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Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002 anno XVIII n.184 maggio 2011 www.poliziapenitenziaria.it Annuale 2011: no agenti, no party

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Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. DL n.353/03 conv. in Legge n.46/04 - art 1 comma 1 - Roma aut. n. 30051250-002

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Annuale 2011: no agenti, no party

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Organo Uf f iciale Nazionale del S.A.P.Pe.Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

ANNO XVIII • Numero 184Maggio 2011

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Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria - S G & S

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Stampa: Romana Editrice s.r.l.Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)

Finito di stampare: Maggio 2011

Questo Periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

in copertina:

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Ministro della Giustizia Angelino Alfano all’Annuale del Corpo 2011 (foto: www.quirinale.it)

N. 184 • maggio 2011 • pag. 3Polizia Penitenziaria • SG&S

L’EDITORIALEIl Governo battuto in Parlamento fa più notizia della grave situazione penitenziariadi Donato Capece

IL PULPITONo Agenti, No Party.

di Giovanni Battista De Blasis

IL COMMENTOCarcere e Polizia Penitenziaria:opinioni, fatti e pregiudizidi Roberto Martinelli

IN PRIMO PIANO 1974, la rivolta nel carcere di Alessandria

LO SPORTMatteo Betti, un nuovo talento della scherma

per il “GS Fiamme Azzurre”di Lady Oscar

L’OSSERVATORIO POLITICOLa giustizia italiana raccontata ad un alienodi Giovanni Battista Durante

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l 18 maggio scorso, alla Camera dei Deputati, sono state ap-provate diversi mozioni di (quasi) tutti i gruppi politici sullecriticità penitenziarie.

Eppure a fare notizia è stato non già il contenuto delle mozionima il fatto che il Governo è stato battuto in Aula. Le significative criticità penitenziarie meritano attenzione ed inter-venti concreti. In Parlamento sono state approvate importanti dichiarazioni diimpegno per mettere mano alla loro risoluzione: da ora in avantisarà importante vigilare affinchè questi impegni si traducono ininiziative reali, e cioè leggi e risorse, umane e finanziarie. Da parte nostra esprimiamo l’apprezzamento per l’impegno delParlamento a predisporre sul piano normativo un complesso diriforme - dalla depenalizzazione dei reati minori, a una più ampiae più certa accessibilità delle misure alternative alla detenzione,dalla definizione di parametri più accessibili per la conversionedelle pene detentive in pene pecuniarie, a una più severa limita-zione del ricorso alla custodia cautelare in carcere - che avreb-bero, nel complesso, un effetto strutturalmente deflattivo,concorrendo a migliorare le condizioni di detenzione e a rendereservibili quegli strumenti di trattamento che perseguono le finalitàrieducative costituzionalmente connesse alla pena. Importante è anche la previsione di assicurare risorse idonee aconseguire un adeguamento dell’attuale pianta organica del Per-sonale di Polizia e dell’Amministrazione Penitenziaria e, in parti-colare per i Baschi Azzurri, concrete iniziative volte allaformazione ed all’aggiornamento professionale. L’auspicio è dunque quello di arrivare a definire, come sosteniamoda tempo, circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravitàdei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di de-stinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di unpercorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemisanitari e psichiatrici), specifici circuiti di custodia attenuata anchepotenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione perla punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Il sovraffollamento delle strutture penitenziarie italiane è certa-mente un problema storico ed è un problema comune a moltiPaesi europei, che hanno risolto il problema in maniera diversa.Caratteristiche uniche del nostro Paese sono il flusso e i periodidi permanenza in carcere. Ogni giorno entrano ed escono centinaia di persone dal carcere,un movimento che comporta uno stress enorme del sistema so-prattutto in una fase, quella dell’accoglienza, che è la più delicatae la più difficile da gestire: questo quadro complesso è reso ancorapiù difficile dalle caratteristiche della popolazione ristretta, in granparte costituita da stranieri, tossicodipendenti e da persone conproblemi mentali.

L’osservazione della tipologia dei detenuti che fanno ingresso incarcere e dei reati di cui sono accusati consente di affermarecome il sistema della repressione penale colpisca prevalentementela criminalità organizzata e le fasce deboli della popolazione: ineffetti, il carcere è lo strumento che si usa per affrontare problemiche la società non è in grado di risolvere altrimenti. Fino a qualche decennio fa si era riusciti a portare al centro deiproblemi della sicurezza e della giustizia il mondo delle carceri,avviando un profondo processo di riforma, coniugando sicurezzacon ragionevolezza, con trattamento, con umanità. E’ giunta l’ora di ripensare la repressione penale mettendo da unlato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporreuna reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere: edall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le con-dotte per le quali non è necessario il carcere: una opzione di que-sto tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle storturedeterminate dal doppio binario per i recidivi, dalle norme in ma-teria di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per af-frontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dalcarcere. Si potrebbe quindi ipotizzare un nuovo sistema penitenziario ar-ticolato su tre livelli. • Il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non su-periore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere,quale è l’istituto della messa alla prova. In proposito, non può sottacersi che la recente Legge 199\2010non ha dato i risultati sperati, dal momento che ha interessatocirca 1.000 detenuti. • ll secondo livello è quello che riguarda le pene detentive supe-riori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in car-cere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguenteall’operatività del primo livello e per una notevole riduzione del-l’utilizzo della custodia cautelare. • Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cuiil contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario. Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato,pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per lequali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ri-disegnando in un certo senso l’intero sistema. E la Polizia penitenziaria che riteniamo debba connotarsi semprepiù come Polizia dell’esecuzione penale, oltrechè di prevenzionee di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordi-namento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllodei soggetti ammessi alle misure alternative. Dopo l’approvazione delle mozioni in Parlamento il 18 maggioscorso, è auspicabile che in tempi brevi si vedano conseguentifatti concreti.

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Il Governo battuto in Parlamento fa più notizia della grave situazione penitenziaria

Donato CapeceDirettore ResponsabileSegretario Generale del Sappe [email protected]

N. 184 • maggio 2011 • pag. 4Polizia Penitenziaria • SG&S

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anche quest’anno abbiamo ce-lebrato l’Annuale della PoliziaPenitenziaria.

Sotto l’Arco di Costantino, monumentoalla glorificazione dei grandi condottieriromani, si è consumata davanti alle te-lecamere della RAI la cerimonia del 194°compleanno del Corpo.TANTI AUGURI A TUTTI I COLLEGHI E VIVALA POLIZIA PENITENZIARIA ! ...”Cominciava così l’articolo scritto sul blogda qualcuno che si firma con lo pseudo-nimo L’Agente Furioso, appena spente leluci della ribalta sulla Festa annuale delCorpo.Ma l’inizio non inganni, l’articolo del col-lega furioso non era assolutamente positivonei confronti della cerimonia e di chi l’haorganizzata.Anzi, direi che L’Agente Furioso era dav-vero furioso, oserei definirlo incazzato.Nello specifico, Furioso lamentava di nonsentirsi rappresentato nello schieramentodei reparti, laddove “Schierate sotto ilpalco delle autorità, a fianco dell’arcotrionfale, tre compagnie in uniforme:due di vice commissari (in sciarpa esciabola) ed una del GOM (in uniformetattica).”Secondo lui, infatti, c’era da chiedersi“...dov’era rappresentato il collega che la-vora in sezione, quello che traduce il de-tenuto o che lo piantona all’ospedale?Dov’era la guardiacarcere ?” (guardiacar-cere è il termine con il quale ci si definiscetra colleghi, con particolare riferimento acoloro che fanno servizio all’interno degliistituti N.d.A.).Francamente, trovo difficile, se non impos-sibile, non condividere quello che ha affer-mato il collega Agente Furioso.In effetti, mi sembra molto infelice la sceltadi non schierare almeno un reparto diagenti, considerato che, nelle scuole di for-mazione sono presenti circa ottocento al-lievi agenti.Nulla quaestio sulla presenza di un intero

balena quella famosa domanda che sorgespontanea: «Ma che c’azzeccano certe per-sone con la Festa del Corpo?».Sfido chiunque, e dico chiunque, a trovareun solo uomo senza divisa negli staff orga-nizzativi delle Feste annuali dei Carabinieri,della Guardia di Finanza, della Polizia diStato o della Guardia Forestale.Ma mi voglio rovinare... sfido chiunque atrovare un solo uomo senza divisa negli stafforganizzativi delle Feste annuali della PoliziaMunicipale, dei Guardiapesca o di qualsiasiIstituto di Vigilanza Privata.Invece da noi (dal paradosso all’assurdo...)prendiamo un generale (aggregazione del-l’ultima ora) e gli facciamo fare il contabile,il ragioniere. Ma il Dipartimento dell’Ammi-nistrazione Penitenziaria, si sa, è un mondoa parte. Un mondo dove chi riveste incarichidi vertice ritiene di aver ottenuto un dirittoreale di proprietà, quello cioè che: assicuraun potere immediato ed assoluto sullacosa (e la cosa, purtroppo, siamo noi).Eppure, vi garantisco che non c’è alcun in-carico nell’amministrazione penitenziariaeseguito da qualsiasi persona (educatore,ragioniere, tecnico, dirigente, dirigente ge-nerale, vice capo dipartimento, ecc., ecc...)che non possa essere assunto in egual mi-sura da un Poliziotto Penitenziario, che lofarà certamente meglio e con risultati mi-gliori!E’ forse questo che fa paura ?Insomma, come ebbi già a dire qualcheanno addietro, l’Annuale del Corpo 2011,così come è stato organizzato, è stata unaFesta senza il festeggiato.In altre parole, la stragrande maggioranzadei poliziotti penitenziari ha festeggiato “perprocura”, ha delegato, cioè, educatori, di-rigenti e tutti gli altri ruoli dell’amministra-zione penitenziaria, a fare baldoria per lui...No Agenti. No Party.Ah... a proposito. L’articolo pubblicato daL’Agente Furioso sul blog era intitolato:“Festa del Corpo 2011: La città brucia, lanobiltà balla.”

reparto in rappresentanza del GOM, in con-siderazione del fatto che veniva consegnatala Bandiera dal Presidente della Repub-blica; d’accordo su piccole rappresentanzedelle specialità e passi pure una eventualerappresentanza dei funzionari, ma, franca-mente, la scelta dei soli vice commissari èstata davvero infelice.

Ha, senz’altro, ragione Furioso a non sen-tirsi rappresentato da una cerimonia così.Per altro verso, sembrano altrettanto con-divisibili le considerazioni del collega sullemotivazioni che avrebbero indotto certescelte organizzative.“Sotto la solita regia del Vice Capo Vica-rio (dirigente generale penitenziario)l’organizzazione, la pianificazione, la ge-stione e l’amministrazione della Festa delCorpo della Polizia Penitenziaria è stataaffidata ad un dirigente penitenziario ea un dirigente educatore. Questi sono co-loro che hanno deciso chi, come, dove,quando e perché, doveva partecipare allaFesta della Polizia Penitenziaria.”Anche qui, mi sembrano abbastanza perti-nenti le osservazioni del collega incazzato;come non rilevare, infatti, il paradosso chenell’organizzazione, nella pianificazione,nella gestione e nell’amministrazione dellaFesta del Corpo non partecipi alcun appar-tenente alla Polizia Penitenziaria, nessunUomo in Divisa?Anche nella mente ingenua di un ragazzino

Annuale 2011: no agenti, no party.

Giovanni Battista De BlasisDirettore Editoriale

Segretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected]

N. 184 • maggio 2011 • pag. 5Polizia Penitenziaria • SG&S

Al centrol’avatar dell’Agente Furioso

“E

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dati recentemente elaborati dalla Se-zione Statistica dell’Ufficio per la Ge-stione e lo Sviluppo del Sistema

Informativo Automatizzato dell’Amministra-zione Penitenziaria, relativi agli eventi criticiaccaduti nelle carceri italiane nel corso del-l’anno 2010, devono fare seriamente riflet-tere sulle evidente problematiche delsistema, rispetto alle quali è assolutamentenecessaria una riforma organica e struttu-rale. Sono importanti, questi dati, anche

per far conoscere – specie all’opinionepubblica, che poco o nulla sa del carcere -il duro, difficile e delicato lavoro che quo-tidianamente le donne e gli uomini dellaPolizia Penitenziaria svolgono con profes-sionalità, zelo, abnegazione e soprattuttoumanità. E’ infatti importante che la Società ricono-sca e sostenga l’attività risocializzante dellaPolizia Penitenziaria e ne comprenda i sa-crifici sostenuti per svolgere tale attività, ga-rantendo al contempo la sicurezzaall’interno e all’esterno degli Istituti. Ma è un oggettivo dato di fatto che l’opi-nione pubblica si interessa di carcerequando accadono episodi gravi che pure inesso avvengono, come i suicidi, le risse, leevasioni. E, se non fosse per i comunicati

sventando ogni anno centinaia e centinaiadi suicidi di detenuti (oltre mille all’anno!).Leggiamoli allora, questi dati sugli eventicritici in carcere nel 2010 che valgono piùdi mille parole. Nel 2010, nelle sovraffollate carceri italiane,i detenuti hanno posto in essere 5.703 attidi autolesionismo (263 dei quali da donneristrette) e 1.137 tentativi di suicidio. Le morti per cause naturali in carcere sonostate 108 e 55 i suicidi. 3.039 sono stati i ferimenti. La manifestazioni di protesta individualihanno visto 6.626 detenuti fare nel corsodell’anno lo sciopero della fame, 1.553 ri-fiutare il vitto, 1.289 detenuti coinvolti inproteste violente con danneggiamento o in-cendio di beni dell’Amministrazione peni-tenziaria. 15 sono state le evasioni da penitenziari, 41a seguito di mancato rientro in carceredopo aver fruito di permessi di necessità edi permessi premio, 3 i detenuti che nonsono rientrati da lavoro all’esterno e 12dalla semilibertà: più alto il numero degliinternati evasi, 68. Capitolo a parte lo hanno le manifestazionidi protesta collettive sulla situazione di so-vraffollamento delle carceri e sulle critichecondizioni intramurarie che si sono tenutenel 2010: 27 le proteste a seguito delle quali550 soggetti hanno fatto lo sciopero dellafame, 125 quelle con rifiuto del vitto cuihanno partecipato 14.632 ristretti, ben 180la percussione rumorosa sui cancelli e leinferriate delle celle (la cosiddetta batti-tura) con 36.641 detenuti coinvolti. Questo dovrebbe già, di per sé, far capire ecomprendere le difficoltà operative con lequali quotidianamente opera il Personale diPolizia Penitenziaria. Se il carcere è, in qualche misura, la fron-

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N. 184 • maggio 2011 • pag. 6Polizia Penitenziaria • SG&S

Nella foto una sezione di

un carcere

Nell’altra pagina

proteste eagenti del

nucleo traduzioni

Carcere e Polizia Penitenziaria: opinioni, fatti e pregiudizi

Roberto Martinelli Capo RedattoreSegretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected]

stampa che il SAPPE ed altri Sindacati delCorpo regolarmente fanno per sottolineareil ruolo delle donne e degli uomini della Po-lizia Penitenziaria nella critica e difficile si-tuazione carceraria, i giornali di noi sioccupano prevalentemente poco e talvoltacon sconcertante superficialità. Lo abbiamo già detto da queste colonne maè opportuno ribadirlo: non possiamo accet-tare una falsa rappresentazione delle car-ceri italiane come luogo fuori dalle regoledemocratiche e dal rispetto dei diritti umaniin cui quotidianamente e sistematicamenteavverrebbero violenze in danno dei detenutied ogni decesso è quindi sospetto, come in-sinuano spesso talune corrispondenze gior-nalistiche. Non accettiamo che al duro, difficile e deli-cato lavoro che quotidianamente le donnee gli uomini della Polizia penitenziaria svol-gono con professionalità, zelo, abnegazionee soprattutto umanità vengano associati iterribili vocaboli di violenza, indifferenza,cinismo e omertà. Nessuno può dare giudizi superficiali o at-tribuire frettolosamente responsabilitàsenza alcuna prova: è la Magistratura chedeve accertare – e lo fa come sempre conserenità, equilibrio e pieno rispetto dei va-lori costituzionali - gli elementi di cui è inpossesso quando si verificano in carcerequesti tragici eventi critici. Ma è invece importante per il Paese cono-scere il lavoro svolto dai poliziotti peniten-ziari, un Corpo di Polizia dello Statocostituito da persone che nonostante l’in-sostenibile, pericoloso e stressante sovraf-follamento credono nel proprio lavoro,hanno valori radicati e un forte sensod’identità e d’orgoglio, e ogni giorno in car-cere fanno tutto quanto è nelle loro umanepossibilità perché nessuno perda la vita,

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on è semplice recensire il libro scrittoda un amico. Il rischio è quello di esseretroppo: troppo esigente o troppo indul-

gente, per non correre il rischio di essere oapparire condizionati nel giudizio complessivodal sentimento dell’amicizia che ti lega all’Au-tore. Ma questo libro, stampato e venduto nelcircuito di un colosso editoriale quale sono leedizioni Feltrinelli – e già questa è, dir per sé,ragione di orgoglio e soddisfazione, non solosua -, è davvero una lettura unica nel suo ge-nere e svela un tratto di Gianni de Blasis ai piùsconosciuto. Caratterizzato da una poliedricavivacità intellettuale, inquesto libro Gianni –che ha a casa una rac-colta di film in vhs e dvdcapace di far impallidireil più fornito negozio difilm a noleggio... - mettein luce la sua vena cinefilae raccoglie settecento ci-tazioni da ben trecento-quaranta film dei grandiclassici del cinema che, asuo giudizio, hanno se-gnato la storia, la vita, lamutazione e l’evoluzione sociale del nostroPaese. Nel raccontare della sua adolescenzialepassione per il cinema, fa venire in menteun’altra passione per il grande schermo, quelladi Salvatore in Nuovo Cinema Paradiso di Giu-seppe Tornatore, magistralmente interpretatoda un bambino dotato di una straordinaria ca-rica espressiva, Salvatore Cascio. E la costanteannotazione delle più efficaci citazioni e battutedai moltissimi film visti dall’Autore e, in parteridotta, da tanti di noi hanno dato vita a questolibro, che si fa leggere tutto d’un fiato perchécoinvolgente e foriero di ricordi, immagini, si-tuazioni, storie, particolari momenti della no-stra stessa vita individuale. Spesso sono proprio le citazioni quelle che piùsi ricordano in un film: quante volte è capitatodi citarne proprio qualcuna, senza magarirammentare la trama della pellicola da cui essaè stata estrapolata? Gianni de Blasis, con questo libro al quale nonha fatto mancare il suo importante contributoil grafico amico di una vita, Mario Caputi, ciporta per mano in un ideale e virtuale viaggionel mondo del cinema italiano. E, dopo averletto le 200 pagine del volume, risulterà anchea Voi un simpatico e competente compagno diviaggio.

GIOVANNI B. DE BL ASIS

CONTINUIAMO COSI’FACCIAMOCI DEL MALE...Le più belle battute del cinema italiano

Libreria FELTRINELLI pagg. 200 - euro 16,00

a cura diErremme

tiera ultima più esposta del sistema dellagiustizia, all’interno del sistema carcerariole donne e gli uomini del Corpo, i BaschiAzzurri, ne sono la barriera più estrema.Siamo quelli che stanno in prima linea,quelli che stanno nelle sezioni detentive,quelli che stanno a contatto quotidiano coni detenuti ventiquattro ore su ventiquattro,trecentosessantacinque giorni all’anno,quelli a cui il nostro sistema giuridico affidaun compito indubbiamente più complessoe specifico rispetto a quelli delle altre Forzedi Polizia, senza naturalmente nulla togliereal loro importante lavoro. La battaglia che il SAPPE combatte per la ri-vendicazione del ruolo, del significato, delprestigio, dell’importanza del Corpo di Po-lizia Penitenziaria, di una sua professiona-lità crescente, di una sua dignità semprepiù alta, deve partire dalla considerazionedella specificità dei nostri compiti istituzio-nali. Quando l’agente della Polizia di Stato, il Ca-rabiniere o il Finanziere, che svolgono uncompito fondamentale per la difesa delloStato e delle sue Istituzioni, nel corso dellaloro giornata lavorativa ha un incontro conil nemico dello Stato, con il criminale, sitratta di un incontro che è, per un verso,eventuale e, per altro verso, quando si ve-rifica, limitato nel tempo. Si riduce al tempo dell’arresto, della per-quisizione, dell’interrogatorio. Viceversa, il compito dell’agente di PoliziaPenitenziaria - in confronto anche e soprat-tutto fisico con chi rappresenta, in un modoo nell’altro, il nemico dello Stato, colui chene ha violato le leggi - viene eseguito giornodopo giorno, anche a Natale, Capodanno,Pasqua e Ferragosto, di notte, minuto dopominuto.

N. 184 • maggio 2011 • pag. 7Polizia Penitenziaria • SG&S

Questa è già, di per sé, la ragione di unadifficoltà, di una complessità, di una ten-sione, la ragione anche di un rischio chenon ha confronti. Mentre all’agente della Polizia di Stato, alCarabiniere o al Finanziere, lo Stato chiede,ed è un compito estremamente difficile, dicatturare il violatore delle leggi e di rin-chiuderlo dentro le prigioni - gli affida cioèprincipalmente un compito di sicurezza edi legalità - all’agente di Polizia Penitenzia-ria - ecco la difficoltà e la specificità - affidacompiti che talvolta sembrano in contrad-dizione l’uno con l’altro. L’agente di PoliziaPenitenziaria, nella prima linea nella fron-tiera esposta del carcere, deve rappresen-tare, spesso isolato se non dimenticato, ladignità dello Stato, la legalità dello Stato, laLegge. Noi, che rappresentiamo il primo e piùrappresentativo Sindacato della Polizia Pe-nitenziaria, siamo i primi a chiedere e vo-lere che il carcere sia una casa di vetro,trasparente, proprio perché non abbiamonulla da nascondere. Non è infatti accettabile il latente e conti-nuo gioco al massacro dell’onorabilitàdella Polizia penitenziaria e dei suoi appar-tenenti. Come non lo sono le ripetute sol-lecitazioni a fare piena luce sulle morti chepurtroppo, periodicamente, avvengono incarcere quasi a instillare il dubbio (a genteche nulla sa di carcere e delle reali dina-miche penitenziarie) che questi tragicieventi vengano seguiti e gestiti con legge-rezza e disinteresse o, peggio ancora, conomertà. Ne va dell’onorabilità di una Istituzionefondamentale dello Stato, come è la PoliziaPenitenziaria, e dei suoi appartenenti.

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icordare i morti di due giorni di fol-lia e cercare, a distanza di trenta-sette anni, di dare risposta ad alcuni

interrogativi rimasti ancora tali. L’Ammini-strazione Comunale di Alessandria, in col-laborazione con l’Anppe (l’AssociazioneNazionale della Polizia Penitenziaria) hacommemorato i caduti nella rivolta carce-raria del 1974 e la data del 9 maggio hacoinciso con la giornata che lo Stato ita-liano ha voluto dedicare, con specificalegge, alle vittime del terrorismo e percause di servizio nell’adempimento del do-vere. La deposizione della corona d’ alloropresso la lapide, fatta murare nel 2009 dalComune di Alessandria presso l’istituto de-tentivo di piazza Don Soria, ha precedutola cerimonia svoltasi nella Sala della Giunta,la stessa che aveva funto da camera ardenteospitando i feretri di quattro delle cinquevittime della strage in carcere. Alla commemorazione sono intervenuti il

«Ora, da bravi, tiriamo fuori un com-mento, cerchiamo di dire agli altri ciòche è giusto, ciò che è necessario - ha ag-giunto - cerchiamo di spiegare se sia giu-sto dire no ai ricatti, di dimostrareperché non si può barattare la vita diuno, due, cinque uomini con la credibi-lità, con la fermezza di uno Stato demo-cratico. Eppure ancora oggi, a distanzadi così tanti anni, non riusciamo a con-centrarci sul rispettabilissimo drammapubblico dello Stato, continuiamo a pen-sare al dramma privato delle famiglie

Sindaco Piercarlo Fabbio, i Consiglieri Co-munali Mario Bocchio e Maurizio Sciau-done, Nicola Sette (Presidente regionaleAnppe), Antonio Aloia (Presidente citta-dino Anppe), i Comandanti della PoliziaPenitenziaria degli istituti Don Soria e SanMichele, le Organizzazioni Sindacali dellaPolizia Penitenziaria e soprattutto i fami-liari dei caduti durante quei tragici eventi.Le testimonianze dirette sono state affidateai ricordi di due noti giornalisti alessan-drini, Franco Marchiaro ed Emma Cama-gna, che furono coinvolti in prima personaanche in qualità di parlamentari e ostaggidei rivoltosi.«Le vittime di quel tragico episodio chesconvolse i sentimenti e le coscienzenon solo di un’intera città ma di tuttal’Italia - ha sottolineato il Sindaco Fabbio- in realtà furono sette, perché sonocompresi anche due dei tre detenuti cheattuarono la rivolta, ma noi oggi, mi siapermesso dirlo senza esitazione, vo-gliamo ricordare la parte buona ed one-sta, coloro che morirono compiendo ilproprio mestiere e come conseguenzadel proprio altruismo. Quando i ribellifecero conoscere il loro ricatto, lascia-teci uscire dal carcere, se no ammaz-ziamo tutti gli ostaggi, ci furono i tonipiù duri, quelli più pacati, il vocabola-rio italiano era a disposizione con mi-gliaia di aggettivi di deprecazione e dipietà, e fu usato».

1974, la Rivolta nel carcere di Alessandria

N. 184 • maggio 2011 • pag. 8Polizia Penitenziaria • SG&S

In altola cerimonia

di commemo-razione

e la locandina

sotto alcuneimmagini

dei feriti durante

la rivolta

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delle cinque vittime. Abbiamo sentitodire: è ora di finirla, un’Italia che ha inseno criminali come quelli di Alessandriaavrà un futuro cupo, se non si affida amani forti e bene armate. Ma si dovrebbedire alla rovescia: un’Italia che ospitaeroi silenziosi, deboli e disarmati comefu l’assistente sociale Graziella VassalloGiarola, che si offrì volontaria comeostaggio nell’estremo tentativo di risusci-tare un gesto umano nelle belve, ha in-vece un lungo futuro civile. La volontà diaiutare gli uomini e la speranza di ren-derli migliori non possono essere uccise:neppure dalla pistola di un uomo impaz-zito di odio, come avvenne nel carceredella nostra città». I giornalisti Emma Camagna e Franco Mar-chiaro hanno ripercorso la tragedia. «Viconfesso che è la prima volta che ho ac-cettato di parlare in pubblico di quantoaccadde - ha volto precisare Emma Cama-gna - perché sono fatti che mi hanno pro-fondamente toccata e segnata. Era notoche nel carcere ci fosse aria di rivolta daun mese buono. Tutti erano stati avver-titi, ma nessuno ha preso le necessarieprecauzioni. Da tempo ero in contattocon Concu, ci eravamo visti e parlatianche il giorno prima della rivolta, mamai più avrei immaginato cosa stessemacchinando proprio lui». «Una grande folla prese ad accorrere at-torno al carcere - ha ricordato FrancoMarchiaro - tutti attendevano angosciati.Fianco a fianco si trovavano i parentidegli ostaggi e quelli dei banditi. Ambu-lanze a carri funebri posteggiati in at-tesa, appesantivano l’atmosfera. Noigiornalisti, io, Emma e Giuseppe Zerbino,oggi scomparso, accompagnati dal Pro-curatore di Alessandria Dott. Buzio e dalsuo Vice Dott. Parola, cercammo di par-

lamentare per ben tre volte. Confesso, legambe mi tremavano. Anni fa, quandofinì di scontare la sua pena, l’ unico so-pravvissuto tra i rivoltosi, Levrero, micontattò con l’intento di voler rilasciareun’intervista. Dissi di sì solo a patto chemi rivelasse chi avesse fatto avere loro learmi. Non mi rispose, quindi l’intervistanon incominciò mai». Nel carcere di Alessandria, tre detenuti ar-mati di due pistole presero in ostaggio seiinsegnanti, il medico Dott. Gandolfi, i Bri-

gadieri Allegrini, Cantiello, Barbato, gli Ap-puntati Aprà, Caporaso, Tula e Gaeta ecinque detenuti che si trovavano nei localidella scuola e dell’infermeria. Asserragliatiall’interno dell’infermeria insieme agliostaggi, iniziarono una lunga ed estenuantetrattativa con le autorità giunte sul posto,tra cui il procuratore generale ed il diret-tore dell’istituto. Dopo diverse ore di infruttuosi tentativi perinstaurare un dialogo con i sequestratori,si udirono alcuni spari provenienti dall’in-fermeria. Temendo il peggio le autorità decisero difare irruzione nell’infermeria sfondando laporta. Sotto una violenta sparatoria tra leForze dell’Ordine e i rivoltosi, furono tra-scinati fuori, feriti gravemente, il Dott. Gan-dolfi ed il Prof. Campi. Nella confusione il Brigadiere Allegrini e ilVicebrigadiere Capuano riuscirono a trarsiin salvo allontanandosi dall’infermeria. I ri-voltosi, nel caos generale, facendosi scudocon gli ostaggi, riuscirono a nascondersi inuno stanzino in fondo al corridoio ren-dendo impossibile la prosecuzione del-l’azione. Il giorno seguente vennero convocati i fa-

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Nelle fotole vittimesoprail BrigadiereGennaro Cantiellosottol’AppuntatosebastianoGaeta

al centroil trasporto inambulanza

miliari di duedei tre detenuti(Di Bona eConcu) nel ten-tativo di una me-diazione cheevitasse ulteriorespargimento disangue, ma i colloqui con i parenti vennerointerrotti bruscamente dal Concu, mentreDi Bona non volle ricevere la mamma e lacognata . Fu così che nel tardo pomeriggio

venne deciso di intraprendere nuovamentel’azione di forza interrotta il giorno prece-dente. Purtroppo l’epilogo fu tragico. Oltre all’uccisione del Dott. Roberto Gan-dolfi, deceduto il giorno dell’irruzione,persero la vita l’assistente sociale GraziellaVassallo Giarola, che si era spontanea-mente offerta di dialogare con i detenuti, ilBrigadiere Gennaro Cantiello, che, nono-stante avesse le mani legate, portò in salvoil Prof. Campi durante la sparatoria nell’in-fermeria. Cantiello, però, tornò volontaria-mente indietro, tra gli ostaggi, per impedireche i rivoltosi uccidessero altre persone senon fosse rientrato nei locali dell’inferme-ria. L’appuntato Sebastiano Gaeta restò uc-ciso nel tentativo di fare scudo, con ilproprio corpo, agli altri ostaggi. Dei tre detenuti che avevano inscenato larivolta rimasero uccisi Domenico Di Bonae Cesare Concu (decisamente impegnatosulle posizioni di Lotta Continua), soprav-visse Everardo Levrero. «Non desideriamo considerare le cinquevittime del dovere degli eroi - ha detto ilConsigliere Mario Bocchio - ma meditarleancora oggi come esseri simboleggiantiuna grande umanità, esseri che hanno

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Nella fotoancora unaimmagine

della rivoltadel 1974 ad

Alessandria

fatto scoprire, seppure in maniera tra-gica, il loro costruttivo e silenzioso la-voro. Sono trascorsi trentasette anni daquel drammatico e luttuoso evento ma lavicenda riserva ancora lati oscuri, a co-minciare dalle domande: chi introdussele armi in carcere, due rivoltelle a tam-buro ed un coltello? I rivoltosi erano sottol’effetto di sostanze stupefacenti, come lamethedrina, visto che il rivoltoso Concu,prima di morire all’ospedale, aveva gliocchi spalancati e un’espressione daesaltato? Calando la vicenda nel contestostorico, quello che maggiormente saltaagli occhi è proprio la facilità con laquale le armi abbiano potuto entrare incarcere. Allora, nel 1974, si rendeva ne-cessaria una drastica sorveglianza inproposito, possibile solo col potenzia-mento del personale di custodia e tuttoquesto rientrava nel programma più chemai irrimandabile di rinnovamento e diammodernamento dei metodi e dellestrutture carcerarie. Ancora oggi sono inmolti a chiedersi: la strage avrebbe po-

tuto essere evitata? Attorno agli assediatisi ponderavano i pro ed i contro: gli al-terchi tra magistrati, funzionari e mili-tari erano violentissimi. Crediamo sianoormai maturi i tempi per cercare di ca-pire realmente se da parte dell’alloraProcuratore Generale della Repubblicain Piemonte, Carlo Reviglio Della Vene-ria, e del Generale dei Carabinieri, CarloAlberto Dalla Chiesa, fu fatto tutto il pos-sibile per scongiurare la tragedia».La commemorazione si è chiusa con i dueinterventi di Enrico D’Ambola e di Salva-tore Casula, entrambi del Sindacato Sappe,che si sono soffermati sul ricordo del Bri-gadiere Gennaro Cantiello, insignito dellaMedaglia d’Oro alla memoria, e dell’ Ap-puntato Sebastiano Gaeta, insignito dellaMedaglia d’Argento alla memoria: Di Bona,il vero carnefice del gruppo, si avvicinò alpovero Sebastiano Gaeta e, prima di finirlocon un colpo alla testa, gli disse: «Briga-diere, ci vediamo tra poco in paradiso”.Subito dopo, ha rivolto l’arma contro séstesso, uccidendosi». •

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n giornalista, Francesco Badolati, eun magistrato, Francesco Minisci,raccontano una giustizia definita

complessa, contraddittoria e inapplicabile,tanto da intitolare il loro libro La giustiziaitaliana raccontata a un alieno.Francesco Badolati è giornalista professio-nista, laureato in giurisprudenza, caposer-vizio del quotidiano Gazzetta del Sud. Già autore di numerose pubblicazioni sulledevianze criminali e i misteri calabresi.Negli ultimi anni ha seguito i più importantiprocessi celebrati in Calabria. E’ componente del centro di documenta-zione e ricerca sul fenomeno mafioso del-l’Università della Calabria ed ha collaboratocon Il Tempo, L’indipendente e l’Agi. E’ già autore di numerosi libri, tra i quali I segreti dei boss, Malandrini, Sette casiper sette delitti, il Mig delle bugie, IlMammasantissima, Crimini, ‘Ndran-gheta eversiva, I segreti dei boss 2, Faide,Banditi e schiave.Francesco Minisci è sostituto procuratoredella repubblica a Roma. Per dieci anni halavorato in Calabria, come pubblico mini-stero antimafia. E’ membro della commissione Potere eprocedimento disciplinare dell’Associa-zione nazionale magistrati.Nella Prefazione di Luca Palamara, Presi-dente dell’associazione nazionale magi-strati, si legge che il libro «ha il merito dicostituire un apprezzabile tentativo diavvicinare la giustizia al cittadino… Inquesto libro gli autori seguono un ottimometodo rappresentato dall’elaborazionedi domande che il giornalista sottoponeal magistrato; domande che per noi ope-ratori del diritto possono sembrare scon-tate ma che, per i cittadini che fruisconodel servizio giustizia, possono non es-serlo affatto. Bisogna purtroppo consta-tare che la giustizia in Italia è malata dadecenni, ma i “colpevoli” cambiano: ora,

come nei primi anni ’70 e a metà degli’80, i sospetti si addensano sulla magi-stratura. Il sistema giudiziario italianoversa in una gravissima crisi di effi-cienza e di funzionalità, che si sta tra-sformando in crisi di credibilità dellagiustizia. Ed è per questo motivo che lapriorità degli interventi sulla giustiziadeve essere quella di intervenire sulladurata dei processi. Presiedo l’Associa-zione nazionale magistrati da due annie non credo che la magistratura nonabbia colpe e responsabilità per la crisidella giustizia. Ma non posso accettareche si descriva, falsamente, una corpo-razione di fannulloni superpagati, im-pegnata a proteggere i propri interessi egli aderenti all’associazione nazionalemagistrati, anche colpevoli delle peggiorinefandezze.»

Nell’introduzione di Giuseppe Maria Ber-ruti, magistrato di Cassazione e membrodel Consiglio superiore della magistratura,si legge che «Gli autori immaginano, an-cora una volta, una sorta di marziano a

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Nel riquadrola copertinadel libro

roma, ovvero in viaggio nei nostri mali.Ma, a differenza di Ennio Flaiano, essi loimmaginano come venuto da un mondoperfetto dal punto di vista giudiziario e,direi ingenerale, civile. L’alieno dei nostridue autori è in realtà la coscienza criticache con candore non comprende, chechiede spiegazioni e tenta qualche sug-gerimento. Questo nella prima parte dellavoro, soprattutto. Poi la vena professio-nale, o la passione civile dei due autori,ha il sopravvento. E l’alieno, meravigliatoe inconsapevole, lascia il posto a unmentore. Che tenta una funzione diguida e di consiglio. Suggerendo rimedisemplici, che affrontano l’irrazionalitàcon la razionalità. E l’inefficacia dellagiustizia con la logica di un sistemacompiuto. A ben vedere quelle che gli au-tori chiamano le contraddizioni del si-stema italiano, al quale contrappongonola meditazione dell’alieno che le visita ele percorre nella sua astrocapsula fattadi principi semplici e di esperienze anti-che, sono invece le conferme assolutedella nostra difficoltà di rispettare la fun-zione delle istituzioni.»Penso che il titolo di questo libro possa es-sere preso in prestito per suggerire, a chine avesse la voglia e la capacità, di scriverneuno sull’Amministrazione penitenziariaitaliana raccontata a un alieno: quel me-tantropo che nel quinto millennio dell’eradi Andromeda, in missione speciale,esplora lo spazio e sbarca sulla terra, im-battendosi subito sul nostro sistema nonsolo giudiziario, ma anche penitenziario.Lui che viene da un sistema perfetto, cosapotrebbe dire del nostro? Riteniamo che il primo suggerimento chedarebbe ai governanti sarebbe quello dicambiare immediatamente buona partedella classe dirigente: coloro che gover-nano il sistema e fanno di tutto per farloandar male.

Giovanni Battista Durante Redazione Politica

Segretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected]

U

La giustizia italiana raccontata ad un alieno

Un giornalista e un magistrato a confronto

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N. 184 • maggio 2011 • pag. 12Polizia Penitenziaria • SG&S

Nelle fotoMatteo Betti

in gara

sottoun primo

piano di Matteo Betti

prendo poi nel 2005 la versione in carrozzina. «Ho sempre fattosolo scherma, racconta Matteo, all’inizio per divertimentopuro e semplice dal 2005, invece, in modo più organico e strut-turato, prendendola come un impegno serio».Continua Matteo: «Grazie a questo sport ho imparato l’impegnoche serve tutti i giorni per raggiungere il risultato: una lezioneche mi sono ritrovato in tutti i campi, e che mi è servita anchenella vita personale».

Alla paralimpiadi di Pechino haconquistato un 5° ed un 7° postoche non lo hanno soddisfatto pernulla: Matteo è un perfezionista,un ragazzo che non conoscemezze misure e che quando inse-gue le vittorie difficilmente pos-sono sfuggirgli di mano senza chelui corra a riprendersele.E’ questo un buon motivo per ve-derlo crescere ancora, in occa-sione dell’edizione londinese 2012magari, nella quale sarà piùgrande, più esperto e più motivato.

Matteo in passato si è lamentato del pregiudizio che esiste ri-guardo all’attività svolta dagli atleti paralimpici, ritenendo che leparalimpiadi sono viste nel nostro Paese quasi come un eventofolkloristico e non come una manifestazione sportiva di alto pro-filo.Essendo lui stesso un atleta di alto profilo giustamente non puòcomprendere le ragioni di tale disparità di considerazione tra garesportive a cinque cerchi di pari dignità. Non a caso Matteo si allenaanche con la Nazionale di scherma dei normodotati e dice che:

«Non è che quelli facciano beneficienza:se non trovassero utile allenarsi con memi lascerebbero a casa». La scherma dei normodotati sarà pure so-praffina, ma Matteo non torna a casa con lepive nel sacco, si difende e si allena benecon chiunque, non sentendosi fuori luogonel confrontarsi con nessuno.Il nostro campione gareggia da anni con iragazzi del Circolo Scherma Uisp Siena, al-lenati dal maestro Ruggero D’Argenio, inun gruppo d’amici veri. Ha raccontato l’atleta delle Fiamme Az-zurre: «Siamo cresciuti assieme e, a se-conda di chi è in prossimità di una gara,ci si allena. Quando tocca a me ci alle-

a cura di Lady OscarRedazione Sportiva [email protected]

Matteo Betti: un nuovo talento dellascherma per il GS Fiamme Azzurre

e Fiamme Azzurre, nella sua prova di debutto con i coloridella Polizia Penitenziaria, hanno scoperto un autentico ta-lento arruolato nel settore della scherma paralimpica nel-

l’aprile 2011: Matteo Betti, senese e classe 1985 è riuscito aconquistare due bronzi nella prova di Coppa del Mondo disputatasidal 29 aprile al 1° maggio scorso nella trasferta canadese del Que-bec, al Complexe Sportif Claude Robillard. Il Nostro atleta, li ha capitalizzati nella categoria “A” del fioretto edella spada.Nel fioretto l’oro è andato al ci-nese Chan Wing-Kin che ha trion-fato sul francese Moez El Assine.Nella spada il nostro Matteo haconquistato il bronzo dopo esserestato battuto in semifinale dalfrancese Robert Citerne, a suavolta sconfitto dal polacco DariusPender.Un ottimo biglietto da visita per lanew entry 2011 delle Fiamme Az-zurre, un risultato importante checonferma come Matteo sia candi-dato a buon diritto alla partecipazione di Londra 2012, nei giochiparalimpici delle sue discipline preferite, cosa che gli farebbe su-perare la delusione dell’ultima paralimpiade, nella quale ha im-pattato contro un cinese, ovviamente sostenuto da tutto il pubblicodi casa, già battuto in altre occasioni agonistiche precedenti,quindi alla sua portata. Al di là dei successi d’esordio, vale la pena saperne un po’ di piùdel giovanissimo campione toscano in forza al nostro grupposportivo perché la sua è una di quelle storie che, se diffuse, ren-dono bene l’idea di coloro che nasconocome combattenti di razza, indipendente-mente dall’attività che decidono di intra-prendere nella vita o se per sportimpugnano un’arma.Matteo, per inciso, sin dalla nascita si è di-mostrato essere un imponente guerriero.Da una delle sue ultime interviste si pos-sono apprendere alcune note biograficheche lo dimostrano pienamente.Un’emorragia cerebrale subita alla nascita,sopravvenuta dopo complicazioni in salaparto, gli ha causato un’emiparesi perma-nente, che gli impedisce l’uso della mano edella gamba destra: da bambino ha iniziatoa tirare di scherma in piedi, nel 1991, sco-

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niamo seduti, se è sotto gara qualcun altro, ci alleniamo inpiedi».Nel 2009 è stata sua la Coppa del Mondo di scherma in carrozzina,vittoria conquistata assieme ad altri tre argenti tra Varsavia (fio-retto) e Lonato (fioretto e spada), sempre in Coppa del Mondo.La sua vita Matteo la divide fra Roma, dove si è unito al ClubScherma Roma del ct Fabio Giovannini, e Siena, dove per l’Uispsi allena con Francesco Montalbano, a sua volta entrato nello staffazzurro. La scherma l’ha scelta a soli 5 anni ed era ancora la scherma tra-dizionale, quella in piedi che la disabilità non gli ha mai inter-detto.Tirava di scherma in piedi dal 1991, poi nel 2005 è arrivata lascoperta della versione in carrozzina, e “la semplice trasposi-zione”, secondo lui, che semplice in realtà non è, “delle nozioniacquisite dall’una all’altra”.In realtà la versione seduta comporta il possesso di qualche dotein più di quella in piedi. Ad esempio, sono fondamentali dosi piùmassicce di concentrazione, prontezza di riflessi e reazione, oltread una non comune forza di braccia, che fanno il lavoro grosso.L’idea di cambiare il modo di praticare la scherma è arrivata dopoche lo hanno convinto di essere si un campione, ma necessaria-mente destinato a traguardi non troppo ambiziosi, per lo più con-dannato a restare entro i primi 100 in Italia, senza possibilità dicrescere oltre. Per un ragazzo tenace e mai domo come lui eratroppo grande da sostenere tale prospettiva.Così un giorno si lasciò persuadere dall’istruttore nazionale Fa-brizio Di Rosa, capace di trovare le parole giuste e convincentiper farlo tentare a provare in carrozzina. Le parole giuste furonoquelle che gli ricordavano che alla fine di ogni prova lui potevacomunque avere la fortuna di alzarsi dalla carrozzina, cosa chetanti ragazzi con un problema simile al suo di nascita non rie-scono a fare.Il campione senese iniziò da quel momento la sua avventura acaccia di medaglie e successi prestigiosi che puntualmente portaa casa.Matteo, oltre ad essere un bel ragazzo, è scaramantico e super di-plomatico. Si allena cinque giorni a settimana su sette.Dopo gli allenamenti e lo studio (è iscritto a Scienze della Comu-nicazione), resta tempo solo per il cinema, i film di fantascienzae le storie futuristiche che sono la sua passione. In cima alla suatop ten ideale dei film c’è Il Dottor Stranamore, di Kubrik.Come abbiamo detto ha iniziato a praticare la scherma da piccolo,per gioco. Poi il talento è venuto fuori precocemente e subito sonogiunte le prime medaglie, a sorpresa.Prima un oro ed un argento ai Campionati Italiani, poi subito dopoè arrivato il bronzo a squadre agli europei e nel 2006 anche il se-condo poso a squadre ai mondiali.Proprio allora capì che il gioco poteva farsi duro, più complessoe pieno di impegno oltre che di soddisfazioni.Ritiene di essere, tra le due armi praticate (il fioretto e la spada),un fiorettista puro.Il fioretto secondo lui è più difficile perché richiede due doti chelui riconosce di possedere: il saper cambiare tattica in una fra-zione di secondo e capire nello stesso tempo dove e come piazzarela stoccata vincente dopo essere stato toccato dall’avversario.

Matteo in futuro, quando si stancherà di vincere medaglie in giroper il globo, potrebbe diventare un validissimo giornalista sportivo,chissà, potrebbe magari scrivere anche lui tra le pagine della no-stra rivista. E’ laureando in Scienze della Comunicazione, facoltàscelta dopo aver provato la positiva frequentazione di una reda-zione giornalistica locale di Siena. Che sia un ragazzo con le idee chiare non si può eccepire. Londra 2012 è già alle porte e a Matteo, oltre al benvenuto in casaFiamme Azzurre, va l’augurio dicontinuare il suo percorso to-gliendosi tutte le soddisfazionisportive e non che sono nellesue corde per tenacia e forza divolontà.

N. 184 • maggio 2011 • pag. 13Polizia Penitenziaria • SG&S

•curriculumsportivo diMatteo Betti

Titoli Italiani individualiFioretto: 2007/2008/2009/2010;Spada: 2005/2006/2007/2008/2009/2010

Campionati Europei2005 Madrid: Bronzo Fioretto a squadre;2007 Varsavia: Oro Fioretto individuale, Argento Fioretto a squadre;2009 Varsavia: Bronzo Spada individuale.

Coppa del Mondo2006: 3 medaglie in stagione di CdM di Fioretto (Hong Kong sq. , Lonato, Lonato sq.)2007: 2° classificato nella classifica generale di CdM di Spada (Valencia, Montreal, Parigi);2008: 1° classificato e vincitore della classifica generale di CdM di Fioretto (Montreal, Lonato, Varsavia);2009: 1° classificato e vincitore della classifica generale di CdM di Fio-retto (Montreal, Lonato, Varsavia, Bangalore);2009: 3° classificato nella classifica generale di CdM di Spada (Montreal, Lonato).2010: 1° classificato e vincitore della classifica generale di CdM di Fioretto (Montreal, Montreal sq., Lonato ,Varsavia, Eger, Eger sq.).2010: 3° classificato nella classifica generale di CdM di Spada (Montreal, Varsavia, Eger).

Campionati del Mondo 2006: Torino Argento Fioretto a squadre; 2010: Parigi Bronzo Fioretto individuale;2010: Parigi Bronzo Spada individuale.

Giochi Paralimpici Pechino 20085° classificato nel Fioretto;7° classificato nella Spada.

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Nella fotol’ingresso del ICF di

Castiglionedellle Stiviere

(MN).La palazzinadegli alloggi

dell’ICFe l’aula De Leo

a Roma

nell’altra pagina

la tensostruttura

N. 184 • maggio 2011 • pag. 14Polizia Penitenziaria • SG&S

L’ Istituto Centrale di Formazione del Personale Minorile

Attività e competenze• formazione di primo ingresso e forma-zione permanente di tutto il personale delDipartimento Giustizia Minorile• formazione congiunta con gli operatoridi enti ed agenzie istituzionali che compon-gono la rete dei servizi rivolti ai minori, aisensi del d.lgs 272/89, della legge 285/97,della legge 328/2000• formazione dei dirigenti e dei quadri di-rettivi, anche in collaborazione con laScuola Superiore della Pubblica Ammini-strazione• monitoraggio, valutazione e verifica deirisultati delle attività formative erogate• attività di studio, ricerca e sperimenta-zione di indirizzi e metodi in materia di for-mazione, aggiornamento e qualificazioneprofessionale • realizzazione di convegni, incontri e gior-nate di studio, a carattere nazionale ed in-ternazionale in materia formativa• cura e valorizzazione del patrimonio do-cumentale delle biblioteche e dei centri didocumentazione anche attraverso l’utilizzodi strumenti e modalità di diffusione tele-matica presso il personale• promozione di accordi ed intese nell’am-bito della collaborazione europea ed inter-nazionale in materia formativa• collaborazione con università, istituti diricerca, agenzie formative, enti pubblici e

privati, anche attraverso la stipula di con-venzioni quadro, per la realizzazione di unsistema di accreditamento formativo e l’at-tivazione di tirocini professionali post-uni-versitari.

Obiettivi dell’attività di formazione • assicurare un adeguato livello di specia-lizzazione al personale interessato all’ag-giornamento e alla riqualificazione• garantire l’adeguatezza dei contenuti pro-posti alle funzioni e ai livelli di responsabi-lità rivestitiaffinare e rafforzare le capacità di inter-vento nei confronti delle nuove esigenzedell’utenzaelaborare modalità organizzative più ade-guate alla complessità dei fenomeni socialied alle problematiche dell’utenza minorilelavorare alla necessaria interazione conenti di formazione pubblici, privati, Univer-sità ed agenzie specializzate al fine dicreare “reticoli progettuali” di ampio re-spiro.

La storia dell’Istituto Centrale di FormazioneLa Scuola di formazione - sede di Roma -viene istituita con decreto ministeriale n.248562 del 15 giugno 1956 ed è operativanell’anno 1959; dal 1965 diviene servizioautonomo anche dal punto di vista ammi-nistrativo. Nel corso degli anni, parallelamente ai mu-tamenti del sistema giustizia minorile,cambia più volte denominazione: inizial-mente Scuola di formazione per la riedu-cazione dei minorenni, poi Scuola diformazione del personale per i minorenni,

’Istituto Centrale di Formazione(ICF) ha la finalità di programmare,progettare, realizzare e valutare le at-

tività formative rivolte a tutto il personaleappartenente alla qualifiche dirigenziali,alle qualifiche funzionali e al contingente diPolizia Penitenziaria in servizio presso il Di-partimento della Giustizia Minorile.Tale finalità si realizza in stretta intercon-nessione con gli obiettivi, le esigenze del-l’organizzazione e si attua sulla base degliorientamenti programmatici del Diparti-mento per la Giustizia Minorile relativi siaalle strategie di sviluppo delle risorseumane sia all’organizzazione del sistemadegli interventi a favore dei minorenni conprocedimento penale.

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a cura di Ciro Borrelli*e Carmine D’Avanzo*[email protected]

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quindi Scuola di formazione del personaledella giustizia minorile, sino all’attuale de-nominazione di Istituto Centrale di Forma-zione del Personale.Fino agli inizi degli anni ’90 il personale as-segnato stabilmente alla sede della Scuolanon comprende figure tecniche addette allaformazione: per la realizzazione dei corsivengono infatti impegnate, con funzione dimonitori, delle unità di personale a chia-mata provenienti dai Servizi della GiustiziaMinorile. Tale organizzazione, che consen-tiva ai formatori di dedicare uno spazio ri-stretto alle attività di formazione -solitamente limitato alle giornate d’aula -viene successivamente superata con l’asse-gnazione a tempo pieno, presso la sede for-mativa, di figure professionali (educatori,assistenti sociali, psicologi e Polizia Peni-tenziaria) che vanno a costituire un’équipestabile, dedita alla cura dei progetti di for-mazione in tutte le fasi di svolgimento. L’Istituto Centrale di Formazione, cosìcome da provvedimento istitutivo dell’aprile2006, successivamente modificato conD.M. del maggio 2007, dipende funzional-mente dalla Direzione Generale del Perso-nale e della Formazione, ha sede in Romae consta di due sedi decentrate a Castiglionedelle Stiviere (Mn) e Messina. L’attuale assetto dell’ I.C.F. comprende seiunità organizzative - formazione e staff diprogetto, segreteria generale, segreteria eaccoglienza, contabilità, biblioteca, sicu-rezza e logistica - che, ciascuna nel propriospecifico, concorrono alla realizzazione deifini istituzionali.

* Ciro Borrelli Rappresentante Sappe - ICF Roma

* Carmine D’AvanzoCoordinatore Nazionale Sappe Minori

N. 184 • maggio 2011 • pag. 15Polizia Penitenziaria • SG&S

l Presidente della Repubblica, Gior-gio Napolitano, in occasione dell’an-nuale Festa del Corpo di Polizia

Penitenziaria che si è tenuta il 13 maggio2011 a Roma, sito archeologico Arco diCostantino, ha inviato al Capo del Diparti-mento dell’Amministrazione Penitenziaria,Franco Ionta, un messaggio in cui esprime«a nome di tutta la Nazione e mio per-sonale, i più vivi sentimenti di gratitu-dine agli uomini e alle donne dellaPolizia Penitenziaria che adempionoquotidianamente alle loro funzioni isti-tuzionali sia garantendo la sicurezzanegli istituti sia contribuendo fattiva-mente - in attuazione del dettato costi-tuzionale - al trattamento rieducativodei soggetti detenuti. Anche in un mo-mento reso più difficile e faticoso dal so-vraffollamento carcerario, la PoliziaPenitenziaria assolve in silenzio alle suecomplesse e delicate funzioni con dedi-zione, coraggio, competenza e umanità.Un continuativo sforzo di formazione,aggiornamento e specializzazione degliappartenenti al Corpo ha portato anchead affinarne le capacità investigative ea rendere perciò più efficace il rapportocon le autorità giudiziarie inquirenti,che ad essi si rivolgono con sempre mag-giore fiducia nella loro specifica profes-sionalità. Con l’auspicio che le iniziativeassunte per contrastare la situazione diemergenza del sistema carcerario con-seguano il risultato di un progressivomiglioramento delle condizioni generalidegli istituti e nel commosso ricordo dicoloro che hanno portato sino al-l’estremo sacrificio l’attaccamento al do-vere, giungano a tutti voi, ai colleghi nonpiù in servizio e alle vostre famiglie i piùfervidi voti augurali». Anche il Ministrodella Giustizia Angelino Alfano e il capodel Dipartimento dell’Amministrazione Pe-nitenziaria Franco Ionta hanno, in unanota congiunta, espresso la più alta consi-derazione per la professionalità e la fedeltàalle Istituzioni della Repubblica, che gli ap-partenenti alla Polizia Penitenziaria dimo-strano, ogni giorno, durante lo svolgimentodei compiti loro assegnati.«Nell’anno del 150° Anniversario del-l’Unità d’Italia e a pochi giorni dallacommemorazione del Giorno della me-moria delle vittime del terrorismo, ri-

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tengo doveroso ribadire che la Polizia Pe-nitenziaria è un Corpo moderno, rispet-toso dei valori e del giuramento difedeltà alle Istituzioni democratiche, cheha pagato un drammatico tributo disangue per la lotta contro il terrorismo ela criminalità organizzata». Lo ha dichiarato il ministro della Giustizia,Angelino Alfano, aggiungendo che «La Po-lizia Penitenziaria, garante della sicu-rezza e della legalità nella gestione dellepersone private della libertà, opera a ga-ranzia della sicurezza dei cittadini. E’grazie, dunque, alla sua attività che èpossibile operare per l’attuazione degliinterventi di risocializzazione che con-sentono una riduzione della recidiva. Ilrilancio dell’azione penitenziaria a fa-vore della stabilizzazione e della moder-nizzazione del sistema – ha precisatoFranco Ionta – sta dando segnali impor-tanti di ripresa. La Polizia Penitenziariaha bisogno di risposte chiare e di indi-rizzo, che valorizzino le attività, le pro-fessionalità, gli uomini e le donne che nefanno parte. Ho appena emanato il prov-vedimento dell’assetto organizzativodelle attività di polizia stradale, cosìcome è allo studio la stabilizzazione delfunzionamento del NIC e il modello or-ganizzativo del servizio traduzioni. Diconcerto con il Ministro Alfano – ha pro-seguito Ionta – la Polizia Penitenziaria èdestinataria di attenzione costante e diinterventi che doverosamente ripaganoil suo grande sacrificio e il suo preziosolavoro».

Una festa senzail festeggiato

Nelle foto Il Presidentedella RepubblicaNapolitano,con il Ministro Alfano e ilCapo del DAPIontaall’Annuale2011

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l 16 febbraio scorso, presso la Com-missione Lavoro della Camera dei De-putati, è iniziato l’esame delle

proposte di legge in materia di trattamentiin favore dei superstiti.

Aprendo i lavori, ilrelatore On. Fedriga(LNP), osservandol’elevato numero dip r o v v e d i m e n t i(oltre 10 propostedi legge) e la vastitàdegli argomenti datrattare, ha eviden-ziato l’opportunitàdi elaborare untesto unificato chesia efficace e con-

cretamente applicabile, conside-rando che le stesse affrontano temi qualil’attribuzione dell’indennità integrativa spe-ciale per le pensioni maturate dal dantecausa prima del 1995, la modifica dellenorme in materia di limiti di cumulabilitàtra redditi di lavoro e pensione; la disci-plina delle pensioni nei casi di scioglimentodi matrimonio; la possibilità di un tratta-mento transitorio al fine di assicurare, sindal momento della presentazione della do-manda; una fonte di reddito, l’aumento ge-neralizzato dei vari importi. Dopo successivi interventi, la Commissioneper la prosecuzione dei lavori ha, quindi,deliberato la costituzione di un Comitato ri-stretto, al fine di coordinare le varie richie-ste soprattutto per chiarire e valutare gliindubbi oneri finanziari.

CONGUAGLIO FISCALE 2010 SULLE PENSIONI

Dopo che, nel mese di febbraio 2011, l’IN-PDAP ha inviato ai propri pensionati la cer-tificazione CUD 2011, con un prospettoinformativo e l’eventuale indicazione delcredito o debito d’imposta risultante dalconguaglio fiscale dell’anno 2010, nel mesedi marzo, l’eventuale debito fiscale (nelprospetto indicato come importo positivo)ha comportato per i pensionati una tratte-nuta sulla rata di pensione. Nella circostanza, l’Istituto ha previsto che,in caso d’incapienza, la parte eccedentesarà trattenuta nelle rate successive, fino aestinzione del debito e, comunque, fino alladata di dicembre 2011. Qualora in tale datanon fosse stato recuperato il pagamento delsaldo, dovrà essere versato direttamente dalpensionato, mediante il modello F24, entroil 15 gennaio 2012. Affinché gli effetti delconguaglio non siano particolarmente pe-nalizzanti, è stabilito che:• per i pensionati con un trattamentomensile (al netto di tutte le ritenute e le

La riforma delle pensioniIniziato alla Camera l’esame delle numerose proposte in materia

Lionello Pascone • Coordinatore NazionaleAssociazione Nazionale Polizia Penitenziaria [email protected]

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addizionali regionali e comunali)uguale o inferiore a euro 1.168,57 il de-bito sarà recuperato entro il limite dellatrattenuta di un quinto della pensione,fino a estinzione del debito e, comun-que, fino alla rata di dicembre, utiliz-zando anche l’importo della tredicesima;• per i pensionati con un importo mag-giore di euro 1.168,57 dalla rata dimarzo sarà assicurato il pagamento diun importo mensile di euro 934,86 ( ildoppio del trattamento minimo INPS)fino ad estinzione del debito e comun-que fino alla rata di dicembre, utiliz-zando anche l’importo della tredicesimaeccedente euro 934,86.

Nel caso, invece, di credito vantato dal pen-sionato ( nel prospetto indicato come ne-gativo) se questo è inferiore a euro1500,00 l’importo è stato restituito già nelmese di marzo nella rata di pensione, men-tre importi di credito maggiore, sarannorimborsati direttamente dalla competentesede INPDAP.

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Nelle fotol’ on.

MassimilianoFedriga

e, sopra pensionati

l 7 maggio 2011 in un ampia area della storica Scuola Navalemilitare di Venezia si è svolta la solenne cerimonia del giura-mento degli allievi del Corso Oceanus, alla presenza delle

massime Autorità militari, civili e religiose.La cerimonia ha assunto momenti toccanti, in alcuni passaggi deidiscorsi tenuti dagli oratori che si sono alternati sul podio: in par-ticolare per la vita militare, i valori della stessa, la convinzione diservire la patria con onore.Al termine della cerimonia i reparti e le associazioni, tra cuil’A.N.P.Pe., hanno lasciato il luogo della cerimonia sfilando, allapresenza delle Autorità e familiari degli allievi, a passo di musicadel complesso della Marina Militare. •

Venezia: l’ ANPPe tra i cadettidella Marina

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N. 184 • maggio 2011 • pag. 17Polizia Penitenziaria • SG&S

Il 9 maggio 2011 si è svolta la com-memorazione in memoria delle vit-time della strage del 9 e 10 maggio

1974 nel carcere di Alessandria.La sezione locale dell’Associazione ha par-tecipato con una sua delegazione.

Cav. Antonio Aloia

olontari dell’Associazione NazionalePolizia Penitenziaria, unitamente al-l’Associazione Nazionale Carabinieri

vigilano sul centro storico di Gulianova.L’iniziativa è stata adottata per incrementarela sicurezza per i cittadini e dare un puntodi riferimento a cui rivolgersi in caso di ne-cessità. Il servizio dei membri dell’Associa-zione, molto apprezzato dai giuliesi,servono per segnalare gli eventuali disser-vizi ed atti illeciti che hanno luogo nel cen-tro storico. Claudio Amatucci

resso la Sezione Locale dell’Associa-zione Nazionale Polizia Penitenziariadi Reggio Calabria, gli allievi del

163° corso, nella fase on the job , accom-pagnati dal proprio trainer, l’Ispettorecapo Daniele Piras, hanno incontrato al-cuni soci insieme al Segretario LocaleFranco Denisi, il quale ha illustrato agli al-lievi provenienti dalla scuola di San Pietrodi Clarenza di Catania la composizione,l’organizzazione e le attribuzioni dell’Asso-ciazione, con i quali hanno condiviso coninteresse le diverse esperienze storiche.Alla presenza del Vice Direttore dell’Istitutoreggino, Dott.ssa Chirico, che ha curato lepresentazioni, si è sviluppato un confrontofra tre generazioni che ha evidenziato l’evo-luzione del Corpo di Polizia Penitenziaria,anche attraverso divertenti aneddoti, susci-tando curiosità, interesse e partecipazioneda parte dei futuri Agenti del Corpo di Po-lizia Penitenziaria.

Reggio Calabria:l’ANPPe ospita gliallievi on the job

a sezione ANPPe di Reggio Calabria,su invito del Questore del capoluogocalabrese, ha partecipato al 159°

Annuale della Polizia di Stato. La cerimoniasi è svolta nella splendida località di Scilla,all’interno del castello medioevale dei Ruffodi Calabria. Nelle foto i nostri rappresen-tanti durante la manifestazione.

Franco Denisi

Reggio Calabria: l’ ANPPe alla Festadella Polizia Stato

Alessandria: l’ ANPPealla cerimonia per le vittime della rivolta del 1974

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Giulianova: vigilanza in centro

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N. 184 • maggio 2011 • pag. 18Polizia Penitenziaria • SG&S

Roma: l’ ANNPe algiuramento deinuovi Commissaridel Corpo

Venezia: l’ ANPPe ai festeggiamenti per i 150 anni dellaUnità d’Italia

i è svolta a Venezia il 17 marzo 2011,la celebrazione del 150° anniversa-rio dell’Unità d’Italia.

Per l’occasione, in una Piazza San Marcogremita da una folla di circa tremila per-sone, tra turisti incuriositi, cittadini italianie veneziani in particolare; tutti accorsi peressere partecipi del grande evento, eranopresenti, inoltre, tutte le più alte Autoritàcivili e militari della città.Un picchetto interforze (Esercito, MarinaMilitare e Carabinieri), con il fantastico sup-porto della Fanfara dei Bersaglieri, è statopassato in rassegna dal Prefetto di VeneziaDott.ssa. Luciana Lamorgese, accompagnatodal Comandante del Presidio Militare Vene-ziano Generale di Brigata Stefano Orti.Subito dopo, gli stessi, passavano in rasse-gna lo schieramento dell’AssoArma compo-sto da molteplici associazioni d’Arma ecombattentistiche tra le quali figurava la no-stra Associazione, tutte con il rispettivo La-baro.Dopo l’alzabandiera e l’inno nazionale ita-liano, cantato da tutti presenti davanti alpalco delle Autorità, si è esibita la Fanfaradei Bersaglieri suonando alcuni brani delCorpo ed infine, l’inno di Mameli. All’atto della loro uscita dalla piazza, al ter-mine della cerimonia, sono sfilati tra due fe-stanti ali di folla che tra gli sventolii ditricolori e gridando Italia! Italia!, li accla-mavano per il loro caratteristico celerepasso, suonando la prescritta marcetta.

Filomeno Porcelluzzi

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n ricco calendario di eventi e ce-lebrazioni per i 150 anni dell’Unitàd’Italia, quello messo a punto dal

Comune di Venezia. Un cartellone degno della città che ha datoi natali a Daniele Manin. Nel contesto delle celebrazioni, l’Associa-zione Nazionale Polizia Penitenziaria - Se-zione di Venezia - mercoledì 16 pressol’Hotel Ambasciatori di Mestre si univa condegna cerimonia al ricco programma giàprevisto.Eugenio Montale chiude una poesia delleoccasioni con il verso: Occorrono troppevite per farne una, con questo spiritol’ANPPe, festeggiava il 150° Anniversariodell’Unità Nazionale, perchè solo guar-dando al passato, scopriremo quanto siagrande l’eredità etica di coraggio e fiduciaalla quale possiamo ancora attingere.La serata era anche l’occasione per racco-gliere fondi per aiutare Niccolò, figlio diun poliziotto, che deve recarsi in Americaper un’intervento al cervello per il qualeoccorrono 100.000 euro; l’iniziativa, par-tita su scala nazionale, è promossa dallaFondazione Cielo Stellato, presieduta daLorenzo Conti, figlio del Sindaco di Fi-renze, vittima delle B.R.Durante la cerimonia sono state conse-gnate delle medaglie commemorative. Trai premiati la famiglia Vanzan (in memoriadi Matteo, il lagunare caduto in Iraq) el’Associazione Nazionale Polizia Peniten-ziaria - Sezione Venezia - per il proficuoimpegno nel sociale. La medaglia veniva ri-tirata dal locale Presidente Cav. VitantonioPetrelli, presenti alla serata l’Avv. BrunoCanelle e l’ Onorevole Giorgio Conte.Presenti anche rappresentanti di altre As-sociazioni d’Arma.

Filomeno Porcelluzzi

U

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l giorno 29 aprile, presso l’Istituto Su-periore di Studi penitenziari di Roma,si è svolto il giuramento dei nuovi

Commissari del Corpo di Polizia Peniten-ziaria. Alla manifestazione, erano presenti Mini-stro della Giustizia Angelino Alfano, il Capodel DAP Franco Ionta e il direttore del-l’ISSP Massimo De Pascalis, unitamente adaltri rappresentanti dell’Amministrazione.Durante la cerimonia sono stati resi glionori al Gonfalone dell’Associazione, ac-compagnato dal socio Silvano Di Poto.

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Reggio Calabria: Precetto Pasquale

ella foto la delegazione ANPPe diReggio Calabria che ha partecipatoal Precetto Pasquale.N •

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N. 184 • maggio 2011 • pag. 19Polizia Penitenziaria • SG&S

seguito del D.M. del 25 Febbraio2010 riguardo l’art.5 (Impiego edisponibilità) la Sezione di Rovigo,

nelle persone del Presidente Tramacere edel Vice Presidente Meloni, in data 21Aprile 2011 hanno avuto un incontropresso la C.C. di Rovigo con il Provvedi-tore dell’Amministrazione Penitenziariadel Triveneto dott. Bocchino.Il colloquio, molto cordiale, ha trattatol’impiego di alcuni Soci della Sezione perlo svolgimento di attività e incarichi di vo-lontariato nell’istituto rodigino, per l’assi-stenza e il sostegno dell’AmministrazionePenitenziaria. Al termine del confronto, lo

Ragusa: L’ ANPPe in servizio d’ordineper la visita del Ministro Alfanoalla città

l 9 aprile 2011, ha avuto luogo pressola Casa Circondariale di Benevento unariunione con gli iscritti all’A.N.P.Pe.

della provincia. E’ intervenuto il Coordina-tore Nazionale Lionello Pascone, unitamenteal Delegato Nazionale Giuseppe Cimino.Molto sentita è stata la partecipazione e si-gnificativo il confronto dialettico.Attualmente, nella città campana, l’Associa-zione ha una sede esterna all’istituto.

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Rovigo: L’ ANPPe alla Festa della Polizia’ANPPe (Associazione Nazionale Poli-zia Penitenziaria) sotto la tutela e il co-ordinamento del Ministero della

Giustizia della Sezione Provinciale di Ragusache collabora, con i suoi soci pensionati esimpatizzanti, con la omonima Associazionedi Volontariato, ha collaborato in ausilio allaPolizia Municipale in occasione della visitanella nostra città il 29 Aprile u.s. , del Ministrodella Giustizia On. Angelino Alfano che mi haespresso nei momenti concitati mentre an-dava via (scusate per la foto ma è stata scattataproprio in quei momenti) il suo apprezza-mento per il nostro impegno a tenere sempre,anche in quiescenza, alto lo spirito di Corpoche ci unisce ai colleghi in servizio.

Giovanni La Magra

stesso dott. Bocchino ha voluto visitare lasede della Sezione e l’adiacente Sala Con-gressi Marco Frezza complimentandosicon i Soci per la notevole attività svolta.La Sezione di Rovigo ha voluto ricordarela visita donando al Provveditore il gagliar-detto della Associazione. Alla Cerimonia hanno assistito la Direttricedella C.C. di Rovigo dott.ssa Paolini, il Co-mandante f.f. Zannarini, il CommissarioDAP dott.ssa Marinucci i Soci Garavello,Sessa, Frezza ed altri. Si ringraziano il Se-gretario Cav. Olianas e il Vice PresidenteMeloni. Cav. Roberto Tramacere

L n occasione della celebrazione del159° Anniversario della Polizia diStato di Rovigo, una ampia delega-

zione della Sezione A.N.P.Pe. del Capo-luogo Polesano è stata invitata allaCerimonia tenutasi in Piazza Vittorio Ema-nuele. Presenti tutte le più alte cariche Isti-tuzionali e Civili con tutte le Forze d’Armae Combattentistiche. Spettacolare la di-scesa di due Agenti della Polizia di Statodel Reparto Scalatori dal campanile atti-guo alla Piazza con corde e funi per la di-stesa di un ampio cartellone recantel’effige del Corpo. Un ringraziamento alQuestore di Rovigo Luigi De Matteo per l’in-vito alla spettacolare manifestazione.

Cav. Roberto Tramacere•

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Rovigo: accordocon l’amm.ne penitenziaria per l’attività di volontariato nell’istituto

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Benevento:il Coordinatore Nazionale Pasconeincontra i soci

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irriverente, quel Peppe Ledda che parlava sem-pre di calcio, di pesca e di caccia, possa averfatto un cosa del genere ?Evidentemente, quel Peppe Ledda allegro e spen-sierato, nascondeva invece un profondo senso didisagio, reprimeva dentro di se il mal di vivere,quel mal di vivere che ti fa sentire insopportabileanche un solo giorno di vita in più, quel mal divivere che ti fa decidere di farla finita.Io ti ricordo sul campo di calcetto, quando mifacevi arrabbiare perché non passavi mai lapalla; ti ricordo quando mi insegnavi qualchetrucco di pesca e mi raccontavi delle tue impreseal lago di Corbara.

Io ti ricordo in divisa, alla scuola di via di Brava. Io ti ricordoquando portavi le castagne.Io ti ricordo alle riunioni dei quadri sindacali, soprattutto quelleche finivano coi piedi sotto al tavolo...Io ti ricordo. E per questo tu per me non morirai mai. Ciao Peppe.

eppe Ledda era un ragazzo allegro, spen-sierato, con tanta voglia di vivere.Io l’ho conosciuto così, tanti anni fa,

quando arrivò all’ufficio disciplina del diparti-mento.Prima di lui ho conosciuto il padre, anche luiagente di custodia, anche lui bravissima per-sona. Non ho conosciuto, invece, il fratello Fau-sto, terzo Ledda nella Polizia Penitenziaria, inservizio come Peppe al carcere di Viterbo e che, posso presumere,è persona ammodo anche lui.Una sera, una domenica di maggio, la breve telefonata che ti dauna notizia incredibile, che ti informa di una cosa assurda da im-maginare, un evento irreale. Peppe Ledda non c’è più, PeppeLedda ha deciso di togliersi la vita.In servizio, in caserma, inuniforme. Con la pistola diordinanza, Peppe Ledda hamesso fine alla sua carrierae alla sua vita, contestual-mente.In una famiglia dove trepersone, padre e due figli,vestono la divisa della Poli-zia Penitenziaria, la scelta diPeppe di morire in uni-forme, non può essere ca-suale.Ma come è possibile chePeppe Ledda, quel PeppeLedda allegro, scanzonato e

In memoria diGiuseppe Ledda

inviate i vostri articoli [email protected]

N. 184 • maggio 2011 • pag. 20Polizia Penitenziaria • SG&S

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ell’ambito dell’attività formativa av-viata fin dal 2008, e destinata al per-sonale di Polizia Penitenziaria

prescelto per approfondire le proprie abi-lità comunicative e restituire poi le compe-tenze acquisite nell’ambito degli IstitutiPenali Minorili e Centri di Prima Acco-glienza, di tutta Italia, nei giorni 11, 12 e 13aprile 2011 si è svolto, presso l’Istituto Cen-trale di Formazione del Personale Minoriledi Roma, il seminario Competenze per unacomunicazione costruttiva, guidato dal-l’esperto olandese Robert Suvaal.

ralmente raggiunto dal-l’Italia rispetto, secondola sua esperienza, aglialtri paesi frequentati.Ciro Borrelli

Roma: attività di formazione per ilpersonale degli istituti minorili

L’occasione si è rivelata proficua per rive-dere insieme ai corsisti il percorso svoltofino ad ora ed affinare alcuni aspetti in vistadel completamento negli ultimi 5 IstitutiPenali d’ Italia. Il docente si è complimentato con ilgruppo di formatoridel Corpo di PoliziaPenitenziaria perl’alto livello profes-sionale dimostrato eper l’eccellente pro-filo formativo gene-

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el cortile dell’istituto superiore di Sudi Penitenziari diRoma, si è tenuto il giuramento di fine corso dei nuoviCommissari del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Alla manifestazione ha partecipato il Ministro della Giustizia An-gelino Alfano, unitamente al Sottosegretario Caliendo, al Capo delDAP Franco Ionta, al direttore dell’ISSP Massimo De Pascalis ealtri dirigenti dell’Amministrazione.Folta la rappresentanza dei parenti, visibilmente commossi, assie-pati ai margini della piazza d’armi.Suggestiva anche la Cerimonia del giuramento, declamata da trerappresentanti dei nuovi funzionari che si è conclusa con la sfilatadei Commissari sulle note della Banda del Corpo.Nelle foto alcune fasi della manifestazione.

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N. 184 • maggio 2011 • pag. 21Polizia Penitenziaria • SG&S

Roma: Cerimonia per ilgiuramento del II CorsoFunzionari della PoliziaPenitenziaria

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arissimi del SAPPe, vi scrivo sia per farvi i complimenti,sia per segnalare un fatto che penso

interessi molti che, come me, hanno dirittoalle ferie. Nel mese di marzo 2011 ho ma-turato 15 anni di servizio, contavo di fruiredurante l’anno di 37 giorni di congedo or-dinario, come previsto dalla norma. Però,mi sono accorto di non avere fatto i conticon l’interpretazione, del personale addettopresso l’ufficio servizi, che mi riconosce lamaggiorazione del periodo di ferie solo adecorrere dal 2012, poiché ho maturatol’anzianità di servizio durante l’anno so-lare. Che ne pensate?Distinti saluti.

Lettera firmata

Caro collega,la questione sottoposta ha dell’assurdo, ri-mango stupito dall’errata interpretazioneposta da un addetto ai lavori che “dovrebbe”essere ferrato in materia.Il diritto alle ferie è regolato da diverse fontia livello costituzionale, comunitario e nazio-nale. I lavoratori hanno diritto ad assentarsidal lavoro per un periodo di ferie annue re-tribuite la cui durata è stabilita dai contratticollettivi.L’irrinunciabilità del diritto alle ferie sancitadall’art. 36 della Costituzione è funzionale alrecupero delle energie psico-fisiche del lavo-ratore ed è strettamente connesso al piùampio diritto/dovere di tutela della sicurezzae della salute nei luoghi di lavoro.La ragione si chiarisce appena si collega dettaprevisione con l’art. 32 Cost. (diritto fonda-mentale alla salute), e con l’art. 35 Cost.(“laRepubblica tutela il lavoro”): il riposo an-nuale è, infatti, preposto al recupero psico-fisico delle energie lavorative del prestatoredi lavoro, allo sviluppo delle relazioni sociali,culturali e della personalità dell’individuo,così come garantito dagli artt. 2 e 3 della Co-stituzione, nell’interesse dello stesso datoredi lavoro a che il proprio personale si ristoridallo stress lavorativo per una migliore resaproduttiva successiva.La previsione costituzionale incide diretta-mente sul rapporto di lavoro, limitando i po-teri del datore di lavoro, senza peraltro fissareuna durata temporale del congedo annualegarantito.

zioni presso i seggi elettorali, i periodi di ri-chiamo alle armi, i periodi di congedo stra-ordinario per matrimonio concessiall’impiegato a norma del R.D.L. n. 1334 del1937).Durante il periodo di ferie al dipendentespetta la normale retribuzione, con esclusionedei compensi per prestazioni di lavoro stra-ordinario e delle indennità che non siano cor-risposte per dodici mensilità.Il congedo ordinario è di n.32 giorni lavora-tivi, con elevazione rispettivamente a n.37 e an.45 giorni per il personale con oltre 15 e 25anni di servizio (comprensivi in tutti e tre icasi dei due giorni già attribuiti a tale titolodalla legge 23.12.1977, n.937. Resta confer-mata, per tutti i dipendenti, l’attribuzione delle4 giornate di riposo secondo le modalità dicui alla già richiamata legge 937/77.In caso di distribuzione dell’orario settima-nale di lavoro su cinque giorni, il sabato èconsiderato, di norma, non lavorativo ed igiorni di congedo ordinario sopra citati sonoridotti rispettivamente a 28, 32, 39 giorni la-vorativi ed a 26 giorni lavorativi per i dipen-denti nei primi tre anni di servizio.Al personale di Polizia Penitenziaria, le gior-nate di congedo ordinario aggiuntivo previstedall’art. 14, c. 2, del D.P.R, 395/1995, sonoattribuite, per intero, nell’anno in cui è matu-rata la prevista anzianità (15° e /o 25° anno)di servizio nel Corpo, compreso il servizioprestato in qualità di agente ausiliario in ser-vizio di leva, a prescindere dal mese in cui ilsuddetto requisito è stato raggiunto.

Cordialmente.

Riferimenti normativi: art. 14 D.P.R. 395/95;circolare DAP 3426/5876 del 27/04/1996; let-tera circola DAP 0101432-2006 del21/03/2006.

Giurisprudenza: sentenza Corte Costituzionalen. 66/1963; sentenza Corte Costituzionale n.189 del 22/12/1980; sentenza Corte Costitu-zionale n. 543/1990; sentenza Corte di Cassa-zione sezioni unite n. 1947 del 23/02/1998;sentenza Corte di Cassazione n. 13860 del19/10/2000; sentenza Corte di Cassazione n.13980 del 24/10/2000; sentenza Corte di Cas-sazione n. 2569 del 21/02/2001; sentenzaCorte di Cassazione n. 14020 del 12/11/2001;sentenza Corte di Cassazione sezione lavoron. 15627 del 11/12/2001; sentenza Corte diCassazione n. 7451 del 21/05/2002; sentenzaCorte di Cassazione n. 15776 del 9/11/2002;sentenza Corte di Cassazione n. 20662/2005;sentenza Corte di Giustizia C-124/05; sentenzaCorte di Cassazione n. 10856 del 2006; sen-tenza Corte di Cassazione n. 2016/2006.

L’art. 2109 c.c. arricchisce e specifica il det-tato costituzionale: la determinazione delladurata delle ferie viene lasciata alla legge, allenorme corporative , agli usi ed equità. L’art. 10 del D. lgs. 66/2003 – novellato dalD. lgs. 213/2004 - si colloca come modellorafforzato della precedente normativa nazio-nale: recependo la direttiva 93/104/CE, essodà attuazione organica alla previsione comu-nitaria, in modo da assicurare una applica-zione uniforme della disciplina relativaall’organizzazione dell’orario di lavoro sututto il territorio nazionale. Invero, la nuovadisciplina delle ferie ha portata generale: ledisposizioni ivi contenute si estendono a tuttii lavoratori, a prescindere da settori e quali-fiche, travolgendo le varie disposizioni spe-ciali che ancora sopravvivevano nel nostroordinamento.Per quanto riguarda il diritto alle ferie si pre-cisa che ogni lavoratore ha diritto ad un pe-riodo annuale di ferie retribuite non inferiorea quattro settimane e non sostituibile dallarelativa indennità, salvo il caso di cessazionedel rapporto di lavoro.La legge determina il periodo minimo inde-rogabile di ferie ma è comunque fatta salval’autonomia negoziale dei contratti collettivi,laddove stabiliscano condizioni di miglior fa-vore per i lavoratori.La legge ovvero il contratto collettivo stabili-scono il periodo di ferie che deve essere ri-conosciuto al lavoratore per ogni anno diservizio prestato. L’anno di servizio valevoleai fini delle ferie (cd periodo di maturazione)può essere fatto coincidere con l’anno civile(1° gennaio/31 dicembre) ovvero con un pe-riodo di 12 mesi diversamente decorrente.La Corte costituzionale con sentenza n. 66 del1963 ha peraltro dichiarato l’illegittimità co-stituzionale dell’art. 2109 c.c. nella parte incui risulterebbe subordinare il diritto alleferie (ovvero all’indennità sostitutiva) al com-pimento di un anno di ininterrotto servizio. Ai fini della maturazione del diritto alle feriedevono essere computati tutti i periodi di ser-vizio, ivi compresi (convenzione OIL) i pe-riodi di assenza dal lavoro per motiviindipendenti dalla volontà del lavoratore (adesempio le assenze per malattia o infortu-nio). In particolare, sono da computare i pe-riodi di congedo per maternità e paternità, iperiodi di assenza per l’adempimento di fun-

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Decorrenza dell’aumento dei giorni di congedo ordinario in relazione

all’anzianità di servizio

Giovanni [email protected]

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The nex three days ricorda molto MatchPoint al quale strizza gli occhi più di unavolta. Nel complesso non si rimarrà delusi e gliultimi trenta minuti bastano a passar sopraalle prime due ore (davvero eccessive),alla noiosità della prima parte e ai troppiprestiti attinti un po’ a destra e a manca daopere precedenti. Per fortuna divertimento e imprevedibilitàsono garantiti alla fine e questi due ele-menti, specialmente quando il pubblico di-mentica in fretta e non guarda troppoindietro, bastano e avanzano affinchè il finegiustifichi i mezzi.

The next three days

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In alto la locandina

sotto alcunescene

del film

nel riquadroRussel Crowee Olivia Wilde

Regia: Paul HaggisSoggetto: Fred Cavayé, Guillaume LemansSceneggiatura: Paul Haggis Fotografia: Stéphane FontaineMontaggio: Jo FrancisScenografia: Laurence BennettArredamento: Linda Lee SuttonCostumi: Abigail MurrayMusiche: Danny ElfmanEffetti: Drew Jiritano, Mike Uguccioni, Asylum VFX, FuriousFX, RotoFactory, ProofProduzione: Olivier Delbosc, Paul Haggis, Marc Missonier,Michael Nozik e Eugénie Grandval per Fidélité Films, HWY61,LionsgateDistribuzione: MedusaPersonaggi ed Interpreti:John Brennan: Russell CroweLaura Brennan: Elizabeth BanksGeorge Brennan: Brian Dennehy

Tenente Nabulsi: Lennie JamesNicole: Olivia WildeLuke: Ty SimpkinsGrace Brennan: Helen CareyDamon Pennington: Liam NeesonMick Brennan: Michael BuieErit: Moran AtiasJenna: Remy NozikDavid: Jonathan TuckerMouss: RZA Detective Quinn: Jason BegheMike: Tyrone GiordanoBarney: Sean HuzeElaine: Nazanin BoniadiAlex: Kevin CorriganLyla: Lauren HaggisElizabeth Gesas: Leslie MerrillGenere: Fantathriller Durata: 122 minutiOrigine: USA, 2010

ohn e Laura Brennan (Russell Croweed Elizabeth Banks) sono una felicecoppia della borghesia nordameri-

cana. La bella favola familiare si infrange quandola donna viene condannata improvvisa-mente a vent’anni per omicidio. La dinamica del delitto non lascia alcunospiraglio per dimostrare l’innocenza delladonna, le frequenti visite in carcere del ma-rito e del figlio piccolo sembrano solo age-volare un progressivo allontanamento deitre, logorando l’unione dei rapporti conl’altro. John si rende conto allora che soltantoun’azione disperata potrebbe salvare al-meno in parte la situazione.Remake del meno noto Pour elle, il film sisegnala subito per il gradito ritorno allaregia di Paul Haggis, esploso al fianco diClint Eastwood come sceneggiatore di Mil-

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lion Dollar Baby e della convincente dop-pia versione su Iwo Jima - e si è consa-crato poi anche dietro la macchina dapresa col pluripremiato Crash. Quest’ultimo film di Haggis è forse il più si-mile all’ultima fatica del regista canadese,anche se sentimentalmente meno intenso,pur mantenendo un profilo drammatico ericco di azione inaspettata ma mai esage-rata, sia nel ritmo che nella frequenza. Lo stile continua a vivere d’exploit improv-visi e colpi di scena oltremodo numerosi,con l’obiettivo dichiarato di stupire e diver-tire lo spettatore nello sviluppo piuttosto li-neare della trama.Nonostante l’inizio sia piuttosto sotto tono,si percepisce subito il progressivo aumentodella tensione. La pazienza dello spettatore è premiata nelsecondo tempo, quando il coinvolgimentoarriva ad alti livelli senza inseguimenti al-l’ultimo respiro o melodrammi.Non si può non fare il tifo per chi è dispostoa barattare l’ultimo barlume di moralità perun po’ di felicità, così come è impossibileprevedere chi la spunterà alla fine.

a cura di Giovanni Battista De Blasis

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na successiva scorsa alle fotografiestoriche della prigione (e dellacronaca di una sanguinosa fuga,

finita male di un manipolo di prigionieribirmani...) ci permette di introdurci piùconsapevolmente alle tre stanze superiori,dove si fa abbondante uso di verosimili sta-tue di cera; sono esibiti reperti e varie armida taglio e da fuoco; vi sono agghiaccianti,emblematiche fotografie esplicative delle‘procedure’ seguite, nelle quali si descrivela disciplina della esecuzione della pena ca-pitale in Tailandia in tre diversi periodi cro-nologici.Nel periodo più antico (illustrato nellaprima stanza), terminato con la introdu-zione del codice penale del 1934, la penadi morte veniva eseguita mediante decapi-tazione del condannato, seduto a terra e le-gato ad una sorte di croce di legno; conl’intervento di tre incaricati addetti all’opera e l’uso a loro scelta di certe armispecializzate da taglio di vario tipo e fattura(e dai nomi piuttosto esotici, quali DaabHua Pla Lai, o Daab Pla Lam, o ancoraDaab Tudd). Questo, non prima di aver irrogato al po-veretto una terribile scarica di frustate, omeglio bastonate, di ben novanta colpi concanne, bastoni o fruste di rattan...Il Re Prajadhipok (Rama VII), più o menoobtorto collo –tenendo conto dei cambia-menti politici e sociali seguiti ai moti rivo-luzionari del 1932- iniziò un periodo diaperture e riforme di cui sostanzialmentela Tailandia odierna è diretta discendente efra l’altro dispose la sostituzione della‘morte per decapitazione’, con quella piùmoderna ed accettabile ‘per fucilazione’...La seconda stanza è dedicata alla spiega-zione delle metodiche di irrogazione diquesta seconda tipologia di pena assoluta,cioè per fucilazione, che dai dettagli ripor-tati si può agevolmente capire venisse pra-ticata con una certa umanità e pudore. Una comprensione non comune sia dei(probabili...) sentimenti del condannatoche di quelli dell’esecutore permea infatti

Oltre alle solite descrizioni della procedurada seguirsi nella pratica, vi sono varie fotoa colori che rappresentano la cronaca diun’esecuzione. Per probabili ragioni di pri-vacy, protezione, attualità e se vogliamoanche pudore, le fotografie sono - per cosìdire - mascherate con l’utilizzo di tecnicheed effetti digitali, ma si conservano suffi-cientemente adatte alla narrazione del tristemomento. Oltre a ciò, quasi a simboleggiare l’inutilitàdi ulteriori esposizioni, nella stanza vi è ununico articolo: il lettino speciale a cui è le-gato il condannato al momento dell’esecu-zione, che con le sue cinghie penzolanti edi bracci metallici di sostegno aperti, da solirendono l’atmosfera particolarmente em-blematica e significativa.Uscendo dal primo edificio, si può passareimmediatamente a dare un’occhiata alla vi-cina esposizione e vendita di vari articoli diartigianato che i detenuti tuttora produ-cono, principalmente oggetti di arreda-mento di bamboo e rattan; oppure passaredirettamente alla visita di quello che erauno dei padiglioni restrittivi veri e propri.

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Una visita al Corrections Museum •2•Kook Kao: la vecchia prigione di Bangkok

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Nelle fotogli allesti-

menti delle stanze del

museoe, nell’altra

pagina,antichimetodi

di punizione

la scena dell’esecuzione, pur nel rispettoper le altre esigenze pubblicistiche, sem-pre necessariamente presenti in tale tristecircostanza.In effetti, seguendo pedissequamente undecalogo ben precisato e descritto nelmuseo, scritto, formale, se vogliamo anchegarantista (per esempio, con la necessitàdi prendere le impronte digitali prima edopo l’esecuzione); alla presenza di dot-tori, magistrati e funzionari, la fucilazioneveniva effettuata con un fucile mitragliatoreimpiantato ad una postazione fissa ed il sin-golo esecutore mirava ad un bersaglio datiro a segno affisso ad una tenda, dietro laquale veniva fatto sedere il condannatobendato, di spalle e col cuore perfetta-mente in linea con il percorso di tiro.

Non manca l’angolo, ancorchè lungi dal ri-sultare apologetico, dedicato all’ultimoboia della prigione (the last gun execu-tioner: in senso tecnico, si capisce, senzanulla di etico-morale): Mr Chawalate Jaru-bun, che ci guarda un pò triste da una im-magine a colori su un lato della stanza, nonlontano dall’arma che probabilmente usavaper lavoro quando il dovere lo chiamava...Nella terza camera, veniamo portati al pe-riodo attuale, iniziato nella specie a dicem-bre 2003, nel quale la pena capitale vieneeseguita mediante iniezione letale, contutti i crismi, metodiche e garanzie comuniai Paesi moderni che la prevedono e lapraticano.

di Freddy [email protected]

LA PRIMA PARTEDELL’ARTICOLO E’STATA PUBBLICATASUL NUMERO 1834/2011 • PAGG.24-25

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Attualmente, la palazzina recentemente di-pinta e ben conservata, che insiste ai mar-gini del parco, al lato della strada sempretroppo frequentata dal traffico motorizzatodi Bangkok, nella sua apparente modernitàed asetticità non risulta particolarmentesuggestiva e se non fosse per tutta unaserie di grosse sbarre che coprono tutte leaperture, dall’esterno si direbbe piuttostoun piccolo condominio residenziale.L’aspetto interessante del padiglione è co-munque la visita all’interno, ai suoi duepiani di celle, con la possibilità d’essere ac-compagnati da una delle guide museali chein precedenza avevano prestato serviziocome agenti, nella speranza che vi sia conloro una qualche occasione di interazionelinguistica e quindi maggior compren-sione delle evidenze esposte.Ad ogni modo, all’esterno di ogni vano cisono delle placche d’ottone bilingui(thai/inglese), che fungono egregiamenteallo scopo d’illustrazione dell’ambientecarcerario delle varie epoche, che conl’aiuto di molte statue di cera e di vari re-perti viene ricostruito in ogni cella.Così, la rappresentazione della vita d’istituto(si badi però bene, sostanzialmente solodal punto di vista del trattamento del dete-nuto) è ben resa, con l’esposizione di moltidegli articoli già visti nel primo edificio, infoto e pitture. Gli antichi metodi di punizione e i varimetodi di costrizione in generale, con l’au-silio dei manichini e dei vari artefatti, nel-l’ambiente nel quale venivanoconcretamente praticati, risorgono quasi aduna sorta di nuova vita.Delle varie scene proposte, che rappresen-tano metodiche che nella nostra epoca nonavremmo difficoltà a catalogare quali veree proprie torture, alcune colpiscono mag-giormente la nostra attenzione e meritanouna breve descrizione.Il primo da menzionare è probabilmente ilBed Lek: un tremendo strumento usato sindal XV secolo, un grosso uncino posizio-nato sotto il collo del punito, il quale venivasollevato fino a che egli rimaneva con tuttoil peso del corpo sulle sue dita dei piedi,abolito col codice penale del 1908.Qualcosa di più leggero era invece la pra-tica del Mai Kha Yang, che, ancorché pra-ticata con metodo diverso (dove qui ilsoggetto emerge con la testa da una gab-

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Una sorta di crudele e pe-noso zorbing (sportestremo, inventato inNuova Zelanda, che pre-vede la discesa da una al-tura, chiusi in una palla,trasparente ed ammortiz-zata, ovviamente senzachiodi e con tutte le garan-zie), ante-litteram…Nel padiglione, poi, a sod-disfare esigenze uguali aquelle attuali d’istituto, in-telligente ed interessanteappare la soluzione mec-canica incentrata su un si-stema di leveraggi, checonsentiva l’apertura dellecelle dieci alla volta; inge-gnoso, funzionale ed eco-nomico...

Alla fine della visita,quindi, che dire: chequesto museo, che nonvuole avere pretesed’ambizione particolare,pur mancando di toccarele corde più profondedella sensibilità estetica,probabilmente per lascelta di presentarlo piùnei suoi obiettivi pedago-gici e memorialistici, chedi ricostruzione d’am-biente della realtà, nellasua profonda essenza edatmosfera (aspetto d’am-biente che si ritrova in-vece maggiormente in altrimusei omologhi, quale peresempio nella ex prigionedel Kgb a Vilnius, Litua-nia), assolve bene ai suoicompiti di testimonianzadella storia e riesce inveroa provocare ed istruire, farriflettere e dimostrare...In definitiva, il tour è co-munque istruttivo ed ilcommento usuale che sirintraccia sul libro dei vi-sitatori è... «prometto dicomportarmi bene...». Quanto basta, secondonoi... continua

bia) era sostanzialmente la gogna in pub-blico, la cui memoria non è del tutto scom-parsa nemmeno nel nostro Paese...Si torna a qualcosa di molto più doloroso,quando si capisce che per secoli (sempredal periodo della legge marziale dell’era diAyudthaya, dall’inizio del ‘400, con succes-siva abolizione nel 1908), veniva praticatala punizione di infilare a mazzate deichiodi di legno duro nelle dita delle mani,proprio sotto le unghie, per un dolore per-petuo, incredibile ma non letale (abbiamocomunque imparato, da una visita al WarRemnants Museum di Saigon, noto anchecome museo dei crimini di guerra cinesied americani, che tale ‘pratica’ pare fosseampiamente usata anche in Vietnam, alcampo di concentramento sull’isola di PhuQuoc, che deteneva migliaia di Vietcong,non molto tempo fa...).

Semplice, forse anche un po’ ingegnoso masicuramente doloroso e persuasivo (ter-mine appropriato, visto che era usato perconvincere qualcuno a confessare) era unpeculiare strumento di pressione delle tem-pie, certamente degno di quelli usati dagliorganismi inquirenti medievali (e non solodell’Inquisizione per antonomasia) in Eu-ropa: una sorta di compasso di legno, nelquale veniva infilata la testa del soggetto, poistretta progressivamente nei due bracci dellostrumento, in prossimità delle tempie...Ma il supplizio per noi più esotico, certo ilpiù singolare ed anche significativo, arrivacol nome di Takrow: uno strano stru-mento, una grande palla di fasci di rattan,con molti chiodi acuminati all’interno,nella quale il poveretto veniva rinchiusoalla stregua di un contorsionista. Il palloneveniva poi sbattuto violentemente di qua edi là da un elefante... •

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on riferimento alla periodica divulgazione, attraverso imass media, di immagini e commenti relativi agli OspedaliPsichiatrici Giudiziari italiani (occasioni in cui, per altro,

del tutto assente rimane la voce di chi vi lavora da anni fra straor-dinarie difficoltà e nell’assoluto oblìo da parte della cosiddettasocietà civile) sia consentito l’esercizio di un modesto, ma fermo,diritto di tribuna, onde poter formulare alcune doverose consi-derazioni.Gli O.P.G. che insistono sui territori di Napoli, Aversa, MontelupoFiorentino, Reggio Emilia e Barcellona PG vivono da anni unafase particolarmente difficile e di assoluta precarietà. Ciò essen-zialmente per le seguenti ragioni;

• L’aumento drammatico, ed ap-parentemente inarrestabile, delnumero dei ricoverati (sia deiprosciolti per incapacità di in-tendere e volere sia dei detenutitrasferiti dal carcere in OPG perdisturbi psichiatrici sopravve-nuti nel corso della pena deten-tiva) che ha raggiunto la cifracomplessiva di 1540 presenzecontro i 1250 di alcuni anni ad-dietro; • la sincronica, rilevante ridu-

zione del personale, che ha compromesso, soprattutto, lo svolgi-mento delle attività trattamentali intramoeniali (attività alcuni anniaddietro particolarmente numerose e significative e che, per altro,si giovavano dell’apporto di un volontariato folto e motivato) cre-ando ulteriori problemi nella gestione quotidiana dei pazienti. • il ritardo (colpevole e foriero di notevoli scompensi nel tratta-mento dei soggetti ricoverati e -quindi- nell’allestimento dei pro-getti di dimissione individualizzati) della Regione Sicilia nelrecepire il DPCM del 1 aprile 2008 che prevede il passaggio dellasanità penitenziaria al SSN.La perdurante difficoltà nel rendere effettivi i bacini d’utenza,stabiliti in seno alla Conferenza Stato - Regioni, i quali, di fatto,dovrebbero accogliere i ricoverati degli O.P.G. secondo prove-nienza geografica (territorializzazione delle pene e delle misuredi sicurezza!);• la davvero frustrante difficoltà a dimettere i soggetti che si tro-vano nella condizione di proroga della misura di sicurezza. Av-viene, di fatto, che a misura di sicurezza ultimata manchi, per moltidei pazienti, la ricettività da parte dei presidi sanitari territorialicompetenti, situazione che induce la Magistratura di Sorveglianzaa prorogare la durata della permanenza in O.P.G. anche per diversianni (e si tenga,inoltre, conto del fatto che una percentuale pros-sima al 50% dei soggetti che si è riusciti, pur tuttavia, a dimetteretornano inesorabilmente in O.P.G. nel giro di pochi mesi); • la presenza, impropria ed inquietante, di moltissimi ricoverati

sottoposti al regime di misura di sicurezza provvisoria che, poten-zialmente, potrebbero essere innocenti e che, invece, rimangonosvariati anni in O.P.G. in attesa che la giustizia (?!) faccia, final-mente, il suo corso;• la scarsa osservanza delle indicazioni e delle sollecitazioni dellaCorte Costituzionale del 2003 e del 2004 che invitano, soprattuttola Magistratura, a considerare la malattia mentale come fenomenoda curare adeguatamente e non già da rinchiudere e da tenereprolungatamente emarginata;• l’ingravescente (per molti aspetti annichilente) scarsità di ri-sorse economiche su tutti i capitoli di bilancio (fino al 60% inmeno delle disponibilità a fronte del menzionato massivo aumentodei ricoverati) che impedisce l’espletamento di pulizie adeguateda parte dei detenuti/internati lavoranti (non v’ è possibilità, negliistituti penitenziari, di fare ricorso a ditte esterne), la manuten-zione degli ambienti di degenza, l’esecuzione dei lavori di ristrut-turazione che sarebbero necessari,l’adeguamento delle risorse(professionali, farmacologiche, strumentali) di novero sanitarioche dovrebbero essere rese congrue con la mission istituzionalela quale dovrebbe,a sua volta, tendere alla realizzazione di stan-dards prossimi a quelli ospedalieri(!).Tutto quanto sopra argomentato non trova in alcun modo cittadi-nanza nel discorso,fin qui unidirezionale e meramente scandali-stico, sugli O.P.G. dei quali continua ad ignorarsi,di fatto, la storia,l’organizzazione, il loro essere parte integrante del sistema penaledi questo Paese, i tanti progetti che (nati dalla collaborazione fraAmministrazione Penitenziaria, le organizzazioni della società civilie del volontariato, le Istituzioni locali) ambiscono a superare nelconcreto, attraverso prassi virtuose, questi contenitori vieppiùdrammaticamente affollati e di difficilissima conduzione a cagionedella richiamata povertà di risorse, per approdare ad una modalitàdi affrontamento della questione psichiatrico-giudiziaria davveroalternativa laddove tarda da anni, e non certo per responsabilitàdi chi dirige od opera a vario titolo all’interno di queste realtà, aconcepirsi un condiviso iter di radicale riforma che appare quantomai urgente e necessario.E’, in definitiva, tutto il personale, che da anni - per altro - formulaattraverso i propri dirigenti proposte di forte innovazione del si-stema delle misure di sicurezza detentive, a chiedere un confrontoa più voci rivendicando chiarezza circa il futuro delle controversestrutture asilari psichiatrico-giudiziarie ed un’attenzione da partedell’interlocutore politico, nazionale e regionale, che è sempresostanzialmente mancato finchè situazioni da molti anni in preca-rio equilibrio sono (come tante volte segnalato in termini di ri-schio crescente da parte dei dirigenti degli Ospedali PsichiatriciGiudiziari ) fatalmente implose nella morsa inesorabile della crisiavvilente di tutte le risorse disponibili e dell’iperaffollamento dellestrutture suscitando il classico clamore mediatico che speriamosi possa (e si sappia) tradurre in occasione di autentico cambia-mento.

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Ospedali Psichiatrici GiudiziariL’attuale situazione italiana

Vito [email protected]

N. 184 • maggio 2011 • pag. 28Polizia Penitenziaria • SG&S

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Luca PasqualoniSegretario Nazionale ANFU

[email protected]

a notizia di alcuni colleghi raggiuntida provvedimenti cautelari personaliin relazione a presunti reati stru-

mentalmente connessi, offre lo spunto peralcune riflessioni di carattere più generalesull’Autorità Giudiziaria.Nell’invocare per i colleghi il principio dellapresunzione di innocenza fino alla sentenzadefinitiva, si deve constatare come tale su-premo principio non impedisca alla stampadi effettuare veri e propri linciaggi media-tici per chi, non solo sia raggiunto da mi-sure cautelari, ma anche piùsemplicemente per chi riceva un avviso digaranzia, gettandolo in pasto al pubblico lu-dibrio: il segreto istruttorio continua, evi-dentemente, ad essere ridotto a merosimulacro. Eppure, i tanti ed eclatanti errori giudiziaridovrebbero ammonire ed arginare le spintemassimaliste e giustizialiste. Emblematica,senza scomodare il caso Tortora e senzaandare troppo a ritroso negli anni, è la no-tizia di qualche mese or sono di una stra-niera rumena condannata in primo gradoper omicidio e scarcerata in appello, pernon aver commesso il fatto, dopo tre annidi carcere, a seguito di una nuova periziamedico-legale che ha sconfessato quellaesperita in primo grado.Parimenti, è notizia di qualche settimana fadi un ragazzo assolto dalla Corte di Appellodi Torino, per non aver commesso il fatto,per il delitto salito alle cronache giornali-stiche come il delitto del ferro da stiro,dopo quattro anni e mezzo di carcere. Lanotizia è stata talmente sconcertante che igiornali gli hanno dedicato appena un tra-filetto: la stessa laconicità non fu profusaquando fu arrestato.Oggi, il nostro codice di procedura penaleprevede, per fortuna, l’istituto della ingiustadetenzione che consente a chi sia stato in-debitamente condannato di richiedere alloStato, e non al magistrato che ha errato, ilrisarcimento del danno: non credo, tuttavia,che anche solo un giorno di ingiusta deten-zione vissuto quindi da innocente, possaessere compensato unicamente con ilmetro della pecunia. All’uopo, forse, occorrerebbe valutare l’in-troduzione, a titolo di colpa, di una auto-

una violazione evidente del diritto da partedi un magistrato non riconducibile alla suacolpa grave, è quello in cui il giudice l’abbiacommessa con dolo.Nondimeno, sia il dolo che la colpa gravesono già contemplati dall’attuale assettonormativo che, dunque, non verrebbe af-fatto modificato dalla nuova norma.Siamo di fronte, pertanto, ad un potere ir-responsabile nell’accezione tecnica del ter-mine, che rasenta il paradosso, dalmomento che coloro che sono chiamatiistituzionalmente ad accertare ed affermarela responsabilità penale, civile, amministra-tiva e tributaria dei cittadini, si sottraggonoa forme di responsabilità reale, se non fosseper quella disciplinare che trova tuttavia ilsuo limite nel carattere autoreferenziale delgiudizio, trattandosi di una forma partico-

lare di autodichia affidata, per l’appunto,al Consiglio Superiore della Magistratura.Parimenti, la tanto invocata responsabilitàcivile del giudice rischia di essere annac-quata da una giurisdizione pur sempre do-mestica, dal momento che ad affermare laresponsabilità dei giudici saranno chiamatialtri giudici, senza considerare che non visarà magistrato che non sottoscriverà, al ri-guardo, una polizza assicurativa che lo mal-levi economicamente da una eventuale,quanto remota, condanna in tal senso. Pertanto, appare davvero difficile che il po-tere giudiziario, e segnatamente la Corte diCassazione, delinei, con gli stessi celeritempi, una impalcatura giuridica analoga aquella enucleata per la responsabilità pro-fessionale del medico, dal momento chetale opera di progressiva definizione po-trebbe incontrare un attrito di tipo corpo-rativo connaturale ad ogni categoriastrutturalmente organizzata e costituzional-mente presidiata, come è l’ordine giudi-ziario.

noma fattispecie di reato proprio, in cui larilevanza penale consegua, in ragione delgrado assunto dalla colpa, all’ingiusta de-tenzione ove questa risulti correlata ad er-rori eziologicamente riconducibiliall’attività del magistrato, ancorché mediatada pareri a competenza tecnico-speciali-stica, rimanendo lo stesso magistrato,anche in questo caso, ludex peritus peri-torum, senza che ciò appaia come una in-vereconda empietà.Del resto, l’istituto della responsabilità ci-vile dei magistrati, disciplinato organica-mente dalla legge del 13 aprile 1988, n.117 che, passando attraverso il referendumdell’8 e 9 novembre 1987, nasceva da pro-fonde tensioni e da un iter parlamentare al-quanto complesso, non ha dato i fruttisperati.La suddetta normativa mirava a porre ri-medio, non soltanto ad alcune carenze og-gettive ed aspetti patologici del sistemagiudiziario (casi di denegata giustizia, ini-ziative giudiziarie spesso avventate, prota-gonismo di alcuni magistrati, forme diaccanimento giudiziario, narcisismo per-sonale e finanche di onnipotenza) quanto,forse e per lo più, in una strategia che coin-volse tutte le forze politiche del tempo, conl’obiettivo primario di definire il ruolo delgiudice, specialmente nei rapporti con glialtri poteri.Tuttavia, a distanza di più di venti anni,quella legge è rimasta pressoché letteramorta esigendo una negligenza tanto ma-croscopica quanto inescusabile da rima-nere confinata nell’ambito dei buonipropositi, per questo oggi si sollecita, dapiù parti, una riforma in tal senso, cherenda effettiva la responsabilità civile deimagistrati, saldando la stessa anche, o sol-tanto, all’ipotesi di manifesta viola-zione del diritto.Se da un lato, l’intento perseguito è condi-visibile perché la responsabilità di un ma-gistrato che incorra in un’evidenteviolazione del diritto, non è diversa daquella del chirurgo che lasci il bisturi nel-l’addome del paziente, o dell’ingegnere cheometta gli adempimenti antisismici, dall’al-tro lato è pressoché inutile, visto chel’unico caso in cui si possa immaginare

L

Il potere giudiziarioPrimus inter pares?

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E’ appena il caso di sottolineare che, inquanto suddetto, non vi è alcuna intenzionedi delegittimare il potere giudiziario, delquale il sottoscritto ha fatto parte, anche sein forma onoraria, e verso cui ha ambito,si tratta semmai di affermare un principiogiuridico che connota o che dovrebbe con-notare uno Stato di diritto, poiché non pos-sono essere tollerate forme più o menovelate e, in alcuni casi, ingiustificate di im-punità in senso lato, sia a livello politico chegiurisdizionale, dissimulandone la validità,da un lato, dietro alla strumentalità del-l’azione penale allorquando assuma conno-tazioni esprimibili e riassumibili con lalocuzione latina del fumus persecutionise, dall’altro, dietro alle speciose argomen-tazioni legate all’intrinseca controvertibi-lità del materiale probatorio o dallaineliminabile esegesi delle norme: lontanaè l’utopia di Montesquieu del giudice ri-dotto alla mera bocca della Legge.Non a caso la recente proposta di legge pre-vede l’abolizione del secondo comma del-l’articolo 2 della Legge 117/1988, ai sensidel quale l’attività di interpretazione dinorme di diritto e quella di valutazione delfatto e delle prove posta in essere dal magi-strato nell’esercizio delle funzioni giudizia-rie non può a dar luogo a responsabilità.Analogamente, se la custodia cautelare incarcere deve essere l’extrema ratio, non sicomprende come mai una parte tutt’altroche irrilevante della popolazione ristretta èdetenuta a tale titolo: sarà, e il dubitativo èd’obbligo, che tale misura non venga per-cepita come tale da una parte dell’AutoritàGiudiziaria, che in costanza del tirocinio,propedeutico all’effettivo esercizio delle fun-zioni di giudicante o di inquirente, nonsvolge, come dovrebbe invece essere, alcunperiodo on the job presso gli Istituti peni-tenziari.Eppure, sarebbe sufficiente appena una set-timana per apprezzare il lavoro della PoliziaPenitenziaria, per comprendere a fondo ilsoffocante senso della privazione della li-bertà, le intricate dinamiche del carcere eil perché il legislatore assegni alla custodiacautelare, nell’ambito delle misure cautelaripersonali, il carattere residuale o piuttostoeccezionale. Concludiamo questo breve intervento, ri-chiamando, per così dire, l’aforisma di unDirettore che, a torto o a ragione, ricordasagacemente che oggi non vi è più l’avvisodi garanzia ma la garanzia dell’avviso.

Tuttavia è innegabile che, l’attenzione e ilfascino di conoscere chi abbia commessoun crimine o di scoprire i cold case sonoargomenti che oggi trovano enorme inte-resse tra la gente. Nelle pagine dei giornali affiorano, oramaiciclicamente, sempre più crimini a primavista inspiegabili portati a compimentocon efferatezza spesso inaudita e che pro-vocano, più che disapprovazione sociale,enorme curiosità; ciò tramuta le persone aseconda delle situazioni, in investigatori,criminologi e psicologi che immancabil-mente individuano, a seconda delle sim-patie o antipatie, chi è colpevole e chi èinnocente. Oramai gli italiani, grazie anchei mass-media, sono diventati un popolo diopinionisti del crimine. Ma perché affascina così tanto il crimine?Sociologi, psicologi e psichiatri hanno cer-cato di spiegare che vi è una sorta d’imme-desimazione con i personaggi che vivonosotto pressione, in pericolo, in ansia, cir-condati da disgrazie di tutti i tipi. Pare che la vita di tutti i giorni, fatta di abi-tudini, monotonia e del solito trantran, pro-duca la voglia di evadere. Alcuni sfogano questo bisogno in un hobby.Altri, invece, osservano in televisione, ap-prendono dai giornali o da internet le vitefasulle di protagonisti della cronaca. Solo che, in questo essere spettatori, pro-vano emozioni reali: «Allora è propriovero - urlò il Duca - che il crimine, di persé, può dare piacere, indipendentementeda ogni altra voluttà, un piacere suffi-ciente a gettarci nel delirio quanto leazioni lussuriose!» (François De Sade).Ma cos’è il crimine e chi è il criminale? E’ una domanda che a prima vista potrebbetrovare una semplice e banale risposta ri-prendendo una delle tante definizioni con-tenute in un testo giuridico o se vogliamoin un manuale di psicologia forense. Ma il crimine e i criminali rappresentanole due sfaccettature della stessa medaglia? Nel corso della storia sono state elaboratediverse teorie per spiegare la delinquenzae, quindi, i crimini e i criminali.

bbiamo ritenuto, considerata l’esca-lation di spettacolarizzazione deifatti criminosi degli ultimi tempi, di

riesumare una nostra vecchia rubrica diqualche anno fa. Rimodellandola, s’in-tende, e adeguandola ai giorni nostri conil proposito di offrire ai nostri lettori unacronistoria dei crimini più efferati e dei cri-minali maggiormente pericolosi che hannolasciato traccia, in negativo, nella cronacanera e nelle patrie galere. Riproponendoci,al contempo, di non sostituirci, perché si-curamente non all’altezza del compito, achi per professione e/o per accademia stu-dia questi fenomeni da un punto di vistascientifico. Questo, però, non vuol direnemmeno affrontare l’argomento in modofrivolo, come a volte è stato fatto negli ul-timi anni da qualche mass-media che, perfare audience, e quindi per vendere pub-blicità, ha impiantato negli studi televisiviveri e propri Tribunali alternativi; ripor-tando per settimane la propria ricostru-zione dei crimini - connotati da estremaefferatezza - fino alla noia proprio perché,in mancanza di elementi nuovi, debbonocomunque fare spettacolo, dimenticandospesso che dietro un crimine c’è sempreuna vittima. Senza parlare delle miriade di fiction tele-visive, a volte anche stravaganti, che trat-tano di crimini e che si prefiggono solo ditenere viva l’immaginazione degli spettatorie che solo marginalmente rispecchiano larealtà.

AIl fenomeno criminale

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Non si può, pertanto, prescindere da questeteorie per meglio comprendere la scienzacriminologica. Secondo il periodo storicole teorie hanno cercato di identificare par-ticolari tratti individuali e/o neuropsicolo-gici come fattori principali delladelinquenza, ma mai prescindendo dal fattoche il criminale è pur sempre un uomo equindi è possibile capire perché ha com-messo un crimine, le circostanze e le dina-miche. Nel corso del XIX secolo si sviluppò, dap-prima nel Regno Unito, la criminologiacome scienza autonoma che distinse due fi-loni: quello antropologico e quello socio-logico.Il primo finalizzato allo studio della perso-nalità del soggetto delinquente attraversol’analisi dei fattori organici e ambientali. Ilsecondo analizzando il crimine come feno-meno sociale, osservando l’episodio crimi-noso in relazione alle dinamiche dell’interasocietà in cui il criminale si trovava a com-piere i delitti. E’ grazie all’italiano Cesare Lombroso, con-siderato da molti il padre della criminolo-gia, che prende piede la teoria dell’uomodelinquente nato o atavico, individuo chereca nella struttura fisica i caratteri dege-nerativi che lo differenziano dall’uomo nor-male e socialmente inserito. Lombroso sostenne che le condotte atipi-che del delinquente o del genio sono con-dizionate, oltre che da elementi ambientalisocioeconomici, da fattori indipendentidalla volontà, come l’ereditarietà e le ma-lattie nervose, che diminuiscono la respon-sabilità del criminale giacché questi è inprimo luogo un malato. In particolare nell’opera L’uomo delin-quente, Lombroso, sostenne la tesi se-condo cui i comportamenti criminalisarebbero determinati da predisposizionidi natura fisiologica, i quali spesso si rive-lano anche esteriormente nella configura-zione anatomica del cranio. L’idea che la criminalità sia connessa a par-ticolari caratteristiche fisiche di una per-sona è molto antica: la si trova già, adesempio, nell’Iliade di Omero, nel cui libroII la devianza di Tersite è direttamente le-gata alla sua bruttezza fisica; le stesse leggidel Medioevo sancivano che se due persone

fossero state sospettate di un reato, delledue si sarebbe dovuta considerare colpe-vole la più deforme. Memore di questa tradizione, Lombrosoera convinto che la costituzione fisica erala più potente causa di criminalità: e, nellasua analisi, attribuì particolare importanzaal cranio. Nel novembre 1872 Lombroso sottoposead autopsia il cadavere di Giuseppe Villella,un brigante calabrese di 70 anni condan-nato tre volte per furto e incendio di unmulino, ostentatore di pratiche religiose,di cute oscura, tutto stortillato, morto pertisi, scorbuto e tifo nel carcere di Vigevano.Dall’esame autoptico condotto sul craniodi Villella (esposto al museo di antropolo-gia criminale di Torino), rilevò un’anoma-lia nella struttura cranica, una concavità afondo liscio localizzata nella zona dell’oc-cipite definita fossetta occipitale interna:«Alla vista di quella fossetta mi apparved’un tratto come una larga pianura

Pascquale SalemmeSegretario Nazionale del Sappe

[email protected]

N. 184 • maggio 2011 • pag. 31Polizia Penitenziaria • SG&S

Nella fotoCesare Lombroso

nell’altra paginala locandinadi una famosa serietelevisiva

sotto un infinito orizzonte, illuminato ilproblema della natura del delinquente,che doveva riprodurre ai nostri tempi icaratteri dell’uomo primitivo giù giùsino ai carnivori». La scoperta della fossetta convinse lo stu-dioso che l’anomalia non era presentenegli individui normali, ma solo nel craniodi pazzi e criminali ed era la prova che de-linquenti si nasce: pazzi, delinquenti, sel-vaggi, ominidi e specie estinte,comportamenti devianti, criminali o psi-chiatrici avevano quindi un’unica causaatavica (www.museounito.it). Lombroso considerò quindi questo cranio«il totem, il feticcio dell’antropologiacriminale». Successivamente, Lombrosomodificò in parte l’originaria e originaletesi dell’uomo delinquente. Oggigiorno nessuno potrebbe sostenere lavalidità scientifica delle teorie lombrosiane,ma era doveroso, per iniziare questa nuovarubrica, mostrare lo sforzo e la novità dellavoro di Lombroso che, partendo dal datobio-antropologico, ha aperto la strada adun approccio multifattoriale della crimino-logia che comprende anche aspetti sociali. L’opera di Lombroso, sia che la si guardisecondo una prospettiva rigorosamentestorica, o la si percepisca ancora presentenell’implicita sensibilità contemporaneadei media e dello scientismo divulgato, siattesta quale momento indicativo per chivoglia comprendere alcuni fra i più decisivinodi ideologici della cosiddetta modernitàche ancora ci tocca.Arrivederci al prossimo numero allor-quando cominceremo ad affrontare sin-goli crimini e singoli criminali.

Il cranio del brigante Giuseppe Villellaesposto nelmuseo di antropologiacriminale diTorino

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Per la fauna selvatica le leggi 968/1977 eL.152/1992 hanno stabilito che la faunaselvatica è entrata nel patrimonio indispo-nibile dello Stato. Gli automobilisti danneggiati dovrebberoperciò individuare nello Stato il soggetto re-

sponsabile dei sinistri. Ma non è così, perché la com-petenza sulla caccia è passataalle Regioni che a loro voltapossono delegarla alle Pro-vince. Dove tale delega è presente, larichiesta va fatta alla Provinciadel luogo del sinistro.La Cassazione di recente ha sta-bilito che spetta alle regioni ilcompito di predisporre le misureidonee ad evitare che la fauna sel-vatica arrechi danni a cose e per-sone, per cui la regione nerisponderebbe ai sensi del-l’art.2043 del codice civile.

Risolto (?!) il problema del destinatariodella richiesta di danni bisognerà provareche l’ente è responsabile e che alla suacondotta omissiva è riconducibile l’inci-dente.La solita Cassazione, dopo una serie di giu-dicati dei giudici di merito,ha stabilito chesussiste la responsabilità degli Enti prepostialla cura della fauna selvatica qualora nonabbiano adottato misure idonee ad evitaredanni. Non è quindi l’automobilista chedeve dimostrare la responsabilità dell’Entema è l’Ente che deve dimostrare di non avercolpa avendo adottato tutte le cautele ne-cessarie.In questo modo la palla è rimbalzata al sin-golo giudice di merito che di volta in volta,in base alla dinamica dei fatti ed alle proveprodotte dalle parti, valuterà la sussistenzao meno della responsabilità ed il conse-quenziale risarcimento danni.Per cautelarsi non resta che pagare qualcheeuro in più ed estendere la R.C.A. auto aidanni causati dalla fauna selvatica e,quando è possibile e la richiesta trova ac-coglimento in relazione all’entità dell’infor-tunio, telefonare alle forze dell’ordine peri rilievi e quant’altro di loro competenza.

* Avvocato, già Dirigente dell’Amministrazione

Penitenziaria

Per gli animali domestici (cani,gatti) perquelli da allevamento (bovini, ovini, pol-lame) e da lavoro (cavalli, asini) la respon-sabilità ricade sui proprietari ai sensidell’art.2052 del codice civile, perché aven-doli in uso sono responsabili dei danni daloro causati, anche se si tratta di animalismarriti o fuggiti e a meno che il proprieta-rio non provi di aver adottato tutte le misuredi custodia possibili, vanificate da un casofortuito. Per tutte le altre tipologie di ani-mali la strada del risarcimento è lunga econtroversa. Di norma il risarcimento va ri-chiesto all’ente gestore della strada (Stato,Regione, Provincia, Comune, Società Auto-strade) in un palleggiamento di responsa-bilità che porta ad un contenziosoimprevedibile. E’ da dire che non è respon-sabile l’ente gestore della strada che abbiaprovveduto ad installare ai bordi della car-reggiata, in numero sufficiente e visibile, icartelli segnaletici di pericolo (quello trian-golare bianco con bordi rossi che raffiguraun capriolo che salta). Più certa dovrebbeessere la richiesta di risarcimento alla So-cietà Autostrade che, attraverso il paga-mento del pedaggio,deve assicurare agliautomobilisti la massima garanzia di sicu-rezza e se non dimostra di aver recintatotutto la sede stradale che ha in concessioneincorre in evidente responsabilità.

di Aldo Maturo*[email protected]

N. 184 • maggio 2011 • pag. 32Polizia Penitenziaria • SG&S

n’apparizione improv-visa, la sterzata, legomme che stridono

sull’asfalto e poi l’impatto. Unascena ricorrente, a volte illu-minata dai fari che si staglianonella notte. Un animale giacesulla strada o nella cunetta,inerte.Superata la paura, rincuoratiper non aver subito dannialla persona, si scende pervedere bene cosa è suc-cesso. Gli occhi osservanoimpietositi la vittima innocente ma subitodopo lo sguardo va all’auto. Cofano ammac-cato, paraurti divelto, targa penzoloni, farofrantumato, mascherina spaccata. Sonotante le ipotesi e il pensiero è immediato.Chi ci ripaga i danni? Se è un animale do-mestico il pensiero corre al proprietario,ammesso che lo individuiamo. E se è un ani-male selvatico? Un capriolo, un cervo, unavolpe? E se è un cane randagio?Questo tipo di infortunio non è raro e rap-presenta il 3% degli incidenti stradali,spesso con un bilancio di morti e feriti (sta-volta mi riferisco agli automobilisti).Avviene in una fascia oraria del primo mat-tino o dopo il calar del sole. La frequenza ela tipologia è in relazione alla zona che siattraversa in auto e alla fauna residente, do-mestica o selvatica. Altro elemento è la ve-locità dell’auto in relazione al tipo di stradapercorsa. Le strade statali in genere consen-tono velocità maggiori, le comunali hannouna manutenzione generalmente meno cu-rata e consentono perciò velocità minori, leautostrade – per essere recintate – dovreb-bero fornire maggiori garanzie.In tutti i casi la richiesta di risarcimento èdifficile, onerosa, dispendiosa ed aleatoria.Non è facile per il danneggiato dimostrareche la collisione non è imputabile a lui e inogni caso dovrà dimostrare che i danni al-l’auto sono stati cagionati dall’animale in-vestito.

U

Vittime delle strada:Risarcimenti difficili e dispendiosi

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ono Jack Morgan, ex pilota deiMarines sopravvissuto per mira-colo a una missione in Afghani-

stan dalla quale molti dei mieicommilitoni e amici non sono tornati.Vivo a Los Angeles, dove dirigo la sedecentrale della Private Investigations,forse la migliore agenzia di investiga-zioni del mondo, quella alla quale ci sirivolge quando servono il massimo delladecisione e della discrezione.Giochiamo fuori dalle regole,abbiamo a che fare ognigiorno con i segreti dei perso-naggi più influenti del pianetae ci avvaliamo dei più mo-derni strumenti dell’indaginescientifica. E in questo modoabbiamo sempre vinto. Finora.Perché non bastava indagare suun caso di corruzione ai mas-simi livelli e su un assassino se-riale che a Los Angeles ha giàucciso dodici ragazzine e non in-tende fermarsi... C’è stato anche il bar-baro omicidio della moglie del miomiglior amico, la dolce e adorabile ShelbyCushman: un’esecuzione in stile ma-fioso, assolutamente incomprensibile peruna ragazza solare che non aveva nullada nascondere. Forse. Sono Jack Morgan,ex pilota dei Marines e porterò a casa lapelle anche questa volta.”

opera si articola in tre parti: • la prima inquadra il ruolo dellaPolizia Giudiziaria nel contesto delle

norme del vigente codice di procedura pe-nale; • la seconda procede ad una generale di-samina dell’attività di Polizia Giudiziarianell’ambito del procedimento penale; • la terza riguarda in modo specifico l’ap-plicazione degli istituti processuali, in pre-cedenza esaminati, al campo delle indaginimirate in materia ambientale. Al tempo stesso, però, si passano in rasse-gna, oltre alle principali discipline vigenti,tutte le innovazioni legislative, fino alle piùrecenti. L’opera,arricchita da unutilissimo formu-lario dei princi-pali atti di PoliziaGiudiziaria ed uncons iderevo lenumero di indi-cazioni prati-che, forniscequindi un sup-porto necessa-rio per quanti,già addetti ai lavori ochiamati a coordinare la stessa attività diPolizia Giudiziaria, vogliono far fronteall’esigenza di continuo aggiornamentoposta dalle incessanti modifiche del qua-dro normativo esistente. Questa decimaedizione è stata completamente aggiornata,anche nella sezione sulle indagini tenendoconto degli importanti interventi correttiviche hanno modificato il D.Lgs. 1526 (T.U.ambientale) nelle parti riguardanti leacque, i rifiuti e l’inquinamento atmosfericoe con le nuove diposizioni introdotte dallaLegge 201/2010 in tema di protezione deglianimali da compagnia.

N. 184 • maggio 2011 • pag. 33Polizia Penitenziaria • SG&S

rammatica: ecco la parola innomi-nabile e antipatica, che evoca pa-gine polverose e noiose, fìtte di

regole ferree, a volte inutili, a volte incom-prensibili, che sembrano inventate appostaper far passare la voglia di studiare. Sarà per questo che i ragazzi continuano a

infarcire di errori orto-grafici i temi di maturità,che adulti laureati co-stellano di svarioni i testdei concorsi, che i po-litici scivolano sui con-giuntivi nei discorsipubblici? E se è così, bisognaallora rassegnarsi aun linguaggio semprepiù approssimativo etrascurato? ValeriaDella Valle e Giu-

seppe Patota, da tempo impegnati a sman-tellare il modello di una linguainappuntabile ma astratta e inespressiva,proposto per molto tempo dalla scuola,presentano una grammatica tutta nuova: unpercorso fra articoli, preposizioni, nomi everbi che, mettendo da parte schemi, pre-scrizioni e divieti, racconta e spiega il per-ché delle regole e insegna i sempliciprincipi che permettono di sciogliere idubbi ed evitare le trappole più insidiose. Una guida amichevole, basata su esempitratti dalla comunicazione quotidiana,dalle espressioni usate nei giornali, in te-levisione, nei romanzi, nelle canzoni, neifilm. Un’occasione per avvicinarsi all’ap-passionante, avventurosa storia dell’italianoe per scoprire - una rivelazione davveroinaspettata! - il lato divertente della gram-matica.

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inviate le vostre lettere [email protected]

N. 184 • maggio 2011 • pag. 34Polizia Penitenziaria • SG&S

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il mondo dell’appuntato Caputo©

Berlusconi: «trasferirò i Dipartimenti dei Ministeri

a Milano»

(Se non riesci a spostare i Dirigenti dal DAP... sposta il Dipartimento da Roma)

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