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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 1 L'approccio centrato sul cliente nella terapia della balbuzie con gli adulti Antonella Spanò La balbuzie è un fenomeno molto complesso e quindi ogni sua definizione appare riduttiva. Premesso ciò, si riportano ora tre definizioni che hanno riscosso particolare consenso per la loro esaustività. La prima definizione importante è quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: «la balbuzie è un disordine nel ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà» (W.H.O., 1977: trad. a cura di Zmarich, 1998). Johnson sostiene che l'essenza della balbuzie non risiede nella bocca del parlante, ma nell'orecchio dell'ascoltatore; se fosse così allora le disfluenze sarebbero il sintomo più sicuro e patognomonico della balbuzie (Williams, Silverman & Kools, 1968). A proposito di ciò, Zmarich (1991:495) sostiene che "... la balbuzie è sempre stata associata in modo diretto alla percezione dell'ascoltatore e in modo indiretto ai suoi pregiudizi e ai suoi riferimenti culturali. Per l'ascoltatore infatti è possibile distinguere alcune disfluenze come episodi di balbuzie o come normali disfluenze confrontando la produzione di questi soggetti con le proprie categorie cognitive". Ma che cosa s'intende con il termine "disfluenze"? Secondo la definizione fornita da Wingate (1984), la disfluenza è una qualsiasi interruzione o modificazione della fluenza, cioè della scorrevolezza con cui si legano insieme le unità della produzione verbale. Starkweather (1987), basandosi su questa definizione che pone l'accento sugli aspetti della continuità e della sequenzialità del parlato naturale, osservò che metà del tempo utilizzato dai così detti "normofluenti" per parlare è impiegato per produrre sintagmi che non sono più lunghi di tre parole, e che sono separati da una pausa. Anche i normoparlanti sono quindi disfluenti. In generale gli studiosi si sono dunque trovati ad accettare la teoria della "continuità" tra le disfluenze dei normoparlanti e dei balbuzienti

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L'approccio centrato sul cliente nella terapia della balbuzie con gli adulti Antonella Spanò

La balbuzie è un fenomeno molto complesso e quindi ogni sua definizione appare riduttiva.

Premesso ciò, si riportano ora tre definizioni che hanno riscosso particolare consenso per la loro esaustività.

La prima definizione importante è quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: «la balbuzie è un disordine nel ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà» (W.H.O., 1977: trad. a cura di Zmarich, 1998).

Johnson sostiene che l'essenza della balbuzie non risiede nella bocca del parlante, ma nell'orecchio dell'ascoltatore; se fosse così allora le disfluenze sarebbero il sintomo più sicuro e patognomonico della balbuzie (Williams, Silverman & Kools, 1968). A proposito di ciò, Zmarich (1991:495) sostiene che "... la balbuzie è sempre stata associata in modo diretto alla percezione dell'ascoltatore e in modo indiretto ai suoi pregiudizi e ai suoi riferimenti culturali. Per l'ascoltatore infatti è possibile distinguere alcune disfluenze come episodi di balbuzie o come normali disfluenze confrontando la produzione di questi soggetti con le proprie categorie cognitive". Ma che cosa s'intende con il termine "disfluenze"? Secondo la definizione fornita da Wingate (1984), la disfluenza è una qualsiasi interruzione o modificazione della fluenza, cioè della scorrevolezza con cui si legano insieme le unità della produzione verbale.

Starkweather (1987), basandosi su questa definizione che pone l'accento sugli aspetti della continuità e della sequenzialità del parlato naturale, osservò che metà del tempo utilizzato dai così detti "normofluenti" per parlare è impiegato per produrre sintagmi che non sono più lunghi di tre parole, e che sono separati da una pausa. Anche i normoparlanti sono quindi disfluenti. In generale gli studiosi si sono dunque trovati ad accettare la teoria della "continuità" tra le disfluenze dei normoparlanti e dei balbuzienti

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(Bloodstein, 1974; 1995). Zmarich (1999: 101 -102) a proposito di balbuzie, fluenze e disfluenze

sostiene che: La definizione e la diagnosi tradizionali di balbuzie si basano sulla rilevazione uditiva e valutazione qualitativa delle disfiuenze, che pel numero, tipo, durata e posizione sono giudicate anomale e qualificano chi le produce come balbuziente.

La fluenza è multidimensionale, e un parlato fluente oltre ad essere privo di discontinuità sarà anche prodotto con una scansione ritmica regolare, in modo rapido e senza eccessivo sforzo sia fisico che mentale [...]. Infatti è ben conosciuto in letteratura il caso di balbuzienti che non presentano disfluenze [...]. Questi soggetti sono affetti da "covert/subperceptual stuttering" e avvertono spesso nel parlare livelli eccessivi di sforzo muscolare e "tensione" cognitiva che possono sfuggire all'occhio e all'orecchio del clinico.

La seconda, detta "definizione standard", è quella di Wingate (1964:315), secondo cui il termine balbuzie significa: un disordine nella fluenza di espressioni verbali che è caratterizzato da ripetizioni o prolungamenti involontari, udibili o silenti nell'emissione di brevi elementi del parlato, vale a dire: suoni, sillabe e parole di una sillaba. Queste interruzioni occorrono frequentemente o sono ben definite e non sono facilmente controllabili dal soggetto. Talvolta le interruzioni sono accompagnate da attività accessorie come gesti collegati al parlato, caratteristiche verbali, spostamenti ausiliari del corpo. Inoltre molto spesso vengono riferiti stati emozionali che vanno da una generale condizione di "eccitamento" o "tensione" a più specifiche emozioni di natura negativa come paura, imbarazzo, irritazione, frustrazione, vergogna, o simili.

La manifestazione più visibile della balbuzie è rilevabile in qualche incoordinazione espressa nel meccanismo periferico del parlato relativo alla produzione verbale.

La terza definizione è tratta dal DSM-IV (autori vari, 1996: 80-82):

Criteri diagnostici per la balbuzie: O Un'anomalia del normale fluire e della cadenza dell'eloquio (inadeguati per l'età del soggetto) caratterizzata dal frequente manifestarsi di uno o più dei seguenti elementi:

1. ripetizioni di suoni o sillabe 2. prolungamento di suoni , 3. interiezioni 4. interruzioni di parole (cioè pausa all'interno di una parola) 5. blocchi udibili o silenti (cioè pause del discorso piene o vuote) 6. circonlocuzioni (sostituzioni di parole per evitare parole problematiche) 7. parole emesse con eccessiva tensione fisica 8. ripetizioni di intere parole monosillabiche

O L'anomalia di scorrevolezza interferisce con i risultati scolastici o lavorativi, oppure con la comunicazione sociale.

L'entità dell'anomalia varia da situazione a situazione, e spesso è più grave quando vi è una speciale pressione a comunicare. La balbuzie è spesso assente durante la lettura corale, il canto, il colloquio con oggetti inanimati o animali.

Secondo il Dott. Piero D'Erasmo la balbuzie non è una malattia né un

difetto. È una sofferenza in quanto comporta nello stesso tempo disfluidità verbale, tensione emotiva, ansia sociale e può condizionare anche le scelte personali. Superarla quindi vuoi dire migliorare la qualità della propria vita

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di relazione e aumentare la stessa libertà di azione. Due sono le caratteristiche fondamentali del disturbo: esso è relazionale

in quanto si manifesta in presenza di uno o più interlocutori e variabile perché varia a seconda della qualità e della quantità degli interlocutori e inoltre varia negli anni e persino nell'arco della giornata a seconda della situazione interna al soggetto o esterna ambientale. Le difficoltà si manifestano quasi sempre con esitazioni, ripetizioni e blocchi della parola.

Le ultime quattro conferenze internazionali tenute in Olanda e organizzate dall'Università di Nijmegen (Olanda) nel 1985 (Peters & Hulstijn (1987), nel 1990 (Peters, Hulstijn & Starkweather, 1991), nel 1996 (Hulstijn, Peters & van Lieshout, 1997) e nel 2001 (Maassen, Hulstijn, Kent, Peters, van Lieshout, 2001 ), sono testimonianza del fatto che negli ultimi anni vi è stato un nutrito numero di indagini eziologiche aventi per oggetto il livello della causa e quello connesso della menomazione. In particolar modo nelle ultime due conferenze è stata presentata una numerosa serie di studi di brain imaging condotti su soggetti balbuzienti. Sino al 2001, sette equipe differenti, hanno sottoposto 65 soggetti balbuzienti e oltre 121 non balbuzienti, a tecniche d'indagine quali SPECT, PET e fMRI. In questi esperimenti i partecipanti sono stati sottoposti a diverse condizioni: mentre balbettavano, parlavano senza balbettare, erano a riposo, oppure prima e dopo l'intervento terapeutico. Queste ricerche hanno prodotto almeno 15 studi di brain imaging da cui si evince che:

- nel parlato disfluente e fluente del balbuziente sono profondamente danneggiati i processi cerebrali di tipo semantico, sintattico, fonologico e articolatorio, quelli connessi dunque, alla produzione del parlato.

- nel balbuziente, alcune aree cerebrali quali la corteccia prefrontale, frontale e il cervelletto risultano avere un pattern di attivazione non regolare.

- durante la produzione del parlato, i balbuzienti hanno un'attività cerebrale maggiore nell'emisfero destro rispetto ai non balbuzienti.

Una delle regioni cerebrali che riveste un ruolo importante nel focalizzare l'attenzione durante un compito di performance è la regione cingolata anteriore (Damasio, 1994; Posner & Petersen, 1990). Si è riscontrato che nei balbuzienti questa regione ha una maggiore attivazione rispetto ai normoparlanti. Solitamente, nei normofluenti, l'attivazione di questa regione cerebrale durante l'esecuzione di un compito è collegata ad un aumento dell'attenzione selettiva, ad un maggior coinvolgimento emotivo e ad una riduzione d'automaticità. La maggiore attivazione di quest'area cerebrale nei balbuzienti, dunque, potrebbe essere una spiegazione valida alla loro consueta perdita d'automaticità e d'integrazione naturale dei processi linguistici ed articolatori durante gli episodi di balbuzie.

Nel mese di Novembre 2005, quattro fra i più importanti esperti di balbuzie hanno presentato i risultati delle loro ultime ricerche al convegno "American Speech- Language-Hearing Association" a San Diego (California).

Si tratta dei dottori Tennis Drayna (NIDCD, National Institute on Deafness and Other Communication Disorder), Chrristine Weber - Fox (Pur due University), Ann Foundas (Tulane University) e Generald Maguire (University of California-lrvine) che hanno partecipato ad una sessione intitolata "Correlazioni genetiche e neurologiche della balbuzie". Nella sessione

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coordianata dal dottar C. Ludlow (NIDCD), i quattro studiosi hanno focalizzato le loro presentazioni sullo stato dell'arte della ricerca nella comprensione dei fattori genetici e neurologici che contribuiscono all'insorgenza della balbuzie.

Le prove a favore dei fattori genetici sono schiaccianti, giocando questi un ruolo in almeno la metà di tutti i casi studiati.

La balbuzie, che colpisce un adulto su 100 è dovuta a un'anomalia dell'emisfero sinistro del cervello. Lo rivela uno studio di ricercatori tedeschi. Un gruppo di studiosi delle università di Amburgo e Gottingen hanno messo a confronto con la risonanza magnetica i cervelli di 1 5 persone che balbettavano e quelli di altrettante persone che non soffrivano di questo disturbo e hanno scoperto che c'erano delle differenze nei tessuti dell'area del cervello che controlla la laringe e la lingua.

Un'anomalia strutturale del cervello è alla base della balbuzie persistente. La balbuzie persistente è un disturbo a base genetica che affligge circa l'1

per cento degli adulti. Martin Sommer e colleghi sottoponendo 30 volontari (di cui 15 affetti da balbuzie persistente) a risonanza magnetica si sono accorti che ai balbuzienti mancavano alcune connessioni tra le aree corticali del linguaggio, nell'emisfero destro del cervello.

Secondo i ricercatori questa anomalia probabilmente si verifica durante la fase di acquisizione del linguaggio, un periodo in cui molti bambini balbettano.

È un dato di fatto che i normali processi di produzione del linguaggio hanno sede nell'emisfero sinistro. Sembra, invece, che nel parlato disfluente e in maniera minore, in quello fluente del balbuziente vi sia una maggiore attività dell'emisfero destro rispetto al sinistro. Ciò porterebbe a pensare che nel balbuziente sia presente una riorganizzazione profonda dei processi che coinvolgono il linguaggio e che questa ristrutturazione non sia dovuta ad un semplice processo di natura cognitiva.

Possiamo comunque concludere che ci sono state innumerevoli teorie sulle possibili cause della balbuzie e più ricercatori in ogni parte del mondo attualmente sono coinvolti nella difficoltà di scoprire esattamente che cosa c'è sotto a questa condizione. Quindi, non si è ancora sicuri, ma si sa che è improbabile che la balbuzie sia causata da un solo particolare fattore. Invece è molto più verosimile che la balbuzie sia il risultato di una combinazione di fattori che rendono una persona più vulnerabile di un'altra. Per questa ragione è spesso chiamata "multifattoriale".

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Struttura della balbuzie

Questo diagramma (preso dal sito del Michael Palin Center) mostra i vari fattori che sono stati collegati allo sviluppo della balbuzie. Ogni persona che balbetta probabilmente ha differenti combinazioni o è "insidiato" da questi fattori, che hanno contribuito alla sua vulnerabilità alla balbuzie. Può anche succedere che questa struttura non si adatti ad alcun caso, ovvero che non funzioni; qualche volta sembra che non ci sia una ragione del perché un particolare bambino abbia un problema di balbuzie. Questo fa capire la complessità del problema.

Fattori fisiologici

Si riferiscono alle caratteristiche con cui la persona è nata - il suo corredo genetico. A volte si parla di "natura contro cultura", l'incrocio tra ciò che è stato ereditato e l'ambiente in cui siamo nati. Anche la balbuzie sembra essere una mistura fra natura e cultura. Per alcuni vi è un definito legame genetico, un parente stretto che ha avuto o che ancor ha un problema di balbuzie.

Sesso

I ragazzi sono più vulnerabili - non si sa perché, ma i maschi sono più a rischio delle femmine nei problemi di parola, linguaggio e scrittura.

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Abilità motorie orali

Questo è collegato alla pianificazione e coordinazione dei movimenti di articolazione - lingua, mandibola, corde vocali ecc. Alcune ricerche hanno mostrato differenze nelle abilità orali delle persone che balbettano - queste possono essere più lente o meno coordinate, ma le differenze sono così sottili che sono impercettibili senza un adeguata attrezzatura scientifica.

Ricerche sul funzionamento cerebrale

L'immagine cerebrale è una nuova e molto complicata area di ricerca negli adulti che balbettano. Le prime scoperte suggeriscono che, in alcuni adulti che balbettano, certi aspetti del linguaggio possono essere elaborati in differenti aree del cervello. Quello che non è tuttora chiaro è se questo sia alla radice del problema balbuzie o un risultato della difficoltà di parola. Siccome non è eticamente possibile effettuare questi esperimenti con i bambini, i risultati non possono essere generalizzati alla popolazione più giovane.

Fattori della parola e del linguaggio

Come è stato detto precedentemente, la balbuzie generalmente emergere nel periodo in cui il sistema di linguaggio del bambino si sviluppa rapidamente. È stato suggerito che questo incremento drammatico nelle abilità linguistiche potrebbe sovraccaricare il sistema della fluenza e sostenere la frequente osservazione fatta dai genitori che "il suo cervello sta andando più veloce della sua bocca".

Sembra che ci siano abbastanza prove che legano lo sviluppo del linguaggio dei bambini allo sviluppo della balbuzie. Infatti, alcuni ricercatori sono abbastanza convinti che all'insorgenza della balbuzie ci possa essere un sottostante problema di parola o linguaggio che è stato mascherato o nascosto. Come tutti i fattori nella balbuzie, questo non sembra essere valido per tutti i bambini. Alcuni sono un po' lenti nel loro modo di parlare mentre altri sembrano essere molto evoluti. Il concetto dunque non è ancora chiaro. Comunque, una cosa che si osserva nella pratica clinica è che quando i bambini provano ad usare un linguaggio complicato, spesso balbettano di più. Anche quando è richiesto loro di spiegare qualcosa, o sono eccitati nel raccontare qualche storia e magari provano a parlare velocemente - poi la fluenza può guastarsi. La fluenza sembra crollare più frequentemente in parole più lunghe e in frasi complicate. È più probabile che accada all'inizio di un periodo o frase e con le parole meno familiari.

Fattori sociali e ambientali

I genitori e i familiari non sono la causa della balbuzie del bambino, ma l'ambiente in cui il bambino vive è molto importante. Le attitudini, i

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comportamenti o eventi che accadono a casa o a scuola hanno un impatto sui bambini in tutti i tipi di direzioni, inclusa la loro fluenza. La maggior parte delle famiglie moderne conducono uno stile di vita molto frenetico e richiestivo. Ci sono molte cose da organizzare e ricordare, più programmi di attività, posti in cui essere, vestiti da trovare, ore dei pasti, del riposo, vita sociale! Ci sono domande costanti e pressioni, momenti di divertimento e di conflitto, ansie e preoccupazioni di salute - tutte parti di una vita normale. Alcuni bambini che balbettano possono trovare difficoltà a mantenere lo stesso passo, o possono ugualmente provare a farsi strada. Comunque, il fatto è che balbettare ed uno stile di vita frenetico, non vanno molto d'accordo, sentire sotto pressione.

Fattori emozionali e psicologici

Viene spesso chiesto se la balbuzie del bambino può essere stata causata da un trauma o uno sconvolgimento nella famiglia. Non ci sono evidenze nella ricerca che questo possa accadere, ma ci sono molti aneddoti che collegano la balbuzie a tutte le tipologie di eventi. Per esempio un nuovo fratellino, l'inizio della scuola o dell'asilo, essere stati sgridati, una malattia, un incidente, ecc. Nonostante questi eventi siano ovviamente importanti, essi sono anche eventi che accadono nella vita di molte famiglie, spesso senza ovvie conseguenze per la fluenza del bambino. Sembra più verosimile dall' esperienza clinica che, mentre questi eventi importanti possono avere inizio nello stesso momento in cui il bambino ha iniziato a balbettare, questi stessi possono aver dato l'avvio ad un bambino la cui parola era già vulnerabile e potrebbero non essere la causa del problema.

Personalità

Spesso si suppone che le persone che balbettano sono timide o nervose. In realtà questo non è vero. I bambini e gli adulti che balbettano hanno esattamente lo stesso tipo di personalità che si può riscontrare nei normofluenti. Tuttavia, la balbuzie può influenzare l'autostima di una persona e la fiducia in se stesso in alcune situazioni - timidezza o reticenza possono essere il risultato della balbuzie. Molti genitori riferiscono che i loro bambini possono essere un po' sensibili o ansiosi o perfezionisti (caratteristiche di molti bambini), ma mentre questi tratti non causano la balbuzie, può essere che un bambino che balbetta sia più sensibile per la sua balbuzie e più consapevole delle difficoltà e di sbagliare. Viceversa, un bam-bino che è più calmo e rilassato sulla vita può non essere così affetto da momenti di esitazione o da un parlato dissestato. Diventa quindi importante considerare le questioni che possono influenzare il recupero del problema e se ci sono altri fattori che influenzano il mantenimento della balbuzie.

Come afferma Carolyn B. Gregory (in "Empathic Concepì of Kohut and Rogers", pag. 315-316) le persone che balbettano possono essere particolarmente predisposte a sviluppare problemi di autostima, spesso sono persone che hanno sperimentato una frustrazione o una vergogna eccessiva

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all'interno della loro famiglia, nell'ambiente scolastico e nello stabilire normali relazioni sociali e di lavoro.

Nei bambino piccolo, il fatto che emerga proprio la balbuzie, potrebbe essere il riflesso di un qualcosa che non funziona in modo ottimale nell'ambiente emotivo del bambino. Nella maggior parte delle famiglie questa non è una problematica seria, ma può capitare che la famiglia abbia ritmi troppo veloci, troppa pressione temporale, troppe attività; che entrambi i genitori lavorino, parlino troppo velocemente; che vi sia una relazione tra fratelli un po' troppo competitiva; la madre sia impegnata con un nuovo figlio o il padre troppo legato ad un figlio più grande. Queste condizioni potrebbero non essere minacce serie per la crescita del SE', a condizione che la parola e il linguaggio si stiano sviluppando normalmente, ma i bambini che sono predisposti a sviluppare questo disturbo possono risentire di questi o altri eventi, che a loro volta possono determinare, mantenere o accentuare la balbuzie.

Nei bambini più grandi, negli adolescenti o negli adulti la connessione tra il concetto del SE'e la balbuzie e più ovvia. Una volta che la balbuzie si è stabilizzata, è più probabile che i genitori abbiano più difficoltà a considerare con piacere il ragazzo e a provare orgoglio e gioia per quello che sta facendo. La balbuzie quindi può ostacolare il crearsi di una relazione positiva tra genitori e figlio, e nella maggior parte dei casi impedisce al ragazzo di crearsi amicizie stabili. A volte la balbuzie può interferire con il normale relazionarsi tra coetanei, tra l'alunno che balbetta e i suoi professori, con le figure di riferimento e può influire sulla scelta lavorativa e di un compagno di vita.

Secondo Rogers il bambino è munito di un sistema innato di motivazione, la Tendenza Attualizzante, e di un sistema innato di controllo, che è il processo di valutazione "organismico"; questi sistemi comunicano internamente all'individuo mantenendo l'organismo in grado di ascoltare e soddisfare i propri bisogni. Il fanciullo cioè:

- Percepisce la sua esperienza come se fosse la realtà, quindi la sua esperienza è per lui la sua realtà.

- Possiede una tendenza intrinseca ad attualizzare le potenzialità del suo "organismo".

- Reagisce in presenza della "sua" realtà in funzione di questa tendenza all'attualizzazione. Il suo comportamento rappresenta quindi uno sforzo costante e finalizzato dell'organismo mirante a soddisfare i suoi bisogni di attualizzazione così come egli li percepisce nella realtà.

- Nella sua interazione con la realtà l'individuo si comporta come un tutto organizzato, cioè come una Gestalt o struttura.

- La sua esperienza si accompagna ad un processo continuo di valutazione. Questa valutazione può chiamarsi "organismica" in quanto è la tendenza attualizzante che le serve da criterio. Da valore positivo alle esperienze che percepisce come favorevoli al preservamento e all'accrescimento dell'organismo; da un valore negativo alle esperienze che percepisce come contrarie al preservamento e all'accrescimento dell'organismo.

- Tende a ricercare le esperienze che percepisce come positive e a evitare

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le esperienze che percepisce come negative.

È proprio all'inizio della vita che noi esseri umani concepiamo i valori in modo chiaro. Riusciamo infatti a scegliere quelle esperienze che salvaguardano, migliorano e servono allo sviluppo dell'organismo e rifiutiamo quelle che non ci servono per questo scopo. Il bambino infatti riesce a distinguere cosa ha un valore positivo e cosa un valore negativo per lui. Sembra quindi che sia munito di un "processo di valutazione organismica" flessibile e mutevole, in cui ogni elemento, ogni momento di quanto è sperimentato, viene in qualche modo soppesato e scelto o rifiutato a seconda che, in qualche momento, contribuisca o no allo sviluppo dell'organismo. Questo modo di porsi di fronte all'esperienza è una funzione organismica e non cosciente o simbolica. Egli a differenza di molti adulti sa cosa gli piace e cosa non gli piace, e queste scelte di valori hanno origine solamente dentro di lui. È lui il centro del processo di valutazione, dal momento che sono i suoi sensi che gli forniscono i criteri per le sue scelte. In quei momenti egli non è influenzato da ciò che i genitori pensano sia per lui preferibile, o da ciò che dice la sua chiesa, o dall'opinione dell'ultimo esperto del settore, o dal talento persuasivo di una ditta pubblicitaria. È dall'interno della sua esperienza che l'organismo gli dice, in termini non verbali: «Questo è bene per me», «Quello è male per me», «Mi piace questo», «Questo non mi piace». Il bambino non fa altro che ascoltare se stesso e fare ciò che secondo lui è meglio per lui, è forse l'unico momento della sua vita in cui è veramente libero, libero di sentire ciò che veramente vuole.

Per opera della tendenza alla differenziazione che costituisce un aspetto della tendenza all'attualizzazione, un certo segmento dell'esperienza si differenzia e si simbolizza; nella coscienza questo segmento simbolizzato corrisponde alla coscienza di esistere e di agire in quanto individuo e può descriversi come l'esperienza dell'Io. In seguito all'interazione fra l'organismo e l'ambiente, questa coscienza di esistere si sviluppa e si organizza gradualmente per formare la nozione dell'Io che, in quanto oggetto della percezione, fa parte del campo dell'esperienza totale.

Man mano che la nozione dell'Io si sviluppa e si esteriorizza, si sviluppa il bisogno di considerazione positiva. Questo bisogno è universale in quanto esiste in ogni essere umano ed in quanto si fa sentire in un modo continuo e penetrante.

Il bisogno di considerazione positiva accompagna l'essere umano per tutta la vita, ed è bilaterale: la persona può soddisfarlo per se stesso (considerazione positiva di sé), può soddisfarlo negli altri, può avere bisogno degli altri per soddisfarlo per se stesso. Ed è proprio a questo livello di sviluppo che possono crearsi i primi nodi.

Ma allora quando questo efficiente meccanismo viene interrotto? Che cosa succede?

Carl Rogers spiega questo dicendo che il bambino ha bisogno di amore, lo desidera, tende a comportarsi in modo da rendere frequenti alcune esperienze gradite. Ed è proprio questo suo bisogno che crea delle complicazioni. Accadono infatti degli eventi che agli adulti per lui significativi non piacciono, e così si sente dire che è un "bambino cattivo, malvagio" che quella cosa non si fa, e gli viene per un po' tolto l'affetto; e così

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gradualmente impara che ciò che per lui è bene, spesso per gli altri è male. Subentra poi il momento in cui egli giunge ad assumere, nei riguardi di se stesso, lo stesso atteggiamento degli altri. L'amore dei genitori o di altre persone significative è dato in modo condizionato: è dato cioè solo a condi-zione che il bambino introietti certi costrutti e certi valori come propri, anche se non li percepisce degni di fiducia, degni di amore. Incomincia così ad introiettare il giudizio di valore di un altro assumendolo come suo proprio. Ed è a questo punto che perde contatto con il suo processo organismico di valutazione. Abbandona la saggezza del suo organismo e per conservare l'affetto, cerca di assumere dei valori stabiliti da un altro. E così nel tentativo di ottenere o mantenere amore, approvazione, stima, il soggetto giunge ad avere sfiducia di fondo nella propria esperienza attuale come guida del comportamento. Apprende dagli altri un certo numero di valori concettualizzati e li assume come propri, anche se sono profondamente in contrasto con quanto prova. Siccome questi concetti non si fondano sul suo modo di valutare, tendono ad essere statici e rigidi anziché fluidi e mutevoli. Il bambino tende a non prendere in considerazione il proprio processo di esperienza se lo trova in conflitto con tali costrutti, ma, così facendo, si allontana dal modo di sentire proprio del suo organismo, operando perciò una certa dissociazione di se stesso. Se le condizioni che gli vengono imposte per concedergli fiducia sono numerose e significative, la dissociazione può divenire molto grande e le conseguenze psicologiche si fanno molto serie. Avviene, cioè, una sorta di adattamento dell'individuo all'ambiente, in modo tale che l'individuo può, sì, sopravvivere, ma non può sperimentare ed esprimere in totale se stesso; per utilizzare una metafora, potremmo dire che se l'essere umano ha alla sua nascita le stesse potenzialità che ha un seme di diventare albero, l'intervento di forze esterne, che bloccano questo processo evolutivo, possono portare l'albero a diventare un bonsai. Un bonsai, infatti, ha la forma, la sembianza di un albero, ma le sue dimensioni sono molto ridotte, ha bisogno di un vaso piccolo, può stare anche in ambienti chiusi, gli vengono tagliate le radici ed i rami, per non farlo crescere e sviluppare come farebbe in natura e gli viene data una forma piacevole e armonica, ma diretta, pensata e voluta da qualcun altro, non dalla pianta stessa.

Più il processo di negazione dei propri bisogni è marcato, più le influenze esterne tendono a bloccare il naturale sviluppo dell'organismo, più l'organismo stesso tende ad interiorizzare i codici esterni, più ci troviamo di fronte a sistemi patologici, dalla nevrosi, alla psicosi, nelle loro varie forme ed espressioni.

Struttura

Ogni individuo è una totalità psico-fisica. La personalità è potenzialmente una unità armonica, che può essere considerata soltanto nel suo insieme e nel contesto (familiare, sociale, etc.) in cui si trova immersa.

Ogni essere vivente possiede dentro di sé la capacità di adattarsi all'ambiente allo scopo di poter sopravvivere e svilupparsi più compiutamente possibile.

Le persone nascono con la capacità di tendere verso la conservazione della

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vita e verso lo sviluppo e l'evoluzione. Per garantire l'attualizzazione di questa tendenza, subito i bisogni fondamentali si fanno strada.

La personalità che si viene a formare dopo lo sviluppo sarà strutturata in questa maniera:

Sé reale (livello organismico) È' il livello più antico della personalità, nasce con l'individuo. È detto "sé

reale" o "vero sé"; infatti contiene tutti i bisogni fondamentali legati alla sopravvivenza, inizialmente legati essenzialmente alle esigenze del corpo. Poi, con l'evolversi della persona, si diversificano anche tutte le emozioni più complesse, le motivazioni, i bisogni di sopravvivenza, di sicurezza, di affetto, di sessualità, di buona stima di sé da parte di se stessi e delle altre persone significative, i bisogni di esplorazione, di conoscenza e di piacere in genere. Questo livello contiene anche tutte le spinte adeguate a raggiungere la soddisfazione di questi bisogni o di tutti gli altri qui non menzionati e che rivestono un significato per la persona.

Sé ideale (livello ideale) Secondo elemento che si forma dopo quello organismico. È costituito

dall'immagine ideale che l'individuo aspira a raggiungere. Le aspettative rispetto a se stessi e agli altri, precetti, regole morali cui l'individuo fa riferimento, i criteri etici, l'idea di "persona ideale", etc ...

Sé percepito (livello percepito) Questo livello comprende tutto ciò che la persona conosce di se stessa,

tutto ciò che essa riconosce come appartenente a sé, il modo in cui si raffigura di essere, i sentimenti che sente di provare, le intenzioni che ha la consapevolezza di avere, i bisogni e le carenze che si accorge di nutrire.

Tali elementi sono organizzati in un sistema più possibile coerente, che Rogers chiama "struttura del sé" (concetto di sé). Per funzionare al meglio, e per sentirsi pronti a rispondere con sicurezza a stimoli dell'ambiente, gli individui hanno bisogno di nutrire verso se stessi la massima considerazione possibile. Se così non fosse, l'individuo si sentirebbe talmente inadeguato che qualsiasi esperienza rappresenterebbe una minaccia potenziale alla sua sopravvivenza (sia in termini psicologici che fisiologici).

Questo significa che se un individuo percepisce una sua caratteristica come troppo diversa dal proprio modello ideale e per questo si disprezza a tal punto da rischiare di sentirsi inaccettabile ai suoi stessi occhi, egli potrà non percepire più quella caratteristica e quindi potrà così garantirsi una considerazione di se stesso sufficientemente alta da consentirgli di sopravvivere senza sentirsi troppo in pericolo. Le caratteristiche dell'esperienza che sono passibili di questa sorta di deformazione non attengono soltanto a qualità personali o al concetto del sé, ma possono riguardare qualsiasi fenomeno o significato dell'esperienza.

Queste tre parti della persona possono trovarsi tra loro in stati di integrazione più o meno marcata. In altri termini gli elementi del "sé organismico" possono essere in accordo maggiore o minore con quelli del "sé ideale", e possono essere presenti più o meno chiaramente alla persona nella sua percezione di se stessa ("sé percepito").

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Massimo accordo

La persona congruente, cioè quella che ha il massimo grado di accordo tra il sé reale (organismico) e il concetto di sé (sé percepito), non è quella persona che aprioristicamente soddisfa tutti i suoi bisogni, ma quella che avrà una percezione della propria realtà la più fedele e realistica possibile. L'individuo sarà capace di orientarsi liberamente, cioè valutare e scegliere liberamente il suo comportamento.

Massimo disaccordo

La persona è del tutto inconsapevole dei propri bisogni organismici, si difende dal percepirli chiaramente ed aspira a divenire secondo un modello ideale del tutto diverso dalle proprie potenzialità reali. Un individuo in uno stato di disaccordo interno si trova in una condizione di minaccia, in termini di vulnerabilità o di ansia. Lo stato di ansia è un particolare segnale dello stato di disaccordo interno; attraverso questo segnale, più o meno chiaro, l'individuo percepisce il proprio malessere.

Ogni essere vivente possiede dentro di sé la capacità di adattarsi all'ambiente allo scopo di poter sopravvivere e svilupparsi più compiutamente possibile.

Più l'individuo è consapevole del proprio funzionamento e della propria natura, più potrà usare queste informazioni per adattarsi. Se però la persona si percepisce molto diversa da come essa in realtà è, oppure non si percepisce affatto, allora avrà minori possibilità di adattarsi bene e, per garantire la sopravvivenza, dovrà sacrificare alcuni dei suoi bisogni e si adatterà non tanto seguendo le sue reali potenzialità ma secondo ciò che si aspetta da se stesso di dover essere. Tutte le valutazioni delle sue azioni, le decisioni ed i comportamenti che adotterà, saranno forzati secondo quella linea. Lo stato di integrazione di questi tre livelli della personalità determina molto del comportamento (sia quello osservabile dall'esterno come le azioni, i gesti, il comportamento verbale, sia quello osservabile solo dall'interno della persona cioè i pensieri, le emozioni, etc.). Il modo con il quale una persona vede se stessa, il mondo e valuta tutto ciò varia molto a seconda di quanto essa è in contatto con i propri reali bisogni e sentimenti. Infatti se percepisce ed accetta alcune sue caratteristiche riconoscendole come proprie, ha la tendenza ad assumere come criterio di valutazione, e come punto di riferimento, proprio i valori, i sentimenti ed i bisogni che possiede, che accetta e che vuole perseguire. Se al contrario l'individuo ha una percezione distorta o parziale di se stesso, tenderà ad assumere un criterio di riferimento di tipo ideale, ossia non rispondente ai propri reali bisogni. Egli tenderà inoltre a valutare la realtà e il proprio comportamento secondo questo criterio esterno e quindi a sostituire un sistema esterno a quello proprio, che non percepisce o non accetta.

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Funzionamento

A causa del bisogno di considerazione positiva di sé, l'individuo percepisce la sua esperienza in funzione delle condizioni alle quali è giunto a sottomettersi. Percepisce in modo selettivo. Quindi succede che:

- le esperienze conformi a queste condizioni sono percepite e simbolizzate correttamente alla coscienza

- le esperienze contrarie a queste condizioni sono percepite in maniera selettiva; sono sia deformate, per renderle conformi a queste condizioni, che intercettate alla coscienza

Dunque tutte le esperienze non sono simbolizzate correttamente nella coscienza e non sono incorporate alla nozione dell'Io. È quindi in seguito alla violazione della sua funzione di "valutazione organismica" che l'individuo perde lo stato di integrazione caratteristico della sua infanzia. La nozione dell'Io comporta degli elementi deformati che non rappresentano correttamente l'esperienza, a partire dal momento in cui la valutazione della sua esperienza è condizionata.

Allo stesso modo l'esperienza comporta degli elementi che non sono incorporati nella nozione dell'Io. L'individuo non è quindi più in grado di funzionare da persona perfettamente integrata e unificata. Nella sua esperienza si formano certe "fazioni" che hanno la tendenza a minacciare la struttura dell'Io che da taluni elementi esperenziali che non sono incorporati nella struttura dell'Io. La personalità viene pertanto ad essere divisa, con tutto quello che comporta questa mancanza di unità: tensioni e squilibrio funzionale. È questo che, secondo Rogers, costituisce lo stato di alienazione: l'individuo ha mancato di sincerità verso se stesso, verso il significato "organismico" della sua esperienza. Per mantenere la considerazione positiva altrui, egli ha falsificato talune esperienze vissute e si è vissuto e si è rappresentato queste esperienze con l'indice di valore che queste avevano per altre persone. Tutto ciò si è prodotto involontariamente come un processo naturale, e tragico, iniziato durante l'infanzia.

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Il conflitto tra l'Io e l'esperienza comporta un conflitto analogo a livello del comportamento. Certi comportamenti sono conformi alla nozione dell'Io; essi mantengono, attualizzano e accrescono l'Io. Questi comportamenti sono correttamente simbolizzati nella coscienza. Altri comportamenti, invece, mirano a mantenere, ad attualizzare e a rivalutare dei settori di esperienza che non sono rappresentati nella struttura dell'Io. Questi comportamenti non vengono riconosciuti dal soggetto come riferimento all'Io, o sono deformati in modo da renderli conformi all'Io.

Le esperienze che non sono conformi alla struttura dell'Io, o alle condizioni che dominano il processo di valutazione, sono riconosciute a livello della "sottocezione" come minaccianti.

Se l'esperienza minacciante fosse correttamente simbolizzata, la nozione dell'Io perderebbe il suo carattere unificato, le condizioni della valutazione sarebbero violate e il bisogno di considerazione positiva di sé sarebbe frustrato. Uno stato di angoscia si impadronirebbe dell'individuo.

Il processo di difesa è la reazione che vieta a questi avvenimenti perturbatori di prodursi. Il processo di difesa consiste:

- Subcezione (percezione selettiva): l'individuo percepisce che c'è qualcosa che non va, ma non si rende conto di cosa.

- Distorsione (deformazione dell'esperienza): il percorso rappresentativo arriva alla simbolizzazione, ma distorcendone il significato. - Intercezione (negazione): può essere sia parziale che totale; il percorso di rappresentazione non viene neanche percepito. Questo processo tende a salvaguardare lo stato di accordo tra l'esperienza

totale da un lato e dall'altro la struttura dell'Io e le condizioni imposte alla valutazione.

Le conseguenze generali del processo di difesa sono le seguenti: rigidità percettiva, causata dalla necessità di deformare certi dati dell'esperienza; simbolizzazione scorretta, causata dalla deformazione e dall'omissione di certi dati; assenza di discriminazione percettiva o discriminazione percettiva insufficiente.

La teoria della personalità si applica a differenti gradi ad ogni individuo. - Se esiste un forte stato di disaccordo fra l'Io e l'esperienza e se questo

disaccordo, in seguito a qualche esperienza critica, viene a essere svelato in modo improvviso e innegabile, il processo di difesa si rivelerà impotente.

- Il soggetto prova questo stato di disaccordo a livella della sottocezione e diviene ansioso. L'intensità dell'angoscia è proporzionale alla vastità del settore dell'Io colpito dalla minaccia.

- Rivelandosi impotente il processo di difesa, l'esperienza diviene corretta-mente simbolizzata. Sotto lo shock di questa presa di coscienza, si produce uno stato di disorganizzazione psichica.

- In questo stato di disorganizzazione, l'individuo manifesta spesso un comportamento strano e instabile, determinato talora da esperienze che fanno parte della struttura dell'Io e talora da esperienze che non ne fanno parte. In taluni momenti il comportamento è determinato dall'organismo che esprime apertamente le esperienze previamente deformate o sconfessate dal processo di difesa; in altri momenti, l'Io si riprende temporaneamente e impone all'organismo un comportamento conforme

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alla struttura dell'Io. Sotto le ,; condizioni di disorganizzazione, la tensione del conflitto fra la struttura dell'Io e le esperienze scorrettamente simbolizzate conducono ad una lotta costante che si traduce in un comportamento incongruente, instabile, analogo a quanto si indica come nozione di personalità multipla.

Funzionamento ottimale della personalità

Ogni individuo possiede una tendenza intrinseca ad attualizzare le potenzialità del suo organismo. L'individuo ha la capacità di rappresentarsi la sua esperienza in modo corretto e la tendenza a esercitare questa capacità; Ha la capacità di mantenere, e la tendenza a mantenere uno stato di accordo tra la nozione dell'Io e l'esperienza. Questo si esprime nella misura in cui:

- il soggetto prova considerazione positiva incondizionate di persone criterio. - questa considerazione positiva incondizionata si rivela al soggetto

nell'ambito di una relazione nella quale egli si sente compreso in modo empatico.

Quando sono realizzate al massimo queste condizioni l'individuo funziona pienamente. Ed è:

- aperto alla sua esperienza. Non manifesta comportamenti difensivi, - di conseguenza, tutte le sue esperienze sono accessibili alla coscienza, - le sue percezioni sono corrette quanto lo permettono i dati della sua

esperienza, - la struttura dell'Io si accorda con l'esperienza, - la struttura dell'Io e una Gestalt, o una configurazione, "fluida" che si

modifica con elasticità nel corso del processo di assimilazione di nuove esperienze,

- il soggetto si percepisce come il centro della valutazione della sua esperienza. Il processo di valutazione è continuo ed organismico,

- il processo di valutazione non è subordinato a condizioni esterne. Il soggetto prova un sentimento di considerazione positiva incondizionata verso se stesso,

- si comporta in ogni occasione in modo adattivo e manifesta un atteggiamento creativo verso ogni situazione,

- scopre che la sua capacità di valutazione autonoma, "organismica", rappresenta una fonte di direzione degna di fiducia e capace di guidarlo verso forme di comportamento generatrici di soddisfazione; ciò in rapporto al fatto che: 1. tutti i dati dell'esperienza sono accessibili alla coscienza; 2. nessuna dato di esperienza è sconfessato o deformato; 3. le conseguenze del comportamento sono accessibili alla coscienza; 4. gli errori commessi nel perseguire il massimo di soddisfazione, errori

dovuti all'insufficienza di dati esperienziali, saranno corretti dalla verifica della realtà.

- dato il carattere affettivamente rimuneratore della considerazione positiva reciproca, questo individuo vive con altri nella migliore

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armonia.

La personalità che funziona pienamente è una personalità in continuo stato fluido, una personalità costantemente mutevole i cui comportamenti specifici non si prestano a previsione. La sola previsione che potrebbe essere ammessa circa il suo comportamento, è che manifesterà in ogni occasione un grado di adattamento creativo perfetto e che questo individuo si impegnerà in un continuo processo di attualizzazione.

Gli scambi comunicativi che un bambino che inizia a balbettare ha con le figure significative, rivestono un'enorme importanza per il prosieguo dello sviluppo del concetto di sé. I genitori del bambino che balbetta, ad un certo punto dell'evoluzione psico-linguistica del loro figlio, si trovano a dover fare i conti con qualcosa che non si aspettavano. Infatti il loro bambino non ha un parlare fluente, sciolto e comunicativo come si sarebbero aspettati, ma il suo modo di incedere nell'eloquio risulta essere sempre più stentato, frammentario e altamente disflunte. Questo crea nei genitori una forte preoccupazione per ciò che sta accadendo al figlio e inconsapevolmente mostrano questo loro malessere sia attraverso un comportamento non verbale come potrebbe essere guardare in modo strano il figlio nel momento di balbuzie, distogliere lo sguardo durante la disfluenza, sia verbalmente dicendo "stai calmo", "ripeti", "respira", finendogli le parole...

Dato che il concetto di sé si forma attraverso tutti quegli elementi che definiscono l'identità del soggetto, come le preposizioni che danno informazioni sul suo modo di percepire se stesso, le interazioni con la realtà che lo circonda e le relazioni tra se e gli altri, il bambino in questo modo si rende conto che c'è qualcosa in lui che non va.

II concetto di sé si forma nell'infanzia e ruota attorno al bisogno psicologico e fondamentale del bambino di "accettazione positiva incondizionata" e il formarsi di un concetto di sé ben funzionante o meno dipende da questo bisogno.

Il bambino che vive un'esperienza di accettazione positiva incondizionata nella sua relazione con le figure criterio, svilupperà un concetto di sé coerente con la propria esperienza e che deriva da un "locus of evaluation interno"; se, viceversa, l'accettazione positiva è legata alla presenza di particolari caratteristiche, il bambino privilegiando per natura il soddisfacimento del bisogno, introietterà la valutazione che lo condiziona arrivando alla formazione di un concetto di sé basato su di un "locus of evaluation esterno". Il concetto di sé sarà pertanto distante dall'esperienza ed estremamente rigido.

Una volta formato il concetto di sé va salvaguardato in ogni caso, sia che risulti funzionale e flessibile e quindi basato su un "locus of evaluation interno "; sia che si trovi ad essere rigido e condizionato (locus of evaluation esterno).

Succede spesso che gradualmente il bambino che balbetta comincia a non sentirsi più accettato quando balbetta. Viene così a crearsi nel balbuziente una contraddizione: si percepisce in modo positivo e accettabile quando non balbetta e in modo negativo e inaccettabile quando balbetta.

In questo modo, le distanze tra il sé reale, il sé percepito e il sé ideale si

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fanno sempre più grandi e questo fa si che la persona che balbetta si senta sempre più inadeguata, tanto che spesso, esperienze normali rappresentano una minaccia potenziale alla sua sopravvivenza.

A volte può capitare che la persona che balbetta incominci ad evitare le situazioni in cui sa che potrebbe balbettare e cercherà di parlare nelle situazioni considerate da lui più facili.

Tra i molti sentimenti che si possono riscontrare tra le persone che balbettano, alcuni sembrano essere più ricorrenti:

Ansia: legata alla paura che in quella determinata situazione potrebbe emergere la balbuzie. Questo fa si che in chi balbetta ci sia spesso una forte ansia da prestazione prima dell'evento verbale.

Vergogna: la balbuzie risulta essere incoerente con il concetto che la persona ha di sé, l'immagine di sé si rompe all'improvviso determinando inevitabilmente l'esperienza della vergogna. La compromissione della propria immagine fa si che la persona che balbetta si senta profondamente sbagliato, inadeguato soprattutto quando balbetta. Questo è collegato al timore di essere giudicati negativamente dall'ascoltatore, fino a ritenere che l'ascoltatore stesso giudichi la persona che balbetta come un handicappato, uno stupido o una persona con problemi...

Frustrazione: esperita dopo l'evento di balbuzie, in quanto si ha la netta sensazione di non essere in grado di controllare minimamente le proprie parole e la comunicazione. Ciò che per gli altri risulta essere una delle cose più semplici e facili al mondo, il parlare appunto, per la persona che balbetta diventa un incubo e da affrontare ogni giorno per giunta! La balbuzie prende il controllo e il balbuziente è in balia di essa.

Il lavoro con la persona che balbetta è al confine tra la psicologia e la logopedia. Non è prerogativa né solo dello psicologo né solo del logopedista. Negli ultimi anni le terapie più efficaci vanno tutte in questa direzione e cioè in una interconnessione tra lavoro psicologico e lavoro logopedico. Questo significa che affinché la terapia con i balbuzienti sia il più efficace possibile è importante che ci sia un lavoro integrato tra psicologi e logopedisti, oppure che gli psicologi abbiano determinate conoscenze sul lavoro logopedico con i balbuzienti o i logopedisti una formazione adeguata in counseling. Fino a qualche anno fa credevo che il lavoro psicologico più utilizzato nella terapia con i balbuzienti fosse di tipo cognitivo-comportamentale, ma devo dire che approfondendo i miei studi e le mie conoscenze sulla terapia della balbuzie mi sono resa sempre più conto che all'estero un numero sempre maggiore di professionisti nel settore utilizza la terapia rogersiana con i balbuzienti.

Charles Van Riper nel suo libro "The treatment of stuttering" (1973) parla dell'approccio rogersiano nella terapia della balbuzie. Egli dice che il fatto che C. Rogers abbia presentato, nel suo primo libro per illustrare la sua terapia non direttiva, il caso di un balbuziente (sebbene con tanti altri problemi) probabilmente spiega l'influenza che egli ha avuto nel campo della patologia del linguaggio. Egli sottolinea come la terapia rogersiana è stata anche una svolta perché ha dimostrato che la psicoterapia non era solo una prerogativa della psichiatria. Fare counseling è così diventato possibile per psicologi e logopedisti qualificati per aiutare tanti clienti che altrimenti avrebbero dovuto far ricorso agli psichiatri; questo ha incoraggiato tanti logopedisti a esplorare e usare questo tipo di terapia con i balbuzienti.

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Gregory , una terapista della balbuzie americana, mette in evidenza come nel loro lavoro sui sentimenti con adulti con una bassa stima di sé, sia Rogers che Kohut hanno dimostrato che per confermare il nostro senso del SÉ e per capire chi siamo veramente, abbiamo bisogno di stare in una relazione significativa con il cliente. Rogers e Kohut hanno cambiato i loro campi della psicologia e della psichiatria in tre importanti modalità:

1. attraverso la loro definizione del concetto di sé - il senso del SE', è considerato l'elemento centrale coesivo nella personalità e il primo fattore più importante in ogni cambiamento del comportamento,

2. attraverso la loro enfasi sul fatto che un adeguato livello di comprensione empatica da parte dei genitori è necessario per lo sviluppo normale dell'autostima del bambino,

3. in particolare, per il trattamento della balbuzie, la loro enfasi sul fatto che un alto livello di comprensione empatica del terapista è necessaria per la ricostruzione dell'autostima e del concetto di SE', principalmente con gli adolescenti e adulti, per i quali la vergogna e l'imbarazzo stati un fattore significativo.

Gregory1 sottolinea come variamo tutti su un continuum da un giorno all'altro, da una posizione di potenza emozionale e di locus of control interno, dove ci sentiamo un potere personale e una creatività e pronti all'azione, a sentirsi giù di morale, pessimisti, frammentati e deboli. Ci sentiamo tutti così ogni tanto, questo ha veramente un effetto sulla nostra coordinazione, sul nostro modo di vestire, nell'espressione del nostro viso ecc. Se il clinico si sente così ogni tanto, può essere molto sensibile a uno stato depressivo di un cliente. Quando si parla di alzare l'autostima, questo viene fatto attraverso l'uscita da uno stato di impotenza e di depressione. La funzione del counselor con i clienti balbuzienti, secondo C. Gregory, è di rispecchiare, calmare, ascoltare empaticamente come alter ego, anche se stia-mo lavorando su parole, frasi, descrizioni semplici, chiamate telefoniche, giri in un centro commerciale o discorsi. Si può essere meno autoritari e più empatici indipendentemente dall'attività sul parlato. Si può sempre chiedere al cliente, "come si sente rispetto a quello che stiamo facendo?"

Nella sua terapia con i balbuzienti, Carolyn Gregory evidenzia come sia importante un terapista empatico che si mette immaginativamente al centro del mondo interno del cliente tentando di rispecchiare quello che lui sente che il cliente dice. "Questo significa - dice Rogers - vivere in modo temporaneo la vita di qualcun altro e spostarsi delicatamente senza dare giudizi, senza avere paura delle cose che fanno paura al cliente e di verificare con il cliente che le sensazioni siano giuste. (Rogers 1951, p.142)". Un modo di avanzare per tentativi, con frasi come "potrebbe essere che", "forse", "possibilmente", usando un linguaggio suggestivo, conferisce potere al cliente per risolvere il suo problema e farsi carico della sua vita. Il cliente è visto come la più accurata fonte di informazione, è quello che prende la decisione

1 Private Practice, Evaston, Illinois, USA.

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finale. Carolin sostiene che nella terapia con le persone che balbettano è importante che il terapeuta rifletta i sentimenti dei clienti, registrando i colloqui come Rogers per primo ha dimostrato, e valutando le risposte una per una. Così si può capire se si è stati autoritari o si è cambiato l'argomento, facendo una domanda. Questo è utile per imparare a seguire la guida del cliente in modo più intuitivo. I clienti che balbettano hanno bisogno di qualcuno che sia veramente contento di stare con loro, che dimostri piacere sia per quello che sono che per il coraggio con cui stanno risolvendo il loro problema. Loro hanno bisogno di qualcuno che li incoraggi entusiasticamente. Secondariamente, loro hanno bisogno di imparare dall'esperienza come calmarsi quando stanno balbettando, o quando stanno affrontando una situazione difficile. Questo può avvenire non dimostrando paura della loro peggior balbuzie, lasciandoli parlare e balbettare mentre si ascolta pazientemente con un'espressione accettante sul volto. La maggior parte delle persone che balbettano si lamentano delle espressioni facciali degli ascoltatori quando stanno parlando. Nasce quindi la necessità di lavorare con i genitori, i fratelli e i coniugi dei balbuzienti per migliorare le abilità di ascolto nei confronti dei clienti. Specialmente all'inizio della terapia, una delle cose più importanti è l'ascolto empatico e accettare con tranquillità le peggiori paure e la più grave balbuzie del balbuziente. "Se il mio terapista può accettare questo con un'espressione tranquilla nella sua faccia, la visione che ho di me non dovrebbe essere così negativa. Forse c'è speranza dopo tutto". Non appena la tensione si abbassa, e il cliente sta raggiungendo qualche successo, e il momento di rafforzare per confortare, supportare entusiasticamente e lodare. Tuttavia, non si deve solamente lodare la fluenza, ma anche la disponibilità ad essere non fluente fuori nelle situazioni esterne. Infatti una delle cose più significative per gli adolescenti che balbettano è la disponibilità del terapeuta di balbettare liberamente e senza vergogna in pubblico. Il modello della conferma di sé (Andrews, 1991), dimostra che possiamo lavorare con un cliente al livello della motivazione perché lui/lei è appena entrato in terapia, definendo gli obiettivi, ecc., o potremmo lavorare al livello del comportamento in cui il cliente potrebbe studiare la sua balbuzie o esercitarsi su un attacco morbido di parole o frasi. Al livello di trasferire le abilità acquisite durante la terapia fuori dal setting, il terapista potrebbe riprodurre la balbuzie del cliente senza vergogna o parlare in modo più morbido, infondendogli coraggio, sempre mantenendo un alto livello di empatia. A livello della percezione delle risposta degli altri, i clienti spesso esprimono forti sentimenti rispetto alle espressioni facciali o all'impazienza dell'ascoltatore. Quando il cliente comincia ad accettare i suoi sentimenti e ad accettare un parlato non sempre perfetto, il concetto di sé sarà migliorato. Spesso avviene che quando il cliente si accetta sempre di più come balbuziente, questo porta ad un nuovo miglioramento nel comportamento verbale e a pianificare obiettivi più alti.

Questo tipo di metodologia che andrò ad esporre è stata elaborata da Isis Meira2 . Il Metodo Integrato Esistenziale segue i presupposti delle scienze

2 Psicologa Clinica e Fonoaudiologa, dal 1982 è docente di tecniche e metodi fonoaudiologici nei disturbi della fluenza presso la Facoltà di Fonoaudiologia dell'Università di Cattolica di San Paolo, Brasile; specializzata in Balbuzie presso la Northwestern University, Chicago, nonché in Kinesiologia (approccio corporeo) presso la Sedes

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umane, della fenomenologia e della psicologia esistenziale. Si allontana dalle classiche terapie della balbuzie che si basavano su liste di comportamenti caratteristici dei balbuzienti, liste su cosa i genitori dovevano fare o no in relazione alla balbuzie dei loro figli, modelli di anamnesi con grandi liste di domande, modelli di valutazione nei quali la quantificazione era il più grande valore, uso di tecniche di modellamento della fluenza o di modificazione della balbuzie e ancora ricerca della causa della balbuzie. Isis Meira ha così abbandonato tutte le credenze e ha adottato una lettura critica della letteratura e dei fatti, usando il sentire e lavorando sulla soggettività. Secondo il metodo esistenziale integrato, si è quindi cominciato a scoprire che cosa costituisce la balbuzie, a vedere e sentire come questa si forma in ogni balbuziente, a capire che lavorare con il balbuziente e con la balbuzie sono cose diverse, che presuppongono approcci diversi e devono essere lavo-rati in momenti diversi della terapia. Inoltre, seguendo quest'ottica, il balbuziente e la balbuzie appartengono alla stessa totalità e devono essere integrati e non divisi. Il balbuziente frequentemente vede la balbuzie in modo dicotomico, perciò diventa molto importante lavorare per superare questa dicotomia e integrare le due anime della balbuzie: balbuziente e balbuzie appunto. La terapia della balbuzie si basa sull'esperienza vissuta direttamente ed in modo immediato dal balbuziente. Non ci si concentra sulla causa del problema, ma su che cos'è la balbuzie per quella data persona. È molto importante per il terapeuta l'esperienza diretta, il contatto diretto con il balbuziente e vedere come la balbuzie si presenta in quel sog-getto. La balbuzie è individuale e personale, ognuno forma la propria. C'è una balbuzie originaria, che probabilmente è genetica (ormai la maggior parte degli studi portano verso questa ipotesi) e attorno c'è la balbuzie costruita. Nella terapia si lavora sulla balbuzie costruita e si cerca di arrivare alla balbuzie originaria. La balbuzie costruita è quella che viene vissuta e sentita: ogni balbuziente forma la sua balbuzie nel suo corpo. I sentimenti del balbuziente alterano la balbuzie, così come la balbuzie altera i sentimenti del balbuziente, dato che esiste un intimo rapporto tra le tensioni muscolari, le tensioni viscerali e le emozioni (negative o positive che siano). Quindi è necessario capire come ogni balbuziente funziona dal punto di vista muscolare, sensoriale, immaginativo ed emozionale. Il modello di coscienza che il balbuziente ha della sua balbuzie di solito è molto superficiale, resta nel piano del concreto; abitualmente lui percepisce soltanto i comportamenti più severi. Sviluppare la coscienza della balbuzie (cioè la capacità di percepire e sentire) è uno degli obiettivi della terapia.

Nella terapia della balbuzie quindi il balbuziente e la balbuzie acquistano pari importanza. La terapia si adatta alle esigenze del cliente: ci sono momenti in cui ci si concentra sulle esperienze vissute e sui sentimenti presenti in quel momento, e momenti in cui si aiuta il cliente ad individuare delle tecniche che possono essergli utili a migliorare la propria fluenza. È importante sottolineare che questo è un lavoro il cui approccio è

Sapientiae di San Paolo; socia fondatrice in Brasile dell'Ordine dei Fonoaudiologi; fondatrice e presidente del Comitato Brasiliano per i Disturbi della Fluenza; membro del Consiglio per la Ricerca della Pontificia Università Cattolica di San Paolo; membro dell'IFA (International Fluency Association).

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l'integrazione fisico - psichica; quindi si lavora sull'integrazione balbuzie - balbuziente, tensione - emozione, mente - corpo. FOCUS SUL BALBUZIENTE -» quando l'attenzione è sul balbuziente i

principali obiettivi che ci si prefigge sono quelli di aiutarlo nel: - ampliamento del livello di coscienza delle sue emozioni, del suo modo di

vedere la balbuzie e dei suoi sentimenti e atteggiamenti riguardo la balbuzie,

- prendere contatto con i dati di realtà, lavorando sui suoi costrutti riguardo alla balbuzie,

- conoscere i suoi limiti e possibilità e prendere coscienza del suo potenziale,

- rivolgere la sua coscienza su se stesso e sulla propria balbuzie, cambiando così la sua attenzione che di solito è focalizzata sugli altri,

- gestire la sua angoscia, paura, insicurezza o qualsiasi sentimento che emerga e aumenti la balbuzie,

- capire gli atteggiamenti e reazioni dell'altro riguardo alla sua balbuzie e reagire ad essi in modo adeguato.

FOCUS SULLA BALBUZIE -+ quando l'attenzione si sposta sulla balbuzie 3 sono gli obiettivi principali:

- ampliamento del livello di coscienza del proprio corpo e del proprio modo di parlare,

- cambiamento verso un tono più equilibrato della muscolatura interessata nella propria balbuzie,

- inibire le abitudini muscolari che costituiscono la balbuzie e stimolare nuove abitudini, proprie di un parlare fluente.

Il terapeuta

II terapeuta deve approcciarsi alla terapia senza giudizi, senza distrazioni, vivendo il momento. Il terapeuta non è quel che sa e il cliente colui che impara. Nel rapporto terapeutico entrambi inseguono cammini paralleli, entrambi fanno scoperte, entrambi crescono. Il terapeuta aiuta il paziente a scoprire la sua strada. Lo aiuta a relazionarsi con le difficoltà, ad individuare i suoi traguardi e a percorrere la sua strada con disciplina e persistenza. Non esiste il miracolo nel trattamento della balbuzie, non esiste la parola magica, non esiste una tecnica che quando usata risolve tutti i problemi, ma esiste la possibilità di un lavoro serio, disciplinato, che aiuti il cliente balbuziente a sviluppare la coscienza della sua balbuzie e delle sue emozioni e atteggiamenti e a lavorare sui cambiamenti necessari perché la sua pronuncia diventi fluente e si mantenga tale. Il balbuziente ha bisogno di sentire che il terapeuta è sinceramente interessato a lui e al suo caso, egli ha bisogno di sentire che non è solo con il suo problema.

Per assumere con efficienza il suo ruolo, il terapeuta deve sviluppare delle abilità che sono fondamentali per ottenere i suoi obiettivi, questi sono:.

- ACCETTARE in modo incondizionato il cliente ed avere una condizione di apertura verso i suoi cambiamenti

- RISPETTARE il mondo del cliente, i suoi valori, le sue decisioni, il punto nel quale egli si trova. Dimostrare questo rispetto anche per

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l'attenzione, l'interesse e la cura - ESSERE EMPATICO, ossia saper capire i valori del cliente, senza

confonderli con i propri valori, vedere il mondo nell'ottica dell'altro e capirlo

- ESSERE AUTENTICO - OSSERVARE quello che è oggettivo e quello che è soggettivo. Osservare

le posture, il tono di voce, il ritmo, l'espressioni, i sentimenti, quello che è chiaramente espresso e quello che è soltanto suggerito.

Altre abilità importanti che il terapeuta deve avere sono: flessibilità, congruenza, apertura, spontaneità. È anche importante che il terapeuta riesca a mantenere questa interazione e che non ci sia dispersione o deviazione degli obiettivi. Gli atteggiamenti, l'abilità del terapeuta e la maniera in cui lui conduce il processo portano il cliente a fidarsi e a sentirsi a suo agio. Questo fa si che il cliente possa esprimere le sue paure e i suoi desideri con apertura e spontaneità, che rifletta e capisca il punto in cui è arrivato e si motivi al cambiamento. Il terapeuta permette al cliente di parlare liberamente del suo problema e portare informazioni che ritiene importanti. Privilegia gli aspetti soggettivi aggiungendo i contenuti non detti alla sua coscienza. Interviene solo il necessario per mantenere il cliente attivo, motivato, per portarlo, quando necessario, a un approfondimento delle questioni considerate importanti dal terapeuta. Generalmente, invece di domande pronte, dirette, il terapeuta ha in mente interrogazioni che in forma graduale e spontanea devono essere chiarite durante il processo. Queste risposte sono frequentemente prese dal terapeuta e non sono conseguenze di domande fatte direttamente. Alcune di queste interrogazioni sorgono nel dialogo, dalla conoscenza che gradualmente si forma sul paziente. Le domande e i cui contenuti che non sono stati espressi liberamente dal paziente e che sono assolutamente necessari per la comprensione del caso, vengono fatte, ma devono essere aperte , in modo da produrre ampie risposte e sono sempre realizzate una alla volta. Sin dal primo contatto il terapeuta mantiene il suo interesse diretto a tutto quello che possa portargli conoscenza del cliente e del suo problema. Il terapeuta che si mostra esprimendo i suoi sentimenti di accettazione, comprensione favorisce il successo del processo terapeutico. Il grande contributo del tipo di atteggiamento qui esplorato è la possibilità che il terapeuta ha di entrare nel mondo del paziente libero da pregiudizi, libero dai dati previamente determinati riguardo una patologia. L'adozione della metodologia secondo il metodo integrato ha portato risultati sorprendentemente positivi nella terapia della balbuzie. Si è costatato, infatti, che i balbuzienti crescono come persone e cambiano non solo la loro balbuzie, ma anche la loro vita. Adottano il nuovo paradigma acquisito attraverso la terapia, che gli permette di avere un altro sguardo su se stessi e sugli altri, acquisendo comprensione e chiarezza sui loro problemi e sul cammino adeguato per i cambiamenti. Cominciano ad assumere le responsabilità e cambiano l'atteggiamento di clienti "passivi", che arrivano con la speranza di essere guariti dal terapeuta, con un atteggiamento fron-tale: "scendendo in campo" per attuare il proprio cambiamento. Le riflessioni e le esperienze vissute nelle sedute terapeutiche gli danno il sostegno per la continuità del lavoro nel quotidiano.

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La terapia di gruppo con adulti balbuzienti

Da quattro anni oramai collaboro con il Centro Punto Parola. Il centro lavora soprattutto con i gruppi di persone che balbettano. Si tratta di gruppi formati da persone balbuzienti, che non presentano patologie psicologiche gravi (gravi ritardi cognitivi, disturbi psichiatrici...) oltre alla balbuzie.

Abbiamo scelto, per quanto è possibile, di lavorare in gruppo perché l'esperienza del gruppo ci è parsa particolarmente efficace in quanto:

1. Fornisce informazioni sulla salute mentale 2. Favorisce la promozione della speranza 3. Consente di visualizzare che i propri problemi sono simili a quelli degli

altri (universalità) 4. Consente di dare supporto e di essere di aiuto agli altri (altruismo) 5. Consente di sperimentare esperienze emozionali correttive 6. Sviluppa la capacità di socializzazione 7. Aiuta ad individuare comportamenti e modelli da cui trarre ispirazione 8. Sollecita l'apprendimento delle tematiche interpersonali 9. Sviluppa la percezione della coesione di gruppo 10. Favorisce la catarsi

Informazioni sulla salute mentale - Il gruppo aiuta ad uscire dall'incongruenza e dall'incertezza. - Da senso di controllo. - Favorisce la ristrutturazione cognitiva. - Fornisce utili informazioni circa la nuova cultura della terapia di gruppo. Promuove la speranza - La speranza è di per sé un fattore curativo. - È un fattore cruciale per la motivazione. - Permette di rimanere in terapia così che gli altri fattori possano avere effetto. - Aiuta a sopportare le difficoltà e le paure del cambiamento. Universalità - Favorisce la ristrutturazione cognitiva e la percezione del sé. - Influenza i livelli di autostima. - Le persone spesso soffrono in solitudine e pensano che solo loro hanno

"quel tipo di problema". Altruismo - I membri del gruppo si aiutano a vicenda. - La realizzazione che si ha qualcosa da offrire ad un'altra persona cambia la

percezione del sé, fa crescere i livelli di autostima e la fiducia negli altri. Rivivere l'esperienza della famiglia di origine - Può rappresentare una importante esperienza emozionale correttiva

delle relazioni vissute e congelate nella famiglia di origine: i comportamenti stereotipati emergono, possono essere messi in discussione e nuovi comportamenti più funzionali possono essere esplorati.

Sviluppo delle capacità di socializzazione (social skills) - Grazie al feedback degli altri possono essere identificati i

comportamenti sociali maladattivi e sviluppare comportamenti efficaci.

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Avere modelli comportamentali da cui trarre ispirazione - Il gruppo aiuta a vedere come altri si gestiscono le varie situazioni. - È possibile sbloccarsi o sperimentare nuovi comportamenti. - "Quando qualcun altro lavora su di un problema ci lavoro anch'io". Apprendimento interpersonale - La nostra personalità è costruita dalle nostre relazioni interpersonali. - Abbiamo bisogno degli altri e della loro accettazione. - Il gruppo offre un microcosmo sociale dove dopo un certo periodo i

partecipanti si comportano come nella vita di tutti i giorni: e quindi possono emergere i loro comportamenti interpersonali disfunzionali come pure le loro qualità. Il feed-back onesto del gruppo permette di prendere coscienza della propria funzionalità.

- Il clima del gruppo incoraggia l'esplorazione di nuovi comportamenti e favorisce l'acquisizione di insight sui perché e come e sulle alternative comportamentali mediante esperienze emozionali correttive.

Coesività del gruppo - Il gruppo offre supporto, accettazione, comprensione ai membri, a patto

che rispettino le norme. - Norme (esempi): confidenzialità, rispetto, attenzione, ascolto, sincerità

di condivisione, onestà nei feed-back, disponibilità a mettersi in discussione, voglia di crescere.

- Condividere i vissuti personali cementa la relazione e ne rivaluta il significato.

- La coesività del gruppo è simile all'alleanza terapeutica che si instaura tra il singolo cliente e il terapeuta.

Catarsi - L'espressione di forti emozioni è soprattutto utile se accompagnata da

altre implicazioni interpersonali. - Favorisce la coesione tra i membri del gruppo. - Favorisce l'apprendimento interpersonale ed è parte della esperienza

emozionale correttiva. Gli obiettivi che ci poniamo in questo tipo di terapia sono: facilitare una

modificazione efficace del comportamento verbale in sintonia con la persona; far si che si riduca la distanza fra il sé balbuziente e il sé fluente in modo che queste due parti vadano verso l'integrazione e portino col tempo ad una maggiore accettazione di sé; aumentare l'autoconsapevolezza e l'autoefficacia della persona in riferimento alla sua balbuzie.

Il percorso terapeutico di gruppo che proponiamo è composto essenzialmente di tre parti:

- primi dieci giorni: i componenti del gruppo iniziano a conoscere e a modificare sempre meglio la propria balbuzie, i comportamenti verbali e non verbali, funzionali e non funzionali messi in atto negli anni per far fronte ad essa, quali sono i loro pensieri e sentimenti in riferimento ad essa e soprattutto, per la prima volta nella loro vita, si trovano a condividere tutto questo con altre persone che vivono lo stesso problema. (dopo circa un mese) altri 5 giorni: il percorso continua, condividendo le esperienze fatte nella quotidianità, le difficoltà incontrate e i successi ottenuti, elaborando i vissuti sia per quanto riguarda la balbuzie che per

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la persona che balbetta e che sta cercando di modificare il proprio modo di parlare e di essere nel mondo. Vengono aiutati a fissare altri obiettivi che li porteranno col tempo, ad essere buoni comunicatori sia nei momenti, che ancora ci saranno, di balbuzie che in quelli senza. l'ultima parte è quella così detta del mantenimento, in cui ci si incontra, individualmente o in gruppo (la modalità viene decisa solitamente con le persone che costituiscono il gruppo) per un periodo di una volta ogni 15 giorni, poi una volta al mese e via via sempre più a diradare, finche il cliente non sia riuscito a trasferire nell'ambiente esterno le esperienze fatte all'interno del setting terapeutico.

Fasi della terapia

- Colloqui preliminari: solitamente vengono effettuati all'inizio degli incontri individuali che hanno il fine di iniziare a conoscere la persona, farsi un'idea della sua storia, di cosa rappresenta e ha rappresentato per lui/lei la balbuzie, come vive attualmente il problema, se ha intrapreso altri percorsi terapeutici sulla balbuzie in precedenza, se ci sono altre problematiche che esulano dalla balbuzie, se è motivata o meno ad intraprendere un percorso di gruppo e che cosa si aspetta nel caso dovesse decidere di intraprendere questa tipologia di percorso.

- All'inizio del percorso forniamo delle informazioni teoriche sul punto in cui è arrivata la conoscenza scientifica sulla balbuzie. Questo viene fatto perché spesso le persona che balbetta si forma delle teorie ingenue sulla balbuzie in generale e sulla sua in particolare.

- Il lavoro che noi principalmente svolgiamo, dal punto di vista fonetico e comportamentale (nel senso che la balbuzie è anche un comportamento motorio verbale) con i balbuzienti, è quello di aiutarli ad identificare quello che capita loro mentre balbettano: questo significa che cerchiamo di facilitare in loro una sempre maggiore consapevolezza dei loro momenti di balbuzie e dei loro momenti di fluenza. Una volta che il balbuziente diviene consapevole dei processi che lo portano a balbettare e ad essere fluido, si cerca di facilitare in lui la modificazione della propria balbuzie e l'aumento dei propri momenti di fluenza. Tutto questo con l'obiettivo di fare emergere nella persona che balbetta un nuovo stile comunicativo che si adatti al suo modo di essere e che sia più funzionale alla comunicazione.

- Spesso i balbuzienti sono dei coper inefficaci in riferimento alla balbuzie, questo significa che: negano o eludono le sfide della vita, si ritraggono davanti al problema balbuzie o reagiscono impulsivamente, non si danno tempo per pianificare un piano di azione realistico, colpevolizzano se stessi o gli altri per il loro problema, non vivono le sfide come possibilità di crescita personale, hanno scarsa maestria, controllo personale e speranza. Premesso ciò, si cerca di aiutare i balbuzienti a diventare più flessibili, ovvero ad aumentare la loro capacità di concepire e considerare progetti alternativi; più lungimiranti, ovvero di aumentare la capacità di prevedere gli effetti a lungo termine delle loro risposte di coping; più razionali, ovvero di aumentare la loro

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capacità di fare valutazioni accurate. Come detto in precedenza, il solo lavoro fonetico non è sufficiente ad ottenere un cambiamento significativo nella persona che balbetta. La balbuzie è soprattutto un problema di comunicazione e ciò significa che a chi balbetta, non capita di balbettare in modo continuo, con tutti o sempre allo stesso modo, ma vi è una sorta di variabilità, che fa emergere questo problema soprattutto in presenza di determinati interlocutori e situazioni. Questo significa che, una persona che balbetta può essere in difficoltà durante un esame universitario, ma subito dopo la fine dell'esame può parlare fluentemente con l'amico, oppure un'altra persona che balbetta può essere disfluente con un negoziante, per poi tornare a casa e non avere alcuna difficoltà a parlare con la madre. Questo ci fa capire che la parte emozionale gioca un ruolo molto significativo nel l'evolversi della sindrome e soprattutto che la comunicazione può, in certi casi, risultare assai complicata e che spesso la persona che balbetta sviluppa la sensazione di un'estrema frustrazione che deriva dal non riuscire a portare a termine l'intenzione comunicativa. A proposito di questo un cliente mi ha detto: «Mi sembra come se ci fosse un diavoletto che mi fa un dispetto, non riesco a capire perché in alcuni momenti parlo bene e in altri faccio così fatica ...». Infatti una delle cose che maggiormente disorienta chi balbetta è l'imprevedibilità e il senso di impotenza per non essere in grado di gestire quello che gli succede quando balbetta e di conseguenza la comunicazione. Così l'ultima parte del gruppo è dedicata al gruppo d'incontro in cui ogni persona ha la possibilità di portare liberamente se stessa e incontrare gli altri ad un livello più profondo di quanto solitamente avviene nella vita quotidiana, comprendendo così qualcosa di più di se stessi e degli altri, sviluppando maggiori capacità di comunicazione e scoprendo modalità nuove per gestire i propri problemi.

Il facilitatore

Sicuramente affinché venga agevolato il processo e il cambiamento delle persone che sono all'interno del gruppo diventa importante il ruolo del facilitatore. Possiamo quindi individuare degli elementi che facilitano tutto questo, come detto da Rogers ("I gruppi d'incontro, pag 52- 71):

- Ascolto: è indispensabile che regni un clima basato sull'ascolto. Va data importanza al significato che le esperienze raccontate hanno per la persona e ai sentimenti che le destano. Per fare ciò è essenziale che il facilitatore crei un'atmosfera sicura, facendole percepire di essere ascoltata.

- Accettazione del gruppo e dell'individuo: accettare il gruppo esattamente com'è, anche quando il gruppo desidera intellettualizzare o discutere di problemi superficiali, o se è emotivamente chiuso o teme la comunicazione personale. Allo stesso modo è importante che all'interno del gruppo venga fornita la possibilità al singolo partecipante d'mpegnarsi oppure no: se un individuo decide di rimanere ai margini e

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non intervenire, deve sentirsi libero di farlo, deve sentire che vi è rispetto per i suoi tempi di apertura.

- Comprensione empatica: molto importante è cercare di capire il significato esatto di quanto una persona sta comunicando. Questo agevola perché chiarisce a chi parla il messaggio e aiuta i membri del gruppo a capire e a non perdere tempo a far domande o a rispondere sui particolari complicati esposti. Quando il discorso è generalizzato o intellettualizzante, si possono selezionare i significati che possono riferirsi al locatore stesso per replicare al di fuori del contesto complessivo. Se poi c'è una divergenza d'opinione la comprensione deve andare verso tutte le opinioni.

- Agire secondo la propria sensibilità: il ruolo del facilitatore permette anche di fare uso dei propri sentimenti così come vengono esperiti. Nel momento in cui comprende tutta la complessità dei sentimenti che prova, può scegliere se esprimerli o meno, positivi o negativi che siano.

Per concludere, voglio riportare un brano tratto da un libro che a me è molto caro e che è stato significativo nel mio cammino di persona che balbetta. Il libro si intitola "A stutter story" e nella traduzione in italiano "La balbuzie": è stato scritto da Frederick P. Murray (ricercatore e speech therapist presso l'Università del New Hampshire, negli Stati Uniti, dove ha diretto il programma di rieducazione della parola, è membro dell'American Speech and Hearing Association) anche egli balbuziente.

«... La cosa migliore era che accettandomi come balbuziente completavo un processo di crescita che in parte avevo compiuto durante l'analisi e che il dottor Sheenan ha chiamato "integrazione del ruolo", cioè l'accettazione totale di me stesso, non soltanto dell'io fluente. Scoprivo di piacermi più di prima. Tutti, balbuzienti o no, devono raggiungere quest'accettazione se vogliono vivere in pace. ...Con il mio vissuto e la mia personalità , era oltremodo dura per me accettare la balbuzie. Non mi vergogno di esservi arrivato così tardi; credo che per la persona che ero non avrei potuto arrendermi senza prima condurre una lunga battaglia. L'importante è che vi arrivai, e questo cambiò il corso della mia vita. Con il passare dei mesi le mie sensazioni di sollievo furono sostituite da qualcosa di più forte. Per tutta la vita avevo sognato la vittoria sulla balbuzie, avevo sognata di conquistare una parola normale. Ma ora capivo che la vera vittoria stava nel riconoscere e accettare la balbuzie, nel diventare, secondo le parole della signora Swallow, suo "AMICO"».

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