Approfondimenti Rubriche Lo sguardo del folle ... · te difficile da superare. Il limite tra una...

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dicembre 2014 n.51 Approfondimenti Farmaci e droghe Jan Hus Alberta Basaglia Lo sguardo del folle Claudio Lolli, Genesis e Darwin Calcolo della Probabilità Rebetiko - Gente da Taverna Metafisica del Numero Il limite Rubriche La Percezione Il Quaderno dei Sogni La Tendenziosi Spazio al Futuro Sfotogrammi Caleidoscopio EssePiDiCi Il Jolly Poesia Mente locale a Spazzi

Transcript of Approfondimenti Rubriche Lo sguardo del folle ... · te difficile da superare. Il limite tra una...

dicembre 2014 n.51

ApprofondimentiFarmaci e drogheJan HusAlberta Basaglia

Lo sguardo del folleClaudio Lolli, Genesis e DarwinCalcolo della ProbabilitàRebetiko - Gente da TavernaMetafisica del NumeroIl limite

RubricheLa PercezioneIl Quaderno dei SogniLa TendenziosiSpazio al FuturoSfotogrammi

CaleidoscopioEssePiDiCiIl Jolly

PoesiaMente localea Spazzi

Michel Foucault nella sua Storia della follia nell’età classica ha scritto che ”La libertà di coscienza comporta più rischi dell’autorità e del dispotismo”. Poche parole che ai giorni nostri sembrano risuonare come una valanga di neve che scende silenziosa ai piedi di una montagna. Una grande responsabilità, quella che ci viene suggerita da Foucault. La libertà (che scaturisce spesso e volentieri dal virtuosismo di uno sguardo di follia) può essere strumentalizzata, derisa, banalizzata, parcellizzata, usata come moneta di scambio.

Segn/Ali prova a confrontarsi con questa responsabilità da sempre. Bisogna ricordarsi cosa significa essere liberi, quali limiti pone, come si ripercuote su di noi e sugli altri. Il limite, ci spiega Valentina, a volte così faticosamen-te difficile da superare. Il limite tra una sostanza che ci cura e che ci fa male. Il limite tra la liber-tà di culto e la cieca intolleranza. Il limite tra l’eredità di Basaglia e il suo superamento. I limiti della nostra percezione, il limite come distanza tra la terraferma dei cantori del rebetiko e il mediterraneo mitologico, come punto d’incontro tra i viaggi onirici di Fellini, come gioco di forme messe in musica dai Genesis o da Claudio Lolli. Il limite del linguaggio tecnico messo in mostra negli spunti di tante grafie che stanno miracolosamente nei limiti di pochi versi di una poesia dettata faticosamente in un lamento da repartino

Quando stiamo male e andiamo dal medico, che sia un mal di testa o un mal di schiena o la de-pressione, ci viene consegnata una ricetta che noi presentiamo in farmacia per acquistare un farmaco, oppure possiamo procurarcelo da soli se il medicinale non è sottoposto a ricetta. L’auto-rizzazione scritta del medico è, tra gli altri, un modo per evitare che si possa adoperare il farmaco per altri scopi che non siano quelli legati alla malattia dell paziente e alla terapia stabilita. Come praticamente tutte le sostanze presenti in natura o sintetizzate, ognii medicina ha degli effetti benefici specifici ma anche un certo grado di tossicità sul nostro organismo. I livelli dii variabilità tra questi due poli beneficio/tossicità sono moltissimi per alcune sostanze perché la risposta sog-gettiva non è per nulla univoca. Di solito più il dolore o il danno subito è acuto più siamo portati ad accettare le conseguenze degli effetti collaterali della sostanza e il livello di dipendenza che essa può generare, sempre che queste informazioni ci vengano trasmesse correttamente dal me-dico o farmacista. Lo sanno bene gli 11 milionii di italiani che assumono psicofarmaci, circa un quinto della popolazione. Esistono tuttavia un certo numero di sostanze che sono state dichiarate illegali perché considerate talmente pericolose e tossiche che non meritano lo stesso trattamento delle altre. Le conosciamo bene, perché nonostante i divieti vengono diffuse in modo capillare attraverso il traffico clande-stino e sono tra le principalii fonti di guadagno delle mafie. La proibizione non ha tuttavia limitato il consumo di tali sostanze, al contrario sii registra anno dopo anno un numero sempre crescente di consumatori e un incremento esponenziale del giro di affari intorno alla spaccio. Sorgono spon-tanee alcune domande: i criteri in base ai quali si è deciso di proibire una sostanza quali sono? Per quale motivo così tante persone continuano a usare tali sostanze nono-stante tutto? Queste sostanze illegali possono avere finalità terapeutiche? Se si, a che condizioni? Perché lo Stato permette e controlla minuziosamente la somministrazione di alcune sostanze con specifici principi attivi, considerati estremamente pericolosi, mentre per altri applica il divieto assoluto non soltanto per l’utilizzo, ma anche per la ricerca farmacologica? A queste domande si possono dare diversi tipi di risposte. I tecnici interpellati dai legislatori hanno dato delle soluzioni evidentemente molto chiare. Data la complessità degli argomenti trattati, questa eccessiva chiarezza ci porta a dubitare dell’onestà di queste risposte. Le possibilità di analisi di questi fenomeni sono molteplici: dall’ambito puramente scientifico di ricerca farmacologica a quello politico ed economico. In questo articolo ci limiteremo a dare un contributo sintetico dell’utilizzo medico nella storia della psichiatria di alcune sostanze al mo-mento illegali in Italia.

FARMACI E DROGHE

LSD (dietilammide-25 dell’acido lisergico) Nel 1938 fu sintetizzato da Albert Hoffmann a Basilea dall’acido li-sergico che si trova nell’ergot, un fungo parassita della segale cono-sciuto in Europa già nel medioevo. Il primo articolo scientifico dedi-cato alla sostanza compare nel 1947 in Svizzera (Werner Stoll, Swiss Archives of Neurology) e successivamente negli Stati Uniti vengono effettuate ricerche sistematiche e approfondite. Tra il 1950 e 1960 si contano centinaia di studi sull’LSD che viene accolto entusiasti-camente dagli psichiatri americani che lo utilizzano con successo in ambito psicoterapeutico e nella cura delle dipendenze. In contempo-ranea l’utilizzo della sostanza si estende tra la popolazione e il con-gresso degli Stati Uniti approva una legge agli inizi degli anni ‘60 che vieta l’utilizzo della sostanza anche in ambito di ricerca scientifica.

MDMA (3,4-metilenediossimetanfetamina)Conosciuto anche come Ecstasy, è una metanfetamina dagli effetti ecci-tanti e entactogeni. Si tratta di un composto semisintetico ottenuto dal safrolo, uno degli olii essenziali presenti nel sassofrasso, nella noce mosca-ta, nella vaniglia, nella radice di acoro, e in diverse altre spezie vegetali. Sintetizzata dall’azienda farmaceutica tedesca Merck nel 1910, la sostanza rimase inutilizzata fino a quando il brevetto non fu riscosso dagli alleati come “bottino di guerra”. Nel 1970 il chimico Alexander Schulgin lo con-sigliò agli psicoterapeuti, ma soltanto negli anni ottanta fu utilizzato con successo nella cura dell’ansia, della resistenza psichica e come sedativo. Nella cosiddetta “terapia di coppia” con la supervisione di un’analista, ebbe un notevole successo. Senza che ne venissero accertati effetti negativi sul cervello, la sostanza venne messa al bando a metà degli anni ottanta.

CannabisPrima dell’avvento del proibizionismo della cannabis le diverse varietà del-la canapa erano coltivate in tutto il mondo fin dall’antichità e utilizzate in numerosissimi campi: il fusto costituiva la materia prima per la produzione di carta, fibre tessili in genere (corde, abbigliamento, ecc.), fibre plastiche, e concimi naturali; nella medicina umana e veterinaria le foglie e soprattut-to i fiori erano molto utilizzati per vari scopi fra i quali, ad esempio, l’uso antinfiammatorio e sostituivano in quel periodo molti dei farmaci presenti oggi sul mercato. Con la canapa si possono produrre anche cosmetici come creme, shampoo e saponi. Tuttavia il maggior uso della pianta nei paesi oc-cidentali è attualmente quello ricreativo. Al di là delle controversie sull’uso

della canapa come stupefacente, va considerato che essa è stata per migliaia di anni un’importante pian-ta medicinale, fino all’avvento del proibizionismo. Tuttavia negli ultimi decenni si è accumulato un certo volume di ricerche sulle attività farmacologiche della cannabis e sulle sue possibili applicazioni. Le possi-bili indicazioni terapeutiche le possiamo in modo grossolano riassumere in questo modo:-Effetti stabiliti da studi clinici contro: nausea e vomito, anoressia e cachessia, spasticità, condizioni dolo-rose (in particolare dolore neurogeno)-Effetti relativamente ben confermati contro: disordini del movimento, asma e glaucoma-Effetti meno confermati contro: allergie, infiammazioni, infezioni, epilessia, depressione, disordini bipo-lari, ansia, dipendenza, sindrome d’astinenza-Effetti allo stadio di ricerca contro: malattie autoimmuni, cancro, neuroprotezione, febbre, disordini della pressione arteriosa.Soltanto pochi mesi fa il governo italiano ha autorizzato la produzione a scopo terapeutico di cannabis presso lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze

CocainaÈ un alcaloide che si ottiene dalle foglie della coca (Erythroxylum coca), pianta originaria del Sud America, principalmente del Perù, della Co-lombia e della Bolivia, o per sintesi dall’ecgonina. Nella seconda metà dell’Ottocento la coca iniziò a diffondersi anche in Europa. Vari prepa-rati sotto forma di bevande si affermarono sul mercato e per usi medi-ci disparati: pozioni perlopiù destinate al trattamento della depres-sione, di varie affezioni nervose, del mal di gola, dell’impotenza, di febbri, dell’anemia. L’industria farmaceutica, naturalmente, non restò a guardare e progressivamente molti prodotti, perlopiù propagan-dati come tonici, si aggiunsero. La Coca Cola, esordì con ingredienti estratti dalla pianta sudamericana (e non privati del principio attivo).

La cocaina fu isolata dalla sua pianta madre nel 1860, da Albert Niemann. In quel periodo e per tutta la fine del secolo gli studi sulla pianta e sul suo alcaloide principale si intensificarono. Con l’approvazione dei governi ne furono avallate numerose applicazioni: per aumentare la produttività degli operai nelle fabbriche, per elevare il morale dei militari, o in medicina, per trattare disturbi nervosi, di eccessiva timi-dezza, o anche in tentativi di svezzamento dalla morfina. Tuttavia, anche gli sperimentatori più entusia-sti dovettero ben presto misurarsi con le conseguenze delle intossicazioni acute e croniche da cocaina

.Funghi allucinogeniCon il termine generico di funghi allucinogeni si indicano le specie di funghi dalle caratteristiche psicoattive che contengono principi attivi come la psi-locibina e suoi derivati. Ne esistono circa duecento specie, diffuse in tutto il mondo, e ogni anno i micologi ne classificano di nuove. Evidenze storiche e archeologiche dimostrano che una pluralità di culti e tradizioni, sia a scopo religioso sia terapeutico, si è sviluppata intorno ad essi. I cactus e i funghi psichedelici erano e sono tuttora tradizionalmente diffusi presso le popola-zioni indigene di diverse zone dell’America e il loro uso, legato a riti sacri e fatto risalire al 2000 a.C., si è perpetuato presso le culture degli Inca, degli Aztechi e dei Maya. Pare che il loro uso non fosse estraneo anche alle cultu-re europee, africane e asiatiche fin dall’età della pietra.

Uno studio dell’Università dell’Arizona (2011) ha testato la psilocibina su nove pazienti affetti da disordi-ne ossessivo-compulsivo, riscontrando miglioramenti in tutti loro. Sempre nel 2011 dagli scienziati della Johns Hopkins University di Baltimora ha dimostrato che i funghi psilocibinici inducono “positivi cambia-menti” nella personalità degli assuntori. Più della metà dei partecipanti allo studio (60%) ha mostrato una decisa trasformazione in termini di ‘apertura mentale e creativa’. I tratti che si sono rafforzati sono quelli dell’immaginazione, delle idee astratte, dei sentimenti, del senso estetico e tali cambiamenti sono durati almeno per i 14 mesi in cui i soggetti sono stati sottoposti a controlli. Nel 2014 è partito uno studio della Università del Nuovo Messico che, riprendendo studi degli anni ‘50 e ‘60 che avevano mostrato buoni risultati nell’uso di psichedelici (in quel caso LSD) contro le dipendenze, sta studiando l’efficacia della psi-locibina nel trattamento dell’alcolismo

Bibliografia selezionataHoffmann, Albert: LSD il mio bambino difficile, ed. Urra/ApogeoShulgin, Alexander; Shulgin, Ann, Pihkal: A Chemical Love Story, Transform Press 1991Associazione Cannabis Terapeutica (Cur.): Erba medica. Usi terapeutici della cannabis; Editore Nuovi Equilibri, 2003Steven B. Karch, Storia della cocaina, Odoya, Bologna 2010Camilla, Gilberto, 2003, Psicofunghi italiani, Stampa Alternativa

Leggi che comprendono anche la lettura del pensiero, oggetti magici che magnetizzano il circostante e in oltre scritte e segni che hanno un valore ulteriore rispetto a quello manifesto.Qualche riga va spesa anche sugli oppia-cei; questi generalmente annullano qualsi-asi dispercezione, secondo me annullano anche quel cupo dolore che accompagna certi fenomeni psicotici. Dico questo perché conosco persone che sono trovate a fron-teggiare terribili allucinazioni a causa di ciò.Un mondo a parte è quello che potremmo chiamare allucinazioni etiliche, esse di solito avvengono dopo lunghi periodi di assunzione e possono andare da semplici bouffées fino a grandi crisi allucinative. Uno delle cose strane è che i grandi bevitori finiscono per visualizza-re insetti sui muri o sulla pelle, fino ad arrivare al delirium tremens, tutti disturbi che inter-vengono soprattutto dopo anni di alcoolismo.Le cose di cui abbiamo parlato in questo ar-ticolo sono in realtà un vero tabù soprat-tutto nel collegamento tra canapa, allu-cinazioni acustiche e quello che ci piace chiamare un sentire magico e sarebbe un campo da esplorare con la massima serietà.

Una cosa di cui molti si sono resi conto è che per chi soffre di dispercezioni uditi-ve l’haschisch e la marijuana, sostanze di per sé quasi innocenti, per non dire cu-rative, possono avere effetti dirompenti. Oserei dire che questi fenomeni vengono ve-ramente amplificati creando dei personaggi che ti parlano e in molte persone me compre-so la fastidiosa sensazione di essere letti nel pensiero. La spiegazione ufficiale della scien-za è questa: la canapa abbatterebbe la fron-tiera tra l’Ego e il mondo esterno e che quindi una supposta voce interiore divenga esterna. Mi sembra di poter dire che questa non è una buona teoria. Lo dico con cognizione di causa. Innanzitutto a parlare sono dei veri personag-gi, con una propria, per così dire, personalità e che quindi al limite si può dire che non è que-sta supposta voce interiore che diventa ester-na ma una vera e propria scissione dell’Io. Chiaramente questa non è l’opinione di chi percepisce per la prima volta questo fe-nomeno. Le prime volte sembra proprio telepatia, di cui non ho mai negato l’esi-stenza. Il ruolo della canapa, sarebbe quel-lo di creare un mondo magico in cui sono valide leggi che non vigono nel quotidiano.

REBETIKO GENTE DA TAVERNA

«Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese, ma se capirai, se li cercherai fino in fondo se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo.»Fabrizio De André “La città vecchia”

In tempi di crisi si è propensi ad avere due atteg-giamenti differenti. Il primo, che potremmo defi-nire dionisiaco e tragico, ci porta ad introiettare il dolore della vita e a espanderlo per renderlo con-cretamente un atto di verità costitutivo dell’essere che è in crisi in quanto vivente e che vive per se-gnare la crisi. Un termine, «crisi», che etimologica-mente significa «rottura, frattura». L’ideogramma cinese che designa il concetto di crisi contiene due segni, di natura complementare come è tipi-co della filosofia taoista: il primo analogo al signi-ficato etimologico, il secondo, con il significato di «opportunità». Certamente quest’accezione è alla base del secondo atteggiamento, di tipo apolli-neo, di fronte alla crisi, il rivendicare l’opportunità per una nuova creazione, per una nuova poesia. Da secoli distinguiamo i due atteggiamenti, incasel-landoli nelle categorie di pessimismo e ottimismo. Ma così come è visibile negli ideogrammi cinesi, pure nella cultura e nell’inestinguibile pensiero umano convivono e si compenetrano i due poli di Dioniso e Apollo. Per saperlo con certezza rivolgetevi ad un greco: scoprirete che, in fondo, entrambi sussisto-no in ogni istante della vita, fino quasi a toccarsi. Tale convinzione riverbera per tutta la lettura del li-bro Rebetiko – vita, musica, danza tra carcere e fumi dell’hashish, un volume che ci racconta la storia di questa scena culturale sorta alla fine dell’ottocento e sviluppatasi fino a fiorire appieno tra gli anni ‘20

e gli anni ‘50 del XX secolo, tra le sponde sconfi-nanti di Grecia e Turchia, all’interno di un milieu di sottoproletari urbani. Un ipocosmo sociale che ha vissuto i drammi di guerre, di esodi, di dittature, di imprigionamenti, discriminazioni e angherie del po-tere sulla propria pelle. Un milieu urbano condan-nato a confrontarsi costantemente con la «crisi». Questa scena musicale e culturale nasce ed è per-tinente alle periferie, ai confini soggetti a contami-nazioni, e a luoghi di ristoro e perdizione, approdi e derive del vivere. Il rebetiko è una musica urbana da taverna del porto. Ecco una scena che potrem-mo vedere: una costruzione bassa con le serrande mezze abbassate, in una piccola via o un vicolo, una taverna quasi impercettibile, celata agli occhi delle autorità prepotenti. Al suo interno pochi tavo-li, gente che beve e fuma nella semioscurità. Volti segnati dalla durezza della vita, dallo sguardo ora torvo ora assente. Nell’aria il suono di alcuni cor-dofoni, due buzukia e un baglamas, i primi affini a dei mandolini, il secondo del tutto simile a que-sti, ma in formato assai ridotto, con un suono più penetrante e acuto. Accanto a loro una chitarra, e forse anche uno strumento a percussione. Attorno a certi tavoli potremmo vedere persone abbando-nate, in uno stato quasi catatonico, con lo sguardo del tutto assente e sognante; in mezzo a loro, an-cora visibile, un narghilè artigianale autocostruito. Sono i fumatori di hashish che si narcotizzano con questa droga per non patire le asprezze del tempo, per evocare e cercare conforto in sogni dolci. Allo stesso modo potremmo vedere qualcuno alzarsi e compiere passi di danza, come rapito da un dáim-on, e ugualmente sembrerà che cerchi una catarsi di qualche tipo, sia dionisiaca che apollinea. Le stro-fe che viaggiano mormoranti sulla musica ci parle-ranno innanzitutto della vita di questo ipocosmo. Sono storie d’amore, di nostalgia di posti, di espe-rienze di carcere o di vita quotidiana tra le taverne, il bere, il fumare, e i patire i colpi dell’amara sorte. Così scopriamo leggendo questo libro, che presen-

ta alcuni testi di Elias Petropulos, che da «antropo-logo urbano», come si definiva, descrive, racconta e spiega, aprendo il ragionamento, senza mai giudi-care, anzi condannando le facili sentenze di un sa-pere ufficiale, accademico e giuridico, che opprime-vano il sottoproletariato urbano, col quale invece si schiera Petropulos. Egli se mai problematizza, crea connessioni, approfondisce e documenta, non ac-cettando mai compromessi, ma rinviando alla vita stessa qualsiasi soluzione. Perché la musica e la cul-tura del rebetiko sono innanzitutto un’arte di vivere. Il libro, sintetico ed essenziale, accompagnato da un bel disco con esempi di musica rebetika tradizio-nale del periodo, è arricchito di ulteriori contributi (note, immagini e appendici) che collezionano i se-gni e le particolarità del rebetiko, approfondiscono per il lettore che non li conosce gli sfondi storici nei quali apparve questa scena, e presentano i ritrat-ti dei principali autori di rebetiko presenti sul cd. Una musica, il rebetiko, che è andata scomparen-do con l’avvento delle mode turistiche omologate, ma che nelle sue tradizioni, soprattutto in questi periodi pieni di crisi, porta ancora forte il messag-gio e la carica poetica della sua arte di vivere. Negli ultimi anni, pullulano omaggi al rebetiko da parte di più artisti, musicisti e scrittori. Segno di questi tempi di crisi. Possiamo sicuramente citare il lavoro di Vinicio Capossela con musicisti greci, con le sue canzoni reinterpretate in chiave rebe-tika. Ma anche il bel libro a fumetti di David Pru-dhomme. Oppure le interpretazioni postmoderne di Yannis Kyriakides e Andy Moor che ripropon-gono questa musica, nell’album “Rebetika”, in un profluvio di nuove contaminazioni che attraver-sano e toccano i suoni del punk e dell’elettronica. Quest’arte di vivere la potrei definire come figlia della dimensione portuale dell’esistenza. Voglio ora allargare lo sguardo, errante, nel tentativo di riab-bracciare i tempi cosmici con una serie di libere con-nessioni. Prendetele, se volete, come azzardi poetici… Il porto è un luogo carico di simboli. Prima dei sim-boli però stanno le potenze che nel tempo antico erano avvertite come déi, numi che illuminavano la coscienza dell’umanità. Prima della tecnica e dei so-fismi, il mondo o cosmo suggerisce la presenza dei numi, e di per sé le voci degli déi ci avvertirebbero di fronte a quei piccoli golfi dalle acque profonde, quasi uterine, protettive e nutritive, che consentono la (psico)nautica. I porti sono luoghi di confronto, di scambio, di narrazione, di visioni estatiche e mi-steriose. Vi transitano saperi, idee, conoscenze, ma anche traumi, ferite, e cose, beni materiali ed imma-teriali. Anche qualche mostro che dal mare aperto dell’esistenza è entrato nel nostro cervello per non uscirne mai più (ma forse era già lì ed è solo emerso). Il mito ci consegna la storia di Melicerte, figlio di Ino, e fratello di Learco. Ino era la figlia di Cadmo e Armonia, ed era sorella di Semele e sposa di Ata-mante, re tebano. Uccise i figli che il marito aveva

avuto da Nefele. Adottò il dio Dioniso, figlio di Zeus e di sua sorella Semele. A causa di ciò, Hera adira-ta fece impazzire Atamante che cacciando uccise il figlio Learco scambiandolo per un cervo. Ino, di-sperata, impazzita, buttò Melicerte in un calderone bollente, e poi con il corpo di lui si buttò in mare. Zeus chiese allora l’intervento di Poseidone il qua-le tramutò Ino e il figlio Melicerte in due divinità, coi nomi di Leucotea e Palemone, protettrici dei naviganti, che soccorrevano durante le tempeste. Palemone era per i latini il dio Portunus, il cui tempio sorgeva presso il ponte Emilio, ove era lo scalo delle merci. Palemone/Portunus era il dio del porto. Gli era dedicata un festa (i Portunali) che cadeva il 17 agosto, data in cui si raggiunge-va l’apice della siccità, e occorreva propiziare la rottura delle acque dal cielo, affinché la vita con-tinuasse a scorrere. Lo stesso giorno, e dunque in coincidenza mitologica, venne eretto un tempio in onore di Giano, dio protettore dei cicli, e degli inizi, che sovraintendeva alle soglie – o confini. Ino, diventata Leucotea «la dea bianca», era invece per i latini divenuta Mater Matuta, divinità dell’auro-

ra, insieme a Giano, Pater Matutinus. Mater Matuta era la protettrice delle partorienti, al pari di un’altra dea che sovraintendeva al parto, Lucina – divini-tà ora identificata come epiteto di Hera/Giunone, dea del matrimonio e della famiglia, ora identifica-ta con Artemis/Diana, dea della caccia, dea lunare, vergine, protettrice delle donne, gemella di Apollo. In questa arborescenza cosmica, in questo succinto e assai parziale tratto della mitologia classica, assi-stiamo all’avvicinarsi echeggiante del porto con il parto. È questo un arco mitico che si tende tra il senso dionisiaco e quello apollineo. Il porto con la sua sim-bologia, e altrettanto il parto con le sue potenze, mi richiamano un’altra e ben più forte potenza, Anan-ke, la Necessità. Poiché entrambi i luoghi, questi due palcoscenici della vita, con i loro bacini, non pre-scindono da una costrizione che è proprio il segno distintivo della Necessità, il cui simbolo è il giogo. La grecità, millenni prima del rebetiko, ci ha però consegnato un’altra testimonianza: il tentativo di subordinare la necessità alla bellezza. Un’al-tra potenza archetipica è chiamata in causa in questa cosmica partita: Athena, dea del sapere. È Athena, nella sua doppiezza verginale di dea che fa fiorire la conoscenza, e di dea guerriera, che ri-conduce il giogo della Necessità al pensiero, so-vraintendendo alla Norma in forma poetica, gra-zie ad una potenza a lei legata, la Persuasione. Allora mi ritornano in mente, opposte e antago-niste alle asprezze della guerra, della carestia, del-le angherie del potere, la parole di una filosofa, Hannah Arendt, che si opponeva tanto alla violen-

za quanto alla confusione tra autorità ed autorita-rismo (che se mai segna la sconfitta dell’autorità), e con pervicaci tentativi di persuasione ammoni-va che «la democrazia va partorita ogni giorno».

Ho errato con lo sguardo tra gli astri del cosmo, ma sono tornato alla fine all’ipocosmo del sotto-proletariato urbano del rebetiko, poiché è in sper-duti naviganti come quelli delle taverne greche di qualche decennio fa, o come negli altrettanto sperduti naviganti delle periferie mondiali, mate-riali e mentali di oggi, che si confrontano costan-temente con la crisi, che si può venire a contatto con un’arte di vivere che è una visione decisiva e poetica dal fortissimo valore politico e universale.

Enea Solinas

Bibliografia e discografia apertamente citata: Elias Petropulos – REBETIKO – Vita, musica danza tra carcere e fumi dell’hashish, Nautilus Edizioni, 2013. Roberto Calasso – Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, 1988 James Hillmann – La vana fuga dagli déi, Adelphi, 1991 David Prudhomme – Rebetiko, Coconino Press, 2010 Vinicio Capossela – Rebetiko Gymnastas, Warner Music, 2012 Yannis Kyriakides&Andy Moor – Rebetika – Un-sounds, 2010

IL LIMITECarissimi lettori, desidero condividere con voi le mie riflessioni a proposito del “limite”, che è qualcosa che tutti noi siamo chiamati a sperimentare. Questa parola deriva dal latino “limes” che era il territorio al confine dell’Impero Romano. In seguito ad un episodio personale nei giorni successivi ad uno spiacevole fatto, mi sono chiesta, perché, se siamo capaci di superare il limite che ci viene imposto senza troppe difficoltà, il discorso cambia quando lavoriamo sui nostri limiti personali. Sfogliando il vocabolario mi sono resa conto che questo termine ha tantissime ecce-zioni di cui forse non teniamo nemmeno conto.Ad esempio, come io stessa ho sperimentato ed è stato anche ripreso nel fantastico libro “Il Gabbiano Jonathan Livingstone” di Richard Bach, di cui forse avete già sentito parlare, talvolta il limite è immaginario, a volte viene usato per indicare che siamo arrivati alla soglia di sopporta-zione. Altre sono le espressioni in cui si usa questo sostantivo nelle sue declinazioni. Quelle che ho trovato sono queste che vado a citare:

Stare nei limiti che è la normalità massima e minima consentita;Al limite come ipotesi estrema;

Dopo questo breve excursus, mi sono resa conto che entriamo in crisi quando non riusciamo a superare i limiti che ci appartengono, perché laddove c’è una consapevolezza, viene provocato il risveglio della coscienza, che ci scuote come il vento agisce sulle foglie saldamente attaccate ai rami degli alberi.

Valentina Severini

LA STORIA DI JAN HUSdi Carlo Giorcelli

Jan Hus, sconosciuto in Italia, nella Repubblica Ceca è un martire nazionale. A Costanza, citta-dina a maggioranza cattolica della Germania, un masso ne segna il luogo del martirio.Denunciò la corruzione di pontefici e vescovi. Jan Hus osò affermare, che il capo della chiesa è Cristo e non il Papa, che solo Dio può rimette-re i peccati. Per lui i cristiani avevano il diritto di stabilire se un ordine della chiesa proveniva da Dio o dagli uomini, e dovevano disobbedire se non corrispondeva alle sacre scritture.Jan Hus, seguì i corsi all’università carolina (karlova) di Praga, luogo aperto a scambi cul-turali e religiosi. Divenne anche teologo. Il dis-senso nel mondo cattolico nel 1400 non era ammesso.Era un grande predicatore. Chiedeva elemo-sina per i poveri. Come il predicatore inglese John Wyclif iniziò a chiedere riforme moraliz-zatrici delle altre sfere religiose. Le indulgenze tassavano sulle campane lucravano sui sacra-menti, vendevano reliquie. La chiesa ufficiale era già sconvolta dallo scisma d’occidente, vi erano tre Papi che comandavano ognuno per conto suo, e non tollerava divisioni al suo inter-no. Due riformatori vicini ad Hus furono con-vocati a Bologna per discolparsi, e al concilio di Costanza furono i grandi accusatori del sacer-dote boemo.L’Arcivescovo di Praga gli proibì di predicare, ma lui dalla sua parte aveva il re di Boemia Venceslavo. Divenne rettore dell’università di Praga. Hus sosteneva come Wyclif che si può predicare senza il permesso del Vescovo, per-ché annunciare il vangelo è un comandamento di Cristo.

Così la scomunica papale gli arrivò in modo du-rissimo, nessuno poteva assisterlo, parlare con lui, offrirgli cibo o ospitalità. Contro la sua casa cominciarono a volare pietre.Hus reagì alla scomunica con una lettera in cui si appellava direttamente a Dio. Fu convocato al concilio di Costanza per eleggere il nuovo Papa, tra i tre co-regnanti, e per risolvere le con-troversie dottrinali. Hus vi andò munito di un salvacondotto del re Venceslao, che in realtà lo aveva scaricato. Fu convocato da tre cardinali con la garanzia di incolumità che si rivelò poi una trappola, perché fu incarcerato. Fu invita-to a rinnegare la sue idee ma lui non accettò. Fu umiliato e consegnato al braccio secolare, e bruciato vivo. Spirò cantando inni. Di lui non doveva rimanere più niente.L’odio contro Jan Hus, era dettato dal fatto che la sua predicazione minava alla base l’autorità spirituale e temporale della chiesa. Volevano cancellare il suo ricordo, invece a Costanza, ol-tre alla pietra posta dove fu martirizzato, vi è anche un museo dedicato a lui, e a Praga vi è anche una statua. L’esecuzione di Hus fu il ca-sus belli che dette inizio a trent’anni di guerra contro i suoi seguaci boemi. La chiesa cattolica indisse contro di loro, inutilmente, ben cinque crociate. Un secolo più tardi la maggioranza dei boemi aderì alla riforma di Lutero e entrò nella Uni-tas Fratrum, erede del movimento Hussista. Il ricordo di Jan Hus non è morto.Il sacerdote riformatore boemo è stato in parte riabilitato dalla chiesa cattolica della Repubbli-ca Ceca e dal Vaticano, anche per la sua vita integerrima.

Il calcolo delle probabilità nasce per valutare la convenienza e l’equità dei giochi d’azzardo.Un problema classico è quello del gioco dei dadi. Facciamo un esempio.Se un giocatore punta una somma X sull’uscita del 6 e deve sopportare una perdita Y se esce l’1 o il 2 allora il gioco è equo se

1/6 X = (1/6 + 1/6) Y

La ricerca che ho svolto riguarda l’applicazione del calcolo delle probabilità alla teoria dei nu-meri.Le applicazione del calcolo delle probabilità sono vaste e sono estendibili alla varietà di pro-blemi.Per tornare al nostro esempio poniamo di do-ver calcolare la probabilità che lanciando tre volte il dado esca tre volte il numero 3.Sapendo che ogni faccia del dado ha probabi-lità di uscire pari a un sesto posso determinare la probabilità cercata.Chiamando Xi l’evento “uscita del 3 nel i-esimo lancio” la formula per determinare tale proba-bilità è

P(x1=3, X2=3,X3=3)=(1/6)^3=1/216

(Se vogliamo calcolare la probabilità che in tre lanci esca una volta il tre dobbiamo applicare la formula:

3 (1/6)^1 (5/6)^2)

Ho impiegato il calcolo delle probabilità per ri-solvere i problemi della teoria dei numeri. Sia n un intero positivo. Per esempio sia f(n) la fun-zione che dà il numero di fattori di n. Una clas-se di problemi affrontati è la seguente:

Dato un insieme di appartenenza di n, per esempio l’insieme dei numeri compresi da 1 a 1000000000 determinare la probabilità che f(n)=2.Sapendo che nell’intervallo stabilito la media di f(n) è circa 4,

P(f(n)=2|1< n ≤ 10^9) ≈ e^-4 (4^2)/2!

Come si capisce dalla formula è fondamentale

per determinare tale probabilità la conoscenza della media di f(n) per n che appartiene ad un certo insieme.Poniamo, per rendere lineare il discorso, che n sia compreso tra 1 e N dove N è un parametro da definire di volta in volta.Al crescere di N con quale legge di crescita si incrementa la media di f(n)? E’ molto difficile dare una risposta al quesito in quanto f(n) cre-sce in modo irregolare.E’ possibile però individuare due funzioni di N, g(N) e h(N), il cui grafico ha una proprietà par-ticolare.Per ogni numero naturale N si ha:

g(N) < media (f(n) dato 1< n ≤ N) < h(N)

Questa proprietà permette di circoscrivere i valori della media di f(n). I risultati di ricerche basate su dei campioni hanno evidenziato che non esiste una base logaritmica per quanto grande che possa descrivere l’andamento della media di f(n). Passiamo ora ad una descrizione di g(N).

g(N) = log((log N)^2, N)

E’ doveroso dire che tali ricerche sono alla por-tata di tutti. Pertanto ricordo che per calcolare la media di f(n) è sufficiente:

- Creare un campione di numeri compresi in un certo intervallo e questo si può fare con un ge-neratore di numeri casuali.- Fattorizzare i numeri del campione utilizzan-do un online factoring calculator.- Una volta fattorizzati tali numeri creare una statistica in cui ogni intero positivo compreso tra 1 e log (2, N) ha una frequenza.- Produrre un istogramma con tali frequenze.- Cercare una curva (principalmente tra le leggi di distribuzione di probabilità) che approssimi i dati empirici.

Giorgio Viale

CALCOLO DELLE PROBABILITA’

METAFISICA DEL NUMEROCredo nell’Uno e sono una testa quadra. Come poeta non posso fare altrimenti, benché Simo-nide ri-tenga “ardua essere un uomo tetragono dell’intelletto”. Giusta le norme metriche il ver-so è un nu-mero di sillabe: “numero” significa anche “ritmo” nonché latinamente “verso” (Au-sonia nel Protret-tico riprova i “numeri innu-meri” cioè “versi mal cadenzati”) e grecamente “censimento” (onde il ti-tolo Libro dei Numeri, senza riferimento alla Cabala che è di 25 secoli superiore al legislatore Mosè). E “avere numeri” vuol dire “avere talento”: in particolare il poe-tare esige una precisione matematica, un’intel-ligenza geometrica; d’altronde è celebrata la geometria della Divina Commedia che partorì il numero uno della nostra poesia.L’oraziana Arte poetica prescrive: “ai poeti non gli uomini, non gli dei hanno concesso di esse-re mediocri. Mi sforzo di essere breve, divengo oscuro. Fuggire un errore fa incappare in un al-tro, se si manca d’arte. Voi che scrivete, prende-te materie pari alle vostre forze ed esaminate a lungo cosa l’omero può portare, cosa ricusa. A chiaro ordine. Riportò tutti i voti chi unì l’utile al dilettevole, divertendo il lettore e nel con-tempo ammaestrando.” Reputano l’estro apol-lineo una condizione ne-cessaria Ovidio nei Fasti (“un dio è in noi, ci scaldiamo con il suo stimolo il mio furore ha semi della divinamen-te”), Lucrezio (“non mi inganno su quanto sia oscura la materia; ma una grande speranza di gloria ha percosso il mio cuore con l’acuto tirso e insieme mi ha infuso in petto il soave amore delle Muse, dal quale ora incitato con mente d’alcuno. Prima perché insegna cose grosse e vado a liberare gli animi dai nodi delle super-stizioni, poi perché su oscurità compongo versi tanto chiari, aspergendo tutto del lepore delle Muse”) e il trattato Del sublime (“cosa è il su-blime o il patos, il grandioso: più un dono che un acquisto”). Invece Giovenale nelle Satire è di contrario avviso (“se la natura rifiuta, fa i versi l’indignazione come può”). Si parla poi di logica matematica (sia detto per inciso, etimo-logicamente quest’ultima parola significa “in-segnamento”) ora mi appresto a schematizzare lo sviluppo storico della matematica come filo-sofia. Proclo dichiara che “Pitagora dette for-ma di studi liberale ed alla filosofia della scien-za (n. d. a. epistemologia), investigando i suoi

principi superiori e indagando i teoremi intel-lettivamente ed egli scoprì l’ordine delle figure geometriche”. Realisticamente l’autore dei Dia-loghi argomento: “l’infinità e moltitudine delle sin-gole cose fa sì che ogni volta il pensiero non possa contare. Come se uno mai prende qua-lunque unità non deve mirare subito l’essenza dell’infinito, ma qualche numero; così pure al contrario, quando uno deve prendere l’infini-to primo, non deve scorgere subito l’unità ma all’opposto qualche numero che possiede qual-che pluralità e finire da tutti ad uno. Nell’infi-nita gamma delle voci c’è un certo numero di lettere”; “(il filosofo) deve imparare aritmetica, geometria, astronomia, scienze del moto armo-nico e dei numeri armonici (musica) penso che lo studio di tutte queste (discipline) che abbia-mo scorso, se si coglie la loro comunanza e pa-rentela reciproca e si infierisce ciò per cui sono congiunte fra loro, portano lo sforzo alla meta che agogniamo e non lo rendono inutile, se no lo rendono tale.Quando si fa del numero qualcosa per cono-scere e non per trafficare. Ragionano dei nu-meri in se, assolutamente escludendo che si estendono a cose visibili o tangibili. Parlano di quelli che lice solo immaginare in nessun altro modo si possono maneggiare. La cono-scenza geometrica è la conoscenza di ciò che eternamente è, ma non di ciò che un giorno diviene e perisce. Le scienze che colgono qual-cosa dell’essenza, la geometria e quelle che si collegano ad essa, sognano l’essenza, ma non possono metterla in luce, finché valendosi ipo-

tesi e lasciano intatte, non potendone rendere ragione. Prende per principio ciò che non sa e congiunge asserzioni conclusive ed intermedie da ciò che non sa, come tale accordo può mai diventare scienza?” Il precettore di Alessandro Magno caratterizzan-do la matematica classica nota “come il matematico studia per astrazio-ne, sottraendo tutti gli aspetti sensibili, come peso e leggerezza e durezza e il contrario, e ancora caldo e freddo e (dimensioni) e i loro accidenti in quanto sono quantità e continuità e non sotto altro aspetto, e di alcuni osserva le reciproche posizioni e i loro attributi, di altri la commensurabilità e l’incommensurabilità di altri le proporzioni. Gli oggetti della matemati-ca non sono sostanze più dei corpi e non pre-vengono le cose sensibili nell’esistere, ma solo secondo logica, né possono esistere separati ma giacché essi nemmeno nelle cose sensibi-li possono esistere, chiaramente o non sono affatto o sono in qualche modo e per questo non assolutamente. E’ senz’altro vero dire che esistono e tali e quali li definiscono. L’unità in-dica misura di qualche pluralità, è il numero misurata pluralità è pluralità di misura, perciò ragionevolmente l’unità non è numero. Per i pitagorici le cose sono numeri, non separati ma fatte di numeri”; “(dico) assioma quello che deve possedere chi vuole conoscere checches-sia; il cosiddetti assiomi comuni, in base ai qua-li primariamente si dimostra”. Leonardo si ap-propria la massima platonica “non mi legga chi non è matematico nelli mia principi”, Galileo “ fonda sopra manifesta esperienza e necessarie dimostrazioni” la scienza esatta. L’ideatore del-la geometria analitica rileva soggettivizzando l’entità numerica che “quando non si considera in alcuna cosa creata, ma soltanto in astratto o in generale, è solamente una misura del pen-siero, come pure tutte le altre idee che chiamia-mo universali” ed essendo alfiere della logica matematica che “tutte le scienze particolari, che si chiamano comunemente Matematiche, ancorché i loro oggetti siano indifferenti, non trala-sciano di accordarsi tutte nel fatto che non vi considerano altro che i diversi rapporti o proporzioni che vi si trovano”. Nei Pensieri pa-scaliani si contrappone lo spirito di geometria allo spirito di fi-nezza: “nello spirito di geome-tria i principi sono tangibili, ma lontani dall’uso comune in modo che appena si deve girare la testa da quel lato, di solito mancano; ma se la si gira, si vedono i principi in pieno; e bisogne-rebbe avere lo spirito completamente falso per

ragionare male su principi si grandi che quasi impossibile che sfuggano. Invece nello spiri-to di finezza i principi sono nell’uso comune e davanti agli occhi di tutti, si deve solo girare la testa e non farsi violenza, non si tratta che di avere buona vista, ma bisogna averla buo-na, perché i principi sono così sottili e in gran numero che è quasi impossibile che non sfug-gano; ora l’omissione di un principio conduce l’errore, così bisogna avere la vista ben chiara per vedere tutti i principi e poi lo spirito giusto per non ragionare falsamente su principi sco-nosciuti. Dunque tutti i geometri sarebbero fini se avessero la vista buona perché non ragio-nano falsamente sui principi che conoscono; e gli spiriti fini sarebbero geometri se potessero piegare la loro vista ai principi inconsueti di geometria. Ma gli spiriti falsi non sono mai né fini né geometri”. Si sottolinea nel Leviathan hobbesiano (mostro veterotestamentario che simboleggia l’elefantiasi dello Stato) come “le cose non esistenti, che tutte sono soltanto idee e immagini siano intellegibili con i loro nomi e computabili”. Secondo Newton (inventore del calcolo infinitesimale, di cui è precursore Ze-none d’Elea) “si intende per numero meno una raccolta di più unità che un rapporto astratto di una quan-tità qualsiasi a un’altra della stessa specie, che si considera l’unità”. Il nominalista Berkeley rimarca: “essere è essere percepito. Che il numero è interamente la creatura della mente, quand’anche le altre qualità si ammetta che esistono senza, sarà evidente a chiunque consideri che la stessa cosa porta un diverso nome di numero come la mente considera sot-to diversi aspetti”. Evidenzia il teorico del criti-cismo “ la geometria “euclidea” è una scienza che determina sinteticamente, eppure a priori, le proprietà dello spazio. Ora quale dev’essere la rappresentazione dello spazio perché la co-noscenza della Geometria sia possibile? Dev’es-sere originariamente un’intuizione. Lo spazio non è altro che la forma dei fenomeni nel senso esteriore, vale a dire la condizione soggettiva della sensibilità, sotto la quale solamente l’in-tuizione è possibile per noi a priori; nella sua qualità d’intuizione pura in cui tutti gli oggetti devono essere determinati, può contenere pri-ma d’ogni esperienza le ragioni o principi dei rapporti degli oggetti. Lo schema puro della quantità, come concetto dell’intelletto, è il nu-mero, che è una rappresentazione compren-dente l’addizione successiva e ad una ad una di cose della stessa specie. Il numero non è altro

che l’unità della sintesi della diversità di un’in-tuizione omogenea in generale, in quanto pro-duco il tempo stesso nell’apprensione dell’intu-izione”. Secondo Russel “la logica consiste nelle premesse della matematica. Se non fosse per il desiderio di aderire all’uso potremmo identifi-care la matematica e la logica e definire l’una e l’altra come la classe delle proposizioni con-tenenti solo variabili e costanti logiche; ma il rispetto per la tradizione ci porta piuttosto ad aderire alla distinzione suddetta, pur ricono-scendo che certe proposizioni appartengono ad ambedue le scienze”. Il neopositivista Car-nap teorizza “la costruzione di un sistema co-noscitivo-logico dei concetti o degli oggetti, il sistema di costituzione. L’espressione “ogget-to” viene usato nel senso più lato, cioè per tut-to ciò su cui può formularsi un’asserzione. La teoria delle relazioni va applicata al compito dell’analisi della realtà questa si riduce al dato. Assumere come elementi fondamentali del si-stema di costituzione le stesse esperienze ele-mentari di vita nella loro totalità e unità conclu-sa, non scomponibile. Su questa base saranno costituiti tutti gli altri oggetti della conoscenza scientifica. Lo scopo della scienza consiste nel trovare e nell’ordinare le asserzioni vere sugli oggetti della conoscenza. Questi oggetti de-vono essere costituiti. Verificazione significa rimando delle esperienze di vita. Ogni asserzione è formata da concetti scientifi-ci e per principio accertabile come vero o falso. Poiché secondo la teoria della costituzione ogni asserzione della scienza consta fonda-mentalmente di un’asserzione fra le esperien-ze elementari di vita, ogni conoscenza con-

tenutistica rimanda l’esperienza”; mi sembra preferibile formulare il principio dell’empiri-smo non nella forma di un’asserzione – “ogni conoscenza è empirica” o “ogni frase sintetica che possiamo conoscere è basata su (o con-nessa a) esperienze” o simile – ma piuttosto d’una proposta di richiesta. Come empiristi ri-chiediamo che il linguaggio della scienza sia ridotto in un certo modo; richiediamo che i predicati descrittivi e quindi le frasi sintetiche non si debbano ammettere a meno che abbia-no una connessione ad osservazioni possibili”. Popper suggerisce “la falsificabilità come criterio di demarcazio-ne. Tutte le affermazioni della scienza empirica devono essere suscettibili di essere decise de-finitivamente rispetto alla loro verità e falsità, devono essere decisibili conclusivamente. La loro forma dev’essere tale che verificarli e falsi-ficarli dev’essere al-trettanto logicamente pos-sibile. Le teorie non sono mai verificabili empi-ricamente. Un sistema è empirico o scientifico solo se suscettibile di essere provato dall’espe-rienza. Non la verificabilità bensì la falsificabi-lità va assunta come criterio di demarcazione. Dev’essere possibile per quel sistema essere confutato dalle esperienze. Il metodo empirico sarà caratterizzato come un metodo che esclu-de i modi di evadere a falsificazioni che sono logicamente ammissibili. Le affermazioni em-pi-riche sono decidibili solo unilateralmente e provabili da tentativi sistematici di falsificarle. Così scompare il problema dell’induzione, della validità delle leggi naturali”. Insomma, l’Arit-metica non è un’opinione.

Alessio Manzo

UNO SGUARDO PER DIPINGERE LE NUVOLE Alcune considerazioni dal libro Le nuvole di Picasso

Alberta non è una bambina come le altre. La storia della sua vita è inserita nel con-testo degli anni Sessanta, tra rivoluzione giovanile del ’68, musica pop italiana, Beat-les e, soprattutto, nella novità del rinnova-mento del mondo della psichiatria dovuto a Franco Basaglia.Questa bambina assorbe così come una spugna, nient’altro e soprattutto che il con-testo di casa sua, che è proprio casa Basa-glia.E’ un privilegio essere figlia di Franca e Franco Basaglia? Di fatto Alberta una pri-vilegiata non è, in quanto come lei stessa ci dice: “La testa storta sarebbe stata sem-pre e solo mia. Era per via dei miei buchi nel fondo degli occhi. Vedere di sghembo era il mio modo per poter osservare il mondo.” (pag.10).“Malgrado le lesioni al fondo dell’occhio mi avessero portato a essere diagnosticata praticamente cieca, ho vissuto senza limita-zioni. Sono stata lasciata libera di decidere il mio modo di vedere.” (pag.11).“La Franca non è mai intervenuta per aiu-tarmi e io ce l’ho fatta.”(pag.12).La piccola Alberta non poteva esser certo brava in disegno. Era la bambina che face-va le cose per sé, per il suo piacere, non per avere elogi, né voleva essere compatita.Le nuvole che disegnava, chiamate dal pa-dre “nuvole di Picasso”, non erano infatti la testimonianza della sua bravura in pittura, tutt’altro…la piccola era piuttosto e comun-que un’artista, sì, ma un’artista della vita, della leggerezza dell’esistere, nonostante tutto. Era inoltre la bambina che riuscì a disegnare benissimo il senso di una poe-sia, anziché tutto il resto che le creava serie difficoltà. Dal successo della pittura della poesia “La quiete dopo la tempesta”, scatu-risce il dialogo con il padre sulle difficoltà visive della piccola. Tuttavia non si capì nul-la fra il padre e la bambina perché li divi-deva una diversità non solamente di perce-zione sana e malata, ma adulta e bambina.

Questo dialogo col padre, che non riuscì ap-pieno a capirla da piccola, segnerà fors’an-che la sua scelta di vita da adulta, quando diventò poi psicologa dell’età evolutiva.

E lo diventò scrivendo una tesi, “Bambini in manicomio. Ipotesi di una ricerca”, per fare giustizia a tutti quei bambini svantaggiati che non avevano avuto voce nella cruda re-altà dei manicomi, prima della loro chiusura con la leg-ge 180.“La realtà è la stessa per tutti, e non importa se la vivi a modo tuo o se fraintendi qualco-sa, lei ti spetta comunque di diritto. Grande o piccolo che tu sia.”(pag.63).Viene da domandarsi se per gli adulti spe-rimentare la realtà, cioè vivere la vita, vuol dire davvero cercare di oltrepassare i no-stri limiti o, meglio, comprendere noi stessi per la nostra e altrui più piena accettazio-ne. Mentre i bambini, che per loro natura non scendono a compromessi, talvolta, specie se sono bambini un po’ più speciali degli altri come Alberta, capiscono fin da piccoli che il trucco della vita sta nel cre-scere senza farsi influenzare troppo dal mondo adulto. Ciò permette di conser-vare quella spontaneità e genuinità che mancano molto a chi bambino non è più. Se i bambini possono avere una certa cru-dezza ed insistenza nel domandare chiari-menti agli adulti, questi ultimi sanno esse-re crudeli. Ad esempio, i medici psichiatri

dei vecchi manicomi, quando non davano ai bambini una diagnosi, li etichettavano come “pazzi”. Il manicomio non curava in realtà il bambino, ma lo segregava in con-dizioni disumane facendolo aggravare fino a portarlo all’ultima tappa del penoso viag-gio, per di più spesso breve, in infermeria dove ormai le cure, non essendo state date come si doveva prima, non avevano segui-to alcuno se non la morte del piccolo pa-ziente.

Alberta ricevette il permesso di consultare per la stesura della sua tesi, l’archivio di un manicomio infantile.

Avrei setacciato cento anni di vita dell’o-spedale, dal 1872 (quando è stato aperto come manicomio femminile) al 1972. Avrei trovato conferma che fino ai primi anni del Novecento le malattie dei bambini non erano separate da quelle degli adulti e che solo dopo gli anni venti si sarebbe con-siderata la neuropsichiatria infantile come disciplina distinta e autonoma.”(pag.73).

Ecco quindi Alberta che sente l’imperati-vo morale di scrivere, come se stesse dise-gnando ancora, con mano libera e padrona di sé, il prosieguo della sua vita che non è purtroppo il proseguire della vita di tante altre persone che un tempo lontano erano state piccole come lei.

Quelle piccole vite esistono solo più nei fal-doni dell’archivio.

Ma non per lei, per Alberta Basaglia, in cui rivivono nel discutere la sua tesi di laurea.Perché lei, Alberta, riuscì a superare il disa-gio e anche la rabbia talvolta di essere so-prattutto nell’infanzia non accolta né capi-ta dai suoi coetanei. E ci riuscì perché ebbe altri occhi più potenti, che sopperirono alla mancanza della sua vista: quelli dell’intelli-genza emotiva e della profonda onestà in-tellettuale.

Elisabetta De Gennaro

“Le nuvole di Picasso” di Alberta Basaglia, Feltrinelli, maggio 2014

Ho letto con molto interesse, sulla Stampa di stamani,l’articolo che riportava le opinioni e le motivazioni di Hillary Clinton in preparazione delle Primarie per la campagna elettorale delle Presidenziali Americane del 2016; ma ci sono due punti che, per come la vedo io, vorrei pre-cisare.Il primo è che adesso l’attenzione dei Democra-tici americani dovrebbe essere focalizzata sulle elezioni di medio termine di novembre perché, se anche gli Stati Uniti avessero nuovamente un Presidente democratico sarebbe poco più di quello che gli statunitensi definiscono “anatra zoppa”.Mentre se negli ultimi due anni di mandato pre-sidenziale Obama potesse lavorare di conserva con il Parlamento U.S.A. potrebbe facilmente portare a concretezza le riforme della Sanità, delle assicurazioni americane (che assorbono circa il 30% del reddito degli americani), del mercato del lavoro e di portare sotto controllo politico il mercato economico e finanziario con un nuovo patto Bretton-Woods che ha retto con giustizia ed equità il livello economico dei cittadini di quelle Nazioni che ne hanno fatto parte. Nello stesso tempo un Parlamento USA a maggioranza democratica potrebbe condi-zionare, come fanno i Repubblicani adesso con Obama, un eventuale Presidente repubblica-no. Questo il primo punto.Il secondo argomento che è balzato ai miei oc-chi , è stato il rimprovero che la signora Clinton ha mosso all’Europa di non darsi abbastanza da fare per difendere gli interessi dell’Ucraina contro la Russia sia sul piano diplomatico che delle sanzioni economiche.Questo mi ha fatto saltare la mosca al naso. Io seguo l’economia e la politica nazionale ed in-ternazionale da circa quarantacinque anni e, anche se molte informazioni sono state perse dalla mia memoria alcune me le ricordo ancora.Uno dei ricordi che mi porto dietro è quello di

Gorbaciov che, caduto il muro di Berlino, chie-deva all’amministrazione Reagan un trattato in cui l’America si impegnava a non assumere po-litiche di aggressione contro la Russia. Trattato che gli americani rifiutarono di elaborare per-ché affermarono,(in malafede), che tanto si era “tutti amici”. E vediamo come si è sviluppata la situazione in Ucraina. Quando a Kiev,all’epoca della prima candidatura della Timoschenko gli arancioni manifestavano in piazza un docu-mentario televisivo fece vedere un individuo affermando che si trattava di un agente della C.I.A. che controllava e finanziava i subbugli per dare all’Ucraina una deriva di destra. La Ti-moschenko è andata al potere, ha amministra-to la cosa pubblica dimostrando di voler impo-verire i cittadini ucraini, specie quelli di origine russa. In seguito è stata un’altalena di politica ucraina fra destra filo-americana (mascherata da desiderio di democrazia e indipendenza) e lo speculare controllo di emanazione difensi-va russa. Il Presidente Obama non ha seguito, preso dai gravi problemi provocati dai repub-blicani, le delicate sfumature della questione la sciando che la situazione degenerasse sotto la pressione degli estremisti di destra. Non si po-teva pretendere che al di là del desiderio di Pu-tin di garantirsi una fascia di sicurezza di Stati confinanti amici della Russia, i russi permettes-sero ad un Paese, che stava diventando nemi-co, il controllo della Crimea, dove la Russia ha alla fonda la flotta del Sud, e del gasdotto prin-cipale di collegamento con l’Europa e i relativi cespiti economici. Fatto salvo che Putin dovreb-be limitare i suoi appetiti territoriali, l’America non può chiedere all’Europa di farsi rompere, economicamente, le ossa dalla Russia per degli interessi di stretta pertinenza dei nazisti ucraini e americani (non dimentichiamo che la C.I.A.è stata inquinata, dopo la seconda guerra mon-diale da 80.000 agenti della Gestapo, che negli anni seguenti l’hanno nazistificata) e fare così

IL VASO DI COCCIO IN MEZZO AI VASI DI FERRO

la fine del vaso di coccio in mezzo ai vasi di fer-ro. Già l’Europa è in una crisi economica provo-cata dalla pervicace ottusità della destra tede-sca, che per buona parte deriva dai partiti di destra bavaresi (e il nazismo è nato in Baviera ) e non riesce ad uscirne. Le circostanze hanno dimostrato che le sanzioni alla Russia non fan-no che aggravare questa situazione. A me vie-ne voglia di rispolverare e proporre alla vostra attenzione un’idea che mi era venuta quando il Muro era caduto e Bertinotti affermava”Fuori l’Italia dalla Nato!”e se,invece, facessimo la pro-posta speculare:” Dentro la Russia nella Nato!”. Sarebbe un’ipotesi geograficamente molto più razionale della politica portata avanti adesso (l’Ucraina dove è bagnata dall’Oceano Atlanti-co?). Si potrebbe, inoltre, iniziare una politica di entrata della Russia nella U.E.(l’Europa, si sa, va fino agli Urali, terra russa). Questo darebbe sia inizialmente che più in là nel tempo, molti vantaggi sia all’Europa che

agli U.S.A.. In primis l’immediata cessazione del conflitto che sta andando avanti tra le di-verse parti( e questo non è poco in termini di risparmio di vite umane e di beni materiali), in seconda battuta, oltre ai vantaggi per l’Europa (che potrebbe usufruire delle risorse naturali della Russia) il vantaggio sarebbe anche per gli Stati Uniti. Che vedrebbero abortire i legami russi con la Cina, iniziati con il recente tratta-to di fornitura di gas tra la Russia e il colosso asiatico che se si sviluppassero rafforzerebbero moltissimo la Cina dandole una forza econo-mica che sfocerebbe in una politica a danno dell’America. Per questo ho molto apprezza-to che Matteo Renzi, del quale non approvo la politica in Italia, sia riuscito a far nominare la Mogherini, ministro degli Esteri dell’Unione Europea, della quale gli stati baltici hanno la-mentato la propensione a favore della Russia. Buon lavoro Onorevole Mogherini!.

LA TENDENZIOSI di Enea Solinas

LO SCANDALO QUOTIDIANOCapite bene, voi, che non si può restare indiffe-renti! / Anche se non so bene di cosa parlare, io dico la mia, perché siamo in democrazia e si dice tutto su tutto! / Farsi un’opinione è lecito, manifestarla è imperativo! / Chi resta dentro è perduto! / E comunque tutto è opinabile, non ci sono più certezze, per cui se hai delle idee considerale sbagliate in partenza. / È la mag-gioranza che decide, dunque sa! // Sai che c’è? Alla fine un’idea vale un’altra, una vale una, o vale l’altra… ma le mie sono di più di quelle de-gli altri! / Sono sempre i più meglio che se ne vanno (o che stanno zitti) / Sì, prima poi tocca a tutti, un giorno a te, un altro a lui [Totò] // in tutta omertà preferisco starmene zitto… // Oggi sembra accadere – senza che ci si pensi troppo su – il principio di automatica contrad-dizione. È una tendenza, e io c’ho il mal di ten-denze, ho la Tendenziosi… // La democrazia è autocontestazione [Carmelo Bene] / Possia-mo sempre dialogare per metterci d’accordo su cosa non possiamo essere mai d’accordo. / Anzi, vediamoci pure alle camere, non in que-sto salotto televisivo, e discutiamone una buo-na volta, pragmaticamente così sapremo su cosa litigare nel prossimo salotto televisivo… / Fatti, non parole! / Comunque la responsabili-tà è sempre di chi ci precederà la prossima vol-ta che saremo noi ad avere responsabilità / Poi decide la maggioranza che ha la voce più gros-sa. // Accade a volte che lo scandalo sia prassi quotidiana fine a se stessa, così per dare nerbo alla mattinata. Scandalo per scandalo uguale zero scandali. / Non esistono più gli scandali di una volta. Al massimo sono ad orologeria. Ti viene quasi da divertirti dei tempismi incro-ciati. / The show must go on. Il divertimento (de-vertere, portare via…) è assicurato. Dacci oggi il nostro palinsesto quotidiano. Che poi, palinsesto è un’organizzazione della ripetizio-ne. Sai che noia! / Un po’ come certi blockbu-

ster: un’azione ogni colpo di scena, un colpo di scena ogni inquadratura, un’inquadratura ogni secondo e lo chiamano montaggio sinco-pato (dovrebbero studiarsi un po’ la musica…) // Non vorrà farci intendere che la sua avversa-ria politica è un’idiota? (mostra un po’ del tuo odio, così avvalori le tue idee) / No, no… non voglio dire questo (l’hai detto tu per me…), e chi è a casa non è sciocco / Retorica della pre-terizione + attenuazione: dire una cosa nel mo-mento in cui si dice di non volerla dire, e allu-sione automatica che, tutto sommato, ci siamo intesi // Ma l’odio non si sa più a cosa serva, ormai è ridotto a condimento: sale quanto ba-sta / Una volta (credo, ma non posso saperlo perché non lo capisco) l’odio era un veleno che assunto nella quantità necessaria agiva da con-travveleno / Con la rabbia che hai in corpo non puoi fare altro che un investimento di merca-to: a quanto stanno le tue azioni? Guadagni se compri, ti calmi se (ti) s-vendi. / In fondo (per carità!) noi capiamo per voi / ma io non voglio che tu la pensi come me, voglio che tu desideri di pensare come me //L’esistenza di una maggioranza implica logi-camente una minoranza corrispondente [Phi-lip K. Dick] / Oggi non esiste la maggioranza, esistono le maggioranze… principio di auto-matica contraddizione + ovvietà del principio di convenienze particolari (stavo per scrivere connivenze, mannaggia!) / prendere due pic-cioni senza nemmeno una fava. / mentire sa-pendo di poter smentire/ credere d’ora in poi alle bugie credibili, ché quelle incredibili or-mai hanno stufato… / Dick però alludeva che solo chi è all’interno del sistema ne conosce le falle, dopo che lo ha approvato e perpetra-to. // il crimine, così preconizzato, si elude e si espande top-down, essendo la colpa ridistribu-ita democraticamente / e tutti sotto lo stesso boia! / Ognuno per sé e Dio contro tutti [così

suona il titolo originale di L’enigma di Kaspar Hauser, di Werner Herzog] // Ovviamente sia-mo democratici, ci confrontiamo con tutti, per sapere chi la pensa come noi / e chi la pensa meglio di noi è nostro partner in questo jui-ce-adventure / (Juice, succo: nello slang in USA è “l’influenza politica”) / Basta che clicchi “mi piace”… / E ricordatevi che chi non agisce (così) è colpevole di ostacolare il progresso, è un troglodita digital-divided // Pasolini diceva che è bene farsi scandalizzare, che occorre ci siano scandali / Questo è sviluppo senza pro-gresso // non c’è niente di più rivoluzionario della tradizione, diceva, negli anni ’60… // E comunque siamo in una fase transitoria, come sempre [Ennio Flaiano] // E la situazione poli-tica in Italia è grave ma non è seria [idem] / E magari questa fase transitoria è l’occasione per ribadire il programma, che siamo in campagna elettorale, (come sempre su questi schermi, alla stessa ora). // E perché mai non scandalizzarci?

Forse perché sono (siamo?) tutti uguali / Ma qualcuno, direbbe Orwell, è più uguale degli altri. // Ma sì!, è sempre la stessa storia: non si fa mai nulla e allora quasi quasi io cambio canale per rimanere a guardare un’altra noia. // Forse che ci siamo assuefatti? Quindi perché preoc-cuparsi? / lo scandalo come forma di procrasti-nazione / la procrastinazione dello scandalo è un vero scandalo! / bello è farsi scandalizzare, oggi, perché oggi è domani rispetto a ieri e do-mani è ieri rispetto a oggi, giacché il pensiero di domani pensato oggi, domani sarà passato / bisognerebbe ricordarsi di dimenticare per po-ter vedere un po’ più in là / ma fate attenzione a rispettare i vincoli nella data stabilita (2015, per esempio) / il 2016 invece lo si sa farà scade-re un altr’anno… / La prospettiva è scaduta nel baratro, e ogni momento ci si può scandalizza-re, ma solo per fiction / lo scandalo è morto! Viva lo scandalo! Ahi, che brutta tendenziosi che mi è venuta…

Che futuro avrà l’ecosistema della terra? Oggi-giorno il nostro pianeta è afflitto da diverse pro-blematiche ambientali. Una prima questione riguarda l’inquinamento atmosferico. A causa dei gas combustibili utilizzati dagli aerei, come ad esempio il cherosene, l’atmosfera è satura di anidride carbonica, e si è riscaldata di dieci gradi nell’ultimo secolo. È il cosiddetto “effetto serra”, che provoca il surriscaldamento globale. Questo crea lo scioglimento dei ghiacciai pola-ri, che hanno provocato anche l’innalzamento degli oceani. Nel futuro, intorno al 2050, ciò porterà alla scomparsa di molti atolli e ad inon-dazioni, per esempio, in Bangladesh e nel sud est asiatico, ma anche frane e terremoti. Ho notato che con tale riscaldamento globale, che ha modificato le stagioni, molti animali che vanno in letargo d’inverno non hanno più lo stesso ciclo. Ad esempio quest’inverno, in città, ho notato che gli scoiattoli non sono più anda-ti in letargo; quest’estate, in montagna, i girini non sono diventati rane; le api non si riprodu-cono più, per via dell’ecosistema alterato. I cloro-fluorocarburi sono responsabili del buco dell’ozono, che è uno strato dell’atmosfera che ci protegge dai raggi ultravioletti del sole.

Senza questa barriera siamo più a rischio di tu-mori alla pelle.La deforestazione di grandi aree come l’amaz-zonia, il polmone del pianeta, ha provocato an-ch’essa mutamenti del clima. Questo riduce la possibilità di trasformazione dell’anidride car-bonica in ossigeno da parte delle piante. Le auto hanno contribuito a rendere difficile le condizioni di vita delle persone. Soprattutto nei paesi emergenti hanno provocato molte malattie respiratorie e tumori in tutto il corpo. L’effetto serra provoca scompensi nelle risorse dell’acqua, soprattutto in Africa molte popola-zioni soffrono la siccità. In alcune aree geogra-fiche oltre a ciò certe multinazionali sfruttano le risorse idriche a svantaggio dei più poveri, aumentando la mortalità nella popolazione. In futuro si potrebbero utilizzare energie pulite come l’energia solare, quella eolica, o l’idroge-no come combustibile per inquinare di meno l’atmosfera. È stato progettato, circa vent’an-ni fa, un aereo con turbine a reazione elettri-ca; altri anche ad energia solare. A Monaco di Baviera è stata inaugurata la prima auto con motore ad idrogeno (una BMW), ormai più di dieci anni fa. L’energia nucleare pulita, senza scorie, sarà possibile solo quando si riuscirà a progettare impianti a fusione nucleare, anziché a fissione. L’energia eolica è tuttora già sfruttata in pae-si con una alta ventilazione. Sarà un’ipotetica risorsa come energia rinnovabile, al pari dello sfruttamento delle correnti oceaniche e marine per la produzione di elettricità. Si spera che, in futuro, prima o poi, utilizzere-mo energie pulite, altrimenti l’umanità arriverà all’autodistruzione. Penso che l’incontro con una civiltà extrater-restre aliena possa portare all’inizio di un’era nuova per l’umanità, senza arrivare all’autodi-struzione ambientale.

LE ENERGIE DEL FUTURO DELLA TERRA

Darwin Del Banco Mutuo Soccorso è un album molto importante sia per quello che riesce ad esprimere sia per l’epoca che ha vissuto. Que-sto è un disco molto determinante per mette-re un punto nella politica, nel credo religioso e nella vita sociale. Sarebbero come degli alie-ni sbarcati da Marte. Il gruppo, Banco del mu-tuo soccorso, lo dice il nome stesso, potrebbe essere considerato esattamente come un gruppo esemplare, esemplare come esempio e come consiglio per l’umanità, la quale evol-verà da un punto ad un altro e dove scopre il motivo esistenziale dell’uomo stesso. Dunque Darwin, dunque Banco del Mutuo Soccorso: best wishes, cioè con i miei migliori auguri!

BANCO DEL MUTUO SOCCORSO DARWIN

Io sono in due pezzi, loro sono in ordine sparso.L’agnello si sdraia su Broadway, nel senso che dorme nel vero senso della parola. Derisn Risend Snz Eo Rise Rise Guzzi Guzzi. Chi sa capisce chi non sa non capisce. Da questo disco arrivano soltanto messaggi esoterici. So

G E N E S I S The lamb lies down on

broadway

Non sarò per te solo uno specchio di una fac-cia che non cambia mai vestito, non sarò il tuo manico di scopa travestito da amante o da ma-rito per questa volta almeno solo la tua libertà, per questa volta almeno la nostra libertà e lapiazza calda e dolce di questa città.

CLAUDIO LOLLI

AMARCORDdi Federico Fellini

La sensazione mettendomi a scrivere di un film,

un Film è di voler raccontare il gusto della menta

ad uno che non l’ha mai assaggiata. La cosa più

utile che potrei fare è offrirgli una caramella, un

buco con la menta intorno. Di Amarcord ho for-

te l’esperienza di venire inglobata in un mon-

do parallelo cogliendone sempre nuovi scorci

nell’intuizione di inaspettati nuovi particolari,

un calderone disperato straziante innamorato

perso di un mondo perduto, che a sua volta ap-

pare perduto e perdente nella vita. Riscopro la

libertà di vedere il teatro scene proscenio quin-

te dove ciò che sta dietro non è più dietro. Non

c’è più senso nè interesse a scindere in classifi-

cazioni tra ciò che è finzione e ciò che non lo è.

Un continuum tra realtà sogno fantasia incu-

bo estasi divino sabba infernale. Il quotidiano

si trasfigura, travalica i limiti di una visione

asettica o puramente estetizzata di un occhio

distaccato , si colora, diventa meravigliosamen-

te nuovo anche se da immemorabile tempo

conosciuto. Un pavone sotto casa può esserci

sempre stato, nostra la superficialità, la fretta,

l’incapacità di ricinoscerlo ; che il transatlantico

Rex contrasta, invade la scena prorompendovi

apparentemente senza necessità, ma rimane

perfettamente armonizzato con il contesto in

cui viene a trovarsi ,la sua ragione di divenire

personaggio. Ed altri particolari che, facen-

dosi notare, perdono la loro banale quotidiani-

tà, l’intimità del ricordo soggettivo assumendo

la valenza di degni, se non indispensabili, co-

protagonisti E’ un gioco quello dello spettatore

che cerca di ritrovarli ,gioco di osservazione e

di fantasia. L’occhio del Maestro coglie la strug-

gente bellezza del ricordo, lo vivifica e lo rende

un compagno del presente, perché nulla sarem-

mo senza la sapida ricchezza della storia in cui

siamo immersi. La nostalgia, amara, dolorosa,

è da fuochi di fila di danze, risi e ghigni, mor-

bidezze squarciate da accelerazioni repentine.

Allo scrittore puntuale fa visita il saltellante Ti-

tivillus (quel demone che fa sbagliare quando

il lavoro è a puntino….), lo scenario si smonta e

si reinventa il nuovo quadro. Menta? Non più,

ma mele invernali terrose nelle mani gelate

morsicate con la buccia, zuppe fumanti e cen-

trotavola barocchi. Profumi inebrianti, deschi

unti e appiccicosi, dita succhiate con voracità.

“A m’arcòrd”, mi ricordo: i sogni e le speranze

dello strapaese italiano. Ne dice Mereghetti:

“variazione snervata su un tema solo superfi-

cialmente un po’ logoro, ma in realtà capace di

prospettare una lettura del passato fascista in-

teressante ed acuta, smontando il mito dall’in-

terno e mostrando la mediocrità del regime e

del popolo che l’ha accettato.” Questo su un

piano di contestualizzazione col reale. Ma “ap-

pena ti fabbrichi un pensiero, ridici sopra” cita

Fellini da Lao Tze. L’illusione è descritta come

tale, e come tale riconosciuta bellissima. Certo

che è finzione, ma ciò non ne diminuisce l’incan-

to, la vitalità; né la vitalità, l’incanto, la bellezza

impediscono la ricaduta, la smentita, la dissipa-

zione…Amarcord, memoria, e come spettatore

ti ritrovi implicato nella tua memoria di spetta-

tore, catturato nel baraccone sperimentale del

cinema. “L’equivoco nasce dal fatto che si pen-

sa che il cinema sia una cinepresa piena di pel-

licola e una realtà, fuori, pronta ad essere foto-

grafata. Invece davanti all’obbiettivo si mette

solo se stesso”. Così Fellini scrive. Ci troviamo

una Rimini dei primi anni Trenta, tanto più vera

quanto più programmaticamente ricostruita,

dal trionfo del fascismo, con olio di ricino , gio-

chi idioti di ragazzi, rituali adolescenziali mai

abbandonati. Fellini ripensa alle proprie origi-

ni con amore e odio, distacco e nostalgia, una

sorta di giudizio ma anche una certa complici-

tà. E per mantenere il costante dubbio se ciò

che si vede è vero o inventato, tutto viene espli-

citamente ricostruito negli studi di Cinecittà.

Indimenticabili le musiche di Nino Rota.

Oscar come migliore film straniero

IL CALEIDOSCOPIO

Aldo, dopo essersi rivestito, uscì in strada, diretto verso l’ufficio. Si era alzato presto

per andare al sexy-show-future-now, un locale come tanti, sparpagliati in città.

Arrivato in studio e sedutosi alla scrivania, aveva acceso il moni-

tor con le varie offerte del giorno Monica, 30 anni, disponibile.

Aveva cliccato e si era infilato il caschetto multi-dimensionale. L’aria soffusa,

il profumo del legno di sandalo, lo trasportavano come in un niente presso questa nuova conquista.

Verso le 11, si era infilato sotto la doccia e la musica di Aphrodite con il nuovo singolo “come over

me”, lo aveva distolto un po’ dall’incombenza di pensare alla pausa pranzo. Si incontrava con Laura

Macrì, nota come “la donna delle favole” e sapeva che il loro appuntamento doveva avvenire lungo il

corridoio delle vergini. Odiava quel posto. Proprio lì, tempo prima, aveva avuto un attimo di “flash

moment” e il fatto di affrontare un argomento come “la sera delle donne” con Laura lo teneva

sulle spine. Aldo si asciugò mentre sul video scorreva il messaggio del nuovo centro erotico

per 49enni di Porto Ercole. I colori a pastello, le luci soffuse, lo invitavano ad andare

a provare un caldo intrigo dalle sette di venerdì alle otto del 24/7. La sua manìa di guidare auto

sponsorizzate, lo aveva condotto ad acquistare l’ultimo modello della Vasta 730, Il volante dota-

to di sensori tentacolari, consentivano alle mani di Aldo di carezzare le parti intime della nuova

dea del “particular zone”, con un abbonamento abbastanza economico per il servizio di così alto

pregio. Quando vide Laura, le propose le cabine del suono. E lei non se lo fece ripetere.

Chiusi entrambi in uno spazio angusto che ripercorreva un tragitto in pulman insieme ad altri

50 nudi come loro, si sistemarono in piedi sul mezzo. Aldo si trovò davanti ad una biondina con i

seni piccoli, a fianco un senegalese e dietro al jolly della comitiva che veniva inserito nel viaggio,

insieme al cd con la registrazione. Questi trans venivano utilizzati in tutti i giri delle cabine del

suono. Il pulman era saturo di sospiri e lo spazio ristretto, come se non bastasse era movimentato

dall’andatura del guidatore che prendeva le curve accelerando o frenando e suonando il clacson

a più non posso (da lì la cabina del suono) contro i mezzi sulla linea. Laura dal canto suo, aveva

trovato due ragazzini ben determinati e una modella america-

na con cui si stava divertendo. Aldo tornò a casa e trovò un messaggio:

“Sono uscita. Federica. “

IL JOLLY

Esse Pi Di Ci

“Stai attento agli autovelox di corso Allamano” ti avrebbe detto Gianni. Devi andare all’ospedale

di Rivoli, lui è appena stato ricoverato in repartino. Dalla strada poco prima di arrivare puoi vedere

i due edifici giganteschi dell’ospedale. Centinaia di finestre ordinate interrompono la macchia

triste di arancione sbiadito che ricopre le mura. Ascolta: in un’ altra stanza un pianista suona

una frase di Bach, l’aveva scritta per Goldberg che non riusciva a prendere sonno. Pensa agli

imbianchini che hanno lavorato lassù in alto quando hanno dovuto dipingere l’ospedale.

Intorno a loro campi incolti e un parcheggio enorme. A ogni ora è pieno di auto, ma quan-

do arrivi nel parcheggio trovi sempre qualcuno che se ne sta andando. All’ospedale o ci rima-

ni da paziente o vuoi andartene via il prima possibile. L’atrio nell’ingresso è stretto e opaco.

Puoi distinguere dal tipo di camminata quelli che frequentano abitualmente il posto, che si muo-

vono rapidi e sembrano a loro agio nella ragnatela di corridoi, scale e ascensori. Si troverebbero

bene in qualsiasi presidio sanitario.

No, non è “Das Model” dei Kraftwerk, è un annuncio per il dottore di turno al reparto di onco-

logia. Se chiedi allo sportello informazioni: “l’essepidici dov’è?” ti risponde un signore barbuto

che appena sentita quella sigla abbozza una smorfia, un sorrisetto strano. “Secondo piano, in

fondo”. Il repartino è sempre in fondo negli ospedali. Anche al Mauriziano. “Faccia tutto il cor-

ridoio, in fondo c’è psichiatria”. Puoi scegliere tra ascensore riservato al personale e ascensore

normale. Le scale sono ben segnalate, c’è un cartello con un disegno grosso di scala. Se sali al

secondo piano, devi percorrere due o tre corridoi sulla sinistra, dalle finestre puoi vedere una

tettoia occupata dai piccioni e un edificio uguale al tuo in fotocopia, dove c’è il pronto soccorso.

Finalmente incontri una porta di quelle spesse e grigie. “Deve rimanere sempre chiusa” c’è scritto

sopra. Ancora più in alto leggi “SPDC” e “Neurologia”. Sei nel posto giusto. La porta in realtà è

aperta, è tutto un trucco, devi passare ancora un corridoio, tutto blu scuro e grigio. In fondo trovi

la vera porta del repartino, devi suonare il campanello. Sentirai dall’altra parte l’infermiere che

estrae dalla tasca il mazzo pieno di chiavi che sbattono tra loro facendo quel suono fragoroso ma

sottile. Lo stesso infermiere ti chiede chi stai cercando e sfodera un ghigno da vero assatanato.

Hai una borsa di ricambi da portare a Gianni, vorranno vedere che non ci siano accendini o la-

mette o cose del genere. Ai muri hanno appeso dei riquadri con delle citazioni di Einstein e qual-

che altro ottimista. Le porte ai due lati del corridoio sono tutte strette, come quelle dei vecchi

ascensori. Alcune sono accompagnate da scritte disegnate distrattamente a mano che indicano

la cucina, la stanza fumatori, il bagno per il personale. L’unica che ha la scritta non fatta a mano

ma su targa è quella del medico. “Stanza medica” per l’appunto, base rettangolare, sfondo blu,

caratteri in bianco, precisa, seria. Dall’unica porta aperta si accede a una stanza dove vedi due

cyclette, un biliardino e una serie di immagini e quadri non proprio indimenticabili.

Per raggiungere la stanza di Gianni, fai caso agli sguardi della gente che cammina nell’altro sen-

so. Alcuni possono ricordarti un crescendo di Bela Bartok sentito in reverse.

Quando entri nella stanza, lui occupa il letto in tutta la sua lunghezza, anzi la testa sbatte quasi

al muro, le ginocchia piegate e i piedi appoggiati alla sbarra in fondo. Prende dalla borsa il pacco

di sigarette che apre voluttuosamente, viene voglia pure a te di fumare. Ti accompagna nella

“Stanza fumo”. Di fianco alla porta c’è un accendino sigillato con un nastro e un lucchetto. Non

deve essere portato via ed è visibile nel corridoio. Ci si accende la sigaretta fuori e poi si entra. La

finestra in fondo alla stanza da sul parcheggio gigante. Tra le sbarre puoi scorgere in lontananza

la tua auto. Ti volti e all’interno vedi un tavolo, tre sedie e un secchio con poche dita di acqua

dove si buttano i mozziconi. Le pareti sono coperte di lavagne bianche con pennarelli rossi con

i quali il fumatore si può esprimere. Al momento non trovi scritto nulla, a parte un “Manuela mi

manchi” scritto in piccolo in un angolo. Senza dire nulla vi sedete e fumate concentrati la siga-

retta. La vostra attenzione è tutta sul tabacco che brucia e sul fumo che restituite nell’aria. Voi

non lo sapete, ma appena sopra di voi sta passando un fascio di suoni, è la Lux Aeterna di Ligeti.

Sento l’ambulanza che mi chiama:Niiiinooo, Niiinooo!!!Porto messaggi di saluteda chi non conosce il proprio essere,è lontano il reale tempo umanosi propaga fin “dove il dio non è”il panico fa si che dio si ritrae da mesi allontana perché ha paura dell’angosciama li dove dio non è c’è il mistico,ospitiamo l’altro e dio ci perdonaci appare e ci parla nei sogni rarima mi chiedonoi siamo il sogno di una farfallacome dicono i cinesi osiamo il sogno di un entità gigantecome dice Nino?

Per un anno sono stato chiusonel Fatebenefratellie io nel Maurizianomeno male che sono uscitoma non so come,sogno a tutto spianoda sveglio e dormientecreo ponti tra realtà e fantasiasono il pontefice del quotidianoil Francesco di noialtri,sto annaspando alla ricerca dell’autostimasto in riva al fiume easpetto che passiil cadavere di me stesso,sognare che cosa?

Sognare il sogno,dio è morto ei nuovi dei non sono ancora arrivatihanno perso il treno dal aldilà,dove abitano,dove abita il tremendo,dove stanno le domandeche non trovano risposte,li dove c’è il vivaio del caos.

Vivadioho un io nel vivaionon so se cresce,ogni tanto si dissolvee mi trovodove dio non è,la melanconia,la follia,partono dalla perdita del iocome nel sognooscura la loro formazionenon abbiamo bisogno della loro interpretazio-nema della loro possibile traduzione,chi è stato dove dio non è e tornacerca la parola e non la trova,non dice ma mostradove non c’è io ci può essere un noi.

Fermati un attimosento il flusso aggressivocircola vorticosamenteviaggia sulle nostre parolesul pregiudizio della melanconia assassinaparole come lamefa male la lingua pronunciarleforse la voce parola diventa aggressivaquando non trova orecchioper essere accolta,il gruppo diventa violentoquando non lascia una sedia vuotaper l’ospite inaspettato,quando non si concedeagli ospiti silenziosi,quando si autoriflette esi perde nei giochi di specchidegli io infranti.

Li dove dio non èè una frontiera,del esistenzama anche dei corpi concreti,c’è bisogno di molto di piùdi una mappa psicogeografica,abbiamo bisogno di mezzi di trasporto(le famose metafore)che permettano di abitare la frontieraalmeno andata e ritorno,agili e non escludentisenza praticare il pregiudizio,cosi accogliamo uno che vieneda li dove dio non è.

Mentelocale 19.08.2014Resoconto poetico

dell’incontro in via virle 21, ospiti negli spazzi di Segnali

Tema pasoliniano: Lì, dove Dio non è!

UN AMICO:Un amico mi regalò

Un maglioneDi lana

Che era di una nota dittaAmericana

E io gli offriiUna diana!

Gatto Pasqualino

IL PANINO:Rossa è la rosa

Bianco è il biancospinoMa io sono al verde

E mangioUn panino!

Gatto Pasqualino

LUNA PIENA A SAN SALVARIOLuna piena a San Salvario

Luna bianca su via Berthollet.Giovani coppie attraversano

Melodie arabeScintillando di bellezza.

Brevi trafficiSguardi interrogativi

Sono gli ultimi baglioriDi decenni di crimine

Sono gli ultimi baglioriDel ventesimo secolo.

Emanuele Grassi

ANIMALI DEL BOSCOGli animali del bosco

Chiamano il soleGiganteschi ragni

Tessono tele perfetteTra le palme

I fichi e gli oleandri.Emanuele Grassi

Quann è ‘lu mumentQuann tanta gente

Stann a tabul… mangemmSe sent ‘o banditor

Chiamà tutt ‘e ‘femm’n.E iss… se sent da luntan

Se sent…E’ ‘na personn accussi stran;

I ‘lu ‘ved da la casetta meiE’ me sent pe ‘nu poc

Questa fantasiy:Per, mel, aranc ‘e mandarin

Qua se venn tutt

Pur ‘e ‘nocciolin!I ‘m’abbucin e ciaddummann:

Di ‘addio vien?E iss cu ‘na faccy da ‘brigant

‘me risponne:I ‘song ‘e FoggyE tu che ti ‘n fai?

I ‘scriv poesyE nun me stanc mai.

Accussi i ‘lu responneE pass ogni ‘malann

Pe nun penzà chiù sempA li ‘guai de quist ‘ann.

Per, mel, aranc ’e mandarinI ‘faccy ‘na bella spes

E a ‘cas… ‘de cuntantezzaTorn chyn chyn.

Mario CacchioALBA

Il confine baluginante del boscoVibra al canto del gallo

Mentre l’oleandro porporaRespira intenso l’ora breve

Tra l’ultimo buio e la prima luce.Emanuele Grassi

L’OTTIMISMO NELLA REALTÀQuando anche fossi folle

Vedrei degli ultimi invertebratiChe come meduse vagano nel mare

Perché non è detto siamo sempre condannaE poi Gabriele e Michele e Raffaele

Ci faranno guardare un mondoTutto, tutto, tutto nuovo.

Tutto sa tutto, tutto sa nienteE rimane il presente irriverente

Per fuggire in niente.Marco Bacci

IL MIO DOLORE PRE-FERITOMi accorgo ogni volta di nascere

quando in vita previene all’io il dolore,pre-ferendo la stessa ferita che mi nacque

quando nacqui nelle comuni nostre acque, di cui ci dissetiamo per non morir di sete.

Il mio dolore, così pre-ferito, si rivela di infinite sete,in infinite seriche sere

quando dormo, e la vita è in disparte;ma non dispero, con un po’ d’arte,

presento il futuro nel presente,

e questo, qui e ora, mi consentedi fare, del mio dolore preferito, un verso, un dono, un presente,

che ti regalo pienamenteperché grazie a te esso sente.

Si chiamava, così, un tempo «dolore»,questo gesto, questo battere del cuore.

Enea Solinas

ASTRIUltimi astri

una grande Lunauna manciata di stelle

e Venere gloriosasopra l’orizzonte chiarissimo

Emanuele Grassi

MEZZOGIORNOMezzogiorno feroce,il bosco riluce pallido.

Nei prati immobiliil fico e il limone.

Un torpore sensualepervade la mente ed il corpo.

Agosto maturacome una giovane e bella madre.

Emanuele Grassi

Andare oltre fino A dove te lo consente

La tua vita, il tuo futuroSapendo che quello che fai

Lo fai con il cuore

E ti vidi passare Con la tua aria Da intellettuale

E le mani nella tasca Il tuo sorriso aperto

Con i denti stretti E il cuor confuso

Te ne andavi via lontanoAttraversando la strada

Intercalando i tuoi pensieriCoi passi incerti del tuo nome

E le parole, suoni fra di noiSon diventati fuoco

Che illumina la storiaChe acquietano la vita

Ogni volta che ti pensoMi rimane di te il sapore

Quel piacere che le lacrimeSi portano insieme a chi non muore

E la musica che accompagnaIl lieto fine della nostra storia

È diventata rena che muta coloreOgni volta che si bagna

Ritornerai ? Ora che sai....Che conosci il vento

E il rumore delle fogliePortate via dalla correnteQuei piccoli spazi di vita

Marrone che hanno fatto Il loro corso per permettereAll’amore di avere ancora

Un pensiero, un......problemaDa risolvere, una parola insieme

Un enigma indecifrabile tra loStare fra la gente

a galla fra un ubriaco e il suoEquilibrio nelle piegheDel sorriso e le ombre

Della mano ?

E saprai dirmi ancoraI tuoi....Ti penso....,

Perso in quel mondoIn cui ci si illuminavaAl fuoco del silenzio

Dentro le stanze vuote a perdereDi chi non ha deciso

Se la sua vita è diventataAmore o è ancora aurora

Mattino di speranzaProemio di sapienza

Coraggio che svanisce E gioia che stupisce....

Se hai ancora un attimo Per giocare con la vitaPer vedere chi sorride

O se ti guarda imbarazzataCome davanti a chi non vede...

Senti il rumore Della pioggia sui tetti E il liquore caldo che

Scende nelle pance affumicateDella gloria, sogni infrantiSu un cammino di specchi Su quei monti che parlano

Di croci senza risolvere

Il disordine della memoriaIl sangue della storia

Se hai ancora amore Sia per te questo il ricordo

Di chi è morto in gloriaAll’ombra di un noce

Nel silenzio della pace

Hai ancora amore ora cheLe gambe non possonoPortarti più dove volevi

E il tuo seno giace inerteSulle spiagge della linea

Che separa il confineTra la terra e il mare ?

Nicola Frache

Scriverò parole d’amore solo quando

Mi giurerai d’amarmi

Solo allora ti dirò quello che provo

E se non riuscirai a parlarmene prima

Giurero’ la mia fedeltà alla corona

Che mi terrà lontano dalla vita

Perché senza di te non ho speranza

E ogni cosa è vana e non ha gloria

Se la prospettiva di rimaner privo di te è vaga

E non sussiste altro che un diletto privo di circostanze

Solo se mi dirai di amarmi aprirò il vento per far sì che

Porti un velo di tremore che ti giunga come un sussurro

E possa parlare col favore delle tenebre

Perché è lì che la mia anima dimora

E quando sentirai queste vocine chiamare illuminando

Il luogo della mente preposta al cambiamento

Saprai che ho mandato foglie a fremere

E porte a sbattere per risvegliare un po’ di quel levore

Che caratterizza le tue guance rosa fino a riempirle

Di argilla cotta affinché si stampino sul viso i segni

Della tua fragilità e per farti sentire il sapore

Della rugiada fresca in un mattino di primavera

Quando sarai finalmente innamorata

E se non bastasse il vento ti manderò la pioggia

Che ti sconquassi la casa e ti erompa dalle pareti

Non esiste forza più brutale dell’erosione e della tenacia

Con cui le gocce bucano ogni cosa

Quando sarai sommersa da onde di livida sorgente

Di tempestosi effluvi e di torreggianti moti di

emanazioni

Liquide, troverai forse nullo il vago tepore del

mattino

Che porterà con sé le richieste di bellezza

legate

Ad uno spirito che chiede di essere invitato al

suo desco

Per poter usufruire della cortesia dei grandi

Che prendono di qua e donano di là

Affinché anche il più povero fra i derelitti

Possa sentire quel calore che la spiritualità

non nega

A chi vede nel domani un giorno buono per

sorridere

A chi trova in un momento

Il più grande amore di un tormento

Nicola Frache

RESISTERE, VIVERE, ESISTERE Un abbraccio mancatoUna parola non dettaUn sorriso annullato

Fanno di meciò che non ho mai avuto,

ciò che non ho mai chiesto,che non ho mai dato.

Chiesi sempre tanto, e il mondo così fu avaro.

Nulla mi è ritornato.

Ora, mani vuote, capo chino,sulla soglia della vita attendo.

Riuscirò ancora resistere per vivere, ad esistere?

Elisabetta De Gennaro

UN COLPO D’ALI Una voce, la mia sola,dentro di me accolgodentro di me ascolto.

Più a nessuno voglio render conto

del mio oscuro male,poco fui creduta.

Balsamo per me,voci corali,

Segni con le Ali ascolto.

Coro d’angeli provati dall’esser vivi:questo ci unisce,

questo ci appartiene.

Io,voce sola, poco parlo,come una spugna instancabilmente ascolto.

Mentre angeli segnano con le ali,cioè con acrobazie di voci,

il senso del mio,del loro,

del nostrounivoco percorso.

Elisabetta De Gennaro

IO,MENTE, ANIMA E DIOSvuotare i sacchi pieniriempire quelli vuoti.

La mente è come un sacco,ma non è solo memoria.

La mente è elaborazione di dati,come anche di sensazioni, emozioni.

L’anima cos’è, dov’è, c’è?

Mente ed Anima, due realtà ingestibili.

Il cervello ci comanda,l’anima ci pervade.

Dio a volte ci illumina,ma dall’Alto dei Cieli non appare.

Dunque, chi sono io?Se è Dio il mio Creatore,

sono una lampadinache non si vede

e che fa lucequando si sente, quando vuole.

Elisabetta De Gennaro

Piangere ed essere sensibiliNon vuol dire essere malati di testa

Vuol dire invece avere dei sentimentiAlle volte sono alcune persone cattive

A farci perdere la sensibilitàPer invidia

Perché noi abbiamo quello che loro non hannoSolo perché uno ha dei sogni da realizzare Non merita di essere considerato un matto

Giovanna

MIMESI E CATARSI:Che cos’è l’arte?L’arte è purificazioneè l’unica medicinaper alleviare i mali che da tempo affliggonola nostra società.L’arte vive in una mimesiin un’imitazione del sensibileche si specchia nell’infinito Dio.L’arte è mimesie nello stesso tempo,è catarsiche rende l’artista pago…in un’esistenza dolceobliando egli le sue continueabnegazionibagnate nei suoi oceanidi umanità.

Mario Cacchio (il poeta Metampsicosi Mostrampsicosi)

A chi fino a ieri Mi ha fatto credere

Che della FolliaBisogna vergognarsi..

Rifiutarla..Io oggi dico

Che diventerà PAZZOAll’idea che io abbia

ScavalcatoIl PREGIUDIZIO..e l’IGNORANZA

E’ in me Esiste

ACCETTAZIONEE un GRAZIE

Non sarà mai ABBASTANZAPer ARCOBALENO

Claudia

A chi fino a ieri Mi ha fatto credere

Che della FolliaBisogna vergognarsi..

Rifiutarla..Io oggi dico

Che diventerà PAZZOAll’idea che io abbia

ScavalcatoIl PREGIUDIZIO..e l’IGNORANZA

E’ in me Esiste

ACCETTAZIONEE un GRAZIE

Non sarà mai ABBASTANZAPer ARCOBALENO

Claudia

Guardavo una vecchia E mi sembrava una vita sprecata

Nessun sorrisoNessuna dignità

Solo camminare con il bastoneE chiedere al tempo come si comporta

Si comporta verso la morteE non ne può fare a meno

Io gli vado vicinoE a quella giusta gli affermo

Che dagli occhiUna sola su cento

O dueO tre

SannoChe gli aspetta un trono

Al cospetto di DioMarco Bacci

FORSE NON ERI TU

Fo rse non eri tanto tuforse a piacermi davvero ero io

in quei momenti in cui anche la paura in un divertimento mutavamentre ora anche il divertimento è diventato una paura.

Forse non eri tanto tuforse a piacermi davvero ero iosorridevo a tutti, mica solo a te

eppure adesso solo il tuo ricordo un sorriso mi schiude,ma al prezzo di malinconia che sgorga.

Forse a piacermi era come con te ad essere riuscivoun oceano in piena, un mare d’idee,

un fiume che scorre, un fresco ruscello,una sorgente.

Un po’ però è anche grazie a te,come te nessuna il broncio teneva, nessuna al pari poi sorrideva,

nessuna così mi guardava, nessuna così mi parlava,nessuna così mi mentiva e forse anche mi pensava.

Forse non è colpa tua,bensì la mia

ero io che ti vedevo diversa,a volte forse facendomi anche dei film in testa,

eppure l’idea di fondo rimane la stessa,qualcosa mi dice che per altri motivi ti ho persa.

Forse non è colpa mia,semplicemente non mi amavi abbastanza,

abbastanza da andare controcorrente, affrontando tutti i pareri contrari,che erano tanti, sì, dalle tue parti, ma di certo non troppi se vero amore fosse

stato.Apparenza forse ci ha diviso, apparenza forse chissà ci ha anche unito.

Manlio

La vita, a volte, può farsi difficile. Che ci piaccia o no, capita a tutti. Eventi dolorosi, periodi troppo intensi, difficoltà economiche e sociali, aspetti della nostra storia con cui vogliamo fare i conti. Si tratta di sofferenze assolutamente comuni negli esseri umani, che troppo spesso vengono additate come sintomi da curare secondo un’ottica medica e pato-logizzante.Questa per qualcuno rappresenta un porto sicuro, per altri una camicia troppo stretta. Noi cre-diamo che ci possa essere anche un’altra via, costruita attraverso il dialogo umano e il rispetto reciproco, fuori da logiche e meccanismi di potere.Lo Sportello TiAscolto! nasce dalla volontà di fornire un servizio psicologico sostenibile e acces-sibile a tutti, che possa essere uno strumento nei momenti di difficoltà senza discriminazioni di età, provenienza, condizione economica, e senza l’applicazione di un’etichetta “diagnostica” che troppo spesso oscura la ricchezza di un’esperienza individuale che, siamo convinti, possa invece rappresentare il punto di partenza per una crescita personale.L’aspirazione del nostro gruppo, formato da quattro psicologi, è di garantire a chiunque ne sen-ta la necessità la possibilità di intraprendere un percorso psicologico, senza le barriere all’acces-so che possono presentarsi nel servizio pubblico a causa di una cultura della salute scarsamente orientata alla persona, e nei servizi privati per motivi di costo.Per questo, lo Sportello propone cicli di incontri focalizzati sul problema, a tariffa variabile secon-do le concrete possibilità di ciascuno, preventivamente concordati in un primo colloquio cono-scitivo, gratuito e non vincolante.Oltre a questo, ci impegniamo anche su altri fronti. Rassegne documentaristiche a scopo di infor-mazione, riflessione e dibattito su temi a noi cari e particolarmente controversi, come la psicofar-macologia. Lavoro di rete con altri servizi, associazioni, gruppi spontanei, nella ricerca costante di alternative possibili a un sistema della salute in crisi. Organizzazione di laboratori di scrittura creativa in gruppo (a partire da Gennaio 2015).Lo Sportello non è uno studio privato.Non è dentro il mercato e non vuole esserlo.Non è gratuito né vuole esserlo.Lo Sportello è il tentativo di ampliare un diritto essenziale, il diritto a stare bene, un diritto che, troppo spesso, diventa un privilegio. Lo Sportello TiAscolto! ha sede presso il TYC (Torino Youth Center) in via Faà di Bruno 2, dove svolge la maggior parte delle sue attività, e fa parte dell’associazione CreAttiva A.P.S.

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