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www.youGUC.com REDAZIONE-DIREZIONE: VIA MARCONI 126 GAZOLDO D/IPP. - MAIL: [email protected] 25 Dicembre 2010 Anno 1, n°1 Vi. racconta la sua ReLeVi: «Lavoro, tenacia e fortuna» Esclusiva: tua la verità sul Polpo Paul! Antani L i n f o r m a r i o d e l G U C Anche Gazoldo sulla scia dei mondiali di Pormão

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Il primo numero della rivista Antani

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REDAZIONE-DIREZIONE: VIA MARCONI 126 GAZOLDO D/IPP. - MAIL: [email protected] 25 Dicembre 2010 Anno 1, n°1

Vi. racconta la sua ReLeVi:«Lavoro, tenacia e fortuna»

Esclusiva: tutta la verità sul Polpo Paul!

AntaniL ’ i n f o r m a r i o d e l G U C

Anche Gazoldo sulla scia dei mondiali di Portimão

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Sommario

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Vincenzo Federici si racconta in esclusiva per Antani. Dall’infanzia indigente alla vendita di una grande azienda

Il Sindaco Nicola Leoni, Franca Ferretti e Cesare Battistelli dicono la loro sulla vendita di ReLeVi

Da dove viene Antani?

Chi è Antani?

Supertramp! Notizie, curiosità, riflessioni di gazoldesi e mantovani sparsi per l’Italia e per il mondo

Storie di sport.Una gazoldese ai mondiali di pattinaggio su rotelle in Porto-gallo

Antani racconta

Cronaca nazionale e inter-nazionale.Tutta la verità sul Polpo Paul.Retroscena e misteri di Wikileaks

How to.Guida ad una sana lettura di Antani

La supercazzola

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semplici passioni natalizie

“QUANNO SE SCHERZA, BISOGNA ÈSSE’ SERI!”.

di Marco Viviani

Questa frase tratta dal “Marchese del Grillo” riassume molto bene lo spirito di Antani.Perché non c’è niente di più serio e complesso che volere affron-tare la realtà con spirito allegro. Non si deve però fraintendere questa ludicità, che non è un puro e semplice voler scherzare fine a sè stesso. Lo scherzo, l’approccio allegro alla realtà è stato fatto con la giusta misura. Antani è una rivista con senso dell’umorismo, non una rivista umoristica. Camminare sul sottile confine che demarca questi due territori non è sempre semplice. Lo scherzo non è uno sberleffo sguaiato, né tantomeno un copione di gag. È inutile for-zare al riso, quando una situazione non lo permette, o quando non è il caso. Se invece una situazione può essere affrontata con una sapiente ironia, ben venga. Un evento, se visto con un occhio di-vertito, può aiutare a produrre riflessioni: cambia il punto di vista, cambiano i paradigmi. È più difficile trarre conclusioni, bisogna per forza fermarsi a riflettere, tornare sui propri passi e sforzarsi nel rivedere la situazione. Con questo spirito è stato deciso di scrivere Antani. Esistono momenti di riflessione, resoconti di fatti avvenuti, momenti di leggerezza (cercando di non scadere nella superficiali-tà). Tutti questi elementi si trovano già in questo numero, sistemati nel migliore dei modi, tra un redattore che si crede Baricco ed un Polpo dall’aria perplessa.

*In origine, per scrivere questo pezzo, avevo pensato di citare un’altra frase del film: “Ah... Mi dispiace, ma io so’ io, e voi nun sie-te un [omissis]”. Dopo un’attenta riflessione, ho preferito qualcosa di più equilibrato. Vi è andata bene.

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Se scrivere un giornale non è cosa facile, figuriamoci impaginarlo! Come molte delle cose che abbiamo voluto creare col GUC, dal logo in poi, la realizzazione di Antani non è stata né semplice, né immediata (diffidate dai ciarlatani che vi dicono che scri-vere è semplice ed immediato come sternutire). Questa no-stra rivista non è nata in un giorno solo, ma è stata frut-to di colla-boraz ion i , riunioni e decisioni prese assieme. Come il GUC, così Antani è un prodotto nato dall’unione di più ingegni. Avevamo pensato di scrivere un giornale, e, come tale, dargli un’impaginazio-ne da quotidiano – grandi pagine. Avevamo già pronto un modello passabile per questa incarnazione di Antani, quando è sorto il proble-ma: sarebbe stato fattibile, ma la sua impaginazione (materialmente) ci avrebbe creato non pochi proble-mi. Abbiamo riflettuto sul da farsi, e un’altra idea ha scosso dalle fonda-menta le nostre convinzioni sul gros-so formato: Antani non vuole essere un giornale di grosso formato. Non è nato con quell’intenzione. Antani è GUC, e, come tale, vuole distinguer-si, essere originale! Tornando alle origini, grazie ad un’intuizione del nostro presidente, abbiamo optato per un formato “da rivista”, in un pratico A4. Il perché di questa scelta, si può riassumere in un veloce elen-co di pregi che abbiamo riscontrato: in primo luogo, è più piccolo e quin-

di più maneggevole. Ovviamente, l’impaginazione è più facile. Inoltre, si può stampare comodamente la versione .PDF da un qualsiasi com-puter domestico, senza mettere in crisi la stampante con pagine troppo larghe. Questo per quanto riguarda le dimensioni. Cambiando le dimen-

sioni si è reso ne-cessario cambiare la veste grafica: un formato da quoti-diano ha bisogno di dimensioni da quotidiano. Un formato da Rivista ha bisogno di qual-

cosa di diverso. Nel nostro caso, abbiamo fatto come un gruppo musicale: siamo andati alle nostre influenze, le nostre radici, nel nostro caso le nostre influenze editoriali. Se vogliamo adottare un taglio da rivista, abbiamo optato per qualcosa al di fuori degli schemi. La risposta ci è arrivata contemporane-amente da due riviste molto atipiche e uniche nel loro genere: da una par-te TIME, il settimanale newyorkese, che sebbene in America abbia fatto scuola (Newsweek, the Economist, Life), non ha avuto la stessa fortuna in Italia (l’esempio editoriale più feli-ce in questa direzione è stato Spec-chio, che come mensile ha saccheg-giato molto dallo stile di TIME). Il secondo esempio viene dalla tosca-na, dallo storico Livornocronaca-Ver-nacoliere. Come Antani, il Vernaco-liere non ha pubblicità, è in un agile formato A4 e ha una veste grafica molto intensa. Inoltre, il Vernacolie-re usa un linguaggio diretto, leggero e colloquiale, senza però scadere in un linguaggio sboccato o superficia-

le. Per alcuni aspetti, inoltre, Antani vuole ricordare (anche se questo è stato accidentale) il Reader’s Digest, altra rivista piuttosto atipica nel pa-norama editoriale. Tirando le som-me, Antani ha voluto portare su di sé quello che chiamiamo “Lo stile del GUC”, ovvero quel desiderio di fare anche cose tradizionali, ma con un gusto per la re-invenzione e una dose di freschezza ed originalità. Da Time abbiamo saccheggiato, oltre al formato di copertina, essenziale ma di forte impatto, anche la distribuzio-ne del testo, tra immagini e vignet-te, e la presenza di rubriche-cardine in pagine privilegiate, che il lettore potrà ritrovare di frequente, e usa-re come punti di riferimento. D’altra parte, il Vernacoliere ci ha insegnato un’altra lezione editoriale: bisogna osare, provare strade nuove, e dire quel che si pensa, meglio ancora se lo si fa con un sorriso sulle labbra.

Ora che leggete questo numero, Antani è anche vostro: Antani ed il GUC non sono società segrete, e tra i loro fini annoverano la comunica-zione, al livello più diretto possibile. Per questo motivo, se avete spunti, idee, punti di vista o altro da propor-re ad Antani, potete mandarci una mail al nostro indirizzo [email protected]. Allo stesso modo, se siete tesserati, potrete partecipare attivamente alle riunioni del GUC, e, nel caso, potrete mettere ai voti le decisioni.

Genesi di un formato. E di una rivistadi Marco Viviani.

Come se fosse antani anche per lei soltanto in due

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Il Perché di una Rivista

Il GUC non si accontenta di essere una associazione giovanile tout court, né tantomeno gradisce essere additata come la “solita or-ganizzazione di paese per fare gli eventi”. In questa luce, l GUC deve mostrare la sua poliedricità. In que-sta direzione, abbiamo ritenuto la pubblicazione di un bollettino a sca-denza regolare (volgarmente detto giornalino) la nostra migliore scelta. In questo modo ci sentiamo ancora più legati a Gazoldo, potendo fornire

sugli avvenimenti che accadono un nostro punto di vista. Oltre a voler ribadire la nostra presenza e a voler dare voce al GUC, la scelta di creare un giornalino, specialmente di que-sto taglio (mini-rivista, “stile GUC”, spirito d’innovazione, ispirazione) è stata una decisione dettata anche dal desiderio di creare qualcosa di nuovo e diverso dal solito. Da un po’ di tempo a questa parte abbia-mo visto la proliferazione di fonti di informazione insolite (lasciamo da parte per il momento blog e simili, mi sto riferendo alla carta stampata).

Sono nati – anche in area mantova-na – giornali con tirature limitate, scadenze insolite (quindicinali, set-timanali) e che di solito interessano una zona circoscritta della provincia (ad esempio, lo storico Sermidiana, o Noi, settimanale sperimentale che però ha avuto vita breve). Il nostro intento è creare per Gazoldo e l’area dei comuni limitrofi uno strumento sulla stessa falsariga, che ci aiuti a descrivere e raccontare questa real-tà.

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Contattare per una chiacchierata Vincenzo Federici ci era sembra-to quasi un azzardo, ma Vi (d’ora in avanti lo chiameremo così ndr)ci accoglie nella sua magnifica vil-la con una premura ed una di-sponibilità davvero inaspettate. Quando inizia poi a raccontarci la sua vita con il suo “selfmade” italiano, pare un fiume in piena e ci fa sorgere il dubbio che forse non era così indi-spensabile preparare domande.

Da piccolo cosa sognava di fare da grande?

Ho cominciato a lavorare a sei anni, facevo l’ambulante con mio padre (l’arrotino Andrea Federici ndr). In realtà la necessità che avevo io, e anche la mia famiglia, era quella di sbarcare il lunario in qualche modo, portare a casa un po’ di soldi per comprare da mangiare, perchè tra me e i miei altri cinque fratelli, il cibo scarseggiava. Ricordo che divideva-mo un uovo in quattro. Ammetto che mi sarebbe piaciuto molto con-tinuare a studiare, ho sempre pen-sato che la cultura fosse una cosa importante. Non essenziale, ma par-tire con un’istruzione è un vantaggio decisivo. Ad esempio, io non posso dire di essere partito facendo al ga-vetta, perchè nel mio caso, nemme-no l’avevo, la gavetta.

Come è nata l’idea di cre-are la Re.Le.Vi.?

Tutto iniziò grazie al la-voro di ambulante. Mio padre commerciava an-che maglieria e serviva la naftalina per conservare la merce. Al tempo, la naftalina costava molto e si doveva andare a comprarla a Milano, quindi ebbi l’idea di commerciarla autono-mamente. All’inizio fu difficile: mio padre non era d’accordo e dovetti lavorare di nascosto da lui. Scelsi di produrre naftalina quasi per caso, e non avevo la minima idea di come fare, io non ne sapevo nulla di chimi-ca. Ad esempio, decisiva fu la scoper-ta che la naftalina venduta al merca-to costava meno di quella pura. Cioè

il prodotto finito costava di più della materia prima. Questo perchè il pro-dotto veniva “tagliato” con materie inerti, che avevano praticamente costo zero. Per raccontarvi una cosa divertente, cominciai a produrre naftalina in un porcile: pensate che dopo tre o quattro anni la naftalina prodotta all’interno di quel casolare puzzava ancora di maiale.

Quale è stata la decisione più diffi-cile che ha dovuto prendere nella sua vita professionale?

Sicuramente la scelta di investire i pochi soldi che avevo, guadagna-ti riparando occhiali la notte, per comprare la prima macchina per insacchettare la naftalina, a rate. Ri-cordo come ora quando io e Lean-dro (Le, suo fratello ndr) a Milano la acquistammo: si ammalò per la pre-occupazione (qui Vi. si fa una gras-sa risata pensando a quei momen-ti). Quella macchina era già vecchia, ma purtroppo potevo permettermi solo quella. Il tutto, naturalmente, di nascosto da mio padre, che ho già detto, non era d’accordo.

C’è qualche cosa di magico nello stabile dove ha iniziato la Re.Le.Vi. e peraltro la Marcegaglia?

Io non sono scaramantico ma al de-stino ci credo. Lo stabile che fu di Ca-raffini ha portato molto bene prima

a Marcegaglia, e poi a me, con la Re.Le.Vi. Se però è vero che certi posti porti-no bene, lo è anche il con-trario: passavo proprio oggi da Rivalta davanti a quel posto dove facevano tombini (ex Padana Ma-

nufatti ndr) dove hanno aperto nel tempo moltissime aziende, e nes-suna ha superato i tre anni di vita. In sostanza penso che certi luoghi nascano fortunati, e altri invece no. Serve essere fortunati a propria vol-ta, cominciando nel posto giusto.

Quali crede che siano le doti più im-portanti per un imprenditore?

Innanzitutto, un buon imprenditore sa cosa succede all’interno della pro-

pria azienda. Mi spiego meglio: non è necessario che l’imprenditore sap-pia fare tutto al 100%, è importante

che però abbia coscienza di come funziona ogni singola parte che com-pone la sua impresa. E’ importante, inoltre che sia un buon capo, e che abbia la capacità di individuare quali capacità abbiano i suoi dipendenti e di conseguenza saper assegnare loro il ruolo giusto. E poi, fondamentale è il coraggio: si può essere abilissimi in qualcosa, ma se non si rischia, se non ci si mette in gioco, non si otterrà mai nulla. Un buon imprenditore deve in primis saper acquistare : se uno sa comprare bene, sarà anche in grado di vendere bene. Allo stesso modo, se uno è in grado di risparmiare, e tenere botta, gli sarà anche più faci-le guadagnare. Mai sentirsi arrivati, cercare di essere umili, e con i piedi per terra perchè il successo è come una bicicletta in salita: se ci si ferma, si rotola indietro. E poi, ammetto che talvolta è una questione di fortuna. E io so di essere stato un imprenditore

“non posso dire di essere partito facendo la ‘game-la’, perchè nel mio caso, nemmeno l’avevo”

L’INTERVISTAdi Riccardo Donini, Andrea Pasini, Marco Viviani

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fortunato.

Ha qualche ricordo particolare lega-to alla fondazione ed alla gestione della ReLeVi?

Ricordo di aver registrato la ReLeVi, nel ’55, per cento anni. Inoltre, un

particolare che riesco a ricordare bene è che all’interno della provin-cia di Mantova ho avu-to il maggior numero di macchine ed invenzioni brevettate della provin-cia – perché le macchine che usavamo in fabbrica, le costruivamo noi, cosa che succede ancora oggi.

Che ruolo ha avuto sua moglie nel successo dell’azienda?

Sono convinto che nella mia vita, mia moglie rap-presenti il 75 % del mio successo. Mia moglie era una maestra, ed è grazie alla sua cultura e istru-zione, che è riuscita negli anni ad aiutarmi in molti lavori nei quali appunto servivano certe cono-scenze che io non ho mai potuto acquisire aven-do studiato solo fino alla quinta ele-

mentare. E’ sempre stata la contabile dell’azienda, ed era lei ad avere rapporti con le banche. Ricordatevi che se un uomo risparmia e la donna spende, non si va da nessuna parte. Se invece è la donna a risparmiare, e l’uomo a spendere, si possono ottenere molti risultati.

Ritiene che con la vendita dell’azien-da avverranno cambiamenti signifi-cativi al suo interno?

L’azienda rimane com’è, questa è la promessa suggellata con l’atto di vendita. Inoltre, è anche nel loro interesse che non avvengano cam-biamenti, siccome funziona bene. Inoltre, anche per i dipendenti è meglio non introdurre cambiamenti, siccome sono abituati ad una certa gestione che li soddisfa – un lavora-tore soddisfatto lavora meglio.

Sente la sua azienda più come Ga-zoldese o Rodighese?

È una domanda a cui è molto diffi-cile rispondere. Mi trovo bene sia a Rodigo che a Gazoldo. Il mio cuore è a Gazoldo, dove infatti ho scelto di abitare. Tuttavia, sono riuscito a tro-vare il posto ideale per espandere il mio stabilimento a Rodigo, pagando-lo in contanti, mentre a Gazoldo non mi era possibile. Tra gli appezzamen-ti disponibili, comunque, ho scelto quello più vicino a Gazoldo.

Ha qualche consiglio che vorrebbe dare agli aspiranti imprenditori?

Vorrei dare loro ogni tipo di consi-glio. Per prima cosa, ci vuole una vo-lontà ferrea, non bisogna mai molla-re. Poi, bisogna avere sempre idee nuove, sono quelle che ti portano sempre avanti. Non bisogna dimenti-care poi una grande onestà. L’onestà è un circolo che racchiude tutto: non bisogna promettere a vuoto, si deve essere puntuali, per esempio, altri-menti non si è onesti. Occorre anche la fortuna. Personalmente, mi riten-go fortunato, siccome tutte le scelte che ho fatto si sono rivelate giuste. Ci vuole anche una grande passione, la volontà da sola non basta, non biso-gna mollare mai.

Se invece di allora (negli anni ’50) avesse comin-ciato oggi, con gli stessi mezzi, avrebbe avuto maggiori o minori diffi-

coltà?

Non sarei mai riuscito a cominciare, oggi. La concorrenza attuale è molto più forte, e i piccoli imprenditori non riescono ad inserirsi in un mercato dove ci sono solo grandi aziende che non gli lascerebbero spazio. Inoltre, lo stesso piccolo imprenditore non riuscirebbe a venire incontro alle esi-genze degli acquirenti, che al giorno d’oggi acquistano in massa.

Quali sono le sue più grandi passio-ni?

Amo particolarmente gli orolo-gi. Inoltre ho una grande pas-sione per le automobili, e a tal proposito, penso che un uomo al-meno una volta nella vita dovreb-be visitare l’autosalone di Ginevra. Ma più di tutti amo gli aeroplani. Ri-

cordo quando a dieci anni, ebbi l’ap-pendicite, e un amico di mio fratello, di Villafranca, mi promise di salire su un aereo; non persi tempo, ci an-dai in bicicletta ( erano 80 km ndr), tornai a casa che era già buoi e mio padre mi diede una bella lezione, ma fu bellissimo, quei tempi sono irripe-tibili. “

Ha qualche rimpianto in particolare concernente l’azienda?

Un piccolo rimpianto ce l’ho, di non aver avuto una preparazione cultura-le migliore. In quel caso, avrei sicura-mente creato un’azienda più grande. Però, non posso certo lamentarmi: sono partito da zero e ho creato molto di più di quanto avrei potuto anche solo immaginare. Avrei potu-to anche fare di più, ma sono soddi-sfatto.

Qual è il suo rapporto con il suo co-etaneo Steno Marcegaglia?

Sono amico di Marcegaglia, siamo coetanei e abbiamo un bel rpporto, nonostante sotto molti aspetti siamo persone differenti.

Nei suoi viaggi, qual è stato il luogo più impressionante che abbia mai visto?

L’Italia è il paese più bello del mon-do. Tuttavia, al di fuori, sono rimasto molto impressionato dalla Cina: han-no la Grande Muraglia, impressio-nante. Hanno una cucina un po’ sta-na, ho mangiato persino un sepente in un ristorante. Eppure, hanno po-chissimi servizi igienici, sotto alcuni aspetti stanno ancora sviluppandosi. Anche l’America, in particolare Chi-cago e New York mi hanno affasci-nato, con la sua organizzazione e le opere architettoniche.

Ha dei progetti per il futuro?

Ne ho alcuni. Mi piacerebbe creare una fondazione, come quella di Pi-gozzi. Anche costruire un ospedale, ma qua in Italia per la mia gente, per migliorare la vita delle persone, ac-corciando le liste d’attesa, e magari dotandolo i apparecchiature miglio-ri. Mi piacerebbe molto anche creare un museo delle macchine industriali, nel capannone qua a Gazoldo dove ho cominciato la mia attività.

“non sarei mai riu-scito a cominciare, oggi.”

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eugualeemmecidueQuestione di opinioni

Cosa guadagna e cosa perde Gazoldo con la vendita di Re.Le.Vi.?

Premesso che non è certo facile prevedere lo sviluppo di un’operazione finanziaria alquanto complessa come quella che ha portato il fondo PM & Partners SGR Spa ad acquisire RELEVI, con la partecipazione anche di UNICREDIT in qualità di Banca finanziatrice, si può tentare una riflessione al riguardo.E’ probabile che il fondo di investimento cerchi di aumentare il suo volume d’affari per poi giocare in borsa i titoli di relevi e a quel punto potrebbe ritenere conveniente vendere l’azienda, dopo essersi rifatto del costo dell’investimento con gli interessi; non riteniamo molto plausibile invece, almeno per quel poco che si è sentito e per la natura stessa dei fondi di investimento, un impegno duraturo nella stessa azienda, anche se niente vieta che il futuro eventuale compratore abbia invece una visione più classica di imprenditore produttore, tanto più che la relevi è un’azienda con un buon posizionamento sul mercato.Si deve tener conto dell’attuale natura del capitalismo contemporaneo che è molto più tentato dal gioco della borsa e della finanza rispetto al classico investimento di produzione di beni sul mercato, perché il saggio di profitto (cioè semplificando la percentuale di guadagno netto alla fine di ogni investimento) è diminuito nel mercato di

Per sapere se Gazoldo guadagna o perde dalla vendita di ReLeVi servirebbe conoscere il pro-getto industriale e le strategie im-prenditoriali della nuova proprietà.

Si possono formulare ipote-si o congetture, forse non po-sitive, vista la difficile congiun-tura economica del momento. Il fatto che ReLeVi abbia cambia-to assetto proprietario ci induce a profonde riflessioni sui repentini cambiamenti di rotta del mercato globalizzato, il che ci obbliga, come comunità, ad essere molto attenti e vigili, poiché il benessere di oggi non può essere garantito per sem-pre (purtroppo)!

Se si verificasse una perdita di posti di lavoro sarebbe un danno grave per tante famiglie gazoldesi e dei paesi limitrofi. Per questo ritengo non sia bene “crogiolarsi “ nella soddisfazione dell’esistente, bensì sia molto più saggio prevedere e rendere operative le nuove aree industriali già inserite nel PGT del Comune di Gazoldo degli Ippoliti affinché siano pronte a partire nel caso ci fosse un interessamento di altre ditte, disposte ad investi-re per nuove realtà produttive, in prossimità del casello autostradale TIBRE.

Auspico infine che ReLeVi continui a prosperare come in passato, nel segno dell’operosità e dell’inventi-va della nostra gente.

di Franca Ferrettidi Cesare Battistelli

Allo stato attuale delle in-formazioni in nostro possesso non è possibile fare previsioni in merito ed auspichiamo di avere la possibi-lità a breve di incontrare la nuova Proprietà per una panoramica sulle future strategie aziendali.

Pur essendo ubicata sotto il Comu-ne di Rodigo, l’azienda ha da sem-pre interessato dal punto di vista occupazionale anche il Comune di Gazoldo.

Non spetta a questo Comune dare giudizi di merito sull’operazione, che appartiene alla legittima auto-nomia decisionale di ogni impren-ditore.

Da parte nostra ci sarà sicuramente l’attenzione per tutti quegli aspetti di nostra competenza che dovesse-ro richiedere un eventuale nostro ruolo attivo.

di Nicola Leoni - Sindaco

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produzione e compra vendita reale ma resta alto, anche se molto rischioso e fluttuante, nell’investimento finanziario.Per ciò che riguarda Gazoldo e i lavoratori della relevi è probabile che dopo un impegno iniziale per aumentare il giro d’affari e la percentuale di vendite sul mercato, questo forse anche grazie a qualche possibile nuova assunzione ( ma non è affatto scontato perché i guadagni tendono a ridurre i costi di produzione come i salari, forse una maggiore meccanizzazione tecnologica è più utile al fine dei proprietari) si possa rischiare invece una tendenza, magari graduale, a meno occupazione o nel caso più auspicabile a mantenere i livelli d’occupazione attuali.Ciò utilizzando, ma non è certo una novità ormai, strumenti contrattuali che favoriscono la proprietà come i vari contratti a tempo determinato o vari che riducono i diritti e i salari tendenziali dei lavoratori; nel caso della relevi senza troppe difficoltà in quanto nell’azienda in questione non sembra esistere un sindacato che possa almeno provare a contrastare eventuali disegni negativi per i lavoratori.In sintesi il neocapitalismo finanziario gioca su piani molto lontani dalle realtà locali a cui siamo abituati e sarebbe ingenuo aspettarsi delle durature ricadute positive su la nostra piccola realtà, il tornaconto degli investitori quasi mai va d’accordo con le esigenze di piena occupazione e di salari dignitosi, specialmente in tempi in cui i rapporti di forza sono nettamente a favore dei potenti e non dei lavoratori.

Gazoldo a Sinistra

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matografico ‘fiuto per gli affari’ ha trovato il suo sfogo.

Vi è un personaggio vero, un uomo dalla praticità sconcertante che ci ha comunicato con molta chiarezza l’importanza del lavoro sul campo, il fondamentale talento del trovare soluzioni nei problemi .

“[..]Sapete cos’è l’esperienza? L’esperienza è un cumulo di errori, chi non sbaglia non impara niente […]”

Dialogando con lui si respira il suo carisma e per un attimo ci si illude che con una grande volontà e una smodata ambizione si possa rag-giungere qualsiasi obiettivo.

La realtà non è purtroppo questa, la verità è che Vi è frutto del suo tempo e il suo successo frutto delle opportunità competitive di quegli anni.

E’ altresì sbagliato pensare il con-trario, cioè che uno come Vi oggi non possa ‘farcela’. Le sue capacità possono risultare clamorosamente banali da raccontare, ma restano modernissime e la grande lezione che abbiamo imparato è che la di-mostrazione pratica è spesso lonta-na dalle ambizioni cerebrali, e che una buona idea deve farsi largo nel mondo reale, che talvolta presenta criticità inaspettate.

Lì si misura la grandezza dell’uo-mo e dell’imprenditore, attraverso quel talento che prevarica la relati-vità dei tempi.

Intervistare Vincenzo Fe-derici poteva diventare una facile occasione di conquista, di basso gossip paesano, rivelazioni di in-fondati, presunti o malcelati dissidi familiari potevano inondare di in-chiostro la prima pagina dell’Antani con risultati certi.

La nostra sfida è stata invece - e speriamo di avere colto nel segno - raccontare ed imparare da una storia imprenditoriale, cercare di carpire l’alchimia che permette ad un uomo di umili origini quale Vi, di scalare graduatorie sociali, di farsi largo a gomitate (citato ndr), di di-ventare ricchissimo e di riuscire a lasciare un segno indelebile nella comunità, per le generazioni.

Dare un identikit genetico al suc-cesso è una sfida quanto mai com-plicata e inseguita da pensatori ben più illustri di me. Quello che umilmente cerco di raccontare qui, è quello che Vi ci ha insegnato in quelle due ore e mezza della sua vita che ha concesso alla nostra chiacchierata.

Aspettarsi un’intelligenza ed una scaltrezza superiori da un uomo che ha costruito quel che è riu-scito a Vi, pare cosa quanto mai scontata; riflettere sulla capacità di un essere umano di canalizzare i propri talenti nella migliore di-rezione è invece oggetto per una discussione di livello superiore. A Vi è brillantemente riuscito que-sto salto di qualità attraverso stru-menti che poco hanno a che fare con la finezza intellettuale e la pia-nificazione: qui il coraggio e l’intu-ito hanno avuto la meglio, il cine-

Il segreto del successo?

di Andrea Pasini

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Supertramp!Notizie, curiosità, riflessioni di gazoldesi e mantovani sparsi per l’italia e per il mondo.

“Lontananza e differenze”

di Sandra Buzzago Milano

Toglietemi tutto, ma non Santa Lucia! La prima volta che agli amici del nord (qui a Milano veniamo considerati già un po’ “terroni”) ho raccontato della santa che di notte arriva con l’asinello per do-nare giochi ai bambini, sono stata guardata come un alieno appena sbarcato da Marte: la cosa che più li ha stupiti è stato il fatto che l’unica cosa che ci si scambia a Natale, almeno in teoria, siano gli auguri. È stata dura far capire quanto bella sia questa festa meno famosa ma sicuramente più genuina e meno commercializzata del Babbo Natale che ci propinano negli spot televisivi, ma ora le

compagne di corso pretendono i soldini di cioccolato e il resoconto dei regali anticipati.

Il bello di questa grande città è che vi confluiscono persone da tutta Italia e le tradizioni si mescolano democraticamen-te: i milanesi festeggiano Babbo Natale o Gesù Bambino, pugliesi e russi tifano per San Nicola, mantovani, bergamaschi e siracusani aspettano Santa Lucia; tutti con lo stesso spirito misto di sacro e profano.

Differenze a parte, qui il Natale è una cosa seria. Ci si può ufficialmente salutare augurando “Buone feste!” dall’8 dicembre e il 7 (giorno del pa-trono meneghino Sant’Ambrogio) tutte le luci della città devono essere accese: quest’anno il colore predominante è il rosa. Non tanto perché la metropoli è decisamente gay-friendly, quanto perché uno degli sponsor principali è la Gazzetta dello Sport.

Negli ultimi giorni tutti si apprestano a partire: gli indigeni non vedono l’ora di salire sul loro SUV per colonizzare le montagne svizzere e sciare ad libitum, mentre gli “immigrati” intraprendono veri e propri viaggi della speranza per tornare alla casa natia e ritrovare quel clima familiare e festaiolo (e mangereccio) che ognuno di noi vorrebbe sempre avere attorno.

di Simone CaniBarcelona (Spagna)

Mi chiamo Simone, ho 25 anni, sono nato e cresciuto a Gazoldo, ho vissuto e studiato a Parma e ora mi trovo a Barcelona, Spagna. Credo che ciò che mi ha spinto a lasciare l’Italia sia stata la volontà di tenere il maggior numero possibile di porte aperte oltre che all’eterna voglia di cono-scere nuovi posti e nuove culture; non solo viaggiando e guardandole da spettatore ma provan-do ad entrarci, talvolta anche in modo un po’ maldestro (lasciando le interazioni linguistiche alla mera improvvisazione) ma comunque efficace.

Vivere lontano da casa non è particolarmente difficile, certo a volte la nostalgia fa capolino: quando te ne vai con una valigia più grossa delle altre volte sai che stai lasciando molto ma sai anche che troverai altrettanto, se non di più...

Credo che ciò che manchi di più (almeno per quanto mi riguarda) siano le persone, non tanto i luoghi, forse perché dopo aver vissuto in posti diversi non sento di appartenere a nessuno di questi; proverbio Zen: “Without just one nest a bird can call the world home ”.

Che dire delle differenze: nessuna è tanto grande e significativa, tuttavia se sommate assieme possono talvolta di-sorientarti; elencarle mi sembra riduttivo e un po’ banale, perciò mi limito ad affermare che, per quel poco che fino ad ora ho potuto provare sulla mia pelle (quindi per quanto concerne l’università e la ricerca del lavoro), qui si viene trattati con un po’ più di riguardo e che la meritocrazia (di cui in Italia si fa un gran parlare) non è affatto di difficile attuazione; sempre che sia sia disposti a pensare in modo un po’ più dinamico e propositivo (è necessario sapersi arrangiare e avere iniziativa, senza aspettare che qualcuno ti indichi la strada)

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di Francesca Scuttari Canton (Cina)

Urla, clacson, una mandria di tacchi. Odore di riso, di zuppa. Spinte, corse e sorpassi.

Una tipica mattinata a Canton, Cina. Ė il primo accogliente scenario che la cittá ti porge con cosi tanta generositá.

Il wài guó rén, lo straniero, attraversa l’approccio alla caotica giungla meridionalcinese attraverso diversi gironi di estraniazione per arrivare finalmente, dopo non pochi sforzi, alla fase di apprez-

zamento.

Si arriva in Cina con molti pregiudizi, immagini distorte, ma alla domanda ‘Come é stato l’impatto?” si finisce sempre per commentare con un “Pensavo peggio!”

La politica di forte apertura degli ultimi anni, la grande preparazione architettonica e di educazione precedente i giochi asiatici ha molto condizionato la popolazione. Nonostante la gente fissi ancora i pochi stranieri per strada come se avessero due teste, sono curiosi verso di loro e verso quello che sta al di fuori della Cina.

Stimabile la loro voracitá nell’abbracciare una marea di abitudini che originariamente non gli appartengono.

Mc Donalds &Co sono ovunque, cartelli tradotti in Inglese, boom del settore del caffé e del vino, celebrazione del Na-tale che ti insegue in qualsiasi supermercato ed ascensore.

Quello che stupisce é che Canton appartiene ad una realtá profondamente cinese, lontana dalla vita di Pechino o Shanghai.

Nonostante questa tendenza, Canton sta per questo perdendo le sue radici tradizionali? La cucina cantonese é rimasta la principale, il dialetto é ancora prevalente, e la famiglia rappresenta tuttora il fondamento della societá.

Questo infligge un duro colpo al vecchio continente. Soprattutto ci mostra come é possibile guardare avanti costrutti-vamente senza perdere le proprie radici, terrorizzati da novitá ed estraneitá.

di Filippo GorniSevilla (Spagna)

Tre mesi fa lasciai Gazoldo per venire a studiare in Spagna. In questo ultimo periodo, ho fre-quentato gente proveniente da molti stati del mondo ed ora, alle 23.30 di questo lunedì piovoso, scrivendo questo articolo, sto provando a descrivere le differenze culturali che ho riscontrato in queste settimane: in particolare ho cercato di capire quale siano la migliore qualità ed il peggior difetto che noi italiani possediamo rispetto agli altri ragazzi di tutto il mondo.

Sarà strano ma secondo me la principale qualità che noi italiani abbiamo rispetto agli altri popoli è la capacità di capire (e farci capire) da chiunque.

Quante volte ho visto tedeschi, olandesi, svedesi, finlandesi, inglesi, arrabbiarsi perché gli spagnoli non parlano in-glese? E quante volte ho visto queste persone crepare d’invidia perché noi italiani (popolo che ritengono inferiore) riusciamo ad ottenere informazioni con il linguaggio del corpo, senza aver bisogno di utilizzare il nostro maccheronico inglese o il nostro “espanolano”?

Passando ai difetti dovrei stilare un elenco a modi pagine gialle, ma il difetto che mi da veramente fastidio è la super-bia dell’italiano medio all’estero. Mi spiego meglio: l’italiano medio non è laureato, non possiede un livello decente di inglese, crede che tutto gli sia dovuto e crede di riuscire a fregare sempre il prossimo.

Ogniqualvolta incontro questi esemplari per strada ripenso a Colombo, Leonardo da Vinci, Raffaello, Donatello, Miche-langelo ed a un altro centinaio di persone che han fatto grande l’Italia e dico tra me e me: “Possibile che nonostante la nostra eredità culturale l’italiano medio sia ignorante e cafone?”.

P.S.: ogni lunedì alle 22.30 sulla web-radio http://www.idealitystudios.com/radioexcalibur/index.html ascoltate il pro-gramma “Pan, Amor y Andalucia”: le impressioni dei ragazzi italiani alle prese con l’erasmus a Siviglia

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di Giulia Maestrini Parma

E’ l’inviata ufficiale del Guc in quel di Parma, che vi scrive: qui, a soli 58 km da casa, le differenze sono davvero poche. Meno nebbia, più ciclabili ed una prospettiva quasi da grande metropoli, per chi abita in una comunità di poche migliaia di abitanti, ma non sono queste le difficoltà d’adatta-mento di un emigrante! Eppure, perfino qui, si annida il germe della diversità. Ed io l’ho scovato! Per voi. Dove? Nella coabitazione.

Nonostante io viva con due amiche ed ex compagne di classe con cui, oltre alla settimana universitaria, trascorro anche tempo libero e serate sconsiderate, i contrasti rispetto alle abitudini di casa ci sono. Diversi orari e l’esi-genza di condivisione degli spazi e soprattutto delle risorse. Consuetudini, vizi e vezzi nuovi e contrastanti. Svegliarsi e trovare la tv accesa ed al massimo volume sui cartoni del mattino. Piccole, innocue ma premeditate ed appaganti vendette diventano l’arma di difesa, fino a che, giorno dopo giorno, non si ricrea una nuova familiarità, un po’ strampalata e sghemba ma sorprendentemente gratificante.

È l’aspetto più difficile della convivenza. Va ben oltre lavarsi, stirarsi e prepararsi da mangiare. È la novità più faticosa da accettare, quella del far fronte a tante seppur piccole differenze, sobbarcandosi il peso della tolleranza. Eppure, ora che i nostri 5 anni insieme stanno per finire, le cose che mi rimarranno saranno sì le diversità, ma quelle costruttive, come quando una di noi porta la ricetta dei piatti forti di casa per impararla e migliorarla insieme, devastando ovviamente cucina, soggiorno e perfino camere da letto.

E poi, ne sono sicura, quando verrà il momento della Convivenza vera, quella più importante, penserò a questa avven-tura parmense come ad una piccola palestra.

di Paola Tellaroli Padova

La prima differenza che un italiano all’estero nota è chiaramente di carattere culinario. Inutile dirvi di evitare i ristoranti italiani in Francia perché rimarrete delusi nel trovare l’emmental sulla vostra pizza, ma godetevi la sacralità dei formaggi, i deliziosi dolci, il sidro, le salse onnipresenti, le crêpes ma soprattutto le galettes e i ristoranti etnici degni di questo nome. Ed evitate, mi raccomando, di fare confronti fra vini italiani e francesi o di riprenderli se li scovate a lavare la pasta prima di condirla: si giustificheranno dicendo che altrimenti si incolla!

Nella scuola la parola d’ordine è “meritocrazia” ed uno studente italiano in tempo finirà i suoi studi comunque almeno 2 anni dopo uno studente francese. L’università è quasi gratuita, i voti sono in ventesimi ed estremamente parsimoniosi, non esistono voti di laurea, i testi sono forniti, aule e laboratori restano aperti fino a tardi e spesso il TOEFL è un esame obbligatorio (e pagato dall’università). Inoltre i più bravi possono diventare funzionari pubblici: cioè studenti con un vero e proprio stipendio. Grazie al CAF si ottiene anche un rimborso quasi completo per le spese di alloggio, anche per gli erasmus.

Poi ci sono le piccole cose che però si notano subito: sui mezzi pubblici le persone non strillano al telefono, quando si fa la spesa si usa un sacchetto di stoffa per evitare di inquinare inutilmente, le code e le multe sono serie e, nonostante i soliti clichés, i francesi parlano inglese molto meglio di noi. Infine lo sapete già, è inutile che ve lo dica: in Francia non troverete un bidet (cosa di cui non capiscono l’utilità e che vi farà sorgere alcuni dubbi), i treni sono più cari ma molto più efficienti e puntuali, i ragazzi si presentano ad una ragazza con un elegante enchantée, e sono molto patriottici. Infatti il 14 luglio, festa nazionale, tutto è chiuso e tutti festeggiano, sapendo cosa stanno festeggiando ed è raro sentirli pronunciare termini anglosassoni: anche il computer diventa ordinateur!

GOCCE DI ANTANI“Qualcuno spieghi a Paola che non è più in erasmus!!”

“I giapponesi storceranno sicuramente il naso vedendo che tra i miti rina-scimentali non è stato citato Splinter!!”

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“Qualcuno spieghi a chi si occupa di questo spazio che le Tartarughe Nin-ja non sono un cartone animato giapponese, bensì statunitense!”

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”Come se fosse Antani”...e se lo fosse DAVVERO?”di Riccardo Donini.

Più o meno, è così che ci si può im-maginare la scena: due Nerd dagli intelletti effervescenti, appassionati di Film e di “Zingarate”, in piena fre-gola creativa, sparati verso l’iperura-nio dell’editoria sia con la mente che con i piedi, provvisti del più grande repertorio di farloccherie dai tempi di Woody Allen quando ancora do-veva disintossicarsi, che si scambia-no idee a racchettate, allo scopo di trovare un titolo decente a quello che probabilmente, citando Ruggero Iandolo, sarà “La più grande rivista contemporanea della storia delle As-sociazioni e del Mondo Intero”.

Ovviamente sto scherzando, ciò che avete appena letto, non corrisponde a verità.

Di certo non la parte relativa alla di-sintossicazione di Woody Allen.

Sul serio, decidere di usare questo titolo, senza false modestie, è stata un’idea molto azzeccata. Voglio dire, quale altra parola come “Antani”, potrebbe descrivere meglio ciò che siamo, ciò che vorremmo essere, e ciò che desideriamo fare con questo giornale?

La decisione, dobbiamo ammetter-lo, non è stata poi così combattu-ta. All’inizio temevamo di incorrere nuovamente in una crisi creativa si-mile a quella vissuta l’anno scorso, durante le fasi di scelta del Logo Uf-ficiale del GUC, che è stata , ve lo assicuriamo, un rincorsa senza sosta all’idea giusta, una rincorsa este-nuante e talvolta inconcludente. In-vece questa volta, la poiesi creativa è stata decisamente molto più rilas-sata. Un processo che quindi, seppur

breve, ha portato fin da subito i pro-pri frutti. Antani è stato scelto come titolo ufficiale del giornale, grazie ad un’idea balenata praticamente all’unisono all’interno delle menti di quel Megadirettore che non è altro, Marco “Macho” Viviani, e del sot-toscritto. Tra l’altro, questa idea, ha alle sue radici diverse e importantis-sime motivazioni.

Antani deriva innanzitutto, per chi non lo sapesse, dal Film “Amici Miei” di Mario Monicelli. E’ una delle paro-le chiave usate dal Conte Lello Ma-scetti, impersonato dal grandissimo Ugo Tognazzi, durante la “Supercaz-zola” - ovvero un nonsense - una fra-se priva di alcun senso logico, colma di parole inventate sul momento, usata per confondere la persona alla quale ci si rivolge, rendendola ridico-la di fronte agli astanti. In sostanza Antani, è un parola che non significa nulla. Di conseguenza, questa neu-tralità semantica, le conferisce la possibilità unica di trovarsi qualsia-si significato desideri. Per lo stesso motivo, non corre il rischio di poter essere associata ad ideologie pree-sistenti, aderenze di qualsiasi natura ad altri gruppi o ingerenze di varia estrazione. Come detto, ciò che ci ha ispirato viene da un film geniale, surreale e creativo, che, a suo modo, veicola l’ideale di una giovinezza che non vuole estinguersi. In questo sen-so, l’idea ci ha decisamente entusia-smato. Da un punto di vista sostan-zialmente concreto inoltre, Antani è in sé un vocabolo riconosciuto da molti, che seppur privo di senso evo-ca immagini divertenti e goliardiche. È inoltre originale, curioso e soprat-tutto facile da ricordare.

E’ altresì doveroso aggiungere un ultimo particolare, che riguarda pro-prio il momento in cui Antani era ancora un vocabolo novizio all’in-terno delle nostre discussioni. Prima ancora che venissero scritti gli arti-coli, designato il lay-out e definito l’aspetto di queste pagine. Insomma, prima che questo giornale venisse ancora concepito come lo vedete ora: è infatti mentre progettavamo questi fogli d’informazione, d’intrat-tenimento, di cultura, che è venuto a mancare Monicelli. Un uomo am-mirato e rispettato, dotato di una lu-cidità e di un’intelligenza senza pari, che conservava intatte nonostante la veneranda età di 95 anni. Non pos-siamo quindi fare a meno di saluta-re il grande regista e sceneggiatore, spentosi il 29 Novembre 2010, il cui ultimo atto - inconsapevole- è stato quello di ispirare il titolo del giornale che state leggendo.

“Eeeh, professore. Non le dico, An-tani, come trazione per due anche se fosse supercazzola bitumata, ha lo scappellamento a destra.” -Conte Lello Mascetti -

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Paul muore il 26 ottobre 2010 per cause naturali durante il sonno, ha 2 anni e mezzo: un’ età non molto avanzata per i polpi, se-condo il suo custode. Anzi no, Paul muore il 9 luglio 2010, proprio due giorni prima di quella finale mon-diale Olanda-Spagna di cui, secondo la versione ufficiale, proprio lui az-zeccherà il risultato mantenendo al 100% i risultati di Coppa del Mondo correttamente predetti.Il caso diviene ben presto di caratura internazionale; convinta sostenitrice della seconda e più oscura ipotesi è la regista cinese Jiang Xiao che si mette subito al lavoro per la realizza-zione della pellicola “Who killed Paul the octopus?” (traduzione inglese dall’originale titolo cinese mandari-no n.d.r.). Chi avrebbe ucciso Paul? Dal cuoco della nazionale argentina che, una volta predetta dal mollusco la sconfitta della squadra sudame-

ricana nel quarto di finale contro la Germania, propose sul suo blog un menù completo a base di polpo; al presidente iraniano Mahmoud Ah-madinejad che lo etichettò “simbolo dell’immoralità occidentale”, ci sono in mezzo milioni di tifosi che se lo sarebbero cucinato per vendicare la propria Nazione. Il caso si fa ancora più torbido e sfaccettato quando si vanno a cercare i dati anagrafici del polpo: si scopre con ogni sorpresa che anche qui ci sono due versioni, entrambe certificate da atti ufficiali: Paul è nato da un uovo incubato al Sea Life Centre di Weymouth in In-ghilterra. Anzi no, Paul è nato libero e catturato nelle vicinanze dell’Isola d’Elba. Le informazioni si rivelano in contraddizione e inattendibili, ma tutto lascia pensare ad uno scambio di polpi. L’unica convinzione che ci rimane è che chiunque sia stato il polpo Paul

avrebbe di sicuro storto il naso se si fosse trovato nel suo acquario a do-ver decidere delle sorti del Tricolore agli ultimi mondiali.

Era divenuto il simbolo di un’intera generazione, ma crescono i sospetti sulla sua reale identità.

Paul is dead: tutte le veritàCosa nasconderebbe la morte di un personaggio di fama mondiale all’apice del successo?

di Matteo Rocko Mantelli

IL VERO PAUL

ECCO QUI INVECE L’IMPOSTORE

“Quel Tizio ha firmato un patto se-greto con quel Tizio, mentre quell’al-tro Tizio ha utilizzato soldi datigli da questo Tizio per fare affari con quell’altro Tizio.” -Un cablogramma-

All’improvviso, esplode una bomba. Una bomba che si chiama WikiLeaks.

Reduce dei postumi dovuti alle cla-morose rivelazioni dei Warlogs di Afghanistan e Iraq, il Mondo Libero non può sostenere un’ulteriore de-

tonazione mediatica provocata da questo “Gruppo Sovversivo di Ha-ckers”. Pare che Julian Assange, lea-der di WikiLeaks, e il suo team abbia-no recuperato, catalogato, e messo in rete migliaia di cablogrammi riser-vati. Indignata la reazione del Presi-dente degli Stati Uniti e di molti altri Leader del Mondo, che gridano allo scandalo e prevedono la morte de-finitiva della Diplomazia. Quest’ulti-ma, intervistata per caso da un gior-nalista del Times, però tranquillizza

tutti: “Non posso lamentarmi, anzi mi sento in forma” ha dichiarato, mentre comprava preservativi rotti in una farmacia di Göteborg.

E in questi cablo messaggi, c’è un in-ferno di informazioni segretissime. Migliaia di documenti che provano, nero su bianco, dal 1960 ad oggi, la non trasparenza dei rapporti diplo-matici tra gli Stati.

Notizie al limite del credibile, citan-

Wikifreaksdi Riccardo Donini

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do M.Capatonda “Esistono storie che non esistono”. Come il fatto che Berlusconi vada a troie, o che stipuli accordi energetici con i Russi o Libici per un proprio tornaconto persona-le. Nessuno se lo sarebbe mai im-maginato. Dispacci provenienti da Agenti CIA indirizzati direttamente a Frattini confermano, a segui-to di anni di studi meticolosi, che Rosi Bindi non è di sesso maschile. O ancora, rivela-zioni sconcertanti relative ad una scandalosa realtà statu-nitense: pare che il loro eser-cito nasconda Armi di Distru-zione Di Massa, a Nord, Sud, Ovest, arrivando perfino ad Est.

Chiusa questa parentesi de-menziale, preciso che non ho nulla contro Assange. Non penso che sia un eroe come viene descritto dai propri sostenitori, né un criminale per chi invece non approva la sua campagna di “Rivelazioni”. Trovo tut-tavia poco chiaro quale sia il suo sco-po, anche perché, vista la situazione

attuale, pare possieda informazioni ben più scottanti delle banalità rila-sciate fino ad ora. Una cosa è certa però: è affascinante e decisamente romantica, l’idea di un uomo che solo, semplicemente attraverso un computer e con dei testi scritti, riesca a mettere in scacco Poteri Governati-

vi di queste dimensioni. Sicuramente è un buono spunto di riflessione im-maginare Leader Mondiali, Lobbysti e adepti di Logge Massoniche tre-manti e sudati, inermi di fronte ad una forza unica e inarrestabile come la presa di coscienza della popolazio-ne, che se scatenata contribuirebbe

allo sconvolgimento dell’ordine at-tualmente costituito.

Tuttavia, non è la prima volta che si verifica una situazione in cui gli alta-rini sembrino sul punto di cadere, per poi invece scoprirsi incollati al suolo. Probabilmente perché tutto questo

forse non è esattamente una minaccia per l’ordine attua-le; probabilmente se quei messaggi e quelle informa-zioni fossero realmente così segrete e riservate, noi tutti non ne saremmo mai venuti a conoscenza. Magari niente di tutto questo: forse è solo un “Grande Scherzo”, uno di quei mostri mediatici che inspiegabilmente vengono evocati da televisioni e gior-nali e che terminato il perio-

do fertile, muoiono e finiscono nel dimenticatoio.

Ognuno sceglie in cosa credere: que-sto è il problema più grande e al con-tempo, la soluzione migliore.

ZOOMda Wikipedia

Il Polpo Paul (in tedesco Paul der Krake) era un polpo comune che viveva in un acquario pubblico presso il centro di vita marina di Oberhausen, in Germania, e che ha conosciuto una certa notorietà internazionale in occasione dei Mondiali di calcio del 2010 quando fu utilizzato per tentare di “predire” i risultati delle partite di calcio in cui era coinvolta la Nazionale di calcio tedesca e ad esse si aggiunse anche quella della finale non disputata dalla Germania; le “previsioni” in quell’occasione si rivelarono tutte corret-te. Paul è morto nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 2010 nello stesso Sea Life Center di Oberhausen, in Germania.

WikiLeaks (dall’inglese “leak”, “perdita”, “fuga [di notizie]”) è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che riceve in modo anonimo, grazie a un contenitore (drop box) protetto da un potente sistema di cifratura, documenti coperti da segreto (segreto di stato, segreto militare, segreto industriale, segreto bancario) e poi li carica sul proprio sito web. WikiLeaks riceve, in genere, documenti di carattere governativo o aziendale da fonti coperte dall’anonimato.Il sito è curato da giornalisti, attivisti, scienziati. Comunque i cittadini di ogni parte del mondo possono inviare (sono anzi invitati a farlo) materiale “che porti alla luce comportamenti non etici di governi e aziende” tenuti nascosti.Gran parte dello staff del sito, come gli stessi fondatori del progetto, rimane anonima.L’organizzazione dichiara di verificare l’autenticità del materiale prima di pubblicarlo e di preservare l’anonimato degli informatori e di tutti coloro che sono implicati nella “fuga di notizie”.Nonostante il prefisso, il progetto non è un wiki e non ha alcun legame con Wikimedia Foundation, l’organizzazione senza fini di lucro che possiede i server di Wikipedia. WikiLeaks, per scelta, non ha alcuna sede ufficiale. Infatti vuole essere «una versione irrintracciabile di Wikipedia che consenta la pubblicazione e l’analisi di massa di documentazione riservata». Lo scopo ultimo è quello della trasparenza da parte dei governi quale garanzia di giustizia, di etica e di una più forte democrazia.

Immagine gentilmente rubata al Pittsburgh Tribune

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Il 27 Novembre si sono svolti a Porti-mao, sulla costa portoghese, i cam-pionati mondiali di pattinaggio a rotelle sincronizzato. Fra le fila del Team Blue Ice, Accademia di Reggio Emilia, c’era Sara Previdi.

Sara, 26 anni, area mana-ger alla Marcegaglia, è ori-ginaria di Soave di Porto Mantovano, ma da due anni è domiciliata a Gazoldo. La incontriamo per farci rac-contare la sua storia.

Sara, quando hai iniziato a pattinare?

Ho cominciato a sette anni, quando una compagna di classe mi ha parlato del cor-so appena iniziato a Soave. Iniziare a sette anni è tardi, solitamente si comincia a tre o quattro, ma con l’aiuto dell’insegnante sono riuscita a recuperare in fretta e l’an-no dopo sono entrata a far parte dello Skating Club di Mantova.

E da lì le prime gare...

Ho iniziato a disputare le gare degli esercizi obbligatori di pattinaggio a rotelle singolo partecipando ai cam-pionati provinciali ed ho conquistato una medaglia di bronzo ai regionali FIHP ed il settimo posto agli italiani UISP.

La soddisfazione maggiore è stata la convocazione UISP ad un trofeo internazionale a 3 squadre, nel qua-le ho ottenuto il quinto posto. Ho

smesso di pattinare a dodici anni per problemi alla schiena.

Ti sei dedicata ad altri sport?

Sì, ho iniziato con la corsa ad osta-coli appena smesso di pattinare. Nel

“97 sono stata convocata agli italiani Libertas, ma nell’ultimo allenamento prima della gara mi sono fratturata la caviglia. L’anno dopo ho vinto gli 80 mt ad ostacoli, ma la caviglia con-tinuava a darmi problemi in fase di stacco e così nei successivi 5 anni mi sono dedicata al lancio del martello, stabilendo anche il record provincia-le femminile. Ho smesso a 19 anni perchè lavorando non riuscivo più a frequentare gli allenamenti.

Ma hai ripreso a pattinare...

Sì, a distanza di qualche mese mi ha contattata la mia ex allenatrice che voleva riunire un gruppo di pattina-trici per costituire un gruppo show. Questi gruppi eseguono coreografie

interamente ideate dai partecipanti. Ho iniziato a pattinare contempo-raneamente nel grande gruppo, composto da 24 pattinatrici, e nel piccolo gruppo, costituito da 12 ragazze. Dovevo imparare 2 coreografie ad ogni cam-pionato che disputavamo, ma l’entusiasmo per aver ricominciato a pattinare non mi faceva avvertire la fatica.

Come sei stata seleziona-ta per l’apertura di Torino 2006?

Al termine di una gara di gruppi show erano presenti coreografi del-le Olimpiadi Invernali di Torino 2006, che distri-buivano volantini per le

selezioni di pattinatori volontari per la cerimonia di apertura. Ho parte-cipato ai provini di Salsomaggiore assieme ad altri sette mantovani e siamo stati presi tutti! Da settembre 2005 a febbraio 2006 ho trascorso tutti i weekend a Torino, nell’ultimo mese ci allenavamo anche il mer-coledì sera, ma ne è valsa la pena! Facevamo parte delle “scintille della passione”, il gruppo che si è esibito assieme a Jury Chechi.

Sara, da Gazoldo a Portimão sulle ruote della passione.di Marika Gavarini.

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Come sei entrata a far parte del Team Blue Ice?

Durante uno stage una mia compa-gna ha ritrovato una sua vecchia co-noscenza del pattinaggio, che le ha raccontato di allenare un gruppo di pattinaggio sincronizzato e ci ha chie-sto di provare ad allenarci con loro perchè aveva bisogno di riserve. Così assieme a tre compagne di squadra abbiamo iniziato a frequentare gli allenamenti a Reggio Emilia. Il patti-naggio sincronizzato è molto diverso dai gruppi show, come nel nuoto la parte più difficile è la sincronia del-le 20 pattinatrici, ma bisogna anche curare molto la coreografia, che vie-ne eseguita a velocità elevate e deve comprendere esercizi obbligatori. L’inizio è stato davvero impegnativo, a maggio 2009 noi mantovane ab-biamo disputato i campionati euro-pei a Reggio Emilia come riserve, ma a novembre abbiamo partecipato

come titolari ai mondiali di Freiburg, ottenendo il quarto posto. Nel 2010 ci siamo qualificate al terzo posto ai campionati italiani di Conegliano Ve-neto ed al quarto posto agli europei di Nantes con la coreografia “Dange-rous Fire”, ispirata al fuoco, con mu-sica appositamente composta per lo show da un noto maestro. Durante l’estate abbiamo preparato “Cele-bration”, la nuova coreografia su un medley di canzoni di Madonna, con la quale ci siamo classificate al set-timo posto ai mondiali di Portimao.

Siamo soddisfatte del risultato ot-tenuto, il livello delle squadre par-tecipanti era davvero molto alto, il nostro show è nuovo e abbiamo margini di miglioramento.

Come fai a conciliare gli allenamenti con il lavoro e la casa?

Certamente è dura, quando ho alle-

namento esco di casa alle 8,30 per andare al lavoro, appena finito par-to subito per andare a Reggio Emilia e rientro alle 23. A turno una di noi mantovane guida ed un’altra prepa-ra i panini per tutte, così nel viaggio di ritorno ceniamo e appena arrivia-mo a casa siamo pronte per anda-re a letto! Solitamente ci alleniamo due volte a settimana, ma nei due mesi prima della gara gli allenamenti vengono intensificati fino a sei volte a settimana. In quei periodi è vera-mente dura, ma i sacrifici di quest’ul-timo anno si sono annullati sulla pi-sta di Portimao.

La tua prossima sfida?

I campionati italiani di Reggio Emilia in primavera. Le prime tre squadre classificate ottengono direttamente la qualificazione ai mondiali di no-vembre a Brasilia.

“Hai voluto la bicicletta?” “Ora Pedala!” bene. Il guaio non è che mi sono limitato a volere questa bicicletta, l’ho pure

costruita e ci sono saltato sopra. La cosa veramente irritante è che mi sto accorgendo adesso che il sellino è ancora

nella scatola. Bisogna fare attenzione con i prodotti fai-da-te. Uscendo dalla metafora, sto parlando di questa rubrica.

Ho desiderato una rubrica per parlare a ruota libera, in modo originale. E mi accorgo, a pochi giorni dalla scadenza

che non ho argomenti profondi da affrontare in modo divertente. Né domande di lettori a cui rispondere a tono (sto

parlando con

voi: Antani racconta, ma risponde anche!). e ora, volente o nolente, sellino o non sellino, occorre pedalare, la rubrica

non si scrive da sola. A meno che non decida di realizzare il famoso esperimento con le scimmie e le macchine da

scrivere (prendi una scimmia, dalle una macchina da scrivere, riempila di carta e allora sì vedrai ti amer… scusate, sto

divagando.). Vista e considerata la penuria di contenuti, tanto vale parlare di questa rubrica in sé. Nasce per essere

una rubrica di dialogo con il nostro pubblico, come può esserlo un programma radiofonico, o come una rubrica simile

a “l’esperto risponde”. Non sarà però solo l’unico obiettivo di questa rubrica. D’altronde, non si ha sempre qualcosa da

dire (parlare, si parla sempre. Dire qualcosa è molto più raro). In quel caso, o qualora si presenti l’occasione per uno

spunto di dialogo semiserio, “Antani Racconta” si comporterà di conseguenza e preferirà

guidare autonomamente il discorso. Già in questo numero sono sorti numerosi spunti, che tuttavia abbiamo preferito

destinare alle “gocce del GUC”, in quanto appartenenti ad un’altra nostra rubrica. Per questo numero, Antani si raccon-

ta. Dal prossimo, racconterà (e risponderà).

ANTANI RACCONTAdi Marco Viviani

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L’emigrante Cathy durante il suo viaggio sogna di incontrare i suoi miti, le stelle del teatro e del cinema Marlon

Brando, Charlot, Buster Keaton e Martha Graham. Canta, mima, balla ma nello stesso tempo racconta la storia di

un viaggio completamente diverso che si svolge negli anni ‘50 e comincia di notte da una spiaggia deserta in Sicilia.

Anche quest’anno il GUC vuole augurarvi un buon 2011 e ancora una volta abbiamo deciso di farlo con uno spetta-

colo teatrale in grado di scaldare gli animi, non solo grazie ai riflettori, ma soprattutto attraverso la parola. L’associa-

zione culturale milanese “Teatro dell’Albero”, di cui fa parte l’unica attrice in scena Rosalba Genovese, ha collaborato

per la regia di questo lavoro con Else Marie Laukvik, attrice e regista norvegese membro dell’Odin Teatret dalla sua

fondazione nel 1964. Anche quest’anno quindi uno spettacolo di alto livello approda al circolo “La Fenice”, un’esibi-

zione che speriamo possa non solo farvi trascorrere una piacevole serata, ma anche, perché no, aprirvi le porte di

un mondo in gran parte sconosciuto nelle nostre zone.

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CREDITITutti i diritti riservati a GUC - Associazione giovanileSede: Sala Gianantonio Ferrari, Via Marconi 126 – 46040 Gazoldo deGli ippoliti (Mn)codice FiScale: 93058680203 - Web: WWW.youGuc.coM - inFo: [email protected]

Direttore: Marco VivianiIn questo numero hanno scritto e collaborato: Cesare Battistelli, Sandra Buzzago, Simone Cani, Stefano Cerutti, Riccardo Donini, Franca Fer-retti, Marika Gavarini, Filippo Gorni, Giulia Maestrini, Sindaco Nicola Leoni, Matteo Mantelli, Andrea Pasini, Francesca Scuttari, Paola Tellaroli, Marco Viviani.

Impaginazione e grafica: Foto, vignette e Immagini: Per stampa su carta e collaborazione:

Quest’opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.5 Italy. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA.

e-xperience

gazoldo under constructionGUC

l’interViSta

- come da titolo: le nostre interviste. Domande, citazioni e curiosità.

euGualeeMMecidue

- La Relatività delle opinioni. Sindaco e opposizioni si raccontano: opinioni, pareri, riflessioni.

SupertraMp!- Com’è il mondo fuori? Si riesce a vedere Gazoldo da lontano? Come appare? Commenti e parole di gazoldesi all’estero

Storie di Sport

- Racconti di sport. Sportivi Gazoldesi si raccontano, o raccontano la loro attività preferita.

dal Mondo

- Ciò che accade al di fuori. Un breve commento sugli argomenti di cronaca nazionale o internazionale, con il nostro tagliente punto di vista.

GUC HOW TOGuida alla lettura ed istruzioni per l’uso.

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REDAZIONE-DIREZIONE: VIA MARCONI 126 GAZOLDO D/IPP. - MAIL: [email protected] Dicembre 2010 Anno 1, n°1

Vi. racconta la sua ReLeVi:«Lavoro, tenacia e fortuna»

Esclusiva: tutta la verità sul Polpo Paul!

Antani L ’ i n f o r m a r i o d e l G U C

Anche Gazoldo sulla scia dei mondiali di Portimão