Apollodoro

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Apollodoro Biblioteca Libro I Il primo ad avere il dominio di tutto il mondo fu Urano, il cielo. Egli sposò Gea, la terra, e i loro primi figli furono gli Ecatonchiri - Briareo, Gie e Cotto. Nessuno era più grande o più forte di loro, e ognuno di essi aveva cento braccia e cinquanta teste. Dopo di loro, Gea partorì a Urano i Ciclopi - Arge, Sterope e Bronte -, che avevano un solo occhio in mezzo alla fronte. Ma Urano incatenò questi suoi figli e li gettò nel Tartaro (la regione tenebrosa in fondo all'Ade, tanto lontana dalla superficie della terra, quanto la terra lo è dal cielo). Nacquero poi i Titani - Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e Crono, il più giovane. E le loro sorelle furono anch'esse chiamate Titanidi: Teti, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Dione e Teia. Ma Gea soffriva molto per la perdita dei suoi figli scaraventati nel Tartaro, e così convinse i Titani ad assalire loro padre: a Crono, poi, essa diede come arma una falce d'acciaio. Lo assalirono tutti insieme, tranne Oceano: Crono tagliò via i genitali del padre e li gettò nel mare; il sangue sprizzò, e dalle gocce nacquero le Erinni - Aletto, Tisifone e Megera. Così i Titani detronizzarono il padre, riportarono alla luce i fratelli imprigionati nel Tartaro e affidarono il potere a Crono. Ma il primo provvedimento di Crono fu di rinchiudere di nuovo tutti i suoi fratelli nel Tartaro - dopodiché sposò sua sorella Rea. Gea e Urano, però, gli avevano fatto una profezia: che un figlio nato da lui gli avrebbe strappato il potere. E allora Crono, appena gli nasceva un figlio, subito lo inghiottiva. La prima a nascere - e a essere inghiottita - fu Estia; poi Demetra ed Era, e infine Ade e Poseidone. Furibonda, Rea fuggì a Creta: era incinta di Zeus, e lo partorì proprio a Creta, in una grotta del monte Ditte. Poi lo affidò ai Cureti e alle ninfe Adrastea e Ida, figlie di Melisseo. Esse nutrirono il bambino con il latte di Amaltea, mentre i Cureti, in armi, facevano la guardia al neonato dentro la grotta, battendo forte le lance contro gli scudi, perché quello strepito impedisse a Crono di udire i vagiti del figlio. Intanto Rea avvolse nelle fasce una pietra e la presentò a Crono: e quello, pensando proprio che fosse il suo ultimo nato, la inghiottì. Zeus era ormai diventato grande. Allora chiese a Meti - la figlia di Oceano - di aiutarlo nella sua impresa: e Meti diede da bere a Crono un potente farmaco, che lo costrinse a vomitare prima la pietra, e poi di seguito tutti i figli che aveva inghiottito. Insieme a loro Zeus fece guerra a Crono e ai Titani. Combattevano ormai da dieci anni, quando Gea profetizzò a Zeus che presto avrebbe vinto, se si fosse alleato con quelli che erano stati imprigionati nel Tartaro. Allora Zeus uccise Campe - la loro carceriera - e riuscì a liberarli dalle catene. Fu in quell'occasione che i Ciclopi diedero a Zeus il tuono, il fulmine e le saette; ad Ade invece diedero l'elmo che rende invisibili, e a Poseidone il tridente. Così equipaggiati, essi vinsero facilmente i Titani: e poi li imprigionarono nel Tartaro, sotto la custodia degli Ecatonchiri. Zeus, Ade e Poseidone si divisero il potere: a Zeus toccò il regno del cielo, a Poseidone il regno del mare, e ad Ade il regno dell'oltretomba. I Titani ebbero molti figli. Da Oceano e Teti nacquero le Oceanine: Asia, Stige, Elettra, Doride, Eurinome, Anfitrite e Meti; da Ceo e Febe nacquero Asteria e Leto; Iperione e Teia ebbero invece Eos, Elio e Selene. Da Crio ed Euribia - la figlia di Ponto - nacquero Astreo, Pallante e Perse; Giapeto e Asia, invece, ebbero Atlante (quello che tiene il cielo sulle sue spalle), Prometeo, Epimeteo e Menetio: quest'ultimo fu colpito dalla folgore di Zeus durante la guerra contro i Titani e scaraventato nel Tartaro. Da Crono e Filira nacque Chirone, il

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Apollodoro Biblioteca Libro IIl primo ad avere il dominio di tutto il mondo fu Urano, il cielo. Egli sposò Gea, la terra, e i loro primi figli furono gli Ecatonchiri - Briareo, Gie e Cotto. Nessuno era più grande o più forte di loro, e ognuno di essi aveva cento braccia e cinquanta teste. Dopo di loro, Gea partorì a Urano i Ciclopi - Arge, Sterope e Bronte -, che avevano un solo occhio in mezzo alla fronte. Ma Urano incatenò questi suoi figli e li gettò nel Tartaro (la regione tenebrosa in fondo all'Ade, tanto lontana dalla superficie della terra, quanto la terra lo è dal cielo). Nacquero poi i Titani - Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e Crono, il più giovane. E le loro sorelle furono anch'esse chiamate Titanidi: Teti, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Dione e Teia. Ma Gea soffriva molto per la perdita dei suoi figli scaraventati nel Tartaro, e così convinse i Titani ad assalire loro padre: a Crono, poi, essa diede come arma una falce d'acciaio. Lo assalirono tutti insieme, tranne Oceano: Crono tagliò via i genitali del padre e li gettò nel mare; il sangue sprizzò, e dalle gocce nacquero le Erinni - Aletto, Tisifone e Megera. Così i Titani detronizzarono il padre, riportarono alla luce i fratelli imprigionati nel Tartaro e affidarono il potere a Crono. Ma il primo provvedimento di Crono fu di rinchiudere di nuovo tutti i suoi fratelli nel Tartaro - dopodiché sposò sua sorella Rea. Gea e Urano, però, gli avevano fatto una profezia: che un figlio nato da lui gli avrebbe strappato il potere. E allora Crono, appena gli nasceva un figlio, subito lo inghiottiva. La prima a nascere - e a essere inghiottita - fu Estia; poi Demetra ed Era, e infine Ade e Poseidone. Furibonda, Rea fuggì a Creta: era incinta di Zeus, e lo partorì proprio a Creta, in una grotta del monte Ditte. Poi lo affidò ai Cureti e alle ninfe Adrastea e Ida, figlie di Melisseo. Esse nutrirono il bambino con il latte di Amaltea, mentre i Cureti, in armi, facevano la guardia al neonato dentro la grotta, battendo forte le lance contro gli scudi, perché quello strepito impedisse a Crono di udire i vagiti del figlio. Intanto Rea avvolse nelle fasce una pietra e la presentò a Crono: e quello, pensando proprio che fosse il suo ultimo nato, la inghiottì. Zeus era ormai diventato grande. Allora chiese a Meti - la figlia di Oceano - di aiutarlo nella sua impresa: e Meti diede da bere a Crono un potente farmaco, che lo costrinse a vomitare prima la pietra, e poi di seguito tutti i figli che aveva inghiottito. Insieme a loro Zeus fece guerra a Crono e ai Titani. Combattevano ormai da dieci anni, quando Gea profetizzò a Zeus che presto avrebbe vinto, se si fosse alleato con quelli che erano stati imprigionati nel Tartaro. Allora Zeus uccise Campe - la loro carceriera - e riuscì a liberarli dalle catene. Fu in quell'occasione che i Ciclopi diedero a Zeus il tuono, il fulmine e le saette; ad Ade invece diedero l'elmo che rende invisibili, e a Poseidone il tridente. Così equipaggiati, essi vinsero facilmente i Titani: e poi li imprigionarono nel Tartaro, sotto la custodia degli Ecatonchiri. Zeus, Ade e Poseidone si divisero il potere: a Zeus toccò il regno del cielo, a Poseidone il regno del mare, e ad Ade il regno dell'oltretomba. I Titani ebbero molti figli. Da Oceano e Teti nacquero le Oceanine: Asia, Stige, Elettra, Doride, Eurinome, Anfitrite e Meti; da Ceo e Febe nacquero Asteria e Leto; Iperione e Teia ebbero invece Eos, Elio e Selene. Da Crio ed Euribia - la figlia di Ponto - nacquero Astreo, Pallante e Perse; Giapeto e Asia, invece, ebbero Atlante (quello che tiene il cielo sulle sue spalle), Prometeo, Epimeteo e Menetio: quest'ultimo fu colpito dalla folgore di Zeus durante la guerra contro i Titani e scaraventato nel Tartaro. Da Crono e Filira nacque Chirone, il centauro metà uomo e metà cavallo; e da Eos e Astreo nacquero i venti egli Astri. Da Perse e Asteria nacque Ecate; da Pallante e Stige, invece, nacquero Niche, Crato, Zelo e Bia. Zeus, poi, istituì come solenne giuramento quello sull'acqua di Stige, che scorre da una roccia del Tartaro: questo onore fu il suo ringraziamento per l'aiuto portatogli da Stige e i suoi figli nella guerra contro i Titani. Da Gea e Ponto nacquero Porco, Taumante, Nereo, Euribia e Ceto. Da Taumante ed Elettra nacquero Iride e le Arpie - Aello e Ocipete. Porco e Ceto invece ebbero le Porcidi e le Gorgoni, di cui riparleremo nel racconto delle avventure di Perseo. Da Nereo e Doride nacquero le Nereidi. Ecco i loro nomi: Cimotoe, Speio, Glauconome, Nausitoe, Alie, Erato, Sao, Anfitrite, Eunice, Teti, Eulimene, Agave, Eudore, Doto, Perusa, Galatea, Actea, Pontomedusa, Ippotoe, Lisianassa, Cimo, Eione, Alimede, Plessaure, Eucrante, Proto, Calipso, Panope, Cranto, Neomeris, Ipponoe, Ianira, Polinome, Autonoe, Melite, Dione, Nesea, Dero, Evagore, Psamate, Eumolpe, Ione, Dilamene, Ceto e Limnoria. Zeus sposò Era, e con lei ebbe i figli Ebe, Ilizia e Ares. Ma si unì anche con molte altre donne, mortali e immortali. Con Temi, la figlia di Urano, Zeus generò le Ore - Irene, Eunomia e Diche - e le Moire - Cloto, Lachesi e Atropo. Da Dione invece ebbe la figlia Afrodite, e da Eurilome, la figlia di Oceano, ebbe le Cariti - Aglaia, Eufrosile e Talia. Da Stige ebbe la figlia Persefone, e da Mnemosine ebbe le Muse: prima Calliope, e poi Clio, Melpomene, Euterpe, Erato, Tersicore, Urania, Talia e Polinnia. Da CalIiope ed Eagro (o forse Apollo: è questa la versione più diffusa) nacquero i figli Lino, che venne poi ucciso da Eracle, e Orfeo, il grande musico: con il suo canto faceva muovere anche le pietre, anche gli alberi. Un giorno la sua sposa Euridice fu morsa da un serpente, e morì; allora Orfeo scese all'Ade, deciso a riprendersela, e convinse Ade a rimandarla sulla terra. Il Dio pose una condizione alla sua promessa: lungo la strada del ritorno, Orfeo non avrebbe mai dovuto voltarsi a guardare la sposa prima di arrivare a casa. Ma Orfeo disobbedì: si voltò, guardò Euridice, e lei dovette scendere di nuovo nell'Ade. Orfeo fu il fondatore dei misteri di Dioniso; lo uccisero le Menadi, facendolo a pezzi, e venne poi sepolto in Pieria. Clio invece si innamorò di Piero, figlio di Magnete: era la vendetta di Afrodite, per il disprezzo con cui Clio aveva parlato del suo amore con Adone. La Musa, dunque, si unì a Piero, ed ebbe da lui il figlio Giacinto: Tamiri, il figlio di Pilammone e della Ninfa Argiope, si innamorò di lui - e fu così che nacque per la prima volta l'amore omosessuale. Anche Apollo poi si innamorò di Giacinto: ma un giorno, lanciando il disco, senza volerlo lo uccise. Tamiri era di eccezionale bellezza, e suonava la cetra con maestria: tanto che osò sfidare le Muse in una gara musicale. I patti erano questi: se Tamiri avesse vinto, avrebbe potuto fare l'amore con

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tutte le Muse, e se invece avesse perso, esse potevano togliergli ciò che volevano. Naturalmente le Muse risultarono superiori, senza confronto: e a Tamiri tolsero la vista e l'arte della cetra. Euterpe si unì al fiume Strimone, ed ebbe da lui il figlio Reso, che fu poi ucciso da Diomede a Troia; ma c' è chi afferma che egli nacque da Calliope. Da Talia e Apollo nacquero i Coribanti, e da Melpomene e Acheloo le Sirene, di cui parleremo nel racconto delle avventure di Odisseo. Era generò Efesto, senza alcuna unione sessuale: Omero invece sostiene che anche Efesto era figlio di Zeus. Fu proprio Zeus a scagliarlo giù dal cielo, quella volta che Efesto cercò di aiutare Era incatenata: Zeus l'aveva appesa fuori dall'Olimpo, perché aveva osato scatenare una tempesta contro Eracle, mentre navigava alla conquista di Troia. Efesto precipitò sull'isola di Lemno e restò sciancato: ma Tetide lo salvò. Zeus si unì anche a Meti, che aveva tentato di sfuggirgli continuando ad assumere forme diverse, ma invano. Quando restò incinta, Zeus con l'inganno la inghiottì, prima che potesse partorire. Infatti aveva predetto che avrebbe avuto una bambi na: ma se dopo avesse partorito una seconda volta, sarebbe stato un maschio, destinato a diventare il padrone del cielo. Per questo timore Zeus aveva inghiottito Meti; e quando arrivò il momento del parto, ordinò a Prometeo di colpirgli la testa con la scure (altri invece dicono che fu Efesto a farlo): e dal capo di Zeus balzò fuori Atena, tutta in armi, là sulle rive del fiume Tritone.Tra le figlie di Ceo, una, Asteria, per sfuggire alle brame di Zeus, si trasformò in quaglia e si gettò nel mare. Da lei nacque una città, che prese il suo nome: Asteria, quella che in seguito fu chiamata Delo. Leto, al tempo in cui Era la cacciava via da tutte le terre a causa del suo amore con Zeus, un giorno giunse a Delo, e finalmente poté partorire Artemide: poi Artemide stessa le fece da levatrice, e Leto partorì anche Apollo. Artemide si dedicò all'arte della caccia, e volle rimanere vergine; Apollo invece imparò l'arte della profezia da Pan, il figlio di Zeus e Timbreo, e andò a Delfi, dove a quel tempo era Temi a rendere i responsi. Ma il serpente Pitone, che stava a guardia dell'oracolo, gli impedì di avvicinarsi alla fenditura delle esalazioni profetiche: allora Apollo lo uccise e si impossessò dell'oracolo. Poco tempo dopo, uccise anche Tizio, nato da Zeus e da Elare, la figlia di Orcomeno. Zeus, per paura di Era, dopo aver sedotto la fanciulla l'aveva nascosta sotto terra, e aveva portato lui alla luce il bambino di cui Elare era incinta, un enorme gigante di nome Tizio. Mentre Leto era in viaggio verso Pito, Tizio la vide e preso da una smania terribile cercò di violentarla: lei chiamò in soccorso i suoi figli, e subito quelli lo uccisero con le loro frecce. Tizio viene punito anche dopo la morte: giù nell'Ade, infatti, il suo cuore è eternamente divorato dagli avvoltoi. Apollo uccise anche Marsia, il figlio di Olimpo. Proprio Marsia aveva ritrovato il flauto gettato via da Atena - a suonarlo, diceva, le si sfigurava il viso. Il giovane venne a gara di musica con Apollo: i patti erano che il vincitore avrebbe fatto ciò che voleva dello sconfitto. La contesa ebbe inizio: Apollo suonò con la cetra capovolta, e sfidò Marsia a fare altrettanto con il suo strumento. Ma questo era davvero impossibile. Così Apollo riuscì vincitore, appese Marsia a un alto pino, e lo uccise scorticandolo vivo. Artemide invece uccise Orione a Delo. Di lui dicono che fosse di enorme statura, in quanto nato dal terreno; ma Ferecide sostiene che fosse figlio di Poseidone ed Euriale. In ogni caso, egli aveva avuto da Poseidone il dono di poter camminare sulle acque. La sua prima sposa fu Side, che Era gettò nell'Ade perché aveva osato rivaleggiare con lei in bellezza. Un giorno Orione giunse a Chio, e chiese la mano di Merope, la figlia di Enopione. Enopione lo fece ubriacare, e mentre era addormentato lo accecò, gettandolo poi sulla spiaggia. Allora Orione andò alla fucina di Efesto, rapì uno dei suoi operai, se lo caricò in spalla e gli ordinò di guidare i suoi passi fino a dove sorge Elio. Giunto là, i raggi di Elio gli ridonarono la vista; allora Orione corse in tutta fretta da Enopione. Poseidone, intanto, aveva fatto costruire da Efesto un rifugio sotterraneo per Enopione. Eos, l'aurora, si innamorò di Orione, lo rapì e lo portò a Delo: era la vendetta di Afrodite, che costringeva Eos a essere eternamente innamorata, perché aveva osato dormire insieme ad Ares. Alcuni dicono che Orione morì per aver sfidato Artemide in una gara di lancio del disco; altri invece dicono che usò violenza a Opi, una delle fanciulle venute dal paese degli Iperborei, e Artemide lo uccise con le sue frecce. Poseidone sposò Anfitrite, la figlia di Oceano, e da loro nacquero Tritone e Rode, che divenne sposa di Elio.Ade si innamorò di Persefone, e con la complicità di Zeus la rapì di nascosto. Ma la madre Demetra, con le fiaccole in mano, la cercò notte e giorno, peregrinando per la terra intera, finche venne a sapere dalla gente di Ermione che Ade l'aveva rapita. Allora, piena d'ira verso tutti gli Dèi, abbandonò il cielo, si travestì da donna comune e andò a Eleusi. Appena giunta, si sedette su quella pietra che venne poi chiamata «senza sorriso» - proprio in ricordo della sua storia -vicino al pozzo Callicoro. Poi andò da Celeo, che allora era il re di Eleusi. C'erano molte donne nella sua casa: la invitarono a sedere insieme a loro, e una vecchia, che si chiamava Iambe, con i suoi scherzi riuscì a far sorridere la Dea. È questa l'origine, si dice, di tutte quelle burle irriverenti delle donne nella festa delle Tesmoforie. Metanira, la sposa di Celeo, aveva un bambino, e lo diede da allevare a Demetra. La Dea voleva renderlo immortale; così, di notte, lo gettava nel fuoco, per spogliarlo dal suo corpo mortale. Di giorno, poi, Demofonte - così si chiamava il bambino - cresceva in maniera prodigiosa: ma Metanira spiò tutta la scena, vide che il bambino stava bruciando nel fuoco e si mise a gridare. Così Demofonte fu consumato dal fuoco, e la Dea si rivelò. E a Trittolemo, il figlio maggiore di Metanira, essa diede un carro guidato da draghi alati, e gli affidò il frumento, perché dall'alto del cielo lo spargesse su tutta la terra abitata. Paniassi sostiene che Trittolemo fosse figlio di Eleusi, e che proprio presso quest'ultimo la Dea avesse alloggiato. Ferecide, invece, dice che era figlio di Oceano e Gea. Zeus ordinò ad Ade di rimandare Core sulla terra. Ma Ade, perché la fanciulla non restasse troppo tempo presso la madre, le diede da mangiare un chicco di melagrana. Core, del tutto ignara delle conseguenze, lo inghiottì. Ascalafo, il figlio di Acheronte e Gorgira, la vide, e fece la spia: e Demetra gli gettò sopra un masso pesantissimo, là nell'Ade. Ma da allora Persefone deve rimanere con Ade un terzo dell'anno, e il resto può stare insieme agli altri Dèi. Questa è la storia di Demetra. Gea, intanto, sdegnata per la faccenda dei Titani, insieme a Urano aveva generato i Giganti. Nessuno era più enorme di loro, nessuno poteva vincere la loro forza: a guardarli facevano davvero paura, coi loro lunghi capelli irsuti e la barba ispida, e squamose code di serpente al posto

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dei piedi. Essi nacquero, sostengono alcuni, a Flegra; altri invece dicono a Pallene. E subito bersagliarono il cielo con pesanti massi e con querce infuocate. I loro capi erano Porfirione e Alcioneo: quest'ultimo era immortale, finché avesse combattuto nella terra dove era nato. È lui quello che portò via i buoi di Elio da Erizia. Ma gli Dèi avevano avuto una profezia: nessuno dei Giganti avrebbe potuto essere ucciso dagli Immortali, ameno che un uomo non intervenisse nella battaglia come alleato degli Dèi. Avvertita di questo, subito Gea si mise in cerca di un farmaco, perché i Giganti non potessero venire distrutti da un uomo mortale. Zeus allora proibì ad Eos, Selene ed Elio di far brillare la loro luce, colse lui per primo l'erba magica, e disse ad Atena di andare a chiamare Eracle come loro alleato. Subito Eracle colpì Alcioneo con le sue frecce: il Gigante cadde a terra, e all'istante riprese vita, più forte di prima. L'eroe allora, su consiglio di Atena, lanciò Alcioneo fuori dalla terra di Pallene, e quello morì. Porfirione attaccò Eracle ed Era. Ma Zeus gli gettò in cuore una smania amorosa per Era: il Gigante strappò la tunica alla Dea e cercò di farle violenza, ma lei gridò al soccorso, Zeus colpì Porfirione con la sua folgore, ed Eracle lo finì con le sue frecce. Quanto agli altri Giganti, Efialte fu colpito all'occhio sinistro da una freccia di Apollo, e a quello destro da una freccia di Eracle; Eurito fu ucciso da Dioniso con il suo tirso, Clizio fu ucciso da Ecate con le sue torce, o forse da Efesto con il ferro incandescente. Encelado tentò di fuggire, ma Atena gli gettò sopra l'isola di Sicilia; a Pallante, poi, Atena strappò via la pelle e la usò per proteggersi il corpo in battaglia. Polibote fu inseguito per mare da Poseidone, e giunse a Coo; il Dio allora tagliò un pezzo dell'isola e glielo scagliò addosso: adesso è l'isolotto che chiamiamo Nisiro. Ermes, con l'elmo magico di Ade sulla testa, uccise Ippolito, e Artemide uccise Gratione. Le Moire uccisero Agrio e Toante, che combattevano con randelli di bronzo. Tutti gli altri furono annientati dalle folgori di Zeus: e a tutti Eracle dava il colpo di grazia con le sue frecce. Così gli Dèi riuscirono a sconfiggere i Giganti. Ma Gea, sempre più furibonda, si unì a Tartaro, e partorì Tifeo, in terra di Cilicia, una creatura metà uomo e metà bestia. La sua forza e la sua imponenza superavano di gran lunga quelle di tutti i figli di Gea. Fino alle cosce aveva una forma umana, ma di spaventosa enormità: era più grande di tutte le montagne, e la sua testa spesso sfiorava le stelle. Le sue braccia aperte toccavano da una parte il tramonto e dall'altra l'aurora, e terminavano con cento teste di serpente. Dalle cosce in giù, invece, aveva smisurate spire di vipera: se le stendeva, gli arrivavano fino alla testa, e producevano orrendi sibili. Tutto il suo corpo era alato; un pelo irsuto gli ondeggiava sulla testa e sulle guance, e gli occhi sprizzavano fiamme. Con tutta la sua mostruosa grandezza, Tifeo si mise a scagliare massi infuocati contro il cielo stesso, fra urla e sibili: e dalla sua bocca sgorgavano torrenti di fuoco. Gli Dèi, come videro quel suo assalto al cielo, fuggirono tutti in Egitto, e per non essere scoperti assunsero l'aspetto di animali. Ma Zeus colpì Tifeo da lontano con la sua folgore, poi gli si avvicinò e lo colpì con il falcetto d'acciaio. Tifeo fuggì sul monte Casio, che sovrasta la Siria, e Zeus lo inseguì e, vedendolo così ferito, lo attaccò. Ma Tifeo lo avvolse con le sue spire, lo immobilizzò, gli strappò il falcetto, e con quello gli tagliò i tendini delle braccia e delle gambe. Poi se lo mise in spalla, attraversò il mare, lo portò in Cilicia, e lo scaricò nell'antro Coricio. Anche i tendini li nascose lì, in una pelle d'orso, e vi pose a guardia la dragonessa Delfine, che era una fanciulla metà donna e metà animale. Ma Ermes ed Egipan rubarono i tendini e li riadattarono di nascosto al corpo di Zeus. Ritrovata la sua forza, subito Zeus tornò in cielo, salì su un carro tramato da cavalli alati, e, scagliando fulmini, inseguì Tifeo sul monte chiamato Nisa, dove le Moire ingannarono il fuggiasco e lo convinsero a mangiare i frutti di Tanato, facendogli invece credere che così avrebbe ritrovato tutta la sua forza. E di nuovo Zeus lo inseguì fino in Tracia, dove Tifeo nella lotta presso il monte Emo gli scagliò addosso intere montagne. Ma i fulmini di Zeus le fecero rimbalzare indietro contro di lui, e fiumi di sangue inondarono il monte, che proprio da quell'episodio prese il suo nome. Tifeo cercò di fuggire attraverso il mare di Sicilia, ma Zeus gli gettò addosso l'altissimo monte Etna, e lo schiacciò: è da quel giorno, dicono, che l'Etna erutta fuoco, per tutti quei fulmini scagliati. Ma di questi avvenimenti si è già parlato abbastanza. Prometeo impastò acqua e terra, e creò gli uomini. A essi poi donò il fuoco, sottraendolo di nascosto a Zeus dentro una canna cava. Quando Zeus se ne accorse, ordinò a Efesto di inchiodare il corpo di Prometeo sul monte Caucaso, che sorge nella Scizia. Infiniti anni Prometeo restò così incatenato: e ogni giorno un'aquila si avventava su di lui e gli divorava il fegato, che poi di notte ricresceva. Così Prometeo scontava la colpa di aver rubato il fuoco, fino al giorno in cui Eracle lo liberò - ma di questo parleremo nei capitoli dedicati alle imprese dell'eroe. Prometeo aveva un figlio, Deucalione, re del territorio di Ftia, e sposo di Pirra, figlia a sua volta di Epimeteo e Pandora, la prima donna. Quando Zeus decise di far scomparire la stirpe umana del bronzo, Deucalione, su consiglio di Prometeo, costruì un'arca, vi imbarcò tutto il necessario, poi vi salì insieme a Pirra. Zeus riversò dal cielo una pioggia infinita, e sommerse quasi tutta la terra dell'Ellade: tutti gli uomini vennero distrutti, tranne quei pochi che erano fuggiti sulle cime più alte dei monti vicini. Le montagne della Tessaglia restarono isolate, e tutte le regioni fuori dall'Istmo e dal Peloponneso vennero sommerse dalle acque. L'arca di Deucalione navigò in balìa del mare per nove giorni e nove notti, e alla fine si fermò sul monte Parnaso: quando la pioggia cessò, Deucalione uscì e offrì un sacrificio a Zeus protettore dei fuggiaschi. Allora il Dio gli inviò Ermes, con l'ambasciata che qualunque cosa avesse voluto gli sarebbe stata concessa: e Deucalione chiese di poter avere degli uomini. Zeus diede il suo assenso, e Deucalione cominciò a raccogliere dei sassi e a gettarseli dietro le spalle: così, le pietre tirate da Deucalione divennero uomini, e quelle tirate da Pirra divennero donne. È da allora che i popoli hanno preso per metafora il loro nome (laos) da quello che indica la pietra (laas). Deucalione e Pirra ebbero alcuni figli. Il primo fu Elleno, che però alcuni sostengono fosse figlio di Zeus. Poi nacque Anfizione, che dopo Cranao ebbe il regno dell'Attica; e terza fu Protogenia, che ebbe da Zeus il figlio Etlio. Insieme alla ninfa Orseide, Elleno generò i figli Doro, Xuto ed Eolo. Elleno stesso diede il suo nome ai popoli che prima si chiamavano Elleni, e divise tutto il territorio fra i suoi figli. Xuto ricevette il Peloponneso, e da Creusa, la figlia di Eretteo, ebbe i figli Acheo e Ione, che diedero il loro nome agli Achei e agli Ioni. Doro invece ricevette tutta la regione

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di fronte al Peloponneso, i cui abitanti vennero chiamati Dori dal suo nome. Eolo poi regnò sul territorio intorno alla Tessaglia, e chiamò Eoli i suoi sudditi: sua sposa fu Enarete, figlia di Deimaco, che gli diede sette figli - Creteo, Sisifo, Atamante, Salmoneo, Deione, Magnete, Periere - e cinque figlie - Canace, Alcione, Pisidice, Calice e Perimede. Perimede ebbe i figli Ippodamante e Oreste da Acheloo; Pisidice ebbe Antifo e Attore da Mirmidone. Alcione andò sposa a Ceice, figlio di Eosforo. Entrambi furono rovinati dalla loro empia insolenza: lui infatti andava dicendo di avere come sposa Era, e lei che suo marito era Zeus - e proprio Zeus allora li trasformò in uccelli,lei in alcione e lui in folaga (keux). Canace si unì a Poseidone, ed ebbe i figli Opleo, Nireo, Epopeo, Aloeo e Triope. Aloeo sposò Ifimedia, figlia di Triope; ma lei si era innamorata di Poseidone, e spesso andava sulla riva del mare, raccoglieva l'acqua nel cavo della mano e se la versava in grembo. Così Poseidone si unì a lei, e nacquero due maschi, Oto ed Efialte, i cosiddetti Aloadi. Ogni anno i due ragazzi crescevano un cubito in larghezza e una tesa in altezza; quando ebbero nove anni - raggiunta la stazza di nove cubiti in larghezza e nove tese in altezza - decisero di far guerra agli Dèi. Accatastarono il monte Ossa sull'Olimpo, e sull'Ossa il Pelio, con la minaccia di arrampicarsi su per queste montagne fino a raggiungere il cielo, o di gettarle nel mare fino a trasformarlo in terra ferma, e la terra trasformarla in mare. In più, Efialte voleva prendere Era, e Oto Artemide. Con questi intenti, i due fratelli catturarono Ares; ma Ermes riuscì a liberarlo di nascosto. Artemide intanto attirò gli Aloadi a Nasso e li uccise con un inganno: trasformatasi in cerva, infatti, balzò in mezzo a loro, e i due fratelli tirarono entrambi la loro lancia per colpirla, uccidendosi a vicenda. Calice ed Etlio ebbero il figlio Endimione, che guidò gli Etoli fuori della Tessaglia e fondò Elide (c'è però chi sostiene che fosse figlio di Zeus). La sua bellezza era prodigiosa, e Selene s'innamorò di lui. Zeus gli concesse di scegliere quello che voleva: e Endimione scelse di dormire per sempre, restando immortale ed eternamente giovane. Da una Ninfa Naiade, o forse da Ifianassa, Endimione ebbe il figlio Etolo, che uccise Api, figlio di Foroneo, e per questo andò in esilio nella terra dei Cureti. Qui Etolo uccise la gente che lo ospitava - Doro, Laodoco e Polipete, figli di Ftia e Apollo - e dal suo nome chiamò Etolia tutta quella regione. Etolo sposò Pronoe, figlia di Forbo, e generò Pleurone e Calidone, che diedero il loro nome alle due omonime città dell'Etolia. Pleurone sposò Santippe, figlia di Doro, ed ebbe con lei il figlio Agenore e le figlie Sterope, Stratonice e Laofonte. Calidone ed Eolia, figlia di Amitaone, ebbero Epicaste e Protogenia, che generò Ossilo insieme ad Ares. Agenore sposò Epicaste, figlia di Calidone, e generò Portaone e Demonice, che a sua volta ebbe da Ares i figli Eveno, Molo, Pilo e Testio. Da Eveno nacque Marpessa, che fu amata da Apollo: ma Ida, figlio di Afareo, la rapì su un carro alato, dono di Poseidone. Anche Eveno, allora, saltò sul carro e lo inseguì; ma quando giunse al fiume Licorma e vide che non gli era possibile proseguire, sgozzò i suoi cavalli e si gettò nel fiume, che da quel giorno, in suo onore, fu chiamato Eveno. Ida intanto era arrivato a Messene, dove Apollo si scontrò con lui per strappargli Marpessa. Mentre combattevano per averla, Zeus interruppe il loro duello, e disse alla fanciulla di scegliere lei quello che voleva per marito: e Marpessa, temendo che, nel diventar vecchia, Apollo l'avrebbe abbandonata, preferì Ida. Testio sposò Euritemi, figlia di Cleobea, ed ebbe tre femmine - Altea, Leda e Ipermnestra - e quattro maschi - Ificlo, Evippo, Plessippo ed Euripilo. Portaone sposò Eurite, figlia di Ippodamante, ed ebbe cinque maschi - Eneo, Agrio, Alcatoo, Melante e Leucopeo - e una femmina, Sterope, la quale dicono che si unì ad Acheloo e generò le Sirene.Eneo, divenuto re di Calidone, fu il primo a ricevere da Dioniso una pianta di vite. Si sposò con Altea, figlia di Testio, e generò Tosseo, che poi uccise con le proprie mani, perché il ragazzo aveva osato saltare il fossato che cingeva la città. Gli nacquero poi i figli Tireo e Climeno, la figlia Gorge, che andò sposa a Andremone, e Deianira, che però alcuni sostengono figlia di Altea e Dioniso. Questa fanciulla amava guidare lei stessa il carro, e si esercitava nelle attività guerresche: per averla in sposa, Eracle lottò con il fiume Acheloo. Da Eneo, Altea ebbe poi anche Meleagro, che però alcuni dicono figlio di Ares. Quando il bambino compì sette anni, apparvero le Moire e dissero che Meleagro sarebbe morto quando il tizzone che era nel focolare si fosse completamente consumato. A queste parole Altea corse a togliere il tizzone dal fuoco, e lo custodì in una cassa. Così Meleagro diventò grande, invulnerabile di corpo e nobile di spirito. Ma anch'egli poi morì: ed ecco come. Era venuto il tempo di sacrificare agli Dèi le primizie annuali del raccolto: Eneo compì i riti in onore di tutte le divinità, ma si dimenticò della sola Artemide. Infuriata, la Dea mandò un cinghiale enorme e fortissimo, che devastava la campagna e uccideva tutte le bestie e le persone che incontrava sulla sua strada. Eneo chiamò allora da tutta l'Ellade gli uomini più valorosi, promettendo in premio la pelle del cinghiale a chi fosse riuscito a ucciderlo. Ecco la lista di tutti quelli che parteciparono alla caccia: Meleagro, figlio di Eneo, e Driante, figlio di Ares, venuti da Calidone stessa; Ida e Linceo, figli di Afareo, venuti da Messene; Castore e Polideuce, figli di Zeus e Leda, venuti da Lacedemone; Teseo, figlio di Egeo, da Atene; Admeto, figlio di Perete, da Pere; Anceo e Cefeo, figli di Licurgo, dall'Arcadia; Giasone, figlio di Esone, da Iolco; Ificle, figlio di Anfitrione, da Tebe; Piritoo, figlio di Issione, da Larissa; Peleo, figlio di Eaco, da Ptia; Telamone, figlio di Eaco, da Salamina; Euritione, figlio di Attore, da Ptia; Atalanta, figlia di Scheneo, dall'Arcadia; Anfiarao, figlio di Oicleo, da Argo. Insieme a loro vennero anche i figli di Testio. Eneo ospitò tutti i convenuti per nove giorni; quando poi giunse il decimo giorno, Cefeo, Anceo e altri ancora si rifiutarono di partecipare alla caccia insieme a una donna: ma Meleagro, per quanto già sposato a Cleopatra, figlia di Ida e Marpessa, desiderava avere dei figli con Atalanta, e così obbligò tutti a partecipare alla caccia, nonostante la presenza della fanciulla. Il cinghiale era ormai circondato: ma ecco che la bestia riesce a uccidere Eneo e Anceo, e Peleo, senza volerlo, colpisce Euritione con la sua lancia. Per prima Atalanta trafisse con una freccia la schiena del cinghiale, e poi Anfiarao lo prese in mezzo agli occhi; infine Meleagro gli piantò la lancia nel ventre e lo uccise: la pelle quindi spettò a lui, e il giovane la donò ad Atalanta. Ma i figli di Testio, indignati che una donna ottenesse il premio al posto di tanti uomini, le portarono via la pelle, sostenendo che spettava comunque alla loro famiglia, se Meleagro non voleva tenerla per sé. Meleagro si infuriò, uccise i figli di Testio e restituì la pelle ad Atalanta. Fu così che Altea, afflitta dalla morte

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dei suoi fratelli, fece bruciare tutto il tizzone, e Meleagro morì all'istante. Ma c'è chi afferma che non fu questa la fine di Meleagro. Quando i figli di Testio reclamarono la preda sostenendo che il primo colpo era stato quello di Ificle, fra Cureti e Calidoni scoppiò una guerra. Meleagro riuscì a venir fuori dalla città assediata, e uccise alcuni dei figli di Testio: Altea allora gli lanciò una malediùzione, e Meleagro, per la rabbia, si chiuse in casa. I nemici erano ormai sotto le mura della città, e la gente implorava l'aiuto di Meleagro: sua moglie Cleopatra riuscì infine a convincerlo, Meleagro uccise anche gli altri figli di Testio, ma poi cadde anch'egli in battaglia. Dopo la sua morte, Altea e Cleopatra si impiccarono, e tutte le donne che piangevano il cadavere di Meleagro vennero trasformate in uccelli. Dopo la morte di Altea, Eneo sposò Peribea, figlia di Ipponoo. L'autore della "Tebaide" sostiene che Eneo la ricevette come dono di guerra quando Oleno fu saccheggiata; ma Esiodo racconta invece che Peribea era stata sedotta da Ippostrato, figlio di Amarinceo, e che suo padre Ipponoo l'aveva mandata via da Oleno di Acaia e consegnata a Eneo, che abitava lontano, perché questi la uccidesse. Altri ancora dicono che Ipponoo scoprì che sua figlia era stata sedotta da Eneo stesso, e che gliela mandò quando ormai era incinta. Da lei Eneo ebbe il figlio Tideo. Pisandro invece sostiene che la madre di Tideo era Gorge: fu Zeus a volere che Eneo si innamorasse proprio di sua figlia. Diventato grande e nobile, Tideo fu mandato in esilio per aver ucciso Alcatoo, fratello di Eneo; secondo l'autore dell'Alcmeonide, invece, Tideo aveva ucciso i figli di Melante, che tramavano contro Eneo - ossia Feneo, Eurialo, Iperlao, Antioco, Eumede, Sternope, Santippo e Stenelao. Ferecide invece sostiene che Tideo avesse ucciso suo fratello Olenia. Per sentenza di Agrio, Tideo andò in esilio e giunse ad Argo, alla corte di Adrasto, di cui sposò la figlia Deipile: dal loro matrimonio nacque il figlio Diomede. Tideo morì nella spedizione di Adrasto contro Tebe, colpito da Melanippo. I figli di Agrio - Tersite, Onchesto, Protoo, Celeutore, Licopeo e Melanippo - strapparono il regno a Eneo, e lo diedero a loro padre: Eneo lo lasciarono in vita, ma sempre incatenato fra tormenti. In seguito Diomede tornò in segreto da Argo insieme ad Alcmeone e uccise tutti i figli di Agrio, tranne Onchesto e Tersite che riuscirono a fuggire nel Peloponneso. Poiché Eneo era ormai troppo vecchio, Diomede affidò il regno ad Andremone, che aveva sposato la figlia di Eneo: e questi andò con lui nel Peloponneso. I figli di Agrio che erano riusciti a fuggire tesero un'imboscata nei pressi del focolare di Telefo, in Arcadia, e uccisero il vecchio. Diomede portò il suo corpo ad Argo e lo seppellì in quella parte della città che adesso dal suo nome viene chiamata Enoe. Poi sposò Egialia, figlia di Adrasto o forse di Egialeo, come alcuni sostengono, e partecipò alle spedizioni contro Tebe e contro Troia.Quanto ai figli di Eolo, Atamante regnò sulla Beozia, ed ebbe da Nefele il figlio Frisso e la figlia Elle. Poi sposò Ino, dalla quale ebbe Learco e Melicerte. Ma Ino voleva disfarsi dei figli di Nefele; allora convinse le donne a far seccare tutto il grano per la semina: le donne presero il grano di nascosto dai mariti e lo fecero seccare. Quando poi il grano fu seminato, la terra naturalmente non diede il raccolto annuale. Allora Atamante mandò a Delfi i suoi inviati, per chiedere al Dio come allontanare la carestia. E Ino convinse i messaggeri a riferire un falso responso: la terra sarebbe tornata fertile se Frisso fosse stato sacrificato a Zeus. Atamante udì il responso, e forzato anche dagli abitanti della regione, portò Frisso all'altare del Dio. Ma Nefele lo rapì, insieme alla figlia, e gli diede un ariete dal vello d'oro - dono di Ermes: i due ragazzi vi montarono sopra, e l'ariete li portò attraverso il cielo, superando terre e mari. Quando arrivarono al tratto di mare che si stende fra Sigeo e il Chersoneso, Elle precipitò negli abissi e morì: da allora quello stretto si chiama Ellesponto, in suo onore. Frisso invece raggiunse la Colchide, dove regnava Eeta, figlio di Elio e di Perseide, fratello di Circe e di Pasifae, quella che sposò Minosse. Eeta lo accolse e gli diede in sposa una delle sue figlie, Calciope. Frisso allora sacrificò l'ariete dal vello d'oro a Zeus protettore degli esuli, e diede la sua pelle a Eeta, che la inchiodò a una quercia nel bosco sacro ad Ares. Da Calciope, Frisso ebbe i figli Argo, Melante, Frontide e Citisoro. In seguito, per l'ira della Dea Era, Atamante fu privato anche dei figli avuti da Ino. Fu lui stesso, in preda alla follia, a uccidere Learco; allora Ino si gettò nel mare insieme a Melicerte. Bandito dalla Beozia, Atamante chiese all'oracolo di Apollo in quale terra potesse stabilirsi: e il Dio gli rispose di fermarsi nel posto dove le bestie selvagge l'avessero invitato a pranzo. Atamante vagò per tante terre, finché un giorno incontrò dei lupi che stavano mangiando dei pezzi di pecora: come lo videro, i lupi scapparono via, abbandonando il loro pasto. Allora Atamante si stabilì in quella regione, e la chiamò Atamanzia; poi sposò Temisto, figlia di Isseo, ed ebbe da lei i figli Leucone, Eritrio, Scheneo e Ptoo. Sisifo, figlio di Eolo, fondò la città di Efira - quella che adesso si chiama Corinto -e sposò Merope, figlia di Atlante. Dal loro matrimonio nacque Glauco, che a sua volta ebbe dalla sposa Eurimede il figlio Bellerofonte, quello che uccise la Chimera spirante fuoco. Sisifo sconta le sue colpe nell'Ade con la pena di un'enorme pietra che egli deve far rotolare, spingendola in salita con le mani e con la testa, per farla poi scendere dall'altra parte: ma una volta che sia riuscito a spingere il masso, questo poi rotola sempre indietro. Questa è la pena che Sisifo deve scontare a causa di Egina, la figlia di Asopo: quando Zeus rapì di nascosto la fanciulla, infatti, si dice che Sisifo fece la spia ad Asopo, che la stava cercando. Deione regnò sulla Focide, sposò Diomeda, figlia di Xuto, ed ebbe una femmina, Asterodia, e quattro maschi - Eneto, Attore, Filaco e Cefalo, che poi sposò Procri, figlia di Eretteo. Di lui poi si innamorò Eos, che lo rapì. Periere occupò il territorio di Messene e sposò Gorgofone, figlia di Perseo, dalla quale ebbe i figli Mareo, Leucippo, Tindareo e Icario. Molti sostengono che Periere non fosse figlio di Eolo, ma di Cinorte, figlio di Amicla: perciò i fatti che riguardano i discendenti di Periere verranno raccontati insieme a quelli della famiglia di Atlante. Magnete sposò una Ninfa Naiade, ed ebbe da lei i figli Polidette e Ditti, che colonizzarono Serifo. Salmoneo si stabilì prima in Tessaglia, poi giunse in Elide e vi fondò una città. Era un uomo tracotante, che voleva paragonarsi a Zeus, ma per questa sua empietà fu duramente punito. Salmoneo proclamava di essere lui stesso Zeus, e aveva imposto che a lui fossero dedicati i sacrifici, sottraendoli al culto di Zeus; al suo carro aveva legato delle pelli conciate con dentro dei calderoni di bronzo, e il clangore che producevano nell'essere trascinati diceva che era il tuono; e poi lanciava verso il cielo delle torce

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infuocate, dicendo che erano fulmini. Ma Zeus lo fulminò per davvero, lui e la città da lui fondata, con tutti i suoi abitanti. Tiro, figlia di Salmoneo e Alcidice, allevata da Creteo, fratello di Salmoneo, si innamorò del fiume Enipeo, e sempre vagava lungo le sue rive, piangendo. Allora Poseidone prese l'aspetto di Enipeo, e si unì alla fanciulla: lei partorì di nascosto due gemelli, e li espose. Mentre giacevano così abbandonati, passarono di lì per caso dei guardiani di cavalli, e una cavalla colpì con lo zoccolo uno dei due gemelli, lasciandogli sul viso una macchia scura. Un guardiano di cavalli prese con sé i bambini e li allevò: quello che aveva la macchia scura (pelios) lo chiamò Pelia, e l'altro Neleo. Quando furono grandi e vennero a sapere chi era la loro vera madre, i due fratelli uccisero la matrigna Sidero, che aveva fatto subire tanti tormenti alla loro madre Tiro: la donna, per sfuggire alla morte, si era rifugiata nel sacro recinto di Era, ma Pelia la sgozzò proprio davanti all'altare, e anche in seguito continuò a recare offesa alla Dea Era. Fra i due fratelli poi scoppiò una contesa; Neleo dovette andare in esilio, e si recò a Messene, fondò la città di Pilo e sposò Cloride, figlia di Anfione, dalla quale ebbe una femmina, Pero, e dodici maschi - Tauro, Asterio, Pilaone, Deimaco, Euribio, Epilao, Frasio, Eurimene, Evagora, Alastore, Nestore e Periclimeno, che ebbe da Poseidone la facoltà di mutare il suo aspetto. Quando Eracle venne ad assediare Pilo, Periclimeno combatté contro di lui tramutandosi ora in leone, ora in serpente, ora in ape, ma alla fine Eracle lo uccise, e con lui tutti gli altri figli di Neleo. Solo Nestore si salvò, perché veniva allevato presso i Gereni; egli poi sposò Anassibia, figlia di Cratieo, ed ebbe due figlie, Pisidice e Policaste, e sette figli, Perseo, Stratico, Areto, Echefrone, Pisistrato, Antiloco e Trasimede. Pelia si stabilì in Tessaglia e sposò Anassibia, figlia di Biante (ma altri dicono che sua sposa fu Filomache, figlia di Anfione); da lei ebbe un figlio, Acasto, e quattro femmine, Pisidice, Pelopia, Ippotoe e Alcesti. Creteo fondò Iolco e sposò Tiro, la figlia di Salmoneo, dalla quale ebbe i figli Esone, Amitaone e Ferete. Amitaone visse a Pilo e sposò Idomene, figlia di Ferete, ed ebbe i figli Biante e Melampo. Melampo si ritirò a vivere in campagna, e aveva come casa il tronco di una quercia, nella quale c'era anche un nido di serpenti. Un giorno i suoi servi uccisero tutti i serpenti: allora Melampo raccolse della legna, bruciò i corpi dei rettili e allevò i loro piccoli. Quando furono diventati grandi, i serpenti si avvicinarono a lui mentre dormiva, gli salirono sulle spalle e gli pulirono le orecchie con la lingua. Melampo saltò in piedi pieno di spavento, ma si accorse allora di capire il linguaggio degli uccelli che volavano sopra di lui: e da quel momento egli apprese da loro tante cose, che poi profetizzava agli uomini rivelando il futuro. Imparò anche l'arte di rendere vaticini con il sacrificio delle vittime, quel giorno che incontrò Apollo sulle rive dell'Alfeo: e da allora fu per sempre un grande profeta. Biante chiese la mano di Pero, figlia di Neleo. Ma molti erano i suoi pretendenti: e Neleo l'aveva promessa in sposa al giovane che fosse riuscito a portargli il bestiame di Ificlo. Queste mandrie risiedevano a Filace, ed erano custodite da un cane che impediva a uomini e bestie di avvicinarsi. Non potendo quindi rubare il bestiame, Biante chiese l'aiuto di suo fratello. Melampo promise di dargli una mano, e gli rivelò quello che sarebbe successo: chi fosse stato scoperto a rubare il bestiame avrebbe fatto un anno di prigionia, ma poi il bestiame sarebbe stato suo. Data la sua parola, Melampo andò a Filace e, proprio come aveva predetto, fu scoperto nell'atto di rubare le bestie e messo in prigione. Era quasi passato un anno, quando Melampo sentì dei tarli che parlavano in un angolino del tetto; e uno chiedeva: «Per quanto tempo ancora dovremo rodere questa trave?» E gli altri risposero: «Ormai è quasi fatta!» Allora Melampo chiese di essere trasferito subito in un'altra cella, e infatti poco dopo la sua vecchia cella rovinò. Filaco restò impressionato: venuto a sapere che Melampo era un così grande indovino, lo liberò e gli chiese di rivelare perché suo figlio Ificlo non avesse ancora dei bambini. Melampo promise di aiutarlo, se Pilaco gli avesse donato il suo bestiame. Sacrificò due tori, li tagliò a pezzi e chiamò gli uccelli. Arrivò un avvoltoio, e da lui Melampo apprese che, tanto tempo prima, Filaco aveva sacrificato degli arieti, cominciando a tagliarli dalla parte dei genitali, e poi aveva posato il coltello, ancora sanguinante, proprio vicino a Ificlo. Il ragazzo si spaventò e fuggì via, e il padre allora conficcò il coltello nel tronco della quercia sacra: la corteccia poi era cresciuta tanto da avvolgere il coltello e farlo sparire completamente. Bisognava dunque ritrovare il coltello, grattargli via la ruggine e darla da bere a Ificlo per dieci giorni di seguito: solo così avrebbe potuto far figli. Saputo questo dall'avvoltoio, Melampo trovò il coltello, grattò via la ruggine e la diede da bere a Ificlo per dieci giorni di seguito: e al giovane nacque un figlio, Podarce. Così Melampo condusse la mandria a Pilo, ebbe in cambio la figlia di Neleo, e la consegnò al fratello. L'indovino restò a Messene ancora per molto tempo; ma un giorno le donne di Argo furono fatte impazzire da Dioniso, e Melampo accettò di guarirle in cambio di una parte di regno: così andò, e Melampo si stabilì in quella regione, insieme al fratello Biante. Da Biante e Pero nacque Talao, che sposò Lisimache, figlia di Abante, a sua volta figlio di Melampo: da lei Talao ebbe Adrasto, Partenopeo, Pronace, Mecisteo, Aristomaco, e infine Erifile, che andò sposa ad Anfiarao. Partenopeo generò Promaco, che combatté contro Tebe insieme agli Epigoni; Mecisteo generò Eurialo, che partecipò alla spedizione contro Troia; Pronace generò Licurgo; e Adrasto ebbe da Anfitea, figlia di Pronace, tre femmine - Argia, Deipile ed Egialia - e due maschi - Egialeo e Cianippo. Perete, figlio di Creteo, fondò la città di Pere in Tessaglia, e generò i figli Admeto e Licurgo. Quest'ultimo si stabilì nel territorio di Nemea, sposò Euridice (o forse, come alcuni sostengono, Anfitea), e generò Ofelte, che in seguito venne chiamato Archemoro. Al tempo in cui Admeto era ormai re di Pere, Apollo entrò al suo servizio, e lo aiutò a ottenere in sposa Alcesti, la figlia di Pelia. Questi aveva emesso un bando: sua figlia Alcesti sarebbe stata sposa dell'uomo capace di aggiogare al carro un leone e un cinghiale. Apollo subito li aggiogò, e diede il carro ad Admeto, che lo condusse poi a Pelia, ottenendo Alcesti in sposa. Ma durante i sacrifici offerti per la festa di nozze, Admeto si dimenticò di Artemide: e quando aprì la porta del talamo lo trovò pieno di serpenti aggrovigliati. Apollo riuscì a placare l'ira della Dea, e per di più ottenne dalle Moire la promessa che, quando per Admeto fosse giunto il giorno fatale, egli avrebbe evitato la morte se qualcun altro avesse accettato di morire volentieri al suo posto. Quando quel momento arrivò, né suo padre ne sua madre accettarono di morire per lui: fu Alcesti che morì al posto suo. Ma poi Core la lasciò tornare indietro, oppure fu

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Eracle, come alcuni raccontano, che lottò con Ade e riportò ad Admeto la sposa. Esone, figlio di Creteo, sposò Polimede, figlia di Autolico, e generò Giasone. Giasone abitò a Iolco, dove Pelia era succeduto al trono di Creteo. Quando Pelia aveva consultato l'oracolo in relazione al suo regno, il Dio gli aveva profetizzato di guardarsi da un uomo con un sandalo solo. Al momento Pelia non capì, ma poi tutto risultò chiaro. Un giorno, sulla riva del mare, si tenne un grande sacrificio in onore di Poseidone; molti erano i partecipanti, e fra loro c'era anche Giasone. il giovane amava l'agricoltura, viveva in campagna, e si era diretto in città apposta per il sacrificio; nell'attraversare il fiume Anauro, aveva perso un sandalo nella corrente, e adesso era rimasto con un solo piede calzato. Appena lo vide, Pelia ricordò il responso del Dio, si avvicinò a Giasone e gli chiese: «Se tu avessi il potere, e ti venisse rivelato da un oracolo che uno dei cittadini ti ucciderà, tu cosa faresti?» E allora, forse a casaccio, o forse ispirato da Era (irata contro Pelia per la sua mancanza di venerazione nei suoi confronti, e che già meditava vendetta per mano di Medea), Giasone così rispose: «Lo manderei alla ricerca del Vello d'Oro!» A queste parole, subito Pelia gli ordinò di andare a cercarlo. Il Vello d'Oro si trovava nella Colchide, appeso a una quercia nel bosco sacro di Ares, e il custode era un drago che non dormiva mai. Per questa missione, Giasone chiamò ad aiutarlo Argo, figlio di Frisso; e questi, su ispirazione di Atena, fece una nave a cinquanta ordini di remi, che dal nome del suo costruttore venne chiamata Argo. Atena stessa adattò alla prua una figura di legno parlante, fatta con una delle querce sacre di Dodona. Quando la nave fu pronta, Giasone consultò l'oracolo, e il Dio gli ordinò di imbarcarsi insieme agli uomini più valorosi di tutta l'Ellade. Ecco il nome di tutti quelli che si riunirono per partecipare alla spedizione: Tifi, figlio di Agnio, che tenne il timone della nave; Orfeo, figlio di Eagro; Zete e Calaide, figli di Borea; Castore e Polideuce, figli di Zeus; Telamone e Peleo, figli di Eaco; Eracle, figlio di Zeus; Teseo, figlio di Egeo; Ida e Linceo, figli di Afareo; Anfiarao, figlio di Oicle; Ceneo, figlio di Corono; Palemone, figlio di Efesto o di Etolo; Cefeo, figlio di Aleo; Laerte, figlio di Arcisio; Autolico, figlio di Ermes; Atalanta, figlia di Scheneo; Menezio, figlio di Attore; Attore, figlio di Ippaso; Admeto, figlio di Ferete; Acasto, figlio di Pelia; Eurito, figlio di Ermes; Meleagro, figlio di Eneo; Anceo, figlio di Licurgo; Eufemo, figlio di Poseidone; Peante, figlio di Taumaco; Bute, figlio di Teleone; Fano e Stafilo, figli di Dioniso; Ergino, figlio di Poseidone; Periclimeno, figlio di Neleo; Augia, figlio di Elio; Ificlo, figlio di Testio; Argo, figlio di Frisso; Eurialo, figlio di Mecisteo; Penelo, figlio di Ippalmo; Leito, figlio di Alettore; Ifito, figlio di Naubolo; Ascalafo e Ialmeno, figli di Ares; Asterio, figlio di Comete; Polifemo, figlio di Elato. Giasone prese il comando della nave, si misero in viaggio, e sbarcarono come prima tappa a Lemno. In quei giorni, Lemno era deserta di uomini, e sul trono sedeva Ipsipile, figlia di Toante. Ed ecco il perché. Le donne di Lemno non onoravano Afrodite come si deve; allora la Dea aveva gettato loro addosso un odore tanto cattivo, che i loro mariti si erano presi come compagne di letto delle schiave, catturate nelle regioni costiere della Tracia. Per questa grande offesa, le donne di Lemno avevano ucciso i loro padri e i loro mariti; solo Ipsipile aveva risparmiato in segreto suo padre Toante. Quando sbarcarono nell'isola rimasta in potere delle donne, gli Argonauti fecero l'amore con loro; Ipsipile andò a letto con Giasone, e partorì due figli, Euneo e Nebrofono. Dopo aver lasciato Lemno, i compagni si diressero verso il paese dei Dolioni, dove regnava Cizico, che li accolse cordialmente. Durante la notte la nave riprese il mare, ma fu investita dal vento contrario, e senza rendersene conto gli Argonauti si ritrovarono di nuovo sulla costa dei Dolioni. E questi, credendo si trattasse di un gruppo di Pelasgi (con i quali erano sempre in guerra), li attaccarono, e ci fu battaglia nel buio della notte, senza che le due parti si riconoscessero. Gli Argonauti uccisero molti uomini, fra i quali lo stesso re Cizico; quando fu giorno e si accorsero di quanto era successo, tutti piansero e si tagliarono i capelli e seppellirono il re Cizico con grandi onori. Dopo i funerali ripartirono, e fecero tappa nella Misia. Qui Eracle e Polifemo lasciarono il gruppo. Accadde che Ila, figlio di Teiodamante, il ragazzo amato da Eracle, nell'andare a prendere acqua a una fonte fu rapito dalle Ninfe, per la sua grande bellezza. Polifemo udì il ragazzo che gridava aiuto, brandì la spada e corse a cercarlo, pensando che fosse stato preso dai briganti; incontrò Eracle, gli riferì ciò che aveva sentito, e insieme si misero alla ricerca di Ila. Ma intanto la nave era ripartita. Così Polifemo restò in Misia, fondò la città di Ghio e ne divenne il re; Eracle invece tornò ad Argo. Erodoro sostiene che Eracle non si imbarcò mai sulla nave Argo, perché in quel periodo era schiavo presso la regina Onfale. Secondo Ferecide, invece, Eracle fu abbandonato dai compagni ad Meta, in Tessaglia, perché la nave Argo aveva parlato, dicendo di non poter sopportare l'enorme peso dell'eroe. Demarato però sostiene che Eracle navigò fino alla Colchide; e Dionisio dice addirittura che prese lui il comando degli Argonauti. Lasciata la Misia, arrivarono al paese dei Bebrici, dove sedeva sul trono il re Amico, figlio di Poseidone e di una Ninfa della Bitinia. Era un uomo forte e violento, e sfidava tutti gli stranieri che passavano di là a una gara di pugilato: in questo modo li uccideva tutti. Così anche quel giorno Amico si avvicinò alla nave Argo, e sfidò il più bravo del gruppo a battersi con lui. La sfida fu raccolta da Polideuce: e subito il suo pugno colpì il re a un gomito e lo uccise. I Bebrici allora lo assalirono, ma i suoi nobili compagni strapparono le armi ai nemici, li misero in fuga e ne uccisero parecchi. Ripartiti da lì, arrivarono a Salmidesso, in Tracia, dove abitava Fineo, il profeta cieco. Alcuni dicono che fosse figlio di Agenore, altri di Poseidone; e si racconta che fu accecato dagli Dèi perche profetizzava il futuro agli uomini; oppure che furono Borea e gli Argonauti stessi a farlo, perché Fineo per primo aveva accecato i suoi figli, istigato dalla loro matrigna; ma c'è ancora un'altra versione, secondo la quale fu Poseidone a togliergli la vista, perché aveva rivelato ai figli di Frisso la rotta dalla Colchide verso l'Ellade. Gli Dèi gli avevano mandato, per maggiore tormento, anche le Arpie: creature alate, le quali, ogni volta che Fineo si preparava la tavola, piombavano giù dal cielo a rubargli ogni cosa, e quel poco che lasciavano si impregnava di una tale puzza da non potercisi nemmeno avvicinare. Gli Argonauti volevano sapere da Fineo la rotta giusta per il loro viaggio, e il profeta promise di rivelargli tutto, a patto che lo avessero liberato dalle Arpie. Allora gli Argonauti prepararono una tavola imbandita: subito le Arpie si precipitarono giù con orribili strida e rubarono tutto il cibo. Come le videro, Zete e Calaide, i figli di Borea, che erano

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alati, brandirono la spada e le inseguirono attraverso il cielo. Era Destino che le Arpie morissero per mano dei figli di Borea; ma anche per i due giovani quello era il giorno fatale, perché sarebbero morti senza riuscire a prenderle. Nella loro fuga, una delle Arpie (quella di nome Nicotoe o Aellopoda) cadde nel fiume Tigri, che adesso dal suo nome viene chiamato Arpide; l'altra (di nome Ocipete, oppure Ocitoe, ma Esiodo la chiama Ocipode) fuggì oltre la Propontide e raggiunse le isole Echinadi, quelle che adesso chiamiamo Strofadi, proprio perché l'Arpia, quando vi arrivò, cambiò direzione e volò verso la terra ferma, dove cadde per lo sfinimento, insieme al suo inseguitore. Apollonio, nelle sue "Argonautiche", sostiene invece che i figli di Borea riuscirono a raggiungerle proprio alle Strofadi, ma poi non fecero loro alcun male, perché le Arpie giurarono di non tormentare mai più Fineo. Finalmente libero dalle Arpie, Fineo rivelò agli Argonauti come affrontare il viaggio, e li mise in guardia dalle rupi Simplegadi, che avrebbero incontrato in mare. Queste due enormi rupi, mosse dalla violenza del vento, si scontravano una contro l'altra, impedendo il passaggio via mare. Erano sempre avvolte dalla nebbia e da fragore immenso, e neppure gli uccelli riuscivano ad attraversarle. Fineo consigliò agli Argonauti di far volare una colomba in mezzo alle due rupi; se l'avessero vista in salvo, anche loro potevano arrischiarsi a passare: ma se quella non ce l'avesse fatta, era meglio evitare ogni tentativo. Saputo questo, gli Argonauti ripresero il mare; quando furono ormai vicini alle Simplegadi, liberarono da prua una colomba, e quella riuscì a volare dall'altra parte, rimettendoci soltanto, nello scontro delle due rupi, la punta della coda. Gli Argonauti allora aspettarono che le Simplegadi si riaprissero e poi, remando a tutta forza (e con l'aiuto di Era), superarono il passaggio: soltanto la punta dell'aplustre venne mozzata. Da allora le Simplegadi sono ferme: era Destino, infatti, che, se una nave fosse riuscita ad attraversarle, quelle rupi sarebbero rimaste immobili per sempre. Arrivarono così a Mariandine, dove il re Lico li accolse con gioia. Qui morì l'indovino Idmone, ferito da un cinghiale, e morì anche Tifi: Anceo prese il suo posto al timone della nave. Gli Argonauti ripartirono. Superato il Termodonte e il Caucaso, essi giunsero al fiume Fasi, in Colchide. Ormeggiarono la nave, poi Giasone si recò dal re Eeta, per riferirgli l'incarico di Pelia e chiedergli il Vello; Eeta promise che gliel'avrebbe dato, ma a una condizione: Giasone doveva aggiogare all'aratro due tori dagli zoccoli di bronzo. Le due bestie, possesso di Eeta, erano un dono di Efesto: enormi, selvaggi, con gli zoccoli di bronzo, spiranti fuoco dalla bocca. Giasone doveva aggiogare questi tori, e poi seminare i denti di drago: Atena ne aveva dati metà a Eeta e metà a Cadmo, da seminare a Tebe. Giasone proprio non sapeva come poter aggiogare i due tori. Ma Medea, la maga, figlia di Eeta e di Idia (una figlia di Oceano), si innamorò di lui, e temendo che Giasone venisse ucciso dai tori, decise di aiutarlo ad aggiogarli di nascosto dal padre: e disse che gli avrebbe fatto avere anche il Vello d'Oro, a patto che giurasse di sposarla e di portarla con sé in Ellade. Giasone giurò, e Medea gli diede un farmaco magico, con il quale avrebbe dovuto spalmare la spada, la lancia e anche il suo stesso corpo, prima di affrontare i tori: per un giorno intero questo farmaco lo avrebbe reso invulnerabile al ferro e al fuoco. Poi gli rivelò che, nel seminare i denti di drago, dalla terra sarebbero spuntati degli uomini, tutti in armi contro di lui; quando Giasone li avesse visti ammassati, doveva gettargli in mezzo da lontano delle pietre: gli uomini allora avrebbero cominciato a far guerra fra di loro, e il giovane sarebbe riuscito a ucciderli. A queste parole, Giasone si spalmò con l'unguento magico, andò nel bosco sacro del tempio, incontrò i tori e, nonostante il fiume di fuoco con cui lo assalirono, riuscì ad aggiogarli. Poi seminò i denti di drago, e dalla terra spuntarono gli uomini in armi; quando li vide tutti ammassati, senza farsi vedere gettò le pietre contro di loro: quelli cominciarono a combattere uno contro l'altro, Giasone si avvicinò e li uccise. Nonostante il giovane fosse riuscito ad aggiogare i tori, il re Eeta rifiutò di dargli il Vello d'Oro: e anzi macchinò di bruciare la nave Argo e di uccidere tutto l'equipaggio. Ma prima che potesse mettere in atto il suo piano, Medea di notte andò da Giasone, lo condusse al Vello d'Oro, e con i suoi filtri magici fece addormentare il drago che stava di guardia. Così poté impossessarsi del Vello, e poi salì sulla nave. Anche il fratello Apsirto andò con lei. E durante la notte ripresero il mare. Eeta, quando si accorse di ciò che Medea aveva osato fare, prese una nave e si gettò all'inseguimento. Medea vide che il padre li aveva ormai raggiunti: allora uccise suo fratello Apsirto, lo fece a pezzi e lo gettò nelle onde. Così Eeta interruppe il suo inseguimento per raccogliere le sparse membra del figlio; tornò indietro e seppellì ciò che era rimasto di Apsirto nel luogo che poi venne chiamato Tomi. E di nuovo incaricò molti suoi sudditi di inseguire la nave Argo, con la minaccia di far scontare loro la punizione stabilita per Medea, se non gliel'avessero portata indietro. I Colchi si organizzarono in gruppi, e iniziarono le ricerche su rotte diverse. Quando gli Argonauti ebbero superato il fiume Eridano, Zeus, infuriato per l'assassinio di Apsirto, scatenò contro di loro una tremenda tempesta, gettandoli fuori rotta. Passarono così oltre le isole Apsirtidi, e allora la nave profetizzò: l'ira di Zeus non sarebbe cessata se gli Argonauti non si fossero diretti in Ausonia, dove Circe li avrebbe purificati dall'assassinio di Apsirto. Superato il territorio dei Liguri e dei Celti, passarono attraverso il mare di Sardegna, costeggiarono la Tirrenia e giunsero a Eea, dove si presentarono supplici a Circe, e furono finalmente purificati. Attraversarono poi le isole delle Sirene, e fu Orfeo a trattenere gli Argonauti, intonando un canto ancor più bello di quello delle Sirene. Solo Bute si gettò per raggiungerle, ma Afrodite lo rapì e lo portò ad abitare sul capo Lilibeo. Superate le Sirene, la nave incontrò Scilla e Cariddi, e le Rocce Vaganti, sopra le quali si vedevano fiamme infinite e colonne di fumo. Era chiamò Tetide e le Nereidi in aiuto della nave, che poté così passare senza difficoltà. Poi costeggiarono la Trinacria, dove risiedono le mandrie di Elio, e giunsero a Corcira, l'isola dei Feaci, dove regnava Alcinoo. I Colchi che li inseguivano, frattanto, non riuscendo a raggiungere la nave Argo, decisero di stabilirsi sui monti Cerauni, e un altro gruppo invece si diresse verso l'Illiria, e colonizzò le isole Apsirtidi. Ma un terzo gruppo arrivò nell'isola dei Feaci, trovò la nave Argo, e richiesero Medea al re Alcinoo. Questi rispose che se la fanciulla si era già unita a Giasone era giusto che stesse con lui; se invece era ancora vergine, l'avrebbe riconsegnata al padre. Arete, la sposa di Alcinoo, di nascosto dal marito, subito corse a far sposare Medea con Giasone; andò così che i Colchi restarono a vivere nell'isola dei Feaci, e gli Argonauti ripartirono

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insieme a Medea. Di notte, la nave fu investita da una furiosa tempesta; ma Apollo si pose sugli scogli Melantei, e saettando fulmini sul mare lo illuminò: così videro che vicino c'era un'isola, vi approdarono e la chiamarono Anafe, perché era apparsa (anafanènai) all'improvviso contro ogni speranza. Poi innalzarono un altare a Febo Apollo, e imbandirono il banchetto sacrificale. Dodici schiave, che erano state regalate da Arete a Medea, durante il festino scherzarono e canzonarono i loro padroni: per questo anche adesso c'è l'usanza che le donne pronuncino battute scherzose durante il sacrificio. Ripreso il viaggio, gli Argonauti raggiunsero Creta, ma la presenza di Talo gli impedì di entrare in porto. Questo Talo, secondo alcuni, apparteneva ancora alla stirpe di bronzo; ma altri dicono invece che era stato regalato a Minosse da Efesto. Era un uomo tutto di bronzo, anche se c'è chi sostiene che fosse un toro. Aveva un'unica vena, che correva dalla nuca fino alle caviglie, e alla fine di questa vena c'era un chiodo di bronzo che la chiudeva. Talo stava di sentinella, e ogni giorno faceva tre volte il giro dell'isola: avvistata la nave Argo che si avvicinava alla costa, cominciò a bersargliarla con grosse pietre. Ma anche Talo fu raggirato da Medea, e morì. Alcuni dicono che con i suoi farmaci Medea lo fece impazzire; secondo altri invece andò così: Medea gli promise di farlo diventare immortale, e invece gli sfilò il chiodo che chiudeva la vena, di modo che tutto l'icore uscì fuori, e Talo morì. Secondo un'altra versione ancora, egli morì perché trafitto nel tallone da una freccia tirata da Peante. Dopo aver sostato per una notte, gli Argonauti arrivarono a Egina per attingere acqua, e fecero una gara per vedere chi la portava più velocemente. Da lì poi passarono per il braccio di mare fra l'Eubea e la Locride, e giunsero finalmente a Iolco, dopo aver navigato in tutto quattro mesi. Frattanto Pelia, non immaginando mai che gli Argonauti sarebbero ritornati, aveva tramato per uccidere Esone; ma questi gli aveva chiesto almeno di potersi uccidere da solo: compiuto il sacrificio, bevve tranquillamente del sangue di toro, e morì. Anche la madre di Giasone maledì Pelia e poi si impiccò, lasciando un bambino ancora in fasce, Promaco: e Pelia uccise anche il piccino abbandonato. Giasone arrivò e gli consegnò il Vello d'Oro, e aspettò il momento giusto per vendicarsi di tutto ciò che aveva subito. Un giorno navigò insieme ai suoi nobili compagni verso l'Istmo, e offrì la nave come voto a Poseidone; poi domandò a Medea di inventare un modo per far pagare a Pelia le sue colpe. Medea allora andò alla reggia di Pelia, e convinse le figlie a tagliare a pezzi il padre e a farlo poi bollire, promettendo che con i suoi filtri l'avrebbe fatto tornare giovane; ne diede anche una valida prova: fatto a pezzi un ariete, lo bollì e lo fece tornare agnello. Ormai convinte, le ragazze smembrarono il padre, e lo misero a bollire. Acasto lo seppellì, insieme ai cittadini di Iolco, e bandì Giasone e Medea dalla città. Essi allora andarono a Corinto, dove vissero tranquillamente per dieci anni, fino a quando Creonte, il re della città, fidanzò sua figlia Glauce con Giasone: e questi ripudiò Medea e sposò la principessa. Medea chiamò a testimoni gli Dèi nel nome dei quali Giasone le aveva giurato fedeltà, e lo accusò di ingratitudine; poi inviò in dono alla sposa novella un peplo intriso di veleni: non appena la giovane l'ebbe indossato, subito morì consumata da un fuoco violento, e con lei il padre, che tentava di aiutarla. E i figli che aveva avuto da Giasone - Mermero e Ferete - Medea li uccise; poi salì sul carro di Elio, trainato da draghi alati, e fuggì ad Atene. Un'altra versione della leggenda sostiene invece che Medea, prima di fuggire, lasciò i suoi figli ancora bambini come supplici presso l'altare di Era Acrea: ma il popolo di Corinto li strappò di lì e li massacrò. Medea dunque giunse ad Atene, dove sposò Egeo e partorì il fglio Medo. Ma in seguito, avendo macchinato contro la vita di Teseo, fu bandita dalla città e andò in esilio insieme al figlio Medo. Questi assoggettò molte popolazioni barbare, e chiamò tutta quella regione con il suo nome, Media; poi morì combattendo contro gli Indi. Medea tornò di nascosto in Colchide, e scoprì che suo padre Eeta era stato spodestato dal fratello Perse; allora lo uccise e ristabilì suo padre sul trono.Libro IIFinora abbiamo parlato della discendenza di Deucalione. Ecco adesso quella di Inaco. Da Oceano e Teti nacque Inaco, che diede poi il suo nome al fiume che scorre presso Argo. Inaco sposò Melia, figlia di Oceano, ed ebbe due figli maschi, Foroneo ed Egialeo. Egialeo morì senza figli, e da lui deriva il nome dell'intera regione chiamata Egialia; Foroneo, invece, regnò sul territorio che in seguito venne chiamato Peloponneso, ed ebbe dalla Ninfa Teledice i figli Api e Niobe. Api trasformò in tirannide il suo potere, e diede alla regione del Peloponneso il nome di Apia; ma il suo governo era duro e violento, e presto Telsione Telchino cospirarono contro di lui e lo uccisero, prima che potesse lasciare eredi. In seguito fu venerato come Dio, sotto il nome di Serapide. Da Zeus e Niobe (prima donna mortale con cui il padre degli Dèi si unì) nacque il figlio Argo e, come sostiene Acusilao, anche Pelasgo: dal suo nome, gli abitanti del Peloponneso vennero chiamati Pelasgi. Esiodo invece afferma che Pelasgo nacque dalla terra stessa del Peloponneso: ma di lui si parlerà più avanti. Argo prese il potere e chiamò con il suo nome l'intero Peloponneso; sposò Evadne, figlia di Strimone e Neera, ed ebbe quattro maschi - Ecbaso, Pirante, Epidauro, e poi Criaso, che gli succedette sul trono. Ecbaso ebbe il figlio Agenore, e questi il figlio Argo, chiamato «onniveggente», perché aveva occhi su tutto il corpo. Aveva una forza straordinaria: fu lui a uccidere il toro che devastava l'Arcadia, e poi si vestì con la sua pelle. E anche il Satiro che recava gravi danni agli abitanti dell'Arcadia, rubando tutto il bestiame, fu Argo ad affrontarlo e a ucciderlo. Si dice che anche Echidna, la figlia di Tartaro e Gea - quella che rapiva i passanti -, fu uccisa nel sonno da Argo. E vendicò anche l'assassinio di Api, uccidendo i colpevoli. Da Argo e Ismene, figlia di Asopo, nacque Iaso, e da Iaso, si dice, nacque Io. Ma Castore, l'autore delle "Cronache", e anche numerosi tragici raccontano che il padre di Io era Inaco; mentre Esiodo e Acusilao la dicono figlia di Pireno. Pur essendo Io sacerdotessa di Era, Zeus la sedusse; ma Era lo scoprì, e allora il Dio toccò la fanciulla e la trasformò in una candida vacca, giurando alla sposa Era di non essere mai stato il suo amante: per questo, dice Esiodo, gli spergiuri d'amore non provocano l'ira divina. Ma Era chiese a Zeus di poter tenere per sé quella vacca, e le mise come guardiano Argo, l'onniveggente: figlio di Arestore, secondo Ferecide, o forse di Inaco, come sostiene Asclepiade, o forse ancora, come sostiene Cercope, figlio di Argo e Ismene, a sua volta

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figlia di Asopo. Acusilao, invece, afferma che Argo nacque da Gea. Egli legò la vacca a un ulivo nel bosco del territorio di Micene; ma Zeus ordinò a Ermes di rapirla. Ierace fece la spia, ed Ermes, non potendo ormai impadronirsi della vacca di nascosto, dovette uccidere Argo con una pietra: per questo il Dio venne chiamato Argifonte, cioè «uccisore di Argo». Allora la Dea Era mandò un tafano a tormentare la giovenca, e quella corse via, prima verso quel golfo che dopo il suo passaggio venne chiamato Ionio, poi, attraversata l'Illiria e superato il monte Emo, oltrepassò lo stretto che a quel tempo si chiamava Tracico, e dopo il suo passaggio Bosforo. Poi se ne andò verso la Scizia e la regione dei Cimmeri, e vagò per tante terre e tanti mari d'Europa e d'Asia; e finalmente raggiunse l'Egitto, dove ritrovò il suo aspetto di prima e partorì il figlio Epafo, sulle rive del fiume Nilo. Allora la Dea Era ordinò ai Cureti di farlo sparire: e quelli eseguirono il comando. Ma Zeus se ne accorse e li uccise; e Io si mise alla ricerca del figlio. Di nuovo vagò, per tutta la Siria, perché le avevano detto che suo figlio era là, allevato dalla sposa del re di Biblo; così ritrovò Epafo e ritornò in Egitto, dove sposò Telegono, il re degli Egizi. E innalzò una statua a Demetra, che gli Egizi chiamano Iside, e Io stessa venne chiamata Iside. Epafo ricevette il regno de1l'Egitto e sposò Menfi, figlia del Nilo - e in suo onore fondò la città di Menfi. Da lei ebbe la figlia Libia, che diede il nome alla terra chiamata appunto Libia. La fanciulla si unì a Poseidone e partorì due gemelli, Agenore e Belo. Agenore si trasferì in Fenicia e ne divenne il re: da lui nacque una grande stirpe - e ne parleremo in seguito. Belo invece restò in Egitto e ne assunse il governo; sposò Anchinoe, figlia del Nilo, ed ebbe da lei due gemelli, Egitto e Danao (secondo Euripide, nacquero da Belo anche altri due figli, Cefeo e Fineo). Belo insediò Danao in Libia, ed Egitto in Arabia; Egitto poi assoggettò il territorio dei Melanpodi, e lo chiamò Egitto dal proprio nome. Ebbe molte spose, e gli nacquero cinquanta figli maschi; Danao invece ebbe cinquanta figlie femmine. Tempo dopo, i due fratelli vennero a conflitto per il potere; Danao aveva timore dei figli di Egitto, e così, su consiglio di Atena, si costruì una nave (e fu il primo a farlo), imbarcò le sue figlie e fuggì. Passò da Rodi, e vi innalzò una statua ad Atena Lindia. Poi giunse ad Argo, dove il re Gelanore gli lasciò il trono. Ma quella terra era in preda alla siccità, perché Poseidone aveva fatto seccare tutte le sorgenti, irato contro Inaco, il quale aveva testimoniato che l'intera regione era possesso di Era. Danao mandò le sue figlie a cercare acqua. Una di esse, Amimone, durante la sua ricerca diede la caccia a un cervo e lo colpì; ma in questo modo svegliò dal sonno un Satiro, e subito quello si alzò e cercò di farle violenza: ma apparve Poseidone, il Satiro fuggì, Amimone si unì a Poseidone stesso, e il Dio le rivelò dove trovare le sorgenti presso Lerna. I figli di Egitto arrivarono anch'essi ad Argo, e chiesero a Danao di deporre l'antica ostilità, e di dar loro in matrimonio le sue figlie. Ma Danao diffidava delle loro offerte, e dentro il suo animo portava ancora il rancore per l'esilio subito; comunque accettò di dare le sue figlie, e ne assegnò una per ognuno di essi. Ipermnestra, la maggiore, andò a Linceo, e Gorgofone a Proteo: i due giovani, infatti, erano nati dall'unione di Egitto con una donna di stirpe regale, Argifia; Busiride, Encelado, Lico e Daifrone ebbero le figlie che Danao aveva avuto da Europe, Automate, Amimone, Agave e Scea: la loro madre, quindi, era di stirpe regale, mentre Gorgofone e Ipermnestra erano nate da Elefantide. Istro ebbe Ippodamia; Calcodonte ebbe Rodia; Agenore ebbe Cleopatra; Ceto ebbe Asteria; Diocoriste ebbe Ippodamia; Alce ebbe Glauce; Alcmenore ebbe Ippomedusa; Ippotoo ebbe Gorge; Euchenore ebbe Iflmedusa; Ippolito ebbe Rode. Questi dieci giovani erano figli di una donna araba; le dieci fanciulle invece erano nate dalle Ninfe Amadriadi, alcune da Adantia, altre da Febe. Agattolemo ebbe Pirene; Cercete ebbe Dorio; Euridamante ebbe Farti; Egio ebbe Mnestra; Argio ebbe Evippe; Archelao ebbe Anassibia; Menemaco ebbe Nelo. Questi sette giovani erano figli di una donna fenicia, mentre le sette fanciulle erano nate da una Etiope. Ai giovani nati da Egitto e Tiria furono assegnate le figlie di Danao e Menfi, senza una scelta precisa ma soltanto in base alla somiglianza dei loro nomi. Così, Clito ebbe Clite; Stenelo ebbe Stenele; Crisippo ebbe Crisippe. Ai dodici figli di Egitto e della Ninfa Naiade Caliadne furono assegnate le figlie di Danao e della Ninfa Naiade Polisso: i giovani si chiamavano Euriloco, Fante, Peristene, Ermo, Dria, Potamone, Cisseo, Lisso, Imbro, Bromio, Polittore, Ctonio - e le ragazze erano Autonoe, Teano, Elettra, Cleopatra, Euridice, Glaucippe, Antelia, Cleodore, Evippe, Erato, Stigne e Brice. Ai figli di Egitto e Gorgo spettarono le figlie di Danao e Pieria: così, Perifante ebbe Attea, Eneo ebbe Podarce, Egitto ebbe Diossippe, Menalce ebbe Adite, Lampo ebbe Ocipete, Idmone ebbe Pilarge. I più giovani, poi, si sposarono fra loro: Ida ebbe Ippodice, Daifrone ebbe Adiante (entrambe le fanciulle erano nate da Erse), Pandione ebbe Callidice, Arbelo ebbe Eme, Iperbio ebbe Celano, Ippocoriste ebbe Iperippe (la madre di questi giovani era Efestine, quella delle ragazze era Crino). Dopo che le coppie furono così decise, durante il banchetto di nozze Danao diede a ciascuna delle sue figlie un pugnale. E quando esse andarono a dormire insieme agli sposi, li uccisero tutti. Solo Ipermnestra risparmiò Linceo, perché aveva lasciato intatta la sua verginità: ma per questo Danao la fece incatenare e rinchiudere. Le altre figlie seppellirono la testa mozzata degli sposi a Lerna, e i corpi ricevettero gli onori funebri davanti alla città; Atena ed Ermes, poi, per ordine di Zeus, purificarono le fanciulle. Tempo dopo, Danao lasciò che Linceo e Ipermnestra vivessero insieme; e le altre figlie vennero date in sposa ai vincitori di una gara adetica. Amimone ebbe da Poseidone il figlio Nauplio, che visse a lungo e fu un grande navigatore: ma aveva l'abitudine di ingannare con false segnalazioni di luce i naviganti che lo incrociavano, portandoli a morte - la stessa triste morte, però, che poi toccò anche a lui. Sua sposa fu Climene, figlia di Catreo, secondo i tragici; l'autore de "I Ritorni", invece, sostiene che era Filira, e Cercope che era Esione. Comunque sia, i suoi figli furono Palamede, Eace e Nausimedonte. Linceo succedette a Danao sul trono di Argo, ed ebbe da Ipermnestra il figlio Abante. Questi si sposò con Aglaia, figlia di Mantineo, ed ebbe i gemelli Acrisio e Preto. I due bambini cominciarono a litigare fra di loro ancora nel ventre della madre, e poi, quando diventarono grandi, si fecero guerra per il potere: furono proprio loro a inventare per primi lo scudo. Acrisio ebbe la meglio, e scacciò Preto da Argo. Questi allora andò in Licia, presso il re Iobate, o forse Anfianatte, come sostengono alcuni; e sposò sua figlia, che Omero chiama Antia e i tragici, invece, Stenebea. Il re suo

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suocero gli diede un esercito di Lici per riconquistare il potere, e Preto poté occupare Tirinto, che i Ciclopi fortificarono per lui. I due fratelli si divisero dunque il territorio dell'Argolide: Acrisio tenne il trono di Argo, mentre Preto regnò su Tirinto. Dalla sposa Euridice, figlia di Lacedemone, Acrisio ebbe la figlia Danae; Preto invece ebbe le figlie Lisippe, Ifinoe e Ifianassa dalla sposa Stenebea. Quando furono grandi, queste tre fanciulle impazzirono, dice Esiodo, perché avevano rifiutato i riti di Dioniso; Acusilao, invece, dice che questo avvenne perché avevano disprezzato la statua di Era. Nella loro follia, le tre sorelle vagarono per tutta la regione argiva, poi attraversarono l'Arcadia e continuarono la loro folle corsa per terre desolate, in preda al più totale abbrutimento. Melampo, figlio di Amitaone e Idomene (figlia a sua volta di Abante), che era un profeta e che per primo scoprì come curare le malattie con farmaci e purificazioni, si offrì di guarire le fanciulle in cambio di un terzo del regno. Ma Preto rifiutò di farle curare per un compenso così alto, e la pazzia delle sue figlie divenne ancora più grave, e con loro impazzirono anche tutte le altre donne: abbandonavano le case, uccidevano i loro stessi figli, vagavano per luoghi deserti. Ormai la situazione era del tutto degenerata, e così Preto accettò di pagare il prezzo richiesto: ma Melampo a questo punto chiese per il suo intervento che anche suo fratello Biante ottenesse una parte uguale di territorio. Preto, nel timore che un'ulteriore dilazione della cura comportasse la richiesta di un compenso ancora più alto, si accordò con Melampo. Ed ecco come avvenne la guarigione. Il profeta chiamò un gruppo di giovani davvero nobili e fidati, e con loro si mise a inseguire e a portar giù le donne dai monti fino a Sicione, con grida e danze magiche. Durante questo inseguimento, la maggiore delle sorelle, Ifinoe, morì: ma le altre vennero purificate e ritrovarono la ragione. Preto le diede in matrimonio a Melampo e Biante; e tempo dopo generò il figlio Megapente. Bellerofonte, il figlio di Glauco (a sua volta figlio di Sisifo), aveva ucciso per sbaglio il fratello Deliade - o Pirene, o forse ancora Alcimene, secondo tradizioni diverse; così era giunto alla corte di Preto per farsi purificare. Ma Stenebea si innamorò di lui, e gli inviò dei messaggi per chiedergli un incontro. Il giovane rifiutò; allora ladon- na andò a dire a Preto che Bellerofonte aveva cercato di sedurla con proposte oscene. li marito le credette, e affidò a Bellerofonte una lettera da portare a Iobate, nella quale stava scritto di uccidere il gio- vane. Iobate lesse la missiva di Preto, e ordinò a Bellerofonte di andare a uccidere la Chimera, con l'idea che certamente il mostro l'avrebbe annientato. Neppure attaccandola in massa era possibile sconfiggerla: figurarsi un uomo solo. Aveva il corpo di un leone, la coda di un drago, e tre teste - e quella di mezzo, un muso di capra, spirava fuoco. Il mostro devastava l'intera regione, e distruggeva il bestiame, perché riuniva in un solo essere la forza di tre belve. Si dice che fosse stata allevata da Amisodaro (lo testimonia Omero), e Esiodo racconta che era figlia di Tifeo ed Echidna. Bellerofonte saltò in groppa a Pegaso, il cavallo alato figlio di Medusa e Poseidone, salì in cielo e dall'alto riuscì a trafiggere la Chimera con le sue frecce. Compiuta questa impresa, Iobate gli ordinò di andare a combattere contro i Solimi: e Bellerofonte riuscì anche in questa prova; e di nuovo Iobate gli ordinò di combattere contro le Amazzoni: ma il giovane uccise anche quelle. Allora Iobate ordinò ad alcuni suoi uomini, scelti fra tutti i Lici per il loro coraggio, di tendergli un'imboscata e assassinarlo. Bellerofonte li uccise tutti, e finalmente Iobate, stupito dalla forza del giovane, gli fece vedere la lettera di Preto e gli chiese di restare presso di lui: gli diede in sposa sua figlia Filonoe, e quando morì gli lasciò il regno. Acrisio intanto aveva domandato all'oracolo del Dio come poter avere figli maschi. E il Dio gli rispose che avrebbe avuto un nipote da sua figlia, ma che questi l'avrebbe ucciso. Temendo che ciò si avverasse, Acrisio chiuse Danae in una stanza sotterranea, tutta di bronzo. Ma la fanciulla fu sedotta da Preto, secondo una versione della storia, e questo fece scoppiare la discordia fra Preto e Acrisio. Secondo un'altra versione, invece, Zeus si trasformò in pioggia d'oro, e attraverso il tetto scivolò nel seno di Danae. Quando Acrisio venne a sapere che alla figlia era nato il piccolo Perseo, non volle credere che fosse di Zeus, chiuse Danae e il nipote in un'arca e la gettò in mare. L'arca, sospinta dalle onde, arrivò a Serifo, e Ditti prese il bambino e lo allevò. Il re di Serifo era Polidette, fratello di Ditti. Egli s'innamorò di Danae, ma non poteva avvicinarsi a lei, perché ormai Perseo si era fatto uomo. Allora chiamò tutti i suoi amici, fra cui Perseo, con la scusa di voler fare una colletta per la dote di nozze di Ippodamia, figlia di Enomao. E Perseo disse che non avrebbe rifiutato neanche la testa della Gorgone. Polidette, quindi, a tutti gli altri chiese di dare un cavallo, e a Perseo invece ordinò di portargli la testa della Gorgone. Allora Perseo, con la guida di Ermes e di Atena, andò dalle figlie di Forco e Ceto: Enio, Pefredo e Deino. Esse erano sorelle della Gorgone, e vecchie fin dalla nascita: in tre avevano un occhio solo e un solo dente, e se li passavano a turno. Perseo li afferrò, e disse che li avrebbe restituiti solo se gli avessero rivelato la strada per arrivare dalle Ninfe. Queste Ninfe possedevano i sandali alati e la borsa magica. Così dicono di Perseo Pindaro ed Esiodo ne "Lo Scudo di Eracle": "La sua schiena tutta scompariva dietro la testa dell'orrendo mostro, la Gorgone; e un sacco l'avviluppava tutta." Questo sacco si chiama kibisis perché dentro ci possono stare cibi e vestiti. Queste Ninfe avevano anche l'elmo di Ade. Le Forcidi gli indicarono la via, Perseo restituì l'occhio e il dente, e andò dalle Ninfe che stava cercando. Mise la borsa a tracolla, si legò i sandali, e si mise in testa l'elmo, che aveva il potere di rendere invisibile chi lo portava. Da Ermes Perseo ricevette la falce d'acciaio; poi volò fino all'Oceano, e trovò le Gorgoni addormentate. Erano tre: Steno, Euriale e Medusa. Solo Medusa era mortale: quindi Perseo doveva prendere la testa di quest'ultima. Le Gorgoni, al posto dei capelli, avevano serpenti attorcigliati, irti di squame; e avevano enormi zanne di cinghiale, e mani di bronzo e ali d'oro, con le quali potevano volare. E chiunque le guardasse veniva trasformato in pietra. Perseo dunque le assalì mentre dormivano. Atena guidava la sua mano: tenendo la testa girata, e guardando l'immagine di Medusa riflessa nello scudo di bronzo, le tagliò la testa. E dal collo mozzato saltò fuori Pegaso, il cavallo alato, e Crisaore, il padre di Gerione, che Medusa aveva generato con Poseidone. Perseo ficcò la testa della Gorgone nella sacca, e prese la via del ritorno: le altre Gorgoni si svegliarono e lo inseguirono, ma non riuscirono a vederlo, per l'azione magica dell'elmo che lo rendeva invisibile. Perseo arrivò in Etiopia, dove regnava

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Cefeo, e scoprì che Andromeda, la figlia del re, era stata esposta come preda di un mostro marino. Infatti Cassiepea, la sposa di Cefeo, aveva osato sfidare le Nereidi a una gara di bellezza, vantandosi di essere la più bella di tutte: le Nereidi si erano offese, Poseidone si infuriò, e mandò un'inondazione a devastare tutto il territorio, e anche il mostro marino. Amon allora aveva dato un responso: l'unico modo per far cessare quel flagello era di offrire in pasto al mostro Andromeda, la figlia di Cassiepea. Cefeo, costretto dai suoi sudditi etiopi, obbedì, e incatenò la fanciulla a uno scoglio. Quando Perseo la vide, subito se ne innamorò, e promise a Cefeo di uccidere il mostro e salvare Andromeda, a patto di averla in sposa. L'accordo fu sancito con un giuramento, Perseo attaccò dall'alto il mostro marino, lo uccise e liberò la fanciulla. Ma Fineo, fratello di Cefeo, al quale Andromeda era stata promessa, tramò contro Perseo; scoperta l'insidia, l'eroe espose la testa della Gorgone davanti a lui e agli altri cospiratori, e all'istante furono trasformati in pietra. Tornato a Serifo, Perseo trovò che la madre si era rifugiata presso gli altari, insieme a Ditti, per sfuggire alla violenza di Polidette. Subito l'eroe si recò dal re ed entrò nella reggia, dove Polidette aveva invitato tutti i suoi amici: tirò fuori la testa della Gorgone e gliela fece vedere, e improvvisamente, a quella vista, tutti si trasformarono in pietra, nella stessa posa che ciascuno aveva in quel momento. Perseo diede a Ditti il trono di Serifo; poi affidò i sandali alati, la borsa e l'elmo a Ermes, e la testa della Gorgone ad Atena. Ermes restituì questi oggetti alle Ninfe, mentre Atena fissò la testa della Gorgone al centro del suo scudo. C'è anche chi racconta che fu Atena a decapitare la Medusa, perché la Gorgone aveva osato fare a gara con la Dea per la bellezza. Insieme a Danae e ad Andromeda, Perseo si diresse ad Argo, per incontrare Acrisio. Quando questi lo venne a sapere - ancora preoccupato per l'antica profezia - lasciò Argo e partì per il territorio dei Pelasgi. Teutamide, il re di Larissa, aveva organizzato delle gare atletiche in onore di suo padre morto, e Perseo volle prendere parte ai giochi. Nella gara di pentathlon, il suo disco colpì Acrisio a un piede e lo uccise all'istante. Così la profezia si era compiuta: e Perseo seppellì Acrisio fuori dalla città. Poi, vergognandosi di tornare ad Argo per ottenere la successione al trono del re che era morto per colpa sua, andò a Tirinto, dove regnava Megapente, figlio di Preto, e scambiò il trono di Argo con il suo. Così Megapente regnò su Argo, e Perseo su Tirinto, e fortificò anche Micene e Midea. Egli ebbe dei figli da Andromeda; prima della sua partenza per l'Ellade gli era nato Perse, che rimase a vivere con Cefeo (da lui discende, si dice, la dinastia persiana); a Micene invece nacquero Alceo, Stenelo, Eleo, Mestore, Elettrione, e la figlia Gorgofone, che andò sposa a Periere. Alceo ebbe il figlio Anfitrione e la figlia Anasso da Astidamia, figlia di Pelope (ma altre tradizioni sostengono che la sua sposa fu Laonome, figlia di Guneo, o Ipponome, figlia di Meneceo). Mestore sposò Lisidice, figlia di Pelope, e gli nacque la figlia Ippotoe. La fanciulla fu rapita da Poseidone e portata nelle isole Echinadi, dove le nacque il figlio Tafio: egli colonizzò Tafo e chiamò Teleboi il suo popolo, perché era andato lontano (teloù ebe) dalla patria. Da Tafio nacque Pterelao, che Poseidone rese immortale innestandogli un capello d'oro in testa. Da Pterelao nacquero Cromio, Tiranno, Antioco, Chersidamante, Mestore ed Evere. Elettrione sposò Anasso, la figlia di Alceo, e da lei ebbe la figlia Alcmena, e i maschi Stratobate, Gorgofono, Filonomo, Celeneo, Anfimaco, Lisinomo, Chirimaco, Anattore e Archelao; da Midea, una donna della Frigia, ebbe anche un figlio bastardo, Licimnio. Dalla sposa Nicippe, figlia di Pelope, Stenelo ebbe due femmine, Alcione e Medusa, e più tardi anche un maschio, Euristeo, che divenne re di Micene. Quando Eracle stava ormai per nascere, infatti, Zeus aveva annunciato di fronte a tutti gli Dèi che il bambino della stirpe di Perseo nato in quel momento avrebbe avuto il trono di Micene; allora la Dea Era, per gelosia, convinse Ilizia a ritardare il parto di Alcmena, e fece in modo che Euristeo, il figlio di Stenelo, nascesse subito, per quanto ancora settimino. Quando a Micene era re Elettrione, i figli di Pterelao, con l'aiuto di Tafo, vennero a reclamare il regno di Mestore, loro nonno da parte di madre; Elettrione rifiutò le loro ragioni, e i figli di Pterelao allora gli portarono via le mandrie di buoi: i figli di Elettrione corsero a difenderle, e nella sfida che ne seguì si uccisero tutti l'un l'altro. Dei figli di Elettrione sopravvisse solo Licimnio, perché era ancora un bambino; e dei figli di Pterelao si salvò solo Evere, che era rimasto a guardare le navi. I Tafii che riuscirono a scappare si imbarcarono portando con sé il bestiame rubato, e lo affidarono a Polisseno, re degli Elei; Anfitrione poi lo riscattò e lo riportò a Micene. Elettrione intanto meditava vendetta per l'assassinio dei figli; così, affidò ad Anfitrione la reggenza del trono e anche la figlia Alcmena (dopo avergli fatto giurare di conservarla vergine fino al suo ritorno), e si dispose a far guerra contro i Teleboi. Ma nel momento di ricevere indietro il bestiame rubato, improvvisamente una vacca lo caricò, e Anfitrione le scagliò contro il bastone che aveva in mano: il bastone batté contro le corna dell'animale, rimbalzò, colpì Elettrione alla testa e lo uccise. Forte di tale pretesto, Stenelo bandì Anfitrione dall'intero territorio di Argo, e assunse egli stesso il potere su Micene e Tirinto; poi fece chiamare Atreo e Tieste, i figli di Pelope, e affidò a loro il trono di Midea. Anfitrione, insieme ad Alcmena e a Licimnio, riparò a Tebe, dove fu purificato dal re Creonte; e diede in sposa a Licimnio sua sorella Perimede. Alcmena pose una condizione alle sue nozze con Anfitrione: egli avrebbe dovuto vendicare la morte dei suoi fratelli. Anfitrione lo giurò, e andò a combattere contro i Teleboi, chiedendo aiuto a Creonte. Il re acconsentì, a patto che prima Anfitrione liberasse la Cadmea dalla tremenda volpe che la devastva. Anfltrlone diede la sua parola; e tuttavia era fissato dal Destino che nessuno potesse prendere quella bestia, che razziava per tutta la regione, e alla quale ogni mese i Tebani stessi offrivano come preda un bambino, uno dei loro figli, perché non ne divorasse molti di più. Anfitrione allora andò ad Atene, per chiedere aiuto a Cefalo, figlio di Deioneo; e lo convinse, in cambio di una parte del bottino sottratto ai Teleboi, a lanciare contro la volpe il suo cane, quello che Procri aveva portato da Creta come dono di Minosse: era un cane fatato, e qualunque cosa inseguisse, la prendeva. Così, il cane si mise a inseguire la volpe, e Zeus li trasformò entrambi in pietre. Anfitrione dunque partì con i suoi alleati - Cefalo da Torico, in Attica; Panopeo dalla Focide; Eleo, figlio di Perseo, da Elo, in Argolide; Creonte da Tebe - e mise a ferro e fuoco le isole dei Tafii. Finche fu in vita Pterelao, Anfitrione non riuscì a prendere Tafo; ma la figlia di Pterelao, Cometo, si innamorò di lui, e per amor suo strappò il capello d'oro che il padre aveva in testa; in

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questo modo Pterelao morì, e Anfitrione s'impadronì di tutte le isole. Poi uccise Cometo e ritornò a Tebe con il bottino, dopo aver donato le isole a Eleo e Cefalo. Essi fondarono le città che portano il loro nome, e vi abitarono. Prima che Anfitrione rientrasse in Tebe, Zeus arrivò, di notte, e fece in modo che quella notte durasse per tre; poi assunse le sembianze di Anfitrione, si sdraiò nel letto con Alcmena, e le raccontò delle sue vittorie nella guerra contro i Teleboi. Quando poi Anfitrione arrivò e vide che la sposa non festeggiava il suo ritorno, gliene chiese il motivo: e Alcmena rispose che aveva già festeggiato il suo ritorno la sera prima, dormendo insieme a lui. Allora Anfitrione andò dall'indovino Tiresia, e questi gli rivelò che Zeus stesso si era unito a sua moglie. Alcmena partorì due bambini, da Zeus Eracle, maggiore di una notte, e da Anfitrione Ificle. Quando il bambino aveva otto mesi, Era inviò alla sua culla due serpenti spaventosi, perché voleva farlo morire. Alcmena gridò, chiamò Anfitrione in soccorso, ma Eracle si era già alzato, aveva già ucciso i serpenti, strangolati, uno per mano. Ferecide sostiene invece che Anfitrione, per sapere quale dei due bambini fosse figlio suo, gettò dei serpenti nel letto: Ificle scappò, Eracle invece li affrontò - e Anfitrione capi che suo figlio era Ificle. Anfitrione insegnò a Eracle l'arte di guidare il carro, Autolico gli insegnò il pugilato, Eurito gli insegnò a usare arco e frecce, Castore a usare la spada, Lino a suonare la cetra. Lino era fratello di Orfeo; giunto a Tebe, era diventato cittadino tebano, ma un giorno Eracle gli tirò addosso la cetra e lo uccise, preso dalla rabbia per una punizione a cui il maestro l'aveva sottoposto. Processato per assassinio, Eracle citò la legge di Radamanto, in base alla quale chi si fosse difeso con la forza da un aggressore era da considerarsi innocente: e così fu prosciolto dall'accusa. Ma Anfitrione, nel timore che Eracle potesse compiere altre azioni di questo tipo, lo mandò nei suoi pascoli, a guardare il bestiame. E qui il ragazzo crebbe di forza e statura, più di tutti gli altri. li suo aspetto rivelava chiaramente che era figlio di Zeus: era grande quattro cubiti, e negli occhi gli brillava il fulgore del fuoco. E non mancava mai il bersaglio, ne con l' arco né con la lancia. Giunto così, sempre a guardia delle mandrie, ai suoi diciott'anni, Eracle uccise il leone che viveva sul monte Citerone, e che dalla sua tana si spingeva fino ai pascoli, facendo strage del bestiame di Anfitrione e i Tespio, il re di Tespie. Eracle, presa la decisione di uccidere questo leone, andò da Tespio, e il re lo ospitò per cinquanta giorni. E ogni notte, prima che il giovane partisse per la caccia, lo faceva dormire insieme a una delle sue figlie (Tespio infatti aveva avuto cinquanta figlie dalla sposa Megamede, figlia di Arneo), perché voleva a tutti i costi che ciascuna di esse concepisse un figlio da Eracle. Il giovane pensava che la fanciulla con cui dormiva fosse sempre la stessa, e invece si unì a tutte le cinquanta sorelle. Così Eracle uccise il leone e indossò la sua pelle, e le fauci spalancate della belva gli facevano da elmo. Di ritorno dalla caccia al leone, Eracle incontrò gli araldi inviati da Ergino per raccogliere il tributo dei Tebani. Ecco l'origine di questa imposta che i Tebani dovevano pagare a Ergino. Un giorno, nel sacro recinto di Poseidone a Onchesto, l'auriga di Meneceo, di nome Periere, aveva lanciato una pietra contro Climeno, il re dei Minii, ferendolo gravemente; trasportato a Orcomeno ormai in fin di vita, prima di morire Climeno fece giurare al figlio Ergino di vendicare il suo assassinio. Allora Ergino fece guerra contro Tebe, uccise molti Tebani, e impose loro un trattato solenne, in base al quale essi avrebbero dovuto pagargli un tributo per vent'anni, consistente in cento capi di bestiame ogni anno. Eracle dunque incontrò gli inviati di Ergino, che venivano a Tebe per riscuotere l'imposta, li assalì e li mutilò, tagliandogli via le orecchie e il naso e le mani, che poi legò loro al collo con una corda, dicendo: «Ecco il tributo che porterete a Ergino e ai Minii!» Il re Ergino non tollerò questo oltraggio, e marciò contro Tebe. Eracle, con le armi ricevute dalla Dea Atena, prese il comando, uccise Ergino, volse in fuga i Minii, e impose loro di pagare ai Tebani un tributo doppio. Durante la battaglia, Anfitrione, che pur aveva combattuto coraggiosamente, venne ucciso. Ed Eracle, come premio del suo valore, ricevette in sposa la figlia maggiore di Creonte, Megara, dalla quale ebbe tre figli, Terimaco, Creontiade e Deicoo. La figlia minore di Creonte invece andò in sposa a Ificle, che già aveva avuto il figlio Iolao da Automedusa, figlia di Alcato. Alcmena, rimasta vedova di Anfitrione, sposò Radamanto, figlio di Zeus, che si era stabilito in esilio a Ocalea in Beozia. Dopo aver appreso da lui l'arte di tirare con l'arco, Eracle ricevette da Ermes la spada, da Apollo l'arco, da Efesto la corazza d'oro, da Atena la veste; la clava invece se la procurò da sé, a Nemea. Dopo la vittoria sui Minii, avvenne che Era, per rancore, lo fece diventare pazzo: tanto che arrivò a uccidere i figli avuti da Megara, più due figli di Ificle, gettandoli nel fuoco. Allora si condannò da sé all'esilio, venne purificato da Tespio, e poi si recò a Delfi, per chiedere al Dio dove poter andare. Fu in quell'occasione che la Pizia per la prima volta si rivolse a lui chiamandolo Eracle - perché prima il suo nome era Alcide; egli disse di stabilirsi a Tirinto, e di servire Euristeo per dodici anni, e di compiere le dieci imprese che gli sarebbero state imposte: quando le avesse terminate - gli disse - avrebbe ottenuto l'immortalità.Saputo questo, Eracle andò a Tirinto, e compì quanto Euristeo gli ordinò. Come primo compito gli fu imposto di riportare la pelle del Leone Nemeo, una belva invulnerabile, nata da Tifeo. E dunque Eracle partì per affrontare il leone e giunse a Cleone, dove fu ospitato da un bracciante, Molorco. Questi stava per offrire in quel giorno una vittima in sacrificio, ma Eracle gli disse di aspettare trenta giorni: se fosse tornato sano e salvo dalla caccia, avrebbe sacrificato a Zeus Salvatore, e se invece fosse morto, Molorco avrebbe dovuto offrire il sacrificio a Eracle stesso, come eroe. Arrivato a Nemea, Eracle seguì le tracce del leone e cominciò a colpirlo con le sue frecce; ma capì subito che era invulnerabile: così si mise in spalla la clava, e gli andò dietro. Il leone si rifugiò in una grotta con due ingressi: Eracle ne chiuse uno ed entrò dall'altro, si avvicinò alla bestia, la prese al collo e la immobilizzò, e le strinse la gola fino a che morì soffocata - poi si mise il leone in spalla e tornò a Cleone. Qui incontrò Molorco che ormai, essendo l'ultimo giorno, stava per compiere il sacrificio in onore di Eracle morto: così, insieme a lui, sacrificò invece a Zeus Salvatore, e poi portò il leone a Micene. Euristeo, atterrito dalla forza dell'eroe, gli vietò per il futuro l'ingresso in città: i risultati delle sue imprese avrebbero dovuto essere esposti davanti alle porte. Si dice anche che Euristeo, per il terrore, si era nascosto in una giara di bronzo da lui fatta preparare sotto terra: e i suoi ordini per le altre fatiche di Eracle li diede da lì,

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per voce dell'araldo Copreo, figlio di Pelope l'Eleo. Questo Copreo aveva ucciso Ifito: giunto esule a Micene, era stato purificato da Euristeo, e si era stabilito in città. La seconda fatica fu di uccidere l'Idra di Lerna. Questo mostro viveva nella palude di Lerna, ma spesso si inoltrava nella pianura e devastava il bestiame e la campagna. Aveva un corpo enorme, con nove teste: otto di esse erano mortali, ma quella di mezzo era immortale. Eracle salì sul carro, guidato da Iolao, e arrivò a Lerna, fermò i cavalli, e trovò l'idra su un colle vicino alla sorgente Amimone, dove aveva la sua tana. Allora vi gettò dentro delle frecce infuocate, e costrinse l'idra a venir fuori: appena uscì, le saltò addosso e la bloccò. Ma quella subito gli si attorcigliò intorno a una gamba e lo avvinghiò. Eracle allora cominciò a stroncare le sue teste con la clava, ma non concludeva niente, perché a ogni testa mozzata due nuove ne spuntavano. E in aiuto dell'idra giunse anche un granchio di spaventosa grandezza, che morsicò il piede di Eracle. Dopo averlo ucciso, anche l'eroe allora chiamò in aiuto Iolao: e questi diede fuoco alla macchia lì vicino, e con i tizzoni ardenti impediva alle nuove teste di spuntare bruciando la carne alla base delle teste mozzate. In questo modo riuscì ad avere il sopravvento sulle nuove teste, e a mozzare finalmente anche quella immortale: poi la seppellì e ci mise sopra una pesante pietra, presso la strada che da Lerna porta a Eleunte. Il corpo dell'idra, invece, lo fece a pezzi, e intinse le sue frecce nel fiele della bestia. Ma Euristeo disse poi che non si poteva tener conto di questa fatica, perché aveva ucciso l'idra con l'aiuto di Iolao, e non da solo. Come terza fatica gli fu comandato di portare viva a Micene la cerva di Cerinea. In quel tempo la cerva era a Enoe: era una cerva dalle corna d'oro, sacra ad Artemide. Dato che non voleva ferirla né tanto meno ucciderla, Eracle la inseguì per un anno intero. Alla fine la cerva, affaticata dall'inseguimento, si rifugiò sul monte chiamato Artemisio, e lì, proprio mentre stava per attraversare il fiume Ladone, Eracle la colpì, se la caricò sulle spalle e velocemente s'inoltrò nell'Arcadia. Ma lo incontrò Artemide, insieme ad Apollo: gli strappò dalle spalle la cerva e lo accusò di aver voluto uccidere un animale a lei sacro. Eracle si scusò sostenendo che era necessario, e disse che il colpevole era Euristeo: così l'ira della Dea si raddolcì, e l'eroe poté portare la cerva ancora viva a Micene. Come quarta fatica gli fu comandato di riportare ancora vivo il cinghiale di Erimanto, una bestia che devastava Psofi, irrompendo dalla montagna chiamata Erimanto. Nell'attraversare Foloe, Eracle incontrò il centauro Folo, figlio di Sileno e di una Ninfa Melia. Folo offrì a Eracle carne arrostita, mentre lui la mangiava cruda. Quando poi Eracle chiese del vino, disse che non aveva il coraggio di aprire la giara, che apparteneva in comune a tutti i Centauri. Ma Eracle lo incoraggiò e aprì la giara. Poco dopo, avendo sentito il profumo del vino, arrivarono alla caverna di Folo anche gli altri Centauri, armati di pietre e di bastoni. I primi che osarono precipitarsi dentro furono Anchio e Agrio, ma Eracle li respinse scagliando contro di loro dei tizzoni ardenti; gli altri invece li bersagliò di frecce, e li inseguì fino a Malea. Qui essi si rifugiarono presso Chirone, che i Lapiti avevano cacciato dal monte Pelio e che ora abitava vicino a Malea. I Centauri si rannicchiarono dietro di lui, ed Eracle mirò contro di loro, ma una freccia trapassò il braccio di Elato e si conficcò nel ginocchio di Chirone. Addolorato, Eracle accorse da Chirone, gli estrasse la freccia e applicò sulla ferita la medicina datagli da Chirone stesso. Ma la ferita era incurabile, e Chirone si ritirò nella sua grotta: e qui desiderava la morte, ma morire non poteva, perché la sua natura era immortale. Allora Prometeo chiese a Zeus di poter diventare immortale al posto di Chirone, e così questi poté morire. I Centauri superstiti fuggirono in direzioni diverse: alcuni giunsero al monte Malea, Eurizione a Foloe, e Nesso al fiume Eveno. Altri invece furono accolti a Eleusi da Poseidone, che li nascose nella montagna. Folo intanto aveva estratto da un cadavere una delle frecce di Eracle, e si stupì che una cosa così piccola avesse potuto uccidere delle creature così grandi: ma la freccia gli sfuggì di mano, lo ferì a un piede e lo uccise all'istante. Tornato a Foloe, Eracle vide Folo ormai morto: lo seppellì, e poi riprese la caccia al cinghiale. Con le sue grida lo stanò dalla macchia, lo spinse, ormai sfinito, nella neve alta, lo legò e lo portò a Micene. Come quinta fatica gli fu ordinato di ripulire dal letame in un sol giorno tutte le stalle di Augia. Augia era il re di Elide - figlio di Elio, secondo alcuni, o di Poseidone, secondo altri, oppure, secondo altri ancora, di Forbante; e possedeva moltissime mandrie di bestiame. Eracle andò da lui, e senza rivelargli il comando di Euristeo, gli disse che in un sol giorno avrebbe ripulito tutto il letame, se Augia gli avesse dato la decima parte del bestiame. E il re, ritenendo impossibile l'impresa, gli diede la sua parola. Eracle chiamò a testimone Fileo, il figlio di Augia; poi aprì una breccia nel recinto delle stalle, deviò il corso dei due fiumi vicini, l'Alfeo e il Peneo, e incanalò la loro acqua entro il recinto delle stalle, dopo aver aperto un'altra breccia perché potesse poi defluire. Allora rivelò ad Augia di aver compiuto questa impresa per ordine di Euristeo, e il re rifiutò di dargli il compenso pattuito, negando addirittura di averglielo mai promesso, e disse che era pronto anche ad andare in giudizio. Di fronte all'assemblea dei giudici, Eracle chiamò Fileo a testimoniare contro suo padre, e il giovane confermò che il compenso gli era dovuto. Augia, infuriato, prima ancora che la sentenza fosse emessa, ordinò a Eracle e a Fileo di andar via dall'Elide. Fileo allora andò a Dulichio evi si insediò, mentre Eracle si recò a Oleno, presso il re Dessameno. E lo trovò sul punto di dare forzatamente in sposa sua figlia Mnesimache al centauro Eurizione: allora il re chiamò Eracle in aiuto, e l'eroe uccise Eurizione mentre si recava dalla sposa. In seguito Euristeo rifiutò di tener conto anche di questa prova, sostenendo che l'aveva compiuta per denaro. Come sesta fatica gli fu ordinato di cacciare gli Uccelli Stinfalidi. Presso la città di Stinfalo, in Arcadia, c'era una palude, chiamata Stinfalia, circondata da una fitta foresta. In questo luogo si erano rifugiati infiniti uccelli, per il terrore dei lupi. Eracle si trovava nell'impossibilità di farli alzare dalla selva: e allora Atena gli diede delle nacchere di bronzo che aveva ricevuto da Efesto. L'eroe salì su un colle sovrastante la palude, e le fece battere: gli uccelli, spaventati, non sopportarono il terribile rombo, e si alzarono in volo. In questo modo Eracle poté finalmente colpirli con le sue frecce. Come settima fatica gli fu ordinato di catturare il Toro di Creta. Acusilao sostiene che si trattava del toro inviato da Zeus per traghettare Europa; altri invece dicono fosse quello che Poseidone mandò su dal mare quando Minosse promise di sacrificare al Dio ciò che dal mare appunto fosse apparso. Secondo la leggenda, però, quando Minosse vide la bellezza di quel toro, lo chiuse nelle sue stalle, e a

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Poseidone ne sacrificò un altro; e il Dio, infuriato, lo fece diventare selvaggio. Eracle, dunque, giunse a Creta per questo toro; chiese aiuto a Minosse, ma il re gli rispose che doveva affrontarlo e catturarlo da solo. Eracle lo catturò e lo portò a Euristeo, ma questi poi lo lasciò di nuovo libero. Il toro andò vagando verso Sparta, e poi in tutta l'Arcadia, attraversò l'istmo e giunse a Maratona, in Attica, dove portò grande rovina agli abitanti della regione. Come ottava fatica gli fu ordinato di portare a Micene le cavalle del re tracio Diomede. Questi era figlio di Ares e di Cirene, e governava sui Bistoni, un popolo della Tracia molto bellicoso, e aveva delle cavalle antropofaghe. Eracle prese il mare con una schiera di volontari, assalì i guardiani delle scuderie, e portò le cavalle sulla riva del mare. Ma i Bistoni corsero in armi per portare il loro aiuto; allora Eracle affidò le cavalle ad Abdero. Questi era figlio di Ermes, veniva da Opunte nella Locride, ed era l'amato di Eracle. Ma le cavalle lo fecero a pezzi e lo divorarono. Eracle intanto aveva battuto i Bistoni, ucciso Diomede, e costretto alla fuga i superstiti. Dopo aver fondato la città di Abdera presso il sepolcro di Abdero, l'eroe portò le cavalle a Euristeo. Ma questi poi le lasciò libere, e le cavalle andarono sul monte Olimpo, dove furono divorate dalle fiere. Come nona fatica gli fu comandato di portare la cintura di Ippolita. Ippolita era la regina delle Amazzoni, che abitavano presso il fiume Termodonte: una popolazione davvero forte in battaglia. Si esercitavano sempre in attività maschili, e se per caso una di esse aveva una relazione con un uomo e restava incinta, allevavano solo le figlie femmine; si tagliavano via la mammella destra, per non avere impedimenti nel maneggiare le armi, e la sinistra la lasciavano, per poter allattare. Ippolita aveva ricevuto la sua cintura da Ares, in segno della sua superiorità su tutte le altre. Eracle era stato inviato a prendere proprio questa cintura, per portarla ad Admete, la figlia di Euristeo, che la desiderava. Si mise per mare con una schiera di volontari, su una sola nave, e arrivò all'isola di Paro, dove abitavano i figli di Minosse: Eurimedonte, Crise, Nefalione e Filolao. Ma avvenne che due dei compagni di Eracle, sbarcati dalla nave, furono uccisi dai figli di Minosse; allora l'eroe, infuriato, li uccise all'istante, e strinse d'assedio gli altri abitanti dentro la città, finche questi gli mandarono un'ambasceria, con la proposta di scegliersi due uomini a suo piacimento, in cambio dei suoi due compagni uccisi. Eracle tolse l'assedio, e scelse Alceo e Stenelo, i figli di Androgeo - a sua volta figlio di Minosse. Poi partì, e arrivò in terra di Misia, dove fu ospite di Lico, figlio di Dascilo. In cambio della sua accoglienza, l'eroe aiutò Lico nella guerra contro il re dei Bebrici: molti morirono per mano di Eracle, e anche il re Migdone stesso, fratello di Amico. A Lico poi affidò un vasto territorio sottratto ai Bebrici: e l'intera regione venne chiamata Eraclia. Quando finalmente l'eroe approdò nel porto di Temiscira, Ippolita si recò a fargli visita: la regina s'informò dello scopo della sua missione, e gli promise la cintura. Ma intanto Era, travestita da amazzone, girava fra il popolo, dicendo che erano arrivati degli stranieri con l'intenzione di rapire la regina. Allora le Amazzoni si armarono e corsero a cavallo verso la nave. Eracle, quando le vide arrivare in assetto di battaglia, sospettò un tradimento: uccise Ippolita, le strappò la cintura, poi, dopo aver sbaragliato tutte le altre, salpò per Troia. In quei giorni la città era afflitta da un grave flagello, a causa dell'ira di Apollo e di Poseidone. I due Dèi, infatti, per mettere alla prova la tracotanza del re Laomedonte, avevano assunto le sembianze di uomini, e si erano accordati con lui per fortificare con le mura la cittadella di Pergamo, dietro compenso. Ma quando poi ebbero terminato il lavoro, Laomedonte si rifiutò di pagarli. Allora Apollo aveva mandato una pestilenza, e Poseidone un mostro marino, il quale, spinto fuori dalle onde con la marea, avanzava nella terraferma e faceva strage di uomini. Gli oracoli avevano rivelato che quella gran disgrazia avrebbe avuto fine se Laomedonte avesse esposto sua figlia Esione in pasto al mostro: così la fanciulla era stata incatenata a una roccia vicino al mare. Eracle vide la fanciulla esposta sullo scoglio, e promise che l'avrebbe salvata, se Laomedonte gli avesse ceduto le cavalle che Zeus aveva dato in cambio del rapimento di Ganimede. Laomedonte gli diede la sua parola, Eracle uccise il mostro e salvò la fanciulla. Ma il re, a quel punto, gli rifiutò il compenso pattuito: allora Eracle minacciò guerra a Troia, e poi ripartì. Giunto a Eno, venne ospitato dal re Polti. Mentre stava per riprendere il mare, sulla spiaggia di Eno colpì e uccise l'insolente Sarpedone, figlio di Poseidone e fratello di Polti. Sbarcò poi a Taso, sottomise i Traci che vi abitavano, e la diede da colonizzare ai figli di Androgeo. Da Taso arrivò a Torone: lì Poligono e Telegono, i due figli di Proteo - a sua volta figlio di Poseidone -, lo sfidarono a duello, ed Eracle li uccise entrambi. Giunto infine a Micene, consegnò la cintura a Euristeo. Come decima fatica gli fu imposto di catturare i buoi di Gerione nell'isola Erizia. Questa si trova vicina alla corrente d'Oceano, e il suo nome attuale è Gadira. L'isola era abitata da Gerione, figlio di Crisaore e di Calliroe, a sua volta figlia di Oceano. li suo corpo era come quello di tre uomini cresciuti insieme, unito in uno all'altezza della vita, ma poi separato in tre dai fianchi e dalle cosce in su. Aveva dei buoi fulvi, il cui mandriano era Eurizione: e il custode era Orto, il cane a due teste nato da Echidna e Tifeo. Attraversando l'Europa per catturare i buoi di Gerione, Eracle uccise molte bestie feroci; passò dalla Libia e arrivò a Tartesso: qui, come segno del suo passaggio, eresse due colonne, una di fronte all'altra, a confine tra l'Europa e la Libia. Poiché, durante il suo tragitto, Elio lo bruciava, Eracle minacciò il Dio con il suo arco: ed Elio, pieno d'ammirazione per il coraggio di quell'uomo, gli diede la sua coppa d'oro per attraversare l'Oceano. Giunto a Erizia, Eracle salì sul monte Abante. Ma il cane, accortosi della sua presenza, si precipitò su di lui: Eracle allora lo colpì con la sua clava, e poi uccise anche il mandriano Eurizione, accorso in aiuto del cane. Menete, che pascolava lì vicino le mandrie di Ade, riferì a Gerione l'accaduto: e Gerione si scontrò con Eracle presso il fiume Antemo, mentre l'eroe già stava portando via il bestiame. Vennero a battaglia, ma Gerione fu colpito e morì. Eracle imbarcò il bestiame nella coppa di Elio, e arrivò a Tartesso, dove la riconsegnò al Dio. Dopo esser passato dal territorio di Abdera, Eracle giunse in Liguria, dove Ialebione e Dercino, due figli di Poseidone, cercarono di rubargli il bestiame; ma l'eroe li uccise, poi scese lungo la costa tirrenica. A Reggio, un toro si staccò dalla mandria, corse a gettarsi in mare e nuotò fino in Sicilia; attraversò quella regione, e giunse infine nel regno di Erice, il sovrano degli Elimi, figlio di Poseidone, che unì il toro alle sue mandrie. Eracle affidò il bestiame a Efesto, si lanciò alla ricerca del toro, e lo trovò in mezzo alle mandrie di Erice. Il re

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disse che gliel'avrebbe restituito solo se Eracle fosse riuscito a vincerlo in un combattimento di pugilato: l'eroe vinse tre riprese, uccise Erice in combattimento, recuperò il toro e si rimise in viaggio con la mandria verso lo Ionio. Ma quando arrivarono alle insenature del mare, Era mandò un tafano a tormentare le vacche, e quelle si dispersero verso i monti della Tracia. Eracle le inseguì, riuscì a radunarne la maggior parte, e le guidò verso l'Ellesponto; quelle che non poté trovare, invece, tornarono allo stato selvaggio. Con la sua mandria così faticosamente riunita, Eracle si trovò di fronte il fiume Strimone, e ne fu contrariato: allora riempì di massi la sua corrente, e da navigabile che era la rese non più navigabile. Infine portò i buoi a Euristeo, e questi li sacrificò a Era. L'eroe compì queste imprese in otto anni e un mese; ma Euristeo, non avendo ritenute valide quelle dell'idra e delle stalle di Augia, impose a Eracle ancora una fatica, l'undicesima: l'eroe avrebbe dovuto portargli i pomi d'oro del giardino delle Esperidi. Questo si trovava non, come alcuni hanno detto, in Libia, bensì sul monte di Atlante, nel paese degli Iperborei, ed era il dono di nozze offerto da Gea a Zeus ed Era. Lo custodiva un drago immortale, figlio di Tifeo e di Echidna, che aveva cento teste e sapeva parlare con le voci più diverse e variegate. Anche le Ninfe Esperidi facevano la guardia: Egle, Eritia, Esperia e Aretusa. Lungo il cammino, Eracle arrivò al fiume Echedoro, dove Cicno, figlio di Ares e di Pirene, lo sfidò a duello: lo stesso Ares prese le parti di Cicno, e sovrintese alla sfida. Ma una folgore si abbatté in mezzo a loro, e il duello venne interrotto. Eracle proseguì la sua strada attraverso il paese degli Illiri, finché giunse al fiume Eridano, dove trovò le Ninfe, figlie di Zeus, e Temi. Esse gli indicarono il luogo dove Nereo giaceva addormentato: Eracle lo afferrò nel sonno e lo legò, anche se Nereo continuava a trasformarsi in mille aspetti diversi, e non lo lasciò andare finché questi non gli ebbe rivelato dove trovare i pomi delle Esperidi. Così l'eroe si incamminò verso la Libia. In quel tempo regnava sul paese Anteo, figlio di Poseidone, che aveva l'abitudine di costringere a una gara di lotta tutti gli stranieri per ucciderli. Così, obbligò a combattere anche Eracle: ma l'eroe lo abbrancò, lo sollevò in alto, gli spezzò le ossa e lo uccise. Ogni volta che toccava terra, infatti, Anteo diventava sempre più forte, perché - a quanto alcuni hanno detto - era figlio di Gea stessa. Attraversata la Libia, Eracle giunse in Egitto. Il re di questo paese era Busiride, figlio di Poseidone e Lisianassa, a sua volta figlia di Epafo. Busiride sacrificava tutti gli stranieri sull'altare di Zeus, in ossequio a una profezia. Da nove anni, infatti, l'Egitto era devastato dalla carestia, e Frasio, un sapiente indovino giunto da Cipro, aveva profetizzato che la carestia avrebbe avuto fine se ogni anno avessero sacrificato a Zeus uno straniero. Il primo a essere sgozzato da Busiride fu proprio l'indovino; e poi continuò con tutti gli stranieri che capitavano. Anche Eracle fu catturato e portato all'altare: ma l'eroe spezzò le corde che lo legavano, e uccise Busiride insieme a suo figlio Anfidamante. Poi attraversò l'Asia e giunse a Termidre, il porto di Lindo. Lì sciolse uno dei due tori dal carro di un mandriano, lo sacrificò, e se lo mangiò a banchetto. Il mandriano altro non poté fare che scapparsene sulla cima di un monte, e maledire Eracle da lontano. È in ricordo di quell'episodio che gli abitanti di Lindo compiono i sacrifici a Eracle pronunciando maledizioni. Poi l'eroe attraversò l'Arabia, dove uccise Ematione, figlio di Titono; e proseguì il suo cammino per la Libia, verso il mare esterno, dove prese a Elio la sua coppa. Così passò dall'altra parte, e approdò sulla terra ferma antistante. Giunto alle montagne del Caucaso, uccise con le sue frecce l'aquila, figlia di Echidna e Tifeo, che divorava il fegato di Prometeo; poi Eracle lo liberò, dopo essersi fatto una corona d'ulivo, e presentò a Zeus il centauro Chirone, che voleva morire al posto di Prometeo. Prometeo aveva consigliato a Eracle di non cogliere le mele con le sue mani, ma di sollevare Atlante dal peso del cielo, e di inviare lui; giunto nel paese degli Iperborei, quindi, l'eroe convinse Atlante, e sostenne il cielo al suo posto. Atlante colse tre mele dal giardino delle Esperidi, e le portò a Eracle. Ma poi non volle più riprendersi il cielo sulle spalle. Eracle allora gli chiese il tempo di potersi avvolgere attorno alla testa la fascia per portare i pesi; Atlante poggiò a terra le mele, e accettò di sostenere il cielo ancora per un momento: ed Eracle prese le mele, e scappò via. C'è invece chi sostiene che non fu Atlante a portargli i pomi: l'eroe li avrebbe raccolti da sé, dopo aver ucciso il serpente guardiano. Poi li portò a Euristeo, che ne fece dono all'eroe stesso. Ed Eracle li diede ad Atena, ma la Dea li restituì alle Esperidi, perché non era lecito per la legge divina che i pomi stessero in qualche altro posto. Come dodicesima fatica gli fu imposto di portare via Cerbero dall'Ade. Cerbero aveva tre teste di cane, una coda di drago e lungo la schiena gli spuntavano teste di serpente di ogni tipo. Per prepararsi a questa impresa, Eracle andò a Eleusi, da Eumolpo, per essere iniziato ai misteri. Ma a quel tempo l'iniziazione non era concessa agli stranieri: per questo Eracle dovette farsi figlio adottivo di Pilio. E ancora non poteva assistere ai misteri, perché non si era purificato dopo l'uccisione dei Centauri: Eumolpo lo purificò, e finalmente Eracle fu iniziato. Giunto al capo Tenaro, in Laconia, là dove si apre il passaggio per scendere all'Ade, Eracle lo imboccò e scese. Quando le anime lo videro, scapparono tutte, tranne Meleagro e la Gorgone Medusa. Allora Eracle estrasse la spada, come se la Gorgone fosse stata viva, ma Ermes lo avvisò che si trattava solo di un vano fantasma. Giunto presso la porta dell'Ade, trovò Teseo e Piritoo, quello che aveva aspirato alla mano di Persefone: per questo adesso erano imprigionati. Appena videro Eracle, subito tesero le mani verso di lui, nella speranza che la sua forza potesse liberarli. L'eroe riuscì a prendere Teseo per la mano e a farlo alzare in piedi; ma mentre tentava di rialzare anche Piritoo la terra tremò, e perse la presa. Poi fece rotolare via la pietra che schiacciava Ascalafo. E per offrire un sacrificio di sangue alle anime, sgozzò una bestia delle mandrie di Ade. Ma il loro guardiano, Menete, figlio di Ceutonimo, lo sfidò alla lotta. Eracle subito lo bloccò alla vita e gli spezzò le costole: Persefone allora intercedette per lui, e l'eroe lo lasciò libero. Chiese poi di Cerbero ad Ade, e il Dio gli concesse di portarlo via se l'avesse vinto senza le armi. Eracle lo trovò vicino alla porta dell'Acheronte: protetto dalla corazza e coperto dalla pelle di leone, gli strinse le mani intorno al collo, e non mollò finche la bestia, soffocata, cadde a terra. Eracle allora lo prese, e risalì vicino a Trezene. Demetra poi trasformò Ascalafo in allocco; Eracle fece vedere Cerbero a Euristeo, e lo riportò di nuovo nell'Ade.

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Compiute le sue fatiche, Eracle giunse a Tebe, e diede in sposa Megara a Iolao, perché voleva risposarsi. E venne a sapere che Eurito, signore di Ecalia, aveva messo in palio la mano di sua figlia Iole come premio per chi avesse sconfitto lui stesso e i suoi figli in una gara di tiro con l'arco. Eracle si recò dunque a Ecalia, vinse la gara, ma Eurito rifiutò di dargli la fanciulla. Ifito, il suo figlio maggiore, era il solo a sostenere che Iole doveva andare sposa a Eracle; Eurito e gli altri figli, invece, dicevano di no, motivando il rifiuto con il timore che Eracle, se avesse avuto dei figli da Iole, avrebbe potuto uccidere anche questi, com'era già avvenuto. Non molto tempo dopo, Autolico rubò del bestiame dai pascoli dell'Eubea, ed Eurito diede la colpa a Eracle: ma Ifito non ci credette, andò da Eracle, e lo incontrò che era appena ritornato da Fere, dove aveva salvato Alcesti dalla morte, restituendola ad Admeto. Allora gli chiese di cercare il bestiame insieme a lui. Eracle promise, e offrì ospitalità al giovane: ma poi, preso da un nuovo attacco di follia, lo buttò giù dalle mura di Tirinto. Per purificarsi da tale assassinio, Eracle andò da Neleo, signore di Pilo. Ma Neleo gli rifiutò la purificazione, perché Eurito era suo amico; allora Eracle andò ad Amicle, dove venne purificato da Deifobo, figlio di Ippolito. Ma ancora, a causa dell'assassinio di Ifito, Eracle era tormentato da una grave malattia; decise così di recarsi a Delfi, per chiedere come potersi liberare da questo male. Ma la Pizia rifiutò di rispondergli: Eracle allora si mise a saccheggiare il tempio, e portò via anche il tripode, con l'intenzione di istituire un proprio oracolo. Apollo lottò contro di lui, finché Zeus scagliò un fulmine in mezzo a loro, e li separò. Eracle ricevette il suo responso: sarebbe guarito dalla malattia solo se si fosse sottomesso a tre anni di schiavitù, dando il suo prezzo di vendita a Eurito come risarcimento dell'assassinio del figlio. In ossequio al responso, Ermes mise in vendita Eracle, e lo comprò Onfale, figlia di Iardane, regina di Lidia, che aveva ricevuto il trono alla morte del suo sposo Tmolo. Eurito non accettò il risarcimento che gli venne portato. Ma Eracle rimase comunque schiavo di Onfale, e durante la sua servitù catturò i Cercopi di Efeso e uccise Sileo di Aulide: questo Sileo costringeva tutti gli stranieri di passaggio a zappare nella sua vigna, ma Eracle gli bruciò tutte le viti fin dalla radice, e poi lo uccise, insieme alla figlia Senodoce. Sbarcato poi nell'isola Doliche, vide il corpo di Icaro - che le onde avevano depositato sulla spiaggia - e lo seppellì, e chiamò Icaria l'isola che prima si chiamava Doliche. In cambio del suo gesto, Dedalo lo ritrasse in una statua, a Pisa: quando Eracle vide questa statua era notte, s'ingannò, la prese per un uomo vivo, e la colpì con una pietra. È nel periodo della sua servitù presso Onfale che viene collocato, in genere, il suo viaggio in Colchide, e anche la caccia al Cinghiale Calidonio; è lo stesso periodo in cui Teseo, di ritorno da Trezene, ripulì l'Istmo. Terminati gli anni di servitù, e guarito ormai dal suo male, Eracle raccolse un esercito di nobili volontari e partì per far guerra a Troia, con diciotto navi a cinquanta ordini di remi. Sbarcato a Troia, lasciò Oicleo a guardia delle navi, e insieme agli altri valorosi guerrieri partì per attaccare la città. Laomedonte, frattanto, corse alle navi insieme alla sua gente e uccise Oicleo, ma poi fu respinto dalle truppe di Eracle e stretto d'assedio dentro la città. Telamone fece una breccia nelle mura e penetrò per primo nella città, ed Eracle dopo di lui. Come vide che Telamone era entrato per primo, Eracle brandì la spada e lo inseguì per ucciderlo, perché non sopportava che qualcuno fosse considerato migliore di lui. Ma Telamone lo prevenne, si chinò a raccogliere delle pietre, e a Eracle che gli domandava cosa stesse facendo rispose: «Voglio costruire un altare a Erade Vincitore!» Eracle ne fu molto contento, e quando ebbe preso la città e ucciso Laomedonte e i suoi figli maschi, tranne Podarce, a Telamone diede in premio Esione, la figlia di Laomedonte; e a Esione permise di portare con se uno dei prigionieri, a sua scelta. Esione scelse il fratello Podarce, ma Eracle disse che prima doveva diventare uno schiavo, e la sorella poi avrebbe potuto pagare il suo riscatto. Così, Esione pagò il riscatto con il velo che le copriva il capo, e da quel momento Podarce fu chiamato Priamo.Eracle lasciò Troia e riprese il mare, ma Era mandò su di lui una tremenda tempesta: Zeus di questo s'infuriò, e la appese fuori dall'Olimpo. Eracle si diresse verso Coo, ma gli abitanti dell'isola pensarono si trattasse di una nave pirata, e ne impedirono l'approdo bersagliandola di pietre. Eracle riuscì comunque a imporsi con la forza, e di notte prese la città, uccidendone il re Euripilo, figlio di Poseidone e Astipalea. Durante la battaglia fu ferito da Calcodonte: ma Zeus lo portò via in salvo, e così non gli successe niente. Dopo aver devastato Coo, Eracle, con l'aiuto di Atena, arrivò a Flegra, dove combatté insieme agli Dèi contro i Giganti. Non molto tempo dopo, Eracle radunò un esercito di Arcadi, vi unì alcuni volontari dalle più nobili famiglie di tutta l'Ellade, e fece guerra ad Augia. Il re, avuta notizia dell'imminente attacco di Eracle, nominò generali dell'armata elea i gemelli Eurita e Cteato - i più forti della loro generazione - che erano figli di Molione e Attore, il fratello di Augia (ma in realtà, si dice, erano figli di Poseidone). Durante la spedizione, Eracle cadde ammalato: e per questo preferì concludere una tregua con i Molionidi. Ma quando questi vennero a sapere che era ammalato, subito assalirono il suo esercito e uccisero molti soldati. Per quella volta Eracle si ritirò; ma quando poi venne il tempo della terza Festa Istmica, e gli Elei inviarono i Molionidi per partecipare ai sacrifici, Eracle tese loro un'imboscata presso Cleone e li uccise. Poi fece guerra contro la città di Elide, e la occupò. Dopo aver ucciso Augia e i suoi figli, richiamò Fileo dall'esilio e gli affidò il trono. Istituì anche i Giochi Olimpici, innalzò un altare a Pelope e altri sei ai dodici Dèi. Dopo aver preso Elide, Eracle fece una spedizione contro Pilo. Occupata la città, uccise Periclimeno, il più forte fra i figli di Neleo, che pure aveva combattuto usando la sua facoltà di trasformarsi in varie forme. Uccise anche Neleo e tutti gli altri suoi figli, tranne Nestore, che era ancora un ragazzo e veniva allevato nella terra dei Gereni. Durante la battaglia, Eracle ferì lo stesso Ade, che era intervenuto a favore di Pilo. Dopo aver preso anche questa città, fece una spedizione contro Lacedemone, per punire i figli di Ippocoonte: Eracle era furioso contro di loro, non solo perché avevano combattuto come alleati di Neleo, ma soprattutto perché avevano ucciso il figlio di Licimnio. Un giorno, infatti, mentre il giovane stava guardando il palazzo di Ippocoonte, venne assalito da un cane molosso, e riuscì a difendersi colpendolo con una pietra: ma i figli di Ippocoonte si precipitarono fuori dal palazzo e presero il giovane a bastonate, fino a che lo uccisero. Proprio per vendicare il suo

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assassinio, Eracle raccolse un esercito e marciò contro Lacedemone. Giunto in Arcadia, chiese a Cefeo di unirsi all'armata, insieme ai suoi venti figli. Ma Cefeo temeva un'incursione degli Argivi, se avesse lasciato Tegea, e rifiutò quindi di unirsi alla spedizione. Eracle allora affidò a Sterope, la figlia di Cefeo, una ciocca dei capelli della Gorgone, custodita in un'urna di bronzo, che aveva ricevuto da Atena: se un'armata avesse attaccato la città, le disse, doveva esporre la ciocca sulle mura per tre volte, senza mai guardare avanti, e il nemico si sarebbe dato alla fuga. Allora Cefeo si unì a Eracle, insieme ai suoi figli. Durante la battaglia, purtroppo, sia lui che i suoi figli morirono tutti; e morì anche Ificle, il fratello di Eracle. L'eroe uccise Ippocoonte e i suoi figli, s'impadronì della città, richiamò Tindareo dall'esilio e gli affidò il trono. Giunto poi a Tegea, Eracle sedusse Auge, senza sapere che si trattava della figlia di Neo. La fanciulla partorì di nascosto un bambino, nel recinto sacro di Atena. Ma Neo, dato che in quel periodo la regione era oppressa da una pestilenza, era entrato nel sacro recinto: si accorse delle grida della figlia in travaglio, e trovò il bambino. Allora lo espose sul monte Partenio. Ma la provvidenza divina salvò il bambino: infatti una cerva che aveva appena partorito lo allattò, e poi fu trovato da alcuni pastori, che lo chiamarono Telefo. Aleo consegnò Auge a Nauplio, il figlio di Poseidone, perché la vendesse in una contrada straniera; e Nauplio la diede a Teutrante, signore di Teutrania, che la sposò. Eracle giunse poi a Calidone, dove chiese la mano di Deianira, figlia di Eneo. Per averla, dovette combattere contro Acheloo, che aveva assunto forma dl toro, e gli staccò uno dei due corni. Dopo aver sposato Deianira, Eracle restituì a Acheloo il suo corno, ed ebbe in cambio quello di Amaltea. Amaltea era figlia di Emonio, e possedeva un corno di toro che, secondo Ferecide, aveva la facoltà di produrre in abbondanza qualunque cibo o bevanda si desiderasse. Eracle combatte insieme ai Calidoni contro i Tesproti, e s'impadronì della città di Efira, dove regnava Fila: e dalla figlia di questo, Astioche, Eracle ebbe il figlio Tlepolemo. Mentre soggiornava a Efira, mandò a dire a Tespio di tener pure con se sette figli, ma di mandarne tre a Tebe e gli altri quaranta nell'isola di Sardegna, per colonizzarla. Più tardi, un giorno che Eracle partecipava a una festa insieme a Eneo, colpì con un pugno Eunomo, figlio di Architelo e parente di Eneo, e lo uccise, mentre gli versava l'acqua sulle mani. Il padre del ragazzo, dato che l'incidente era stato involontario, lo perdonò, ma Eracle volle sottoporsi all'esilio, come stabiliva la legge, e decise di andare da Ceice, a Trachine. Portava con sé Deianira, e quando arrivarono al fiume Eveno trovarono il centauro Nesso, che stava sulla riva e traghettava i passanti dietro compenso: erano stati gli Dèi, diceva, a dargli questo compito, proprio per la sua onestà. Eracle attraversò il fiume da solo, e per Deianira invece pagò Nesso perché la traghettasse sulla sua groppa. Ma mentre la trasportava, il centauro tentò di violentarla. La donna gridò, Eracle la sentì, e colpì Nesso al cuore con una freccia. Ormai morente, Nesso chiamò Deianira e le disse che, se voleva un filtro d'amore per Eracle, doveva mescolare il seme che aveva sparso per terra con il sangue sprizzato dalla ferita della freccia. Deianira preparò il filtro, e lo conservò. Nell'attraversare la regione dei Driopi, Eracle, che aveva ormai terminato la provvista di viveri, incontrò Teiodamante che guidava l'aratro: allora sacrificò uno dei suoi tori e se lo mangiò. Arrivò poi a Trachine come ospite di Ceice, e sconfisse i Driopi. Lasciata la città, divenne alleato di Egimio, re dei Dori. I Lapiti, comandati da Corono, facevano guerra a Egimio per i confini del territorio: e il re, ormai assediato, chiamò in soccorso Eracle, offrendogli una parte dei suoi possedimenti. L'eroe lo aiutò, uccise Corono e tanti altri, e riaffidò a Egimio l'intero territorio. Uccise anche Laogora, re dei Driopi, con tutti i suoi figli, mentre stava banchettando nel recinto sacro di Apollo - era un uomo tracotante, e alleato dei Lapiti. Passando da Itono, Eracle venne poi sfidato a duello da Cicno, il figlio di Ares e Pelopia: l'eroe si scontrò con lui e lo uccise. Quando poi arrivò a Ormenio, il re Amintore gli vietò con le armi di attraversare il territorio: ma mentre cercava di impedirgli il passaggio, Eracle uccise anche lui. Ritornato a Trachine, radunò un esercito per marciare contro Ecalia, con l'intenzione di punire Eurito. Aveva come alleati gli Arcadi, i Melii di Trachine e i Locresi Epicnemidi. Eracle riuscì a uccidere Eurito e i suoi figli, e si impadronì della città. Dopo aver seppellito alcuni dei suoi compagni di battaglia - Ippaso, figlio di Ceice, Argio e Melante, figli di Licimnio - saccheggiò la città e portò via lole prigioniera. Approdato al promontorio Ceneo, in Eubea, Eracle innalzò un altare a Zeus Ceneo, e decise di fare una festa sacrificale. Allora mandò a Trachine il messaggero Lica, perché gli portasse le vesti da cerimonia. Proprio da Lica Deianira venne a sapere tutto dell'amore di Eracle per Iole, ed ebbe paura che lo sposo potesse amare quell'altra più di lei; allora, credendo che il sangue sgorgato da Nesso fosse davvero un filtro d'amore, vi intinse il chitone di Eracle. L'eroe dunque lo indossò, e celebrò il sacrificio. Ma il calore fece sciogliere il veleno dell'idra di cui la tunica era intrisa, e già corrodeva la pelle di Eracle; l'eroe allora abbrancò Lica per i piedi e lo catapultò fuori della regione. Cercò di strapparsi la tunica di dosso, ma ormai si era fusa con il suo corpo, e poté soltanto lacerarsi le carni. In queste condizioni disastrose, fu portato per mare a Trachine. Deianira, appena conobbe l'accaduto, s'impiccò. Eracle fece promettere a Ino, il figlio più grande avuto da Deianira, che appena raggiunta la maggiore età avrebbe sposato Iole; poi salì sull'Eta (il monte di Trachine), costruì una pira, vi montò, e comandò di darle fuoco. Nessuno però voleva farlo: e allora lo fece Peante, che passava di lì in cerca del suo gregge. Peante accese la pira, ed Eracle gli donò il suo arco. Quando la pira fu tutta bruciata, dicono che una nube sollevò Eracle, e fra tuoni e fulmini lo portò in cielo. Lassù l'eroe ottenne l'immortalità e si riconciliò con Era, che gli diede in sposa sua figlia Ebe. E da Ebe gli nacquero due figli, Alessiare e Aniceto. Ecco tutti i figli che Eracle ebbe dalle figlie di Tespio. Da Procri, la maggiore, nacquero i gemelli Antileone e Ippeo; da Panope nacque Tresippa; da Lise nacque Eumede; da ...... nacque Creonte; da Epilaide nacque Astianatte; da Certe nacque Iobe; da Euribia nacque Polilao; da Patro nacque Archemaco; da Meline nacque Laomedonte; da Clitippe nacque Euricapi; da Eubote nacque Euripilo; da Aglaia nacque Antiade; da Criseide nacque Onesippo; da Oria nacque Laomene; da Lisidice nacque Telete; da Menippide nacque Entelide; da Antippe nacque Ippodromo; da Euri...... nacque Teleutagora; da Ippote nacque Capilo; da Eubea nacque Olimpo; da Niche nacque Nicodromo; da Argele nacque Cleolao; da Essole nacque Eritra; da Xantide nacque Omolippo; da Stratonice nacque

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Atromo; da Ifide nacque Celeustanore; da Laotoe nacque Antifo; da Antiope nacque Nopio; da Calametide nacque Astibie; da Fileide nacque Tigasi; da Ascreide nacque Leucone; da Antea nacque ......; da Euripile nacque Archedico; da Erato nacque Dinaste; da Asopide nacque Mentore; da Eone nacque Amestrio; da Tifise nacque Linceo; da Olimpusa nacque Nocrate; da Eliconide nacque Falia; da Esichia nacque Estroble; da Tersicrate nacque Euriope; da Elachia nacque Buleo; da Nicippe nacque Antimaco; da Pirippe nacque Patroclo; da Prassitea nacque Nefo; da Lisippe nacque Erasippo; da Tossicrate nacque Licurgo; da Marse nacque Bucolo; da Euritele nacque Leucippo; da Ippocrate nacque Ippozigo. Questi sono i figli che Eracle ebbe dalle figlie di Tespio. Ecco ora quelli nati dalle sue altre donne. Da Deianira, figlia di Eneo, ebbe invece Ilo, Ctesippo, Gleno e Onite; da Megara, figlia di Creonte, ebbe Terimaco, Deicoo e Creontiade; da Onfale ebbe il figlio Agelao, da cui discende la famiglia di Creso. Da Calciope, figlia di Euripilo, gli nacque Tettalo; da Epicaste, figlia di Augia, gli nacque Testalo; da Partenope, figlia di Stinfalo, gli nacque Evere; da Auge, figlia di Neo, gli nacque Telefo; da Astioche, figlia di Filante, gli nacque Tlepolemo; da Astidamia, figlia di Amintore, gli nacque Ctesippo; da Autonoe, figlia di Pireo, gli nacque Palemone.Quando Eracle era ormai assunto fra gli Dèi, i suoi figli, per sfuggire a Euristeo, si rifugiarono presso Ceice. Ma quando Euristeo chiese la loro estradizione e minacciò guerra, ebbero paura, lasciarono Trachine e fuggirono, attraversando tutta l'Ellade. Sempre inseguiti, arrivarono ad Atene, e lì si fermarono presso l'altare dei supplici, chiedendo protezione. Gli Ateniesi non li consegnarono a Euristeo, e fecero guerra contro di lui, durante la quale i suoi figli - Alessandro, Ifimedonte, Euribio, Mentore e Perimedo - restarono uccisi. Euristeo fuggì sul carro, Ilo lo inseguì, lo raggiunse presso le rocce Scironie e lo uccise. Poi gli mozzò la testa e la portò a Alcmena: e lei gli cavò gli occhi con uno spillone. Morto Euristeo, gli Eraclidi tornarono in Peloponneso, e si impadronirono di tutte le città. Ma quando fu passato un anno dal loro ritorno, in tutto il Peloponneso scoppiò una terribile pestilenza. E un oracolo rivelò che la colpa era degli Eraclidi, perché erano tornati prima del tempo debito. Allora essi lasciarono il Peloponneso e si ritirarono a Maratona, dove si stabilirono. Prima della loro partenza dal Peloponneso, Tlepolemo aveva ucciso involontariamente Licimnio: stava infatti picchiando il suo servo, quando Licimnio cadde nel mezzo e si prese per sbaglio un colpo di bastone. Allora Tlepolemo andò in esilio e arrivò a Rodi, dove si stabilì. Illo, come gli aveva chiesto suo padre in punto di morte, sposò Iole, e cercò la maniera per far rientrare gli Eraclidi nel Peloponneso. Così, si recò a Delfi, e chiese al Dio come avrebbero potuto tornare: e il Dio rispose che dovevano aspettare il terzo raccolto. Illo pensò che «il terzo raccolto» alludesse a un periodo di tre anni; dunque aspettò tre anni, e poi tornò, con l'esercito ...... di Eracle nel Peloponneso, dove a quel tempo regnava Tisameno, figlio di Oreste. Vennero di nuovo a battaglia, i Peloponnesiaci vinsero, e Aristomaco morì. Quando i figli di Cleodeo giunsero alla maggiore età, di nuovo chiesero al Dio un oracolo sul loro ritorno. Ma il Dio ripeté lo stesso responso di prima, e Temeno se ne lamentò, dicendo che proprio per seguire tale responso aveva- no avuto tante disgrazie. Allora il Dio ribatté che loro stessi erano colpevoli della cattiva sorte, perché non avevano capito il responso: questo si riferiva al terzo raccolto non della terra, ma della generazione, e «stretto» significava l'ampio mare che si apre alla destra dell'Istmo. Saputo questo, Temeno preparò il suo esercito, e costruì delle navi in quella località della Locride che da allora si chiamò Naupatto. Mentre l'esercito stazionava a Naupatto, Aristodemo venne ucciso da un fulmine, e lasciò due figli gemelli, Euristene e Procle, avuti da Argia figlia di Autesione. Ma un'altra calamità si scagliò sull'esercito di Naupatto. Un giorno era apparso un vate, che cantava oracoli in preda alla follia profetica: e lo scambiarono per un mago inviato dai Peloponnesiaci a portare disgrazia all'esercito. Allora Ippote, figlio di Fila (figlio a sua volta di Antioco, nato da Eracle), lo colpì con la lancia e lo uccise. Per questo sacrilegio, la flotta navale andò distrutta, e l'esercito di terra fu prostrato dalla carestia e si sciolse. Temeno allora chiese all'oracolo del Dio come fronteggiare quella disgrazia, e il Dio rivelò che di tutto era causa l'assassinio del vate: quindi avrebbero dovuto bandire per dieci anni l'omicida, e prendere come capitano uno con tre occhi. Essi bandirono Ippote, e si misero a cercare un uomo con tre occhi: e lo identificarono in Ossilo, figlio di Andremone, che montava un cavallo e aveva un occhio solo (perché l'altro gli era stato portato via da un colpo di freccia). Ossilo aveva scontato l'esilio in Elide per un omicidio, e ora, passato un anno, tornava in Etolia. Secondo l'ordine dell'oracolo, affidarono a lui il comando. E si scontrarono con i nemici, li vinsero per terra e per mare, e uccisero Tisameno, il figlio di Oreste. Morirono anche Panfuo e Dimante, i figli di Egimio, loro alleati. Dopo essersi impadroniti del Peloponneso, innalzarono tre altari a Zeus Patrio, vi compirono dei sacrifici, e poi si divisero le varie città. La prima a dover essere assegnata era Argo, la seconda Lacedemone, e la terza Messene. Fecero portare un'urna piena d'acqua, e decisero che ognuno doveva gettarvi dentro il suo sassolino di riconoscimento, per estrarre a sorte. Temeno e i due figli di Aristodemo - Procle e Euristene - vi gettarono dei sassi, ma Cresfonte, che voleva ottenere Messene, vi gettò una palla di terra. Questa nell'acqua si dissolse, e i due sassolini rimasero nascosti. il primo a essere estratto fu quello di Temeno, poi quello dei figli di Aristodemo: così Cresfonte pote avere Messene. E sugli altari del sacrificio trovarono questi segni: quelli che avevano avuto Argo un rospo, quelli che avevano avuto Lacedemone un serpente, e quelli che avevano avuto Messene una volpe. E di questi segni gli indovini dissero che chi aveva trovato il rospo era meglio che restasse in città (perché questo animale non ha la forza di camminare molto); chi aveva trovato il serpente, invece, sarebbe stato terribile nelle sue incursioni; e chi aveva trovato la volpe, infine, sarebbe stato un grande ingannatore. Temeno, trascurando i diritti dei suoi figli, Agelao, Euripilo e Callia, favorì la figlia Irneto e suo marito Deifonte; allora essi pagarono un sicario perché uccidesse loro padre. L'assassinio fu compiuto, ma l'esercito stabilì che il regno andasse a Irneto e Deifonte. Anche Cresfonte regnava da poco tempo su Messene, quando venne ucciso dai suoi due figli. Polifonte, l'ultimo rimasto degli Eraclidi, salì sul trono, e volle sposare la vedova del sovrano assassinato, Merope,

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contro il suo desiderio: e fu ucciso anche lui. Merope, infatti, aveva un terzo figlio, di nome Epito, che veniva allevato presso il padre di lei. Quando fu cresciuto, rientrò di nascosto in città, uccise Polifonte e riconquistò il trono paterno.Libro IIIDopo aver raccontato la storia della discendenza di Inaco seguendo il ramo di Belo fino agli Eraclidi, parliamo adesso della famiglia di Agenore. Come abbiamo detto, Libia ebbe da Poseidone due figli, Belo e Agenore. Belo regnò sull'Egitto ed ebbe i figli che abbiano già nominato; Agenore invece andò in Fenicia, sposò Telefassa, ebbe una figlia femmina, Europa, e tre maschi, Cadmo, Fenice e Cilice. Alcuni dicono che Europa non fosse figlia di Agenore, ma di Fenice. Zeus si innamorò di lei, si trasformò in toro, fece montare la fanciulla sulla sua groppa e la portò sul mare fino a Creta, dove si unirono in amore. Europa partorì Minosse, Sarpedone e Radamanto; ma Omero afferma che Sarpedone nacque da Zeus e Laodamia, figlia di Bellerofonte. Dopo la scomparsa di Europa, il padre Agenore inviò i figli alla sua ricerca, dicendo di non tornare a casa prima di averla trovata. Anche la madre Telefassa partì alla sua ricerca, e anche Taso, figlio di Poseidone o forse, secondo Ferecide, di Cilice. Cercarono dappertutto, ma non riuscirono a trovarla; tornare a casa non potevano, e così rimasero a vivere ognuno in una terra diversa. Fenice si stabilì in Fenicia; Cilice si fermò in una regione confinante con la Fenicia, e dal suo nome chiamò Cilicia tutto il territorio bagnato dal fiume Pirarno; Cadmo e Telefassa, invece, si stabilirono in Tracia. Anche Taso si fermò in Tracia, colonizzò l'isola di Taso e vi fondò una città. Asterio, signore di Creta, sposò Europa, e allevò i suoi figli. Quando furono diventati grandi, vennero a lite fra di loro per l'amore di un fanciullo di nome Mileto, nato da Apollo e da Aria, figlia di Cleoco. Il fanciullo aveva una particolare confidenza con Sarpedone; allora Minosse fece guerra contro di loro e li sconfisse. Fuggirono in esilio, e Mileto si rifugiò in Caria, dove fondò la città che da lui prese il nome di Mileto; Sarpedone invece divenne alleato di Cilice e combatté con lui contro i Lici, in cambio di una parte di territorio: divenne così re della Licia, e Zeus gli fece il dono di poter vivere per tre generazioni. Alcuni sostengono invece che la discordia tra i fratelli nacque per amore di Atimnio, figlio di Zeus e di Cassiepea. Radamanto fissò la legislazione per gli abitanti delle isole, e poi andò in esilio in Beozia, dove sposò Alcmena. Dopo la sua morte divenne giudice dell'Ade, insieme a Minosse. Minosse restò a Creta, dettò le leggi per iscritto, e sposò Pasifae, la figlia di Elio e di Perseide. Asclepiade invece sostiene che sua sposa fu Crete, figlia di Asterio. E gli nacquero quattro figli maschi - Catreo, Deucalione, Glauco e Androgeo - e quattro femmine - Acalle, Senodice, Arianna e Fedra. Dalla Ninfa Paria gli nacquero Eurimedonte, Nefalione, Crise e Filolao; da Dessitea, infine, ebbe il figlio Eussantio. Frattanto Asterio era morto senza lasciare discendenti; Minosse si propose come re, ma il trono gli veniva negato. Egli sosteneva che gli Dèi stessi gli avevano affidato il regno, e per provarlo dichiarò che avrebbe avuto da loro tutto ciò di cui li avesse pregati. Così, fece un rito sacro a Poseidone, e pregò che dalle onde del mare apparisse un toro, promettendo che l'avrebbe subito offerto in sacrificio. Ed ecco che Poseidone gli invia un bellissimo toro: Minosse ebbe il regno, ma tenne quel toro fra le sue mandrie, sacrificandone un altro. Ottenuto il dominio sul mare, Minosse si impadronì ben presto di quasi tutte le isole. Poseidone, infuriato perché Minosse non gli aveva sacrificato il toro, lo rese selvaggio, e fece in modo che Pasifae si accendesse di desiderio per questo toro. La donna dunque, innamorata del toro, trovò un alleato in Dedalo, l'architetto, che era stato bandito da Atene per un omicidio. Egli costruì una vacca di legno montata su ruote, con l'interno cavo e ricoperta da una pelle bovina; la collocò nel prato dove il toro era solito pascolare, e Pasifae vi entrò dentro. Quando il toro le si avvicinò, la montò, come fosse una mucca vera. Così la donna partorì Asterio, chiamato Minotauro: e aveva la testa di un toro e il corpo di un uomo. Minosse, seguendo l'indicazione di alcuni oracoli, lo tenne chiuso nel labirinto, una costruzione progettata da Dedalo, che con i suoi meandri aggrovigliati impediva di trovare l'uscita. Del Minotauro, di Androgeo, di Fedra e di Arianna parleremo in seguito, quando racconteremo la storia di Teseo.Catreo, figlio di Minosse, ebbe tre figlie femmine - Erope, Climene e Apemosine - e un maschio - Altemene. Un giorno Catreo chiese all'oracolo quale sarebbe stata la sua morte, e il Dio rispose che uno dei suoi figli l'avrebbe ucciso. Catreo tenne nascosto tale responso, ma Altemene lo venne a sapere, e nel timore di poter diventare lui l'assassino del padre, partì da Creta insieme alla sorella Apemosine, e approdò in una località dell'isola di Rodi, dove si stabilì, dandole il nome di Cretinia. Un giorno salì sul monte Atabirio, e da lì guardò tutte le isole intorno, e vide anche Creta: allora si ricordò degli Dèi dei suoi padri, e innalzò un altare a Zeus Atabirio. Poco tempo passò, e Altemene divenne l'assassino di sua sorella. Ermes si era innamorato di lei, ma la fanciulla era fuggita e il Dio non riusciva a raggiungerla (i suoi piedi erano velocissim); allora stese sulla sua strada delle pelli non ancora conciate: la fanciulla, di ritorno dalla fonte, scivolò, e il Dio la violentò. Apemosine raccontò al fratello l'accaduto, ma Altemene pensò che il Dio era solo una scusa, e la prese a calci fino a farla morire. Intanto Catreo aveva dato Erope e Climene a Nauplio, perché le vendesse in terra straniera. Erope andò sposa a Plistene, e partorì due figli, Agamennone e Menelao; Climene, invece, sposò Nauplio stesso, e gli diede i figli Eace e Palamede. Divenuto ormai molto vecchio, Catreo pensò di lasciare il regno a suo figlio Altemene, e partì quindi per Rodi. Sbarcato insieme ai suoi compagni in un luogo deserto dell'isola, venne assalito dai pastori, che pensavano a un attacco di pirati. Catreo cercò di spiegare le sue ragioni, ma i latrati dei cani coprivano la sua voce. I pastori cominciarono a picchiarlo, e in quel momento arrivò anche Altemene che, senza riconoscere suo padre, lo colpì con la lancia e lo uccise. Quando comprese l' accaduto, pregò gli Dèi di farlo sparire in una voragine della terra, e così avvenne. Deucalione ebbe i figli Idomeneo e Crete, e il bastardo Molo. Glauco, invece, quando era ancora bambino, dando la caccia a un topo cadde in una giara di miele, e morì. Minosse, dato che il bambino era scomparso, lo cercò dappertutto, e per trovarlo ricorse alla divinazione. I Cureti gli dissero che nelle sue mandrie c'era una vitella con il manto di tre diversi colori: chi avesse saputo paragonare nel modo più esatto questo colore a qualcos'altro, sarebbe stato capace di

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riportargli suo figlio ancora vivo. Tutti gli indovini vennero chiamati, e Poliido, figlio di Cerano, paragonò il colore della vitella alla mora del rovo: gli fu ordinato di cercare il bambino e lo trovò, seguendo alcuni segni divinatori. Ma Minosse replicò che avrebbe dovuto consegnargli il bambino ancora vivo, e imprigionò Poliido insieme al cadavere di Glauco. L'indovino non sapeva proprio cosa fare, quando vide un serpente che si avvicinava al cadavere: allora prese un sasso e lo uccise, temendo di morire anch'egli, se l'avesse risparmiato. Ma ecco avvicinarsi un altro serpente: guardò il serpente morto e se ne andò, ma poco dopo ritornò portando un'erba, e la appoggiò sul corpo del serpente morto. Come quest'erba lo sfiorò, il serpente riprese a vivere. Poliido rimase stupefatto di quanto aveva visto: subito prese quell'erba, la pose sul cadavere di Glauco e il bambino tornò in vita. Minosse riebbe suo figlio, ma non volle lasciar partire Poliido per Argo, se prima non avesse insegnato a Glauco l'arte divinatoria: e Poliido, così costretto, gliela insegnò. Ma nel momento di salpare per Argo, il veggente disse a Glauco di sputare dentro la sua bocca: il fanciullo obbedì, e di colpo dimenticò l'arte della divinazione. Quanto ho già detto sui discendenti di Europa, ritengo sia sufficiente.Quando Telefassa morì, Cadmo la seppellì, e poi, dopo aver ricevuto ospitalità presso i Traci, si recò a Delfi, per interrogare il Dio sulla sparizione di sua sorella Europa. E il Dio gli rispose di non darsi più pensiero di Europa, ma di seguire invece la guida di una vacca, e di fondare una città dove la vacca per stanchezza si fosse stesa a terra. Ricevuto questo responso, Cadmo si mise in viaggio attraverso la Focide, e incontrò una vacca nei pascoli di Pelagone: allora la seguì. Dopo aver attraversato la Beozia, l'animale si stese a terra nel luogo dove adesso sorge la città di Tebe. Cadmo decise di sacrificare la vacca ad Atena, e mandò alcuni dei suoi compagni ad attingere acqua alla fonte di Ares. Ma alla fonte faceva la guardia un drago - alcuni dicono figlio di Ares stesso - e uccise quasi tutti  gli uomini mandati da Cadmo. Egli allora, infuriato, uccise il drago, e su consiglio di Atena seminò i suoi denti. Dai denti seminati balzarono fuori dalla terra molti uomini in armi, che vennero chiamati Sparti. Subito cominciarono a uccidersi fra loro, molti azzuffandosi involontariamente, altri senza nemmeno saperlo. Ferecide sostiene invece che quando Cadmo vide spuntare dalla terra quegli uomini armati, gettò contro di loro una pietra, e quelli, sospettandosi a vicenda di averla lanciata, cominciarono a far lotta. Solo cinque si salvarono, Echione, Udeo, Ctonio, Iperenore e Peloro. Cadmo, come punizione per quelli che aveva ucciso, dovette servire Ares per un Grande Anno, che consiste in un periodo di otto anni. Trascorso il periodo di servitù, Atena gli diede il regno del paese, e Zeus gli diede in sposa Armonia, figlia di Ares e Afrodite. Tutti gli Dèi lasciarono il cielo e scesero a far festa nella Cadmea, celebrando le nozze di Cadmo e Armonia con gli inni. Cadmo le regalò un peplo e una collana lavorata da Efesto: alcuni dicono che Efesto stesso l'aveva data a Cadmo, Ferecide invece sostiene che gliel'avesse data Europa, la quale l'aveva ricevuta da Zeus. Cadmo ebbe quattro figlie, Autonoe, Ino, Semele e Agave, e un figlio, Polidoro. Ino andò sposa ad Atamante, Autonoe ad Aristeo, e Agave a Echione. Zeus si innamorò di Semele, e si unì in amore con lei, di nascosto da Era. Zeus offrì alla fanciulla di chiedergli tutto ciò che voleva; e Semele, seguendo un consiglio ingannatore di Era, gli chiese di andare da lei proprio nello stesso aspetto di quando si avvicinava in amore a Era. Zeus non poteva rifiutare: si accostò al letto di Semele sul suo carro, tra folgori e saette, e scagliò il suo fulmine. Semele morì per il terrore, e Zeus tirò fuori dal fuoco il bambino di sette mesi che la fanciulla portava in seno, ancora immaturo, e se lo cucì in una coscia. Morta Semele, le altre figlie di Cadmo misero in giro la voce che la sorella si era unita a un uomo qualsiasi, e che Zeus, tirato falsamente in causa, l'aveva fulminata per la sua menzogna. Trascorso il tempo debito, Zeus si scucì la coscia, partorì Dioniso e lo affidò a Ermes. E questi lo portò a Ino e Atamante, e li convinse ad allevarlo come se fosse stata una bambina. Ma la Dea Era, sdegnata, li colpì con la follia. Atamante diede la caccia al suo figlio maggiore, Learco, scambiandolo per un cervo, e lo uccise; Ino gettò Melicerte in un pentolone d'acqua bollente e poi, stringendo il cadavere del figlio, si gettò nel profondo del mare. Da allora venne chiamata Leucotea, e il bambino Palemone: questi nomi glieli hanno dati i naviganti, che essi soccorrono nelle tempeste. In onore di Melicerte, Sisifo istituì anche i Giochi Istmici. Zeus, per nascondere Dioniso alla rabbia di Era, lo trasformò in capretto, ed Ermes lo portò alle Ninfe che abitavano a Nisa, in Asia: più tardi Zeus le trasformò in stelle, e le chiamò Iadi. Autonoe e Aristeo ebbero il figlio Atteone, che fu allevato da Chirone e divenne cacciatore: tempo dopo, sul Citerone, fu sbranato dai suoi stessi cani. Causa di questa morte fu, secondo Acusilao, l'ira di Zeus nei suoi confronti, perché faceva la corte a Semele; ma in genere si racconta che morì per aver visto Artemide mentre faceva il bagno. La Dea lo tramutò immediatamente in cervo, fece diventare rabbiosi i cinquanta cani che lo seguivano, e quelli, che non lo riconobbero, lo divorarono. Morto ormai Atteone, i suoi cani cercavano il padrone, e guaivano, finche arrivarono alla grotta di Chirone: questi fece un ritratto di Atteone, grazie al quale i cani guarirono dalla rabbia. "Ecco dei cani d'Atteone i nomi, da ...... Così accerchiarono il bel corpo -ormai di bestia - e lo sbranarono, i forti cani. Prima s'avventa Arcena, ...... poi i vigorosi suoi figli, Linceo e Balio - zampe imbattibili - e Amarinto. E tutti li enumerò con il loro nome ......: ...... così trovò la morte Atteone, per volontà di Zeus. Per primi bevvero del padrone il nero sangue Sparto e Omargo e Bore rapido nella corsa: per primi mangiarono la carne di Atteone e il suo sangue leccarono, e poi tutti gli altri, rabbiosi, si avventano ...... essere un rimedio per gli uomini, ai gravi affanni."Dopo che Dioniso scoprì la vite, Era gli gettò addosso la follia, e così andò vagando per l'Egitto e per la Siria. Il primo ad accoglierlo fu Proteo, re dell'Egitto; poi Dioniso arrivò a Cibela, in Frigia, dove Rea lo purificò, gli insegnò i riti di iniziazione, e gli diede il vestito; quindi attraversò la Tracia e si diresse in India. Licurgo, il figlio di Driante, re degli Edoni che abitano lungo il fiume Strimone, fu il primo a oltraggiare Dioniso e a cacciarlo fuori dal paese. Dioniso allora si rifugiò nel mare, presso Tetide, figlia di Nereo; ma le sue Baccanti vennero fatte prigioniere, insieme allo stuolo di Satiri del suo corteggio. Subito le Baccanti vennero liberate, e in Licurgo Dioniso in stillò la follia. Completamente pazzo, Licurgo, convinto di troncare un tralcio di vite, colpì con la scure suo figlio Driante, e lo uccise. Gli aveva già

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tagliato tutte le estremità, quando ritrovò la ragione. Tutto il paese divenne sterile, e il Dio profetizzò che la terra avrebbe di nuovo dato frutto solo se Licurgo fosse stato messo a morte. Sentito questo, gli Edoni lo portarono sul monte Pangeo e lo legarono, e poi, per volontà di Dioniso, fu fatto a pezzi dai cavalli. Attraversata la Tracia (e tutta l'India, ponendovi le sue colonne), Dioniso giunse a Tebe, dove costrinse le donne ad abbandonare le case e a compiere riti bacchici sul Citerone. Penteo, figlio di Agave e di Echione, a cui Cadmo aveva lasciato il suo trono, cercò di impedire tutto questo. Salì sul Citerone, spiò le Baccanti, ma sua madre Agave, in preda alla follia, lo fece a pezzi, credendolo una bestia. Dopo essersi rivelato come Dio ai Tebani, Dioniso giunse ad Argo, e di nuovo, poiché non gli tributavano il giusto onore, fece impazzire le donne. Salirono sui monti e si nutrirono con le carni dei loro bambini, ancora al seno. Poi, per navigare da Icaria a Nasso, Dioniso pagò il passaggio su una nave di pirati tirreni. Lo presero a bordo, ma superarono Nasso senza fermarsi, e fecero vela verso l'Asia, con l'intenzione di venderlo come schiavo. Dioniso allora trasformò in serpenti l'albero e i remi, e riempì lo scafo di tralci d'edera e suoni di flauto. I pirati impazzirono, si gettarono nelle onde e divennero delfini. Così gli uomini compresero che Dioniso era un Dio, e lo onorarono. Egli poi sottrasse la madre all'Ade, la chiamò Tione, e salì in cielo con lei. Cadmo e Armonia lasciarono Tebe, e andarono nel paese degli Enchelei. Gli Enchelei erano stati attaccati dagli Illiri, e il Dio aveva profetizzato che sarebbero riusciti a sconfiggerli se avessero preso Cadmo e Armonia come loro capi. Seguirono l'ordine del Dio, e sotto la guida di Cadmo e Armonia vinsero gli Illiri. Cadmo diventò re degli Illiri, ed ebbe un figlio di nome Illirio. Poi, insieme ad Armonia, Cadmo si trasformò in serpente, e insieme vennero mandati da Zeus nei Campi Elisi. Polidoro divenne re di Tebe e sposò Nitteide, figlia di Nitteo (a sua volta figlio di Ctonio), da cui ebbe il figlio Labdaco. Questi morì dopo Penteo, perché la pensava proprio come lui. Alla sua morte, Labdaco lasciò un figlio di nome Laio, che aveva appena un anno. Finche restò bambino, il trono fu occupato da Lico, fratello di Nitteo. Questi due fratelli erano fuggiti in esilio perché avevano ucciso Flegia, figlio di Ares e Doti di Beozia; si erano stabiliti a Iria e poi ...... per la loro amicizia con Penteo erano divenuti cittadini di Tebe. Lico, che i Tebani avevano eletto generale, prese il potere e tenne il regno per vent'anni, finche venne ucciso da Zeto e Anfione per il seguente motivo. Antiope era figlia di Nitteo: e Zeus si unì in amore con lei. Quando rimase incinta, il padre la scacciò, e la fanciulla si rifugiò a Sicione presso il re Epopeo e lo sposò. In una crisi di disperazione, Nitteo si uccise, e lasciò a Lico l'incarico di punire Epopeo e Antiope. Allora Lico fece guerra a Sicione e la occupò, uccise Epopeo e portò via prigioniera Antiope. Lungo la strada, presso Eleutere in Beozia, Antiope partorì due gemelli. Subito furono esposti, ma un mandriano li trovò e li allevò, e li chiamò Zeto e Anfione. Zeto si occupava del bestiame, e Anfione invece si esercitava nella citarodia, con la cetra che gli aveva donato Ermes. Lico e sua moglie Dirce avevano imprigionato Antiope, e le facevano subire continui maltrattamenti; ma un giorno le corde che legavano Antiope si sciolsero da sole, e la donna fuggì di nascosto e arrivò alla capanna dei due ragazzi, chiedendo ospitalità. Quando Zeto e Anfione seppero che si trattava della loro madre, uccisero Lico, e Dirce la legarono a un toro e gettarono il suo cadavere nel crepaccio di una sorgente che da lei prese il nome di Dirce. Preso il potere, i due fratelli fortificarono la città, e le pietre per le mura si muovevano da sole seguendo il suono della lira di Anfione. Laio venne espulso dalla città e fu accolto da Pelope, nel Peloponneso. Laio insegnò a Crisippo, il figlio di Pdope, a guidare il carro: ma si innamorò di lui e lo rapì. Zeto sposò Tebe (da lei prese il nome la città); e Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo, che gli diede sette figli - Sipilo, Eupinito, Ismeno, Damasittone, Agenore, Fedimo e Tantalo - e sette figlie - Etodea (o Neera), Cleodossa, Astioche, Ftia, Pelopia, Asticratia e Ogigia. Esiodo, invece, dice che Niobe ebbe dieci maschi e dieci femmine, Erodoro dice due maschi e tre femmine, Omero sei maschi e sei femmine. Fiera di avere tanti bei figli, un giorno Niobe si vantò di essere una madre più felice della stessa Leto: la Dea se ne adontò, e istigò Apollo e Artemide contro i figli di Niobe. Tutte le femmine vennero uccise nel palazzo dalle frecce di Artemide; e tutti i maschi furono uccisi insieme da Apollo mentre erano a caccia sul Citerone. Dei maschi solo Anfione si salvò, e delle femmine solo Cloride, la maggiore, che andò sposa a Neleo. Telesilla, invece, dice che si salvarono Amicla e Melibea, e che anche Anfione fu ucciso. Niobe lasciò Tebe e si rifugiò da suo padre Tantalo, al Sipilo; e qui la donna implorò gli Dèi, e Zeus la trasformò in pietra, e notte e giorno da quella pietra scorrono lacrime. Dopo la morte di Anfione, lo scettro passò nelle mani di Laio. Egli sposò la figlia di Meneceo, di nome Giocasta, secondo alcuni, secondo altri Epicasta. L'oracolo del Dio aveva avvertito Laio di non generare figli, perché il figlio nato da lui avrebbe ucciso il padre; ma il re, ubriaco, si unì ugualmente a sua moglie. Allora diede il neonato ai pastori, perché lo esponessero, dopo avergli trapassato le caviglie con uno spillone. Così il bambino fu esposto sul monte Citerone, ma i mandriani di Polibo, re di Corinto, lo trovarono e lo portarono alla moglie di Polibo, Peribea. Lei lo adottò e lo fece passare per suo, gli medicò le caviglie e lo chiamò Edipo, nome che significa «quello dai piedi gonfi». Quando diventò un giovanotto, era il più forte di tutti i suoi coetanei: e un giorno, per invidia, lo offesero chiamandolo bastardo. Il ragazzo allora ne chiese la ragione a Peribea, ma non poté sapere niente; quindi si recò a Delfi, per interrogare il Dio sui suoi genitori. E il Dio gli disse di non andare mai nella sua terra patria, altrimenti avrebbe ucciso suo padre, e si sarebbe unito in amore con sua madre. Sentito questo, e credendo suoi genitori quelli che invece lo erano solo di nome, lasciò Corinto. Attraversando la Focide con il suo carro, in uno stretto passaggio incrociò il carro sul quale viaggiava Laio. Polifonte, l'araldo di Laio, gli gridò di spostarsi, ma Edipo non obbedì e rimase fermo. Allora Polifonte gli uccise uno dei cavalli, e Edipo, infuriato, uccise sia Polifonte che Laio, e arrivò a Tebe. Laio fu sepolto da Damasistrato, il re di Platea, e a Tebe prese lo scettro Creonte, figlio di Meneceo. Durante il suo regno, Tebe fu afflitta da un grave flagello. La Dea Era mandò a Tebe la Sfinge, figlia di Echidna e di Tifeo, che aveva il volto di donna, il petto, le zampe e la coda di leone, e le ali di uccello. Le Muse le avevano insegnato un enigma e, stando seduta sul monte Ficio, poneva questo enigma ai Tebani. Esso diceva: «Qual è quella cosa che ha una sola voce, e ha quattro

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gambe e due gambe e tre gambe?». I Tebani avevano ricevuto un oracolo, secondo il quale si sarebbero liberati della Sfinge solo quando avessero risolto il suo enigma; per questo spesso si riunivano a discuterne il significato, ma siccome non ci riuscivano, la Sfinge ogni volta prendeva uno di loro e se lo mangiava. Molti erano già finiti così, e per ultimo anche Emone, il figlio di Creonte. Allora Creonte fece un bando: chi fosse riuscito a sciogliere l'enigma della Sfinge avrebbe avuto il regno e la vedova di Laio in sposa. Edipo ascoltò l'enigma della Sfinge e riuscì a risolverlo: la soluzione era «l'uomo». Infatti da bambino ha quattro piedi, perché cammina a quattro zampe; da adulto due piedi; e da vecchio tre, perché si appoggia al bastone. La Sfinge allora si gettò giù dalla rocca, mentre Edipo ebbe il regno e senza saperlo sposò sua madre, ed ebbe da lei due figli maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Ismene e Antigone. Ma c' è chi sostiene che i figli li ebbe insieme a Eurigania, figlia di Iperfante. Quando in seguito venne alla luce tutto ciò che era successo, Giocasta si impiccò, ed Edipo si accecò e venne scacciato da Tebe: fu allora che lanciò una maledizione contro i suoi figli, colpevoli di non avergli dato nessun aiuto, pur vedendo che lo bandivano dalla città. Allora insieme ad Antigone arrivò a Colono, in Attica, dove c'è il recinto sacro delle Eumenidi; lì si fermò come supplice, con l'ospitalità di Teseo, e poco tempo dopo morì.Eteocle e Polinice si accordarono per la successione al trono, e decisero che avrebbero regnato un anno ciascuno. Alcuni sostengono che il primo a prendere il potere fu Polinice, e che dopo un anno passò lo scettro a Eteocle, altri invece che il primo fu Eteocle, il quale si rifiutò poi di cedere il regno al fratello. Polinice, bandito da Tebe, arrivò ad Argo, con la collana e il peplo. Ad Argo regnava Adrasto, figlio di Talao; Polinice arrivò al palazzo di Adrasto di notte, e subito si azzuffò con Tideo, figlio di Eneo, esule da Calidone. A quell'improvviso strepito, Adrasto accorse e li separò; e ricordandosi di un oracolo che gli aveva detto di aggiogare le figlie a un cinghiale e a un leone, li scelse come generi: i loro scudi, infatti, portavano incise uno la testa di un cinghiale, e l'altro quella di un leone. Tideo sposò Deipile, e Polinice Argia, e a entrambi Adrasto promise che li avrebbe reinsediati nella loro patria. Decise di intraprendere per prima una spedizione contro Tebe, e radunò i capi argivi. Ma Anfiarao, figlio di Oicleo, che era un indovino e aveva previsto che tutti i partecipanti alla guerra sarebbero morti, tranne Adrasto, si mostrò riluttante e scoraggiò anche gli altri. Polinice andò da Ifi, figlio di Alettore, e gli chiese di insegnargli come costringere Anfiarao a combattere: e questi gli disse di dare la collana a Erifile. Anfiarao aveva proibito a Erifile di accettare doni da Polinice, ma Polinice regalò a Erifile la collana, pregandola di convincere Anfiarao a partecipare alla guerra. La decisione spettava a lei, perché una volta Anfiarao aveva avuto una lite con Adrasto, ed Erifile li aveva riconciliati: in quell'occasione aveva giurato, in caso di future divergenze con Adrasto, di rimettersi sempre a lei per ogni decisione. Quando dunque si dovette decidere se far guerra a Tebe o meno, Adrasto era a favore e Anfiarao contro; ma Erifile, che aveva accettato la collana, lo convinse a intraprendere la guerra insieme ad Adrasto. Anfiarao dunque fu costretto a partecipare alla guerra, ma lasciò disposizione ai suoi figli che, quando avessero raggiunto la maggiore età, uccidessero la madre e venissero a combattere a Tebe. Adrasto radunò un esercito con sette comandanti, e partì per la guerra contro Tebe. I comandanti erano: Adrasto, figlio di Talao; Anfiarao, figlio di Oicleo; Capaneo, figlio di Ipponoo; Ippomedonte, figlio di Aristomaco, o di Talao secondo alcuni; questi erano di Argo. Di Tebe invece Polinice, figlio di Edipo; Tideo, figlio di Eneo, era dell'Etolia; Partenopeo, figlio di Melanione, era dell' Arcadia. Alcuni non comprendono nell'elenco dei sette Tideo e Polinice, e vi aggiungono invece Eteoclo, figlio di Ifi, e Mecisteo. Giunti a Nemea, dove regnava Licurgo, cercarono dell'acqua. E la strada per la sorgente gliela indicò Ipsipile: lasciando solo per un momento il piccolo Ofelte ancora in fasce, il figlo di Euridice e Licurgo, affidato a lei come nutrice. Quando le donne di Lemno, infatti, si erano accorte che Ipsipile aveva salvato Toante, lui lo avevano ucciso, e lei l'avevano venduta come schiava; comprata da Licurgo, faceva la serva nella sua casa. Ma mentre mostrava la sorgente ai soldati, il bambino, lasciato incustodito, fu ucciso da un serpente. Gli uomini di Adrasto, ritornando dalla fonte, uccisero il serpente e seppellirono il bambino. Anfiarao disse che l'evento era una premonizione del loro futuro: così chiamarono Archemoro il bambino morto, che significa «colui che dà inizio alla sventura». E in suo onore istituirono i Giochi Nemei: Adrasto vinse la gara dei cavalli, Eteoclo la corsa, Tideo il pugilato, Anfiarao il salto e il disco, Laodoco il giavellotto, Polinice la lotta, e Partenopeo il tiro con l'arco. Quando arrivarono al Citerone, inviarono Tideo come ambasciatore da Eteocle, per invitarlo a lasciare il regno a Polinice, secondo i loro accordi. Ma Eteocle rifiutò, e Tideo sfidò a duello tutti i capi tebani, e li vinse tutti. Allora mandarono cinquanta uomini in armi per tendergli un'imboscata mentre ritornava al campo; ma Tideo li uccise tutti, tranne Meone, e raggiunse il suo esercito. Gli Argivi si armarono e si avvicinarono alle mura della città, e ciascun comandante si pose davanti a una delle sette porte: Adrasto davanti alla porta Omoloide; Capaneo davanti alla Ogigia; Anfiarao davanti alla Pretide; Ippomedonte davanti alla Oncaida; Polinice davanti alla Ipsista; Partenopeo davanti alla Elettra; e Tideo davanti alla Crenida. Anche Eteocle armò i Tebani, dispose anch'egli sette comandanti davanti alle sette porte, e chiese un oracolo che gli rivelasse come sconfiggere i nemici. A Tebe viveva l'indovino Tiresia, figlio di Evere e della Ninfa Cariclo - della famiglia di Udeo, uno degli Sparti -, che era cieco. Di come subì questa menomazione e di come acquistò la facoltà profetica, si raccontano storie diverse. Alcuni infatti sostengono che Tiresia fu accecato dagli Dèi, quando rivelò agli uomini cose che essi volevano tenere segrete; ma Ferecide dice che fu accecato da Atena. Al tempo in cui Cariclo era la prediletta di Atena ...... Tiresia vide la Dea tutta nuda: Atena allora gli pose le mani sugli occhi e lo rese cieco. Cariclo implorò la Dea di rendere la vista a suo figlio, ma ormai era impossibile: in compenso, Atena gli lavò le orecchie, e questo gli permise di capire tutte le voci degli uccelli; poi gli diede un bastone di corniolo, con il quale camminare come se ci vedesse. Esiodo racconta invece che un giorno Tiresia vide sul monte Cillene due serpenti che si aggrovigliavano in amore: li ferì, e da uomo che era divenne donna, ma poi, avendo visto una seconda volta gli stessi serpenti aggrovigliati in amore, di nuovo ritornò uomo. Una volta Zeus ed Era discutevano se nell'amore

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fosse più grande il piacere dell'uomo o della donna, e lasciarono a Tiresia la decisione. E Tiresia disse che, dividendo in dieci il piacere dell'amore, l'uomo godeva uno e la donna nove. Per questo Era lo accecò, e Zeus gli donò in cambio il potere profetico. "Così disse Tiresia a Zeus e a Era: di dieci parti, l'uomo ne gode una sola, ma la donna nel piacere del suo cuore arriva a dieci." E Tiresia visse fino a tardissima età. Egli dunque aveva predetto ai Tebani che avrebbero vinto se Meneceo, figlio di Creonte, si fosse offerto in sacrificio ad Ares. Sentito questo, Meneceo si sgozzò davanti alle porte. Iniziata la battaglia, i Cadmei furono ricacciati indietro fino alle mura, e Capaneo prese una scala e tentò di scalare le mura: ma Zeus lo fulminò. Gli Argivi allora si ritirarono. Quando molti ormai erano i morti, per decisione di entrambi gli eserciti Eteocle e Polinice si affrontarono in duello per il regno, e si uccisero a vicenda. Ma di nuovo si riaccese un'aspra battaglia, e i figli di Astaco dimostrarono un grande valore: Ismaro uccise Laomedonte, Leade uccise Eteoclo, Anfidico uccise Partenopeo. Euripide invece dice che Partenopeo fu ucciso da Periclimeno, figlio di Poseidone. Melanippo, il più giovane dei figli di Astaco, ferì Tideo al ventre. Mentre giaceva ormai in fin di vita, Atena, su richiesta di Zeus, gli portò un filtro, che l'avrebbe reso immortale. Ma Anfiarao se ne accorse, e poiché odiava Tideo - dato che contro il suo parere aveva convinto gli Argivi a far guerra contro Tebe -, tagliò la testa di Melanippo, che Tideo, nonostatnte la ferita aveva ucciso, e gliela diede: Tideo la spaccò e mangiò il cervello. Come Atena lo vide, disgustata, gli negò il filtro della salvezza. Anfiarao fuggì lungo il fiume Ismeno, e stava per essere colpito alla schiena da Periclimeno, ma Zeus lanciò un fulmine e spaccò la terra. E Anfiarao sparì, insieme al suo carro e all'auriga, Batone o, secondo altri, Elato: e Zeus lo rese immortale. Solo Adrasto fu salvato dal suo cavallo, Arione, che era nato da Poseidone e Demetra, quando la Dea si era unita a lui sotto forma di Erinni. Creonte prese il potere in Tebe, gettò via insepolti i cadaveri degli Argivi, emise un bando che vietava di seppellirli, e vi pose delle guardie. Antigone, una delle figlie di Edipo, di nascosto rubò il corpo di Polinice e lo seppellì, ma fu scoperta da Creonte stesso e sepolta viva nella tomba. Adrasto giunse ad Atene, si rifugiò presso l'Altare della Pietà, e preso in mano il bastone dei supplici implorò che i suoi morti venissero sepolti. Gli Ateniesi allora combatterono insieme a Teseo, presero Tebe, e diedero i morti ai loro familiari perché li seppellissero. Mentre la pira di Capaneo bruciava, la sua sposa, Evadne, figlia di Ifi, si buttò nel fuoco e bruciò insieme a lui. Dieci anni dopo, i figli dei guerrieri caduti, chiamati Epigoni, decisero di far guerra a Tebe per vendicare la morte dei loro padri. Consultarono l'oracolo, e il Dio profetizzò che avrebbero vinto sotto il comando di Alcmeone. Alcmeone non voleva mettersi a capo della spedizione prima di punire sua madre; tuttavia acconsentì, perché Tersandro, figlio di Polinice, donò a Erifile il peplo, e la donna convinse i suoi figli a combattere. E dunque marciarono contro Tebe, con a capo Alcmeone. Ecco i nomi dei combattenti: Alcmeone e Anfiloco, figli di Anfiarao; Egialeo, figlio di Adrasto; Diomede, figlio di Tideo; Promaco, figlio di Partenopeo; Stenelo, figlio di Capaneo; Tersandro, figlio di Polinice; Eurialo, figlio di Mecisteo. Prima saccheggiarono i villaggi del contado, poi, quando i Tebani avanzarono sotto il comando di Laodamante, figlio di Eteocle, combatterono valorosamente. Laodamante uccise Egialeo, e Alcmeone uccise Laodamante. Dopo la morte del loro capo, i Tebani fuggirono verso le mura. Tiresia gli aveva consigliato di inviare agli Argivi un messaggero per trattare la resa, e di fuggire. I Tebani allora inviarono il messaggero ai nemici, caricarono donne e bambini sui carri, e fuggirono dalla città. Di notte arrivarono alla sorgente chiamata Tilfussa, Tiresia bevve la sua acqua e morì. I Tebani viaggiarono a lungo, poi costruirono la città di Estiea, e vi si stabilirono. Gli Argivi, quando si accorsero della fuga dei Tebani, entrarono in città, raccolsero il bottino e rasero al suolo le mura. Una parte del bottino di guerra, compresa Manto, la figlia di Tiresia, venne mandata a Delfi come dono ad Apollo, perché avevano promesso in voto al Dio, se si fossero impadroniti di Tebe, di dedicargli la parte migliore del bottino. Dopo la presa di Tebe, quando Alcmeone venne a sapere che sua madre Erifile si era di nuovo lasciata corrompere anche a suo danno, si indignò ancora di più, e su consiglio dell'oracolo di Apollo la uccise. Alcuni dicono che Alcmeone uccise Erifile insieme al fratello Anfiloco, altri invece che agì da solo. E da allora l'Erinni del matricidio lo perseguitò, e Alcmeone, in preda alla follia, si rifugiò in Arcadia, da Oicleo, e poi a Psofi, da Fegeo. Il re lo purificò e gli diede in sposa sua figlia Arsinoe: a lei Alcmeone regalò il peplo e la collana. Ma tempo dopo, ancora per causa sua, la terra divenne sterile, e l'oracolo del Dio ordinò ad Alcmeone di andare al fiume Acheloo, e di aspettare da lui una nuova decisione. E Alcmeone partì. Prima fu ospitato da Eneo, a Calidone, e poi arrivò in terra di Tesprozia, dove però fu scacciato. Finalmente arrivò alle sorgenti dell'Acheloo, il fiume lo purificò e gli diede in sposa sua figlia Calliroe. Alcmeone colonizzò la terra che l'Acheloo aveva formato con la sua corrente, e vi si stabilì. Ma Calliroe desiderava possedere il peplo e la collana, e si rifiutò di vivere con lui se non glieli avesse donati. Allora Alcmeone tornò a Psofi, e disse a Fegeo di aver ricevuto un responso: egli si sarebbe liberato dalla follia solo se avesse dedicato a Delfi la collana e il peplo. Fegeo gli credette e gli consegnò gli oggetti. Ma un servo fece la spia e rivelò che doveva portarli a Calliroe: allora Fegeo ordinò ai suoi figli di tendergli un'imboscata, e quelli lo uccisero. Arsinoe li disprezzò per quanto avevano fatto, e allora i figli di Fegeo la chiusero in una cassa, la mandarono a Tegea e la diedero come schiava ad Agapenore, accusandola falsamente di essere lei l'assassina di Alcmeone. Quando Calliroe seppe dell'assassinio di Alcmeone, chiese a Zeus, che era innamorato di lei, di far sì che i bambini avuti da Alcmeone diventassero subito adulti, per poter vendicare la morte del padre. E subito i bambini divennero uomini, e partirono per rendere giustizia al padre. In quel momento, i figli di Fegeo, Pronoo e Agenore, diretti a Delfi per dedicare al Dio la collana e il peplo, facevano sosta presso Agapenore, e così anche i figli di Alcmeone, Anfotero e Acarnano. Essi dunque uccisero gli assassini del padre, poi andarono a Psofi, entrarono nella reggia, e uccisero anche Fegeo e sua moglie. Furono inseguiti fino a Tegea, ma i Tegeati e alcuni Argivi li aiutarono e riuscirono a salvarli, e gli Psofidi furono messi in fuga. Dopo aver rivelato alla madre tutta la storia, essi andarono a Delfi e dedicarono al Dio la collana e il peplo, per ordine dell'Acheloo. Poi attraversarono l'Epiro, raccolsero molti

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abitanti e colonizzarono l'Acarnania. Euripide racconta che durante il periodo della sua follia Alcmeone ebbe due figli da Manto, la figlia di Tiresia, il maschio Anfiloco e la femmina Tisifone; portò i bambini a Corinto e li diede da allevare a Creonte, il re della città. Ma la moglie di Creonte, gelosa della straordinaria bellezza di Tisifone, la vendette come schiava, nel timore che Creonte la volesse fare sua sposa. Alcmeone la comprò come schiava, senza sapere che era sua figlia, poi tornò a Corinto per riavere i suoi figli, e portò via il maschio. Anfiloco poi, per ordine dell'oracolo di Apollo, colonizzò Argo Anfilochia.Ma torniamo adesso a Pelasgo, che Acusilao dice figlio di Zeus e Niobe, come anche noi abbiamo affermato, e che invece Esiodo sostiene essere nato da Gea. Da Melibea, figlia di Oceano, o, come dicono altri, dalla Ninfa Cillene, egli ebbe il figlio Licaone, che divenne re degli Arcadi, ebbe molte spose e generò cinquanta figli: Meleneo, Tesproto, Elice, Nittimo, Peucetio, Caucone, Mecisteo, Opleo, Macareo, Macedno, Oro, Policno, Aconte, Evemone, Anciore, Archebate, Carterone, Egeone, Pallante, Eumone, Caneto, Protoo, Lino, Coreto, Menalo, Teleboa, Fisio, Passo, Ptio, Licio, Alifero, Genetore, Bucolione, Socleo, Fineo, Eumete, Arpaleo, Porteo, Platone, Emone, Cinetone, Leonte, Arpalico, Ereo, Titana, Mantineo, Clitore, Stinfalo, Orcomeno ...... Essi superavano tutti gli uomini in superbia ed empietà. Ma Zeus li volle mettere alla prova: si travestì da mendicante e andò da loro. Essi gli diedero ospitalità, poi sgozzarono un bambino del paese, mescolarono le sue viscere alle carni del sacrificio, e gliele offrirono, su consiglio del fratello maggiore, Menalo. Zeus, disgustato, rovesciò la tavola, proprio nel luogo che ancora adesso si chiama Trapezunte, fulminò Licaone e i suoi figli, tranne Nittimo, il più piccolo, perché Gea lo fermò, prendendogli la mano destra e calmando la sua ira. Nittimo salì al trono, ma durante il suo regno avvenne il diluvio di Deucalione. E alcuni sostengono che il diluvio fu causato proprio dall'empietà dei figli di Licaone. Eumelo, e altri ancora, dicono che Licaone aveva anche una figlia, Callisto; ma Esiodo afferma che Callisto era una delle Ninfe, Asio dice che era figlia di Nitteo, e Ferecide che era figlia di Ceteo. Callisto era compagna di caccia di Artemide, portava la sua stessa veste, e insieme a lei aveva giurato di rimanere vergine. Ma Zeus si innamorò di lei e la violentò, dopo aver preso l'aspetto di Artemide, dicono alcuni, o di Apollo. E per nascondere il fatto a Era, trasformò la fanciulla in orsa. Ma Era convinse Artemide a colpire con le sue frecce quella bestia selvaggia. C'è anche chi dice che la Dea uccise la fanciulla perché non si era mantenuta vergine. Morta Callisto, Zeus rapì il suo bambino, lo portò in Arcadia perché Maia lo allevasse, e lo chiamò Arcade: e Callisto fu trasformata in costellazione, quella dell'Orsa. Arcade ebbe due figli, Elato e Afida, da Leanira, figlia di Amida, o forse da Meganira, figlia di Croco, oppure, secondo Eumelo, dalla Ninfa Crisopelia. I due figli si divisero il territorio, ma il potere andò interamente a Elato, che sposò Laodice, figlia di Cinira, ed ebbe i figli Stinfalo e Pereo; Afida invece ebbe il maschio Aleo e la femmina Stenebea, che andò sposa a Preto. Dalla sposa Neera, figlia di Pereo, Aleo ebbe una figlia, Auge, e due maschi, Cefeo e Licurgo. Auge fu sedotta da Eracle, e nascose il suo bamùbino nel recinto sacro di Atena, di cui era sacerdotessa. Ma la terra rimase sterile, e l'oracolo rivelò che questo era dovuto a una qualche empietà nel recinto sacro di Atena; Auge fu scoperta dal padre e consegnata a Nauplio perché la uccidesse; ma Nauplio la diede a Teutrante, re di Misia, che la sposò. Il bambino fu esposto sul monte Partenio, ma una cerva lo allattò, e per questo venne chiamato Telefo. Fu allevato dai pastori di Corinto, e poi andò a Delfi, per avere notizie dei suoi veri genitori: il Dio gli rivelò la verità, e allora Telefo andò in Misia e divenne figlio adottivo di Teutrante. Quando questi morì, gli succedette al trono. Da Cleofile, o forse da Eurinome, Licurgo ebbe quattro figli, Anceo, Epoco, Anfidamante e Iaso. Anfidamante ebbe il maschio Melanione e la femmina Antimache, che andò sposa a Euristeo. Da Climene, figlia di Minia, Iaso ebbe la figlia Atalanta. Il padre aveva esposto la bambina, perché voleva dei figli maschi, ma un'orsa passava spesso di lì e la allattava, fino a che non la trovarono dei cacciatori e la allevarono presso di loro. Diventata adulta, Atalanta si conservò vergine, e passava il tempo cacciando in luoghi solitari, sempre in armi. Un giorno due centauri, Reco e Neo, cercarono di violentarla, ma la fanciulla li trafisse con le sue frecce e li uccise. E persino partecipò, insieme agli uomini più nobili di tutta l'Ellade, alla caccia del Cinghiale Calidonio; e prese parte anche ai giochi in onore di Pelia, dove combatté con Peleo e lo vinse. Quando ormai aveva scoperto i suoi genitori, il padre voleva convincerla a sposarsi; allora Atalanta andò nello stadio, vi piantò nel mezzo un palo di tre cubiti, e sfidò i suoi pretendenti a una gara di corsa fino a questo traguardo: e lei avrebbe corso armata. Chi non fosse riuscito a raggiungerla, sarebbe morto; e chi invece l'avesse raggiunta, l'avrebbe avuta in sposa. Molti ormai erano morti così, quando Melanione, innamorato di lei, venne alla corsa, portando tre mele d'oro, dono di Afrodite; e durante la gara, le gettò. E la fanciulla si fermò a raccoglierle, fu sconfitta, e Melanione poté sposarla. Si racconta anche che una volta, durante la caccia, essi entrarono nel recinto sacro di Zeus, e si unirono in amore in quel posto: subito vennero trasformati in leoni. Esiodo, e anche altri, dicono che Atalanta non era figlia di Iaso, ma di Scheneo; Euripide invece dice che era figlia di Menalo, e che sposò non Melanione ma Ippomene. Da Melanione, o forse da Ares, Atalanta ebbe il figlio Partenopeo, che partecipò alla spedizione contro Tebe. Atlante e Pleione, figlia di Oceano, ebbero sul monte Cillene in Arcadia sette figlie, chiamate le Pleiadi: Alcione, Merope, Celeno, Elettra, Sterope, Taigete e Maia. Sterope andò sposa a Enomao, e Merope a Sisifo. Poseidone si unì in amore a due di loro, prima con Celeno, da cui ebbe il figlio Lico, che il Do portò a vivere nelle Isole dei Beati; e poi con Alcione, da cui ebbe una figlia, Etusa - quella che diede ad Apollo la figlia Eleutere -, e due figli, Irieo e Iperenore. Irieo ebbe i figli Nitteo e Lico dalla Ninfa Clonia; Nitteo ebbe Antiope da Polisso; e Antiope ebbe da Zeus i gemelli Zeto e Anfione. E Zeus si unì in amore alle altre figlie di Atlante. Maia, la maggiore, si unì a Zeus, e in una grotta del monte Cillene partorì Ermes. Il bambino era ancora in fasce nella culla, quando saltò fuori, andò in Pieria, e rubò le vacche che pascolava Apollo. Per non essere tradito dalle impronte, legò alle loro zampe delle specie di calzari, le portò a Pilo e le nascose in una grotta; ma due le sacrificò, inchiodò le pelli alle rocce, e la carne in parte la bollì e se la mangiò, e in

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parte invece la bruciò. Poi in tutta fretta tornò al Cillene. E davanti alla sua grotta trovò una tartaruga che mangiava l'erba. La prese, la svuotò, adattò al guscio delle corde fatte con i tendini delle bestie uccise, e così costruì una lira e inventò anche il plettro. Apollo, in cerca delle sue vacche, arrivò a Pilo e interrogò la gente che abitava lì. Gli dissero che avevano visto un bambino guidare delle vacche, ma non sapevano dirgli dove le aveva portate, perché non si vedevano impronte. Con la sua arte mantica, Apollo scoprì chi era il ladro, andò al Cillene da Maia, e accusò Ermes. E Maia gli fece vedere che era un bambino ancora in fasce. Ma Apollo lo portò di fronte a Zeus e lo accusò per il furto delle vacche. Zeus ingiunse a Ermes di restituirle, il bambino negò tutto, ma non venne creduto e dovette condurre Apollo a Pilo e restituirgli il bestiame. Ma poi Apollo ascoltò il suono della lira, e in cambio di quella diede a Ermes le sue vacche. Allora Ermes si mise a pascolarle, e intanto costruì uno zufolo e si mise a suonarlo. Apollo desiderò possedere anche quello, egli diede in cambio la verga d'oro che usava per guidare le sue mandrie. In cambio dello zufolo, però, Ermes voleva non solo la verga, ma anche l'arte della divinazione: così Apollo lo accontentò, egli insegnò la divinazione con le sorti. E Zeus lo nominò messaggero suo e degli Dèi Inferi. Taigete ebbe da Zeus il figlio Lacedemone, che diede il suo nome alla regione di Lacedemone, appunto. Lacedemone e Sparta, figlia di Eurota (a sua volta figlio di Lelego, nato da Gea, e della Ninfa Naiade Cleocaria), generarono Amicla ed Euridice, che andò sposa ad Acrisio. Amicla e Diomeda, figlia di Lapite, generarono Cinorte e Giacinto. È questo, dicono, il Giacinto di cui Apollo era innamorato, e che uccise involontariamente lanciando il disco. Cinorte ebbe il figlio Periere, che sposò Gorgofone, figlia di Perseo - come dice Stesicoro: "Gorgofone partorì Tindareo, Icario, Afareo e Leucippo. Afareo e Arene, figlia di Ebalo, ebbero i figli Linceo, Ida e Fiso"; ma in genere si dice che Ida era figlio di Poseidone. Linceo aveva una vista straordinariamente acuta, tanto che poteva vedere anche sotto terra. Leucippo ebbe due figlie, Ilaira e Febe, che furono rapite e sposate dai Dioscuri. Dopo le prime due, Leucippo ebbe anche Arsinoe, che si unì ad Apollo e partorì Asclepio. Alcuni dicono che Asclepio non era figlio di Arsinoe, figlia di Leucippo, ma di Coronide, figlia di Flegia di Tessaglia. Apollo, dicono, si innamorò di lei e subito la fece sua; ma la fanciulla, seguendo il consiglio di suo padre, andò ad abitare insieme a Ischi, fratello di Ceneo. Apollo maledisse il corvo che gli aveva raccontato la faccenda, e da bianco che era lo fece diventare nero. Poi uccise Coronide. Mentre la fanciulla veniva bruciata, Apollo strappò dal fuoco il suo bambino e lo portò al centauro Chirone, che lo allevò e lo istruì nell'arte della medicina e della caccia. Asclepio divenne medico, e tanto progredì nella sua professione che presto riuscì non solo a salvare molti dalla morte, ma addirittura a far resuscitare gente già morta. Atena infatti gli aveva dato il sangue sgorgato dalle vene della Gorgone: con il sangue sprizzato dalle vene di sinistra poteva provocare la morte della gente, con quello delle vene di destra poteva restituire la salute - e proprio questo usava per risvegliare i morti. Io ho trovato i nomi di alcuni personaggi di cui si dice siano stati resuscitati da Asclepio: si tratta di Capaneo e Licurgo, come dice Stesicoro nell'"Erifile"; Ippolito, come dice l'autore dei "Naupacifica"; Tindareo, come dice Paniassi; Imeneo, come dicono gli Orfici; Glauco, figlio di Minosse, come dice Melesagora. Ma Zeus, preoccupato che gli uomini se la cavassero ormai da soli - se bastava Asclepio per guarirli -, lo colpì con il suo fulmine. Apollo s'infuriò, e uccise i Ciclopi, che avevano fabbricato il fulmine di Zeus. E Zeus allora stava per gettare Apollo nel Tartaro, ma Leto intercedette per lui: e la punizione di Apollo fu di servire un mortale per un anno come lavoratore alla giornata. Così Apollo andò a Fere nella casa di Admeto, figlio di Ferete, e lavorò come pastore: grazie a lui, tutte le vacche partorirono dei gemelli. Alcuni sostengono che Mareo e Leucippo erano figli di Periere, il figlio di Eolo; e che Cinorte generò Periere, Periere generò Ebalo, Ebalo generò Tindareo, Ippocoonte e Icario dalla Ninfa Naiade Bacia. Ippocoonte ebbe molti figli: Doricleo, Sceo, Enaroforo, Eutiche, Bucolo, Liceto, Tebro, Ippotoo, Eurito, Ippocoriste, Alcino e Alcone. Con l'aiuto dei suoi figli Ippocoonte scacciò Icario e Tindareo da Lacedemone. Essi si rifugiarono presso Testio, e lo aiutarono nella guerra contro i suoi vicini di confine. E Tindareo sposò Leda, figlia di Testio. Quando poi Eracle uccise Ippocoonte e i suoi figli, Icario e Tindareo tornarono a Lacedemone, e Tindareo salì al trono. Icario e la Ninfa Naiade Peribea ebbero cinque maschi - Toante, Damasippo, Imeusimo, Alete e Perileo - e una femmina, Penelope, che andò in sposa a Odisseo. Tindareo e Leda ebbero tre figlie: Timandra, che andò sposa a Echemo; Clitennestra, che andò sposa ad Agamennone; e poi Filonoe, che Artemide rese immortale. Ma Zeus si unì a Leda sotto forma di cigno, e nella stessa notte si unì a lei anche lo sposo Tindareo: e Leda ebbe Polideuce ed Elena da Zeus, e Castore e Clitennestra da Tindareo. Alcuni però dicono che Elena fosse figlia di Zeus e Nemesi. Un giorno Nemesi, per fuggire alla violenza di Zeus, si tramutò in oca; allora Zeus si tramutò in cigno, e si unì a lei. E Nemesi depose un uovo; un pastore lo trovò fra i cespugli e lo portò a Leda. Leda lo conservò in una cassa; e al tempo debito dall'uovo nacque Elena, che Leda allevò come figlia sua. La fanciulla divenne straordinariamente bella, allora Teseo la rapì e la portò ad Afidna. Mentre Teseo si trovava nell'Ade, Castore e Polideuce assalirono la città e se ne impadronirono, presero Elena e portarono via come prigioniera la madre di Teseo, Etra. Tutti i re dell'Ellade arrivarono a Sparta per chiedere Elena in sposa. Ecco i nomi di tutti i pretendenti: Odisseo, figlio di Laerte; Diomede, figlio di Tideo; Antiloco, figlio di Nestore; Agapenore, figlio di Anceo; Stenelo, figlio di Capaneo; Anfimaco, figlio di Cteato; Talfio, figlio di Eurito; Megete, figlio di Fileo; Anfiloco, figlio di Anfiarao; Menesteo, figlio di Peteo; Schedio ed Epistrofo, figli di Ifito; Polisseno, figlio di Agastene; Peneleo, figlio di Ippalcimo; Leito, figlio di Alettore; Aiace, figlio di Oileo; Ascalafo e Ialmeno, figli di Ares; Elepenore, figlio di Calcodonte; Eumelo, figlio di Admeto; Polipete, figlio di Perito; Leonteo, figlio di Corono; Podalirio e Macaone, figli di Asclepio; Filottete, figlio di Peante; Euripilo, figlio di Evemone; Protesilao, figlio di Ificlo; Menelao, figlio di Atreo; Aiace e Teucro, figli di Telamone; Patroclo, figlio di Menezio. Al vedere tutta questa massa di pretendenti, Tindareo ebbe timore che, a sceglierne uno, tutti gli altri gli avrebbero dato contro. Allora Odisseo gli promise, a patto che Tindareo l'avesse aiutato a ottenere la mano di Penelope, di insegnargli una maniera per non farli litigare. Tindareo accettò, e

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Odisseo gli suggerì di imporre a tutti i pretendenti un giuramento: di difendere sempre lo sposo prescelto, se avesse subito ingiustizia da qualcuno a causa delle sue nozze. Tindareo fece giurare i pretendenti, scelse come sposo di Elena Menelao, e chiese a Icario la mano di Penelope per Odisseo. Menelao ebbe da Elena la figlia Ermione, e secondo alcuni anche il figlio Nicostrato; dalla schiava Pieride, nata in Etolia, o forse da Tereide, come dice Acusilao, ebbe il figlio Megapente; e dalla Ninfa Cnossia, secondo Eumelo, ebbe il figlio Senodamo. Dei figli di Leda, Castore praticò l'arte della guerra, e Polideuce quella del pugilato: e per il loro valore ebbero il nome comune di Dioscuri. Essi volevano sposare le figlie di Leucippo, e così le rapirono da Messene e le sposarono: Polideuce ebbe da Febe il figlio Mnesileo, e Castore ebbe Anogone da Ilaira. Un giorno portarono via dall'Arcadia un grosso bottino di bestiame, insieme a Ida e Linceo, i figli di Afareo, e incaricarono Ida di fare le parti. Ida tagliò una bestia in quattro parti, e disse che chi avesse mangiato più in fretta la sua parte avrebbe potuto scegliere metà del bottino, e il secondo avrebbe avuto il resto. Battendo tutti sul tempo, Ida ingollò la sua parte, e poi anche quella del fratello, e insieme a lui si portò a Messene il bestiame. Ma i Dioscuri attaccarono Messene, ripresero le mandrie e molto altro bottino. Poi tesero un'imboscata a Ida e Linceo. Ma Linceo vide Castore, lo disse a Ida e questi lo uccise. Polideuce allora li inseguì, uccise Linceo con la sua lancia, poi si volse contro Ida, ma quello lo colpì alla testa con una pietra, facendolo cadere privo di sensi. Zeus allora incenerì Ida con il suo fulmine, e portò Polideuce in cielo. Polideuce però rifiutò l'immortalità, perché suo fratello Castore era morto, e Zeus concesse loro di trascorrere un giorno con gli Dèi e un giorno con i mortali, in alternanza. Quando i Dioscuri furono divinizzati, Tindareo fece venire Menelao a Sparta e gli affidò il trono.Elettra, figlia di Atlante, ebbe da Zeus i figli Iasione e Dardano. Iasione si innamorò di Demetra, cercò di disonorarla, ma fu ucciso da un fulmine. Dardano, addolorato per la morte del fratello, lasciò Samotracia e si trasferì sul continente antistante. Questa terra era governata da Teucro, figlio del fiume Scamandro e di una Ninfa dell'Ida: dal suo nome, anche gli abitanti della regione erano chiamati Teucri. Dardano fu accolto da Teucro, ebbe in sposa Batia, la figlia del re, e gli fu data una parte del territorio, dove fondò la città di Dardano: quando poi Teucro morì, chiamò Dardania l'intera regione. Ebbe due figli, Ilo ed Erittonio; ma Ilo morì senza discendenza, e il trono andò a Erittonio, che sposò Astioche, figlia del Simoenta, e generò il figlio Troo. Quando Troo succedette al trono del padre, dal suo nome chiamò Troia la regione, sposò Calliroe, figlia dello Scamandro, generò una femmina, Cleopatra, e tre maschi, Ilo, Assaraco e Ganimede. Ganimede era bellissimo: e Zeus lo fece rapire dalla sua aquila, e lo portò in cielo, dove gli diede il compito di coppiere degli Dèi. Assaraco sposò Ieromneme, figlia del Simoenta, e generò Capi; Capi sposò Temiste, figlia di Ilo, e generò Anchise: di lui si innamorò Afrodite, e dalla loro unione nacquero Enea e Liro, che morì senza figli. Ilo si trasferì in Frigia, partecipò ai giochi organizzati dal re di quel paese, e vinse la gara di lotta. Come premio ebbe cinquanta fanciulli e cinquanta fanciulle; e in più il re, seguendo il consiglio di un oracolo, gli diede una vacca pezzata, dicendogli di fondare una città nel luogo dove la vacca si fosse sdraiata a terra. E Ilo seguì la vacca. Quando l'animale arrivò alla collina chiamata Ate Frigia, si stese a terra: qui Ilo costruì una città, che chiamò Ilio. Poi invocò Zeus di mandargli un segno, e il giorno seguente vide davanti alla sua tenda il Palladio, inviato dal cielo. Era alto tre cubiti, e aveva le gambe unite; nella mano destra teneva una lancia alzata, nella sinistra una rocca e un fuso. Del Palladio si racconta la seguente storia. Quando nacque Atena, la Dea fu allevata da Tritone, che aveva una figlia, Pallade. Le due fanciulle si esercitavano insieme nell'arte della guerra; un giorno, mentre facevano una sfida amichevole e Pallade stava per tirare un colpo, Zeus si preoccupò per Atena, e abbassò il suo scudo per proteggerla: così Pallade si distrasse per la sorpresa, fu colpita da Atena e morì. E la Dea, angosciata per la morte dell'amica, fece una scultura di legno con il suo ritratto, le fissò davanti lo scudo che aveva impaurito la fanciulla, pose l'immagine vicino a Zeus e le tributò onori. Ma il giorno che Elettra, violata da Zeus, si rifugiò presso il Palladio, Zeus lo gettò nella regione di Ilio, insieme alla fanciulla; Ilo poi costruì un tempio per il Palladio, e gli rese grandi onori. Questa è la storia del Palladio. Ilo sposò Euridice, figlia di Adrasto, e generò il figlio Laomedonte, il quale sposò Strimo, figlia dello Scamandro (o forse Placia, figlia di Otreo, oppure Leucippe), ed ebbe cinque maschi - Titono, Lampo, Clizio, Icetaone e Podarce - e tre femmine - Esione, Cilla e Astioche; dalla Ninfa Calibe ebbe il figlio Bucolione. Di Titono si innamorò Eos, che lo rapì e lo portò in Etiopia, dove si unì a lui e gli diede due figli, Ematione e Memnone. Quando Ilio fu presa da Eracle - come abbiamo già raccontato -, il trono andò a Podarce, chiamato Priamo; egli sposò Arisbe, figlia di Meropo, ed ebbe il figlio Esaco; questi sposò Asterope, figlia di Cebreno, e quando la sposa morì tanto fu il suo dolore che venne tramutato in uccello. Priamo diede Arisbe in sposa a Irtaco, e si prese una seconda moglie, Ecuba, figlia di Dimante o di Cisseo, come alcuni sostengono, o forse figlia del fiume Sangario e di Metope. Ecuba partorì un primo figlio, Ettore. Ma quando stava per avere un secondo bambino, ebbe un sogno, in cui le parve di partorire una fiaccola accesa, e questa fiaccola appiccava il fuoco a tutta la città e la bruciava. Ecuba raccontò il suo sogno a Priamo, e questi lo diede da interpretare a suo figlio Esaco, che aveva imparato l'arte di spiegare i sogni da suo nonno Meropo. Esaco disse che il bambino che stava per nascere sarebbe diventato la rovina della città, e ordinò di esporlo. Priamo allora, quando il bambino nacque, lo affidò a un servo, perché lo esponesse sul monte Ida: questo servo si chiamava Agelao. Per cinque giorni il bambino esposto fu allattato da un'orsa; quando Agelao ritornò e lo trovò sano e salvo, lo tenne con sé in campagna e lo allevò come figlio suo, dandogli il nome di Paride. Quando diventò un giovanotto, Paride si distingueva fra tutti per la sua bellezza e la sua forza, tanto che venne chiamato Alessandro, perché un giorno riuscì a salvare il bestiame (alexo) mettendo in fuga i ladri. E poco tempo dopo scoprì i suoi veri genitori. Dopo di lui, Ecuba partorì quattro femmine: Creusa, Laodice, Polissena e Cassandra. Di Cassandra si innamorò Apollo, che per avere le sue grazie promise di insegnarle l'arte della profezia; così Cassandra imparò la mantica, ma continuò a negarsi al Dio. Apollo fece in modo che le sue profezie non

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venissero mai credute. Ecuba ebbe poi altri otto figli: Deifobo, Eleno, Pammone, Polite, Antifo, Ipponoo, Polidoro e Troilo. Quest'ultimo si dice fosse nato da Apollo. Ecco i nomi dei figli che Priamo ebbe da altre donne: Melanippo, Gorgitio, Filemone, Ippotoo, Glauco, Agatone, Chersidamante, Evagora, Ippodamante, Mestore, Ata, Doriclo, Licaone, Driope, Biante, Cromio, Astigono, Telesta, Evandro, Cebrione, Milio, Archemaco, Laodoco, Echefrone, Idomeneo, Iperione, Ascanio, Democoonte, Areto, Deiopite, Clonio, Echemmone, Ipiroco, Egeoneo, Lisitoo, Polimedonte. Ebbe anche quattro femmine: Medusa, Medesicaste, Lisimache e Aristodeme. Ettore sposò Andromaca, figlia di Eezione, e Alessandro sposò Enone, figlia del fiume Cebreno. Enone aveva appreso da Rea l'arte della profezia, e predisse ad Alessandro di non navigare per prendere Elena; ma non riuscì a persuaderlo. Allora aggiunse di tornare da lei, nel caso fosse rimasto ferito, perché lei sola avrebbe potuto curarlo. Quando poi rapì Elena e Troia fu assediata, Paride venne ferito da Filottete con le frecce di Eracle, e andò da Enone sull'Ida. Ma la sposa, memore dell'offesa subita, rifiutò di curarlo. Così Alessandro fu ricondotto a Troia e morì. Enone, intanto, si era pentita, e aveva portato a Troia i farmaci per guarire Alessandro: ma quando trovò lo sposo ormai morto si impiccò. Il fiume Asopo era figlio di Oceano e Teti, oppure, come dice Acusilao, di Pero e Poseidone, oppure ancora di Zeus ed Eurinome. A lui andò sposa Metope, figlia del fiume Ladone, che gli diede due figli, Ismeno e Pelagone, e venti figlie, una delle quali, Egina, fu rapita da Zeus. In cerca della figlia, Asopo arrivò a Corinto, dove seppe da Sisifo che il rapitore era Zeus. Allora Asopo lo inseguì, ma Zeus gli lanciò un colpo di fulmine e lo costrinse a rientrare nel suo solito corso - è da quel giorno che la corrente dell'Asopo trasporta carbone. Egina venne portata nell'isola che allora si chiamava Enone, e ora invece ha preso il nome della fanciulla, Egina; Zeus si unì a lei, e generò il figlio Eaco. Ma Eaco viveva solo nell'isola: e Zeus allora, per dargli compagnia, trasformò in uomini le formiche. Eaco sposò Endeide, figlia di Scirone, e dalla loro unione nacquero i figli Peleo e Telamone. Ferecide però sostiene che Telamone era l'amico di Peleo, non il fratello, e che era figlio di Atteo e Glauce, figlia di Cicreo. Eaco si unì anche a Psamate, figlia di Nereo, che si era tramutata in foca per sfuggire al suo amore; da essi nacque il figlio Foco. Eaco era l'uomo più devoto di tutti. Al tempo in cui l'Ellade soffrì di una grave siccità per colpa di Pelope - egli aveva fatto guerra a Stinfalo, re degli Arcadi, senza però riuscire a impadronirsi dell' Arcadia: allora finse di offrire al re la sua amicizia, e poi lo uccise, fece a pezzi il suo corpo e lo disperse -, a quel tempo, dunque, gli oracoli degli Dèi dissero che l'Ellade avrebbe avuto sollievo dai mali che la gravavano se Eaco avesse pregato per lei. Così Eaco pregò, e l'Ellade si salvò dalla siccità. Anche dopo la sua morte, Eaco ricevette onori nel regno di Ade, e furono affidate a lui le chiavi dell'Ade. Foco eccelleva particolarmente nelle gare atletiche, e per questo i suoi fratelli, Peleo e Telamone, tramarono contro di lui. La sorte toccò a Telamone, e in una gara ginnica con Foco gli scagliò il disco in testa e lo uccise; poi insieme a Peleo lo portarono via, e nascosero il suo corpo in un bosco. Ma l'assassinio fu scoperto, ed Eaco li bandì da Egina. Telamone riparò a Salamina, presso Cicreo, figlio di Poseidone e Salamina, a sua volta figlia di Asopo. Cicreo era diventato re dell'isola per aver ucciso un serpente che la devastava; non avendo discendenti, quando morì lasciò il trono a Telamone. Egli sposò Peribea, figlia di Alcato, figlio a sua volta di Pelope; e un giorno pregò Eracle perché gli nascesse un figlio maschio: alla sua preghiera, subito apparve un'aquila, e per questo il figlio che gli nacque venne chiamato Aiace. Telamone combatté contro Troia insieme ad Eracle, ed ebbe in premio Esione, figlia di Laomedonte, dalla quale gli nacque il figlio Teucro.Peleo invece andò in esilio a Ftia, presso Eurizione, figlio di Attore, che lo purificò, gli diede in sposa sua figlia Antigone, e gli affidò la terza parte del territorio. A Peleo nacque una figlia, Polidora, che andò sposa a Boro, figlio di Periere. Peleo lasciò Ftia insieme a Eurizione per partecipare alla caccia del Cinghiale Calidonio; ma, nel mirare al cinghiale, la sua lancia sbagliò il colpo, e uccise involontariamente Eurizione. Peleo fu bandito quindi anche da Ftia, e si rifugiò a Iolco, presso Acasto, che lo purificò. Partecipò ai giochi in onore di Pelia, e combatte contro Atalanta. Astidamia, la sposa di Acasto, si innamorò di lui, e gli mandò degli inviti per un incontro. Non riuscendo a sedurlo, riferì a sua moglie che Peleo stava per sposare anche Sterope, figlia di Acasto; a questa notizia, la donna si impiccò. Poi Astidamia calunniò Peleo anche presso Acasto, dicendo che aveva cercato di corromperla. E Acasto allora, che non voleva uccidere un uomo che lui stesso aveva purificato, lo portò sul monte Pelio, a una gara di caccia. A tutti gli animali che uccideva, Peleo tagliava la lingua e la metteva in una sacca; ma gli uomini di Acasto gli portarono via tutte le bestie uccise, e presero a deriderlo perché non aveva cacciato niente. Peleo allora tirò fuori le lingue degli animali, e disse che altrettante erano le bestie da lui uccise. Quando poi si addormentò, sul Pelio, Acasto lo lasciò solo e se ne andò, dopo avergli nascosto la spada in un mucchio di letame. Peleo si svegliò, cercò la sua spada, ma fu sorpreso dai Centauri: e certo l'avrebbero ucciso, se non l'avesse salvato Chirone. Fu ancora Chirone a ritrovare la sua spada e a restituirgliela. Peleo sposò Polidora, figlia di Periere. Dalla sposa, Peleo ebbe un figlio putativo, Menestio, il cui padre naturale era il fiume Spercheo. Poi sposò Tetide, la Nereide. Zeus e Poseidone si erano disputati la sua mano; ma quando Temi aveva profetizzato che da Tetide sarebbe nato un figlio molto più forte del padre, entrambi si erano ritirati. C'è chi racconta che al tempo in cui Zeus era preso da una grande passione per Tetide, Prometeo aveva predetto che il figlio nato da lei sarebbe diventato il re del cielo. Altri invece sostengono che Tetide rifiutava di unirsi a Zeus perché era stata allevata da Era: allora Zeus, adirato, volle che si sposasse con un uomo mortale. Chirone aveva consigliato a Peleo di afferrare Tetide e tenerla ben stretta anche se la Nereide avesse assunto strane forme; così Peleo la tenne d'occhio e poi la rapì: Tetide si trasformò in fuoco, in acqua e in belva, ma Peleo non lasciò la presa prima che la Nereide non avesse riacquistato il suo solito aspetto. E la sposò sul monte Pelio: alle loro nozze parteciparono tutti gli Dèi, cantando inni. Chirone regalò a Peleo una lancia di frassino, Poseidone i cavalli Balio e Xanto, che erano immortali. Quando Tetide partorì un bambino, decise di renderlo immortale, e così, di nascosto da Peleo, di notte metteva il bambino nel fuoco, per distruggere la parte mortale ricevuta dal padre, e poi di giorno lo ungeva d'ambrosia.

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Ma Peleo la spiò, vide il bambino che si contorceva nella fiamma, e gridò: Tetide fu costretta a interrompere il suo piano, lasciò a Peleo il bambino e tornò con le Nereidi. Peleo portò il bambino da Chirone. Il centauro lo nutrì con interiora di leone e di cinghiale e con midollo d'orso; e lo chiamò Achille (il suo nome prima era Ligirone), perché non aveva mai accostato le sue labbra a una mammella. Peleo, insieme a Giasone e ai Dioscuri, partecipò al saccheggio di Iolco; e uccise Astidamia, la sposa di Acasto, fece a pezzi il suo corpo e condusse l'esercito verso la città passando in mezzo a quei brandelli. Quando Achille aveva nove anni, Calcante predisse che Troia non sarebbe mai stata presa senza di lui. Tetide, sapendo che era Destino che suo figlio morisse combattendo, di nascosto lo vestì da femmina e lo affidò a Licomede, dicendogli che era una fanciulla. Così Achille fu allevato nel palazzo di Licomede, ma si unì in amore con una delle sue figlie, Deidamia, e gli nacque il figlio Pirro, che venne poi chiamato Neottolemo. Ma il nascondiglio di Achille fu scoperto, e Odisseo venne a cercarlo alla corte di Licomede: fece suonare le trombe di battaglia, e lo trovò. Così, Achille andò a Troia. E andò con lui Fenice, figlio di Amintore. Fenice era stato accecato da suo padre, perché la sua concubina, Ftia, l'aveva accusato falsamente di un tentativo di seduzione. Peleo allora lo portò da Chirone, che gli guarì gli occhi; poi Peleo l'aveva fatto re dei Dolopi. Achille era accompagnato anche da Patroclo, figlio di Menezio e Stenele, figlia di Acasto; o forse sua madre era Periopide, figlia di Ferete, o forse ancora, come dice Filocrate, Polimele, figlia di Peleo. A Opunte, in seguito a un litigio nel giocare a dadi, Patroclo aveva ucciso Clitonimo, figlio di Anfidamante; bandito insieme al padre, si rifugiò nel palazzo di Peleo, e divenne l'amato di Achille.Cecrope, figlio di Gea, con il corpo metà di uomo e metà di serpente, fu il primo re dell'Attica, e la regione che prima si chiamava Acte da lui prese il nome di Cecropia. In quel tempo, si racconta, gli Dèi decisero di dividersi le varie città, perche ogni Dio avesse il suo culto particolare in una determinata città. Il primo ad arrivare in Attica fu Poseidone; e con un colpo di tridente fece apparire nel mezzo dell'acropoli un mare, quello che adesso si chiama Eretteide. Dopo di lui giunse Atena, che chiamò Cecrope a testimone della sua presa di possesso della città, e vi piantò un ulivo, quello che ancora adesso viene fatto vedere nel Pandrosio. I due Dèi vennero a contrasto per il possesso di quella terra; Zeus li fece smettere, e chiamò dei giudici per risolvere la faccenda: ma essi non erano, come certi hanno detto, Cecrope e Cranao, oppure Erisittone, bensì i dodici Dèi. Il loro giudizio fu che la terra spettava ad Atena, perché Cecrope aveva testimoniato che lei per prima aveva piantato l'ulivo. Atena, dal suo nome, chiamò la città Atene; Poseidone, con l'animo pieno d'ira, allagò la pianura Triasia e fece sommergere dal mare tutta l'Attica. Cecrope sposò Agraulo, figlia di Atteo, ed ebbe un maschio, Erisittone, che morì senza figli; poi ebbe. tre femmine, Agraulo, Erse e Pandroso. Agraulo ebbe da Ares la figlia Alcippe. Alirronzio, figlio di Poseidone e della Ninfa Eurite, un giorno la violentò, ma Ares lo scoprì e lo uccise. Allora Poseidone citò Ares in giudizio: il Dio si presentò all'Areopago davanti ai dodici Dèi, ma fu prosciolto. Erse ebbe da Ermes il figlio Cefalo. Di Cefalo si innamorò Eos, che lo rapì e si unì in amore con lui in Siria. Dalla loro unione nacque il figlio Titono, che generò Fetonte, che a sua volta generò Astinoo, che a sua volta generò Sandoco, il quale dalla Siria si trasferì in Cilicia, dove fondò la città di Celenderi. Egli sposò Farnace, figlia di Megassare, re di Iria, ed ebbe il figlio Cinira. Cinira si trasferì a Cipro, insieme a parte della sua gente, e fondò la città di Pafo; lì sposò Metarme, figlia di Pigmalione, re di Cipro, ed ebbe i figli Ossiporo e Adone, e poi le figlie Orsedice, Laogore e Eresia. Le sue figlie, a causa dell'ira di Afrodite, si unirono a uomini stranieri, e terminarono la loro vita in Egitto. Adone, invece, era ancora un ragazzo quando, a causa dell'ira di Artemide, durante una caccia fu ferito da un cinghiale, e morì. Ma, secondo Esiodo, Adone era figlio di Fenice e Alfesibea; secondo Paniassi, invece, era il figlio che Tiante, re di Assiria, ebbe da sua  figlia Smirna. Afrodite, adirata contro Smirna che non le tributava dovuti onori, fece sì che si innamorasse di suo padre; con l'aiuto della nutrice, la fanciulla dormì per dodici notti insieme a suo padre, senza che questi la riconoscesse. Ma quando si accorse che era sua figlia, estrasse la spada e la inseguì, e lei, ormai alle strette, pregò gli Dèi di renderla invisibile. E gli Dèi ebbero compassione di Smirna, e la tramutarono in quella pianta che si chiama appunta smirna. Al decimo mese la pianta si spaccò, e nacque il bambino di nome Adone: era tanto bello che Afrodite, senza che gli Dèi lo sapessero, lo mise, ancora in fasce, dentro una cesta e lo affidò a Persefone perché lo nascondesse. Ma Persefone, quando lo vide così bello, non volle più ridarlo ad Afrodite. Allora, per decisione di Zeus, l'anno venne diviso in tre parti: e ordinò che Adone stesse da solo per un terzo dell'anno, per un altro terzo con Persefone, e l'ultimo terzo con Afrodite. Ma Adone rimase con lei anche per quella parte dell'anno in cui avrebbe dovuto star da solo. E poi, durante una caccia, fu ferito da un cinghiale e morì. Alla morte di Cecrope, il trono toccò a Cranao, che era nato da Gea: e questo avvenne al tempo del diluvio di Deucalione. Cranao sposò una donna di Lacedemone, Pediada, figlia di Mineta, ed ebbe tre figlie, Cranae, Cranecme e Attica; Attica morì ancara fanciulla, e Cranao chiamò Attica l'intera regione. Anfictione cacciò Cranao e occupò il trono; alcuni dicono che era figlio di Deucalione, altri invece che era nato da Gea. Dopo dodici anni di regno, fu cacciato da Erittonio. Alcuni dicono che Erittonio era figlio di Poseidone e Attide, la figlia di Cranao, altri invece che era figlio di Efesto e Atena. Le cose sarebbero andate nel modo seguente. Un giorno Atena si recò da Efesto per farsi forgiare delle armi: e il Dio, che era stato abbandonato da Afrodite, si sentì preso da un grande desiderio di Atena e cercò di inseguirla, ma lei fuggì. Quando con grande sforzo riuscì a raggiungerla (perché era zoppo), tentò di possederla, ma Atena, che era casta e vergine, si divincolò, ed Efesto eiaculò sulla coscia della Dea. Nauseata, Atena si ripulì dal seme con un bioccolo di lana, e lo gettò a terra. Poi fuggì; ma dal seme caduto a terra nacque Erittonio. Atena lo allevò di nascosto dagli altri Dèi, con l'intenzione di renderlo immortale; lo pose in una cesta e lo affidò a Pandroso, la figlia di Cecrope, con il divieto di aprire la cesta. Ma le sorelle di Pandroso la aprirono per curiosità, e videro un serpente che si avvinghiava intorno al bambino. Alcuni dicono che le fanciulle furono uccise da quel serpente; altri invece sostengono che Atena, adirata, le fece impazzire, tanto che si gettarono dall'acropoli. Erittonio allora fu allevato nel recinto sacro di Atena; poi cacciò

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Anfictione e divenne re di Atene. Fu lui a innalzare sull'acropoli la statua lignea di Atena e a istituire la festa delle Panatenee. Sposò Prassitea, una Ninfa Naiade, ed ebbe da lei il figlio Pandione. Quando Erittonio morì, venne sepolto nel recinto sacro di Atena, e Pandione divenne re, proprio al tempo in cui Demetra e Dioniso vennero in Attica. Ma Demetra venne accolta da Celeo a Eleusi, e Dioniso da Icario. Questi ricevette dal Dio un tralcio di vite, e imparò il modo di fare il vino. E volendo far partecipi tutti gli uomini dei doni del Dio, Icario andò da certi pastori, che assaggiarono la nuova bevanda e poi se ne versarono generosamente senza mescolarla all'acqua, perché gli sembrava deliziosa; ma poi pensarono che Icario li avesse avvelenati, e lo uccisero. La mattina dopo capirono cos'era successo, e lo seppellirono. Erigone, la figlia di Icario, andò a cercare il padre, e la cagna di casa, Mera, che aveva seguito il padrone, la portò al cadavere: allora Erigone pianse a lungo il padre, e poi si impiccò. Pandione sposò Zeussippe, sorella di sua madre, ed ebbe da lei due figlie, Procne e Filomela, e due gemelli, Eretteo e Bute. Un giorno scoppiò una guerra contro Labdaco per i confini del territorio, e Pandione chiamò come alleato dalla Tracia Tereo, figlio di Ares. Con l' aiuto di Tereo, la guerra si risolse a favore di Pandione, che gli diede in sposa sua figlia Procne, dalla quale ebbe il figlio Iti. Ma Tereo si innamorò di Filomela, e la sedusse, dicendole che Procne era morta, mentre l'aveva nascosta in campagna. Poi la sposò, la possedette, e le tagliò la lingua. Filomela allora ricamò delle lettere su un tessuto, e denunciò così a Procne la sua disgrazia. Procne andò a cercare la sorella, poi uccise il proprio figlioletto, Iti, lo cucinò, e lo offrì per cena all'inconsapevole Tereo. Poi fuggì in tutta fretta insieme alla sorella. Quando Tereo si accorse di quel che era successo, afferrò una scure e le inseguì. A Daulia in Focide, ormai braccate, esse pregarono gli Dèi di trasformarle in uccelli: Procne divenne un usignolo, Filomela una rondine. Anche Tereo fu trasformato in uccello, e divenne un'upupa. Quando Pandione morì, i suoi figli si divisero l'eredità paterna; Eretteo salì sul trono, e Bute divenne sacerdote di Atena ed Eretteo di Poseidone. Eretteo sposò Prassea, figlia di Frasimo e Diogenia (figlia a sua volta del Cefiso), e generò tre maschi, Cecrope, Pandoro e Metione, e quattro femmine, Procri, Creusa, Ctonia e Oritia, che fu rapita da Borea. Ctonia andò sposa a Bute; Creusa a Xuto; e Procri a Cefalo, fglio di Deione. In cambio di una corona d'oro, Procri andò a letto con Pteleone; ma Cefalo la scoprì, e la donna si rifugiò alla corte di Minosse. Minosse si innamorò di lei e cercò di sedurla. Ma, per qualunque donna si fosse giaciuta con Minosse, salvarsi era impossibile: perché Pasifae, dato che Minosse aveva sempre tante donne, gli aveva fatto una fattura, e ogni volta che si accostava a una donna diversa dalla sposa, Minosse le eiaculava nel ventre delle bestie velenose, e la poveretta moriva. Minosse possedeva un cane velocissimo e un giavellotto che non mancava mai il bersaglio; li donò a Procri e la donna si giacque con lui: ma prima gli aveva fatto bere un filtro preparato da Circe con una radice particolare, che impediva qualsiasi danno da parte di Minosse. Temendo in ogni caso la vendetta di Pasifae, Procri se ne andò ad Atene, si riconciliò con Cefalo e partecipò a una caccia insieme a lui, perché era una provetta cacciatrice. Procri seguì lo sposo fra i cespugli, e Cefalo, senza sapere che si trattava della donna, tirò il suo giavellotto, la colpì e la uccise. Processato nell'Areopago, Cefalo fu condannato al perpetuo esilio. Oritia, mentre giocava sulle rive del fiume Ilisso, fu rapita da Borea e si unì in amore con lui; e partorì due figlie, Cleopatra e Chione, e due figli alati, Zete e Calaide, che parteciparono alla spedizione di Giasone e morirono durante l'inseguimento delle Arpie. Secondo Acusilao, invece, essi furono uccisi da Eracle a Tino. Cleopatra andò sposa a Fineo, e partorì due figli, Plessippo e Pandione. Dopo aver avuto questi due maschi da Cleopatra, Fineo sposò Idea, figlia di Dardano. La donna calunniò i due figliastri, dicendo a Fineo che l'avevano sedotta; il marito le prestò fede e li accecò entrambi. Ma quando poi gli Argonauti passarono di lì insieme a Borea, lo punirono. Chione si unì in amore con Poseidone. Di nascosto dal padre partorì Eumolpo, e per non essere scoperta gettò il bambino nell'abisso del mare. Ma Poseidone lo raccolse, lo portò in Etiopia, e lo affidò da allevare a Bentesicime, figlia sua e di Anfitrite. Quando divenne grande, il marito di Bentesicime gli diede in sposa una delle sue due figlie. Ma Eumolpo cercò di possedere con la forza anche la sorella della sua sposa, e per questo fu esiliato insieme a suo figlio Ismaro, e trovò riparo alla corte di Tegirio, re di Tracia, che diede in sposa sua figlia al figlio di Eumolpo. Tempo dopo, però, egli fu sco- perto a tramare contro Tegirio, venne di nuovo esiliato e si rifugiò presso gli Eleusini, dei quali divenne alleato. Quando poi Ismaro morì, fu richiamato da Tegirio, pose fine all'ostilità contro di lui e gli succedette al trono. Fra Ateniesi ed Eleusini scoppiò la guerra; allora Eumolpo fu chiamato in aiuto dagli Eleusini e combatte come loro alleato insieme a un forte esercito di Traci. Eretteo interrogò l'oracolo per sapere se gli Ateniesi avrebbero vinto: e il Dio rispose che per conseguire la vittoria in quella guerra avrebbe dovuto sacrificare una delle sue figlie. Eretteo sacrificò la più giovane, e le altre sorelle allora si sgozzarono anch'esse: e questo perché, si dice, avevano fatto fra loro il giuramento di morire insieme. Nella battaglia che seguì al sacrificio, Eretteo uccise Eumolpo. Allora Poseidone distrusse Eretteo e tutta la sua casa, e Cecrope, il maggiore dei suoi figli, divenne re. Egli sposò Metiadusa, figlia di Eupalamo, e generò Pandione. Pandione regnò dopo di lui, ma fu scacciato in una sedizione dai figli di Metione; andò allora a Megara, alla corte di Pila, e ne sposò la figlia Pilia. In seguito gli fu affidato il trono della città; infatti Pila uccise il fratello di suo padre, Biante, quindi lasciò il regno a Pandione e andò in esilio nel Peloponneso insieme a parte della sua gente, e qui fondò la città di Pilo. A Megara Pandione ebbe quattro figli, Egeo, Pallante, Niso e Lico. Alcuni dicono che Egeo era figlio di Scirio, e che Pandione lo adottò. Dopo la morte di Pandione, i suoi figli fecero guerra contro Atene, scacciarono i Metionidi, e si divisero il potere in quattro: ma Egeo ebbe la sovranità assoluta. La sua prima sposa fu Meta, figlia di Oplete, e la seconda Calciope, figlia di Ressenore. Ma non riusciva ad avere figli, e temeva che i suoi fratelli usurpassero il trono. Allora andò dalla Pizia e chiese un oracolo sulla possibilità di avere dei figli. E il Dio gli diede questo responso: "Il piede che sporge dell'otre, o migliore fra gli uomini, non sciogliere, prima di giungere al sommo di Atene." Egeo, che non riusciva a interpretare il responso, riprese la strada per Atene. Durante il viaggio si fermò a Trezene, ospite di Pitteo, figlio di Pelope; Pitteo capì il responso, e mentre Egeo era ubriaco lo fece dormire insieme a

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sua figlia Etra. Ma in quella stessa notte anche Poseidone si unì alla fanciulla. Egeo raccomandò a Etra, se fosse nato un maschio, di allevarlo senza dirgli chi fosse suo padre; poi lasciò sotto una pietra una spada e dei sandali, e disse che, quando il ragazzo fosse stato in grado di far rotolare via la pietra e prendere quegli oggetti, era il momento di mandarlo da lui, con la spada e i sandali. Egeo ritornò ad Atene e celebrò i giochi delle feste Panatenaiche: Androgeo, il figlio di Minosse, risultò sempre vincitore su tutti i partecipanti. Egeo allora lo mandò a catturare il toro di Maratona, ma il giovane restò ucciso. C'è però chi racconta che Androgeo si recò a Tebe per prendere parte ai giochi in onore di Laio, e i suoi avversari, per invidia, gli tesero un agguato e lo uccisero. Quando gli fu portata la notizia della morte del figlio, Minosse stava compiendo un sacrificio in onore delle Cariti, a Paro; si strappò la ghirlanda dalla testa, cacciò i suonatori di flauto, e terminò comunque il sacrificio: per questo anche adesso a Paro il sacrificio alle Cariti viene celebrato senza flauti e senza fiori. Quando, poco più tardi, Minosse ebbe il controllo del mare, con una flotta fece guerra ad Atene; e prese la città di Megara, che era governata da Niso, figlio di Pandione: e uccise Megareo, figlio di Ippomene, che era venuto da Onchesto in aiuto di Niso. Anche Niso morì, per il tradimento di sua figlia. In mezzo alla testa, Niso aveva una ciocca purpurea, e un oracolo aveva rivelato che, se gli fosse stata tagliata, il re sarebbe morto. Sua figlia Scilla si innamorò di Minosse e tagliò la ciocca a suo padre. Ma quando Minosse si fu impadronito della città, legò per i piedi la fanciulla alla prua della nave e la affogò. La guerra ormai si protraeva, e Minosse non riusciva a prendere Atene. Allora pregò Zeus di dargli vendetta sugli Ateniesi. E la città fu devastata dalla carestia e da una pestilenza. Per prima cosa gli Ateniesi, in ossequio a un antico oracolo, sgozzarono sulla tomba del ciclope Geresto le figlie di Giacinto Anteide, Egleide, Litea e Ortea (il padre, Giacinto, era venuto da Sparta, e si era stabilito in Atene). Ma non servì a niente; allora chiesero un altro oracolo per sapere come liberarsi dalla calamità. E il Dio rispose che dovevano pagare il loro debito a Minosse, nella forma che questi avesse imposto. Allora inviarono dei messaggeri a Minosse per chiedergli cosa volesse per ritenersi vendicato. E il re ordinò di mandare sette fanciulli e sette fanciulle, senza armi, in pasto al Minotauro. Il Minotauro era rinchiuso in un labirinto, dove, per chiunque entrasse, era poi impossibile uscire: tanti erano gli intricati meandri che chiudevano la via d'uscita, rendendola introvabile. L'aveva progettato Dedalo, figlio di Eupalamo (a sua volta figlio di Metione) e Alcippe. Dedalo era un grandissimo architetto, e fu lui il primo a inventare l'arte figurata. Era stato bandito da Atene per aver buttato giù dall'acropoli Talo, il figlio di sua sorella Perdice. Talo era suo allievo, ma Dedalo temeva che il suo innato talento superasse quello del maestro: il ragazzo, infatti, un giorno aveva trovato una mascella di serpente, e aveva capito che con quella si poteva tagliare il legno, inventando così la sega. Il cadavere di Talo fu scoperto; Dedalo fu processato nell'Areopago, venne condannato e fuggi alla corte di Minosse. Qui, frattanto, Pasifae si era innamorata del toro di Poseidone; Dedalo le offrì complicità e costruì la vacca di legno. Poi progettò il labirinto, proprio quello dove gli Ateniesi ogni anno dovevano inviare sette fanciulli e sette fanciulle in pasto al Minotauro.Etra partorì il figlio di Egeo, Teseo. E quando fu cresciuto, il ragazzo spostò la pietra e prese la spada e i sandali, poi partì a piedi per Atene. E lungo il cammino liberò la strada dai malfattori che ne avevano il controllo. Per primo uccise Perifete, a Epidauro. Questi, figlio di Efesto e Anticlea, era chiamato Corunete, per via della mazza (korune) di ferro che portava sempre con sé, essendo zoppo, e con la quale uccideva i passanti. Teseo gliela sottrasse, e la usò sempre. Per secondo uccise Sini, figlio di Polipemone e Silea, la figlia di Corinto. Sini era chiamato Pitiocante - " quello che curva i pini " - per una ragione ben precisa. Dalla sua postazione sull'istmo di Corinto, Sini costringeva i viandanti a piegare i pini e a tenerli fermi: ma questi non ne avevano la forza, e il pino, nel raddrizzarsi, li lanciava lontano, facendoli morire di una morte spaventosa. Ma Teseo fece subire a Sini la stessa sorte. Epitome(L'Epitome è un tardo riassunto mitografico di epoca bizantina che sembra completare l'opera - altrimenti perduta - probabilmente per il fatto che l'autore si è ispirato sostanzialmente alla "Biblioteca")La terza impresa di Teseo fu di uccidere, a Crommione, la scrofa chiamata Fea dal nome della vecchia che l'aveva allevata: alcuni dicono che fosse figlia di Echidna e Tifeo. Poi uccise Scirone, il corinzio, figlio di Pelope, o forse di Poseidone. Scirone abitava nel territorio della Megaride, e controllava quel promontorio roccioso che dal suo nome fu chiamato scogliera Scironia; e tutti quelli che passavano di là, li costringeva a lavargli i piedi: appena avevano finito di lavarglieli, li gettava in mare, dove una gigantesca tartaruga li mangiava. Ma Teseo lo afferrò per i piedi e lo scaraventò in mare. La sua quinta impresa avvenne ad Eleusi, e fu l'uccisione di Cercione, il figlio di Branco e della Ninfa Argiope. Cercione costringeva tutti i passanti a fare con lui una gara di lotta, e invariabilmente li uccideva: ma Teseo riuscì a sollevarlo e lo sfracellò a terra. La sua sesta fatica fu l'uccisione di Damaste, che alcuni chiamano Polipemone. Costui abitava proprio sulla strada e aveva due letti, uno molto piccolo e l'altro molto grande; e tutti quelli che passavano di là, li invitava a essere suoi ospiti. Ma poi quelli che erano bassi di statura li faceva sdraiare nel letto grande egli rompeva tutte le giunture fino a farli diventare lunghi come il letto; e quelli alti invece li metteva nel letto piccolo, e gli segava via le parti del corpo che sporgevano. Così Teseo ripulì la strada, e finalmente giunse ad Atene. Medea, che nel frattempo aveva sposato Egeo, tramò contro di lui e convinse il marito a stare in guardia contro Teseo, facendogli credere che macchinasse qualcosa a suo danno. Così Egeo, senza sapere che si trattava di suo figlio, si preoccupò, e inviò Teseo a uccidere il toro di Maratona. Il giovane andò e lo uccise, poi tornò ad Atene; allora Egeo gli offrì da bere una coppa contenente del veleno che Medea aveva appena preparato. Teseo aveva già accostato la coppa alle labbra, e insieme porse in dono a suo padre la spada che aveva con sé: subito Egeo riconobbe che era suo figlio e gli rovesciò via la coppa dalle mani. Quando Teseo seppe di essere figlio di Egeo e capì la macchinazione di Medea, la bandì dalla città. Teseo fu poi estratto a sorte fra i giovani che dovevano far parte del tributo a Minosse (era quella la terza volta): ma

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qualcuno dice che fu lui a offrirsi spontaneamente. La nave montava vele nere, ed Egeo raccomandò a suo figlio di issare vele bianche nel caso fosse tornato sano e salvo. Quando Teseo giunse a Creta, Arianna, figlia di Minosse, si innamorò di lui, e gli promise che lo avrebbe aiutato, dietro promessa di essere portata ad Atene come sua sposa. Teseo lo giurò, e Arianna costrinse Dedalo a rivelarle l'uscita del labirinto. Ancora per suggerimento di Dedalo, diede a Teseo un filo grazie al quale sarebbe potuto uscire: Teseo lo legò alla porta e, tirandoselo dietro, entrò. Scovato il Minotauro proprio nella parte più interna del labirinto, lo uccise a pugni, poi, riavvolgendo il filo, tornò indietro e uscì. Nella notte arrivò a Nasso, insieme ad Arianna e ai ragazzi salvati. Ma qui Dioniso fu preso d'amore per Arianna e la rapì; la portò a Lemno e si unì a lei. Da loro nacquero Toante, Stafilo, Enopione e Pepareto. Addolorato per la sorte di Arianna, Teseo ripartì, ma si dimenticò di issare le vele bianche. Egeo, dall'alto dell'acropoli, vide da lontano fiottare sulla nave le vele nere e pensò che suo figlio fosse morto: allora si gettò giù e morì. Teseo gli succedette sul trono di Atene, e uccise tutti i cinquanta figli di Pallante. Teseo uccise anche tutti gli altri suoi oppositori, ed ebbe il potere assoluto. Minosse, quando si accorse della fuga di Teseo e dei suoi compagni, ne ritenne responsabile Dedalo, e lo rinchiuse nel labirinto insieme al figlio Icaro, che Dedalo aveva avuto da Naucrate, una schiava di Minosse. Allora Dedalo costruì delle ali e le legò alla schiena sua e del figliolo, raccomandandogli di non volare troppo in alto, perché i raggi di Elio non sciogliessero la colla che teneva insieme le penne, e neanche troppo vicino al mare, perché l'umidità non appesantisse le ali. Ma Icaro, trascinato dall'entusiasmo, dimenticò le raccomandazioni paterne, e volò sempre più in alto: e allora la colla si sciolse e il ragazzo precipitò nel tratto di mare che dal suo nome poi si chiamò Icario, e morì. Dedalo invece si salvò, e riuscì ad arrivare a Camico in Sicilia. Minosse andò all'inseguimento di Dedalo, e in ogni regione che attraversava faceva vedere agli abitanti una grossa conchiglia tritonide, e i suoi araldi promettevano una enorme ricompensa a chi fosse riuscito a far passare un filo di lino nella spirale della conchiglia: solo Dedalo, pensava Minosse, ne sarebbe stato capace, e in questo modo certo avrebbe scoperto dove si trovava. E un giorno Minosse arrivò anche a Camico, in Sicilia, alla corte di Cocalo, proprio dove Dedalo si nascondeva: e anche qui fece vedere la conchiglia. Cocalo la prese, dichiarò che era in grado di far passare il filo, e portò la conchiglia a Dedalo. Dedalo allora fece un buchino nella conchiglia, poi legò il filo di lino a una formica, la fece entrare da lì e quella poi uscì dalla parte opposta, dopo aver tirato il filo lungo tutta la spirale della conchiglia. Quando Minosse vide che il problema era stato risolto, capì che Dedalo si trovava alla corte di Cocalo, e chiese che gli venisse consegnato. Cocalo glielo promise, e intanto invitò Minosse a fermarsi come suo ospite: ma mentre faceva il bagno le figlie di Cocalo lo uccisero - e qualcuno dice che gli fu versata addosso dell'acqua bollente. Teseo combatté insieme ad Eracle contro le Amazzoni, e rapì Antiope, o forse Melanippe, come alcuni sostengono; Simonide invece dice che si trattava di Ippolita. Per questo motivo le Amazzoni fecero guerra ad Atene. Nella battaglia che si tenne presso l'Areopago, le Amazzoni vennero sconfitte da Teseo alla testa degli Ateniesi. Dall'amazzone, Teseo ebbe il figlio Ippolito; poi Deucalione gli diede in sposa Fedra, figlia di Minosse. Ma durante la cerimonia di nozze all'improvviso si presentò l'amazzone che Teseo aveva sposato prima, tutta in armi, insieme alle sue Amazzoni: e già stava per uccidere tutti i presenti. Ma subito le porte vennero chiuse e l'amazzone fu uccisa. Alcuni sostengono invece che la donna venne uccisa da Teseo in battaglia. Fedra diede a Teseo due bambini, Acamante e Demofonte; poi si innamorò del figlio dell'amazzone, Ippolito, e cercò di attirarlo a lei. Ma Ippolito odiava tutte le donne, e rifiutò qualsiasi approccio. Allora Fedra, nel timore che Ippolito riferisse la cosa al padre, spalancò le porte della sua camera da letto, si stracciò le vesti e finse di aver subito violenza da Ippolito. Teseo le credette, e pregò Poseidone di distruggere Ippolito. Così, un giorno che Ippolito correva sul suo carro lungo la riva del mare, Poseidone mandò fuori dalle onde un toro. I cavalli, terrorizzati, si imbizzarrirono e il carro fu rovesciato e andò in pezzi. Ippolito, impigliato nelle redini, fu trascinato via e morì. E quando l'insano amore di Fedra fu conosciuto la donna si impiccò. Issione si innamorò di Era e cercò di farle violenza; quando Era glielo riferì, Zeus volle sincerarsi che la faccenda stesse proprio così. Allora prese una nuvola, le diede l'aspetto di Era, e la mise nel letto insieme a Issione. Questi andò in giro a vantarsi di aver fatto l'amore con Era, e subito Zeus lo legò a una ruota, che senza sosta lo fece ruotare nel cielo al soffio del vento: e ancora oggi Issione sconta così il suo delitto. Dall'unione di Issione con quella nuvola nacque poi Centauro. Teseo combatté insieme a Piritoo, quando questi fece guerra ai Centauri. Piritoo si era fidanzato con Ippodamia, e al pranzo parteciparono anche i Centauri, che erano suoi parenti. Il vino scorreva a fiumi, e i Centauri, che non erano abituati a berlo, si ubriacarono; così, quando la sposa arrivò, essi cercarono di violentarla. Allora Piritoo prese le armi e li assalì insieme a Teseo, che ne uccise parecchi. Ceneo era nato donna, ma dopo che Poseidone si fu unito a lei in amore, ottenne dal Dio di diventare un uomo invulnerabile. Per questo, nella battaglia contro i Centauri, non si diede il minimo pensiero delle ferite, e ne uccise tantissimi: ma i sopravvissuti lo bloccarono, lo stesero a terra e lo seppellirono sotto una catasta di tronchi d'abete. Quando Piritoo si mise in testa di sposare una figlia di Zeus, Teseo fece un accordo con lui: Piritoo lo aiutò a rapire da Sparta Elena, che allora aveva dodici anni, e Teseo in cambio scese nell'Ade a chiedere la mano di Persefone per Piritoo. Ma i Dioscuri, insieme ai Lacedemoni e agli Arcadi, occuparono Atene, rapirono Elena e portarono via prigioniera la figlia di Pitteo, Etra; Demofonte e Acamante, invece, riuscirono a fuggire. Allora i Dioscuri richiamarono Menesteo dall'esilio, e gli diedero la sovranità su Atene. Quando Teseo scese nell'Ade insieme a Piritoo, subì un grande raggiro. Con la scusa di offrir loro la sua ospitalità, Ade li fece sedere sul Trono dell'Oblio: e subito il loro corpo restò incollato alla sedia, mentre tortuosi serpenti gli facevano la guardia. Piritoo restò incatenato per sempre; Teseo invece fu liberato da Eracle e ritornò ad Atene. Qui venne bandito da Menesteo, e allora andò alla corte di Licomede: ma Licomede lo gettò in un precipizio e lo uccise.Tantalo sconta la sua pena nell'Ade, con una pietra sospesa sulla testa, perennemente immerso in una palude, e alle sue spalle guarda un albero da frutta cresciuto sulla riva. L'acqua gli arriva al mento, ma quando vuole berla, essa si ritira; e

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quando vuole cogliere un frutto, l'albero e i suoi frutti vengono spinti dal vento fi- no alle nuvole. Alcuni dicono che Tantalo viene punito perché rivelò agli uomini i misteri degli Dèi, e perché diede l'ambrosia ai suoi compagni. Brotea, che era cacciatore, non rese ad Artemide i dovuti onori, e disse che il fuoco non gli faceva alcun male. Impazzito, si gettò nel fuoco. Pelope, dopo essere stato ucciso e cucinato nel banchetto degli Dèi, ritornò in vita più bello di prima, e per questa sua eccelsa bellezza divenne l'amato di Poseidone, che gli diede il suo carro volante: e poteva correre anche sul mare, senza nemmeno bagnare le ruote. Enomao, il re di Pisa, aveva una figlia, Ippodamia, e, sia che fosse innamorato di lei, come alcuni sostengono, sia invece che avesse ricevuto un oracolo - secondo il quale egli sarebbe stato ucciso dallo sposo della figlia -, nessuno ancora l'aveva presa in moglie. Ma il padre non era riuscito a persuaderla a unirsi a lui, e intanto uccideva tutti i suoi pretendenti. Enomao possedeva infatti armi e cavalli donatigli da Ares, e sfidava a una gara i pretendenti della figlia. Il pretendente doveva prendere sul suo carro Ippodamia, e poi correre fino all'istmo di Corinto: Enomao, armato, lo inseguiva, e se l'avesse raggiunto, poteva ucciderlo. Solo chi non si fosse fatto raggiungere avrebbe potuto avere la mano di Ippodamia. E in questo modo molti pretendenti erano già stati uccisi - dodici, secondo alcuni: e le loro teste mozze venivano inchiodate sul palazzo di Enomao. Anche Pelope chiese la sua mano: e Ippodamia, vedendo la sua bellezza, se ne innamorò e convinse Mirtilo, figlio di Ermes, ad aiutarlo. Mirtilo era infatti l'auriga di Enomao. Mirtilo la amava, e voleva trovar grazia presso di lei: così, non avvitò i chiodi nei mozzi delle ruote, e questo fece sì che Enomao nell'inseguimento fosse sconfitto. E le redini gli si aggrovigliarono intorno, venne trascinato a terra e morì. Molti invece dicono che fu ucciso da Pelope. Nel morire maledisse Mirtilo, perché aveva scoperto il suo inganno, invocando che fosse ucciso proprio da Pelope. Pelope dunque sposò Ippodamia; e un giorno, insieme a Mirtilo, giunsero in un certo posto, e Pelope si allontanò un momento per portare dell'acqua alla sposa che aveva sete. E Mirtilo intanto cercò di usare violenza a Ippodamia. Quando lei glielo riferì, Pelope gettò Mirtilo nel mare, vicino a Capo Geresto, e da allora quello si chiama mare Mirtoo: Mirtilo, nel precipitare, lanciò una maledizione contro la razza di Pelope. Egli intanto raggiunse l'Oceano, dove Efesto lo purificò; tornato poi a Pisa di Elide, prese il trono di Enomao, dopo aver conquistato tutta la regione che allora si chiamava Apia e Pelasgiotide, e che adesso dal suo nome chiamiamo Peloponneso. I figli di Pelope erano Pitteo, Atreo, Tieste e altri. La sposa di Atreo era Erope, figlia di Catreo: ma la donna si era innamorata di Tieste. Una volta Atreo aveva fatto voto di sacrificare ad Artemide l'animale più bello che fosse nato nel suo gregge. Ma quando improvvisamente vide che c'era un agnello d'oro, dicono che rinnegò il suo voto: sgozzò l'agnello e custodì il suo vello in una cassa. Ma Erope, per convincere Tieste a commettere adulterio con lei, glielo donò. Un oracolo aveva detto ai Micenei di prendere come re un figlio di Pelope, e Atreo e Tieste vennero fatti chiamare. In una discussione su chi avesse diritto al regno, Tieste disse alla gente che doveva essere re chi era in possesso del vello d'oro: Atreo fu d'accordo, e allora Tieste mostrò il vello d'oro, ed ebbe il regno. Zeus mandò Ermes da Atreo, per dirgli di chiedere a Tieste se era d'accordo a cedergli il regno, nel caso che Elio avesse mutato il suo corso. Tieste acconsentì, ed Elio tramontò a oriente. A questa testimonianza divina dell'usurpazione di Tieste, Atreo ebbe il regno e cacciò in esilio Tieste. Quando in seguito venne a sapere dell'adulterio, mandò un messaggero per invitarlo a una riconciliazione. Tieste ritornò, ma Atreo, fingendosi ancora amico, uccise i figli che Tieste aveva avuto da una Ninfa Naiade - Aglao, Callileonte e Orcomeno - proprio mentre stavano all'altare di Zeus come supplici. Li fece a pezzi e li cucinò, poi li offrì per cena a Tieste, dopo aver messo da parte la testa, le mani e i piedi. Tieste li mangiò, e allora Atreo gli fece vedere la loro testa, le mani e i piedi: poi di nuovo lo cacciò in esilio. Tieste, cercando in tutti i modi il mezzo per vendicarsi di Atreo, si rivolse all'oracolo e il responso gli disse di generare un figlio con la propria figlia. Così fece, e con sua figlia generò Egisto: quando fu grande e seppe che era figlio di Tieste, Egisto uccise Atreo e rimise sul trono Tieste. "La nutrice portò Agamennone e Menelao da Polifide, signore di Sicione, e questi ancora li mandò da Eneo, l'etolo. Poco dopo, di nuovo Tindareo li prese, e costrinsero Tieste, rifugiato all'altare di Era, a un gran giuramento, e lo mandarono a Citeria. Sposarono le figlie di Tindareo, diventando suoi generi. Agamennone si unì a Clitennestra,  dopo averle ucciso il primo marito, Tantalo figlio di Tieste, e il figlio neonato; e Menelao sposò Elena." Agamennone diventò re di Micene e sposò Clitennestra, figlia di Tindareo, dopo averle ucciso il primo marito, Tantalo, figlio di Tieste, insieme al bambino. Agamennone e Clitennestra ebbero un maschio, Oreste, e tre femmine, Crisotemi, Elettra e Ifigenia. Menelao sposò Elena e regnò su Sparta quando Tindareo abdicò in suo favore. Ma poi Alessandro rapì Elena; fu questo il volere di Zeus - si dice: in tal modo sua figlia sarebbe divenuta celebre, per aver fatto scoppiare la guerra fra Europa e Asia. Altri invece sostengono che Zeus volesse così dare gloria alla razza dei Semidèi. Comunque sia, Eris lanciò una mela come premio alla più bella, e invitò alla sfida Era, Atena e Afrodite; e Zeus ordinò a Ermes di portarla ad Alessandro, sul monte Ida, perché fosse lui il giudice. Tutte promisero ad Alessandro dei doni. Era gli offrì, se avesse dato a lei la vittoria, la sovranità su tutti gli uomini; Atena gli offrì la vittoria in guerra; e Afrodite gli offrì l'amore di Elena. La prescelta fu Afrodite; Fereclo gli costruì delle navi e Alessandro partì per Sparta. Per nove giorni il giovane restò ospite di Menelao, ma al decimo il re dovette partire per Creta, per prendere parte ai funerali di suo nonno Catreo: e Alessandro convinse Elena a fuggire con lui. Elena abbandonò la figlioletta Ermione, che aveva nove anni, prese con sé tutto l'oro che poteva, e di notte fuggì insieme ad Alessandro. Ma Era gli scatenò addosso una tremenda tempesta, che li costrinse a riparare a Sidone. Così Alessandro, temendo di essere inseguito, si trattenne parecchio tempo in Fenicia e a Cipro. Quando poi pensò che il pericolo fosse finito, andò a Troia insieme a Elena. Ma c'è chi sostiene che Ermes, per ordine di Zeus, rapì Elena e la portò in Egitto, dandola in custodia a Proteo, re degli Egizi: Alessandro sarebbe andato a Troia insieme a un simulacro di Elena, fatto di nuvole. Quando Menelao si accorse del rapimento, andò a Micene da suo fratello Agamennone, e gli chiese di

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raccogliere da tutta l'Ellade un esercito per marciare contro Troia. Agamennone mandò dei messaggeri presso tutti i re dell'Ellade, rammentando loro gli antichi giuramenti, e li esortò a lottare ognuno per l'incolumità della propria sposa, perché quell'affronto aveva colpito l'Ellade intera. Erano in molti ad aver desiderio di guerra, e si presentarono anche a Itaca, da Odisseo. Ma Odisseo non aveva nessuna intenzione di partecipare alla guerra, e si finse pazzo. Palamede, figlio di Nauplio, capì che li stava ingannando e decise di smascherarlo. Mentre Odisseo fingeva un attacco di follia, gli andò dietro: poi all'improvviso strappò il suo figlioletto Telemaco dalle braccia di Penelope, ed estrasse la spada come per volerlo uccidere. Allora Odisseo si tradì, confessò la sua finzione, e partecipò alla guerra. In seguito Odisseo prese un prigioniero frigio, e lo costrinse a scrivere una falsa lettera, come se fosse inviata da Priamo a Palamede, con degli accordi di tradimento; poi, dopo aver nascosto dell'oro nella tenda di Palamede, lasciò cadere quella lettera in mezzo all'accampamento. Agamennone la lesse, trovò l'oro, e consegnò Palamede agli alleati perché venisse lapidato come traditore. Menelao, insieme ad Odisseo e a Taltibio, si recò a Cipro, dal re Cinira, per convincerlo a partecipare alla spedizione. Cinira offrì in dono delle corazze da portare ad Agamennone, e giurò che avrebbe inviato cinquanta navi; ma poi ne mandò una sola, capitanata dal figlio di Migdalione: le altre erano navicelle di terracotta, da gettare in mare. Le figlie di Anio, a sua volta figlio di Apollo - Elaide, Spermo ed Eno -, erano le cosiddette "produttrici di vino": a loro Dioniso aveva dato il potere di produrre dalla terra olio, grano e vino. L'esercito si radunò in Aulide. Ecco di seguito l'elenco dei guerrieri che parteciparono alla guerra contro Troia. Dieci comandanti beoti, con quaranta navi; quattro comandanti di Orcomeno, con trenta navi; quattro comandanti focesi, con quaranta navi; i Locresi erano capitanati da Aiace, figlio di Oileo, con quaranta navi; gli Eubeesi erano capitanati da Elefenore, figlio di Calcodonte e Alcione, con quaranta navi; gli Ateniesi erano capitanati da Menesteo, con cinquanta navi; i Salaminii erano capitanati da Aiace, figlio di Telamone, con venti navi; al comando degli Argivi, Diomede, figlio di Tideo, e il suo seguito, con ottanta navi; al comando dei Micenei, Agamennone, figlio di Atreo ed Erope, con cento navi; al comando dei Lacedemoni, Menelao, figlio di Atreo ed Erope, con sessanta navi; al comando dei Pilii, Nestore, figlio di Neleo e Cloride, con quaranta navi; al comando degli Arcadi, Agapenore, con sette navi; al comando degli Elei, Anfimaco e il suo seguito, con quaranta navi; al comando dei Dulichii, Mege, figlio di Pileo, con quaranta navi; a capo dei Cefalleni, Odisseo, figlio di Laerte e Anticlea, con venti navi; a capo degli Etoli, Toante, figlio di Andremone e Gorge, con quaranta navi; a capo dei Cretesi, Idomeneo, figlio di Deucalione, con quaranta navi; a capo dei Rodiesi, Tlepolemo, figlio di Eracle e Astioche, con nove navi; a capo dei Simei, Nireo, figlio di Caropo, con tre navi; a capo dell'armata di Coo, Pidippo e Antifo, figli di Tessalo, con trenta navi; a capo dei Mirmidoni, Achille, figlio di Peleo e Tetide, con cinquanta navi; da Pilache, Protesilao, figlio di Ificlo, con quaranta navi; da Pere, Eumelo, figlio di Admeto, con undici navi; a capo degli Olizoni, Filottete, figlio di Peante, con sette navi; a capo degli Eniani, Guneo, figlio di Ocito, con ventidue navi; a capo dei Triccei, Podalirio, con trenta navi; a capo degli Ormeni, Euripilo, con quaranta navi; a capo dei Girtoni, Polipete, figlio di Piritoo, con trenta navi; a capo dei Magnesii, Protoo, figlio di Tentredone, con quaranta navi. La cifra totale delle navi era milletredici; quella dei comandanti quarantatre; quella dei capi di stato maggiore trenta. Mentre l'esercito stazionava in Aulide, durante un sacrificio ad Apollo un serpente uscì fuori dall'altare e si diresse verso un platano lì vicino, dove c'era un nido con otto piccoli passeri e la loro madre: il serpente li divorò e fu trasformato in pietra. Calcante disse che quello era un segno della volontà di Zeus: sarebbero passati nove anni, e solo al decimo gli Elleni avrebbero preso Troia. Intanto si preparavano ormai a partire. Agamennone era comandante in capo dell'intero esercito, mentre Achille era ammiraglio della flotta - l'eroe aveva allora quindici anni. Gli Elleni però non conoscevano la rotta per Troia; così, sbarcarono in Misia e la saccheggiarono, credendolo il territorio di Troia. Re dei Misii era Telefo, figlio di Eracle; vedendo la sua terra messa a ferro e fuoco, armò il suo popolo, ricacciò gli Elleni alle navi e molti ne uccise, fra cui anche Tersandro, figlio di Polinice, che aveva opposto resistenza. Sopraggiunse Achille, Telefo fuggì e venne inseguito: ma durante la sua ritirata restò impigliato in un tralcio di vite e subì una ferita di lancia alla coscia. Gli Elleni lasciarono la Misia, ma appena preso il mare furono investiti da una tremenda tempesta: la flotta si divise e ogni comandante tornò alla propria patria. C'è chi calcola in vent'anni la durata della guerra di Troia: questo perché, dopo il rapimento di Elena, ci vollero due anni per il completo allestimento dell'armata ellenica, e poi, dopo il ritiro dalla Misia, passarono altri otto anni prima che gli Elleni rientrassero in Argo e si riunissero di nuovo in Aulide. Quando dunque, dopo otto anni, si furono di nuovo organizzati in Argo, si ripresentò il grave problema della rotta da prendere, perché non c'era nessun capitano in grado di conoscere la navigazione per Troia. Frattanto Telefo, che non riusciva a guarire dalla sua ferita, aveva ricevuto un responso da Apollo, secondo il quale avrebbe potuto guarire solo se l'avesse curato l'uomo che l'aveva ferito. Allora Telefo si vestì di cenci, andò ad Argo e chiese aiuto ad Achille, promettendo in cambio di indicargli la rotta per Troia. Achille lo curò applicandogli sulla ferita un po' di ruggine grattata via alla sua lancia. Telefo guarì e gli insegnò la rotta giusta, e l'esattezza della sua indicazione venne confermata dall'arte mantica di Calcante. Così, lasciarono Argo e si riunirono di nuovo in Aulide. Ma la flotta non poteva partire, perché i forti venti contrari impedivano la navigazione. Allora Calcante vaticinò che non c' era nessuna possibilità di salpare, se Agamennone non avesse offerto in sacrificio ad Artemide la più bella delle sue figlie: Artemide, infatti, era infuriata contro di lui, perché un giorno, tirando a un cervo, aveva detto: «Neanche Artemide ci sarebbe riuscita!»; la Dea, poi, era irritata anche contro Atreo, che non le aveva sacrificato l'agnello d'oro. Sentito il vaticinio, Agamennone mandò Odisseo e Taltibio da Clitennestra, con l'ambasciata di consegnare a loro Ifigenia, perché venisse data in sposa ad Achille come riconoscimento al suo valore. Clitennestra consegnò la fanciulla, Agamennone la pose sull'altare e stava già per sgozzarla, quando Artemide la rapì, la portò in Tauride e le diede l'ufficio di sacerdotessa del suo culto. Al posto di Ifigenia, Artemide pose sull'altare un cervo; e c' è chi dice che rese immortale la fanciulla. Salpati dunque da Aulide,

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arrivarono a Tenedo. Re di Tenedo era Tene, figlio di Cicno e Proclia - alcuni però dicono che era figlio di Apollo. Tene era stato bandito da suo padre, e aveva colonizzato Tenedo. Dalla sposa Proclia, figlia di Laomedonte, Cicno aveva avuto il figlio Tene e la figlia Emitea; poi aveva sposato Filonome, figlia di Tragaso: ma la donna si era innamorata di Tene e, non riuscendo a sedurlo, l'aveva calunniato presso il padre Cicno, dicendo che aveva cercato di corromperla - e aveva anche un testimone, il flautista Eumolpo. Cicno le credette, chiuse Tene e sua sorella in una cassa e la gettò in mare. La cassa arrivò all'isola di Leucofri, Tene scese a terra e colonizzò l'isola, che dal suo nome si chiamò Tenedo. Quando, tempo dopo, Cicno seppe la verità, lapidò il flautista, e seppellì viva sua moglie. Quando Tene vide le navi elleniche avvicinarsi alla sua isola, cercò di allontanarle colpendole dall'alto con dei massi; ma Achille lo colpì al petto con la sua spada e lo uccise, incurante del monito di Tetide, che gli aveva predetto di non uccidere Tene, perché altrimenti lui stesso sarebbe stato ucciso da Apollo. Mentre celebravano un sacrificio ad Apollo, dall'altare uscì un serpente e morse Filottete. La ferita era incurabile e il suo fetore ammorbante: l'esercito non riusciva più a sopportare quell'odore, e allora Odisseo, per ordine di Agamennone, abbandonò Filottete a Lemno, lasciandogli solo l' arco di Eracle. E là, in quell'isola deserta, riuscì a sopravvivere cacciando gli uccelli con le sue frecce. Ripartiti da Tenedo, fecero vela verso Troia. Odisseo e Menelao furono inviati a pretendere la restituzione di Elena e delle ricchezze che la donna aveva portato con sé. I Troiani, riuniti in assemblea, decisero non solo di non restituire Elena, ma anche di uccidere gli inviati elleni. Essi però furono salvati da Antenore; ma gli Elleni, indignati per la tracotanza di quei Barbari, presero le armi e navigarono contro di loro. Tetide aveva ordinato ad Achille di non sbarcare per primo dalla nave, perché il primo che fosse sceso a terra sarebbe stato ucciso per primo. Quando i Barbari si accorsero che una flotta nemica si stava avvicinando, corsero verso il mare in armi, e cercarono di impedire lo sbarco lanciando pietre contro le navi. Il primo a sbarcare dalle navi elleniche fu Protesilao: dopo aver ucciso parecchi barbari, fu a sua volta ucciso da Ettore. La sua sposa Laodamia lo amò anche dopo la morte: fece una statua di Protesilao e la tenne sempre vicino. Ma gli Dèi ne ebbero pietà, ed Ermes riportò Protesilao dall'Ade. Quando Laodamia lo vide, pensò che il suo sposo fosse tornato da Troia, e ne fu felice: ma quando Protesilao dovette tornare nell'Ade, Laodamia si uccise. Dopo la morte di Protesilao, Achille sbarcò insieme ai suoi Mirmidoni, e uccise Cicno tirandogli una pietra in testa. Quando i Barbari videro che era morto, fuggirono verso la città; gli Elleni, saltati giù dalle navi, riempirono la pianura di cadaveri. Poi cinsero d'assedio Troia, e tirarono in secca le navi. Mentre i Barbari esitavano a passare al contrattacco, Achille tese un agguato a Troilo nel tempio di Apollo Timbreo e lo uccise; poi di notte fece un'incursione nella città e prese prigioniero Licaone. Insieme ad alcuni dei migliori, Achille saccheggiò il territorio, e s'inoltrò sul monte Ida per catturare il bestiame di Enea. Enea fuggì, Achille uccise i mandriani e Mestore, figlio di Priamo, e portò via il bestiame. Poi conquistò Lesbo e Focea, Colofone, Smirne, Clazomene e Cuma; poi anche Egialo e Tino, le cosiddette Cento Città; poi Adramittio e Side, Endio, Lineo e Colone. Prese anche Tebe Ipoplacia, Lirnesso e Antandro, e molte altre città. Quando erano ormai trascorsi nove anni, molti alleati vennero a unirsi ai Troiani: ecco il loro elenco. Dalle città vicine vennero Enea, figlio di Anchise, e con lui Archeloco e Acamante, figli di Antenore e Teano, a capo dei Dardani; dalla Tracia venne Acamante, figlio di Eussoro; dai Ciconi venne Eufemo, figlio di Trezeno; dai Peoni venne Pirecme; dai Paflagoni venne Pilemene, figlio di Bilsate; da Zelea venne Pandaro, figlio di Licaone; da Adrastea vennero Adrasto e Anfio, figli di Meropo; da Arisbe venne Asio, figlio di Irtaco; da Larissa venne Ippotoo, figlio di Pelasgo; dalla Misia, Cromio ed Ennomo, figli di Arsinoo; dagli Alizoni, Odio ed Epistrofo, figli di Mecisteo; dalla Frigia, Porci e Ascanio, figli di Aretaone; dalla Meonia, Mestle e Antifo, figli di Talemene; dalla Caria, Naste e Anfimaco, figli di Nomione; dalla Licia, Sarpedone, figlio di Zeus, e Glauco, figlio di Ippoloco.Achille non partecipava alla guerra, irato a causa di Briseide, la figlia del sacerdote Crise. Forti di questo, i Barbari fecero una sortita dalla città. Alessandro venne a duello con Menelao, e stava per soccombere, quando Afrodite lo rapì. Pandaro tirò una freccia contro Menelao, e ruppe la tregua. Diomede ferì Afrodite che era accorsa in aiuto di Enea, poi affrontò Glauco, ma i due eroi ricordarono l'antica amicizia dei loro padri, e si scambiarono le armi. Ettore sfidò a duello il più coraggioso, e si presentarono in molti, ma venne estratto a sorte Aiace: l'eroe stava per avere la meglio su Ettore, quando scese la notte e gli araldi interruppero il duello. Gli Elleni fecero un muro e una trincea a difesa del porto; scoppiata battaglia nella pianura, i Troiani li respinsero fino al muro. Allora gli Elleni mandarono Odisseo, Fenice e Aiace a parlare con Achille, per chiedergli di ritornare a combattere, promettendogli Briseide e altri doni ancora. Scesa la notte, Odisseo e Diomede furono mandati a spiare il campo nemico. Essi uccisero Dolone, figlio di Eumelo, e il trace Reso, che era arrivato il giorno prima come alleato dei Troiani e, senza aver ancora preso parte alla battaglia, si era accampato lontano dalle truppe troiane e dalla tenda di Ettore. Odisseo e Diomede uccisero nel sonno altri dodici soldati traci, e portarono alle navi i cavalli di Reso. Il giorno dopo ci fu battaglia, e Agamennone, Diomede, Odisseo, Euripilo e Macaone furono feriti; gli Elleni fuggirono, Ettore aprì una breccia nel muro ed entrò, Aiace fu costretto a ritirarsi e i Troiani poterono incendiare le navi. Quando Achille vide la nave di Protesilao in fiamme, inviò Patroclo al comando dei Mirmidoni, dopo avergli fatto indossare le proprie armi e prestato i suoi cavalli. Come lo videro, i Troiani lo scambiarono per Achille e si diedero alla fuga. Patroclo li inseguì fino alle mura e ne uccise molti, fra i quali anche Sarpedone, figlio di Zeus; ma poi fu ucciso da Ettore, dopo essere già stato ferito da Euforbo. Un'accanita battaglia scoppiò intorno al suo cadavere, e Aiace riuscì faticosamente a imporsi e a recuperare il corpo. Achille depose finalmente la sua ira e riebbe Briseide. Gli venne portata l'armatura forgiata da Efesto: Achille indossò le sue armi e andò a combattere, respinse i Troiani oltre lo Scamandro, ne uccise molti e fra gli altri anche Asteropeo, figlio di Pelegone, figlio a sua volta del fiume Assio. E il fiume allora si scaraventò su Achille, ma Efesto lo respinse disseccando la sua corrente con una immensa fiamma. Achille poi uccise Ettore in duello, legò il suo cadavere al carro e

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lo trascinò fino alle navi. Dopo aver sepolto Patroclo, vennero celebrati i giochi in suo onore: Diomede vinse la gara dei carri, Epeo il pugilato, Aiace e Odisseo la lotta. Terminati i giochi, Priamo venne da Achille a riscattare il cadavere di Ettore, e lo seppellì.Pentesilea, figlia di Otrere e Ares, aveva ucciso senza volerlo Ippolita, ed era venuta a farsi purificare da Priamo. Partecipò alla battaglia e uccise molti Elleni, fra cui anche Macaone; ma poi morì per mano di Achille, che si innamorò di lei ormai morta, e uccise Tersite che lo accusava per questo. Ippolita era la madre di Ippolito - Glauce e Melanippe sono gli altri nomi con i quali viene chiamata. Durante la cerimonia nuziale di Fedra, Ippolita si presentò in armi insieme alle sue Amazzoni e disse che era lì per uccidere gli ospiti di Teseo. Vi fu battaglia e Ippolita restò uccisa, forse involontariamente dalla sua compagna Pentesilea, o forse da Teseo, o forse ancora perché i suoi uomini, viste le intenzioni delle Amazzoni, chiusero in fretta le porte, la bloccarono all'interno e la uccisero. Memnone, figlio di Titono e di Eos, intervenne contro gli Elleni nella guerra di Troia con una forte armata di Etiopi; uccise molti soldati elleni, fra cui anche Antiloco: ma poi venne ucciso da Achille. L'eroe inseguì i Troiani fino alle porte Scee, ma lì fu colpito al tallone da una freccia di Alessandro, guidata da Apollo. Ci fu battaglia intorno al suo cadavere, e Aiace uccise Glauco, fece portare alle navi le armi di Achille, si caricò in spalla il suo corpo e passò in mezzo ai nemici, sfidando i loro colpi, mentre Odisseo respingeva gli assalitori. La morte di Achille riempì l'esercito di disperazione. E lo seppellirono nell'isola Bianca insieme a Patroclo, mescolando le loro ossa. Si dice che dopo la morte Achille abitò insieme a Medea nelle Isole dei Beati. In suo onore vennero celebrati dei giochi: Eumelo vinse la gara dei carri, Diomede la corsa, Aiace il disco e Teucro il tiro con l'arco. Le armi di Achille erano state messe in palio per il guerriero più valoroso, e sia Aiace che Odisseo le pretendevano. La scelta fu affidata ai Troiani, o forse agli alleati, che attribuirono le armi a Odisseo. Aiace restò sconvolto dal dispiacere, e tramò un attacco notturno contro l'esercito. Atena lo colpì con la follia, sviò la sua mente e lo fece andare con le armi in pugno contro le mandrie di bestiame: e Aiace, fuori di senno, fece strage delle bestie e dei mandriani, credendo fossero soldati achei. Quando poi ritrovò la ragione, si uccise. Agamennone vietò di bruciare il suo cadavere, e lui solo, fra tanti caduti sotto Ilio, fu messo in una bara: la sua tomba è presso il capo Reteo. Si era ormai al decimo anno di guerra. Gli Elleni si sentivano scoraggiati, e Calcante vaticinò che non avrebbero mai potuto prendere Troia senza avere dalla loro parte le armi di Eracle. Allora Odisseo andò a Lemno da Filottete, insieme a Diomede, s'impadronì con l'astuzia del suo arco e convinse Filottete a venire a Troia. Giunto che fu, Filottete fu curato da Podalirio e poi uccise Alessandro. Dopo la sua morte, Eleno e Deifobo vennero a contesa per sposare Elena: il prescelto fu Deifobo, ed Eleno lasciò Troia e si ritirò sul monte Ida. Calcante disse che Eleno conosceva gli oracoli che proteggevano la città; Odisseo allora gli tese un agguato, lo catturò e lo portò al campo. Così Eleno venne costretto a rivelarli, e disse che Troia sarebbe caduta innanzitutto se le ossa di Pelope fossero state trasportate al campo ellenico; in secondo luogo era necessaria la partecipazione di Neottolemo alla guerra; e infine avrebbero dovuto trafugare il Palladio caduto dal cielo: finché la statua si trovava dentro la città, infatti, era impossibile espugnarla. Saputo questo, gli Elleni mandarono a prendere le ossa di Pelope; poi inviarono Odisseo e Fenice da Licomede, a Sciro, e il re lasciò che Neottolemo partisse per Troia. Il giovane arrivò al campo, Odisseo gli affidò le armi paterne, e con queste uccise numerosi nemici. Più tardi arrivò come alleato dei Troiani anche Euripilo, il figlio di Telefo, con una grossa armata di Misii: dopo aver combattuto con valore, fu ucciso da Neottolemo. Odisseo e Diomede fecero una sortita notturna nella città; Diomede restò di guardia, Odisseo invece si imbrattò e si graffiò la faccia, si vestì di stracci ed entrò in città senza essere riconosciuto, come mendicante. Solo Eleno lo riconobbe, ma proprio grazie al suo aiuto riuscì a rubare il Palladio, e poi, dopo aver ucciso parecchie guardie, lo portò alle navi insieme a Diomede. Passò del tempo, e Odisseo ebbe l'idea di costruire il cavallo di legno, e la propose a Epeo, che era architetto. Epeo fece tagliare dei tronchi sul monte Ida e costruì il cavallo, cavo all'interno e con delle aperture nascoste nei fianchi. Odisseo convinse a entrarvi cinquanta valorosi (l'autore della "Piccola Iliade" dice tremila); gli altri durante la notte avrebbero dovuto bruciare le tende, prendere il mare e dirigersi a Tenedo, pronti però a ritornare la notte seguente. Tutti furono d'accordo, e intanto i capi entrarono nel cavallo di legno, agli ordini di Odisseo; e sul cavallo misero una scritta che diceva: «Gli Elleni dedicano questa offerta ad Atena per il loro ritorno a casa». Gli altri bruciarono le tende e lasciarono a terra solo Sinone, che avrebbe dovuto mandargli dei segnali di fuoco; poi di notte salparono, e gettarono l'ancora vicino a Tenedo. Quando fu giorno, i Troiani videro che il campo ellenico era stato abbandonato e pensarono che fossero fuggiti; poi con grande gioia trainarono in città il cavallo di legno, lo posero davanti al palazzo di Priamo e si consigliarono sul da farsi. Cassandra vaticinò che all'interno del cavallo c'era una forza in armi, e anche il profeta Laocoonte fu d'accordo: molti quindi dissero di bruciarlo, altri di buttarlo in un precipizio, ma l'opinione prevalente era di tenerlo come offerta alla divinità, e predisposero una celebrazione. Apollo inviò loro anche un segno: due serpenti uscirono dal mare, provenienti da isole vicine, e divorarono i figli di Laocoonte. Quando fu notte e tutti dormivano, gli Elleni ritornarono da Tenedo, e Sinone fece i segnali di fuoco dal luogo della tomba di Achille. Elena intanto, avvicinatasi al cavallo, chiamava per nome i capitani elleni imitando la voce delle loro spose. Anticlo stava per rispondere, ma Odisseo gli chiuse la bocca. Quando ritennero che i nemici ormai fossero addormentati, aprirono il cavallo e uscirono con le armi in pugno. Il primo, Echione figlio di Porteo, cadde e si uccise, gli altri invece scesero con una corda, arrivarono alle mura, aprirono la porta e fecero entrare i loro compagni tornati da Tenedo. Attraversarono la città in armi, entrarono nelle case e uccisero i nemici nel sonno. Neottolemo uccise Priamo, che si era rifugiato presso l'altare di Zeus Erceo; Glauco, il figlio di Antenore, fu riconosciuto da Odisseo e Menelao mentre cercava di fuggire a casa, e fu salvato proprio dal loro intervento in armi. Enea prese sulle spalle il padre Anchise e fuggì, e gli Elleni lo lasciarono andare, perché conoscevano la sua devozione. Menelao uccise Deifobo e portò Elena alle navi; Demofonte e Acamante, i figli di Teseo

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(giunti anch'essi a Troia in un secondo momento), portarono via Etra, la madre dell'eroe. Aiace il Locrese vide Cassandra abbracciata all'immagine di Atena, e la violentò: per questo, da allora, l'immagine ha gli occhi rivolti al cielo. Dopo aver ucciso i Troiani, diedero fuoco alla città e si divisero il bottino. Fecero un sacrificio a tutti gli Dèi, gettarono dalle mura il piccolo Astianatte, e sgozzarono Polissena sulla tomba di Achille. Agamennone prese Cassandra, Neottolemo Andromaca, e Odisseo Ecuba. Altri invece raccontano che Ecuba fu presa da Eleno, che la portò nel Chersoneso; Ecuba si trasformò in cagna ed Eleno la seppellì nel luogo che adesso si chiama «Tomba della Cagna». Laodice, la più bella delle figlie di Priamo, davanti agli occhi di tutti fu inghiottita da una voragine della terra. Quando poi, dopo aver saccheggiato la città, si preparavano a salpare da Troia, Calcante li trattenne, dicendo che Atena era infuriata con loro a causa dell'empio gesto di Aiace. Volevano dunque uccidere Aiace, ma questi si rifugiò presso l'altare, e venne risparmiato. Poi si riunirono in assemblea, e Agamennone e Menelao si accapigliarono, perché Menelao diceva di partire, e Agamennone invece aveva ordinato di trattenersi ancora per offrire un sacrificio ad Atena. Quando poi salparono, Diomede e Nestore ebbero un buon viaggio, mentre Menelao fu investito da una tempesta, perse quasi tutta la sua flotta, e riuscì a riparare in Egitto con sole cinque navi. Anfiloco, Calcante, Leonteo, Podalirio e Polipete lasciarono le loro navi a Ilio e andarono via terra a Colofone, dove l'indovino Calcante morì e fu sepolto: era suo Destino morire, infatti, se avesse incontrato un indovino più sapiente di lui. Ricevuti ospiti dal vate Mopso, che era figlio di Apollo e Manto, lui e Calcante avevano fatto una sfida di arte divinatoria. Calcante vide una pianta di fichi, e chiese a Mopso: «Quanti fichi porta questa pianta?»; Mopso rispose: «Diecimila più un medimno, e poi ne rimane ancora uno!» ed era esatto. Mopso vide una scrofa gravida, e chiese a Calcante quanti porcellini aveva in pancia e quando si sarebbe sgravata: «Otto!» rispose Calcante. Ma Mopso sorrise e disse: «L'arte profetica di Calcante è tutto il contrario dell'esattezza! Io, che sono figlio di Apollo e Manto, e assai ricco di quella vista acuta che si accompagna all'esatta divinazione, dico, diversamente da Calcante, che i porcellini in pancia sono nove, e tutti maschi, e verranno partoriti senza ombra di dubbio domani all'ora sesta!» Così avvenne, Calcante morì per lo scoramento e venne sepolto a Nozio. Dopo aver compiuto il sacrificio, Agamennone salpò e si diresse a Tenedo. Tetide apparve a Neottolemo e lo convinse a restare ancora due giorni e a compiere dei sacrifici, ed egli restò. Ma gli altri si imbarcarono e a Teno furono investiti da una burrasca. Atena infatti aveva chiesto a Zeus di travolgere gli Elleni con una tempesta: e molte navi vennero affondate. Atena colpì con un fulmine la nave di Aiace; la nave colò a picco, Aiace si salvò su uno scoglio e disse che era sopravvissuto contro la volontà di Atena. Ma Poseidone lo sentì, colpì lo scoglio con il suo tridente e lo spaccò: Aiace cadde in mare e morì, e il suo corpo, spinto a riva dalle onde, fu sepolto da Tetide a Micono. Gli altri si avvicinarono di notte alle coste dell'Eubea, e Nauplio accese dei segnali di fuoco sul monte Cafereo. Gli Elleni, credendo si trattasse di qualche loro compagno che si era salvato, si diressero verso la luce, ma le navi si schiantarono contro gli scogli Caferidi, e molti uomini morirono. Questo perché Palamede, il figlio di Nauplio e Climene, figlia di Catreo, era stato lapidato a morte grazie all'inganno di Odisseo. Quando Nauplio l'aveva saputo, subito aveva raggiunto l'esercito ellenico, e aveva chiesto giustizia per il suo figliolo: ma era ripartito senza ottenere niente, perché tutti appoggiavano il re Agamennone, d'accordo con il quale Odisseo aveva ucciso Palamede. Allora Nauplio costeggiò tutte le regioni dell'Ellade, e istigò le mogli dei capi elleni a tradire i loro mariti assenti: così Clitennestra commise adulterio con Egisto, Egialia con Comete, figlio di Stenelo, e Meda, sposa di Idomeneo, con Leuco. Ma Leuco poi la uccise - lei e la figlia Clisitira, nonostante si fosse rifugiata nel tempio -; poi indusse dieci città a separarsi da Creta e vi instaurò una tirannide. Quando poi, terminata la guerra di Troia, Idomeneo rientrò a Creta, Leuco lo bandì. Nauplio dunque aveva già preso questa sua vendetta, quando venne a sapere che gli Elleni erano sulla via del ritorno in patria; allora accese dei segnali di fuoco sul monte Cafereo, quello che adesso si chiama Silofago: gli Elleni seguirono quella luce, credendo che si trattasse di un porto, e si schiantarono sulle rocce. Neottolemo si trattenne due giorni a Tenedo per consiglio di Tetide, poi si diresse a piedi verso la terra dei Molossi insieme a Eleno; durante il viaggio, Fenice morì e venne seppellito. Sconfitti i Molossi, Neottolemo prese il trono ed ebbe il figlio Molosso da Andromaca. Eleno fondò in Molossia una città e vi si insediò, e Neottolemo gli diede in sposa sua madre Deidamia. Quando Peleo venne cacciato da Ftia dai figli di Acasto e morì, Neottolemo andò a riprendere possesso del trono paterno. E durante la pazzia di Oreste, gli rapì la sposa, Ermione, che era già stata promessa a lui a Troia: per questo poi Oreste lo uccise a Delfi. Alcuni dicono che Neottolemo si era recato a Delfi a domandare giustizia ad Apollo per la morte del padre: in quell'occasione saccheggiò le offerte votive e diede fuoco al tempio, finche Machereo il Focese lo uccise. Gli Elleni vagarono per molte terre, e si insediarono in territori diversi, chi in Libia, chi in Italia, altri in Sicilia, alcuni nelle isole vicine all'Iberia, altri ancora lungo il fiume Sangario; alcuni poi si stabilirono a Cipro. Anche quelli che si salvarono dal naufragio del Cafereo si dispersero in vari luoghi. Guneo andò in Libia; Antifo, figlio di Tessalo, arrivò al paese dei Pelasgi, occupò la regione e la chiamò Tessaglia; Filottete andò in Italia, nel paese dei Campani; Fidippo si stabilì ad Andro insieme alla gente di Coo; Agapenore si stabilì a Cipro; e così chi di qua chi di là, in altri paesi ancora. Apollodoro e gli altri raccontano le seguenti notizie. Guneo lasciò la sua nave, si inoltrò in Libia fino al fiume Cinife, e si stabilì in quella regione. Mege e Protoo fecero naufragio sulle coste dell'Eubea, presso il Cafereo, e i Magnesii che erano con Protoo si stabilirono a Creta. Dopo la guerra di Troia, Menesteo, Fidippo, Antifo, la gente di Elefenore e Filottete navigarono insieme fino a Mimante. Menesteo arrivò a Melo e prese il trono, perche il re dell'isola, Polianatte, era morto. Antifo, figlio di Tessalo, arrivò nel paese dei Pelasgi, occupò il territorio e lo chiamò Tessaglia. Fidippo passò prima da Andro, e poi si stabilì a Cipro. Elefenore era morto a Troia, ma la sua gente fu spinta nel golfo Ionico e si fermarono ad abitare ad Apollonia, in Epiro. La gente di Tlepolemo, invece, arrivò a Creta, ma il vento li spinse verso le isole Iberiche, dove si stabilirono. La gente

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di Protesilao fu spinta a Pellene, vicino alla piana di Canastro. Filottete arrivò in Italia, nella terra dei Campani, fece guerra ai Lucani, e si stabilì a Crimissa, vicino a Crotone e Turi. Come ringraziamento per il termine della sua peregrinazione, costruì un tempio ad Apollo Viandante, e dedicò al Dio il suo arco, come racconta Euforione. Il Naveto è un fiume dell'Italia: ecco il racconto dell'origine del suo nome, secondo Apollodoro e gli altri. Dopo la presa di Troia, le figlie di Laomedonte (e sorelle di Priamo) - Etilla, Astioche e Medesicaste - insieme ad altre prigioniere portate in quella zona dell'Italia, temendo di dover subire la schiavitù in Ellade, bruciarono le navi: per questo il fiume venne chiamato Naveto, e le donne Nauprestidi. Perdute così tutte le navi, gli Elleni di cui esse erano prigioniere si stanziarono in quella regione. Demofonte approdò, con poche navi, nel paese dei Traci Bisalti, e qui Fillide, la figlia del re, si innamorò di lui: Demofonte la sposò ed ebbe in dote il regno. Ma quando poi decise di rientrare in patria, Fillide pianse a lungo, Demofonte giurò che sarebbe ritornato entro una certa data, e partì. Fillide lo accompagnò fino al cosiddetto Enneodo e gli diede un cofanetto, dicendogli che conteneva un sacro amuleto della Madre Rea, e che doveva aprirlo solo nel caso avesse perso ogni speranza di tornare da lei. Demofonte arrivò a Cipro, e vi si insediò. Quando il tempo stabilito fu ormai trascorso, Fillide maledì Demofonte e si uccise. E Demofonte aprì il cofanetto, fu assalito da un folle panico, montò a cavallo e si lanciò al galoppo a1l'impazzata, finche trovò la morte: il cavallo infatti inciampò, Demofonte fu disarcionato e cadde sulla propria spada. La sua gente rimase a vivere in Cipro. Podalirio giunse a Delfi e chiese all'oracolo dove doveva stabilirsi. li responso diceva: «Vai in quella città dove, se anche il cielo cadesse, non ti succederebbe niente!» Allora Podalirio si stabilì nel Chersoneso Cario, in un posto interamente circondato dai monti lungo tutto l'orizzonte. Anfiloco, figlio di Alcmeone, che fu l'ultimo, si dice, ad arrivare a Troia, fu gettato da una tempesta sulla terra di Mopso: e si racconta che essi fecero un duello per il trono, e si uccisero a vicenda. I Locresi arrivarono in patria dopo lunga peregrinazione, e tre anni dopo la Locride fu piagata da una pestilenza: l'oracolo che ricevettero diceva che avrebbero dovuto placare l'Atena di Ilio, inviando due fanciulle come supplici per mille anni. Le prime due fanciulle furono Cleopatra e Peribea. Quando arrivarono a Troia furono scacciate dagli abitanti, e si rifugiarono nel tempio. E non poterono accostarsi alla Dea, ma rimasero nel tempio con il compito di lavarlo e spazzarlo, senza mai più uscirne, con i capelli rasati, una semplice tunica e i piedi nudi. Quando poi le prime due donne morirono, i Locresi ne inviarono altre due; esse entrarono in città di notte, per evitare di essere viste fuori dal recinto sacro, con il rischio di venire uccise: solo in seguito pensarono di mandare delle bambine ancora neonate con le loro nutrici. Quando poi furono trascorsi mille anni, dopo la guerra focese, i Locresi smisero di inviare le supplici. Quando Agamennone ritornò a Micene insieme a Cassandra, Egisto e Clitennestra lo assassinarono: gli fecero indossare una tunica senza buchi per le braccia né per la testa, e quando fu così imprigionato lo uccisero. Egisto usurpò il trono di Micene; e uccisero anche Cassandra. Elettra, una delle figlie di Agamennone, prese di nascosto il fratellino Oreste e lo affidò da allevare al focese Strofio: e questi lo allevò insieme a suo figlio Pilade. Quando fu diventato grande, Oreste andò a Delfi e chiese al Dio se doveva vendicarsi degli assassini del padre. Il Dio diede il suo assenso, e Oreste andò a Micene di nascosto insieme a Pilade e uccise sia la madre che Egisto. Subito fu colto da follia e perseguitato dalle Erinni; giunse ad Atene e fu processato nell' Areopago. Il giudizio, secondo tradizioni diverse, fu emesso dalle Erinni o