Antologia 1 Un mondo da salvare - capitello.it · Difendiamo i diritti degli animali p. 79 Un mondo...

23
Diventare consapevoli dei problemi del pianeta 5 IL PIACERE DI LEGGERE UN PIANETA STRAORDINARIO M. G. Mostra Bighe a Ferrara p. 69 M. Corona La profezia p. 71 L. Bignami L’isola della spazzatura p. 75 I DIRITTI DEGLI ANIMALI F. Pratesi Son tornate le cicogne p. 77 AA.VV. Difendiamo i diritti degli animali p. 79 Un mondo da salvare Antologia 1

Transcript of Antologia 1 Un mondo da salvare - capitello.it · Difendiamo i diritti degli animali p. 79 Un mondo...

Diventare consapevoli dei problemi del pianeta

5

IL PIACERE DI LEggERE

UN PIANETA STRAORDINARIO

M. G. Mostra Bighe a Ferrara p. 69

M. Corona La profezia p. 71

L. Bignami L’isola della spazzatura p. 75

I DIRITTI DEgLI ANIMALI

F. Pratesi Son tornate le cicogne p. 77

AA.VV. Difendiamo i diritti degli animali p. 79

Un mondo da salvare

Antologia 1

69

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Il pIacere dI leggere

Antologia 1

Maria Grazia MostraUna giornalista del TG2 si è recata a Ferrara incuriosita dal fatto che, mentre in città tutte in piano e baciate dal sole come Bari o Palermo non si vede una bicicletta, a Ferrara le due ruote sono un vero mito.

Lo fanno i giovani ma anche gli anziani, le giovani donne e le signore di una certa età: più volte e a lungo durante la gior-

nata. A Ferrara si fa. Cosa? Ma andare in bicicletta! È il mezzo più usato per andare a prendere il caffè nel bar sotto casa. Una pedalata sonnolenta e avvolgente, pigra e a volte vivace fino a sfiorare l’indisciplina.Un territorio tutto piatto e una pigrizia a prova di tecnologia fanno delle due ruote le protagoniste della città estense1. E l’oc-chio non fa in tempo a inquadrare una ciclista ben piazzata sul sellino che parla da un telefonino, che dall’altro lato spunta un ciclista che, con la mano appiccicata al manubrio, legge un ma-nifesto per strada. Ferma davanti ai negozi con tanto di cane nel cestino, o al mercato appoggiata e con i sacchetti della spesa intrecciati al manubrio, davanti all’edicola con i giornali fissa-

ti alla molla del ma-nubrio. Bambini che si divertono traspor-tati sul seggiolino, e bici blu per l’ammi-nistrazione comuna-le, sindaco compreso, la bici è ovunque, an-che davanti alle ban-che parcheggiate da compassati professio-nisti.Tutto questo si vede e soprattutto si sen-te a Ferrara. Cigolii e sferragliate di pi-gre pedalate rendono inutile il campanel-lo sulle due ruote che sbucano dalle traver-se con il selciato me-dioevale o ti colgo-

Bighe a Ferrara

un pianeta straordinario5. Un mondo da salvare

1. estense: dal XIII al XVI secolo Ferrara fu governata dalla famiglia degli Este.

70

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

no di sorpresa mentre percorri il ponte levatoio del castello, quando ti aspetti magari di essere sorpreso dallo scalpi-tio di un cavallo.Grazielle per signora, vecchie e pesanti bici nere, cromate mountain bike, clas-siche Bianchi o le Chisal vere ferraresi, circolano tutte nella città. Le due ruote sono la biga in ferrarese, niente a che fare con i Romani che non passarono di qui. Ma può essere anche la volan-tina, o la kuarantina, nel gergo dei la-dri. A proposito, i furti di bighe sono frequenti e molti ciclisti trovano solo la ruota davanti fissata con la catena, le-gata a un sostegno. La biga a Ferrara tradotta in cifre dà addirittura l’89% della popolazione (133 270 i residenti) ciclista convinta.A Ferrara si è soliti dire che i bambini imparano prima a pedalare che a cam-minare.La biga vince sull’auto perché, se è vero che c’è un’auto ogni due abitanti, di bi-ghe ce ne sono ben 2,8 per ciascun ferrarese. E di certo c’è che Ferrara non soffre di inquinamento da benzene.L’autorevole quotidiano «Il Sole 24 ore» ha dato a Ferrara il ti-tolo di prima città italiana delle biciclette; poi è venuta l’adesio-ne alla rete europea «Cities for Cyclists», 30 città di 14 Paesi che promuovono l’uso della bici. E Ferrara vince su Copenaghen con il 30,7% contro il 30% della città danese.Moltissime sono le iniziative nate attorno alla bici, dai club ama-toriali a quelli semiprofessionali.La bici, con centinaia di artigiani che nelle loro botteghe ripara-no, cambiano, mettono a nuovo le due ruote, è una voce in attivo dell’economia ferrarese. Ma anche il comune si preoccupa di pro-gettare una pista ciclabile di circa 50 km che comprende la cit-tà storica e le mura all’esterno. Bicibus e ciclonoleggio sono altre iniziative che le città pianeggianti potrebbero copiare. Tuttavia imitare Ferrara è possibile solo in parte: non bastano le bici a ri-creare un’atmosfera così tranquilla, così ferrarese.

«Panda»

71

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Il pIacere dI leggere

Antologia 1 5. Un mondo da salvare

Il 9 ottobre 1963 migliaia di persone persero la vita a causa di una poderosa ondata, sollevata da una gigantesca frana di 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti caduta nel bacino artificiale della diga del Vajont. L’ondata fu tale da scavalcare la diga ad arco, alta ben 265 metri. Furono devastati cinque paesi, tra cui la sottostante cittadina di Longarone.La frana fu determinata dall’indebolimento dei pendii rocciosi della zona, già ripidi e instabili, causato dall’acqua trattenuta dalla diga.Leggi come uno scrittore, originario di quelle zone, ci presenta prima le speranze suscitate dalla costruzione della diga negli abitanti assai poveri del paese di Erto, poi le tragiche conseguenze.

Mauro CoronaLa profezia

Erto significa ripido ed esiste un paese con quel nome. In ve-rità il paese di Erto è sorto su un terreno scosceso ma non

estremamente ripido. La ripidezza di Erto sta invece nel suo in-felice destino, perché tra i paesi della valle è stato senza dubbio il più disgraziato.Da voci antiche del passato rimbalzano ancora echi di tragedie e terribili avvenimenti che mettono paura solo a pensarci. Sembra-no sopravvivere quassù, ai margini delle radure e del tempo, pe-renni maledizioni che puntuali tornano cavalcando tenebrosi ca-valli e spazzano via ogni entusiasmo dalle persone. L’attesa conti-nua dell’evento doloroso ha modificato il volto di questa gente, fis-sando nei loro occhi quel dignitoso tacere che li distingue.

Una storia antichissima – io la sentivo da mia nonna, che l’ave-va udita da sua madre – racconta la vita e le predizioni di una vecchia fattucchiera ertana. Fra le tante profezie formulate nel-la sua lunga e misteriosa esistenza, ve n’era una che amava ripe-tere spesso. Con voce lenta e ammonitrice mormorava: «Erto di-venterà una cittadina e poi sprofonderà».I montanari non riuscivano a capire come il loro villaggio di sas-si e paglia, abitato da pastori e boscaioli e sorto su picchi dolo-mitici, potesse un giorno diventare una cittadina e poi addirittu-ra sprofondare. Ma, molti anni più tardi, quando un’ardita diga artificiale iniziò a prendere forma, e come un immenso foglio di cemento s’infilò fra le strette pareti della valle, gli eredi di quelle parole cominciarono a intuire l’enigmatico messaggio.Mentre il lago cresceva, essi rammentavano con timore la figu-ra lontana della maga e la terribile frase. Quella profezia tornò a circolare sulla bocca della gente, e se ne parlava nei giorni del pericolo.Mia nonna, che era analfabeta, ci raccontava di sera, accanto al fuoco, la storia della vecchia maga. La dipingeva con toni cupi ma anche con grande stima e rispetto.– Aveva molti libri – diceva – che alla sua morte nessuno trovò più.Seppi così che era sempre vissuta sola e possedeva un grosso vaso di terracotta che veniva chiamato il pignat, dentro al quale,

un pianeta straordinario

72

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

taciturna e oscura, spiava nel futuro il destino del paese.[…]

Mia nonna diceva che la maga mal sopportava la presenza dei forestieri nel villaggio, e met-teva in guardia i montanari affinché diffidas-sero sempre dei viandanti di passaggio. Ma quando i primi tecnici giunsero in avansco-perta a saggiare l’animo della gente e il cuo-re delle rocce con l’idea di costruire un gran-de lago artificiale, il popolo confuso dimenti-cò i consigli della fattucchiera. Credette inve-ce alle lusinghe venute da lontano, anche per-ché si parlava di soldi e a Erto a quel tempo di denaro ne circolava ben poco. Così, quando il progetto ebbe inizio, i montanari buttarono fal-ci e zappe e corsero in massa alla costruzione della diga. Non pareva loro vero di poter avere a fine mese un bel gruzzolo da portare alle famiglie.Il denaro soppiantò il «vecchio» e dette avvio al cambiamento. Le prime a essere eliminate furono le biciclette.Con i soldi della paga i giovani acquistarono motociclette nuove fiammanti. Ricordo almeno una ventina di Gilera 300 scorrazza-re tutte assieme per le vie del paese a velocità folle.[…]

Mano a mano che la diga si alzava, aumentava il benessere delle famiglie. Dopo le biciclette toccò all’arredamento. Le vecchie cuc-cette di ciliegio rosa con intarsi in acero e i pagliericci di foglie vennero messi al rogo e sostituiti da brande e letti nuovi di dub-bia durata. Molti che non erano abituati ai materassi soffrirono il mal di schiena. In compenso aumentarono le nascite.Quasi ogni famiglia comperò una radio, perciò non ci fu più bi-sogno di radunarsi alla sera dal vecchio Svaldat a sentire le sto-rie che egli pazientemente leggeva da grossi volumi avuti chis-sà come. (Un titolo si è salvato nella mia memoria: La disfida di Barletta).I soldi permettono molte comodità che portano però all’isolamen-to delle persone. Infatti eliminano nell’uomo la necessità del rap-porto col proprio simile e, barricandolo in casa, lo rendono steri-le, impaurito ed egoista.Qualcuno più ambizioso acquistò anche il televisore e l’automo-bile, suscitando l’invidia di altri che appena possibile cercarono di imitarlo.

73

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

1. posteri:le generazioni future.

Correva l’anno 1963. Era in atto il boom economico, era inizia-ta l’era della plastica, era finito il tempo della miseria, era quasi terminata la diga.Era per noi l’inizio della fine.«Erto diventerà una cittadina e poi sprofonderà».A volte nei bar qualche saggio ricordava la profezia. Intanto il paese stava cambiando, avviandosi a diventare una cittadina. Di notte non si udiva più il rumore del torrente giù nella valle poi-ché torrente e valle erano diventati ormai un immenso bacino di acqua dolce. Nelle sere tranquille, quel mare artificiale riflette-va la luce della luna. E il Col Nudo, specchiandosi dentro, poteva per la prima volta dopo milioni di anni scoprire compiaciuto il suo profilo inaccessibile.Di giorno, sul lago dal colore verde scuro, filavano le barche: qualche ricco personaggio aveva costruito sulla riva, in mezzo ai larici, la sua dimora estiva. Qualcun altro, prevedendo un fu-turo pieno di guadagni, costruì l’intelaiatura in cemento arma-to di un enorme albergo a tre piani – un obbrobrio sopravvissuto all’onda e che si trova ancora là, scheletro assurdo e inconcepi-bile, sulla curva di San Martino. Era una cosa talmente orren-da che neppure l’acqua del Vajont lo prese con sé. Si portò via le cose belle, ma quello lo volle lasciare ai posteri1 perché meditas-sero.Intanto erano stati aperti bar e trattorie per rifocillare i numero-si operai e tecnici giunti quassù al seguito dei lavori. Nella dif-ficile convivenza tra gli estranei e i montanari non mancarono scontri, incomprensioni e risse, poiché i primi, come natura vuo-le, cercavano di fare il filo alle ragazze del posto, le quali non li respingevano affatto.Ciò nonostante sembrava che tutto procedesse al meglio e per qualche tempo si credette davvero al miracolo del cambiamento, al benessere, e all’infondatezza della profezia.

Ma un giorno il Monte Toc si svegliò di soprassalto. Si svegliò perché l’acqua della diga lo aveva spintonato malamente. Si ac-corse con stupore che era diventato un po’ più piccolo. Era scivo-lato di qualche metro verso il basso. Allora preoccupato chiamò il Borgà, il monte amico suo che gli sta di fronte e gli disse:– Senti, qui l’acqua mi sta togliendo i piedi e quella massa di presuntuosi tecnici, ingegneri e geologi non si accorgono di niente. Sono sicuro che sto per cadere giù in quel maledetto lago che hanno costruito e non so come avvertirli. Da molti gior-ni mi sento debole e cerco di farglielo capire. Ho persino inclina-to gli alberi verso terra in modo che si notino i miei movimenti ma loro, ottusi come sono, non se ne rendono conto. Per favore

74

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

2. goffi:maldestri, incapaci.

3. gibbosa:che presenta protuberanze.

aiutami, mettili in allarme, avvisali tu, visto che a me non dan-no retta.Il Borgà, che è molto più vecchio del Toc e quindi più saggio, ri-spose con tristezza:– Io non posso farci niente. Quella è gente insensibile e non ca-pisce. Sono solo degli aridi tecnici che non sanno interpretare i nostri messaggi: quelli delle piante, dell’acqua, dei rumori. Sono figli della presunzione, perciò sviluppano e mettono in pratica una scienza che va contro natura, altrimenti non si spiega la fol-lia di sbarrare il corso dei torrenti illudendosi di non provocare conseguenze. Tu sai benissimo che cambiando l’andamento na-turale delle cose prima o poi si paga.Il Toc sempre più preoccupato insisteva:– Ma c’è la gente là sotto, nei paesi, e se io salto giù di colpo nell’acqua, questa, che non mi può sopportare, s’arrabbia e allo-ra scapperà in massa giù per la valle uccidendoli tutti.– Guarda che l’acqua è vile – continuava il Toc – una goccia sola non può fare niente ma quando si riunisce tutta insieme diventa cattiva e potente.Il Borgà cercò di prendere tempo e rispose:– Vedi di resistere, cerca di stare attaccato al tuo posto, almeno per qualche giorno, chissà che quegli stolti non s’accorgano del pericolo e facciano almeno sgomberare i paesi.– Non ce la faccio più, ti ripeto! – insisteva angosciato il Toc. – Sotto di me c’è una lastra di roccia levigata come un marmo, e ride perché, dopo milioni di anni e grazie all’ingegno umano, potrà finalmente liberarsi del mio peso e vedere il cielo azzurro. Inoltre ce l’ha a morte con quei goffi2 studiosi del terreno, perché l’hanno offesa definendola gibbosa3 e piena di rughe. E lei, che in-vece è liscia e pulita, vuole dimostrare loro che non mi lascerà sci-volare piano piano come pensano, ma mi tirerà giù in un lampo.

Quel 9 ottobre 1963 la giornata era bella e i monti circostanti di-scussero fino a tardi del pericolo imminente. Il Col Nudo, che è un tipo violento e di poche parole, si meravigliò del fatto che i mon-tanari non avessero ancora preso a calci quegli stupidi sapienti. Verso sera scese il vento nella valle e portò le parole della profezia per tutto il villaggio e nelle frazioni. Alle ventidue e trentanove il Toc stremato s’arrese e precipitò nell’invaso. Una gobba immensa sollevò la luce della luna dalla superficie del lago e la scagliò ver-so il cielo. Poi il bagliore si spense nel boato di un mare che piom-bava su Longarone. E in quel momento anche Erto, avviato a di-ventare una cittadina, sprofondò. E non rinacque mai più.

M. Corona, Il volo della martora, Mondadori

75

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Il pIacere dI leggere

Antologia 1

Luigi BignamiSi chiama Pacific Trash Vortex. Ha un diametro di 2500 chilometri ed è profonda 30 metri. Il suo peso ha raggiunto 3,5 milioni di tonnellate

Nel Pacifico l’Isola della spazzatura per l’80 % formata di plastica

Come un deserto oceanico, dove la vita è ridotta solamente a pochi grandi mammiferi o pesci

5. Un mondo da salvare

Lo chiamano pacific Trash Vortex, il vortice di spaz-

zatura dell’Oceano Pacifico, ha un diametro di circa 2500 chilometri è profondo 30 me-tri ed è composto per l’80% da plastica e il resto da altri rifiu-ti che giungono da ogni dove. «È come se fosse un’immen-sa isola nel mezzo dell’Oceano Pacifico composta da spazza-tura anziché rocce. Nelle ulti-me settimane la densità di tale materiale ha raggiunto un tale valore che il peso complessivo di questa «isola» di rifiuti rag-giunge i 3,5 milioni di tonnel-late», spiega Chris Parry del California Coastal Commission di San Francisco, che è da poco tornato da un sopralluogo. Questa incredibile e poco co-nosciuta discarica si è formata a partire dagli anni Cinquan-ta, in seguito all’esistenza del-la North Pacific Subtropical Gyre, una lenta corrente ocea-nica che si muove in senso ora-rio a spirale, prodotta da un si-stema di correnti ad alta pres-

sione. L’area è una specie di deserto oceanico, dove la vita è ridotta solo a pochi grandi mammiferi o pesci. Per la mancanza di vita questa superficie oceanica è pochissi-mo frequentata da pescherecci e assai raramente è attraversa-ta anche da altre imbarcazioni. Ed è per questo che è poco co-nosciuta ai più. Ma proprio a causa di quel vortice l’area si è riempita di plastica al punto da essere considerata una vera e propria isola galleggiante. Il materiale poi, talvolta, fini-

un pianeta straordinario

76

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

sce al di fuori di tale vortice per terminare la propria vita su alcune spiagge delle Isole Hawaii o addirittura su quelle della California. In alcuni casi la quantità di plastica che si arena su tali spiagge è tale che si rende ne-cessario un intervento per ri-pulirle, in quanto si formano veri e propri strati spessi an-che 3 metri. La maggior parte della plastica giunge dai conti-nenti, circa l’80%, solo il resto proviene da navi private o com-merciali e da navi pescherecce. Nel mondo vengono prodot-ti circa 100 miliardi di chilo-

grammi all’anno di plastica, dei quali, grosso modo, il 10 % finisce in mare. Il 70 % di que-sta plastica poi, finirà sul fon-do degli oceani danneggiando la vita dei fondali. Il resto con-tinua a galleggiare. La maggior parte di questa plastica è poco biodegradabi-le e finisce per sminuzzarsi in particelle piccolissime che poi finiscono nello stomaco di mol-ti animali marini portandoli alla loro morte. Quella che ri-mane si decomporrà solo tra centinaia di anni, provocando da qui ad allora danni alla vita marina.

«la Repubblica»

77

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Il pIacere dI leggere

Antologia 1 i diritti degli animali

Il 2010 è l’anno Onu della biodiversità. Il nostro Paese ha il record Ue di specie viventi. Ma servono interventi di tutela.

Fulco PratesiSon tornate le cicogne

Concluso l’Anno del clima, l’Onu ha lanciato per il 2010 l’An-no della biodiversità. Questa mirabile varietà di specie ani-

mali e vegetali forma l’oggetto di una Convenzione varata alla Conferenza mondiale di Rio de Janeiro del 1992. Questa dovreb-be, nei prossimi 12 mesi, essere la base per una serie di provve-dimenti tesi a rallentare le estinzioni, che oggi, secondo le stime degli esperti, coinvolgono nel mondo circa 30 mila specie l’anno.Se si deve giudicare dai risultati dell’appena trascorso Anno del clima, non ci sarà molto da stare allegri sugli esiti di questa se-conda mobilitazione globale. Però qualcosa si è fatto e altro si può fare. Tra le varie azioni messe in atto dai Paesi che han-no sottoscritto la Convenzione sulla Biodiversità, ad esempio, ben 167 (l’87 per cento) hanno già elaborato Strategie naziona-li e Piani d’azione per rallentare lo stillicidio delle scomparse. L’Italia invece non ha ancora attivato politiche concrete, pur es-sendo stata la prima nazione ad aver sottoscritto il Countdowm 2010 (un accordo per fermare entro l’anno in corso le estinzio-ni) e avendo promosso, nel G8 dell’Ambiente dell’aprile scorso, la Carta di Siracusa. Basti pensare che l’unica legge che si occupa, a tutt’oggi, della fauna selvatica, è quella sulla caccia del 1992.Eppure il nostro Paese non fa, in questo settore, la consueta fi-gura dell’ultimo della classe. Nonostante la fama di massacrato-ri di uccellini che si portano appresso gli italiani, negli ultimi anni non si sono dovute registrare estinzioni e anzi si è assisti-to a qualche recupero. Chi, cinquant’anni fa avrebbe ad esempio scommesso sulla sopravvivenza della lontra, dell’orso bruno alpi-no, del lupo, della cicogna, del cervo sardo, del muflone, dell’av-voltoio grifone, del gipeto (considerato estinto dal 1960) del fini-cottero e di tante altre specie? I vari Libri Rossi, veri martirologi degli animali italiani in pericolo, li davano oramai quasi tutti in via d’estinzione.Le cose, fortunatamente, non sono andate così. Oggi si osserva-no foche monache all’Isola del Giglio e lontre nei fiumi del Sud, i cervi sardi da cento che erano negli anni ’70 sono divenuti 7 mila, i lupi sono saliti dai cento individui del 1973 ai circa mille di oggi, i fenicotteri nidificano a migliaia e il gipeto vola di nuo-

5. Un mondo da salvare

78

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

vo sulle Alpi.Accanto a questi dati abbastanza confortanti, ve ne sono però al-tri di cui il governo (che sembra oggi in tutt’altre faccende affac-cendato) dovrebbe occuparsi. Una Strategia nazionale e un Piano d’azione per la biodiversità (come richiede il WWF) non può igno-rare il fatto che l’Italia detiene, in Europa, oltre al record di beni culturali, anche quello di specie vegetali (11.700 di cui molte en-demiche, cioè esclusive) e di animali (ce ne sono 57 mila di cui 4.700 uniche al mondo). Sono quindi necessari e urgenti provve-dimenti in difesa della fauna non considerata dalla legge sulla caccia (dai pesci d’acqua dolce agli anfibi e ai rettili, dagli insetti agli invertebrati marini). E poi interventi in favore della flora più rara ed endemica, ponendo severi limiti al devastante consumo del suolo.Tra le specie maggiori oggi più in pericolo, il WWF segnala l’or-so bruno (meno di 100 esemplari tra Appennini e Alpi), la lontra (260 esemplari), l’aquila del Bonelli (15 coppie), l’avvoltoio capo-vaccaio (10 coppie) la gallina prataiola (1.500 esemplari), la per-nice bianca (5 mila coppie). Oltre a queste, il delfino comune, il tonno rosso (decimato da una pesca eccessiva) e molti endemici pesci d’acqua dolce (come il carpione del Garda e la trota macro-stigma) e anfibi rari come il pelobate fosco (un piccolo rospo che ancora si riproduce in pochissimi siti padani).Si tratta di un’azione di lunga lena che porterebbe l’Italia ai livel-li delle nazioni più avanzate conservando il suo prezioso patri-monio di biodiversità.

L’Espresso (4 febbraio 2010)

79

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Il pIacere dI leggere

Antologia 1 i diritti degli animali

Difendiamo i diritti degli animali Autori variQuando mangi un uovo, sai che forse è stato prodotto da una gallina costretta a vivere in una gabbia così piccola che le impedisce di muoversi? Conosci le condizioni in cui vivono e soffrono i polli che mangiamo abitualmente?Sai quanti animali vengono fatti soffrire e poi sono uccisi per la sperimentazione di cosmetici?In una società democratica anche i diritti degli animali devono essere tutelati. 

Le galline ovaiole: 400 milioni di prigioniere nelle gabbie della vergogna

Ogni anno sul territorio dell’Unione Europea vengono alleva-te oltre 400 milioni di galline ovaiole (50 milioni solo in Ita-

lia), il 90% delle quali è rinchiuso nelle gabbie di batteria degli allevamenti intensivi.L’allevamento in batteria delle galline ovaiole è un sistema indu-striale e intensivo nel quale le galline vivono la loro breve vita (circa un anno) confinate in una piccola gabbia di rete metallica insieme a molte altre galline. Ogni gallina ha a disposizione uno spazio di 25 per 22 centimetri, meno di un foglio di carta di for-mato A4 (la comune carta per stampante), nel quale è impossibi-le per l’animale compiere movimenti naturali, stirarsi, aprire le ali o semplicemente girarsi nella gabbia senza difficoltà. Pratica-mente è come se la gallina passasse la sua vita dentro una sca-tola da scarpe.Queste condizioni provocano agli animali enormi sofferenze fisi-che e psicologiche. Le gabbie in cui sono rinchiuse le galline pos-sono essere impilate in altezza fino a 6 file, all’interno di capan-noni di grandissime dimensioni, nei quali è necessaria la venti-

5. Un mondo da salvare

80

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

lazione forzata, dato l’altissimo livello di ammoniaca prodotto da-gli escrementi degli animali. Le galline sono inoltre esposte alla luce artificiale per molte ore, al fine di alterare il loro naturale ciclo giorno-notte, evitando la riduzione del bioritmo dell’anima-le, con un conseguente aumento della produzione di uova. Il pa-vimento in rete metallica della gabbia provoca gravi lesioni e de-formazioni ai piedi e alle unghie degli animali. In natura le un-ghie delle galline si consumano durante la ricerca di cibo, nelle gabbie di batteria ciò non avviene e le unghie crescono a dismi-sura fino a ritorcersi e spezzarsi, con gravi conseguenze sanita-rie per gli animali.

Gravi restrizioni ai comportamenti naturali degli animali

Le galline hanno un forte bisogno di seguire modelli di com-portamento sviluppati dalla specie nell’evoluzione di miglia-

ia di anni. È essenziale per il benessere di questi animali che tali esigenze siano soddisfatte. In natura le galline camminano per lunghe distanze e passano gran parte del loro tempo alla ri-cerca di cibo; vivono in piccoli gruppi con un’organizzazione so-ciale complessa e basata su una chiara gerarchia; cercano luo-ghi appartati dove creare i nidi per deporre e covare le uova, e usano gli alberi per appollaiarsi al riparo dalle minacce dei pre-datori durante la notte. Le galline devono poter distendere le ali, si prendono cura delle loro penne e fanno regolari bagni di ter-ra. Una gallina libera può fare movimenti naturali, cercare il cibo, o un rifugio quando si sente minacciata dall’ambiente cir-costante, deporre e covare le proprie uova nel nido.

Nelle gabbie di batteria nessuno di questi comportamenti è possibile.La possibilità di fare un nido ove deporre le uova e covarle è fon-damentale per una gallina: la ricerca di un luogo idoneo in cui costruirlo, la raschiatura del terreno e la predisposizione di ma-teriali su cui poggiare le uova, sono tutti comportamenti preclu-si nelle gabbie di batteria, e le galline mostrano, a seguito di tale privazione, gravi alterazioni e patologie del comportamento.La mancata possibilità di fare bagni di polvere, essenziali agli animali per eliminare parassiti e depositi di sporco sulle piume, porta le galline a sviluppare aggressività verso le altre e a pro-vare un forte senso di malessere, poiché avvertono il proprio piu-maggio sporco.Altro elemento di grande importanza per le galline è la possibi-lità di appollaiarsi per trascorrere la notte. Si tratta di un com-

81

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

portamento basilare delle galline che viene totalmente soppresso nelle gabbie, determinando nell’animale una perenne percezione di minaccia da parte di predatori.L’impossibilità di aprire le ali costituisce l’ennesima grave priva-zione ai bisogni naturali di questi animali. Una gallina ha biso-gno di oltre 2000 cm2 per poter distendere le sue ali, ma nelle gabbie ha a disposizione solo 550 cm2; anche questa privazione in-cide negativamente sulla salute e sul comportamento dell’animale.

Lesioni fisiche

Oltre alle crudeltà mentali inflitte alle galline ingabbiate, l’ambiente delle gabbie di batteria comporta anche gravi

problemi di benessere fisico.Osteoporosi1 e fratture delle ossa sono molto comuni nelle gal-line in gabbia, perché l’alto tasso di produzione di uova impove-risce le riserve di calcio degli animali. Il piano di filo metalli-co causa problemi ai piedi delle galline e le loro unghie, che non si consumano su un terreno come in natura, possono ritorcersi intorno alle maglie della rete. Piedi e zampe danneggiate ridu-cono la possibilità delle galline di muoversi e talvolta di svolge-re esigenze fondamentali quali la ricerca del cibo e dell’acqua. A causa della loro frustrazione, della noia e della stretta vicinan-za con altri animali, le galline spesso beccano e aggrediscono le proprie compagne di gabbia. Molte volte, per le condizioni in cui vivono, le galline impazziscono letteralmente, tanto da diventare cannibali. Nel tentativo di diminuire le lesioni fisiche causate da questo comportamento «antisociale», le galline di batteria vengo-no «sbeccate», rimuovendo loro un terzo del becco per mezzo di un coltello rovente – un evidente caso di trattamento dei sintomi piuttosto che trattare le vere cause che determinano l’aggressivi-tà di questi animali.

La legislazione e la fine delle gabbie di batteria

La Direttiva Europea n° 74 del 1999, che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline ovaiole, ha previsto

che dal gennaio del 2012 le gabbie di batteria convenzionali deb-bano essere abolite e non essere più utilizzate come sistema di al-levamento per la produzione di uova.La direttiva rappresenta una storica vittoria per il movimento animalista, ma l’enorme miglioramento delle condizioni di vita degli animali che questa comporta è minacciato dall’industria avicola2, che chiede di ritardare di almeno dieci anni o addirit-tura di cancellare il bando delle gabbie di batteria. L’industria è

1. Osteoporosi: pro cesso di rarefazi one e in debolimento del tessuto osseo, con pre di­spo sizione alle fratture.

2. avicola: che si occupa dell’alleva mento di volatili.

82

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

3. senzienti: che sentono, che sono dotati di sensi e sensibilità (e perciò possono, in particolare, provare sofferenza).

preoccupata dalla crescita dei costi ma la Commissione Europea, con un apposito studio sull’impatto della direttiva, ha dimostra-to che tali preoccupazioni non hanno ragion d’essere.Vi è inoltre da considerare che il nuovo trattato della UE, appro-vato nel dicembre 2007 a Lisbona, vincola il legislatore comuni-tario a migliorare il benessere degli animali nelle legislazioni, in quanto esseri senzienti3. Non possono dunque essere trascu-rate le conclusioni, contenute nei rapporti scientifici del Comita-to per il benessere e la salute degli animali dell’UE, relative alla sofferenza delle galline ovaiole allevate nelle gabbie di batteria. Ogni ulteriore ritardo nell’abolizione di tali sistemi di allevamen-to deve essere evitato, per il benessere degli animali e per la cre-scente attenzione dei cittadini verso il rispetto degli animali.

Gli altri sistemi di allevamento

Le alternative all’allevamento in gabbia esistono. Le norme in vigore prevedono, in totale, 4 tipologie di allevamento (in-

dichiamo sinteticamente anche l’allevamento in gabbia, di cui abbiamo già parlato a lungo, perché sia più facile il confronto). Sono particolarmente significativi i dati sulla densità, cioè sullo spazio che ogni gallina ha a disposizione.

n allevamento biologico: le galline possono razzolare libera-mente all’interno e all’esterno di capannoni, su un terreno ri-coperto da vegetazione e coltivato con metodo biologico. Posso-no così respirare aria fresca, godere della luce solare, razzo-lare e fare bagni di terra in un ambiente adatto alle loro esi-genze. Le galline sono alimentate con cibi biologici, integrati al massimo con un 20% di mangimi convenzionali. Densità: 1 gallina ogni 10 m2.

n allevamento all’aperto: le galline possono razzolare all’aper-to per alcune ore al giorno in un ambiente esterno protetto dal contatto con altri animali. Le uova in questo tipo di alleva-mento possono essere deposte sul terreno o nei nidi. Densità: 1 gallina ogni 4 m2.

n allevamento a terra: le galline vengono allevate in capanno-ni all’interno dei quali possono muoversi liberamente ma non hanno accesso all’esterno. Le uova sono deposte sul terreno o nei nidi. Densità: 4 galline per 1 m2.

n allevamento in gabbia: le galline sono rinchiuse in gabbie di-sposte in file da 4 a 6, all’interno di capannoni chiusi, con ven-tilazione forzata e luce artificiale. Le uova sono deposte su un nastro trasportatore che automaticamente le raccoglie. Densi-tà: 18 galline per 1 m2.

83

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Scegli di non essere complice!

Le uova in commercio, oltre a una etichettatura che ne indi-chi la data di scadenza e ne consenta la cosiddetta «traccia-

bilità» (la possibilità di risalire a chi le ha prodotte), devono esse-re anche etichettate secondo il metodo di allevamento, al fine di far sapere al consumatore in quali condizioni di vita sono state tenute le galline che hanno prodotto le uova.Dal 2004 il sistema di etichettatura prevede che su ogni guscio vi sia un codice che identifica:n il tipo di allevamento;n lo Stato, il comune e la provincia di produzione;n la ditta titolare dell’allevamento;n la data di scadenza.

Il tipo di allevamento è indicato dal primo numero a sinistra, subito prima della sigla IT che si riferisce alla provenienza ita-liana. Se non vuoi essere complice di chi viola i diritti degli ani-mali e costringe le galline a vivere in condizioni di intollerabile sofferenza, scegli le uova con i codici 0 o 1. Sono da evitare as-solutamente le uova con il codice 3. Le indicazioni che abbiamo descritto, oltre che sul guscio, sono riportate anche sulla confe-zione delle uova. Generalmente, però, si trovano sotto la confe-zione e sono scritte in caratteri molto piccoli.Fai attenzione: a volte sulla confezione si può leggere «uova di fattoria» o «uova di campagna». Espressioni di questo tipo non hanno alcun valore: sono diciture di fantasia, spesso usate pro-prio per uova da galline in gabbia. Anche quando trovi rappre-sentate immagini di animali in libertà su prati verdi, non lasciar-ti ingannare: sono immagini propagandistiche, e il più delle volte non corrispondono alla realtà. L’unico modo per conoscere il tipo di allevamento da cui provengono le uova è guardare il codice.

LAV (Lega Antivivisezione), www.infolav.org

84

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Conosci i tuoi polli? La verità sull’allevamento dei polli da carne

Si mangiano abitualmente, se ne producono e consumano cir-ca 40 miliardi l’anno in tutto il mondo (450 milioni solo in

Italia), ma in pochi possono dire di conoscerli bene. Sono i broi-ler: i polli selezionati, allevati e macellati, specificamente per il consumo della loro carne.Cercheremo ora di conoscerli meglio, di capire quali sono attual-mente le loro condizioni di vita, quali le patologie in cui incorro-no e quali sono i rischi che corre il consumatore della loro carne.Gli allevamenti intensivi dei broiler sono la conseguenza di un mercato in cui la priorità è abbassare i costi e aumentare la pro-duzione. Ogni fase dell’allevamento è studiata in funzione della produttività: alte densità, accelerazione della crescita con esposizione forzata alla luce artificiale, selezione genetica, inat-tività, sono le leve di un’intensivizzazione che non ha precedenti in nessun altro tipo di allevamento.La conseguenza di tutto ciò è che le condizioni di vita e di salu-te dei polli sono tra le peggiori della moderna zootecnia. Gli allevamenti sono veri e propri lager, nei quali i polli sono consi-derati prodotti e non esseri viventi che soffrono e si ammalano.Gli obiettivi economici, l’eccessiva produttività, la riduzione dei tempi di accrescimento sono entrati in conflitto con la natura dell’animale, trasformato in una vera e propria macchina da carne, spesso malata. Le modalità di allevamento hanno fatto crescere in modo esponenziale le patologie dei polli, conseguen-temente è cresciuto l’utilizzo di antibiotici e farmaci, senza i quali questi animali morirebbero ben prima di aver raggiunto il peso minimo per essere macellati e immessi sul mercato.Le ricorrenti crisi sanitarie derivanti dall’allevamento intensivo dei polli rappresentano l’ennesima testimonianza di un alleva-mento che ha spinto gli animali ben oltre i limiti della natura in nome del profitto.

L’alta densità di allevamento

I broiler sono allevati a terra in grossi capannoni che conten-gono dai 20 000 ai 30 000 capi per ciclo produttivo. Uno dei

problemi più gravi di questo tipo di allevamento è la densità: ogni metro quadrato è affollato da circa 15-20 polli. Lo spazio utile per ogni animale è quasi sempre inferiore a un foglio A4, più piccolo di quello, pur ristrettissimo (550 cm2), a disposizio-ne delle galline ovaiole in batteria. Il sovraffollamento impedisce ai broiler di compiere i comportamenti normali della loro specie

85

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

(razzolare, beccare per terra) e li costringe a passare i due ter-zi della loro vita immobili, appollaiati sui propri escrementi, favorendo l’insorgere di molte patologie.Vediamo quali sono i principali problemi causati dall’alta densità di allevamento.

n Zoppie: costretti all’inattività i polli soffrono di forti problemi agli arti.

n affezioni cutanee: al crescere della densità d’allevamento au-mentano anche l’umidità, il biossido di carbonio e il tasso di ammoniaca nell’aria, che causano infiammazioni, ulcere e al-tre dermatiti. Inoltre l’alta densità determina il tentativo dei polli di arrampicarsi gli uni sugli altri. Questo causa lesioni alla pelle, graffi e contusioni. Nell’ambiente caldo e umido dei capannoni i graffi spesso si infettano, portando a gravi lesioni cutanee e all’esigenza di intervenire con farmaci antibiotici che possono essere trasmessi all’uomo come residui nelle carni.

n Stress da caldo: l’elevata densità negli allevamenti è una del-le cause principali dei problemi dovuti allo stress da caldo, che ogni estate causa sofferenza e morte a migliaia di polli.

La luce artificiale

La maggior parte dei broiler viene allevata al chiuso, senza fi-nestre ed esposta alla luce artificiale fino a 23 ore al gior-

no. La gestione della durata e dell’intensità della luce influisce sul benessere dei polli e sulla loro velocità di crescita. I polli in-fatti regolano il loro ciclo vitale giornaliero sull’alternarsi del pe-riodo luminoso e di quello buio: durante il giorno sono attivi e vanno alla ricerca di cibo, di notte si riposano. Stravolgendo il ciclo giorno/notte mediante l’utilizzo di luce artificiale si scon-volgono i loro comportamenti: l’illuminazione continua favorisce un’assunzione di cibo quasi ininterrotta, mentre una bassa in-tensità di luce dissuade gli animali dal movimento e li spinge all’immobilità. Più cibo e minore spreco di energie contribuisco-no ad aumentare i tassi di crescita degli animali, diminuendo il tempo necessario per «produrre» un pollo.prove scientifiche hanno evidenziato che privando i broiler di un adeguato periodo di riposo notturno, si generano gravi danni alla loro salute.

La selezione genetica

I broiler presenti negli allevamenti sono il frutto di un’intensa selezione genetica finalizzata a diminuire i tempi e i costi di

86

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

produzione. Fino a oggi la selezione genetica si è focalizzata so-prattutto su due aree:n il tasso di crescita: tra 10 000 specie di volatili prese in consi-

derazione all’interno di un recente studio, il pulcino di broiler è quello con la crescita più rapida. Un broiler moderno ha un tasso di crescita di quattro volte superiore a una gallina ovaio-la e raddoppiato rispetto a un pollo della stessa razza di trenta anni fa. Grazie all’esasperata selezione genetica, ogni anno si riduce di un giorno il periodo di allevamento.

n lo sviluppo del corpo: per rispondere alle esigenze del mer-cato, è stato incrementato lo sviluppo della parte più richiesta dai consumatori, il «petto», che risulta sproporzionato rispetto alle ali e alle zampe.

la selezione genetica ha generato un significativo incremen-to della produttività, ma ha provocato seri danni alla salu-te e al benessere degli animali, facendo insorgere sofferenze e gravi patologie. A causa di queste malattie, decine di miglia-ia di broiler muoiono ogni giorno, prima di raggiungere l’età della macellazione, in condizioni stressanti e dolorose.In particolare, le ossa non riescono a crescere alla stessa veloci-tà dei muscoli: dopo due settimane il pollo fa fatica a muoversi e soffre, dopo 30 giorni sono frequenti rotture alle zampe. La sele-zione genetica genera animali troppo pesanti per ossa e articola-zioni immature: è come se il peso di un bambino di nove anni do-vesse essere sostenuto dalle gambe di un bimbo di cinque anni. Il petto dell’animale è stato «gonfiato» a tal punto che le zampe fanno fatica a sorreggerne il peso: perciò si piegano, si deforma-no e, molto spesso, si spezzano. Inoltre lo sviluppo troppo rapido e deforme provoca spesso patologie al cuore: un elevato numero di polli muore per arresto cardiaco.

L’uso di antibiotici

Negli allevamenti intensivi dei polli «da carne» l’eccessivo af-follamento, le condizioni igieniche proibitive, i disturbi me-

tabolici, le condizioni dell’aria non idonee rendono inevitabile l’utilizzo di grandi quantità di antibiotici. Ma nel mondo iper-produttivo e intensivo dell’industria della moderna zootecnia, non è possibile curare il singolo animale malato: gli antibiotici vengono somministrati collettivamente sia agli animali sani sia a quelli malati, attraverso l’acqua e il cibo.L’uso di antibiotici non ha solo scopi terapeutici, ma vengono uti-lizzati anche per il loro effetto «ormonale»: gonfiano i muscoli d’acqua aumentando il peso delle carni, a scapito della salute de-gli animali.

87

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Queste sostanze possono restare come residui nelle carni con seri rischi per la salute umana. È infatti ampiamente docu-mentato che l’uso massiccio di antibiotici nella zootecnia ha de-terminato nell’uomo fenomeni di antibiotico-resistenza, renden-do così inefficaci le terapie antibiotiche sulle persone.

Le fasi finali

Raggiunto il peso adatto alla macellazione, i polli vengono catturati per essere poi trasportati ai macelli. Prima di pro-

cedere alla cattura, si interrompe la distribuzione di cibo e ac-qua per ridurre il contenuto dell’intestino prima della macella-zione; questa privazione fa soffrire molto i polli che, abituati a mangiare molto spesso, rimangono all’improvviso a digiuno per diverse ore.La cattura può essere praticata meccanicamente o manualmen-te, in Europa è maggiormente diffusa quella di tipo manuale. Gli animali vengono presi per le zampe e portati a testa in giù fino ai contenitori per il trasporto. Ogni addetto porta tra i 6 e gli 8 animali nelle due mani sostenendo ogni pollo per una zam-pa e causando molto spesso rotture degli arti e contusioni. L’in-serimento nei contenitori rappresenta un’ulteriore sofferenza e provoca spesso ferite e rotture di ossa.Nel ciclo produttivo degli animali, il trasporto costituisce una delle maggiori fonti di stress e sofferenza. Le modalità di tra-sporto dei broiler, in particolare, sono considerate le peggiori tra quelle attualmente in uso: la densità degli animali arriva fino a 200 kg per metro cubo, anche 6 mila polli in un solo camion. Il sovraffollamento causa grande sofferenza e molti decessi prima di giungere nei luoghi di macellazione.Nei mattatoi europei ogni minuto più di 200 polli vengono ma-cellati, oltre 5 miliardi ogni anno. Anche i momenti precedenti alla morte causano sofferenza ai polli: i metodi di macellazione sono pensati per la velocità dei processi e non per gli animali. I polli sono fatti camminare su nastri che molto spesso oltre a provocare paura e stress feriscono gli animali; poi vengono ap-pesi a testa in giù prima di essere storditi con una scossa elettri-ca. Milioni di animali ogni anno non sono adeguatamente stor-diti e viene recisa la loro gola quando sono ancora coscienti.

Per non essere complici

Che cosa può fare ciascuno di noi per non essere complice di chi fa soffrire milioni di polli?

88

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

n limitare il consumo di carne: è evidente, infatti, che i con-sumi attuali di carne, quasi sempre eccessivi e dannosi per la salute, alimentano l’esistenza degli allevamenti intensivi. È ne-cessario tornare alla dieta mediterranea, che si basa in pre-valenza su cereali, pane, pasta, legumi, ortaggi e frutta, con un uso molto moderato della carne. Ricordiamo inoltre che la carne può essere sostituita, almeno in parte, con uova, latte e formaggi, che contengono proteine altrettanto valide dal pun-to di vista nutritivo e non comportano l’uccisione di animali.

n Scegliere carni provenienti da allevamenti in cui gli anima-li siano tenuti in libertà, preferibilmente da allevamenti bio-logici, in cui i polli possono razzolare in spazi verdi all’aperto, con una densità massima di 1 pollo ogni 4 m2, e sono alimen-tati con cibi da agricoltura biologica. In questo tipo di alleva-mento è rispettato il ritmo naturale di crescita dell’animale, che viene macellato dopo 80-120 giorni (contro i 35-40 degli al-levamenti intensivi): oltre al benessere degli animali, ne trag-gono vantaggio il sapore e le qualità nutritive delle carni.

LAV (Lega Antivi visezione), www.infolav.org

Sostituire i test sugli animali: per i cosmetici il trucco c’è già

Entro il 2013 l’Europa metterà al bando tutti i test su animali effettuati per confermare la sicurezza dei cosmetici. L’indu-

stria cosmetica, se vorrà lanciare nuovi prodotti in Europa, do-vrà trovare il modo di dimostrarne la sicurezza senza provarli su cavie.Ma non per questo gli europei dovranno rinunciare alle novità del settore: l’Ecvam, un istituto scientifico finanziato dalla Com-missione europea e con sede a Ispra, sul Lago Maggiore, lavo-

89

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

ra infatti per dimostrare che i test senza animali, proposti da vari istituti di ricerca pubblici e privati, sono altrettanto buoni, se non di più, di quelli che comportano ogni anno sofferenza e morte per più di un milione di cavie nel nostro continente.Trenta test alternativi a quelli con animali sono già stati conva-lidati, e decine di altri sono in via di sperimentazione. In partico-lare, il centro di Ispra ha già trovato sostituti per i primi tre test per cosmetici che finiranno fuorilegge: quelli di irritazione ocu-lare e dermica, che oggi si effettuano sfregando la sostanza su occhi e pelle di conigli e topi, e la prova di tossicità acuta, quel-la che determina la quantità di sostanza necessaria a uccidere metà del campione animale.Il test di irritazione dermica verrà sostituito con prove su colture di cellule di pelle umana, simili a quelle usate per i trapianti de-gli ustionati. «Il test alternativo sostituisce perfettamente quello sugli animali» spiega Thomas Hartung, professore di tossicolo-gia all’Università di Costanza e direttore scientifico dell’Ecvam, «anzi, trattandosi di pelle umana è molto più affidabile: l’uomo non è un coniglio di 70 chili, il nostro corpo funziona in modo abbastanza diverso da quello di piccoli mammiferi, geneticamen-te lontani da noi e destinati a vivere solo pochi anni».Il test di irritazione oculare, invece, ha per adesso trovato solo una sostituzione parziale. «Provando i prodotti sulla cornea di animali macellati siamo in grado di individuare solo le sostanze fortemente irritanti» ammette Laura Gribaldo, responsabile della sezione farmaci all’Ecvam. «Tuttavia è già un primo screening, che salva gli occhi di migliaia di conigli. Stiamo comunque stu-diando altre tecniche per scoprire i danni meno evidenti».L’osso più duro è il test di tossicità acuta, visto che un compo-sto può agire in modo diverso sui diversi organi e anche trasfor-marsi in altro, a causa delle reazioni biologiche. «Ma con una sequenza di test su colture cellulari umane è possibile fare una prima scrematura e individuare le sostanze pericolose per que-sto o quel tessuto» continua Gribaldo. «Inoltre, con sistemi infor-matici è possibile prevedere, con sempre maggiore precisione, le trasformazioni a cui va incontro una molecola una volta entrata nell’organismo». Molto più difficile sarà trovare alternative «sen-za animali» ai test più complessi, quelli inclusi nella scadenza del 2013, come il test di tossicità embrionale e quello di induzio-ne di tumori. «In realtà» conclude Hartung «si tratta di prove per lo più riservate ai farmaci e raramente necessarie per i co-smetici».

Alex Saragosa, in «il venerdì di Repubblica»

90

I l p I a c e r e d I l e g g e r e

Non aspettiamo il 2013 per difendere i diritti degli animali! Fino a quella data, possiamo orientare i nostri consumi su cosmetici realizzati senza sperimentazione sugli animali, scegliendo solo dalle aziende che aderiscono allo standard internazionale «Non testato su animali». Si tratta di aziende che hanno sottoscritto l’impegno a non commissionare e a non effettuare test su ani-mali sul proprio prodotto e sulle materie prime che lo compon-gono. Scegliendo i prodotti commercializzati da queste aziende, potremo acquistare cosmetici, saponi, shampoo, bagnoschiuma, prodotti per l’igiene orale e detersivi, con la certezza di non con-tribuire alla sperimentazione animale.I prodotti di queste aziende sono facilmente riconoscibili dal logo e dalla dicitura riportati sulla confezione:

Se vuoi saperne di più: www.infolav.org

STOP AI TESTSU ANIMALI

Controllato da ICEAper LAV