Anteprima di "E chiamavano me assassino"

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Stanley Ketchel non sapeva né il suo cognome d'arte (con una o due elle?) né chi fosse il suo vero padre. La boxe gli ha dato più di una certezza: è stato campione del mondo dei medi; è stato soprannominato l’«Assassino»; ha sfiorato il titolo dei massimi. Per alcuni è stato addirittura il miglior peso medio di tutti i tempi. La vita, oltre alle incertezze, gli ha buttato in faccia anche molte delusioni, troppi dolori, una morte violenta a soli 24 anni. Stanley è riuscito a non essere fortunato anche dopo la morte. Per l’eredità suo fratello ha ucciso il suo presunto padre. Questo libro racconta dunque una storia di violenza, e di sofferenza estrema. Come lo sono spesso quelle di chi sale sul ring per conquistare una dignità che la vita quotidiana non è in grado di assicurare. Stanley è uno dei tanti pugili che hanno pagato tutto. Non era un assassino, ma neanche un buono, non è stato né vittima né colpevole. E solo la boxe ha saputo farlo esprimere.

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IL LIBRO IN VERSIONE INTEGRALE in vendita su www.okbook.itIN FORMATO E-BOOK

E IN TUTTE LE LIBRERIE IN FORMATO CARTACEOProgetto editoriale: Absolutely Free sas Grafica e impaginazione: Nicoletta Azzolini Grafica di copertina: Francesco Callegher © Copyright, 2010Editrice Absolutely Free via Roccaporena, 44 - 00191 Roma E-mail: [email protected]

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LA MATTINA in cui Walter Dipley mi ha ucciso con un colpodi carabina, stavo facendo colazione nella vecchia casa in legnonella tenuta del Colonnello. Mi ero appena seduto su uno sga-bello sgangherato, davanti a un tavolino accanto alla parete, infondo alla sala. Una ciotola di latte e del pane che avevo con-servato dalla sera prima erano tutto quello che avrei volutomettere in pancia quel 15 ottobre del 1910. Il colpo è stato sparato alle mie spalle da una Marlin Spring-

field calibro 22. Non mi sono accorto di niente fino a quandonon ho sentito un gran bruciore, ho provato un senso di vuoto eun velo scuro è calato sui miei occhi. Il proiettile mi ha perforato il polmone. Emorragia interna,

pressione alterata, collassamento, deficit respiratorio. Ma nonsono morto subito. Mi hanno caricato su un treno speciale, trebravi medici si sono dati il cambio nel tentativo di salvarmi la vi-ta durante il tragitto da Conway a Springfield. Io non sentivoquasi nulla, solo il doloroso dondolio del vagone sulle rotaie.

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Sognavo di addormentarmi così, sperando di scacciare quel do-lore che bruciava nel petto, quella sensazione di buio. Attorno ame tutto stava diventando nero. Siamo arrivati alla stazione di Springfield alle 15.05. Quattro

ore dopo anche i medici si sono arresi. Le mie ultime parole so-no state: «Mamma, sono molto stanco. Ti prego, portami a ca-sa». Mio padre non meritava un ricordo neppure nel momentodel delirio. L’amico e manager Wilson Mizner non voleva crederci. «Lui non può essere ucciso. Se lo è, cominciate il conteggio.

Perché, statene certi, Stanley si rialzerà prima dell’out».Non è andata così. Due giorni dopo lo sparo hanno riportato

il mio corpo a casa. A Belmont, nel Michigan. Il funerale ufficia-le è stato affidato alla “Ely Paxton”, l’agenzia che sulla porta diingresso ha un cartello con su scritto: «Per cortesia, pulitevi ipiedi prima di entrare a vedere i cadaveri». Una banda militare polacca ha suonato, mentre il carro fu-

nebre bianco procedeva a passo lento. C’erano tante ragazze.Brave figliole che probabilmente da vivo non mi avrebbero nep-pure avvicinato. Ma ora stavano rendendo omaggio al mito. Ealla loro curiosità.Diane Bolane, che diceva di essere la mia fidanzata ufficiale,

ha tentato il suicidio ingerendo acido fenico. Non ha fatto intempo a morire, l’ha salvata il colonnello R. P. Dickerson. Altregiovani donne hanno lanciato fiori lungo il percorso del corteofunebre. Una volta l’anno, per ventidue anni dopo la mia morte, una

piccola dedica è apparsa sulle colonne dei necrologi del SanFrancisco Chronicle.«Ketchel Stanley Nella memoria adorata di Stanley Ketchel, morto il 15 ottobre 1910.

O.»Il mistero ha resistito a lungo. Solo molto tempo dopo, si è

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scoperto che quella O. stava per Olga Harting: una delle ragaz-ze delle Ziegfield Follies. Non fatevi strani pensieri. Non siamomai stati amanti. Ero il suo idolo giovanile e lei si sentiva in do-vere di dimostrarmi affetto. Tutto qui.Sono sepolto all’Holy Cross Cemetry di Grand Rapids, sulla

mia tomba c’è scritto

Stanislaus Kiecalnato il 14 settembre 1886morto il 15 ottobre 1910Un buon figlio e un amico fedeleAvevo appena compiuto 24 anni e la mia vita era già finita.

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