Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

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maria pacini fazzi editore

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I noti richiami allo Zodiaco tolemaico inscritti nella Commedia legittimano il ricorso ad una ermeneutica astrologica per decodificarne alcuni nodi. L’intento non è quello di considerare i riferimenti zodiacali come isolati e da rimuovere velocemente, ma di ri-vedere il testo, scandagliandolo per connettere i singoli archetipi zodiacali e far così riemergere la struttura zodiacale che forse ai contemporanei di Dante, immersi nel fluido e dilatante pensiero simbolico, appariva più visibile e decifrabile che alla cultura moderna: pensiero scientifico e nuove diverse concezioni del tempo hanno contribuito a far relegare, sempre più, l’antica scienza astrologica nella superstizione e a giudicarla, dunque, non sempre degna di studio.

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a Giovanna

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Antonello Dessì

IL TEMPO DI ULISSEIL TEMPO DEL VELTRO

Geometrie astrologiche nella Divina Commedia

maria pacini fazzi editore

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Desidero ringraziare i premurosi lettori di questo lavoro che, con i loro capaci consigli, mi hanno incoraggiato a pubblicarlo. In particolare sono grato a Enza Biagini, Lina Bolzoni, José Emilio Burucúa, Benedetto Caltagirone, Maria Antonietta Cortini, Pietro Frassica, Nicola Gardini, Raffaele Giglio, Maria Teresa Marcialis, Sandro Maxia, Stefano Mecatti, Anna Panicali, Giovanni Pirodda, Laura Sannia. Esprimo tutta la mia riconoscenza alle gentili amiche Maria Luisa Frongia e Luisa Mulas per la cortese sollecitudine e per le competenti e generose parole delle loro Prefazioni. Ringrazio Alberto Soi per l’amichevole presenza e la sensibilità professionale; i fotografi Pierluigi Dessì, Stefano Grassi, Luigi Manca, Anna Marceddu, Mauro Rombi, Daniela Zedda.All’affettuosa e fattiva presenza di Giovanna Caltagirone e ai suoi preziosi suggerimenti devo l’esistenza stessa di questo libro.

Il tempo di Ulisse il tempo del VeltroGeometrie astrologiche nella Divina Commedia

© Cagliari 2009 – “Progetto Ermes” [email protected]

Grafica e impaginazione: Alberto SoiCura editoriale: Giovanna Caltagirone

maria pacini fazzi editorevia dell’Angelo custode, 33 55100 Luccatelefono +39 0583 440 188, fax +39 0583 464 656e.mail [email protected] 978-88-7246-952-1

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Sommario

Prefazioni

Maria Luisa Frongia ix

Luisa Mulas xv

Introduzione xix

Ermes nel canto di Ulisse 1

Il dio proteiforme 3

Il folle volo: la Luna in alto, Mercurio in basso 27

Il contrappasso 81

Il tempo di Ulisse. Il tempo del Veltro 99

Il tempo di Ulisse 101

Il tempo del Veltro 108

La Lupa 121

Un cinquecento diece e cinque 135

Alice 147

Annotazioni per figure 151

Catalogo delle opere 197

Legenda 207

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Chi avrebbe tentato con le sole forze di uomo il desideriodi sembrare egli quasi un dio contro il volere degli deie sgombrare le vie del nostro firmamento e l’emisfero al di sottoe svelare gli astri che nel vuoto rispettano i propri limiti?Di questo prodigioso sapere tu sei, o Cillenio, l’ispirato principio:per te già è noto quanto il cielo contiene, già lo sono le stelle,i nomi e le rotte delle costellazioni, il loro peso, le virtù, perché più maestoso fosse l’assetto del mondo e venerabilenon l’apparenza soltanto ma l’energia dell’universoe avvertissero i popoli dove fosse la grandezza intera del dio.

(Manilio, Il poema degli astri, i, 28-39)

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Il tessuto connettivo della ricerca di Antonello Dessì può essere individuato nella astrologia che ha da sempre esercitato un’influen-za determinante nella sua poetica artistica e ora anche letteraria. Il taglio filosofico dei suoi studi, sfociato nel campo dell’Estetica, gli ha dato strumenti per addentrarsi in maniera sempre più con-sapevole nel fascinoso e complesso mondo simbolico-alchemico che è stato alla radice del Simbolismo europeo e che tanta parte ha avuto nell’opera di pittori e letterati di cultura francofona, da Péladan a Delville, da Moreau a Redon, fino a Khnopff. I rapporti fra arte e astrologia hanno uno storico esegeta nei primi decenni del Novecento in Aby Warburg, il quale ha dato una sistematicità anche iconologica a quello che egli considerava «l’efflusso di una forza operante in ogni uomo», applicandola alla cultura figurativa del nostro Rinascimento. Nel suo fondamenta-le scritto Arte e astrologia nel Palazzo Schifanoia di Ferrara, del 1912, emerge prepotentemente dalla sfera dello Zodiaco la figura di Mercurio, il dio che governa la costellazione dei Gemelli.

Il dio Ermes della mitologia greca, associato con felice intuizio-ne alla figura dantesca di Ulisse del Canto xxvi dell’Inferno, fino alla sua identificazione, costituisce il percorso complesso e docu-mentato del recente volume di Antonello Dessì Ermes nel canto di Ulisse, in una lettura ai limiti della provocazione del testo dante-sco, sostenuto dalla sua “lungimirante” visione d’artista. Il fascino che suscitano le figure di Ulisse e di Ermes-Mercurio è un elemento che accomuna Dessì a De Chirico: l’importante dipin-to Mercurio e i metafisici (1920), recentemente ritrovato in occa-sione della preparazione della Mostra monografica dedicata all’ar-

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tista a Padova, nel 2007, costituisce un’ulteriore testimonianza del legame che De Chirico sentiva con la figura di Ermes-Mercurio, accompagnatore di anime, dio degli enigmi e di tutte le furbizie, e infine araldo degli dei. Con lui si riteneva apparentato anche per via del suo cognome: Keryx – Kerycos, in greco «araldo, an-nunziatore», tanto da ritrarsi in coppia con lui nell’Autoritratto con Mercurio del 1923. Ma anche nell’antico eroe Ulisse l’artista si identifica, ritraendosi, l’anno seguente, nelle vesti del personag-gio mitico nel dipinto Ulisse, in un’automitografia presente anche nel dramma del fratello Alberto Savinio Capitano Ulisse (1925), il quale, come è stato giustamente rilevato dalla studiosa Giovan-na Caltagirone, attribuisce alla memoria una funzione di «tramite imprescindibile» dell’attività “mitopoietica” dell’uomo, fino a farla coincidere con «la memoria … che confluisce nel mito». [Io fondo me stesso. Io fondo l’universo. Studio sulla scrittura di Alberto Sa-vinio, 2007, p. 219]. La forza lirica ed evocatrice della narrazione di Savinio, mitigata dal soffio leggero e fresco che proviene dai lontani ricordi tratti dalla mitologia, la si trova anche nell’opera pittorica saviniana e in quel Mercurio viaggiatore, divinità tutela-re e angelo protettore dell’artista, «quel Mercurio in colloquio con banchieri obesi, a meriggio, in una città dell’Europa centrale…», per citare De Chirico nella Presentazione a una Mostra del fratello, nel 1940. Tornando a De Chirico e alla figura di Ulisse, il dipinto, è model-lato su un prototipo di Böcklin, Odisseo sulla riva del mare (1869), la cui solennità dolorosa del personaggio omerico rappresentato in riva al mare, ritto sopra gli scogli neri dell’isola di Calipso, aveva tanto suggestionato l’artista metafisico, fin dalla sua formazione. Queste osservazioni ci portano a soffermarci sul mondo del Sim-bolismo al quale non si può non far riferimento, come si è detto, anche per l’opera di Dessì: numeri, simboli, forme alchemiche sono in essa frequentemente presenti. Una citazione per tutte: il triango-lo cabalistico, ben individuabile e ricorrente nelle sue opere.

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Il filtro della cultura è, dunque, per Antonello Dessì, frutto di un’abitudine intellettiva che lo ha collocato sempre in un rapporto critico con i testi, supportato prima dall’intuizione, poi dall’esegesi filologica. Infatti, le premesse del suo linguaggio e, allo stesso tem-po, della sua posizione di fronte al reale trasfigurato in mito, sono tracciate ab inizio del suo percorso artistico, dedicato alle installa-zioni, anche quando si pone sul piano di un rifiuto, criticamente inteso, come negazione di alcuni valori della realtà contemporanea, con una ironica irrisione. Esemplare è l’operazione installativa che nel 1980 mostra una dentiera all’interno di un bicchiere, simbolica dell’assenza del corpo nella cultura occidentale dei nostri tempi, fino ad arrivare, nel 1987, alla rappresentazione di frammenti del mito insiti nella vita di tutti i giorni, utilizzando strumenti familia-ri di uso quotidiano ne “Il mistico nel domestico”.

Quando l’artista inizia a scavare nella profondità dei testi, con un’attenzione particolare ai Canti danteschi e ai testi classici, ne fa emergere significati reconditi, attraverso la lente di una lettura astrologica; al tempo stesso, mischiando le forme e i segni della sua personale “scrittura” artistica in un geniale gioco di carte, fa apparire, come per incanto, la veridicità delle sue intuizioni. Come un moderno Psicopompo, Dessì tenta di condurci, novelli Dante e Ulisse, nel lungo e difficile viaggio, dagli inquietanti fantasmi della notte verso la luce, il sole. Il cammino impervio sembra percorrere l’asse terrestre, quell’asse solstiziale che conduce al grande occhio del Ciclope, simbolo della forma circolare del Sole, appunto. An-che Il Ciclope di Odilon Redon, nel dipinto dell’ultimo scorcio del XIX secolo, perde il suo potenziale aggressivo della prima versione in nero, per assumere una forma vitale che lo porterà alla risco-perta del mondo dove all’eclisse della luce, in un universo senza Dio, si sostituisce il «… sole che si leva … raggio sereno, fremito di fiamma». La nuova approfondita lettura del testo dantesco, Il tempo di Ulisse. Il tempo del Veltro, che oggi ci offre Antonello Des-

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sì, si colloca nel solco dell’attuale fortuna critica di Dante, sancita da saggi pubblicati recentemente in Germania e negli Stati Uniti. Fondamentale il libro di Karlheinz Stierle, Das grosse Meer des Sinns. Hermenautische Erkundungen in Dantes “Commedia”, con una frase di apertura illuminante: «Forse la Commedia dantesca non è altro, e non è nulla di meno, che una nuova Odissea» e il suo Ulisse, che Dante proietta nell’inaudito viaggio oltre le Colonne d’Ercole, è anche l’avventuroso esploratore dell’età moderna, sen-za che l’autore prescinda da una sezione fondamentale dedicata al mito. Nel percorso artistico di Antonello Dessì, la favola narrativa che si snoda tra forma, colore e segno, è stata ricondotta dall’artista alle personali necessità linguistiche, con l’uso di materiali cromati-ci che addensano la luce su superfici graffite con infinita sapienza, fino a ottenere vibrazioni tattili e a creare uno spazio tra reale e onirico, sempre armonico. Ed ecco emergere le forme signifi-canti del suo essere, simboliche di complessi percorsi all’interno dell’astrologia le quali mostrano profonde ricerche culturali, ap-prodate a coscienti decantazioni figurali. Lo spazio della tela ac-quista allora un’allusività che si disperde nei meandri segnati da luccichii appariscenti, brillanti coreografie di realtà spesso conflit-tuali, alla ricerca di soluzioni insperate di problemi esistenziali, talvolta drammatici. Nelle opere recenti di Dessì sovente si evi-denzia una forma allusiva alle figure di Ermes, Mercurio, Ulisse, nella loro singolarità e, al tempo stesso unitarietà: quasi archetipa del nostro esistere, si staglia il più delle volte nella tela, col volto di maschera burlesca, colorandosi spesso di rosso, come fiamma, o di bianco o di azzurro o di giallo. Il mito antico si costruisce, e si trasfigura al tempo stesso, in forme combuste dai vermigli profon-di, ai blù-viola di piombo, dal calore, fonte di energia, della solarità del giallo, quasi a voler raggiungere l’auredo, ossia il conseguimen-to dell’oro. Il tutto arricchito dalla consapevolezza del linguaggio attribuito ai colori da Kandinsky e alla loro “forza psichica”.

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Al tempo stesso, la figura dell’albero, col suo richiamo al legame tra la terra, dove innesta le radici, e il cielo, verso cui si allungano i rami, ci rimanda alla conoscenza di Mondrian e alle sue espe-rienze culturali, ricche di echi simbolici per i legami che l’artista olandese aveva con la concezione teosofica, soprattutto di Steiner e con la filosofia della natura di Goethe. Antonello Dessì, con felice intuizione astrologica, supportata da studi filosofici e dalla lettu-ra di testi dello psicoanalista statunitense James Hillman, che ha sostituito la nozione di inconscio con quella che egli chiama la memoria mitica, dove trova posto anche il mito del giardino e il suo frantumarsi, assegna all’albero il significato di “asse cosmico e asse solstiziale, punto di incontro fra trascendenza e immanenza, cielo e terra”.

In conclusione, per Antonello Dessì emerge urgente la neces-sità di trovare un rapporto tra un’intuizione universale, lo spazio dell’umanità, dentro l’universalità criptica dell’astrologia, coi suoi simboli eterni, in un rapporto vibrante tra uomo e testi scritti. Parole, forme, lo stesso uomo di fronte al vuoto dell’incertezza, si riempiono allora di un significato trascendente, pronto a con-cretarsi nell’individuo simbolo, l’Ermes, o nell’animale, il cane, anch’esso psicopompo nella tradizione mitologica, nella versione più nobile, quella del Veltro, il cane da caccia assunto in cielo tra le costellazioni, forse da individuare in Sirio. Torniamo, ancora una volta, al mondo dantesco e alle figure simbolo amate da Dessì. La stella Sirio, posta al vertice di una forma triangolare, ci riporta alla perfezione di una figura geometrica, spesso interpretata dall’ar-tista in suggestive immagini, talvolta in triangoli intrecciati che rimandano al simbolico numero 3, ripetuto in figurazione grafica singola, doppia e gemellare nel 33, o multipla, costruita con svirgo-late di pennellate materiche, utilizzando spesso una sigla sempli-ficante e al tempo stesso unificante delle analoghe composizioni che percorrono lo spazio e il tempo della sua ricerca fino ad oggi.

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Tecnica usuale in Dessì, con la quale costruisce la percezione volu-metrica delle forme, vitalizzando la superficie dipinta e scandendo lo spazio con la forza del segno, secondo una formula cara a De Kooning. Il tutto amplificato dalla luminosità vibrante del colore, memore della ricerca di Rothko, al quale si può fare riferimento anche per la contingenza di un suo scritto: «i miti dell’antichità sono simboli eterni ai quali dobbiamo rifarci per esprimere le idee psicologiche fondamentali».

Maria Luisa Frongia

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Ut pictura poesis: non c’è poema che confermi l’aureo principio oraziano più e meglio della Commedia dantesca. Dante conosce l’arte della pittura per mezzo delle parole e ne sperimenta tutte le forme e tutti gli stili: dalla miniatura al grande affresco, dal realismo figurativo all’astrattismo e al simbolismo, dalla tenue trasparenza dell’acquarello alla densa levigatezza dell’olio e alla scabrosità e grumosità della pittura materica, dal tutto scuro al chiaroscuro e alla luce assoluta. Non stupisce, perciò, che la sua poesia abbia ispirato artisti tanto diversi e lontani nel tempo, come i grandi maestri del Rinascimento italiano (Signorelli, Botticelli, Michelangelo), William Blake, John Flaxman, Gustave Doré, Salvador Dalì, Renato Guttuso, il fumettista francese Moebius e tanti altri che hanno raffigurato per immagini situazioni e personaggi del poema o hanno espresso con pitture e disegni i propri sentimenti di lettori. È quel che fa in un certo senso anche Antonello Dessì, ma con un carattere di assoluta novità. Le sue opere (disegni, olï, oggetti, “installazioni”) sono infatti parte integrante di una lettura critica che consolida con la dottrina un’ipotesi sorta probabilmente in virtù di un’intuizione artistica. La sensibilità dell’artista abituato a trasmutare in segno il concetto, associata a una vasta conoscenza dell’astrologia nella sua duplice, ma unitaria, tradizione pagano-classica ed ebraico-cristiana, riesce a vedere nei segni verbali della Commedia altri segni, zodiacali e cosmici, che hanno verisimilmente alimentato l’immaginazione dantesca. Con gli strumenti dell’astrologia, intesa come rappresentazione geometrica e simbolica del cosmo, Dessì rilegge due episodi cruciali

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del poema (l’incontro con le tre fiere nel i canto e quello con Ulisse nel xxvi dell’Inferno) trasponendo «nello spazio circoscritto dal cerchio zodiacale, lo spazio descritto da Dante». Le immagini, i simboli, gli oggetti, le parole del testo, si staccano così dalla linea della temporalità e della logica narrative e si dispongono nel paradigma delle figure e dei simboli astrologici, in cui il rapporto funzionale tra figurante e figurato non soggiace più alla gerarchia unidirezionale stabilita dall’arte retorica. Il “realismo” dantesco mostra allora un risvolto esoterico, perturbante, arduo, se non inaccessibile, per i non iniziati alla “scienza” astrologica. Ma la fatica dei non iniziati è ripagata quando ci si rende conto che l’interpretazione astrologica, non solo non collide con i migliori risultati della critica dantesca, ma anzi li rafforza e li arricchisce.

La lettura del xxvi canto dell’Inferno concorda fondamentalmente con l’interpretazione morale-simbolica già proposta dai dantisti per il personaggio di Ulisse e ne spiega la complessità ritrovando in esso la «molteplicità proteiforme» di Ermes-Mercurio. Gli attributi del dio-“segno” zodiacale – volo, follia, movimento, parola, dualità, furto, astuzia, fuoco, aria – sono tutti segni (nel senso di “parole”) che ricorrono, con alta funzione semantica, anche nel racconto dantesco. La natura mercuriale, connotando il personaggio come «apportatore di caos», ne rende necessaria, per così dire, la scomparsa tra i flutti, in giù sulla verticale cosmica che Dante, alter ego dell’eroe antico, percorrerà in direzione opposta fino alla visione dell’assoluto. Ovvero, detto in termini astrologici, «morto Ulisse, Dante può riiniziare il suo viaggio, mentre Mercurio, svelato, sciolto dalla sua identità col Laerziade, può uscire dalla sua posizione di “esilio”, dal segno del Sagittario, per procedere lungo l’asse e posizionarsi nella sua “casa” nel segno dei Gemelli come nuovo alter ego di Dante, il suo daimon celato da Ulisse». Anche le tre fiere, connesse al loro corrispettivo segno zodiacale (la lonza-Mercurio, il leone-Sole, la lupa-Saturno), rivelano il

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proprio significato simbolico in modo più chiaro, per quanto più complesso e mutevole. Come la lupa, figura ctonia e saturnale, che «si volge in una icastica ierofania quando la si veda come il piombo di Saturno coniugato al mercurio del pianeta Mercurio nel segno dei Gemelli e all’oro del Sole nel segno del Leone». Ed è ancora l’astrologia a illuminare l’enigmatica figura del Veltro e a suggerire una sua probabile presenza allusiva nel criptico «cinquecento diece e cinque» del canto finale del Purgatorio.

Il metamorfismo delle figure e dei simboli zodiacali, che mutano il loro significato col mutare del loro “aspetto” astrologico, complica le argomentazioni di Dessì. Ciò che le rende credibili è il fatto che alla mutevolezza dei simboli nella ruota dello Zodiaco corrisponde la mutevolezza del valore simbolico dei segni vergati da Dante nel suo poema. Basti vedere come l’interpretazione del Veltro come «nuova parusia del Cristo», ipotizzabile per via astrologica (il cane da caccia è astrologicamente identificabile con Sirio, o con il Cane Maggiore o Cane Minore del Triangolo Invernale, che rinvia al triangolo trinitario), trovi conferma nell’analisi «segnico-visiva» della parola Veltro, la cui lettera iniziale disegna un triangolo o un cono rovesciato, ovvero un cinque secondo la numerazione romana, numero della v casa del Leone e metà di una x, intesa sia come il numero romano dieci, sia come il monogramma di Cristo, sia come il disegno del doppio cono formato dall’inversione del senso rotatorio dell’asse cosmico che dà luogo alla precessione degli equinozi. In questa tendenza della parola a scomporsi in sequenza di segni, ognuno coincidente integralmente col senso dell’intero, c’è qualcosa di più dell’idea, propria della cultura medievale, che ogni aspetto della realtà (anche della realtà linguistica) nasconda un significato e una motivazione. C’è, da un lato, la negazione dell’arbitrarietà di qualunque segno, sia esso parola, lettera dell’alfabeto o numero. Come se Dante, per elaborare una

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lingua atta a raccontare il suo viaggio «al divino dall’umano» e «all’etterno dal tempo», avesse voluto ricostituire nel volgare quel rapporto di necessità tra parola e cosa che è proprio dell’ebraico, la lingua nella quale Dio ha dettato il suo Libro (non per niente egli definisce «sacro» il suo poema e propone a Cangrande di leggerlo secondo i procedimenti dell’esegesi biblica). E, d’altro lato, c’è il potere metamorfico della lingua che, come l’instabile Mercurio, presenta una stessa parola sotto molteplici sembianze. È grazie a questa lingua “mercuriale” che Dante riesce alchemicamente a trasformare il piombo saturnino del suo peccato nell’oro (nel vello d’oro) del suo poema.

Luisa Mulas

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I noti richiami allo Zodiaco tolemaico inscritti nella Commedia legittimano il ricorso ad una ermeneutica astrologica per decodificarne alcuni nodi. L’intento non è quello di considerare i riferimenti zodiacali come isolati e da rimuovere velocemente, ma di ri-vedere il testo, scandagliandolo per connettere i singoli archetipi zodiacali e far così riemergere la struttura zodiacale che forse ai contemporanei di Dante, immersi nel fluido e dilatante pensiero simbolico, appariva più visibile e decifrabile che alla cultura moderna: pensiero scientifico e nuove diverse concezioni del tempo hanno contribuito a far relegare, sempre più, l’antica scienza astrologica nella superstizione e a giudicarla, dunque, non sempre degna di studio. Tanto che lo stesso Fritz Saxl, ancora nella prima metà del XX secolo, difendendosi da eventuali critiche scriveva: «Per uno studioso non sarà dunque degradante – credo – occuparsi di questo fenomeno».1

A parte il fatto che da sempre gli storici della cultura si occupano delle forme più degradanti dell’agire umano – dal deicidio a quell’infanticidio differito che è la guerra, e visto che il volgersi dei cieli non ha mai arrecato alcun danno che non fosse ascrivibile alla natura umana stessa, non sarà inutile invitare il lettore a sgombrare l’animo da superstizioni e da condanne e spettri aprioristici. Durante il Medioevo, intorno al 1300, la distinzione fra astronomia e astrologia era confusa e diversificata, le due “scienze” vivevano in simbiosi e il confine fra l’una e l’altra non era marcato: entrambe subivano la fascinazione teologica e i condizionamenti dogmatici della Chiesa. Cecco d’Ascoli fu bruciato perché «non insegnava la “vera

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Introduzione

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astrologia” permessa dalla filosofia cristiana medievale, ma la vera e propria arte nigromantica divinatoria fondata su una visione dualistica del mondo, di cui il mago è il padrone e dominatore e a questa arte è sottomessa anche la vicenda della nascita di Cristo»;2 Ruggero Bacone rinnovellava la teoria – basata sulla circolarità del tempo ed ereditata da Platone – sulle grandi congiunzioni;3 l’opera di Tolomeo veniva tradotta dall’arabo, l’astrologia araba arrivava in Europa e un nuovo sistema di numerazione confondeva, inizialmente, il computo calendariale, in quanto era prima ignoto l’uso dei numeri decimali. Tra i dottori della Chiesa e nelle Università trecentesche il sapere era ancora volto alla ricerca di segni e simboli rivelanti manifestazioni e bagliori della trascendenza; il dibattito sulle influenze astrali divampava in una polemica non disgiunta dal problema calendariale, dai sospetti di eresia e dai dogmi canonici: sul corpus astrologico ereditato dal mondo pagano facevano i “conti”, fra i tanti, Michele Scoto alla corte di Federico II, Guido Bonatti e Cecco d’Ascoli, con esiti diversi. Cecco d’Ascoli ne L’Acerba scaglia contro Dante l’accusa infondata «di aver ritenuto il destino umano schiavo della ferrea legge dei cieli», certo curiosamente - nota Stefano Caroti – considerata la materia astrologica di quell’opera. Ma soprattutto, nelle parole di Cecco non emerge la posizione del poeta poiché «Nonostante il riconoscimento della forza del cielo sulla parte corporea con l’inclinazione che ne consegue, la superiorità della componente spirituale dell’uomo è esplicitamente affermata da Dante, che ribadirà il concetto per bocca di Beatrice nel canto xxx del Purgatorio»; e per quanto Dante mostri, nel secondo trattato del Convivio «le sue ampie conoscenze non solo teorico-cosmologiche, bensì pratiche, mediante citazioni da testi come il Quadripartito di Tolomeo e il De magnis coniunctionibus, di Albumasar, del quale ricorda appunto le dottrine circa l’influenza delle stelle sui grandi eventi storici».4 Aggiungo che Dante, nel

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Convivio, compara l’astrologia al cielo di Saturno e afferma che Dio stabilì ottime disposizioni astrali per preparare la nascita di Cristo.5 Ancora, sul finire del Trecento, Biagio Pelacani da Parma prospettava la dimostrazione astrologica dell’esistenza di Dio.6

Nelle mie considerazioni farò riferimento allo schema geometrico dello Zodiaco di norma accettato, da Manilio ad André Barbault passando per Tolomeo – ancora oggi i nomi dei giorni della settimana sono declinati sulla scala planetaria. Prescindendo dalle discussioni interne al corpus astrologico relative a problematiche tecniche per addetti ai lavori, che però non incrinano lo schema generale dello Zodiaco (per esempio il problema della domificazione), a riprova della tendente omogeneità dello schema zodiacale, ricordo che la sua partizione in segni e la divisione in dodici case, compresa la loro indicazione con numeri romani, sono rimaste sostanzialmente e tradizionalmente inalterate dall’antichità ad oggi, né poteva essere diversamente pena la sua frantumazione. Saxl afferma che: «Anche la tipologia di gran lunga più usuale nel tardo Medioevo, quella cioè che troviamo nei calendari e in innumerevoli manoscritti astrologici, riproduce quasi immutate le forme antiche, nonostante lo stile grafico tipicamente medioevale».7

La scala planetaria e i suoi irraggiamenti nello Zodiaco, che qui utilizzo come strumento ermeneutico per decodificare il viaggio di Ulisse (non diversamente da quanto fa Gioachino Chiarini per i viaggi di Enea e di Ulisse interpretandoli come spostamenti planetari), non vengono messi in discussione dalle interpretazioni artistiche dello Zodiaco che formano e contornano l’immaginario collettivo medioevale. Mi riferisco a quelle contenute negli almanacchi, nei reliquiari, nei mosaici delle chiese, nei diffusissimi calendari, negli arazzi e affreschi e manoscritti miniati, e in quella specie di enciclopedia del sapere, sintesi delle conoscenze del tempo, rappresentata dalle raffigurazioni dei mesi. Fra tante opere, per finire, ricordo solo lo Zodiaco della chiesa di San Miniato a Firenze.

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È improbabile che un poema visionario, quale è la Commedia, non sia specchio lampante (l’espressione non è generica ma si riferisce alla spirale conica ascendente e discendente della “dodecade”) e sintesi visiva delle elaborazioni dottrinali del suo tempo, concezioni zodiacali comprese, con cui fede e scienza dovevano misurarsi e trovare poi il luogo legittimo della propria azione. Con queste premesse rileggo il mondo dantesco riattualizzando il processo del bildenken, del pensare per immagini, decaduto dopo il Rinascimento. Raccontando gli archetipi astrologici diffusi nel testo della Commedia tenterò un’operazione filologicamente corretta, volta a costruire un insieme strutturato che aggiunga senso ai versi ancorati allo Zodiaco. Analizzerò il canto di Ulisse e la figura escatologica del Veltro, magnetizzati dal volo veloce dell’androgino e proteiforme Mercurio, il cui caduceo si manifesta nel Canto degli indovini:

Vedi Tiresia, che mutò sembiante quando di maschio femmina divenne, cangiandosi le membra tutte quante; e prima, poi, ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che rïavesse le maschili penne. (Inferno xx, 40-45).*

Il dio greco Ermes, Mercurio per i romani, ha nel sapere astrologico una nota ambivalenza e polarità, a significare la sua disponibilità al mutamento. Questo pianeta, più degli altri, varia la sua influenza col variare delle congiunzioni con gli altri pianeti.

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* L’edizione di riferimento per tutte le citazioni della Commedia è: Dante Ali-ghieri, Commedia, con il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mon-dadori, Milano 2001-04, voll. primo-terzo.

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Da lui discendono le scienze ermetiche dove, partendo dalle figure passate e presenti, viene figurato il tempo futuro, che nelle concezioni medioevali appartiene solo a Dio. Per questo motivo gli astrologi saranno condannati da Dante e dalla Chiesa anche se, nel canto xv dell’Inferno, il poeta fa ipotizzare (ma è quasi una certezza) che non ignorasse le possibilità inscritte nel tema natale cui allude Brunetto Latini. Non occasionalmente, come si vedrà, ma memoria della ciclicità del tempo, del suo eterno ritorno all’indietro e della fine dei tempi, la testa degli indovini è ruotata, a descrivere la figura geometrica di un angolo piatto di 180°, le loro lacrime, facendo angolo, scendono lungo le schiene, verso un osceno basso.

Il sistema geometrico e numerico della domificazione delle case astrologiche, e la costruzione della Commedia, imbandita geometricamente con i suoi inviti numerici che raccontano di un cosmo tolemaico, sollecitano una breve riflessione sulla scelta della data di inizio del viaggio dantesco: la notte del Giovedì Santo, il 7 aprile del 1300 secondo la proposta più accreditata del Moore. La data ha anche una valenza astrologica, cadendo durante l’equinozio di primavera, nel segno dell’Ariete quando, fatto il computo della luna piena, sincronicamente calcolata al viaggio del sole, questo risorge trionfalmente passando dai quadrati in tondo, cioè dai quadranti meridionali a quelli settentrionali dello Zodiaco dove l’asse equinoziale e solstiziale fanno croce. Come si vedrà, il tempo di Ulisse e quello del Veltro si innervano reciprocamente e sono riconducibili a una stessa scansione del tempo, quella della precessione equinoziale, individuata da Ipparco intorno al 130 a.C. e nota a Dante. Successivamente Ruggiero Bacone, rilevando le inesattezze del calendario, precisava: «gli equinozi e i solstizi sono collocati in date fisse […] ma gli astronomi sono certi che essi non avvengono in giorni fissi, ma risalgono nel calendario, come provano senza ombra di

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dubbio le tavole e gli strumenti».8 Il calcolo della precessione era fondamentale per determinare l’epatta e quindi la Pasqua. Nel calendario solare cristiano il tempo della resurrezione del Cristo e il triduo pasquale si computano con la luna che è sovrana nel canto di Ulisse: posta su in alto, opposta al mercuriale folle volo, segnerà il tempo del non ritorno dell’eroe che, come Fetonte, non regge alla vista dello Zodiaco. Per secoli la misura del tempo pasquale fece affannare uomini di scienza e teologi. Gli echi del Concilio di Nicea – voluto dall’imperatore Costantino anche per risolvere la datazione della liturgia pasquale – non si erano ancora spenti quando Dante scriveva la Commedia. La festa mobile della Pasqua deve cadere la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera: il calcolo coinvolgeva la concezione del tempo cristiano che la Chiesa gestiva distinguendolo da quello storico. Sant’Agostino riteneva che il “tempo sacro” fosse più reale di quello storico, tuttavia il calcolo della celebrazione della resurrezione non poteva essere computato se non da esperti matematici e da astrologi. Il tentativo di sottomettere il calendario al tempo di Dio durò a lungo e nel dibattito dei secoli seguenti il nodo da sciogliere restava il calcolo del tempo pasquale: fasi lunari e anno solare dovevano essere armonizzati. Inoltre, la misura dell’epatta era resa ardua dall’uso dei numeri arabi che lentamente e a stento sostituivano quelli romani. Abelardo, San Tommaso e Averroé si occuparono del problema calendariale la cui sistemazione rimaneva oscura perché, nelle Università, i numeri decimali e lo zero non furono materia di studio fino alla metà del xiv secolo solo con la riforma del calendario gregoriano nel 1582 ci si avviò verso un sistema numerico che prendeva in considerazione l’uso della virgola. Era stato merito di Ruggiero Bacone la scoperta degli errori calendaristici e l’aver segnalato l’errore in cui incorreva la liturgia pasquale: la determinazione degli equinozi era anticipata di otto giorni.

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Intorno all’anno 1300 da più parti si sentiva la necessità di calcolare con esattezza la data della Pasqua, mentre l’avanzare del potere mercantile necessitava la sottrazione del tempo al dominio della Chiesa e l’avvio verso un calendario civile e verso la concezione del tempo lineare; ricordo, per inciso, che la Commedia ha un andamento temporale ciclico. L’opposizione fra il tempo della Chiesa e quello del mercante avvolge numerosi ambiti disciplinari, la vicenda che coinvolgeva il computo del tempo non era ancora conclusa quando Dante scriveva la Commedia. Il calcolo degli equinozi e i doppi coni della precessione erano quindi ben presenti agli studiosi del tempo e a Dante stesso. L’annoso problema della datazione della Pasqua venne ancora dibattuto in occasione del Giubileo voluto da Bonifacio viii nel 1300. Secondo Mercuri, Dante in polemica con Bonifacio viii «molto probabilmente, ha aggiustato il calendario attribuendo all’anno 1300 le coordinate astronomiche del 1301 allo scopo di far coincidere, come alla morte di Cristo, la luna piena con l’inizio del viaggio».9 Il Giubileo sanciva il calcolo del tempo a partire dalla presunta nascita del Cristo e dai tredici secoli della cristianità. In opposizione al nascente tempo lineare del calendario civile, Dante fu certamente sensibile alla fascinazione del tempo circolare, che è anche zodiacale, entro cui si avvolgono i versi della Commedia che rappresentano uno spazio fisico, quello dell’Inferno e del Purgatorio, finito e conico, verosimilmente modellato in rapporto alla rotazione lenta dei doppi coni della precessione, connessi da secoli al calcolo del tempo della Pasqua. Né al poeta poteva sfuggire che la Croce del Sud, adombrata nei versi del Purgatorio (i, 22-27; viii, 85-93) e nota nel Medioevo, era vettore dell’incarnazione del tempo cosmico nell’equinozio pasquale; essa ha inoltre coinciso e coinciderà (seguendo l’ipotesi di derivazione platonica, del “Grande Anno”) col segno dei Gemelli che affiancato a quello del Cancro regge l’axis mundi, della cui deviazione, causa della precessione degli equinozi, è responsabile Fetonte (come

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declamano Manilio e Ovidio nelle Metamorfosi), col quale Dante si identifica nel canto xvii del Paradiso.

Assimilatosi a Fetonte, nel canto di Can Grande della Scala, numericamente al centro della cantica, Dante che si autodefinisce “tetragono”, svegliatosi dal sonno di cui Mercurio è misura e portatore, ha percorso la retta via: quella del caduceo, simbolo, fra l’altro, della linea solstiziale che, incrociando quella equinoziale, divide in quadranti lo Zodiaco, segnando il nord e il sud. Come un serpente che si morde la coda, Dante inizia e finisce la Commedia con i noti riferimenti al segno dell’Ariete (l’indiretta evocazione del vello d’oro, l’Ariete mitico del canto xxxiii del Paradiso e l’ingresso del Sole nel segno dell’Ariete astrologico nel canto i dell’Inferno), punto zero, inizio e fine dello Zodiaco: ci invita ad addentrarci nelle costole segrete della sua visione, per ricomporre l’archetipo che brilla per assenza inciso nel canto xxvi dell’Inferno, quel Mercurio volatile, il “fuggitivo” dell’alchimia, signore della divinazione condannata nel canto xx dell’Inferno.

Il tempo di Ulisse manifestato zodiacalmente nella caverna di Polifemo si simmetrizza con quello cristiano, e nel girar delle stelle diverrà il tempo del Veltro, nuova forma formante: secondo quanto disvelano le figure astrologiche presenti nella Commedia.

Nell’altrove del testo dantesco, al molto complesso e non sempre risolto problema delle fonti letterarie si aggiunge il quesito di quelle astrologiche. I riferimenti zodiacali presenti nella Commedia si irraggiano in diversificati e ampi settori del sapere: dalla filosofia e dalla letteratura antiche e medioevali al testo biblico e ai testi islamici, oltre che, ovviamente, all’astrologia stessa che Dante, nel Convivio, colloca fra le scienze del quadrivio.

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Per parte mia voglio far convergere l’attenzione sul fatto che nella Commedia le fonti possono trovarsi non solo nella letteratura scritta ma in tutta l’ampia produzione della cultura visiva che quel tempo diede. Quanto poi alla scrittura e alle immagini astrologiche sono vettori simbolici dell’atteggiamento fideistico del mondo medioevale che, alla fine del 1300, andava lentamente sciogliendosi per approdare a concezioni critiche e filologiche estranee al mondo dantesco. Lo Zodiaco, sottratto alle suggestioni artistiche e devozionali, è uno schema astratto e simbolico che si vede, non si legge. Un nodo cruciale è la difficoltà della “traduzione” dei simboli astrologici. Ciò che concettualmente è immediato dal punto di vista visivo si modifica e diventa altra cosa nella traduzione verbale. Quando voglio scrivere che la Luna è opposta a Mercurio, cioè che i due pianeti hanno nella circonferenza zodiacale una distanza di 180° e simboleggiano la follia, traccio questi simboli:

non li devo leggere: li vedo, questo insieme visivo può dar luogo ad immagini mentali, costituisce un insieme che precede il concetto che, poi, posso anche esprimere con segni verbali. Nel passaggio dal registro visivo a quello verbale, la difficoltà della “traduzione” del linguaggio astrologico sta anche nella sua dimensione statica e dinamica insieme. È convenzione che i pianeti si presentino ruotanti tutti insieme e muovendosi nel cerchio zodiacale stazionino nei singoli segni e nelle case astrologiche, formando angoli significanti (di 180°, 150°, 120°, 90°, 60° e 0°). In altre parole, quando gli dei, i pianeti, gli archetipi si muovono, si oppongono ed entrano in congiunzione si ammogliano. La geometricità aniconica del cerchio zodiacale, che contiene entità numeriche, attraversa diversi ambiti culturali, senza subire variazioni che modifichino sostanzialmente il suo schema. Questo

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vuol dire che supera le barriere linguistiche ed è leggibile, nelle diverse culture in cui transita, senza “traduzione”. La sua geometria è universale. Eventuali metamorfosi e modificazioni conseguono dalla visione deformante di poteri contingenti. Segni, pianeti e case sono riconoscibili anche quando interviene l’estro artistico o la necessità religiosa. Ma il cerchio, cerchio è e cerchio rimane. È proprio lo schema aniconico che per la sua quasi immutabilità non offre appigli a una ricerca filologica delle fonti, o la rende molto difficile. Dove ha visto Dante la geometria dello Zodiaco? Uno o molti? Quale fra le pur minime varianti ha considerato? Chi gli ha insegnato l’astrologia? Dove l’ha appresa? Come ha saputo (come mostra di sapere) che Saturno nel segno del Leone ha una valenza diversa rispetto a quando si trova nel suo domicilio, quello del Capricorno? Le immagini proiettate sulla geometria zodiacale sono parte della Commedia ma le fonti possono essere dappertutto. L’ampia diffusione dei simboli astrologici in area europea rende difficilmente risolvibile il problema delle fonti astrologiche. Lo Zodiaco fa il suo arrocco.

A. D.

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ERMES NEL CANTO DI ULISSE

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L’imperante pensiero simbolico e analogico del Medioevo fonda la necessità di rintracciare i nessi fra la Commedia di Dante e la cultura astrologica, specificamente nella sua emersione visiva, considerata anche la dominante forma iconica della cultura medioevale che sembra essersi prolungata nella ininterrotta funzione di ispirazione iconografica che la Commedia ha avuto fino ad oggi. Propongo cinque momenti di riflessione per avviare un primo orientamento verso una strutturata analisi astrologica del canto di Ulisse:

1. individuazione della figura di Ermes sottratto all’invisibilità; 2. analisi del verso polare dove emerge l’opposizione fra il pianeta Mercurio e la luna che rivela la follia; 3. analisi dei versi polari indicatori di Giano; 4. individuazione dello Zodiaco e del pattern dell’Apocalisse; 5. il contrappasso.

Con l’attributo polare denomino i vv. 33, 136 e in coppia 125 e 130 dove Dante, mediante le immagini connesse a Giano, si riferisce all’axis mundi o asse solstiziale di cui il dio è indicatore, “ponte” fra i due poli zodiacali: nord e sud; nonché alle posizioni della Luna e di Mercurio posti alle estremità dell’asse.

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IL DIO PROTEIFORME

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Fiorenzo Forti nel saggio sulla Magnanimitade scrive, a proposito dell’Ulisse dantesco, che a causa delle tante e differenti interpretazioni «il personaggio ha assunto una polivalenza insidiosa alla quale conviene sottrarlo».10

Al contrario, ritengo che se si ponesse l’accento proprio sulla multiformità e sulla polisemia della figura di Ulisse, essa acquisterebbe nuova luce. Sull’eroe greco sono state dette parole verissime e diverse: la molteplicità delle interpretazioni nasconde un’unità. L’antinomia fra lo scelerum inventor e il sapiens potrebbe essere superata, l’enigma delle tante e diverse interpretazioni del Laerziade potrebbe essere sciolto se si vedesse nella sua figura quella di Ermes, proiettata a brandelli, l’immagine stessa della natura proteiforme del dio greco.11

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Le diverse forme con cui Ermes appare nel canto xxvi sono quelle tradizionali della mitologia greca, ampiamente attestate negli Inni omerici, traslate, a partire dal ii secolo d. C., nello schema dello Zodiaco adottato da Claudio Tolomeo nel Tetrabiblos, e diffusesi poi, con modalità quasi invariate,12 nell’astrologia medioevale e nelle dottrine alchemiche. I molteplici attributi del giovane dio greco riemergono nel canto di Ulisse, dove la parola è non solo memore ma totalmente conformata sulla iconografia di quelle immagini. Ritengo che anche ri-vedendo, ciò che Dante ha visto si possa accedere ad un’interpretazione del canto.

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Mercurio, adolescente e provvisto di ali, compare nel canto xxvi della Commedia con questi attributi:

parola, nella triplice modalità della fraudolenza, del furto e del commercio;

aria;dualità;

movimento;fuoco.

L’ombra del dio greco segna Ulisse come se nella sua immagine fosse stato smembrato e diffuso a brani il corpo, già di per sé non unitario, di Mercurio. La struttura dello Zodiaco tolemaico veicola questa operazione che dissemina nei versi gli attributi del corpo mercuriale.

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Ovidio, nelle Metamorfosi, recupera dalla tradizione mitologica greca il rapporto di parentela fra Ulisse ed Ermes. Mercurio, infatti, vi appare quale antenato dell’eroe, la cui madre Anticlea era figlia di Autolico, figlio di Chione e di Ermes. Dunque, Ulisse è del seme di Mercurio, è il diretto portatore della leggendaria scaltrezza del nonno che da tale stirpe discende. Né Mercurio “verga d’oro”, è dimentico della sua progenie: nell’Odissea, come nelle Metamorfosi ovidiane, Ulisse viene aiutato da Mercurio dio della parola, a salvarsi dalla maga Circe «tremenda dea della parola umana»,13 secondo l’espressione del poema omerico; e locutrice di «parole opposte»14 con cui, nelle Metamorfosi, rompe l’incantesimo di quelle che già prima aveva pronunciato sugli infelici compagni di Ulisse.

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La colpa di essere stato in contatto con il potere arcano della parola, quella di Circe non illuminata dalla Grazia, si aggiunge alla fondamentale (secondo alcune interpretazioni) colpa di Ulisse, forse reo di aver varcato le Colonne d’Ercole. Parallelo al rapporto Mercurio-parola-Ulisse, corre il rapporto Mercurio-confini-Ulisse: se Mercurio è signore della parola, lo è anche dei confini; e Ulisse ha abusato di entrambi. «Ermes abita i confini, sui confini sono erette le erme in suo onore, il dio facilita gli scambi tra ciò che è familiare e ciò che è estraneo»; per Ermes «non esiste il problema di due mondi, di due atteggiamenti e del loro conflitto. Esiste soltanto una modalità, ermetica, che vede tutti i mondi con occhi ermeneutici».15

Traslati, differiti, sublimati e velati, gli attributi mercuriali sono presenti nel canto di Ulisse.

La fiamma che racchiude l’eroe greco assume forma e funzione di lingua

come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse diventa parola, l’attributo fondamentale di Mercurio, di colui che «governa il logos».16

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Indubitabile è la signoria di Mercurio sulla parola. Non escluso quel particolare uso della parola che è la menzogna. La parola fraudolenta su cui è cresciuta la fama di Ulisse, strumento di furto e di raggiro, che sono i territori su cui si estende la protezione di Ermes

e dentro da la lor fiamma si geme l’agguato del caval che fe’ la porta onde uscì de’ Romani il gentil seme. Piangevisi entro l’arte per che, morta, Deïdamìa ancor si duol d’Achille, e del Palladio pena vi si porta». (Inferno xxvi, 58-63).

Mercurio, signore dell’aria, messaggero degli dei e psicopompo, è provvisto di ali: ai calzari, talvolta nel caduceo e nel cappello; peraltro, quando indossa il cappello di Ade diventa invisibile come lo è nel canto di Ulisse. Ali sono alle estremità del dio ma “ali” segnano anche gli estremi del canto, quasi limiti spaziali del corpo mercuriale: il canto stesso diventa una di quelle erme innalzate ai confini, in onore del dio.

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Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. (Inferno xxvi, 1-6).

L’invettiva contro Firenze, patria di ladri, connette il famoso incipit del canto xxvi al dio protettore dei ladri ma anche del commercio e dei mercanti (in tale veste Ulisse aveva ingannato Achille smascherandone l’identità),17 come indica la borsa, simbolo del guadagno, che Mercurio porta.

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e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. (Inferno xxvi, 124-126).

Il folle volo coagula tre attributi mercuriali: il volo,18 la follia, il superamento del limite. Ad Ermes, messaggero alato e conduttore di anime, compete non solo il volo ma anche la follia che Claudio Tolomeo, nel Tetrabiblos, mette in relazione col dio,19 come da allora in poi faranno i trattati di astrologia. Ma la follia di Ulisse che tale è per il codice astrologico del medioevo cristiano, è anche di altra natura: è quella che discende da Ermes, con le caratteristiche sottolineate da Hillman: «A differenza di Eracle, il quale rintuzza il male e ci salva dalla malattia la coscienza ermetica non trova né soglie né cancelli al di là dei quali siano contenuti stati definibili “malati”. […] I confini sono luoghi di scambi aperti anche per il Briccone, per il Danzatore e per l’Arlecchino».20

Per questo motivo, la natura curiosa, adolescenziale, mercuriale del puer Ulisse è pronta a superare il limite delle colonne d’Ercole. Ma per ciò stesso non potrà che essere punita dal suo alter ego: il senex Dante.

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Un’ulteriore ricorrente traccia dell’ombra di Mercurio è, nel canto xxvi, la dualità: quella della fiamma che contiene i due eroi greci, Ulisse e Diomede; la “fiamma cornuta” è doppia come doppio è il segno di Castore e Polluce, il segno dei Gemelli in cui Mercurio ha la sua signoria nello schema dei domicili21 dello Zodiaco. I Dioscuri abitano a giorni alterni l’Olimpo e gli inferi, conformemente alla non unitarietà del significatore del segno e al suo varcare i confini. Inoltre, visivamente, la “fiamma cornuta” è simile alla estremità superiore del simbolo di Mercurio. La polarità mercuriale è ribadita, oltre che dalle coppie di ali ai calzari e al cappello, dai due serpenti (alati) del caduceo, nonché dalla melotesia del pianeta Mercurio che corrisponde alle braccia. “due dentro a un foco”22 sono Ulisse e Diomede come doppio è il segno dei Gemelli e come doppio, “diviso” è quel fuoco che richiama alla memoria di Dante l’immagine della pira di Eteocle e Polinice, uniti e divisi nella fratellanza. Ma non sembra innocente evocare la fratellanza, poiché Mercurio non solo è signore della terza casa dello Zodiaco, quella dei fratelli, ma nel caso il pianeta sia maleficiato indica, oltre che la follia, l’alienazione dai fratelli in patria, cioè l’esilio.23

E un’altra coppia ma questa volta biblica, quella di Elia ed Eliseo, all’inizio del canto funge da similitudine per dire la vista che si apre nell’ottava bolgia, mediante l’ascesa al cielo di Elia dentro una fiamma; e non è certo neppure trascurabile il riferimento alla maledizione invocata da Eliseo contro gli adolescenti che lo scherniscono, puniti da due orsi che li sbranano: la punizione sembra colpire gli attributi mercuriali dell’adolescenza e della burla. Volendo inoltre esplorare ulteriori significati per la scelta dantesca del profeta Elia,24 nella direzione della dualità presente nel canto, basti ricordare le parole che questi, dopo la scissione del regno di Salomone in due regni, rivolge, sul monte Carmelo, ai figli d’Israele tentati dal culto di Baal: «Fino a quando barcollerete fra due parti?».25 In sostanza, la fiamma unica che nasconde Elia sembra contrapporsi a quella “cornuta” di Ulisse nella condanna della dualità ermetica-mercuriale di cui l’eroe greco è portatore.

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Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica (Inferno xxvi, 85-87).

Questi versi immettono nel canto un altro importante elemento mercuriale: il vento, infatti il dio greco è signore del terzo segno dello Zodiaco, quello dei Gemelli, il primo dei segni d’aria. Mercurio dispone dei calzari alati che gli permettono la rapidità del vento. L’avventura di Ulisse si chiude per effetto di una sorta di eccesso mercuriale (Tolomeo rappresenta l’alternarsi rapido degli effetti mercuriali «come se Mercurio fosse spinto in un turbinio dal suo veloce movimento attorno al Sole») che si manifesta nel “turbo”

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. (Inferno xxvi, 136-138).

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Fra le varietà di forme con cui Mercurio si offre alla meditazione estetica, vi è anche il Mercurio alchemico. Mercurio cambia ancora forma e diventa “volatile fisso” (rappresentato nella iconografia alchemica, dei secoli successivi al Medioevo, con le ali deposte ai piedi e il caduceo, ad indicare che la mobilità mercuriale è stata domata dalla volontà). Nel Trattato De essentiis essentiarum dello Pseudo Tommaso d’Aquino si legge: «Perciò ho provato a sublimare l’argento vivo [il Mercurio degli alchimisti] molte volte in modo da renderlo fisso, cioè tale da non evaporare al fuoco; poi ho sciolto nell’acqua questo sublimato».26 Il movimento mercuriale adolescenziale, scomposto, briccone, deve trasmutarsi con l’esercizio del libero arbitrio. A ribadire che Mercurio, mobile e volubile per eccellenza, deve stare fisso per apprendere l’esercizio della ragione e della parola purificate e non menzognere. Mercurio che ha il domicilio nel segno dei Gemelli, segno mobile e doppio, nella mitologia greca è inoltre connesso al fuoco, perché – come scrive Graves27 – insegnò agli dei e agli uomini ad accenderlo. Il Mercurio alchemico che rappresenta lo spirito deve purificarsi col fuoco. Mercurio deposito e memoria di un complesso gioco di significati, archetipo combinatorio e proteiforme,28 riemerge nel canto di Ulisse in quella fiamma cui Virgilio invita alla sosta (“non vi movete”) ma che non può esercitare la parola se non crollandosi, persistendo nel movimento che condurrà al “folle volo”.

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IL FOLLE VOLO: LA LUNA IN ALTO, MERCURIO IN BASSO.

VIAGGIO DENTRO IL VIAGGIO DELLA DUALITÀ

OLTRE LE COLONNE D’ERCOLE OLTRE LA LOGICA BINARIA

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L’infinito e l’illimitato dell’oceano sono duali, così come due sono le colonne d’Ercole. La linea, simbolo geometrico del due, separa e unisce. Col due l’unità rigorosa è scissa in una antitesi che sarà sanata nel tre, col Cristo. Quando Ulisse supera la “foce stretta” rompe la struttura unitaria del conosciuto, aprendosi alla dualità dell’infinita acqua e porta il caos prodotto dal suo multiforme ingegno. Non rispettando i codici e i segni del conosciuto, Ulisse si dissolve. Nessuna trasgressione è necessitante né permessa dal Dante teologo. Attraverso il misterioso e solenne silenzio che si stende oltre la logica binaria del limite segnato da Ercole, Dante riconduce la dualità all’unità con l’annullamento del suo alter ego, e continua, al suo posto, il nostos: la risalita nella linea solstiziale verso la sua Itaca celeste, la linea che unisce e separa Ulisse e Dante. Quel che voglio dimostrare è che Dante ha proiettato in Ulisse l’Ermes del mito greco che, successivamente, si trasforma nel Mercurio dello Zodiaco. Lo spogliarsi delle qualità mitologiche avviene nello spazio oltre le colonne d’Ercole: gli attributi mercuriali di Ulisse, purificati dall’acqua, divengono il Mercurio zodiacale. Sarà lo scriba Dei a vedere, ascendendo, la geometria simmetrica della precessione degli equinozi.

Ulisse, superate le colonne d’Ercole, «esce in qualche modo dalle frontiere del mondo conosciuto, della oikoumene umana, per essere trasportato in uno spazio di non-umanità, un mondo dell’altrove».29 In che modo è ciò che cercherò di raccontare, ricordando che il mito dell’eroe greco e quello del dio proteiforme continuano nel canto di Ulisse, trasmettendone la memoria, narrando di «forme mutate in corpi nuovi»:30 Ermes diviene qualità del Laerziade fondendosi in lui col Mercurio dello Zodiaco.

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Determinato dalla propria semenza ma privo della virtù cristiana, l’eroe dal multiforme ingegno si lancia nel sinistro volo “per seguir virtute e canoscenza”.

«L’universo in cui Ulisse e i suoi marinai si trovano proiettati dalla tempesta è esattamente il contrario di questo mondo umano normale».31

Il movimento di Ulisse verso un basso rovesciato, contrapposto a quello del profeta Elia verso l’alto, è anticipato già nell’incontro con la maga Circe quando – come scrive Ovidio – “verbaque dicuntur dictis contraria verbis”32 e Vernant, commentando il racconto omerico, ribadisce il concetto di inversione dello spazio: «i marinai si stupiscono, ma poi si dicono che si trovano forse in un mondo all’incontrario».33

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Dante non si discosta dalla tradizione dell’universo rovesciato in cui si muove Ulisse e lo rappresenta, vestito di tutti gli inutili (in quanto privi della rivelazione cristiana) attributi mercuriali, in un folle volo verso il basso: defrauda la sacralità di Ulisse-Mercurio, facendolo precipitare nella morte per acqua

Infin che ’l mar fu sopra noi richiuso.

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La Circe dell’Abisso è tentatrice più di qualunque altra donna.

Pessoa

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La morte per annegamento non è da eroi. Dante nega ad Ulisse il momento sacrale: manca il sacrificio mitico, non c’è spargimento di sangue. Il sacrificio è solo del Cristo; Ulisse «è scomparso dal mondo, è cancellato, inghiottito, akleos, senza gloria».34 Né poteva essere diversamente giacché l’eroe greco non è accompagnato dalla grazia divina che è “miglior cosa” dell’influsso degli astri. La gloria non è nella vana curiosità terrena ma negli spazi della trascendenza. Il desiderio del Laerziade di oltrepassare i limiti del sapere viene disconosciuto da Dante, perché privo della rivelazione.

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Gli elementi mitologici sono nel canto estremamente embricati. Perciò lo schema dello Zodiaco tolemaico può ancora soccorrerci per visualizzare e interpretare meglio il folle volo di Ulisse, eroe del ritorno negato. L’astrologia, che nel Medioevo era sinonimo di astronomia, ci guiderà fuori dal caos prodotto da Odisseo, fornendoci lo schema geometrico che per Dante deve essere animato dall’amor divino.35

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Io e’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi, acciò che l’uom più oltre non si metta (Inferno xxvi, 106-109).

Ulisse pecca, agli occhi di Dante, per aver oltrepassato il limite posto da Ercole, quelle frontiere che sono governate da Mercurio. Ulisse si pone, dunque, sotto la giurisdizione di Mercurio, guardiano di uno dei limiti fondamentali della cultura classica: “quella foce stretta”.36 L’eroe mercuriale oltrepassa l’estremo confine del conosciuto, l’ultima frontiera, ma la ragione pagana non è legittimata a decifrare la trascendente geometria divina

quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avëa alcuna. (Inferno xxvi, 133-135).

Ulisse-Mercurio, chiuso nella sua molteplicità temporale pagana e privo dell’ unificante unità cristiana, non può oltrepassare se stesso e procedendo verso il basso entrerà dentro il vortice. Lo scriba dei fa precipitare il suo alter ego in un gorgo. Il passaggio è momento culminante per la cui comprensione l’astrologia può fungere da necessario strumento ermeneutico: Ercole, per aver soccorso Atlante dandogli una pausa nel reggere il globo celeste, diventò anche “Signore dello zodiaco”;37 Ulisse varca il limite dove sia Ercole che Mercurio annunciano la visione celata dello Zodiaco.38 Il monte Atlante sorregge infatti lo Zodiaco, e Dante lo ha trasformato nella montagna,39 alternativamente individuata come purgatorio e come paradiso terrestre, probabilmente anche nel ricordo del giardino delle Esperidi situato anch’esso nel monte Atlante.40

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Quella stessa montagna-mito già conosciuta da Dante nei versi virgiliani:

fuor dello Zodiaco è la terra, fuor dalle strade del sole e dell’anno, ove Atlante celifero regge sull’omero l’asse prezioso di stelle splendenti (Eneide, l. sesto, 795-797).41

Ulisse penetra in uno spazio estremo, quello del non ritorno laddove non è più possibile un’inversione di rotta, qui troverà l’inversione delle coordinate spaziali e il computo del tempo non più connesso al movimento del sole ma della luna. Tale tempo è quello della follia, misurata, astrologicamente, dalla opposizione Luna-Mercurio ( ) calcolata con la distanza angolare di 180° che li separa nel cerchio zodiacale. Oltre le Colonne mutano quindi le modalità spazio-temporali: il cambiamento è determinato dall’attrazione-incontro tra lo spazio-tempo del mito, segnato dalla follia di Ulisse, e quello della montagna, ritenuto reale da Dante. Queste due diverse modalità sono unificate dal cerchio zodiacale che comprende entrambe: mito e realtà astronomica (dantesca). Il cerchio delle sfere, lo Zodiaco che ha le polarità invertite,42 ingloba il mito greco e la scienza astronomico-astrologica medioevale. Conformemente al significato astronomico-astrologico, Dante nel poema intende per “passo” il movimento apparente dei pianeti («E più corusco e con più lenti passi / teneva il sole il cerchio di merigge» Purgatorio xxxiii, 103-104):

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de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, che non surgëa fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo (Inferno xxvi, 125-132).

Nel canto i dell’Inferno, il sole orienta e salva Dante, la luna danna Ulisse: l’alter ego del poeta ci trasporta in un abisso sinistro, lunare, prima geometrico e poi ontologico. Nel paesaggio solenne che Dante descrive oltre le colonne d’Ercole – lo spazio circoscritto dalla luna in alto e, nel mondo sublunare, dal volo di Ulisse-Mercurio verso il basso – viene inscritta la classica opposizione fra Luna e Mercurio che nell’astrologia rappresenta il massimo della follia. Ragione ( ) e sentimento ( ) si oppongono al massimo grado, hanno cioè una distanza di 180°. Il poeta sottolinea il rapporto tra il “folle volo”, cioè Mercurio, e la “Luna”, distanziandoli mediante cinque versi e ribadendo il numero cinque col conto delle lunazioni trascorse, la montagna bruna appare dopo cinque mesi di navigazione. La ripetizione non può essere casuale: il numero è sacro alla Luna, ed è intrinseco anche a Mercurio. Ermes usava cinque dadi per profetizzare mediante un alfabeto di cinque vocali e quindici consonanti (tre per cinque).43 Il cinque, numero “ribelle”, fu oggetto di turbamento per i pitagorici, tanto da aver fatto nascere la leggenda della morte per annegamento di Ippaso di Metaponto (inquietante coincidenza con l’altrettanto “indocile” Laerziade), scopritore di un quinto corpo geometrico: il pentagondodecaedro.44

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«Gettato alle frontiere dell’umano»45 l’eroe mercuriale non rinuncia mai alla conoscenza interdetta all’uomo. Osa affrontare il linguaggio rivelante delle stelle. È determinato a superare lo sgomento che viene dall’estremo limite del conosciuto per «sapere anche ciò che non dovrebbe. Non vuole passare vicino alle sirene senza aver udito il loro canto, senza sapere che cosa cantano e come»:46 se un tempo si era fatto legare all’albero della nave, ora per conoscere è disposto a procedere slegato verso l’albero cosmico – o asse cosmico.47

Cercando una interpretazione ai tanti racconti di “eroi in viaggio”, Giorgio de Santillana giunge alla conclusione «che in molti dèi e in molti eroi si dovevano in realtà riconoscere dei pianeti».48 Questa spiegazione non sembra estranea al viaggio di Ulisse che ci appare, allora, non solo e non tanto come l’alter ego dello Scriba dei ma, prima ancora come Mercurio stesso, lo “Scriba celeste” – usando di nuovo le parole di de Santillana – alter ego velato e reale di Dante. Ulisse entra nel gorgo49 e muore in vista della “montagna” ma non per questo Dante può privare la geometria celeste del “messaggero degli dei”: se con Ulisse muore la qualità pagana dell’ingegno non illuminato dalla grazia, Mercurio è invece pronto, morto l’eroe, a compiere la via dell’inversione.50 Sarà Mercurio a portare a termine il nostos, il ritorno di Ulisse-trasmutato, purificato: dove si arresta il viaggio di Ulisse può ricominciare il viaggio di Dante col suo nuovo alter ego: Mercurio. Svelato Mercurio, divenuto visibile nello schema implicito dello Zodiaco – «gli dei erano originariamente astri»51 – rimane l’ingegno mercuriale accompagnato dalla grazia divina. Col caduceo, asse del mondo, e i suoi serpenti incrociati che alludono alla doppia spirale cosmica,52 ascendente e discendente, Mercurio-Dante può ascendere – rubato il ruolo ad Ulisse – per compiere la sua odissea celeste, ritornando alla sua casa, quella dei Gemelli,53 porta del Cancro e domicilio della Luna. I due segni (Cancro, Gemelli) sono uniti dall’inamovibile albero cosmico54 o asse solstiziale, in quello Zodiaco dove, oltre le colonne d’Ercole, coscienza spaziale pagana e cristiana si incontrano.

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Prima che la barca entri in direzione verticale nel gorgo inghiottente,55 con un rapido e illuminante cenno il poeta trova l’occasione per indicarci il vettore del “triplice tempo”:56 Giano stesso. Gli indizi della presenza del dio bicefalo, duale, collegato ai ponti, alle barche, all’asse del mondo e divinità agricola, svettano nel verso 33 del canto, quando Dante si trova a metà del ponte e vede apparire il fondo dell’ottava bolgia, annunciata dall’apparente serenità della similitudine dei vv. 28-29 che ruotano intorno al “volo” dei tre insetti: «come la mosca cede a la zanzara, / vede lucciole giù per la vallea», in realtà turbata dal simbolismo inverso della diade giorno-notte. Infatti, nel microcosmo descritto, prima del verso polare 33, al giorno è associata la mosca simbolo noto del demonio, Belzebub, nel testo biblico e nei processi per stregoneria nel Medioevo; la notte invece è annunciata dalla zanzara, vittima sacrificale nel Culex di Virgilio in quanto salva dal rettile il pastore addormentato, e poi illuminata dalla lucciola, simbolo di Cristo di cui porta sulla testa il monogramma del nome greco: la iota, I, sulla chi, X.57

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Nel verso del ponte, simbolo assiale di Giano, non ci si può sottrarre alla seduzione del numero 33, doppio e gemellare, evocativo del Cristo e della sua morte che unificano la dualità del dio bifronte, aprendo un nuovo tempo che succede a quello mitico di cui Giano era considerato iniziatore e principio. Il dio era, infatti, custode delle soglie e delle porte del cielo, protettore di ogni inizio e di ogni fine, a lui, nel Lazio, spettavano le feste solstiziali che il Cristianesimo identificherà poi con le feste di S. Giovanni.58 Citato da Brunetto Latini nel libro primo del Tresor, da Dante nel cielo di Mercurio («Con costui corse infino al lito rubro; / con costui puose il mondo in tanta pace, / che fu serrato a Giano il suo delubro», Paradiso vi, 79-81), operata la metamorfosi, Giano è pronto ad essere ponte fra immanenza e trascendenza cristiana, ponte e verso polare nella Commedia.

Il verso polare 33 saetta a quello numinoso in cui Ulisse e i compagni cominciano a vorticare nell’acqua, non matrice di vita ma cancellatrice delle forme storiche dell’eroe: da esse risaliranno quelle mercuriali, nel simbolismo aniconico dello Zodiaco, mancando ogni alleanza fra il tempo-vita del Laerziade e il tempo assoluto, gerarchico, pantocrate del Dio medioevale.

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La dualità ha un ruolo decisivo nell’interpretazione dell’intero canto.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto

Questa antitesi facciale che si manifesta nella contrazione dei tratti dei volti con una tensione opposta che segnala un simultaneo prima e dopo, un inizio e una fine, una bicefalità, è quella stessa del dio bifronte: Giano. L’identificazione di San Giovanni con i due volti opposti di Giano, individuata da Guenon in diversi contesti culturali, dall’iconografia cristiana medioevale all’espressione popolare: “Giovanni che piange e Giovanni che ride” , rafforza una lettura che svela nel verso l’immagine di Giano, i cui due volti rappresentano non solo il “triplice tempo” ma anche i due punti che, nello Zodiaco, delimitano l’asse solstiziale lungo cui, superata la follia, ascende Mercurio. Naturalmente, i segni solstiziali sono i Gemelli e il Sagittario, a loro volta porte solstiziali, vie d’accesso ai successivi segni del Cancro e del Capricorno. Le porte solstiziali permettono di visualizzare le due parti simmetriche dello Zodiaco.

Ulisse morente, privato del nostos e della sua identità storica in quanto immesso in uno spazio altro, atemporale e astorico, è denudato anche degli attributi mercuriali che ritornano, come in uno specchio rovesciato, a Mercurio, l’astro del segno dei Gemelli, segno d’aria doppio e mobile.

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Nella montagna «bruna per la distanza» che tocca il cielo della luna è stato localizzato sia il purgatorio che il paradiso terrestre;59 tuttavia i miti pagani relativi al monte Atlante che regge lo Zodiaco, vi collocano anche il giardino delle Esperidi.

Nell’emisfero delle acque si presenta il gorgo in cui si inabissa Ulisse-Mercurio.

Passando ora dalla rappresentazione realistica, in cui il non detto e l’incombente silenzio sono segnali del carattere apocalittico del paesaggio sublunare (dove, come vedremo e meraviglia, ci sarà la vertigine della rotazione del tempo e dello spazio), alla sua astrazione geometrica, ci troviamo in una situazione spaziale in cui lo schema dello Zodiaco sostituisce il paesaggio: finito il folle volo, Mercurio trova la sua collocazione in basso nell’ultimo grado del segno del Sagittario, nella posizione astrologica detta di “esilio”, opposto alla Luna, al grado zero del segno del Cancro, suo domicilio.

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Mercurio, inserito nel cerchio zodiacale tra il segno del Sagittario e quello del Capricorno, congiunto con l’imum coeli, ha una distanza di 180° dalla Luna, congiunta col medium coeli, posizionata tra Gemelli e Cancro. Essendo in tale posizione, i due pianeti partecipano delle virtù dei segni precedenti e succedanei. Questa situazione astrologica di Mercurio nel segno del Sagittario, detta di “caduta” o “esilio”, non può non essere ricondotta agli esili di Dante-Ulisse e alla caduta di quest’ultimo. Inoltre il segno del Sagittario che appartiene alla casa nona opposta alla casa terza, dei Gemelli, è significatore dei grandi viaggi mentali e geografici.

A commento del grafico precedente tornano utili le parole di Florenskij: «Diametralmente opposti l’uno all’altro, il monte del Purgatorio e Sion sono sorti in conseguenza di tale caduta, e dunque la via verso il cielo segue la linea della caduta di Lucifero, ma con senso inverso. In questo modo Dante si muove sempre in linea retta, e in cielo egli sta con i piedi rivolti verso il luogo da cui è disceso».60

Dante sale lungo una linea retta (asse del mondo) mentre Ulisse scende.

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«Ulisse che si mette in viaggio verso sud-ovest […] viene inghiottito dal gorgo in vista della meta: eccolo il simbolo».61 Il naufragio avviene nell’“emisfero dell’acqua”, quindi il vertice del gorgo è posizionato verso il basso e verso la parte finale dell’asse del mondo, in quanto «La fine di Ulisse si contrappone simmetricamente all’ascesa di Dante».62 Ad ulteriore commento del grafico, si può aggiungere che – come sostiene Lotman, sulla scorta di De Saussure – «non siamo di fronte a segni ma a simboli». È legittimo sostenere che la punta del cono (formato dal gorgo) si collochi (rispettando la opposizione Luna-Mercurio) tra il Sagittario, porta del Capricorno, e il Capricorno stesso da cui «le anime ascendono»63 dopo la morte. Ulisse scende rovesciato rispetto a Dante per incontrare lo spazio curvo dello Zodiaco che indica, se paragonato alla linea retta: «La contrapposizione della Verità alla Menzogna […], una natura magica e, dal punto di vista medievale-cristiano, diabolica».64 La barca – aggiunge Lotman – congiungendosi all’«asse spaziale alto-basso», «passa inoltre dalla posizione orizzontale a quella verticale»: lungo quell’asse, che attraversa Gerusalemme e giunge all’Empireo, è caduto Lucifero. La parola di Ulisse-Mercurio, per Dante, non contiene nessun grado di verità e quindi l’eroe non può che scendere per incontrare il suo annullamento nella morte. Ulisse si inabissa ruotando dentro una spirale discendente «Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque» il cui asse è quello solstiziale. Morto Ulisse, Dante può riiniziare il suo viaggio, mentre Mercurio, svelato, sciolto dall’identità col Laerziade, può uscire dalla sua posizione di “esilio”, dal segno del Sagittario, per procedere lungo l’asse e posizionarsi nella sua “casa” nel segno dei Gemelli come nuovo alter ego di Dante, il suo daimon celato da Ulisse. Questo passaggio oppositivo avviene fra i due punti solstiziali che rappresentano anche le porte di Giano che era, peraltro, simboleggiato dalla barca.

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Nella cultura medievale il cono è connesso all’asse del mondo e alla precessione degli equinozi. Basti ricordare la simbologia relativa al corno conico dell’unicorno che è anche asse del mondo, Signore Gesù, liocorno celeste.65

Nella identificazione formale del cono col gorgo soccorre l’indagine condotta da de Santillana nel Mulino di Amleto che scandaglia la letteratura e i miti mondiali alla ricerca dei disiecta membra che indicano la precessione degli equinozi e i relativi coni.66

Bruno Nardi, commentando il momento culminante della tragedia di Ulisse, intuisce il problema della rotazione dello spazio, cioè della rappresentazione invertita della precessione degli equinozi, scrive infatti che Ulisse «fu colpito dalla roteante spada di fiamma [portata dal] cherubino posto da Dio a interdire l’accesso al legno della vita».67

Filone d’Alessandria nel Commentario allegorico alla Bibbia fornisce diverse ma connesse interpretazioni: i «Cherubini rappresentano, uno ciascuno i due emisferi» e vede la spada fiammeggiante come espressione allegorica del «movimento di rivoluzione del cielo nel suo complesso» e come «simbolo del Logos», aggiungendo inoltre che l’“Artefice” «conoscendo il furore della follia, non ha consegnato ad essa, come la spada ad un pazzo, la potenza delle parole».68

Non si può non rilevare quanto i cherubini richiamino il rapporto speculare di Ulisse e Dante; e come la spada-Logos messa in rapporto con la follia non può che essere ricollegata alle metamorfosi sopra dette di Mercurio, signore della follia ma anche della parola, Logos lui stesso.

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Il turbine nato dalla “nova terra” può dunque essere letto come spada roteante del cherubino posto a guardia dell’Eden, e con la connessa allegoria del mutamento spaziale prodotto dalla rotazione del “cielo intero”. Ribadendo che lo Zodiaco è il vettore che unifica tradizione classica e cristiana, continuiamo a trasporre, nello spazio circoscritto dal cerchio zodiacale, lo spazio descritto da Dante oltre le colonne d’Ercole e ad orientarci attraverso immagini analogiche e simboli; figuriamo, inoltre, le immagini geometriche che mettono in evidenza quanto la costruzione architettonica dantesca ruoti intorno alla dialettica dei numeri “3” e “9” che si riferiscono alla terza e nona casa astrologica dei Gemelli e del Sagittario; nonché al rapporto dei numeri “4” e “10” che competono, rispettivamente, alla casa quarta del Cancro e decima del Capricorno. Le immagini geometriche formate dalle case astrologiche si sovrappongono a quelle dei coni della precessione equinoziale. Nell’astrologia questo punto d’incontro è segnato con una croce, da qui Dante inizierà il percorso che lo porterà a riveder le stelle.

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Le immagini e i concetti fin qui richiamati intorno all’asse solstiziale, rendono visibile la tradizionale rappresentazione geometrica della precessione degli equinozi, però capovolta (fig. a). Simbolicamente i coni della precessione degli equinozi, si possono proiettare sul piano orizzontale dello Zodiaco. Il movimento conico dell’asse terrestre può anche essere rappresentato dai doppi coni opposti formati dai segni: Gemelli, Cancro, Sagittario, Capricorno e dalle relative case (fig. b). Ma se teniamo fermo il principio che Dante ha sempre come riferimenti, assoluto e relativo, il basso e l’alto e se «Per entrambi i personaggi [Ulisse e Dante] i due assi – orizzontale e verticale – entrano fra loro in un rapporto di gioco, ma in una prospettiva rovesciata come in uno specchio»;69 possiamo quindi immaginare le figure geometriche, nelle quali abbiamo traslato il paesaggio, alluse e racchiuse dentro il cerchio zodiacale, come ruotanti e con le polarità invertite: al nord corrisponde il sud.70

La figura a si trasforma, invertendosi, nella figura c.

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Nel paesaggio illuminato dalla luna che sovrasta, Dante con versi solenni e di tono apocalittico (ricordiamo che Nardi ritiene che la Commedia sia la continuazione dell’Apocalisse) descrive, con tratti mitopoietici, la precessione degli equinozi ruotata di 180°. Come ruotata è la testa degli indovini nel canto xx dell’Inferno. Alcuni antichi commentatori hanno notato che, nel canto xxii del Purgatorio (vv. 130-135) compare un albero ruotato che – osserva la Chiavacci – assume la forma «quasi di cono rovesciato». Invertite le polarità, morto e denudato il precedente alter ego Ulisse, appare l’archetipo Mercurio, vero alter ego di Dante: purificati possono entrambi ascendere nella linea solstiziale e concludere simbolicamente il loro esilio nel segno dei Gemelli. Il percorso è quello descritto da Lotman: «Ulisse viene ricordato per la seconda volta quando Dante entra nella costellazione dei Gemelli. Trovandosi nel punto che è esattamente agli antipodi rispetto al luogo del naufragio di Ulisse, Dante conclude il volo verso il meridiano delle colonne d’Ercole e ad altezza infinita ripete il viaggio di Ulisse finché non viene a trovarsi sopra il luogo della sua morte, sul meridiano Sion-Purgatorio. Qui, seguendo l’asse della caduta di Lucifero, che passa attraverso il luogo in cui è naufragata la nave di Ulisse, egli compie il volo verso l’Empireo».71

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Anche Dante, come Mercurio, può compiere il suo nostos passando per “la diritta via”, cioè per la verticale solstiziale, e può ascendere sublimandosi, ora, nel Mercurio zodiacale, non più Ermes. Il ritorno negato all’eroe pagano sarà compiuto dal poeta dopo aver abbandonato il sonno delle suggestioni mercuriali, è infatti Ermes che porta il sonno con l’imposizione del caduceo

tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai (Inferno i, 11-12).

Con la morte di Ulisse cessano la follia, il sonno, l’opposizione di 180° della Luna con Mercurio. Slegato dall’alter ego pagano, Dante sale verso l’alto lungo l’albero cosmico, inteso anche come asse solstiziale.

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Scrive Fritz Saxl: «il fatto che elementi astrali […] come la Vergine sulla Luna crescente, abbiano potuto infiltrarsi nel Vangelo e nell’Apocalisse sta a dimostrare la forza dell’astrologia al tempo dell’ascesa del cristianesimo, e anche la capacità della giovane fede di assorbire elementi più antichi al punto di renderli del tutto inoffensivi».72

A ciò va aggiunto che lo Zodiaco contiene simultaneamente elementi della mitologia classica e di quella giudaico cristiana. Ad esempio, il segno della Vergine, con la sua simbologia, sintetizza valenze pagane e cristiane. Ugualmente Giano, presente nei versi polari della Commedia, è ponte cosmico dello Zodiaco, nella religione pagana viene definito inizio e fine di ogni cosa, non diversamente dal versetto biblico dove Dio si definisce “l’Alfa e l’Omega”. A questo punto si può avanzare l’ipotesi che negli ultimi versi del canto Dante abbia avuto come riferimento, se non come pattern, l’Apocalisse giovannea, strutturata con estrema rarefazione e trasparenza simbolica (ogni simbolo permane in quello successivo), e per questo più efficace e noumenica.

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Richiamo la similitudine dantesca costruita sull’episodio biblico di Eliseo, dove due orsi sbranano quarantadue bambini, per riflettere su questo numero che è uno degli indizi del rapporto con l’Apocalisse,73 operante nel canto con la potenza del non detto, più presente e incombente del dichiarato. Il numero quarantadue compare due volte nell’Apocalisse.74 Robert Graves commentando il significato del numero ci racconta che il Nome-jhwh era «una sequenza assai complicata di 42 o 72 lettere»75 e interpreta anche la storia dei quarantadue bambini come sopravvivenza di un “mito iconotropico” col rito in onore della luna come «dea-orsa».76

L’ipotesi derivativa si rafforza se riflettiamo sugli aspetti segnico-geometrici dello Zodiaco (potentemente attivo nel canto), dove sono presenti i nodi lunari ascendente e discendente, detti testa e coda del drago. Non diversamente da quanto è detto nell’Apocalisse,77 il drago, scanditi certi intervalli temporali, è in tensione, cioè in lotta con il segno della Vergine. Questo segno si trova ancorato all’asse equinoziale opposto al punto gamma.

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Il quadrato (quattro sono le lettere del tetragramma jhwh, quattro i punti cardinali, quattro il numero della casa quarta associata al segno del Cancro, opposto alla casa decima del Capricorno) che si forma unendo i quattro punti degli equinozi e dei solstizi (corrispondenti anche ai quattuor tempora della liturgia della chiesa) dà luogo a quattro aspetti astrologici di 90°, ciascuno dei quali si indica con un quadrato. Queste tre dimensioni quadrate rimandano, simbolicamente, alla forma perfettamente cubica della Gerusalemme celeste78 quale appare nella descrizione dell’Apocalisse.

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Dante-Mercurio ascende verso il medium coeli lungo l’asse cosmico, arrivato alla sua metà, al colmo del ponte («tosto che fui là ’ve ’l fondo parea»), trova alla sua destra il punto gamma, alla sinistra il simbolo del segno della Vergine che ha la Luna in caduta, corrispondente, nell’iconografia cristiana, alla luna sotto i piedi della Vergine. Dunque il poeta si trova al centro della terra, fuori dallo Zodiaco e fuori da ogni determinismo astrologico, al centro della proiezione, sul piano orizzontale, della Gerusalemme celeste, nel punto in cui gli assi solstiziale ed equinoziale formano una croce, simbolo sia dell’unicorno che del Cristo. Cancellato Ulisse e rimossi gli attributi del dio dell’aria, puniti nel fuoco, Dante condurrà Mercurio, suo nuovo alter ego, alla trasfigurazione nel logos cristiano. La dualità pagana, rappresentata da quella del quadrato inscritto nel cerchio, è risolta nell’unità cristiana dall’incontro dell’unicorno con la Vergine, lungo l’asse equinoziale. Dante si trova in quel centro rappresentato dalla croce, nell’unità in cui convergono e trovano la loro composizione tutti gli eterogenei simboli coi quali ha costruito lo scenario di una dissimulata e solo allusa catastrofe apocalittica.

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IL CONTRAPPASSO

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di fuor si legge com’io dentro avampi79

Orrendamente s-figurato Ulisse è anche rovesciato. Si inverte

il dentro-fuori dell’eroe: la pena e il dolore (Quando / mi diparti’ da Circe, [...] né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né ’l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta) soccombono all’«ardore». Ad Odisseo che non ha viaggiato solo con la mente ma anche con il corpo e che ha conosciuto con i sensi, il Medioevo cristiano sottrae la sembianza umana, la trasforma nel fuoco che cela il corpo – gloria nuda della cultura greca – in un difficile e controverso contrappasso.80

Ulisse è rappresentato avvolto nel fuoco: Dante entra in un sublime transfert rovesciandosi in Ulisse e differendo nel Laerziade quel rogo che lo aspettava a Firenze se avesse interrotto l’esilio.81

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La molteplicità delle valenze mercuriali che debordano dal Laerziade può rendere ardua l’individuazione del contrappasso che consideri uno solo degli attributi di Mercurio proiettati in Ulisse.

Non uno volo, follia, movimento, parola, dualità, furto e astuzia, fuoco e aria

ma tutti i segni eloquenti che veicolano il dio greco devono essere presi in considerazione, in una molteplicità proteiforme unificata dall’elemento aria di cui Mercurio è signore.

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È per un eccesso d’aria – cioè di volo della ragione, di follia, di astuzia e furto, di parola in movimento e di dualità - che Ulisse il pellegrino, eroe della casa nona, quella del Sagittario, viene punito. Quindi per contrappasso all’uso degenerato dell’aria, delle doti mercuriali, Odisseo è punito con l’elemento opposto, anch’esso significatore della casa del Sagittario: il fuoco, non alchemico, dell’inferno dantesco.

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Nel contrappasso vengono rispettati i rapporti fra il 3 e il 9. Il numero 3 è compreso nel 9, è dentro il 9: come Mercurio-Ulisse è dentro il fuoco del segno del Sagittario quando Mercurio è nella sua posizione astrologica di esilio. La logica dello Zodiaco viene rispettata anche per quanto attiene a segni, simboli e miti. Infatti Gemelli e Sagittario sono associati ai due numeri 3 e 9 e alle rispettive case opposte e complementari. Il figlio Mercurio82

(simbolo e mito) è contenuto nel padre Giove che siede in trono nel segno del Sagittario.

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L’insieme dialettico degli archetipi, sopra individuato, può essere contenuto nei coni-vortici della precessione degli equinozi. Archetipi o figure formanti, che in quanto complementari tendono a incrociarsi e capovolgersi verso l’ombelico dei vertici dei coni e nel segno opposto, poggiano sull’axis mundi e formano un’apocalisse divorante.83

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I pianeti simbolo Giove e Mercurio, che in questo caso si trovano nei segni a loro collegati, formano – come è nella tradizione astrologica – dei triangoli fra loro intrecciati con gli altri segni d’aria e di fuoco.

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Passando dalla tradizione pagana a quella ebraico-cristiana, nel cerchio zodiacale avvengono dei cambiamenti di senso: i miti classici si fondono con modelli della religione monoteistica. Se ora osserviamo la figura illustrata nella pagina precedente che si modella dentro lo Zodiaco in maniera, per così dire, geometricamente naturale, sorge il sospetto che fra le infinite seduzioni offerte dallo Zodiaco e l’incontro ragionato con i sistemi dualistici, Dante abbia preso in considerazione, per la costruzione del contrappasso di Ulisse, non solo la stella a sei punte ma anche elementi derivati dal tempio del re Salomone. In altri termini avanzo l’ipotesi che, fra gli altri modelli, il poeta fiorentino abbia visto84 attraverso la stella a sei punte, geometricamente evidente e storicamente significante (per di più denominata “sigillo del re Salomone”),85 il testo biblico, Libro dei Re, relativo alla costruzione del tempio del re Salomone. Ancora una volta è l’evidenza delle forme spaziali che consente di tessere l’omologia fra la struttura del canto di Ulisse e quella del tempio del re biblico.

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Navigando nel mito ed individuandone i simboli presenti nel canto xxvi, ho mostrato come, oltrepassando il limite delle colonne d’Ercole, sia possibile vedere, nella dimensione atemporale in cui si muove il medioevo dantesco, uno Zodiaco nascosto. Analogamente, nel tempio di Salomone si trova un meno dissimulato Zodiaco. Infatti, nel testo biblico è scritto che per accedere al vestibolo bisogna varcare due colonne: Iachin e Boaz che hanno al di sopra dei capitelli «due file di melagrane», simbolo insieme di fecondità e del mondo infero. Oltre le colonne il re «Fece poi il mare in metallo fuso […] tutt’intorno era circolare […].Poggiava su dodici buoi di cui tre guardavano a settentrione, tre ad occidente, tre a mezzogiorno e tre ad oriente»: si tratta dell’ “oceano cosmico”, diviso per dodici e quadripartito come lo Zodiaco.86 Le due strutture (colonne e cerchio zodiacale) fanno perno intorno ad un monte: Atlante, nel primo caso; il “santo monte”,87 nel secondo. Dante recupera il suo alter ego, quella parte di sé che si era magnetizzata con il viaggio non puro dell’eroe greco (peraltro, Ulisse era entrato in contatto col mondo infero, dei morti, aiutato dalle arti magiche di Circe: ragion per cui, nel Medioevo, poteva essere considerato un negromante), dandogli la morte per acqua, per traslazione simbolica, nell’acqua sacra per eccellenza: quella cosmica e zodiacale contenuta nel tempio stesso di Salomone. Infatti le coordinate del codice zodiacale che si annunciano con le colonne d’Ercole sono geometricamente analoghe allo schema biblico dell’ingresso del tempio del re, certo non ignoto a Dante.88

Riconsiderando la stella a sei punte, chiave d’accesso al tempio di

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Salomone, si può ancora aggiungere che il numero 689 indicato dal “sigillo” è un numero polare, entrambi rappresentano la polarità fra Dio e il mondo creato. Nella simbologia cristiana il 6 è carico di riferimenti: dalla crocifissione del Cristo nella sesta ora del sesto giorno, alla creazione in sei giorni, ai sei quadrati che formano il cubo della Gerusalemme celeste.

E Dante, già pronto a spiccare il volo verso il cielo di Mercurio, in mezzo al ponte, ingemmato nel verso 33, anticipa la sua apoteosi e la visione della “candida rosa”. Il poeta mentre si trova fra le «immagini immaginanti»90 degli archetipi: al centro dell’asse solstiziale – axis mundi – e del sigillo di Salomone, dei vortici della precessione degli equinozi e dentro l’apocalisse divorante e la Gerusalemme celeste, ripercorre, figurandola, la polarità fra Dio e cosmo. Lasciato il suo esilio in terra e il suo alter ego Ulisse orrendamente figurato perché privo di sepoltura, il poeta visionario e apocalittico compie l’esperienza metafisica che dissolve l’ambiguità dei linguaggi e degli archetipi nella visione dell’assoluto.

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Io stava sovra ’l ponte a veder surto, sì che s’ io non avessi un ronchion preso, caduto sarei giù sanz’esser urto. (Inferno xxvi, 43-45).

In piedi, sul ponte e in tensione, Dante potrebbe perdere l’equilibrio e ritornare a errare «in basso loco». Ma il poeta supera la condizione di non equilibrio, della debolezza che era stata anche di Ulisse, come simboleggia la cicatrice alla coscia,91 e si aggrappa a un “ronchion”, ad una roccia che, nel testo biblico, è il nome frequentemente attribuito a jhwh,92 «colui che ’l mondo schiara»

già rivelatosi come Sole nel verso 26, Dio maggiormente si fa conoscere: «la faccia sua a noi tien meno ascosa». In questo verso, Dante mostra simbolicamente parte di quella faccia, del volto che neppure Mosè potè vedere. Con la doppia natura umana e divina del Cristo: la lucciola e la presenza di Dio come “ronchion” e sole, intorno al verso 33 sembra attuarsi la conciliazione del sistema dualistico, il suo superamento. Ulisse apportatore di caos scompare tra i flutti permettendo la destrutturazione e rielaborazione del mito. Le forme sono state liberate dalle coordinate spaziali in una visione estetica pacificante dove non ha più senso parlare di innocenti e colpevoli: noi siamo Dante e Ulisse.

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IL TEMPO DI ULISSE

Nell’intervallo di tempo in cui Ulisse è nell’antro (imago mundi-simbolo del cosmo)93 del Ciclope è Nessuno, niente, zero: «“Nessuno ho nome: Nessuno mi chiamano / madre e padre e tutti quanti i compagni”»: il concetto ontologico è ribadito dallo stesso Ciclope («Nessuno da nulla») che non potrà più vedere il mondo dei fenomeni. Uscito dall’antro nascosto e protetto dall’ariete, scioltosi per primo, fuori dall’inganno si nomina: dal non esistente, da zero, da essere nulla passa a declinare se stesso e la sua stirpe, il suo mondo, il suo kosmos. Ulisse parla: «“Ciclope, non d’un imbelle sbranavi i compagni / nella caverna profonda con la tua forza violenta, / ma su di te doveva tornare il delitto, / pazzo, ché gli ospiti osasti mangiare nella tua casa; così t’ha punito Zeus e gli altri dèi”. […] “Ciclope, se mai qualcuno dei mortali ti chiede / il perché dell’orrenda cecità del tuo occhio, / rispondi che il distruttore di rocche Odisseo t’ha accecato, / il figlio di Laerte, che in Itaca ha casa”» (Odissea, ix, 475-79, 502-05).

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Nell’antro avviene uno slittamento temporale indicato dall’ariete. Scrive Chiarini: «Sia la scala discendente che quella ascendente del viaggio di Ulisse, infatti, appartengono, in un’unità distinguibile ma non separabile, alla scala planetaria, ne sono anzi, in qualche misura, una manifestazione. I riferimenti più vistosi ai sette pianeti emergono proprio in connessione con i luoghi di morte (reale o solo potenziale) che abbiamo ora individuato». In tale scala planetaria, l’autore mette in relazione il Ciclope con il sole e aggiunge: «il tema della grotta può avere importanti richiami simbolici al Sole e ai suoi movimenti […]. Ma certo il motivo più direttamente connesso col Sole, è quello attorno a cui ruota l’intero episodio, è quello dell’unico occhio del Ciclope (κuκλωψ vuol dire, appunto, “dal disco rotondo”, cioè “dall’unico occhio”)».94 È del resto lo stesso Polifemo che rivolgendosi a Galatea, nelle Metamorfosi di Ovidio, paragona il proprio occhio a quello altrettanto unico del sole: «Un occhio solo ho in mezzo alla fronte, ma è un occhio che assomiglia a un grande scudo. E poi? Dal grande cielo il Sole non vede forse tutte le cose di qui? Eppure, unico è l’occhio del Sole»(xiii, 851-53).

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Nell’antro sembra manifestarsi quella scansione temporale che indica il passaggio equinoziale dalla costellazione del Toro a quella dell’Ariete: «lo spostamento dell’asse terrestre si verifica in senso inverso a quello di tutte le altre rotazioni zodiacali, e perciò la posizione del punto vernale regredisce lungo la circonferenza dello Zodiaco anziché progredire. Passa cioè dall’Ariete ai Pesci e dai Pesci all’Aquario scorrendo all’indietro fino a coincidere di nuovo con il grado zero dell’Ariete, che si direbbe così una fine anziché un inizio».95 L’ariete che usciva dall’antro sempre per primo, dopo l’accecamento esce per ultimo: «“Caro montone, perché così m’esci dall’antro / per ultimo? di solito tu non vai dietro alle pecore, / ma primissimo pasci i teneri fiori dell’erba, / a gran balzi, per primo raggiungi le correnti dei fiumi, / per primo alla stalla vuoi tornare impaziente / a sera; e adesso sei l’ultimo» (Odissea, ix, 447-52). L’ariete è primo e ultimo, come nello Zodiaco è inizio e fine. Omero vuole forse indicare il passaggio del sorgere del Sole dalla costellazione del Toro a quella dell’Ariete che precede l’attuale, quella dei Pesci. Nell’antro del Ciclope accade la metamorfosi, la frullatura del tempo.96 Ulisse accompagnato da dodici compagni (quanti sono i segni zodiacali) porta con sé del vino, donatogli da Marone, contenuto in dodici anfore. Un tempo magico avvolgeva la vita dei ciclopi, non temevano e non rispettavano gli dei, mangiavano carne umana, non erano aratori né fabbricavano navi. Nella carne viva del Ciclope l’eroe dal multiforme ingegno compie il passaggio da un’era all’altra: nell’occhio unico del Ciclope, nel gorgo del corpo avverrà l’oscuramento del disco rotondo dell’arcaico sole.

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La frullatura del tempo avviene quando Ulisse ficca il palo in quell’unico occhio, ottenendo un lingam vivente:97 «Un tronco verde d’olivo: doveva averlo tagliato / per portarlo poi secco; lo giudicammo, a vederlo, / grande come l’albero di nera nave». Per quattro volte, Omero mette in evidenza l’azione del girare l’albero: «Poi volli che gli altri tirassero a sorte, / chi avrebbe osato con me, sollevando quel palo, / girarlo nell’occhio, quando l’avesse preso il sonno soave». L’albero passa dalla posizione orizzontale a quella verticale: «Essi, alzando il palo puntuto d’olivo, / nell’occhio lo spinsero: e io premendo da sopra / giravo, come un uomo col trapano un asse navale / trapana; altri sotto con la cinghia lo girano, / tenendola di qua e di là: il trapano corre costante; / così ficcato nell’occhio del mostro il tizzone infuocato, / lo giravamo; […] così strideva l’occhio del mostro intorno al palo d’olivo» (Odissea, ix, 320-22, 331-33, 382-94).

L’albero, l’asse navale metafora dell’axis mundi, segna il viaggio planetario e il tempo di Ulisse. Nell’antro, la sequenza ciclica, come nella Commedia, è computata dall’Ariete il cui punto gamma, nello Zodiaco, è inizio e fine. Dentro una cavità doppia, occhio e antro, una cinghia fa girare e rigirare l’asse solstiziale determinando il ritmo e lo spostamento delle stelle nel cielo.

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IL TEMPO DEL VELTRO

Molti son li animali a cui s’ammoglia, e più saranno ancora, infin che ’l veltro verrà, che la farà morir con doglia. Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro (Inferno i, 100-105).

Questi sei versi che chiudono l’enigma del Veltro possono aprirsi facendosi figura, quando si vedano le parole come i miniaturisti medioevali e si contemplino forma e simbolo: apparirà allora la forma visiva come vettore simultaneo del simbolo unificante. I commentatori antichi ritenevano che il segreto della nascita del Veltro, il suo esserci nel mondo fosse nel volgersi delle costellazioni. Secondo quanto asserisce la Chiavacci Leonardi: «Gli antichi hanno preso per lo più feltro per “cielo” (in quanto panno compresso e non tessuto, come il cielo che è “di materia solida et intera”: Buti): nascerà quindi tra cielo e cielo, cioè – come i più di loro intendono – per il destino celato nel volgersi delle costellazioni (l’interpretazione astrologica è confortata da Purg. xx 13-5, dove ci si appella al girare del cielo perché mandi colui che cacci dal mondo l’antica lupa, e anche dall’analoga profezia di Purg. xxxiii 40-5 – riferimenti già addotti da Pietro e dal Buti – oltre che dal richiamo alla iv Egloga virgiliana, ai vv. 4-7, fatto anche dal Landino)». E, pur sostenendo la tesi del Veltro come

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«un restauratore dell’impero», aggiunge che Dante stesso «ogni volta che parla di questo personaggio, mostra sempre di aspettarlo dal cielo», né esclude «l’ipotesi di Cangrande che, oltretutto, è un “cane”, cioè un veltro».98

Con veltro si dava infatti nome a un cane da caccia, ritengo però che veltro non si riferisca al mammifero ma possa indicare la stella più brillante del nostro emisfero: Sirio,99 contenuta nella costellazione del Cane Maggiore che l’antico catasterismo identifica con Lelape, il cane eccellente fra tutti, a cui nessun animale poteva sfuggire, trasformato in statua di marmo nelle Metamorfosi di Ovidio. Donato da Diana a Procri, sposa di Cèfalo dal quale nacque Arcesio padre di Laerte da cui nacque Ulisse, Lelape insegue «una bestia a causa della quale molta gente di campagna temette per la vita delle greggi e sua propria» (Metamorfosi, vii, 764-65). Tolomeo, nelle Previsioni astrologiche, pone questa costellazione in relazione al solstizio d’estate. Franco Piperno scrive che: «Le tre stelle principali delle costellazioni di Orione, Cane Maggiore e Cane Minore, ossia Betelgeuse, Sirio e Procione, formano il cosiddetto Triangolo Invernale».100 Questo triangolo con la punta verso l’alto – la stella Sirio – si posiziona tra la costellazione dei Gemelli e del Cancro, sopra l’asse cosmico.101 Ritengo che Sirio, in virtù di tale posizione che coincide col triangolo del dogma trinitario, non possa avere all’interno del dogma una posizione spaziale individuata e individuabile.

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Sirio, la Seirios dei Greci – come scrive Cattabiani – fino al 2220 a. C. presso gli Egiziani, identificata con l’anima di Iside, segnava «l’anno nuovo alla sua levata eliaca, prima del solstizio estivo».102

Tra le stelle che compongono il Triangolo Invernale posto sull’axis mundi, quella di Procione è «molto simile nei suoi effetti a Mercurio»;103 quanto alla costellazione di Orione «in Occidente la X era il segno rappresentativo che gli astronomi avevano adottato per la costellazione di Orione, “le cui stelle” ricorda Charbonneau Lassay “disposte a forma di X sembravano iscrivere in punti rutilanti di fuoco – nel cielo stesso – la cifra del Signore”».104 Il triangolo posto sopra l’albero del mondo è quindi composto da Mercurio, Cristo e Sirio: il Veltro, parusia cosmica profetizzata da Dante nella Commedia, che sconfiggerà la lupa, come vedremo, posta in basso nel segno del Capricorno.

Considerato lo schema zodiacale che orienta la Commedia verso la volta celeste e il Triangolo Invernale sovrapponibile a quello trinitario posto sopra lo Zodiaco, non si può non pensare alle cattedrali medioevali che, ugualmente, venivano simmetrizzate armonicamente con le stelle. Dante che si autodefinisce “geomètra”, profondo conoscitore degli accadimenti celesti, arriva a porre la nascita del Cristo in relazione con eccezionali congiunzioni astrologiche;105 posiziona il Veltro all’interno del triangolo – che rappresenta il dogma trinitario – dove il rapporto tra Mercurio-Logos, X-Cristo e Sirio-Padre-Veltro conferma l’impossibilità della conoscenza umana.

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È interessante osservare che il simbolo di Cristo,106 la X che intersecando l’axis mundi forma il suo monogramma, posta nel vertice destro del triangolo simbolo della trascendenza, oltre che fuori e sopra dello Zodiaco, si manifesta anche nell’immanenza zodiacale in quanto è inscritta nella geometria dello Zodiaco stesso, mosso dall’amor divino.

La profezia del veltro è da vedersi in una nuova parusia del Cristo che, dal triangolo trinitario ridiscende all’interno del cerchio ruotante e ciclico dello Zodiaco da cui provengono gli influssi astrologici che, secondo Dante, erano in corrispondenza cosmica con l’avvento del Salvatore. In un tempo venturo il Cristo si manifesterà in rapporto all’asse cosmico con cui viene identificato. Il Veltro, come verrà confermato dall’analisi segnico-visiva dei versi danteschi, è posto all’interno della costellazione del Cane Maggiore e contenuto nel triangolo che contiene Sirio, triangolo anche trinitario (intreccio di simboli per definizione non misurabili anche perché dogmatici). Il Veltro è dunque contemplato dentro il mistero indissolubile del dogma della trinità, guardia del movimento dei cieli che, al tempo debito, scenderà a ricacciare nell’inferno la lupa, bestia avara e saturnale della parte bassa dello Zodiaco.

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Florenskij sottolinea come «i principi della simbolizzazione giacciano negli strati più profondi della nostra coscienza (o del nostro subcosciente)» e prosegue individuando nel Medioevo una delle epoche «in cui i segni ideografici introdotti nelle discipline scientifiche del tempo – l’alchimia, l’astrologia e la Naturphilosophie – miravano a gettare le fondamenta di una nomenclazione ideografica che fosse comune all’intero edificio scientifico dell’epoca».107 Alla luce di queste osservazioni si può ipotizzare che nella geometria dantesca emergano quei simboli della mitologia pagana, anche di substrato, il cui veicolo non sono le parole ma le immagini e i segni contenuti nello Zodiaco che si coniugano con le rappresentazioni visivo-letterarie della religione cristiana. Come il «geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio», Dante perviene ad una sacralizzazione degli enti geometrici dispiegandoli nella Commedia, sottolineandone il mistero in quanto mossi dal Creatore, l’artefice del movimento rotante impresso all’universo come al disio e al velle del poeta, a suggello della Commedia:

ma gia volgeva il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle (Paradiso xxxiii, 143-145).

La visionarietà mitopoietica di Dante proietta e fonde entità pagane e cristiane, quando non arabe e alchemico-cabalistiche, nella ruota zodiacale, dove vista, visione e qualità segnico-geometriche, tessute a loro volta nel cosmo tolemaico, costruiscono un universo simbolico secolare. In queste feconde e fecondanti congiunzioni si addensa la profezia del Veltro, nella sua manifestazione visiva.

V eltro

P eltro

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Anche Dante – come scrive Florenskij a proposito dell’operare poetico - «diventa creatore di un sistema cognitivo, poiché egli “conosce” il mondo nei simboli, collocando il sistema cosmico che ha presagito in un sistema di simboli gerarchicamente coordinati»; perciò i suoi versi divengono anche «segni-simboli spaziali in quanto mezzi per incarnare idee».108 Vedendo le parole, disegnandole come facevano i miniaturisti medioevali, la forma visiva si fa vettore simultaneo di significato.

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A ben vedere la V di Veltro è anche un cinque, la metà aritmetica e grafica del dieci rappresentata dalla X del Cristo, ed è anche la forma piana di un cono. A indicare la precessione degli equinozi manca l’altro cono, quello rovesciato che nello Zodiaco porta al Capricorno-Sagittario. Magnetizzata dal ritmo dei versi (veltro-peltro-feltro, come rilevava Contini), la P si incastona nella V dando luogo al monogramma del Cristo, monco però della parte inferiore. La parte inferiore mancante è simbolo del futuro, è ciò che deve arrivare, il nuovo Veltro che, con una nuova discesa, anticipata dal viaggio di Dante, scuoterà l’asse cosmico e ricaccerà la lupa nell’inferno. Il giro della ruota non è concluso: la metà specchiata e inversa si realizzerà col movimento precessionale, che con la sua rotazione formerà un nuovo cono, un nuovo cappello pontificale.

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Il fuso celeste orienta il sopra e il sotto delle due metà che l’orizzonte zodiacale divide in mondo visibile e invisibile e guida l’avanzare dei pianeti frullando il tempo (laddove il non essere è ombra o cono d’ombra privo di luce, foresta oscura, non conoscenza) con trigoni e congiunzioni degli astri: così Dante profetizza l’avvento del Veltro, la sua discesa ad illuminare l’altra metà.

Lotman scrive: «Il mondo appare come un enorme messaggio del suo creatore codificato nella lingua della struttura spaziale. Dante decifra il messaggio e nello stesso tempo costruisce nel suo testo questo mondo una seconda volta, venendo così ad assumere non la posizione di chi riceve un messaggio ma quella di chi lo trasmette».109 Il poeta figura, dunque, una corrispondenza fra macro e microcosmo, dove una struttura simile e analoga al “messaggio” planetario zodiacale consuona con la scrittura divina dell’architettura cosmica. Dante osa assumere il punto di vista del Creatore, trovando il luogo profetico del Veltro dentro il triangolo indicante il dogma trinitario, al cui interno Logos-Mercurio, Cane Minore-Cristo e Sirio-Veltro-Padre non hanno limiti spaziali definiti ma si compenetrano vicendevolmente in un rimando infinito di simboli, in cui il nome di Dio sfugge e si sottrae alla sfera dell’universo sensibile, alla sfera acustica, divenendo impronunciabile. Rimane nel mito la musica delle sfere che si offre alla meditazione come strumento per arrivare a Dio. A tal fine Dante usa la scala planetaria come già Abramo che, erede dell’astrologia caldaica, la «trasforma quasi in una virtù teologica, poiché il patriarca usa la propria padronanza delle leggi del cielo per giungere sino al segreto del Dio d’Israele».110

Il poema sacro inizia e termina facendosi figura geometrica: aperto nel primo canto da uno Zodiaco esplicitato dall’ingresso del Sole nel segno dell’Ariete, termina nell’ultimo canto del Paradiso evocando il vello d’oro,111 l’Ariete mitico degli argonauti. Il segno dell’Ariete sigilla nella Commedia l’inizio e la fine del tempo.

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LA LUPA

Della lupa Dante marca i caratteri opposti al senso escatologico del Veltro:

1. la natura ctonia: Questi la caccerà per ogne villa, fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, là onde ’nvidia prima dipartilla. (Inferno i, 109-111);

2. l’avarizia:

e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo ’l pasto ha più fame che pria (ivi, 97-99);

3. l’universalità della sua presenza infausta:

Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, (ivi, 49-51).

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Gli attributi essenziali della lupa, l’implacabile volontà divorante, la brama insaziabile di accumulo, rifluiscono in quell’aspetto del mito di Saturno che, divoratore dei propri figli, si è meritato l’appellativo di “grande malefico”.112 Quei caratteri possono includersi nei topoi con cui Saturno è presentato nel suo domicilio del Capricorno. Lo stesso emblema del segno del Capricorno, la capra, è un animale infero.113 Il «perfido Saturno»,114 raffigurato con una falce, era temuto universalmente (dalle “molte genti”) per i suoi nefasti transiti portatori di eventi negativi, di cui Tolomeo fornisce un lungo elenco in cui non mancano distruzioni, paura e morte, calamità da annientare il genere umano, crudeltà, avidità, avarizia, rapacità, ecc.115 L’avarizia e la ferocia spietata sono associate al magro Saturno nel suo domicilio del Capricorno, dove ha la sua sede anche l’altro pianeta malefico: Marte. Porta dell’inverno e regno del plumbeo Saturno, il Capricorno è quella parte dello Zodiaco dove gli aspetti della stella malefica116 sono magnificati al massimo grado nel periodo della morte invernale. La mia ipotesi è confortata dai versi danteschi: «Molti son li animali a cui s’ammoglia». Se si accetta come tecnica ermeneutica l’uso della griglia zodiacale, il suo significato è letterale: Saturno si congiunge – si sposa direbbe Marziano Cappella – nei suoi lentissimi avanzamenti con tutti gli altri animali dello Zodiaco provocando, con le sue temutissime congiunzioni, infelicità, morte e carestie. Non a caso Saturno è rappresentato con una falce che indica non solo l’agricoltura ma anche le affilate possibilità della sua ineluttabile e lenta ferocia (ricordo che il pianeta completa il giro dello Zodiaco in circa 27 anni ed era allora il pianeta più lento), tanto più pericolosa perché priva di passione; il pianeta si innestava nell’invernale lotta per la sopravvivenza del seme sepolto sotto la terra che germoglierà a primavera quando il Sole sorge nel segno dell’Ariete.

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«Il piombo nero che ha la natura della bile nera»117 era per gli alchimisti connesso a Saturno, prima tappa della loro ricerca spirituale che culminava rinvenendo nella propria interiorità l’oro alchemico; era inoltre il metallo che, legato all’argento, dava il peltro. Saturno dà il meglio di sé, cioè il peggio, quando si trova nel segno del Capricorno: la sua fredda ed egoistica aridità può essere mitigata quando transita – avverte Dante nel Paradiso xxi – nel segno del Leone congiunto al Sole; ed è certo significativo che proprio il cielo di Saturno sia l’unico in cui Beatrice non rivela il suo sorriso e il poeta, curioso della mancanza del dolce canto, la interroga sul silenzio (saturnale, interpreto) nella scala d’oro. Il Capricorno rientra nella triplicità dei segni di terra (Vergine, Toro e Capricorno) ed è il più invernale e freddo dei segni dello Zodiaco. Partendo da questo quadro, leggo il «non ciberà terra né peltro» come: il Veltro non si coniugherà né col piombo saturnale né con la terra. Nel primo canto dell’Inferno, quando Dante cerca di raggiungere il sole dietro il colle viene respinto dalla lupa:

che, venendomi ’ncontro a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace. (Inferno i, 59-60).

La morte simbolica e stagionale della natura, del sole che muore e lentamente rinasce, il silenzio spietato e affamato dell’inverno sono ulteriori indizi che permettono l’identificazione della lupa col pianeta Saturno quando impera nel suo regno, il segno del Capricorno, là dove ’l sol tace, «in basso loco»,118 quando la muta natura, apparentemente morta, aspetta la «scala d’oro» che porterà il seme alla sua manifestazione arborea. Peraltro Dante innesta l’«umana radice» (Purgatorio xxviii, 142) nell’età dell’oro, quella di Saturno.

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Ricordo che l’impero romano era governato dal segno del Capricorno ed è testimoniato che «Negli anni 41-40 a.C., Augusto adottò per la prima volta il segno del Capricorno e il suo ritratto, accompagnato dallo stesso segno, appare in una pasta di vetro sempre del 40 a.C. Assume un senso, allora, la domanda se il segno del Capricorno abbia un suo proprio significato in rapporto all’adozione che dello stesso segno volle fare Augusto: in altre parole è possibile che Augusto abbia volutamente collocato la propria nascita sotto il segno del Capricorno, nonostante fosse nato sotto quello della Bilancia, al fine di appropriarsi dei significati metaforici, simbolici e astrali che il segno del Capricorno recava con sé».119 La capra è simbolo fondamentale dei riti romani dei lupercalia dove l’animale, emblema del Capricorno, veniva sacrificato al fauno lupesco, teriomorfo: lupa e capro.120 Durante il rito maschi nudi fustigavano le donne con strisce di pelle di capra, per renderle feconde: la ferinità pagana, il fondante fratricidio di Roma saranno metamorfizzati e, per dir così, sanati dall’avvento del Cristo. La lupa, prostituta e guardiana del «loco selvaggio», è dunque radice dell’impero romano, nelle cui origini pagane nascerà tuttavia il Cristo, proprio sotto il segno del Capricorno, secondo la tradizione cristiana e secondo quanto afferma Cristo stesso nella parabola riportata nel Vangelo di Giovanni: «In verità, in verità vi dico io sono la porta delle pecore […] io sono la porta», da intendersi – secondo Cattabiani – come riferimento al «simbolismo della Porta solstiziale invernale»,121 quella del Capricorno, ragion per cui i cristiani fissarono i natali del Salvatore in quel segno, sovrapponendo il Natale ai saturnalia,122 eliminando così la parte oscura di Saturno. D’altra parte il pianeta ha una simbologia complessa che, anche fra i latini, comprendeva l’invito ad un rinnovamento spirituale: durante la festa solstiziale, Saturno rinnovava il cosmo, il rex Saturnaliorum presiedeva il caos osceno della festa in cui l’inversione dei ruoli sociali era mimetica della rinascita ciclica della natura.

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A differenza di Saturno che divorava i propri figli, il Cristo si offre loro, eucaristicamente, in pasto e trasfigurandosi ascenderà alla dimora del Padre celeste, affermandosi nella storia e fuori di essa.

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Le tracce del passato mitico e remoto dello Zodiaco, toccato dall’ombra della lupa del Lazio antico di cui è ancora universale icona, ci portano di nuovo nel segno del Capricorno regno di Saturno. Nel mosaico della scala planetaria, tra Giove e Saturno, tra Sagittario e Capricorno, nel luogo stesso in cui la tradizione pose Giano custode della porta, là è l’ingresso infero della tana della lupa.

Nel primo libro del Tresor Brunetto Latini scrive che Saturno, detronizzato da Giove, «fu esiliato dal proprio regno e se ne andò in Italia, e là divenne re e signore di quella terra».123 Come sempre, il mito si proietta nella griglia zodiacale: Saturno, scacciato da Giove dal regno del Sagittario, per trovare un’altra posizione nel suo nuovo regno Capricorno-Lazio, slitta nel decimo segno (il Capricorno), segno cardinale indicato da una X nel sistema di domificazione delle dodici case astrologiche. Con questo movimento circolare, il pianeta tocca e sposta l’asse cosmico.124 Saturno, identificato successivamente con Fetonte,125 ricompone diversamente il moto degli astri: cessata l’età dell’oro, toccato l’albero cosmico, si passa dall’innocenza dell’«umana radice» alla caduta della stirpe umana nella infelice miseria della slealtà, dell’ingiustizia e della feroce avarizia.

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Dante credeva che il movimento dei pianeti avesse influenza sull’agire umano, fatti salvi il libero arbitrio e l’intervento divino. Non è improbabile che il poeta, indagando sulle possibilità mitico-ermeneutiche dell’imum coeli e sugli enti geometrici dello Zodiaco, abbia usato il cavallo di Troia (uomo + cavallo), ideato dall’astuzia di Ulisse, come metafora del Sagittario (uomo + cavallo) ravvisando nel cielo la porta del cavallo-Sagittario come varco della progenie romana e dell’impero romano:

l’agguato del caval che fé la porta onde uscì de’ Romani il gentil seme (Inferno xxvi, 59-60).

Riferendomi al contesto astrologico extratestuale che ho ricostruito, interpreto la porta anche come porta solstiziale dalla quale, con l’ingresso di Saturno, inizia il germe dell’impero romano. Alla porta metaforica onde esce da Troia126 il seme romano, corrisponde in alto, nello Zodiaco, la porta solstiziale del Capricorno-Lazio.

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La lupa si volge in una icastica ierofania quando la si veda come il piombo di Saturno coniugato al Mercurio del pianeta Mercurio nel segno dei Gemelli e all’oro del Sole nel segno del Leone.127 La plumbea bestia, uscita dal “forno” saturnale, diviene primo momento di una trasmutazione alchemica e trionfa nell’oro, simbolo del Sole, archetipo del divino. La «lonza leggera e presta molto» altri non è che il veloce Mercurio e il volatile mercurio.Questi, privi di una forma precisa, mutano e assumono sembianze diverse, in rapporto ai pianeti o ai metalli con cui sono “in aspetto” astrologico: Mercurio maculato si mimetizza, assume un’identità precisa, la sua volatilità si fissa e diventa veicolo del compimento dell’Opera, ovvero della scrittura del poema sacro.

Il quinconce (una distanza di 150° fra i segni zodiacali) collega le tre bestie che appartengono al segno del Capricorno, a quello del Leone e dei Gemelli, unificando il cono del Veltro con quello che ricopre l’ombra della lupa. Tale aspetto zodiacale completa lo schema del mancante cono che collega la lupa al segno del Leone e all’agile e svelto Mercurio che si metamorfizza o si mimetizza coi pianeti con i quali forma gli aspetti planetari.

Dal piombo di Saturno del canto i dell’Inferno, dove si dice dell’inizio dell’universo zodiacale col segno dell’Ariete,

e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle; (Inferno i, 38-40)

si passerà all’oro del vello dell’Ariete, nell’ultimo canto del Paradiso. Apertasi con un tempo astronomico, la Commedia si chiude con un tempo mitico.

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Lo schema che simboleggia astrologicamente la lupa (cfr. p. 131) è identico a quello dell’«enigma forte» qui rappresentato.

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UN CINQUECENTO DIECE E CINQUE

Il tempo di Ulisse e del Veltro si saldano raccordandosi alla ciclicità temporale dello Zodiaco e alla scala planetaria e, percorrendo lo stesso suono della frullatura cosmica, vorticano intorno al nodo incrociato dell’asse equinoziale e solstiziale.

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Ancorandomi allo schema delle case astrologiche ho motivo di pensare che dietro l’«enigma forte» del canto xxxiii del Purgatorio

cinquecento diece e cinque

possa esserci, come è stato detto, non altri che il Veltro in cui, come ho precedentemente illustrato per il Veltro manifesto del canto i dell’Inferno, ravviso la figura geometrica del quinconce rintracciabile anche in questa sequenza numerica che gli è concettualmente sovrapponibile.

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I già indicati segni zodiacali che formano la V del Veltro, Capricorno, Leone e Gemelli, formano un doppio quinconce: l’aspetto astrologico di 150°.

cinquecento diece e cinque

Considerando questa sequenza numerica osservo che il numero dieci corrisponde alla casa decima, quella del Capricorno-lupa; il numero cinque appartiene alla quinta casa, quella del Leone. Manca il numero tre che si riferisce alla casa terza, cui appartiene il segno dei Gemelli, regno di Mercurio, “messo” degli dei per definizione. E a lui non si può non pensare quando, nel verso successivo, Dante specifica la sequenza numerica come «messo di Dio»: tenuto conto che il caduceo coincide con l’asse solstiziale e con Cristo.

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Manca dunque il numero tre. Noto però che la sequenza numerica è composta di 3 numeri, il cinque compare, specularmente, alle due estremità

vi si potrebbe vedere la nota specularità del segno dei Gemelli; a ribadire la mia ipotesi osservo che la lettera “e” posta fra diece e cinque è la quinta dell’alfabeto, quindi il cinque, ripetuto 3 volte, segnala il numero 3, sacro a Mercurio e fondamento numerologico della Commedia. Dunque, come gli altri due cinque, anche la e, in quanto quinta lettera dell’alfabeto, indirettamente rimanda al numero romano V, raccordandosi alla V di Veltro e, ovviamente, alla quinta casa, quella del Leone. Il numero cinque è inoltre collegabile al segno dei Gemelli, attribuito alla terza casa, perché in maggio, nel quinto mese, si conta l’inizio del segno. Ricordo infine che il segno “V”, secondo Graves, è collegato a Mercurio.128

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L’ipotesi non cambia e anzi viene rafforzata se la sequenza si scrive con le cifre arabe, dove lo zero ritorna tre volte

la cifra enigmatica è preceduta dai versi in cui Beatrice vaticina che il personaggio verrà “certamente” dal movimento delle costellazioni

ch’io veggio certamente, e però il narro, a darne tempo già stelle propinque (Purgatorio xxxiii, 40-41).

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500 10 e 5

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Seguendo la mia ipotesi, se nella cifra misteriosa è contenuto un aspetto astrologico di 150°, il quinconce, noto che questo contiene il 15, numero non neutro ma struttura portante del Convivio. Non a caso, Chiarini reputa il numero 15 fondamentale per la decifrazione della ascesa e discesa planetaria di Ulisse ed Enea.

Vedendo la cifra scritta in numeri romani

come nelle due precedenti ipotesi, V richiama la quinta casa, quella del segno del Leone; X la casa del Capricorno; D, iniziale di Deus, è inevitabile riferimento al dogma della Trinità; la sequenza contiene, inoltre, la V di Veltro, presente visivamente anche nella X che, a sua volta, rimanda al doppio cono della precessione degli equinozi e al simbolo del Cristo.

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D X V

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pazza idea

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La geometria precede la Creazione delle cose, eterna come lo spirito di Dio; anzi, la geometria è Dio stesso e gli ha fornito gli archetipi per la Creazione del mondo

(Giovanni Keplero, Harmonices mundi, 1619)

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ANNOTAZIONI PER FIGURE

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1 Fritz Saxl, La fede negli astri, Boringhieri, Torino 1985, p. 162.

2 Graziella Federici Vescovini, Medioevo magico. La magia tra religione e scienzanei secoli XIII e XIV, UTET, Torino 2008, p. 288.

3 Cfr. Ivi, p. 246.

4 Stefano Caroti, L’Astrologia in Italia, Newton Compton Editori, Roma 1983, p. 216, cfr. anche pp. 209, 212 e l’intero capitolo Dante e l’astrologia.

5 Cfr. Dante Alighieri, Convivio, Rizzoli, Milano 1952, pp. 126, 245-46.

6 Cfr. Graziella Federici Vescovini, Astrologia e Scienza, Vallecchi, Firenze 1979, pp. 388-89.

7 Saxl, La fede negli astri, cit., p. 139.

8 David Ewing Duncan, Calendario, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2001, p. 22.

9 Roberto Mercuri, Comedía di Dante Alighieri, in Alberto Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Le Opere I, Einaudi, Torino 1992, p. 216.

10 Fiorenzo Forti, Magnanimitade. Studi su un tema dantesco, Carocci, Roma 2006, p. 163.

11 Chiarisco subito che il mio intento è solo quello di leggere il canto di Ulisse rintracciando la figura di Mercurio velata nell’eroe greco, una proposta che potrebbe conciliare tante e diverse interpetrazioni. Non intendo affatto riallacciarmi alla dantologia romantica d’indirizzo esoterico; né, tanto meno, voglio associarmi alle posizioni che parlano di «ribellione dissimulata contro la Chiesa» (cfr. Paul Renucci, Dantismo esoterico nel secolo presente, in Aa.Vv., Atti del Congresso internazionale di studi danteschi, G. C. Sansoni Editore, Firenze 1965, p. 311).

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12 Si vedano Saxl, La fede negli astri, cit.; Franz Boll – Carl Bezold – Wilhelm Gundel, Storia dell’astrologia, Laterza, Bari 1985; Caroti, L’astrologia in Italia, cit.

13 Omero, Odissea, x, 136. Forse non a caso il racconto di Ulisse nel canto xxvi, 90, comincia proprio nel momento in cui l’eroe greco lascia la maga (Quando mi diparti’ da Circe), infatti attraverso la figlia di Atlante “reggitore dello Zodiaco” il Laerziade entra in contatto con un mondo “altro”: seguendo i consigli della maga può ascoltare il canto delle sirene legato all’albero della nave e unico (insieme agli Argonauti citati da Dante nell’ultimo canto del Paradiso) può superare il passo infelice delle sirene.

14 Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, a cura di Piero Bernardini Marzolla, Einaudi, Torino 1994, l. xiv, 301, p. 146.

15 James Hillman, Il sogno e il mondo infero, Adelphi, Milano 2003, pp. 224, 225.

16 L’attribuzione non è esclusiva della mitologia classica (cfr. Gioachino Chiarini,I cieli del mito. Letteratura e cosmo da Omero a Ovidio, Diabasis, Reggio Emilia 2005, p. 112) ma è riconosciuta anche dall’astrologia tolemaica: Mercurio, signore della parola, è fonte della razionalità, «patrono dell’intelligenza». Inoltre Tolomeo fa discendere i disturbi della parola e della ragione da aspetti negativi fra Luna e Mercurio (cfr. Simonetta Feraboli, Commento a Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche (Tetrabiblos), Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 1998, pp. 455, 391, 445, 446, 448, 449). Giovanni Reale nella Presentazione a Tutti i commenti a Marziano Capella scrive che Scoto Eriugena «interpreta i due sposi (Filologia e Mercurio) come simboli complementari del logos. Scoto Eriugena sapeva bene – essendo uno dei pochi occidentali che ancora conoscevano il greco nel Medioevo –, che logos significa sia “ragione” sia “discorso”. Ebbene, Filologia rappresenta la “ragione”, Mercurio il “discorso”; si tratta di due elementi essenziali che devono congiungersi, in un vero e proprio connubio, in chi studia e vuole acquisire la sapienza» (Giovanni Reale, Presentazione a Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre e Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella (a cura di Ilaria Ramelli), Bompiani, Milano 2006, p. 10). L’identificazione Ermes-discorso in Scoto

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Eriugena è fondata su una falsa etimologia ma conseguente alla coincidenza Mercurio e «discorso eloquente» (cfr. ivi, p. 105). Nel Nuovo Testamento viene enunciata la dottrina del logos (Prologo del Vangelo secondo Giovanni). E Hillman afferma che Jung avvertendo «l’intrinseca opposizione tra cristianesimo e mondo infero, cercò di scurire la figura di Cristo con Ermes-Mercurio. Pur non spingendosi fino ad assimilarlo ad Ade, tuttavia costituì Ermes-Mercurio ad archetipo dell’inconscio in opposizione a Cristo, inteso come archetipo della coscienza del mondo supero» (Hillman, Il sogno e il mondo infero, cit., p. 114).

17 Nell’inno a Ermes, il iv degli Inni omerici, a più riprese il dio viene associato ailadri e al commercio (cfr. Filippo Càssola (a cura di), Inni omerici, Fondazione Lorenzo Valla Mondadori, Milano 2006, pp. 178-225).

18 Mircea Eliade unisce il motivo del volo alla tensione tra l’alto e il basso, traimmanenza e trascendenza: «Ci basta dire che il motivo è universalmente diffuso e che è solidale con tutto un gruppo di miti concernenti sia l’origine celeste dei primi uomini sia lo stato paradisiaco dell’illud tempus primordiale in cui il Cielo era vicinissimo alla Terra e l’Antenato mitico poteva accedervi abbastanza facilmente scalando una Montagna, un albero o una liana». E aggiunge che lo schema del volo «si è mantenuto nell’immagine esemplare e nella biografia mitica del Messaggero divino, dell’Eletto e del Profeta» (Mircea Eliade, Miti, sogni, misteri, Lindau, Torino 2007, pp. 137, 132). A sua volta Ezio Raimondi, a proposito del “folle volo”, nota che «la metafora dei remi-ali, codificata nell’archetipo virgiliano in rapporto al mito di Dedalo, viene assunta neoplatonicamente quale simbolo paradigmatico del volo dell’anima e del suo ritorno alla patria celeste»; e prosegue «Sta di fatto, ad ogni modo, che i tre termini “remi-ali-volo” formano una serie fortemente omogenea e compatta, all’interno della quale l’inserto di “folle”, spostando il discorso da un ambito visivo e concreto a una sfera astratta e spirituale e sottolineandolo inoltre col mutamento di classe lessicale, agisce come una sorta di sorpresa, come una dissonanza che approfondisce, tuttavia, la realtà dell’evento e annuncia al lettore la prospettiva segreta di un ordine più vasto: l’elemento allitterativo finale (-le, -lo) vincola i due significanti a una affinità misteriosa, in una dipodia regolata da oscure assonanze» (Ezio Raimondi, Metafora e storia, Aragno, Torino 2008, pp. 45, 49). Appare chiaro, da questi commenti, che nel moto del volo, associato per di più alla follia, si realizza una

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prospettiva di ascesa e di comunicazione con l’alto e col divino. Vicine alla ipotesi che ho formulato sono le parole di Giovanni Reale nella sopra citata Presentazione a Tutti i Commenti a Marziano Capella dove valuta il volo di Mercurio – ricordo significatore del volo e della follia – come «la ricerca della sapienza di questo mondo e delle cause materiali, simboleggiata dal moto di discesa di Mercurio che viene a cercare Apollo sulla terra; successivamente con la ricerca della sapienza celeste, con la contemplazione delle realtà immateriali, simboleggiata dal moto di ascesa di Mercurio che va a cercare Apollo nei cieli» (ivi, p. 14). Questa definizione, che vede il “volo” come riferimento e attributo mercuriale, è in sintonia col mio discorso anche perché collega il Mercurio classico con la sua definizione astrologica che lo inquadra in volo tra il nord e il sud zodiacale, passando per l’asse solstiziale detto anche albero cosmico o caduceo. Né se ne discosta Ilaria Ramelli nell’apparato al già citato commento di Scoto Eriugena, a proposito del movimento di Mercurio dentro lo Zodiaco: «il mezzo di trasporto del Cillenio descrive la libera e veloce volontà dell’anima, dalla quale essa o è sollevata con moto razionale all’aspirazione delle virtù, oppure, con moto irrazionale, è abbassata al desiderio dei vizi. Come, infatti, il Cillenio discende nei punti più bassi del circolo lunare, e talora invece sale fino ai punti più alti della grandezza del sole, così l’anima, obbedendo alle leggi divine, con l’altissimo volo dell’azione e della scienza spesso ricerca se stessa e tende al suo Dio» (ivi, p. 112). Tolomeo, concludendo che «Mercurio conduce alla fine per pazzia», enuncia le caratteristiche influenze della Luna e di Mercurio con queste parole: «delle caratteristiche dell’anima, le qualità razionali e intellettive vengono sempre ricavate dalla posizione di Mercurio, mentre le facoltà sensoriali e irrazionali vengono analizzate dal luminare più corporeo, cioè dalla Luna» (Tolomeo, Le previsioni astrologiche, cit., pp. 337, 261. Cfr. anche Feraboli, Commento ivi, pp. 391, 412, 445, 446, 448, 449). Assecondando la tradizione astrologica, Tolomeo pone il domicilio notturno di Mercurio nel segno dei Gemelli (cfr. ivi, p. 73). Mercurio, come tutti i pianeti, ha un doppio domicilio: in Vergine quello diurno e nei Gemelli quello notturno. Scelgo di prendere in considerazione il secondo, in risposta al paesaggio notturno descritto da Dante nel canto di Ulisse. Mercurio rappresenta anche la difficoltà di navigazione e si considera cosignificatore dei viaggi (cfr. ivi, pp. 151, 465); inverte la marcia del suo movimento (cfr. ivi, p. 371); Castore e Polluce, stelle del segno dei Gemelli, sono protettori dei naviganti e hanno la capacità di volare (cfr. Càssola (a cura di), Inni omerici, cit., p. 454). Ribadisco che la follia è data per gli astrologi – da Tolomeo ad André Barbault – da una opposizione fra Luna e Mercurio,

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cioè da una distanza di 180° nel cerchio zodiacale. Nel canto di Ulisse la Luna è piazzata in alto (fig. a) opposta al folle volo di Mercurio-Ulisse. Morto Ulisse, Dante purificatosi dalle qualità mercuriali pagane (secondo le parole di Lotman), risale l’asse cosmico, mentre Mercurio, ascendendo, passerà dalla posizione di esilio-caduta al suo domicilio, nel segno dei Gemelli, nel Paradiso (fig. b). La follia sarà più grave se i pianeti – come indicato nello schema – saranno angolari, cioè posti nei punti a, b; peggio se Mercurio è situato nel segno del Sagittario (a cui corrisponde la casa dei viaggi in terra straniera opposta alla terza dove Mercurio ha il suo domicilio nel segno dei Gemelli), ovvero nella posizione di caduta o esilio; infine, la follia, turbinando nella mente, diventerà cosmica se tale posizione si verifica negli angoli dell’axis mundi (ab). Le modalità del folle volo di Mercurio sono infatti prossime al Capricorno, porta solstiziale e morte saturnale, invernale. Il volo ascendente lungo il suo stesso caduceo è debilitato dalla sua follia, Mercurio-Ulissse non potrà raggiungere il medium coeli. Dante si dichiara “geomètra” – gli erano familiari le figure, i simboli e i ritmi della scala planetaria, si pensi al Convivio – e l’aspetto spaziale definito dallo Zodiaco può aver rischiarato la sua capacità visionaria, proprio contenendola e circoscrivendola. Non il solo segno geometrico ma i bagliori della parola di Ovidio hanno agito nell’ascesa negata e folle di Ulisse. Nel l. i delle Metamorfosi leggiamo la descrizione della formazione del firmamento, col riferimento al «vasto albero sacro» e al «lungo asse del mondo». Segue, nel l. ii, l’episodio di Fetonte, definito da Chiarini (I cieli del mito, cit.) del «folle volo». In esso il Sole, dichiarando «Io avanzo contro il turbine», rivolge al figlio l’interrogativo: «riuscirai ad avanzare contro il roteare dei poli» dove «senza sosta il cielo gira vorticosamente trascinando le alte stelle e facendole turbinare». Ovidio posiziona lo Zodiaco che contiene l’axis mundi sulla porta a due battenti della reggia del Sole: «sei costellazioni sul battente destro e altrettante su quello sinistro». Intorno al Sole stanno le stagioni che stringono i quadranti dello Zodiaco: «stava la Primavera incoronata di fiori, stava l’Estate, nuda, che portava ghirlande di spighe, e stava l’Autunno imbrattato di uva calpestata, e l’Inverno ghiaccio, con bianchi capelli irrigiditi». Fetonte, figlio adulterino del Sole, gli chiede, a conferma della sua paternità, di poter guidare «i cavalli dai piedi alati». Il Sole, pentito per aver detto al figlio «Parole folli» con la sua promessa, cerca di dissuaderlo dal guidare il suo carro. Prima che la terra precipiti nel caos per l’imperizia di Fetonte, i cavalli vengono paragonati a «navi ricurve», e il carro stesso ad «una nave sbattuta da furioso Borea». Mentre i poli dell’axis mundi sono citati

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successivamente (vv. 294-299): «Guàrdati di qua e di là: i poli fumano tutti e due! E se il fuoco li rovinerà, la vostra reggia crollerà! Guarda, perfino Atlante non ce la fa più a sorreggere sulle spalle l’asse del cielo, ormai incandescente. Se finisce il mare, se finisce la terra e la reggia del cielo, torniamo alla confusione dell’antico Caos». Fetonte il puer pagano, smarrito alla vista degli animali dello Zodiaco, non riesce a compiere la sua ascesa verso il cielo (diversamente dal biblico Elia): foriero di caos come Ulisse «precipita girando su se stesso». La mercuriale e giovanile baldanza viene punita col fuoco. L’episodio si conclude con un computo del tempo («Luna quater iunctis inplerat cornibus orbem») che ritroveremo anche nel canto di Ulisse: «Cinque volte racceso e tante casso / lo lume era di sotto da la luna». Peraltro Dante evoca l’episodio di Fetonte oltre che nella Commedia (Inferno xvii, 107; Purgatorio iv, 72; xxix, 118-120; Paradiso xvii, 1-3; xxvi, 125) anche nel Convivio (Tratt. ii, cap. xiv). E giungiamo infine alla tradizione cristiana che si appropria del mito di Ulisse. Filone di Alessandria, precursore del neo-platonismo, seguendo i principi delle Sacre scritture, afferma che «lo stolto è in esilio»; egli – come scrive Boitani – «lega in un’unica visione i viaggi di Abramo, di Israele e di Giuseppe, estendendo al Pentateuco l’interpretazione tradizionale dell’erranza di Ulisse e influenzando decisamente i suoi successori alessandrini, e cristiani, Clemente e Origene». Il viaggio di Ulisse subisce nella tradizione cristiana una sostituzione di senso che passa attraverso il neo-platonismo: «il discepolo di Plotino, Porfirio, aveva già trasformato l’eroe omerico in modello del mistico», «Il vero viaggio non si effettua né per mezzo di un’imbarcazione, come quello di Ulisse, né per mezzo di un carro trainato da cavalli, come quello predicato da Socrate. Consiste, invece, nel guardare dentro di sé, scoprirsi e farsi belli interiormente, ridursi a “vera luce”» (Piero Boitani, Introduzione generale a Manlio Simonetti – Giuseppe Bonfrate – Piero Boitani (a cura di), Il viaggio dell’anima, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 2007, pp. xix, xv). Il viaggio di Ulisse, eroe privo di vera fede, si salda alla tradizione della Chiesa e riemerge monco nel canto xxvi della Commedia, inserendosi nelle costole del Medioevo e trovando nuovo luogo nello Zodiaco dantesco. Per concludere, ritengo che Ulisse non sale nel legno dell’albero cosmico essendo il suo volo folle ma l’intero suo canto sostiene quell’axis mundi (la linea verticale di cui parla Lotman) che arriva al Paradiso; inutilmente Odisseo affronta, legato all’albero della sua nave il “canto sapienziale delle sirene”, non conoscendo quel Cristo doppiamente simboleggiato dallo Zodiaco.

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Con parole parallele al mio discorso, Franco Ferrucci afferma che la «nave lanciata verso il porto di Dio, al tempo stesso sembra cercare di trasformarsi in pianta vivente», ma «Il viaggio a bordo di quel legno fatidico è quindi la storia dell’inutile sforzo della nave ulissica di rifarsi pianta - di risalire alle proprie radici, o addirittura alla propria semenza. Sappiamo che a Ulisse la meta è negata, e quindi è negata la rifioritura nell’eternità» (Franco Ferrucci, Dante Lo stupore e l’ordine, Liguori, Napoli 2007, pp. 155, 162).

19 Tolomeo nel l. iii, 15, intitolato Malattie psichiche scrive «In genere è utile isolare ed osservare Mercurio e la Luna, la loro posizione reciproca» (Tolomeo, Le previsioni astrologiche, cit., p. 283).

20 Hillman, Il sogno e il mondo infero, cit., p. 224.

21 Come già detto, nel codice zodiacale Mercurio ha un doppio domicilio: nel segno della Vergine ha quello diurno, in quello dei Gemelli notturno. Essendo Dante nato sotto questa costellazione (Paradiso xxii, 106-120), considero Mercurio in quest’ultimo domicilio (negli Inni omerici Mercurio è divinità notturna «ispiratore di sogni, vigile nella notte» iv, 14). Il domicilio notturno di Mercurio appare visivamente innervato col paesaggio lunare del canto xxvi, inoltre al segno dei Gemelli corrisponde il numero tre, su cui si fonda la struttura della Commedia, e la terza casa. Come risulta evidente dalla griglia zodiacale, Mercurio quando è nella sua casa è adiacente alla Luna, posta nel suo domicilio: il Cancro. I due pianeti sono quindi adiacenti e divisi dall’asse cosmico ma dallo stesso saldati. Così come sono posti nel canto v del Paradiso. Figuriamoci ora quanta eco può aver avuto per Dante la posizione “in esilio” del suo pianeta (si vedano i rapporti fra segni e pianeti secondo Tolomeo, cfr. Ornella Pompeo Faracovi, Scritto negli astri, Marsilio, Venezia 1996, p. 134), nel locus contrassegnato dal numero 9, riferito alla casa dei grandi viaggi e del superamento dei limiti, in cui si innesta il segno del Sagittario che ha come corrispondenza nel corpo la coscia (sulla zoppia di Mercurio e sulla sacralità della coscia nel testo biblico, cfr. Robert Graves, La dea bianca, Adelphi, Milano 1998).

22 Dante, nei versi citati, sottolinea la duplicità contenuta nell’unità del fuoco (due dentro un foco). L’elemento primordiale racchiude il due, la polarità del duale. Il fuoco, considerato sacro e unitario dai caldei («…tutte le cose sono scaturite da un sol fuoco»,

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Angelo Tonelli (a cura di), Oracoli caldaici, Rizzoli, Milano 1995, fram. 10, p. 34); è veicolo di immortalità come nell’inno omerico A Demetra, dove la dea prepara Demofonte alla vita eterna esponendolo alla fiamma («Di notte, lo celava nella vampa del fuoco, come un tizzone, / nascondendosi ai genitori: per essi era grande meraviglia / come egli cresceva precoce, e somigliava nell’aspetto agli dei. / E lo avrebbe reso immune da vecchiezza, e immortale»); è possibilità della visione di Dio, nella manifestazione del roveto ardente nel testo biblico. Fiorenzo Forti richiama la natura “bifronte” di Ulisse già presente nella tradizione classica (cfr. Forti, Magnanimitade, cit., p. 162). É stato fatto notare che la dualità è propria anche di Atena, dei suoi templi e del palladio, rubato da Ulisse a Troia («un rilievo di terracotta dalla forma allungata, conservato nel museo di Berlino, mostra tanto Odisseo che Diomede con un palladio nelle mani; è su questa rappresentazione che si regge l’ipotesi secondo cui, mentre un palladio fu rubato dall’eroe, l’altro fosse stato salvato da Enea che lo avrebbe portato in Italia», Hermann Usener, Triade Saggio di numerologia mitologica, Guida, Napoli 1993, p. 138; cfr. anche pp. 133-51).

23 Tecnicamente, semplificando, è la posizione di Mercurio in rapporto al segno dei Gemelli (e alla posizione della Luna) che può dare o no l’ingegno o la follia.

24 Il canto xxvi coagula e contiene il “basso” dello Zodiaco localizzato intorno all’imum coeli. In questa situazione spaziale Elia, come sottolineano i bestiari medioevali, è associato all’aquila: il cui volo è attributo di Elia ed equivale all’ascensione del Cristo. Nel tessuto zodiacale che ricostruisco, trama tolemaica della Commedia (dove Beatrice è aquila nel canto i del Paradiso: «quando Beatrice in sul sinistro fianco / vidi rivolta e riguardar nel sole: / aquila sì non li s’affisse unquanco»), la costellazione dell’Aquila, posta in cielo da Mercurio, taglia in basso il coluro solstiziale. Si presenta quindi uno schema dove Aquila, Mercurio, Giano come dirò, sono sia in alto che in basso. A commento dello schema aggiungo che Ercole, governatore dello Zodiaco (cfr. Graves, La dea bianca, cit., p. 153), deve essere posizionato in basso, nel segno del Capricorno («E infatti, quando ormai imminente era la nascita di Ercole, destinato a sopportare tante fatiche, e il sole incombeva sul decimo segno», Ovidio, Metamorfosi, ix, 285-86, cit., p. 357), intorno allo spazio in cui Dante colloca le colonne d’Ercole. Il divino eroe si trova dunque presso l’imum coeli e – come scrive Graves - ascenderà al cielo in forma d’aquila. Aggiungo, infine, che l’aquila è un animale calendariale (cfr. Graves, La dea bianca, cit.,

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p. 475 e passim), ed anche emblema della metamorfosi dello scorpione (rimando alle associazioni che Aurigemma, attingendo all’iconografia religiosa, vede fra le immagini dei «quattro evangelisti e i quattro segni fissi (Toro, Leone, Scorpione, Acquario)», cfr. Luigi Aurigemma, Il segno zodiacale dello scorpione nelle tradizioni occidentali, Einaudi, Torino 1976, pp. 105-06) che, morendo materialmente, può farsi aquila nella casa ottava, quella del mistero e della morte.

25 Libro dei Re, i, 18,2. E su queste parole sembra modellato anche l’appello di Virgilio: «O voi che siete due dentro ad un foco, / s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o poco / quando nel mondo li alti versi scrissi, / non vi movete; ma l’un di voi dica / dove per lui perduto a morir gissi.» (Inferno xxvi, 79-84).

26 Pseudo Tommaso D’Aquino, Sulle essenze ultime, in Michela Pereira (a cura di), Alchimia. I testi della tradizione occidentale, Mondadori, Milano 2006, pp. 524-25. Si tratta di un ampio scritto che connette le dottrine alchemiche con gli influssi astrali.

27 Robert Graves, I miti greci, Longanesi, Milano 1991, p. 55.

28 Si legga il fulmineo, mercuriale ritratto del dio-pianeta dato da Gioachino Chiarini: «Il balenio dell’apparire-sparire proprio del pianeta, così difficile da scorgere, così rapido e sfuggente nei suoi movimenti. È l’irrequietezza creativa, lo sguardo che vede reinventando, è la parola che seduce ed ottiene, è lo sfregare di pietre o bastoni che suscita il fuoco, è il fuoco del seme virile, è la trappola che si chiude improvvisa ma al tempo stesso l’abilita’ di uscirne, è lo scambio, è l’ascesa e la discesa, è la pietra di confine, è l’idea improvvisa, è il percorso ritrovato, è un sussurro all’orecchio» (Chiarini, I cieli del mito. Letteratura e cosmo da Omero a Ovidio, cit., p. 112).

29 Jean Pierre Vernant, L’universo, gli dèi, gli uomini, Einaudi, Torino 2000, p. 95.

30 Ovidio, Metamorfosi, i, 1-2, cit., p. 5.

31 Vernant, L’universo, gli dèi, gli uomini, cit., p. 95.

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32 Ovidio, Metamorfosi, xiv, 301, cit., p. 573.

33 Vernant, L’universo, gli dèi, gli uomini, cit., p.104. L’immagine di un universo rovesciato appartiene a diversi luoghi del sacro. È presente, oltre che nell’inversione delle coordinate spaziali dello Zodiaco, nella liturgia del carnevale e nelle dottrine tantriche, può riferirsi anche ad un albero: «In India vige il culto dell’albero rovesciato, dalle radici in cielo, e lo ritroviamo nel mondo intero, fra Lapponi e Australiani, nell’Islam, in Dante, nell’ebraismo» (Elémire Zolla, Lo stupore infantile, Adelphi, Milano 1994, p. 128). Lo stesso Zolla scrive: «L’inversione è simboleggiata dalla salita d’un monte, d’una scala di sette gradi [evidentemente la scala planetaria o l’albero], dall’accesso settemplice d’un tempio, da una navigazione o da un volo» (Elémire Zolla, I mistici dell’Occidente, Adelphi, Milano 1997, i, p. 61). Manilio osserva che le costellazioni dei Gemelli e del Cancro – quelle che sorreggono l’albero cosmico - sorgono rovesciate (cfr. Manilio, Il poema degli astri, ii, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 2001, vol. i, pp. 115-17). La mitologia ha assegnato a Mercurio la funzione del rovesciamento: nell’Inno omerico a Ermes, in occasione del furto delle sacre vacche degli dei «le spingeva attraverso il terreno sabbioso con una strana andatura, rovesciando le orme; egli non dimenticava l’arte dell’inganno, e invertiva le tracce degli zoccoli». Simonetta Feraboli, commentando Tolomeo, definisce Mercurio «veloce nell’invertire la marcia del suo movimento». Ugualmente, Ovidio, nelle Metamorfosi, mostra il dio proteiforme impegnato ad impedire il “rovesciamento” di Ulisse in porco (si noti che Graves, a partire dal termine latino porcus, animale sacro alla dea della morte, vede un passaggio sinonimico ad Orco), nel mondo inverso della maga Circe che, per ripristinare l’ordine cosmico, percuoterà il capo dei compagni di Ulisse con la bacchetta girata all’incontrario «conversae verbere virgae» (Ovidio, Metamorfosi, xiv, 300, cit., p. 570). Anche Scoto Eriugena e Bernardo Silvestre, nei Commenti a Marziano Capella, dicono del moto inverso e di retrocessione di Mercurio (Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre e Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella, cit., pp. 181-83, 2013). Più precisamente, secondo Guénon, è il caduceo di Mercurio che indica la polarità dell’albero cosmico: «Un’altra figura identica è quella dei due serpenti del caduceo, che si ricollega poi al simbolismo generale del serpente nei suoi due opposti aspetti; e, a tale riguardo, la doppia spirale può essere anche vista come la raffigurazione di un serpente arrotolato su se stesso in due sensi contrari: questo serpente allora è un’ “anfesibena”, le cui due teste corrispondono ai due poli e che, da sola, equivale all’insieme

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dei due serpenti opposti del caduceo» (René Guénon, La grande Triade, Adelphi, Milano 1980, p. 49). È ancora Guénon a darci l’indicazione dell’inversione dei punti cardinali nello Zodiaco (Ivi, p. 71; cfr. anche Id., L’Archeometra, Atanòr, Roma 1986, p. 35; Id., Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1990, p. 95); e, citando Coomaraswamy, Guénon scrive: «i due alberi rovesciati descritti da Dante vicino al vertice della “montagna”, quindi immediatamente sotto il piano in cui è situato il Paradiso terrestre, mentre, allorché si giunge a quest’ultimo, gli alberi appaiono raddrizzati nella loro posizione normale; e così questi alberi, che sembrano in realtà essere solo aspetti diversi dell’“Albero” unico, “sono rovesciati soltanto al di sotto del punto in cui ha luogo la rettificazione e la rigenerazione dell’uomo”»; inoltre: «L’albero rovesciato non è solo un simbolo “macrocosmico” […]; è talvolta anche, e per le stesse ragioni, un simbolo “microcosmico”, cioè un simbolo dell’uomo; così Platone dice che “l’uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso terra”» (Ivi, pp. 279-80, 281. Si vedano anche Id., Il simbolismo della croce, Luni editrice, Firenze Milano 2006, p. 53; Id., L’esoterismo di Dante, Adelphi, Milano 2001, p. 93 e passim). A proposito dell’albero rovesciato del Purgatorio xxii, 130-135, Anna Maria Chiavacci Leonardi (Commento al Purgatorio, in Alighieri, Commedia. Purgatorio, cit., vol. ii, p. 660) nega tale inversione (sostenuta dagli antichi commentatori) vedendovi, comunque, la forma geometrica del cono rovesciato. Di opinione diversa è Franco Ferrucci che lo pone accanto alle altre “apparizioni vegetali” inverse della Commedia, e in rapporto con l’albero rovesciato del Paradiso (Ferrucci, Dante. Lo stupore e l’ordine, cit., pp. 150-173). Mantenendo fissa nello spazio la posizione dello Zodiaco, si può ora considerare (cfr. lo schema a lato) l’inversione dell’asse del mondo: la funzione di Mercurio e quella di percorrere incessantemente, col suo caduceo, l’albero cosmico e di operare un’inversione folle, un folle volo di 180 gradi. Il canto xxvii del Paradiso dove Dante, posto in alto nella costellazione dei Gemelli, vede la costellazione del Capricorno e le colonne d’Ercole, varco del folle volo di Ulisse, sembra confermare la mia ipotesi relativa al percorso di Ulisse-Dante lungo l’asse cosmico: «Da l’ora ch’ïo avea guardato prima / i’ vidi mosso me per tutto l’arco / che fa dal mezzo al fine il primo clima; / sì ch’io vedea di là da Gade il varco / folle d’Ulisse, e di qua presso il lito / nel qual si fece Europa dolce carco»; e nei versi precedenti: «Sì come di vapor gelati fiocca / in giuso l’aere nostro, quando ’l corno / de la capra del ciel col sol si tocca, / in sù vid’io così l’etera addorno / farsi e fioccar di vapor trïunfanti / che fatto avien con

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noi quivi soggiorno» (Paradiso xxvii, 79-84, 67-72). La nevicata al rovescio conferma che, nella Commedia, sono cardinali le immagini che rinviano al concetto di inversione di 180 gradi e all’albero rovesciato. Nel canto xx dell’Inferno gli indovini hanno la testa ruotata di 180 gradi, come a indicare un capovolgimento delle coordinate simboliche di orientamento nella dimensione spazio-tempo: «Come ’l viso mi scese in lor più basso, / mirabilmente apparve esser travolto / ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso, / ché da le reni era tornato ’l volto, / e in dietro venir li convenia, / perché ’l veder dinanzi era lor tolto.» (ivi, 10-15).

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34 Vernant, L’universo, gli dei, gli uomini, cit., p. 119. Dante riserverà la gloria alle anime che stanno nel cielo di Mercurio. Conformemente al pensiero cristiano-medioevale che concepisce la gloria nella sola trascendenza.

35 Mi riferisco al tradizionale orientamento dello schema dello Zodiaco, indicato in Inferno I, 37-40: Temp’ era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n su con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle;

36 In alto, nel primo canto del Paradiso, Dante pone la foce del sole: «Surge ai mortali per diverse foci / la lucerna del mondo». Ancora la Chiavacci Leonardi commenta: «il sole sorge lungo l’arco dell’anno da diversi punti dell’orizzonte; foci vale “luoghi d’entrata”, ingressi» (Commento al Paradiso, cit., p. 20). Seguendo ancora il simbolismo astrologico, questi “luoghi d’entrata” non sono altro che i segni zodiacali nei quali il sole sorge, via via, nell’Ariete, nel Toro e nei segni successivi. Il termine foce, presente anche nel canto di Ulisse, in basso nell’inferno, richiama i fiumi di cui parla Marziano Capella così commentati da Remigio di Auxerre: «11, 20 (14, 7) Alcuni Fiumi] ossia i sette circoli dei pianeti. Sono detti “fiumi” poiché si snodano attraverso lo Zodiaco con un percorso flessuoso, a somiglianza dei fiumi» (Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre e Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella, cit., p. 905). Concordi gli altri commentatori: Bernardo Silvestre specula intorno al significato dei fiumi-pianeti inserendoli all’interno della rota fortune. Scoto Eriugena assimila anch’egli i fiumi ai pianeti e precisa: «Inoltre ne asseriscono due, l’orbita di Mercurio e quella della luna, coloro che ritengono che, quanto più sono vicini alla terra, tanto più stretti sono in ampiezza […]. Inoltre, due corsi d’acqua [Mercurio e Luna] più ristretti e con un’incurvatura e un giro piccolo si trascinavano rapidamente all’interno; […] Infatti l’uno si avanzava frettoloso per l’eccessiva velocità, e di frequente si arrestava e scorreva indietro; l’altro invece, recando una certa sorgente di onde e con sinuosi anfratti, errabondo, spumeggiava, con tutti i semi dei corsi d’acqua che fluiscono» (ivi, pp. 124-25). Le orbite dei due pianeti, Mercurio e luna, inseriti nello Zodiaco e paragonati a fiumi hanno un «giro piccolo» e sono «più stretti» «in ampiezza», in particolare Mercurio scorre all’indietro e mostra a Virtù i fiumi-pianeti che scorrono

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giù dal cielo e, insieme, saliranno attraverso i circoli dei pianeti alla ricerca di Apollo (che Dante colloca infatti, in alto, nel canto i del Paradiso). Appare chiaro che il «giro piccolo» del fiume Mercurio, mai libero dai gorghi (così in Scoto Eriugena), altro non sia che la «foce stretta» del canto xxvi. Tra quest’ultimo e il Paradiso troviamo indici cardinali che saldano l’asse cosmico. Sulla questione dei fiumi assimilati ai pianeti leggiamo: «i fiumi sono planetari. Dante che condivideva questa dottrina, la elaborò con dovizia di elementi paralleli» (Giorgio de Santillana – Hertha Von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi, Milano 2000, p. 237).

37 Graves, I miti greci, cit., p. 472.

38 Ermes suole presenziare alle fatiche d’Ercole, «Come dio dei passaggi, egli è infatti il compagno più appropriato dell’eroe nel suo ruolo di intermediario tra la terra, il cielo e l’Ade» (Stefano De Caro (a cura di), Ercole. L’eroe, il mito, Biblioteca di via Senato Edizioni, Milano 2001, p. 92).

39 Il carattere assiale e sacrale della montagna è testimoniato dai miti di diverse aree geografiche e nel tessuto parallelo di religioni differenti. Guénon, ricordando che la montagna è un simbolo primordiale, osserva: «lo schema della montagna, come quelli della piramide e del tumulo che ne sono gli equivalenti, è un triangolo con il vertice rivolto verso l’alto» (Guénon, Simboli della scienza sacra, cit., p. 189). Apollodoro, con parole più vicine al taglio del mio discorso, mostra la connessione fra Ercole e Atlante: «Eracle accettò, ma, con un inganno, ridiede il carico del cielo ad Atlante» (Apollodoro, I miti greci, a cura di Paolo Scarpi, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 2008, p.151). Ulisse si trova di fronte al «mistero della “montagna”» (Raimondi, Metafora e storia, cit., p. 50): asse del mondo e collegamento fra il mondo della trascendenza e quello dell’immanenza, fra vivi e morti. Virgilio narra del figlio di Giapeto che Erodoto trasformerà nella montagna situata nell’Africa settentrionale, e nell’Eneide, Atlante è sempre denominato reggitore dello Zodiaco (Axem umero torquet, stellis ardentibus aptum): «Presso le rive d’Oceano e il sole cadente / c’è l’ultimo lembo d’Etiopia, dove il massimo Atlante / regge a spalla la volta d’ardenti stelle preziosa» (Eneide, iv, 480-82; cfr. anche viii, 136-37). Magris inquadra la montagna come «archetipo del tempio costruito sulla terra» (Aldo Magris, Il mito del giardino di ‘Eden, Morcelliana, Brescia 2008, p. 51).

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Sovrapponendo simboli di immagini tradizionali alle visioni lampanti della Commedia, la griglia zodiacale aderisce simmetricamente al discorso dantesco. In basso, nel punto B, l’imum coeli il fondo del cielo, trova posto Giano guardiano dell’asse del mondo. Adiacente, nel segno del Capricorno, Ercole collegato a Giove (essendone figlio), quindi al Sagittario dove il padre degli dei ha il suo domiiclio, trova per nascita il suo luogo nel segno del Capricorno. Si colloca nell’arco di cerchio che va dal Capricorno al Sagittario, là dove si possono individuare le colonne d’Ercole. L’archetipo della montagna, che contiene sia il mito di Atlante che la montagna del purgatorio, può trovare una ragionevole collocazione concreta sulla linea dell’orizzonte dello Zodiaco.

40 Cfr. Chiarini, I cieli del mito. Letteratura e cosmo da Omero a Ovidio, cit., p. 64.

41 Cfr. anche il l. quarto, vv. 239-251 in cui il dio Cillenio trasvola il monte Atlante per raggiungere Enea.

42 Cfr. Guénon, Simboli della scienza sacra, cit., p. 95; Lisa Morpurgo, Introduzione all’astrologia e decifrazione dello Zodiaco, Longanesi, Milano 1980, p. 26.

43 Graves, La dea bianca, cit., pp. 381, 304.

44 Cfr. Franz Carl Endres – Annemarie Schimmel, Dizionario dei numeri. Storia, simbologia, allegoria, Red edizioni, Como 1991, pp. 105, 108, 106, 109; Elémire Zolla, Archetipi, Marsilio Editori, Venezia 1988, pp. 50-51.

45 Vernant, L’universo, gli dèi, gli uomini, cit., p. 118.

46 Ivi, p. 109.

47 La scala di «discesa e ascesa planetaria» viene indicata da Chiarini, per illustrare Il viaggio di Ulisse nell’Odissea e quello dell’ Enea virgiliano (Cfr. Chiarini, I cieli del mito, cit., pp. 208, 298).

48 Cfr. la Prefazione all’edizione tedesca di Hertha von Dechend, autrice della revisione

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del Mulino di Amleto fatta dopo la morte di de Santillana, in de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., p. 15.

49 Sul tema del “vortice” che crea il “cono” e la “frullatura cosmica”, cfr. Zolla, Archetipi, cit., pp. 70-71; e in toto de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit.; Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre e Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella, cit., pp. 125-26. Tolomeo collega Mercurio al «turbinio», ai «venti disordinati», ai tuoni, agli uragani (Tolomeo, Le previsioni astrologiche, cit., pp. 153, 35). Quando il pianeta ha aspetti malefici, come nel nostro caso, può dare difficoltà di navigazione; l’influenza astrologica del cattivo aspetto con la luna è più deleteria, verificandosi l’opposizione di 180 gradi tra la casa terza e nona («I viaggi e la terra straniera sono abitualmente legati alla iii e alla ix casa», ivi, p. 465).

50 Cfr. Marcel Detienne, Apollo con il coltello in mano, Adelphi, Milano 2002, p. 42.

51 de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., p. 318.

52 Guénon, La grandeTriade, cit., pp. 46-54 e passim.

53 A conferma di questa ermeneutica fondata sull’astrologia si vedano le coincidenti osservazioni di Lotman: «Ulisse viene ricordato per la seconda volta quando Dante entra nella costellazione dei Gemelli. Trovandosi nel punto che è esattamente agli antipodi rispetto al luogo del naufragio di Ulisse, Dante conclude il volo verso il meridiano delle colonne d’Ercole e ad altezza infinita ripete il viaggio di Ulisse finché non viene a trovarsi sopra il luogo della sua morte, sul meridiano Sion-Purgatorio. Qui, seguendo l’asse della caduta di Lucifero, che passa attraverso il luogo in cui è naufragata la nave di Ulisse, egli compie il volo verso l’Empireo. In questo modo è come se il suo viaggio fosse la continuazione di quello di Ulisse dal momento della morte di questi. Da allora è come se l’uno fosse il doppio dell’altro» (Jurij M. Lotman, Testo e contesto. Semiotica dell’arte e della cultura, Laterza, Roma-Bari 1980, p. 97.

54 Fatta salva la non conoscenza dantesca dell’Odissea ma anche tenuto conto della sempre aperta questione delle fonti della Commedia, dalla mia specola di artista non

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posso non constatare la coincidenza dell’inamovibile albero cosmico con l’inamovibilità del letto nuziale di Ulisse, da lui stesso ricavato nel vivo, radicato “olivo fronzuto”; doppio, a sua volta, dell’ “olivo frondoso” adiacente l’antro delle Naiadi, dove Omero localizza le due famose porte del xiii dell’Odissea, identificate da Porfirio, nell’Antro delle ninfe, con le porte solstiziali (sulle discussioni intorno all’attendibilità di tale interpretazione cfr. Chiarini, I cieli del mito, cit., pp. 252-57).

55 Cfr. Lotman, Testo e contesto. Semiotica dell’arte e della cultura, cit., p. 96; de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., pp. 238, 245.

56 Cfr. Mercuri, Comedía di Dante Alighieri, in Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana. Le Opere i, cit., p. 216.

57 René Guénon scrive che la lettera I «secondo Dante fu il primo nome di Dio: essa designa propriamente l’“Unità divina”, ed è per tale ragione che questo nome è il primo, l’unità dell’essere precedendo necessariamente la molteplicità degli attributi; essa è infatti l’equivalente dello iod ebraico, geroglifico del Principio e principio di tutte le altre lettere dell’alfabeto» (René Guénon, Considerazioni sull’esoterismo cristiano, Edizioni Studi delle Tradizioni, Firenze s.d., p. 86).

58 Sull’identità tra Giano e San Giovanni e sul simbolismo solstiziale di Giano, cfr. Guénon, Simboli della scienza sacra, cit., pp. 121, 212-215 e passim. Il regno di Giano nel Lazio è tradizionalmente legato all’età dell’oro. Ovidio nei Fasti ricorda le monete romane più antiche, con l’effigie di Giano da una parte, e la prua di una nave dall’altra (libro primo, 229-30), memoria dell’antica leggenda dell’arrivo della barca di Saturno, accolto da Giano nel Lazio, e di Giano coniatore delle proprie monete. Antica divinità del pantheon romano, priva di corrispondenze nella mitologia greca, da Macrobio viene definito «deus deorum». Nell’Eneide, Giano compare due volte come guardiano delle porte (libri vii, xii). Ovidio, nei Fasti, a più riprese chiarisce le sue funzioni: «Ecco, o Germanico, ti annunzia un anno felice / Giano, e per primo appare nel mio canto. / Giano bifronte, inizio dell’anno che tacito scorre, / tu che solo fra gli dei puoi vedere il tuo dorso, / sii propizio ai duci per opera dei quali la fertile / terra gode di serena pace, e così il mare; / sii propizio ai senatori e al popolo di Quirino / e dischiudi

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con un solo tuo cenno gli splendidi templi»; «Ma quale divinità dirò che tu sei, o Giano bifronte? / Infatti la Grecia non ha alcun nume simile a te. / Svelami anche la causa per cui tu solo dei celesti / puoi scorgere ciò che ti sta davanti e dietro il dorso. […] / E quello, tenendo un bastone nella destra e una chiave / nella sinistra, con la bocca anteriore mi disse queste parole: / “Deposto il timore, apprendi, operoso poeta dei giorni, / ciò che desideri sapere e tieni a mente quanto dico. / Mi chiamavano Caos gli antichi, – ch’io sono antica [divinità –”». Appare dunque, nel Giano-Caos una convergenza con l’attribuzione di portatore di caos data ad Ulisse (Lotman). Ovidio attribuisce all’antica divinità anche la funzione di portiere celeste che trova la sua collocazione, nello Zodiaco, nell’imum e nel medium coeli: «Presso di me è la custodia del vasto universo, il diritto / di volgerne i cardini è tutto in mio potere. / […] insieme con le miti Ore custodisco le porte del cielo, / e il fatto che Giove stesso ne esca e rientri è nelle mie [mansioni . / […] Ogni porta di qua e di là ha due facciate: di esse, / l’una guarda la gente, l’altra gli dei Lari. / Come il vostro portiere sedendo presso la soglia / del limitare della casa vede l’uscita e l’entrata, / così io, portinaio della reggia celeste, scorgo / insieme la parte orientale e quella occidentale» (Ovidio, Fasti, i, 63-70, 89- 99-103, 119-140). Inoltre, Giano si presenta «tenendo un bastone nella destra e una chiave nella sinistra» che possono essere letti come riferimento all’asse cosmico e al suo accesso. Il dio è vettore dell’axis mundi, agganciato al segno dei Gemelli e del Cancro, come scrive Claudia Cerchiai, citando Porfirio: «La prima porta del sole, quella del Cancro era quindi destinata agli uomini e alla manifestazione individuale, la seconda, quella del Capricorno, dava accesso agli stati sovraindividuali, ed era il passaggio tra due mondi, l’accesso al mistero, la porta degli immortali e anche il mese, gennaio, mese del Capricorno era la porta dell’anno e Giano infatti, era ritenuto presiedere la porta dello stesso Capricorno sulla via della liberazione dalle schiavitù del corpo» (Claudia Cerchiai, Augusto: Bilancia o Capricorno?, in Catalogo della mostra: Gli arcani delle stelle. Astrologi e astrologia nella Biblioteca Casanatense, Gaetagrafiche, Gaeta 1991, p. 169). Guardiano delle porte solstiziali, Giano si incastona nello Zodiaco segnando il tempo; poi metamorfizzato e assorbito dalla tradizione cristiana, il dio riemerge, ancora perturbante, nella cultura medioevale. In Marziano Capella («La decade poi va considerata al di sopra di tutti i numeri, poiché essa ha in sé tutti i numeri, con le loro differenti virtù e perfezioni. Essa, per quanto sia la fine della prima serie, viene in aiuto alla seconda monade. Essa racchiude tutti insieme le regole, le analogie, i generi, le specie, le differenze, le perfezioni e le imperfezioni dei numeri della prima serie ed è

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attribuita a Giano, anche se moltissimi la denominano apocatastasi», Scoto Eriugena, Remigio Di Auxerre, Bernardo Silvestre E Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella, cit., p. 438);

e nei suoi commentatori, così Remigio di Auxerre: «6, 1 (4, 3) Giano] è il dio dell’anno. Viene detto Giano [Ianus] poiché apre la porta [ianua] dell’anno. Perciò il mese di gennaio (Ianuarius) viene raffigurato bifronte a motivo dell’arrivo e della dipartita dell’anno. Da alcuni è raffigurato quadrifronte in ragione delle quattro stagioni dell’anno o delle quattro fasce climatiche»; «29, 16 (63, 19) allora Giano sulla soglia] opportunamente (Giano è posto) sulla soglia, poiché a Giano è consacrato ogni inizio. e le guardie di Giove dinnanzi al portale della reggia, presero posto. le guardie di Giove] ossia i suoi portinaî o messaggeri» (ivi, pp. 879, 957). Così Bernardo Silvestre: «[122] e Giano] il nome di Giano ha molteplici significati. Giano è il dio dell’inizio in molteplici figure, e perciò prende il nome da iano. Ritengono che costui sia la sapienza eterna di Dio» (ivi, p. 1869 e passim). Infine, il commentario dei codici di Berlino e di Zwettl: «Chiamiamo, infatti, Giano l’eterna sapienza di Dio, che è divinità dell’inizio, poiché rappresenta tutte le cose che hanno un inizio, ossia una nascita, ragion per cui da certuni la sapienza di Dio è chiamata archetipo del mondo […]. Attraverso la coppia di Giano e di Argiona può essere raffigurato il connubio fra l’eterna sapienza di Dio e la sfera celeste»; «Si può dire, poi, altrimenti che per mezzo di Giano si deve intendere la divina Provvidenza, che precede ogni atto, così come il principio precede ciò di cui è principio. Ora, questa provvidenza sta in piedi sulla soglia, ossia nel Nous, nell’intelletto, in cui Dio dispone ogni cosa» (ivi, pp. 2143-2144, 2285). Indagando intorno al mondo archetipico di Giano, Renato Del Ponte lo collega alle «funzioni “polari” del pontifex» e dimostra la derivazione di tale collegio sacerdotale da una originaria funzione reale e poi simbolica e assiale di «costruttore di ponti» e aggiunge che

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«a Giano (prima ancora che a Giove) si rivolge innanzi tutto l’agricoltore latino, nell’atto di tagliare le messi» (Renato Del Ponte, La religione dei Romani, Rusconi, Milano 1992, p. 119 e passim). Le stesse considerazioni e conclusioni erano già di Guénon che in Giano vide l’axis mundi, tramite «fra questo mondo e i mondi superiori», aggiungendo che al simbolismo di Janus sono associate «le due porte, celeste e infernale» (cfr. René Guénon, Il re del mondo, Adelphi, Milano 1982, pp. 19, 32).

59 Cfr., fra i tanti commentatori, Bruno Nardi, Dante e la cultura medievale, Laterza, Roma-Bari 1983, pp.129-130 e passim.

60 Pavel A. Florenskij, Il simbolo e la forma, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 282. Il passo prosegue: «Dunque, avendo proceduto sempre in linea retta ed essendosi capovolto una sola volta lungo il cammino, il poeta giunge al luogo di partenza nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato. Di conseguenza, se strada facendo non si fosse capovolto, lungo la retta egli sarebbe giunto al luogo di partenza a testa in giù. Perciò la superficie su cui Dante si muove è tale che, con un solo capovolgimento di direzione, la retta che si trovi porta a un ritorno al punto precedente in posizione eretta, laddove un moto rettilineo senza inversioni riporta al punto di partenza un corpo capovolto» (ibidem). Dante e Virgilio risalgono nelle viscere della terra e arrivano a vedere il cielo nel canto xxxiv dell’Inferno, risalgono sopra Lucifero, re dell’inferno, la cui posizione nel ghiaccio è opposta geometricamente al re del cielo. Scrive la Chiavacci Leonardi nell’Introduzione al canto: «Virgilio spiega dunque a Dante che a metà discesa essi han dovuto capovolgersi – mettendo la testa nella direzione delle gambe di Lucifero - perché passavano il centro di gravità del mondo, e si trovano quindi ora in piedi sul disco di roccia che forma l’altra faccia della Giudecca, con sulla testa l’emisfero celeste opposto a quello che ricopre le terre abitate. […] La posizione attuale di Lucifero è dunque a rovescio, a testa in giù, rispetto all’“alto” del mondo» (Chiavacci Leonardi, Introduzione al canto XXXIV, in Alighieri, Commedia. Inferno, cit., vol. i, p. 1006). Allo spazio in cui si trova Lucifero si accede attraverso un pozzo: «Come noi fummo giù nel pozzo scuro / sotto i piè del gigante assai più bassi» (Inferno xxxii, 16-17). Attraverso il pozzo si attua il processo del rovesciamento: Lucifero è rovesciato, percorrendolo Dante e Virgilio si rovesciano a loro volta. Non diversamente dal mundus dei miti fondativi, insieme pozzo e universo (cfr. Plutarco, Romolo, in Andrea Carandini (a cura di), La leggenda di Roma,

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Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 2006, p. 201; Ovidio, I Fasti, iv, 820 e sgg.; Diego Sabbatucci, Il mondo in un pozzo, in «Abstracta», 27, a. 3° giugno 1988, pp. 48-53), il pozzo infero è simmetrico al mondo supero, seguendo le coordinate simbolico-spaziali dello Zodiaco dove il nord è invertito col sud. Capovolti, il poeta e la sua guida potranno contemplare il cielo stellato, ma anche il nostro punto di vista deve invertirsi per poter visualizzare il monte del purgatorio-Atlante che apparirà ugualmente capovolto, dando luogo alla rappresentazione dello schema della precessione degli equinozi.

61 de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., p. 238.

62 Lotman, Testo e contesto, cit., p. 96.

63 de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., p. 287.

64 Lotman, Testo e contesto, cit., p. 93.

65 Cfr. Jacques Le Goff, Immagini per un Medioevo, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 124.

66 Intorno ai coni prodotti dai vortici cfr. nota 49; Guénon, in La grande triade identifica la doppia spirale conica con la figura dei serpenti del caduceo di Mercurio; sui serpenti zodiacali della Qabbalah si veda Giulio Busi, Qabbalah visiva, Einaudi, Torino 2005, p. 374.

67 Nardi, Dante e la cultura medievale, cit., pp. 133-34.

68 Filone Di Alessandria, Tutti i trattati del Commentario allegorico alla Bibbia, Rusconi, Milano 1994, pp. 196-97.

69 Lotman, Testo e contesto, cit. p.100.

70 Si intende che nella figura a ciascun triangolo ruota non insieme al suo speculare ma indipendentemente, rappresentando la parte ascendente e discendente dello Zodiaco. Nel capovolgimento si ottiene il monogramma del Cristo, molto frequente nell’iconografia

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medievale. Il viaggio, l’annegamento di Ulisse e la visione della montagna appaiono rovesciate rispetto alle case astrologiche e al movimento conico equinoziale: è il mondo rovesciato di Circe. Sarà Dante, ascendendo nell’axis mundi a ripristinare l’ordine cosmico.

Il rovesciamento può essere indicato anche con altre modalità, ma si ottiene sempre lo schema equinoziale e quello delle case astrologiche citate, punti fermi del canto xxvi e della Commedia. Seguendo lo schema classico di rappresentazione dell’Inferno e del Purgatorio danteschi (fig. b), si può affermare che, come indicato da Dante nel canto xxvi dell’Inferno, ruota la percezione dello spazio e, quindi, del Purgatorio, rimanendo fissa la posizione della terra, cioè la croce. Otteniamo ugualmente lo schema dei triangoli opposti e rovesciati che indicano i vortici della precessione degli equinozi, le cui estremità angolari sono inchiodate alla croce.

71 Lotman, Testo e contesto, cit, p. 97.

72 Saxl, La fede negli astri, cit., pp. 176-77. 73 Ritengo siano rispettate le condizioni necessarie perché si possa parlare di “pattern apocalittico”; rimando, per la conferma di questo aspetto, alle considerazioni di Alfonso M. Di Nola (a cura di), Apocalissi apocrife, Guanda, Parma 1986, pp. 16-18.

74 Apocalisse, 11, 2; 13, 5.

75 Graves, La dea bianca, cit., p. 331.

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76 Inoltre «Quarantadue è il numero di giorni tra l’inizio del mese di h, che è la preparazione del matrimonio di mezza estate con la conseguente morte orgiastica, e il giorno di mezza estate. È anche il numero dei giurati infernali che giudicarono Osiride» (Ivi, p. 332).

77 Apocalisse, 12, 1-4.

78 Cfr. Elémire Zolla, Che cos’è la tradizione, Adelphi, Milano 1998, pp. 222-26; e intorno agli esiti del quadrato, de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., pp. 88-89.

79 Per inciso ricordo che, come scrive Garin, anche Petrarca, nell’Africa, quando «vuole raffigurare il “Palazzo della Verità” – come lo chiama nel Secretum – colloca sui gioghi dell’Atlante una costruzione fantastica, tutta intessuta di segni astrologici e simile al castello che Ermete edificò in Egitto, secondo una tradizione magica medievale» (Eugenio Garin, Lo Zodiaco della vita, Laterza, Roma-Bari 1976, p. 29).

80 Per una fondamentale rassegna delle spiegazioni del contrappasso di Ulisse si veda Raffaele Giglio, Il volo di Ulisse e di Dante, Loffredo Editore, Napoli 1997, p. 93 e passim.

81 Il mito dell’esilio ebraico accompagna l’Antico Testamento. Anche la discendenza di Adamo e Adamo stesso, dopo la cacciata dall’Eden, sono in esilio in attesa del regno escatologico. Ezechiele e Giovanni quando scrivono i libri apocalittici che ispirarono Dante, come lui sono esuli, come Virgilio, non diversamente da Ulisse ed Enea.

82 Ricordo che Mercurio ha il suo domicilio nel segno dei Gemelli.

83 Sarà Enea, preceduto da Ulisse, a capovolgere il divorante rapporto padre-figlio presente nella mitologia greca e negli archetipi della cultura occidentale. Nel testo biblico è invece Abramo, strumento divino, ad anticipare un diverso rapporto padre-figlio che avrà il suo esito nella figura di Cristo (cfr. James Hillman, Saggi sul puer, Raffaello Cortina editore, Milano, 2003, in particolare il cap. Le ferite del puer e la cicatrice di Ulisse).

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84 Sulla funzione del vedere e sulla«visione assoluta» di Dante, Citati scrive: «Dante guarda; e vede tutto. Scorge i segreti di Dio e i suoi volti nascosti» (Pietro Citati, La luce della notte, Mondadori, Milano 1996, p. 145).

85 Non so indicare a quando risalga tale denominazione; ma del resto, al di là delle certezze testuali, non sapremo mai su quali mosaici, immagini, calendari illustrati, codici miniati, si sia specchiato l’occhio di Dante.

86 La sapienza astrologica di Salomone è attestata dall’ultimo libro dell’Antico Testamento: «Egli mi ha dato la vera conoscenza delle cose, / per comprendere il sistema dell’universo e la forza / degli elementi, / il principio, la fine e la metà dei tempi, / l’avvicendarsi dei solstizi e il succedersi delle stagioni, / i cicli degli anni e la posizione degli astri» (Sapienza, 7, 17-19). Sulla costruzione del tempio, oltre al testo biblico, rimandi interessanti riguardanti anche le conoscenze astrologiche di Salomone si trovano in Robert Graves – Raphael Patai, I miti ebraici, Tea, Milano 2003.

87 «mi hai ordinato di edificare un tempio sul tuo santo monte»: sono le parole di Salomone in Sapienza, 9, 8.

88 La dimensione simbolica e la sua decodificazione non accettano la misura della quantità ma sgranano la qualità, laddove l’accostamento dei simboli procede per consenso, armonizzazione e risonanza visiva. I segni aniconici di substrato dello Zodiaco e la iconografia che si è loro storicamente sovrapposta, possono veicolare significati anche a dispetto della parola.

89 Sulla “esade” cfr. Zolla, I mistici dell’Occidente, cit., p. 93; Filone Di Alessandria, Commentario allegorico alla Bibbia, cit., p. 28; Enrico Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, Edizioni mediterranee, Roma 2004, vol. II, p. 31.

90 Zolla, Archetipi, cit., p. 161.

91 Ricordo che, nella melotesia zodiacale, la coscia appartiene al segno del Sagittario (opposto a quello dantesco dei Gemelli). Scrive Hillman: «Una delle derivazioni

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etimologiche del nome di Ulisse (Ulixes in latino) è composta da oulos, che significa ferita, e da ischea, che significa coscia. Evidentemente la coscia ferita doveva essere essenziale alla sua natura, se ha dato a Ulisse il nome. […] Nel caso di Ulisse la ferita implica che egli è stato violato e aperto quando era ancora un ragazzo. La sua coscia ferita è una vulva simbolica, come la coscia di Zeus che fa nascere Dioniso. [segnalo che Zeus ha il suo domicilio zodiacale nella casa del Sagittario] […] Ulisse non è mai innocente, e questo è reso evidente nell’Odissea dal suo essere sempre nei guai. Non è innocente (innocere) a causa della sua ferita intrinseca, che è anche incorporamento simbolico della fecondità femminile. […] La cicatrice che lo fa riconoscere è il segno dell’anima nella carne. È il sigillo dell’anima, la psiche somatizzata. […] egli è l’emblema dell’uomo che è nato due volte […]. Ulisse era stato iniziato. L’iniziazione si riferisce alla transizione dalla coscienza unicamente puer, ferita e sanguinante, a una coscienza puer-et-senex, aperta e cicatrizzata» (Hillman, Saggi sul puer, cit., pp. 48, 49, 51, 53).

92 Nella Bibbia l’identificazione non è infrequente per mostrare la forza invincibile di Dio. Zolla cita numerosi esempi di tale attribuzione, da Firmico Materno che parla di «Dio della pietra», a Filone che chiama logos la pietra dove Giacobbe ha poggiato la testa quando ha la «visione della scala al cielo», ai cabalisti cristiani che «meditavano il vocabolo ebraico heven, “pietra”, composto di av “padre” e ben “figlio” e dalla loro colleganza o Spirito Santo» (cfr. Zolla, I mistici dell’Occidente, cit., pp. 66-67 e passim).

93 Cfr. Guénon, Simboli della scienza sacra, cit., pp. 184-92.

94 Chiarini, I cieli del mito, cit., pp. 207, 210, 211. Lo schema del «viaggio di Ulisse [nell’Odissea] come discesa e ascesa planetaria», riprodotto a lato, proviene da Chiarini, ivi, p. 208.

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95 Morpurgo, Introduzione all’astrologia e decifrazione dello Zodiaco, cit., p. 26.

96 A questo proposito de Santillana scrive: «I termini “equinozio di primavera”, “solstizio d’inverno”, ecc. vengono usati intenzionalmente, poiché il mito tratta del tempo – cioè di periodi di tempo che corrispondono a misure angolari – e non di zone dello spazio. Quest’ultimo particolare sarebbe trascurabile se non fosse per il fatto che i “punti” equinoziali – e quindi anche quelli solstiziali – non rimangono eternamente là dove dovrebbero essere per rendere più facile la comprensione delle faccende celesti, ossia nella stessa posizione rispetto alla sfera delle stelle fisse. Essi invece si ostinano a spostarsi lungo l’eclittica in direzione opposta a quella seguita dal sole nel suo percorso annuale, vale a dire contro l’ordine progressivo ‘giusto’ dei segni zodiacali (Toro l Ariete l Pesci, invece di Pesci l Ariete l Toro). A tale fenomeno, detto Precessione degli Equinozi, si attribuivano l’ascesa e la catastrofica caduta dell’età del mondo. La sua causa è un malvezzo dell’asse terrestre, il quale gira come una trottola con la punta al centro della nostra piccola ‘palla di terra’ […]. Gli equinozi, cioè i punti di intersezione dell’eclittica con l’equatore, che oscillano per il movimento dell’asse terrestre, si spostano lungo l’eclittica con la stessa velocità di 26000 anni.». (de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., p. 85. Cfr. anche p. 177 e le illustrazioni).

97 Molto eloquente l’osservazione di de Santillana: «Quando mai verrà, ci chiediamo, quel glorioso giorno in cui i filologi incominceranno a rendersi conto che i “sacrifici” e le “vittime” incatenate a un “palo sacrificale” o a una montagna hanno un significato puramente cosmologico?» (Ivi, p. 560).

98 Chiavacci Leonardi, Note integrative in Alighieri, Commedia. Inferno, cit., vol. i, p. 39.

99 Si confrontino le parole di Manilio: «Gli sta alle calcagna il Cane, disteso in corsa sfrenata, / di cui nessun astro sopravviene più violento alla terra / né più gravoso si ritira. Ora sorge tra brividi di freddo, / ora abbandona vuota alla vampa solare la volta abbagliante del cielo: / così spinge il mondo in due sensi e produce opposti gli effetti. […]

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così sollecita il mondo e lo governa col suo atteggiamento. […] Quasi non minore al sole, se non che si fissa / lontano, e freddo è il bagliore che raggia la faccia cerulea. / Gli altri astri sono sconfitti dal suo aspetto, né alcuno più lucente / si bagna nell’Oceano e torna dalle onde a rivedere il cielo». (Manilio, Il poema degli astri, I, 396-411, cit., vol. i, p. 43). Nel testo biblico le stelle sono indicate come parusia del Cristo: «Poiché le stelle del cielo e la costellazione di Orione /non daranno più la loro luce» (Is 13, 10); «Farò prodigi in alto nel cielo / e segni in basso sulla terra» (At 2, 19. Cfr. anche Is 34, 4; Gl 4, 15; Ap 6,13). Su Sirio si veda anche Alfredo Cattabiani, Planetario, Mondadori, Milano 1998, pp. 43, 163. de Santillana, citando Creuzer, definisce Sirio «prima stella del cielo, perno dell’astronomia arcaica. […] L’importante è che il ruolo straordinario di Sirio non sia un prodotto di stolte fantasie sacerdotali, bensì un fatto astronomico. Durante l’intera storia trimillenaria dell’Egitto antico, Sirio sorgeva ogni quattro anni al 20 luglio del calendario giuliano: in altre parole, non era influenzata dalla Precessione, il che dovette portare alla convinzione che Sirio fosse ben di più che una fra le tante stelle fisse». Aggiunge inoltre: «Già si sa abbastanza di Iside/Sirio come divinità protettrice dei naviganti a cui appartiene la carra navalis», e sospetta che anche la Stella Maris degli inni cristiani («Ave, maris stella / dei mater alma / atque sempre virgo / felix caeli porta») sia Sirio. L’autore ipotizza anche che nei versi dell’Odissea l’arrivo di Ulisse a Itaca sia annunciato dalla stella Sirio (cfr. de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., pp. 334, 335, 480-81, 478). Nella mia ipotesi, Dante santifica, metamorfizzandola, la forza sterminatrice di Sirio come appare anche nell’Eneide (iii, 141; x, 273).

100 Franco Piperno, Lo spettacolo cosmico, DeriveApprodi, Roma 2007, p. 42.

101 Manilio parla del “coluro” in questi termini: «e netto separa il Cancro dai Gemelli e sfiora il Cane che fiammeggia» (Manilio, Il poema degli astri, i, 622, cit., vol. i, p. 63; cfr. anche il Commento I, a cura di Simonetta Feraboli – Riccardo Scarcia, ivi, p. 254; il libro v, 207-09, p. 189 e il Commento V, ivi, vol. ii, p. 474).

102 Cattabiani, Planetario, cit., p. 142.

103 Tolomeo, Le previsioni astrologiche (Tetrabiblos), cit., p. 51.

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104 Cattabiani, Planetario, cit., p. 149.

105 Alighieri, Convivio, cit., p. 245.

106 Cattabiani, Planetario, cit., p.149.

107 Florenskij, Il simbolo e la forma, cit., pp. 251, 252.

108 Ivi, pp. 253, 252.

109 Lotman, Testo e contesto, cit., p. 81.

110 Busi, Qabbalah visiva, cit., p. 55.

111 Sulla coincidenza fra il vello d’oro e il segno zodiacale dell’Ariete si vedano: Elémire Zolla, La nube del telaio, Mondadori, Milano 1996, p. 26; Chiarini, I cieli del mito. Letteratura e cosmo da Omero a Ovidio, cit., p. 73; Piperno, Lo spettacolo cosmico, cit., p. 94; de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., p. 368.

112 Cfr. Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre e Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella, cit., pp. 129, 915, 1959, 1971.

113 Cfr. Carandini (a cura di), La leggenda di Roma, cit., p. 479 e passim.

114 Cfr. Saxl, La fede negli astri, cit., pp. 176, 134, 163.

115 «Quando domina da solo Saturno generalmente causa distruzioni ad opera del gelo; […] Sui prodotti agricoli agisce provocando carestia, penuria e distruzione soprattutto dei cibi di consumo quotidiano ad opera di bruchi o cavallette, alluvioni, rovesci di pioggia, grandinate o simili calamità, così da annientare per fame il genere umano»; «In posizione non dignificata, Saturno con Marte [anch’esso appartiene al segno del Capricorno] rende rapaci, predoni, truffatori, facili prede dei mali, avidi, atei, insensibili, prevaricatori,

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insidiatori, ladri, spergiuri, assassini, nutriti di illegalità, malfattori, omicidi, avvelenatori, sacrileghi, empi, profanatori di tombe e insomma furfanti in piena regola» (Tolomeo, Le previsioni astrologiche (Tetrabiblos), cit., pp. 147, 269, e passim). Cardano continuerà questa tradizione astrologica confermando le caratteristiche distruttive di Saturno: «Saturno influisce sulla plebe, sui vecchi e i deboli; per questo, essendo egli avverso alla vita, tutti costoro sono facili a morire, anche in massa» (Gerolamo Cardano, Aforismi astrologici, a cura di Giuseppe Bezza, Xenia Edizioni, Milano 1998, p. 38).

116 Cfr. Boll – Bezold – Gundel, Storia dell’astrologia, cit., p. 102. Si veda anche Hillman, Il sogno e il mondo infero, cit., p. 206.

117 , Il libro della misericordia, in Pereira (a cura di), Alchimia. I testi della tradizione occidentale, cit., p. 192. Si veda anche: Titus Burckhardt, Alchimia, Guanda, Parma 1986, p. 192 e passim.

118 Ricordo che con loci si intendono le case astrologiche (cfr. Boll – Bezold – Gundel, Storia dell’astrologia, cit., p. 133). Locus è il termine costantemente usato da Manilio e da tutta la tradizione astrologica. Per la discussione sulla «dottrina delle case astrologiche», cfr. Simonetta Feraboli – Riccardo Scarcia, Commento II, in Manilio, Il poema degli astri, cit., vol. i, pp. 359-60; Georg Luck, Commento, in Id. (a cura di), Arcana mundi. Magia e occulto nel mondo greco e romano, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano 1999, vol. ii, p. 352; Scoto Eriugena, Remigio di Auxerre, Bernardo Silvestre e Anonimi, Tutti i commenti a Marziano Capella, cit., p. 125; Pompeo Faracovi, Scritto negli astri, cit., p. 87; Edoardo Proverbio, Enciclopedia dell’universo, Teti Editore, Milano 1982, p. 236.

119 Cerchiai, Augusto: Bilancia o Capricorno?, in Catalogo della mostra: Gli arcani delle stelle. Astrologi e astrologia nella Biblioteca Casanatense, cit., pp. 167-68. Anche Luck nota che «Augusto fece divulgare il proprio oroscopo, e il simbolo del Capricorno, suo segno zodiacale natale, venne impresso sulle monete che egli fece coniare» (Luck, Introduzione, in Id. (a cura di), Arcana mundi. Magia e occulto nel mondo greco e romano, cit., p. 142).

120 Cfr. Carandini (a cura di), La leggenda di Roma, cit., p. 478.

193

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121 Cattabiani, Planetario, cit., p. 218.

122 Cfr. ibidem.

123 Brunetto Latini, Tresor, Einaudi, Torino 2007, p. 63.

124 de Santillana – Von Dechend, Il mulino di Amleto, cit., pp. 164, 315.

125 Ivi, pp. 313-14.

126 Chiarini vede nei viaggi di Enea e di Ulisse, intesi come discesa e ascesa planetaria, la coincidenza di Saturno con la città di Troia (cfr. Chiarini, I cieli del mito. Letteratura e cosmo da Omero a Ovidio, cit., pp. 208, 240 e passim).

127 Cfr. Burckardt, Alchimia, cit., pp. 71, 73, 77.

128 Graves, La Dea bianca, cit., p. 272.

194

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147

ALICE

Quando il pacificante quadrato di Pegaso faceva squadra da ogni lato e Sirio lentamente attraversava il cammino latteo dei morti, lo Zodiaco si formava nella notte del tempo: alluso dai luminari e dai quattro elementi primordiali nel Cantico a scala delle creature; debordato nella Commedia; fissato nella tavola zodiacale dell’Ultima Cena dove Giuda Iscariota rovescia il sale; venerato da Carlo Emanuele I nel tessuto della Sacra Sindone; presente nel Cristo Benedicente di Raffaello e nell’allegoria del Paese di Cuccagna di Pieter Brueghel; nel secolo XX il mito dello Zodiaco, disvestito dagli eroici linguaggi, si mostra nelle forme molli di una cultura che ha perso il centro perché relativistica, laddove anche la natura della luce, basata sul principio di indeterminazione, è incerta. Perduto il centro, l’uomo contemporaneo, diversamente da Dante e dagli antichi, si proietta in un cosmo non più sacralmente animato.La pupilla del mondo riappare in Buck Mulligan che «comparve dall’alto delle scale, portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio»; scende nelle vesti del «signor Bareggi» quando riso, burla, volo, ponte e pazzia affondano il coltello dell’umorismo nello squallore quotidiano, eluso da Alice che, annoiata dai libri senza figure, attraverso lo specchio e scendendo lungo un pozzo assai profondo, troverà «buffe quelle persone che camminano a testa in giù».

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197

CATALOGO DELLE OPERE

I, IV di copertina, p. 35

Circe dell’abisso, 2008oggetto composto e dipinto

p. 5

Dito celeste, 2008oggetto composto e dipinto

pp. VI, VII

Jota + albero cosmico, 2003particolaretecnica mista su telacm 100x100

p. 2

Dante dentro-fuori, 2008oggetto composto e dipinto

p. 4

Negromante, 2000tecnica mista su telaØ cm 30

p. 7

Caduceo, 1987olio su tela cm 80x120

p. 8

Circe uovo celeste, 2008oggetto composto e dipinto

p. 11

Circe testa in basso, 2008tecnica mista su telacm 100x100

Page 230: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

198

p. 12

Ermes – Ulisse, 2004tecnica mista su telacm 100x100

p. 21

Dioscuri, 2007oggetto composto e dipinto

p. 13

Fiamma antica, 2004tecnica mista su telacm 100x100

p. 15

Mercurio psicopompo, 2007particolaretecnica mista su telacm 60x60

p. 16

Lingua che parlasse, 2007particolaretecnica mista su telacm 100x100

p. 19

Folle volo, 2007tecnica mista su telacm 100x100

p. 22

Vento affatica, 2007particolareoggetto composto e dipinto

p. 24

Asse cosmico, 2009pennarello su cartacm 30x21

p. 25

Mercurio, 2008particolareoggetto composto e dipinto

p. 26

Ermes – Ulisse fra le colonne, 2008tecnica mista su telacm 140x100

Page 231: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

199

p. 29

Folle volo giallo, 2008tecnica mista su tela cm 140x100

p. 42

Sirene, 2009pennarello su cartacm 21x30

p. 30

Fu sovra noi richiuso, 2008particolaretecnica mista su telacm 100x140

p. 33

Precessione rossa, 2008oggetto composto e dipinto

p. 36

Morir gissi, 2008tecnica mista su tela cm 80x80

p. 39

Atlante in bicchiere, 2008particolareoggetto composto e dipinto

pp. 44-45

Triangolo rosso, 1990olio su telacm 60x120

p. 47

Belzebub, 2009pennarello su cartacm 30x21

p. 48

Cinque arancione, 2007acrilico su telacm 60x60

p. 50

Rosso Nostos, 2008particolareoggetto composto e dipinto

Page 232: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

200

p. 53

Montagna bruna, 2007tecnica mista su telacm 100x100

p. 63

Indovino 180°, 2007tecnica mista su telacm 100x100

p. 54

Dante + Ulisse, 2008oggetto composto e dipinto

p. 57

Inghiottito dal gorgo, 2008oggetto composto e dipinto

p. 58

Cherubino ruotante in bicchiere, 2008oggetto composto e dipinto

p. 61

Jota ruotante, 2000particolaretecnica mista su telacm 120x80

p. 64

Foce stretta, 2007tecnica mista su telacm 100x100

p. 65

Cono rosso, 2008oggetto composto e dipinto

p. 66

Asse solstiziale, 2009pennarello su cartacm 30x21

p. 67

Ascesa e discesa, 2008oggetto composto e dipinto

Page 233: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

201

p. 68

Zodiaco sotto, 1995tecnica mista su telacm 100x60

pp. 78-79

Discesa, 2008particolareoggetto composto e dipinto

p. 71

Apocalisse in bicchiere, 2008oggetto composto e dipinto

p. 73

Itaca Celeste, 2008particolareoggetto composto e dipinto

pp. 74-75

Precessione gialla, 2004Particolaretecnica mista su telacm 100x100

p. 76

Basso loco, 2008tecnica mista su telacm 100x100

p. 80

Cucchiaio contrappasso, 2008particolareoggetto composto e dipinto

p. 82

Mercurio in esilio, 2008particolaretecnica mista su telacm 140x100

p. 83

Vortice, 2000tecnica mista su legnoØ cm 30

pp. 84-85

Non uno ma tutti, 2009particolareacrilico su telacm 20x60

Page 234: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

202

p. 86

Contrappasso, 2008oggetto composto e dipinto

p. 97

Albero che si lava la sera, 2004 tecnica mista su telacm 100x100

p. 88

Opposizione 180°, 2008tecnica mista su tela cm 60x60

p. 89

Apocalisse divorante, 2008tecnica mista su telacm 60x60

p. 93

Mundus, 2008oggetto composto e dipinto

p. 94

Frullatura del tempo, 2008oggetto composto e dipinto

p. 98

Veltro, 2005tecnica mista su legno Ø cm 50

p. 100

L’occhio del ciclope, 2009pennarello su cartacm 21x30

p. 105

Barca in alto, 2003tecnica mista su telacm 100x100

p. 106

Sirio – Veltro, 2003particolaretecnica mista su telacm 40x30

Page 235: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

203

p. 111

ε+з, 2008tecnica mista su telacm 60x60

p. 112

Veltro 5, 2009pennarello su cartacm 21x30

p. 115

Stelle propinque, 2007tecnica mista su tela cm 100x100

p. 116

Il cappello pontificale, 2009pennarello su cartacm 30x21

p. 118

Cono, 2008particolareoggetto composto e dipinto

p. 120

Lupa, 2009pennarello su cartacm 30x21

pp. 122-23

La lupa, 2009particolareoggetto composto e dipinto

p. 127

Giano, 2009pennarello su cartacm 21x30

p. 129

Porta di Troia, 2008particolareoggetto composto e dipinto

p. 130

Jota rosso, 2000particolareacrilico su tela cm 30x20

Page 236: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

204

pp. 132-33

Cinque rosa, 1985olio su telacm 80x120

p. 136

Nostos inverso, 1995oggetto composto e dipinto

p. 139

Jota nero rovesciato, 2000tecnica mista su telacm 100x100

p. 140

Gorgo, 2002particolareinstallazione S.A.F.A., Cagliari

p. 143

Penelope, 2008oggetto composto e dipinto

p. 144

Cibo, 1990particolaretecnica mista su telacm 30x20

p. 145

Cibo + ε, 1980oggetto composto e dipinto

p. 146

3 rosette, 2005particolareinstallazione Saint Mark in Bowery, New York

pp. 148-49

Croce zodiacale, 1980 particolaretecnica mista su legnoØ cm 30

p. 150

Di retro al sol, 2005tecnica mista su telacm 100x100

Page 237: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

205

p. 155

Turbo, 2005acrilico su telacm 100x100

p. 158

Sagittario, 2005tecnica mista su telacm 100x100

p. 165

Albero vortice, 2003tecnica mista su telacm 100x100

p. 166

Tavola imbandita, 2008particolareinstallazione Cittadella dei Musei, Cagliari

p. 169

Alto passo + Atlante, 2008tecnica mista su telacm 100x100

p. 170

Alto passo, 2007tecnica mista su telacm 100x100

p. 173

Archetipo, 2008oggetto composto e dipinto

p. 174

Canto delle sirene, 2008oggetto composto e dipinto

p. 176

Giano-caos, 2005tecnica mista su telacm 100x100

p. 179

La tela nel ventre, 2008tecnica mista su telacm 100x100

Page 238: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

206

p. 180

Cherubino ruotante, 2000particolaretecnica mista su legnoØ cm 30

p. 185

Indovino con cappello, 2005 tecnica mista su telacm 120x80

p. 189

Spostamento aureo, 2004tecnica mista su telacm 100x100

p. 190

Canicola, 2000particolaretecnica mista su telacm 120x120

p. 198

Mela con bicchiere, 1975foto di oggetto composto

p. 209

Giano giallo, 2008tecnica mista su telacm 100x100

p. 195

Circe verde, 2004oggetto composto e dipinto

Referenze fotografiche

Pierluigi Dessìpagine 29, 63, 64, 76, 82, 84, 98, 106, 158, 169, 170, 179

Stefano Grassipagina 44

Luigi Mancapagine VI, 11, 15, 16, 19, 26, 30, 36, 48, 53, 74, 88, 89, 105, 111, 115, 150, 155, 165, 176, 185, 189

Anna Marceddupagina 144

Mauro Rombipagine 4, 7, 12, 13, 61, 68, 83, 122, 130, 132, 136, 139, 140, 145, 146, 148, 180, 189

Daniela Zeddapagine I e IV di copertina, 2, 5, 8, 21, 22, 33, 39, 50, 54, 57, 58, 65, 67, 71, 73, 78, 80, 86, 93, 94, 97, 118, 129, 143, 166, 173, 174, 195

Le illustrazioni e la foto di p. 209 sono di Alberto Soi

Page 239: Antonello Dessì – IL TEMPO DI ULISSE, IL TEMPO DEL VELTRO

207

LEGENDA

I pianeti

Sole

Luna

Mercurio

Venere

Marte

Giove

Saturno

Gli aspetti

congiunzione 0°

opposizione 180°

trigono 120°

quadrato 90°

sestile 6°

quinconce 150°

I segni

Ariete

Toro

Gemelli

Cancro

Leone

Vergine

Bilancia

Scorpione

Sagittario

Capricorno

Aquario

Pesci

Alle case III, IV, IX e X spettano i domicili (loci) dei seguenti pianeti: Mercurio ( ), Luna ( ), Giove ( ), Saturno ( ).

Il segmento AB rappresenta l’asse solstiziale denominato anche axis mundi, asse cosmico, albero cosmico o corno dell’unicorno celeste.

Zodiaco

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AngolareRiferito agli angoli della carta del cielo; si trova vicino o sopra il medium coeli, l’imum coeli, l’ascendente o il discendente. Riferito alle case, rispettivamente vicino alla X, alla IV, alla I e alla VII.

AscendentePunto d’inizio del sistema delle 12 case astrologiche. Frutto dell’intersezione dell’orizzonte orientale e dell’eclittica.

AspettoDistanza celeste o angolare geocentrica tra due pianeti.

CardinaleIl segno del Cancro, del Capricorno, dell’Ariete e della Bilancia.

CaseLe dodici divisioni della carta del cielo.

CongiunzioneAspetto o distanza celeste tra due pianeti tra 0° e 8°, conside-rato nefasto.

Esilio Stato di un pianeta che si trova nel segno opposto a quello da lui governato. Considerato punto nefasto.

Imum coeliPunto simmetricamente opposto al medium coeli e inizio della IV casa, quella del Capricorno.

Leso, afflittoDicesi di un pianeta in condizione nefasta.

LuminariIl Sole e la Luna.

Medium coeliSi trova tra i Gemelli e il Cancro nella circonferenza zodicale: nel grado dell’eclittica che raggiunge il punto più alto al meri-diano di un luogo. Si colloca al punto più alto dello zodiaco.

OpposizioneDistanza angolare geocentrica o angolo tra due pianeti di 180°. Considerato segno di antitesi tra i valori di due pianeti.

Precessione degli equinoziMovimento oscillante dell’asse di rotazione della Terra cau-sato dall’attrazione esercitata dal Sole e dalla Luna sull’equa-tore.

QuinconceAspetto in cui due pianeti si trovano a una distanza di 150°. Considerato apportatore di tensione, con possibilità evolutive.

SolstizioEntrata del Sole nel segno del Cancro, in estate, e nel segno del Capricorno, in inverno.

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Font utilizzati:Museo, Jos Buinvega, exlibris 2008;Celeste, Cristopher Burke, FontFont 1995;Thesis (TheSans condensed), Lucas de Groot, LucasFont, 2000.

Finito di stampare nel mese di ottobre 2009per conto di Maria Pacini Fazzi editore - Lucca

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La Circe dell’Abisso è tentatrice più di qualunque altra donna.Pessoa

€ 20,00