte concentrazioni di sale, anche i prodotti sottoposti a salagione possono essere fonte di intossicazione. La contaminazione dei cibi può avvenire prima o dopo la cottura; il periodo più pericoloso per la produzione di tossina è comunque quello che intercorre tra la cottura ed il momento della distribuzione che nella ristorazione collettiva è talvolta molto lungo. In questo intervallo di tempo nella maggior parte dei casi l’alimento cotto viene lasciato a temperatura ambiente ed esposto all’aria, dando così la possibilità al microrganismo, se presente, di moltiplicarsi e di produrre tossina. L’intervallo di temperatura critico è quello tra i 20 ed i 40°C. Infine se la contaminazione da parte del microrganismo avviene dopo al cottura l'assenza di altra microflora facilita la moltiplicazione dello stafilococco che non ha più forme di competizione. A causa della sua diffusione eliminare lo Stafilococco è molto difficile.

La prevenzione di questa intossicazione si basa prevalentemente sull’istruzione del personale circa l’importanza di condurre in maniera corretta le operazioni di cottura e di successiva refrigerazione dei pasti, nonchè sull’educazione all’igiene personale da parte degli addetti alle varie preparazioni alimentari. In particolare la prevenzione deve mirare ad impedire la moltiplicazione del microrganismo così da evitare la produzione di tossina.

Le precauzioni da prendere sono:

• Mantenere i cibi cotti a temperatura al di sopra della quale gli stafilococchi cessano di moltiplicarsi (> 70°C) • Raffreddare rapidamente gli alimenti e conservarli refrigerati in contenitori poco profondi (Temperatura al cuore non superiore a 7°C)

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• Preparare e consumare gli alimenti nel più breve tempo possibile al fine di non dare alle forme presenti il tempo di moltiplicarsi (2-3 ore)

• Massimo rispetto delle norme di buona produzione

I principali fattori coinvolti nelle epidemie sono quindi in ordine decrescente:

• inadeguato raffreddamento

• lungo intervallo di tempo tra la preparazione ed il consumo

• personale malato e/o in carenti condizioni igieniche

• inadeguata cottura.

Esame batteriologico che dimostra la presenza dello stafilococco

nell’alimento.

Clostridium perfringens

E' un bastoncino Gram positivo sporigeno immobile, anaerobio obbligato in grado di crescere in un ampio intervallo di temperatura (5-55°C) e di pH (5-8). Molto diffuso in natura dove si trova nelle acque, nel suolo e nell’intestino di uomo ed animali.

Si conoscono 5 diversi tipi indicati come A, B, C, D, E in grado di produrre vari tipi di tossine, tuttavia solo i tipi A e C sono pericolosi per l’uomo. Più specificatamente il tipo A è quello coinvolto nelle tossinfezioni, mentre il tipo C è molto più raro ed è responsabile di una enterite necrotica molto più grave della precedente.

Chimicamente la tossina è un polipeptide semplice facilmente distrutto dalla temperatura (60°C per 10 minuti) e viene prodotta durante la fase di sporulazione, pertanto le condizioni che favoriscono la germinazione delle spore, ne favoriscono anche la produzione che avviene generalmente a livello intestinale I primi sintomi compaiono tra le 6 e le 24 ore successive l’ingestione di cibo contenente cellule vive e consistono in forti dolori addominali, diarrea, nausea. Il decorso è solitamente benigno. Si tratta di una tossinfezione legata quasi esclusivamente alla Ristorazione Collettiva e soprattutto al consumo di carne non adeguatamente trattata al calore o mal refrigerata. Tra le carni comunque le più pericolose sono quelle tipo arrosto arrotolato, in quanto la loro superficie esterna, più contaminata, viene portata con la fase di arrotolamento all’interno della massa dove più facilmente si instaurano condizioni di anaerobiosi e gli scambi di calore avvengonmolto più lentamente.

Particolarmente pericoloso è lasciare l’alimento a temperatura ambiente poichè in queste condizioni viene favorita la germinazione delle spore e la liberazione di tossina.

La tossinfezione si manifesta solo in seguito a:

• presenza del microrganismo patogeno vivo

• condizioni di temperatura che ne favoriscano la proliferazione sino ad un numero minimo pari a 10alla 6 ufc/g di prodotto

• consumo dell’alimento da parte di una collettività

Le misure preventive sono:

• controllo qualità nella scelta delle materie prime

• rispetto delle più elementari norme igieniche

• rigoroso controllo della temperatura nella fase di refrigerazione e di e di cottura (almeno 65°C per alimenti caldi; non più di 3°C per alimenti freddi sino al consumo

Bacillus cereus

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E' un bastoncino Gram positivo sporigeno, anaerobio facoltativo molto

diffuso in natura. Produce numerose sostanze extracellulari, ma importanti

per l’uomo sono due tossine entrambe responsabili di tossinfezioni alimentari conseguente al consumo di alimenti contaminati con cellule

vive.

Condizioni di crescita di Bacillus cereus

• T ottimale = 30-37°C

• T minima = 5°C

• T massima = 55°C

• pH = 4.9 - 9.3

• Aw minima = 0.95

Bacillus cereus produce due tipi di tossina: tossina diarroica e tossina emetizzante.

La tossina diarroica è prodotta durante la fase esponenziale di crescita e raggiunge il massimo nella successiva fase stazionaria, dopo di che la sua produzione cessa. E’ termolabile ed è possibile la sua determinazione solo in presenza di un numero di cellule non inferiore a 10 alla settima ufc/g

La sindrome

si manifesta sottoforma di diarrea acquosa e forti dolori addominali tra le 6 e le 15 ore dopo il consumo di alimenti contaminati, raramente compaiono anche nausea e vomito. I sintomi scompaiono dopo circa 20-24 ore.

La tossina emetizzante differisce dalla precedente in quanto termostabile e resistente a valori estremi di pH (2-11). Si tratta di una sindrome molto più acuta della precedente con un periodo di incubazione non superiore alle 6 ore; la sintomatologia è peraltro molto simile a quella dell’intossicazione stafilococcica

Condizioni ottimali produzione tossina

diarroica

• T = 18 - 43°C

• pH = 6 - 8.5

• presenza di glucosio

Alimenti coinvolti

Tossina diarroica Tossina emetizzante

insalata o purea di patate riso bollito o fritto

verdure in insalata pollo latte in polvere

piatti precucinati creme

L’accertamento di laboratorio si considera positivo quando si isoli B. cereus in cariche elevate (10 5-109 ufc/g) da residui di alimenti oppure dalle feci e dal vomito dei soggetti colpiti.

Vibrio parahaemolyticus

Batterio Gram negativo, di forma bastoncellare con un flagello ad una estremità, alofilo, che trova il suo habitat naturale nei sedimenti e nelle acque costiere e marine.

Solo gli stipiti che contengono una emolisina sono enterotossici.

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Periodo di incubazione : 12-24 ore ma anche in alcuni casi 96 ore.

Sintomi: diarrea profusa, nausea e dolori addominali, in alcuni casi anche la febbre e il vomito.

Questa tossinfezione è molto frequente in Giappone, per il consumo di pesce crudo sminuzzato e lasciato macerare in salse.

Le Tossinfezioni Alimentari

Le tossinfezioni alimentari sono causate da microbi patogeni come batteri, virus e parassiti o altre tossine presenti in cibi contaminati. Molti di questi microbi si trovano comunemente negli intestini di animali sani da produzione alimentare. I rischi di contaminazione sono presenti dal produttore al consumatore e devono essere controllati in vari modi.

Gli alimenti possono essere contaminati in diverse fasi della catena alimentare. Durante la macellazione la carne può venire contaminata entrando in contatto con piccole quantità di contenuto intestinale. Nella fase di trasformazione degli alimenti, i microbi possono essere introdotti per contaminazione crociata da un altro prodotto agricolo non lavorato o da esseri umani infetti venuti a contatto con il cibo. In cucina i microbi possono essere trasmessi da un alimento all’altro tramite utensili impiegati per preparare entrambi i cibi senza essere sottoposti ad alcun lavaggio intermedio. Una cottura adeguata degli alimenti uccide gli agenti patogeni.

Tossinfezioni alimentari più diffuse

Le tossinfezioni alimentari più diffuse nell’Unione europea (UE) sono causate da batteri come Campylobacter, Salmonella, Listeria e da virus che penetrano nell’organismo attraverso il tratto gastrointestinale, dove spesso si avvertono i primi sintomi. Molte delle tossinfezioni alimentari segnalate non fanno parte di focolai noti, ma vengono registrate come casi singoli.

Il Campylobacter è la causa batterica di diarrea più frequente nell’UE. La carne di pollo cruda è spesso contaminata dal Campylobacter; questo agente patogeno, infatti, può vivere negli intestini dei volatili sani. Il consumo di pollo poco cotto o di cibi pronti entrati in contatto con carne di pollo cruda è la causa alimentare più comune all’origine di questa infezione. Il Campylobacter provoca febbre, diarrea, crampi addominali e può essere responsabile dell’insorgere di postumi – le condizioni patologiche/croniche che possono derivare da una malattia.

Anche la Salmonella è un batterio che si trova comunemente negli intestini di uccelli e mammiferi. Può essere trasmesso all’uomo attraverso gli alimenti, in particolare tramite carne e uova. La malattia che provoca, la salmonellosi, si manifesta generalmente con febbre, diarrea e crampi addominali. Se entra nel circolo sanguigno può causare infezioni potenzialmente letali.

Benché nell’uomo siano meno comuni di quelle provocate da Campylobacter eSalmonella, le infezioni da Listeria sono responsabili di un elevato tasso di mortalità, in particolare in gruppi vulnerabili come gli anziani. Sono inoltre molto pericolose per le gestanti perché possono causare infezioni fetali, morti fetali e parti di feti morti. I cibi pronti, come formaggi e prodotti a base di pesce o carne, sono spesso all’origine delle infezioni nell’uomo.

Le tossinfezioni alimentari provocate da questi tre batteri vengono classificate tutte come zoonosi di origine alimentare – malattie o infezioni che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo attraverso il cibo. Tra le zoonosi figurano

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anche malattie trasmesse all’uomo per vie diverse dal cibo, ad esempio tramite il contatto diretto con gli animali. È stato riscontrato che ogni anno queste patologie colpiscono oltre 380 000 cittadini UE.

Quadro UE

Il pacchetto legislativo UE in materia di igiene dei prodotti alimentari stabilisce i requisiti igienici per produttori e operatori del settore alimentare e fissa norme per l’organizzazione di controlli ufficiali su carne fresca, latte e altri cibi. Si tratta di un’importante base normativa per ridurre al minimo la prevalenza delle tossinfezioni alimentari nell’ambito di un approccio “dal produttore al consumatore” alla sicurezza alimentare.

Il quadro per la sorveglianza e il controllo delle tossinfezioni alimentari è contenuto nella legislazione UE sulle zoonosi. La direttiva 2003/99/CE sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici istituisce un sistema di raccolta e analisi dei dati relativi agli Stati membri sulla prevalenza di batteri patogeni in diverse popolazioni animali. L’UE sviluppa misure di controllo volte a prevenire e ridurre la presenza di questi batteri sulla base dei dati risultanti dalle suddette attività di sorveglianza.

Il regolamento (CE) n. 2160/2003 stabilisce misure comunitarie per il controllo della Salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli alimenti. Per attuarlo, la Commissione europea ha adottato regolamenti specifici, ad esempio sull’uso degli antimicrobici e dei vaccini per il pollame, restrizioni al commercio intracomunitario di uova da mensa e restrizioni alle importazioni di pollame vivo da paesi terzi. La Commissione ha inoltre fissato obiettivi che gli Stati membri devono rispettare per ridurre la Salmonella in varie popolazioni animali, tra cui galline ovaiole, polli da carne, tacchini, suini da ingrasso e suini da riproduzione.

Il regolamento (CE) n. 2073/2005 della Commissione sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari definisce criteri di sicurezza alimentare per alcuni importanti batteri, tossine e metaboliti di origine alimentare, tra cui Salmonella eListeria, presenti in alimenti specifici. In ultima analisi la sicurezza degli alimenti deve essere garantita da un approccio preventivo che preveda la progettazione di processo e prodotto e l’applicazione di standard industriali riconosciuti a livello internazionale come le buone pratiche igieniche (GHP) e di fabbricazione (GMP) e i principi dell’analisi di rischio e punti critici di controllo (HACCP).

Esistono oggi al mondo più di 250 tossinfezioni alimentari, che si manifestano con differenti sintomi e sono causate da diversi agenti patogeni, perlopiù batteri, virus e parassiti. Con il passare degli anni, vengono identificati continuamente nuovi patogeni (i cosiddetti patogeni emergenti, come Campilobacter jejuni, Escherichia coli 157:H7,Listeria monocytogenes, Yersinia enterocolitica, etc), alcuni dei quali si diffondono anche per effetto dell’incremento di scambi commerciali, di ricorso alla ristorazione collettiva, di grandi allevamenti intensivi e di viaggi.

InfezioneLe tossinfezioni alimentari possono derivare dall’infezione con microorganismi patogeni che colonizzano le mucose intestinali oppure dall’ingestione di alimenti contaminati da questi microorganismi o anche dalla presenza nei cibi di tossine di origine microbica, che causano malattia anche quando il microrganismo produttore non c’è più.Oltre alle tossine di origine biologica, possono causare contaminazioni del cibo anche sostanze chimiche ad azione velenosa, come ad esempio i pesticidi utilizzati in agricoltura. Per evitare questo genere di problemi, la distribuzione di queste sostanze è strettamente regolamentata.Esistono poi categorie di alimenti naturalmente tossici, come ad esempio i funghi velenosi o alcune specie di frutti di mare.

La contaminazione dei cibi può avvenire in molti modi. Alcuni microrganismi sono presenti negli intestini di animali sani e vengono in contatto con le loro carni (trasmettendosi poi a chi le mangia) durante la macellazione. Frutta e verdura possono contaminarsi se lavate o irrigate con acqua contaminata da feci animali o umane. Fra gli altri, la Salmonellapuò contaminare le uova dopo aver infettato il sistema ovarico delle galline. I batteri del genere Vibrio, normalmente presenti nelle acque, vengono filtrati e concentrati dai frutti di mare, come ostriche e mitili, e quindi possono causare infezioni se gli alimenti vengono ingeriti crudi.

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Le infezioni possono essere trasmesse al cibo, da parte degli operatori, anche durante la fase di manipolazione e preparazione degli alimenti (è il caso del batterio Shigella, del virus dell’epatite A, e di molti altri patogeni) sia per contatto con le mani che con gli strumenti della cucina, utilizzati ad esempio nella preparazione di diversi alimenti e non disinfettati a dovere. Un cibo cotto e quindi sicuro (la maggior parte dei microrganismi non resiste a temperature superiori ai 60-70 gradi) può contaminarsi per contatto con cibi crudi. Inoltre, grande importanza rivestono le condizioni in cui i cibi sono mantenuti durante le varie fasi di conservazione: la catena del freddo, ad esempio, previene lo sviluppo e la moltiplicazione di alcuni microrganismi, che per essere tossici necessitano di una popolazione molto numerosa.

Sintomi e diagnosiNormalmente, il sistema interessato dalle tossinfezioni alimentari è quello gastrointestinale con manifestazione di nausea, vomito, crampi addominali e diarrea, e con una insorgenza dei sintomi in un arco di tempo relativamente breve (da ore a giorni). Nel caso di ingestione di alimenti contaminati, viene solitamente colpita la prima parte dell’apparato gastroenterico e i sintomi (nausea e vomito più che diarrea e molto più raramente febbre e brividi) si manifestano in tempi più brevi. Nel caso invece di tossinfezioni causate da microrganismi che tendono a diffondersi anche nel sistema sanguigno, i tempi di manifestazione possono essere più lunghi, e il sintomo più frequente è la diarrea, accompagnata da febbre e brividi.Tuttavia, vi sono casi in cui i sintomi interessano altri apparati corporei e il decorso della malattia è molto diverso. Nel caso del prione legato alla malattia di Creutzfield-Jacob, ad esempio, il periodo di incubazione può essere anche di molti anni e le manifestazioni sintomatiche non interessano il sistema gastrointestinale, ma quello neurale.

La diagnosi di una tossinfezione è possibile solo attraverso test di laboratorio che identificano l’agente patogeno. Tuttavia, in molti casi, una diagnosi non viene effettuata perché non c’è una denuncia alle autorità sanitarie dell’infezione.Inoltre, uno dei problemi in termini di gestione delle tossinfezioni alimentari è chiarire l’origine della malattia, soprattutto quando questa si trasforma in epidemia. Dato che molti microrganismi patogeni possono diffondersi anche attraverso canali diversi dal cibo (ad esempio attraverso l’acqua, l’aria o per contatto diretto), non sempre è facile per le autorità identificare la fonte dell’infezione e intervenire.

Nel corso dell’ultimo secolo, le malattie di origine alimentare sono cambiate molto, soprattutto nei paesi industrializzati. Da una prevalenza di febbre tifoidea e di colera, infatti, grazie all’implementazione di migliori pratiche di gestione degli alimenti, si è passati a malattie più recenti. Negli Stati Uniti sono stati identificati come agenti patogeni a metà degli anni ’90 il parassita Cyclospora e il batterio Vibrio parahemolyticus che ha infettato le ostriche. Negli stessi anni, l’Europa si trovava ad affrontare l’emergenza Bse, che nella versione capace di infettare gli esseri umani, la malattia di Creutzfield-Jacob, costituisce ancora oggi una delle principali preoccupazioni nel campo della sicurezza alimentare.

Gli agenti patogeniLe infezioni più note sono quelle causate dai batteri Campylobacter, Salmonella, e Escherichia coli e dai virus del gruppo dei calicivirus.

Campylobacter genera febbre, crampi addominali ed è la causa più comune di diarrea al mondo. Si trova soprattutto nelle carni di volatili e pollame, che quindi dovrebbero sempre essere ben cotti.

La Salmonella è uno dei batteri più comunemente diffusi come origine di una tossinfezione alimentare, e si trova negli intestini di rettili, uccelli e mammiferi. I sintomi della salmonellosi sono diarrea, vomito e crampi addominali, ma in soggetti immunodepressi può causare condizioni anche molto serie.

I ceppi di Escherichia coli produttori di verocitotossina o Shiga-tossina (VTEC oppure STEC) sono patogeni enterici che producono una potente tossina responsabile di gravi forme morbose nell’uomo. Esistono numerosi sierotipi VTEC, individuati attraverso gli antigeni somatico O e flagellare H. Sebbene si conoscano oltre 100 sierotipi VTEC, solo alcuni sono stati associati frequentemente a malattia grave nell’uomo sono. Tra questi, il più noto e diffuso è il sierogruppo O157 seguito da O26, O145, O111, O121, O103. Questi sierogruppi sono generalmente caratterizzati dalla presenza di

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fattori di virulenza aggiuntivi alla VT, in particolare la capacità di aderire e colonizzare la mucosa intestinale (geneeae), e vengono chiamati entero-emorragici (EHEC) in relazione alla malattia clinica che causano nell’uomo.

La manifestazione clinica associata a infezione da VTEC varia dalla diarrea acquosa, alla colite emorragica e alla Sindrome Emolitico Uremica (SEU). Quest’ultima è la manifestazione più grave delle infezioni da VTEC e colpisce soprattutto i bambini. È generalmente legata agli stipiti VTEC produttori di vero tossina di tipo 2 (portatori del gene vtx2).

La SEU rappresenta la causa più importante di insufficienza renale acuta nell’età pediatrica, in particolare nei primi anni di vita. È caratterizzata da anemia emolitica, piastrinopenia e insufficienza renale acuta di grado variabile, sino alla necessita di trattamento dialitico sostitutivo. Il 25-30% dei pazienti colpiti da SEU può essere interessato da complicazioni neurologiche. Nella fase acuta, la SEU può essere fatale nel 3-5% dei casi e una percentuale simile può sviluppare insufficienza renale cronica.

I VTEC sono considerati agenti di zoonosi poiché i ruminanti, in modo particolare il bovino, sono portatori asintomatici di questi batteri e costituiscono il loro reservoir naturale.L’infezione all’uomo si trasmette attraverso l’ingestione di alimenti o acqua contaminati o per contattato diretto con gli animali. Tra gli alimenti contaminati più a rischio ci sono la carne cruda o poco cotta, il latte non pastorizzato formaggi e altri derivati a base di latte non pastorizzato. Anche i vegetali (frutta e ortaggi e germogli) e i succhi possono veicolare l’infezione, come dimostrato dalle numerose epidemie legate a questi tipi di alimento (spinaci, lattuga, germogli alfa-alfa). La contaminazione dei vegetali avviene soprattutto attraverso pratiche di fertirrigazione e comunque attraverso la contaminazione con reflui zootecnici. Un’altra via di trasmissione delle infezioni da VTEC è quella oro-fecale da persona a persona. Questa via necessita di un contatto stretto tra gli individui ed è quindi molto spesso riportata nell’ambito familiare e scolastico (scuole d’infanzia e comunità).

La gravità della malattia dipende dalle caratteristiche di virulenza del ceppo infettante, dall’età e condizioni generali del paziente e dalla dose infettante, che può essere anche molto bassa (inferiore a 100). Il tempo d’incubazione di circa 3 / 4 giorni, può variare tra i 2 e gli 8 giorni. Anche nei casi complicati dalla SEU l’esordio sintomatologico è generalmente caratterizzato da diarrea spesso ematica, accompagnata da dolore addominali intenso e vomito. La febbre, se presente, raramente supera i 38°C. Nei casi non complicati la malattia ha carattere autolimitante con una durata compresa tra 2 e 4 giorni. Le complicanze tipiche della SEU si manifestano a seguito del passaggio nel torrente circolatorio della tossina liberata nel lume intestinale.

Non esiste terapia specifica nei confronti dei VTEC e le infezioni vengono trattate con terapie di supporto (reidratazione, emo-dialisi e/o dialisi peritoneale, plasmaferesi, emotrasfusioni). La terapia antibiotica è sconsigliata o addirittura controindicata poiché potrebbe favorire il rilascio della tossina con peggioramento delle manifestazioni cliniche.

I Calicivirus sono molto comuni ma non facilmente diagnosticati in quanto non ci sono test di laboratorio disponibili. Causano acute infezioni gastrointestinali con vomito più che diarrea, che si concludono nel giro di un paio di giorni. Si ritiene che questi virus si passino principalmente da persona a persona e che quindi un cuoco o un operatore infetto che lavori in cucina possa facilmente contaminare il cibo che tocca.

Altre tossinfezioni sono causate da patogeni che possono infettare l’uomo anche attraverso altre vie, come il batterio Shigella, il virus dell’epatite A e diversi parassiti. In altri casi invece, la malattia non deriva dall’ingestione diretta di agenti patogeni, ma piuttosto dall’alimentazione con cibo contaminato da una tossina di origine microbica che agisce anche in assenza del microrganismo produttore. È questo il caso del batterio Staphylococcus aureus che produce tossine in grado di causare vomito violento. A questa categoria appartiene anche il temutissimo batterio Clostridium botulinum che produce una tossina in grado di causare una paralisi mortale nel giro di 24-36 ore.

La Asl di Pavia ha messo a punto una tabella che elenca i principali agenti patogeni che causano tossinfezioni alimentari: qui vengono indicati anche i tempi di incubazione e gli alimenti più frequentemente contaminati.

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Conservazione degli alimenti

Il problema della conservazione degli alimenti è di enorme importanza per ragioni economiche, geografiche, politiche, climatiche, per l'incremento demografico e per il continuo aumento dell'urbanizzazione. Alcuni alimenti si mantengono inalterati per molti anni o indefinitamente. I cereali, in particolare, se vengono protetti dai parassiti si alterano difficilmente, e per questo la produzione cerealicola ha sempre costituito un indice significativo dell'economia e della produttività agricola degli Stati. Per contrasto, la conservazione degli alimenti carnei è estremamente difficile in quanto le proteine di cui sono ricchi rappresentano un ottimo substrato per molti microrganismi; particolarmente attivi sulle carni sono i germi putrefattivi che generalmente rendono tali alimenti inadatti al consumo.

I problemi igienici inerenti alla lavorazione delle sostanze alimentari si riferiscono sia al rispetto delle norme di carattere generale (pulizia degli ambienti e delle persone), sia alla necessità di impedire che microrganismi o parassiti dannosi per l'uomo invadano gli alimenti per i quali hanno particolare affinità. Sotto questo aspetto è di grande importanza diffondere la conoscenza delle malattie trasmissibili attraverso gli alimenti ed escludere le persone affette da patologie infettive dalle attività legate al consumo, alla produzione, al confezionamento e alla distribuzione delle sostanze alimentari.

Tecnologie disponibili

Conservare il cibo significa impedire o contrastare il naturale processo di decomposizione cui va soggetto tutto ciò che proviene dal regno vegetale ed animale, processo determinato dall'irrancidimento dei grassi e dall'azione di microrganismi che si nutrono delle sostanze organiche componenti ogni prodotto vegetale e animale. Quindi conservare significa anche eliminare questi microrganismi o inibirne la loro azione.

La cottura è una pratica antichissima attuata per migliorare il gusto dei cibi, per sterilizzarli, per uccidere eventuali parassiti, per rendere i cibi talora più digeribili e per distruggere alcune sostanze tossiche eventualmente presenti. La cottura provoca la coagulazione delle sostanze proteiche le quali, pur divenendo meno digeribili, risultano maggiormente appetibili e quindi più attive nella stimolazione delle attività secretorie dello stomaco e dell'intestino indispensabili per l'assimilazione degli alimenti. Con la cottura avvengono l'idrolisi del saccarosio, la solubilizzazione dell'amido e la sua trasformazione in destrine. Per quanto riguarda i grassi, sebbene vengano modificati solo a temperature molto elevate, difficilmente raggiunte durante la cottura degli alimenti, si ha comunque una disidratazione per cui il grasso acquista consistenza granulosa e diviene più facilmente digeribile. Alle alte temperature (p. es. nella frittura) le sostanze grasse vanno incontro ad alterazioni provocate da un insieme di reazioni a catena di tipo ossidativo che portano alla formazione di numerosi composti (perossidi, aldeidi, chetoni) responsabili dell'irrancidimento dell'olio e di accertata tossicità.

Oltre alla cottura, sono disponibili vari metodi per la conservazione degli alimenti e la loro scelta dipende sia dal tipo di alimento sia da fattori ambientali, economici, igienici e psicologici. Comuni sistemi di conservazione sono la disidratazione (carni, pesci, legumi disseccati), la liofilizzazione, l'affumicamento, la salatura o l'aggiunta di zucchero in concentrazioni incompatibili con la sopravvivenza dei microrganismi, il frazionamento (l'utilizzo delle frazioni meno labili degli alimenti, come avviene comunemente per i lattoderivati); l'impiego di prodotti chimici (additivi, antisettici, antiossidanti); la pastorizzazione e la sterilizzazione, la refrigerazione e la surgelazione; l'irradiazione, la fermentazione, con la quale si favorisce la produzione batterica di sostanze inibenti l'ulteriore decomposizione dell'alimento; la conservazione in atmosfera controllata; l'inscatolamento; il confezionamento con film plastici.

Metodi di conservazione tradizionali

Di seguito riportiamo un elenco sintetico dei metodi dei tradizionali sistemi di conservazione.

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1.con le alte temperature: cottura o solo scottatura. Si può avere una conservazione temporanea dei cibi o anche molto lunga e prolungata: i microrganismi vengono eliminati temporaneamente nei cibi che rimangono a contatto con l'aria e definitivamente in quelli chiusi in recipienti ermetici (sterilizzazione e appertizzazione);

2.con le basse temperature: si usava fin dall'antichità nelle zone e nelle stagioni fredde; ora con gli apparecchi frigoriferi è possibile ovunque (con la refrigerazione, la congelazione o la surgelazione, secondo l'intensità del processo). I microrganismi vengono rallentati o bloccati nella loro attività, che riprende però non appena la temperatura si alza.

3.con l'aggiunta di sostanze conservanti che uccidono o inattivano i batteri. Tra queste la più anticamente usata è il sale e la salamoia mentre in tempi più recenti si sono introdotte altre numerose sostanze chimiche come l'anidride solforosa, l'acido salicilico, l'acido ascorbico, i nitriti e tante altre sostanze più o meno consentite e salutari. In questo gruppo si possono includere i cibi conservati sottaceto, sottolio e sotto alcool o con lo zucchero (marmellate): tutte sostanze che contrastano in qualche modo l'attività dei microrganismi;

4.l'affumicatura e l'insaccatura delle carni, come pure la conservazione dei formaggi, combinano gli effetti della salatura, della parziale disidratazione con la protezione dall'aria e dagli agenti esterni che favorirebbero la decomposizione;

5.la conserva è un prodotto che è stato confezionato in un recipiente ermeticamente chiuso (tipicamente lattine o contenitori in vetro) e sottoposto ad un trattamento termico (sterilizzazione), sufficiente per distruggere o inattivare qualsiasi tipo di microrganismo. In questo modo, il prodotto può essere immagazzinato a temperatura ambiente per lunghi periodi, tanto che può durare in perfetto stato per vari anni. Un esempio sono le conserve di carne e pesce.

6.la semi conserva è un prodotto mantenuto in un recipiente impermeabile all’acqua e che ha subito un trattamento che lo stabilizza per un tempo limitato. Un esempio sono le acciughe sotto sale o i filetti di acciughe in olio d’oliva, maturati per effetto del sale. S’introducono in barili separati da strati di sale e per fare in modo che il sale penetri bene, si applicano dei pesi sopra il barile per esercitare pressione: in questo modo si produce una perdita d’acqua dalla carne e si verifica una serie di trasformazioni che, durante un periodo di almeno sei mesi, portano a modificazioni dell'aroma, della consistenza e del sapore. Non trattandosi di prodotti sterilizzati, vanno mantenuti in un posto fresco o refrigerato (5/12º C).

7.disidratazione/essiccazione (v. avanti)

Metodi di conservazione tecnologici

pastorizzazione: questo trattamento deve il suo nome a Pasteur che, intorno al 1860, osservò come il vino sottoposto alla temperatura di 60 °C per alcuni minuti, potesse essere conservato a lungo.

La pastorizzazione distrugge la microflora dei liquidi organici anche oltre il 99 per cento, ma poiché non si raggiungono temperature sufficienti a devitalizzare i microrganismi termofili, né tanto meno le spore, l'alimento pastorizzato deve comunque essere conservato in condizioni atte a limitare lo sviluppo di questi microrganismi.Con il processo di pastorizzazione le proprietà fisico chimiche ed il gusto dei prodotti sono conservate praticamente inalterate per un periodo di tempo differente in rapporto a prodotti stessi. Generalmente la pastorizzazione si applica a:

•latte•birra•vino•budini•dessert•succhi di frutta

ed è seguita da un rapido raffreddamento del prodotto, spesso associato ad altri sistemi di conservazione. Il raffreddamento dell'alimento ha anche lo scopo di evitare che le alte temperature danneggino eccessivamente le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto.La durata del trattamento dipende dalla natura dell'alimento:

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processo temperatura durata note

pastorizzazione bassa60 - 65 °C 30 min utilizzata per vino, birra e latte per caseificazione

pastorizzazione alta75 - 85 °C 2 - 3 minun tempo era utilizzata per il latte. Sostituita dalla HTST (High Temperature Short Time).

pastorizzazione rapida75 - 85 °C 15 - 20 secdetta anche HTST o stassanizzazione.

sterilizzazione

con questo procedimento si eliminano tutti i microrganismi presenti nei liquidi e nei solidi. Il prodotto comunque non è del tutto asettico e non può mantenersi all'infinito: per ottenere una sterilizzazione completa infatti occorrerebbero, alle temperature impiegate, tempi molto lunghi con grosse perdite nutritive.La sterilizzazione viene utilizzata sia per i prodotti confezionati che sfusi, ma affinché l'azione del calore sia duratura, occorre che il prodotto da sterilizzare sia racchiuso in recipienti nei quali è possibile creare il vuoto.Si realizza a diversi livelli di temperatura per un lasso di tempo variabile in rapporto alla temperatura stessa e ai diversi alimenti:

•in autoclave per qualche minuto, a 115 °C circa.Distrugge o blocca l'attività di enzimi, microrganismi e tossine. Rende gli alimenti più facilmente digeribili, mantenendone intatto il valore nutritivo, e salva il potenziale della vitamina C e della vitamina B1.Questo trattamento è valido per una grande varietà di prodotti come legumi, frutta, carne, pesce ed alimenti cucinati, ed è efficace molto a lungo, tranne per gli alimenti molto acidi come i succhi di frutta e la salsa di pomodoro.

•mediante riscaldamento a più' di 115 °C, dai 20 ai 30 minuti.Rende i cibi batteriologicamente puri: ne diminuisce il valore proteico lasciando intatti i contenuti di vitamina A e di vitamina B2.A temperatura superiore ai 140 °C viene trattato sopratutto il latte, di cui non altera il valore nutritivo ed il gusto, e il trattamento di sterilizzazione viene indicato con la sigla UHT (Ultra HighTemperature). I tempi si riducono a pochi secondi.

Dal punto di vista nutrizionale, la sterilizzazione è meno vantaggiosa della pastorizzazione, in quanto l'alta temperatura inattiva le vitamine e fa denaturare le proteine.

Disidratazione

tra i metodi naturali di conservazione, la disidratazione/essiccazione è un sistema ampiamente utilizzato per la conservazione dei cibi. L'essiccazione all'aria era molto usata per carni e pesce (dopo averli salati), nonché per frutta, droghe ed erbe varie.L'essiccazione non prevede drastici interventi di natura fisica come forti riscaldamenti, raffreddamenti, esposizioni a raggi di varia natura che cambiano l'aspetto, la consistenza e spesso il contenuto vitaminico e salino; non ci sono aggiunte di sostanze chimiche nè di altri ingredienti (come sale, olio, aceto, zucchero, alcool) che comunque alterano il sapore degli alimenti da conservare.

L'essiccazione è un metodo di conservazione "apparentemente" poco usato, perché in ambito domestico per la conservazione del cibo si fa riferimento soprattutto al frigorifero e al congelatore, mentre parlando di cibi conservati, oltre ai surgelati, si pensa ai cibi in scatola o alle conserve, marmellate, sottaceto, sottolio, e così si trascura la gran massa di legumi e cereali con tutti i loro derivati, come pure di tutti i prodotti animali, come carni, latte e latticini ottenuti proprio con l'utilizzo di foraggi essiccati.Per molti secoli e fino a pochi decenni or sono si essiccavano frutta e ortaggi per l'inverno o per i viaggi via mare usando il sole nelle regioni più calde e soleggiate, oppure il forno a legna che, dopo la cottura del pane e degli alimenti, veniva utilizzato per l'essiccazione. Una volta spento il fuoco e terminata la combustione delle braci, all'interno del

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forno, nel corso del suo lento raffreddamento, si manteneva una temperatura non elevata ma abbastanza costante da permettere l'essiccazione di molti alimenti come carne, frutta, verdura, sementi ed altro.

Il processo di essiccazione richiede alcune manipolazioni preliminari. I frutti e gli ortaggi di grossa taglia, non possono essere essiccati interi o divisi a metà; quindi devono essere tagliati: a fette, pezzi, cubetti, striscioline ecc. Le forme e le dimensioni del taglio dipendono dalle caratteristiche del prodotto. Poiché l'essiccazione avviene per evaporazione dell'acqua contenuta all'interno delle cellule, l'acqua deve attraversare successivi strati cellulari (ce ne possono essere più di 10 per ogni millimetro di spessore) fino a raggiungere la superficie. E' ovvio che quanto più grosse sono le fette tanto più lungo sarà questo percorso e di conseguenza il tempo di essiccazione sarà maggiore, sicché i tempi di essiccazione, a parità di condizioni esterne e di prodotto, sono all'incirca proporzionali agli spessori delle fette. Quindi, approssimativamente uno spessore doppio richiede un tempo di essiccazione pressoché doppio. Da queste premesse si può pensare che sia più conveniente ridurre i prodotti a fette sottili in modo da ridurre i tempi di essiccazione; tuttavia, tagliando il prodotto a fette molto sottili occorrerà una superficie più grande per la distribuzione delle fette stesse e quindi occorrerà ripetere più volte l'operazione. Pertanto, se lo spessore doppio richiede il doppio del tempo, permette di essiccare anche una quantità doppia. In conclusione, l'esperienza ha mostrato che lo spessore delle fette deve essere per lo più compreso fra 4 e 10 mm, senza con questo escludere la possibilità di fare anche fette più grosse.

Per riporre il prodotto essiccato da conservare bisogna assicurarsi che sia perfettamente secco e cioè che il suo grado di umidità sia inferiore al 13 - 15% . Questi valori si possono raggiungere anche con aria ambiente, senza l'uso del riscaldatore, ma solo se il clima è caldo e asciutto. Solo con l'aria riscaldata si è sicuri di essiccare correttamente anche in presenza di clima freddo e umido e di portare l'umidità del prodotto a valori sensibilmente inferiori a quelli minimi di sicurezza.Per decidere quando il prodotto ha raggiunto un grado corretto di essiccazione, è sufficiente controllare il comportamento dei vari prodotti sottoposti ad essiccazione: all'inizio perderanno umidità abbastanza rapidamente, con una sensibile diminuzione di volume e di peso e con un graduale aumento della consistenza al tatto; con l'esaurirsi del processo queste trasformazioni rallentano gradualmente fino a fermarsi del tutto.Ogni sostanza infatti raggiungerà una condizione di equilibrio di umidità interna che dipende dal tipo di frutto o di ortaggio e dalle condizioni ambientali in cui si opera; tale equilibrio (anche se l'umidità ambientale è molto elevata) con l'uso dell'aria calda, è sicuramente al di sotto della soglia minima di umidità in grado di assicurare la conservazione.

Una volta raggiunto il giusto grado di essiccazione è necessario riporre in recipienti e in luoghi adatti alla conservazione il prodotto essiccato. La corretta conservazione può essere garantita anche in recipienti non ermeticamente chiusi, purché in luoghi asciutti e al riparo dalla luce. In questo caso l'umidità interna potrà variare a seconda della maggiore o minore umidità ambientale, ma sempre restando entro i limiti di conservabilità. Infatti, l'essiccazione non mette i cibi al riparo da muffe e parassiti. Per il primi, l'attacco si verifica se il prodotto non è sufficientemente secco o lo si è collocato in ambienti particolarmente umidi senza chiusura ermetica; per i secondi, occorre tenere a mente che non sempre vengono dall'esterno. Infatti nonostante tutti gli accorgimenti come pulizia, lavaggi, sbucciatura e scottatura della parte superficiale, potrebbe comparire a lungo andare, in alcuni recipienti, qualche piccola larva, come quelle che vediamo a volte formarsi nella pasta, nel riso, nelle farine, o in altri prodotti similari. Questo è dovuto a contaminazioni (uova deposte da piccole farfalle) subite ancora sulla pianta o durante le fasi di raccolta, trasporto e stoccaggio, precedenti all'essiccatura.

Qualora si sospetti una contaminazione da parassiti o se ne riscontrino i primi effetti, è sufficiente mettere il prodotto in un forno a 70-80 ºC per 10-15 minuti, per poi stendere a raffreddare prima di riporre nei recipienti di conservazione. Questo procedimento lo si può attuare già preventivamente per quella frutta che si prevede di consumare dopo vari mesi.

L'essiccazione è una pratica piuttosto diffusa per quanto riguarda erbe medicinali, erbe aromatiche e fiori. La diffusione di composizioni con fiori secchi a scopo decorativo si è notevolmente diffusa nelle abitazioni, nei negozi, pubblici esercizi, alberghi e altri locali.L'impiego di fiori essiccati, normalmente provenienti da specie profumate, è utile anche per la preparazione di pot-pourri, da esporre in coppe, vassoi o altri contenitori per la profumazione dei locali. I pot-pourri si possono preparare mischiando petali di fiori (geranio, rosa, lavanda, fiordaliso…), bucce essiccate di frutta (arancia, limone, pompelmo, cedro), spezie (cannella, chiodi di garofano, noce moscata, ecc.) , eventualmente aggiungendo alcune gocce di essenza

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profumata. Possono essere sistemati in cofanetti di vetro, ceramica o altro, muniti di coperchio, da aprire quando si voglia diffondere il profumo nell'ambiente.

Tutte le foglie con superficie lucida, coriacea o ricoperte di peluria sono di essiccazione molto lenta e pertanto si possono essiccare anche esposte all'aria, in ramoscelli o mazzetti appesi per molti giorni. L'essiccazione forzata abbrevierebbe i tempi, ma non certo in proporzione agli spessori, come per la frutta, e comunque richiederebbe vari giorni.Altre foglie ed erbe si avvantaggiano dell'uso di un essiccatore, ma anche qui non vale la regola di 2 o 3 ore per millimetro di spessore, ma richiedono tempi notevolmente più lunghi in rapporto allo spessore (che di solito è inferiore al millimetro), in quanto le cellule sono integre e inoltre le foglie tendono a conservare l'umidità interna (è un meccanismo primario di autodifesa e di autoconservazione che ogni pianta possiede contro la siccità) rallentando l'essiccazione .

Da queste premesse si comprende che le erbe in genere vanno essiccate senza fretta, sia perché tendono a perdere acqua lentamente, sia soprattutto perché forzando troppo il processo si rischia, con temperature troppo elevate, di far perdere proprio quelle sostanze e quegli aromi per cui si vuole conservarle. Infatti molti principi attivi delle piante officinali, come molte essenze delle erbe aromatiche, sono termolabili cioè vengono distrutti o inattivati da temperature superiori ai 35-40°, come pure dall'esposizione diretta ai raggi solari (si devono essiccare all'aria, ma all'ombra).Pertanto si può ricorrere agli essiccatori, purché siano muniti di movimentazione forzata dell'aria, che spesso è sufficiente anche da sola a dare il risultato voluto, inserendo resistenze o riscaldatori solo con clima freddo o umido e controllando la temperatura di uscita dell'aria.

Per dare un'idea concreta del processo di disidratazione forzato, ci riferiamo ad un essiccatore solare per alimenti, piante aromatiche ed officinali, particolarmente adatto ad un utilizzo familiare o per piccole produzioni. Le sue caratteristiche lo rendono elemento indiscusso in tutte quelle attività di trattamento di conservazione in cui si intenda mantenere la piena continuità dei processi di agricoltura biologica.L'essiccatore "Elio" utilizza la radiazione solare come sorgente energetica, di conseguenza non ha emissioni dannose in atmosfera. Infatti, il processo di essiccazione è ottenuto in modo del tutto tradizionale, sebbene utilizzando una moderna tecnologia ecologica.

L'essiccazione avviene grazie all'aria calda prodotta dal pannello solare (2) che aspira l'aria dall'esterno (1) la riscalda e la immette nella camera di essiccazione (3), l'aria carica di umidità viene espulsa dall'apertura (4).

L'essiccazione, quindi, avviene per l'intenso flusso di aria, questo consente di ottenere un buon grado di essiccazione in tempi rapidi, al riparo da agenti atmosferici ed altri elementi che potrebbero danneggiare il prodotto.La temperatura massima della camera di essiccazione non supera mai i 50°C, questo consente il mantenimento degli oli essenziali e delle proprietà organolettiche dei prodotti trattati.

L'impiego del policarbonato nelle pareti della camera di essiccazione (3), oltre a conferire ottime caratteristiche di robustezza e durata nel tempo, opera una buona schermatura dai raggi UVA, consentendo una buona conservazione delle caratteristiche cromatiche ed organolettiche dei prodotti.

Questo trattamento comporta una lieve perdita vitaminica, sopratutto a livello di vitamina C e di vitamina B1, ma consente una conservazione per tempi molto lunghi. I prodotti sottoposti a disidratazione devono essere in ottimo stato igienico, perché rimane comunque la possibilità di permanenza di forme patogene dopo il trattamento. Si applica a:

•the•latte•caffè•uova•minestre•legumi•frutta•patate

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Irradiazione

Utilizzata per la prima volta negli USA nel 1943 per sterilizzare gli hamburger, è una delle più recenti tecniche di conservazione introdotte. Consiste nel sottoporre gli alimenti all'azione di radiazioni elettromagnetiche come raggi X, raggi gamma e ultravioletti, ed è la tecnica più discussa perchè si teme che renda gli alimenti radioattivi: in realtà le radiazioni ionizzanti non vengono trattenute.La dose utilizzata è generalmente da bassa a media e comunque tale da non determinare la formazione di residui radioattivi nei prodotti trattati.I trattamenti permettono di:

•ridurre la carica microbica di alcuni alimenti aumentandone i tempi di conservazione•distruggere i parassiti e gli insetti infestanti in alternativa ai disinfestanti chimici•inibire la germinazione dei tuberi e dei bulbi

A dosaggi bassi e medi gli effetti sulle caratteristiche nutrizionali degli alimenti sono modesti e comunque non tali da compromettere la qualità del prodotto. Dosaggi elevati di radiazioni ionizzanti eseguono una vera e propria sterilizzazione.Alcuni alimenti non possono essere irradiati perché il procedimento provoca uno sgradevole cambiamento nell'aspetto, nel gusto o nell'odore dei prodotti: l'irradiazione infatti può scurire alcuni tipi di carne e peggiorarne il sapore e la consistenza, ossidare i grassi insaturi rendendoli rancidi e, se usata a dosi elevate, annerire il pesce.Viene utilizzata in:

•patate, cipolle, aglio per bloccarne la germinazione;•alcuni frutti tropicali (es. ananas e banane) per ritardarne la maturazione;•cereali, riso, alcuni frutti e alcune verdure per eliminare insetti ed altri parassiti;•fragole per ritardarne la marcescenza;•carne bovina, pollame, pesce per eliminarne i microrganismi patogeni.

In molti casi gli alimenti irradiati sono indistinguibili alla vista e al gusto da quelli freschi non trattati. In Italia il DM 30/08/1973 permette l'uso delle radiazioni gamma, liberate dalla disintegrazione di alcuni isotopi del cobalto e del cesio, solo al fine di bloccare di germinazione. Vi è l'obbligo di dichiarare se gli alimenti sono stati irradiati, ma attualmente non vi sono mezzi semplici e affidabili per accertare se essi sono stati sottoposti a tale trattamento.

Liofilizzazione

E' un processo di disidratazione condotto a bassa temperatura e sottovuoto, in modo da lasciare inalterata la struttura e le proprietà degli alimenti, offrendo buona sicurezza batteriologica.L liofilizzazione viene ottenuta per congelamento rapido dell'alimento a temperature di -30, -40 °C, e successiva disidratazione per sublimazione sotto vuoto a bassa temperatura.I liofilizzati conservano le stesse qualità nutrizionali dei prodotti di partenza e vanno reidratati prima del consumo: si tratta di un'operazione pressoché istantanea e l'alimento ricostituito è del tutto simile a quello fresco.Un altro vantaggio, oltre alla conservazione assicurata per parecchi anni (purché al riparo dall'umidità), è quello di ridurre considerevolmente il peso ed il volume dei cibi, e questo rende ragione del fatto che tutto il cibo consumato sino ad oggi dagli astronauti nelle missioni spaziali è liofilizzato.I cibi liofilizzati vengono confezionati in involucri resistenti all'ossigeno ed all'umidità, generalmente alluminio e polietilene, ma anche vetro. La liofilizzazione si applica a:

•caffè•the solubile•camomilla solubile•succhi di frutta•frutta esotica•funghi•patate

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•prodotti dietetici•prodotti per l'infanzia•farmaci soggetti ad idrolisi e da ricostituire al momento dell'uso.

Il confezionamento di questi prodotti è un'operazione delicata, compiuta o sottovuoto o in atmosfera controllata.

Malattie infettive

Malattia infettiva (Contaminazione, Penetrazione, Localizzazione, Infezione) - È una malattia causata da un microrganismo patogeno (che si moltiplica in maniera esponenziale, velocemente e si diffonde nell’organismo). Inoltre c’è malattia infettiva quando le difese immunitario sono basse.Fattori che influenzano: Patogecinità, Invasività, Virulenza, Carica Infettante, Infettività.Serbatoio d’Infezione: persona.Fonte d'infezione: microrganismo infettante. es: morbillo HIV, varicella…Fattori che influenzano il Batterio: temperatura, clima caldo ne ostacolano la formazione.Infezione: penetrazione e moltiplicazione di microrganismi in un microrganismo (uomo, animale, pianta).Agente Eziologico: è il microrganismo che poi si diffonde. Può essere Esogeno (esterno) o Endogeno (interno).TRASMISSIONE DIRETTA: Contatto, Trasmissione Sessuale.TRASMISSIONE INDIRETTA: Veicoli (materiale inanimato ovvero acqua, suolo, terra). Salmonella: batterio; epatite A: virus; stafilococco aureus: batterio

Microrganismi

I Microrganismi sono organismi viventi estremamente piccoli e unicellulari. I microrganismi si dividono in:Batteri ( cellule procariote, senza nucleo, diverse forme, immobili e mobili) e di solito l’organismo li combatte con la Fagocitosi (processo di inglobazione tramite enzimi dei lisosomi) , alghe, miceti e protozoi.Virus sono anch’essi microrganismi, per vivere devono penetrare all'interno di una cellula e moltiplicarsi al suo interno, hanno un proprio nucleo. Sono dei Parassiti. Il Virus ha 2 fasi: extracellulare (materiale generico chiuso in una proteina) e intracellulare (assemblaggio nuovi vironi). Il Virione può essere icosaedrico o elicoidale. Virus con Doppio Filamento (DNA);un Filamento (RNA). Terapia Antivirale: farmaci specifici. Non sono facili da distruggere in quanto diventano sempre più forti.TERAPIA ANTIBATTERICA: Antibiotico specifico per quel batterio.Microrganismi Patogeni: sono in grado di generare malattia.Modo di Contrazione: via aerea, sessuale, alimentare, cute.MICRORGANISMI NON PATOGENI: non sono in grado di generare malattie.MICRORGANISMI Patogeno opportunista: normalmente non è patogeno, ma in particolari condizioni è in grado di generare malattia.Commensali: vivono nella cute , non hanno azione patogena e risultando utili per l'uomo.

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Parassiti: microbi che aggrediscono l'uomo generando malattia.Tossina: E’ prodotta da microbi e a volte è mortale. Si assume per via alimentare.Endotossine (alta concentrazione batterica) non ci si può vaccinare;Esotossine (bassa concentrazione batterica, ci si vaccina).