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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in: storia contemporanea TITOLO DELLA TESI: “The Cod Wars” La questione della pesca e la nazione Islandese 1946-1976 Tesi di laurea in: Storia Sociale Relatrice: dott.sa Maria Malatesta Presentata da: Diego Regosa Correlatore: dott. Pietro Albonetti SESSIONE: I ANNO ACCADEMICO: 2002\03

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di laurea in: storia contemporanea

TITOLO DELLA TESI:

“The Cod Wars” La questione della pesca e la

nazione Islandese 1946-1976

Tesi di laurea in: Storia Sociale

Relatrice: dott.sa Maria Malatesta Presentata da: Diego Regosa

Correlatore: dott. Pietro Albonetti

SESSIONE: I

ANNO ACCADEMICO: 2002\03

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Indice:

Indice tabelle, grafici e figure p.3

Introduzione p.4

Cap.1 L‟Islanda p.7

1.1 La geografia p.7

1.2 La lingua p.9

1.3 La letteratura p.13

1.4 La religione p.18

1.5 I valori p.24

1.6 La storia: dalla colonizzazione al „900 p.31

1.7 La storia: sulla via della modernizzazione p.37

1.8 La storia: l‟Islanda nella Seconda Guerra Mondiale p.40

Cap.2 L‟Islanda nella guerra fredda p.43

2.1 L‟allineamento ad Occidente p.44

2.2 1952-1955: l‟Alleanza in stallo p.48

2.3 Lo sviluppo delle relazioni con l‟Est p.51

2.4 1956-1958: l‟Opposizione prende il sopravvento p.53

2.5 La normalizzazione dei rapporti p.57

Cap.3 Il mare e la sua economia p.61

3.1 Il mare e le sue risorse p.62

3.2 L‟industria del pesce in Islanda p.66

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3.3 Le acque islandesi e l‟economia britannica p.74

Cap.4 Lo sviluppo delle leggi che regolano i limiti territoriali p.80

4.1 L‟evoluzione dei limiti territoriali prima del 1945 p.82

4.2 L‟evoluzione delle leggi internazionali: 1945-1976 p.86

Cap.5 Le quattro estensioni islandesi dei limiti di pesca p.93

5.1 L‟estensione a quattro miglia p.93

5.2 1958-1961: la prima cod war p.97

5.3 !972-1973: la seconda cod war p.113

5.4 1975-1976: la terza cod war p.130

5.5 La situazione oggi p.145

Cap.6 Una visione antropologica del problema p.148

6.1 La questione della pesca e la nazione Islandese p.149

Conclusioni p.161

Bibliografia p.171

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Indice tabelle grafici e figure:

Tab.1 Libri e pamphlets pubblicati in Islanda

1965-1974 p.17

Tab.2 Numero di libri presi in prestito dalle biblioteche

in Islanda 1970-1975 p.18

Tab.3 Quantità di pescato delle principali specie 1958-74 p.63

Tab.4 Quantità totale di pescato in acque islandesi

1946-1976 (per 1000 Ton.) p.64

Tab.5 Popolazione totale e percentuali di lavoratori

nei diversi settori 1940-2000 p.67

Tab.6 Lavoratori e percentuali nel settore della pesca

1940-2000 p.67

Tab.7 Percentuali dei prodotti dell‟industria peschiera

nelle esportazioni totali 1946-1975 p.73

Tab.8 Numero e dimensioni di trawlers per la pesca

in acque distanti per i maggiori porti inglesi. p.76

Tab.9 Pescato britannico nelle maggiori zone di pesca distante

comparato con le coste islandesi 1946-1976 p.77

Tab.10 Trawlers e demografia in Hull 1921-1971 p.79

Tab.11 Potenza navale britannica 1972-73 p.122

Tab.12 Potenza navale islandese 1972-73 p.122

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Tab.13 Collisioni Anglo-Islandesi in acque islandesi

1972-73 p.123

Tab.14 Potenza navale britannica 1975-76 p.134

Tab.15 Potenza navale islandese 1975-76 p.135

Tab.16 Collisioni Anglo-Islandesi in acque islandesi

1975-76 p.137

Graf.1 Composizione della flotta islandese p.69

Fig.1 Principali zone di pesca intorno alla costa

islandese p.66

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Introduzione

Nell‟apprestarsi a leggere uno scritto di questo tipo, una domanda può sorgere

spontanea: perché l‟Islanda?

L‟interesse per la storia di questo paese è nato nei mesi da me trascorsi come studente

Erasmus all‟Haskolì Ìslands, l‟università di Reykjavìk. Durante questo periodo,

esattamente fra il Settembre 2001 ed il Giugno 2002, ho potuto scoprire aspetti

interessanti di un popolo tanto distante, quanto vicino a noi. L‟Islanda rappresenta,

infatti, una sorta di terra sconosciuta, posta nel mezzo dell‟Atlantico Settentrionale,

della quale generalmente si conoscono le meraviglie naturali ed il passato Vichingo.

L‟Islanda è però anche un paese europeo, e come tale è pienamente inserita nei

meccanismi politico-storici del mondo contemporaneo.

Nell‟affrontare questa ricerca ho dovuto confrontarmi con due problemi di

fondamentale importanza: la disponibilità delle fonti e la lingua.

Nelle nostre università è, infatti, molto difficile recuperare del materiale bibliografico

che riguardi la storia contemporanea islandese, e ciò che si trova non è purtroppo di

qualità molto elevata. Maggiori informazioni si possono ricavare dalla consultazione

di quotidiani e riviste. Nell‟acquisizione delle informazioni atte a dare un senso

cronologico agli eventi delle cod wars, tema centrale di questo scritto, un‟importanza

fondamentale ha avuto la consultazione di due fra i maggiori quotidiani mondiali: The

New York Times e The Times, entrambi disponibili in microfilm alla Johns Hopkins di

Bologna. La soluzione più naturale di questo problema è stata quella di recarmi in

Islanda per compiere le mie ricerche. Nei tre mesi invernali, Dicembre 2002-Febbraio

2003, sono stato ospite del Dipartimento di Storia dell‟Università di Reykjavìk ed ho

avuto ampio accesso al materiale della Biblioteca Universitaria e della Libreria

Nazionale.

Ciò ci porta direttamente al problema della lingua. In Italiano esistono solamente

poche pubblicazioni di carattere generale, così tutto il materiale da me consultato è

scritto in lingua inglese. All‟Università di Reykjavìk è presente un‟ampia ed accurata

bibliografia, conseguenza del fatto che gli stessi Islandesi pubblicano numerosi libri

in Inglese. Nello studio delle reazioni pubbliche agli eventi da me presi in esame è

però presente una certa lacuna, dovuta all‟impossibilità d‟accedere a determinato

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materiale scritto in Islandese. Per la comprensione delle cod wars, è interessante

notare negli organi d‟informazione, sia nel risalto dato agli articoli sia nelle opinioni

espresse da chi li commenta o nella sezione delle lettere al direttore, la correlazione

fra evento ed opinione pubblica. Data la mia incapacità di comprensione della lingua,

non mi è stato possibile attuare tale correlazione sui quotidiani islandesi.

Questa tesi ha una triplice natura ed un triplice scopo: essa è innanzi tutto una

presentazione dell‟Islanda e della sua storia, secondariamente è l‟esposizione di una

serie d‟eventi politico-economici di carattere internazionale, in ultimo, è l‟analisi

della relazione esistente fra un paese e la sua risorsa principale, in questo caso la

pesca.

Questa ricerca è una presentazione con la quale si è tentato, seppur limitatamente, di

mostrare gli aspetti di un “mondo nuovo”, di un paese europeo la cui storia è poco

conosciuta. La mia speranza è di instillare per lo meno un po‟ di curiosità verso di

esso, e dimostrare come non esistano delle marginalità, come ogni singola particella

entri a far parte nella concatenazione d‟eventi e situazioni che hanno contribuito a

definire il mondo contemporaneo. Questa tesi è, infatti, anche un‟esposizione d‟eventi

politico-economici di carattere internazionale. L‟analisi del ruolo avuto dall‟Islanda

nella Seconda Guerra Mondiale e nella Guerra Fredda, può essere utilizzata

com‟esempio per capire il posizionamento dei piccoli stati nel sistema internazionale.

E‟ interessante notare come l‟Islanda sia stata una componente delle strategie

politiche delle due superpotenze, e, soprattutto, come gli Islandesi le abbiano sfruttate

a loro vantaggio. L‟importanza strategica del territorio islandese, data dal suo

posizionamento geografico, ha permesso una straordinaria accelerazione del processo

di modernizzazione del paese. Se, all‟inizio della Seconda Guerra Mondiale, l‟Islanda

rappresentava ancora il medioevo europeo, oggi è uno degli stati al mondo dal tenore

di vita più elevato. In poco più di un cinquantennio la popolazione è più che

raddoppiata, passando da circa 130.000 abitanti, nel 1945, a 282.000, nel 2000. Tutto

questo nonostante l‟assenza sul territorio d‟importanti materie prime ed un‟economia

legata, per molto tempo, ad un solo prodotto. Da questo deriva il tentativo

d‟analizzare l‟importanza della pesca per la nazione Islandese e il legame che la

popolazione ha con essa.

Il tema centrale di questo scritto sono le cod wars. Il termine, che si traduce con

“guerre del merluzzo”, è stato creato dai mass media britannici durante una serie di

conflitti, dovuti all‟estensione islandese dei limiti di sfruttamento della pesca e delle

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acque territoriali, che hanno visto l‟Islanda fronteggiare Gran Bretagna e, in misura

minore, Germania Federale.

Inizialmente, ho ritenuto necessario fare un‟esposizione generale della società e della

storia islandesi. Questo permette di creare le basi necessarie a comprendere al meglio

la concatenazione degli eventi politico-economici che portarono alle cod wars, e,

contemporaneamente, di soddisfare il mio scopo di “presentazione”. Tutto il primo

capitolo è così dedicato all‟analisi dei fattori che contribuiscono a creare l‟identità

islandese: lingua, letteratura, religione, valori e storia comuni.

I capitoli due, tre e quattro sono quelli che permettono di creare la cornice politico-

economica in cui s‟inseriscono le cod wars. Il capitolo due è dedicato all‟analisi del

ruolo avuto dall‟Islanda nella Guerra Fredda, una diretta conseguenza degli eventi

della Seconda Guerra Mondiale. Quest‟esposizione è un chiaro esempio di quello che

può essere il ruolo di un piccolo stato nel sistema internazionale, e di come un paese

possa sfruttarlo a proprio vantaggio. Il terzo capitolo ci mette in relazione con la

principale risorsa islandese: la pesca. Le caratteristiche dell‟industria peschiera

islandese sono affiancate all‟analisi dell‟importanza delle acque islandesi per la pesca

britannica. Questo ci permette di comprendere al meglio tutti gli aspetti economici in

gioco nelle cod wars. Il quarto capitolo tratta dell‟evoluzione delle legislazione

internazionale che regola lo sfruttamento dei mari, ed è un ulteriore esempio di

comportamento di un piccolo stato nel sistema internazionale.

Il quinto capitolo è dedicato all‟estensioni dei limiti territoriali islandesi, in particolar

modo a quelle che hanno generato le cod wars.

Il sesto capitolo rappresenta un‟analisi della questione della pesca in Islanda. Vi sì

sottolinea il ruolo da essa avuto nell‟immaginario collettivo e com‟esso abbia influito

sulle cod wars.

In altre parole si potrebbe dire che le cod wars sono l‟evento centrale di questa

ricerca. Esse sono strettamente correlate ad una serie d‟eventi politici, economici e

sociali. I primi sono analizzati nei paragrafi finali del primo capitolo e nei capitoli due

e quattro; i secondi sono esposti nel capitolo tre; gli ultimi nei paragrafi iniziali del

primo capitolo e nel sesto.

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Cap1 L‟Islanda

Diversi elementi concorrono a caratterizzare una Nazione ed a dare un‟identità

comune alla sua popolazione. Un‟analisi degli elementi che caratterizzano l‟Islanda e

gli Islandesi è necessaria per riuscire a comprendere appieno quelli che sono i diversi

fattori in gioco nell‟evoluzione delle cod wars, tema centrale di questo scritto.

Una nazione è innanzi tutto caratterizzata geograficamente dalla posizione che occupa

nel planisfero e dalle sue caratteristiche climatiche e territoriali. Nel contesto della

posizione geografica, un‟importanza fondamentale vengono ad acquisire i suoi

confini territoriali. L‟Islanda è un‟isola “dispersa” nel Nord Atlantico, perciò

quest‟ultimi sembrano ovvi. In realtà, lo sviluppo delle nazioni nel corso della storia

ha dimostrato come il concetto di confine non sia correlato solamente ad un puro

discorso territoriale. Un confine è anche, e forse soprattutto, un‟entità politica sulla

quale una popolazione reclama particolari diritti di sfruttamento e giurisdizione. Così,

non sempre i conflitti per la sua determinazione sono avvenuti fra paesi confinanti. Le

cod wars sono un esempio di ciò. Anche se non hanno implicato nessun‟invasione o

perdita territoriale, esse possono essere intese come una battaglia per l‟estensione dei

confini nazionali. Le cod wars sono state delle espansioni territoriali volte a garantire

alla popolazione islandese determinati diritti di sfruttamento economico, a scapito

soprattutto di Gran Bretagna e Germania Federale.

Altri elementi che concorrono a caratterizzare una nazione sono la sua popolazione e

l‟identità culturale di quest‟ultima. L‟identità di un popolo è a sua volta formata da un

insieme di diversi fattori, quali lingua, letteratura, religione, una storia ed un insieme

di valori comuni.

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1.1 La geografia

Situata a nord delle isole Britanniche e tra la Scandinavia e la Groenlandia là dove

s‟incontrano la falda Eurasiatica con quell‟Americana, l‟Islanda è per dimensioni la

seconda isola Europea, la terza nell‟Oceano Atlantico1. La sua superficie misura

103.000 Kmq e ospita circa 282.000 abitanti. Più della metà di questi sono

concentrati nella regione sud-occidentale, una landa dall‟alta attività geotermica e

formata principalmente da pianure laviche, dove sorgono Reykjavík, con i suoi

numerosi sobborghi, e l‟area abitativa ruotante intorno a Keflavík, aeroporto

internazionale nonché base NATO.

Geograficamente parlando la caratteristica predominante della regione è il contrasto

tra freddo e caldo: qui si trovano, infatti, una decina di ghiacciai perenni, il più vasto

è il Vatnajökull con una superficie di ben 8.300Kmq, ma questa è anche una delle

regioni vulcaniche più attive del pianeta e famosa è la presenza di numerosi geyser e

sorgenti sulfuree.

Contrariamente a quanto si pensa, il clima non è eccessivamente rigido, grazie alla

presenza di masse d‟aria calda provenienti da sud-est e di correnti marine calde

provenienti dall‟Atlantico meridionale. Questa situazione lo rende però

imprevedibile, caratterizzandolo con numerosi quanto repentini cambiamenti

nell‟arco di una stessa giornata. Le temperature medie si aggirano intorno ai -2°/ 0° C

in invero e fra i 9° C ed i 14° C in estate, con tendenza al ribasso nei mesi di Gennaio

e Febbraio. Le precipitazioni sono comprese fra i 400mm annui delle regioni centrali

e i 4.000mm di quelle sud-orientali, con una media nelle altre regioni di 700-

1.000mm/anno. Esse sono concentrate nei mesi autunnali ed all‟inizio dell‟inverno.

La neve rappresenta un‟alta percentuale di queste precipitazioni solo nelle regioni

settentrionali e centrali, che essa ricopre nei lunghi inverni.

Ciò che rende veramente differenti le stagioni è la quantità di luce: nei primi mesi

invernali essa decresce rapidamente fino ad avere solamente circa sei ore di distanza

fra alba e tramonto, ma dall‟inizio di Febbraio in poi le giornate si allungano fino al

fenomeno del “sole a mezzanotte”. Un altro fenomeno rallegra invece le fredde e

serene notti invernali: l‟aurora boreale.

1 “Iceland: The Republic” Handbook published by the Central Bank of Iceland pp. 17-43

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La superficie dell‟isola è praticamente tutta montuosa e considerata la gran

percentuale di pianure laviche, il territorio realmente sfruttabile è abbastanza ristretto,

per lo più concentrato nella regione meridionale e nelle strette vallate che s‟insinuano

all‟interno dei numerosi fiordi. Peculiarità tutta islandese è la quasi totale assenza

d‟alberi ad alto fusto e di mammiferi autoctoni. Ad esclusione delle volpi artiche tutta

la fauna è stata infatti importata dall‟uomo per uso domestico, ovini, equini, bovini, o

accidentalmente, come nel caso dei ratti arrivati via mare durante il XVIII secolo. I

veri dominatori dell‟Islanda sono gli uccelli, con centinaia di specie differenti, e gli

abitanti delle acque. I numerosi fiumi e laghi sono molto pescosi, come anche

l‟oceano attorno alle coste dell‟isola, popolato fra l‟altro da diverse varietà di balene e

foche.

1.2 La lingua

I primi colonizzatori provenivano da diverse regioni del regno Nordico ed alcuni di

loro avevano partecipato precedentemente alla colonizzazione delle Isole Britanniche.

Essi erano organizzati secondo un sistema di clan, che non rispecchiava

automaticamente quello familiare. Il clan non era un‟entità territoriale, il suo

mantenimento era basato su di complicato sistema d‟alleanze. Esso era incentrato

intorno alla figura del capo-clan (Goði). Determinate era la capacità di un Goði di

mantenere in vita tali alleanze. Ogni Freeman poteva legarsi al Goði che preferiva e

tali legami avevano una ben determinata durata, al termine della quale il contratto

poteva essere rinnovato o no. I clan che affrontarono il viaggio per approdare sulle

coste Islandesi erano quindi eterogenei. Diversi freeman avevano deciso

volontariamente di seguire un determinato Goði. Esistevano quindi delle chiare

differenze dialettali nella lingua parlata dai colonizzatori che non s‟identificavano

come Islandesi e non chiamavano la loro lingua Islandese.

Uno dei principali effetti delle emigrazioni oltre mare e´ la rottura dei tradizionali

legami familiari e comunali. R.F. Tomasson2, nota come la conseguenza di ciò sia

2 Richard F. Tomasson “Iceland. The first new society” p. 13

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una forte omogeneizzazione della popolazione nella nuova società da loro formata.

Le condizioni del territorio islandese non permettevano la creazione di comunità

accentrate, ma solo d‟isolate fattorie; freemen provenienti da una stessa regione non

sempre s‟insediarono quindi nella medesima area. La necessità di comunicare e la

contemporanea assenza di “agglomerati regionali”, permisero una rapida diluizione

dei differenti dialetti e l‟instaurazione di una lingua comune.

La prima evidenza dell‟identificazione dell‟Islandese come una lingua diversa è

fornita dal “Primo Trattato di Grammatica” scritto intorno al 1125-753. L‟anonimo

autore opponeva spesso la “nostra lingua” alla “lingua Danese”, il termine che

all‟epoca era più frequentemente utilizzato per caratterizzare tutta la lingua Nordica.

Esso esordiva, inoltre, affermando che l‟intento dello scritto era quello di fornire un

alfabeto agli Islandesi di modo che divenisse più semplice scrivere e leggere sia le

leggi sia le genealogie.

L‟Islandese è una lingua complessa ed il suo apprendimento richiede anni di studio

anche agli stessi Islandesi4. Ciò è dovuto principalmente alla presenza di quattro casi

(nominativo, accusativo, dativo e genitivo), tre generi (maschile, femminile e neutro),

forme singolare e plurale, verbi forti e deboli, secondo i quali tutte le componenti

della frase sono declinate. Un nome può quindi cambiare grafia e pronuncia a seconda

del genere, del verbo, dell‟avverbio, della preposizione...fino ad avere 48 forme

potenziali. Sono declinati inoltre anche i nomi propri ed i numeri fino al quattro.

Un‟ulteriore caratteristica dell‟Islandese moderno è che esso mantiene in uso quattro

antiche lettere, di cui tre ormai scomparse da tutti gli altri alfabeti: Ð-ð (pronunciata

come la th nel The Inglese), Þ-þ (pronunciata come la th nel Think Inglese), Æ-æ

(pronuncia ai) e Ö-ö (pronunciata come la i nel Bird Inglese).

Una volta stabilita una caratterizzazione grammaticale, il conservatorismo divenne la

principale caratteristica della lingua islandese. Questa ha, infatti, subito poche

modifiche nel corso nel tempo ed è considerata la lingua anticamente parlata da tutti i

popoli Vichinghi. Oggigiorno è possibile leggere e comprendere senza troppe

difficoltà i testi antichi. Un altro aspetto di questo conservatorismo è il fatto che la

maggior parte dei nomi che caratterizzano il territorio islandese, così come quello di

gran parte delle fattorie, è quella data loro dagli antichi colonizzatori.

3 Gíslí Pálsson “Language and Society : The Ethnolinguistics of Icelanders” in Pálsson, Durremberger

“The Anthropology of Iceland” p. 122 4 F. Tomasson “Iceland. The first new society” pp. 150-164

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In realtà, nel corso dei secoli, si è avuta una certa evoluzione della lingua.

Un‟influenza marginale è stata esercitata, sin dai tempi della colonizzazione, da parte

della lingua Celtica che influì sul nome di determinate località, quali Patreskfiörður e

l‟isola di Papey. Ben più consistenti furono le introduzioni derivate dalla conversione

al Cristianesimo. Ad esempio, divennero all‟epoca d‟uso comune parole come munkr

(monaco), prestr (prete) ed alcuni nomi propri, María, Krístinn. Nel 1380 l‟Islanda

divenne una colonia Danese e dal XVI secolo l‟influenza della lingua Danese

sull‟isola si fece sempre più pressante. Questo era dovuto essenzialmente ad un

maggior interesse politico ed economico della Corona verso il paese, che portò prima

alla conversione al Protestantesimo e poi al monopolio commerciale gestito dai

mercanti Danesi. Già dal XVII secolo alcuni letterati cominciarono a prorogare la

causa della purificazione della lingua nazionale, ma questo processo raggiunse una

sua vera espansione ed il suo apice solo nel XIX secolo in conseguenza del

movimento patriottico per l‟indipendenza nazionale.

L‟ideologia patriottica era incentrata sulla fattoria e sul mondo rurale e fu prorogata

da una ben definita sfera sociale, quella dei proprietari terrieri. L‟indipendenza era

anche un fattore economico, grazie ad essa essi avrebbero potuto raggiungere il

controllo totale delle risorse. Tutta la ridondanza patriottica sottolineava quindi la

purezza del mondo rurale, contrapposta all‟impurità dell‟inquinato mondo urbano.

Dove per urbano s‟intendevano sia le città straniere (Danesi), che i villaggi di

pescatori, dove l‟influenza del Danese era maggiore. La purezza della lingua era

associata alla purezza del pensiero: chi non parlava un perfetto Islandese era un

soggetto deviato, dalle dubbie moralità e capacità psichiche5. Così, la maggior parte

dei nomi derivati dal Danese o dalle lingue germaniche fu sostituita con termini presi

direttamente dalle antiche saghe. Per ovviare al problema di denominare oggetti o

situazioni di cui gli avi non erano a conoscenza, sì adottò, e si adotta tutt‟oggi, il

metodo di creare nomi complessi derivati dall‟unione di due termini antichi. Per

esempio film è kvykmynd (= veloce + quadro), microscopio è smásjá (= piccolo +

vedere), sociologia è þjóðfélagsfræði (= persone + associazione + studio). Nello

stesso tempo furono legiferate leggi che impedivano l‟uso dei cognomi familiari

obbligando la popolazione a mantenere l‟antica tradizione del patronimico. Secondo

questa, un nome di persona è seguito da quello del padre o, più raramente, della

madre con l‟aggiunta dei suffissi son (figlio) o dottír (figlia). Per esempio i figli di un

5 E. Paul Durremberger “Every Icelander a special case” in Pálsson, Durremberger “Images of

contemporary Iceland” pp. 174-175

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ipotetico Einar Magnússon si chiameranno Skorri Einarsson e Inga Einardottír.

Oggigiorno tali leggi sono state abolite, ma la grande maggioranza della popolazione

mantiene comunque l‟uso del patronimico.

Numerosi studiosi sono attenti tutt‟oggi al mantenimento dell‟Islandese puro ed

esistono anche dei programmi radio che giornalmente presentano diverse parole o

frasi esponendo la loro corretta declinazione. Il mito della comunità peschiera quale

luogo d‟imperfezione linguistica è tutt‟oggi molto radicato, nonostante non esistano

più delle reali differenze nel parlato comune. Coloro che non parlando un perfetto

Islandese sono ancora visti come dei diversi, una separata categoria sociale.

Nonostante ciò è sempre più corrente l‟uso di termini direttamente derivati

dall‟Inglese o dal Latino. Un esempio può essere il termine pickup, un tipo

d‟autovettura. Il termine islandese corretto, sarebbe pallbíll (= piattaforma +

automobile), ma il termine comunemente utilizzato è pikkup, dove le differenze

grafiche dall‟originale sono dovute alla necessità di renderlo adattabile alla

declinazione nelle diverse forme. Numerosi puristi sono inoltre preoccupati per la

rapida espansione di un linguaggio di strada negli ambienti urbani, principalmente

Reykjavík. Questo è però legato strettamente all‟età adolescenziale e non costituisce

un fattore di reale cambiamento.

La lingua islandese è una lingua “ancestrale”, pura, direttamente legata all‟età

dell‟oro Vichinga, ma la sua principale importanza si può capire solo se essa viene

correlata alla popolazione intesa com‟entità numerica. In un paese in cui il numero

d‟abitanti totali è paragonabile a quello di una città medio-piccola Italiana, la

condivisione di una lingua, non un dialetto, comune ben definita grammaticalmente e

storicamente è forse il principale fattore d‟identificazione della popolazione.

L‟importanza dell‟unicità della lingua può essere anche spiegato da questa

correlazione. Coloro che parlano un differente Islandese sono considerati elementi a

parte, dei diversi, dei fattori estranei alla comunità. Delle differenze a livello

regionale sono presenti a livello di pronuncia, ma esse non vanno a creare dei

raggruppamenti dialettali. Sono considerate sfumature di una stessa univocità. La

lingua islandese è una e pura, coloro che non la possiedono sono degli individui

“corrotti”, da mantenere ai margini della società.

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1.3 La letteratura

L‟importanza della letteratura nell‟identità nazionale di un paese è strettamente

correlata alla lingua. Attraverso la letteratura, la lingua è correttamente tramandata.

Attraverso la letteratura antica, la lingua islandese non solo è stata tramandata, ma è

anche stata purificata, come abbiamo visto precedentemente.

La società islandese può essere considerata una società di frontiera, la prima nuova

società di questo tipo, come acutamente sottolineato da R.F. Tomasson6.

Caratteristica peculiare delle nuove società di frontiera è quella di mantenere la

memoria della loro formazione. La memoria della creazione della società islandese è

stata tramandata dalle Sögur.

In Islandese la parola saga significa semplicemente storia, narrazione, ciò che è detto

e può essere sia scritta che orale. Ciò che qui s‟identifica con la parola saga, è però un

corpo di scritti redatti per la maggior parte in lingua islandese fra il XII ed il XIV

secolo e che possono essere suddivisi in differenti categorie7.

Le cosiddette “Saghe Storiche” sono quelle che rivestono una maggior importanza dal

punto di vista della memoria della formazione della società islandese.

L‟Íslendingabók (Libro degli Islandesi), scritto da Ari Þorglsson nel 1122-33, riporta

gli eventi della prima colonizzazione, datata 874 d.c. Il Landnámabók (Libro dei

colonizzatori), scritto nel XII secolo da un anonimo autore, riporta fedelmente i

viaggi di tutti i clan e descrive attentamente le terre dove essi s‟insediarono,

dilungandosi poi nel racconto d‟eventi che interessarono diverse generazioni

d‟Islandesi.

Esistevano poi le “Saghe dei Re”, precise narrazioni delle vite dei re norvegesi. La

più importante di queste, Heimskringla (Il cerchio terrestre), fu compilata nel XIII

secolo da Snorri Sturluson e narra le storie della dinastia norvegese dai tempi di

Óðinn, da cui essi erano considerati discendere in linea diretta, fino a quella di Re

Sverrir, 1177.

6 F. Tomasson “Iceland. The first new society”

7 Gunnar Karlsson “Iceland‟s 1100 years. History of a marginal society” pp. 66-71

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Una certa importanza nel consolidamento del Cristianesimo hanno avuto le “Saghe

dei Vescovi”. Esse sono precisi resoconti delle gesta, nonché dei miracoli, dei

principali vescovi islandesi vissuti nei secoli XII e XIII.

Le “Saghe Contemporanee” rivestono una particolare importanza nella narrazione dei

fatti che hanno portato alla conclusione del Commonwealth islandese ed

all‟assoggettamento ai re norvegesi, nel XIII secolo. La più importante di queste è

l‟Islendinga Saga (Saga degli Islandesi) scritta da Sturla Þórðarson.

Negli stessi anni diversi autori anonimi compilarono le più di quaranta “Saghe

Familiari”, forse i capolavori letterari dell‟epoca. Esse narravano le vite di semplici

famiglie islandesi vissute negli anni tra il 930 ed il 1030. Fra queste le più importanti

sono le saghe d‟Egil, che narra le gesta di questo poeta-guerriero, e Njal, il cui tema è

la battaglia umana contro il fato.

Altri due tipi di saghe erano quelle “Eroiche”, che narravano le gesta d‟antichi avi in

Scandinavia, e le Riddarasögur, traduzioni in prosa di poemi epici, specialmente delle

Chansons de geste.

Le saghe Islandesi sono universalmente considerate un capolavoro letterario. Esse

sono gli unici scritti del genere per il mondo nordico e, data la loro accuratezza

nell‟esporre gli eventi possono essere utilizzate come fonti storiche e soprattutto

sociologiche.

Un dibattito ormai secolare è in corso sull‟attendibilità storica delle saghe. Opinione

comune è che esse si basassero su eventi realmente accaduti, ma quanto è stato

aggiunto dall‟inventiva dell‟autore rimane comunque un dubbio insolubile. Un‟utilità

più “scientifica” esse rivestono nel campo sociologico. Gli eventi narrati possono

infatti essere stati inventati, ma il contesto sociale cui gli autori si riferiscono è

sicuramente reale ed è utile per comprendere la società Islandese medioevale.

L‟importanza delle saghe risiede anche nel ruolo che esse rivestono per la memoria

collettiva Islandese. In un paese dove non esistono molti reperti o rovine che attestino

il passato, le saghe contribuiscono a marcare il territorio, a rendere vivi e popolati gli

immensi spazi aperti regalati dalla natura islandese. Attraverso di esse le solitarie

Landscapes si popolano di un mondo d‟eroi, fuorilegge, poeti-guerrieri ai quali ogni

Islandese può essere genealogicamente connesso. I dintorni di ciascuna fattoria sono

impregnati di tradizione, una tradizione non fisicamente visibile, ma ancora molto

viva nella quotidianità della campagna islandese. Una tradizione tramandata

oralmente nelle lunghe serate invernali. Fino alla Seconda Guerra Mondiale la lettura

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delle saghe è stata il quotidiano accompagnamento dei lavori che potevano essere

svolti al chiuso. La lettura era poi normalmente seguita da una vivace discussione in

cui si commentavano i fatti, il comportamento dei personaggi e l‟insegnamento

morale della storia. Oggigiorno le saghe sono una materia d‟insegnamento nelle

scuole e non rappresentano più una lettura comune, nonostante molti “puristi”

continuino ad affermare il contrario. Esse sono comunque in mostra negli scaffali

d‟ogni casa islandese. Anche se non sono più lette intensamente, il loro contenuto è in

genere ricordato. Ed ancor maggiormente viva è la loro correlazione a determinati

aspetti del territorio. Idealmente ogni scogliera, montagna, vallata...di una località può

essere ricollegata ad un evento raccontato nelle saghe. L‟avvenimento, anche se non

conosciuto precisamente, è diventato patrimonio comune della toponimia della

località. È una tradizione riconosciuta. Fa parte del “si sa che”.

Il XV ed il XVI secolo rappresentano “l‟età buia” della produzione letteraria

Islandese. La compilazione di saghe continuò, specialmente di quelle derivanti dai

poemi epici francesi, ma non raggiunse mai gli standard letterari dei precedenti scritti,

che andarono in parte dimenticati8. Nel XVII secolo si ebbe una lenta ricrescita

dell‟attività letteraria, legata soprattutto alla compilazione di nuove biografie di

Vescovi. Le nuove scoperte geografiche avevano reso popolare la letteratura

geografica in tutta Europa e l‟esotica Islanda era diventata il soggetto di numerosi

racconti di viaggio. Questi erano però impregnati d‟elementi fantastici e di

superstizioni, come ad esempio che il vulcano Hekla fosse l‟entrata dell‟inferno.

Diversi autori tentarono di restaurare la reputazione della terra natia, e fra questi

riveste una certa importanza Árnigrúmur Jónsson, il cui Crymogæa divenne uno dei

manifesti del patriottismo Ottocentesco. Questa era un‟opera storica e si rifaceva

direttamente alle antiche saghe, dimostrando come gli Islandesi e la loro lingua

fossero i più diretti e puri discendenti dei regni Vichinghi. Grazie a quest‟opera gli

studiosi Europei vennero a conoscenza dell‟eredità culturale medioevale islandese.

Questo rappresentò l‟inizio della crescita di un rinnovato interesse scandinavo, nel

XVIII secolo, verso l‟Islanda medioevale, favorita anche dal fatto che ben presto sì

scoprì che gli Islandesi potevano leggere senza difficoltà i testi antichi. All‟apice di

quest‟interesse troviamo il lavoro di Árni Magnússon che dedicò tutta la sua vita alla

ricerca e collezione delle antiche saghe. E‟ grazie a questo lavoro che esse si sono

preservate fino ad oggi. Il movimento patriottico Ottocentesco ebbe la sua importanza

8 Ibid. pp.156-160

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non solo nella “purificazione” della lingua islandese, ma anche nella completa

riappropriazione delle antiche saghe nella memoria collettiva del paese.

Durante questo secolo, si svilupparono intensamente anche le arti poetiche e

novellistiche. Particolare importanza rivestono nella tradizione poetica le Rimúr, tipo

di composizioni nate nell‟antichità e successivamente riprese dal 1600. Si tratta di

rime, generalmente ricavate dalle saghe, costruite in modo tale da poter essere lette

anche al contrario, pur mantenendo una logica. Le rime più complesse possono essere

lette anche verticalmente e diagonalmente.

Il „900 vide la completa affermazione della novella, grazie soprattutto al Premio

Nobel per la Letteratura nel 1955, Halldór Laxness. Le sue novelle sono delle pure

esplorazioni della realtà islandese, presente e passata. I temi sono quelli della durezza

della vita rurale e nelle comunità peschiere, della lotta sostenuta dagli Islandesi contro

le forze avverse della natura, del legame storico col passato, della lingua islandese,

del dualismo agricoltore-poeta tanto tipico nella storia islandese....Le principali sue

opere sono: Salka Valka (1931-32), Sjálfstæett fólk (Independent People 1934-35),

Heimsljós (Worldlight 1937-40) e Íslandsklukkan (Iceland‟s Bell 1943-46)9.

In generale la vita letteraria islandese è molto attiva. Leggere libri è un passatempo

comune, specialmente in inverno, e l‟attività di pubblicazione è una delle più intense

al mondo. Il numero pro-capite di titoli editi è tre-quattro volte superiore quello degli

atri paesi scandinavi e venti volte quello degli Stati Uniti. Per contro meno copie per

ciascun libro sono di volta in volta stampate. Queste variano dalle 300-600 per

soggetti molto specializzati alle 15.000 per i best-seller. Una media di 500.000 copie

di libri in Islandese è venduta annualmente, a cui si aggiunge una grande quantità di

libri stranieri. Dei circa 600 libri pubblicati annualmente però, solamente meno di un

centinaio sono da considerare di un certo valore letterario, di cui meno di un terzo di

notevole valore. Pubblicazioni di “alta qualità” sono perciò all‟incirca solo una

trentina, di cui all‟incirca la metà di origine straniera. Le biblioteche sono altamente

frequentate.

Le seguenti tabelle possono dare un‟idea più precisa di quella che è stata l‟attività

editoriale Islandese e l‟accesso alle biblioteche negli anni 1965-75 (popolazione circa

200.000 abitanti). Questi valori sono, seppur con lievi modifiche, validi tutt‟oggi.

9 Sigurdur A. Magnússon “The Icelanders” pp. 280-287

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Tab.1 Libri e pamphlets pubblicati in Islanda 1965-1974

Soggetto N° di pubblicazioni N° di traduzioni

Interesse generale 87 3

Filosofia e psicologia 121 46

Teologia e religione 191 63

Sociologia e statistiche 60 7

Politica e governi 556 23

Legge, amministrazione pubblica 484 4

Commercio, comunicazioni e trasporti 155 1

Etnografia e folklore 46 4

Linguistica e dizionari 174 6

Matematica 73 10

Scienze naturali 172 26

Medicina e salute pubblica 132 25

Tecnologia industriale 212 18

Agricoltura e pesca 218 4

Scienza domestica 41 6

Amministrazione, tecniche commercio 60 0

Arte, musica, teatro e televisione 124 7

Giochi e sport 88 8

Critica letteraria 59 3

Poesia 356 12

Novelle 1.454 911

Saggi 45 0

Letteratura miscellanea 71 5

Commedie 42 18

Lettere 9 0

Storia 237 41

Biografie e genealogie 338 47

Geografia e viaggi 180 32

Affari militari 1 0

Educazione 504 186

Totali 6.289 1.510

Fonte: F. Tomasson “Iceland. The first new society” p. 126

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Molta attiva è anche la pubblicazione di periodici e soprattutto quotidiani. A

Reykjavík esistono sei differenti quotidiani, di cui tre a distribuzione mattutina.

Questi sono distribuiti anche nel resto del paese ed i due quotidiani maggiori, di

stampo conservativo, raggiungono anche tutte le zone rurali. Il maggior quotidiano

nazionale, il Morgunblaðið, ha una tiratura di 75.000 copie giornaliere.

Tab.2 Numero di libri presi in prestito dalle biblioteche in Islanda 1970-1975

Libreria 1970 1975

Libreria pubblica di Reykjavík 775.332 1.140.344

Librerie di altre città e distretti 369.668 685.656

Librerie rurali 156.000 160.000

Librerie “mobili” 53.000 25.000

Totali 1.354.000 2.011.000

Pro-capite 6.6 9.2

Fonte: F. Tomasson “Iceland. The first new society” p. 127

1.3 La religione

Nell‟arco di tutta la loro storia, gli Islandesi hanno sempre mostrato una gran

tolleranza in materia religiosa10

. Pochi di loro sono stati intensamente pagani o

Cristiani o Protestanti.

I primi colonizzatori erano a conoscenza del Cristianesimo ed alcuni di loro erano

stati anche battezzati nelle Isole Britanniche, prima della loro emigrazione in Islanda.

Il Cristianesimo era anche la religione della maggior parte degli schiavi Celti. Una

volta arrivati in Islanda, ad ogni modo, la maggior parte di loro abbandonò la nuova

religione, rivolgendosi nuovamente agli antichi culti Vichinghi.

Gli antichi Scandinavi erano tolleranti in materia religiosa e non proclamavano la

falsità delle divinità degli altri popoli. L‟antica religione nordica era aperta e non

fanatica; essa non aveva dei reali centri di potere, non riconosceva uno stretto corpo

di dottrine per le quali gli uomini erano pronti a morire. L‟adorazione degli dei era

10

F. Tomasson “Iceland. The first new society” pp. 171-182

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una questione individuale ed accettare una nuova divinità non significava

automaticamente il rigetto di quella precedente. Per molti dei colonizzatori la

Cristianità poteva benissimo coesistere con gli antichi dei pagani.

La conversione islandese al Cristianesimo (anno 999 o 1000) rappresenta una

rimarchevole istanza di pragmatismo e compromesso in materia religiosa. Nei

decenni precedenti tre missionari erano approdati sulle coste dell‟isola, ma avevano

incontrato una generale ostilità da parte della popolazione. Nel 995 salì al trono di

Norvegia Olaf Tryggvason, conosciuto con l‟appellativo “Il Santo”. Egli era un

fervente Evangelista ed aveva il proposito di convertire alla Cristianità tutte le

popolazioni nordiche. Nel 997 egli mandò in Islanda il missionario Tedesco

Þangbrandur col compito di convertire gli Islandesi. Dopo gli iniziali successi, questi

sì scontrò però con l‟ostilità di molti pagani e fu costretto a lasciare il paese. Re Olaf

decise allora di punire gli Islandesi, uccidendo tutti coloro che al momento si

trovavano in Norvegia. Due di questi, goðar già convertiti, convinsero il Re a dar loro

la possibilità di ritornare in patria e cercare di far accettare il Cristianesimo alla

successiva riunione dell‟Alþing, il parlamento Islandese. Nella riunione dell‟Alþing

due partiti, Cristiano e Pagano, si fronteggiarono lungamente e decisero infine di

rimettersi alla decisione di Thorgeir, leader del secondo ma ampliamente rispettato da

entrambe le parti. Questi prese due giorni di tempo per pensare a tutti gli aspetti della

questione ed infine sì pronunciò per l‟adozione del Cristianesimo. Nel frattempo egli

dichiarò anche che la religione era una questione individuale e personale, perciò era

consentita l‟adorazione degli antichi dei, purché segreta. Venivano inoltre permessi

l‟esposizione dei nascituri ed il cibarsi di carne di cavallo, due antichi riti pagani. Per

il bene dell‟Islanda era necessario avere una legge ed una credenza comune e

l‟adozione del Cristianesimo evitava conflitti pericolosi con Re Olaf, che avrebbero

messo in discussione l‟indipendenza islandese.

La conversione al Protestantesimo (1551) fu invece imposta con le armi dalla Corona

Danese e fu completata dopo l‟uccisione dell‟ultimo Vescovo Cattolico, Jón Arason,

e dei suoi due figli a conclusione di una cruenta battaglia che li vide fronteggiare le

truppe Danesi ed i nuovi proprietari terrieri Protestanti. Anche in questo caso sì trattò

più di una questione politica che religiosa. Il Cristianesimo aveva ufficialmente

abolito la figura del goði pagano, ma la struttura di potere era rimasta essenzialmente

immutata. Gli antichi goðar si erano mutati in sacerdoti e continuavano a mantenere

sia il potere religioso sia quello politico. Nei secoli successivi, grazie all‟imposizione

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di una sorta di decima ed a numerosi lasciti, i beni della chiesa accrebbero

enormemente facendo dei Vescovi e dei Sacerdoti, la cui condotta religiosa e morale

era di molto inferiore a quella dei già bassi standard europei, i padroni assoluti della

campagna islandese. Nel XVI secolo la Corona Danese sì dimostrò sempre più

interessata ai possedimenti ecclesiastici islandesi; l‟imposizione del Protestantesimo

era il mezzo per acquisirli. E‟ indicativo sottolineare come Jón Arason sia ricordato

quale uno dei principali eroi della lotta nazionale contro lo straniero, lasciando in

subordine il suo ruolo religioso.

Oggigiorno circa il 97% della popolazione abbraccia la religione Luterana, mentre la

restante parte è suddivisa fra la religione Cattolica, diverse correnti legate al

Cristianesimo ed alcuni casi d‟affiliazione a culti orientali. La libertà di religione è

completa. Ad esempio non è necessario essere affiliati a nessuna chiesa in particolare

per poter insegnare la religione nelle scuole. La Chiesa Luterana Islandese è una delle

più liberali al mondo ed è caratterizzata dall‟essere influenzata da una forte corrente

d‟occultismo, particolarmente spiritismo. La presenza media di fedeli al culto

domenicale è molto bassa, probabilmente intorno al 2% della popolazione. Per contro

questa è quasi completa in occasione di feste tradizionali, specialmente il Natale. I

sacramenti sono generalmente rispettati, ma sembrano essere diventati una semplice

questione mondana, più legata ai regali ed alle feste che all‟aspetto religioso.

Negli anni passati il dipartimento di Psicologia dell‟Haskolí Íslands (l‟Università di

Reykjavík) ha condotto una ricerca su di un campione di 1.132 uomini e donne (età

compresa fra i trenta ed i settant‟anni) abitanti sia in città sia nelle aree rurali11

. Le

domande erano raggruppate in sei tipologie differenti fra le quali spiccavano religione

e pratica religiosa, sogni, esperienze psichiche (chiaroveggenza, telepatia,

comunicazione coi morti, esperienza di fuoriuscita dal corpo, memorie di vite

precedenti, apparizioni di fantasmi etc.) Questa ha dimostrato come il 97% degli

intervistati si considerasse abbastanza, in qualche modo o fortemente religioso,

seppur il 92% di loro non avesse mai letto la bibbia. Questo risultato è tutto sommato

comparabile a quello degli standard europei, ma di maggior interesse è il quadro

riguardante il soprannaturale.

- Il 64% (59% degli uomini ed il 70% delle donne) riportò di aver avuto

esperienze di fenomeni psichici.

11

Sigurður A. Magnússon “The Northern Sphinx: Iceland and the Icelanders from the settlement to the

present” pp. 165-173

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- Il 91% credeva possibile (37), verosimile (29) o certo (25) che i sogni

potessero rivelare il futuro.

- L‟88% credeva possibile (31), verosimile (26) o certo (31) che certe persone

potessero prevedere il futuro.

- Il 44% credeva possibile (30), verosimile (10) o certa (4) la reincarnazione.

- Il 55% credeva possibile (33), verosimile (15) o certa (7) l‟esistenza di elfi ed

huldúfolk (Hidden people); per l‟esistenza di fantasmi abbiamo circa le stesse

percentuali (34,12 e 9).

- Il 72% credeva possibile (35), verosimile (21) o certa (16) l‟esistenza di

fylgjur (spiriti accompagnatori).

- Il 52% ha qualche volta visitato un indovino, ma solo il 28% dichiarò di aver

beneficiato dell‟esperienza.

- Il 41% ha qualche volta visitato un guaritore, di questi il 91% dichiarò di aver

beneficiato dell‟esperienza.

- Il 25% dichiarò di leggere spesso libri che trattassero di fenomeno psichici, il

53% qualche volta ed il 33% mai.

- L‟88% credeva possibile (20), verosimile (28) o certa (40) una vita dopo la

morte.

Il culto degli dei ancestrali è rimasto in vita per secoli anche dopo le conversioni al

Cristianesimo ed alle idee della Riforma, e così anche per le credenze correlate a

spiriti, fantasmi e così via. Per gli Islandesi questi sono sempre stati reali quanto i loro

vicini di casa. Storie e racconti di incontri con fantasmi ed huldúfolk abbondano

ovunque, anche se è stato notato (Kirstein Hastrupp12

) come queste esperienze siano

diminuite di molto con la completa elettrificazione delle campagne. Anche i sogni

hanno un‟importanza fondamentale nella vita delle persone. Molti spiriti sono visti

come “spiriti guardiani” che visitano le persone in sogno per dar loro aiuto e

consiglio. Straordinariamente diffusa è la credenza che esistano particolari località

incantate dove non bisogna addentrarsi per non disturbare gli elfi e gli huldúfolk che

le abitano. Un paio di esempi su tutti sono utili per far capire l‟estensione di queste

credenze.

Nel 1962 i giornali riportarono che i lavori di costruzione di una nuova cava venivano

temporaneamente sospesi per permettere agli huldúfolk di trovare una nuova

sistemazione. Esistono due versioni dell‟incidente: la prima sostiene che le cariche di

12

Kirstein Hastrupp “A place apart. An anthropological study of the Icelandic world” p. 70

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dinamite utilizzate nei lavori si rompevano ripetutamente, la seconda che esse

semplicemente non funzionavano. Comunque i lavori trovavano un impedimento a

cui il sovrintendente non riusciva a dare risposta. Uno degli operai sognò in quei

giorni uno straniero, che gli annunciò di essere uno degli huldúfolk abitanti nelle

rocce che essi stavano cercando di far saltare inutilmente. Egli chiedeva di dar loro il

tempo di trovare una nuova sistemazione, altrimenti avrebbero continuato ad

impedire il normale svolgimento dei lavori. Ciò che può sorprendere è che il

sovrintendente acconsentì all‟interruzione dei lavori. Questi, dopo che gli huldúfolk

ebbero trovato una nuova accomodazione, continuarono speditamente senz‟altri

incidenti.

Queste credenze sono maggiormente radicate negli ambienti rurali, ma non sono

assenti neppure nella capitale, come testimonia una mappa pubblicata dal

Dipartimento di Pianificazione Urbanistica (Borgarskipulag Reykjavíkur, 1988) nella

quale tutti i luoghi abitati da huldúfolk, elfi, gnomi e nani sono segnalati in modo tale

da essere rispettati dal piano urbanistico cittadino.

E‟ qui forse necessario fare un breve excursus delle figure che animano il folklore

islandese, alcune delle quali le abbiamo già incontrate13

.

L‟origine degli huldúfolk risale al giardino dell‟Eden: un giorno Eva stava lavando i

suoi figli, quando inaspettatamente il Signore la chiamò. Eva nascose rapidamente i

figli non ancora lavati, e presentò al Signore solo quelli puliti. Questi era ovviamente

a conoscenza di tutto ed, arrabbiato per il comportamento della donna, decretò che

essi fossero per sempre nascosti alla vista degli uomini. Gli huldúfolk sono quindi i

discendenti dei figli non lavati di Eva. Con gli umani essi condividono la capacità di

provare sentimenti ed emozioni e la dura vita di pastori-agricoltori. Possono essere

visti solo da chi possiede particolari facoltà o quando loro stessi lo vogliono.

Anche gli elfi, come gli huldúfolk, vivono nelle rocce e nelle pianure laviche.

Rispetto ai primi vivono una vita più agiata, piena di gioie e ricchezze. Essi sono

specialmente attivi a Natale e cercano di tentare gli uomini offrendo loro ogni tipo di

ricchezza, nonché di cibo e di vino. Coloro che si lasciano tentare sono destinati a

morire, ma chi resiste sarà poi ricompensato con le ricchezze precedentemente

offerte.

La credenza nell‟esistenza di Giganti e Trolls, gigantesche creature della notte che se

sorprese dal sorgere del sole si trasformano in pietra, non è ormai più diffusa. Non

13

Sigurdur A. Magnússon “The Icelanders” pp. 225-238

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poche persone, comunque, sostengono che i trolls esistessero fino a qualche secolo fa

e sono in grado di indicare rocce che in realtà sono dei trolls pietrificati.

In pochi posti al mondo la credenza nell‟esistenza dei fantasmi è persistente quanto in

Islanda. Ci sono diverse tipologie di fantasmi: quelli che ritornano, quelli che sono

mandati, i mórar e skottur ed infine i fylgjur. I primi si afferma che ritornino dalla

tomba per tormentare i vivi; la lotta contro di essi è il tema di alcune principali saghe,

quali Grettir saga e l‟Eyrbyggja saga. I secondi sono richiamati dalla tomba dai vivi

per punire o tormentare dei nemici. I terzi sono dei fantasmi itineranti,

rispettivamente di uomini e di donne, che cacciano nelle campagne e che si

accrescono di numero ad ogni morte avvenuta nella regione. Gli ultimi sono forse una

delle più peculiari credenze Islandesi. Essi sono degli spiriti guardiani, una specie di

secondo ego. Originariamente delle anime umane, i fylgjur possono comparire in

forma di persona, animale, palle, lampi di luce o di una luna fluttuante. Ogni uomo e

donna ha il suo personale fylgja che lo precede ovunque vada e che può essere visto

da chi ha particolari poteri. Alcune importanti famiglie sono caratterizzate dall‟avere

uno stesso potente spirito guardiano che si tramanda di generazione in generazione.

Non è semplice trovare le ragioni di questa persistenza di credenze soprannaturali in

Islanda. Delle ovvie supposizioni ci riconducono al clima ed alla natura del territorio.

Gli Islandesi hanno vissuto per secoli in fattorie isolate che, specialmente nelle

regioni nord-orientali, venivano completamente ricoperte dalla neve nei lunghi mesi

invernali, circondati da lande e montagne desolate e completamente isolati dal mondo

esterno, eccetto che per gli sporadici contatti via mare. Come se non bastasse hanno

dovuto affrontare lunghe carestie ed innumerevoli catastrofi naturali. E‟ quindi

naturale che loro vedessero spiriti aggirasi fra le rocce nel buio della notte, udissero

fantasmi picchiare sulle pareti della casa nelle notti di tempesta, vedessero entità

maligne a cavallo della lava che stava distruggendo le loro fattorie. Col progredire

dell‟inverno le scorte diminuivano, la fame aumentava e gli occhi vedevano spiriti

ovunque. Poi, con l‟arrivo della luce e dell‟estate, l‟immaginazione compiva il suo

dovere e le storie di fantasmi si moltiplicavano ed espandevano. Il lavoro di pescatore

è sempre stato particolarmente esposto alle bizzarrie del clima islandese e del Mar

Artico. E‟ facile quindi presupporre che molte persone ricercassero delle cause

sovrannaturali alle frequenti tragedie. Ciò ci riconduce anche alla forte inclinazione

verso il fatalismo tipica degli Islandesi. La nozione di predestinazione è ancora molto

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viva: una persona fa quello che il fato le ha prescritto e muore ad un preordinato

momento.

Oggigiorno l‟Islanda è uno degli stati più ricchi ed avanzati al mondo, ma bisogna

ricordare che fino alla Seconda Guerra Mondiale le condizioni di vita della

maggioranza della popolazione non differivano di molto da quelle Medioevali. Molte

zone rurali sono state raggiunte dall‟elettricità soltanto nei tardi anni ‟60 ed ancora

oggi la qualità delle strade è tale da rendere a volte impossibile le comunicazioni.

Basti pensare che neppure la strada n°1, quella maggiormente importante che fa il

giro completo del paese, è completamente asfaltata. Poco più di un cinquantennio non

è forse un tempo necessario per cancellare un millennio di credenze legate in

particolar modo all‟ambiente rurale. Ambiente rurale che tutt‟ora, nonostante la sua

marginalità economica, è al centro dell‟identità islandese.

1.5 I valori

Definire i valori di un popolo significa innanzi tutto creare delle generalizzazioni che

tentino di spiegare le ragioni oscure di determinati comportamenti, che

all‟osservazione pratica risultano essere comuni e ripetuti. Tali comportamenti hanno

una ben definita correlazione con quelle che sono la storia e le esperienze del popolo

stesso.

Osservando la popolazione islandese il primo concetto che viene in mente è quello di

contraddizione. In essi vanno di pari passo cosmopolitismo e protezione della

tradizione nazionale, spiritismo e materialismo, senso di giustizia e corruzione e

nepotismo, tolleranza morale ed intolleranza politica, senso civico ed evasione delle

tasse...

Per riuscire a capire queste apparenti contraddizioni è necessario ricorrere alla

distinzione fra “culture della colpa” e “culture della vergogna” teorizzata

dall‟antropologa Americana Ruth Benedict nel libro “The Chrysanthemun and the

Sword”14

. La prima è quella tipica delle società Cristiane, dove si sottolinea

14

Citato in: Sigurdur A. Magnússon “The Icelanders” pp. 45-52

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l‟importanza dei doveri di un individuo verso Dio e gli altri uomini. Quando

l‟individuo fallisce nel rispettare tali doveri, egli è portato a provare un senso di

colpa. Questa cultura è profondamente legata ai concetti di buono e malvagio e crea

una consapevolezza di tragicità della situazione umana. Nelle culture della vergogna

l‟uomo non possiede questa consapevolezza, è in una sorta di stato d‟innocenza, o

meglio immaturità, rispetto al mondo. Ciò che provoca vergogna è soltanto il riflesso

di atti che premono sulla propria coscienza. Tale vergogna è molto forte e non può

essere “curata” con la terapia della confessione, come per la colpa verso Dio. Nelle

società della colpa la confessione agli altri porta al perdono; in quella della vergogna,

quest‟ultima è una reazione del possibile giudizio degli altri, perciò l‟individuo farà di

tutto per mantenere segreta la sua manchevolezza.

La cultura islandese, così come ci viene presentata dalle saghe e dalla visione

dell‟Islanda moderna, sembra avvicinarsi di molto alla descrizione della cultura della

vergogna. Secondo le saghe, tutto sulla terra è destinato a perire, eccetto la

reputazione e la fama di un uomo. In tutte le saghe l‟azione centrale dei protagonisti è

collegata in qualche modo ai concetti di onore e di vendetta da un affronto. Una delle

principali istanze della società islandese odierna è la volontà di “farsi un nome”, di

essere ricordati anche dopo la morte.

L‟importanza dell‟essere ricordati ci viene fornita anche da quelli che sono gli “eroi

culturali” che la tradizione islandese ha tramandato alle nuove generazioni. Questi

sono di tue tipi: uomini di grande cultura (poeti, letterati, scrittori di saghe) e uomini

d‟azione (guerrieri ma anche businessmen). In alcuni casi i due aspetti coincidono,

per esempio Snorri Sturluson (1178-1248), poeta, storico e politico, Egill

Skallagrímsson, poeta e guerriero vichingo del X secolo, Hannes Hafstein (1861-

1923), poeta e primo Primo Ministro d‟Islanda, Einar Benediktsson (1864-1940),

poeta e “avventuriero finanziario”. Di quest‟ultimo si dice che abbia venduto l‟Aurora

Boreale ad un innocente straniero che non era neppure mai stato in Islanda!

In entrambe le categorie, l‟artistica e la mondana, un importante ingrediente è

l‟originalità del comportamento, che può trasformare in successo (l‟essere ricordati)

anche un fallimento.

L‟ideale supremo islandese non è l‟onestà, l‟integrità, il senso del dovere, la

diligenza, ma l‟eccellenza che porta all‟individuo fama o fortuna, o entrambe, e al

massimo onore della preservazione del proprio nome dopo la morte. Per raggiungere

ciò il fine giustifica i mezzi. Tutto è concesso fino a che non provoca pubblica

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vergogna. Così molti individui dalla dubbia condotta morale, ma che hanno realizzato

grandi opere, sono cari agli Islandesi. Una delle principali figure delle saghe è quella

del fuorilegge; l‟eroe che, come Grettir (Grettir saga), combatte contro le forze

maligne della natura, ma che nello stesso tempo è incapace di vivere con gli altri e

viene bandito dalla società. Collegato a questo desiderio è il forte materialismo di cui

è imbevuta la società Islandese. Gli Islandesi sono fortemente incuriositi da tutte le

novità tecnologiche, che siano utili o meno, e normalmente le acquistano. In ogni casa

fanno sfoggio una serie infinita di gadget, che vanno dai più bizzarri elettrodomestici

ai più moderni televisori, computer etc. In un paese dove le strade sono

particolarmente brutte, se non addirittura impraticabili, per gran parte dell‟anno e

dove le autovetture sono tre-quattro volte maggiormente care che in ogni altro paese

vicino, da entrambi i lati dell‟Atlantico, c‟è un automobile ogni 3-4 abitanti.

E‟ forse per questo desiderio di fama e fortuna che gli standard morali islandesi sono

caratterizzati da una più ampia elasticità. La corruzione politica e finanziaria va di

pari passo con la tolleranza, poiché ogni manifestazione del voler eccellere è

accettata, purché essa sia elegante.

In materia sessuale gli Islandesi sono sempre stati molto liberi e piuttosto promiscui.

La percentuale di figli illegittimi si aggira intorno al 30%, anche se molti di questi

vengono legittimati più tardi col matrimonio dei genitori. Non c‟è nessun tipo di

stigmatizzazione verso le ragazze-madri, che normalmente non hanno nessuna

difficoltà a trovare un marito. Quando queste sono molto giovani, e capita spesso,

solitamente vengono aiutate da qualche parente. Non è raro che una madre si occupi

contemporaneamente del proprio figlio e del proprio nipote, che spesso sono coetanei.

Il padre di un figlio illegittimo è obbligato per legge a pagare un assegno mensile per

il sostentamento del bambino, direttamente alla madre od allo stato, che poi lo

trasferisce ad essa. Nel caso un padre non paghi, lo stato garantisce l‟assegno mensile

alla madre, cercando nello stesso tempo di far saldare il debito al primo. In molti casi

i padri fuggono all‟estero per cercare di evadere il pagamento. Anche la percentuale

di divorzi è molto alta, ed interessa soprattutto coppie fra i venti ed i trent‟anni d‟età.

La tolleranza in materia religiosa è forse ancora maggiore.

Unito all‟ideale dell‟eccellenza c‟è la forte necessità di fare esperienze di ogni tipo.

Gli Islandesi tendono a dare libero sfogo a tutti i loro desideri, sia costruttivi sia

distruttivi, nella credenza che tutto poi venga bilanciato nell‟innato ordine universale.

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Ciò è direttamente collegato al forte senso di fatalismo che abbiamo già visto in

precedenza.

In un certo senso si può dire che gli Islandesi sono come dei giovani immaturi:

curiosi, amanti del divertimento, assetati d‟esperienze. Il loro approccio alla vita è

emozionale, piuttosto che razionale, pratico più che idealistico. Il loro non è un

pensiero filosofico, ma piuttosto poetico; più epico che tragico. Non è un caso che

nell‟abbondante letteratura islandese manchi un filosofo di spicco, mentre c‟è una

grande abbondanza di poeti. Le preferenze letterarie sono direzionate verso il

carattere epico, la narrativa fluente, la descrizione di passaggio. L‟approccio analitico,

filosofico o psicologico sono praticamente assenti.

Ciò non significa che l‟Islanda sia un Far West dove ciò che conta è la legge del più

scaltro. Il profondo nazionalismo ed “attaccamento alla patria” fanno si che ci sia una

piena coscienza di quello che è il bene comune. Inoltre la profonda ideologia del

lavoro fa si che uno dei mezzi per raggiungere l‟eccellenza sia proprio il duro lavoro.

Abbiamo già visto come l‟ideologia patriottica dell‟800 fosse incentrata intorno alla

purezza dell‟ambiente rurale ed all‟eguaglianza degli Islandesi di fronte allo straniero

ed alle avversità della natura. Nei paragrafi precedenti è stato esposto come

“l‟ideologia rurale” abbia influito sul rafforzamento della lingua e sulla persistenza di

credenze spiritistiche. Rimane ora da analizzare l‟altro mito patriottico: quello

dell‟eguaglianza.

L‟eguaglianza degli Islandesi viene rimarcata quale principale caratteristica dei

colonizzatori, che erano agricoltori indipendenti, gli Independent People di Láxness.

L‟Islanda era una società di frontiera, formata da eguali frontermen che avevano

lasciato nella madre patria le tradizionali disuguaglianze delle società agricole15

.

Questi uomini furono ugualmente soggiogati allo straniero ed affrontarono

ugualmente le avversità climatiche e le catastrofi che si intensificarono a partire dal

XV secolo. Essi erano eguali davanti allo stato di mera sopravvivenza che aveva

raggiunto la loro economia ed egualmente dovevano godere delle possibilità che si

sarebbero avute dopo l‟indipendenza dallo straniero. Oggigiorno gli Islandesi sono

eguali, hanno un passato ed una lingua comune ed ogni famiglia può vantare un

legame diretto con il mondo agricolo e della pesca. Non esistono occupazioni

migliori, tutti i lavori sono egualmente rispettabili. Non esistono differenti classi

sociali e non esiste disuguaglianza sessuale.

15

F. Tomasson “Iceland. The first new society” pp. 194-198

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Il sociologo islandese Thorbjörn Broddason ha messo in evidenza come il mito

dell‟eguaglianza sia infondato, e come esso fosse supportato da una generale

mancanza di consapevolezza della disuguaglianza16

. Per tutto il medioevo islandese e

fino alla fine del XIX secolo, il potere economico e sociale è rimasto concentrato

nelle mani dei proprietari terrieri in quanto la possibilità di matrimonio era legata al

possesso della terra. Questa legge precludeva anche la pesca quale attività principale

di sostentamento. La visione della pesca come occupazione “impura” è per alcuni

aspetti presente ancora oggi ed assieme alla stigmatizzazione di coloro che non

parlano un perfetto Islandese contribuisce di fatto a creare delle classi sociali.

Nonostante l‟Islanda sia stato il primo paese al mondo ad avere un Presidente donna,

la completa parità dei sessi non è mai stata raggiunta, come dimostra la presenza di un

forte e vivace movimento femminile.

La società islandese non rappresenta quindi il paradiso dell‟eguaglianza di Rosseau,

ma si può dire che essa è eguale se confrontata alle altre società. I punti dell‟ideologia

dell‟eguaglianza esposti sopra sono stati sicuramente esagerati e strumentalizzati da

un ben definito potere economico, ma ciò non toglie la loro relativa realtà.

Relativamente allo stato d‟eguaglianza dei popoli nelle altre società, gli Islandesi

sono eguali. Nel cap.6 il tema dell‟eguaglianza (o disuguaglianza) individuale sarà

maggiormente approfondito in relazione alla questione della pesca.

Poche caratteristiche possono impressionare quanto quella della visione islandese del

lavoro. La maggior parte della popolazione ha più di un‟occupazione. Uomini e

donne lavorano mediamente 52 ore a settimana ed ogni ora vuota della giornata è

considerata del tempo perso. A partire dall‟adolescenza, tutti i ragazzi islandesi

svolgono per lo meno un lavoro estivo, spesso nelle fattorie di qualche parente, anche

se ciò non è una diretta necessità. Le associazioni sindacali non hanno un grande

potere contrattuale ed i salari sono più bassi degli standard scandinavi, nonostante i

prezzi siano molto elevati. Ma questa è una diretta conseguenza della posizione che

occupa il lavoro nella coscienza islandese. Un esempio storico può essere

chiarificatore17

.

Durante la Seconda Guerra Mondiale grandi possibilità lavorative erano offerte dalle

forze militari britanniche ed americane, che necessitavano di mano d‟opera per la

costruzione delle strutture militari. I salari erano decisamente più alti ed il lavoro

16

Thorbjörn Broddason “On the Myth of Social Equality in Iceland” p.1 17

Finnur Magnússon “Work and the identity of the poor: work load, work discipline and self-respect”

in Pálsson, Durremberger “The Anthropology of Iceland” pp. 151-152

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meno duro e prolungato dei normali standard islandesi (sui pescherecci si lavorava

anche per 18 ore di seguito prima di potersi riposare per qualche ora e ricominciare),

ma gran parte della popolazione accettava tali impieghi soltanto perché spinta da

urgenti necessità economiche. C‟era un profondo senso di vergogna ad ammettere che

si era accettato il “non-lavoro” offerto dagli stranieri.

Molto radicata è anche l‟importanza del legame familiare, che viene ribadito e

rinsaldato annualmente durante le festività Natalizie. L‟importanza della famiglia in

Islanda si differenzia da quella tradizionale europea. Se negli altri paesi europei

l‟importanza del legame è generalmente incentrata sulla famiglia nucleare generata

col matrimonio, in Islanda un ruolo fondamentale è giocato dal legame di sangue. Il

rapporto coi genitori, nonni, zii è predominante, mentre quello sancito dal matrimonio

occupa uno spazio marginale. Nella chiarificazione della natura di questo legame, può

essere indicativo pensare sia alla “rilassatezza morale” sopra esposta, sia al fatto che

tutt‟oggi il sistema predominante di denominazione è quello patronimico.

Tutti questi aspetti possono essere ricondotti all‟evoluzione della storia islandese ed

al particolare legame che gli Islandesi hanno con essa.

L‟epoca del commonwealth e delle saghe è un‟epoca storicamente piena di eventi18

. I

frontermen stavano costruendo pezzo per pezzo la loro nuova società, erano

protagonisti attivi della sua storia. Ma erano anche i protagonisti attivi di numerosi

viaggi che li mettevano in costante relazione con degli “Altri”. A partire dal XV

secolo, l‟assoggettamento allo straniero ed il generale peggioramento della situazione

climatica comportarono un declino del livello delle condizioni di vita. Il freeman non

era più occupato a “costruire la storia”, ma a sopravvivere ad essa. Nel contempo la

mancanza di contatti col mondo esterno coincideva con una mancanza di altri a cui

rapportarsi. Comparata all‟epoca del commonwealth, la loro poteva sembrare un‟era

priva di eventi, senza storia. I giovani imparavano a leggere sui testi di grammatica

antica, le saghe erano le letture che accompagnavano le serate invernali, i loro

personaggi erano coloro che popolavano le landscapes circondanti la fattoria. Così,

come altri popoli marginali esclusi dal potere di definire la propria storia, gli Islandesi

si rivolsero alla memoria ed alla tradizione collettiva delle antiche saghe,

mitizzandole. Non avendo “altri” con cui confrontarsi essi li ricreavano in se stessi,

nel loro passato. E l‟antico sistema sociale basato sull‟agricoltura si promulgava,

nonostante la sua scarsa efficienza dovuta al peggioramento climatico. Quando nel

18

Kirstein Hastrupp “A place apart. An anthropological study of the Icelandic world” pp. 164-184

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XIX secolo gli Islandesi cominciarono a ricostruirsi una loro storia, con il movimento

d‟indipendenza nazionale, lo fecero basandosi su quella delle saghe. Ma l‟antico

sistema sociale non poteva resistere al confronto con la modernità.

La storia islandese, così com‟è ricordata, può essere divisa in tre periodi. Nel primo

periodo gli individui vivevano al centro del mondo e della storia. Nel secondo essi

erano posti ai confini della storia. Al centro del mondo e di essa non c‟erano gli

individui contemporanei, ma gli “altri” delle età passate. Nel terzo periodo, oggi, gli

individui vivono in sospensione fra passato e presente sottolineando simultaneamente

sia l‟adattabilità alla modernità, sia la preservazione del passato.

Questo profondo legame con la storia può essere una giustificazione al valore

dell‟eccellenza, alla necessità individuale di essere ricordati dopo la morte, di “fare

storia”.

Un forte legame nazionale è creato contemporaneamente dalla coscienza del comune

passato storico e dall‟orgoglio di averlo superato, trasformando in pochi decenni una

piccola nazione “medioevale” in uno stato moderno e benestante. Si può quindi capire

il materialismo della società islandese. L‟acquisizione di sempre nuovi oggetti è

contemporaneamente una fuga dalla povertà passata ed una dimostrazione che “anche

se piccola l‟Islanda non è da meno”. Per capire quanto possa valere quest‟esposizione

di benessere basta fare una passeggiata per le vie di Reykjavík. In una città di meno di

100.000 abitanti ci sono più d‟ottanta ristoranti, una decina d‟alberghi, una quindicina

di guesthouses, un‟infinità di pub, discoteche e negozi di moda. Reykjavík è anche la

città al mondo col maggior numero pro-capite di cinema e teatri.

L‟ideologia del lavoro è forse naturale per un popolo storicamente abituato a lavorare

sodo per sopravvivere nonostante l‟avarizia della natura. Essa gioca un ruolo

particolare nella coscienza dei lavoratori dell'industria peschiera, come vedremo più

avanti (cap.6).

L‟importanza del mondo rurale è stata sottolineata per tutta la storia islandese ed

ancora oggi esso occupa un ruolo particolare nell‟immaginario collettivo,

opponendosi alle degradate comunità peschiere ed urbane. Collegato a quest‟ultima è

il ruolo occupato dalla famiglia. Nella storia delle isolate fattorie islandesi essa era

l‟unica comunità conosciuta. Sempre collegato al mondo rurale è poi, come abbiamo

visto, il discorso dell‟eguaglianza.

Anche il gusto di affrontare lunghe ed infuocate discussioni politiche può essere visto

come un‟eredità dei tempi del commonwealth, quando per evitare inutili diatribe e

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guerre interne gli Islandesi istituirono quello che può essere considerato il primo

Parlamento della storia occidentale. Come al tempo della scelta di adottare il

Cristianesimo quale religione ufficiale, la politica islandese è tutt‟oggi caratterizzata

da una grande intolleranza e violenza durante le discussioni, che vengono però

completamente annullate al momento della decisione finale, generalmente frutto di un

compromesso teso a garantire il supporto generale. Ciò è particolarmente vero per gli

eventi delle cod wars.

1.6 La storia: dalla colonizzazione al „900

La colonizzazione dell‟isola è iniziata, secondo il più importante storico dell‟antichità

islandese, Ari Þorglsson19

, nel 874 d.c., per opera di gruppi d‟esploratori norvegesi e

dei loro schiavi d‟origine celtica, in cerca di nuove terre ed in fuga dagli attacchi del

re norvegese Harald Fairhair, che all‟epoca stava tentando di unificare tutto lo

spezzettato regno nordico.

La lingua e la cultura di questi pionieri erano quelle norvegesi e per secoli essi si sono

identificati come tali. Anche le divinità erano le stesse delle altre popolazioni

nordiche, anche se per via dei diversi influssi dialettali esse erano identificate con

nomi leggermente differenti. Oðinn (Odin) era il capo ed il più potente degli dei, ma

non era molto seguito se non che dalle sfere socialmente più elevate, da quella cioè

che potrebbe essere definita l‟aristocrazia islandese. Þórr (Thor) era il più popolare

degli dei, ed era il difensore del loro regno contro gli attacchi dei giganti. Freyr (Frey)

era colui che governava il sole e la pioggia ed era un dio buono che garantiva pace e

prosperità. Freyja era la dea dell‟amore, ma non era molto popolare. Oltre a questi dei

vi erano un‟infinità di creature buone e malvagie: orchi, folletti, giganti......e molto

comuni erano le credenze animistiche sul potere d‟alberi, rocce, montagne, cascate...

I capi spirituali erano i cosiddetti Goðar, che erano anche i principali detentori del

potere economico e sociale.

19

Ari Þorglsson “Íslendingabók”

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La tipica forma d‟insediamento era la fattoria isolata, generalmente costruita non

troppo vicino alla costa e circondata dai pascoli per l‟alimentazione del bestiame

(bovini ed ovini in primis, ma anche equini usati come mezzo di locomozione).

All‟epoca l‟isola non era così arida e la popolazione (circa 40000 abitanti nel 1200)

poteva attingere una buona quantità di legname dalle foreste di conifere che

ricoprivano i fianchi delle montagne. Era possibile anche la coltivazione di limitate

quantità di grano ed una risorsa fondamentale era la pesca, che veniva effettuata

principalmente durante i lunghi inverni ed in brevi escursioni vicino alla linea

costiera. Molto attive erano anche la caccia e la raccolta delle uova.

La stratificazione sociale vedeva la divisione fra uomini liberi e schiavi, ma ben

presto questi furono liberati per la difficoltà di garantire il loro sostentamento e la loro

antieconomicità durante i lunghi inverni. In epoca cristiana la divisione era fra

sacerdoti e laici, e fra quest‟ultimi un‟importante distinzione era fatta tra coloro che

erano autosufficienti e coloro che non potevano mantenersi da soli.

Una divisione fondamentale era quella fra proprietari di terra e fattorie e loro

dipendenti. Per legge, e sarà così fino a XIX secolo inoltrato, tutte le persone avevano

l‟obbligo di domicilio e lavoro in una fattoria. Vivere di sola pesca non era consentito

e per essere indipendente si doveva essere proprietari almeno di un appezzamento

sufficiente al sostentamento di qualche capo di bestiame. Tutti coloro che non

avevano la fortuna di ereditare un appezzamento tale da garantirgli la sopravvivenza

dovevano lavorare come “domestici” in una fattoria, fino a che racimolavano il

necessario per instaurarne una personale o per diventare dipendenti d‟altri proprietari,

ma con abitazione propria20

.

Ben presto, i primi colonizzatori sentirono il bisogno di darsi un‟organizzazione

comune e di creare un sistema di governo che decidesse delle leggi valide per tutto il

paese. E‟ il 930 l‟anno della creazione dell‟assemblea nazionale (Alþing) e del

sistema di divisione territoriale che doveva garantire in essa la presenza dei

rappresentanti provenienti da tutta l‟isola21

.

L‟XI secolo è un periodo importante nella storia islandese essenzialmente per due

serie di avvenimenti: le esplorazioni verso ovest e la conversione al cristianesimo.

I viaggi di Erik Þoraldsson il Rosso e del figlio Leifr portarono alla colonizzazione

della Groenlandia ed alla scoperta di una terra chiamata Vinland, una porzione di

costa dell‟America Settentrionale, e d‟alcune isole situate vicino ad essa.

20

W. I. Miller “Bloodtaking and peacemaking. Feud, law and society in Saga Iceland” pp. 111-139 21

Gunnar Karlsson “Iceland‟s 1100 years. History of a marginal society” pp. 9-273

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Abbiamo già discusso degli eventi che caratterizzarono la conversione, che fu

approvata legalmente dall‟Alþing nell‟anno 999 o al più tardi nell‟anno 1000.

Fu a cavallo tra l‟XI ed il XII secolo che si ebbe la definitiva instaurazione del

cristianesimo, con la divisione del territorio in due diocesi, Skálhot al sud ed Holar al

nord, la costruzione di svariati monasteri e conventi, di due scuole latine, una in Oddi

e l‟altra in Haukadalur, e l‟introduzione di una tassa corrispondente all‟1% delle tasse

totali che un agricoltore doveva pagare.

Durante i secoli XII e XIII si assistette alla continua espansione dei domini di poche

famiglie, direttamente per mezzo della conquista armata o indirettamente per via di

un complicato sistema d‟alleanze e tutele, ed alla formazioni di domini chiamati Riki.

A partire dal 1220 il re norvegese Hákon Hákonarson si alleò alternativamente con

queste famiglie nell‟intento di creare un nuovo feudo del suo regno, da dare in

controllo a colui che sarebbe riuscito ad ottenere il controllo di tutta l‟isola. Dopo un

quarantennio di sanguinose lotte interne, chiamato dal nome di una delle principali

famiglie Età Sturlunga, egli riuscì ad imporre la sovranità reale e nel 1262 fu

stipulato il patto con il quale gli Islandesi si sottomisero ai re norvegesi e che sancì la

fine dell‟era del commonwealth, ancora oggi considerata l‟epoca d‟oro della storia

islandese. In questo periodo si ebbe, infatti, una fiorente attività letteraria e culturale

che sfociò nella stesura di numerose saghe e numerosi furono i letterati islandesi

presenti nelle diverse corti nordiche in qualità di storici, poeti e precettori.

Con l‟Antico Trattato del 1262 terminava dunque l‟indipendenza degli abitanti

dell‟isola che si legavano in personale unione alla Corona Norvegese. Una serie

d‟alleanze matrimoniali portarono nel 1397 all‟unione dei troni di Danimarca,

Norvegia e Svezia sotto lo scettro di Erik di Pomerania e l‟Islanda diventò così un

protettorato danese, rimanendo tale fino all‟indipendenza nel 1944.

Il XV secolo fu caratterizzato da due forti epidemie di peste, che dimezzarono la

popolazione, e dall‟approdo sulle coste islandesi di mercanti inglesi, i quali si resero

artefici di una serie inaudita di violenze nei confronti della popolazione e delle

autorità Danesi, ree di non voler conceder loro assoluti diritti di pesca e commercio.

A seguito della sconfitta Inglese (1470) nella guerra con la Corona Danese, alleata

con le città della Lega Anseatica, i mercanti inglesi furono gradualmente soppiantanti

da quelli tedeschi, che oltre ad importare beni commerciali si fecero fautori

dell‟espansione in terra islandese delle idee protestanti. Dopo aspre lotte fra i

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sostenitori della diocesi cristiana di Hólar e quelli protestanti di Skálhot, le idee della

Riforma Luterana furono ufficialmente adottate nel 1551.

Anche l‟Islanda non fu immune, durante il XVII secolo, all‟ondata di rigore religioso

che imperversò per il mondo Cristiano, comportando la tortura e l‟esecuzione di molti

eretici. Il fenomeno fu comunque abbastanza ristretto e sì caratterizzò poiché ad

essere colpiti erano solitamente individui maschi, mentre è limitatissimo il numero di

donne coinvolte nei processi. Ciò era correlato al fatto che in Islanda questi erano

basati su accuse per il più derivanti dalla stesura di libri considerati sospetti, e l‟arte

della scrittura era una peculiarità riservata essenzialmente agli uomini.

A partire dal XVI secolo e fino alla fine del XVIII secolo la Corona Danese

s‟interessò maggiormente al controllo del mercato islandese e si fece fautrice dello

sviluppo di nuovi porti dati in concessione alternativamente a mercanti indipendenti e

a grandi compagnie commerciali. Il monopolio commerciale danese rimase in vigore

fino ai primi dell‟800, quando una guerra con l‟Inghilterra rese impraticabili le

normali rotte commerciali, ma sì trovò in difficoltà più volte durante il XVIII secolo

non riuscendo a supplire alle richieste di una popolazione islandese sempre più in

crisi di fronte agli innumerevoli cataclismi che imperversarono sulla sua terra. Nel

1702 un‟epidemia di sifilide uccise il 25% della popolazione. Negli anni cinquanta

una serie di carestie e di lunghi e particolarmente freddi inverni provocò la morte di

circa 5.800 abitanti. Nel 1783 fenomeni d‟origine vulcanica e forti terremoti

interessarono il sud del paese. La lava ed i fumi si rivelarono ben presto velenosi. Una

serie di piogge acide interessò nei mesi successivi tutto il territorio arrivando anche

nella regione settentrionale di Eyjafjörður. Queste provocarono la morte della

maggior parte dei pascoli e gli zoccoli del bestiame diventarono gialli e molli. E‟

stato calcolato che fra il 1783 ed il 1786 10.000 persone e la metà del bestiame

persero la vita.

Nel 1786 Reykjavík fu formalmente proclamata città e pian piano vi vennero

trasferite tutte le istituzioni governative, scolastiche e religiose. L‟Alþing venne

abolito nel 1800 e sostituito con un‟Alta Corte formata da un presidente, due

assessori e due giudici professionisti.

A seguito dell‟instabilità politica dovuta alla guerra fra Inghilterra e Danimarca, si

ebbe nel 1809 un tentativo, per opera di Bjarni Silversten (unico imprenditore navale

islandese dell‟epoca) Joseph Banks (presidente della Royal Society che nei decenni

precedenti aveva finanziato esplorazioni scientifiche nell‟interno dell‟Islanda) e

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Samul Phelp (proprietario di una manifattura di sapone), di instaurare un mercato fra

le isole Britanniche e l‟Islanda. Phelp arrivò a Reykjavik accompagnato da un danese

di nome Jorgen Jorgersen e catturò il governatore C.F. Trampe, reo di non voler fare

concessioni commerciali. Jorgensen dichiarò poi il potere danese sull‟isola decaduto e

la volontà di creare uno stato indipendente con una costituzione democratica e sotto

protettorato britannico. La maggior parte degli ufficiali si sottomisero a lui ma lo

stesso governo britannico, che inizialmente era assolutamente allo scuro di tutto, fece

catturare Jorgensen e ripristinò il potere danese nel territorio. Questa è chiamata “La

Rivoluzione Abortita”.

Gli anni seguenti videro un progressivo incremento dell‟economia nazionale, dovuto

principalmente alla grande disponibilità di terre nuove seguita allo spopolamento del

secolo precedente. La situazione sì aggravò nuovamente dalla metà del secolo a

seguito di una serie di carestie e di lunghi e freddi inverni. Le possibili soluzioni alla

crisi erano rappresentate dall‟emigrazione e dallo sviluppo della pesca, importante

risorsa mai pienamente sfruttata a seguito del sistema sociale millenario che legava la

possibilità di essere freeman al possesso della terra impedendo di basare il proprio

sostentamento solo su di essa.

Il fenomeno dell‟emigrazione sì indirizzò verso la creazione di nuove colonie in

Groenlandia, Brasile e soprattutto Canada, dove ancora oggi esiste una forte comunità

islandese intorno alle sponde del lago Winnipeg.

Negli anni sessanta del secolo alcune leggi del parlamento Danese agevolarono

gradualmente la possibilità di diventare freeman e nel settore della pesca si ebbe

l‟introduzione delle barche coperte e lo sviluppo di un loro uso più razionale. Da

secoli gli Islandesi avevo pescato lungo la costa in brevi viaggi giornalieri a bordo di

barche scoperte a remi, nonostante l‟uso delle barche coperte fosse conosciuto per

mezzo dei contatti coi pescatori inglesi. Quest‟ultime permettevano di allontanarsi

maggiormente dalla costa e di stare più a lungo in mare anche con minor riguardo alle

condizioni climatiche. Ma per il momento esse venivano usate solamente per la pesca

allo squalo nelle regioni orientali ed in quella dei Fiordi Occidentali. Solamente nel

decennio successivo si sviluppò nella regione attorno a Reykjavik la pesca al

merluzzo in barche più grandi. Questa fu la vera innovazione, non tanto per il suo

carattere economico, quanto per il fatto di rappresentare una decisiva rottura col

passato trasformando la pesca in un‟occupazione annuale e favorendo lo sviluppo di

una borghesia mercantilista locale. In diversi centri costieri nacquero delle società

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cooperative che si misero in concorrenza coi mercanti danesi nella gestione dei

traffici commerciali, garantendo così prezzi più favorevoli alla popolazione locale.

In questi stessi anni le lotte politiche, che fin dagli anni trenta erano state condotte

sotto la guida di un tipico progressista di stampo Mazziniano quale Jón Sigurðsson

per chiedere l‟autonomia nazionale al governo Danese, sfociarono prima nel ripristino

dell‟Alþing (1843) e nell‟ottenimento poi di una costituzione (1874).

In questa l‟Islanda veniva considerata come una parte inalienabile dello stato danese,

ma con particolari diritti. L‟Alþing era praticamente libero di governare il paese, ma

doveva renderne atto al parlamento Danese al quale spettava anche la gestione degli

affari comuni. Inoltre all‟interno di esso sedevano anche sei membri direttamente

nominati dalla Corona.

La scena politica degli anni successivi vide la nascita di movimenti proto-partitici e si

incentrò sul tema dell‟”islandizzazione” dei ministri operanti sul territorio islandese

ed ebbe il suo raggiungimento con l‟elezione di Hannes Hafstein nel 1904.

Le condizioni di vita nell‟800 erano ancora all‟incirca le stesse dell‟epoca

medioevale. Le case erano per lo più costruite ancora in tufo, formate da uno od al più

due spazi abitativi (una cucina ed una stanza da letto) a volte condivisi fra più

famiglie e direttamente collegati con la stalla. I letti erano usati contemporaneamente

da due persone, solitamente un adulto ed un bambino e tutto il vestiario era ricavato

dalla lana di pecora o dalla pelle di pesce. L‟alimentazione era basata su cibi grassi,

essenzialmente latticini, ed una lenta crescita nell‟utilizzo di beni di consumo era

comunque avviata. Oltre a Reykjavik e ad altri due centri nel nord, non esistevano

praticamente città e la costruzione di strade e ponti comincerà solamente nell‟ultimo

decennio del secolo. In questi anni comincerà anche lo sviluppo della costruzione di

case di legno ricoperte da una lamina metallica per un migliore isolamento, me nel

1910 la loro percentuale sarà solo del 36% e quella delle case di pietra addirittura

irrisoria (4%).

Per quanto concerne l‟educazione una scuola primaria venne istituita per pochi

fortunati a Reykjavik nel 1830, ma nel ‟48 essa era già chiusa. Dal 1866 a partire

dalla località Þingeyjarsýla si cominciarono a sviluppare delle scuole itineranti. Vista

l‟impossibilità per i ragazzi, dovuta alle lunghe distanze, di raggiungere una località

comune, la “scuola” si spostava fra le fattorie più grandi, dove insegnante ed alunni

trovavano alloggio. Questo sistema in alcune isolate zone rurali era in vigore ancora

nel 1960. Nel 1874 vennero istituite delle scuole occupazionali femminili, seguite nel

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1880 da una scuola agricola e da una navale nel 1891. Una legge del 1880 richiedeva

la conoscenza dell‟aritmetica, oltre a quella della scrittura.

Per quanto concerne l‟istruzione secondaria, questa era di buon livello, grazie alle

scuole latine ed ad una scuola di medicina istituita nel 1876, ma praticamente

inaccessibile per la maggior parte della popolazione. Le università erano ancora

solamente disponibili a Copenaghen, comunque con l‟aiuto di generose borse di

studio.

1.7 La storia: sulla via della modernizzazione

Lo sviluppo della pesca era stato aiutato anche dalla creazione di due banche,

Landsbanki e Íslandbanki, quest‟ultima di proprietà danese, attive nel finanziamento

di nuovi imprenditori22

. Questo trend aumentò notevolmente nei primi anni del

secolo, grazie all‟introduzione dei primi motopescherecci, che consentivano una

maggior produttività, ed al lento sviluppo dell‟industria di lavorazione del pesce.

Notevole sviluppo al settore venne dato dalla costruzione del primo telegrafo (1906)

che permetteva di ricevere le ordinazioni e di richiedere materiali molto più

velocemente che con l‟uso delle navi postali.

Questi anni videro anche un lento sviluppo dei nuclei urbani, in primis Reykjavik,

con la progressiva sostituzione delle case in tufo con quelle in legno, e poi dal 1915

con quelle in calcestruzzo, la costruzione di strade e l‟ampliamento dei porti. La

prima centrale idroelettrica per fornire elettricità alla zona venne costruita per

iniziativa privata a Hafnafjörður nel 1904, mentre la capitale si affidò all‟utilizzo del

gas. E‟ del 1906 l‟introduzione dell‟acqua corrente nelle case di Reykjavik.

In questi anni si svilupparono diverse società caritatevoli per il soccorso dei poveri,

come L‟Esercito della Salvezza, La Libera Chiesa Luterana, I Sette Giorni

dell‟Avvento...tutte molto attive soprattutto nella lotta all‟alcoolismo. Questo portò ad

una legge proibizionista in vigore dal 1912 al 1933, con un‟eccezione per l‟alcool di

uso medicinale ed a partire dal ‟22 per i vini spagnoli poiché il governo Spagnolo

22

Ibid. pp. 280-312

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minacciava l‟imposizione di alte tasse sul pesce islandese. Il mercato degli alcolici,

diventò un monopolio di stato, e tale è ancora oggi. Fatto curioso, il proibizionismo

sulla birra, che era considerata troppo appetitosa per le giovani generazioni, venne

abolito solamente nel 1989.

In questo periodo si ebbe anche lo sviluppo dei sindacati dei lavoratori. Un primo

sindacato di tipografi era nato nel 1897 ed una specie di cooperazione fra pescatori

(Báran) aveva operato tra il 1894 ed il 1910. Il primo vero sindacato venne però

fondato nel 1906, col nome di Dagsbrún da Pétur Guðmundsson. Esso vide

soddisfatte le proprie richieste di aumento salariale e di limitazione dell‟orario di

lavoro nelle manifatture dalla 6.00 alle 18.00. Negli anni successivi altre piccole

organizzazioni nacquero per andare a confluire nel 1911 nella Confederazione dei

Sindacati.

Nel 1915 Jónas Jónsson e Ólafur Friðriksson (fondatore della prima associazione

Socialdemocratica) fondarono il sindacato Hásetafélagið che si contraddistinse per

l‟organizzazione di uno sciopero che portò al raddoppiamento dei salari. L‟anno

successivo essi fondarono la Federazione Islandese del Lavoro, che aveva una sua

parte partitica nel Partito Socialdemocratico. Una confederazione di imprenditori

venne fondata solamente nel 1934.

Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale un sistema partitico (supportato dai

necessari organi informativi) venne a trovare la sua realizzazione. Oltre al citato

Partito Socialdemocratico, fondato nel 1916 ed il cui giornale era chiamato

Alþýðublaðið, vennero fondati un Partito Progressista (Tíminn 1917), a supporto del

mondo rurale e delle cooperative agricole ed un Partito Indipendentista

(Morgunblaðið 1929), che è tuttora un partito di stampo conservativo ma anche

aperto ad alcune problematiche sociali, cosa che ne garantisce il supporto anche da

parte di una maggioranza degli agricoltori e degli operai. Il Partito Comunista

(Þjoðviljinn) venne fondato nel 1930 dopo la separazione di alcuni membri e alcuni

sindacati dal Partito Socialdemocratico, seguita poi dall‟unione con altre associazioni

sindacali nel 1938, che determinò il cambiamento di nome in quello di Partito

Socialista.

I governi pre-bellici furono tutte delle coalizioni con il Partito Progressista come

nucleo principale. Questo anche perché era notevolmente favorito da una legge

elettorale che dava lo stesso numero di rappresentanti per ogni distretto, senza

considerare il loro popolamento.

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La Grande Depressione dovuta al crollo della borsa americana nel 1929 ebbe le sue

ripercussioni sull‟economia islandese per tutti gli anni trenta. La situazione fu

aggravata anche dalla guerra civile spagnola che chiuse uno dei principali mercati del

pesce islandese. Le soluzioni per far fronte alla situazione furono di diverso tipo:

sviluppo di società caritatevoli che gestivano mense per poveri, creazione di squadre

di disoccupati da utilizzare in spesso azzardati ed infruttuosi lavori pubblici,

creazione di monopoli per il mercato del pesce (Unione Islandese dei Produttori di

Pesce) e per quello agricolo e due successive svalutazioni della moneta nel 1931e nel

1939.

Nei primi anni del secolo la lotta per l‟autonomia si inasprì con episodi di violenza

legati all‟utilizzo su navi islandesi di una bandiera nazionale. Nel 1915 una legge

sanciva il suffragio universale, il diritto di usare una propria bandiera nazionale e

l‟eliminazione dall‟Alþing dei sei membri incaricati direttamente dal Re. Infine nel

1918 un accordo venticinquennale tra un comité islandese ed uno danese sancì la

separazione, ma in personale unione, dell‟Islanda dalla Danimarca. La Corona aveva

diritto di legislazione degli affari comuni e dei diritti alla cittadinanza delle due

popolazioni; la Suprema Corte rimaneva il più alto organo governativo fino al

momento in cui l‟Alþing avesse deciso diversamente (e lo farà nel 1920 innalzando a

tale livello l‟Alta Corte Islandese); i fondi annualmente versati dalla tesoreria danese

a quella islandese venivano aboliti, ma veniva istituito un fondo per incentivare le

relazioni culturali fra i due paesi.

Sin dal 1928 tutti i partiti proclamavano la volontà di mettere fine al trattato stipulato

nel ‟18 col Governo Danese non più tardi del 1943, anno nel quale esso scadeva.

Negli anni di guerra l‟Alþing governò da solo lo stato, senza l‟aiuto danese ed anche

la giustificazione dell‟unione come garanzia di sicurezza territoriale aveva perso ogni

giustificazione plausibile. A partire dal 1941 le richieste per una completa

separazione e l‟instaurazione di una repubblica si fecero più pressanti, ma il Governo

Britannico, così come quello Statunitense quando l‟anno successivo la polemica

divampò nuovamente, consigliò di aspettare il momento della liberazione del suolo

danese dall‟occupante Nazista. Nel 1942 comunque l‟Alþing approvò un

emendamento nel quale si esprimeva la possibilità di una separazione da effettuare

dopo un referendum, da tenersi alla scadenza del trattato del „18. Il Governo

Statunitense diede il suo consenso e, nonostante i tentativi del Re Christian X per

rinviare la discussione a guerra finita, il referendum venne preparato per l‟anno

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successivo. Il risultato non poteva essere più chiaro: il 98% dei votanti si dichiarò

favorevole alla separazione dalla Danimarca e la Repubblica venne instaurata il 17

giugno del 1944.

1.8 La storia: l‟Islanda nella Seconda Guerra Mondiale

Già con il trattato del 1918 il Parlamento Islandese non aveva mancato di sottolineare

la neutralità quale condotta politica negli affari internazionali. Questa era una logica

scelta per una nazione piccola ed isolata come l‟Islanda e che, soprattutto, non aveva

ancora raggiunto una piena indipendenza23

.

Negli anni ‟30 le grandi potenza europee in continua espansione, avevano cominciato

ad accorgersi della possibile importanza geopolitica del territorio islandese. Tedeschi

prima e Britannici poi avevano richiesto diritti di atterraggio per gli aerei delle

rispettive compagnie nazionali. Fedele alla propria scelta neutralistica, l‟Alþing

rispose sempre negativamente a tali richieste. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra

Mondiale nel 1939, gli Islandesi si dovettero accorgere ben presto della difficoltà di

mantenere questa linea politica. Meno di tre settimane dopo un sommergibile tedesco

fece la sua apparizione nel porto di Reykjavík, seguito pochi giorni dopo

dall‟atterraggio di un aereo britannico. Ma ciò che cambiò definitivamente il ruolo

internazionale della nazione fu l‟invasione Nazista della Danimarca, nell‟Aprile

dell‟anno successivo. Il governo Britannico offrì nuovamente la sua protezione e

ampie concessioni economiche per l‟industria del pesce islandese, scontrandosi

nuovamente con l‟opposizione dell‟Alþing, che al tempo era maggiormente

concentrato intorno alla questione del raggiungimento della completa indipendenza. Il

10 Maggio la popolazione della capitale fu svegliata dal rumore di aerei in

ricognizione sopra la città. Successivamente delle navi da guerra entrarono nel porto e

soldati britannici occuparono la città senza incontrare resistenza. Il parlamento fece

una nota di protesta contro la violazione della propria neutralità, ma già nella serata il

Primo Ministro Hermann Jónasson tenne un discorso radiofonico in cui sottolineava

23

Benedikt Gröndal “Iceland. From neutrality to NATO membership” pp. 28-34

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come l‟intento dell‟occupante fosse quello di proteggere la popolazione dagli attacchi

tedeschi e che il governo Inglese aveva assicurato la propria dipartita subito dopo la

fine della guerra. Si raccomandava per tanto la piena collaborazione e le forze

straniere dovevano essere considerate come ospiti. Nei giorni successivi venne

instaurato uno speciale ufficio per il reclutamento della mano d‟opera necessaria per

la costruzione delle basi di Reykjavik, Hornafjörður, Floí e Hvalfjörður.

Dopo la caduta francese segreti negoziati per un‟eventuale partecipazione statunitense

nella guerra vennero avviati col governo Britannico. In questi venne considerato

anche il problema della sicurezza del suolo islandese, data la necessità inglese di

richiamare un considerevole numero di truppe qui stanziate per destinarle alla difesa

nazionale. Nei primi mesi del 1941 l‟attività tedesca intorno alle coste islandesi

aumentò notevolmente e nel Marzo il Fuhrer dichiarò l‟estensione della zona di

guerra fino alla costa orientale della Groenlandia. Le settimane successive videro

salire la preoccupazione Alleata per una possibile invasione tedesca del suolo

islandese e forti pressioni vennero esercitate dal governo Britannico per convincere

l‟Alþing a richiedere la protezione statunitense. Gli USA non erano infatti ancora

coinvolti nella guerra, lo diventeranno solamente sei mesi più tardi dopo l‟attacco

giapponese a Pearl Harbor, e per le forti pressioni esercitate dall‟opinione pubblica un

loro intervento in territorio islandese era possibile solamente a seguito di una richiesta

fatta dal governo locale. Di fronte alla possibile invasione Nazista, il parlamento non

ebbe difficoltà ad approvare tale richiesta, legandola però a due precise condizioni: il

riconoscimento Alleato dell‟indipendenza islandese e la garanzia che le forze

statunitensi lasciassero l‟Islanda al termine del conflitto. Il governo Americano

accettò ed a partire da Luglio le truppe statunitensi cominciarono ad arrivare sul suolo

islandese.

Negli anni successivi il contingente americano arrivò a contare fino a 50.000 effettivi,

ed in una nazione di soli 130.000 abitanti questo non poteva che provocare forti

tensioni. Tafferugli e scaramucce fra soldati e giovani del luogo erano comuni nei bar

durante i fine settimana, ma erano solitamente dovuti all‟ubriachezza. Più gravi

furono alcuni episodi in cui i militari dovettero ricorrere all‟uso delle armi,

provocando la morte di alcuni ragazzi del luogo. Ma l‟argomento che suscitava

maggiormente scalpore era sicuramente quello delle relazioni fra i soldati e le ragazze

e le donne islandesi.

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44

Nell‟estate del 1941 un allarmante rapporto24

venne presentato all‟attenzione del

parlamento: il problema della prostituzione, fino allora sconosciuto, era in continua

crescita e vi si elencavano 500 casi certi di relazioni fra militari e donne fra i 12 ed i

61 anni. Ciò che era più grave era che almeno 150 di esse erano minorenni e 129

erano madri. Ampi strati dell‟opinione pubblica si scagliarono contro i vertici militari

accusandoli di scarso controllo sulle truppe e di mettere in pericolo i principi morali

del paese. In realtà al termine della guerra numerose giovani si sposarono con militari

stranieri e li seguirono in patria. Casi di violenza e di abusi ce ne sono stati, ma il

motivo principale delle polemiche è sicuramente da ritrovare nella gelosia degli

uomini locali.

Dal punto di vista economico gli anni di guerra hanno rappresentato una svolta

fondamentale nella storia islandese25

. Allo scoppio di essa la nazione ancora si

dibatteva in una grave crisi dovuta alle ripercussioni del crollo della borsa

internazionale nel 1929 ed alla guerra civile spagnola, che aveva comportato la

chiusura di uno dei mercati principali per il pesce islandese. La presenza delle truppe

statunitensi rese disponibile una grande quantità di beni, importati direttamente dalla

madre patria, fino allora sconosciuti o solamente sognati. La costruzione delle basi

militari, specialmente quella di Keflavík, risolse il problema della disoccupazione ed i

fabbisogni alimentari delle popolazioni Alleate crearono un inesauribile sbocco

commerciale per il pescato islandese. Fra il 1939 ed il 1941 si ebbe una crescita del

volume totale degli scambi commerciali pari al 40%, accompagnata però da un forte

incremento dell‟inflazione. Questa grande disponibilità di valuta estera richiedeva una

logica ed attenta utilizzazione. Nel 1944 venne così formato il cosiddetto “Governo

di Ricostruzione”, nato dalla coalizione dei partiti Indipendentista, Socialdemocratico

e Socialista. Il programma politico preveda l‟utilizzazione dei capitali accumulati

durante la guerra per la modernizzazione dell‟industria del pesce e del settore

agricolo.

24

Sigurdur Magnússon “The Icelanders” pp. 71-80 25

Gunnar Karlsson “Iceland‟s 1100 years. History of a marginal society” pp. 313-323

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Cap.2 L‟Islanda e la guerra fredda

Dopo l‟entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1941, l‟importanza strategica

dell‟Islanda divenne chiara. La base di Keflavík, completata l‟anno successivo, era un

insostituibile scalo per le migliaia di bombe e militari diretti nel continente Europeo e

la presenza militare statunitense fu fondamentale per mantenere accessibile l‟oceano

Atlantico Settentrionale ai sommergibili sovietici e britannici.

Inoltre il territorio islandese rientrava pienamente nei piani per la salvaguardia

nazionale americana nel dopoguerra. Mantenendo una presenza militare in luoghi

strategici, gli Americani intendevano garantire la propria sicurezza nazionale, intesa

non solo territorialmente ma anche culturalmente. Stabilità politica, coesione sociale e

liberalismo economico erano infatti importanti quanto la presenza militare.

Non sorprende pertanto che già nel ‟42 il Joint Chiefs of Staff (JCS) Statunitense

abbia cominciato a pianificare l‟ottenimento di permanenti diritti militari in Islanda. Il

governo Islandese era ben conscio di questo desiderio, ma due importanti questioni

ostacolavano la possibilità di un qualsiasi accordo: la questione dell‟indipendenza e la

crescita del Partito Socialista26

.

Dopo l‟invasione Nazista della Danimarca il governo aveva promesso di risolvere la

questione nazionale il prima possibile, ma gli Americani e i Britannici convinsero gli

Islandesi a posticipare questo atto fino al 1944, in cambio del loro pieno

riconoscimento della nuova Repubblica. Ma così facendo la questione

dell‟indipendenza sfociò in un revival nazionalistico che rafforzò fortemente la

corrente neutralistica del paese. Ad indipendenza ottenuta nessun ministro islandese

avrebbe potuto parlare liberamente di truppe militari straniere stazionate sul territorio

in tempo di pace senza commettere un suicidio politico.

Fin dallo scoppio della guerra il neonato Partito Socialista era rimasto isolato nel

panorama della politica islandese in quanto si era rifiutato di condannare l‟invasione

sovietica della Finlandia. Ma grazie alla partecipazione dell‟URSS allo schieramento

Alleato, dal 1942, il Partito si guadagnò una certa rispettabilità, che ben presto si

trasformò in supporto elettorale. Questo in conseguenza anche del ruolo di guida che

26

Valur Ingimundarson “Iceland, The United States and NATO during the First Cold War” p. 14

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esso ebbe nelle lotte contro il congelamento dei salari dei lavoratori dell‟industria

peschiera, una delle misure proposte dal governo per combattere la crescita

dell‟inflazione. Inoltre esso era avvantaggiato dal personale antagonismo esistente fra

Ólafur Thors ed Hermann Jónasson, i leader dei due principali partiti Indipendentista

e Progressista, che non si sarebbero mai uniti in una coalizione governativa. Fu così

possibile la coalizione fra i partiti Socialista, Socialdemocratico ed Indipendentista

nella creazione del “Governo di Ricostruzione”.

A complicare ulteriormente quelle che erano le relazioni fra il governo Statunitense e

quello Islandese intorno al problema della base militare erano anche i contrasti

esistenti fra il Dipartimento della Difesa ed il Dipartimento di Stato Americani.

Quest‟ultimo prestava una maggior attenzione verso quello che era il ruolo politico

della presenza americana, ed era quindi più favorevole ad una linea di mediazione col

governo Islandese. Il Dipartimento della Difesa era invece focalizzato esclusivamente

sull‟importanza militare e strategica della base di Keflavík ed era fautore di una linea

dura di negoziazione, senza tenere conto della situazione interna del paese. Ciò non

face altro che aumentare i toni delle polemiche e rafforzare la posizione di coloro che

vedevano la presenza della base come una minaccia per la ritrovata indipendenza

nazionale.

2.1 L‟allineamento ad Occidente

Prima della formazione del nuovo governo l‟Amministrazione Statunitense intendeva

discutere le richieste militari per il dopoguerra col neo Presidente Sveinn Björnsson,

durante la sua visita ufficiale a Washington del 194427

. Questi fu costretto ad

escludere la questione dall‟agenda dell‟incontro per le forti pressioni esercitate dai

leader dei partiti politici, che sostenevano che egli non aveva il mandato per discutere

tali problematiche senza la preventiva approvazione del parlamento.

L‟Ambasciatore Statunitense in Islanda, Louis Dreyfus, propose nuovamente la

discussione del problema nell‟Aprile del ‟45, ma il Primo Ministro Ólafur Thors reagì

27

Ibid. pp. 16-25

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negativamente argomentando che entrare in simili negoziati avrebbe comportato la

caduta del suo governo, per l‟opposizione dei Socialisti. Propose quindi di posticipare

la discussione a dopo le elezioni del 1946 chiarendo che, in ogni caso, un‟eventuale

possibilità statunitense di continuare a gestire la base in tempo di pace sarebbe dipesa

dal futuro comportamento sovietico e dalle obbligazioni islandesi verso l‟ONU.

Anche il governo Britannico era sfavorevole alla discussione della questione al di

fuori dell‟ONU, in primo luogo perché interessato ad avere diritti militari in Islanda,

in caso di una guerra futura a cui non avessero partecipato gli USA. Gli Inglesi

vedevano inoltre la presenza statunitense in Islanda come una possibile provocazione

verso l‟Unione Sovietica e ciò poteva pregiudicare il ritiro delle armate sovietiche

dall‟enclave norvegese di Spitzberger e dall‟isola danese di Bornholm.

Nei mesi successivi la situazione s‟infuocò nuovamente dietro le nuove e pressanti

richieste dell‟amministrazione Truman. Ólafur Thors era consapevole del rischio di

caduta del proprio governo, ma nello stesso tempo voleva mantenere relazioni

amichevoli con gli Americani, non per ultimo per l‟importante ruolo da essi avuto

nello sviluppo economico e politico del paese durante gli anni di guerra. Pensò quindi

di prolungare la presenza militare USA posticipando le discussioni per l‟entrata

dell‟Islanda nell‟ONU, guadagnando così il tempo necessario ad avviare negoziati

preliminari. I Socialisti mostrarono una certa flessibilità verso la proposta, che sì

scontrò invece con la poca predisposizione statunitense per l‟avvio di negoziati senza

una fissa agenda. L‟intransigenza americana era dovuta anche ad una cattiva lettura

della situazione politica interna islandese. L‟Ambasciatore Dreyfus aveva infatti

sopravalutato il tentativo, effettuato da alcuni membri dei partiti Indipendentista e

Progressista, di usare l‟importanza economica della base quale collante per una loro

coalizione intesa ad escludere le forze di sinistra dal governo.

I mesi successivi videro un incremento del movimento di protesta contro la richiesta

americana, coalizzato intorno a figure importanti come Halldór Laxness. Ad

indebolire ulteriormente la posizione americana contribuirono inoltre il ritiro delle

truppe sovietiche da Bornholm e di quelle inglesi da Rejkyavík.

L‟Amministrazione Statunitense decise quindi di ridimensionare le proprie richieste,

domandando nell‟estate del ‟46 la concessione di diritti d‟atterraggio per aerei militari

in connessione con gli impegni Americani nella Germania occupata. Thors decise di

entrare in negoziati personali con la Sezione Nord Europea del Dipartimento di Stato

e rapidamente raggiunse un accordo che prevedeva la dipartita delle forze militari in

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cambio di diritti d‟atterraggio per i successivi sei anni e mezzo. Inoltre gli Americani

avrebbero continuato a gestire e a finanziare l‟aeroporto di Keflavík. Thors riuscì poi

ad ottenere l‟approvazione dell‟accordo in parlamento, ma non evitò la caduta del

proprio governo dovuta alle proteste Socialiste.

Fu solo nel Febbraio dell‟anno seguente che il governo uscì dalla crisi, grazie alla

coalizione fra i partiti Indipendentista, Progressista e Socialdemocratico28

. Il nuovo

governo era decisamente pro-occidentale e cooperò attivamente con i vertici

statunitensi nel nome di una comune lotta contro il comunismo. Il colpo di mano

sovietico in Cecoslovacchia nel ‟48 e la presenza di una loro flotta di pescherecci al

largo delle coste islandesi, destarono una forte preoccupazione per un‟eventuale

invasione aiutata dalla presenza di un‟attiva “quinta colonna” interna. Il Ministro

degli Esteri e della Giustizia Bjarni Benediktsson si rivolse allora in via informale

all‟Ambasciatore Statunitense Richard B. Butrick per sapere se esistevano piani per

una concentrazione di truppe in Islanda nel caso scoppiasse una guerra, ed avuta

risposta negativa cominciò a discutere all‟interno della maggioranza la possibilità di

cercare di ottenere una garanzia militare dalle Potenze Atlantiche. Le Potenze Alleate

cercarono di sfruttare la situazione favorevole ed invitarono l‟Islanda ad unirsi ai

negoziati per la formazione della NATO. Il governo Islandese legava il

raggiungimento di un accordo a tre fattori di fondamentale importanza: l‟assenza di

truppe militari in tempo di pace, l‟entrata delle altre nazioni Nordiche nell‟Alleanza e

le modalità di rinforzo della difesa islandese. Gli Statunitensi diedero piena garanzia

di non voler mantenere truppe in tempo di pace, Norvegia e Danimarca decisero il

successivo Marzo di entrare nell‟Alleanza e per quanto riguarda la sicurezza

nazionale fu assicurato un pronto intervento in caso d‟attacco sovietico e proposta la

presenza di un piccolissimo contingente atto a prevenire eventuali sabotaggi delle

strutture di Keflavík ad opere di Comunisti locali. Per aiutare il governo a risolvere la

difficile situazione economica gli Statunitensi offrirono inoltre la partecipazione del

paese al Piano Marshall. Nonostante le limitate distruzioni e le relative perdite

sofferte durante la guerra, 250 uomini generalmente marinai periti su pescherecci

affondati dalle forze tedesche, l‟Islanda usufruì d‟aiuti molto superiori alla quota pro-

capite europea. Alla fine del mese con 37 voti a favore e 13 contrari l‟Alþing approvò

la partecipazione islandese all‟Alleanza Atlantica.

28

Thor Whitehead “The ally who came in from the cold. A survey of Icelandic foreign policy 1946-

1956” pp. 33-39

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49

Nonostante i fatti cecoslovacchi avessero indebolito il movimento socialista,

l‟opposizione al definitivo allineamento ad occidente era ancora forte ed organizzata.

La componente principale del movimento era ora rappresentata dalle sinistre dei

partiti Progressista e Socialdemocratico fortemente nazionalistiche e neutralistiche,

mentre le forze socialiste preferivano ora puntualizzare su motivazioni nazionalistiche

piuttosto che ideologiche. Durante tutti i negoziati ampi dibattiti e manifestazioni di

vario genere erano stati organizzati, ma le proteste raggiunsero il loro culmine

durante l‟approvazione del trattato, quando l‟edificio del Parlamento fu bersagliato

dal lancio di pietre e numerosi ministri furono attaccati dai manifestanti.

Nei mesi successivi e fino all‟inizio dell‟anno seguente, i politici islandesi prestarono

poca attenzione alla questione militare in quanto assorbiti da una crisi politica interna,

che vide la caduta del governo dovuta a profondi disaccordi sulla politica economica

da seguire29

. All‟inizio dell‟anno la NATO informò il governo della necessità di

stazionare una piccola forza di 200 uomini per proteggere da eventuali sabotaggi

l‟aeroporto di Keflavík, ma l‟operazione fu ritardata dalle polemiche nate intorno al

problema della nazionalità dei militari.

Dopo lo scoppio del conflitto in Corea anche in Islanda si ebbe una crescita del

timore di una nuova guerra. La presenza di una nuova flotta di pescherecci sovietici al

largo delle coste islandesi e sospetti sul comportamento d‟alcuni diplomatici russi non

fecero altro che aumentare la tensione. I vertici NATO non pensavano che i Sovietici

avessero intenzione di invadere l‟Islanda, ma intendevano sfruttare la situazione per

rendere gli Islandesi maggiormente propensi ad una presenza militare anche in tempo

di pace. Per non alimentare nuovamente i sentimenti nazionalistici nel paese, essi si

limitarono a sottolineare la generale necessità di un maggiore sacrificio per un bene

comune, e a spedire una lettera al governo Islandese in cui si chiedevano informazioni

riguardanti i suoi bisogni di difesa e le sue intenzioni in materia. L‟Amministrazione

Islandese non tardò a rispondere confermando la necessità di avere una piccola forza

a protezione del proprio territorio e chiedendo informazioni precise su un eventuale

piano di difesa. Si puntualizzava inoltre che le spese per il mantenimento della forza

militare non dovevano ricadere sul governo Islandese e che questo doveva avere la

possibilità di revocare il trattato unilateralmente, con un ragionevole tempo di

preavviso. Il trattato fu rettificato il 5 Maggio del 1951 e prevedeva la presenza di un

contingente di 3.900 militari. Esso poteva essere revocato unilateralmente con un

29

Valur Ingimundarson “Iceland, the United States and NATO during the First Cold War” pp.33-40

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preavviso di 18 mesi, ma dopo aver ascoltato il parere del North Atlantic Council, che

comunque non aveva diritto di veto.

Nonostante fosse, militarmente parlando, più vincolante dei precedenti accordi, il

trattato non provocò forti proteste interne. La coalizione fra le forze socialiste, le

uniche a protestare vivacemente, nazionalistiche e neutralistiche questa volta non si

materializzò perché i membri dei partiti Progressista e Socialdemocratico avevano

votato a favore del Trattato di Difesa. Tale unità in politica estera era una reazione ai

fatti coreani ed al susseguente incremento dei timori verso una nuova guerra

mondiale.

2.2 1952-1955: l‟Alleanza in stallo

Nel Febbraio del 1952 il Dipartimento della Difesa Statunitense decise che c‟era un

urgente bisogno d‟unità ed istallazioni militari addizionali in Islanda in luce di nuovi

piani per aumentare fortemente il ruolo americano nella difesa europea. Negoziati30

dovevano essere avviati col governo Islandese per la costruzione di una nuova base a

Rangárvellir nel sud-est del paese ed il numero delle truppe doveva essere

incrementato sino al numero di 7.200 effettivi. L‟atteggiamento islandese verso la

questione della difesa in questo periodo ricordava quello tenuto durante la guerra. Da

una parte i leader dei partiti Indipendentista e Progressista, al governo in coalizione,

esercitavano pressioni sugli Statunitensi affinché i lavori d‟ampliamento a Keflavík

procedessero speditamente. Questo perché grazie ad essi si stava risolvendo il

problema della disoccupazione e l‟economia stava riguadagnando nuova vita.

Dall‟altra parte essi erano restii a concedere nuovi diritti sospettando che la nuova

base avesse come finalità attacchi nucleari all‟URSS. Inoltre essi si dovevano

confrontare con la continua crescita del movimento d‟opposizione socialista e con il

risveglio delle forze nazionalistiche erte a difesa dell‟indipendenza politica e culturale

del paese, che nel „52 portò alla nascita del Partito di Difesa Nazionale il cui

30

Thor Whitehead “The ally who came in from the cold. A survey of Iceland foreign policy 1946-

1956” pp.55-64

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dichiarato proposito era l‟allontanamento delle truppe americane dal territorio

islandese. Nell‟autunno dello stesso anno, inoltre, il leader Socialdemocratico Stefán

Stefánsson fu sostituito alla guida del partito da Hannibal Valdimarsson, un

prominente membro della corrente populista di sinistra strettamente legato alle

organizzazioni sindacali. Come risultato il partito adottò una politica completamente

avversa ad ogni incremento della presenza militare statunitense sul territorio.

L‟economia islandese stava vivendo un periodo di forte crisi, dovuto alla chiusura del

mercato inglese. Questa era la reazione britannica all‟allargamento dei limiti

territoriali della pesca unilateralmente effettuato dall‟Islanda nell‟autunno del ‟52.

Tradizionalmente i limiti di pesca erano fissati a tre miglia marine grazie ad un

vecchio trattato stipulato fra Inghilterra e Danimarca; ora che questo era scaduto il

governo Islandese aveva proceduto alla loro espansione fino a quattro miglia.

Un‟azione simile era stata fatta precedentemente dal governo Norvegese ed era stata

poi rettificata, nonostante le proteste britanniche, dalla Corte Internazionale a Le

Hague creando così un precedente applicabile per l‟Islanda. L‟intervento dell‟Unione

Sovietica, che s‟offrì quale acquirente di buona parte del pescato a prezzi molto

favorevoli, contribuì ad aumentare l‟opposizione verso l‟Alleanza Atlantica e la base

militare.

Nelle elezioni dell‟anno successivo il Partito Progressista, che si era allineato in

favore della presenza americana in tempo di pace solo per garantire la coalizione

governativa col Partito Indipendentista, perse dei voti a favore del neonato Partito di

Difesa Nazionale. Come conseguenza si ebbe un inasprimento dei membri di partito

intorno al problema della base militare ed un cambiamento in quella che era la loro

politica estera. D‟ora in avanti gli Stati Uniti, più che pensare ad un incremento delle

loro forze, dovevano pensare al mantenimento di quelle già stazionate.

In Dicembre il nuovo Ministro degli Esteri Kristinn Gudmundsson chiese una

revisione del trattato di difesa. I propositi erano di isolare la base di Keflavík

costruendo una recinzione attorno ad essa ed imponendo ferree regole di movimento

al di fuori di essa, sostituire i lavoratori e gli appaltatori stranieri della base con altri

Islandesi, relazionare le attività costruttive alla base con il resto dell‟economia

islandese facendo così in modo che queste non attraessero importante mano d‟opera

durante i periodi di massimo fabbisogno per l‟industria del pesce. Dopo lunghe

negoziazioni, nella primavera del 1954, il governo Americano accettò tutte le

richieste islandesi, in cambio di un incremento degli effettivi militari fino al numero

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di 6.200. Durante le trattative, gli Islandesi non vollero neanche toccare la questione

della nuova base di Rangárvellir, che venne così definitivamente cancellata dai piani

del Dipartimento della Difesa.

Successivamente l‟Amministrazione Americana cominciò una politica tesa a

ridimensionare i toni dello scontro politico, tentando nello stesso tempo di creare un

ambiente culturale più consono all‟Alleanza. Numerosi leader politici, artisti,

sindacalisti e giornalisti, una buona parte dei quali erano tradizionalmente critici nei

confronti della cultura americana, furono così invitati negli Stai Uniti per soggiorni

ad alto tasso culturale.

Tentativi di limitare il consenso comunista furono effettuati nel campo delle

organizzazioni sindacali, finanziando parte delle pubblicazioni della Federazione del

Lavoro e suggerendo strategie politiche prima d‟importanti elezioni sindacali. In

questo campo comunque gli Americani non ottennero risultati, visto che nello stesso

anno un‟alleanza fra i movimenti più radicali delle associazioni Socialdemocratiche

con quelle Socialiste sancì un ulteriore scarto a sinistra nella politica islandese.

2.3 Lo sviluppo delle relazioni con l‟Est

Durante gli anni di guerra le relazioni con l‟Unione Sovietica erano state attive ed

economicamente parlando proficue. Gli Islandesi erano consapevoli di avere un

economia fragile poiché basata principalmente su di un solo prodotto e non volevano

legarsi ad un solo partner commerciale per evitare forti ripercussioni interne in caso

di una crisi nelle relazioni con esso. La scelta neutralistica in politica estera aveva lo

scopo di non pregiudicare la chiusura di nessun mercato possibile. Nel primo

dopoguerra il lento allineamento verso le Potenze Occidentali causò il rapido declino

degli scambi economici con il blocco sovietico, ma già dai primi anni ‟50 si poté

assistere ad una ripresa delle relazioni, in primis culturali31

.

31

Árni Bergmann “Soviet perceptions of Icelandic culture”

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Nel 1951 un gruppo d‟intellettuali di sinistra, guidato da Hálldor Laxness, organizzò

una società islandese per le relazioni culturali con l‟Unione Sovietica, chiamata MIR

ed ancora oggi in vita. Lo scopo dell‟associazione era di programmare scambi

culturali invitando artisti sovietici in Islanda e mandando delegazioni locali in URSS.

L‟intenzione sovietica era di dare una buon‟impressione della propria società, e

specialmente dimostrare come un alto livello culturale fosse presente e ben diramato

nella vita quotidiana delle masse. Gli Islandesi dal canto loro non volevano che gli

stranieri pensassero che la loro fosse una cultura “da museo” e si dedicarono

attivamente ad un lavoro d‟epurazione dagli abusi Nazisti della letteratura

scandinava.

Due importanti figure giocarono un ruolo fondamentale nella crescita d‟interesse

sovietico per la cultura islandese: Hálldor Laxness ed il Professor Stablen-Kamenski,

l‟esperto di letteratura scandinava alla scuola di Leningrado.

Le novelle di Láxness erano usate come argomenti in favore di una revisione

dell‟ufficiale dogma letterario della realtà socialista. Esse rappresentavano un‟altra

vita, al di fuori del Socialismo, piena di pace ed alto tasso culturale. Esse

raccontavano del duello fra natura e uomo; un uomo che vive al di fuori delle

tentazioni del mondo e che trova tempo per dedicarsi attivamente all‟esercizio

dell‟arte pura.

Stablin-Kamenski tradusse molte saghe islandesi in russo ed enfatizzò il fatto che in

Islanda esisteva una viva tradizione culturale e che essa era un‟importante parte della

vita quotidiana delle persone. In Islanda ognuno era un attento lettore di letteratura,

vecchia e nuova, se non un poeta egli stesso, il numero di pubblicazioni annue era

straordinariamente alto, le antiche tradizioni erano rispettate ed il folklore vivo.

Stablin-Kamenski mostrò come gli Islandesi fossero persone estremamente tolleranti,

libere da fanatismi religiosi ed ideologici e come essi vivevano in una società

egalitaria dove ciascuno era valutato per i suoi meriti, senza riguardo alla sua

posizione sociale.

Altre importanti manifestazioni di scambio culturale erano il Festival Giovanile di

Berlino ed il Festival di Rostock, generalmente frequentati da centinaia di giovani

socialisti e non.

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54

I leader socialisti islandesi vedevano l‟azione del loro partito come una crociata

contro i valori della piccola borghesia e del capitalismo32

. Essi temevano che senza un

supporto ideologico ed educazionale dei Sovietici la giovane generazione islandese

potesse fallire nel comprendere ed apprezzare la natura del socialismo,

approcciandosi così ad una visione del mondo capitalistica.

All‟inizio degli anni ‟50 il leder del Partito Socialista, Einar Olgeirsson, insisteva nel

voler mandare giovani studenti in Unione Sovietica ed in paesi dell‟Est Europa per

terminare i loro studi. L‟URSS ed i suoi alleati accettarono questa proposta, pensando

che gli studenti al loro ritorno potessero fondare associazioni d‟amicizia ed

impegnarsi in un‟attiva propaganda. Si è a conoscenza, inoltre, di almeno un caso

certo di reclutamento per lavori di spionaggio. Molti studenti colsero al volo

l‟occasione di ottenere istruzione gratuita e quello che veniva definito un “salario

studentesco”. Olgeirsson era intenzionato a chiudere un occhio sui loro progressi

scolastici sperando che al loro ritorno, armati con una reale esperienza socialista, essi

potessero essere all‟avanguardia del Partito nella lotta politica in patria.

Gli studenti islandesi ringraziarono i loro ospiti difendendo la loro politica con

interviste pubblicate su Þjódviljinn, organo d‟informazione del Partito Socialista. Ma

essi erano in realtà più critici di quanto dimostrassero in pubblico verso le relazioni

sovietiche con gli alleati est europei, paragonate al comportamento di una potenza

coloniale, e verso lo scarto fra la retorica democratica e la realtà di controllo totale del

Partito. Nel 1962 alcuni scritti di critica sulla politica della DDR vennero pubblicati

come prova delle “miserie socialiste” sul Morgunbladið, organo del Partito

Indipendentista che li aveva ottenuti sottraendoli illegalmente ai proprietari. Molti

veterani di partito erano furiosi con gli studenti per questa mancanza di disciplina e

per aver messo per iscritto delle critiche riguardanti il blocco sovietico. Ugualmente i

Tedeschi della Germania Orientale trovarono inscusabile l‟accaduto. Gli studenti che

si trovavano ancora nella DDR dovettero difendersi di fronte ad ufficiali della SED e

spedire lettere di ritrattazione al Comitato Centrale di Partito; in Islanda i leader

socialisti dovettero scusarsi ufficialmente per il comportamento dei loro giovani di

fronte all‟Ambasciatore Sovietico. Comunque non venne presa nessuna misura

punitiva da parte della SED nei confronti dei Socialisti islandesi. L‟unica

32

Jón Ólafsson “Icelandic Socialists in the fifties: Resisting Petit-Bourgeois degeneration. The

reasoning process”

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conseguenza dell‟accaduto fu che forse esso ebbe un certo ruolo nella progressiva

diminuzione di studenti islandesi invitati nelle scuole orientali negli anni ‟60.

2.4 1956-1958: l‟Opposizione prende il sopravvento

Fin dagli anni ‟40 il sogno politico del leder del Partito Progressista H. Jónasson era

stato quello di creare un‟alleanza di centro-sinistra col Partito Socialdemocratico, per

contrapporsi al Partito Indipendentista. Quest‟occasione si presentò nel 1955, quando

i due partiti presero accordi per formare un‟alleanza, detta “della Paura” dagli

avversari, per le elezioni dell‟anno successivo33

. L‟idea era di sfruttare il crescente

disappunto per la presenza militare straniera ed il punto centrale della campagna

elettorale sarebbe stata la cancellazione del trattato di difesa. Quest‟estremizzazione

era resa possibile anche dagli eventi di politica internazionale. Nell‟estate del ‟55 si

era tenuto l‟importante incontro di Ginevra fra i principali leader occidentali

(Eisenhower e Dulles per gli USA, Eden e Macmillan per il Regno Unito, Faure e

Pinay per la Francia) e l‟Amministrazione Sovietica (Khrushchev, Bulganin e

Zhukov) ed il clima di generale rilassamento della tensione che n‟era seguito aveva

coinvolto anche i politici islandesi, che ora vedevano sempre meno necessaria la

presenza militare statunitense.

L‟Amministrazione Eisenhower dichiarò possibile una progressiva riduzione del

numero delle truppe stazionate in Islanda, ma in realtà si prodigò per prevenire la

revoca del trattato. Una delle misure intraprese fu quella di bloccare i lavori di

costruzione a Keflavík per creare un forte impatto economico. Gli Americani si

appellarono anche al governo Inglese perché togliesse il bando imposto sul pescato

islandese prima delle elezioni, ed alla Banca Mondiale perché approvasse una

richiesta di prestito volta a ricevere i fondi necessari per la costruzione di una stazione

idroelettrica sul fiume Song, nel sud-ovest del paese. Entrambe le richieste furono

negate perché antieconomiche e perché si voleva evitare l‟accusa, già rivolta agli

33

Valur Ingimundarson “Iceland, the United States and NATO during the First Cold War” pp.50-54

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56

Statunitensi, di interferire con la politica interna islandese favorendo il Partito

Indipendentista.

Le elezioni del ‟56 si rilevarono inconclusive: il Partito Indipendentista sì rivelò

nuovamente come il preminente, con il 42% dei voti, “l‟Alleanza della Paura” ottenne

il 34%, “l‟Alleanza Popolare”, nata dall‟unione del Partito Socialista con la corrente

populista del Socialdemocratico guidata da Valdimarsson, circa il 19% ed il Partito di

Difesa Nazionale solamente il 4,5%, non sufficiente a mantenere i propri seggi in

parlamento. L‟Alleanza della Paura non era quindi riuscita a guadagnare la

maggioranza sperata, ma il Partito Indipendentista era ormai isolato. L‟unica

coalizione possibile era quindi quella con l‟Alleanza Popolare, andando a formare

così quello che è conosciuto come il “Governo di Sinistra”. Per la prima volta della

storia dell‟Alleanza Atlantica un governo alleato comprendeva quindi anche dei

Socialisti pro-sovietici. La prima reazione della NATO fu quella di bloccare la

trasmissione di documenti confidenziali, con la scusa che essi potevano essere

consegnati ai Sovietici. Dopo forti proteste dei membri dei partiti Progressista e

Socialdemocratico, che minacciarono l‟abbandono dell‟Alleanza, e l‟assicurazione

che essi erano in grado di controllare i colleghi socialisti, la crisi rientrò.

La stipulazione del Trattato di Difesa preveda che in caso di revoca fosse ascoltato il

parere militare della NATO, anche se questo non aveva la validità di veto.

Ovviamente la NATO raccomandò fortemente il mantenimento della Forza di Difesa

Islandese sul territorio, ma il governo non sembrò neanche prendere in considerazione

il consiglio avuto. In realtà esso non era compatto sulle modalità di risoluzione della

questione. Se i Socialisti e le correnti di sinistra degli altri partiti erano decisamente a

favore della revoca del trattato, una buona parte dei Progressisti e dei

Socialdemocratici, riuniti intorno a due importanti figure quali il nuovo Ministro

degli Esteri Gudmundur Í. Gudmundsson ed il Presidente Islandese Ásgeir

Ásgeirsson, lavoravano per trovare un compromesso con gli Americani. La proposta

era che la Forza di Difesa Islandese lasciasse il paese e venisse sostituita da truppe

NATO e Statunitensi a rotazione. Ciò che permise di rinviare indefinitivamente la

questione furono le difficoltà del governo per reperire i fondi internazionali necessari

per attuare la sua ambiziosa agenda economica, che prevedeva la costruzione di una

stazione idroelettrica, la modernizzazione del settore agricolo e dell‟industria del

pesce e l‟estensiva elettrificazione delle zone rurali.

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57

Il Governo di Sinistra aveva la consapevolezza di non potersi rivolgere

all‟Amministrazione Statunitense per ottenere i prestiti necessari. Progressisti e

Socialdemocratici si rivolsero allora prima alla Germania Federale, poi alla Francia,

ma nessun governo NATO era disponibile a concedere fondi prima della risoluzione

della questione della base militare. I Socialisti insistevano perché ci si rivolgesse

all‟Unione Sovietica, ma i rappresentanti degli altri partiti erano scettici in quanto non

volevano legare eccessivamente l‟economia nazionale al blocco sovietico.

Fin dalla disputa con la Gran Bretagna per l‟allargamento dei limiti territoriali della

pesca nel ‟52, c‟era stato un continuo incremento dei rapporti commerciali con

l‟URSS34

. I Sovietici si erano offerti d‟acquistare a prezzi molto favorevoli il pescato

inizialmente destinato al Regno Unito, ed ora bloccato fuori dei porti Inglesi per il

bando deciso dal governo Britannico. Inoltre, data la maggior distanza, esso doveva

essere venduto congelato e questo fattore fu di considerevole aiuto per l‟espansione

dell‟industria di lavorazione e per combattere la disoccupazione femminile. Mentre

gli uomini erano impegnati sui pescherecci, erano solitamente le donne a lavorare

nelle industrie di lavorazione situate nelle immediate vicinanze dei porti. Nel 1957

circa il 35% del volume totale degli scambi avveniva coi paesi dell‟Est e di notevole

importanza era il fatto che l‟Islanda acquistava dall‟Unione Sovietica tutti i prodotti

di derivazione petrolifera: benzine, oli residuali etc.

La questione economica era quindi indissolubilmente legata a quella politica; per

ottenere aiuti economici era necessario trovare un modus vivendi con gli Stati Uniti

sul problema della base militare35

. Negoziati preliminari incominciarono nell‟Ottobre

ed i rappresentanti islandesi chiesero di poter esporre i loro problemi economici prima

di continuare le discussioni sulla base. L‟Amministrazione Statunitense accettò e

presentò un‟offerta di $5 milioni per la costruzione della stazione idroelettrica sul

fiume Song, a condizione che essa servisse anche per erogare energia alla base, il che

significava garantire la continuazione della presenza militare. La decisione finale

venne rinviata ad un futuro incontro da tenersi il mese successivo. Nello stesso tempo

il leader Comunista Einar Orlgeirsson stava approcciando i paesi dell‟Est, in modo da

ottenere finanziamenti tali da non poter essere rifiutati dagli alleati di governo.

34

Benedikt Gröndal “Iceland. From neutrality to NATO membership” pp.76-81 35

Valur Ingimundarson “The Atlantic Alliance, Economic Warfare, and the Soviet challenge:

Preventing the Unravelling of Iceland‟s Western Integration, 1956-1959”

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58

Ebbe così inizio una specie di corsa al rialzo fra le due Superpotenze, entrambe

intenzionate a legare i prestiti a precise condizioni politiche. Gli Stati Uniti cercavano

un accordo favorevole per la base militare, l‟Unione Sovietica sperava di ottenere il

riconoscimento islandese della DDR.

Oltre all‟iniziale prestito gli USA proposero un ulteriore finanziamento di $3 milioni

che l‟Islanda avrebbe ottenuto prima della fine dei negoziati sulla base, garantendo

però una loro felice conclusione. Nella primavera del ‟57 i Sovietici risposero

proponendo un prestito di $25 milioni da utilizzare per la modernizzazione

dell‟industria peschiera. Prima di accettare i Progressisti ed i Socialdemocratici

tentarono un ulteriore approccio verso i paesi NATO, ottenendo un finanziamento

americano di $5 milioni per i lavori sul fiume Song e di $2,2 milioni per un piano

(PL-480) volto all‟acquisto di prodotti agricoli islandesi. Nella tarda primavera i

Sovietici, tramite la Germania dell‟Est, si offrirono di finanziare la costruzione di 12

pescherecci ed un prestito aggiuntivo di $3 milioni. Per impedire che gli Islandesi

accettassero il prestito, Eisenhower suggerì che essi discutessero i loro problemi

economici ad uno speciale incontro della NATO, da tenersi nel Luglio seguente. Al

termine della discussione il Segretario Generale dell‟Alleanza Paul Hanry Spaak, pur

ammettendo che non esistevano presupposti economici razionali per accettare le

richieste del governo Islandese, sottolineava la necessità di intervenire per evitare che

fossero i Sovietici a risolvere i problemi economici islandesi e suggerì un

finanziamento di $9 milioni con bassi interessi a lungo termine di pagamento. Il peso

del finanziamento doveva essere ripartito fra diverse nazioni dell‟Alleanza, ma visto i

lunghi tempi che la necessaria approvazione in tutti i parlamenti avrebbe richiesto,

venne infine diviso fra gli Stati Uniti ($5 milioni nel Dicembre „57) e la Germania

Federale ($2 milioni nell‟Aprile „58). In cambio il governo Islandese dovette

impegnarsi per iscritto a non accettare finanziamenti sovietici.

La decisione statunitense di supportare economicamente un governo di sinistra era

dovuta a ragioni strettamente strategico-militari. Ma ciò che rese questa

collaborazione possibile furono essenzialmente gli eventi internazionali dell‟autunno

del 1956. L‟intervento dell‟Armata Rossa in Ungheria e la Crisi di Suez furono

salutate da un‟ondata di sdegno ed il rifiuto della leadership del Partito Socialista a

condannare l‟atteggiamento sovietico provocò forti proteste che sfociarono nella

restituzione della tessera da parte di numerosi suoi membri. La profonda crisi interna

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59

al partito convinse i Socialisti a post-porre il problema della base militare e della

necessità di cercare un accordo con le Potenze Alleate.

2.5 La normalizzazione dei rapporti

L‟orientamento occidentale dell‟Islanda venne messo a dura prova già nel Maggio del

1958, quando il Ministro della Pesca Lúdvík Jósepsson, che si potrebbe definire un

nazional-comunista, annunciò l‟intenzione di espandere i limiti territoriali della pesca

fino alle 12 miglia marine36

. Numerose nazioni protestarono e specialmente i

Britannici che avevano importanti interessi economici legati alla pesca in quelle che

sarebbero diventate acque islandesi. Quando, il primo Settembre, il provvedimento

entrò in vigore, essi si rifiutarono di riconoscere i nuovi limiti e mandarono navi da

guerra a difesa dei loro pescherecci, dando così inizio alla prima cod war. Gli Stati

Uniti si trovavano in una difficile situazione perché sapevano che l‟ondata di

nazionalismo che stava crescendo in Islanda avrebbe potuto compromettere la

presenza della base militare e la partecipazione islandese alla NATO. Pur essendo

contrari al provvedimento tentarono quindi di mantenere una posizione neutrale e

fecero forti pressioni per una pacifica risoluzione del problema, che non si ebbe

comunque che nel 1961 quando, in cambio di temporanei diritti nella zona compresa

fra le 6 e le 12 miglia, i Britannici riconobbero la validità del nuovo limite.

Ciò che facilitò la soluzione della disputa fu la caduta del Governo di Sinistra causata

dall‟incapacità di trovare un accordo sulla politica economica. Nel 1959 una

coalizione fra i partiti Indipendentista e Socialdemocratico portò alla creazione del

cosiddetto “Governo di Stabilizzazione” il cui intento era quello di supportare

l‟integrazione occidentale dell‟Islanda mediante una riforma economica basata sulla

liberalizzazione delle importazioni, abolizione dei sussidi per le esportazioni e

36

Valur Ingimundarson “Iceland, the United States and NATO during the First Cold War” pp. 62-64

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svalutazione della moneta. La formazione di questo governo garantì un periodo di

relativa stabilità nelle relazioni fra l‟Islanda e gli USA.

Gli anni successivi videro la progressiva diminuzione del numero degli effettivi

militari a Kefkavík, dovuta principalmente a motivi di budget, e nel 1961 si ebbe

quello che può essere definito il più importante cambiamento strategico di tutta

l‟esistenza della base. L‟incremento tecnologico nella costruzione degli aerei e la

costruzione di missili a lunga gittata vedevano scemare la necessità di presidiare le

rotte transatlantiche dalle loro immediate vicinanze. La base perse così d‟interesse per

l‟Air Force, ma il valore strategico dell‟Islanda per la marina era invece più che

ovvio. Essa poteva fare parte di un‟importante barriera che dalla Groenlandia alla

Scozia permetteva di controllare tutti i movimenti dei sommergibili sovietici. Il

cambiamento fu poco pubblicizzato e alcune proteste si ebbero solo da parte dei

Socialisti, segno che l‟interesse dell‟opinione pubblica verso la base e l‟Alleanza

Atlantica era ormai scemato.

Per tutti gli anni ‟60 le relazioni a livello istituzionale rimasero buone, anche se era in

crescita un certo movimento d‟opposizione giovanile. Il nuovo movimento era

formato, in linea con gli altri paesi occidentali, principalmente da studenti ed aveva

pochi anelli di congiunzione con i partiti di sinistra e le organizzazioni sindacali. Il

principale bersaglio delle proteste era la partecipazione americana alla guerra del

Vietnam, e di conseguenza anche la base militare e l‟Alleanza Atlantica ricevevano

forti critiche.

In questi anni critiche alla base militare vennero rivolte anche per un altro motivo: la

televisione37

. Nel 1954 la Forza di Difesa chiese al governo Islandese il permesso di

installare una piccola stazione televisiva nella base di Keflavík. Dopo lunghe

discussioni, causate dall‟opposizione dei Socialisti, il parlamento dette

l‟approvazione, sottolineando però che l‟antenna trasmettitrice fosse di piccola

potenza ed orientata in modo tale da impedire la ricezione dei programmi a

Reykjavík. Nel 1961 il comando della base chiese di poter aumentare la potenza del

trasmettitore poiché quello vecchio doveva essere sostituito ed in commercio non ne

esistevano più di così piccoli. Il Ministro degli Esteri Gudmundur Gudmundsson

diede la sua approvazione. In realtà chi possedeva una buon‟antenna era già grado di

ricevere le trasmissioni, ma ora questa possibilità venne di molto aumentata. Grazie al

37

Benedikt Gröndal “Iceland. From neutrality to NATO membership” pp.70-75

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61

buon andamento dell‟economia, numerose famiglie avevano raggiunto una relativa

prosperità e furono in grado di acquistare un apparecchio televisivo. Nel Marzo del

1964 un discreto numero d‟intellettuali, dichiaratamente non comunisti, firmarono

una petizione che richiedeva all‟Alþing di limitare le trasmissioni televisive della

base militare. Secondo i firmatari, la televisione era uno strumento mediale dal potere

così grande che la visione di programmi americani in migliaia di case islandesi

avrebbe messo a serio rischio la cultura e la lingua nazionale. L‟opposizione politica

puntualizzava invece che permettere ad una nazione straniera di installare una

televisione e di trasmettere programmi nella sua lingua era un sopruso alla sovranità

nazionale. Per la legge islandese, lo stato aveva il monopolio sulle trasmissioni

medianiche ed il servizio doveva essere imparziale, caratteristica che la televisione di

una base militare sicuramente non possedeva. Per mesi il dibattito si trascinò

aspramente tra continui meeting, articoli di giornale e pubblicazione di pamphlets,

fino a che quasi 15.000 cittadini abitanti nella zona tra Reykjavík e Keflavik

mandarono un appello all‟Alþing chiedendo che il diritto di ricevere trasmissioni

televisive fosse riconosciuto per tutti, qualsiasi provenienza esse avessero. Negli anni

successivi venne creata, grazie alla collaborazione americana, una televisione

nazionale che andò a sostituire con successo quella della base.

La soppressione della Primavera di Praga contribuì ad allontanare sempre di più il

movimento di contestazione dal Partito Socialista38

. Questo sì trovò nuovamente di

fronte ad una crisi interna che sfociò nella sua soppressione nel 1968. Da semplice

coalizione elettorale, l‟Alleanza Popolare sì trasformò in un partito e rinunciò ad ogni

legame formale con i partiti comunisti dell‟Unione Sovietica e dell‟Est Europa.

Rimanevano in vita alcune associazioni d‟amicizia, ma esse non riuscirono a

ristabilire gli antichi scambi culturali, al di là di organizzare un viaggio di 250 giovani

in Germania dell‟Est nel 1988. Sul piano istituzionale i legami col blocco sovietico si

rilevarono più duraturi, grazie agli ancor vivi scambi economici.

Nel 1972 una nuova coalizione di sinistra salì al potere grazie ad una campagna

elettorale basata su di una nuova espansione dei limiti territoriali e su di una politica

estera incentrata sulla revoca del trattato di difesa.

La seconda cod war si rivelò maggiormente aspra della prima, coinvolgendo oltre che

il Regno Unito anche la Germania Federale, e fu risolta grazie all‟intervento del

38

Valur Ingimundarson “Targeting the periphery: The Role of Iceland in East-german Foreign Policy,

1949-1989” pp. 131-136

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Segretario Generale della NATO Dottor Joseph Luins. Un accordo temporaneo

prevedeva il riconoscimento del nuovo limite di 50 miglia marine da parte dei governi

Britannico e Tedesco e limitati diritti al loro interno per i pescherecci stranieri. Il

movimento socialista riottenne in questo periodo un certo supporto, grazie al ruolo

avuto nella vicenda dal Ministro della Pesca Jósepsson ed all‟appoggio internazionale

garantito dall‟Unione Sovietica. Le questioni della revoca dei diritti alla base militare

e della fuoriuscita islandese dalla NATO vennero però usate essenzialmente come

minacce per ottenere il riconoscimento dei nuovi limiti e non furono mai delle reali

intenzioni del governo. Nel caso in cui i nuovi limiti non fossero stati riconosciuti,

probabilmente il governo sarebbe stato costretto, sotto la spinta dell‟opinione

pubblica, a dare un seguito a queste minacce, ma i politici islandesi per esperienza

sapevano bene quanto fosse importante la base per gli Americani e che essi avrebbero

fatto pressioni perché gli alleati accettassero l‟estensione.

Un‟ulteriore crisi si presentò in occasione della terza cod war (1975-76), coincidente

con l‟espansione dei limiti della pesca fino a 200 miglia marine, ma dalla metà degli

anni ‟70 l‟interesse pubblico per la base militare andò rapidamente scemando, così

come la sua importanza economica. Ugualmente i rapporti economici con l‟Unione

Sovietica subirono una rapida decrescita, grazie alle nuove possibilità di mercato

apertesi con la partecipazione islandese all‟EFTA e l‟allineamento occidentale

islandese non fu più messo in discussione.

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63

Cap.3 Il mare e la sua economia

Per la pesca, le acque che circondano l‟Islanda sono tra le più prolifiche del mondo e

sono state sfruttate da pescatori stranieri per all‟incirca cinquecento anni39

. Pescatori

provenienti dalle isole Britanniche cominciarono a visitare le coste islandesi già nel

1400, gli Olandesi li seguirono nel XVII-XVIII secoli, accompagnati tra la fine del

´700 e per tutto l´800 da quelli Francesi. La stagione di pesca durava da inizio

primavera fino a fine estate e la grande disponibilità di risorse garantiva sempre dei

buoni pescati, sebbene le tecniche fossero ancora rudimentali. In quei tempi si

pescava grazie a lenze lunghe, lenze a mano, ami e reti. Fino a tardo ´800 gli stessi

Islandesi pescavano solo su piccole imbarcazioni aperte ed intorno alla costa. Tutto

ciò garantiva una giusta riproduzione delle risorse.

La situazione cambiò notevolmente con l‟avvento del vapore. Il primo peschereccio a

vapore comparve intorno alle coste islandesi nel 1890, ed era equipaggiato con un più

complicato strumento di pesca: la rete a strascico. Questa veniva, e viene tuttora,

tirata lungo il fondo marino permettendo la cattura di tutto il pesce che si viene a

trovare lungo il suo cammino, incrementando così di molto la quantità di pescato per

viaggio. Il primo peschereccio a vapore era britannico, ma ben presto anche

pescherecci tedeschi ed olandesi fecero la loro comparsa ed il loro numero

incrementò notevolmente nel decennio precedente la Prima Guerra Mondiale,

arrivando fino a 100-200 pescherecci l‟anno. Gli anni di guerra coincisero con la

momentanea assenza di pescatori stranieri intorno all‟Islanda. Dagli anni ‟20,

miglioramenti nelle tecniche di costruzione dei pescherecci fecero della pesca

un‟attività sempre più redditizia. Tutto ciò andava però a scapito di quella che era la

potenzialità di riproduzione delle risorse, che ad inizio della Seconda Guerra

Mondiale davano già preoccupanti segnali di sovra-pescaggio.

Gli anni dal 1946 al 1954 sono considerati l‟Epoca d‟Oro della pesca di profondità

nel Nord Atlantico. Il blocco delle attività durante gli anni di guerra, ad eccezione per

i pescatori islandesi, permise una certa ricostituzione delle riserve naturali e le flotte

dei tre paesi maggiormente coinvolti nella pesca nelle acque islandesi, Islanda, Gran

Bretagna e Germania Federale, furono rinnovate e potenziate. Ciò permise di ottenere

39

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 9-12 e 111

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delle straordinarie quantità di pescato. Dopo questo periodo il pescato cominciò a

diminuire a velocità e quantità allarmanti, segno di un raggiunto sovra-pescaggio e

divenne urgente la necessità di creare un sistema atto a difendere le riserve delle

risorse marine.

3.1 Il mare e le sue risorse

A differenza di molte altre risorse naturali, il pesce è una risorsa mobile40

. Poche

specie sono migratorie nel senso più ampio del termine, ma la maggior parte di esse

sono in costante movimento, non garantendo così ai pescatori la presenza dei banchi

in stesse zone da un giorno con l‟altro e rendendo difficile la quantificazione delle

riserve. In passato, tutto ciò ha contribuito alla visione del pesce come risorsa

inesauribile ed aperta a tutti, fino al limite massimo che ciascuno poteva acquisire.

Oggigiorno si sa che il tasso di crescita di ciascuna specie dipende da diverse

condizioni ambientali, così come le epoche di maturazione sessuale e di riproduzione.

Fino a quando le tecniche di pesca erano rudimentali, la capacità lavorativa dei

pescatori era tale da non influenzare il ciclo vitale del pesce, garantendo così la

presenza di buone riserve; con l‟avvento dei pescherecci per la pesca a strascico

questa situazione è cambiata in quanto l‟uomo è stato in grado di sfruttare la risorsa

più di quanto questa fosse in grado di rigenerarsi.

Per comprendere meglio si può pensare ad un banco vergine, non ancora sfruttato.

Inizialmente la popolazione di pesce divisa per classi d‟età è in equilibrio. Con

l‟inizio del suo sfruttamento il pescato, che è inteso in termini di peso, incrementerà

rapidamente in quanto con le reti è più facile catturare gli individui più grossi e

pesanti. Gradualmente la quantità (peso) del pescato diminuirà perché andrà ad

interessare individui sempre più giovani e piccoli. Le possibilità di crescita di ogni

pesce diminuiranno, così come quelle di riprodursi. La continua utilizzazione della

risorsa porterà al maximun sustainable yeld (MSY), vale a dire al punto dopo il quale

40

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp.16-18

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la riserva di pesce non può più sostenersi naturalmente. Una continua utilizzazione

oltre a questo punto fa decrescere ulteriormente la riserva di pesce, fino a renderla

incommerciabile, perché troppo piccola e giovane.

Intorno alle coste islandesi l‟incontro tra la corrente calda proveniente da sud e quella

fredda proveniente dalla Groenlandia gioca un ruolo fondamentale nel creare delle

perfette condizioni per la riproduzione e la crescita di numerose fra le più consumate

specie di pesce: merluzzo, merlano, platessa, eglefino, ippoglosso, pesce persico,

sogliola, malva, nonché di gamberetti, aragoste e molluschi vari. In queste acque

transitano anche specie oceaniche migratorie, quali aringhe, cappellano dei mari artici

e diversi tipi di pesce gatto41

(Tab.3).

Tab. 3 Quantità di pescato delle principali specie 1958-74 (Ton.).

Specie 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974

Ippoglosso 6.698 7.115 4.924 3.759 2.647 2.091 3.212 2.325 1.761

Sogliola 1.612 2.212 2.567 2,352 1.542 1.370 831 781 113

Platessa 8.163 8.059 11.411 9.368 11.875 10.270 10.018 6.496 4.102

Merluzzo 510.514 465.023 386.422 434.510 357.397 379.457 470.757 398.528 374.987

Eglefino 70.152 86.427 119.603 99.247 60.141 51.227 44.484 39.270 42.424

Malva 11.663 13.770 12.117 10.374 10.032 14.526 14.362 10.177 6.773

Merlano 53.178 48.039 50.385 60.417 52.168 77.944 113.315 107.873 97.568

P. Gatto 23.990 18.564 23.231 17.192 14.799 14.892 10.549 14.099 15.293

P. Persico 90.947 82.561 75.277 95.160 106.627 96.056 78.135 77190 69.145

Aringa 151.199 224.478 650.508 626.141 482.615 30.755 16.445 312 1.274

Cappellano 8.640 124.934 78.166 191.763 276.969 462.020

Aragosta 593 2.532 2.628 4.073 4.011 2.647 4.026 4.581 1.989

Gamberetti 1336* 700 542 1.790* 2.451* 4.510 5.291 6.515

Molluschi * * * 2.432 7.349 2.851

Altre 20.990 27143 28.785 31.935 31.814 43.469 43.931 35.557 53.535

*Gamberetti + Molluschi

Fonte: National Research Council “A perspective Analysis of the Icelandic Fishing Industry” pp.42-43

41

National Research Council “A perspective Analysis of the Icelandic Fishing Industry” pp. 108-120

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66

Gli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale videro un vero e proprio boom

della quantità di pescato per tutte le tradizionali specie. Segnali preoccupanti di sovra-

pescaggio comparvero, però, già a metà degli anni ‟50 sfociando in un continuo trend

negativo a partire dal 1958. Negli anni successivi, nel tentativo di arginare la crisi del

settore dovuta al calo di pescato, sì cominciarono a studiare nuove aree di pesca e lo

sfruttamento di nuove specie. Cominciò così lo sfruttamento di gamberi, aragoste e

crostacei. Gli anni ‟60 videro anche quello che è conosciuto come il “boom delle

aringhe”. Questa è una specie migratoria e transita intorno alle coste islandesi

proveniente dagli oceani artici. Già nel decennio precedente si era assistito ad una

rapida crescita della popolazione migratoria che culminò in incredibili incrementi di

pescato negli anni 1959-62. Viste le difficoltà incontrare nella pesca delle specie

tradizionali, numerose compagnie si lanciarono nell‟avventura tentando di sfruttare al

massimo quella che era vista come una “manna dal cielo”. Nuovi impianti per la

lavorazione delle aringhe furono costruiti ovunque nel paese e molti di quelli vecchi

furono adattati al nuovo prodotto, ma dopo pochi anni di relativa stabilità fu subito

chiara la conseguenza di questo sfruttamento irrazionale. La quantità di pescato

diminuì paurosamente e repentinamente e dal 1972 il governo fu costretto ad imporre

ai pescatori, islandesi e stranieri, un bando sulla pesca alle aringhe, estremo tentativo

di salvare lo stock rimanente e di permettere una sua ricostituzione.

Contemporaneamente alla scomparsa delle aringhe si assisteva all‟arrivo di un‟altra

specie oceanica e migratoria, il cappellano dei mari artici, che però ha un inferiore

valore commerciale. Fin dagli anni ‟70 questi è comunque utilizzato intensamente per

la lavorazione di prodotti secondari, e data la similarità con le aringhe è stato

possibile convertire numerosi pescherecci e centri di lavorazione per il suo

sfruttamento. L‟incidenza straniera sul totale del pescato in acque islandesi è sempre

stata notevole (Tab.4).

Tab.4 Quantità totale di pescato in acque islandesi 1946-1976 (per 1000 Ton.).

Periodo Islanda % Regno

Unito

% Germania % Altri % Totale

1946-50 1.587 65 542 22 272 11 55 1 2.456

1951-55 1.846 46 994 25 933 24 209 5 3.982

1956-60 1.864 50 957 26 687 18 242 6 3.750

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Tab.4 Quantità totale di pescato in acque islandesi 1946-1976 (per 1000 Ton.).

Periodo Islanda % Regno

Unito

% Germania % Altri % Totale

1961-65 1.873 51 1.035 28 595 16 195 5 3.698

1966-70 2.135 56 811 21 589 16 252 7 3.787

1971-75 2.045 59 808 23 434 13 190 6 3.474

1976 473 76 70 11 55 9 26 4 624

Fonte: Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 118

Nei primo dopoguerra la presenza di stranieri era ancora marginale perché molte

nazioni ebbero una lenta ripresa economica dal conflitto bellico. Questo era il caso

specialmente della Germania i cui pescherecci non comparvero fino al 1947. Durante

gli anni ‟50 la quantità totale di pescato fu sempre divisa equamente fra Islandesi e

stranieri, con quest‟ultimi in leggero vantaggio. La situazione cambiò solo in seguito

agli effetti delle estensioni dei limiti territoriali della pesca effettuate dall‟Islanda nel

1958-61 e nel 1972-73. Per tutta la seconda metà degli anni ‟60 il pescato islandese

incrementò gradualmente fino a raggiungere nel ‟75 le quantità postbelliche. Dopo

l‟ultima estensione, effettuata alla fine dello stesso anno, la presenza straniera in

acque islandesi diminuì notevolmente ed il suo pescato di conseguenza.

Le acque intorno alle coste islandesi possono essere suddivise in diverse aree di

pesca, ciascuna delle quali offre le condizioni migliori per la riproduzione e la vita di

certe specie di pesce42

.

La Faxa Bay, tra Reykjavík e la penisola di Snæfellsnes, è una delle maggiori zone di

riproduzione al mondo per pressoché tutte le specie sopraccitate, ed è stata la

principale zona di pesca per pescatori d‟ogni nazionalità fino alla sua chiusura nel

1947, frutto di un primo tentativo di salvaguardia delle risorse. A nord-ovest abbiamo

le due regioni delle baia di Breiðafjördur e dei Fiordi Occidentali, entrambe ricche di

merluzzo ed eglefino e sfruttate intensamente dai pescatori inglesi. Le due regioni

settentrionale ed orientale erano meno frequentate perché più povere e per le peggiori

condizioni climatiche, inoltre per i pescatori stranieri pescare in queste aree

significava allungare i tempi di viaggio dalla e per la madre-patria. Comunque al

largo delle coste orientali è sempre stata attiva la pesca di pesce persico da parte di

pescherecci tedeschi. La regione intorno alla costa sud-orientale è, storicamente, una

42

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 37-42

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delle più sfruttate dai pescatori britannici e tedeschi per la pesca all‟eglefino ed altre

varietà minori. Infine ci sono le due ricche zone per la pesca al merluzzo intorno alle

Isole Vestmann ed alla penisola di Reykjarness.(Fig.1)

Fig.1 Principali zone di pesca intorno alla costa islandese

Fonte: Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 38

In tutte queste aree la pesca ha carattere stagionale in quanto condizionata sia dalle

condizioni climatiche, sia dai movimenti migratori dei banchi di pesce.

3.2 L‟industria del pesce in Islanda

L‟importanza dell‟industria del pesce per l‟economia islandese è sempre stata

notevole. Come abbiamo visto essa è alla base dello sviluppo del paese; è il mezzo

che nel XX secolo ha portato l‟Islanda dal medioevo alla modernità.

Ancora oggi non c‟è famiglia islandese che non possa contare un qualche parente

impiegato, attualmente od in passato, sui pescherecci o nelle industrie di lavorazione.

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69

Col passare degli anni la percentuale della popolazione impiegata nel settore della

pesca è diminuita a favore di quella nel settore terziario, seguendo quello che è il

trend generale dei paesi sviluppati. Inoltre, fin dagli anni ‟60 il governo Islandese ha

iniziato una politica economica tesa allo sviluppo dell‟utilizzo intensivo delle

potenzialità geotermiche ed idroelettriche del paese. Questo significa avere energia a

basso costo da utilizzare per le più disparate lavorazioni. Il carattere globale della

nuova economia internazionale permette proficuamente l‟importo di materie prime o

semi-lavorate da paesi anche molti distanti e la lavorazione finale in loco, con

successiva esportazione del prodotto finito. Questo è il caso ad esempio delle

industrie per la lavorazione dell‟alluminio, la prima delle quali fu costruita nel 1969

grazie alla collaborazione con la Swiss Alluminium Limited, che interessano una

buona percentuale di lavoratori attirati dalle buone condizioni lavorative. Alla base di

questa scelta politica c‟era la necessità di trovare sbocchi economici alternativi alla

pesca, per dare una maggiore stabilità all‟economia nazionale. Ciò che è interessante

notare è che, a fronte della diminuzione della percentuale impiegata nel settore, il

numero degli effettivi non è variato di molto, anzi nell‟ultima decade del secolo

questi hanno raggiunto il livello che avevano negli anni ‟40-50.

Tab.5 Popolazione totale e percentuali di lavoratori nei diversi settori 1940-2000.

1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000

Popolazione 121579 144293 177292 204834 229327 255866 282849

Primario 46,5% 34,9% 24,2% 19,9% 13,1% 10,6% 8,3%

Manifatture 21,1% 32,0% 36,2% 36,2% 37,6% 31,4% 23,0%

Terziario 32,3% 33,0% 39,6% 43,8% 49,3% 58,0% 68,7%

Tab.6 Lavoratori e percentuali nel settore della pesca 1940-2000

1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000

Pesca 7200 6200 5600 5400 5500 7100 6000

14,1% 10,5% 8,2% 6.6% 5,1% 5,7% 3,9%

Manifatture 2400 3100 6900 6600 9600 7700 6800

4,7% 5,3% 10,1% 8,0% 9,1% 6,1% 4,3%

Fonte: “Iceland: The Republic” Handbook published by the Central Bank of Iceland p. 348*

* I dati riguardanti il 2000 sono stati ricavati dal sito dell‟ufficio statistico d‟Islanda, www.hagstofa.it.

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70

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la coalizione che formava il cosiddetto

Governo di Ricostruzione avviò un piano per l‟utilizzo delle risorse accumulate negli

anni del conflitto per la modernizzazione dell‟agricoltura e del settore della pesca.

Parte del programma prevedeva lo sviluppo della flotta di pescherecci e barche a

motore43

. Nel 1945-47 si ebbe la modernizzazione delle barche a motore che sono

utilizzate specialmente per la pesca con reti o lenze lunghe nelle aree immediatamente

adiacenti alla costa e all‟interno dei fiordi e delle baie. In questi anni più di cento

nuove barche vennero affiancante alla vecchia flotta. Nell‟autunno del 1945

rappresentanti del governo Islandese cominciarono a negoziare con quello Britannico

la costruzione di 30 nuovi pescherecci per la pesca a strascico (Trawlers) a cui se

n‟aggiunsero altri due l‟anno successivo e altri dieci nel ‟48. In totale nel periodo

1947-52 l‟Islanda acquistò dalla Gran Bretagna quaranta nuovi side-trawlers, la

maggior parte a vapore ed alcuni a diesel. L‟aggettivo side sta a significare che i

pescherecci erano caratterizzati dall‟avere la rete a strascico posta sul fianco, al

contrario dei più tecnologici stern-trawler il cui meccanismo di strascico viene

srotolato dalla poppa. Il processo di rinnovamento continuò poi nei decenni

successivi. Il numero delle barche a motore più piccole (100 Ton.) rimase all‟incirca

costante, un forte incremento si ebbe per quelle più grandi, mentre i side-trawlers

videro un forte incremento negli anni ‟60 per essere poi gradualmente sostituiti con

gli stern-trawlers nel decennio successivo (graf.1).

Formidabile fu lo sviluppo tecnologico44

. Abbiamo già accennato alla costruzione

degli stern-trawlers, frutto di una generale politica internazionale basata sulla

costruzione di barche e pescherecci sempre più specializzati per i diversi tipi di pesca.

Questa politica era una conseguenza dell‟aumento di competizione dovuta alla

diminuzione degli stock. Importanti sviluppi vennero effettuati nella meccanizzazione

di bordo, sia per quella che era la prima lavorazione del prodotto, sia per le tecniche

di navigazione e ricerca dei banchi di pesce, ora facilitati dall‟avvento

dell‟elettronica. Importanti furono anche i miglioramenti apportati per le condizioni

di vita dei lavoratori, come ad esempio creare cuccette più larghe e comode.

Graf.1 Composizione della flotta islandese

43

Ibid. pp. 115-116 44

National Research Council “A perspective Analysis of the Icelandic Fishing Industry” pp. 33-54

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71

Fonte: National Research Council “A perspective Analysis of the Icelandic Fishing Industry” p. 34

Un dato importante per valutare l‟industria peschiera nelle sua prima fase, la pesca

vera e propria, è quello dello sforzo di pesca (fishing effort). Con questo la quantità

di pescato viene messa in relazione col numero di barche e con il tempo di pesca. Un

risultato auspicabile è quello di avere una maggior quantità di pescato con un minimo

utilizzo d‟energie, cioè numero d‟imbarcazioni e giorni di pesca. Uno studio condotto

sullo stato dell‟industria del pesce in acque islandesi nel 197445

ha dimostrato come la

capacità teorica della flotta islandese fosse di 560 mila Ton. di pescato per le barche a

motore e 350 mila Ton. per i trawlers. Giudicando tutte le possibili varianti si poteva

ipotizzare una capacità di pescato di 850 mila-1 milione di Ton., ma la media di

pescato negli anni compresi fra il ‟58 ed il ‟73 era di 730 mila Ton., il che significa

che la flotta era più che sufficiente anche nel caso in cui le acque islandesi fossero

solcate da sole imbarcazioni nazionali. Considerando anche la percentuale di pescato

dei pescherecci stranieri, la flotta islandese era all‟incirca il doppio del necessario. Lo

stesso studio riportava risultati analoghi anche per i trawlers stranieri, inglesi e

tedeschi in primis.

45

Ibid. pp. 121-128

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72

Le industrie di lavorazione del pesce comprano il prodotto dalle compagnie di pesca e

lo vendono generalmente ad acquirenti stranieri46

. Le manifatture dipendono quindi

dalla pesca per la materia prima e dai mercati esteri per la vendita.

Il primo passo nella lavorazione del pesce è quello di dividere la parte di prodotto che

verrà lavorata da quella di scarto, come teste, lische, pelli, ma anche pesci troppo

piccoli o danneggiati. La parte dello scarto è solitamente usata per la produzione di

farine di pesce, le viscere sono utilizzate dalle industrie farmaceutiche e chimiche o

più semplicemente buttate via.

Il metodo più semplice di lavorazione è ricoprire con ghiaccio il pesce e venderlo

fresco, con un tempo di conservazione molto breve. Un rapido congelamento

consente di mantenere il prodotto in buone condizioni per relativi lunghi periodi,

mantenendone al contempo l‟iniziale qualità di freschezza. Altre misure di

conservazione possono essere l‟affumicamento, la salificazione e l‟essiccamento, che

comportano però un grande cambiamento nel sapore ed una diminuzione di peso.

Altre manifatture si occupano dell‟inscatolamento e della produzione di piatti pre-

cotti.

Il merluzzo è sicuramente la specie maggiormente importante dell‟economia

islandese, sia in termini di pescato che in qualità e valore commerciale. Nel 1974

circa il 48% del pescato veniva congelato rapidamente, il 42% salato ed il resto

essiccato o venduto fresco. Comunque la scelta della lavorazione dipende dalla

domanda del mercato e dalle caratteristiche del pescato; ad esempio pesci di grandi

dimensioni sono più adatti alla salificazione e buone classi qualitative non vengono

generalmente destinate a mercati meridionali, come ad esempio l‟Italia, perché le

condizioni climatiche porterebbero ad un rapido deterioramento del prodotto.

L‟eglefino è molto simile al merluzzo per qualità e lavorazione, ma essendo più

fragile ha minori tempi di conservazione ed è più facilmente danneggiato durante le

varie fasi della lavorazione, compresi la pesca ed il trasporto. Nel 1974 veniva

surgelato (83%) o destinato al consumo locale.

Il merlano è una specie simile alle precedenti, ma dal minor valore commerciale. Nel

‟74 il 67% era surgelato, il 24% salificato ed il resto venduto fresco o utilizzato

insieme con altre specie per l‟inscatolamento.

Il pesce persico garantisce una delle più stabili aziende islandesi grazie al mercato che

esso ha in paesi come la Germania, gli Stati Uniti ed, un tempo, l‟Unione Sovietica.

46

Ibid. pp. 55-71 e 97-106

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73

Sempre nel 1974 l‟88% era surgelato, il 6% esportato fresco ed il resto destinato a

lavorazioni secondarie.

Delle diverse specie di pesce gatto alcune sono considerate appetibili ed hanno un

mercato come prodotto “fresco”, altre sono interamente destinate alla produzione

delle farine industriali. Nel 1974 le prime erano vendute per il 95% surgelate, la

rimanente parte come prodotto fresco.

Anche se il sapore è un po‟ stopposo, la molva ha un discreto mercato grazie alla

colorazione bianco-candida del suo muscolo. Nel 1974 il prodotto era venduto per il

71% surgelato, 21% salato ed il resto esportato fresco.

L‟ippoglosso è considerato uno dei più deliziosi pesci, ma il suo sapore dipende

dall‟età e dalla taglia. Nel 1974 il 78% era surgelato ed il resto venduto fresco, il

12% sul mercato nazionale ed il 10% esportato.

La platessa è una specie dall‟alto mercato grazie al suo buon sapore, ma la sua qualità

è di carattere stagionale creando domanda specialmente per il pescato estivo ed

autunnale. La quasi totalità di questo era venduta nel 1974 surgelata.

Le aringhe sono utilizzate principalmente congelate, inscatolate e salate. Le quantità

in eccesso sono sempre state usate per la produzione di farine e oli ed un certo

utilizzo lo si ha come esca nelle lenze lunghe. Nel 1974 il bando per la pesca

intensiva era ancora in vigore e solo piccole quantità erano lavorate per il consumo

locale.

Il cappellano dei mari artici è una specie andata in qualche modo a sostituire le

aringhe, ma dal limitato valore commerciale. La quantità di pescato era nel 1974

destinata per il 95% alla produzione di farine. La restante percentuale era destinata,

congelata od inscatolata, al mercato Giapponese, l‟unico esistente per l‟alimentazione

umana.

L‟aragosta islandese è considerata una delle maggiormente saporite ed era

interamente venduta surgelata, intera per il mercato statunitense e le code per quello

europeo.

Anche i gamberetti sono considerati di ottima qualità, anche se piuttosto piccoli. Nel

1974 il 98% del loro pescato era precotto, spelato e surgelato.

La maggior parte delle diverse specie di molluschi nel 1974 erano vendute surgelate o

pre-cotte sul mercato americano. Alcune erano destinate fresche ai paesi costieri

europei, ma le rigide leggi sanitarie che regolano il loro mercato hanno via via

ristretto la vendita di questo tipo di prodotto.

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74

Dagli anni del dopoguerra alla metà degli anni ‟70 notevoli innovazioni sono state

fatte sulla via della modernizzazione delle manifatture. Il numero delle industrie di

surgelamento rimase piuttosto invariato, da 90 nel 1960 a poco più di 100 nel 1975,

ma grandi sviluppi si sono avuti nella meccanizzazione soprattutto per adeguarsi alle

nuove leggi sanitarie internazionali e per quanto riguarda la costruzione di adeguate

camere di stoccaggio del prodotto. Nel paese, sempre nel 1975, c‟erano circa 200

manifatture per la salificazione, alcune specializzate nella produzione di aringhe. La

maggior parte di queste manifatture era di piccole dimensioni e con scarsa

meccanizzazione, ma la maggior parte del prodotto veniva lavorato in grandi aziende

che si occupavano anche del congelamento e che avevano un buon sviluppo

tecnologico. Nel complesso questo tipo di manifatture erano in ritardo rispetto allo

sviluppo di quelle per il surgelamento. Le manifatture per la produzione dello

stoccafisso erano sufficientemente sviluppate, ma in forte crisi per via della chiusura

del maggior mercato, quello nigeriano, dovuta alla guerra civile. L‟industria per la

lavorazione di farine e oli era maggiormente sviluppata negli anni del boom delle

aringhe (1961-67). La riconversione per la lavorazione del cappellano dei mari artici

diede buoni frutti, ma per via della limitata stagione di pesca non ha mai permesso di

ritornare agli antichi livelli d‟attività. L‟industria di inscatolamento era nel 1975

ancora sottosviluppata. I primi impianti pilota vennero resi funzionali all‟inizio degli

anni ‟40, ma da allora nessun investimento di rilievo venne effettuato e la situazione

rimase a livello embrionale.

L‟economia islandese è basata su un‟alta percentuale di scambi con i paesi stranieri.

Tradizionali partner commerciali sono stati i paesi scandinavi e l‟Inghilterra, ma con

la Seconda Guerra Mondiale e lo sviluppo della Guerra Fredda nuovi orizzonti si

sono aperti verso gli USA ed i paesi del Est. Alla fine degli anni ‟60 il governo cercò

sbocchi in nuovi mercati e ciò portò ad accordi con diversi paesi del Terzo Mondo ed

all‟entrata nell‟EFTA nel 1970. Negoziati per una facilitazione negli scambi

commerciali erano anche in corso con i paesi CEE, ma questi sfoceranno in un

duraturo accordo solo alla fine del 1976, dopo la conclusione dell‟ultima cod war. La

grande percentuale di scambi commerciali è dovuta alla limitata presenza di risorse

prime sul territorio islandese; per mantenere un alto livello di vita, gli Islandesi sono

costretti ad importare la maggior parte dei prodotti dall‟estero. Questi vengono

acquistati grazie alla valuta ottenuta con le esportazioni, la principale delle quali è

sicuramente quella dei prodotti del settore della pesca (Tab.7).

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Tab.7 Percentuali dei prodotti dell‟industria peschiera nelle esportazioni totali.1946-1975

Anni Percentuale

1946-50 90,1

1951-55 92,8

1956-60 90,6

1961-65 91,2

1966-70 84,9

1971-75 74,6

Fonte: Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 256

Come si può notare dalla tabella 7, l‟economia islandese era praticamente basata solo

sull‟esportazione del pesce e dei suoi lavorati. La percentuale di queste esportazioni

subisce delle diminuzioni negli ultimi due periodi poiché il primo coincide con la

“crisi delle aringhe”, ed il secondo con l‟incremento d‟esportazioni industriali, dovuto

all‟apertura della fabbrica per la lavorazione dell‟alluminio. La percentuale di

esportazioni industriali incrementò infatti dal 6,3% nel periodo 1966-70 al 19,9% nel

1971-75.

Le esportazioni erano ripartite per il 22,8% verso i paesi CEE, 18,6% verso quelli

EFTA, 28,8% verso gli USA, 15% verso l‟Europa dell‟Est e 14,8% verso altri paesi,

specialmente Giappone, Spagna ed America Meridionale47

. I prodotti maggiormente

esportati erano pesce surgelato (43,6%), pesce salato (25,5%) e le farine di pesce

(13,3%).

I prodotti surgelati posso essere venduti in blocchi, a filetti o a pesce intero. I blocchi

erano principalmente esportati verso gli USA, dove venivano utilizzati come base di

lavorazione per la produzioni di diversi piatti a base di pesce. Questo settore ha un

ruolo importante per l‟economia islandese grazie al fatto che in territorio statunitense

sono presenti diverse manifatture collegate all‟Icelandic Sales Associations ed alla

Federation of Icelandic Cooperative Society, che insieme rappresentano un piccolo

impero industriale, impiegando già nel 1974 circa 600 lavoratori con un capitale di

più di 100 mila $. I filetti surgelati erano principalmente esportati negli Stati Uniti,

ma buoni mercati erano anche quelli inglese, tedesco, sovietico e cecoslovacco. Il

pesce surgelato intero era destinato un po‟ a tutti i mercati europei, ma la gran parte di

47

Ibid. pp. 71-91

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esso era esportata in Unione Sovietica. Particolari prodotti surgelati erano poi il

cappellano dei mari artici, destinato al Giappone; i gamberetti, esportati in Gran

Bretagna, Norvegia e Svezia; le aragoste ed i molluschi, quasi interamente riversati

sul mercato statunitense.

Il pesce salato era esportato “fresco” (80%) verso i mercati europei, principalmente

quello portoghese; essiccato intero, merluzzo in Portogallo e merlano in Brasile, od in

filetti, merluzzo in Francia ed Italia, merlano in Germania.

La produzione di stoccafisso era direzionata per la maggior parte verso il mercato

nigeriano, quello d‟alta qualità era venduto invece principalmente in Italia.

La produzione delle farine di pesce era interamente destinata ai paesi dell‟Europa

Occidentale, Polonia ed URSS, con una certa specializzazione secondo i diversi tipi

di farina. Lo stesso valeva per la produzione d‟oli, che però avevano un certo mercato

anche in America meridionale e negli USA.

Merluzzo, platessa ed eglefino venivano venduti freschi principalmente in Gran

Bretagna e Germania; sul mercato tedesco veniva inoltre venduta la maggior quantità

di pesce persico.

I prodotti inscatolati rappresentavano solo una frazione marginale delle esportazioni

dei derivarti del pesce (1,9% nel 1972), comunque erano esportati verso gli USA,

l‟URSS, la Gran Bretagna, la Cecoslovacchia ed il Giappone. Verso quest‟ultimo era

anche esportata l‟intera produzione di carne di balena surgelata.

3.3 Le acque islandesi e l‟economia britannica

Fra tutti i pescatori stranieri che tradizionalmente solcavano le acque islandesi, i

Britannici erano sicuramente quelli maggiormente attivi, essendo presenti sin dal XV

secolo. Per lungo tempo essi avevano usufruito di questa risorsa liberamente, favoriti

dalla loro superiorità tecnologica e dalla loro importanza quale potenza coloniale. La

prima era più che chiara, visto che fino alla fine dell‟800 le tecniche di pesca islandesi

erano ancora quelle medioevali e che le maggiori innovazioni sono strate acquisite

sulla scia delle scoperte inglesi (pescherecci a vapore, side-trawler, stern-traweler...).

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77

La seconda aveva il suo ruolo nei rapporti con la Corona Danese. L‟Islanda era,

infatti, una colonia danese e diritti di pesca nelle acque intorno alle sue coste furono

spesso ceduti dalla Corona Danese in cambio d‟altre facilitazioni economiche. Questo

è il caso ad esempio dell‟accordo col governo Britannico nel 1901. Negli anni

precedenti, l‟attività inglese in acque islandesi era incrementata parecchio, grazie ai

nuovi sviluppi tecnologici. Ciò portò ad uno scontro fra i pescatori britannici da un

lato e pescatori islandesi ed autorità danesi dall‟altro. Un accordo stipulato fra le

autorità danesi e quelle britanniche concedeva loro diritti di pesca al di fuori di un

limite territoriale di 3 miglia marine, validi per un periodo di 50 anni. Il limite era

calcolato partendo dalla linea costiera, quindi veniva garantita un‟ampia concessione

di pesca anche all‟interno di molte baie e fiordi. Questo trattato assumerà

un‟importanza notevole, poiché esso è alla base del diritto consuetudinario al quale si

appellarono i Britannici per contrapporsi alle estensioni dei limiti territoriali della

pesca che porteranno alle cod wars.

Anche i pescatori tedeschi partecipavano in buona percentuale all‟acquisizione del

pescato totale in acque islandesi, ma essi erano per lo più rivolti verso la pesca del

pesce persico, non del merluzzo, ed il loro ruolo nelle cod wars fu più marginale.

Il problema alimentare in Inghilterra alla fine della guerra era uno dei principali da

affrontare. L‟espansione della pesca era una delle possibilità per permettere un rapido

incremento di risorse alimentari.

Tradizionalmente la pesca inglese in acque islandesi ere concentrata in tre porti: Hull,

Grimsby e Fleetwood. Negli anni di guerra l‟utilizzo dei pescherecci come navi di

supporto militare aveva visto diminuire di molto la capacità lavorativa di questi porti,

che potevano ormai affidarsi solo su vecchie imbarcazioni, poco adatte ad affrontare

il viaggio fino alle coste islandesi48

. Nei primi anni del dopoguerra ci fu una rapida

riconversione delle navi militari in pescherecci ed una ancor maggiore attività di

costruzione di nuove imbarcazioni. Importanti furono le innovazioni tecnologiche,

principalmente la sostituzione dei pescherecci a vapore con quelli diesel prima e

diesel-eletrici poi. Ciò permetteva di trasportare una maggiore quantità di pescato,

trasformando la camera usata per l‟immagazzinamento del carbone in camera di

stoccaggio per il prodotto, ed aumentare la velocità di navigazione riducendo così i

tempi per ogni viaggio. Grazie all‟elettronica la navigazione e la ricerca dei banchi di

pesce fu facilitata e l‟introduzione di nuove reti a strascico permise la pesca in acque

48

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 112-117

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più profonde. Ciò si rilevò di notevole importanza con il progressivo esaurimento

degli stock vicino alle coste e in concomitanza con le espansioni delle acque

territoriali islandesi.

Dei tre porti sopraccitati, Hull era quello maggiormente specializzato nella pesca in

acque distanti e profonde, per cui fu anche meno soggetto alle ripercussioni delle

crisi; Grimsby, accanto ad un discreto numero di pescherecci per la pesca nelle acque

profonde, aveva un considerevole numero di pescherecci per la pesca in acque vicine

o di media distanza ed era particolarmente specializzato nella pesca alla platessa, i cui

banchi vivono più vicino alla costa islandese rispetto a quelli di merluzzo, perciò

maggiori furono le ripercussioni già delle prime estensioni; Fleetwood era in sostanza

specializzato nella sola pesca in acque vicine o di media distanza ed i suoi

pescherecci per la pesca in acque distanti navigavano solo verso le acque islandesi,

per cui esso fu il porto che subì maggiormente gli effetti delle crisi derivanti dalle

estensioni e dalla diminuzione degli stock.

Le nuove tecnologie permisero la costruzione di sempre più grandi trawlers, così

anche se con gli anni il loro numero decrebbe la loro capacità totale incrementò

continuamente, specialmente nel caso del porto di Hull (Tab.8).

Tab.8 Numero e dimensioni di trawlers per la pesca in acque distanti per i maggiori porti inglesi.

Anno Fleetwood Grimsby Hull Totale Media Ton.

1955 47 92 147 286 210

1960 51 105 141 296 230

1965 53 123 117 293 270

1970 33 101 93 227 342

1975 27 88 76 191 378

Fonte: Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p.112

Le coste islandesi non erano le sole frequentate dai pescherecci per le acque distanti e

profonde inglesi. Importanti zone di pesca erano anche le Isole di Terranova, le coste

occidentali della Groenlandia, la costa occidentale norvegese, il Mar di Barents e le

isole Bear e Spitzbergen nel Mar Artico (Tab.9).

Le Isole di Terranova erano talmente distanti da consentire il loro raggiungimento

solo a pochi fra i più grandi e tecnologici trawlers, ed un loro intensivo sfruttamento

inizierà solo dopo l‟ultima estensione delle acque territoriali islandesi, che in pratica

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precluse l‟utilizzo di tutti i maggiori banchi ai pescatori stranieri. La pesca intorno

alle coste groenlandesi non era molto popolare fra i pescatori per via delle difficili

condizioni climatiche e per la pericolosità dovuta alla presenza d‟iceberg. Inoltre le

carte di navigazione erano abbastanza povere e limitate e non c‟era la possibilità di

trovare un pronto riparo in caso di peggioramento improvviso del tempo. Le coste

norvegesi erano una delle zone tradizionalmente più sfruttate, tanto che nel

dopoguerra segnali di sovra-pescaggio erano più che evidenti, inoltre nel 1951

terminò un ventennale contenzioso fra lo stato Norvegese ed il Regno Unito per il

riconoscimento di nuovi limiti territoriali norvegesi e ciò chiuse molte delle zone

predilette dai pescatori britannici. La pesca nel Mar di Barents e intorno alle isole

Bear e Spitzbergen era la più prolifica e grandi quantità di pescato furono assicurate

specialmente nel primi anni del dopoguerra, grazie al fatto che negli anni precedenti

esse erano rimaste chiuse all‟attività dei pescatori e le riserve avevano potuto

accumularsi liberamente. Con gli anni il pescato diminuì ma esso rimase sempre in

buone quantità. Ciò che rendeva le coste islandesi maggiormente appetibili era

innanzi tutto la vicinanza alla madre patria e a porti sicuri, ma anche il fatto che in

esse si trovavano più tipi di pesce ed un viaggio poco redditizio poteva trasformasi in

un buon pescato seguendo banchi di altre specie. Inoltre, nelle prolifiche acque del

Mar Artico e del Mar di Barents negli anni ‟50 si fece molto pressante la concorrenza

dell‟imponente flotta sovietica, i cui trawlers avevano capacità tali da essere

soprannominati “vacuum-cleaner” (aspirapolvere).

Tab.9 Pescato britannico nelle maggiori zone di pesca distante comparato con le coste islandesi (per

1000 Ton.) 1946-1976

Periodo Coste

Norvegesi

Mare di

Barents

Isole Bear

Spitzbrgen

Coste

Groellandia

Totale Coste

Islandesi

1946-50 190 692 434 26 1341 542

1951-55 198 667 427 133 1425 994

1956ö60 223 420 523 12 1178 957

1961-65 190 376 284 89 939 1.035

1966-70 351 533 112 4 1000 811

1971-75 162 408 52 2 624 808

1976 29 75 20 2 126 70

Fonte: Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 131

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80

Le coste islandesi non erano quindi le uniche dalle quali arrivava il pescato

britannico, ma sicuramente erano le più importanti.

L‟importanza della pesca a livello nazionale non ha per la Gran Bretagna lo stesso

valore che essa ha per l‟Islanda. L‟economia inglese è, infatti, molto diversificata e,

nel panorama del Prodotto Nazionale, i capitali derivanti dall‟industria del pesce sono

un‟assoluta minoranza; per esempio i prodotti derivati da quest‟industria

rappresentavano nel 1976 solo lo 0,2% delle esportazioni totali. Una volta terminata

l‟emergenza per i supporti alimentari nel secondo dopoguerra, l‟importanza di

quest‟industria a livello nazionale divenne marginale; ma, per capire a fondo i fattori

in gioco nelle cod wars, bisogna soffermarsi su quella che era l‟importanza della

pesca a livello locale, cioè nei tre porti di Hull, Grismby e Fleetwood.

Le differenze fra di esse sono già state accennate ed è stato messo in luce come il

centro maggiore fosse quello di Hull e come questo fosse in grado di far fronte

meglio degli altri alla progressiva chiusura delle tradizionali zone di pesca intorno

alle coste islandesi49

. Un‟analisi della sua popolazione e dell‟importanza del settore

della pesca fra di essa permette di avere una chiara idea della situazione. La Tabella

10 ci mostra il numero di trawlers, il numero di lavoratori operanti su di essi, il

numero d‟abitanti e l‟ampiezza media dei nuclei familiari. I dati sono quelli degli anni

di censo, e non compare il 1941 poiché questo non venne effettuato a causa della

guerra . Da questi dati si può ricavare semplicemente il numero d‟abitanti che

ricevevano la loro sussistenza dalla pesca moltiplicando il numero di pescatori per

l‟ampiezza media delle famiglie.

Tab.10 Trawlers e demografia in Hull 1921-1971

Anno Trawlers Pescatori Abitanti Ampiezza

media

familiare

Abitanti

legati alla

pesca

1921 167 2.338 290.681 4,26 9.959

1931 230 3.220 313.544 3,84 12.364

1951 165 3.465 299.105 3,30 11.434

1961 143 3.003 303.261 3,00 9.009

1971 93 1.943 285.970 2,90 5.633

Fonte: Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 237

49

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 237-240

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Il numero di persone effettivamente sostenute dal settore era molto maggiore perché

molti di più erano coloro impiegati nelle manifatture rispetto ai pescatori. Dei valori

effettivi per costoro non sono disponibili, a causa anche della gran mobilità che

caratterizzava in quegli anni il settore. Dall‟ampiezza media delle manifatture del

tempo si può comunque ipotizzare un numero medio di dieci lavoratori per ogni

pescatore. Possiamo quindi ricavare dei dati non precisi, ma attendibili sulla

popolazione di Hull la cui sussistenza dipendeva dalla pesca. Nel 1921 questa

rappresentava una percentuale del 37,7%, 43,3% nel 1931, 42% nel 1951, 32,6% nel

1961 e 21,7% nel 1971. Le alte percentuali fra il ‟31 ed il ‟51 coincidono con gli anni

di boom, dovuti anche al fatto che in questi periodi si ebbero i rinnovamenti delle

flotte e sempre più personale era necessario, poi dagli anni ‟60 si ha un calo notevole

principalmente dovuto alla diminuzione del numero di trawlers. Come abbiamo visto

la capacità di questi in realtà aumentata grazie alle innovazioni tecnologiche, ma il

progressivo esaurimento degli stock comportò un forte calo nel pescato e di

conseguenza anche una riduzione del personale impiegato nelle manifatture.

Comunque un‟industria che supporta il 43% della popolazione nei giorni migliori ed

il 22% circa in quelli di declino ha sicuramente un ruolo importante nell‟economia

locale.

Come abbiamo già sottolineato, i trawlers di Hull non pescavano solamente nelle

zone costiere islandesi, ma queste erano sicuramente quelle principali, tant‟è che, con

la loro chiusura dopo l‟ultima estensione nel 1975-76, l‟economia della cittadina

entrò in una profonda crisi. Alcune delle compagnie cercarono di direzionarsi verso

altre zone, ma altre semplicemente chiusero provocando un forte aumento della

disoccupazione. L‟economia inglese nel suo complesso era ovviamente in grado di

supportare la crisi garantendo nuovi posti di lavoro in altri settori, ma per la

popolazione di Hull e degli altri porti questo significava emigrare, essendo la pesca il

loro principale sostentamento e la loro principale industria.

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83

Cap.4 Lo sviluppo delle leggi che regolano i limiti territoriali

La natura delle leggi che regolano lo sfruttamento dei mari è di fondamentale importanza per capire

a fondo quelli che furono gli eventi delle cod wars. Alla base d‟ogni estensione islandese stava il

presupposto che questa non fosse contraria a nessuna legge internazionale, ma anche la reazione

britannica era giustificata dall‟idea di avere un completo supporto legale. Com‟era possibile che due

azioni distinte e soprattutto contrarie avessero entrambe una giustificazione legale? La risposta è

complessa e richiede una piccola esplicazione di quella che è la natura della legge internazionale.

Tradizionalmente come legge internazionale si definisce quell‟insieme di principi e regole di

conduzione che degli stati indipendenti scelgono di osservare nelle relazioni fra di essi. Le leggi

internazionali si suddividono poi in Universali, Generali e Particolari. Le prime sono vincolanti per

tutti gli stati, le seconde per la maggior parte di essi e le terze sono valide solo per due o pochi di

essi.

Alla base del concetto di stato e del suo riconoscimento a livello internazionale sta il concetto di

Sovranità Territoriale, che è il potere dello stato di esercitare la suprema autorità su tutte le persone

e le cose presenti nel suo territorio. Se uno stato decide di seguire le direttive di un organismo

superiore, allora esso decide anche di limitare in parte la propria sovranità. Alla base di questa

decisione sta dunque il consenso.

Teoricamente uno stato che non acconsente a sottostare ad una particolare legge internazionale, non

può essere obbligato a seguirla. Nella pratica attuazione delle leggi internazionali esiste però il

cosiddetto jus cogens, che è una legge perentoria che

si considera valida per la comunità di stati nel suo complesso50

. Uno stato non può ne rifiutarsi di

riconoscerla, ne firmare trattati contrari ad essa. Questo perché il generale diritto di libertà degli

individui, ed anche dello stato, deve essere bilanciato dal dovere di non restringere quella degli altri.

L‟obiettivo della legge è di creare un giusto equilibrio fra diritto di libertà individuale e dovere di

rispetto di quella altrui.

In passato, numerose delle azioni internazionali degli stati potenti sono state basate su concetti

giuridici differenti, quali il diritto di conquista, il diritto di sfruttamento ed il colonialismo. Gli

effetti di queste azioni sono stati poi rettificati con dei trattati firmati senza il consenso delle

popolazioni locali e generalmente imposti con le armi. Successivamente questi vennero considerati

50

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

10-30

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84

una ragione legale per l‟esistenza degli imperi coloniali. Nel secondo dopoguerra, più volte è stata

discussa la validità di vecchie leggi internazionali stabilite per consuetudine o con trattati firmati

dalle sole potenze coloniali Europee. Numerosi stati Africani ed Asiatici che hanno conquistato la

loro indipendenza negli ultimi cinquant‟anni hanno posto delle riserve nell‟accettare le vecchie

norme consuetudinarie, e lo stesso fecero l‟Unione Sovietica e i paesi dell‟Est Europa. Tutte queste

nazioni di conseguenza esitavano a sottostare alle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia

per quelle questioni che erano considerate di vitale interesse, in quanto numerose leggi su cui

quest‟organismo si poteva basare erano ancora quelle vecchie consuetudinarie e poiché i maggiori

rappresentati di esso appartenevano a paesi “coloniali” o erano stati educati al loro approccio alla

legge internazionale.

Di conseguenza una legge consuetudinaria non può venire considerata né universale, né generale,

ma solo particolare ed è valida solo per quegli stati che hanno espresso un loro accordo con essa,

per mezzo di trattati, dichiarazioni, rettificazioni o semplicemente pratica quotidiana. Una tale legge

non può essere considerata vincolante per nessuno degli altri stati, così come una loro azione contro

di essa non può essere considerata una violazione dello jus cogens.

La Seconda Guerra Mondiale ha giocato anche nel campo delle leggi il ruolo di sparti-acque fra il

vecchio mondo ed un nuovo ordine mondiale. La nascita dell‟ONU ha avuto come scopo principale

quello di creare un organismo internazionale che si facesse garante dei diritti di tutti gli stati, ed al

loro interno di tutti i cittadini. Il concetto che, almeno in teoria, sta alla base di quest‟organizzazione

è quindi quello dell‟eguaglianza di tutti gli individui e di tutti gli stati. Per quanto concerne il campo

della legislazione internazionale l‟ONU si esprime attraverso le dichiarazioni e le risoluzioni

dell‟Assemblea Generale e della Commissione per la Legge Internazionale. Queste sono state

istituite rispettivamente nel 1946 e nel 1949. Nel rispetto della sovranità di ciascuno stato queste

dichiarazioni e risoluzioni non hanno un valore legale effettivo, ma sono intese come delle

raccomandazioni. Queste possono però trasformarsi in leggi dopo un complesso iter burocratico, su

cui non è il caso di soffermarsi.

Una legge internazionale contemporanea è quindi un corpo di principi e regole accettate da stati

sovrani principalmente partecipando al processo della loro formulazione alle Nazioni Unite,

firmando e rettificando trattati che vengono considerati la base delle loro relazioni future,

acconsentendo a aderire ai principi della pratica reciproca. Acconsentendo all‟uso ed alla

rettificazione di trattati, gli stati concordano per un‟eguale e reciproca limitazione di sovranità

nell‟interesse di pacifiche e legali relazioni. Senza questo consenso la legge non può essere

considerata né universale, né generale, ma è un trattato multilaterale vincolante solo per quegli stati

che lo hanno approvato.

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4.1 L‟evoluzione dei limiti territoriali prima del 1945

Fin dai tempi dell‟antichità, la problematica dell‟ampiezza dei limiti territoriali è stata caratterizzata

dal conflitto fra due opposte visioni: Mare Liberum e Mare clausum51

. La prima vedeva il mare

come un bene comune ed aperto a tutti ed avvocatava la massima libertà di sfruttamento e d‟accesso

delle sue risorse, prevedendo dei limitati limiti territoriali; la seconda sosteneva e praticava la

massima giurisdizione nazionale sul mare.

Un esempio classico di mare liberum è quello dell‟Antica Roma, dove non esisteva il concetto di

limiti territoriali ed il mare era considerato proprietà comune ed, al contrario della terra ferma, non

soggetto a nessuna giurisdizione statale.

Il concetto di mare clausum cominciò a svilupparsi nel Medioevo, insieme alla crescita del

commercio marittimo ed alla competizione fra i vari Regni e Comuni. Nel XIII secolo, diversi

Monarchi proclamarono il possesso dei mari adiacenti alle coste delle loro terre ed era comune

utilizzare, come sistema di spartizione, la semplice divisione a metà delle acque poste fra due

diversi regni. Nel secolo successivo si sviluppò una più precisa corrente di pensiero tesa a valutare i

limiti compresi fra le 60 e le 100 miglia. Nel XV secolo diverse potenze coloniali dichiararono la

propria sovranità su acque territoriali comprese in limiti molti vasti, tanto da dover richiedere

l‟intervento del Papa, che nel 1493 emanò una Bolla per la regolazione dei mari adiacenti alle

nuove colonie d‟oltremare. I regni Iberici erano i maggiori promotori dell‟idea di mare chiuso,

avvocatando una divisione fra di essi di tutto l‟oceano che li separava dalle colonie del nuovo

mondo. Gli Olandesi erano invece i più attivi nel sostenere il principio di mare libero, affiancati da

Inglesi e Francesi. Tutti costoro adottarono, nel corso del „500 e „600, un sistema di delimitazione

dei limiti territoriali basato sulla linea di visuale dell‟orizzonte (14 miglia per i primi, 21 miglia per

gli altri). A partire dall‟inizio del 1700 il sistema di misurazione per i limiti territoriali venne inteso

come corrispondente alla portata di un tiro di cannone, che all‟epoca era di circa tre miglia. Questa

misura venne gradualmente accettata dalle principali potenze mondiali ed ottenne un suo

consolidamento fra la fine dell‟800 e l‟inizio del „900, grazie soprattutto all‟influenza esercitata

dalla potenza coloniale britannica. Le 3 miglia venivano misurate a partire dal punto di bassa marea;

per le baie la cui profondità non superava le 10 miglia, esse venivano misurate a partire da una linea

tracciata fra i due punti della costa dai quali la baia si dipartiva. Questa legge venne sancita

mediante diversi trattati bilaterali, come quelli sanciti dalla Gran Bretagna con Stati Uniti (1818) e

Francia (1839), e due importanti conferenze internazionali: la Conferenza per la Regolazione della

51

Ibid. pp. 31-52

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Politica della Pesca nel Mare del Nord al di fuori delle Acque Territoriali tenuta a Le Hague nel

1882, e la Convenzione del Canale di Suez del 1888, presiedute da Inghilterra, Germania, Francia,

Danimarca, Olanda e Belgio. Nonostante ciò questa non divenne mai una legge universale, ma fu

solamente una tendenza nelle legge internazionale. Nello stesso periodo, infatti, diversi stati

utilizzavano diversi metodi di misurazione dei limiti territoriali. La regola Scandinava delle 4 miglia

non fu mai abbandonata da Svezia e Norvegia, la Spagna sosteneva un limite di 6 miglia valido per

le sue coste e per quelle cubane; lo stesso valeva per il Portogallo. Nel 1848 il Messico adottò un

limite di 9 miglia, poi riconosciuto dagli Stati Uniti, ed alla Conferenza di Montevideo del 1889

diversi stati Sud Americani adottarono un limite di 5 miglia.

Durante il periodo del commonwealth in Islanda non esisteva un vero e proprio concetto di limite

territoriale, principalmente a causa dell‟isolamento dell‟isola. I primi pescatori stranieri arrivarono

infatti solo nel 1400. Attraverso lo studio degli antichi codici legali Grágás e Jónsbók si può però

desumere che le acque adiacenti alla costa venivano suddivise in tre zone: una certa zona al di fuori

della costa era considerata proprietà della fattoria che sorgeva più vicino alla costa, qui solo i suoi

membri avevano diritto di pesca; nella seconda zona questi avevano il diritto di possesso su tutti i

beni galleggianti; nell‟ultima zona il diritto di pesca e possesso era esercitato egualmente da tutti i

membri della comunità. Per comprendere al meglio i diritti esercitati sulla seconda zona, è bene

ricordare che in Islanda c‟era una quasi totale assenza di foreste ed il legname utilizzato nelle

costruzione dei diversi utensili era per lo più un dono delle correnti oceaniche. Nel 1262 l‟Islanda

divenne una colonia norvegese. Di conseguenza le regole per la delimitazione delle acque

territoriali furono quelle delle Corone Norvegese e, successivamente al 1378 quando i due regni

furono uniti, Danese. Queste consideravano come loro possedimento tutti i mari compresi fra i loro

territori e le loro colonie (Isole Faroe, Islanda e Groenlandia), inglobando cioè tutto l‟Atlantico

Settentrionale. Questa situazione cambiò nel 1631, quando la Corona Danese proclamò limiti

territoriali pari a 6 leghe, o miglia danesi. Queste erano pari a 8 miglia marine, perciò il limite era di

48 miglia. Alcune concessioni vennero fatte ai pescatori britannici che ebbero il diritto di pescare al

di fuori di un limite di 32 miglia, ridotto successivamente a 24 miglia ed infine a 16 miglia. Con la

partecipazione danese alla conferenza di Le Hague fu chiara la tendenza verso l‟istituzione di un

limite di 3 miglia, cosa sancita nel 1901 da un trattato con la Gran Bretagna. Questo aveva validità

per l‟Islanda e le Isole Faroe e venne firmato senza ascoltare il parere delle popolazioni locali. La

validità era di 50 anni e poteva essere unilateralmente revocato con un preavviso di due anni.

Gli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale videro la nascita di una differenziazione legale fra

quelle che erano le acque territoriali vere e proprie, quelli che erano i limiti di neutralità e quelli che

erano i limiti di sfruttamento delle risorse. Francia ed Italia dichiararono i loro limiti di neutralità

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pari a 6 miglia, l‟Impero Russo uno di 12 miglia. La nuova tendenza fu chiara alla conferenza

internazionale tenutasi a Le Hague nel 1930, dove non fu possibile raggiungere un accordo

definitivo a causa delle eccessive divisioni fra le diverse correnti di pensiero.

Su 48 paesi partecipanti 36 esposero le loro preferenze: diciannove di questi si dichiararono

favorevoli alle 3 miglia, ma nove richiedendo una zona di sfruttamento economica contigua; quattro

stati supportarono un limite di quattro miglia, di cui uno chiedendo una zona contigua; dodici stati

chiesero sei miglia, la metà con l‟aggiunta di una zona contigua e due si astennero, ma l‟Ungheria

era senza sbocchi sul mare e l‟URSS aveva già adottato un limite di dodici miglia.

La partecipazione del rappresentante islandese Sveinn Björnsson alla conferenza era basata

sull‟intento di sottolineare i problemi di sovra-pescaggio intorno alle coste islandesi, specialmente

in quella importante zona di riproduzione e crescita che era la Faxa Bay. Questa era una delle zone

tradizionalmente più sfruttate dai pescatori, locali e stranieri, ed era dimostrato come le sue riserve

naturali fossero in forte calo. L‟opposizione dei rappresentanti degli stati interessati alla pesca in

questa zona alla richiesta di Björnsson impedì il raggiungimento di una decisione sull‟imposizione

di misure protettive. La questione fu allora riproposta al Concilio Internazionale per lo Sfruttamento

dei Mari nel 1937, grazie alla rappresentanza danese. Secondo le direttive del trattato del 1918

l‟Islanda era infatti ancora sottoposta alle decisioni danesi in materia di relazioni internazionali. I

lavori del concilio vennero interrotti a causa della guerra, ma nel 1947 questo raccomandò,

com‟esperimento di conservazione, la chiusura della Faxa Bay per un periodo di dieci anni, con

l‟aggiunta d‟un ulteriore quinquennio nel quale accordi internazionali dovevano essere presi a

seguito dei risultati dell‟esperimento. Sulla scia di questa raccomandazione il governo Islandese

invitò diversi stati a partecipare ad una conferenza nella quale si discutesse la proposta, ma i

governi dei paesi maggiormente interessati alla pesca in questa zona declinarono l‟invito. Senza la

loro partecipazione, la conferenza perdeva qualsiasi significato pratico e non venne mai tenuta.

4.2 L‟evoluzione delle leggi internazionali:1945-1976

Il 28 Settembre 1945 è una data fondamentale nella storia dell‟evoluzione delle leggi internazionali

che regolano lo sfruttamento dei mari. In quel giorno, il Presidente Truman emanò due proclami che

riguardavano la giurisdizione ed i diritti degli Stati Uniti sulle acque al largo delle loro coste. La

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prima asseriva il diritto di giurisdizione e di controllo delle risorse naturali presenti sulla

piattaforma continentale contigua al loro territorio; la seconda riguardava la pesca52

.

Le origini dei proclami risalivano a problematiche vive fin dagli anni ‟30. In quegli anni, infatti, lo

sviluppo delle tecniche d‟estrazione del petrolio aveva raggiunto livelli tali da permettere

l‟esplorazione di giacimenti sottomarini sempre più distanti dalla costa. Questa situazione poneva

dei problemi legali per quanto concerneva il possesso delle risorse marine e i limiti di giurisdizione

degli USA nei confronti degli altri stati. L‟Amministrazione Roosevelt cominciò a studiare quindi

una nuova legislazione che assicurasse la proprietà dei beni minerali posti nella zona della

piattaforma continentale contigua alla nazione, ma una definitiva risoluzione del problema fu

posticipata a causa della guerra.

Il secondo proclama riguardava i diritti d‟esercizio della pesca ed aveva le sue radici in una disputa

col Giappone riguardante la pesca al salmone nelle acque internazionali poste al di fuori

dell‟Alaska. In esso si dichiarava che, per la necessità di conservazione e protezione delle risorse

della pesca, il governo degli Stati Uniti aveva il diritto di stabilire zone di conservazione in quelle

acque profonde dove la pesca era, od in futuro sarebbe stata, praticata su larga scala. Là dove queste

attività concernevano solo pescatori statunitensi gli Stati Uniti consideravano un loro diritto imporre

zone di conservazione poste sotto la loro sola giurisdizione; in quelle zone dove invece la pesca era

tradizionalmente praticata anche da pescatori stranieri la definizione delle aree doveva avvenire per

mezzo d‟accordi con i paesi da cui essi provenivano. Questo proclama non prevedeva un‟unilaterale

estensione dei limiti territoriali, se non forse per le zone tradizionalmente sfruttate da soli pescatori

Statunitensi, ma creava un diritto legale d‟estensione giustificato da misure conservative.

Negli anni successivi diversi stati Sud Americani reclamarono la giurisdizione sulla piattaforma

continentale posta al di fuori dei loro territori. Cile, Perù e Costa Rica dichiararono limiti di pesca e

di sovranità nazionale fino ad una distanza dalla costa pari a 200 miglia marine.

La reazione dei paesi firmatari della convenzione di Le Hague del 1882 fu invece negativa. I

Britannici erano particolarmente contrari alla nuova legislazione, poiché prevedevano, non a torto,

che essa avrebbe comportato una richiesta di giurisdizione simile da parte di numerosi paesi costieri

e la chiusura di numerose aree di pesca da loro tradizionalmente sfruttate.

Il governo Islandese reagì emanando nel 1948 la legge per la Scientifica Conservazione della Pesca

nella Zona della Piattaforma Continentale53

. Questa ricalcava la dichiarazione Truman sulla pesca e

vi si sottolineava il diritto, del Ministro della Pesca Islandese, di instaurare zone conservative

all‟interno del limite della piattaforma continentale, dove la pesca sarebbe stata sottoposta alla

52

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 142-145 53

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

52-54

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giurisdizione ed al controllo islandese. Le nuove norme non dovevano diminuire le misure

protettive già instaurate e dovevano essere prese ascoltando il parere dell‟Associazione Nazionale

della Pesca e dei Laboratori di Ricerca Industriale dell‟Università d‟Islanda. La finalità di questa

legge era quella di creare una base legale per future estensioni non contraria all‟attuale legislazione

internazionale. Essa era inoltre una reazione agli inutili tentativi di indire una conferenza

internazionale in cui si discutessero i problemi di sovra-pescaggio nelle più importanti zone di

riproduzione e crescita del pesce intorno alle coste islandesi, come la Faxa Bay.

Nel Dicembre del 1949 i rappresentanti del governo Islandese alle Nazioni Unite presentarono

all‟Assemblea Generale una richiesta di definizione legale dei diritti degli stati costieri sulle risorse

del mare aperto54

. Si chiedeva che uno studio delle problematiche legali sulla regolazione delle

acque rientrasse nei compiti della neonata Commissione per la Legge Internazionale. Tale richiesta

incontrò la ferma opposizione di diversi stati Europei, con alla guida la delegazione britannica, che

sostenevano che lo studio non era necessario, giacché la regola delle tre miglia era già una più che

consolidata regola internazionale. La maggioranza dell‟Assemblea non fu però di quest‟avviso ed

adottò la proposta islandese. La necessità di uno studio approfondito di quello che era il regime

delle acque territoriali implicava senza ombra di dubbio che le tre miglia non potevano essere

considerate una legge internazionale.

Nel 1951 si ebbe un‟ulteriore riprova della debolezza del consenso internazionale verso il limite di

tre miglia. Nel Dicembre di quest‟anno infatti la Corte di Giustizia Internazionale pose fine

all‟annosa questione dei limiti territoriali norvegesi. Come abbiamo visto in precedenza, lo stato

Norvegese reclamava tradizionalmente un limite di 4 miglia. La sua sovranità si estendeva inoltre

alle baie con una profondità non superiore alle 10 miglia e questa situazione godeva del

riconoscimento internazionale. Negli anni ‟30, però, lo sfruttamento intensivo provocò una generale

decrescita degli stock al largo delle coste norvegesi. Il governo istituì allora un nuovo metodo di

misurazione dei limiti territoriali che prevedeva l‟utilizzazione di numerosi punti fissi. La misura

sarebbe stata effettuata a partire dalle linee di congiunzione di questi punti che erano posti sul limite

estremo della costa, implicando così la chiusura di tutte le baie ed una notevole estensione delle

acque territoriali, pur mantenendo il limite di quattro miglia. Il governo Britannico reagì

aspramente, non riconoscendo la validità del nuovo sistema di misurazione. I due governi decisero

allora di affidarsi al giudizio della Corte Internazionale, che a causa della guerra fu però rinviato.

Nel ‟51 la Corte proclamò che il metodo di misurazione non era contrario a nessuna legge e la

validità dell‟estensione norvegese. Questa decisione diventò un importante precedente legale ed il

limite di tre miglia da quel momento poté essere considerato solamente come una misura minima.

54

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 145-150

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90

Il resoconto dello studio della Commissione per la Legge Internazionale fu pronto nel 1956 e vi era

sottolineata l‟assenza di una pratica comune nella delimitazione delle acque territoriali. Nessuna

norma veniva raccomandata ma si dichiarava che queste non potevano superare le 12 miglia. La

Commissione riportava anche all‟attenzione dell‟Assemblea Generale una dichiarazione FAO in cui

si reclamavano esclusivi diritti di pesca sulla base di speciali circostanze economiche55

. In questa si

richiedevano speciali diritti giurisdizionali su di un‟area ragionevolmente distante dalla costa per

tutti quei paesi costieri il cui sviluppo e sopravvivenza della popolazione erano strettamente legati

alla pesca ed alla conservazione delle risorse vive del mare. Anche in questo caso non veniva

riportata nessun‟indicazione legale ma sì sottolineava l‟importanza del problema e la necessità

d‟ulteriori studi scientifici.

L‟Assemblea Generale dell‟ONU decise di convocare una speciale conferenza sulla legislazione del

mare da tenersi a Ginevra due anni successivi56

.

Alla conferenza, denominata UNCLOS I, parteciparono i rappresentanti di 86 paesi divisi in cinque

commissioni, il primo dei quali riguardava la legislazione sui limiti territoriali e le acque a loro

adiacenti. Le proposte delle varie rappresentanze variavano fra limiti di 3 miglia, posizione

fermamente tenuta dal governo Britannico, e limiti di 12 miglia (Colombia), con numerose varianti

che prevedevano limiti di 3 o 6 miglia con l‟aggiunta di una zona contigua sulla quale lo stato

costiero esercitava speciali diritti di sfruttamento e conservazione. Fin dai primi mesi apparve

chiaro che gli stati che sostenevano il limite di tre miglia stavano conducendo una battaglia persa; il

tema centrale della discussione si spostò allora sul riconoscimento di diritti storici. La proposta

finale, portata alla votazione da Stati Uniti e Gran Bretagna, prevedeva un limite delle acque

territoriali di 6 miglia marine, con una zona contigua d‟ulteriori 6 miglia. In quest‟ultima particolari

diritti storici sarebbero stati concessi a quei pescatori stranieri che vi avevano pescato nei precedenti

cinque anni. La proposta ottenne la maggioranza dei voti, ma non i necessari due terzi che la

invalidassero come legge internazionale. Nella sua relazione finale la commissione sottolineava

come non fosse stato possibile trovare un accordo definitivo e la necessità di convocare un‟ulteriore

conferenza. Sulla base delle indicazioni date dalle opinioni dei diversi rappresentanti, veniva inoltre

sottolineato che il limite delle acque territoriali non poteva essere esteso oltre le 12 miglia. Ciò

significava che un limite tale non poteva essere considerato contrario alla legge internazionale. La

commissione approvò inoltre definitivamente l‟uso del “metodo norvegese” per la misurazione dei

limiti territoriali. Altre commissioni legiferarono sulla gestione dei mari aperti e delle piattaforme

continentali, nonché sulla conservazione e protezione delle risorse vive dei mari aperti. Nella

commissione che si occupava di quest‟ultimo problema, la rappresentanza islandese richiamò la

55

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 181 56

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 150-153

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necessità di legiferare una norma che garantisse esclusivi diritti di pesca sulla base di speciali

condizioni economiche, basandosi sul rapporto FAO del 195657

. Si chiedeva che gli stati costieri

particolarmente legati all‟industria del pesce avessero il diritto di imporre speciali norme

conservative qual‟ora vi fossero evidenti rischi di sopravvivenza per gli stock. Si chiedeva, inoltre,

che solo lo stato costiero potesse mantenere diritti di pesca in tali aree. L‟essenza di tale richiesta

era che, in caso di forte impoverimento degli stock, il diritto di pesca al di fuori dei limiti territoriali

spettasse al solo stato costiero. La proposta non fu accettata per l‟opposizione di quegli stati

Europei, specialmente Gran Bretagna, che tradizionalmente sfruttavano le acque al largo delle coste

islandesi. Grazie all‟intervento del rappresentante del Sud Africa la proposta venne allora

“mitigata” ed accettata. In questa si diceva che, date le condizioni sopra descritte, gli altri paesi

dovevano collaborare con lo stato costiero nella creazione di giuste misure conservative e dovevano

riconoscergli determinati privilegi nello sfruttamento di queste aree. In caso di disaccordo si

sarebbero dovute creare appropriate strutture di giudizio.

L‟UNCLOS II si riunì a Ginevra nel Marzo del 1960 col dichiarato intento di trovare un definitivo

accordo sull‟ampiezza delle acque territoriali. Negli anni precedenti il supporto per un limite di 12

miglia era cresciuto notevolmente specialmente fra i paesi del Terzo Mondo, ed era sfociato in

unilaterali estensioni effettuate da Islanda, Iran, Iraq, Libia e Panama58

.

Inizialmente la conferenza fu un chiaro scontro fra i sostenitori della formula “sei più sei” e quelli

per un‟ampiezza maggiore. Una proposta di compromesso che ricalcava quella della prima

conferenza fu presentata da Stati Uniti e Canada. Questa prevedeva un limite d‟acque territoriali di

6 miglia, diritti di sfruttamento per i paesi costieri su di una zona contigua d‟altre 6 miglia, diritti

storici per dieci anni per i pescatori stranieri che vi avevano pescato nei cinque precedenti e la

facoltà di uno stato costiero di reclamare la giurisdizione di tutte quelle aree adiacenti il cui

sfruttamento si dimostrava di vitale importanza per il suo sviluppo ed il sostentamento della sua

popolazione. La proposta ottenne 54 voti favorevoli, 28 contrari e 5 astenuti, il che significa che per

un solo voto essa non raccolse i necessari due terzi che la rendessero valida come legge

internazionale. Ancora una volta quindi non si era riusciti a stabilire una legge definitiva per

l‟ampiezza dei limiti delle acque territoriali.

La più diretta conseguenza della conferenza fu l‟estensione fino al limite di 12 miglia effettuata

dalla Norvegia (1961) e dal governo Danese (1963) per le acque contigue alle coste delle Isole

Faroe e della Groenlandia.

57

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp. 81-

83 58

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 153-161

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Nel 1963 si riunì a Londra una conferenza della pesca internazionale. In questa la Convenzione di

Le Hague del 1882 venne resa nulla e sostituita con la Convezione per la Pesca nell‟Atlantico Nord-

Orientale che prevedeva un limite di sei più sei con diritti storici. Islanda e Norvegia si rifiutarono

di firmare l‟accordo in quanto fermamente contrarie alla concessione di diritti storici.

Nel Marzo del 1964 i governi d‟Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania Federale, Irlanda,

Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e del Regno Unito stipularono un trattato

alla Conferenza della Pesca Europea in cui stabilivano che il loro limite di pesca sarebbe stato di 12

miglia, garantendo diritti reciproci nella zona compresa fra le 6 e le 12 miglia per un periodo di

dieci anni.

Negli anni ‟60 del secolo scorso lo sviluppo delle tecniche di pesca e di sfruttamento del sottosuolo

marino permisero di ottenere sempre maggiori risultati nello sfruttamento delle risorse. Le nuove

tecnologie per la pesca coincisero anche con l‟aumento del problema della conservazione delle

risorse e con la necessità di imporre delle misura protettive per evitare il loro esaurimento. Le nuove

tecniche di sfruttamento del sottosuolo resero invece obsoleto il concetto di giurisdizione sulla

piattaforma continentale fino ad un limite di 200 metri di profondità.

Nel 1967 la delegazione Maltese all‟ONU propose una risoluzione per un uso pacifico delle risorse

del fondale marino al di fuori dei limiti territoriali ed una commissione speciale di 42 membri venne

incaricata di studiare una possibile risoluzione del problema. Questa presentò una proposta che

prevedeva la convocazione di una conferenza internazionale con lo scopo di raggiungere accordi di

collaborazione internazionale per lo sfruttamento delle risorse dei fondali, l‟ampiezza delle acque

territoriali, mantenimento e protezione dell‟ambiente e delle risorse e sviluppo di ricerche

scientifiche.

Nello stesso periodo divenne chiaro che numerosi paesi del Terzo Mondo non si sarebbero

accontentati di un limite di pesca di 12 miglia marine. Già nel 1952 la Dichiarazione di Santiago

sulle Zone Marittime firmata da Cile, Equador e Perù reclamava una giurisdizione fino al limite di

200 miglia. Nel 1970 diversi stati Sud Americani firmarono le due Dichiarazioni di Montevideo e di

Lima sulla Legge del Mare chiedendo limiti territoriali maggiori di 12 miglia; lo stesso fecero 53

nazioni non allineate nella Dichiarazione di Lusaka. Due anni dopo undici stati Sud Americani

richiedevano con la Dichiarazione di Santo Domingo un limite di 200 miglia marine. Agli incontri

del Comité Consultivo Afro-Asiatico per la Legge del Mare, tenuti nel 1971-72 a Colombo, Lagos,

Nuova Delhi e Tokyo, la maggioranza dei rappresentanti dei diversi paesi si pronunciò per una zona

di sfruttamento pari a 200 miglia. Nel 1973 l‟Organization of African Unity si pronunciò per un

limite territoriale di 12 miglia ed una zona di sfruttamento fino alle 200 miglia.

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93

Seguendo le indicazioni della commissione per lo studio dei fondali marini, la terza UNCLOS si

riunì a New York nel Dicembre del ‟73, per poi spostarsi prima a Caracas (1974) e poi a Ginevra

(1975). Nell‟incontro del ‟73 un‟importante risoluzione venne votata ed approvata59

. In questa si

sottolineava il diritto di uno stato costiero di determinare la quantità massima di pescato da ottenere

all‟interno della sua esclusiva zona economica e di imporre limitazioni e misure conservative per

evitare l‟eccessivo sfruttamento delle risorse vive, purché supportate da evidenza scientifica. Tali

misure erano permesse per raggiungere il maximum sustainable yeld della popolazione di pesce,

tenendo conto dei fabbisogni economici delle comunità costiere. Veniva sottolineato inoltre che lo

stato costiero che era in grado di sfruttare al massimo le risorse secondo i termini precedenti era il

solo ad avere il diritto di pesca all‟interno della zona economica, ma se le sue capacità non erano

tali esso doveva garantire diritti di sfruttamento a pescatori stranieri, purché questi seguissero le

misure conservative imposte dallo stato stesso. Gli stati convenzionati venivano anche invitati alla

cooperazione per lo sfruttamento dei mari aperti. All‟incontro di Caracas più di cento stati

manifestarono il loro supporto per la concessione di diritti di sfruttamento ai paesi costieri fino al

limite delle 200 miglia, ed il loro numero incrementò nell‟incontro elvetico, ma anche stavolta la

decisione finale venne rinviata all‟incontro successivo.

Questo si tenne nel 1982 e le conclusioni raggiunte con l‟accordo dei 150 stati partecipanti furono

che la sovranità di uno stato sulle acque territoriali, sui fondali marini sottostanti e lo spazio aereo

sovrastante era fissata in un limite di 12 miglia calcolate dalla linea di bassa marea; in una zona

contigua d‟ulteriori 12 miglia lo stato costiero aveva il diritto di controllo, prevenzione e punizione

delle infrazioni alle proprie norme doganali, fiscali, sanitarie e sull‟immigrazione; il limite della

zona economica esclusivamente riservata allo sfruttamento dello stesso stato era fissato in 200

miglia; il limite della piattaforma continentale era anch‟esso fissato in 200 miglia con l‟aggiunta di

una possibile zona contigua qual‟ora speciali condizioni lo permettessero, l‟intera area non doveva

comunque superare le 350 miglia totali. Con questa conferenza si raggiunse quindi una definizione

legale di ciò che erano i limiti territoriali e di sfruttamento economico, a conclusione di uno

sviluppo legale che aveva interessato quattro decenni. In realtà questa situazione era stata di fatto

riconosciuta già nel 1976, con il riconoscimento dell‟ultima espansione islandese. Questa fu seguita

dall‟estensione dei limiti britannici fino al limite di 200 miglia e dalla decisione dei paesi CEE di

adottarne uno simile.

59

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

1-2 e 48

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95

Cap.5 Le quattro estensioni Islandesi dei limiti di pesca

5.1 L‟estensione a 4 miglia

La legge per la conservazione e protezione delle risorse marine all‟interno della zona della

piattaforma continentale del 1948 era il legale presupposto per una successiva estensione dei limiti

delle acque territoriali. La condotta del governo Islandese in questo campo fu caratterizzata negli

anni successivi da una certa prudenza, conseguenza del fatto che fino a quando il cinquantennale

trattato fra Gran Bretagna e Danimarca del 1901 era in vigore nessuna concreta azione poteva

essere intrapresa.

Il primo passo verso l‟estensione dei limiti fu fatto nell‟Ottobre del 1949 quando il governo

Islandese notificò, con i necessari due anni d‟anticipo, l‟intenzione di revocare il trattato al governo

Britannico60

. Nello stesso anno la decisione dell‟Assemblea Generale dell‟ONU di incaricare la

Commissione per la legge Internazionale di occuparsi dello studio per la legislazione del mare

sottolineò come il limite di tre miglia non potesse essere considerato una legge internazionale.

Basandosi sulla legge del ‟48, l‟anno successivo il governo Islandese emanò la Normativa per la

Conservazione dei Banchi di Pesce della Costa Settentrionale, che prevedeva l‟estensione dei limiti

territoriali fino alle 4 miglia, misurazione da effettuare seguendo il metodo norvegese. Questa era

intesa come una misura protettiva, diretta conseguenza del forte declino dei banchi d‟aringhe

dovuto all‟eccessivo sfruttamento dell‟area. La pesca delle aringhe era praticata, oltre che da

pescatori locali, anche da Norvegesi, Svedesi, Finlandesi e Sovietici. Inoltre, pescherecci britannici

transitavano nella zona per la pesca all‟eglefino ed alla platessa. Il decreto proclamava la chiusura

della zona valida per tutti i pescatori ad eccezione di quelli britannici. Questo in virtù del fatto che il

vecchio trattato del 1901 non era ancora stato abrogato.

A prima vista questa sembrerebbe un‟espansione molto limitata, ma alla base di questo c‟erano

precise motivazioni politiche. I paesi scandinavi godevano tradizionalmente di un limite di 4 miglia

e l‟Unione Sovietica ne reclamava uno di 12 miglia, era quindi impensabile che essi non

riconoscessero il nuovo limite. Inoltre vietando la pesca anche ai pescatori islandesi il governo

60

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 166-170

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96

voleva puntualizzare le intenzioni protettive verso gli stock in declino, ragione che era alla base

della già progettata estensione valida per tutto il territorio nazionale.

Nell‟Ottobre del ‟51 il vecchio trattato arrivava finalmente al suo termine, ma ancora il governo

Islandese decise di agire con prudenza e rinviare la progettata estensione intorno a tutta la nazione.

Questo in virtù del fatto che si voleva aspettare il giudizio della Corte Internazionale di Giustizia al

riguardo del conflitto Anglo-Norvegese e che il governo Britannico aveva chiesto di entrare in

negoziati con la controparte Islandese prima che ulteriori manovre fossero messe in atto. La

conclusione del conflitto Anglo-Norvegese diede, come abbiamo visto, un precedente legale

favorevole all‟estensione Islandese, diminuendo notevolmente le speranze britanniche di bloccare il

provvedimento. All‟incontro fra i rappresentanti dei due paesi, la rappresentanza islandese si

trovava quindi in una situazione favorevole. Essa comunicò semplicemente l‟intenzione di

procedere con l‟estensione fino ad un limite almeno pari a quello norvegese rifiutandosi di avviare

negoziati che dessero dei privilegi ai pescatori britannici.

Il 19 Maggio 1952, il Ministro della Pesca emanò la Normativa per la Conservazione delle Zone di

Pesca intorno all‟Islanda che prevedeva un‟estensione delle acque territoriali fino al limite di 4

miglia, misurate con il metodo norvegese, a partire dal 15 Maggio61

. All‟interno di questa zona era

completamente vietata la pesca con le reti a strascico. L‟attività della pesca in questa area era

permessa solo ai pescatori islandesi che operavano a bordo di barche a motore e che utilizzavano

metodi differenti.

Questa era una chiara misura per proteggere i vivai e le aree di riproduzione, che si trovavano

all‟interno delle principali baie e fiordi. Negli anni precedenti (1949-52) si era infatti registrato un

forte calo degli stock, specialmente di eglefino (-32,5%) e platessa (-47,3%).

Nei giorni successivi proteste ufficiali furono inviate dai governi di Gran Bretagna, Francia, Belgio

ed Olanda. Le proteste erano basate sull‟idea che l‟Islanda non aveva il diritto di procedere ad

un‟unilaterale estensione e veniva messa in dubbio la scelta d‟alcuni punti che dovevano formare le

linee guida da cui effettuare la misurazione. Le proteste del governo Britannico erano le più

elaborate. In esse si contestava il fatto che il governo Islandese avesse agito unilateralmente senza

considerare il diritto storico dei pescatori britannici, derivato dal trattato che per oltre cinquant‟anni

aveva regolato la pesca intorno alle coste islandesi. Si protestava inoltre contro l‟uso delle linee

base per la misurazione del limite, specialmente per quelle che chiudevano completamente la Faxa

61

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

59-68

Page 98: “The Cod Wars” La questione della pesca e la nazione ...€¦ · FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in: storia contemporanea TITOLO DELLA TESI: “The Cod Wars”

97

Bay. Veniva sottolineata inoltre, come minaccia velata di ritorsioni economiche, l‟importanza del

mercato inglese per l‟industria del pesce islandese.

A queste proteste il governo Islandese rispose sottolineando il fatto che nessuna legge

internazionale proibiva l‟estensione dei limiti fino alle 4 miglia e che il metodo utilizzato per il

calcolo del nuovo limite era conforme a quello accettato dalla Corte internazionale di Giustizia in

occasione del conflitto Anglo-Norvegese.

L‟industria del pesce britannica vide in pericolo quelli che erano una parte dei suoi interessi

economici e minacciò uno sciopero generale se veniva permesso ai trawlers islandesi di entrare nei

porti di Hull e Grimsby, il che significava imporre un bando sul pesce fresco prodotto in Islanda. In

Novembre un‟imbarcazione islandese scaricò e vendette il suo pescato nel porto di Grimsby.

Immediatamente iniziò uno sciopero dei pescatori che si rifiutarono di prendere il largo, le Hull and

Grimsby Fish Merchants Associations acconsentirono allora ad imporre un bando totale fino a che

la disputa sui limiti territoriali non avesse trovato una propria risoluzione.

Il bando metteva a rischio gli interessi economici dell‟industria del pesce islandese, essendo

l‟Inghilterra il suo maggior partner commerciale. La maggior parte del pescato veniva infatti

venduta fresca nei porti inglesi. Il bando commerciale ebbe però degli effetti positivi per l‟economia

islandese. La necessità di trovare nuovi sbocchi commerciali portò infatti ad un incremento di

scambi con diversi paesi, fra cui USA, URSS e diversi stati del Terzo Mondo. Il mercato sovietico

era particolarmente importante perché la domanda riguardava il pesce surgelato e non venduto

fresco, ciò comportò un importante sviluppo delle manifatture per la lavorazione del pesce

nazionali. L‟importanza di questo mercato è sottolineata dal fatto che nel 1953 l‟Islanda fu il primo

membro NATO a firmare un accordo economico di lunga durata con l‟Unione Sovietica.

Ufficialmente il bando commerciale era un‟azione privata condotta dalle associazioni degli

industriali del pesce, ma in realtà essa, come più tardi fu rivelato, era stata decisa in consultazione

col governo Britannico. Grazie all‟intervento dei paesi dell‟OEEC, il bando venne tolto nel

Novembre del 1956 ed il nuovo limite di fatto riconosciuto.

Alle base delle proteste britanniche, oltre che a più che ovvie motivazioni economiche, c‟era l‟idea

che sia l‟estensione sia la sua caratteristica d‟unilateralità erano contrarie alla legge internazionale.

La Corte Internazionale di Giustizia nel suo giudizio sul caso Anglo-Norvegese aveva sottolineato

come un‟estensione dei limiti territoriali, pur essendo un‟azione unilaterale giacché la sua decisione

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e messa in pratica spettano al solo governo interessato, fosse valida verso gli altri stati solo nel

rispetto della legge internazionale. Il caratteri d‟unilateralità dell‟espansione islandese poteva essere

discusso solo se essa era contraria alle leggi internazionali. Quest‟ultime non definivano in maniera

chiara l‟ampiezza delle acque territoriali, ma l‟evoluzione del meccanismo internazionale per la loro

elaborazione aveva messo in luce come non potesse essere considerata legge internazionale il limite

di tre miglia.

La prima estensione dei limiti delle acque territoriali islandesi non era quindi contraria a nessuna

legge internazionale. Gli effetti positivi di tale espansione furono apprezzati negli anni successivi

quando il pescato di platessa ed eglefino incrementò dopo anni di forte decrescita. Il buon esito di

queste misure conservative ispirò poi la necessità d‟ulteriori espansioni, atte a proteggere gli stock

di quelle specie, come il merluzzo, che vivono in acque più distanti dalla costa.

5.2 1958-1961: la prima Cod War

Molti Islandesi, pur apprezzandola, vedevano l‟estensione fino a 4 miglia come un primo passo

verso ulteriori allargamenti dei limiti territoriali. Era questo il caso soprattutto delle comunità

maggiormente legate alla pesca per la loro sopravvivenza, come i villaggi dei Fiordi Occidentali.

Qui si trovavano alcune fra le migliori zone di riproduzione e crescita di svariate specie di pesce, e

la particolare asprezza delle condizioni climatiche faceva della pesca l‟unica risorsa accessibile,

coinvolgendo il 30-40% della popolazione fra pescatori e lavoratori delle manifatture. Già nel 1954,

diversi parlamentari provenienti da questi seggi proposero una legge per un ulteriore allargamento

fino al limite di 24 miglia, basandosi sul diritto storico derivante dal fatto che questo era il limite nel

XVII secolo. La legge non fu approvata, essendo ancora in atto la disputa per il precedente

allargamento62

.

Nella seconda metà del decennio il continuo calo del pescato di merluzzo rafforzò la posizione di

chi era favorevole ad un‟ulteriore espansione, da attuare il prima possibile, ma la situazione politica

interna ed il lavoro della Commissione per la Legge Internazionale consigliarono di posticipare la

sua attuazione.

62

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 171-176

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Negli anni 1953-56 il paese fu governato da una coalizione fra i partiti Indipendentista e

Progressista. Il governo, convinto che la prima espansione fosse un diritto nazionale, si oppose

fermamente ai tentativi britannici di bloccarla, ma grazie a degli incontri informali fra

rappresentanti dei due governi una soluzione negoziale era già pronta all‟inizio del ‟56. L‟accordo

definitivo venne però firmato solo a Novembre, poiché i Progressisti non volevano rendere pubblico

un accordo “segreto” prima delle elezioni di Giugno. Questo perché il governo stava chiaramente

perdendo supporto ed era chiaro che il problema di un‟ulteriore estensione sarebbe stato uno dei

punti centrali della lotta elettorale.

Le elezioni del 1956 risultarono favorevoli alle sinistre: la coalizione fra l‟Alleanza Popolare, il

Partito Socialdemocratico e quello Progressista conquistò 33 seggi su 52 nell‟Alþing, relegando il

solo Partito Indipendentista all‟opposizione. Il nuovo governo emanò un programma politico nel

quale, fra le altre cose, veniva sottolineata la sua posizione riguardo i limiti delle acque territoriali.

In questa veniva dichiarato che il governo enfatizzava il problema dell‟estensione delle acque

territoriali in quanto un aumento delle misure conservative intorno alle coste islandesi era una

necessità per la salvaguardia delle risorse e dei diritti dei lavoratori. La dichiarazione era vaga, non

contenendo ipotesi riguardanti la modalità ed il tempo dell‟estensione. Ciò era dovuto al fatto che

non pochi membri del governo avevano la speranza che l‟Assemblea Generale dell‟ONU, che

doveva riunirsi a Novembre-Dicembre, non solo discutesse i risultati dello studio effettuato dalla

Commissione per la Legge Internazionale, ma discutesse anche una legge internazionale

sull‟ampiezza dei limiti territoriali. Inoltre i tre partiti della coalizione governativa erano

completamente in disaccordo sulla procedura dell‟estensione. L‟Alleanza Popolare, col Ministro

della Pesca Lúðvík Jósepsson, voleva un‟unilaterale estensione già nel ‟57; i Socialdemocratici,

Ministro degli Esteri, erano reclutanti a procedere senza il consenso NATO e volevano negoziare la

cosa con gli Alleati; i Progressisti, Primo Ministro, tenevano una posizione mediana consigliando di

ascoltare il parere NATO, ma di non vincolare la questione solo a lunghi negoziati con gli Alleati.

Di conseguenza la decisione venne posticipata per aspettare prima il risultato dell‟incontro

dell‟Assemblea Generale dell‟ONU, poi quello della UNCLOS I. Venne comunque deciso che al

termine della conferenza i limiti sarebbero comunque stati estesi.

Come descritto precedentemente, l‟UNCLOS I fallì nell‟ottenere la necessaria maggioranza di ⅔

per la regolamentazione dell‟ampiezza dei limiti territoriali, ma una maggioranza di delegazioni

supportarono quella di 12 miglia, in diverse forme. Inoltre nella relazione del ‟56 della

Commissione per la Legge Internazionale era sottolineato come la legge internazionale non

permettesse un‟estensione superiore al limite delle 12 miglia, il che può significare che un limite di

12 miglia non poteva essere considerato contrario alla legislazione internazionale.

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100

La conferenza terminò nel Maggio ‟58 ed i membri governativi del Partito Progressista e

dell‟Alleanza Popolare si dichiararono favorevoli all‟estensione, non trovando ragioni per

rimandarla ulteriormente. I Socialdemocratici erano però ancora esitanti, in quanto temevano una

reazione da parte delle nazioni che tradizionalmente pescavano al di fuori delle coste islandesi, ed

ancora proposero di negoziare la cosa all‟interno della NATO. Il 18 di Maggio, la rappresentanza

islandese alla NATO richiese il parere degli Alleati riguardo alla progettata estensione fino al limite

di 12 miglia, sottolineando che particolari diritti sarebbero stati concessi ai pescatori stranieri e che

una risposta definitiva era attesa entro due giorni. I membri dell‟Alleanza risposero negativamente

proponendo di discutere la cosa ad una speciale conferenza.

Il 21 di Maggio, uno speciale incontro governativo venne istituito per discutere il contenuto della

risposta NATO. I Socialdemocratici erano ancora esitanti, mentre la restante parte del governo era

favorevole a procedere senza ulteriori ritardi all‟estensione. Nei giorni successivi si ebbe una forte

crisi interna alla coalizione ed il Primo Ministro Hermann Jónsson minacciò di sciogliere il governo

ed indire nuove elezioni, la cui principale questione sarebbe stata l‟estensione dei limiti territoriali.

Nessun partito voleva partecipare ad una lotta elettorale nel ruolo d‟oppositore all‟estensione ed, il

24 Maggio, i partiti governativi trovarono un accordo: dal 1 Settembre i limiti della pesca islandesi

sarebbero stati di 12 miglia dal punto di bassa marea e solo i trawlers islandesi avrebbero avuto il

permesso di pescare in questa zona, comunque restando al di fuori del vecchio limite di 4 miglia.

Le motivazioni economiche dell‟estensione furono chiarificate dal rapporto che la FAO presentò

all‟UNCLOS I63

. In questo si sottolineava come il pescato annuale per 100 abitanti fosse di 300

Ton., con un valore di 206$ per abitante, contro le 48 Ton., con un valore di 24$, del paese secondo

in graduatoria. La percentuale del Prodotto Interno Lordo derivante dall‟industria del pesce era

cinque volte superiore quella del secondo paese in graduatoria e le esportazioni di questi prodotti

erano il 95-97% del totale. Tutte le altre attività industriali erano concentrare solo nell‟area intorno

alla capitale ed erano comunque legate all‟industria del pesce, potendo essere sostenute solo grazie

ai capitali derivanti dalle esportazioni dei suoi prodotti. L‟economia delle comunità di tutte le altre

zone del paese era legata solamente alla pesca ed in modo tale che pochi anni di cattivo pescato

potevano ridurre notevolmente i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali.

Il pescato delle principali specie, specialmente merluzzo e pesce persico, aveva subito un declino di

circa il 16% nel triennio 1954-57, e la situazione peggiorò continuamente a partire dall‟anno

63

“The Icelandic Fishery Question Memorandum Submitted by The Government of Iceland to the

General Assembly of the United Nations” Settembre 1958 p. 6

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101

successivo64

. Tutto ciò nonostante un continuo incremento dello sviluppo tecnologico delle

imbarcazioni, che avrebbe dovuto garantire migliori pescati. Questo era un chiaro segnale di sovra-

pescaggio e declino degli stock. Inoltre circa la metà del pescato era acquisita da pescatori stranieri.

Il Governo aveva nel suo programma l‟intenzione di aumentare lo standard di vita degli Islandesi;

visto il carattere dell‟economia nazionale, un aumento del pescato islandese era l‟unica strada

percorribile per raggiungere questo obiettivo. Ma il declino degli stock richiedeva misure

conservative che riducessero la quantità totale di pescato annuo. La soluzione per diminuire la

quantità di pescato totale aumentando nel frattempo quella nazionale era l‟estromissione dei

pescatori stranieri da certe zone di pesca ed il mezzo più rapido per ottenere ciò era l‟estensione dei

limiti territoriali.

L‟accordo del gabinetto di Hermann Jónsson venne trovato il 24 Maggio; quattro giorni dopo,

grazie ad uno scoop del quotidiano Socialista Þjoðviljinn, la decisione di emanare la legge il 30 di

Giugno e renderla effettiva dal 1 Settembre era nota a livello internazionale65

. Nei giorni successivi

diversi stati protestarono contro la decisione Islandese, tra cui Gran Bretagna, Belgio, Olanda,

Germania Federale, Spagna e Svezia. Un certo appoggio internazionale venne invece dalle

Repubbliche Popolari orbitanti nel blocco sovietico e dall‟Unione Sovietica stessa. Nonostante le

proteste inoltrate tutti gli stati sopra citati, eccezion fatta per il Regno Unito, rispettarono il nuovo

limite. Il Primo Settembre 1958, gli unici pescherecci stranieri in acque islandesi furono quelli

britannici66

.

Le prime proteste britanniche vennero consegnate dall‟Ambasciatore Inglese al governo Islandese

già il 29 di Maggio. In queste il governo Britannico dichiarava che non era contemplato dalla legge

internazionale il fatto che uno stato limitasse ad altre nazioni il diritto di sfruttamento dei mari

aperti e che l‟Islanda non poteva precludere l‟attività della pesca a pescatori stranieri in aree

tradizionalmente considerate come tali. Il governo Islandese non prestò molta attenzione a tale

avviso ed il 3 Giugno, quindi ancora prima che esso legiferasse la nuova regolamentazione per i

limiti territoriali, l‟Amministrazione Britannica presentò delle formali proteste. In queste si

sottolineava nuovamente che un‟unilaterale estensione era considerata illegale, così come il limite

di 12 miglia, si protestava, inoltre, contro il mancato rispetto dei diritti storici dei pescatori

64

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

74-75 e 84 65

The New York Times 29 Maggio 1958, p. 50:3 66

The New York Times 7 Giugno 1958, p. 38:8

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102

ritannici di sfruttare la regione e si minacciava l‟uso della forza per far rispettare i loro diritti.

Veniva comunque anche offerta una certa disponibilità a negoziare un trattato bilaterale67

.

Le proteste britanniche vennero rafforzate da quelle presentate il 14 Luglio dalla Western European

Fishery Conference, un incontro dei rappresentanti delle industrie del pesce di Belgio, Olanda,

Danimarca, Francia, Spagna, Germania Federale e Gran Bretagna. Queste ricalcavano i punti

generali delle proteste del governo di Sua Maestà insistendo soprattutto sul diritto storico. In esse

veniva mostrato infatti come lo sviluppo della pesca islandese ed il suo sfruttamento delle acque

circondanti il territorio, fosse avvenuto secoli dopo di quello delle altre nazioni, che avevano quindi

il diritto di continuare ad usufruirne liberamente. In questa protesta si contestava inoltre il problema

del sovra-pescaggio affermando che gli stock delle principali specie non erano per nulla in declino.

In conclusione si affermava il fatto che il nuovo limite non sarebbe stato rispettato.

La risposta islandese alle proteste venne pubblicata in un cosiddetto “Blue Book” nell‟Agosto del

‟5868

. In questo ciascun punto di esse era enumerato e ribattuto approfonditamente. Per quanto

concerne l‟illegalità dell‟estensione unilaterale si ripresentavano le stesse argomentazioni utilizzate

nella precedente disputa (1952). Veniva mostrato come non esistesse una legge internazionale per la

definizione dell‟ampiezza di tali limiti e come la pratica variasse molto da stato a stato. Venivano

enumerati tutti quegli stati che avevano già adottato un limite pari o superiore alle 12 miglia e

venivano riportate le conclusioni della UNCLOS I. Come abbiamo già visto queste esprimevano il

parere che un limite superiore alle 12 miglia potesse essere considerato contrario alla legge

internazionale, legalizzando di fatto tale limite. Per contrastare il diritto storico reclamato dai

pescatori stranieri, veniva esposta l‟evoluzione dei limiti territoriali islandesi nel XVII-XIX secolo,

da 24 a 16 miglia, puntualizzando che le successive restrizioni erano state negoziate dalla potenza

coloniale danese, senza il consenso della popolazione locale. Inoltre il trattato del 1901 era

terminato legalmente nel 1951 con i necessari due anni di preavviso ed il governo Britannico non

poteva in alcun modo richiamarlo in causa quale legge consuetudinaria. Per controbattere

all‟asserzione che non esisteva il problema del declino degli stock, venivano presentati dati accurati

sulla quantità di pescato relazionato al fishing effort degli ultimi anni. All‟accusa che l‟estensione

era una manovra diretta solo all‟aumento dello sfruttamento da parte dei pescherecci islandesi

grazie all‟esclusione di quelli stranieri, il Blue Book rispondeva sottolineando l‟importanza di avere

solo imbarcazioni nazionali per poter adottare una proficua politica di conservazione delle riserve

sul territorio. Questo perché, essendo queste sottostanti alla giurisdizione nazionale, era sempre

possibile intervenire con un sistema di quote o con la chiusura di certe aree nel caso in cui il

67

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 176-182 68

“The Icelandic Fisheries‟ Limits” pp. 7-12

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problema delle risorse si aggravasse; tale intervento non era ovviamente possibile verso le

imbarcazioni straniere.

Alla mezzanotte del 31 Agosto 1958 tutti i pescherecci stranieri, ad eccezione di quelli britannici,

lasciarono le acque territoriali islandesi. Nello stesso tempo diverse imbarcazioni della Royal Navy

entrarono all‟interno del nuovo limite col compito di proteggere i pescherecci dai tentativi d‟arresto

della guardia costiera islandese.

Il Primo Settembre erano presenti all‟interno delle 12 miglia 11 trawlers, 4 fregate ed un vascello di

supporto. A questi si dovevano aggiungere circa 40 trawlers, che erano già in viaggio per

raggiungere le acque islandesi69

.

Fra Settembre 1958 e Febbraio 1961 la guardia costiera islandese registrò un totale di 37 navi da

guerra per una ciurma di circa 7000 uomini70

. Di queste quattro erano cacciatorpedinieri di prima

classe, tredici cacciatorpedinieri di seconda classe, sei fregate di prima classe, tredici fregate di

seconda classe ed una piccola nave da guerra. Ad aggiungersi a queste c‟erano diverse navi di

supporto, per un totale di 53 imbarcazioni utilizzate. La flotta della guardia costiera islandese era

invece formata da sette imbarcazioni. La più grande e moderna era il Thór (700 Ton., 28 marinai),

seguita dall‟Ægir (500 Ton., 25), dall‟Albert (200 Ton., 15), dalla María Júlía (140 Ton., 12), dalla

Sæbjörg (100 Ton., 12) e dall‟Óðinn (75 Ton., 11). In aggiunta c‟era un vecchio aeroplano Catalina

utilizzato per la registrazione, mediante fotografia aerea, delle imbarcazioni britanniche. Per evitare

tale registrazione la maggior parte dei capitani dei trawlers inglesi coprirono o cancellarono il nome

ed il numero di matricola della loro imbarcazione. Le imbarcazioni della Royal Navy erano molto

più veloci, con una velocità di 22-30 Nodi contro gli 11-17 Nodi delle imbarcazioni islandesi.

Inoltre essendo inesistente in Islanda un corpo militare, i capitani erano solitamente poliziotti e

l‟equipaggio era arruolato fra i civili, che non avevano nessun tipo di preparazione militare.

I compiti della guardia costiera erano ben chiari: registrare e segnalare tutte le imbarcazioni

colpevoli di non rispettare i limiti delle acque territoriali islandesi, impedire l‟attività di pesca ai

trawlers e tentare di arrestarne la ciurma per poterla processare. La Royal Navy doveva impedire

tutto questo ed inevitabilmente furono registrati numerosi scontri fra le navi da guerra britanniche e

la guardia costiera islandese. Non è mia intenzione presentare un lungo elenco di tutti questi, ma mi

limiterò a sottolineare quelli che, per gravità o per importanza politica, hanno una maggior

importanza.

69

The New York Times 2 Settembre 1958, p.1:3 70

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 95

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104

Nella mattinata del 2 Settembre l‟equipaggio della guardia costiera María Júlía, dopo essere salito a

bordo per i necessari accertamenti, tentò di arrestare i marinai del trawler Lifeguard, ma questi

attraverso la minaccia di mazze, asce e coltelli li costrinsero a cambiare decisione71

. Poche ore dopo

6 marinai del Thór tentarono la stessa operazione verso l‟equipaggio del Northern Foam. Invece

che ricorrere all‟uso della forza questi avvertirono il capitano della fregata East Bourne, che mandò

subito degli aiuti. Militari britannici salirono sul trawler e costrinsero i membri della guardia

costiera a risalire sulla propria imbarcazione. Il capitano del Thór però si rifiutò di andarsene ed

allora i militari arrestarono 9 membri dell‟equipaggio e li portarono sulla fregata, in qualità di

“ospiti”, come più tardi si espresse il portavoce del governo Britannico. Questo evento scatenò le

proteste degli Islandesi. Nel pomeriggio qualche centinaia di manifestanti si riunirono al di fuori

dell‟ambasciata britannica e la tempestarono col lancio di pietre ed altri oggetti contundenti, ferendo

in modo lieve qualche membro del personale. Le manifestazioni continuarono poi nei giorni

seguenti con la partecipazione di più di 10.000 Islandesi. Dal punto di vista politico, questo evento

contribuì notevolmente a rafforzare l‟opinione pubblica nei confronti di un più totale supporto

all‟espansione. Gli Islandesi si vedevano minacciati ed attaccati dalla potenza militare britannica ed

un‟ondata di nazionalismo ed opposizione alla NATO divampò per il paese. Anche il Partito

Indipendentista, all‟opposizione nel parlamento, non mancò di condannare l‟episodio e di dare il

suo completo supporto al governo. Pochi giorni dopo l‟estensione, l‟unità nazionale era veramente

completa. I 9 vennero rilasciati solo all‟alba di dieci giorni successivi, in un tratto della costa vicino

alla base di Keflavík. Il governo Islandese inoltrò vivaci proteste sia verso i colleghi Britannici, sia

verso i vertici della base militare, che erano accusati di non aver segnalato la violazione dei limiti

territoriali della fregata britannica72

.

E‟ utile sottolineare il fatto che in questa “guerra” nessun colpo d‟arma da fuoco fu sparato, al

contrario di ciò che accadrà con le successive cod wars ben più violente e cruente, ma non rari

furono gli spari d‟avvertimento sparati a salve dalla guardia costiera islandese, il primo dei quali

avvenne il 6 Ottobre73

.

Nei primi mesi della cod war numerosi trawlers, confidando nella protezione della Royal Navy, si

arrischiarono anche a pescare in zone situate all‟interno del limite di 4 miglia. Il 12 Novembre, una

fregata britannica impedì l‟arresto da parte della guardia costiera di un peschereccio che pescava ad

una distanza dalla costa pari a tre miglia, provocando forti proteste da parte del governo Islandese74

.

Il governo Britannico intervenì ordinando alle imbarcazioni della Royal Navy di non intervenire in

71

The New York Times 3 Settembre 1958, p. 1:6 72

The New York Times 14 Settembre 1958, p. 4:3 73

The New York Times 7 Ottobre 1958, p. 42:7 74

The New York Times 13 Novembre 1958, p. 41:7

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105

casi simili, poiché il limite di 4 miglia era riconosciuto da un trattato ed il loro scopo era proteggere

i trawlers nell‟area della nuova espansione, che invece era considerata illegale. Il 5 Maggio 1959,

comunque, l‟Alþing non mancò di votare all‟unanimità una risoluzione in cui si condannava il

comportamento britannico, specialmente per quanto concerneva la violazione del limite di 4 miglia.

Si dichiarava che ciò era un chiaro tentativo di usare la forza per costringere il governo Islandese a

ritrattare. L‟Alþing dichiarava, inoltre, di agire nella pura legalità e che non solo vedeva il limite di

12 miglia come un incontrovertibile diritto nazionale, ma anche che si riservava il diritto di

procedere ad ulteriori estensioni, per avere piena giurisdizione su tutta la piattaforma continentale

circondante il territorio islandese75

.

Per prevenire l‟arresto da parte della guardia costiera ai capitani dei trawlers era ordinato di pescare

in gruppo in particolari aree protette. L‟attività dei pescherecci si concentrava all‟interno di queste

aree che erano lunghe all‟incirca 30 miglia e che venivano periodicamente cambiate in base alle

condizioni del tempo e del pescato. Le navi militari transitavano ai limiti di queste aree tentando di

bloccare le imbarcazioni della guardia costiera che tentavano di entrarvi. I capitani dei trawlers

erano obbligati a pescare in queste zone per almeno una parte del loro viaggio, 72 ore, poi ridotte a

48h e 24h. La riduzione era dovuta al fatto che la pesca era poco produttiva in quanto la

concorrenza era troppo raggruppata e i trawlers non avevano la libertà di seguire gli spostamenti dei

banchi di pesce76

.

L‟aspetto antieconomico della vicenda fu puntualizzato in una lettura tenuta all‟University Law

Society d‟Oxford dal professor Hannes Jónsson il 29 Gennaio del 196077

. In essa veniva esposto

come l‟industria del pesce rappresentasse il 93-97% delle esportazioni islandesi, contro lo 0,5% di

quelle britanniche. Questa industria era sicuramente fondamentale per l‟economia dei tre porti di

Hull, Grimsby e Fleetwood, ma non era sostenuta solamente dal pescato delle acque islandesi, che a

Dicembre del „58 rappresentava il 31,8% del totale, come mostravano le Sea Fisheries Statistical

Tables nazionali. Di questo, inoltre, solo circa un terzo proveniva dalla zona compresa fra le 4 e le

12 miglia di distanza dalla costa, per un valore di circa 3,6 milioni di Sterline. Questo valore era

probabilmente di molto superato dai costi di mantenimento delle forze armate nelle acque

territoriali islandesi, che fino al quel momento erano state di 37 navi e circa 5.000 uomini.

L‟intera operazione della Royal Navy si dimostrò più positiva per il governo Britannico se valutata

dal punto di vista militare. In tutto il periodo della cod war, infatti, un solo trawler britannico, il

75

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 106 76

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 186 77

Hannes Jónsson “The legal and Economic aspects of the Anglo-Icelandic Fisheries Dispute” pp. 6-7

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“Valafell” di Grimsby nel Febbraio del 1959, venne arrestato e ciò perché stava pescando

all‟interno del limite di 4 miglia78

.

Gli eventi della cod war si rivelarono piuttosto imbarazzanti per il governo Britannico, specialmente

in quanto l‟intervento della Royal Navy era diretto contro un paese alleato della NATO. E‟ quindi

interessante analizzare le motivazioni che lo spinsero a decidere l‟invio delle navi da guerra nelle

acque territoriali islandesi. Queste sono da ritrovare principalmente nelle pressioni esercitate dalla

lobby dell‟industria del pesce dei tre principali porti inglesi e da un‟errata valutazione dell‟unità

islandese sul problema.

Il Daily Express del 30 Aprile 1958 riportò l‟andamento della conferenza dei commercianti di pesce

britannici, tenuta a Brighton, in cui un paio di relatori chiesero l‟intervento della Royal Navy a

protezione delle imbarcazioni britanniche nel caso in cui l‟Islanda avesse proceduto con

l‟estensione dei limiti territoriali. Mr. Ian Class, il Presidente della Union Fish Merchants, si

espresse sottolineando che un colpo d‟artiglieria pesante sarebbe bastato a fermare il lavoro della

guardia costiera islandese e che questo non avrebbe comportato nessun rischio di guerra. Era per lui

improbabile che i Sovietici rischiassero una guerra atomica per un conflitto sulla pesca79

. Le stesse

pressioni venivano inoltre esercitate dai parlamentari e dalle unioni di lavoratori e proprietari

dell‟industria del pesce di Hull e Grimsby.

Un ulteriore fattore che può aver contribuito alla decisione del governo Britannico di mandare le

navi militari erano i rapporti che questo riceveva dall‟Ambasciatore in Islanda Andrew Gilchrist80

.

Egli era a conoscenza delle divisioni all‟interno della coalizione governativa circa le modalità

dell‟estensione. Sapeva che sia il Partito Socialdemocratico sia il partito Indipendentista,

quest‟ultimo all‟opposizione, erano contrari ad un‟azione non concordata con gli alleati della

NATO, in quanto speravano di guadagnarsi l‟appoggio della maggioranza dei paesi dell‟Alleanza

Atlantica in caso d‟eventuali dispute. Gilchrist finì quindi per sottovalutare l‟unità islandese sul

problema, che una volta presa la decisione di procedere con l‟estensione era totale. In particolare

egli credeva che il Partito Indipendentista fosse completamente contrario all‟estensione. Questa

supposizione è confermata dal fatto che, nel 1960, dopo un incontro fra il Primo Ministro

Britannico Harold Macmillian e la sua controparte Islandese Ólafur Thors, leader Indipendentista

vincitore delle ultime elezioni, Gilchrist fu trasferito a Chicago.

Alla fine di Dicembre del 1958 il governo di sinistra venne sciolto per l‟incapacità dei partiti della

coalizione di trovare un accordo sulla politica economica e venne sostituito da un governo di

78

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 186 79

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 94 80

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 187-189

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minoranza del Partito Socialdemocratico, col supporto dell‟Opposizione. Nel Novembre del 1959

venne formato il nuovo governo guidato da Ólafur Thors e formato dalla coalizione fra i partiti

Socialdemocratico ed Indipendentista, i cui membri erano stati i più esitanti di fronte ad

un‟estensione dei limiti territoriali senza il consenso NATO. Da questa nuova situazione di politica

interna nacquero i presupposti per il raggiungimento di una risoluzione del conflitto.

Nel Marzo del 1960 si riunì l‟UNCLOS II la cui conclusione poté essere considerata favorevole

all‟Islanda81

. La conferenza non riuscì nell‟intento di stabilire una legge per l‟ampiezza dei limiti

territoriali, ma il supporto per le 12 miglia era chiaramente tale da poter essere considerato una

legge di fatto, pur mancando un voto ai necessari ⅔ di maggioranza che lo rendesse tale. Inoltre il

concetto di diritto storico non raggiunse il supporto della maggioranza. Di maggiore importanza fu

il fatto che, a Ginevra, i rappresentanti islandesi e britannici poterono incontrarsi e decidere così di

tentare di risolvere la questione.

Il primo segnale d‟apertura era stato dato già a Febbraio dalla British Trawlers‟ Federation che

aveva deciso non far pescare i propri pescherecci in acque islandesi durante i lavori della UNCLOS

II. Subito dopo la fine di questa la decisione fu prolungata per ulteriori tre mesi. Il governo

Islandese rispose decidendo di fare una “sanatoria” per i trawlers britannici registrati nell‟atto di

pescare all‟interno dei limiti.

Di questo periodo fu anche la decisione del governo Britannico di richiamare le navi da guerra82

.

Questa fu probabilmente la conseguenza degli sviluppi della UNCLOS II. In questa occasione la

Gran Bretagna supportò infatti la proposta canadese del “6 più sei con diritti storici” ed al contempo

votò a favore della proposta di concedere diritti preferenziali agli stati costieri che avevano speciali

condizioni economiche, presentata da Brasile, Cuba ed Uruguay. Supportare tali proposte e nel

contempo mantenere una forza militare per evitare che uno stato costiero con particolari condizioni

economiche espandesse i propri limiti a 12 miglia era ovviamente una grossa contraddizione.

In Settembre i due Primi Ministri si incontrarono a Keflavík e, dopo alcune ore di conversazione,

decisero di avviare delle negoziazioni preliminari nell‟Ottobre successivo83

. I negoziati durarono

cinque mesi e le due delegazioni si incontrarono a Reykjavík, Londra e Parigi. Inizialmente la

spaccatura era all‟incirca su tutti i punti fondamentali della discussione: limitazione di pescato

totale, ampiezza della zona in cui i pescatori britannici avrebbero goduto di certi diritti, durata di tali

diritti, numero e grandezza dei trawlers che li avrebbero goduti.....Il punto più spinoso dell‟intero

negoziato era rappresentato dalla richiesta britannica di legare ogni successiva espansione ad una

81

Ibid. pp. 190-191 82

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 97 83

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 191-193

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notifica da fare con sei mesi d‟anticipo e all‟obbligo di attenersi al giudizio della Corte

Internazionale di Giustizia in caso di conflitto. I partiti dell‟opposizione islandesi erano

particolarmente contrari a questo vincolo, sostenendo che la questione dell‟estensione dei limiti

territoriali era una problematica d‟assoluta importanza nazionale e non la si poteva vincolare a

nessun tipo d‟istituzione internazionale.

L‟accordo fra i due governi venne raggiunto a metà Febbraio del 1961 e prevedeva il

riconoscimento britannico dei nuovi limiti in cambio di diritti di pesca per i pescatori inglesi in certe

zone dell‟area compresa fra le 6 e le 12 miglia. Tali diritti valevano per tre anni e il governo

Britannico riconosceva inoltre sette aree dove la pesca sarebbe stata riservata solamente alle barche

a motore islandesi. Nel caso in cui il governo Islandese volesse procedere ad un‟ulteriore

espansione, come dichiarato nella risoluzione parlamentare del Maggio ‟59, esso si impegnava a

darne avviso al governo di Sua Maestà con sei mesi d‟anticipo e ad accettare il giudizio della Corte

Internazionale in caso di un‟eventuale disputa.

L‟accordo venne ferocemente discusso all‟Alþing e l‟Opposizione presentò una mozione di sfiducia

nel governo, che non venne però accettata dalla maggioranza del parlamento. Nella votazione finale

i partiti dell‟opposizione sottolinearono che essi erano contrari alla clausola riguardante il giudizio

della Corte Internazionale e che per loro l‟accordo non aveva validità. L‟Opposizione contestava

inoltre il fatto che il trattato non aveva un termine preciso e non prevedeva nessuna modalità di

rescissione. I benefici per i pescatori britannici dovevano infatti durare solo per i successivi tre anni,

ma nessuna indicazione veniva data per il tempo in cui valeva l‟obbligo di preavviso prima di

un‟ulteriore espansione. Il governo ottenne comunque la maggioranza del parlamento ed il trattato

fu rettificato da uno scambio di note uguali fra i governi Islandese e Britannico l‟11 Marzo 1961.

I partiti dell‟opposizione non accettarono quindi il trattato. Le ragioni di ciò risiedevano

essenzialmente nel contenuto di due lettere inviate dal governo Britannico a quello Islandese dopo

gli incontri di Londra e Parigi e nel richiamo fatto all‟interno dell‟accordo alla risoluzione

parlamentare del ‟5984

.

In entrambe le lettere veniva espressa la posizione del parlamento Britannico a riguardo dei diversi

punti del trattato sottolineando l‟urgenza di arrivare ad un accordo, per evitare che la situazione

nelle acque islandesi degenerasse ulteriormente. Secondo i partiti dell‟opposizione e secondo

numerosi storici islandesi, questa era una chiara minaccia d‟uso della forza nel caso in cui il trattato

non fosse accettato così come proposto. Al momento dei negoziati, infatti, la Royal Navy e molti

84

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

101-103 e 107

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dei pescherecci non erano più presenti nelle acque islandesi, perciò questo accenno ad una possibile

degenerazione poteva significare solamente l‟intenzione britannica di mandare nuovamente i

trawlers e le navi militari nella zona. In particolare nella seconda lettera veniva sottolineato come la

situazione potesse diventare più critica e pericolosa di quanto non lo fosse mai stato, fino alla

perdita d‟uomini ed imbarcazioni. Per gli oppositori del trattato ciò significava un maggiore uso

delle potenzialità militari della Royal Navy.

Nel suo punto finale il trattato richiamava la dichiarazione parlamentare del ‟59. In questa il

parlamento aveva fortemente condannato l‟aggressione britannica ed aveva dichiarato la sua

intenzione di espandere la giurisdizione su tutto il territorio della piattaforma continentale,

seguendo la legge emessa nel 1948. Il governo Britannico accettava quindi l‟intenzione islandese di

procedere con ulteriori estensioni, ma chiedeva di legare queste ad un preavviso di 6 mesi ed al

giudizio della Corte Internazionale di Giustizia in caso di disputa. Per l‟Opposizione, il significato

della risoluzione del Maggio del 1959 era strettamente legato alla presenza militare ed

all‟aggressione britannica. Il fatto che questa fosse richiamata nel passo in cui si legavano le

decisioni Nazionali ad un preavviso al governo Britannico era inteso come una scelta imposta con la

forza. Gli oppositori del trattato sostenevano che questo era stato deciso sotto la minaccia dell‟uso

della forza e che tale uso era pure sottolineato al suo interno, perciò l‟accordo non aveva validità

legale e loro non l‟avrebbero rispettato. Quanto quest‟intenzione fosse vera lo dimostrarono gli

eventi della seconda cod war.

La Germania Federale, la nazione che dopo Islanda e Gran Bretagna aveva maggiori interessi

economici nella pesca nelle acque islandesi, aveva, di fatto, riconosciuto il limite delle 12 miglia

con il ritiro dei propri pescherecci dalla zona il 31 Agosto 1958. Un accordo formale non era però

stato trovato. Dopo la rettifica del trattato con il Regno Unito, il governo Islandese si sentì in dovere

di offrire le stesse condizioni anche a quello Tedesco85

. Per l‟Opposizione ed alcuni storici ciò era

in realtà una manovra per eludere le critiche che venivano fatte all‟accordo. Offrendolo di propria

iniziativa il governo aveva intenzione di dimostrarne la bontà ed il fatto che questo non fosse stato

imposto con la forza. Comunque i negoziati con la Germania Federale cominciarono il 13 di

Maggio ed il 19 Luglio 1961, con uno scambio di note uguali, i governi Islandese e Tedesco

rettificarono un trattato in tutto e per tutto simile a quello stipulato col Regno Unito.

Nel 1964, allo scadere del previsto periodo di tre anni, i pescherecci inglesi e tedeschi si portarono

al di fuori del limite delle 12 miglia.

85

Ibid. p. 108

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110

Con il rispetto dei termini del trattato da parte delle imbarcazioni straniere nel 1964, la vicenda

della prima cod war si poteva considerare virtualmente conclusa. In realtà essa si trascinò una lunga

scia di polemiche, basate principalmente sull‟opposizione a determinanti punti del trattato da parte

di una rilevante parte dell‟opinione politica e pubblica islandese, che saranno la base degli sviluppi

delle successive dispute.

Abbiamo già analizzato le probabili motivazioni che hanno spinto il governo Britannico a mandare

la Royal Navy in acque islandesi. A queste vorrei aggiungere l‟ipotesi che il conflitto con l‟Islanda

era forse visto una necessità nel panorama dei possibili sviluppi della situazione internazionale.

L‟Islanda era infatti il primo stato nordico a reclamare un limite di 12 miglia e a chiudere

un‟importante area di pesca per i porti inglesi, ma era prevedibile che anche altre nazioni

l‟avrebbero seguita. Specialmente un‟estensione norvegese ed una danese per le coste groenlandesi

e faroensi avrebbe comportato un quasi completo tracollo della pesca in acque distanti, che era

quella che forniva la parte più consistente di pescato. Il governo Britannico era ben conscio che il

supporto per limiti maggiori era in forte crescita a livello internazionale; specialmente i risultati

della UNCLOS I avevano dimostrato come la tendenza generale fosse quella di instaurarne uno di

12 miglia. Questa coscienza fu alla base della decisione di supportare la formula “sei più sei con

diritti storici” alla UNCLOS II. Nel contempo però sperava di poter rimandare la questione il più a

lungo possibile, non ultimo per la difficoltà di risolvere i problemi economici che, con le future

espansioni, avrebbero afflitto i porti inglesi.

Le motivazioni economiche islandesi sono più che ovvie. Si può affermare che in quegli anni, e

sotto certi punti di vista è così ancora oggi, l‟Islanda “fosse costruita” sul pesce. Anche le

motivazioni “biologiche” trovano una loro facile esplicazione nei dati della quantità totale di

pescato e nelle ricerche scientifiche effettuate dai biologi marini di diverse nazionalità. E‟ forse di

maggior interesse, quindi, analizzare quello che fu lo sfondo politico della vicenda, specialmente

per quanto riguarda l‟opposizione al trattato.

Negli anni ‟50, le sinistre di sfondo Socialista uscirono dall‟isolamento politico in cui erano state

relegate dopo la caduta del Governo di Ricostruzione. Merito di ciò fu principalmente l‟aumento

dell‟opposizione, che aveva anche un suo preciso carattere nazionalistico, alla NATO ed alla base

militare. L‟importanza del nuovo mercato sovietico nel supplire il vuoto creato dal bando

economico inglese, in occasione della prima estensione del 1952, giocò anche un ruolo importante,

soprattutto nei villaggi costieri dell‟Est il cui pescato era particolarmente colpito dal bando. Questo

perché essi erano i più vicini alle isole Britanniche e quindi il loro era il prodotto più adatto ad

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essere venduto fresco sul mercato inglese. Ma la crescita del supporto ideologico alle sinistre di

stampo Socialista, trovò nelle crisi di Suez e dell‟Ungheria un ostacolo quasi insormontabile. La

reazione negativa a questi eventi fu particolarmente acuta in Islanda, come abbiamo visto nei

capitoli iniziali. La possibilità di continuare ad avere un certo supporto era quindi legata ad una

maggiore enfatizzazione del problema nazionalistico. Questo è dimostrato dalla lunga

collaborazione che c‟è stata fra l‟Alleanza Popolare ed il Partito Progressista. Per avere una certa

forza parlamentare entrambi necessitavano del supporto ideologico/ nazionalista dell‟altro partito.

La questione sulla quale entrambi potevano trovare il più semplice accordo era ovviamente quella

della pesca e della consistente presenza straniera in acque islandesi. Per l‟altra grande questione

nazionale, quella della base di Keflavík, le opinioni erano invece divergenti. I Socialisti erano

ideologicamente contrari alla partecipazione alla NATO ed in generale all‟allineamento ad

occidente, i Progressisti si opponevano invece solo alla presenza militare straniera sul territorio e

non chiedevano un‟uscita dall‟Alleanza Atlantica. Per essere più precisi, questa richiesta era spesso

inoltrata dal Partito Progressista, ma essa era considerata solamente come un mezzo per ottenere

benefici in altri campi, come per le estensioni, e non aveva un reale supporto ideologico. Questi

partiti si fecero promotori dell‟estensione del 1958, ma quando il trattato venne negoziato essi si

trovavano all‟opposizione. La bontà del trattato che veniva stipulato poteva garantire un forte

supporto ai partiti di governo e pregiudicare un ritorno al potere dell‟opposizione. Il nuovo governo

aveva agli occhi dell‟opinione pubblica il merito di cercare un accordo che risolvesse il conflitto.

Dopo diversi mesi di battaglie sia i pescatori britannici che quelli islandesi erano ovviamente

esausti. Inoltre era necessario dare stabilità al paese per tentare di risolvere i problemi economici

che lo affliggevano ed il miglior modo per ottenere ciò era dare un termine alle tensioni che c‟erano

con gli alleati NATO. Un ritorno in carica dell‟Opposizione era probabilmente legato alla presenza

d‟alcuni punti bui nel trattato, che avrebbero permesso di mantenere vivo il dibattito.

Effettivamente la presenza militare britannica in acque islandesi poteva essere interpretata come

un‟aggressione, anche se diversa dal significato dato convenzionalmente al termine. Anche il

contenuto delle lettere, spedite dal governo Britannico a quello Islandese durante i negoziati, poteva

essere inteso come una velata minaccia d‟incremento dell‟intervento armato. E‟ ipotizzabile,

comunque, una certa strumentalizzazione di queste minacce da parte dell‟Opposizione, atta a creare

un movimento d‟opposizione sia al trattato, sia al governo. Se osserviamo dal punto di vista

ideologico le argomentazioni poste contro la clausola finale del trattato queste possono apparire

ovvie: l‟Alleanza Popolare era per motivi ideologici (Socialisti) contraria a riconoscere l‟autorità

della Corte Internazionale di Giustizia, il Partito Progressista lo era per motivi di carattere

nazionalistico. Ma il trattato aveva avuto la maggioranza dei voti del parlamento perciò la sua

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validità era indiscutibile. L‟unico argomento che avrebbe potuto metterlo in discussione era quello

che esso era stato imposto con la forza, quindi non aveva validità legale. Negli anni successivi il

dibattito sull‟espansione dei limiti territoriali perse d‟importanza, soprattutto grazie al “boom delle

aringhe” che diminuì l‟attenzione verso i trawlers stranieri. Ma quando questo terminò ed il

problema del sovra-pescaggio si fece nuovamente chiaro e pressante, fu utilizzando questo

argomento che i partiti dell‟opposizione poterono guadagnare il supporto necessario per effettuare

una nuova espansione. Grazie a questo supporto essi poterono tornare alla guida del governo, dopo

più di 11 anni in cui furono relegati all‟opposizione.

5.3 1972-73: la seconda Cod War

Negli anni ‟60 del XX secolo, la questione dei limiti territoriali e di sfruttamento della pesca sembrò

perdere d‟importanza nel dibattito politico nazionale islandese. Il “boom delle aringhe” offuscò in

parte il problema del sovra-pescaggio delle altre principali specie di pesce, indirizzando un gran

numero di compagnie pescherecce verso lo sfruttamento di questo settore dell‟economia. I partiti di

governo, che volevano rimanere fedeli ai vincoli del trattato da loro stipulato nel 1961, cercarono di

limitare le discussioni riguardanti progetti di nuove espansioni. Nel contempo però erano

particolarmente attivi a livello internazionale. Consapevole del fatto che una nuova estensione

sarebbe dovuta avvenire nei limiti della legge internazionale, il governo Islandese non mancava di

esprimere le proprie opinioni in tutti quegli incontri che prevedevano una discussione del problema

dell‟ampiezza dei limiti territoriali e di sfruttamento della pesca. In quest‟ottica molto attivi furono i

suoi rappresentanti negli studi e negli incontri delle diverse commissioni ONU. Essi non mancarono

inoltre di partecipare in qualità d‟osservatori od ospiti anche a quelle conferenze che non

interessavano direttamente il territorio europeo, come quella del Concilio Scientifico Africano

tenuta in Nigeria nel 1971.

Nel 1969 il governo emanò inoltre una nuova legge per lo sfruttamento della piattaforma

continentale intorno alle coste islandesi, in sostanza ricalcante quella del 194886

. Con questa legge

si sottolineavano nuovamente il diritto di sfruttamento delle risorse marine fino al limite della

86

Ibid. p. 119

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piattaforma continentale e l‟intenzione di procedere con ulteriori estensioni che permettessero

d‟avere la più completa giurisdizione su questa area. Era però chiaro che il governo non aveva

intenzione di procedere con un‟ulteriore estensione fino a che la situazione internazionale non si

sarebbe dimostrata più che ottimale per ottenere un suo riconoscimento senza causare conflitti con

altri stati.

Elezioni parlamentari dovevano essere tenute nel Giugno del 1971. Negli anni precedenti

l‟improvvisa scomparsa delle aringhe, dovuta all‟eccessivo sfruttamento, e la continua decrescita

dei banchi delle altre specie avevano riportato al centro dell‟attenzione pubblica il problema dei

limiti di pesca. Gli organi d‟informazione dei partiti di sinistra non mancavano di sottolineare la

questione con frequenti articoli di commento sulla situazione del pescato e sulla situazione della

legislazione internazionale. In incontri avvenuti all‟inizio del ‟70 i partiti dell‟opposizione,

Progressista, Alleanza Popolare ed una sua componente andata a formare la Sinistra Liberale,

concordarono sulla necessità di abrogare la clausola del trattato del 1961, quella riguardante la

necessità d‟avviso e di rispetto della decisione della Corte Internazionale di Giustizia, e di

procedere il più presto possibile con una nuova espansione. I partiti governativi, in successive

discussioni parlamentari, si dichiararono estremamente contrari a quest‟intenzione. L‟Opposizione

decise allora di incentrare la sua campagna elettorale su questo problema87

.

Nel Marzo del ‟71 i partiti d‟opposizione presentarono una mozione in parlamento in cui si

chiedeva al governo di informare i governi di Gran Bretagna e Germania Federale che per i bisogni

vitali della nazione Islandese e per un cambiamento di circostanze il trattato del 1961 non era

considerato più valido. Si chiedeva inoltre di instaurare una commissione composta da

rappresentanti di ciascun partito che lavorasse per estendere i limiti della pesca fino al limite di 50

miglia entro il Settembre dell‟anno successivo, di informare le altre nazioni che la giurisdizione

islandese per il controllo dell‟inquinamento del mare sarebbe stata estesa fino al limite di 100

miglia e di prodigarsi attivamente per ottenere un certo supporto internazionale. Il governo si

sentiva vincolato ai limiti del trattato del ‟61 e non poteva acconsentire a tale richiesta. Inoltre, Hans

G. Andersen, consigliere legale del Ministro degli Esteri, aveva dimostrato in uno studio

approfondito come il limite massimo permesso dalla legislazione internazionale fosse quello attuale

di 12 miglia. Grazie alla sua maggioranza in parlamento, il governo riuscì a bocciare la richiesta,

proponendo contemporaneamente la creazione di una commissione che studiasse una legge che

esprimesse il diritto di giurisdizione della popolazione islandese sulla piattaforma continentale e di

sfruttamento economico sull‟area compresa nel limite di 50 miglia. Questa proposta a prima vista

può sembrare una semplice ripetizione di quella dei partiti d‟opposizione, ma una notevole

87

Ibid. pp. 120-124

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differenza esisteva in realtà fra le due posizioni: l‟Opposizione chiedeva di abrogare il trattato del

1961 e di estendere i limiti della pesca a 50 miglia e di giurisdizione per l‟inquinamento a 100

miglia entro il primo Settembre 1972; il governo si limitava a creare una commissione avente il

compito di studiare la questione.

Le elezioni furono una chiara vittoria per i partiti d‟opposizione. Ólafur Jóhannesson, leader del

Partito Progressista, divenne il nuovo Primo Ministro e Lúðvík Jósepsson, Alleanza Popolare,

ottenne nuovamente l‟incarico di Ministro della Pesca. Pochi giorni dopo l‟inizio del suo mandato,

il nuovo governo emanò una risoluzione che ricalcava la proposta portata in parlamento nei mesi

precedenti, dichiarando nel contempo l‟intenzione di raggiungere un accordo con i partiti

d‟opposizione. Questo fu raggiunto nel Febbraio del 1972 solo al termine di lunghe discussioni. La

risoluzione parlamentare dichiarava che la piattaforma continentale e le acque soprastanti ad essa

erano sottoposte a giurisdizione nazionale e che era intenzione del governo Islandese procedere con

l‟estensione fino al limite di 50 miglia valido dal 1 Settembre 1972. In base al cambiamento di

numerose circostanze i trattati stipulati con Gran Bretagna e Germania Federale del 1961 non erano

più considerati vincolanti per l‟estensione; il governo Islandese s‟impegnava comunque a prodigarsi

per il raggiungimento di un altro accordo con i governi di questi paesi prima dell‟entrata in vigore

del nuovo limite. In futuro sarebbe continuata la cooperazione con i governi d‟altri paesi in materia

di controllo dell‟inquinamento dei mari ed una permanente commissione di biologi marini avrebbe

avuto il compito di monitorare la situazione delle riserve vive del mare e di proporre le necessarie

misure per la loro conservazione, misure che il governo Islandese s‟impegnava a rendere operative.

Il contenuto della dichiarazione finale era espresso in un tono meno aspro di quello della proposta

governativa. Veniva soprattutto sottolineata l‟intenzione di cercare un accordo coi governi

Britannico e Tedesco. Questo era il prezzo pagato dal governo Islandese per ottenere il consenso e

l‟appoggio dei partiti d‟opposizione. La necessità di quest‟accordo risiedeva nel fatto che la

coalizione governativa era assolutamente consapevole del fatto che la nuova espansione avrebbe

trovato una fiera opposizione da parte della Gran Bretagna e della Germania Federale ed era quindi

necessario avere la più completa compattezza all‟interno del parlamento88

. L‟estate precedente il

governo aveva infatti già notificato ai colleghi Britannici e Tedeschi l‟intenzione di procedere con

una nuova estensione, sottolineando il fatto che esso non si sentiva obbligato a rispettare i vincoli

del trattato del ‟61. Nella loro risposta entrambi i governi avevano protestato contro la decisione

islandese dichiarando il vecchio trattato legalmente in vigore e la loro intenzione di rivolgersi alla

Corte Internazionale di Giustizia. Nel tentativo di raggiungere un accordo il Ministro degli Esteri

Einar Ágústsson s‟incontrò nell‟Agosto del ‟71 con i colleghi Joseph Godberg e Sigismund von

88

Ibid. pp. 126-128

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Braun. In questi incontri egli espose quelle che erano le principali motivazioni dell‟estensione: il

declino degli stock e la speciale importanza della pesca nell‟economia nazionale. Per contrastare le

accuse d‟illegalità dell‟espansione egli sottolineò il fatto che questa poteva essere per sua natura

solo unilaterale e come non esistesse una legge che definiva l‟ampiezza dei limiti, essendo questi

compresi fra 3 e 200 miglia nel panorama internazionale. La scelta del limite di 50 miglia veniva

esplicata dimostrando come questo corrispondesse all‟estensione della piattaforma continentale

intorno all‟Islanda, e il diritto di sfruttamento del fondo marino della piattaforma continentale era

riconosciuto in campo internazionale. Il Ministro sottolineava anche come non si potesse aspettare il

raggiungimento di un accordo internazionale perché l‟esperienza degli anni precedenti aveva

dimostrato l‟inefficienza delle UNCLOS in materia e come l‟estensione avrebbe permesso il

riconsolidamento delle riserve vive, andando così anche a favore dei pescatori stranieri.

I governi Britannico e Tedesco non furono particolarmente colpiti dall‟esposizione del Ministro

degli Esteri Islandese e mantennero la loro posizione d‟opposizione. Le motivazioni sono

documentate dalla cosiddetta “White Paper” che i Ministri degli Esteri e dell‟Agricoltura Britannici

presentarono al loro parlamento nel Giugno del ‟73. In questo si facevano chiari riferimenti ai

colloqui avuti con Ágústsson e si controbatteva ciascuno degli argomenti islandesi. Innanzi tutto il

trattato del 1961 non prevedeva che potesse essere terminato in seguito al “cambiamento di

circostanze”. Secondariamente, il limite di 50 miglia non aveva nessun presupposto legale e tanto

meno poteva essere giustificato facendolo coincidere con la piattaforma continentale; la legge

internazionale divideva infatti esplicitamente quello che era lo sfruttamento del fondo marino

coincidente con la piattaforma da quello che era l‟utilizzo delle acque soprastanti. Non poteva

essere accettata inoltre la scusante che altri stati avevano adottato limiti anche maggiori. Veniva

inoltre contestato lo scopo conservativo dell‟espansione, quando era chiaro che gli Islandesi erano

tra i primi responsabili dell‟eccessivo sfruttamento che aveva portato alla quasi completa scomparsa

delle aringhe nelle acque intorno alla loro costa.

Il governo Islandese era quindi più che consapevole, visto l‟opposizione ricevuta, della possibilità

di una nuova cod war, per affrontare la quale era necessario il supporto di tutta l‟opinione pubblica.

Questo poteva essere garantito dall‟accordo con l‟Opposizione. Ancora una volta l‟opinione politica

era molto divisa prima del raggiungimento della decisione finale, ma una volta raggiunta l‟unità ed

il supporto nazionale erano completi, come nel 1958.

Il governo raggiunse l‟accordo con l‟Opposizione a metà Febbraio del 1972, il 14 Luglio, la

risoluzione venne legiferata e la nuova norma doveva entrare in vigore dal Primo Settembre.

Nell‟Aprile il governo Britannico, seguito nel mese successivo da quello Tedesco, si rivolse alla

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Corte Internazionale di Giustizia chiedendo di dichiarare l‟espansione contraria alla legislazione

internazionale e di procedere contro i colleghi Islandesi. Consapevoli del fatto che la Corte non

sarebbe stata in grado di raggiungere un verdetto prima del 1 Settembre, e di fatto essa lo raggiunse

solamente nel Luglio del ‟74 dopo che i governi d‟Islanda e di Gran Bretagna avevano già trovato

un accordo, essi chiesero inoltre di instaurare delle misure temporanee di protezione per i loro

pescherecci. Nel Agosto del 1972 la Corte decretò che, per tutta la durata dell‟inchiesta, il limite di

50 miglia non aveva validità per i pescatori Britannici e Tedeschi, i quali dovevano in cambio

limitare il loro pescato rispettivamente a 170.000 e 119.000 Ton. Il governo Islandese dichiarò di

non riconoscere l‟autorità della Corte di Giustizia per una questione di fondamentale importanza

nazionale come quella dei limiti della pesca e protestò aspramente contro le misure da essa ordinate,

considerando insufficienti le limitazioni di pescato. Contemporaneamente i membri della coalizione

governativa si resero fautori di un‟attiva politica diplomatica, tesa a guadagnare un certo supporto

internazionale. Fra l‟Agosto ed il Settembre ‟72 degli accordi vennero raggiunti coi governi d‟Isole

Faroe e Belgio, seguiti l‟anno successivo da quello con il governo Norvegese. In questi trattati

l‟Islanda garantiva diritti di pesca per alcuni pescherecci in determinate zone poste all‟interno delle

50 miglia. Gli accordi erano in tutti i casi di breve durata, ma successivamente furono prolungati,

con lievi modificazioni dovute alla successiva estensione dei limiti della pesca islandesi (1975-76).

Ciò che successe alla vigilia del primo Settembre fu per certi versi simile agli eventi del 1958. Alla

mezzanotte del 31 Agosto tutti i pescherecci stranieri, ad eccezione di quelli britannici e tedeschi,

lasciarono le acque islandesi. I capitani britannici che operavano all‟interno delle 50 miglia

provvidero a coprire o cancellare i nomi ed i numeri di registrazione della loro imbarcazione; molti

di essi esposero insieme alla bandiera britannica la Jolly Roger, il famoso simbolo dei pirati. I

capitani tedeschi erano invece meno “militanti” dei colleghi inglesi e generalmente operarono in

zone più lontane dalla costa, spesso al di fuori del nuovo limite. Ciò era dovuto al fatto che essi

pescavano specialmente pesce persico e merlano, i cui banchi vivevano in zone più lontane dalla

costa rispetto a quelli di merluzzo ed eglefino, specie predilette dai pescatori britannici89

.

I compiti della guardia costiera, la cui flotta era stata decisamente modernizzata e migliorata

rispetto alla prima cod war, erano quelli di impedire l‟attività dei pescherecci stranieri all‟interno

del limite e cercare di arrestare coloro che lo violavano. Allo scopo di disturbare l‟attività di pesca

degli stranieri una speciale arma era stata data in dotazione alle imbarcazioni della guardia costiera

già nel 1959, ma non era stata utilizzata nella prima cod war poiché il governo Islandese temeva che

il suo utilizzo poteva compromettere l‟esito dei negoziati che erano stati avviati col governo

Britannico. Questa era una specie d‟arpione e prendeva il nome di “trawl wire cutter”

89

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 204-206

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Inizialmente la guardia costiera doveva avvertire il peschereccio che esso stava operando in

violazione della legge islandese e che doveva ritirare le reti e lasciare l‟area delle 50 miglia. Se non

riceveva una risposta positiva all‟avvertimento, la guardia costiera doveva immergere nell‟acqua il

wire cutter e poi navigare a tutta velocità e approssimativamente ad angolo retto dietro la poppa del

peschereccio straniero. Ciò avrebbe permesso di tagliare i supporti che reggevano la rete a strascico,

comportando la perdita di questa e di tutto il pescato raccolto. La nuova arma fu resa efficacemente

operativa sin dai primi giorni del conflitto. In totale per tutta la durata del conflitto 84 pescherecci

subirono lo speciale trattamento, 69 britannici e 15 tedeschi. Il successo dell‟operazione diventa

chiaro se si considera che nel ‟73 46 pescherecci britannici e 12 tedeschi operavano mediamente in

acque islandesi. Il primo caso di wire cutting avvenne già il 5 Settembre, coinvolgendo la guardia

costiera Ægir ed il peschereccio britannico Peter Scott, che navigava esponendo la bandiera

pirata.90

La nuova arma islandese colse completamente di sorpresa i capitani dei pescherecci stranieri. La

loro prima reazione fu quella di difendersi tentando di speronare le imbarcazioni della guardia

costiera, ma ciò non impedì a quest‟ultime di continuare il loro lavoro. La prima collisione di questo

tipo avvenne il 18 Ottobre quando il trawler inglese Aldershot speronò l‟Ægir trenta miglia al largo

delle coste islandesi91

. Un secondo incidente avvenne il 28 Dicembre fra il peschereccio britannico

Brucella e l‟Óðinn, seguito nell‟anno successivo da innumerevoli altri scontri92

.Un‟altro metodo

utilizzato dai pescherecci era quello di pescare in coppia: mentre un trawler pescava, l‟altro, che gli

navigava affiancato, cercava di proteggerlo dagli assalti della guardia costiera. Ciò era

particolarmente improduttivo poiché il fishing effort veniva dimezzato, inoltre navigare affiancati

era particolarmente pericoloso in situazioni di mare mosso e non pochi furono gli episodi di

collisione fra gli stessi pescherecci. Incapaci di contrastare l‟efficace lavoro della guardia costiera i

capitani dei pescherecci britannici si rivolsero ben presto al loro governo chiedendo l‟intervento

protettivo della Royal Navy. L‟esperienza delle polemiche suscitate nella prima cod war dalla

decisione di intervenire con la forza militare consigliò però al governo Britannico di agire più

cautamente. Era necessario evitare l‟accusa d‟attacco militare verso un alleato NATO, che già

aveva posto in notevole imbarazzo l‟amministrazione di Sua Maestà negli anni precedenti. Il

governo decise quindi di mandare a supporto dei pescherecci quattro rimorchiatori, imbarcazioni

più grosse e robuste dei trawlers e quindi maggiormente adatte a contrastare la guardia costiera

islandese. Ben presto fu chiaro che il loro compito principale era quello di speronare le

90

The new York Times 7 Settembre 1972, p. 9:1 e The Times 6 Settembre 1972, p. 6d 91

The New York Times 22 Ottobre 1972, p. 24:3 e The Times 19 Ottobre 1972, p. 1d 92

The Times 29 Dicembre 1972, p. 4d

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imbarcazioni della guardia costiera che si avvicinavano ai trawlers, tentando di danneggiarle e

renderle così inoperative per qualche tempo.

Nei primi mesi del 1973 la situazione si fece sempre più grave. I casi di speronamento e collisioni

fra le imbarcazioni della guardia costiera ed i trawlers e rimorchiatori britannici si moltiplicarono;

incidenti, seppur meno cruenti, avvennero anche coi pescherecci tedeschi.

Il 24 Aprile, la tensione raggiunse livelli mai toccati in precedenza93

. L‟Árvakur, imbarcazione della

guardia costiera, operò un‟efficace operazione di wire cutting ai danni del trawler Safa-Foiss 30

miglia al largo della costa occidentale islandese. Successivamente venti pescherecci britannici

allineati in quella che si potrebbe definire una formazione da guerra si lanciarono al suo

inseguimento, cercando di speronarla. Il Thór arrivò allora in suo soccorso, sparando numerosi colpi

a salve, ed entrò duramente in collisione coi pescherecci Brucella e St. Lager. Nello stesso tempo

gli uomini dell‟equipaggio dell‟Árvakur, intimoriti dalle dimensioni dell‟assedio a cui erano

sottoposti, fecero ricorso ai fucili sparando dei colpi d‟avvertimento. Fortunatamente questi furono

sufficienti per far allontanare i pescherecci britannici, evitando così che la situazione degenerasse

ulteriormente. Nelle ore successive veementi proteste vennero presentate all‟ONU da entrambe le

parti.

In quegli stessi giorni venne presentato all‟ONU dal governo Islandese uno studio che riguardava il

pescato britannico in acque islandesi nel periodo di Marzo-Aprile94

. In questo si sottolineava il

continuo aumento del numero effettivo di pesci pescati a scapito di una diminuzione del peso totale

del pescato. Ciò significava che la pesca britannica interessava sempre maggiormente pesce più

piccolo e giovane. Questa era una diretta conseguenza del fatto che per sopperire al calo di pescato

dovuto all‟attività della guardia costiera i trawlers britannici avevano cominciato ad utilizzare delle

reti a maglie più strette. I rappresentanti islandesi, citando dati ricavati dalle statistiche ufficiali

britanniche, puntualizzarono il fatto che l‟86% del pescato portato a Grimsby era costituito da

merluzzi immaturi, che mai avrebbero avuto la possibilità di riprodursi, ed accusarono apertamente

i pescatori britannici di aggravare la già difficile situazione degli stock.

Nel Maggio del 1973 i pescatori britannici cominciarono ad apparire stufi della situazione in cui si

trovavano. I rimorchiatori erano poco efficaci nel proteggere i pescherecci dagli assalti della guardia

costiera e spesso i viaggi si rivelarono inutili, poiché i trawlers erano costretti a rientrare in patria

per sostituire o riparare le reti danneggiate. La quantità di pescato continuava a diminuire, anche per

la bassa resa data dal pescare prestando continuamente attenzione ai movimenti delle imbarcazioni

93

The Times 25 Aprile 1973, p. 1b 94

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 142

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islandesi. Le richieste per avere la protezione della Royal Navy si fecero allora più pressanti. Il 17

Maggio, la maggior parte dei pescherecci della flotta britannica navigarono al di fuori del limite di

50 miglia dichiarando che avrebbero interrotto la pesca in acque islandesi fino a che il governo non

si sarebbe deciso a mandare le navi militari in loro aiuto95

. Voci in supporto dei pescatori vennero

levate nelle ore successive dai rappresentanti dell‟industria e delle Unioni Sindacali del settore della

pesca, nonché da una parte di Parlamentari con a capo i Ministri della Pesca ed Agricoltura e della

Difesa. Il giorno successivo il Ministro della Difesa Britannico diede ordine alle fregate militari di

appostarsi al di fuori del limite delle 50 miglia e di tenersi pronte ad intervenire,

contemporaneamente qualche peschereccio ricominciava la sua normale attività. Il 19 Maggio 1972,

il governo Britannico, dopo prolungate discussioni, riuscì ad avere l‟appoggio della maggioranza

del parlamento e ordinò alle navi militari di entrare all‟interno del limite contestato.

Nelle ore successive tutti i trawlers britannici che avevano aderito alla protesta si riportarono

nell‟area delle 50 miglia e ricominciarono la loro attività di pesca. Come nella precedente cod war

essi avevano l‟ordine di pescare in determinate zone ai margini delle quali operavano le fregate ed i

rimorchiatori, col compito di impedire alla guardia costiera islandese di avvicinarsi ad essi.

La potenza militare e protettiva utilizzata nella seconda cod war è riportata nelle tabelle successive.

Tab.11 Potenza navale britannica 1972-73

Fregate Ton. Equipaggio Rimorchiatori Ton. Equipaggio

(stima)

Navi

ausiliarie

Ton. Equipaggio

(stima)

Astanti 2.700 253 Englishman 574 15 Miranda 1.462 15

Cleopatra 2.860 263 Irishman 451 15 Othello 1.113 15

Jaguar 2.520 235 Lloydsman 2.041 15 RangerBriseis 982 15

Jupiter 2.860 263 Statesman 1.167 15

Lincoln 2.170 237

Plymouth 2.800 235

Scylla 2.860 263

Totale 18.870 1.749 4.233 60 3.557 45

95

The New York Times 18 Maggio 1972, p. 75:4; 19 Maggio 1972, p. 7:1 e 20 Maggio 1972, p. 13:5

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Tab.12 Potenza navale islandese 1972-73

Imbarcazioni

guardia

costiera

Ton. Equipaggio Baleniere

temporaneamente

convertite

Ton. Equipaggio

Ægir 927 25 Hvalur 8 481 19

Óðinn 882 25 Hvalur 9 611 19

Thór 693 25

Árvakur 381 14

Albert 201 12

Totale 3.084 101 1.092 38

Fonte: Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp. 216-217

Se si considera che nell‟area operavano anche sette imbarcazioni di supporto tedesche, per un totale

di 4.176 Ton. e 150 uomini, ed un numero medio di 65 trawlers, la bilancia della potenza navale era

fortemente a sfavore dell‟Islanda. Erano inoltre impiegate anche delle forze aeree. Diversi aerei

Nimrod britannici avevano il compito di tenere informati i capitani delle flotte sui movimenti della

guardia costiera, mentre alcuni piccoli aerei islandesi dovevano occuparsi del monitoraggio delle

imbarcazioni stranieri presenti all‟interno del limite di 50 miglia.

Le misure di protezione navale britanniche nel complesso non ebbero, così come nella prima cod

war, un esito molto positivo96

. La pesca concentrata in speciali zone era altamente improduttiva e le

navi militari non riuscirono a bloccare le operazioni di wire cutting della guardia costiera. La

maggior parte delle imbarcazioni islandesi erano più veloci sia dei trawlers che dei rimorchiatori e

generalmente si rivelarono più robuste delle fregate, essendo progettate e costruite per navigare nel

ghiaccio. Dopo le collisioni, le imbarcazioni islandesi erano spesso molto danneggiate, ma la

maggior parte delle volte le fregate avevano la peggio, essendo costrette a ritornare in patria per le

necessarie riparazioni. Il fattore che più di tutti giocò a favore della guardia costiera era però il fatto

che le navi militari non avevano il permesso di usare il loro potenziale bellico. La cod war più che

un conflitto militare era una gara di navigazione. Ed in questo gli Islandesi, che conoscevano alla

perfezione le insidie del mare al largo delle loro coste, erano sicuramente avvantaggiati.

96

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 206-208

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Tab.13 Collisioni Anglo-Islandesi in acque islandesi 1972-73

Data Imbarcazioni

18/10/1972 Ægir / Aldershot

28/12/1972 Óðinn / Brucella

23/04/1973 Thór / St. Leger

01/06/1973 Árvakur / Irishman + Belgaum, Vivaria, Scylla

07/06/1073 Ægir / Scylla

21/06/1973 Óðinn / Lloydsman

17/07/1973 Ægir / Lincoln

19/07/1973 Óðinn / Arethusa

02/08/1973 Albert / Lloydsman

11/08/1973 Óðinn / Andromeda

29/08/1973 Ægir / Apollo

10/09/1973 Thór / Jaguar

22/09/1973 Ægir / Lincoln

27/09/1073 Thór / Whitby

Fonte: Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 220

La reazione diplomatica islandese all‟entrata in gioco della Royal Navy non si fece attendere. Nel

pomeriggio del 19 Maggio formali proteste vennero consegnate all‟Ambasciatore Britannico a

Reykjavík97

. In queste si condannava l‟aggressione britannica contro un alleato NATO che tentava

di proteggere la sua unica risorsa vitale. La questione dell‟appartenenza di entrambi i paesi

all‟Alleanza Atlantica diventò da questo momento la chiave politica del comportamento Islandese.

La coalizione governativa, ricordiamo, era composta dal Partito Progressista, dall‟Alleanza

Popolare e dalla Sinistra Liberale. Questi partiti erano, specialmente l‟Alleanza Popolare di stampo

Socialista, contrari alla presenza militare straniera in territorio islandese e degli alleati piuttosto

freddi per la NATO. Nel loro programma elettorale del 1971 era sottolineata l‟intenzione di avere

una revisione del trattato sulla base militare di Kefvavík (1951), di modo che le forze militari

straniere fossero costrette a lasciare l‟Islanda entro i quattro anni di durata del mandato governativo.

Sottolineando che l‟aggressione era ai danni di un alleato, il governo Islandese richiamava il

problema della base militare e del trattato del 1951 ed intendeva esercitare forti pressioni sugli altri

Alleati per ottenere aiuto diplomatico nella risoluzione della cod war.

97

Ibid. pp. 208-210

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Significativamente la prima reazione islandese al coinvolgimento della Royal Navy fu diretta

contemporaneamente contro il Regno Unito e la NATO. Già nella giornata del 19 Maggio, infatti, il

Primo Ministro Johannesson informò la controparte britannica che da quel momento era vietato

l‟atterraggio degli aerei britannici a Keflavík poiché essi non si erano limitati a svolgere i loro

compiti NATO, ma erano anche stati utilizzati per spiare i movimenti della guardia costiera

islandese98

. Quattro giorni dopo, il bando fu esteso a tutti gli aerei britannici usanti attrezzature ed

agevolazioni islandesi e agli aerei militari fu proibito il sorvolo e l‟atterraggio nel territorio

nazionale99

.

Il 21 Maggio, l‟Ambasciatore Islandese a Londra N. Sigurdsson fu richiamato in patria per

“consultazioni”. Prima della sua partenza egli presentò ulteriori proteste al governo Britannico in

cui si precisava che nessun tipo d‟accordo sarebbe stato possibile fino a che la Royal Navy

continuava a manovrare in acque islandesi. La fuoriuscita delle navi militari dai limiti della pesca

islandesi era anche la condizione necessaria per terminare il bando d‟atterraggio per gli aerei

britannici100

.

Il 25 Maggio, una folla di più di 15.000 dimostranti assalirono la residenza dell‟Ambasciatore

Britannico a Reykjavík e tempestarono le finestre con il lancio di pietre ed altri oggetti contundenti,

ferendo diversi componenti dello staff amministrativo. I manifestanti protestavano contro la

presenza della Royal Navy in acque islandesi e richiedevano l‟intervento della NATO contro

l‟alleato-aggressore. G. Hallgrimsson, loro leader, dichiarò che in caso di mancato intervento

NATO era plausibile una fuoriuscita islandese dall‟Alleanza101

. Il giorno successivo componenti del

Gabinetto governativo Islandese si recarono dall‟Ambasciatore J. McKenzie presentando formali

scuse e condannando l‟atteggiamento dei manifestanti102

.

Il 28 Maggio, l‟Alþing decise di presentare speciali richieste d‟intervento al Segretario Generale

della NATO ed al North Atlantic Council. In esse si sottolineava il carattere difensivistico della

partecipazione islandese alla NATO e come questa era obbligata ad intervenire contro un attacco

navale allo stato Islandese, seppur proveniente da un altro membro dell‟Alleanza.

Contemporaneamente il rappresentante islandese alle Nazioni Unite faceva circolare una nota

sull‟argomento all‟interno del Concilio di Sicurezza richiedendo un suo intervento nella vicenda103

.

Entrambe le richieste islandesi non ebbero una pronta risposta. Alla fine del mese s‟incontrarono

98

The New York Times 21 Maggio 1973, p. 18:7 e The Times 21 Maggio 1973, p. 1a 99

The New York Times 24 Maggio 1973, p. 2:8 e The Times 24 Maggio 1973, p. 6c 100

The New York Times 22 Maggio 1973, p. 3:4 ; The Times 22 Maggio 1973, p. 1d e The Times 23

Maggio 1973, p. 7a 101

The New York Times 25 Maggio 1973, p. 3:5 102

The New York Times 26 Maggio 1973, p. 6:4 103

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

144-145

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123

per discutere la questione i Presidenti Nixon e Pompidou, con entrambi i Primi Ministri Islandese e

Britannico. Ciò che scaturì dalle discussioni fu soltanto una generale presa di coscienza delle

posizioni dei contendenti ed una promessa di fare il possibile per aiutare lo sviluppo di negoziati

che risolvessero il conflitto. Contemporaneamente la tensione diplomatica raggiunse il suo primo

culmine quando, il 30 Maggio, un diplomatico Britannico, M. Elliott, venne espulso dall‟Islanda

perché accusato di svolgere attività di spionaggio fornendo importanti informazioni sui movimenti

della guardia costiera all‟interno delle 50 miglia ai capitani della Royal Navy104

.

I mesi estivi videro una continua escalation degli incidenti in mare. Gli scontri fra la guardia

costiera e le navi militari e di supporto britanniche si fecero sempre più cruenti, accompagnate

dall‟estremizzazione delle differenti posizioni sugli organi d‟informazione. Particolare scalpore fece

la morte di un marinaio della guardia costiera avvenuta mentre questi stava riparando i danni subiti

dall‟imbarcazione in una collisione precedente. Questa tragedia era evidentemente un incidente sul

lavoro, ma i quotidiani islandesi non mancarono di presentarla come una diretta conseguenza della

collisione. L‟attività diplomatica era al contrario passata in secondo piano, ma con l‟estremizzarsi

del conflitto nuove manovre vennero preparate dal governo Islandese.

Il 6 Settembre esso informò il governo Britannico che a partire dal giorno 20 dello stesso mese

sarebbe stato negato alle navi ausiliarie il permesso di portare marinai malati o feriti nei porti

islandesi. Essi sarebbero dovuti essere trasportati solamente dalle imbarcazioni su cui erano

registrati come lavoratori. Ciò significava che, portando nei porti i loro uomini, i capitani dei

trawlers rischiavano l‟arresto per la violazione dei limiti territoriali islandesi105

.

Cinque giorni dopo, l‟11 Settembre, in un incontro di gabinetto il governo Islandese decretò una

risoluzione in cui si esponeva l‟intenzione di informare il governo Britannico del fatto che se gli

speronamenti delle fregate e dei rimorchiatori a danno della guardia costiera continuavano esso si

sentiva in obbligo di terminare ogni relazione diplomatica con il Regno Unito. Ai controllori di volo

islandesi sarebbe stato ordinato di non dare il necessario supporto agli aerei Nimrod britannici e

l‟Ambasciata Britannica a Reykjavík sarebbe stata chiusa. Il governo Britannico fu immediatamente

informato della decisione.

Il 22 settembre un altra violenta collisione avvenne fra la fregata Lincoln ed il vascello della guardia

costiera Ægir. Cinque giorni dopo una risoluzione del Gabinetto governativo informava il governo

di Sua Maestà che se la Royal Navy ed i rimorchiatori non avrebbero lasciato il limite di 50 miglia

entro il 3 Ottobre, la rottura delle relazioni diplomatiche tra Islanda e Regno Unito sarebbe

diventata effettiva, come annunciato dalla dichiarazione dell‟11 Settembre. Questa era una vittoria

104

The New York Times 31 Maggio 1973, p.13:1 105

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 210-213

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parlamentare del Partito Progressista poiché gli altri partiti della coalizione governativa avevano

invece richiesto che la rottura delle relazioni diplomatiche fosse immediata.

A questo punto la situazione aveva raggiunto uno stato talmente critico che il Segretario Generale

della NATO, Dr. Joseph Luins, decise d‟intervenire. Il 30 Settembre egli ebbe un incontro a Londra

col Primo Ministro Britannico, Mr Edward Heath. Purtroppo poco si sa del contenuto della

discussione, ma sicuramente Dr. Luins esercitò forti pressioni su Mr Heath perché si raggiungesse

un accordo, per il bene della NATO e della base militare di Keflavík. Ciò di cui siamo a conoscenza

certamente è che il giorno dopo alcuni ministri si incontrarono con i rappresentanti dell‟industria del

pesce britannica e che il 2 Ottobre Mr Heath spedì un messaggio al Primo Ministro Islandese

Jóhannesson invitandolo a Londra per negoziati ed informandolo della decisione di ritirare la Royal

Navy dalla zona contesa. Il 3 Ottobre 1973 tutte le navi militari ed i rimorchiatori britannici

lasciarono il limite contestato. Come già nella prima cod war, il governo Islandese non assicurò

ufficialmente che la guardia costiera avrebbe smesso di compiere il proprio dovere per impedire la

pesca dei trawlers britannici, ma nella pratica le operazioni di controllo vennero di molto limitate e

si cercò di evitare qualsiasi scontro che potesse pregiudicare l‟andamento dei negoziati106

.

I due Primi Ministri si incontrarono a Londra il 15 e 16 Ottobre 1973 nell‟intento di avviare dei

negoziati preliminari atti a trovare un accordo temporaneo che permettesse di raggiungere un certo

modus vivendi. Al termine degli incontri essi furono in grado di stabilire un accordo valido per due

anni. In questo si diceva che tutti i cosiddetti “vacuum-cleaner” britannici erano interdetti dalla

pesca dentro il limite di 50 miglia, così come per altri 30 trawlers, di cui 15 erano i più grossi della

flotta. Veniva stilata una lista di 139 pescherecci che avrebbero avuto il permesso di pescare fra le

12 e le 50 miglia, in caso di violazione dei limiti constatata sia dalla guardia costiera che dalle navi

ausiliarie britanniche i pescherecci venivano definitivamente cancellati dalla lista e non potevano

essere sostituiti da altri trawlers. Le due parti si accordavano su tre aree di conservazione delle

riserve vive: la prima, al largo della costa nord-occidentale, era bandita per tutto l‟anno ai pescatori

britannici, la seconda, al largo della costa meridionale, era chiusa dal 20 Marzo al 20 Aprile, la

terza, al largo della costa nord-orientale, veniva chiusa dal 1 Aprile al 1 Giugno d‟ogni anno. Tre

zone al largo rispettivamente della costa nord, est e ovest venivano destinate ai soli pescatori

islandesi operanti su barche a motore e il mare all‟interno del limite di 50 miglia veniva suddiviso

in 6 aree di pesca di cui almeno una a turno era interdetta ai trawlers britannici. La quantità totale di

pescato britannico consentita era stimata in 130.000 Ton..

La proposta trovò una certa opposizione all‟interno dell‟Alþing da parte dell‟Alleanza Popolare che

sosteneva che essa era stata decisa sotto la minaccia armata, ma, il 13 Novembre 1973, il

106

The New York Times 4 Ottobre 1973, p.17:1 e The Times 4 Ottobre 1973, p. 1a

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125

parlamento votò a favore di essa con 54 voti favorevoli e 6 contrari. Negli stessi giorni essa fu

accettata anche dal parlamento e dai rappresentanti dell‟industria del pesce Britannici. Il 14

Novembre, la seconda cod war Anglo-Islandese era formalmente finita.

Contrariamente alle aspettative islandesi questa volta un accordo con la Germania Federale non

venne stipulato107

. Un accordo definitivo venne infatti trovato solamente il 28 Novembre 1975,

durante la terza cod war. Fino a questo giorno i pescherecci tedeschi continuarono a pescare

all‟interno dei limiti della pesca islandesi e ad essere contrastati dalla guardia costiera. Nonostante

ciò il termine cod war non può realmente essere applicato anche alla disputa con la Germania

Ovest. Nessuna nave militare di questo paese fu infatti inviata a protezione dei pescherecci ed anche

gli scontri in mare furono più limitati e meno cruenti rispetto a quelli Anglo-Islandesi. L‟importanza

del conflitto con la Germania Federale per il governo Islandese risiedeva non tanto nei suoi risvolti

“bellici” e marittimi, quanto in quelli economici. Fin dall‟inizio della disputa entrambi i governi di

Gran Bretagna e Germania Federale avevano imposto un bando d‟approdo nei loro porti per le

imbarcazioni islandesi. Dopo l‟accordo raggiunto con il Regno Unito questo rimaneva ancora in

vigore per i porti tedeschi, chiudendo così un certo mercato per i prodotti islandesi.

Economicamente parlando, era però di maggior importanza la clausola imposta dai governi Tedesco

e Britannico per il commercio islandese nei paesi CEE. In questa si diceva che nessuna riduzione

speciale dei dazi doganali per l‟esportazione di pesce nei paesi Comunitari sarebbe stata applicata

per l‟Islanda fintanto che non sarebbe stato raggiunto un accordo soddisfacente per la risoluzione

della cod war. Il mancato accordo con la Germania Federale comprometteva quindi un mercato ben

più vasto di quello tedesco.

Abbiamo già visto quale sia l‟importanza del pesce per l‟economia islandese e come la situazione

d‟eccessivo sfruttamento stava portando la situazione delle riserve marine in uno stato molto critico.

Il problema del sovra-pescaggio era poi aggravato nei primi anni ‟70 dalla sempre più massiccia

comparsa di grandi pescherecci con installato a bordo i macchinari necessari per la lavorazione del

pesce, i cosiddetti vacuum cleaner. Questi erano delle piccole manifatture galleggianti con capacità

di pescato enormi, grazie soprattutto al fatto che il prodotto veniva lavorato in loco senza dover

essere riportato nei porti. Come abbiamo visto il trattato che terminava la prima cod war aveva

scatenato una serie di violenti proteste. Il risvolto politico della seconda cod war è una diretta

conseguenza di queste e del loro utilizzo nelle lotte parlamentari islandesi.

107

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p.

153

Page 127: “The Cod Wars” La questione della pesca e la nazione ...€¦ · FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in: storia contemporanea TITOLO DELLA TESI: “The Cod Wars”

126

L‟importanza economica della pesca in acque islandesi per l‟economia britannica era limitata in

senso nazionale, ma abbastanza forte per quanto concerneva i principali porti. E‟ indiscutibile

comunque che, così come nella prima cod war, l‟utilizzo della Royal Navy e la pesca in speciali

aree furono completamente antieconomici. Negli incontri avvenuti nell‟estate del 1972 i

rappresentanti islandesi proposero un accordo in cui si garantiva ai pescatori britannici la possibilità

di pescare il 75% della quantità di pescato del 1972, circa 156.000 Ton., escludendoli però da

determinate aree. Successivamente essi proposero un accordo in cui si prevedeva l‟instaurazione di

tre aree di cui una a turno chiusa ai pescatori britannici. Questi non potevano pescare inoltre in

un‟area compresa entro un limite di 24 miglia. Entrambe le proposte furono rigettate perché

considerate insoddisfacenti, ma col trattato del ‟73 i Britannici dovettero in realtà accontentarsi di

molto meno.

Una probabile motivazione del fatto che le proposte non vennero accettate è che i governi

Britannico e Tedesco contavano sulla validità delle misure temporanee instaurate dalla Corte di

Giustizia Internazionale e si sentivano quindi fortemente supportati dalla legislazione

internazionale. Il problema in questo caso fu rappresentato dal fatto che queste misure invece che

favorire l‟avvio di negoziati resero le due parti estremamente ferme sulle loro posizioni. Inoltre la

Corte non era in grado di risolvere la situazione per la vaghezza della stessa legislazione

internazionale in materia. Il giudizio finale, presentato nel 1974, dichiarava infatti solo il dovere

islandese di concedere diritti di pesca ai pescatori britannici e tedeschi, ma nessun commento

veniva riportato sulla validità del limite di 50 miglia.

L‟analisi dello sviluppo della legislazione internazionale fatta in precedenza ci ha mostrato come la

tendenza generale alla UNCLOS III del 1974 fosse per un limite di 200 miglia. La situazione era

però ben chiara già negli anni precedenti, ed anche su ciò si basava la decisione islandese di

estendere i limiti territoriali. Alla base della decisione dei rappresentanti dell‟industria del pesce

britannici di accettare il trattato risiedeva sicuramente anche questa consapevolezza, nonché la

stanchezza derivata dai lunghi mesi di conflitto.

Il trattato non era comunque definitivo. La sua validità, come abbiamo, visto era solo di due anni, al

termine dei quali nuovi negoziati sarebbero dovuti cominciare nella speranza che portassero ad una

decisione definitiva. In questo senso, nonché per i risvolti economici del “bando” tedesco e per lo

sviluppo della UNCLOS III, si può dire che esiste una certa sovrapposizione fra la seconda e la

terza cod wars. La questione dei limiti della pesca sarà infatti definitivamente risolta solamente alla

fine del 1976, dopo un‟ulteriore estensione islandese ed una nuova cod war.

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127

5.4 1975-76: la terza Cod War

Precedentemente abbiamo visto com‟esistesse una certa sovrapposizione fra la seconda e la terza

cod wars, dovuta al mancato accordo raggiunto con la Germania Federale, al carattere temporaneo

del trattato Anglo-Islandese ed allo sviluppo della legislazione internazionale nell‟UNCLOS III. Un

altro fattore, e forse il più decisivo, contribuisce a caratterizzare la continuità dei due conflitti: la

volontà degli Islandesi.

Fin dal 1969 i governi Islandesi si erano impegnati non solo nel generale supporto di limiti di

sfruttamento economico più ampi, ma anche in una loro definizione precisa, intesa essere quella di

200 miglia marine. Si voleva, inoltre, che lo spazio oceanico fosse contemplato come un‟unità

organica, interessando cioè contemporaneamente sia il fondale marino sia le acque sovrastanti ad

esso. Questi erano i contenuti espressi chiaramente dalle risoluzioni islandesi presentate negli

incontri del comité ONU per lo studio della regolamentazione dei fondali marini e,

successivamente, nell‟UNCLOS III108

. Il 13 Maggio 1974, il governo di Ólafur Jóhannesson

modificò la legge per la conservazione delle risorse della piattaforma continentale del 1948,

sostituendo a quest‟ultima le 200 miglia quale limite di demarcazione della giurisdizione nazionale.

L‟estensione fino a 50 miglia era in Islanda considerata solamente come un passo intermedio verso

quella a 200 miglia. Essa serviva per guadagnare supporto ed accettazione rispetto al limite di 200

miglia. Quando questo supporto cominciò a diventare chiaro, con l‟UNCLOS III, il governo

Islandese non mancò di crearsi i presupposti legali per giustificare l‟espansione. La nuova legge

garantì questi presupposti, ma per procedere con il nuovo allargamento bisognava prima aspettare

l‟esito delle votazioni del Giugno del 1974.

Il risultato delle elezioni fu un pareggio: sia la coalizione governativa sia l‟Opposizione ottennero

30 seggi nell‟Alþing109

. Il Governo di Sinistra fu così sciolto ed al suo posto ne fu istituito uno

formato dai partiti Indipendentista e Progressista. Il nuovo Primo Ministro fu Geir Hallgrímsson,

leader del Partito Indipendentista, Ólafur Jóhannesson divenne Ministro di Giustizia ed il suo vice

alla guida del Partito Progressista, Einar Ágústson, ottenne la carica di Ministro degli Esteri.

Il 29 Agosto, il governo presentò il suo programma politico nel quale si dichiarava, fra le altre cose,

la volontà di estendere i limiti della pesca fino alle 200 miglia marine nel corso dell‟anno

successivo. La regolamentazione fu legiferata il 15 Luglio 1975 e doveva essere in vigore dal 15

108

Ibid. pp. 155-157 109

Ibid. p. 158

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128

Ottobre chiudendo ai pescatori stranieri tutte le aree comprese nel limite di 200 miglia, eccezion

fatta per quelli britannici che avrebbero continuato a godere dei privilegi del trattato del „73 fino

alla data della sua scadenza, il 14 Novembre110

.

Le motivazioni dell‟estensione risiedevano principalmente nel continuo calo del pescato e degli

stock delle principali specie e trovavano una loro giustificazione negli sviluppi dell‟UNCLOS III. In

questa non era stata raggiunta una determinazione precisa e definitiva del limite di sfruttamento, ma

il generale supporto per quello delle 200 miglia era più che chiaro avendo esso guadagnato anche il

favore di quei paesi Europei che tradizionalmente erano contrari a dei limiti troppo ampi. Il

problema del sovra-pescaggio ebbe una determinazione precisa grazie al lavoro della speciale

commissione di biologi marini istituita dal governo Islandese negli anni precedenti. Questa fornì un

rapporto sullo stato della pesca a dir poco allarmante. In questo si sottolineava come gli stock delle

principali specie fossero tutti in declino e si presentava un approfondito studio su quello del

merluzzo, la specie economicamente più importante della pesca in acque islandesi111

. A partire dal

1954, il suo pescato era diminuito annualmente di circa 8.000 Ton. e preoccupanti segnali venivano

forniti dalla mortalità e dalla capacità riproduttiva medie dello stock. La mortalità dei giovani

merluzzi nelle zone di vivaio era di circa il 45% negli anni compresi fra le due Guerre Mondiali, era

scesa al 37 % durante la Seconda grazie al limitato sfruttamento, ma era poi salita costantemente

fino ad essere del 70% negli anni 1970-74. Il potenziale riproduttivo era sceso da una media di 2,5

volte nell‟arco di una vita nel 1945-49, alle 1,3 del 1970-74. Il pesce catturato continuava a

diventare sempre più piccolo e giovane, come dimostrava il fatto che, se fino agli anni ‟60 era facile

trovare nel pescato merluzzi di 17-18 anni, ora era una rarità che essi superassero i 12 anni di vita.

La continua crescita dell‟intensità di pesca degli anni precedenti non garantiva più ai merluzzi la

possibilità di crescere fino ad un‟ottimale dimensione di cattura.

Questi risultati furono poi confermati dallo studio di una commissione Anglo-Islandese instaurata

durante i negoziati del 1975112

. I biologi di entrambe le nazionalità concordavano sul fatto che

troppo pesce giovane era catturato e sulla necessità di limitare il pescato per permettere una lenta

ricostituzione degli stock. Differenti opinioni rimanevano sulla quantità di pescato massima di

merluzzo che doveva essere permessa nel 1976: per gli Islandesi questa non poteva superare le

230.000 Ton., mentre i Britannici calcolavano una quantità di 265.000 Ton.

110

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 218 111

Relazione del Ministro della Pesca 1975: “Cod War III between Iceland and Great Britain” pp. 17-

25 112

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” p. 222; per i negoziati The Times 25

Ottobre 1975, p. 4d e The Times 18 Novembre 1975, p. 1e

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129

Gli scienziati non dissero niente sulle modalità di divisione del pescato fra i pescatori delle diverse

nazionalità e ciò che successe poi fu una ripetizione degli eventi delle due precedenti cod wars. A

partire dal 15 Ottobre 1975 tutti i pescherecci stranieri lasciarono l‟area del nuovo limite, ad

eccezione di quelli tedeschi e britannici113

. Quest‟ultimi godevano ancora dei privilegi del vecchio

trattato, ma alla sua scadenza, un mese più tardi, non abbandonarono comunque le acque

islandesi114

. Ancora una volta i pescatori britannici si dimostrarono i più militanti, adottando le

stesse tecniche delle precedenti cod wars. I trawlers tedeschi si mantennero generalmente più

distanti dalla costa, spesso non invadendo le 200 miglia, e presto il governo Tedesco si pronunciò a

favore di una risoluzione del conflitto115

. Il 28 Novembre 1975, un trattato venne firmato dai

governi Islandese e Tedesco116

. Questo prevedeva diritti di pesca all‟interno delle 200 miglia per 40

trawlers tedeschi, nessuno dei quali del tipo vacuum-cleaner, per un massimo di 60.000 Ton., delle

quali non più di 5.000 in merluzzo. L‟accordo aveva validità per due anni, al termine dei quali esso

non fu rinnovato. Nei mesi successivi vennero avviati negoziati anche con altri paesi che portarono,

il 18 Maggio 1976, il parlamento Islandese ad approvare trattati con Belgio, Norvegia e Isole Faroe.

Ai pescherecci belgi era concesso un pescato di 6.500 Ton., delle quali non più di 1.500 potevano

essere di merluzzo; un certo numero d‟imbarcazioni norvegesi aveva il diritto di pescare con lenze

lunghe in determinate zone e per una quantità di pescato stabilita annualmente dalle autorità

Islandesi; il trattato con le Isole Faroe fu una semplice modificazione di quello precedente, adeguato

per i nuovi limiti.

La decisione britannica di non rispettare il nuovo limite era basata essenzialmente sui risultati

dell‟inchiesta iniziata dalla Corte di Giustizia Internazionale durante la cod war del 1972-73117

.

Questa terminò solamente nel Luglio del 1974 e, sebbene non facesse nessun commento

sull‟ampiezza dei limiti territoriali concessa dalla legge internazionale, sottolineava comunque il

fatto che l‟Islanda non aveva il diritto di estenderli unilateralmente chiudendo ai pescatori britannici

delle aree di pesca da essi tradizionalmente sfruttate. Sulla base del trattato del 1961, diritti di pesca

dovevano dunque essere garantiti ai pescherecci britannici fra le 12 e le 50 miglia. Come

conseguenza il governo Britannico sosteneva il proprio diritto di sfruttamento dell‟area compresa

dal limite di 200 miglia.

Le strategie navali dei due contendenti rispecchiarono quelle dei conflitti precedenti, ma questa

volta gli scontri furono ancora più violenti e pericolosi. La guardia costiera islandese poteva

113

The New York Times 16 Ottobre 1975, p. 5:1 e The Times 16 Ottobre 1975, p. 5d 114

The Times 15 Novembre 1975, p. 4a 115

The Times 21 Novembre 1975, p. 8e 116

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

178-179 117

Ibid. p. 135

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130

contare, in aggiunta alla tradizionale flotta, su due trawlers convertiti appositamente per

l‟occasione, nonché su di un numero maggiore d‟aerei da ricognizione118

. Il suo compito era sempre

quello di impedire la pesca ai trawlers stranieri, ricorrendo all‟uso del trawl wire cutter quando gli

avvertimenti orali non erano sufficienti a far ritirare le reti sui pescherecci. L‟evoluzione delle

misure protettive britanniche seguì quella delle precedenti cod wars. In principio, i trawlers

tentarono di resistere personalmente agli attacchi della guardia costiera. Dopo pochi giorni

d‟insuccesso il governo Britannico mandò un certo numero di rimorchiatori nella zona, col compito

di proteggere i pescherecci. Anche questa misura non si rivelò sufficiente a contrastare le operazioni

della guardia costiera, perciò il 24 Novembre 20 dei 40 pescherecci operanti nella zona si portarono

al di fuori del limite minacciando di non rientrarvi più se il governo non avesse mandato in loro

aiuto le imbarcazioni della Royal Navy119

. Dopo violente discussioni la linea dura prevalse

all‟interno del parlamento Britannico che votò a favore dell‟utilizzo delle navi militari, le prime

delle quali arrivarono nella zona il 26 Novembre120

. Le navi militari dovevano impedire alle

imbarcazioni della guardia costiera di avvicinarsi ai trawlers, che pescavano secondo il sistema

delle aree di aggregazione già utilizzato in passato. La differenza delle forze in campo è mostrata

dalle tabelle 14 e 15.

Tab. 14 Potenza navale islandese 1975-76

Imbarcazioni

guardia

costiera

Ton. Equipaggio Trawlers

temporaneamente

convertiti

Ton. Equipaggio

Týr 923 25 Baldur 741 22

Ægir 927 25 Ver 741 22

Óðinn 882 25

Thór 693 25

Árvakur 381 14

Albert 201 12

Totali 4.007 126 1.482 44

Fonte: Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p. 217

118

Ibid. pp.162-164 119

The Times 25 Novembre 1975, p. 1f 120

The Times 26 Novembre 1975, p. 1g

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131

Tab. 15 Potenza navale britannica 1975-76

Fregate Ton. Equip. Rimorchiatori Ton. Equip.

(stima)

Vascelli

supplementari

Ton. Equip.

Leander 2.450 251 Star Aquarius 849 15 Blue Rover 7.066 47

Galatea 2.450 251 Star Polaris 897 15 Green Rover 7.066 47

Naiad 2.450 251 Star Sirius 897 15 Olna 22.350 87

Juno 2.450 251 Lloydsman 2.041 15 Olwen 22.350 87

Andromeda 2.500 263 Typhoon 800 15 Plumleaf 18.562 87 (stima)

Bacchante 2.500 263 Euroman 1.182 15 Tidepool 17.400 110

Scylla 2.500 263 Roysterer 1.630 15 Tidereach 16.900 110(stima)

Diomede 2.500 263 Statesman 3.583 15 Othello 1.113 15 (stima)

Achilles 2.500 263 Rollicker 1.639 15 Miranda 1.462 15 (stima)

Brighton 2.380 235 Hausa 996 15 (stima)

Falmouth 2.380 235

Yarmouth 2.380 235

Eastbourne 2.150 225

Dundas 1.180 140

Exmouth 1.180 140

Gurkha 2.300 253

Tatar 2.300 253

Leopard 2.300 235

Salisbury 2.170 237

Mermaid 2.300 253

Lowestoft 1.380 235

Torquay 2.150 225

Totali 49.850 5.220 13.509 135 115.253 620

Fonte: Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp. 218-219

A questa comparazione vanno poi aggiunti diversi aerei Nimrod ed i trawlers operanti nell‟area, che

spesso coadiuvavano le navi militari nei tentativi di speronamento dei vascelli islandesi. Inoltre

bisogna considerare che non tutte le imbarcazioni britanniche erano presenti simultaneamente nella

zona. Le navi dovevano periodicamente ritornare nei porti per i necessari rifornimenti e riparazioni,

nonché per il riposo della truppa, e venivano di volta in volta sostituite con altre imbarcazioni.

Anche se sono state utilizzate 22 fregate britanniche, non più di sette di esse erano presenti

contemporaneamente nelle acque islandesi.

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132

L‟utilizzo di un così elevato numero d‟imbarcazioni ero un diretto effetto delle numerose e violente

collisioni. Ancora una volta, le imbarcazioni della guardia costiera si dimostrarono maggiormente

resistenti e le fregate dovettero tornare spesso ai porti di provenienza per le necessarie riparazioni.

Nella lotta con la guardia costiera islandese, i capitani della Royal Navy non avevano il permesso di

utilizzare il loro potenziale bellico e, come nei conflitti precedenti, non si trattò di una reale

battaglia militare, che sarebbe stata ovviamente a favore della Gran Bretagna, ma di una gara di

destrezza nella navigazione nelle insidiose acque islandesi.

Così come nelle precedenti cod wars, l‟utilizzo della Royal Navy si dimostrò estremamente

antieconomico121

. In incontri precedenti lo scoppio del conflitto, il governo Islandese aveva offerto

un accordo, sulla base di diritti di pesca garantiti ai pescatori britannici per una quantità massima di

pescato di 65.000 Ton.. Il governo Britannico si era dichiarato disposto a limitare il pescato solo

fino alle 110.000 Ton. ed i negoziati si rivelarono inconcludenti. Durante il periodo della cod war, i

trawlers britannici riuscirono a catturare solamente 45.000 Ton. di pescato. I costi di mantenimento

e riparazione delle navi militari superavano così di molto i guadagni derivati dal pescato. Un ruolo

particolarmente sfavorevole fu giocato inoltre dal morale dei pescatori. Essi si dimostrarono poco

resistenti alle tensioni del conflitto, forse perché le esperienze passate avevano dimostrato come

questo potesse essere lungo ed infruttuoso. Molti capitani preferirono ben presto cercare nuove aree

di pesca in altre acque distanti o più semplicemente si direzionarono verso quelle faroensi.

La guardia costiera islandese riuscì nei sei mesi e mezzo del conflitto a tagliare le reti di 46 trawlers

britannici e 9 tedeschi. Gli speronamenti furono considerevolmente più violenti che nelle cod wars

precedenti. Spesso il confronto fra le imbarcazioni si prolungava per più ore durante le quali

avvenivano diversi contatti, come mostra la tabella 16.

Tab. 16 Collisioni Anglo-Islandesi in acque islandesi 1975-76

Data Imbarcazioni Numero di volte

6/12/1975 Thór / Euroman 1

11/12/1975 Thór / Star Aquarius 1

11/12/1975 Thór / Llyodsman 2

28/12/1975 Týr / Andromeda 1

7/1/1976 Thór / Andromeda 1

9/1/1976 Thór / Leander 1

19/1/1976 Ægir / Lord Jellicoe 1

121

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” p.

164

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133

Tab. 16 Collisioni Anglo-Islandesi in acque islandesi 1975-76

Data Imbarcazioni Numero di volte

6/2/1976 Týr / Juno 2

12/2/1976 Baldur / Diomede 1

17/2/1976 Thór / Lowestoft 1

24/2/1976 Thór / Yarmouth 3

24/2/1976 Týr / Scylla 1

28/2/1976 Baldur / Yarmouth 1

10/3/1976 Baldur / Diomede 1

12/3/1976 Thór / Mermaid 3

12/3/1976 Týr / Juno 3

13/3/1976 Týr / Diomede 1

26/3/1976 Baldur / Galatea 1

27/3/1976 Baldur / Diomede 4

1/4/1976 Týr / Salisbury 5

1/4/1976 Týr / Tartar 2

3/4/1976 Óðinn / Scylla 1

24/4/1976 Týr / Naiad 1

26/4/1976 Ægir / Euroman 1

28/4/1976 Ver / Statesman 1

30/4/1976 Óðinn / Artic Corsair 1

6/5/1976 Týr / Falmouth 3

6/5/1976 Baldur / Mermaid 1

6/5/1976 Óðinn / Gurkha 3

7/5/1976 Óðinn / Gurkha 1

20/5/1976 Ægir / Salisbury 1

22/5/1976 Ægir / Tartar 1

22/5/1976 Ver / Leander 1

22/5/1976 Baldur / Eastbourne 1

26/5/1976 Ægir / Tartar 1

Totale 35 55

Fonte: Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp. 220-221

Come si può notare, i casi di collisione sono stati numerosi e ripetuti. Alcuni di essi sono

particolarmente importanti per le conseguenze che hanno portato sull‟opinione pubblica. Il 7

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134

Gennaio 1976, la fregata Andromeda, 2.500 Ton. con una velocità massima di 30 Nodi ed un

equipaggio di 263 uomini, speronò violentemente il vascello Thór, 633 Ton. con una velocità di 19

Nodi e 25 uomini a bordo, che rischiò di capovolgersi122

. L‟incidente suscitò molto scalpore in

Islanda e, come conseguenza, il governo Islandese deliberò la decisione di recidere ogni legame

diplomatico con il Regno Unito in caso d‟ulteriori collisioni.

La notte compresa fra il 6 ed il 7 Maggio 1976 è passata alla storia come la peggior nottata di tutte

le cod wars. Diverse imbarcazioni furono protagoniste di prolungati incidenti per un totale di 8

collisioni123

. Particolarmente violento fu lo scontro fra l‟Óðinn ed il Gurkha che, dopo un iniziale

attacco sfociato in ben tre collisioni, si prolungò per tutta la notte, comportando poi un successivo

scontro.

Notevole scalpore fece anche uno degli ultimi incidenti, quello avvenuto fra il Ver ed il Leander il

22 Maggio 1976, per la gravità dei danni riportati dall‟imbarcazione islandese124

. Questa vide parte

della cabina di pilotaggio e del ponte andare completamente distrutti. L‟opinione pubblica

islandese, capeggiata dal capitano del Ver, accusò apertamente il capitano della fregata di tentato

omicidio.

Anche la reazione islandese, all‟arrivo della Royal Navy all‟interno delle acque comprese nel nuovo

limite, fu essenzialmente simile a quella del conflitto precedente.

L‟annuncio britannico della decisione di utilizzare le navi militari fu ovviamente seguito dalle

proteste presentate dal governo Islandese. In queste si menzionava la possibilità di arrivare ad una

rottura delle relazioni diplomatiche.

Il 26 Novembre, in concomitanza con l‟arrivo delle prime fregate, l‟Alþing approvò un decreto che

sanciva la chiusura degli spazi aerei degli aeroporti e dei porti nazionali per i velivoli e le navi

ausiliarie britanniche, eccezion fatta per particolari situazioni di emergenza125

.

Il giorno successivo, mentre erano in corso i negoziati col governo Tedesco, una folla di circa 5.000

manifestanti protestò di fronte agli edifici dell‟Ambasciata Britannica a Reykjavík. Al termine della

manifestazione circa 150 giovani cominciarono a tempestare le finestre dell‟edificio con il lancio di

pietre, uova e palle di neve, senza però causare feriti126

.

Il 28 Novembre, in conclusione dei negoziati avviati con Germania Federale e Belgio, il governo

Islandese minacciò apertamente la fuoriuscita dalla NATO e la chiusura della base americana di

122

The Times 8 Gennaio 1976, p. 5c e fotografia p. 1 123

The Times 8 Maggio 1976, p. 1c 124

The Times 24 Maggio 1976, p. 5b 125

The New York Times 27 Novembre 1975, p. 14:1 e The Times 27 Novembre 1975, p. 1b 126

The New York Times 28 Ottobre 1975, p. 23:8 e The Times 28 Ottobre 1975, p. 1h

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135

Keflavík nel caso in cui il governo Britannico non avesse richiamato il prima possibile la Royal

Navy127

. La dichiarazione non ebbe seguito fino all‟inizio del nuovo anno.

Il 7 Gennaio 1976 avvenne il già citato incidente fra l‟Andromeda e il Thór, il giorno successivo il

Gabinetto governativo passò una risoluzione in cui si dichiarava l‟intenzione di rompere le relazioni

diplomatiche con la Gran Bretagna in caso di un‟ulteriore collisione. Si dichiarava inoltre

l‟intenzione di appellarsi al Concilio di Sicurezza ONU ed una richiesta d‟intervento veniva fatta al

Dr. Joseph Luins, Segretario Generale NATO128

. Questi arrivò a Reykjavík il 14 Gennaio per

discutere la situazione, e successivamente s‟incontrò a Bruxelles col Ministro degli Esteri

Britannico.

Il 19 Gennaio il governo Islandese informò i colleghi Britannici che se entro la mezzanotte del 24

Gennaio essi non avessero richiamato la Royal Navy, il provvedimento di rottura diplomatica

sarebbe stato messo in atto con la chiusura dell‟Ambasciata Britannica in Islanda. Come

conseguenza a quest‟annuncio, e grazie alle pressioni esercitate dal Dr. Luins, il parlamento

Britannico decise immediatamente di richiamare le navi militari ed invitò a Londra il Primo

Ministro Islandese G. Hallgrimsson per avviare dei negoziati.

I due Primi Ministri s‟incontrarono a Londra dal 23 al 27 Gennaio, ma i negoziati si rivelarono

ancora una volta inconcludenti. Il 3 Febbraio G. Hallgrimsson informava ufficialmente la

controparte britannica, Harold Wilson, dell‟impossibilità di accettare le quote da lui proposte nel

corso dei negoziati. Il 5 Febbraio il parlamento Britannico votava a favore del riutilizzo della Royal

Navy.

Il 19 febbraio il Ministro degli Esteri Islandese, Einar Ágústsson, spedì un telex a 13 colleghi

NATO informandoli del fatto che, a seguito del riutilizzo della Royal Navy, ogni relazione

diplomatica con la Gran Bretagna era da quel momento conclusa. Veniva sottolineato come la

decisione seguisse di due settimane l‟arrivo delle navi militari poiché il governo Islandese aveva

acconsentito alla richiesta di posticipare ogni azione, fatta dal Dr. Luins nel tentativo di guadagnare

del tempo utile a cercare una soluzione diversa al conflitto.

La questione della partecipazione alla NATO e del loro suo valore per l‟Islanda, così come quella

della presenza americana nella base di Keflavík, furono ampiamente discusse e politicamente

utilizzate durante tutte le cod wars. Fu però solamente durante quest‟ultima che la critica

all‟Alleanza Occidentale trovò il suo più completo supporto, anche da parte di quegli strati di

popolazione che tradizionalmente si erano dimostrati favorevoli ad essa129

. Fin dall‟inizio

127

The New York Times 29 Ottobre 1975, p. 12:6 128

Jón Th. Thór “British Trawlers and Iceland. 1919-1976” pp. 223-224 129

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

173-178

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136

dell‟Alleanza, questa era la quarta disputa che l‟Islanda affrontava per proteggere i suoi vitali

interessi economici. Sin dall‟arrivo delle truppe militari americane, che secondo l‟accordo del 1951

avevano un carattere strettamente difensivo, questa era la terza volta che un contingente militare

minacciava il territorio nazionale, senza che queste intervenissero a protezione degli interessi della

popolazione islandese. Inoltre, l‟Unione Sovietica aveva supportato economicamente l‟Islanda

durante le prime dispute, e sia essa sia le Democrazie Popolari Est-Europee avevano riconosciuto i

limiti delle estensioni del ‟72 e ‟75. Opposizione a queste era invece arrivata da alcuni paesi NATO,

principalmente Gran Bretagna e Germania Federale.

In passato la base militare aveva avuto un ruolo importante per lo sviluppo dell‟economia islandese,

ma ora quest‟importanza era di molto diminuita. Fin dall‟arrivo delle truppe americane nel ‟51 il

numero di Islandesi che lavoravano alla base era rimasto stabile ed un certo ritorno economico

derivato dalla loro presenza influiva solamente sulle comunità dei villaggi che sorgevano vicino ad

essa. L‟accordo prevedeva che, in cambio della difesa americana, il governo Islandese provvedesse

gratuitamente a fornire tutte le attrezzature e le agevolazioni che erano considerate necessarie al

contingente militare, nonché all‟acquisto della terra dove esse sarebbero state situate. Nessun tipo di

affitto è mai stato pagato dal governo Statunitense a quello Islandese per il mantenimento della base

in Islanda e tutti i beni importati dal contingente militare sono tuttora esenti da dazi doganali.

Nei primi mesi del ‟76 il governo Islandese chiese a quello Statunitense di poter comperare od

affittare due piccole imbarcazioni da aggiungere alla flotta della guardia costiera. Gli Statunitensi

risposero negativamente affermando che non volevano fornire all‟Islanda navi da utilizzare contro il

Regno Unito. Questo rifiuto scatenò un‟ondata di proteste contro la NATO e la base militare

americana. L‟11 Gennaio diversi abitanti di Gríndavík, villaggio costiero posto nelle immediate

vicinanze della base, bloccarono le postazioni radio USA di Rockwell130

. Il 13 Marzo una grande

manifestazione venne indetta dalle Sinistre131

. Le uscite della base militare vennero bloccate e fu

impedito ai tecnici americani l‟accesso a tutte le strutture che sorgevano nelle vicinanze di essa.

Il 18 Maggio 1976 un editoriale del quotidiano conservativo Dagblaðið, tradizionalmente in

supporto dell‟alleanza con la NATO, riportava uno studio di specialisti NATO che mostrava come

la costruzione di una struttura d‟osservazione dei sommergibili sovietici come quella di Keflavík

sarebbe costata al governo Statunitense circa due miliardi di dollari, e non avrebbe comunque

garantito l‟affidabilità di quest‟ultima. Era chiaro quindi lo scarso ritorno economico derivato dalla

base a fronte della sua importanza per la NATO. Le cod wars avevano inoltre dimostrato come la

base servisse come punto d‟osservazione per garantire non tanto la sicurezza dell‟Islanda e degli

Islandesi, quanto quella di USA, Gran Bretagna, Norvegia ed altri paesi NATO. Il compito del

130

The Times 12 Gennaio 1976, p. 1e 131

The New York Times 14 Marzo 1976, p. 7:1

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137

contingente militare era la ricognizione dei movimenti degli aeroplani e dei sottomarini sovietici nel

Nord-Atlantico, ma un‟aggressione della Royal Navy all‟Islanda non sembrava interessarlo. Era

quindi chiaro che la base era inefficiente quale forza difensiva per l‟Islanda, specialmente contro i

teorici attacchi da parte dell‟Unione Sovietica, paese col quale l‟Islanda aveva amichevoli relazioni

ed un attivo e benefico commercio. Nei giorni seguenti lo stesso quotidiano criticò fortemente il

Ministro degli Esteri per la sua partecipazione all‟incontro NATO di Oslo, consigliandoli di

rifiutare l‟invito quale protesta per i continui attacchi delle fregate alle imbarcazioni della guardia

costiera.

Se questi erano i contenuti delle dichiarazioni di uno dei quotidiani maggiormente conservativi e

politicamente pro-occidentali, possiamo facilmente comprendere il livello d‟unità nazionale intorno

al problema dei limiti di pesca. Mai in precedenza si era arrivati così vicino alla fuoriuscita

islandese dalla NATO ed alla chiusura della base militare americana.

Il 18 di Maggio l‟Alþing approvò gli accordi raggiunti nel corso dell‟anno precedente con i governi

di Belgio, Norvegia e Isole Faroe. La Gran Bretagna rimaneva così l‟ultimo paese coinvolto nel

conflitto anche sul piano della diplomazia. Nei mesi precedenti l‟opinione pubblica internazionale si

era di molto rivolta in favore della popolazione islandese, anche in conseguenza degli sviluppi

dell‟UNCLOS III che dimostrava come ormai un limite di sfruttamento di 200 miglia fosse

innegabile. Questi fattori, uniti all‟estremizzarsi delle posizioni dell‟opinione pubblica islandese

riguardo alla partecipazione NATO ed alla base militare, convinsero il governo Britannico della

necessità di raggiungere al più presto un trattato che concludesse il conflitto. Grazie alla mediazione

del Dr. Luins e del Ministro degli Esteri Norvegese, Knut Frydlendun, fu possibile organizzare, al

meeting di Oslo del 20 Maggio, un primo incontro fra i Ministri degli Esteri Einar Ágústsson e

Anthony Crosland132

. I Ministri concordarono sulla necessità di trovare un accordo e di iniziare dei

negoziati. Questi si tennero ad Oslo dal 31 Maggio al 2 Giugno del 1976. Un accordo fu raggiunto il

Primo Giugno ed il giorno successivo vennero ristabilite le relazioni diplomatiche fra i due paesi.

L‟accordo, approvato dall‟Alþing solo l‟11 Novembre ma comunque valido sin dal 2 Giugno,

prevedeva che solamente 24 trawlers britannici, scelti fra una lista di 93, potevano pescare

contemporaneamente in acque islandesi, in alcune zone a partire dalle 20 miglia di distanza dalla

costa, in altre dalle 30 miglia. Quattro aree di conservazione erano completamente chiuse e la

quantità massima di pescato consentita era valutata in 50.000 Ton., 15.000 in meno di quella offerta

dal governo Islandese prima dell‟inizio della cod war. La durata del trattato era di soli sei mesi.

L‟accordo venne accettato favorevolmente in Islanda, soprattutto per la sua brevità, ma fu

considerato una sconfitta in Gran Bretagna. Le associazioni degli industriali della pesca britanniche

132

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

179-181

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138

chiesero apertamente un risarcimento al governo ed il Ministro degli Esteri A. Crosland dovette

impegnarsi pubblicamente a cercare una revisione della politica CEE sulla pesca, in modo da

salvare i quasi 9.000 posti di lavoro messi a rischio dalla chiusura delle acque islandesi133

.

Quale risultato, nei mesi successivi il governo Britannico lavorò alacremente per adottare il prima

possibile un limite di 200 miglia marine. Notevoli pressioni vennero esercitate anche a livello

Comunitario perché i paesi CEE adottassero un limite simile ed accettassero un limite di 50 miglia

intorno alle coste britanniche, quale zona di speciale sfruttamento per i pescatori britannici134

. Il 30

Ottobre i paesi CEE decretarono che a partire dal Primo Gennaio 1977 la Comunità nel suo

complesso avrebbe adottato un limite di 200 miglia. Il 10 Dicembre il parlamento Britannico

approvò la legge che stabiliva lo stesso limite per le acque al largo delle coste del Regno Unito.

La nuova politica per la regolamentazione della pesca Comunitaria prevedeva che in futuro gli

accordi con paesi al di fuori di essa sarebbero stati raggiunti solo dalla CEE nel suo complesso, non

prevedendo la possibilità di negoziati avviati da singoli stati membri.

In questo contesto il governo Britannico esercitò forti pressioni sugli atri paesi CEE perché si

raggiungesse un accordo che garantisse diritti di pesca ai trawlers britannici in acque islandesi

prima del Primo Dicembre, data di scadenza dei sei mesi di validità del trattato Anglo-Islandese.

Negoziati fra la CEE e l‟Islanda furono avviati in Novembre, ma si rivelarono inconcludenti.

L‟incapacità della Comunità Europea di stappare un accordo fu dovuta essenzialmente a tre fattori.

In primo luogo il governo Britannico esercitò pressioni sulla CEE perché ottenesse concessioni per i

propri pescatori senza offrire reciproci diritti agli Islandesi in acque britanniche o Comunitarie.

Secondariamente, i negoziatori Comunitari si trovavano in una difficile posizione poiché la

Comunità stessa non aveva raggiunto un accordo definitivo sui reciproci diritti dei suoi membri

all‟interno delle 200 miglia, principalmente a causa della richiesta britannica ed irlandese di speciali

diritti intorno alle proprie coste. In ultimo, due accordi fra stati membri (Belgio e Germania

Federale) e l‟Islanda erano in pieno vigore e non era pensabile ottenere diritti preferenziali per un

altro paese senza offrirne in cambio. Era infatti impossibile presentare un‟offerta concreta ad un

paese non Comunitario prima di aver raggiunto un accordo definitivo sui diritti reciproci degli stati

membri.

Al termine dei trattati sanciti con Gran Bretagna e Germania Federale, rispettivamente l‟1 Dicembre

1976 ed il 28 Novembre 1977, i pescherecci di queste nazioni lasciarono definitivamente le acque

islandesi e le vicende delle cod wars trovarono di fatto la loro conclusione. La conclusione giuridica

133

The New York Times 3 Giugno 1976, p. 4:3 134

Hannes Jónsson “Friends in conflict. The Anglo-Icelandic Cod Wars and the Law of the Sea” pp.

182-187

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139

delle cod wars, con il riconoscimento definitivo del nuovo limite, fu invece sancita dalla UNCLOS

IV tenutasi nel 1982.

L‟ultima estensione dei limiti di sfruttamento islandesi trova una sua giustificazione quale punto di

arrivo di una lotta per la conservazione delle riserve e per la protezione dell‟economia nazionale che

era stata al centro della politica islandese fin dalla conquista dell‟Indipendenza. L‟evoluzione della

legislazione internazionale può essere vista come una giustificazione di fatto a procedere, anche se

un accordo definitivo venne raggiunto solo qualche anno più tardi. Uno spunto d‟interessante studio

potrebbe essere la definizione di quanto le estensioni abbiamo effettivamente seguito il trend

internazionale, e quanto questo sia stato invece influenzato da esse. Innegabile era il problema della

conservazione degli stock, questione che ancora oggi affligge l‟industria del pesce islandese.

Alla luce della situazione internazionale, è forse più difficile comprendere l‟atteggiamento

britannico. E‟ vero che il giudizio della Corte Internazionale si era pronunciato a favore dei

pescatori britannici, ma l‟esperienza aveva dimostrato come questo non influisse minimamente sulle

decisioni islandesi. Già nel 1974 i rappresentanti dell‟industria del pesce britannica si erano

pronunciati a favore del limite di 200 miglia quale misura per proteggere la loro attività dal

continuo calo delle riserve nelle acque intorno al Regno Unito. Essi avevano inoltre sottolineato

come l‟evoluzione della UNCLOS III facesse prevedere l‟adozione di tale limite a livello

internazionale abbastanza imminente. Era dunque necessario procedere alla salvaguardia ed allo

sviluppo della pesca intorno alle coste nazionali prima che tutte le acque distanti fossero chiuse alla

pesca britannica. In luce di questa presa di coscienza del problema, diventa ancora più difficile

comprendere la decisione del governo Britannico di ingaggiare la Royal Navy in un‟altra cod war.

L‟utilizzo delle navi militari si era rivelato estremamente antieconomico già in passato, ed ora la

situazione non migliorò per nulla. In termini economici sarebbe stato più conveniente per il governo

Britannico accettare la proposta offerta da quello Islandese nei mesi precedenti lo scoppio del

conflitto. Notevoli furono inoltri i danni d‟immagine arrecati dalla vicenda alla Gran Bretagna,

soprattutto dopo la stipulazione dei trattati fra l‟Islanda e diversi altri paesi Europei. Particolarmente

importante in questo senso fu quello stipulato con la Germania Federale, con la quale il conflitto era

virtualmente in atto fin dal 1972, non essendo stato raggiunto l‟anno successivo un accordo, come

con la Gran Bretagna, che terminasse la seconda cod war. Non bisogna, infine, dimenticare i risvolti

negativi per la Nato derivati dal rafforzarsi delle Sinistre e del Nazionalismo Islandesi, sia a livello

di pubblica immagine sia per il pericolo concreto di perdere la base di Keflavík.

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140

5.5 La situazione oggi

Con la conclusione dell‟ultima cod war il governo Islandese ottenne la più completa giurisdizione

sulle risorse marine che si trovavano intorno alla costa islandese e fu così in grado di procedere con

un‟attiva politica di conservazione. Le prime misure conservative erano rappresentante da

temporanee chiusure di determinate aree e dall‟imposizione di temporanei divieti di pesca di certe

specie maggiormente in pericolo.

Nel 1982 l‟opinione di diversi politici islandesi e rappresentanti dell‟industria peschiera era quella

della necessità di misure protettive più radicali, per evitare il definitivo collasso dello stock di

maggior importanza, quello del merluzzo135

. Alla conferenza nazionale dell‟Associazione della

Pesca, diversi gruppi d‟interesse si dichiararono favorevoli all‟adozione di un sistema di quote

individuali, che avrebbe diviso il pescato fra i diversi produttori a seconda della produttività da essi

avuta nei tre anni precedenti. La quantità massima di pescato veniva stabilita da ricercatori e biologi

marini; le associazioni del settore della pesca provvedevano poi alla divisione delle quote fra le

diverse imbarcazioni. La quota era strettamente legata all‟imbarcazione e non poteva essere venduta

separatamente. Il sistema, adottato dal 1984, doveva essere temporaneo ed era inteso sia come

misura per garantire il ripopolamento degli stock, sia per aumentare l‟efficienza della produzione.

Il sistema delle quote venne più volte esteso e, nella logica di incremento dell‟efficienza produttiva,

una decisiva svolta si ebbe nel 1990 quando esso venne esteso indeterminatamente, senza riguardo

alla condizione futura degli stock, e soprattutto le quote divennero completamente trasferibili e

divisibili.

Il sistema prevedeva, favorendo le imbarcazioni con una maggior produttività, che cattive o poco

produttive gestioni dell‟impresa sarebbero state costrette a chiudere ed a vendere le proprie quote a

migliori produttori. Ciò avrebbe aumentato l‟efficienza generale del settore, senza riguardo ai

singoli produttori. Chi non era in grado di mantenere un‟attività proficua avrebbe dovuto vendere la

barca e le quote ed uscire dal mercato, lasciando spazio a produttori più efficienti. Rendendo le

quote divisibili questo processo fu notevolmente aumentato. Produttori poco efficienti, ma restii ad

abbandonare il settore, potevano vendere parte delle quote e continuare a pescare per una

percentuale minore. Ciò significò la graduale diminuzione delle quote dei piccoli produttori, a

vantaggio di pochi grandi imprenditori (spesso definiti come i “Re delle Quote” o i “Re del Mare”),

ora in grado di controllare tutto il settore.

135

Gísli Pálsson “The politics of production: enclosure, equity and efficienty” in Pálsson,

Durremberger “Images of contemporary Iceland” pp. 60-82

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141

Quest‟ultimi hanno trovato un‟attività molto redditizia nell‟affitto delle quote. Nonostante

l‟adozione del sistema, la ripopolazione degli stock è ancora un obiettivo lontano e la quantità totale

di pescato permessa è stata negli ultimi anni costantemente diminuita. Questa diminuzione è andata

a sfavore dei piccoli produttori in possesso di un numero ristretto di quote. Alcuni di essi sono stati

costretti quindi a ricorrere all‟affitto di quote. Secondo questo contratto, l‟imprenditore affitta

temporaneamente da un “Re” ed a prezzi molto alti un ceto numero di quote impegnandosi nel

contempo a vendere il pescato, a prezzi favorevoli, alle sue manifatture.

Il sistema delle quote è stato presentato come una misura conservativa, ma è stata in realtà una

privatizzazione degli stock e delle differenti aree di pesca. Ora pochi industriali sono in possesso

delle maggiori risorse del paese, che sfruttano cercando il massimo profitto, inteso anche come

conservazione che permetta di guadagnare a lungo nel tempo. Dal punto di vista economico

generale questo può essere visto come un successo, ma diversi fattori politico-sociali tendono a

caratterizzare la negatività di questa situazione. Innanzi tutto i “Re delle Quote” hanno il possesso

di quella che è la più importante risorsa nazionale. Ciò fornisce loro di un immenso potere politico

non solo all‟interno dell‟industria peschiera, ma anche a livello parlamentare. Inoltre, essi hanno il

potere di decidere dove e quando le quote debbano essere concentrate e questo significa in realtà

vendere posti di lavoro. Il trasferimento di quote può potenzialmente trasformare una rigogliosa

comunità peschiera in un villaggio fantasma. Oggigiorno i villaggi di pescatori si stanno sempre più

spopolando. La maggioranza dei lavoratori nelle manifatture è ormai rappresentata dagli stranieri,

mentre i giovani locali tendono a cercare nuove possibilità nella capitale. Questo processo è una

naturale conseguenza delle trasformazioni a cui è andata incontro la società islandese nell‟ultimo

secolo e rispecchia la “fuga” dalle campagne che anche la società europea ha vissuto.

In Islanda il processo di urbanizzazione assume una connotazione particolare per il fatto di essere

avvenuto in meno di un cinquantennio. Fino alla Seconda Guerra Mondiale più della metà della

popolazione abitava ancora in ambienti rurali, e la percentuale può essere molto maggiore se si

considera che la definizione di agglomerato urbano comprendeva villaggi di poche centinaia di

abitanti. L‟ampliamento del sistema delle quote ha negli ultimi decenni contribuito a rilanciare

notevolmente questo processo. Data la concorrenza delle grandi firme, non è più ormai conveniente

tentare di mantenere in vita la piccola attività ereditata dal padre e così anche quella minoranza di

giovani disposti a rimanere sceglie la strada che conduce a Reykjavík.

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142

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143

Cap.6 Una visione antropologica del problema

Fin qui abbiamo visto come un preciso quadro politico-economico circondi quelli che sono gli

eventi delle cod wars. L‟importanza economica delle risorse marine e la necessità di proteggerle per

evitare il loro esaurimento sono delle motivazioni chiare per le decisioni islandesi di espandere i

propri limiti di sfruttamento. Queste estensioni sono strettamente correlate a quello che era il

panorama politico dell‟epoca. La mancanza di una legislazione precisa ed i suoi sviluppi a livello

internazionale hanno permesso ai governi Islandesi di muoversi con una certa libertà intorno ai

“confini del legale”. Questa libertà era però anche, e forse soprattutto, il frutto della posizione geo-

politica dell„Islanda nella Guerra Fredda. L‟importanza della base di Keflevík e la storia delle

contestazioni ad essa offrirono un‟importante “base negoziale” con gli alleati-nemici della NATO.

Sorprende forse un po‟ il pragmatismo islandese. Per secoli relegati al margine della storia, gli

Islandesi hanno capito immediatamente quella che poteva essere solo una temporanea importanza

geo-politica del loro paese, e la hanno sfruttata al meglio per compiere il balzo verso la modernità.

E‟ giocando su di essa che essi hanno conquistato l‟indipendenza, hanno sviluppato le tradizionali

economie e creato nuovi settori industriali, hanno ottenuto la giurisdizione sulle risorse più

importanti. La conclusione della guerra fredda ha rappresentato anche la fine di quest‟importanza

geo-politca; il famoso incontro di Reykjavík fra Gorbachev e Reagan nel 1986 può essere

interpretato come la dimostrazione di ciò. L‟Islanda tornava alla “marginalità”, ma ora il processo

di modernizzazione era concluso e gli Islandesi erano in grado di procedere da soli.

Nei capitoli iniziali abbiamo analizzato quella che è l‟apparente contrarietà della società islandese,

correlandola al particolare sviluppo storico del paese ed al ruolo che la storia occupa

nell‟immaginario collettivo. Ora tenteremo di analizzare l‟importanza della pesca nello sviluppo

storico del paese, non in termini economici, ma ponendo l‟accento sul suo aspetto sociale, sul ruolo

da essa avuta nell‟immaginario collettivo e come questo abbia influito sulle cod wars.

6.1 La questione della pesca e la nazione Islandese

I primi colonizzatori erano pastori-agricoltori provenienti dalla Norvegia e dalle Isole Britanniche.

La nuova società da loro creata era rurale, basata sull‟importanza dell‟agricoltura e sulla divisione

sociale fra proprietari, affittuari e schiavi, ben presto sostituiti da “liberi” lavoratori senza terra. Al

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144

di là della retorica egalitaria, c‟erano quindi delle ben marcate differenze sociali, con la categoria

dei lavoratori senza terra a rappresentare il gradino più basso della scala sociale.

La produzione di sussistenza delle fattorie costiere ha sempre incluso lo sfruttamento delle risorse

marine136

. Dove la qualità della terra coltivabile era buona, la pesca aveva una marginale

importanza, ma là dove il terreno arabile era scarso essa rappresentava il principale mezzo di

sussistenza. Date la topografia delle coste islandesi e l‟arretratezza tecnologica del tempo, l‟accesso

al mare dipendeva principalmente dalla possibilità di avere buoni approdi. Questo faceva del

proprietario terriero il diretto controllore delle risorse marine. La maggior parte dei contratti

d‟affitto prevedevano quale sorta di pagamento la partecipazione all‟attività peschiera e la divisione

col proprietario del pescato. La pesca era quindi un‟attività stagionale, che affiancava la pastorizia e

che garantiva contemporaneamente buona parte dei mezzi di sussistenza alla popolazione ed i beni

di scambio commerciale ai proprietari. Date le condizioni territoriali del paese, la necessità di

scambi commerciali che garantissero beni essenziali, quali materiali da costruzione e grano, fu da

sempre centrale nella politica economica islandese. Nella gestione degli scambi, i proprietari terrieri

collaboravano con le autorità Danesi, mantenendo bassi i prezzi dei prodotti marini in cambio di

favorevoli prezzi per quelli agricoli. Il loro benessere era basato principalmente sulla disponibilità

di mano d‟opera, i liberi lavoratori senza terra, che, oltre che occuparsi del bestiame, garantiva il

necessario rifornimento di pesce.

Nel XV secolo pescatori stranieri, principalmente britannici e tedeschi, instaurarono delle

permanenti basi d‟operazione sulle coste islandesi. Si formarono così le prime comunità peschiere,

che erano una forte attrattiva per i lavoratori senza terra. Ciò era estremamente contrario agli

interessi dei proprietari terrieri, che ben presto riuscirono ad imporre un bando ai pescatori stranieri

e delle misure che impedivano lo sviluppo tecnologico della pesca. L‟inizio del monopolio

commerciale danese non fece altro che rendere stabile questa situazione.

Il monopolio creava un mercato molto stretto e poco favorevole agli investimenti nel settore. Inoltre

il generale peggioramento delle condizioni climatiche decimò ripetutamente la popolazione ed il

bestiame, e rese sempre più difficile l‟attività della pesca. Il livello di vita raggiungeva a mala pena

quello della sussistenza, per cui era impensabile un accumulo di capitale che potesse garantire un

certo sviluppo della pesca.

Nel XVIII secolo, la situazione si era talmente aggravata che il Regno Danese decise di togliere il

monopolio commerciale e consentire nuovamente l‟accesso alle coste islandesi ai pescatori britanni

e tedeschi. La risposta islandese al possibile sviluppo di nuove comunità peschiere, dovuto

all‟arrivo dei pescatori stranieri, fu una legge che imponeva ad ogni uomo senza terra di stipulare un

136

Gísli Pálsson “Coastal economies, cultural accounts. Human ecology and Icelandic discourse ” pp.

83-102

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145

contratto annuale con un proprietario terriero, di fatto garantendo a quest‟ultimo il controllo sulla

forza lavoro e sulle risorse marine e mantenendo in vigore il tradizionale ruolo marginale del pesce

negli scambi commerciali. Uno dei motivi di questa legge era il fatto che i lavoratori senza terra,

che migravano stagionalmente verso i villaggi costieri, erano visti come portatori di disordine

sociale e considerati la causa principale delle difficoltà economiche del paese.

La marginalità della pesce nell‟ideologia rurale può essere chiarificata analizzando quelli che era il

metodo di pesca e la relazione pescatori-ambiente.

In generale le strategie di pesca erano correlate ad una serie di segni naturali, quali l‟arrivo degli

uccelli migratori, la colorazione e l‟odore del mare. Il pescato era visto come un dono divino e

doveva essere ricambiato. Spesso i pescatori “creavano” nuove aree di pesca o “rigeneravano”

quelle vecchie gettando il sur-plus e gli scarti del pescato in mare. Nel XVII e XIX secolo, in alcune

regioni era obbligatorio ritornare il pescato rimanente all‟area dove il pesce era stato catturato nel

viaggio precedente. Per prevenire cattivi pescati, i viaggi erano preceduti ed accompagnati da

preghiere e riti magici.

Era comunque presente una nozione di “fiski”, l‟abilità di pescare. Ogni individuo era caratterizzato

dall‟essere più meno abile, i più sfortunati erano considerati come fiskifælur, dei “deterrenti” che

spaventavano i pesci facendoli scappare. L‟abilità di pesca era considerata una qualità individuale,

ma era vista all‟interno di un generale disegno universale, determinato dal fato, che non poteva

essere cambiato.

La posizione nella barca era basata sul fiski. Chi n‟era maggiormente dotato utilizzava le lenze, gli

altri remavano e manovravano il timone. Ogni barca aveva il suo formenn, una sorta di capitano

responsabile per la barca e l‟equipaggio, che spesso era il proprietario terriero. Essere formenn era

una carica onorevole, ma non implicava un particolare ruolo decisionale durante la pesca. Le

strategie da adottare e le zone da sfruttare erano normalmente discusse con chi aveva maggiore

esperienza o una particolare abilità, spesso addirittura con tutto l‟equipaggio.

La produttività della pesca era basata sul numero di viaggi che un imbarcazione compiva, non sul

pescato raccolto. Le qualità apprezzate nel formenn erano quindi correlate con la sua capacità di

comandare l‟equipaggio e di condurlo in numerosi viaggi. La sua abilità di pesca o le sue

conoscenze del mare erano giudicate marginali. Da ciò consegue il carattere egalitario dell‟attività

peschiera. Tutti gli uomini, e le donne, dell‟equipaggio erano uguali e partecipavano egualmente

alla suddivisione del pescato, anche se i formenn delle imbarcazioni più grosse godevano di una

sorta di salario aggiuntivo. Una quota spettava anche al proprietario della barca, non di rado il

formenn stesso. Spesso anche le donne partecipavano alla pesca, sia come membri dell‟equipaggio

sia come formenn, e non esisteva una divisione sessuale del lavoro inerente al pesce.

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146

Esistevano una serie di credenze soprannaturali in relazione agli animali che abitavano le acque.

Numerosi tipi di pesce non erano mangiati a causa del loro aspetto, le aringhe per esempio erano

considerate una fonte di sostentamento utile solo per i periodi di grave carestia. Le foche erano

connotate con caratteristiche quasi umane. A volte esse cooperavano con gli umani “avvisandoli” di

pericoli imminenti, a volte esse potevano diventare un pericolo. Il mare era popolato da un infinito

numero di “mostri” che potevano diventare dei seri pericoli per gli uomini. Un certo numero di

esseri acquatici erano dei mediatori fra l‟oceano e i domini umani. Essi potevano supplire gli

uomini con pesce o, più spesso, pesce con uomini.

Al contrario della terraferma dove l‟uomo aveva un certo potere, nel mondo acquatico le regole del

fato agivano nella più totale libertà e casualità. Mentre la fattoria era il luogo dell‟ordine, il mare era

il luogo del caos naturale. Poiché il caos naturale coincideva col caos sociale, coloro che basavano il

loro sostentamento sullo sfruttamento del mare erano visti come portatori di disordine sociale.

All‟interno di questa visione entra anche in gioco il concetto di tempo. I lavori agricoli erano

scanditi dalle stagioni e dalle giornate, anche se una certa dose di imprevedibilità era garantita dalle

condizioni atmosferiche. Il lavoro di pescatore non aveva questa scansione: seguendo le migrazioni

stagionali della risorsa esso era imprevedibile. All‟interno della giornata non aveva una

determinazione fissa, poiché questa dipendeva dalla presenza o meno del pesce ed era, ancor più dei

lavori agricoli, condizionata dal clima. Se nel mondo rurale esistevano una serie di lavori da potersi

svolgere al chiuso, diversi giorni consecutivi di cattivo tempo significavano la quasi completa

cessazione di attività in un villaggio di pescatori. Coloro che si sostentavano solo grazie alla pesca,

non solo erano in costante relazione con un mondo diverso, disordinato, ma avevano anche una

scansione del tempo caotica, imprevedibile. Disordine naturale e disordine temporale erano

identificati con disordine sociale.

Questa situazione cominciò a cambiare notevolmente a partire dalla seconda metà del „800 quando,

durante la battaglia per l‟indipendenza, numerosi leader patriottici incoraggiarono contadini e

pescatori ad incrementare la produzione utilizzando nuove tecnologie137

.

Con la conclusione del monopolio commerciale danese divenne possibile una certa, seppur limitata,

accumulazione di capitale “domestico”. Una nuova categoria di mercanti autoctoni cominciò a

sostituire quelli danesi, contribuendo nel frattempo anche alla modernizzazione del settore, grazie

all‟apertura di nuovi mercati europei per il pesce salato islandese. Le comunità peschiere si estesero

e cominciò ad emergere una concezione capitalistica della produzione. Questa situazione comportò

uno sviluppo del mercato del lavoro, andando a recidere passo dopo passo il legame tradizionale fra

proprietari terrieri e forza lavoro, la cui rottura definitiva fu sancita con una legge del 1894.

137

Ibid. pp. 103-131

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Con l‟inizio del secolo nacquero diverse compagnie pescherecce islandesi, che cominciarono ad

esercitare un completo controllo dei porti e del mercato nazionali. Grazie all‟introduzione delle

barche a motore la produttività del settore incrementò notevolmente e l‟agricoltura perse il ruolo di

risorsa principale di sostentamento. Grazie alle nuove tecnologie le stagioni di pesca furono estese

ed essa divenne un‟attività a tempo pieno.

I proprietari delle stazioni di pesca incoraggiavano i pescatori ad acquistare un‟imbarcazione

propria. Quest‟attività piccolo-imprenditoriale fu essenziale per il sostentamento della pesca

capitalistica nei suoi primi sviluppi e rappresentò un passaggio intermedio fra la produzione del

mondo rurale e quella capitalistica.

Sia nel mondo rurale sia nella piccola impresa peschiera, la famiglia nel suo complesso riversava,

ed è così tutt‟oggi, nell‟attività tutte le sue risorse economiche e lavorative. Il budget economico

familiare era strettamente correlato a quello dell‟imbarcazione ed all‟andamento della stagione.

Solitamente tutto il nucleo familiare, così come altri parenti stretti, era ingaggiato nella pesca come

parte dell‟equipaggio. La moglie dell‟imprenditore-capitano si occupava della gestione della casa e

dei suo affari, essendo il marito spesso lontano, ma contemporaneamente aiutava quest‟ultimo nella

riparazione delle reti e nella preparazione delle esche, e spesso lavorava anche in una manifattura.

Quest‟ultima occupazione è un‟importante risorsa nel caso la stagione di pesca sia insoddisfacente.

Con lo sviluppo della pesca capitalistica, la produzione è stata orientata verso il mercato. Sono

cadute tutte le tradizionali superstizioni riguardanti l‟aspetto e l‟odore dei pesci. L‟importanza del

pesce divenne conseguenza del gusto dei consumatori stranieri, non più di quello domestico. Come

conseguenza i pescatori islandesi cominciarono a pescare pesci mai entrati precedentemente nella

loro dieta, alcuni dei quali sono ora considerati delle delicatezze. Il cambiamento sociale ha

comportato anche un cambiamento di gusto.

Il pesce non è più visto come un dono divino, ma come una preda. Questa non è più offerta, ma

piuttosto conquistata ed estratta da un mare indifferente, non più vivo. Il mare ed i suoi abitanti

hanno ora un ruolo passivo nel controllo del fato umano. La nozione di ordine cosmico della

mitologia contadine è stato sostituita con quella di inesauribili risorse da scoprire e sfruttare.

Nel modello sociale della pesca capitalistica anche il tradizionale egualitarismo del settore ha subito

una forte trasformazione. La produttività del lavoro non è più la stessa fra i membri dell‟equipaggio,

così come fra uomini e donne.

La figura principale diventò ora quella del capitano. L‟efficienza dell‟imbarcazione, ora giudicata

intermini di pescato e non più di viaggi, divenne correlata all‟abilità del capitano. Egli era colui che

permetteva una buona pesca; di conseguenza nella divisione del guadagno egli riceveva circa il

doppio rispetto alla quota spettante agli altri membri dell‟equipaggio. Al capitano spettavano tutte le

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responsabilità di gestione dell‟imbarcazione. Egli decideva dove e quando pescare e coordinava

tutti i membri dell‟equipaggio, in mare completamente soggetti al suo volere ed ai suoi ordini. La

figura del capitano fu originata a fianco di quella del formenn, ma andò lentamente a sostituire

quest‟ultima nella creazione di una nuova categoria sociale. Il formenn era strettamente legato al

mondo rurale, il capitano è il frutto della modernizzazione e dello sviluppo capitalistico. Esso non è

più un eguale, ma un individuo speciale, formato in speciali scuole e caratterizzato da particolari

abilità.

Una distinzione veniva fatta nel mondo della pesca fra i capitani che pescavano per “chiarezza” e

quelli che lo facevano per “forza”. I primi erano quelli che seguivano un particolare intuito e

solitamente sviluppavano speciali ed originali tecniche; i secondi potevano essere altrettanto

efficienti, ma la loro produttività era basata su di un numero maggiore di viaggi ed un maggior

utilizzo delle tecnologie. Ciò che contava era la produttività finale, la quantità di pescato stagionale.

Questo comportava la creazione di un preciso ordine gerarchico fra i capitani, che entravano in

aperta competizione. Ogni anno viene tutt‟ora pubblicato l‟elenco dei migliori capitani, correlato

alla quantità totale di pescato catturata dalla loro imbarcazione. Una reale competizione era

ingaggiata per essere all‟apice della lista, e questo coinvolgeva tutto l‟equipaggio. Esisteva una

chiara concorrenza fra i pescatori per far parte dell‟equipaggio dei capitani migliori. Se questo

cambiava imbarcazione era spesso seguito dal proprio equipaggio. Quando i pescatori parlano delle

loro esperienze passate fanno generalmente riferimento agli anni che hanno lavorato con un

determinato capitano, non alle barche su cui lavoravano.

La competitività fra i differenti capitani comportava una differente visione e gestione delle aree di

pesca. Se prima queste erano a conoscenza di tutti, ora ogni capitano cercava di scoprire nuove aree

e di tenerle nascoste agli altri. Anche i movimenti della giornata e l‟andamento della pesca erano in

parte tenuti nascosti. In casi di pescato giornaliero particolarmente abbondante, i capitani tentavano

di minimizzare la cosa sottolineando il lavoro dell‟equipaggio e la fortuna o si appellavano a

qualche “consiglio” mistico. Ogni capitano aveva una sua particolare scala simbolica per decidere

dove e quando pescare, ed i sogni propri o di qualche parente erano una delle principali fonti di

ispirazione.

La tendenza a dichiarare di essere guidati dai sogni o da particolari capacità poste al di fuori del

diretto controllo umano poteva essere una diretta conseguenza della competizione fra i capitani.

L‟idea di differenze individuali fra i capitani quale spiegazione dei loro successi portava un alto

grado di responsabilità su di loro. Per diminuire le personali responsabilità di successo o fallimento,

essi utilizzavano un meccanismo alternativo che vedeva le loro decisioni quali risultanti di forze

sulle quali essi non avevano nessun controllo. Le indicazioni fornite dall‟interpretazione dei sogni

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probabilmente scaturivano da una certa ragionevolezza, dall‟esperienza pratica e dalla conoscenza

del mare acquisite in anni di lavoro, i capitani tendevano però a spiegarli come un fatto “mistico”.

Anche se le qualità di un capitano erano viste come fattori essenziali per il suo successo, egli non

era in grado di determinare il proprio fato. Egli era caratterizzato anche dall‟essere un impotente

agente controllato da pensieri inconsci, poteri misteriosi o differenti stati psicologici.

Diversi autori hanno sottolineato come il processo di modernizzazione capitalistica abbia portato ad

una maggiore separazione fra le sfere sessuali. Nel sistema produttivo rurale uomo e donna erano

confinati in spazi diversi, ma molto ampia era la correlazione fra di loro. Kirstein Hastrupp ha

sottolineato come tutta la storia Islandese possa essere letta anche come un‟opposizione fra

l‟“inside” (il sociale) e l‟”outside” (l‟esterno, il selvaggio)138

. La fattoria rappresentava l‟inside, e

conteneva sia la sfera maschile sia quella femminile. Entrambe partecipavano al lavoro dell‟azienda

agricola, anche se le donne erano in un ruolo di subordine. All‟interno dell‟Household (famiglia

allargata formata da tutti coloro che vivevano in una fattoria) la figura dominante era quella

maschile. Le donne non godevano di pieni diritti di controllo e gestione della stessa, se non quando

erano vedove. Nella pratica comune, l‟household era però gestita per lunghi periodi dell‟anno solo

dalle donne, vista l‟assenza degli uomini che partecipavano alle stagioni di pesca nei centri costieri.

La subordinazione delle donne non era data però da una divisione del lavoro agricolo. Entrambe le

sfere sessuali partecipavano ai lavori agricoli in ugual misura, le donne dovevano però provvedere

anche al mantenimento della casa ed alla cura dei figli.

In particolare, non esisteva nessuna suddivisione dei lavori inerenti alla pesca. Questa era sì un

momentaneo confronto con l‟outside, ma era anche correlata con l‟inside, con l‟household.

Specialmente la preparazione delle esche, la riparazione delle reti, la lavorazione del pesce erano

attività intese come strettamente correlate all‟inside ed alla sfera femminile. La sfera femminile,

come abbiamo visto precedentemente, partecipava spesso anche alla pesca vera e propria.

L‟outside era una prerogativa maschile. Era la lontananza dalla fattoria, il confronto col mondo

selvaggio che avveniva durante la caccia e la stagione di pesca. La sfera maschile del mondo rurale

aveva dei temporanei confronti con esso, dopo i quali rientrava nel consueto ordine sociale

dell‟azienda agricola. Nei villaggi che sorgevano in concomitanza con la stagione della pesca,

l‟outside era invece una prerogativa continua. Essi erano l‟outside. Abbiamo già notato come i due

mondi corrispondessero rispettivamente con l‟ordine ed il disordine sociale.

Lo sviluppo capitalistico creò una distinzione fra quelle che erano le sfere del privato e del

pubblico. Il privato, l‟inside, è rappresentato dall‟household; il pubblico, l‟outside, dal mondo del

lavoro. Lo sviluppo capitalistico in Islanda coincise con la crescita della pesca e delle comunità

138

Kirstein Hastrup “Male and female in Icelandic culture” in “Folk n°27” p. 55

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peschiere. Il nuovo sistema produttivo faceva della pesca un‟attività annuale ed i viaggi potevano

durare anche diverse settimane. Questo comportò una radicalizzazione della differenziazione fra

inside ed outside. La sfera femminile continuò ad essere il centro dell‟inside, dell‟household, dalla

quale fu però estraniata la sfera maschile. Le donne furono relegate nella sfera privata, quali

casalinghe e amministratici della casa, mentre il mondo produttivo diventò prerogativa maschile,

con il lavoro sui pescherecci. Un legame col mondo rurale è però rimasto in vita: la correlazione

delle attività di lavorazione del pesce e manutenzione delle attrezzature con l‟inside. Ciò origina

un‟ulteriore contraddizione islandese. Le donne nelle comunità peschiere sono spesso ingaggiate

quale mano d‟opera nelle manifatture, ma il loro lavoro non viene riconosciuto come produttivo,

esso è un contorno al ruolo di casalinga. La produttività spetta agli uomini, a chi affronta il mare.

E‟ stato sottolineato come la posizione femminile all‟interno delle comunità peschiere sia di

maggior libertà ed indipendenza rispetto alle comunità industriali139

. Questo poiché la lontananza

degli uomini rende le donne le uniche responsabili dell‟amministrazione della casa, e della barca se

è di proprietà familiare. Per amministrazione si intende qui quell‟insieme di attività che interessano

il mantenimento attivo dell‟household e che sono rappresentate dalla cura della casa, dalla gestione

del patrimonio familiare, dal contributo attivo ad esso grazie al lavoro nelle manifatture, dalle

relazioni col “pubblico” (banche, erario, etc.), dalla crescita e educazione dei figli, dal

mantenimento di relazioni con parenti e vicini.

Se nella sfera privata dell‟inside le donne godono di una certa libertà e predominanza, è nella sfera

produttiva dell‟outside dove esse sono emarginate.

Nelle comunità peschiere esiste una chiara divisione del lavoro maschile da quello femminile.

L‟andare in mare è una prerogativa maschile, ad eccezione di quelle donne impiegate sulle

imbarcazioni in qualità di cuoche. Le donne sono casalinghe, con generalmente un lavoro part-time

nelle manifatture per lavorazione del pesce. Nei momenti di bassa produttività del settore le donne

godono di una certa libertà. L‟orario di lavoro è molto flessibile per consentire alle madri di

accudire i propri figli. Esse rientrano a casa per pranzo e molto spesso anche per la pausa caffè.

Le donne sono viste come una forza lavoro di riserva, da chiamare nel momento di massimo

bisogno, quando la quantità di pescato da lavorare richiede il lavoro di tutta la comunità. Da questo

deriva la visione della donna prima come casalinga e moglie di pescatore, poi come lavoratrice. Il

lavoro alla manifattura è inteso come una diretta estensione del lavoro casalingo. La manifattura è

l‟household, l‟inside.

E‟ soprattutto all‟interno delle manifatture dove la segregazione fra uomini e donne è chiaramente

visibile. Uomini e donne lavorano insieme, hanno lo stesso stipendio, ma non interagiscono. Anche

139

Unnur Dís Skaptadottir “Housework and wage work: gender in Icelandic fishing communities” in

Pálsson, Durremberger “Images of contemporary Iceland” pp. 89-105

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durante le pause essi siedono generalmente in tavoli separati, spesso ai lati opposti della stanza.

Esistono lavori femminili e lavori maschili. Gli uomini solitamente si occupano del trasporto ed

immagazzinamento del pesce, nonché del controllo delle macchine e delle attività di responsabilità.

Alle donne spetta il più monotono lavoro di pulizia e preparazione del pesce, oggigiorno svolto in

catena. Nei rari casi in cui una donna svolge compiti maschili ciò è fonte d‟orgoglio, mentre uomini

impiegati in compiti femminili definiscono l‟esperienza come umiliante.

Nei capitoli iniziali abbiamo visto come la visione della storia odierna islandese veda l‟individuo

teso fra modernità e passato, fra la partecipazione nel mondo globale e la difesa della tradizione

storica, e come questa sia correlata alla visione degli “altri”. Ciò è intimamente correlato alle

nozioni di inside ed outside. Nel legame col passato l‟inside è l‟household, la comunità rurale, la

purezza della lingua, l‟ordine sociale, la tradizione, gli altri raccontati dalle saghe. L‟outside è il

selvaggio, l‟impuro, la corruzione urbana e “peschiera”, il disordine sociale, gli altri (stranieri) che

mettono a rischio la tradizione, gli altri come huldúfok, elfi e così via. Nella modernità questa

suddivisione subisce delle modificazioni. Il benessere ed il cosmopolitismo urbano entrano a far

parte dell‟inside, così come il settore della pesca che li ha prodotti. Ma la visione moderna non va a

sostituire completamente quella passata, bensì coesiste con essa. Da questo scaturisce una delle

maggiori contraddizioni islandesi: quella relativa alla visione del mondo della pesca.

Il benessere economico islandese è fondato sulla pesca. Gli Islandesi si dichiarano orgogliosi di

essere una “nazione di pescatori”, glorificando le difficoltà ed i rischi della vita in mare.

Contemporaneamente, però, le comunità peschiere sono definite come un peso per l‟avanzata

società urbana. I pescatori sono degli eroi nazionali in mare, ma degli inetti ubriaconi che causano

disordine sociale sulla terra ferma. Le donne sono viste come le forti ed indipendenti mogli che

aspettano pazientemente il ritorno sulla terra ferma dei mariti, ma il loro lavoro nelle manifatture è

considerato improduttivo e degradante. La retorica comune dice che gli Islandesi sono tutti uguali,

uomini e donne, e non esistono classi sociali. Esiste in realtà una notevole disparità nei ruoli

lavorativi sia fra i pescatori, sia, e soprattutto, fra i due sessi. La “vera Islanda” e la purezza della

tradizione, sempre per la retorica comune, sono da ritrovarsi in campagna, non nei villaggi di

pescatori.

Una particolare posizione di marginalità è occupata dai “Faradverkamenn”, i lavoratori migranti.

Durante la stagione della pesca, questi si spostano di villaggio in villaggio, secondo la richiesta di

lavoro. Normalmente risiedono in particolari costruzioni, i “Verbuð”, molto spesso ricavati

direttamente all‟interno delle fabbriche. I verbuð sono delle semplici camerate con un bagno

comune ed, a volte, una cucina. In molti di essi non esiste neppure questa semplice suddivisione, ed

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i letti sono direttamente collocati in fabbrica, fra i macchinari. Le condizioni di vita sono

evidentemente misere e violenza ed alcolismo alloggiano permanentemente in essi.

I faradverkamenn contribuiscono in maniera determinante alle attività delle manifatture, ma sono

fortemente stigmatizzati come portatori di disordine sociale, per questo vengono emarginati dal

resto della società. I faradverkamenn possono essere visti come una sotto-classe della classe sociale

“pesca”.

La rivalutazione della pesca scaturita dalla visione della modernità è incentrata sull‟ideologia del

lavoro e su di un certo orgoglio nazionalistico.

Il tradizionale ordine sociale vedeva i lavoratori senza terra al fondo della scala sociale. Essi erano

costretti a legarsi ad un proprietario terriero e non potevano sposarsi e creare una famiglia fin tanto

che non avessero accumulato il necessario per acquistare della terra o del bestiame. Con la legge

del 1894 questa situazione mutò ed una nuova possibilità di movimento fu garantita ai lavoratori

senza terra. Molti di essi videro nelle comunità peschiere in crescita la possibilità di una nuova vita,

lontana dall‟assoggettamento ai proprietari terrieri. Questa scelta comportava però l‟emarginarsi

dalla società pura, entrando a far parte del disordine sociale tradizionalmente identificato con la

pesca. La rivalutazione delle comunità peschiere passò attraverso l‟esaltazione del duro lavoro.

Contrapponendo la durezza e la pericolosità della vita in mare alla “tranquillità” della vita rurale, il

lavoro di pescatore ottenne il carattere della rispettabilità. Oggigiorno, all‟interno del settore si

ritrova un senso d‟eguaglianza comune ponendo l‟accento sull‟importanza del proprio lavoro per il

benessere della nazione. Esistono delle marcate differenze fra i lavoratori, ma essi si considerano

tutti facenti egualmente parte della spina dorsale del paese. Nei momenti di massima produzione

lavorare il più a lungo possibile è un imperativo morale. Questo senso d‟appartenenza rende più

sopportabili le disuguaglianze, contribuendo così al loro mantenimento.

L‟immagine della nazione Islandese e dei suoi confini è stata costruita dalla retorica patriottica in

primo luogo come contrapposizione allo straniero140

. La lotta contro di esso doveva portare al

controllo del capitale e della produzione nazionale. L‟immagine dell‟individuo islandese è stata

costruita come quella dell‟orgoglioso e duro lavoratore in relazione con la natura: affascinante,

splendida, pura, ma anche pericolosa e catastrofica. A sua volta, la natura ha un forte legame con la

storia. Essa richiama legami di sangue antichi nel tempo e crea un senso di unità col passato. Poiché

in continua correlazione con essa, solo l‟Islandese è in grado di comprenderla ed estrarne i beni atti

al proprio sostentamento.

La natura era correlata essenzialmente all‟ambiente rurale, ma lo sviluppo della pesca aveva creato

le basi dell‟indipendenza economica. Grazie a questo una nuova figura mitologica cominciò a

140

Anne Brydon “Whale-siting: spatiality in Icelandic nationalism” in Pálsson, Durremberger “Images

of contemporary Iceland” pp. 36-41

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formarsi: quella del pescatore-soldato in guerra contro la potenza del mare. I pescatori sono la

versione islandese del soldato sconosciuto in lotta per la sopravvivenza della nazione. Attraverso

questa figura la nazione poteva immaginarsi come impegnata in una continua lotta per la

sopravvivenza, che, oltrepassando la morte dei singoli individui, avrebbe condotto all‟immortalità.

La lotta per la sopravvivenza e l‟immortalità nazionale non era combattuta solo contro la natura, ma

soprattutto anche contro lo straniero. Una volta raggiunta l‟indipendenza territoriale (1944), era

necessario raggiungere quella nel mare. Durante le cod wars i concetti di sovranità ed indipendenza

si rinforzarono all‟interno dell‟immaginario collettivo, sia nella loro caratterizzazione morale, sia in

quella politica. La presenza sul territorio della base americana fu un fattore addizionale per la

definizione della sovranità nazionale e la disputa per la sua salvaguardia. Le cod wars furono

vissute come un dovere morale e politico che doveva assicurare la sovranità e l‟immortalità

nazionale. Il ministro della pesca Luðvík Jósepsson le definì all‟epoca come lo stadio finale della

battaglia islandese per l‟indipendenza. Esse erano necessarie per ottenere la sovranità sulla risorsa

più importante e per evitare il suo esaurimento. Significativamente le prime misure di controllo

adottate dopo il termine delle cod wars erano delle limitazioni intese per incidere egualmente su

tutti i produttori. Le risorse acquisite con le cod wars erano un bene nazionale, erano l‟indipendenza

finale. Esse appartenevano quindi indistintamente a tutta la popolazione ed il loro accesso doveva

essere consentito a tutti egualmente. Il supporto nazionale alle cod wars fu costruito anche partendo

dall‟egualitarismo della retorica patriottica.

La privatizzazione avuta con l‟instaurazione del sistema delle quote, rapidamente analizzata nel

capitolo precedente, ha demolito questa visione della pesca. Ora pochi individui sono, di fatto, i

proprietari degli stock e delle aree di pesca. Il tradizionale egualitarismo non può più esistere, la

risorsa non è più egualmente a disposizione di tutti. L‟enfasi data all‟eguaglianza dal movimento

indipendentista ha oscurato quelle che erano le reali differenze in ricchezza e possibilità d‟accesso

alle risorse. Il sistema delle quote ha portato in luce, ed accresciuto, questa disuguaglianza.

Questa nuova consapevolezza può essere vista come uno dei fattori che contribuiscono al

mantenimento della contraddittoria visione islandese della pesca. Gísli Pálsson sottolinea come con

lo sviluppo di nuovi mercati nel XIX secolo abbia contribuito alla formazione di permanenti

comunità peschiere, facendo della pesca un‟attività annuale141

. Come risultato il centro della

discussione sull‟economia e sulla produzione traslò dall‟elite terriera alla comunità peschiera.

Gradualmente i pescatori, specialmente i capitani, diventarono la figura chiave del discorso di

produzione e l‟agricoltura cominciò ad essere ridefinita in un ruolo marginale all‟interno

dell‟economia nazionale. Ora il processo sta ritornando sui suoi passi, andando dal mare verso la

141

Gísli Pálsson “The politics of production: enclosure, equity and efficienty” in Pálsson,

Durremberger “Images of contemporary Iceland” p. 61

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154

terra. La pesca rimane l‟attività primaria, ma gli agenti principali non sono più i pescatori ed i

capitani in stretto contatto col mare, ma i “terrestri” proprietari di barche, quote ed industrie

manifatturiere, coadiuvati dai detentori del sapere scientifico e testuale. I pescatori stanno

ritornando alla marginalità.

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155

Conclusioni

Il tema centrale di questa tesi sono le cod wars. Esse sono state degli eventi di carattere

internazionale, ma possono essere comprese appieno solo nel loro essere correlate alla storia ed alla

società islandese.

Il primo capitolo è stato così dedicato alla presentazione dell‟Islanda, caratteristiche geografiche e

storia, e della sua società. Diversi elementi vanno a formare quella che è l‟identità culturale di un

popolo: lingua, letteratura, religione, dei valori ed una storia comuni.

La condivisione di una lingua comune, grammaticalmente e storicamente ben definita, è, per tutti i

popoli, uno dei principali elementi di coesione nazionale. In Islanda, data la consistenza numerica

della popolazione, tale importanza è ancora maggiore. In conseguenza di questo, l‟ideologia

nazionale tende ad esaltare l‟unicità e la purezza dell‟Islandese, stigmatizzando nel contempo tutte

le possibili devianze, reali o presunte che esse siano. Coloro che parlano un differente Islandese

sono considerati elementi a parte, dei diversi, dei fattori estranei alla comunità.

L‟Islanda può essere considerata come la prima nuova società di frontiera della storia occidentale.

Caratteristica comune a questo tipo di società, come ad esempio quella statunitense, è quella di

mantenere vivo il ricordo della loro fondazione. La creazione della società islandese è stata

tramandata grazie alle Sögur, il capolavoro letterario della storia islandese. Le saghe rivestono un

ruolo fondamentale nel senso d‟identificazione collettiva nazionale. Esse sono la testimonianza di

un‟origine “mitica”, sono il mezzo attraverso il quale è stato possibile tramandare e purificare la

lingua, ma sono anche ciò che per lungo tempo ha messo in relazione gli Islandesi con gli “Altri”.

Costretti ai margini della storia, per molti secoli gli Islandesi si sono confrontati con degli Altri

d‟origine mitica, gli eroi delle antiche saghe e gli esseri dell‟ignoto (huldúfolk, elfi, fantasmi, mostri

marini…). Questi contribuiscono a marcare il territorio, a rendere popolati gli immensi spazi delle

landscapes.

Oggi si può dire che gli islandesi sono sospesi nella storia, tesi fra passato e presente, fra

preservazione delle origini ed adattabilità alla modernità. La società islandese sì caratterizza per

essere contemporaneamente ultra-moderna e strettamente collegata al passato. Accanto alle nuove

tecnologie sopravvivono antiche tradizioni e credenze, come abbiamo analizzato nel paragrafo

dedicato alla religione.

Il particolare legame che gli Islandesi hanno con la storia incide notevolmente anche nella creazione

dei loro valori comuni. Per riuscire a comprendere al meglio la società islandese bisogna ricorrere al

concetto di “cultura della vergogna” teorizzato dalla sociologa americana Ruth Benedict. Il forte

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legame con la storia porta al desiderio di “conservazione”, di essere ricordati dopo la morte, mentre

la vicinanza col modello teorico delle culture della vergogna crea i presupposti per una certa

assenza di “moralismo pubblico”. Così il valore supremo della società islandese diventa quello

dell‟eccellenza, che porta all‟individuo fama e fortuna e permette la preservazione del suo nome

dopo la morte. Il raggiungimento di ciò giustifica tutto, anche una condotta morale non

irreprensibile. Quello che importa è eccellere, il come non conta, fino a che non provoca pubblica

vergogna. Comunque, una delle vie preferenziali per raggiungere l‟eccellenza è il duro lavoro. Il

materialismo è una componente preponderante della società islandese, così come il ruolo centrale

dell‟ideologia rurale e familiare. Come conseguenza del ruolo primario rivestito dalla campagna,

nell‟immaginario collettivo è fortemente presente un generale senso di eguaglianza, anche se essa è

più teorica che reale.

Il medioevo islandese è terminato solo nella seconda metà dell‟Ottocento, quando è iniziato un

lento processo di modernizzazione. Ciò che ha permesso agli Islandesi di compiere un vero e

proprio balzo verso la modernità sono stati gli eventi della Seconda Guerra Mondiale ed il nuovo

ordine politico che da essa scaturì. Sfruttando l‟importanza geo-politica del proprio territorio, gli

Islandesi hanno potuto avvantaggiarsi enormemente dal conflitto bellico e dalla Guerra Fredda,

ottenendo gli aiuti economico-politici necessari a creare uno stato moderno. Il processo di

modernizzazione era già avviato nei primi decenni del secolo scorso, ma l‟assenza d‟importanti

matterie prime e la scarsa consistenza numerica della popolazione avrebbero difficilmente

consentito uno sviluppo tanto rapido. La Guerra Fredda creò così i presupposti politici per compiere

la modernizzazione del paese. Tale sviluppo fu basato sullo sfruttamento dell‟unica vera risorsa

islandese: la pesca.

Le acque circondanti il territorio islandese sono fra le più prolifiche ed intensamente sfruttate al

mondo. A partire dai primi del „900, le innovazioni tecnologiche portarono ad un incremento tale

dello sfruttamento, da mettere in serio pericolo la capacità riproduttiva degli stock di tutte le più

importanti specie di pesce. Il punto del maximun sustainable yeld fu ampiamente superato e le

quantità e qualità di pescato cominciarono a decrescere rapidamente, nonostante un continuo

incremento del fishing effort. L‟industria del pesce ha un ruolo fondamentale nell‟economia

islandese. I prodotti che ne derivano sono alla base della maggior parte degli scambi commerciali

necessari ad ottenere le materie prime ed i beni di consumo necessari alla popolazione, come

dimostra il fatto che essi hanno rappresentato per lungo tempo il 75-90% delle esportazioni totali.

Diverse ricerche effettuate dalla FAO dimostrarono, in passato, come l‟Islanda fosse di gran lunga il

primo paese al mondo per importanza della pesca nell‟economia nazionale. Il continuo declino degli

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stock e questo ruolo basilare delle risorse marine giustificarono i tentativi di ottenere il pieno

controllo delle acque circondanti la costa islandese, che diedero origine alle cod wars.

Le acque islandesi erano sfruttate intensamente anche da pescatori stranieri, principalmente

britannici e tedeschi. Esse rappresentavano in particolar modo un‟importante risorsa per le comunità

dei tre porti inglesi di Hull, Grimsby e Fleetwood. Nella solo Hull, ad esempio, l‟economia del

pesce interessava circa il 42% della popolazione nei giorni migliori ed il 22% in quelli di declino.

Questa non era supportata solamente dal pescato islandese, ma esso rappresentava

sicuramente una porzione consistente e di notevole valore della produzione totale. Ciò fu una

componente essenziale delle motivazioni che spinsero il governo Britannico ad impegnarsi nelle

dispute per l‟allargamento dei limiti territoriali islandesi.

Le estensioni islandesi furono possibili anche grazie alla vaghezza delle leggi internazionali per la

regolamentazione dello sfruttamento degli oceani e la definizione delle acque territoriali.

Fino alla Seconda Guerra Mondiale esistevano diversi metodi di delimitazione delle acque

territoriali. Diversi stati europei promuovevano un limite di tre miglia marine, i paesi scandinavi

sostenevano una misura pari a quattro miglia, le nazioni iberiche una di sei miglia e diversi paesi

sud americani distanze ancora maggiori. La dichiarazione Truman del Settembre 1945 fu l‟elemento

scatenante di una serie di richieste di limiti territoriali più ampi e mostrò la necessità di creare una

chiara legislazione internazionale. A questo proposito furono create, dalla neonata ONU, delle

apposite commissioni di studio che portarono alla convocazione delle UNCLOS. Queste conferenze

si dimostrarono inefficaci, fino al 1982, nel trovare una ben determinata definizione dei limiti

territoriali e di sfruttamento, ma molto chiare furono le tendenze generali. La prima UNCLOS

dimostrò come non si potesse considerare il limite di tre miglia una regola generale, permettendo

l‟instaurazione di limiti non superiori alle dodici miglia. Nella seconda conferenza questo concetto

fu ribadito, sottolineando inoltre la mancanza di accordo per l‟instaurazione di diritti storici. Nella

terza UNCLOS fu chiaro il sostegno per limiti di sfruttamento molto ampi, duecento miglia, anche

se non si poté raggiungere un accordo definitivo.

La prima espansione, 1952, portò il limite delle acque territoriali islandesi fino a quattro miglia

marine e fu una diretta conseguenza del termine del precedente trattato, stipulato fra Gran Bretagna

e Danimarca, del 1901. Il giudizio della Corte Internazionale di Giustizia sul caso Anglo-Norvegese

aveva creato i presupposti legali per una sua messa in pratica. Una certa opposizione fu fatta

dall‟industria peschiera britannica, che impose un bando sul pescato islandese nei porti inglesi. Ciò

ebbe in realtà degli effetti positivi, perché la necessità di trovare nuovi mercati stimolò lo sviluppo

dell‟industria manifatturiera islandese. Per quanto concerne la protezione delle risorse,

quest‟espansione ebbe effetti molto positivi sugli stock di eglefino e platessa.

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La seconda, 1958 fino a dodici miglia, diede origine alla prima cod war. L‟espansione fu

giustificata come una misura protettiva atta a difendere gli stock di merluzzo, in continua decrescita

per l‟eccessivo sfruttamento. Una giustificazione legale ad essa venne dai risultati dell‟UNCLOS I.

Il testo finale della conferenza sottolineava, infatti, come non sì potesse instaurare limiti superiori

alle dodici miglia, di fatto autorizzando un‟espansione fino a tale misura.La decisione del governo

Britannico di far intervenire la Royal Navy a protezione dei propri pescherecci, fu dovuta

essenzialmente a tre fattori: le pressioni esercitate dai parlamentari, industriali e lavoratori di Hull e

Grimsby, la fallace interpretazione dell‟Ambasciatore Andrew Gilchrist sull‟unità nazionale

islandese intorno al problema, la necessità di ritardare l‟evolversi della legislazione internazionale

verso la concessione di limiti più ampi. L‟intera avventura fu per la Gran Bretagna un completo

fallimento, sia dal punto di vista economico, sia da quello politico. La conclusione della cod war fu

sancita, nel 1961, da un trattato che prevedeva il riconoscimento britannico dei nuovi limiti in

cambio di diritti di pesca per i pescatori inglesi in certe zone dell‟area compresa fra le 6 e le 12

miglia. Tali diritti valevano per tre anni e il governo Britannico riconosceva inoltre sette aree dove

la pesca sarebbe stata riservata solamente alle barche a motore islandesi. Nel caso in cui il governo

Islandese volesse procedere ad un‟ulteriore espansione esso si impegnava a darne avviso al governo

di Sua Maestà con sei mesi d‟anticipo e ad accettare il giudizio della Corte Internazionale in caso di

un‟eventuale disputa. A causa di quest‟ultimo punto e per un‟interpretazione aggressiva di alcune

lettere scambiate fra i due governi durante i negoziati, l‟Opposizione islandese criticò fortemente il

trattato, rifiutandosi di riconoscerne la validità. Da ciò scaturì una lunga scia di polemiche, che i

partiti dell‟opposizione sfruttarono per poter tornare al potere ed effettuare una nuova espansione

all‟inizio degli anni settanta.

Alla fine degli anni sessanta la situazione degli stock era a dir poco allarmante, come sottolineato

dalla conclusione del “boom delle aringhe”. Le opposizioni socialiste e nazionaliste non mancarono

di sottolineare la necessità di nuove misure protettive e di sostenere una nuova espansione. Il

governo era impossibilitato a procedere, poiché vincolato dai termini del trattato del ‟61.

Nonostante alcuni paesi del Terzo Mondo si fossero fatti promotori di limiti più ampi, nessun

cambiamento di rilievo era avvenuto nella situazione della legislazione internazionale, che non

autorizzava limiti superiori a quello già esistente. Le elezioni del 1971 furono una chiara vittoria

dell‟opposizione, che grazie al supporto nazionale per l‟espansione tornava al governo dopo quasi

undici anni. L‟anno successivo il progettato allargamento fu messo in pratica ed una nuova cod war

cominciò, stavolta coinvolgendo anche la Germania Federale. Il conflitto si rivelò più cruento di

quello precedente, soprattutto per l‟utilizzo del trawl wire cutter da parte della guardia costiera

islandese. Le motivazioni economiche islandesi erano più che chiare, date l‟importanza della pesca

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per l‟economia nazionale e la difficile situazione delle riserve. Dal punto di vista politico

quest‟espansione, fino a cinquanta miglia, doveva essere una tappa d‟avvicinamento a quello che

era l‟obiettivo islandese dell‟ottenimento di giurisdizione su di una zona compresa nelle 200 miglia,

ottenendo così il controllo di tutti i maggiori banchi di pesce transitanti intorno alle coste nazionali.

L‟utilizzo da parte del governo Britannico delle imbarcazioni militari si rivelò nuovamente

improduttivo, soprattutto in luce d‟alcune proposte islandesi, fatte prima dello scoppio del conflitto,

secondo le quali venivano concessi ai pescatori britannici diritti maggiori di quelli ottenuti col

trattato conclusivo, nel 1973. L‟atteggiamento britannico, e tedesco, fu una conseguenza del

supporto legale ottenuto dalla Corte Internazionale di Giustizia. Il conflitto fu temporaneamente

risolto grazie all‟intervento del Segretario Generale della NATO, preoccupato per le sorti della base

Americana di Keflavìk nel caso in cui la situazione non fosse stata risolta. L‟accordo prevedeva che

la pesca all‟interno del limite di 50 miglia fosse interdetta a tutti i cosiddetti “vacuum-cleaner”

britannici, così come ad altri 30 trawlers, di cui 15 erano i più grossi della flotta. Veniva stilata una

lista di 139 pescherecci che avrebbero avuto il permesso di pescare fra le 12 e le 50 miglia; in caso

di violazione dei limiti constatata sia dalla guardia costiera sia dalle navi ausiliarie britanniche, i

pescherecci venivano definitivamente cancellati dalla lista e non potevano essere sostituiti da altri

trawlers. Le due parti si accordavano su tre aree di conservazione delle riserve vive: la prima, al

largo della costa nord-occidentale, era bandita per tutto l‟anno ai pescatori britannici, la seconda, al

largo della costa meridionale, era chiusa dal 20 Marzo al 20 Aprile, la terza, al largo della costa

nord-orientale, veniva chiusa dal 1 Aprile al 1 Giugno d‟ogni anno. Tre zone al largo

rispettivamente della costa nord, est e ovest erano destinate ai soli pescatori islandesi operanti su

barche a motore e il mare all‟interno del limite di 50 miglia era suddiviso in 6 aree di pesca, di cui

almeno una a turno era interdetta ai trawlers britannici. La quantità totale di pescato britannico

consentita era stimata in 130.000 Ton.. Contrariamente alle intenzioni islandesi, non fu trovato un

accordo col governo Tedesco, con il quale il conflitto durò fino al 1975.

L‟ultima estensione dei limiti di sfruttamento islandesi, 1975, trova una sua giustificazione quale

punto d‟arrivo di una lotta per la conservazione delle riserve e per la protezione dell‟economia

nazionale che era stata al centro della politica islandese fin dalla conquista dell‟Indipendenza.

L‟evoluzione della legislazione internazionale, con il supporto per tale limite nell‟UNCLOS III, può

essere vista come una giustificazione di fatto a procedere, anche se un accordo definitivo fu

raggiunto solo qualche anno più tardi. La reazione britannica fu giustificata dal supporto ricevuto

dalla Corte Internazionale, ma, già nel 1974, i rappresentanti dell‟industria del pesce britannica si

erano pronunciati a favore del limite di 200 miglia quale misura per proteggere la loro attività dal

continuo calo delle riserve nelle acque intorno al Regno Unito. Essi avevano inoltre sottolineato

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come l‟evoluzione dell‟UNCLOS III facesse prevedere l‟adozione di tale limite a livello

internazionale abbastanza imminente. Era dunque necessario procedere alla salvaguardia ed allo

sviluppo della pesca intorno alle coste nazionali, prima che tutte le acque distanti fossero chiuse alla

pesca britannica. In luce di questa presa di coscienza del problema, diventa difficile comprendere la

decisione del governo Britannico di ingaggiare la Royal Navy in un‟altra cod war, che fu

estremamente antieconomica. Sul piano delle relazioni politiche questa fu la cod war più cruenta,

visto che sì arrivò alla rottura di relazioni diplomatiche fra i governo Islandese e Britannico. Di

conseguenza, furono messe in serio pericolo sia l‟esistenza della base militare di Keflavìk, sia la

partecipazione islandese alla NATO. L‟accordo, approvato dall‟Alþing solo l‟11 Novembre ma

comunque valido sin dal 2 Giugno, prevedeva che solamente 24 trawlers britannici, scelti fra una

lista di 93, potessero pescare contemporaneamente in acque islandesi, in alcune zone a partire dalle

20 miglia di distanza dalla costa, in altre dalle 30 miglia. Quattro aree di conservazione erano

completamente chiuse e la quantità massima di pescato consentita era valutata in 50.000 Ton.,

15.000 in meno di quella offerta dal governo Islandese prima dell‟inizio della cod war. La durata

del trattato era di soli sei mesi, al termine dei quali tutti i pescherecci britannici uscirono dal limite.

L‟accordo stipulato con la Germania Federale scadde nel Novembre 1974, data in cui tutti i

pescherecci tedeschi lasciarono definitivamente le acque territoriali islandesi, dando così agli

Islandesi il completo controllo delle risorse marine intorno alla loro costa.

Le cod wars furono promosse come una battaglia per dare a tutta la popolazione il controllo sulla

maggiore risorsa nazionale, ma negli anni ‟80 si assistette all‟introduzione del sistema delle quote

individuali trasferibili, una “privatizzazione nascosta” che causò un forte cambiamento sociale nei

villaggi costieri, ora soggetti al controllo di pochi imprenditori chiamati “Re delle quote”.

Nell‟ultimo capitolo abbiamo tentato di analizzare il ruolo della pesca nella storia islandese, da un

punto di vista antropologico.

La pesca ha rivestito un‟importanza fondamentale per la sussistenza degli Islandesi, in particolar

modo per le comunità costiere, sin dai tempi della colonizzazione. La società islandese era, però,

incentrata sul mondo agricolo e sulla figura dell‟agricoltore indipendente. La pesca era così

considerata un‟attività secondaria, da svolgersi quando non c‟erano necessità lavorative nella

fattoria. L‟attività peschiera era indirettamente posta sotto il controllo dei proprietari terrieri, poiché

solo loro potevano garantire la possibilità di usufruire di buoni punti d‟approdo. Inoltre, il sistema

sociale era basato sulla necessità di possedere della terra o del bestiame per essere freeman,

obbligando chiunque non avesse tali requisiti a trovare impiego e residenza presso una fattoria.

Questo sistema garantiva ai proprietari terrieri il pieno controllo della mano d‟opera, nonché di tutte

le risorse disponibili.

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Secondo l‟ideologia rurale, la fattoria era il luogo dell‟ordine, del conosciuto, mentre il mare era il

luogo del caos naturale, dell‟ignoto. Poiché il caos naturale coincideva col caos sociale, coloro che

basavano il loro sostentamento sullo sfruttamento del mare erano visti come portatori di disordine

sociale. All‟interno della giornata, inoltre, il lavoro di pescatore non aveva una determinazione

fissa, poiché dipendeva dalla presenza o meno del pesce ed era, ancor più dei lavori agricoli,

condizionato dal clima. Coloro che si sostentavano solo grazie alla pesca, non solo erano in costante

relazione con un mondo diverso, disordinato, ma avevano anche una scansione del tempo caotica,

imprevedibile. Disordine naturale e disordine temporale erano identificati con disordine sociale.

Le attività lavorative legate alla pesca erano caratterizzate da un certo egualitarismo. Uomini e

donne indistintamente vi partecipavano, anche se l‟apporto di ciascuno era basato sulla nozione di

fiski, la capacità di pescare. Ogni imbarcazione aveva il proprio formenn, una sorta di responsabile

per l‟equipaggio. Essere formenn era una carica onorevole, ma non implicava nessun particolare

ruolo decisionale. Le strategie da attuare erano solitamente discusse con i più esperti, a volte con

tutto l‟equipaggio. Il pescato era diviso equamente fra l‟equipaggio, una parte era destinata al

proprietario della barca ed un incentivo maggiore era destinato ai formenn delle imbarcazioni più

grosse.

Questa situazione cominciò a cambiare con la lenta modernizzazione avviata dalla seconda metà

dell‟Ottocento. Gradualmente la pesca si trasformò in un‟attività capitalistica, tesa verso la

massimizzazione della produzione e le necessità del consumatore, principalmente straniero. La

pesca divenne un‟attività specialistica ed annuale, ed il tradizionale egualitarismo decadde. La

figura principale divenne quella del capitano, alla cui abilità era correlata l‟efficienza

dell‟imbarcazione. Ad egli spettavano tutte le responsabilità di gestione della barca, e l‟equipaggio

era totalmente soggetto alle sue decisioni. Con lo sviluppo capitalistico del settore, si ebbe una

maggiore separazione fra le due sfere sessuali, sia in relazione alla pesca vera e propria, sia

all‟interno delle manifatture.

Tutta la storia islandese può essere letta come un‟opposizione fra inside, il sociale, e l‟outside,

l‟esterno, il selvaggio. La fattoria rappresentava l‟inside e conteneva entrambe le sfere sessuali.

Anche determinati lavori legati alla pesca facevano parte di essa. L‟outside era la lontananza dalla

fattoria ed il confronto con il mondo selvaggio durante la caccia e la pesca stagionale, ed era

prerogativa maschile. Nelle fattorie c‟erano dei temporanei confronti con esso; i villaggi costieri

erano l‟outside, il disordine sociale. Lo sviluppo capitalistico creò una distinzione fra il privato ed il

pubblico. Il primo è l‟inside, l‟household ed è prerogativa femminile; il secondo è l‟outiside, la

pesca ed è prerogativa maschile. La concezione che legava certe attività peschiere all‟inside è

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sopravvissuta. Così, il lavoro femminile nelle manifatture è considerato parte di quello

dell‟household, le donne sono considerate solo come casalinghe, non come lavoratrici.

Nel legame col passato l‟inside è l‟household, la comunità rurale, la purezza della lingua, l‟ordine

sociale, la tradizione, gli altri raccontati dalle saghe. L‟outside è il selvaggio, l‟impuro, la

corruzione urbana e “peschiera”, il disordine sociale, gli altri (stranieri) che mettono a rischio la

tradizione, gli altri come huldúfok, elfi e così via. Nella modernità questa suddivisione subisce delle

modificazioni. Il benessere ed il cosmopolitismo urbano entrano a far parte dell‟inside, così come il

settore della pesca che li ha prodotti. Ma la visione moderna non va a sostituire completamente

quella passata, bensì coesiste con essa. Questa situazione crea la contraddittoria visione della pesca

nella società islandese. Gli Islandesi si dichiarano orgogliosi di essere una “nazione di pescatori”,

glorificando le difficoltà ed i rischi della vita in mare, contemporaneamente, però, le comunità

peschiere sono definite come un peso per l‟avanzata società urbana. I pescatori sono degli eroi in

mare, ma sulla terra ferma sono considerati un problema sociale; le donne sono viste come le forti

ed indipendenti mogli che aspettano pazientemente il ritorno sulla terra ferma dei mariti, ma il loro

lavoro è considerato improduttivo e degradante.

La rivalutazione della pesca scaturita dalla visione della modernità è incentrata sull‟ideologia del

lavoro e su di un certo orgoglio nazionalistico. Contrapponendo la durezza e la pericolosità della

vita in mare alla “tranquillità” della vita rurale, il lavoro di pescatore ottenne il carattere della

rispettabilità. Oggigiorno, all‟interno del settore si ritrova un senso d‟eguaglianza comune ponendo

l‟accento sull‟importanza del proprio lavoro per il benessere della nazione. Con lo sviluppo

capitalistico, una nuova figura mitologica cominciò a formarsi: quella del pescatore-soldato in

guerra contro la potenza del mare. I pescatori sono la versione islandese del soldato sconosciuto in

lotta per la sopravvivenza della nazione. Il nemico contro cui essi lottavano non era solamente la

natura, affascinante ed avversa nello stesso tempo, ma anche lo straniero che impediva

l‟indipendenza sul mare. Durante le cod wars i concetti di sovranità ed indipendenza si rinforzarono

all‟interno dell‟immaginario collettivo; la presenza sul territorio della base americana e la NATO

furono considerate dei pericoli per la loro sopravvivenza. Le cod wars furono vissute come un

dovere morale e politico che doveva assicurare la sovranità e l‟immortalità nazionale.

Le disuguaglianze sociali furono nascoste prima dall‟ideologia rurale degli independent people, poi

dalla lotta per l‟indipendenza economica del paese, che doveva essere a beneficio di tutti. Con

l‟introduzione del sistema delle quote, le disuguaglianze sono giunte allo scoperto, mettendo in crisi

una delle basi del ideologia collettiva islandese ed estremizzando la visione contraddittoria della

pesca. Attraverso lo sviluppo capitalistico e la lotta per il controllo delle risorse, rappresentata dalle

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cod wars, il ruolo della pesca era stato rivalutato, anche se non completamente; ora i pescatori

stanno ritornando ai margini della società islandese.

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giorno, pagina: colonna

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168

- Giugno 1958: -3,63:5; -4,66:4; -5,62:4; -6,46:1; -7,38:8; -13,46:8

- Luglio 1958: -3,4:6; -6,14:1; -15,52:7; -21,12:6

- Agosto 1958: -14,52:5; -17,17:3; -19,54:6; -21,3:4; -22,39:6; -23,4:4; -24,3:6; -24,IV,10:1; -

25,40:2; -26,11:1; -28,48:8; -29,44:2; -30,1:3; -31,24:4

- Settembre 1958: -1,1:8; -1,3:2; -2,1:3; -2,11:1; -2,24:2; -2,49:3; -3,1:6; -3,20:4; -4,11:1; -

5,11:1; -6,3:5; -7,IV,7:1; -9,2:6; -10,5:4; -11,67:1; -14,4:3; -14,28:1; -17,11:6; -23,14:5; -

26,51:5; -26,4:3

- Ottobre 1958: -7,42:7; -11,46:3; -14,6:5; -15,12:5

- Novembre 1958: -13,41:7; -21,5:1

- Dicembre 1958: -3,4:3; -6,8:3; -8,51:6

- Febbraio 1961: -28,10:3

- Marzo 1961: -1,11:1; -10,3:1

- Luglio 1972: -15,8:4

- Agosto 1972: -18,2:8; -19,26:3, -21,31:1

- Settembre 1972: -2,4:3; -3,35:2; -3,IV,5:6; -5,9:1; -7,9:1; -13,9:1; -19,14:6

- Ottobre 1972: -4,13:6; -22,24:3

- Novembre 1972: -24,23:6

- Gennaio 1973: -6,9:1; -7,7:1; -8,3:5; -14,III,43:3; -20,10:4

- Marzo 1973: -7,6:1; -26,47:1

- Aprile 1973: -4,18:5; -5,12:8; -10,5:1; -15,IV,16:4; -25,12:2

- Maggio 1973: -16,26:1; -18,75:4; -19,7:1; -20,13:5; -21,18:7; -22,3:4; -22,3:6; -24,2:8; -

25,3:5; -26,6:4; -27,3:1; -27,3:4; -28,14:2; -28,14:5; -28,30:7; 28,30:8; -29,14:6; -30,3:3; -

30,9:1; -31,1:4; -31,13:1

- Giugno 1973: -1,4:5; -2,2.4; -2,3:1; -2,3:2; -3,9:1; -3,IV,6:1; -7,44:2; -7,44:3; -8,4:7, -8,4:8;

-8,10:6; -30,9:1

- Luglio 1973: -1,2:3; -4,30:2

- Agosto 1973: -12,7:1

- Settembre 1973: -9,9:1; -11,34:7; -12,7:1; -28,11:1

- Ottobre 1973: -3,3:5, -4,17:1, -5,30:2; -16,7:1; -17,12:1

- Novembre 1973: -9,8:1; -14,7:1; -14,44:2

- Ottobre 1975: -16,5:1

- Novembre 1975: -19,22:3; -21,16:7; -27,14:1; -28,23:8; -29,12:6

- Dicembre 1975: -6,9:1; -7,7:1; -12,4:5; -29,5:1

Page 170: “The Cod Wars” La questione della pesca e la nazione ...€¦ · FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in: storia contemporanea TITOLO DELLA TESI: “The Cod Wars”

169

- Gennaio 1976: -10,40:4; -13,13:4; -14,2:4, -15,3:1;- 20,5:1; -27,7:1; -28,2:1, -28,2:5; -

29,10:4; -30,2:5; -31,28:5

- Febbraio 1976: -1,IV,4:4; -6,4:8, -18,11:1; -20,1:4, -20,3:7

- Marzo 1976: -11,2:4; -14,7:1; -28,4:1

- Aprile 1976: -3,10:6

- Maggio 1976: -20,14:4; -23,7:1; -31,1:7

- Giugno 1976: -1,4:6; -2,15:6; -3,4:3

The Times

- Febbraio 1972: -11,20a; -22,15a; -25,6b

- Marzo 1972: -1,18a; -3,9a; -7,8c; -7,17c; -8,15d; -9,5d; -17,15e

- Aprile 1972: -10,20a; -14,16a; -15,4c; -17,5a; -21,6e

- Maggio 1972: -9,19e; -11,22d; -13,4d; -15,6b; -23,20h; -24,6a; -25,6e; -26,5e

- Giugno 1972: -8,6g; -19,15a; -20,6a; -30,6c

- Luglio 1972: -4,6f; -5,20c; -10,4h; -11,6b;-14,5a; -15,1e; -31,4d

- Agosto 1972: -16,4c; -17,4h; -21,3g; -28,3a; -29,4f; -30,4a; -31,1a; -31,5b

- Settembre 1972: -1,1a; -2,4a; -2,4d; -4,1c; -5,1c; -6,6a; -7,1d; -8,1b; -8,7b; -9,4c; -11,4d; -

11,4e; -12,4d; -12,4e; -13,1a; -13,4g; -14,5d; -15,4d; -15,6e; -16,4c; -20,4f; -23,1a; -29,5a

- Ottobre 1972: -4,6h; -6,9h; -7,4h; -9,4c; -18,5a; -19,1d; -19,1e; -20,1g; -21,6f; -24,1h; -

24,17a; -25,8f; -27,6e; -27,15d, -28,15f; -30,15e, -30,4g; -31,6c

- Novembre 1972: -1,4h; -1,8e; -2,6e, -4,4h; -21,6c; -24,1d; -25,5e; -25,15a; -27,7d; -28,5c; -

29,1g; -30,17a; -30,7a; -30,17g

- Dicembre 1972: -1,19a; -2,15e; -7,6e; -8,6f; -11,1a; -13,4a; -13,12d; -19,1e; -19,7h; -22,13e;

-28,1a; -29,4d; -30,5b

- Gennaio 1973: -3,2h; -4,5b; -6,4a; -8,1g; -9,5a; -11,6d; -13,4e; -17,6h; -18,7d; -19,1a; -

20,1a; -22,5c; -23,9e; -24,1e; -29,5a; -30,4e; -30,8e; -31,5a

- Febbraio 1973: -3,4g; -3,4h; -9,2c; -12,4f; -17,4g; -20,5a; -23,1c

- Marzo 1973: -6,1a; -7,8b; -8,1d; -8,14a; -12,13e; -13,7f; -14,1d; -15,5d; -15,17e; -19,1g; -

19,20f; -20,6a; -20,10c; -20,14f; -21,15g; -22,8a; -22,14d; -23,9a; -23,10e; -26,1g; -27,1a; -

31,4d

- Aprile 1973: -2,6c; -3,5b; -4,8a; -7,4c; -16,7a; -18,19a; -24,1c; -25,1a; -25,1b; -26,5c; -

27,1f; -27,19a; -30,3g

Page 171: “The Cod Wars” La questione della pesca e la nazione ...€¦ · FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di laurea in: storia contemporanea TITOLO DELLA TESI: “The Cod Wars”

170

- Maggio 1973: -2,19c; -3,18c; -4,8a; -5,1a; -7,5f; -8,6a; -8,10a; -9,16a; -10,8a; -10,11a; -

10,12a; -11,6e; -12,4f; -12,13d; -14,16d; -16,1e; -17,6a; -17,16a; -18,1a; -18,8a; -18,21a; -

21,1a; -21,15d; -22,1d; -22,6c; -22,8a; -22,17e; -23,7a; -23,8a; -23,19f; -24,6c; -24,18h; -

25,1f; -25,16c; -25,19e; -26,4c; -26,15g; -28,1a; -28,1c; -28,9f; -29,4a; -29,13a; -29,13d; -

30,1g; -30,6c; -30,19d; -30,20e; -31,1b

- Giugno 1973: -2,1g; -4,1h; -4,15g; -5,1e; -5,5g; -6,6a; -6,16d; -7,8c; -8,1f, -8,8e; -8,18a; -

9,4g; -12,1a; -13,17e; -14,8a; -14,4f; -15,1f; -15,19g; -16,15d; -17,16c; -19,16h; -22,1d; -

22,6a; -23,4c; -26,4h; -28,4e; -28,8e; -30,4d

- Luglio 1973: -2,4h; -3,1c; -4,6g; -6,7g; -9,1a; -9,14f; -11,4f; -12,5c; -13,5h; -14,4a; -14,12c;

-16,3f; -17,5h; 18,1b; 19,6a; -21,4a; -26,7e; -28,4f; -30,4a

- Agosto 1973: -3,6d; -4,3e; 15,6d; -17,4d; -18,4c; -23,5c; 24,4h; -28,4g; -30,5a; -31,3e; -

31,3g

- Settembre 1973: -1,4c; -3,3e; -6,7a; -7,7a; -7,7b; -8,1f; -11,1g; -12,7a; -15,1d; -18,8a; -

18,19a; -20,1c; -20,9h; -21,7a; -22,4b; -24,1a; -24,6b; -24,18a; -25,1h; -28,1f

- Ottobre 1973: -1,1c; -2,1b; -2,8g; -4,1a; -5,9c; -5,19a; -9,6c; -11,7b; -16,1a; -17,1h; -18,6g; -

18,19a; -19,11d; -19,24a; -20,3d

- Novembre 1973: -8,8a; -9,1a; -13,7d; -141h; -14,4d; -18,8g; -20,8h; -21,8b; -29,24d

- Marzo 1975: -6,5e

- Luglio 1975: -16,1d; -17,6a

- Agosto 1975: -19,3f

- Settembre 1975: -8,3e; -8,17d; -11,6a; -12,5b; -13,3f; -16,6f

- Ottobre 1975: -6,1f; -15,7h; -16,5d; -17,5a; -20,3a; -22,6e; -23,6a; -24,5f; -25,4d; 30,4g; -

30,7d

- Novembre 1975: -1,1c; -5,9a; -7,5b; -10,5b; -11,7h; -13,4a; -15,4a; -17,5a; -18,1e; -18,15a; -

19,1a; -20,1d; -20,5f; -20,23d; -21,8e; -21,13g; -21,16e; -22,4e; -22,13f; -24,2d; -24,17g; -

25,1f; -25,9a; -25,15a; -26,1g; -27,1b; -27,6a; -27,15d; -28,1h; -28,6e; -29,5b; -29,6c; -

29,15c

- Dicembre 1975: -1,1h; -1,6b; -2,6d; -3,6f; -4,1d; -5,9d; -5,15e; -6,4g; -8,6a; -9,6f; -10,5d; -

11,14a; -11,15g; -12,1c; -12,17g; -13,5d; -13,24f; -15,4a; -15,11e; -16,3h; -17,5h; -17,13g; -

18,6d; -19,4d; -19,6d: -22,3a; -22,5a; -22,11d; -23,8a; -23,9e; -24,4b; -24,11d; -29,1f; -30,4d

- Gennaio 1976: -5,3e; -7,4b; -8,5c; -9,5c; -10,1f; -10,3e; -12,1e, -13,6b; -13,15a; -14,1f; -

14,14d; -15,1a; -15,7d; -15,15d; -16,1c; -17,4f; -20,1d; -20,13g; -21,1e; -21,8g; -21,14e; -

22,8b; -23,1d; -23,14c; -24,4g; -24,12c; -26,4c; -27,1a; -29,1g; -29,6e; -29,9e; -30,1f; -

30,12c; -30,16g; -31,3e

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- Febbraio 1976: -2,4f; -2,25d; -3,1a; -4,1a; -5,6a; -5,8c; -5,15a; -6,1d; -7,1g; -9,4g; -9,5d; -

10,1e; -11,5h; -12,7f; -13,6g; -14,5a; -16,4c; -17,6f; -19,1g; -19,4g; -19,7e; -20,1g; -20,5a; -

20,8e; -21,1b; -21,4e; -23,4f; -23,12f; -24,5a; -25,6a; -26,1e; -27,10a; -28,4a

- Marzo 1976: -1,4c; -2,5b; -3,7a; -4,6a; -6,4a; -8,5b; -8,12f; -11,8g; -13,1c; -16,5a; -16,14c; -

22,6b; -27,3h; -29,6d; -30,4a; -31,5c

- Aprile 1976: -2,6c; -3,4a; -21,7h; -23,8e; -26,4h; -28,5e; -29,7e

- Maggio 1976: -1,4c; -4,1a; -5,5c; -6,6g; -6,7g; -7,1b; -7,14b; -7,17a; -8,1c; -11,9h; -13,1g; -

13,16e; -14,6a; -14,16c; -17,1f; -19,7h; -20,7b; -21,1b; -22,5c; -24,5b; -25,6d; -27,4c; -

29,3h; -31,1g

- Giugno 1976: -1,1f

- Ottobre 1976: -26,7d

- Novembre 1976: -13,4b; -17,6f; -24,10f; -27,1c; -29,4c; -30,14c

- Dicembre 1976: -1,16a; -2,1f; -10,9d, -21,1d; -31,1a