ANTEPRIMA - MARIO DE ROSA

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numero.cinque//:2011

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I primi due capitoli del nuovo romanzo INEDITO di Mario de Rosa - ed.presentARTsì

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Il primo post-it sulla luna

Mario de Rosa ©

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Atena - Vicenza

Castiglione delle Stiviere (MN) - 2011

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IL PRIMO POST-IT SULLA LUNA

MARIO DE ROSA

Romanzo

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Dedicato a Daniel Pennac

Per chi sa ancora commuoversi

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Il pirata nello specchio(intro)

So che il mondo non ha bisogno dell’ennesimo esaurito che rimette assieme i cocci per ritrovare nella memoria qualcosa di meraviglioso che è sfumato via. Ma sento che da domani in poi sarà tutto un altro viaggio. Quindi procedo col puzzle… Nella vita ho pianto di gioia, innamorandomi, per cose minuscole, impercettibili: lo schiocco di due labbra che si sposano per qualche istante, per il sapore ferroso che ha il sangue succhiato da una ferita, per la pila dei miei vecchi dischi e per la lettera X scritta con la vernice spray sotto la finestra di un mio amico. Tutto ciò e miliardi di altre briciole mi mancheranno da morire. Ho il cervello che pulsa di ricordi, mentre sto qui, davanti allo specchio del mio bagno e guardo il mio riflesso ridicolo in quel piccolo cielo trasparente da parete. Quasi scoppia, non riesce a contenere i pensieri che vogliono esplodere e volare verso l’alto. Sento di aver preso talmente coscienza di quello che mi è successo in questo pezzo di vita da essere spaventato. Mi fa paura l’ammasso di tempo sprecato a parlare a delle foto di amici che ho attaccato sotto il tettuccio della mia macchina… Ora voglio toccare la verità, per sentire se è ancora calda. Voglio riconoscerla sotto le mie dita. Voglio leggerla coi polpastrelli, come fosse scritta in braille.Guardo il mio riflesso ridicolo, con la voglia di ridere del mondo, sul mondo, nel mondo, in faccia ad un male infinitamente più grande di me, che sono un singolo respiro in mezzo a sei miliardi di respiri. Credo sia importante fare dell’auto-ironia, soprattutto se, come nel mio caso, nel giorno più difficile della tua vita hai scelto di vestirti da pirata per l’occasione. Una parte di me cade a

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pezzi. Un’altra si stringe nelle spalle cercando riparo. Ho messo insieme un fagotto di convinzioni e le ho bruciate, ho ucciso i miei idoli, ho scavato dentro di me fino ad uscire dall’altra parte, ho chiuso con gli errori spirituali… non mangio neanche più i surgelati, per dire. Ciò nonostante, inizio a credere seriamente che con un pappagallo di plastica sulla spalla diventa tutto molto più complicato…

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A piedi nudi sui pensieri

“You don’t prey on my mind like you use to…But you can still ruin my day”

Jon Brion

Una lama aveva soffiato sul mio volto lasciando una firma. Crescendo mi è capitato di far parlare la cicatrice al posto mio, ma quella sera avevo voglia di ridere e mi ero dimenticato di portarla sulla guancia. Notavo che la piazza non si era ancora svuotata e pensavo che non potevo essere più felice di così. Credevo che avrei vissuto incastrato in quella quotidianità per sempre. Non potevo sapere che era l’ultima volta che godevo, rinchiuso in quella bolla. Quella notte era l’ultima pagina di un capitolo. Mi lasciavo coccolare dai brindisi, galleggiando fra il delirio pre-estivo e il sorriso di qualche ragazza che passava di lì, mentre in molti erano usciti dal bar a fumare. Avevo in testa una canzone, ma non mi viene in mente quale. Erano ore colorate con i pastelli chiari, resi appena appena opachi dagli svarioni e dall’atmosfera ambrata del centro storico di questa piccola città. Farfugliavo, già piuttosto ubriaco e imbarazzante, con delle amiche che se ne stavano sedute con la schiena contro i pilastri che tengono ancora su i portici. Pablo, da dietro la sua barba mal curata da tre giorni, faceva notare ad una che passava di lì che aveva perso un infradito qualche metro indietro…-Cazzo!... E’ vero, non me n’ero accorta.Ridendo con la sua combriccola di amiche, la vergine ringrazia e va a recuperare il calzare, zoppicando, probabilmente perché non vuole sporcarsi il piede. Pablo, guardandomi, inarca il sopracciglio…-Com’è messa questa?!-Vedo parecchi fenomeni, stasera.Dopo aver lavorato una settimana intera, mi godevo il sabato sera

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come da tempo ero abituato a fare: energico e pieno di vibrazioni quasi da esplodere, come un uovo in un micro-onde.Era tutta una danza di immagini, un miscuglio di accendini, bicchieri abbandonati mezzi pieni sul marciapiede, sigarette spezzate a metà, gambe accavallate e odore di crema solare al cocco, emanato da quelli che, di ritorno dal lago, avevano preferito fermarsi addirittura a bere qualcosa, invece di tornare a casa a cambiarsi. Mando giù ancora un po’ di rosso...L’estate iniziava e prometteva grandi cose, qualcuno le aspettava da mesi, qualcuno le azzannava… io, invece di coglierle, mi grattavo dietro la nuca, aspettando che Rita ci passasse a prendere, per concludere la serata in spiaggia a bere qualcosa, serata che era iniziata al cinema. Nell’attesa mi ero tolto le scarpe e bevevo, a piedi nudi sui ciottoli della piazza, un Nero d’Avola che mi scaldava dentro. Era un periodo in cui, anche con venti persone intorno a me, mi isolavo, perché credevo di dover pensare a tante cose, di dover combattere continuamente con i ricordi. Non sapevo ancora che bisogna ribaltare il sacco per far uscire i pensieri più neri che sono rimasti in fondo.Non succedeva troppo spesso, ma capitava che in certe sere vedevo apparire lui. Un tizio con la sua Graziella arrugginita che pedalava in salita. Aveva sempre lo stesso berretto degli Yankees viola, che copriva lo sguardo triste e sbiadito dei suoi quasi sessant’anni. La barba lunga, come le storie che può raccontare, con la valigia legata dietro la schiena. Viveva per strada, come poteva. In un certo senso lo invidiavo, specie in sere come quella: le stelle se la ridevano sopra di noi e avrebbero portato tepore a chi dormiva con la schiena contro il mondo. Il tizio in bicicletta era solito salutarmi con un gesto appena accennato del capo, indicandomi con la visiera viola. Io gli dicevo ciao con lo sguardo e poi cercavo di distrarmi il prima possibile.

Arriva Rita nella sua Panda rossa scassata, parcheggiando a caso, come se un pezzo di anni novanta fosse tornato a fare compagnia a noi che in quegl’anni eravamo troppo piccoli per sapere come

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si fa l’amore, ma eravamo abbastanza grandi per rubare, fumare e fare a pugni. Le quattro frecce che lampeggiano, mentre ci guarda da lontano, suonando il clacson e muovendo la testa a ritmo di musica. Scende dalla macchina e grida.-Grandi notizie Rico!Urla a squarciagola, ma nessuno si scandalizza, per il semplice fatto che stasera quasi tutti si parlano da un marciapiede all’altro. Rispondo con la mia solita esse che fischia e il mio timbro di voce forte, che in questi anni mi ha fatto conquistare le antipatie di innumerevoli gestori di ristoranti…-Ch’è successo, hai vinto “Miss Condensa Duemiladieci”?Non ho azzeccato. Lo confermano le sue parole…-No, sfigato.-…-Luna e Amelia sono tornate!Ed è stato a questo punto che ho sentito una gran botta nel petto. Mia sorella e la sua compagna erano tornate all’improvviso, avvisando solo la loro migliore amica, dall’Argentina. Avevano chiuso in anticipo con i piaceri del Sud America. Pablo mi da una gran pacca sulla schiena, così le botte sono due, segue un sorriso che esplode sottoforma della sua seconda frase…-… e dove sono quelle esaurite?Rita, senza la decenza di avvicinarsi di un metro, mentre la Panda continua a lampeggiare di quattro luci arancio…-Sono in stazione... dai!... che se no quelle sono capaci di scappare da qualche altra parte in culo al mondo.Avevo l’andatura gioiosa e maldestra di cui si veste la gioia inaspettata. Mi stavo precipitando verso Rita, ma mi sono reso conto di essere ancora scalzo.Nel salire in macchina percepisco il contrasto fra l’odore dolciastro del fumo di Rita e il profumo di sabato notte che aleggiava in piazza. Siedo dietro. Guardando nello specchietto retrovisore il taglio degli occhi della mia amica… le sue occhiaie nere solcano un viso accesso. Con quel fascino grezzo e generoso di malizie create dalle sue labbra rosse come la carne. Ricambia

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lo sguardo mentre ingrana la prima e mi fa…-Oh, Rico… trip?E ride. Cerco subito di riparare distogliendo lo sguardo; intanto l’imbarazzo si sdraia comodo accanto a me sul sedile posteriore.-No, no, scusa… stavo pensando a una cosa.Pablo, che non si è ancora messo la cintura, ha depositato il suo zaino nero sul tappetino sotto il cruscotto, e annusa forte un piccolo pezzo di fumo trovato da qualche parte, simile ad un dado Knorr, rincara…-Non lo vedi?... E’ preso male!... Prima al cinema abbiamo visto la sua ex con uno.Rita accende lo stereo e spalma marmellata sulla conversazione…-Nooo!... E magari ‘sto tipo era alto-bello-palestrato-estroverso-superdotato-paura!Io non raccolgo la provocazione, però accuso il colpo. Guardare quella che un tempo era la mia donna annusare il collo di un altro non è stato molto entusiasmante. Ha rovinato l’economia della sera. Ma si sa… c’è sempre tempo per rovinare una giornata.Intanto che ci avviciniamo alla stazione loro un po’ ridono e un po’ sfottono. Io mi lascio perdere e mi abbandono al di là del finestrino, guardando il guardrail sfrecciarmi velocissimo sotto gli occhi, mentre l’asfalto fugge via passando prima sotto ai nostri culi. Poi vado più in là con lo sguardo, dove le cose più sono lontane, più passano lentamente. Le colline se ne stanno lì, praticamente immobili come dinosauri in coma, sembrano prendermi in giro: “Vai veloce, eh?!... Ma dove credi di andare?... Rimani sempre qui sotto, ci giri solo intorno”.Pablo cambia disco, mette qualcosa che non conosco, Rita ci chiede…-Com’era il film?Prima ancora che io possa trovare la forza di non rispondere, Pablo dice…-Faceva cagare.Rita sbuffa indignata…

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-Come?! Non capisci niente di film…Superiamo un incrocio dove i semafori lampeggiano; a Pablo viene in mente di mettersi la cintura, mentre si improvvisa critico cinematografico…-Ascolta un po’… hanno speso milioni di dollari per riproporre la storia di Pocahontas in tecnicolor!... Ormai tutto è già visto, tutto è già stato scritto, nessuno fa cose nuove, siamo tutti feticisti degli effetti speciali…Mentre mi incantavo a guardare la mia vita passare dal finestrino, ho pensato a mia sorella intensamente e a come avevo bisogno di vederla da vicino, per respirarla, per avere una sua nuova immagine. Arriviamo. Lasciamo la macchina nel parcheggio che sta dietro la stazione. Risaliamo verso i binari. Sedute sulla riga gialla ci sono proprio loro: mia sorella e Amelia, che ridono di qualcosa.-Luna…Non so se l’ho urlato o se l’ho sussurrato intimamente… lei si solleva nel suo vestito e con un sorriso da sfilata arriva da me. E’ ancora strepitosa e raggiante. E richiama con se un universo di ricordi… vederla è come tornare indietro nel tempo restando qui sulle gambe che tremano. Indossa qualcos’altro oltre al vestito: è il coraggio a fasciarle il grembo e il petto. -Rico, amore mio.Sembra che l’abbia detto tutto d’un fiato, si avvicina, mi stringe e mi prende per mano. I fianchi di Amelia passano sotto le mani di Pablo giusto un istante, lei si scansa subito per abbracciare Rita, prima di arrivare da me, morbida e con il suo corpo stupendo. Mi schiaffa un morso bagnato sul collo. Un morso bagnato e sensuale. I capelli di Amelia sembrano essere diventati ancora più biondi, quasi platino, come se le avessero fatto impacchi di camomilla, in Argentina…-Ciao pollo!Sembrano due donne diverse. Noi che siamo rimasti qua, sbattiamo contro l’aria nuova che le nostre due hanno portato dal continente a sud, incastrandoci in una situazione di stallo, di

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felicità e di imbarazzo, quasi. Luna mi dice…-Abbiamo una cosa da darti, Rico.Stringo forte la sua mano, lasciando che la linea della vita che porto sul mio palmo si intersechi con la sua. Rimaniamo in sospeso giusto il tempo di un respiro…-Però vogliamo parlarne più tardi o domani, visto che è da due giorni che non ci si fa la doccia come Cristo comanda.Pablo, con l’intento forse di impressionare Amelia, propone…-E se bevessimo qualcosa?Apre il suo zaino e tira fuori bottiglie di Peroni da sessantasei, molto in voga tra i muratori e fra gli squattrinati come noi che, a inizio serata, spesso scelgono di passare al supermercato a comprarsi qualcosa per aggiustarsi lo stomaco. Stappiamo a turno usando un accendino arancio Bic: cin, bentornate, allora qua si ride?, che facce fate?, hai perso qualche chilo… e cose così. Sono un fiume in piena che straripa di domande, chiedo del viaggio, delle cose che hanno visto, di cosa hanno mangiato per questi due mesi. Di come si sta a sud, lì, sotto l’anca del mondo.Mi sentivo come quando ci si ritrova fra le mani qualcosa di stupendo ed inaspettato e, invece di viverlo in pieno, si chiede il permesso. Non mi sembrava vero di riaverla a casa e mi assaliva la paura di dire qualcosa di banale e farle capire che, da noi, non era successo granché… a parte concerti, fughe, sbronze, consegna a domicilio di pizze, film noleggiati, Enzo e la sua nuova ragazza segregati in casa, i ragazzi del bar di Ronni con le stesse facce inchiodate sul collo e le tartarughe di Pablo che hanno avuto bisogno del veterinario, in quanto avevano ingerito delle tortillas per sbaglio, andando in overdose di mais. Cos’altro?... Ah, sì, un’altra novità interessante è che Pablo frequenta a tempo perso una ragazza. Una di quelle fattone senza senso. Una che all’età di diciassette anni (così si vocifera) andò ad Amsterdam, comprò dell’erba e, imbustandola in fagottini avvolti in strati di plastica, la nascose… ecco, sì, insomma… la nascose proprio lì, e con il contenuto ci cucinò delle crostate e dei biscotti. Ho provato a dissuaderlo più di una volta: “Dai, Pablo, cosa mi combini...

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esci con una tipa che prima si infila la ganja nel culo e poi ci fa le torte?”. Lui mi ha risposto testuali parole: “quello che ti manca, Rico, è un po’ di libertà intellettuale”. Luna racconta delle atmosfere magiche che ha respirato, delle spiagge, delle pozzanghere, delle strade non asfaltate fatte di terra cruda e di cento altre immagini che posso solo concepire in testa. Nel mentre, la notte è diventata più notte di due ore fa e le birre sono finite. Siamo seduti in cerchio come una piccola tribù. Amelia è sdraiata. Tiene la testa sulle gambe di Luna, la quale le accarezza i lunghi capelli di quel biondo quasi bianco che cadono su un viso morbido. Pablo come al solito guarda il cielo. Rita è di fronte a me con i suoi dread ed i suoi immensi occhi, vagamente liquidi e arrossati per via del fumo. Si stava bene a far parte di quel cerchio… Comunque è successo tutto in un istante. Il mio universo ha cambiato volto e mi sono ritrovato nelle orecchie e nel naso una realtà nuova con cui fare i conti. Realtà che esce dalla bocca di mia sorella che, con una decisione che si attribuirebbe ad una dea greca incazzata, dice proprio così…-Rico, io e Amelia desideriamo avere un figlio.Rita urla dalla gioia e salta addosso alle due neo-aspiranti genitrici. Pablo festeggia la notizia riportando lo sguardo nei pressi dei binari. Io mi gonfio di gioia, anche se è una gioia anestetizzata, quel tipo di felicità che ha bisogno di sgranchirsi le gambe, stiracchiarsi un po’, sbadigliare un paio di volte e prendersi un caffè, prima di scoppiare.-Beh, che posso dire?…Già che si può dire?-E’ stupendo!Faccio per abbracciarla, ma lei mi ferma e mi dice…-Aspetta, c’è dell’altro.Ritorno indietro e mi metto a sentire…-Non abbiamo intenzione di fare inseminazioni artificiali o cose del genere… non vogliamo che il seme che darà vita a nostro

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figlio sia stato preso da un barattolo.Prende la parola Amelia, con la sua voce sottile e pungente… un ago di voce…-Vogliamo che sia un gesto d’amore. Sai tutte le menate e gli sbattimenti che ci vogliono con le adozioni e con le gravidanze assistite… figurati per due donne che stanno insieme, insomma, in Italia è un casino.Luna riattacca…-E quindi abbiamo avuto un’idea che a noi sembra straordinaria.Resto ad ascoltare, sperando che arrivino al dunque, perché qui...Amelia aggiusta i capelli, addomesticandoli dietro l’orecchio come se stesse tirando la corda al suo arco, prima di trafiggermi…-Vogliamo che tu ci aiuti… vogliamo che il padre sia tu!

… Come dicevo prima, per rovinare una giornata, c’è sempre tempo. E se si tira un sospiro di sollievo pensando che non ce ne sia a sufficienza per vedere le cose accartocciarsi, qualcuno concederà i supplementari.-Come sarebbe?... Vuol dire che…?-Sei la persona più vicina a noi due. Non so se si rendono conto di che cosa mi sta passando dentro, mentre cerco qualcosa da dire. Magari pensano che la loro proposta mi abbia annichilito, lasciandomi senza lavoro da dare alla mente. Invece mi si è scatenata dentro una guerra sanguinaria fra immagini e pensieri ridotti in palle di carta, come bozze di un’idea che proprio non funziona. Da fuori forse non si nota; è un po’ come quando non si distingue fra uno che riflette, rimugina, medita e uno che semplicemente si gratta la barba. -Primo… io non posso, per nessunissima ragione, concepire un figlio con la compagna di mia sorella, perché mi sembrerebbe una cosa troppo incestuosa e mi farebbe anche schifo…Amelia, quasi indispettita, con i capelli che, da dietro l’orecchio, ricadono a coprire il viso come un sipario che si chiude, mi fulmina con gli occhi.

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-No, no, non è che mi farebbe schifo… anzi!Adesso sono Luna e Rita a guardarmi male, Pablo fa un cenno di assenso… mi sento alle corde. -Cioè, quello che voglio dire è che non si può fare, comunque non sarebbe figlio vostro, ma mio e di Amelia, insomma… non è che i figli si prestano!Luna, con voce calma e tranquilla, tira fuori tutta la retorica e la diplomazia che ha in serbo.-Se tu che sei mio fratello concepissi un figlio con Amelia sarebbe molto più legato a me, geneticamente e spiritualmente, che ho il tuo sangue nelle vene, di quanto possa esserlo un bambino concepito grazie ad uno che si è masturbato e poi è venuto in un vasetto di plastica, capisci?-…-Nessuno vuole obbligarti…Amelia mi schiaffa in faccia un litro di lacrime e miele.-Sarebbe un atto d’amore bellissimo da parte tua.

Siamo usciti dalla stazione, loro sono andate a farsi una doccia. Io, Rita e Pablo torniamo verso casa. Un tipo sdraiato su un materasso mi ha chiesto una sigaretta. Mentre gli do d’accendere mi dice: “E’ una gran bella notte, eh?”. Cammino a testa bassa, dopo essermi congedato dalle due cacciatrici di seme con “ne riparleremo domani da sobri”. In macchina l’ombra di un silenzio da rossore sulle guance ci ha scaldato dalla gola in su per tutto il viaggio. Non una parola. Naturalmente sapevo che quei due davanti non vedevano l’ora di prendermi per il culo. A un certo punto ho smesso di guardare fuori dal finestrino e mi sono guardato i palmi delle mani… Sono le quattro di mattina. Passiamo a prendere delle pizze dal fornaio e ci mettiamo seduti su una panchina a mangiarle. Le pizze notturne sono le peggiori. Hanno l’impasto ancora vagamente crudo che ti infarina la bocca e un sottile strato di plastica fusa che si spaccia per mozzarella, che la ricopre come un telo di cellophane su un cadavere. Pablo ora entra in scena sul

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serio…-Oh, Rico… giornata dura?Se la ride mentre i fili della sua pizza gli colano dalla bocca; Rita lo segue a ruota…-Adesso che diventi papà la devi smettere di spendere al bar la tredicesima!-So che ve la volete ghignare, ma è una cosa veramente troppo surreale… cazzo, sembriamo la parodia di quel vecchio film di Madonna, o qualcosa del genere…Pablo, con tono di voce da ultrà del Crotone in curva…-Mavalà, dai, fatte ‘na risata!Rita gioca a fare la maestrina…-Dai Pa’, non urlare che poi ci cazziano. Lascio perdere la pizza, mi si è chiuso lo stomaco. O forse era già chiuso prima. Silenzio per un istante, poi Pablo riattacca…-Comunque Avatar non era ‘sto gran film!Adesso è la maestrina a parlare a voce alta…-Tu non capisci una sega, Avatar spacca il culo, è bellissimo… mi ha emozionato.-Ti emozionano tizi alti quattro metri, blu e con le trecce che si attaccano alle cose?... Devi farti curare.In mezzo a loro due che si sfidano in questa strana partita di ping-pong verbale, rifletto sulle parole di Luna e Amelia: “Non vogliamo obbligarti”. Non so se è per la pizza che sembra finta o perché ho due amici idioti che mi urlano nelle orecchie, ma ho proprio voglia di vomitare. Un signore da una finestra ci fa…-Sssh! Fate silenzio!A Pablo vengono i cinque minuti e si mette ad urlare come un pescivendolo, mentre siamo immersi in questo pezzo di città, illuminato solo dalla vetrina del fornaio, dove passano solo macchine dotate di lampeggianti blu…-Ecchecazzo!! Ma è mai possibile che qui non si possa far niente? E in piazza c’hanno tolto le panchine, e la pizza fa schifo, e qualcuno vuole mettere incinto il mio amico… dove dobbiamo

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andare a fare due chiacchiere, in Alaska?!Il signore, dalla finestra del terzo piano condominiale, tira fuori la testa e, quasi intimorito, si scusa dicendo…-No, no, ragazzi, se volete parlare fate pure, non mi date fastidio… solo, per favore, non raccontatemi il film, che io non l’ho visto al cinema… aspetto che esca il dvd.