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ORGANO DELLA PASTORALE SANITARIA DELLA DIOCESI DI ROMA N. 43 maggio 2005 “BENEDETTO” colui che viene nel nome del Signore

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ORGANO DELLA PASTORALE SANITARIA DELLA DIOCESI DI ROMA

N. 43 maggio 2005

“BENEDETTO”colui che viene nel nome del Signore

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Organodella Pastorale

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Finito di stampare il 12 maggio 2005per i tipi della PrimeGraf

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S O M M A R I O

Benedetto XVI: un umile operaio dellavigna del Signore PAG 4

Er passamano – Messaggio del CardinaleVicario alla Diocesi di Roma per l’elezionedel S. Padre Benedetto XVI 5

La finestra der monno 6

Giovanni Paolo II il Grande 7

Don Antonio Loi: una vita per i sacerdoti 11

Cultura di vita e cultura di morte 13

Lettera di un mamma sull’aborto 16

Inserto

25° ARVAS 17

Lettera aperta ad un dottore di Ospedale 20

Il mondo che il malato vede.Gli operatori sanitari in Terra Santa 23

L’anziano nella Bibbia 24

Gli studenti del corso di laureainfermieristica dell’Ospedale S. Camilloe Forlanini 27

Il nostro Vescovo al Centro Europeodi Ricerca sul Cervello 28

Il Vescovo nella casa di riposoReferendum: formare le coscienze 29

A proposito di referendum 30

Caro Gesù, Giuseppe e Maria.La serva del Signore 31

Preghiera alla Santa madre di Dio 32

N. 43 maggio 2005

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Abbiamo attraversato la tristezza del Venerdì

Santo; abbiamo pianto; ci siamo sentiti orfani

di un Padre che tutto si è consumato per

Cristo e per la sua Chiesa.

Abbiamo pregato. Abbiamo atteso.

Abbiamo implorato il Sacro Cuore di Gesù.

Ed ecco che il Signore dalle fibre più

intime del suo Cuore ci dona il

Successore di Pietro.

Non siamo più soli.

Pietro è con noi.

La navigazione riprende la rotta;

il cammino riprende il ritmo del viandante.

Grazie, Padre Santo, per aver detto “sì”.

Un “sì” che anche noi diciamo a Te.

Senza riserve e con amore.

Con quell’amore petrino che da circa

un secolo e mezzo è la nostra fierezza.

Lo stemma è determinato dalla storia personale del Pontefice e dall’ambiente dell’Arcidiocesi di Mo-naco e di Frisinga. Legato alla sua terra, egli lo ha mantenuto immutato anche dopo la sua chiama-ta a Roma.La testa di moro è quella del “moro di Frisinga”, stemma originario dell’antica Arcidiocesi di Frisingae al contempo dell’Arcidiocesi di Monaco-Frisinga, eretta nel 1817.L’orso con il basto è detto generalmente orso di Corbiniano.In questo caso intende esprimere il legame con il Patrono di Frisinga e al contempo simboleggiare ilfardello dell’incarico di “portatore di Dio”.La conchiglia possiede un triplice valore simbolico: in primo luogo fa riferimento alla leggenda di Ago-stino dell’immersione nell’impenetrabile mare della divinità. In tal senso, è simbolo dell’inesauribilitàdell’insegnamento teologico. In secondo luogo, come “conchiglia del pellegrino” si riferisce al po-polo di Dio in cammino, del quale l’Arcivescovo si considera Pastore. Infine, la “conchiglia di Giaco-mo” si trovava sullo stemma del convento di Schotten (ca. 1640-1720) a Ratisbona.I colori nel terzo campo dello stemma sono in argento e blu e alludono ai colori della Baviera.

Cooperatores Veritas(collaboratore della verità)

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Joseph Ratzinger nasce il 16 aprile 1927 aMarkil am Inn nella diocesi bavarese di Pas-sau. Trascorre la sua infanzia e la sua ado-lescenza a Traunstein vicino alla frontiera au-striaca, e in questa atmosfera mozartiana ri-ceve la sua formazione culturale e religiosa.Giovanissimo, subisce l’obbligo militare co-sì vivendo l’esperienza traumatica del nazi-smo, cui contrappone la verità della sua fe-de cristiana. Frequenta la scuola di teologiae filosofia di Frisinga e l’università di Mo-naco (1946-1951). Viene ordinato sacerdoteil 29 giugno del 1951. Inizia subito la sua at-tività didattica. Nel 1953 si laurea in teolo-gia, con una tesi su S. Agostino. Nel 1957

consegue la libera docenza con una pubbli-cazione originale su S. Bonaventura: Incari-cato di dogmatica e di teologia fondamenta-le, prosegue l’insegnamento a Bonn (1959-69) a Munster (1963-66) e a Tubinga (1966-69). Dal 1969 è professore di dogmatica e distoria dei dogmi all’università di Ratisbona.È un apprezzato e prolifico pubblicista cat-tolico sia sul piano scientifico che divulgati-vo (“Rapporto sulla fede” “Il sale della ter-ra” - Alla scuola della verità”). Chiamato co-me esperto al Concilio Vaticano II, esprimela sua vocazione teologica. Paolo VI lo no-mina arcivescovo di Munchen e Freising il24 marzo 1977 e cardinale del titolo di S. Ma-ria Consolatrice, il 27 giugno 1977. Giovan-ni Paolo II lo nomina prefetto della Congre-gazione per la Dottrina della fede il 25 no-

vembre 1981. Decano del Collegio cardina-lizio dal 30 novembre 2002. Come tale ve-nerdì 8 aprile 2005 presiede la S. Messa ese-quiale per Giovanni Paolo II. Il conclave del19 aprile 2005 lo elegge Sommo Ponteficedella Chiesa Universale. Prende il nome diBenedetto XVI. Il nome che si è imposto in-dica la comunione di pensiero e la vicinan-za spirituale con S. Benedetto patrono d’Eu-ropa. È l’idea, confermata dalla storia, delleradici cristiane dell’Europa. L’indicazione diun sentire aperto alla speranza, del coraggiodi ricominciare di nuovo, aprendo ad inizia-tive dell’uomo illuminate dal divino. S. Be-nedetto, faro per l’umanità, anche nel terzo

millennio. La sua contiguità con il Papa Be-nedetto XV, voce possente contro l’“inutilestrage”, la contraddizione della guerra. Lasua predisposizione filosofica e la sua cono-scenza teologico-ecclesiale, lo pone al “ser-vizio della parola di Dio che cerca e si pro-cura ascolti tra le mille parole degli uomini”,così attinge nella grande tradizione: S. Ago-stino, S. Bonaventura, la rivisitazione deimaestri dell’eredità di Monaco (Sailer, Baa-der, Gorres, Dollinger, Berdenhewer). La suasumma teologica può essere sintetizzata intre punti: ad Ecclesiam, in Ecclesiam, per Ec-clesiam. Nell’omelia pronunciata in piazzaS. Pietro, esprime il suo tenero e sofferto ri-cordo del papa defunto, con accenti di straor-dinaria gratitudine, verso Karol Wojtyva, ar-tefice di un pontificato eccezionale per la

“Per stabilire fino alla fine dei secoli questa sua Chiesa santa, Cristo affidòal Collegio dei Dodici l’ufficio di insegnare, reggere e santificare. Tra diloro scelse Pietro, sopra il quale, dopo la sua confessione di fede, decise diedificare la sua Chiesa; a lui promise le chiavi del regno dei cieli e dopo lasua professione di amore, affidò tutte le sue pecore perché le confermassenella fede e le pascesse in perfetta unità, restando lo stesso Cristo pietra an-golare e pastore delle anime nostre in eterno”.

(Unitatis redintegratio I, 2)

Un umile operaio della vigna del Signore

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Chiesa e per l’intera umanità. Forte è la suaimmedesimazione con il papa polacco, al-lorché scandisce “Non abbiate paura di Cri-sto” “Aprite le vostre porte”.Alla memoria e alla profonda devozione ma-riana di Giovanni Paolo II lo accomuna il suodiscorso di fede su Maria “struttura por-tante dell’economia della salvezza: quellaper cui tutto converge in Cristo e Cristo sifa presente nella Chiesa, luogo e via di sal-vezza nel tempo e per l’eternità”.“Non sono solo”. È questa l’affermazionedi fiducia nel sostegno di “voi tutti cari ami-ci che avete appena invocato l’intera schie-ra dei santi. In tal modo anche in me siravviva questa consapevolezza: non sonosolo”. Umiltà e mitezza verso l’uomo, amo-re e sollecitudine verso il gregge che si ap-presta a guidare verso i pascoli erbosi dellospirito. Totale fiducia e remissione nel Pa-dre, per l’espletamento del suo “compitoinaudito”. “Il mio vero programma è quel-lo di non fare la mia volontà, di non per-seguire mie idee, ma di mettermi in ascol-to con tutta quanta la Chiesa, della paro-la e della volontà del Signore e lasciarmiguidare da Lui, cosicché sia Egli stesso aguidare la Chiesa”. La sua granitica forzadi fede, la sua altissima spiritualità che sicontrappone al materialismo positivista, tro-vano la loro patente manifestazione, allor-ché afferma che “non siamo il prodotto ca-suale e senza senso dell’evoluzione: Cia-scuno di noi è il frutto di un pensiero diDio, ciascuno di noi è voluto, ciascuno dinoi è amato, ciascuno di noi è necessario”.Il suo impegno pastorale di evangelizzazio-ne è convinto: “La missione: gettare le re-ti per tirare fuori gli uomini dalla oscu-rità”. L’ammonimento ai malvagi: “Il Si-gnore ci dice: il mondo è salvato dal cro-cifisso non da chi crocefigge”.L’umiltà, la sensibilità, la timida dolcezzadi Benedetto XVI hanno già conquistato inostri cuori. La sua guida di buon pastoreci sospinge lungo il sentiero della fede, cirassicura e non ci fa temere la tempesta: An-cora una volta lo Spirito Santo ha saputooperare la sua scelta: Santità, è con il cuo-re pieno di esultanza e di speranza cri-stiana che salutiamo il suo avvento al so-glio di Pietro!

S.M.

Er passamano

Er Papa, er Viceddio, Nostro Signoreè un Padre eterno come er Padr’Eterno.Ciovè nun more, o, pe dì mejo, more,ma more solamente in ne l’esterno.

Ché quanno er corpo suo lassa er governol’anima, ferma in ne l’antico onorenun va né in Paradiso né all’Inferno,passa subbito in corpo ar successore,

Accusì pò variasse un po’ er cervello,lo stòmmico, l’orecchie, er naso, er pelo,ma er Papa, in quant’a Papa, è sempre quello,E pe questo ogni corpo distinatoa quella dignità, casca dar celosenz’anima, e nun porta antro che er fiato.

Il sonetto, scritto da Gioacchino Belli nel 1835,sotto Papa Gregorio XVI, e non in tempo di se-de vacante, esprime l’idea che sulla cattedra diPietro, chiunque sia il Papa del tempo, c’è sem-pre Pietro, con il suo carisma apostolico unicoche viene da Cristo. Belli è il massimo poeta ro-manesco e trascorse tra il 1791 e il 1863 una vi-ta del tutto normale, lavorando come impiegatodello Stato Pontificio.

Messaggio del Cardinale Vicarioalla Diocesi di Roma

per l’elezione del Santo PadreBenedetto XVI

La gioia di Roma, e con Roma del mondointero, si è manifestata ieri sera in PiazzaSan Pietro, con straordinaria intensità e for-za prorompente, nell’acclamazione al nuo-vo Papa Benedetto XVI, che il Signore ciha donato.Questa gioia, nutrita di amore, di fiducia edi preghiera, ho già potuto esprimerGli an-che personalmente, a nome di tutta la no-stra Diocesi e la nostra Città.In ogni parrocchia, comunità religiosa, fa-miglia vengano elevate a Dio fervide pre-ghiere di ringraziamento per il nuovo Papae di supplica perché Gli sia concessa ab-bondanza di salute e di grazia.Il nome con il quale Egli ha scelto di esse-re chiamato sia segno di benedizione perRoma e per l’intera famiglia umana.

Roma, 20 aprile 2005

Camillo Card. Ruini5

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C’è ‘na Finestra a Romache è de tutto er monno,è la Finestra ar terzo pianoder Palazzo Apostolico Vaticano.Lì s’affaccia er PapaGiovanni Paolo seconno,da lì parlava ogni domenica a mezzogiorno.A piazza S. Pietro la folla aspettava,finché nun lo vedevae lo sentiva parlà nun se ne annava.Co’ la faccia rivorta ar celol’occhi fissi a la Finestraognuno voleva sentì quele paroleche penetraveno l’animae sciojeveno er core.Pe’ tutta la piazza risonava la vocee testimoniava la federtà a la croce,la fiducia e l’amore appassionatoa la Madonna benedettache tutta la vita in braccio l’ha portato.Quela Finestra era pe’ lui‘no strumento de comunicazione,co’ le braccia arzatesalutava e incoraggiava tuttisenza distinzione.Co’ voce potente diceva forteche è ‘na follia la curtura de la morte.È ‘na rovina la gueranun risorve gnenteammazza solo la povera gente.La giustizia, la pacevanno messe ar primo postoe li poveri difesi a ogni costo,che la famija deve esse unitae la vita rispettata ogni momentoperché è dono der Signorefin dar concepimento.Er Papa:operaio, attore, poeta,l’artista de Diol’omo de saggezza, er profeta,co’ grande umirtàha chiesto perdonoe cià insegnato a perdonà,a crede ne l’ecumenismosenza facce broccà dar perbenismo.Da la Finestraer vento pijava quela vocee la portava attorno attornope’ ogni strada, drento le case,in ogni vicolo

e in arto fino ar Gianicolo.L’eco risonava ne la città interae, ar soffio der ventoarivava fino ai confini de la tera.Domenica dopo domenica,‘na catechesi continuata,senza annisconne mai la veritàsulla sofferenza sua e la debolezza dell’età,fino all’urtimo traguardoquanno nun ciaveva più vocee abbracciava tutti cor core ne lo sguardo.Mo la Finestra è chiusama la voce nun s’è smorzata,ogni esistenza n’è rimasta segnatapuro a chi nun crede,je so’ rimaste drento l’animaparole de misericordia, de sarvezza, de fede.Quela voce risona viva ne la piazza,tra le colonne, in cima all’obeliscoe ce ripete:“Non abbiate paura,spalancate le porte a Gesù Cristo!”Nell’occhi ce so’ rimastili gesti de amore, la tenerezzaquanno incontrava li regazzini,li vecchi, l’ammalati,li baciava e je faceva ‘na carezza.E li giovani,accorti sempre c’o paternità e simpatia,accampati ne la piazza e ne la via,che cantaveno ancora pe’ lui, l’acclamavenoe er core se struggeva de nostargia.Co’ la memoria fissaa quer vorto coperto dar veloe su la bara er ventoche sfoja er vangelo,un pensiero de gratitudine va ar Signorepe’ er dono de Giovanni Paolo seconnoPadre e Pastore.

Elide Rosati

La FinestraLa Finestraderder monnomonno

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scovo di Cracovia, eletto Papa, alI’otta-va votazione del Conclave di lunedì 16ottobre 1978 alle ore 17.20, ha assuntoil nome di Giovanni Paolo II, la crocecon il monogramma di Maria come in-segne araldiche, il motto “Totus Tuus”di affidamento alla Madre di Dio. È sta-to in carica per 26 anni 5 mesi e 17 gior-ni. A gran voce ha chiesto ai popoli, findal suo primo messaggio del 22 ottobre1978, “Non abbiate paura! Aprite, an-zi spalancate le porte a Cristo! Alla suasalvatrice potestà aprite i confini de-

gli Stati, i sistemi eco-nomici come quelli po-litici, i vasti campi dicultura, di civiltà, disviluppo. Non abbiatepaura!”. Il 7 dicembre1990 nella “Redempto-ris missio” ha chiesto, dastraordinario Papa me-diatico e del dialogo, cheil Vangelo fosse “inte-grato nella nuova cul-tura creata dalla co-municazione moder-na” ossia “nei nuovimodi di comunicare,nei nuovi linguaggi,

nuove tecniche, nuovi atteggiamentipsicologici”. È stato definito “il Gran-de” per il carisma e per la eccezionaleapertura ed impegno profuso nel perse-guire obiettivi sociali, politici ed econo-mici. Deceduto in Vaticano, sabato 2 apri-le 2005 alle ore 21.37, ai funerali, cele-brati venerdì 8 aprile 2005, hanno parte-cipato oltre 200 delegazioni ufficiali pro-venienti da tutto il mondo ed una follabiblica, di pellegrini.Il Suo pontificato: 26 anni di evangeliz-

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Giovanni PPaolo II il GGrande

“All’indomani della mia elezione allaCattedra di Pietro, dissi di voler ‘ap-poggiare il mio ministero papale so-prattutto su quelli che soffrono’. Riaf-fermo ora la medesima convinzione:la sofferenza, accettata in unione conCristo sofferente, ha una sua efficaciaimpareggiabile per l’attuazione del di-segno divino della salvezza”.Angelus diffuso via radio dal “Gemel-li”, 24 maggio.

“O Madre degli uomini e dei popoli,Tu conosci tutte le lorosofferenze e le loro spe-ranze. Prendi sotto latua protezione mater-na l’intera famigliaumana che, con affet-tuoso trasporto, a Te, oMadre, noi affidiamo.S’avvicini per tutti iltempo della pace e del-la libertà, il tempo del-la verità, della giustiziae della speranza”.Atto di affidamento al-l’Immacolata, 8 dicem-bre.

“Mi è stato dato, nel corso di questi tremesi, di appartenere alla comunità degliammalati che soffrono. Ora so meglio diprima che la sofferenza è una tale di-mensione della vita, nella quale più chemai profondamente si innesta nel cuoreumano la grazia della redenzione”.Saluto alla comunità del Policlinico“Gemelli”, 14 agosto.

Karol Josef Wojtyla, nato in Polonia il18 maggio 1920 a Wadowice, ex arcive-

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zazione ecumenica e di impegno pasto-rale verso i sofferenti con dedizione eamore di padre.Il profilo essenziale del Suo ministero:sacerdote carismatico, fine teologo, pa-store sollecito, grande comunicatore, masoprattutto buon samaritano. La Suagrande umanità lo sospinge nella storiada protagonista, ma sempre fedelissimoal Vangelo e umile verso ogni uomo, percomunicargli la Sua certezza che solonella Parola evangelica c’e la rispostaefficace ai dubbi, alle incertezze, alle in-credulità, alle sofferenze. Lui stesso, unPapa nella sofferenza, affrontata con laforza della preghiera e la rassegnazionealla volontà del Signore. Sacerdote e vit-tima, esprime il coraggio cristiano delperdono al Suo carnefice. Un Papa, im-merso nella propria sofferenza, chiameràVaticano III il Policlinico Gemelli, ovele circostanze negative della vita lo con-durranno spesso e fino alla fine dei suoigiorni terreni. Non dimenticheremo mail’apparizione di un Papa infermo e in-capace di parlare, ma pur benedicenteverso la piazza, in un ultimo anelito pa-storale verso i fedeli, sgomenti, ma tra-boccanti di amore per il Padre.Chi scrive conserva indelebile il ricor-do della visita di Papa Wojtyla all’ospe-dale S. Spirito, che non lasciò, fintantoche non ebbe speso una parola di confor-to ed elargito una carezza ad ogni sin-golo ricoverato.Il suo avvicinarsi ad ogni letto di soffe-renza come per condividerla, il suo soa-vemente accarezzare le teste canute de-gli anziani degenti, l’ascoltarne le con-fidenze dolorose, non mostrando maifretta, il tenere tra le sue le mani del-l’altro, l’attrarre a se i bambini e sfio-rarne con tenerezza i corpicini esili co-me per sanarli, essere benedicente ripe-tendo i gesti di Gesù medico.Che grande umanità la Sua, che sponta-neità di servizio all’uomo! Tutti gli ospe-

dali romani ricordano la Sua presenza.La Sua partecipazione e la Sua imme-desimazione al disagio del corpo e del-lo spirito, è tale, che sarà il primo pon-tefice romano a costituire con la Lette-ra Apostolica “Motu Proprio” DolentiumHominum, la Pontificia Commissioneper la Pastorale degli Operatori Sanita-ri, oggi Pontificio Consiglio della Pa-storale per la Salute. Istituisce così unDicastero vaticano per la Sanità, che sioccupa - a livello mondiale dei proble-mi connessi con la sofferenza, e pro-muove a 1ivello internazionale e mon-diale oppor-tuni studi einterventi on-de stimolarela formazio-ne, la ricercae il coordina-mento deigruppi, forzee associazio-ni che opera-no nel settoredella sanità.Istituisce, co-me richiestodalle Confe-renze Episco-pali e da tan-ti Organismicattolici nazionali e internazionali, la“Giornata Mondiale del Malato”, ce-lebrata l’11 febbraio di ogni anno, me-moria liturgica della Beata Maria Vergi-ne di Lourdes.Il Suo magistero é prolifico anche nel-l’ambito delle problematiche mediche ebioetiche ed esprime Encicliche come laChristus Dominus in cui esorta la Chie-sa a “circondare di carità paterna gliammalati”; come la Evangelium Vitaein cui afferma che “Maria, grembo ac-cogliente della vita, vi rende attenti acogliere nelle domande di tanti malati

GIOVANNI PAOLO II

Applausoinfinitodi lucetersacometafilatada vocedi incanto edi sorriso.

Giuseppe MariaLotano

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e sofferenti, il bisogno di solidarietà ela richiesta di aiuto per continuare,quando tutte le speranze umane ven-gono meno”; nella Dolentium Hominumgià ricordata, afferma che la Chiesa, fe-dele nel ripercorrere le orme di Gesù “nelcorso dei secoli ha fortemente avverti-to il servizio ai malati e ai sofferenti co-me parte integrante della sua missio-ne”; come la Lettera Apostolica Salvifi-ci Doloris sul senso cristiano della soffe-renza umana. Sul sentiero pastorale e ma-gisteriale da Lui indicato, la Congrega-zione per la Dottrina della Fede, promul-

ga l’Istruzionesul rispetto del-la vita umananascente e ladignitá dellaprocreazione(Donum Vitaedel 1987, laDichiaraziones u l l ’ a b o r t oprocurato del1974 e l’Istru-zione sull’eu-tanasia “Iura etBona” del1980). Con ilMotu proprioVitae Myste-rium colloca,

vicino alla Pontificia Accademia delleScienze, un altra prestigiosa Istituzione,l’Accademia Pro Vita, con “il compitodi studiare, informare e formare circai principali problemi di biomedicina edi diritto relativi alla promozione del-la vita, soprattutto nel diretto rappor-to che essi hanno con la morale cri-stiana e le direttive del Magistero del-la Chiesa”. Grande parte del Suo mini-stero petrino si é occupato di malati, dimedici, di problematiche biomediche chein parte ho ricordato. Inequivocabile è ilsuo magistero sui trapianti d’organo. Sul-

la scia del Vangelo di Giovanni: “Vi dòun comandamento nuovo: che vi amia-te gli uni gli altri; come io vi ho ama-to, così amatevi anche voi gli uni gli al-tri...” (Gv. 13,34), il Papa esorta i fedeli,così affermando: “con l’avvento del tra-pianto di organi, iniziato con le trasfu-sioni di sangue, l’uomo ha trovato ilmodo di offrire parte di sè, del suo san-gue e del suo corpo, perché altri conti-nuino a vivere. Grazie alla scienza e al-la formazione professionale e alla de-dizione dei medici ed operatori sanita-ri ... si presentano nuove e meraviglio-se sfide. Siamo sfidati ad amare il no-stro prossimo in modi nuovi; in termi-ni evangelici, ad amare ‘sino alla fine’(Gv 13,I), anche se dentro certi limitiche non possono essere superati, limi-ti posti dalla stessa natura umana”.Non solo dunque richiami ai medici sul-la sacralità della vita dall’inizio del con-cepimento fino alla sua naturale conclu-sione, ma anche coerente comprensionee plauso per tutti quegli operatori sanita-ri che si pongono al servizio di chi sof-fre. Questo pontefice, veramente “ma-gno”, ha chiaramente detto che la Chie-sa non ha paura della scienza.La Chiesa non ha paura del progressoquando favorisce il bene integrale del-l’uomo. Certo la Chiesa difende l’uomoda qualsiasi pericolo d’aggressione chepossa ledere la sua liberta e integrità. Ilsommo Pontefice ribadisce nella Lette-ra Enciclica Fides et Ratio che “la Chie-sa, infatti, permane nella più profon-da convinzione che Fede e Ragione sirecano un aiuto scambievole eserci-tando l’una per l’altra una funzionesia di vaglio critico e purificatore, siadi stimolo a progredire nella ricerca onell’approfondimento”. E ancora pa-role di stima e di riconoscimento nei con-fronti di chi opera nella scienza: “... nel-l’esprimere la mia ammirazione e il

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mio incoraggiamento a quei valorosipionieri della ricerca scientifica ai qua-li l’umanità tanto deve del suo pre-sente sviluppo...”. Nessuna contrappo-sizione dunque tra la Fede che trae la suaorigine dal trascendente e la ragione(scienza) che nasce dall’immanente. Tradi esse c’è una perfetta sintonia perché“sono entrambe doni di Dio”.Sin dall’inizio del Suo pontificato, Gio-vanni Paolo II ha “appoggiato” il Suo mi-nistero in modo particolare su tutti quel-li che soffrono e ha affidato alla preghieradei malati la buo-na riuscita dellaSua missione“essendo questimolto potenti,così come è po-tente Gesù Cro-cifisso”. La stes-sa paterna atten-zione e sollecitu-dine pastorale ilSanto Padreesprimerà, lungotutto il Suo pon-tificato, verso glioperatori sanitariche esorta ad es-sere “sempreministri della vi-ta e non maistrumenti dimorte”.Così come ai sofferenti e ai loro soc-corritori, Wojtyla rivolge la Sua atten-zione anche a coloro che si dedicano al-la cura spirituale dei sofferenti, invitan-doli ad attuare opera di santificazione edi umanizzazione.Quanti aneddoti tenerissini i medici ri-cordano nel corso dei tanti incontri pa-storali nelle case di cura e negli ospeda-li, ove 1’umanità e la semplicità del pa-pa ebbe modo di mostrarsi in tutta l’e-stensione del Suo amore verso i soffe-

renti. La proiezione di un padre teneris-simo verso i figli e i fratelli sfortunati. Neiloro confronti Papa Wojtyla ha lasciato atutti e a ciascuno il calore del Suo sguar-do penetrante del contatto della sua ma-no alternante una carezza ed una benedi-zione. Segni concreti, fisici, che voleva-no significare: “io sono con te, ti esortoa credere nel Vangelo, a santificare latua sofferenza per la gloria di Dio”.“Giovanni Paolo!...” “Giovanni Paolo!”,con questa esclamazione ritmata dal bat-tito delle mani, che abbiamo ancora tutti

nelle orecchie,continueremosempre ad evo-carti con la gioia,l’amore, l’orgo-glio di apparte-nere al Tuo cuo-re. Il Tuo carismaeccezionale chesi è fatto inse-gnamento eticoper noi medici,continuerà adesercitare una at-trazione irresisti-bile che è impe-gno ad operareun sapere medi-co conforme allaconsegna che cihai lasciata di os-servanza morale

cristiana. Come i tanti giovani che ti han-no seguito in ogni emisfero, anche noi sa-remo sempre ardenti papaboys, senza di-stinzione di età, sesso, etnia; per seguirel’imperativo richiamo del nostro spiritoincapace di sottrarsi al fascino della TuaGrande Anima. Caro Papa Wojtyla, già tichiamano “magno”, noi ti invochiamo an-che “santo”. Grazie padre santo di quan-to ci hai donato, del dono di Te stesso.

Dott. Sergio Mancinelli

Supplica dei Medici a Papa Wojtyla(Ora che sei nei cieli)

Amatissimo nostro Padre;ora che sei nei cielifortifica la nostra fede,illumina il nostro sapere,sostieni il nostro lavoro,intercedi per noipresso la Tua celeste Protettriceperché ci liberi da ogni maledel corpo e dello spiritoe ci faccia operare il benesui fratelli nel disagio.Nel nome di Mariaascolta la nostra supplica!

Dr. Sergio MancinelliAprile 2005

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santo prete. Il Cuore di Gesù era il suomodello e la sua sorgente, di vita. Maria- alla quale si era affidato nello spiritodella “schiavitù d’amore” di S. Luigi deMontfort - lo portava all’imitazione sem-pre più perfetta di Gesù.

In offerta con Gesù

Nel febbraio 1961, Antonio non si sentìbene. Esami e cure non servirono né a ca-pire né a superare il suo male. Nell’au-

tunno 1961, rientrò inSeminario e con unosforzo immane, riuscìa sostenere tutti gli esa-mi di teologia. Nellaprimavera del ‘62 se-guì un altro ricovero,senza che si capissenulla. Era smarrito.Dal suo parroco, donLuigi Cherchi, imparòa “soffrire e offrire”.Il suo sì al dolore co-minciava a farsi eroi-co. Con un impegnogigantesco, nell’otto-bre ‘62 riusciva a rien-trare in Seminario peril 4° anno di teologia.Finalmente, nel gen-naio 1963, i mediciscoprirono il suo veromale: linfogranulomamaligno, incurabile,mortale.Si alternarono ritorni acasa e degenze in ospe-dale: una “via crucis”

lenta e dolorosa. Antonio nel cuore ali-mentava un solo grandissimo desiderio:diventare sacerdote, al più presto, anchese i suoi studi, negli ultimi anni del cor-so teologico, non erano più stati regola-ri.Per questo, il suo Vescovo, Mons. Pira-stru, il 16 luglio 1963, inoltrò alla Con-gregazione competente, la richiesta di “di-spensa” per poterlo ordinare. Nel frattem-

AUn ragazzo chiamato

ntonio Loi era nato a Decimoputzu (Ca-gliari) il 6 dicembre 1936. Un ragazzosensibile, entusiasta della vita. Molto pre-sto comprese che diventare prete era lasua vocazione. Ai primi di ottobre 1949,entrò nel Seminario di Iglesias, dove fre-quentò i cinque anni del ginnasio, cre-scendo nella sua preparazione culturalee nell’amicizia-intimità con Gesù.Proseguì, dall’ottobre 1954, gli studi nelSeminario regionale:una vita regolare fattadi studio e di preghie-ra, di gioia intensa nel-l’ascesa di ogni gior-no verso l’altare. Daisuoi scritti, dalle testi-monianze di coloroche l’hanno conosciu-to, appare l’immaginedi un giovane che èstato segnato profon-damente da Gesù persempre.A Gesù, Amore Infini-to, Antonio si consacrò“per compiere la suaopera d’amore e perdiffondere nelle ani-me dei sacerdoti e peressi nel mondo interola conoscenza dellesublimi tenerezze delsuo Cuore divino”.Amava lo sport e or-ganizzava gare di atle-tica. Gli piaceva can-tare e recitare, com-muovendo tutti. Nelle vacanze estive, nel-la sua parrocchia d’origine, dava vita anumerose attività apostoliche e ricreati-ve in mezzo alla gioventù, seguito e ama-to.Ma soprattutto era la sua intensa unionecon Dio che si irradiava dalle sue parolee dalle sue opere: in lui risplendeva l’im-pegno continuo per essere limpido e fe-dele, la volontà decisa di diventare un

DonAntonio Loi:una vita peri sacerdoti

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po, Antonio andò a Lourdes ai piedi del-l’Immacolata, dove non chiese il miraco-lo della guarigione, ma solo di diventaresacerdote e di compiere la volontà di Dio.Appena giunta la risposta da Roma, al-l’inizio di settembre, iniziò gli esercizispirituali in preparazione all’Ordine sa-cro. Nel suo diario scrisse: “Padre, ègiunta l’ora. Quel giorno tanto sospi-rato è giunto. È giunta l’ora. Perdono.Ringraziamento. Questi esercizi pre-parano la mia glorificazione. Padre glo-rifica il tuo Figlio. Anch’io sarò glori-ficato, perché diventerò un altro-Cri-sto. Ma Gesù è stato glorificato sullacroce. Anche per la mia glorificazione,il Signore ha preparato la croce”.Il 21 settembre 1963, Antonio Loi veni-va ordinato sacerdote da Mons. Pirastru,che gli disse: “Oggi il Signore ti ha su-blimato e ti ha messo sul Calvario, conLui. Sarà questa la tua missione sacer-dotale: vittima di immolazione con Ge-sù, per essere salvatore della tua anima,salvatore di tante anime sacerdotali. Tiaffido questa missione: offrirti, come iostesso ti ho offerto stamattina nella Mes-sa, vittima di amore con Gesù, per lasalvezza di tante anime sacerdotali”.Non poteva avere una missione più gran-de e più bella: il 23 settembre 1963 cele-brava la sua prima Messa a Decimoput-zu. Quella sera, alla festa in suo onore,disse, come pregando: “Se ti chiedo, oGesù, quale fu il motivo della tua sof-ferenza, Tu mi rispondi ‘Nessuno ha unamore più grande di chi dà la vita peri suoi amici’. Ecco la mia risposta al-l’amore di Gesù: Disponi come a Tepiace della mia vita”.La sua Messa sarebbe durata 20 mesi. Unpovero corpo in sfacelo, ma un’offertasempre più piena che saliva a Dio. Nelmaggio 1964, andò in udienza da PapaPaolo VI che gli disse, abbracciandolo:“Accetta tutto con gioia e amore. Of-fri per la Chiesa, per il mio difficilepontificato e per me”. A luglio, ritornòa Lourdes, dove celebrò l’Eucaristia allagrotta, assistito dal suo Vescovo.Seguirono altri ricoveri in ospedale e rien-

tri a casa. Nel suo diario, annotava: “Sen-to il desiderio prepotente di saltare giùdal letto per correre a salvare tante ani-me, di lavorare fino all’esaurimento dime stesso. Là, nell’attività c’è la gioiadel lavoro, qui nel mio letto, il viveresolo di fede. 0 Signore, ti offro questosacrificio della mia immobilità”.Finché poté, si alzò tutte le mattine percelebrare la Santa Messa, poi ebbe il per-messo di celebrare stando seduto sul let-to: “La Messa - scriveva - è il Sacrificiodi Gesù, fonte di grazia, di gioia e diforza per la mia giornata. Fisicamen-te soffro e piango, ma sento una gioiacosì profonda che non riesco a rag-giungerne i confini”.

Incontro alla morte cantando

Il 29 maggio 1965, al mattino chiamò at-torno a sé i suoi cari: “Ora me ne vadoa casa mia... da Gesù... Non piangete.Il Signore vi ricompenserà. Vogliatevibene. Amate la Madonna. Per tutti pre-go e tutti benedico”. A mezzogiorno,esclamò: “Su, cantiamo insieme, can-tiamo il Te Deum. Cantate con me”. Esul suo letto di morte, don Antonio, di-strutto dal tumore a 28 anni, intonò il can-to della lode. I presenti cantarono con lui,come sul monte dell’Ascensione.Continuò a parlare e a pregare. Poi bene-disse ancora una volta tutti. Infine esclamò:“Arrivederci tutti in Paradiso. Che nes-suno manchi”. Tacque. Nel silenzio, i pre-senti recitavano dolcemente il Rosario. Al“gloria” dell’ultimo mistero glorioso, donAntonio andò incontro a Dio. Erano le ore17 del 29 maggio 1965.Presso Dio, Amore Infinito, don AntonioLoi, vissuto e morto per i confratelli sa-cerdoti, possa intercedere con la sua pre-ghiera affinché agli uomini d’oggi nonmanchino mai i preti santi per insegnarela Verità e comunicare il perdono, la vi-ta e la gioia della Redenzione del Cristo.

R.P.

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ventato interamente ciò che la speran-za biblica indicherebbe, c’è piuttosto lostimolo ad agire, nel presente, per anti-cipare in ogni forma possibile il nuovomondo. Anzi, in una lettura più ampia,il primo capitolo della EV può essereletto proprio come una metafora dellastoria, i germi di speranza con i quali siconclude possono infatti essere letti co-me gli ulteriori effetti della cristianiz-zazione progressiva che è in atto nelmondo da duemila anni e che termineràcon la vittoria della vita, secondo il di-segno di Dio (EV, 25).E così in questa prospettiva si possonoleggere quelle iniziative della comunitàcristiana e civile che a cominciare dal-

la famiglia, e poi dal volontariato, dalmondo della medicina, dal mondo assi-stenziale sono di aiuto e di sostegno al-le persone più deboli ed indifese (EV,26). L’EV infatti ricorda, per esempio,la crescente sensibilità contro la guer-ra, la maggiore attenzione alla qualitàdella vita e ai problemi dell’ecologia,l’avversione contro la pena di morte, ilsorgere di associazioni e di raggruppa-menti che si assumono il compito di por-tare i progressi della medicina nei Pae-si più toccati dalla miseria e dalle ma-lattie endemiche (EV, 26.27). Tutte ini-ziative che hanno visto i cristiani comepromotori.D’altra parte la comunità cristiana ha,tra gli elementi fondanti, quello dellacondivisione di tutte le realtà del mon-

Il primo capitolo della Evangelium vi-tae con l’espressione cultura di morteindividua e analizza le minacce che in-combono attualmente sulla vita umana.Giovanni Paolo Il riprendendo questaespressione - cultura di morte - già uti-lizzata dal comitato permanente dellaConferenza Episcopale Italiana nel do-cumento “Per una cultura della vita”dei 1981, afferma come alcune minac-ce provengano dalla natura stessa, ag-gravate dall’incuria colpevole e dallanegligenza degli uomini che non rara-mente potrebbero porvi rimedio; altreinvece sono il frutto di situazione di vio-lenza, di odi, di contrapposti interessi,che inducono gli uomini ad aggredire

altri uomini con omicidi, guerre, stragigenocidi (EV,10). L’attenzione dell’en-ciclica si accentra poi sugli attentati,concernenti la vita nascente e termina-le, che presentano caratteri nuovi ri-spetto al passato e sollevano problemidi singolare gravità.Per commentare, o tentare di commen-tare questo primo capitolo della Evan-gelium vitae vorrei indicare una primachiave di lettura: la situazione odiernadeve essere letta alla luce dell’afferma-zione di Paolo “Sappiamo bene infattiche tutta la creazione geme e soffre fi-no ad oggi nelle doglie del parto” (Rm8,2).In questa luce quindi i travagli ancheetici odierni possono essere letti comefisiologici, il mondo non è ancora di-

Cultura di vitae cultura di morte.Un commento al I capitolo della LetteraEnciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II

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ti squilibri invocano risposte dalla co-munità cristiana. Infatti se è vero che laChiesa non ha l’esclusiva dei problemidella salute, è però chiamata ad offrireil suo specifico contributo perché le tra-sformazioni e le scoperte scientifiche inambito in atto nel mondo della salute sirisolvano in un autentico progresso, nelrispetto della dignità dell’uomo - che sipuò definire la cultura della vita - chediventa in modo speciale la “via dellaChiesa”, quando nella sua vita entra lasofferenza. La Chiesa, che nasce dal mi-stero della redenzione di Cristo, è tenu-ta a cercare l’incontro con l’uomo, inmodo particolare sulla via della sua sof-ferenza. In questo incontro l’uomo “di-venta la via della Chiesa” ed è, questa,una delle vie più importanti (SD,3).Se consideriamo questa affermazionedella Salvifici doloris, allora, l’EV si po-ne nell’ambito della sofferenza umanae di una lettura della società, ove “i se-gni dei tempi” sono le minacce alla vi-ta e alla dignità umana.

L’EV, manifesto dellabioetica cristiana

L’EV si pone anche come un manifestodelle necessità pastorali alle quali laChiesa deve rispondere in questo mo-mento storico, nel quale come sempresi pongono i cristiani, testimoni di spe-ranza e di misericordia, in un mondo cheha bisogno di certezze e di speranza. Inun primo approccio, infatti i fenomenie le problematiche etiche sollevate dal-l’EV possono essere letti come la con-seguenza di un disorientamento dellacultura umana, anche per la velocità del-le conquiste scientifiche. Il bisogno ditrovare un senso è evidente, troppe so-no infatti le contraddizioni.Occorre, però, evitare di rispondere conuna drastica condanna del mondo con-

do entro le quali essa vive. Questa co-munità, composta di uomini e donneriuniti insieme nel Cristo, guidati dalloSpirito Santo nel loro pellegrinaggioverso il regno del Padre, è portatrice diun messaggio di salvezza da proporre atutti, e pertanto è realmente e intima-mente solidale con il genere umano econ la sua storia (cf GS,1). Questo pel-legrinaggio si attua naturalmente in unaconcreta situazione storica ed è per que-sto che è dovere permanente della Chie-sa di scrutare i segni dei tempi e di in-terpretarli alla luce del Vangelo, cosìche, in un modo adatto a ciascuna ge-nerazione, possa rispondere ai perenniinterrogativi degli uomini sul senso del-la vita, ma anche possa rispondere alleconcrete situazioni e problematiche chela società, in quel momento storico,esprime (cf GS, 4).E questo vale naturalmente anche per lasocietà di oggi, una società nella qualei cambiamenti, e con questi i progressiscientifici, avvengono più velocemen-te che nel passato, in una società in con-tinua trasformazione che, accanto ad ele-menti positivi ne presenta anche di ne-gativi, o almeno di contraddittori. E va-le anche per il mondo della sanità, nelquale è in corso una profonda evolu-zione, dovuta a fattori culturali, demo-grafici, epidemiologici e ai progressidella scienza e della tecnologia medica,ma dove anche notevoli conquiste e for-

Ogni bimbo è un dono di Dio.

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temporaneo, anche di quello sanitario,in primis perché problemi come l’abor-to sono di antica data, secondo perchénella storia umana non vi sono mai sta-te età d’oro per la vita umana di ogni età.Tuttavia alcune problematiche sononuove. Il XXI secolo nasce sotto il se-gno della grande rivoluzione maturatanelle ricerche scientifiche sulla vitaumana negli ultimi 30 anni: la rivolu-zione biotecnologica. L’enorme pro-gresso delle conoscenze scientifiche, epiù specificamente, della genetica, nonè un fatto scientifico che interessi sol-tanto un ridotto gruppo di iniziati, ma èdiventato ormai un travolgente feno-meno sociale, etico, giuridico ed anchepolitico e di opinione pubblica. Ovun-que si parla di procreazione umana omo-loga ed eterologa in laboratorio, del ge-noma umano e delle sue possibili ma-nipolazioni, di “ingegneria genetica”, diclonazione di animali e perfino di per-sone, di sperimentazione scientifica conembrioni umani a scopo terapeutici oeugenetici.Queste problematiche sollevano inter-rogativi che vanno oltre il mondo scien-tifico. Jeremy Rifkin, nelle conclusionidel noto saggio “Il secolo Biotech” incui analizza l’influsso che l’innovazio-ne scientifico-tecnologica in corso po-trà avere sull’umanità commenta: “Larivoluzione biotecnologica ci obbligheràa considerare molto attentamente i no-stri valori più profondi e ci costringeràa porci di nuovo e seriamente la do-manda fondamentale sul significato elo scopo dell’esistenza. E questo po-trebbe rappresentare il risultato più im-portante”. In sintesi si tratta di affron-tare problematiche quali il relativismoetico (negare cioè l’esistenza di una ve-rità oggettiva sull’uomo) e la legittimitàdi un diritto positivo separato dalla leg-ge morale naturale.È necessario quindi un ‘approfondi-

mento dei rapporti che intercorrono tradiritto e morale, tra biologia e diritto, severamente si vuole che queste scienzesiano - come devono essere - al servi-zio dell’uomo.A ragione si è affermato che nell’attua-le progetto culturale “l’uomo è vistosdoppiato”: c’è un livello in cui lo siconsidera soggetto inalienabile (la per-sona interpretata soprattutto come tito-lare di diritti), e un altro livello nel qua-le è oggetto cioè parte della natura fisi-cobiologica sulla quale mette le sue ma-ni la scienza. È per questo che occorreimpegnarsi per difendere la struttura mo-rale della libertà scientifica, nella pro-spettiva della comprensione e tutela del-la “verità sull’uomo”, l’unico essere vi-vente la cui dignità di persona - sin dalmomento del concepimento - compor-ta l’esigenza morale di essere trattatocome soggetto di diritti inalienabili e in-disponibili, e non soltanto come sem-plice oggetto di ricerca scientifica.Si è affermato che di fronte alla scom-parsa delle certezze ed alla relativizza-zione di ogni verità, si tratta di riscopri-re e attualizzare il primitivo messaggiocristiano riprendendo a narrare il “Gran-

È un dovere curare i più deboli.

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de racconto” della Bibbia, cosi da dareun senso complessivo alla vita. Ma so-prattutto ritrovando un senso attuale del-la primitiva proposta di Gesù di “tra-durre in azione l’amore per il mondocontemporaneo”. Dai suoi Gesù si at-tendeva che “vivessero come cellule co-stitutive di un nuovo popolo, testimo-niando all’intera nazione che esistevaun modo diverso di essere Israele, un

modo che tornava alle radici, al Diodi giustizia e di misericordia”. Un in-vito a ascoltare un messaggio e una vi-sione della realtà che ha sovvertito, sov-verte, e sovvertirà ogni altra visione delmondo e ogni altra filosofia fondante,ma questa sovversione non è mai stataindolore.

M. Petrini(continua)

LETTERA DI UNA MAMMA SULL’ABORTO

Sono una donna che ha abortito, che ha “dovuto” abortire. E sono unmedico che, per motivi di “ricerca scientifica”, ha dovuto assistere adaborti. So che cosa vuol dire il termine aborto a 360 gradi. Ancora ades-so dopo tanti anni e tanti anni, ho l’incubo del bambino che ho elimi-nato. Non potevo fare altro, non mi sento in colpa nei suoi confronti.Non potevo dargli il mondo di felicità che sto dando, adesso, al miobambino che è nato. Ho dovuto fare questa cosa schifosa. Credimi di-rettore, ho ancora la memoria viva - come un coltello sempre presen-te in una ferita - della mia persona che urla su un lettino bianco davan-ti ad un medico che ti sembra un boia, che urla, dicendo “no, non vo-glio!!!”. Credimi che ancora adesso quando penso a quel bidoncino del-la spazzatura dove è finita dentro una creatura - la mia creatura - stomale, ma male da morire. Me la sono inflitta da sola una “pena di mor-te”. Mi sono tolta il diritto di avere altri figli per quasi 20 anni.Se vuoi ti racconto anche tutti gli incubi che ho avuto, in questi 20 an-ni. Ma non potevo fare altro. E sono contenta per quel povero angio-letto, che sarebbe stato un bambino estremamente infelice. E rimangocontraria all’aborto.E poi te ne racconto un’altra direttore [...] Ti racconto di quando, co-me medico, ho dovuto assistere a troppi aborti per portare a termineuna ricerca che stavo facendo (e ora non faccio più ricerca...). L’abortodopo il terzo mese è orribile, dopo il quarto un atto da togliere il fia-to. è vero: i “feti” (bimbi?) vengono tirati fuori a pezzi, dopo il quar-to mese. Stavo male, in quella saletta dove c’ero io, dermatologa, cheavevo bisogno di cute fetale, dove c’erano oncologi che avevano bi-sogno di altro, e i neurologi che avevano bisogno di altro ancora. A ri-pensarci sembravamo tante iene sulla preda. Pezzettini di bimbi e quel-lo che non serve nella spazzatura...”.

(dal giornale “Avvenire”)

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ari amici dell’ARVAS, gentili Signoree Signori;sono lieto di partecipare con voi a que-sto incontro che ci offre la felice occa-sione di trovarci insieme a festeggiareil 25° anniversario della istituzione del-l’ARVAS, che è la vostra associazioneprestigiosa e così socialmente impe-gnata. Vide i suoi natali, per iniziativadi alcuni benemeriti già presenti nellarealtà assistenziale ospedaliera, il 18marzo dell’anno 1980 a Roma.L’Associazione Regionale Volontari As-sistenza Sanitaria - Onlus, ha come suamotivazione la solidarietà, fornendo as-sistenza volontaria e gratuita a tutti co-loro che si trovano in stato di infermità,contribuendo all’ottenimento di un sem-pre maggior conforto nei servizi e nel-le strutture socio-sanitarie, promuoven-do attraverso i mezzi di diffusione unamigliore educazione sanitaria. L’AR-VAS dispone di un piccolo esercito di

volontari (circa 2200 unità), riuniti inGruppi Operativi Locali che agiscono alivello regionale (Lazio) con scrupolo,professionalita e determinazione nel-l’ambito delle corsie ospedaliere versotutti i sofferenti e con particolare solle-citudine nei confronti degli abbandona-ti e ultimi in condizioni di accentuatadifficoltà e solitudine. La vostra Asso-ciazione che pone in cima alle sue fi-nalità (art. 2) 1’intento di operare “se-condo i principi promossi, affermatie nobilitati dalla dottrina cristiana edagli insegnamenti della Chiesa” nonpuò che riscuotere il plauso e l’incon-dizionata approvazione della Chiesa cheesprime, mio tramite, tutta la sua solle-citudine benedicente. Il Signore sia sem-pre con voi per proteggere il vostro cam-mino di generosa solidarietà. Tutti i vo-lontari che esprimono al meglio la lorocapacità di assistenza e la loro dedizio-ne verso i malati, sanno anche creare nel

Sabato 12 marzo 200525° ARVASAssociazione Regionale VolontariAssistenza Sanitaria

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CBasilica: San Giovanni in Laterano.

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da cura, deve essere recepito come unessere unico e irripetibile di cui svelaree condividere il mondo interiore fino adimmedesimarsene, sentendone le soffe-renze per avvertirle come proprie. Il vo-lontario deve vedere con gli occhi delsofferente, ascoltare con le sue orecchie,sentire con il suo cuore. Ponendosi conquesto atteggiamento verso il malato, ilvolontario esprimerà, la carità più rarae più intensa e scoprirà che “1’uomo èla prima e fondamentale via dellaChiesa”. Cari amici del Volontariato, lapreghiera eucaristica recita: “Donaciocchi per vedere la necessità e la sof-ferenza dei fratelli, infondi in noi laluce della Tua parola per confortaregli affaticati e gli oppressi, fà che ciimpegnamo lealmente al servizio deipoveri e dei sofferenti”. Questa è 1’in-vocazione dei volontari credenti che so-no partecipi della missione della Chie-sa e si inseriscono nel mistero della Re-denzione per costruire attraverso Cristoil regno di Dio. Ma qualunque sia la fe-de che vi spinge, cari volontari, voi fa-te crescere la cultura dell’amore, esal-tando l’accoglienza, modificando le cau-se della sofferenza con la vostra offer-ta di assistenza, privilegiando la giusti-zia, dando valide risposte alle nuoveemarginazioni. L’originalità della vo-stra azione è che praticate l’assistenzacome attività di un cittadino inserito atutti gli effetti nella dinamica sociale mapienamente consapevoli, dei vincoli disolidarietà che vi legano agli altri.Le vostre motivazioni sono di natura so-ciale, religiosa, personale, compensato-ria; tutte sostenute da una “comunioned’amore, di condivisione, di accetta-zione”. Chi si accinge al volontariatodeve sapersi porre in ascolto, nutrirecomprensione, essere discreto e atten-to, avere calore umano, avere umiltà,avere rispetto, pazienza, perseveranza.Nel contesto di una società secolariz-

loro spazio di servizio, una perfetta sim-biosi con il personale operativo sanita-rio di ogni ordine e grado.Cari amici dell’ARVAS, voi rappresen-tate la forza dell’amore espressa dallasocietà civile in ambito socio-sanitario,che trova i suoi fondamenti sul pianoteologico-cristologico con lo stesso si-gnificato che esprime la parola Jahweche significa: “sarò lí, come colui chesarà lì”. Le Tavole della Legge del De-calogo, con chiarezza ci mostrano, che“il si di Dio passa tramite il si all’uo-mo e ai suoi diritti fondamentali”. “Ilvolto dell’altro, soprattutto dell’altrosofferente, diventa così la via di ac-cesso a Dio”. È questa la tradizione sa-maritana di fede in cui si colloca Gesù.Lo stesso apostolo Paolo si prodiga peraiutare la comunità di Gerusalemme indifficoltà. E così i Diaconi che si pren-dono cura dei poveri. Nel Decreto su“L’apostolato dei laici” (ApostolicamActuositatem), il Magistero sottolineache il Volontariato può essere eserci-tato “Dovunque c’e chi manca di ci-bo e di bevande, di vestiti, di casa, dimedicine, di lavoro, di istruzione, deimezzi necessari per condurre una vi-ta veramente umana, chi è affetto datribolazione e da malferma salute, chisoffre l’esilio e il carcere; ivi la caritàcristiana deve cercarli e trovarli, con-solarli con premurosa cura e sollevarliporgendo aiuto” (8). Il volontariato,che nella fede cristiana è forza di rin-novamento sociale e politico con l’in-tento di sollecitare i responsabili del po-tere a rimuovere le cause che hanno pro-dotto le emergenze sociali, deve essereedificato, a qualunque ispirazione ap-partenga (anche laica), su solide basi eti-che e morali sostenute dall’amore em-patico, come attitudine insostituibile astabilire una “relazione di aiuto”. Co-lui che versa in stato di bisogno che èaffidato al volontario, perché se ne pren-

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zata che ha perso i valori fondamentalidella vita, chi svolge volontariato deveassumere crescenti responsabilità neiconfronti dei sofferenti, esprimendocomportamenti atti a garantire loro unsempre più efficiente servizio. I volon-tari della sanità che nel loro esercizioquotidiano si accostano alla fisicità delmalato, devono sempre ricordare che ilpresupposto insopprimibile dell’eticadell’operatore sanitario è il rapportouomo-valore, che riconosce a tutti gliuomini, e in primis ai malati, l’identitàdi persona dal concepimento alla mor-te. L’attitu-dine pro-pria di ognivolontarioè quella di“soccorre-re”; noi si-amo certiche un ap-profondi-mento delvalore cri-stiano dellasofferenza,alla lucedel Misterop a s q u a l efaciliterà ilsignificato del ruolo di servizio, vistonell’ottica olistica cristiana che ha il con-notato di una vera relazione di aiuto.Nella vostra azione quotidiana gratuitae gratificante, voi volontari del mondodella sofferenza, dovrete uniformarvi ilpiù possibile alla capacità di un reci-proco accogliervi, non solo fra voi del-l’ARVAS, ma anche con gli altri vo-lontariati presenti nelle strutture sanita-rie, donandovi in uno scambio amore-vole le diverse esperienze per incenti-vare una visione più ampia e creativache consenta di accettare i1 fratello sfor-tunato con le sue positività e le sue ne-

gatività. Sia dunque impegno fermo econvinto di voi volontari, dare risposteadeguate ai singoli bisogni. Volontaria-to dunque come gratuità di servizio sa-maritano che nasce dall’intimità spiri-tuale di noi stessi, dal profondo dellanostra persona interiore; che travali-cando il nostro stesso io, assume valo-re di spinta trascendente che ha signifi-cato di “chiamata”. Volontariato anchecome gratificazione personale e con glialtri, per lavorare insieme per serviremeglio, attraverso la comprensione, ildialogo e l’attenzione all’altro. Comu-

nione donodi Dio, cheviviamo sindal battesi-mo, che cirende similia Dio. “I1pane dellaparola diDio è il pa-ne della ca-rità, comeil pane del-l ’eucare-stia, nonsono panidiversi: so-no la per-

sona stessa di Gesù che si dona agliuomini e coinvolge i discepoli nel suoatto di amore al Padre e ai fratelli”(Evangelizzazione e testimonianza del-la caritàI). Carissimi fratelli e sorelle vo-lontari, siate buoni testimoni di Cristoin ciò che fate. Sarà più facile cosi tra-sformare l’Ospedale da casa di dolorein luogo di speranza. Il Signore vi so-stenga e Maria “Salute degli infermi”interceda per voi.

Armando BrambillaVescovo Ausiliare di Roma

Delegato per la Pastorale Sanitaria

Alcuni componenti del Consiglio ARVAS con il Vescovo del-la Pastorale Sanitaria di Roma Sua Ecc. Mons. Brambilla.

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Caro dottore, a parte le convinzioni per-sonali, comprese le mie, noi siamo inquesta Azienda ed in questo Ospedaleper “servire e non per comandare o es-sere serviti...”. L’autorità (quella di mar-ca) è servizio “alla collettività e per eser-citarla occorre farlo in osmosi con tuttoe con tutti perché in solitudine non pos-siamo fare niente.Ogni operatore sanitario deve esprimereal meglio la sua professionalità e deve far-lo in “rete terapeuti-ca” con tutte le e-ner-gie (pubbliche e pri-vate) presenti nell’A-zienda e nell’Ospe-dale (un cuor solo edun’anima sola... tut-ti per uno ed unoper tutti...) a serviziodella persona, di ognipersona a partire dalmalato e dal malatopiù indigente.Tutti quelli che lavo-rano, a qualunque ti-tolo, dai dirigenti aglioperai, dai fissi aiconsulenti, dai di-pendenti dell’Azien-da alle ditte private,dai volontari agli stu-denti ed ai tirocinan-ti... fino ai Sacerdotiche per legge (condi-visibile o meno) so-no chiamati a lavora-re nelle strutture sa-nitarie pubbliche perl’umanizzazione delle strutture, delle per-sone e per il servizio religioso a quantine sentono il bisogno e ne fanno richie-sta. Tutti, ognuno a suo modo e con lasua competenza, siamo dei “terapeuti”per la prevenzione, la cura e la riabilita-zione delle persone.Tu conosci benissimo il tuo campo di la-

voro e bene ciò che attiene alla tua pro-fessione di medico. Conosci i colleghi ele loro competenze. Conosci le strutturee gli strumenti. Conosci la parte alber-ghiera delle strutture pubbliche. Conoscile leggi. Tutto accogli, tutto vivi e tuttousi con libertà, con creatività ed anchecon un forte pensiero critico.Come mai tutto questo non lo applichi al-la persona del prete e alla Chiesa che lomanda come Assistente Spirituale, a “ser-

vire l’uomo che pre-viene, cura e riabili-ta e l’uomo che na-sce, soffre, recuperasalute e muore nel-le strutture sanita-rie?”. In tredici annidi vita in Ospedalenon ho mai sentito in-vocare, nemmeno date, una presenza reli-giosa sempre più ade-guata, più visibile,più pronta, più incisi-va, confondendo qua-si sempre ciò che unocrede o non crede conil servizio professio-nale da rendere ai pa-zienti o ai colleghiche, anche attraversola professione, il la-voro, esprimono laloro fede, la loro cul-tura, le loro convin-zioni.Il Sacerdote è un“terapeuta” e, come

tale, è un tuo collega... non è un intruso,non è un clandestino, un abusivo, uno deltipo “ora di religione facoltativa”.Il sacerdote, per esercitare la sua pro-fessione, (per la quale ha una regolarelaurea, specializzazione e mandato) usapersone, luoghi e strumenti (regolar-mente messi a sua disposizione dalla

Lettera

aperta

ad un

dottore

di

ospedale

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Chiesa che lo manda e dall’Azienda conla quale ha stipulato una regolare con-venzione) adeguati ai bisogni, alle ri-chieste ed alle proposte per migliorarequotidianamente la sua professionalitàe le terapie “pastorali”.Il Sacerdote si forma e forma le personechiamate a svolgere un lavoro semprepiù qualificato nell’ambiente ospedelie-ro, a partire dall’attenzione a voi Opera-tori Sanitari di ogni grado. Per loro, conloro, per voi e con voi ogni anno si ela-bora un progetto pastorale che prevedela formazione, la crescita spirituale, ilservizio di promozione umano, sociale,culturale e di solidarietà-carità.La Chiesa, la sacrestia, l’ufficio per l’a-scolto e per le confessioni... sono gli am-bienti terapeutici... negli ambienti ci so-no tutti gli strumenti per fare terapia perla “salute e per la salvezza” delle per-sone (oggetti liturgici, quadri, statue, ro-sari, immaginette, abiti, riti, celebrazioniecc. ecc.). In questi luoghi ci sono medi-cine salva vita (i Sacramenti) e palliativi(statue, immaginette, sussidi, rivisteecc.ecc.), in questi ambienti si fa terapiaindividuale, familiare, di gruppo e spe-cialistica (preghiera, formazione, verifi-ca, programmazione, socializzazione, spe-rimentazione, celebrazione, lavori so-cialmente utili per servire i poveri, ecc.ecc.). Spesso intervengono consulenti dal-l’esterno (esperti in cultura, artisti, grup-pi di animazione) sempre per realizzareil progetto di umanizzazione e di servi-zio globale alla persona nel progetto del-l’Azienda ASL e dell’Ospedale. In que-sti ambienti si ascolta la voce dei cittadi-ni, degli operatori, degli utenti, delle fa-miglie... le loro ansie, preoccupazioni, lecritiche e si operano mediazioni impor-tanti tra gli operatori e gli utenti... si fa unpo’da “parafulmini...”. In questi ambientisi educa e ci si educa a metabolizzare lasofferenza, la difficoltà del vivere ed an-che il dramma del morire.

Sacerdoti e volontari, in modo partico-lare i volontari Pastorali, questo lo tra-sferiscono (stile, progetti e strumenti te-rapeutici) nei reparti e nei servizi del-l’Ospedale. Io insegno loro “l’arte, laprofessionalità di volontari Pastorali”e li invio ai malati e ai loro familiari.Tutto ciò che in questi tredici anni di pre-senza in Ospedale e nell’Azienda è sta-to proposto dalla cappellania ospedalie-ra, tutto è stato fatto in questa prospetti-va e secondo lo stile di vita e i progetticostruiti, vissuti, verificati e rilanciatisempre in comunione con i dirigenti econ tutti voi Operatori Sanitari.Lo stile è stato sempre quello del rispet-to, della preparazione degli ambienti edelle persone... dopo aver sondato, ascol-tato e coinvolto.

Carissimo Dottore, tu non puoi immagi-nare quanto mi siano state utili le tue rea-zioni non sempre “composte” e nemme-no immagini quanto mi faccia bene pen-sare, pregare e scrivere queste cose.Ma tu, i tuoi colleghi, queste stesse cosee ciò che attiene il vostro specifico, le pen-sate, le riflettete con lo stesso stile? Nonmi sembra. Io non sono mai stato invita-to ad una riunione di Primari, di Caposa-la, di Capi dipartimento... per ascoltareed essere ascoltato. Quando mi sono pre-

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sentato alle Conferenze dei Servizi (sichiamavano cosi, vero?) ed ho portato lamia relazione puntuale, precisa, per quel-lo che era possibile “contabilizzare” co-me “Primario Assistente Spirituale”, l’hofatto per far fare bella figura agli Ammi-nistratori ma, lo sai, io non mi sono la-sciato sfuggire nessuna occasione e maiho dimenticato, nelle idee, nei contenutie nelle iniziative, il mio ruolo “profes-sionale” anche se “Pastorale”.Ma quando mai tu, gli altri colleghi, tran-ne lodevoli eccezioni, vi siete preoccu-pati di proporre, di stimolare, di inco-raggiare, di facilitare l’uso delle perso-ne (a partire dai sacerdoti) e degli stru-menti terapeutici della Cappellania a ser-vizio della salute globale di ogni perso-na ricoverata in Ospedale o in terapiapresso i nostri servizi ospedalieri. Io nonho mai sentito, nè in pubblico e nè in pri-vato, nè in parole e nemmeno per scrit-to consigliare ai pazienti, ai parenti diusarci nel modo adeguato... mai ho sen-tito chiedere un impianto audio-videonelle stanze dei pazienti... mai gridareperché non ci sono o non funzionano icitofonini che stanno accanto ad ogni let-to di degenza... mai qualcuno ha punta-to i piedi per ripristinare l’interfono cheda anni ormai è silente e ci penalizza.Ecco. Mi fermo. Grazie, dottore, grazieper avermi obbligato a sedermi, a pen-sare e a scrivere.Ti fermerai anche tu a riflettere, a rive-dere le tue reazioni? Ne riparleremo?Scriverai? Non lo so... ma sono sicuroche queste riflessioni ti serviranno a com-pletare, a migliorare il rapporto con i tuoicolleghi, con il tuo reparto, (perché in-sieme alla Caposala ed agli altri colleghinon trasformi in positivo i divieti appe-si un po’ ovunque nel reparto?) con glialtri colleghi, reparti e servizi... con gliutenti in genere, con i pazienti... ed an-che con me, con ciò che rappresento epropongo, con i Volontari Pastorali e con

ciò che “esprimono” per la vostra saluteglobale e per quella dei pazienti.Vedi dottore... io non mi sognerei mai dientrare nel merito dei tuoi progetti, del-le tue scelte, dello stile di vita del repar-to, dell’impiego del personale che tu seichiamato a “servire” come Primario, de-gli abiti profesionali che indossi, dei pre-sidi che usi, dei programmi terapeuticiche adotti o delle medicine che sommi-nistri o i tipi di intervento chirurgico chefai... al massimo, e questo entra nelle miecompetenze, posso dire le mie impres-sioni sui modi, sullo stile, sui rapporticon i malati, tra di voi colleghi, con le fa-miglie...Allora, ti prego, abbi il dovuto rispettodi questo “COLLEGA SPECIALE e deisuoi fissi e passeggeri collaboratori” chein tanti anni, ha sempre rispettato tutto etutti (atei, non cristiani, attivisti nelle set-te, scettici, massoni, ecc. ecc.) ma chenon è stato mai timidamente a guardare“lo sfacelo che c’e intorno”, il disastromorale che ci investe sempre di più e chesta mandando in tilt la società e qualun-que forma di esperienza religiosa.L’integralismo, qualunque forma e daqualunque parte venga, nasce dall’igno-ranza, dall’individualismo, dalla pre-sunzione, dal qualunquismo, dalla pau-ra di dover fare i conti con la regola, conla norma, con la legge... con il servizioe, quindi, con il cambiamento persona-le, interiore ed esteriore.Se, quando e come ti è possibile, pro-grammiamo insieme qualcosa, coinvol-gimi in certi momenti, incoraggiami... nonsmettere, però, di farmi critiche... evitasolamente di mortificare “i volontari” chesono le creature più semplici ed anche, difronte a te ed ai tuoi colleghi, le più fra-gili. Ti voglio bene e ti abbraccio.

padre Carmelo VitrugnoAssistente spirituale

ospedaliero“S. Pertini”

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ILIL MONDO CHE ILMONDO CHE IL MALAMALATTOO VEDEVEDE

Cosa vuol dire essere malati? A volte, vuol dire sentirsi in colpa quando qualcuno più gio-vane è assalito dal male e vi soccombe, sentire l’ingiustizia ed esser tentati di giudicare,dal nostro esiguo e costretto punto di vista, quanto Dio ha voluto. Altre volte, significasentirsi in impaccio quando, in giornate buone, qualcuno ci guarda e dice sorpreso: “Mastai bene!”, come se fosse un’inesattezza o un’alterazione della verità. Altre volte ancoravuol dire sentirsi improvvisamente pieni di energia, magari non sorretta dalle forze, e de-siderare di non perdere nulla di quanto la vita può offrire, come in una fuga dalla realtà.E ancora, a tratti, sentirsi tanto male da non riuscire a parlare, sentirsi isolati.E lontani da tutto e da tutti, immersi in un malessere profuso che non si sa identificare, mache si sente come aggressore. Sempre, però, esempi grandi aiutano e confortano: come lafigura del Papa, che della sua malattia ha fatto un’arma contro il male, e dalla sua lotta peruna vita “normale” un segnale di lotta coraggiosa e dichiarata. Ha fatto tanto, che la vec-chiaia malata si mostrasse a tutto il mondo nella sua fragilità e debolezza, dietro la qualestanno la fede e la speranza. È stato un insegnamento che ha aperto isole di comprensio-ne verso coloro che soffrono non solo per la malattia, ma per l’avvilimento del corpo cheessa comporta e per il necessario ma a volte umiliante confronto con i sani, i normali. Ac-cettare il male, nel suo evolversi lento o veloce, lasciato nelle mani di Dio, significa cam-biare, diventare “di più”, in un mutamento che è un allargarsi degli orizzonti. Il mondoche il malato vede non è più come prima, si amplia all’infinito in una comprensione nuo-va. Sembra un paradosso, eppure a volte il malato sente che la malattia gli ha dato qual-cosa di buono. La capacità di cogliere il senso della vita in un’armonia nuova, venata dinostalgia sottile, di rivolgersi al mondo con occhi nuovi, di andare oltre, con un coraggioche non sapeva di avere.

Francesca

Dal 22 al 29 aprile del 2005 un gruppetto dioperatori sanitari, guidati da don SergioMangiavacchi, cappellano dell’OspedaleOftalmico, si sono recati in Terra Santa perl’annuale pellegrinaggo organizzato dalCentro Diocesano della Pastorale Sanitaria.Era assente il Vescovo Mons. Brambilla perla morte del Papa Giovanni Paolo II.Le emozioni provate dai partecipanti sonostate tante, sia per i nuovi che per i “vete-rani” del pellegrinaggio.La visita ai luoghi dove è nato, cresciuto,dove ha predicato, è morto ed è risorto Ge-sù, dove ha avuto inizio la Chiesa, hannosuscitato grande entusiasmo ma ancheprofonda riflessione. La conoscenza dei luo-ghi evangelici permette una maggiore inte-riorizzazione dell’insegnamento di Gesù. Èun’esperienza che merita di essere fatta unavolta nella vita.

GLI OOPERATORI SSANITARI IIN TTERRA SSANTA

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Nella Bibbia l’anziano è l’emblema delsapiente e de1 maestro e la sua testi-monianza è vividamente presentata nel-la scena esemplare della celebrazionepasquale di Esodo 12, ove la genera-zione antica trasmette la risposta di Dioall’interrogativo della giovane genera-zione, riunita attorno alla tavola del pa-sto pasquale: “Voi osserverete tuttoquesto; è un decreto per te e per i tuoifigli per sempre... E quando i vostrifigli domanderanno: Che cosa signi-fica questo rito che state facendo?, voirisponderete: è il sacrificio della Pa-squa per il Signore, che passò oltre lecase d’Israele,percosse gli Egi-ziani e liberò lenostre case” (12,24.26).Il tema della co-municazione del-la fede da partedella generazioneanziana alla nuo-va discendenza ècostante nellaBibbia: “Ciò cheabbiamo udito econosciuto e i nostri padri ci hannoraccontato, non lo terremo nascostoai loro figli ma diremo alla genera-zione futura le meraviglie che Dio hacompiuto” (Salmo 78, 34).

L’anziano diventa, così,maestro di fede

Egli è radice anche dell’autentica sa-pienza: “Quanto si addice agli anzia-ni saper consigliare! Quanto si addi-ce la sapienza ai vecchi, il consiglio ela prudenza agli uomini venerandi!L’esperienza è corona degli anziani,la loro gloria è il timor di Dio” (Sira-cide 25, 4-6). Speriamo, perciò, che le

nostre comunità abbiano sempre, comeauspicava Paolo nella lettera a Tito (2,2-5), questi “vecchi sobri, dignitosi,assennati, sani nella fede, nella carità,nella pazienza.... queste donne d’etàche abbiano un santo decoro nel lorocomportamento... che siano maestrenel bene, che sappiano insegnare allegiovani ad amare i loro mariti e i pro-pri figli, ad essere prudenti, caste, af-fezionate alla casa, buone ...”.Certo, lo sguardo rivolto al passato puòdiventare facilmente conservatorismoottuso, velleità nostalgica, pedanteria:sono rischi non ignorati anche dal mes-

saggio biblico. Ilvecchio puògiungere a formeesasperate di or-goglio quandotrasforma la suaesperienza in in-fallibilità.È il caso dellatormentata vec-chiaia di Saul lacui violenza di-venta incubo, in-tolleranza e follia

“Lo Spirito del Signore partì da Saule uno Spirito cattivo, venuto da par-te del Signore, lo teneva agitato”, (1Samuele 16, 14), o quello degli orgo-gliosi spettatori della scena dell’adulte-ra (Gv 8, 1-11) che “incominciando daipiù vecchi” dimostrano la reale miserianascosta dietro la superba facciata “im-biancata” (Mt 23, 27) del loro perbeni-smo. La polemica del Cristo contro ipo-crisia e intolleranza deve richiamarel’anziano a una continua e coraggiosaautocritica che lo trasformi nel genero-so padre della parabola del figlio pro-digo (Lc 15), infinitamente più grandee aperto del giovane ed egoista figliomaggiore. 0 lo renda paziente e com-prensivo come David anziano nei con-

L’ANZIANONELLA

BIBBIA

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sine ai miei fratelli” (1, 3); “Tobi morìin pace all’età di 112 anni ... ; visse fa-cendo elemosine, continuò a benedire(14, 1-2). È questa l’epigrafe che ognianziano dovrebbe desiderare per la suatomba. A coloro che avranno la fortunadi incontrare un tale anziano, vero mae-stro di vita, il Siracide raccomanda:“Non rifiutarti di ascoltare i vecchipoiché essi hanno imparato dai loropadri; acquisterai così l’intelligenzaper rispondere quando occorrerà” (8,9). Ma c’è un ulteriore lineamento del-l’anziano secondo la Bibbia. È quelloche potremmo definire “profetico”.

Il profeta biblicoè colui che saleggere nel gro-viglio della storiail segno dellapresenza e del-l’azione di Dio, ilsuo rivelarsi sal-vifico. Emblema-tiche sono, allo-ra, le figure didue anziani delVangelo di Luca,Simeone e Anna,“profeti” del Cri-sto: i loro occhiormai deboli san-no penetrare lamisteriosa realtàdel piccolo affi-

dato alle loro braccia e percepirne il de-stino di salvezza e di rifiuto.La terza età può trasformarsi allora inun incantevole mattino di speranza e di-ventare l’autentica “verde età” contrap-posta all’illusoria giovinezza dell’em-pio: è la suggestiva contrapposizionepresente nei Salmi 92 e 37. Sullo sfon-do del fragile germogliare dell’empioche ben presto verrà sradicato per sem-pre (92, 8), si innalza verso il cielo l’al-bero fiorito del giusto che “anche da

fronti del suo ribelle e turbolento figliogiovane Assalonne (2 Sm 18-19). 0 loaccomuni agli intelligenti e tolleranticonsiglieri anziani di Roboamo, figliodi Salomone, contrapposti ai fanaticicortigiani giovani (1 Re 12, 6-11).L’anziano, inoltre, deve essere maestrodi vita. Il bagaglio acquisito nell’espe-rienza del passato può essere una pre-ziosa chiave di lettura per l’oggi. Lascomparsa di tutti gli anziani, relegatiin una sorta di città di vecchi, per la Bib-bia è quasi una minaccia: “Sta pergiungere il tempo in cui io troncheròil braccio a te e alla tua famiglia efarò sì che nonci sia più un an-ziano in casatua”, grida Dioal casato del sa-cerdote Eli in 1Samuele 2, 31-32. Certo, la mo-derna strutturatecnico-scientifi-ca semplifica ab-bondantementenel campo dellascienza la fun-zione dell’anzia-no e della suaesperienza, fon-damentale in unasocietà artigiana-le e agricola. Per-mane, tuttavia, il valore “testimoniale”ed esemplare nel comportamento uma-no generale. Ecco allora l’indimentica-bile figura di Tobi, la cui statura mora-le è una continua lezione di vita so-prattutto per il figlio Tobia.Il libro che ne raccoglie la storia si muo-ve entro due poli riassuntivi della suaintensa testimonianza: “Io, Tobi, hocamminato per le vie della verità,compiendo opere buone tutti i giornidella mia vita e facendo molte elemo-

“Agli anziani si addice intendersi di consigli”(Siracide 25).

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vecchio darà frutto, sarà pieno di vi-talità e verdeggiante per proclamareche è giusto il Signore” (92, 15-16). Lafreschezza dell’anima giusta diviene co-sì, già sulla terra, simbolo della speran-za immortalista, come suggerisce il ver-setto 14 dello stesso Salmo: “Trapian-tati nella casa del Signore, fiorirannonegli atri del nostro Dio”, vivranno,cioè, eternamente nel regale palazzo ce-leste di Dio.Ugualmente, nel Salmo 37 l’anziano fasvanire l’illusione dei prati affascinan-ti degli empi (v. 20: “Gli empi peri-ranno, gli odiatori del Signore svani-ranno, come lagloria dei pratisvaniranno in fu-mo” per rivelarela grande speran-za riservata al giu-sto. “Io sono sta-to giovane e orasono vecchio enon ho mai vistoil giusto abban-donato” (37, 25);il Signore infattisostiene per manoil giusto anche secadente e tremo-lante (37, 24).In questa luce“profetica” si col-loca anche l’usodel termine pre-sbitero, cioè “anziano”, per definire chiha responsabilità di guida all’internodella comunità cristiana. A loro e ai ge-nitori incombe la missione di essere an-nunziatori - cioè “profeti” - della spe-ranza. E la comunità deve onorarli eamarli, come insegna il quarto coman-damento (Es. 20, 12), splendidamentecommentato da una pagina del citato Si-racide (3, 1-16) tutta da meditare, e co-me ribadisce a livello ecclesiale Paolo:

“Vi preghiamo, o fratelli, di avere ri-spetto verso coloro che vi sono pre-posti nel Signore e vi ammoniscono”(1 Tss. 5, 12).Il poeta americano Walt Whitman nel-la sua opera più celebre Foglie d’erba(1855) evocava la vecchiaia come iltempo dell’intensità della vita: “Quan-do la vita declina e tutte le turbolen-ti passioni si calmano, / ecco allora igiorni più ricchi, più calmi e felici ditutti”.Concludendo, la Bibbia vuole che il co-ro delle voci del popolo di Dio pellegri-nante sulla terra non sia solo composto

di suoni squillanti,freschi e giovanilima anche di con-tributi diversi, piùbassi e lenti: “Gio-vinetti e fanciulle,vecchi e bambinilodino il nome delSignore... con uninno di lode pertutti i suoi fedeli,popolo a lui vici-no” (Salmo 148,11-14).Giunto al terminedella sua esisten-za, l’anziano - co-me il vecchioorante del Salmo71 - guarderà alsuo passato di

gioia e di fedeltà e al suo presente di dif-ficoltà e magari di amarezze con occhiosereno, pronto fino all’ultimo a esseretestimone della fede e della sapienza:“Nella vecchiaia e nella canizie, Dio,non abbandonarmi, perché io an-nunzi la tua potenza, a tutte le gene-razioni le tue meraviglie” (v. 18). Saràquesto il suo vero testamento.

mons. Gianfranco Ravasi

Dal tuo balcone non guardare la vita che pas-sa, ma vivila ogni giorno incontrando gli altri.

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S. CAMILLO

Non è facile esprimere a parole le forti emozioni cheabbiamo vissuto in questi tre anni. E’ancora vivo innoi il ricordo del primo giorno di scuola quando nontrovammo solo libri e materie ad accoglierci: ca-pimmo subito che si doveva affrontare un percorsoin salita basato sull’amore, sui rapporti, sul dolore…sulla vita in reparto… sulle ore da raggiungere masoprattutto basato sulla voglia per ognuno di noi direndersi utile per ogni paziente accompagnandolonel proprio cammino.L’incontro con il dolore, la sofferenza e la solitudi-ne non è stato facile, e forse per alcuni non lo è tut-tora. Per quanto una materia possa aiutarti a capire,l’umanità di questa professione solo l’esperienza puòaiutarti giorno dopo giorno a crescere nella com-prensione.La nostra fortuna più grande è stata quella di esserela classe più numerosa; insieme ne abbiamo passatedi tutti i colori; ci sono stati litigi, riappacificazioni,grandi risate, ma sono state versate anche tante la-crime; quante volte abbiamo pensato di mollare tut-to, di guardarci dentro e capire che forse quella cheavevamo intrapreso non era la strada giusta, ma quan-te volte invece ci siamo fatti forza e, grazie al confor-to e ai consigli degli amici più cari che ci hanno con-solato, abbiamo continuato questo percorso.Certo la stanchezza è stata la nostra compagna diviaggio in tutte quelle sere che abbiamo dovuto di-re di no agli amici che ci invitavano ad uscire, in tut-te quelle sere che alle 21 eravamo già a letto ed intutte quelle ore che abbiamo trascorso all’ospedaleSan Camillo che è stata per tre anni la nostra primacasa. Nonostante tutto ciò porteremo sempre dentrodi noi la stessa voglia di crescere del primo giornoaugurandoci di non perdere mai lo spirito e l’entu-siasmo che ci hanno sempre accompagnato.Questa è l’occasione migliore per ringraziare tutti iprofessori, i coordinatori del corso, i caposala ed in-fermieri dei reparti, il personale di segreteria che han-no contribuito allanostra formazione.Gli allievi del terzoanno (2004-2005)della Scuola Infer-mieri San Camilloaugurano a tutti unabuona Pasqua!!!

FORLANINI

Siamo di nuovo tutti riuniti come un’unica grandefamiglia, sotto l’immensa luce della Pasqua che il-lumina il nostro cammino e proprio in questo mo-mento vorremmo porgere tanti ringraziamenti di cuo-re a tutti voi qui presenti, che ci avete accompagna-to in questi tre anni in un percorso di studio e di in-segnamento per capire quali sono i veri valori dellavita stando a contatto continuo con la sofferenza.Grazie a voi insegnanti abbiamo scoperto una realtàche prima di entrare in questa scuola conoscevamorelativamente e con il passare del tempo siamo sem-pre più convinti di aver fatto la scelta giusta. Ognigiorno che trascorriamo accanto a tutti coloro chesoffrono ci arricchisce l’animo di tanta solidarietà,ci rende partecipi delle sofferenze altrui. Certamen-te c’è la difficoltà di non lasciarsi troppo coinvolge-re in ogni situazione e di non mettere i nostri senti-menti avanti alla razionalità.Un ringraziamento speciale va alla Dott.ssa Fabria-ni che con la sua lunga esperienza di formazione pro-fessionale ci segue sempre con costanza ed impegnospronandoci ad andare avanti senza trascurare maila fede in Dio, come grande aiuto nei momenti piùdifficoltosi della vita.Un ringraziamento alla Prof.ssa Proietti che ci ha sti-molato quotidianamente ad apprendere, quasi comeuna madre premurosa ed apprensiva che insieme anoi ha gioito e sofferto nei vari momenti di questolungo percorso. Con l’occasione della Santa Pasquale vogliamo porgere le nostre scuse se a volte ab-biamo preteso un po’ troppo da lei.Un ringraziamento anche alle Prof.sse Coia e Cal-manti che ci hanno insegnato con professionalitàle loro discipline, sostenendoci sempre e rappre-sentando anche un punto di riferimento in diverseoccasioni.Ed infine un ringraziamento lo vogliamo rivolgere aSilvia un’infermiera dolce e piena di tante qualità

che come una sorellamaggiore ci ha datomolti consigli utili perrisolvere tanti proble-mi che si sono pre-sentati durante questopercorso di formazio-ne professionale.Un grazie e un augu-rio di cuore a tutti.

Gli studenti del corso di Laurea infermieristicaOspedale

Alcuni docenti delcorso infermieristico

dell’OspedaleForlanini. 27

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Mercoledì 20 aprile Sua Ecc. Mons. ArmandoBrambilla ha dato la Benedizione inaugurale alCentro EBRI in via del Fosso di Fiorano (loca-lità Prato Smeraldo - via di Tor Pagnotta). Lo havisitato incontrandosi, ufficialmente e insiemefamiliarmente, con gli operatori del Centro. Al-la solenne inaugurazione hanno presenziato epreso la parola - con la regia di Emanuela Fal-cetti - il sindaco di Roma, il presidente della Re-gione Lazio, i ministri della Sanità e dell’Istru-zione, la prof. Rita Levi-Montalcini, il dott. Lui-gi Amadio e il presidente del CNR.L’EBRI (European Brain Research Institute) è sta-to voluto e promosso da Rita Levi-Montalcini,Premio Nobel 1986 per la Medicina, grazie allesue fondamentali scoperte sul fattore di crescitadelle cellule nervose. Il dott. Luigi Amadio lo haaccolto in una struttura distaccata della “Fonda-zione Santa Lucia”, di recente acquisizione. IlCentro punta in maniera multidisciplinare versodue importanti obiettivi: studiare la organizza-zione funzionale del cervello e tradurre la ricercadi base in modo da migliorare e possibilmente cu-rare le malattie che colpiscono il sistema nervo-so. Particolare attenzione è data alle malattie neu-

rodegenerative, quali l’Alzheimer e il Parkinson.Il campo di ricerca dell’EBRI è singolarmenteaffascinante. Basta pensare che il cervello uma-no è il sistema più complesso in natura: ha cir-ca 100 miliardi di neuroni connessi a un milio-ne di miliardi di sinapsi. A disposizione dei grup-pi di ricerca ci sono apparecchiature complessee costose, che favoriranno l’affluenza di giova-ni ricercatori e di esperti, provenienti dall’Italiae da altri paesi. La costituzione dell’EBRI stadando vita a un importante Polo di ricerca mul-tidisciplinare nel settore delle neuroscienze, uni-co a livello europeo. I laboratori di neuroscien-ze della Fondazione Santa Lucia e l’Istituto dineurobiologia e medicina molecolare del Con-siglio Nazionale delle Ricerche si sono stabilitinell’edificio del Santa Lucia, dove si trova l’E-BRI, sviluppando un accordo di collaborazionescientifica, aperto a Università, Centri di ricer-ca e istituzioni italiane e straniere.All’inizio del terzo millennio si impone una co-

noscenza sempre più approfonditadel cervello umano, anche per fron-teggiare l’aumento di patologieneurodegenerative che accompa-gnano il prolungarsi della vita uma-na. Per questo il Vescovo della Pa-storale Sanitaria di Roma ha invo-cato la benedizione di Dio. La lo-de più bella di Dio è l’uomo cheaiuta un altro uomo, specialmentequando è profondamente ferito nel-la sua fragilità.

Don Carmelo NigroCappellano Ospedale Santa Lucia

Il nostro Vescovo al“Centro Europeo di

Ricerca sul Cervello”

PREGHIERA

Oh, Signorefa che la mia vocegiunga fino a Te.In questo mondo di cunicolidove la societàè alla ricerca disperata di novità di vita,dove solitudine e sconfortosono sempre in abbondanza.Oh Signore, fai in modo che dentro di noisi possano ridestare i valoridi giustizia e amore,credere in un mondodove proposte ed invenzionisiano ricchi di pace e solidarietà,dove sorriso e speranzapossano trovarenel momento del bisogno,la gioia di un caro conforto.

Maria Calorendi

Giovedì 9 giugno - ore 9,30Incontro al Divino Amore dei cappellani

per la revisione e la programmazione

Domenica 12 giugnoGita degli operatori sanitari a Lanciano

città del miracolo Eucaristico

Sabato 18 e Domenica 19 giugno - ore 9in Seminario giornata con la Sacra Scrittura

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Referendum: formare le coscienzePubblichiamo una parte del testo della prolusione tenuta

dal cardinale Camillo Ruini in apertura dei lavori delConsiglio permanente della Cei il 7 marzo 2005

Si è costituito il Comitato “Scienza & vita” per impedire il grave peggioramento della leg-ge sulla procreazione assistita che avrebbe luogo se i referendum avessero esito positivo.Il Comitato dà voce alla grandissima e altamente significativa unità che i molteplici or-ganismi cattolici hanno saputo raggiungere su questo tema tanto importante e delicato, maesprime anche e anzitutto una posizione razionalmente fondata che va nettamente al di làdelle appartenenze religiose e partitiche riunendo molte personalità del mondo scientifi-co, culturale, professionale e politico.È chiaro il senso dell’indicazione di non partecipare al voto: non si tratta inalcun modo di una scelta di disimpegno, ma di opporsi nella maniera più for-te ed efficace ai contenuti dei referendum e alla stessa applicazione dello stru-mento referendario in materie di tale complessità. In concreto è necessaria lapiù grande compattezza nell’aderire all’indicazione del Comitato, per non fa-vorire, sia pure involontariamente, il disegno referendario.Da parte nostra ci dedicheremo soprattutto alla formazione delle coscienze riguardo alladignità della vita umana fin dal suo inizio, alla tutela della famiglia e al diritto dei figli diconoscere i propri genitori.Faremo ciò con quello stesso amore e sollecitudine per l’uomo che si esprime nella curadella Chiesa per i poveri e le altre persone in difficoltà, nell’educazione dei bambini e deiragazzi, nella vicinanza ai malati e agli anziani. Questo amore per l’uomo è ugualmenteamore e stima per la sua intelligenza e per la sua libertà: è dunque decisamente a favoredel progresso delle scienze e delle tecnologie, in particolare di quelle che curano e pre-vengono le malattie, e proprio per questo si oppone a quelle forme di intervento che le-dono e sopprimono la vita umana nascente.

Cardinale Camillo RuiniPresidente della Cei

IL VESCOVO NELLA CASA DI RIPOSO

Eccellenza, l’evento di Papa Giovanni Paolo II salito inParadiso e di Benedetto XVI il nuovo Papa dal dolcesorriso, ha fatto rimandare il nostro incontro annualeper festeggiare insieme, il tempo Pasquale. Ma oggi, sia-mo con gioia nuovamente riuniti e mentre nella ridenteprimavera, su tutta la natura, il tiepido sole brilla, noigodiamo la presenza del nostro Vescovo Brambilla. Eccellenza, La ringraziamo per essere con noi anchequest’anno e Le auguriamo che il Signore, tenga da Lei lontano, ogni malanno, così colSuo grande spirito e la salute, potrà compiere meglio le opere da Lei volute: in questa no-stra epoca in cui molti uomini, si illudono di poter vivere senza Dio, c’è un immenso bi-sogno di qualche Ministro Pio.Lei appartiene a questa schiera, col Suo continuo lavoro e la Sua costante preghiera.La ammiriamo e siamo orgogliose della Sua amicizia che per noi è fonte di vera letizia.Le auguriamo ogni bene di vero cuore: con Lei ci sentiamo più unite al Signore.

Le Suore Adoratrici del SS. Sacramentoe le Ospiti di Villa Immacolata

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Qualcuno ha sostenuto che la Chiesa Cattolica si contraddice perché difende la vitanascente ma non la vita morente, permettendo il prelievo degli organi dai donatoria cuore battente.Insieme al compianto cardinale Ugo Poletti ed al cardinale Paul Poupard, Presidentedel Pontificio Consiglio per la Cultura, nel giugno 1989, ebbi l’onore di scrivere unsaggio sul primo numero di “Civiltà dell’Amore”, già organo ufficiale delle Miseri-cordie d’Italia, Confratemite della Chiesa Cattolica. Il saggio s’intitolava “La Chi-rurgia sostitutiva è la Chirurgia del futuro” ed era firmato,oltre che dal sottoscritto,anche dal prof.Raffaello Cortesini, pioniere dei trapianti d’organo in Italia. In quelsaggio (che posso inviare email a chiunque me lo chieda), spiegavamo che il donato-re di organi, pur avendo ancora il cuore battente, non è un morente ma un morto.A chi dice che la più elementare naturalità suggerisce che la morte corrisponda allacessazione del battito cardiaco e del respiro e che tale nozione è da sempre invalsanelle culture di matrice classica e cristiana controbatto che la nozione di battito car-diaco esiste soltanto dal 1627, quando William Harvey scoprì la circolazione del san-gue. Quindi la definizione di morte non è univoca ma può cambiare con l’evoluzionedella scienza. Oggi è possibile mantenere le funzioni vitali in un organismo anchequando sono cessati il respiro e il battito cardiaco spontanei. Ciononostante, la per-sona è morta anche se i suoi organi sono ancora vitali. E’ il concetto di morte cere-brale, introdotto durante l’Assemblea Mondiale dei Medici a Sidney nel 1968.

Al contrario, la definizione di inizio della vita umana è univoca e non cambia con l’e-voluzione della scienza. L’inizio della vita umana corrisponde all’ingresso dello sper-matozoo dell’uomo nella cellula uovo della donna. Da quel momento in poi esistel’embrione.Respingo con fermezza anche la tesi sostenuta nella introduzione alla proposta di leg-ge, alternativa a quella vigente, sulla “Procreazione medicalmente assistita” (AttoSenato N. 3220) che l’ovocita fecondato dallo spermatozoo, definito “ootide”, nonsia ancora un embrione, perché “vi è solo un accostamento dei pronuclei maschilee femminile, che tuttavia conservano ciascuno i propri patrimoni genetici”. Allostadio di ootide fanno seguito gli stadi “di zigote e quindi di embrione, in cui pri-ma si congiungono gli assetti cromosomici paterni e materni e poi, a seguito del-la segmentazione, compare l’entità bi-cellulare che è la prima di quel genomaunico ed irripetibile destinato a svilupparsi come persona”.Affermo, al contrario, che la fusio duorum gametum,la fusione dei due gameti, “a cuii documenti stessi della Chiesa riconducono l’esservi della creatura umana”, ha ini-zio immediatamente, a livello molecolare, anche se al microscopio ottico essa è visi-bile dopo qualche ora.In conclusione, dunque, la persona umana nasce nel momento della fecondazione del-l’ovocita da parte dello spermatozoo e muore nel momento della perdita irreversibiledi ogni capacità di integrare e di coordinare le funzioni fisiche e mentali del corpo(morte cerebrale).

Prof. Vito D’AndreaDocente di Chirurgia Generale -1 Facoltà di Medicina e Chirurgia

Università di Roma “La Sapienza” - E-mail: [email protected]

AA PROPOSITPROPOSITO DI REFERENDUMO DI REFERENDUM

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Caro Gesù, Giuseppe e MariaIn un pomeriggio dorato dal tramonto, busso timidamente alla portadella casa di Nazareth dove abitano Gesù, Giuseppe e Maria, una fa-miglia modello di santità. Entro e vedo Maria, tra gomitoli di lana im-pegnata a fare un maglioncino a Gesù; mentre Giuseppe, attivamen-te con Gesù, pialla un asse di legno per costruire un mobile.Discretamente mi avvicino a Maria, per parlare dei miei sentimentidel mio stato d’animo “Tu, modello di ascolto, ti dico: Sono felice,perché ho una famiglia fondata sulla fede e fedele a Dio e alla Chie-sa, attenta a non disperdere i valori autentici del Cristianesimo, datiattraverso il Battesimo e gli altri Sacramenti”. Tu, Maria, mi com-prendi perché come me nella vita non siamo state risparmiate dallasofferenza e dal dolore, in modo particolare dopo la perdita della persona cara: mio maritoGiuseppe. Si, si chiamava come il tuo sposo, saggio, paziente, giusto, pieno di carità.Solo grazie alle figlie sono riuscita a trovare la forza, per andare avanti. Ma è anche grazie ate Gesù se ora vivo una vita tranquilla, se sono riuscita a crescere e sono entrata a far partedel volontariato, per essere più vicina a Te ed alle persone bisognose. Quante volte Maria, conme ti fai sorella, mi incoraggi, nelle mie paure per la nipote, luce dei miei occhi, se la vedoun po’ tiepida verso di voi, colmi dell’amore di Dio.Sono forse considerazioni normali in questo mondo messo a dura prova tra luci e tenebre.Mi chiedo il perché pur dando tanto, spesso non si riceva nulla. Scusami, ora ti saluto Vergi-ne Maria, insieme alla tua famiglia donami la pace: parola ricca e potente, pienezza di vita.Ti abbraccio con tutto il mio amore.

Imperiavolontari ASVEP

La serva del SignoreMaria è la terra promessa che Mosè vide senza potervi entrare.

È il Paradiso terrestre riconquistato per il quale l’Uomo-Dio ha lasciato il Padre (Gv. 3,16)s’è unito alla Sua Madre ricostituendo così una sola carne immortale (Gn. 2,24).Per tale sublime ragione, Maria è stata fatta trono vivente dell’Eterna Sapienza,data come Madre al discepolo Giovanni (Gv. 19,27), alla Chiesa e a tutta l’umanità.

Oggi, per suo tramite, ciascun vivente può riconquistare la terra paradisiaca perduta:- dal concepimento sulla terra alla nascita in cielo;- dallo zigote che era all’edificio compiuto che sarà;- dal peccato originale da lui ereditato al riscatto finale da Lui pagato;- dal Pane spezzato al Sangue versato;- dalla morte delle sue viscere alla vita nuova della Resurrezione;- dalla giustizia della legge alla misericordia dei Sacramenti.

Quando Mosè la vide si trovava sul monte Nebo della contemplazioneintuì che Israele l’aveva in gestazione e da lì a breve l’avrebbe partorita.Sentì che era Lei, Maria, quella promessa pronta per essere consegnataal mare, alla terra, ai cieli e a tutti i figli della nuova creazione (Dt. 32,52).

Dott. Filippo Maria Lio

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Cara famiglia di Nazareth, sin da piccolaho sentito parlare di te e ti ho, per troppianni, pensata come ad una bella favola,non preoccupandomi di approfondire laTua conoscenza sia per mancanza di giu-sti strumenti che di buona volontà.Ora, quando il sole della vita terrena co-mincia a tramontare, grazie agli strumen-ti, ma soprattutto per il desiderio e biso-gno di meglio conoscerti, ho cominciatoa fare amicizia con te, e per questo ho de-ciso di scriverti. Mi rivolgo esclusiva-mente a te Maria, e ti prego di scusarmidi questo, con Giuseppe e con Gesù ma,essendo nonna,madre e moglie(lo sono stata)puoi meglio ca-pirmi.Io credo, Maria,che tu ti siasempre sentitaprotetta, capita,sostenuta eamata dal tuoGiuseppe. Pen-so che lui, Giu-seppe, si rivol-geva a te conquel garbo,quella tenerez-za, di cui noidonne abbiamotanto bisogno. Tu eri veramente felice neltuo focolare domestico, così semplice,umile, fatto di cose essenziali, come il pro-fumo del pane in cottura, il crepitio dellalegna sul fuoco, il lavoro nel telaio, i fio-ri di campo che coglievi, per rendere piùaccogliente la tua dimora, i profumi e i si-lenzi della natura, i gridolini del piccoloGesù che correva intorno al tavolo, o sa-liva sulla panca, cose frutto del lavoro dituo marito, le preghiere sussurate a DioPadre che, più che richieste di aiuto, era-no lodi e ringraziamenti. Aquel Dio al qua-

le ti sei abbandonata con quel “Si” che tut-ti ha salvato. Se ti batteva forte il cuorequando Giuseppe rientrava a casa, condi-videndo con lui non solo il pasto, ma tut-ti i pensieri, i desideri e le aspirazioni sulpiccolo Gesù e lasciarsi, infine, andare algiusto riposo della notte, mano nella ma-no. Vedi, Maria, anche ora, mentre scrivo,mi sembra tutto una bella favola. Ma, tiprego, dimmi che non è così! Vedi io nonho vissuto così nè la mia famiglia d’ori-gine e, tanto meno, quella frutto del miomatrimonio. Non voglio e non debbo giu-stificarmi, anche perché tu sai tutto di me.

Penso che anchea te non sianomancate le fati-che, le ansie e idolori ma, chetutto hai vissu-to con forza ecoraggio per-ché nel tuo cuo-re c’era Dio. EDio è gioia. Al-lora voglio pre-garti, per quan-to mi rimane davivere, di farmiun bel regalo: ildono cioè dellafede. Una solabriciola, eh sì,

una sola briciola, perché a volte sai, dubi-to di averne. Quel tanto necessario per li-berarmi da tutte le ansie e paure e che met-ta nel mio cuore ciò che più conta per me,per la mia famiglia, per tutti: “l’amore”.Proteggi i miei figli, illuminali e interce-di per me presso il Padre perché perdonitutte le mie mancanze. L’indirizzo del miocuore lo conosci. Grazie!

Elena PinnaVolontaria pastorale (ASVEP)

al Sandro Pertini di Roma

6, 7 e 9 giugno 2005Convegno Ecclesiale

DiocesanoSarà presente il nostro

Vescovoil Papa Benedetto XVI

“Famiglia e comunitàcristiana: formazione della

persona e trasmissionedella fede”

Preghiera alla Santa madre di Dio