Anteprima Napoli in un orto

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di Rosa Orfitelli, edito da Marotta&Cafiero editori

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Inpentola

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Rosa Orfitelli

NAPOLI IN UN ORTO

Marotta & Cafieroeditori

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Questo libro è rilasciato con licenza Creative Commons “Attribuzione - Non Commer-ciale - Non Opere Derivate 2.0”, consultabile in rete all’indirizzo http://creativecom-mons.org. Pertanto questo libro può essere riprodotto e distribuito con ogni mezzo fisico,meccanico o elettronico, a condizione che la riproduzione del testo avvenga integralmentee senza modifiche, ad uso privato o didattico e a fini non commerciali.

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©Marotta & Cafiero editoriVia Andrea Pazienza 2580144 Napoliwww.marottaecafiero.it

ISBN: 978-88-88234-96-0

Disegni di Gennaro Monforte

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A Chiara che mi ha sempre spronata a scrivere,sperimentare, annusare, osservare.

A Diego, che si definisce “emigrante volontario”,ma vuole coltivare l’importanza del gusto

legato alle sue radici affettive.A quanti amo, non q.b. (quanto basta), ma in modo smisurato…

Grazie, con tutto il cuore.

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Prefazione

La corazza tra noi e il brutto!

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Ore 05:00, ancora non spunta il sole, ormai è segno che si avvi-cina l’inverno e come spesso accade arriva con esso un po’ di stranamalinconia; poi pensi al ciclo necessario delle stagioni, alla beneficarigenerazione della natura e vai con la mente alla ricerca dei ricordiprofumati, quelli legati alla memoria delle cose buone, ai colori dellecampagne, per chi ha avuto il privilegio di giocarvi da piccolo.

Invece, come accade sempre più spesso, sono in attesa di un“amico contadino”, che con molta preoccupazione e qualche ini-ziale titubanza, mi porterà a vedere l’ennesima discarica che minac-cia il suo coltivato, la sua frutta, i suoi ortaggi.

Ancora un incendio di rifiuti tossici, ancora fumo e puzza di ve-leno che si attaccano sulla pelle, tra i capelli, sui vestiti. Devi lottareper non farla entrare nei ricordi, non li vuoi perdere.

Sei costretto a fare spazio nella mente alla mappa della terra ma-lata, mentre osservi la colonna di fumo nero, più scuro della notteche sta per abbracciare case, paesi, abitanti, campi… e con rabbia tichiedi quanti occhi stanno vedendo la stessa cosa, quanti polmonistanno respirando il frutto del guadagno illecito, e come fanno adentrare nel corpo della campagna nostra.

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Ecco, spunta il sole, ed insieme la forza dei ricordi si fa luce, imiei ricordi profumati, delle cose buone, dei sapori giusti, il pro-fumo di quella terra, fresca, che solo chi ha usato la zappa sa respi-rare.

Questa è la corazza tra noi e il brutto, per non perdere la me-moria, per impedire all’animo di sentirsi lontano dal luogo per cuiha lottato, per non vivere lontano da dove esisti, insieme alla tua co-munità, ai racconti senza tempo, alle storie di chi non conosci, mache esistono nella piazza, nella strada, nella campagna, nell’orto die-tro l’angolo.

In questi momenti, e grazie alla forza gentile di Aldo, dell’entu-siasmo inesauribile di Ciro e al circolo di Legambiente “la Gru”,proprio nel cuore di quella che denominammo “la terra dei fuochi”,mi arriva la prima stesura di un libro, il libro di Rosetta. In uno diquesti tristi sopralluoghi, di questo rosario di cave, discariche, ce-mento e monnezza, questo libro mi ha riempito il cuore di saporibuoni, un tuffo in cose profumate e genuine, nella ricchissima vitasemplice.

Ad ogni pagina una storia di ingredienti saggi e umani, di personecapaci di fare comunità, condivisione, appartenenza, ricostruendoparole e sapori declinati in un ciclo naturale che ti stupisce, quasinon ci credi che il buon cibo, la buona lettura, il racconto, esistanoancora.

Un orto che racchiude l’anima di ricette e ricordi, concimato afesta con lo scorrere della quotidianità, senza pretese, con ingre-dienti crudi e nudi, cotti e condivisi attraverso il profumo di quandosi alza il coperchio della pentola, un vapore caldo saporito, che escedalle pagine e ti avvolge, che non inquina nessuno, fatto con il fruttodel lavoro di tanti per molti.

Ad ogni ricetta di questo libro ti appassioni nel seguire un ge-niale calendario del vivere semplice, del buon senso, riempiendo unacassetta di bontà da utilizzare per arginare la deriva del cibo spaz-zatura, della distorsione da consumo, contro la follia dell’usa e getta,per quantificare lo spreco di alimenti che ogni anno buttiamo in di-

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scariche (circa 500 euro di cibo commestibile per un nucleo di quat-tro persone) contro il delirio da predazione, per frenare la deriva delregime della “merendina”. Perché solo se consumi vali!?!

Le pagine di Rosetta sono ricette di conciliazione fra tempi sba-gliati e memorie cancellate, ricordandoci gli ingredienti della buonaTerra.

“A terra preferisce durmì… ca avè a che fà cu ’e scieme.”Una verità racchiusa nelle pagine del libro, inserita in un cesto di

parole che fanno parte degli ingredienti delle ricette, vanno gustateinsieme, per avere la dimensione di quanta ingiustizia stiamo iniet-tando nelle nostre vite e nei nostri territori.

Una verità che va raccontata sempre con più forza perché i no-stri orti rischiano di sparire sotto i colpi dell’ecomafia, che continuaa scaricare tonnellate di veleni sotto le campagne, e che qualche voltariesce anche a farla franca. È di questi giorni la notizia dell’avvenutaprescrizione di un processo denominato Cassiopea, le cui indaginihanno portato alla luce il marcio della corruzione e del traffico deirifiuti Nord - Sud, tonnellate di veleno iniettato nelle vene della terra.Prescrizione per i tempi lunghi del sistema processo, della memoriacorta di una nazione che si distrae troppo facilmente. Una prescri-zione che non è una sconfitta di pochi, ma una colpa di tanti.

L’anima di Napoli, di una terra in un orto, quanta vita gira in-torno ad un ortaggio, quanto lavoro, quanta speranza; dal momentoin cui si pianta a quando si raccoglie passano i giorni e i mesi. Tuttociò è raccontato nel libro che ho deciso di rileggere più volte e que-sta volta in compagnia di mia moglie, una vera colonna, uno scrignodi coerenza e forza, che si adopera in tutti i modi per non dirmi chequando torno a casa i miei abiti puzzano di discarica, che cerca dinon leggere nei miei occhi il riflesso del degrado, descrivendomi ilsuo lavoro, la progettazione ecosostenibile, il bello possibile, men-tre ci aggrappiamo ai profumi della sera. E questa sera leggeremouna bella ricetta profumata, inviteremo a cena il libro di Rosetta.

Raffaele Del Giudice

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Introduzione

L’Araba Fenice

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Le “parietarie” e “le graminacee”, responsabili della mia perenneallergia, non hanno scalfito la mia passione sconsiderata per ilmondo delle piante. Non hanno neppure attenuato la mia frequen-tazione di boschi e parchi, né tanto meno mi hanno impedito dicontribuire a sistemare aiuole, orti e piccoli giardini in contesti, es-senzialmente, periferici. Anche in primavera, quando la vegetazioneesplode nella sua fantasmagorica varietà di colori e profumi, solle-vando e diffondendo, però, nuvole di polline che accentuano le con-seguenze della rinite allergica.

Nei vari decenni ho provato quasi tutti i rimedi possibili, anti-staminici, spray nasali, vaccino, con alterna fortuna; mi mancaval’omeopatia. Perché non provare? Tra parecchio scetticismo ed unapunta di speranza mi sono recato da Rosetta, la mia amica omeo-pata, spinto anche dalla gioia di rivederla.

Rosetta è stata per la mia famiglia una presenza amica dalla primaora; colei che, più di tutti, ha accompagnato le gravidanze difficili dimia moglie (Rosa anche lei!) ed ha seguito i primi passi dei nostri

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figli, Cristiano e Luca, con affetto sincero e la delicatezza che la con-traddistingue.

Non sempre la vita è stata generosa con lei, ma ha saputo sem-pre affrontare le numerose difficoltà con coraggio e forza d’animo,risorgendo continuamente, novella Araba Fenice. Nulla le è statoregalato. Ma i dolori, le fatiche, le contrarietà non hanno allentato lasua generosità e sensibilità e nemmeno la carica di ironia e di ilaritàche contagia e coinvolge gli interlocutori delle sue frequenti narra-zioni. Ci accomuna l’origine umile e popolare, una sintonia valo-riale, il desiderio di una vita semplice e comunitaria, una disponibilitàall’ascolto, l’attenzione verso gli ultimi, un’affinità spirituale.1

Chiaramente il suo approccio con la medicina è particolare, maancora più particolare è la sua relazione con i pazienti. Sì, pazienti,perché bisogna aspettare un bel po’ prima di accedere al suo studio.Un’attesa abbondantemente ripagata da un’accoglienza a bracciaaperte; dopo poco qualche tossina accumulata si diluisce e scorrevia. Raccontarsi reciprocamente è il primo approccio. Una medi-cina globale che parte da una conoscenza complessiva del soggettoche non viene sezionato in organi ed apparati.

In questo contesto è nata l’idea del libro.Rosetta aveva letto ed apprezzato il mio libro “Il Giardino del

Liceo. Un ponte tra le generazioni” e, prendendo spunto dal mioamore per le piante, ha cominciato a raccontarmi aneddoti che nar-rano di una cucina semplice, povera, sull’onda della tradizione, ba-sata essenzialmente sull’uso di ortaggi e verdure in genere. Leperiodiche sedute alla ricerca di una soluzione alla mia allergia, siaprivano con i racconti di Rosetta. E lei, con il suo linguaggio colo-rito, il brio espressivo e con gli occhi che, difficilmente, nasconde-vano la sottile commozione, mi faceva rivivere la tradizione di unpopolo, povero ma generoso, che sembra aver smarrito, almenosembra, la proverbiale solidarietà sotto i colpi di una modernità cheha portato individualismo e poca attenzione all’altro e alla natura.Una solidarietà che si consumava attorno ad una mensa sobria edospitale.

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Perché non raccogliere queste piccole storie? Farne un libro. Unlibro di una memoria alimentare che può essere recuperata. Un libroche mostri il legame inscindibile tra alimentazione e salute. Un librocapace di riproporre l’amore per la propria terra. Un libro che con-segni alle nuove generazioni un barlume di speranza.

Tante sollecitazioni interessanti, ma anche qualche perplessità.Sarà infine la pressione all’interno della famiglia, in particolare dellanipotina Chiara, a convincere definitivamente Rosetta a cimentarsi.

E così prende corpo la struttura del libro. Un racconto, una ri-cetta, la scheda di un ortaggio, seguendo il ritmo delle stagioni.

Mangiare è certamente un fatto naturale, ma ad un atto così sem-plice sono connessi molti sentimenti e, talvolta, anche qualche os-sessione. In genere desideri ed emozioni personali e comunitarieaccompagnano il consumo di un cibo. Ma la frenesia e la fretta diuna vita convulsa, la solitudine di un modello sospettoso ed avaro,ma, soprattutto, la dieta occidentale fatta di cibi industriali e raffinati,con prevalenza di carne, grassi e zuccheri aggiunti, hanno creato unforte contrasto tra alimentazione e salute. Abbiamo perduto questasemplice ed elementare consapevolezza. Eppure già Ippocrate af-fermava: “Che il cibo sia la tua unica medicina!” E recenti studi confer-mano che le malattie più frequenti e deleterie che affliggono ilmondo occidentale si possono prevenire con una sana e accorta ali-mentazione.

“La grande percentuale di tumori attribuibili alla natura dell’alimentazioneoccidentale è, come abbiamo visto, un segnale di degrado delle abitudini dietetichedi una società che ha perso contatto con la nozione stessa di sana alimentazionee che concepisce l’atto del nutrirsi esclusivamente come un’azione destinata ad ap-portare energia all’organismo, senza riguardo per il suo impatto sulla salute.”2

Verdura e frutta sono state sempre più allontanate dalle abitu-dini alimentari della popolazione occidentale e si fa fatica a trovarequalche bambino o qualche giovane che guardi con simpatia a que-sti alimenti essenziali.

“I vegetali non sono semplicemente una fonte di vitamine e minerali: con-tengono anche diverse migliaia di composti fitochimici che svolgono un ruolo fon-

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damentale nella capacità di queste piante di contribuire al mantenimento dellabuona salute.”3

Una sapiente e ben orchestrata pubblicità, l’atmosfera che cir-conda i cibi industriali che Pollan definisce “sostituti pseudoalimen-tari”, la loro preparazione e le modalità di offerta, la loro accuratacollocazione nei templi del consumo moderno, i supermercati, dive-nuti luoghi del tempo libero, hanno determinato una diseducazionedel gusto, privilegiando solo parte delle nostre papille gustative, e fa-cendo prevalere aspetti marginali ma accattivanti nelle scelte alimen-tari. E Pollan nel suo più recente libro afferma:

“Non mangiate niente che la vostra bisnonna non riconoscerebbe come cibo.I cibi odierni vengono progettati a tavolino, con il preciso scopo di farci compraree mangiare di più, facendo leva su alcuni automatismi evoluzionistici: la nostrapreferenza innata per il dolce, il grasso ed il salato.”4

Alimentazione ed agricoltura rappresentano un binomio inscindi-bile. È la comparsa dell’agricoltura ad avviare nel solco della storia lanostra civiltà e a garantire la sopravvivenza e la prosecuzione dellanostra specie fino ai nostri giorni. Inutile negare che una certa folliadell’uomo moderno, sotto una sconsiderata guida della politica e del-l’economia, ha creato le condizioni di una pericolosa crisi dell’agri-coltura e dell’agricoltura di qualità. La campagna italiana è assalita dalcemento e alla terra si chiede uno sforzo produttivo intensivo, stres-sandola con tecniche e prodotti di origine chimica che ne determi-nano, nel tempo, la sterilità. Tutto ciò ha una ricaduta anche sulpaesaggio, vanto dell’identità nazionale, che appare trasformato e sem-pre più fragile. La nostra regione, la Campania, ha subito le ferite piùprofonde per queste, ma anche per altre scelte scellerate. La fertilitàdel suolo campano, che ha consentito agli antichi di parlare di Cam-pania Felix, avrebbe dovuto suggerire la scelta della vocazione agri-cola per la nostra regione.

Se l’agricolutra fosse stata individuata come uno dei settori primarie trainante per l’economia dell’intero territorio italiano, questa terra, lanostra terra, avrebbe dovuto essere considerata una risorsa nazionale,da salvaguardare come patrimonio comune.

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La Campania era concordemente celebrata dagli autori antichicome regione tra le più belle e fertili d’Italia. Ne parlano Polibio,Virgilio nelle “Georgiche” e Plinio il Vecchio, nella “Naturalis Hi-storia”, che tra l’altro scrive: “Come parlare, anche se solo della costa cam-pana, e di quella sua amenità fiorente e splendida, che mostra come la potenzacreatrice della natura in un momento di grazia si sia concentrata in un sololuogo? E tutta quella vivificante e ininterrotta salubrità; quella mitezza delclima, i campi così fertili, colli così ridenti”.

Dopo l’unità d’Italia furono queste considerazioni a suggerire ilnome Campania per l’attuale territorio della nostra regione, anchese dal punto di vista fisico sarebbe stato appropriato il termine Mon-tania.5

La natura vulcanica del suolo, fornendo il corredo di quasi tuttele sostanze necessarie alla crescita e allo sviluppo delle piante, lorende particolarmente fertile.

Nozioni che sono andate sfumandosi col trascorrere del tempoe che non hanno trovato ospitalità in una visione politica ed eco-nomica un po’ rozza e sicuramente poco lungimirante. Ma ha avutoil suo peso anche un imbarbarimento complessivo della popola-zione, evidenziato dall’incapacità di gustare la bellezza, dal poco im-pegno per conservare l’integrità del territorio, dal non riuscire acapire che bello ed utile possono viaggiare insieme. Ad ogni modo,c’è di più e c’è di peggio. Una triade perversa, gli industriali del nord,alleati con la camorra e alcuni corrotti amministratori locali, attra-verso la tecnica del “giro di bolla”, com’è stato accertato dalla Pro-cura di Santa Maria Capua Vetere, e com’è stato denunciato, piùvolte, da Roberto Saviano, con il grande business dei rifiuti tossici,ha trasformato la Campania nel secchio dell’immondizia delle im-prese del Nord.

“Un’intera area, tra la provincia di Napoli e Caserta, inquinata e avvele-nata.Un’unica distesa di frutteti, serre, campi di ortaggi, tutto coltivato con con-cime a base di diossina. Un mix di rifiuti tossici e veleni. Tanti. Da mettersi lemani nei capelli; insalate al cianuro, finocchi da sballo, ma anche zucchine im-pazzite, mele alla diossina e pesche miracolate. Nella pancia di quella che una

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volta era la Campania Felix, la camorra ha vomitato di tutto: polveri da ab-battimento dei fumi di industrie siderurgiche, ceneri da combustione, olio mine-rale, morchie oleose di verniciatura, vernici di scarto, fanghi prodotti datrattamento di depurazione dell’acqua di industrie chimiche. E ancora inchio-stro di scarto, melme acide, feci animali, letame, urina di ogni tipo, fanghi vele-nosi e tossici, ceneri, scorie di alluminio. E per finire cromo, rame, zinco, cadmioin quantità industriale. Neanche un premio Nobel per la chimica sarebbe statocapace di mettere insieme un cocktail così micidiale e come ciliegina sulla tortatonnellate e tonnellate di percolato, la peste del nuovo millennio.”6

Questo quadro fosco e desolante dipinto da Peppe Ruggiero do-vrebbe generare rabbia e indignazione nei cittadini campani, in mag-gioranza gente per bene, nei confronti di questi traditori della propriaterra, che hanno devastato il territorio che sarà calpestato dai lorofigli e nipoti. Nello stesso tempo dobbiamo individuare strategieculturali e politiche per partecipare al recupero e alla conservazionedel territorio ancora disponibile, perché, anche se in tempi certa-mente non brevi, Napoli e la Campania possono risorgere!

Bisogna chiedere, innanzitutto, la bonifica dei territori devastati,finanziando e utilizzando la ricerca che la Facoltà di Agraria sta por-tando avanti. Ma chi pagherà questa bonifica lunga e complessa?Una cattiva interpretazione del “federalismo” potrebbe addossare ildanno esclusivamente a chi ne ha subito la beffa. I responsabili diquesto ecocidio, per lungo tempo lasciato sotto silenzio, non pos-sono rimanere impuniti; responsabili diffusi su tutto il territorio na-zionale e, pertanto, questa bonifica dovrebbe diventare una vera epropria questione nazionale. Contemporaneamente bisognerà di-fendere a denti stretti la parte di territorio salvato alla devastazioneed ancora utile per l’agricoltura, evitando disegni perversi di even-tuali cementificazioni e di utilizzazioni improprie.

Bisogna accentuare la pratica della confisca dei beni alla camorrae accelerare l’assegnazione a quelle cooperative giovanili coraggioseche rappresentano la speranza e il riscatto della nostra storia e dellanostra terra. Fornire loro sostegno ed assistenza e incanalare i loroprodotti in un circuito più vasto possibile.

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Ci sono, infine, piccoli lembi di territorio, frammenti dispersi invarie direzioni, spazi incolti, che possono essere recuperati creando“piccoli orti urbani”, microesperienze di resistenza contro propositispeculativi, per sperimentare tecniche di agricoltura biologica, peravvertire la gioia di trasferire “un po’ di anima e sudore napoletano”alla terra madre, per conservare un patrimonio di saperi e sapori an-tichi che non sono andati completamente perduti.

Curare un orto è un’occasione per fare esercizio fisico e produt-tivo all’aria aperta, in compagnia di persone con cui si vogliono se-minare gocce di speranza per il futuro, ma rappresenta ancheun’attività redditizia; secondo la National Gardening Association,settanta dollari investiti in un orto producono una quantità di cibopari a settecento dollari di spesa al supermercato.7

Congruentemente, mi pare importante la moltiplicazione deiGAS (Gruppi di Acquisto Solidale), gruppi di persone che si orga-nizzano e si collegano ai luoghi di produzione biologica locali percreare filiere corte di consumi, abbattendo perdite e sprechi, incen-tivando un’agricoltura di qualità, salvaguardando il benessere del ter-ritorio e conservando un patrimonio di tradizione e di cultura.

Anche in Africa, dove per altri problemi, il deserto avanza e lafame cresce, spesso nell’indifferenza colpevole dei paesi ricchi espreconi, dietro l’impulso di splendide persone, come il premioNobel per la Pace 2004, Wangari Muta Maathai, si comincia a pen-sare alla realizzazione di mille orti, per arginare l’espansione dellemonocolture e salvaguardare la biodiversità locale.

Anche Rosetta con il suo libro contribuisce a questa strategia, eil titolo “Napoli in un orto” è la dichiarazione esplicita del suo pen-siero, ancor di più se si considera la sua volontà di contribuire conla vendita di questo libro a creare un piccolo orto biologico in terradi Scampia.

Aldo Bifulco

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Il significato della stagionalità

ss Rispettare la stagionalità dei prodotti della terra non è una delle

tante mode più o meno in voga del guru di turno, è il ritorno alle ra-dici, è preservare la memoria del proprio popolo, è tornare al“senso” delle cose, al rispetto della natura e dell’altro, è rispetto peril proprio corpo che racconta ciò di cui ha bisogno ad un popolo disordi profondi. Ricordare cosa la stagione offre è non perdersi neldelirio di onnipotenza del globale, che appiattisce mente e anima:devi innanzitutto consumare, e velocemente, perché è vietato fer-marsi a pensare.

Ricordare la stagionalità dei prodotti è un atto di amore e rispettoverso se stessi, per cui un calendario semplice, in cui è segnato ingrassetto ciò che va esaurendosi nell’arco del mese, può essere unpiccolissimo aiuto a riflettere su come ci nutriamo, per poter cam-biare qualcosa anche per le generazioni future e per riprendere ilsenso vero delle cose con cura dei doni ricevuti e gratitudine versomadre terra.

LEGENDA RICETTE

j : ogni faccina indica una personar : ogni orologio indica 15 minuti

k : ogni coltello indica un livello di difficoltà

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Gennaio

Michele e zia Rosa

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“Oggi è proprio freddo, i bambini sono tornati dascuola con le dita blu e i nasi paonazzi! “Zì Rò èfreddo secco, fa bene, i bambini si devono abituare,

è freddo che non fa danno…”“Sarà, ma le mie ossa non sono d’accordo! Domani è Sant’An-

tuono Abate, faranno le lampe; Tonino giù ha già preparato la spal-liera del letto tutta tarlata per fare un bel fuoco.”

“Zì Rò, sarebbe bello avere qualcosa da arrostire con il fuoco, mapiù che scaldare la carta oleata della sugna, per fare odore, non c’èniente! Quando dicono che Sant’Antuono s’annammuraie d’opuorco, in senso dispregiativo, mi viene da ridere: mica era fessoSant’Antuono, del porco non si butta via niente, nemmen’e pile! Aproposito d’e pile, zia Rosa mia, parliamo di un fatto importante:oggi è 16, quindi periodo critico fino al 27... ma una cutenella convirzo e riso ce la possiamo permettere? A me, lo sapete, vanno benedue zuppierelle che ci faccio pranzo e cena da re!”

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“Michele, io già avevo detto a Maria di prendere una bella coticae me la sto conservando nello straccio di tela, sulla finestrella, scru-polosamente. Domani ti preparo verza e riso con la cotica, ai bam-bini due tubetti con l’uovo, perchè la verza non la vogliono.”

“Zia Rò, quelli perciò sentono freddo e diventano blu: non sannomangiare! Come si fa a chiamare puzza virzo e riso c’a cutenella?‘Sti criature hanno bocca e naso sbagliati, ma voi siete speciale, pienadi risorse, con quella cotica nello straccio avete acceso la ‘lampa’ nelmio cuore: già vedo la mia zuppierella!”

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RRIICCEETTTTAA

Riso e verza

Persone: j j j j Tempo: r r r r

Difficolta’: k

Ingredienti: 1 verza, 320 g di riso, 3 cucchiai di olio extravergine, pecorino grattu-giato, 1 cotica di maiale (optional), aglio, sale q.b.N.B. per molte famiglie partenopee il “piatto cucinato”, cioè il primopiatto, è sempre stato piatto unico del pranzo. In questo caso, soprat-tutto d’inverno, l’aggiunta di una cotica non crea gravi danni alla dieta.

Procedimento:lavare le foglie della verza e asportare la parte centrale bianca più dop-pia. Spezzettarle e lessarle per 20 min quindi scolarle e metterle in untegame in cui si sarà soffritto l’olio con l’aglio tagliato piccolo piccolo esale q.b.Cuocere 20 min (se piace va aggiunto peperoncino) con l’eventuale co-tica sgrassata con il coltello, a cui si sarà provveduto a bruciacchiare i pelisulla fiamma. La cotica andrebbe cosparsa, all’interno, di pecorino e unpezzettino di aglio, arrotolata e stretta con lo spago. Quando è il mo-mento di calare il riso nel tegame con la verza, si toglie la cotica, si ta-glia lo spago e la si riduce a fette doppie in ogni piatto dove verràaggiunta la minestra di riso e verza. Per ultimo si cosparge la minestracon romano grattugiato.La tradizione vuole che si mangi un po’ “riposata” per 5-10 min.

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SCHEDALA VERZA

Alla famiglia delle Brassicaceae appartengono i “broccoli” e i“cavoli”, alimenti che spesso vengono trattati con diffidenzaenonsuscitano entusiasmo, specie in età giovanile, ma che rappresen-tano, invece, un vero toccasana. Da apprezzare per le virtù te-rapeutiche, in particolare perché contengono sostanze chediminuiscono notevolmente il rischio di tumori.

La verza o cavolo-verza, è una varietà di cavolo, simile alcavolo cappuccio.

Il suo nome deriva dal latino “viridis” (verde) per via delsuo colore.

Breve storiaLa verza rappresenta la varietà probabilmente più vicina

al cavolo selvatico, originario delle regioni costiere mediter-ranee e, quindi, una delle specie coltivate da più lungo tempo.Conosciuta fin dall’antichità era considerata sacra ai Greci.

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Il greco Teofrasto (372-287 a.C.), padre della Botanica, neparla nei suoi trattati. Anche nel mondo romano, con Plinioe Catone, si parla dell’importanza e della coltivazione dellaverza. In particolare Catone attribuiva la proverbiale salutedi ferro dei Romani proprio al largo uso di verza che essi fa-cevano nelle loro diete. In ogni caso, essa ha rappresentato,per secoli, uno degli alimenti principali degli equipaggi dellenavi, proprio per rinforzare il magro regime alimentare du-rante i lunghi viaggi.

Viene menzionata nel XVI secolo per la prima volta inLombardia. Ora viene coltivata in varie zone d’Italia, specienelle regioni centro settentrionali. Forse anche per questo èdetta “cavolo di Milano”.

È una pianta invernale che viene raccolta da ottobre amaggio; da aprile a maggio cessa la raccolta della verza perfar posto al cavolo cappuccio, simile alla verza, ma di diversaconsistenza e tipicamente primaverile, più dolciastro eadatto per essere cucinato in umido. Le verze migliori mi-gliori sono quelle che hanno subito la prima gelata.

BotanicaNome comune della pianta Brassica oleracea sabauda; è

una varietà di cavolo, simile al cavolo cappuccio, ma a diffe-renza di questo presenta foglie grinzose, increspate con nu-merose sottili nervature diffuse, mentre quella centrale èmolto più pronunciata e di colore bianco. Le foglie esternesono rivolte in fuori, quelle interne, di colore giallastro, sonoraccolte a palla ma meno strettamente embricate di quelledel cavolo cappuccio. La forma della parte edule (denomi-nata testa o palla) può essere sferica o subsferica, appiattitao conica. Il peso varia da 1 a 2 kg. Il sapore è intenso e carat-teristico e le foglie sono croccanti.

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Il cavolo verza è una pianta biennale con radice fittonantenon molto profonda, possiede un breve fusto eretto, di lun-ghezza raramente superiore a 30 cm. Resistente al freddo,fiorisce solo nel secondo anno di vita. Per poterla mangiareviene raccolta prima della fioritura da ottobre in poi.

Il cavolo verza si semina in autunno o a fine inverno interreno ben lavorato, fresco, molto ben concimato e si tra-pianta quando le piantine hanno emesso la quarta foglia, al-l’incirca dopo quaranta giorni.

ProprietaûEssa è una miniera di energia vitale. Contiene tutte le vi-

tamine tranne la B12, e, in particolare, vitamina E e acido fo-lico. La ricchezza del cavolo verza in zolfo, arsenico, calcio,fosforo, rame, iodio può spiegare le sue virtù digestive, ri-mineralizzanti, ricostituente cerebrale e riequilibratore ge-nerale. La sua clorofilla ne fa un antianemico.

Il succo fresco ha la proprietà di cicatrizzare e quindimolto utile in casi di ulcera.

Contiene un raro principio attivo (gefarnato) che ha il po-tere di rinforzare la mucosa dello stomaco proteggendola dagliacidi. Non contiene glutine, perciò è utile per la celiachia.

Inoltre 200 g di cavolo verza contengono 44 calorie. Es-sendo molto sazianti sono utili anche per una dieta ipocalo-rica.

Forse pochi sanno che è molto efficace per prevenire e cu-rare le dermatiti e lo zolfo in esso contenuto costituisce unrimedio per la pelle grassa, acne e alcuni eczemi. Per questomotivo è usata anche in cosmesi.

Esiste qualche controindicazione per coloro che hannoproblemi di ipotiroidismo o affetti dalla sindrome del colonirritabile. Accurati studi hanno dimostrato che il cavolverza,grazie alle sue proprietà, in particolare alla presenza di al-

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