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Editoriale SOLSTIZIO D’ESTATE

di Pippo Rampulla

hi vive immerso nella na-

tura sa che a primavera inoltrata arrivano le notti

tiepide che gli usignoli riempiono dei melodiosi canti trasportando i sensi verso un’estasi che pochi hanno la fortuna di conoscere.

In questi giorni, alle porte del Solstizio d’Estate, mi ritorna in mente un dialogo di un antico ri-tuale della nostra Tradizione che recita testualmente: “Considera il mondo in cui tu sei

stato posto ad arte, esamina quel-la catena d'amore che raccoglie e unisce tutti, in basso così come in alto; osserva come la feconda na-tura lavori con questo fine, un ato-mo che disegna un altro, e quello

disegnato ne disegna un altro, raffigura l’abbraccio del suo vici-no. Ecco la natura, diversificata in mille forme, pressando verso un centro comune per il bene genera-

le. Credi che Dio lavori solo per il tuo bene, per il tuo comodo, il tuo de-coro e il tuo nutrimento? Ciò è un motivo per darti arie e grazie!

E’ per te che gli uccelli cantano?

No, la gioia eccita il loro canto. E’ per te che l'usignolo pronuncia i suoi melodiosi accenti? No, è per amore. E’ per te solamente che il raccolto copre la terra? No, gli uccelli esi-

gono il loro grano. E’ per te solo che il cereale mostra un anno fertile? No, i meriti sono del bue per la sua arte per il suo lavoro. Osserva poi che tutta la natura è

partecipe della cura di Dio. Tale è la grande armonia del mon-do dalla cui unione ha origine l'or-dine generale e il concerto di tutte le cose. E’ così che il Supremo Architetto

dell'Universo e della Natura pre-scrive di perseguire l'amore di sé e l’amore sociale, ma in uno.» (1)

Il Solstizio d’Estate è uno dei quattro passaggi che segnano il tempo sacro, ovvero il tempo ci-

clico dell’Universo che possiamo considerare come il ritmo del re-spiro cosmico, come la perenne oscillazione vibratoria che dà la vita cosmica.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO:

Editoriale: Solstizio d’Estate pag. 3

Il simbolismo e la parola pag. 5 I numeri nella tradizione iniziatica pag. 10 Il mistero dei “Misteri Eleusini” pag. 18

La Crisopea o Pietra Filosofale pag. 24

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Il Solstizio d’Estate è uno dei mo-

menti in cui ci si trova al cospet-to della teofania in tutte le sue manifestazioni. I popoli antichi avevano maggiore propensione all’osservazione del-la Natura e, liberi dai retaggi del-

la moderna razionalità, contem-plavano e intuivano la sacralità di questi momenti. Osservavano il firmamento, il movimento degli astri, il diverso alternarsi di luce e buio, il susseguirsi di freddo e

caldo che portava il germoglio al frutto. La loro saggezza li portava a percepire oltre l’esteriorità delle cose e si identificavano nelle leggi che governano i fenomeni natu-rali. Quindi affiancavano ai lavori

stagionali una ritualità sacra che era propiziatoria al Solstizio d’Inverno e di gratitudine al Sol-stizio d’estate. Questa antica saggezza rimane nella memoria della tradizione i-

niziatica e così scrisse Rudolf Steiner: “Nel passaggio dalla pri-mavera all’estate lo spirito della natura si rivela al mondo. L’anima dell’uomo si riversa in ciò

che vive intorno, così egli diventa uno con tutto ciò che cresce, con ciò che germoglia e sboccia: fiori-sce insieme al fiore, germoglia con la pianta, fruttifica con l’albero.”(2)

Ma l’incremento del calore dei

raggi solari nella stagione estiva genera anche una forma di torpo-re nell’uomo, come un suadente abbandono all’edonismo, allora è il momento in cui agiscono le for-ze sulfuree scatenate da Ahrima-

ne ed è anche il momento in cui

l’Iniziato deve saper attraversare

la Porta Solstiziale rivolta verso l’alto e operare per neutralizzare le forze controiniziatiche.

Carme al Sole

Magnifico Signore,

sale a te, purificata dal desiderio dei tuoi raggi,

la fiamma del mio cuore. Tu che benignamente vivi in tutte

le creature, insegna pure a me, o Altissimo

Maestro, l’arte del tuo Amore. O unificatore per mezzo della luce, allontana da me le tenebre che di-

vidono, come divide la morte. Padre di ogni desio ardente,

da te nasce nelle cose la gioia di

vivere e le cose ti amano. O Sole,

generoso amico delle aquile, incantatore dei serpenti, animatore della notte, che Tu sia benedetto.

Che Tu sia benedetto. Che Tu sia benedetto

da tutti i misteri del cielo e della terra.

______________________________________ (1) Rituale di “Sublime Saggio delle Pi-

ramidi”.

(2) R. Steiner – Il corso dell’anno come

respiro della terra, Ed. Antroposofica.

Editoriale: SOLSTIZIO D’ESTATE

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enerabile Maestro, Di-

gnitari e Ufficiali, Fratel-li che ornate le colonne,

ringraziandovi per la vostra ospi-talità, permettetemi di entrare nel vivo del tema della Tornata di questa serata, per me straordina-

riamente interessante e coinvol-gente, in quanto mi offre l’oc-casione di confrontarmi con Mas-soni che rappresentano un ele-mento importante della storia massonica di questo nostro tra-

vagliato Paese. Una storia che ha visto agire da protagonisti l’amico e Fratello Giulio Mazzon, che è con noi in spirito e l’amico e Fratello Pa-squale, che è stato a lungo il vo-

stro Gran Maestro. Voglio qui ri-cordare anche il Fratello ed ami-co Pippo Rampulla, che guida con saggezza il Sovrano Santuario Italiano del Rito Antico e Primitivo

di Memphis-Misraïm - Filiazione Robert Ambelain.

La parola, il simbolo e l’azione del gettare

Uno dei più significativi compiti

della Massoneria è recuperare e custodire, attraverso la Tradizio-ne, i contenuti che l’Umanità ci ha trasmesso, con i miti, sin da-gli albori della sua esistenza e il linguaggio con il quale questi

contenuti sono stati espressi. Il linguaggio sequenziale, logico, è ben distante da quello dei miti, che è archetipico, simbolico, e-nigmatico. Il simbolo, dal greco symballein,

che significa “gettare insieme”, e-sprime un’idea vitale, di movi-mento e quell’«insieme» implica la compresenza di due o più elementi (significati), che pur di-

stinti convivono e si intrecciano. Il simbolo è pertanto vivo, vitale e complesso nei suoi molteplici si-gnificati. Quel “gettare” introduce uno de-

“IL SIMBOLISMO E LA PAROLA” Partecipazione alla Tornata

della RL Ferdinando Reddìti all’Oriente di Arezzo

di Silvano Danesi Ven.mo e Pot.mo GRAN MAESTRO

della SERENISSIMA GRAN LOGGIA NAZIONALE ITALIANA degli ALAM

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gli aspetti più significativi relativi

al linguaggio massonico, che im-plica l’ideare, il pro-gettare, ossia il gettare avanti e, appunto, il gettare insieme, che attiva la re-altà come dualità o pluralità rela-zionale, la quale non è mai dia-

ballein (ossia diabolica, divisa, separata), ma distinta nella ten-sione riunificante. Parola è in latino parabola, simi-litudine e in greco è paraballo,

gettare di lato, in quanto la paro-la, astrazione simbolica, è posta accanto all’oggetto o all’azione che rappresenta. Questo significato di gettare, sca-gliare, espresso dal verbo greco

ballo (βάλλω), che troviamo sia nel vocabolo simbolo, sia nel vo-cabolo parola, esprime quell’azio-ne manifestativa del Non Essere che entra nell’orizzonte dell’Esse-

re e che è ben espressa nel mito eliopolitano, ove lo sputo di Tum-Atum (Colui che è-Colui che non è) dà origine a Shu e Tefnut.

L’azione manifestativa del Logos

Azione manifestativa, quella di Tum-Atum che sorge come colli-na primordiale, della quale il Pro-

logo del Vangelo di Giovanni, con

il quale si aprono i Lavori delle Tornate nel Tempio massonico, ci fornisce la chiave di comprensio-ne. "In Arché era il Logos, e il Logos era presso il theon e il

theos era il Logos. Egli [il Logos] era in Arché presso il theon: tutto è stato fatto per mezzo di lui [il Logos], e senza di lui [il Logos] neppure u-

na delle cose create è stata fatta. In lui [il Logos] era la vita [zoè, e-nergia vitale universale] e la vita [zoé, energia vitale uni-versale] era la luce degli uomini; la luce splende fra le tenebre,

ma le tenebre non l'hanno ricevu-ta". Il Logos è parola che nomina e il nominare è determinare, circo-scrivere, realizzare, proiettare l’illimitato nel limite, ma il Logos

è anche e soprattutto relazione, e quindi getta insieme e, come è scritto nel Prologo, è théos, so-stantivo che deriva da theeîn, correre e theâsthai, vedere. Il Lo-

gos, essendo théos ci consegna l’idea di un procedere verso l’evidenza, di un continuo mani-festarsi, di un gettarsi senza so-sta.

Il Logos è l’Archè Tecton, l’Artefice dell’Arché, ossia l’azione con la quale l’Abisso insondabile proiet-ta, getta, scaglia enti oltre l’Essere, che si propone come o-

rizzonte degli eventi. Il simbolo, pertanto, in quanto e-sprimente l’azione del gettare in-

IL SIMBOLISMO E LA PAROLA

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sieme, non consente il rinchiu-

dersi nel limite dell’analisi, che separa e divide, ma induce alla relazione e alla sintesi ed ecco che allora il linguaggio simboli-co, la parola-simbolo, si pone come profondamente diversa da

quella del linguaggio logico se-quenziale e implica pertanto, da parte di chi intende penetrare nella complessità enigmatica del simbolo, un mutamento di forma mentis e un’acquisizione di fami-

liarità. Il simbolo, in quanto azione del gettare insieme, rinvia ogni signi-ficato all’ulteriorità, invita a pro-cedere verso l’origine, ossia dal Logos verso l’Archè, dall’orizzonte

degli eventi verso l’abisso infinito dal quale gli eventi sgorgano, in quanto progettati e gettati insie-me.

Il mito dell’arca perduta e la

parola originaria La parola ci riporta al mito dell’arca perduta, che non è una grande barca piena di piante e di animali, ma, come evidenzia il vocabolo ebraico tebah, tradotto malamente appunto con: arca è,

al contrario: “parola”, “linguag-gio”. L’arca perduta è pertanto un lin-guaggio perduto, del quale abbia-mo una chiave di interpretazione

“spezzata”, perché usiamo una forma mentis che non corrispon-de a quella di chi ha formulato quel linguaggio. E’ necessario, per ricomporre la chiave, utilizza-re l’intuizione, la ragione, lo stu-

dio, la conoscenza e, soprattutto

è necessario lasciare che un lam-po di luce (intelligenza) illumini il nostro cerebro e invada il nostro corpo e li apra al linguaggio origi-nario. Il percorso iniziatico implica il

cambiamento della nostra forma mentis.

I miti, i simboli e la scienza La parola dei simboli, e lo dico a voi che frequentate una ritualità che ha come riferimento l’antico

Egitto, è quella dei Neteru. Il Neter, come è a voi noto, non è un dio, ma un principio funzio-nale, un’energia in azione e il no-me del Neter è la funzione che es-

so incarna. Possiamo pertanto, dai vari Neteru, ricavare le ener-gie funzionali che rappresentano. La parola, ossia Thoth, la lingua di Ra, qui si fa scienza e, come

scrive Carlo Rovelli: “I miti si nu-trono di scienza e la scienza si nu-tre di miti”1, perché, come diceva

il saggio Eraclito: “Una sola è

la sapienza: conoscere la ragio-ne che governa tutte le cose at-traverso tutte le cose” (Fr.41). Conoscere il nome di un Neter si-gnifica conoscerne il principio funzionale. Pertanto, la cono-

scenza dei Neteru (plurale di Ne-ter) è scienza sacra: scienza er-metica. L’intera costruzione teologica, co-smologica, scientifica e iniziatica

egizia si basa sul concetto fonda-mentale di forze vitali, i cui prin-cipi divini sono i Neteru. Un’iscrizione sul soffitto del ceno-

IL SIMBOLISMO E LA PAROLA

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tafio di Seti I a Abydos narra:

“L’oscurità totale, sorgente degli dèi… Come la parte superiore di questo cielo esiste nell’oscurità to-tale, i limiti meridionale, setten-trionale, occidentale e orientale della quale sono ignoti, essendo

stati fissati nelle acque [Nun] nell’inerzia, non c’è la luce dell’Ariete [cioè di Amon Ra]: egli qui non compare, una regione in cui il sud, il nord, l’ovest e l’est non sono noti né agli dèi né agli

spiriti, non essendoci alcuna lu-ce”. 2

Il Nun è la tenebra, la potenziali-

tà di vita non realizzata dalla quale tutto pro-viene; è l’oceano

primordiale inerte, ma dotato di mani e di gambe, ossia di volontà (gambe) e di comunicazione rela-zionale (mani). Il Nun, così com’è raffigurato in un papiro riportan-te il Libro dei Morti, aprendo le

braccia, dà luogo (spazio-tempo)

al moto, raffigurato dalla Barca

della Luce: apre una bolla spazio temporale.

Il Nun e la fisica quantistica Il fisico Guido Tonelli scrive. “Dal vuoto possono emergere in conti-

nuazione coppie di particelle e an-tiparticelle, che dopo una brevissi-ma esistenza vengono restituite nello stato originario. Da questa condizione si sviluppa il fenomeno che ha portato alla nascita del no-

stro Universo. Succede qualcosa, cioè, in una di quelle minuscole fluttuazioni, che possiamo imma-ginare come minuscole bollici-ne di dimensioni assolutamen-te trascurabili, molto più piccole

dei nostri protoni. Ecco, una delle tante fluttuazioni, per un fenome-no che ancora presenta alcuni a-spetti oscuri, e che chiamiamo in-flazione cosmica, anziché richiu-dersi immediatamente e ritornare

allo stato di vuoto, comincia im-provvisamente a espandersi e as-sume di colpo dimensioni enormi (asimmetria). Nel tempo davvero ridicolo di 10-35 secondi la micro-scopica anomalia si gonfia fino a

diventare una cosa gigantesca, grande cento miliardi di miliardi di chilometri. Lo spazio-tempo si è espanso improvvisamente a una velocità spaventosa. Attenzione, il limite della velocità della luce (c)

vige quando lo spazio-tempo è già definito, cioè nulla si può muovere nello spazio-tempo a velocità su-periore a c. Ma se lo spazio-tempo si gonfia, in questo caso non ci so-no limiti di velocità, può crescere

IL SIMBOLISMO E LA PAROLA

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al ritmo più forsennato. C’è da di-

re che il fenomeno che ha fatto sì che la nostra bollicina si compor-tasse in una maniera molto diver-sa dalle altre non ha nulla di ma-gico. Si tratta di un meccanismo molto materiale, determinato da u-

na strana particella che chiamia-mo inflatone. Basta ipotizzare che essa, per puro caso, sia comparsa proprio nella particolare fluttuazio-ne del vuoto che ci interessa, e di colpo tutto diventa semplice”. 3

Chi è il responsabile dell’inflazio-ne cosmica? Gli Egizi direbbero il Nun.

Non parole, ma suoni pieni d’azione

Infine, per concludere questi

spunti di riflessione, un riferi-mento necessario alla parola co-me suono. Nel libro XVI de: “La rivelazione segreta di Ermete Tri-smegisto”, Asclepio spiega come

la lingua sequenziale greca non renda il senso chiaro delle parole, così come lo è per la lingua egi-zia, in quanto è in questa lingua che “la qualità stessa del suono e

il [tono] dei nomi egiziani …. han-no in sé l’energia delle cose che e-

sprimono”.

Noi, dice Asclepio, “non usiamo parole, ma suoni pieni d’azione”, in altri termini energia, lavoro creativo. Troppo abituati alle nostre lingue

vocaliche, dimentichiamo che le lingue consonantiche ci possono indicare la via per recuperare la chiave sonora della parola perdu-ta. Un indizio importante è la vi-brazione delle consonanti sonore,

dove la R sembra essere un pun-to di riferimento essenziale. La R sonora è il modo dell’agitarsi del silenzio, il suono della manifesta-zione, come ci mostrano gli esem-pi egizi di Ra e del nome segreto

Ren, come vibrazione individuale. Molti altri esempi sono riscontra-bili in altre lingue. Nulla è davvero perduto per chi non smette di cercare. Buon lavoro e grazie per la vostra

ospitalità.

1 Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, A-

delphi. 2 Iscrizione sul soffitto del cenotafio di Seti I

ad Abydos, Traduzione di James P.Allen citato

in Jeremy Naydeler, Il tempio del cosmo, Neri Pozza.

3 “In principio era il vuoto”, il fisico Guido To-

nelli (Micro Mega 6/2017).

IL SIMBOLISMO E LA PAROLA

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I Numeri nella visione

dell’Apprendista Il profano, in genere, ha una vi-sione asettica dei numeri, in quanto non sa, né può, guardare

oltre il materialmente visibile o lo scientificamente dimostrato: non conosce la forza comunicativa e rappresentativa dei simboli, an-che se a volte - forse inconsape-volmente - la percepisce e la ri-

cerca, e comunque la utilizza cor-rentemente pur rimanendo asso-lutamente ignaro del percorso se-miologico all’origine della con-densazione della simbologia usa-ta. D’altronde, per la comunità

scientifica, vige l’assunto che o-gni numero ha valore identico a qualsiasi altro, né esistono, per il “moderno” pensiero scientifico, numeri che possiedono una va-lenza diversa da altri, se non in

base alle comuni regole aritmeti-che ed algebriche.

Che l’aritmetica sia il primo, ba-silare linguaggio condiviso

dell’intelligenza, è constatazione sicura e condivisa; ma noi ab-biamo il dovere di “andare oltre”, per poter arrivare a capire i Sim-boli ed il loro significato. Allora bisogna imparare a conoscere i

Numeri, nella loro funzione sim-bologica: cerchiamo quindi di av-viare gradualmente la riflessione, iniziando dal significato esoteri-co dei numeri 1, 2 e 3.

Le comuni conoscenze profane

porterebbero a considerare il nu-mero 1, o l’unità, come un qual-cosa di singolo, di autonomo, di fine a se stesso, quasi asettico ed al di fuori di una dimensione ar-monica.

Quindi l’Uno sarebbe poco più di un nulla, o addirittura il nulla? No, certamente: guardando con la luce del Libero Muratore, ci accorgiamo, al contrario, che il

I NUMERI NELLA TRADIZIONE INIZIATICA di Carlo Quattrocchi

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numero 1 può rappresentare il Tutto, o quanto meno il principio

del Tutto. Ma la domanda da porci, piutto-sto, dev’essere un’altra: siamo

veramente sicuri che l’Uno sia veramente un “numero”? Affronteremo più avanti questa considerazione: per ora andiamo avanti nell’esame “basico” della progressione numerica.

Un primo superficiale esame ci farebbe ipotizzare che il numero 2, in quanto doppio dell’1, possa essere doppiamente importante. Consideriamo, però, un sempli-cissimo fatto di geometria piana:

mentre due punti possono essere attraversati da una sola retta, per un punto, al contrario, può passare un numero infinito di rette. Allora, quale delle due enti-tà è idonea a rappresentare il

Tutto? La risposta è già evidente. Nell’esame della normale progres-sione aritmetica, vediamo che dall’unità (cioè dal numero 1) scaturiscono in successione il numero 2 (il binario), il numero 3

(il ternario), il numero 4 (il qua-ternario), e così fino all’infinito (cioè all’assoluto). In base alla conoscenza dell’Arte Reale, dobbiamo dedurne che si giunge all’Assoluto solamente

partendo dal principio, cioè dal

numero 1. Di conseguenza, noi possiamo tentare di darne una prima interpretazione esoterica individuando nel numero Uno

la raffigurazione stessa del G

ADU, il Primo motore,

l’Elemento fondante.

Il numero 2 (il binario) apparireb-be a prima vista meno complesso da esaminare rispetto al numero 1. La riflessione (o, meglio, l’istinto)

porta subito a pensare al pavi-mento a mosaico bianco e nero del Tempio massonico.

Da questo possiamo identifica-re nel numero due ogni rap-porto dualistico: l’antitesi, ossi-

a il bene ed il male, il buio e la luce, il meridione e il settentrio-

ne, le colonne J e B, l’elemento maschile e quello femminile, lo Yin e lo Yang, e così via. Tutte categorie, queste, che ri-mandano sicuramente ad una terrena fisicità e ad una reciproca

compenetrazione, anche se sap-piamo che il primo livello è sicu-ramente quello fisico mentre il secondo è quello animico: la vi-

ta, anche quella vegetale od ani-male, non può prescindere dalla

compresenza e dalla compene-trazione di questi due elemen-ti, comunque li si voglia individu-are e descrivere. Proprio partendo dalla considera-zione del bene e del male, e dal

concetto di compenetrazione fra i due elementi, cerchiamo di dare una prima interpretazione del numero 3, ossia del Ternario. La contrapposizione bipolare

dianzi descritta si sintetizza e si riunisce in uno per il tramite del-la presenza dell’elemento spiritu-ale, di quella “marcia in più” che

il “Vir” possiede rispetto all’”Homo”, ciò che distingue il

superamento della mera vita fi-

I NUMERI NELLA TRADIZIONE INIZIATICA

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siologica per attingere alla com-pletezza del terzo stadio e della terza fase: con il completamento del percorso dallo stato fisico all’animico ed allo spirituale, ab-biamo parimenti tracciato il cam-

mino dall’aspetto maschile a quello femminile ed a quello an-drogino. Il Ternario, quindi, si rappresen-ta come la riconduzione del bi-

nario all’unità, la “reductio ad

unum”. Nel Cristianesimo, ad esempio, il ternario quale riconduzione all’unità si identifica nella Santis-sima Trinità, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo;

nella Massoneria, è parimenti rappresentato nella triade di Sag-gezza, Forza e Bellezza, i tre ele-menti la cui compresenza è ne-cessaria per il pieno svolgimento dei lavori.

Ma ancora, il numero 3 possia-mo riconoscerlo, tra gli altri, sia nel Delta Luminoso, ove indivi-duiamo tre parti: Il Triangolo (formato da tre lati) con inscritto

l’Occhio dell’intelligenza, i Raggi ed il Cerchio nebuloso; sia anche nei tre gradi rituali di Apprendi-sta, Compagno d’Arte e Maestro.

Il ricorrere del numero 3 lo vedia-mo ancora all’interno del Tempio nell’iscrizione “Libertà – Ugua-

glianza - Fratellanza”, o – salendo dalla fisicità del “Locus” verso la metafisica dello “Spiritus” pas-sando per l’”Animus” - nei La-vori Rituali, nell’accensione della

Trilogia dei Lumi: Saggezza, For-za e Bellezza, corrispondenti alle

tre Luci di Loggia. In definitiva, quindi, riflettendo sul significato del Ternario po-tremmo già darne una prima i-dentificazione come la “Sintesi” di due azioni. Sintesi, beninteso,

non già di natura sillogistica, con una premessa maggiore, una pre-messa minore ed una conclusio-ne, ma piuttosto di natura com-penetrativa ed evolutiva. Ed in questo troviamo la risposta alla

domanda sul perché il Massone adorni la sua firma con i 3 punti a forma triangolare. Una volta affrontato, “per i nu-meri conosciuti all’Apprendista”, l’esame dei numeri dall’Uno al

Tre, l’Apprendista più sagace si sarà già accorto che, prima di es-sere iniziato alla Massoneria, egli ha compiuto un quadruplice vi-

I NUMERI NELLA TRADIZIONE INIZIATICA

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aggio fra gli Elementi Terra, Ac-

qua, Aria e Fuoco: allora, eviden-temente, anche il numero 4 ha qualcosa a che fare con la specu-lazione massonica in tale grado. Nel corso della ricerca e della

meditazione illuminata dalla Lu-ce Massonica, ogni tipo di ricer-ca, di approfondimento o di esa-me sulla filosofia iniziatica dei numeri ci riporta alla scienza

dei numeri di Pitagora ed al re-

lativo valore iniziatico; egli, quin-di, appare come la chiave di let-tura della scienza misteriosa dei numeri. Partendo, dunque, dalle defini-

zioni pitagoriche dei numeri, pos-siamo cercare la chiave di lettura del valore simbolico dei Numeri nella Massoneria; difatti il nume-

ro, per Pitagora come nella L M., non è considerato come una quantità astratta, ma come rap-presentazione delle varie for-

me e modalità esplicative del-la virtù iniziatica ed attiva di Dio, la fonte dell’Armonia Univer-

sale. Dall’esame di queste nozioni si evidenzia il grande valore sim-bolico del numero 4; proprio

con il numero quattro Pitagora comunicava ai propri allievi “iniziati” l’ineffabile nome di Dio, origine di tutto ciò che esiste. Ma perché attribuire al numero 4

tale rilevante valore? Una prima serie di risposte che si possono individuare in grado di Apprendista risiede:

nella simbologia usata da S.

Giovanni, la Croce, che rap-presenta il ritorno al centro (Dio) dell’uomo “perduto”, a-nalogamente a ciò che l’iniziato in Massoneria deve

porre in essere;

nella scomponibilità del nu-mero quattro.

Il quattro, difatti, può scom-

porsi nella monade più il ter-nario, quindi nasce dall’unione di Dio e la sintesi creativa: l’uomo che porta in sé il Divino. Ma ancora, la presenza del qua-

ternario la possiamo riconoscere: 1. nelle quattro virtù cardinali:

Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza;

2. n e i q u a t t r o v i a g g i dell’iniziazione: Terra, Aria,

Acqua e Fuoco; 3. nel grembiule dell’Apprendi-

sta che è rappresentato da un quadrato bianco sotto-stante il triangolo nero;

4. nel pavimento del Tempio

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massonico, il Quadrilungo. Quindi, in definitiva, riflettendo sul significato e sul valore esote-rico del Quaternario, lo possiamo identificare simbolicamente come il ritorno al centro (la Croce, la

congiunzione delle quattro Squa-dre) dell’Uomo decaduto, che a-

vendo perduto i l senso dell’Eternità e dell’Unità deve re-staurare lo stato primordiale con

il raggiungimento dell’Albero del-la vita, la dodicesima Sephirah nascosta (e dodici altro non è che quattro per tre), Dio, il Gran-de Architetto dell’Universo, l’Energia universale.

I Numeri nella Camera

di Mezzo Solo al termine del percorso qua-ternario, e dopo averne assimila-to e compreso i contenuti, pos-siamo ambire al suo superamen-

to, per arrivare ad attingere alla Quintessenza, di cui deve predi-

carsi ogni Maestro Massone. Per citare testualmente Oswald Wirth: “Il cinque si è imposto al quattro, la Quintessenza ha pre-

valso sul quaternario degli Ele-menti. La Ragione risplende in lui. Lo stato di illuminazione è rag-giunto, le tenebre interiori sono dissipate, sicché l'astro umano o Stella Fiammeggiante può risplen-

dere. Le anime elette sono diven-tate grandi dedicandosi, diffon-dendosi lontano. Concentrandosi su se stesso, l'egoista si svaluta psichicamente: tende verso il nul-la. Al contrario, la generosità am-

plia la nostra personalità procu-

randole, per questo motivo, una fortissima potenza d'azione, perché le forze che attingia-mo nell'ambiente sono propor-zionali all'estensione della no-

stra sfera di manifestazione af-fettiva. Chi non sa amare, esau-risce rapidamente le riserve della propria energia individuale; poi, svuotato, sprofonda e sparisce”. Anche nel grado di Maestro, il

nostro riferimento nell’indagine esoterica sulla valenza dei Nume-ri altro non può essere che Pita-gora. Secondo Pitagora, il Numero è principio assoluto anteriore al

mondo creato, non idea astrat-

ta, ma rappresentazione intrin-seca dell'Assoluto, talché la Scienza dei numeri diviene in lui Teogonia che, svelandosi (e non rivelandosi) gradualmente, favori-

sce l'approccio all'Essere Supre-mo, fonte dell'Armonia cosmica. A proposito di teogonia, sarà in-teressante affrontare il falso pro-blema della più comune obiezio-ne, ossia quella che riconosce al

pensiero teogonico la sua sostan-ziale connaturazione con conce-zioni politeistiche, a noi estranee: esulando, però, dalla stretta te-matica di questo scritto, tale ar-gomento sarà probabilmente og-

getto di una successiva tavola, nella riarticolazione del percorso esoterico di questa Loggia che deriva proprio dallo sviluppo dei vari concetti via via esaminati. Torniamo, dunque, alla conside-

razione pitagorica dei Numeri, sintetizzando, riassumendo ed

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ampliando – rivisitandoli con la

consapevolezza e la pienezza del-la Camera di Mezzo – le argomen-tazioni dianzi esposte nella prima parte della Tavola: 1 - La monade, l'Uno, rappresen-

ta Dio nella sua purezza e perfe-zione assoluta; in quanto princi-pio di tutto, essa non è un nu-mero. 2 - La diade, il Due, primo vero numero, è principio generatore

che esteriorizza Dio nello spazio e

nel tempo, ed è origine delle anti-nomie. Se la monade, rappresentando Dio, è perfezione in sé, la diade rappresenta invece l'imperfezio-

ne, quello stato che si realizza

nel distacco dalla monade, dall'Uno.

Di più, la monade rappresenta lo stadio "edenico", quello stadio di

armonia e di beatitudine venuto meno per un fatto "mitico" ma nello stesso tempo sostanziale e che il massone, nella sua ricerca della "parola perduta", tende di-speratamente a ripristinare.

3 - È tuttavia nel numero Tre che

è riscontrabile la legge costitutiva

(legge ternaria) delle cose: il ter-nario, primo dei numeri dispari, rappresenta la sintesi di mona-de e diade e si esprime, geome-tricamente, nel triangolo, che è

all’origine di tutte le figure piane

ed è la prima figura regolare e perfetta possibile.

La Massoneria si riconosce nel simbolo del Triangolo, il sacro

Delta, in cui si inscrive l'Occhio, simbolo dell'intervento divino nel

processo di creazione e di evolu-

zione del cosmo.

Nei tre lati del triangolo vediamo rappresentati i tre regni della natura: minerale, vegetale, ani-

male, a cui possiamo associare i tre gradi dell'Ordine massoni-co: Apprendista, Compagno d'Ar-

te, Maestro.

Il Tre è numero che ricorre fre-quentemente anche nella tradi-zione religiosa: il Dio cristiano è uno e trino, e si identifica nel Pa-

dre, nel Figlio e nello Spirito San-to. La teologia indiana contempla la Trimurti: Brahma, Shiva, Vi-shnu. Ancora, nella dottrina ma-nichea assume particolare signi-ficato la Trinità gnostica: un Dio

e i due opposti principi, quello del Bene e quello del Male. 4 - Il Quaternario simboleggia in-vece l'uomo, creatura imperfetta

ma che porta in sé la scintilla del divino: infatti il Quaternario na-sce dall'unione della monade (Dio) col ternario (la sintesi crea-

tiva).

I primi quattro numeri sono uni-

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tariamente rappresentati dalla Tetràktys, particolarmente sacra

ai pitagorici in quanto riassume gli insegnamenti relativi al Crea-tore ed al Creato e costituita da 10 monadi (1 + 2 + 3 + 4 = 10),

formanti una decade, base del si-stema decimale pitagorico. 5 - Il numero Cinque, particolar-

mente interessante e ricco di si-gnificati, è l'unione della diade

con il ternario. Esso rappresenta lo stato d'im-perfezione ma anche, con una diversa interpretazione, il matri-

monio: infatti la diade, simbolo

antinomico per definizione (nell’accezione del principio ma-schile e principio femminile, di uomo e donna), si unisce al ter-nario, numero sacro che racchiu-de in sé il mistero della creazio-

ne; naturale conseguenza ne è la procreazione, fine ultimo del ma-trimonio. 6 - Il numero Sei indica la perfe-zione, in quanto primo multiplo

del perfetto Tre. È il numero che

esprime potenza, per la sua pe-culiare capacità di autoimple-mentarsi: infatti, se capovolto, il Sei diviene Nove, successivo mul-tiplo del Tre e triplo di questi.

Né possiamo dimenticare come il numero dell’Anticristo, così

come individuato nell’Apocalisse di S. Giovanni, è composto da tre 6: altro discorso, questo, che al momento opportuno sa-rà oggetto di un’ulteriore Tavo-la nel dovuto contesto rituale,

quando il lavoro iniziatico svolto sarà sufficiente per poterlo af-

frontare. 7 - Il numero Sette, l'ebdomade o "numerus virginalis", non è ge-nerato e non genera: non è ge-nerato, in quanto numero pri-

mo, non divisibile per numeri in-

teri diversi da 1 (che, ripetiamo, non è numero per i pitagorici); non genera perché, moltiplicato

per il primo numero (il 2) dà 14, che è fuori della decade della Te-

tràktis: infatti è una decade più 4. 8 - Il numero Otto, doppio del

Quattro e cubo del 2, il primo ve-ro numero, è dotato di una gran-de forza propulsiva, proprio

perché è il primo numero che si esprime come potenza di po-tenza (2 alla terza = 8). L'Otto

non genera, in quanto moltipli-cato per Due dà 16 (una decade più 6), ma è generato, perché

composto da quattro Diadi. A conferma delle sue caratteristi-che dinamiche e propulsive, il numero Otto coricato su se stes-so simboleggia l'Infinito.

9 - Il numero Nove è potenza del

già perfetto Tre e triplo dello stes-so. I pitagorici lo consideravano simbolo di giustizia e comple-tezza.

La proprietà del Nove di ricosti-tuirsi se moltiplicato per un qua-lunque numero intero, fa di esso il simbolo della materia che,

nelle sue innumerevoli trasfor-mazioni non si distrugge mai, rimanendo sostanzialmente sem-pre sé stessa.

Ancora, il Nove simboleggia la circonferenza, la cui ampiezza

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(360°) riporta comunque a questo numero (3 + 6 + 0 = 9). 10 - Infine, il numero Dieci, in sé

perfetto ed armonico, in quanto espressione aritmetica della Te-tràktys, è numero sacro, che sim-boleggia la sublimazione ed il compimento di tutte le cose. È

anche espressione della centrali-tà del principio divino, in quanto unione del numero Uno (la mo-nade) con la circonferenza (il

Nove). Il pitagorismo ha delineato l'interessante teoria dell'antitesi tra numeri perfetti ed imper-fetti: i numeri perfetti sono i di-

spari, in quanto somma di più

monadi; i pari invece sono da considerarsi imperfetti in quanto risultano dalla somma di più dia-di. Questa meravigliosa antitesi, sviluppata in chiave massonica, ripropone l'eterno conflitto tra

forze opposte: Bene-Male, Luce-Tenebre, Bianco-Nero, che dà origine al mondo. Ma il punto più eccelso della teoria pitagorica sui Numeri va senza dubbio riscontrato nel fa-moso teorema sul triangolo ret-tangolo.

Il triangolo pitagorico (i due cateti di 3 e 4 unità, l’ipotenusa di 5 u-nità) era già da tempo conosciuto ed utilizzato sia dai costruttori

assiro-babilonesi quanto dagli e-gizi, ma Pitagora fu il primo ad individuare la relazione esistente fra le dimensioni dei cateti e dell'ipotenusa. I numeri del Triangolo sacro so-

no densi di significati anche se sommati due a due: 3+4=7,

3+5=8, 4+5=9, numeri che già abbiamo visitato nei loro signifi-cati più profondi. La teoria degli armonici, che è

alla base della fisica della musi-ca, è anch’essa dovuta al Nostro

grande filosofo; in un brevissimo accenno, e nel desiderio di suc-cessivamente approfondire in maniera più specifica le impli-cazioni speculative in chiave massonica insite nei fenomeni

musicali, voglio anticipare come il rapporto tra le varie note, tra i cosiddetti “suoni armonici”, le to-nalità e gli accordi sia ben lonta-no dall’essere relegato solamente al piano – per così dire – estetico

dell’arte musicale, ma al contra-rio sia espressione altissima di rapporti e concetti analoghi a quelli dianzi esaminati per i Nu-m e r i ; c o s ì a n c h e p e r l’interessantissima analisi su

quale sia il “ritmo basale” dell’Universo, concetto che sarà esaminato nello stesso approfon-dimento. Come si è agevolmente visto, la Massoneria è fortemente debitri-

ce alla Scuola pitagorica di gran parte del suo insegnamento, od almeno dell’impostazione base della ricerca dei concetti fondan-ti; l’esposizione dianzi delineata, quindi, altro non deve risultare

che un invito a proseguire nello studio delle nostre radici cultura-li ed esoteriche, dedicando ad es-se, e segnatamente alla filosofia pitagorica, una consistente parte del nostro percorso di crescita

spirituale.

I NUMERI NELLA TRADIZIONE INIZIATICA

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on potremo conoscere mai

più il segreto racchiuso tra le mura di Eleusi.

Così come tutti gli iniziati, che sono trapassati senza avere mai tradito il giuramento prestato nelle mani dello ierofante per

mezzo del quale avevano assunto l’impegno a conservare, sino e ol-tre la morte, la chiave aurea delle decrittazione e divulgazione mi-steriche, anche le strutture mu-rarie del santuario tacciono, rac-

chiudendosi, quasi, in una specie di isolamento da sordomutismo precettato. Esse, infatti, non ci offrono alcun segno simbolico-totemico, espresso in basso-altorilievi, che possa parlarci del

rito di Eleusi rivelandoci, final-mente, l’essenza del culto stesso. I reperti archeologici murari sem-brano avere prestato anch’essi il giuramento degli iniziati. Sono passati oltre duemilacin-

quecento anni e tutte le bocche che avrebbero potuto parlare so-no rimaste chirurgicamente cuci-te. Ad Eleusi, l’impegno era quello

di mantenere il segreto, costi quel

che costi, anche a prezzo della vi-ta. Nessuno era autorizzato a vio-lare il segreto e, per questo, alle celebrazioni rituali non potevano essere ammessi se non solo e sol-tanto gli iniziati, i quali si erano

i m p e g n a t i , g i u r a n d o , all’osservanza del silenzio che

comportava sia l’

(proibizione di rivelare i segreti),

sia l’ (indicibilità di alcu-ne parole ben precise ed indivi-duate).

“Fummo iniziati ai misteri della fe-sta sacra, ovvero conoscemmo gli oggetti mistici ed indicibili che non possono essere rivelati a chi non sia iniziato: vengono detti Misteri da <chiudersi>, perché gli iniziati

serrano la bocca e non ne fanno parola con nessuno dei non inizia-ti” (Da Aristofane). All’interno delle mura del santua-rio coloro stessi che assistevano

alla ritualità eleusina, venivano ammoniti severamente con l’anatema: “Se qualcuno non fosse iniziato al-la venerazione dei rituali oppure

IL MISTERO DEI “MISTERI ELEUSINI”

di Eleazar

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IL PRINCIPIO DELLA POLARITÀ DEL KYBALION

fosse ateo e non credesse negli

dei oppure avesse animo impuro non possedendo tutte quelle altre virtù che sono patrimonio cultura-le di coloro che sono stati iniziati ai Misteri di questo genere, si al-lontani dai sacri riti”.

L’inciso è tratto da Aristofane, il quale procede con una ulteriore ammonizione: “A costoro io affermo e torno ad affermare e affermo per la terza volta di fuoruscire dai cori degli i-

niziati”. Il mantenimento del segreto circa la ritualità del rito eleusino e cir-ca la natura degli oggetti sacri custoditi in una stanza interdetta

a tutti (tranne allo ierofante), alla stregua di un sancta sanctorum ante litteram, non deve sorpren-derci, trattandosi, come è ben comprensibile, di una questione

vitale per la stessa esistenza dei Misteri. Per avere un’idea dell’importanza conferita a tale

forma di segreto, è sufficiente

porre mente alla circostanza che, non solo agli iniziati ai misteri minori e ai misteri maggiori (1)

(2), ma anche agli stessi epopti

(dal greco : epopta era co-lui che aveva raggiunto il più alto grado nell’iniziazione ai Misteri di Eleusi; il primo grado iniziatico e-ra costituito, infatti, da quello

detto della mentre il se-

condo era chiamato ), du-rante lo svolgimento di alcuni ri-ti, era severamente vietato, all’in-terno del santuario, l’accesso a determinati luoghi, ai quali pote-va accedere, come già detto, sol-tanto lo ierofante. Anche durante

i riti delle iniziazioni questi luoghi venivano rigorosamente protetti con dei veli al fine di custodire nel segreto iniziatico ciò che si trovava in essi. Solo durante lo svolgimento dei

Misteri Eleusini (ricorrenza che si verificava una sola volta all’anno)

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gli oggetti sacri rimasti nascosti e

velati per tutto il tempo venivano svelati e scoperti, offrendoli, così, alla vista di tutti. Questa volontà di proteggere in modo così ermetico tutta la vita misterica, ha finito con il creare

una sorta di cortina di ferro tra la vita del santuario di Eleusi e la società civile esterna. Non avendo cognizione esatta della natura dei Misteri, la socie-tà politica che, di fatto, ne era e-

stromessa, ritenne di doversi pre-munire e lo fece con la produzio-ne di determinati anticorpi sociali quali le illazioni, i pregiudizi, le invenzioni fantasiose che finirono con il creare attorno al mondo

misterico eleusino una atmosfera di sospetto e prevenzione, quan-do non divenne, addirittura, una vera e propria persecuzione tra-mite l’applicazione di una capitis

deminutio riguardo ai diritti civili degli iniziati, che finirono con il venire rilegati in una specie di ghetto. La natura del silenzio eleusino si estendeva non solo alle norme

che regolavano la ritualità, per così dire motoria che veniva os-servata entro il perimetro del

Tempio () e con esse an-che le formule sacrali che gli offi-

cianti pronunciavano (), ma anche e soprattutto gli oggetti

e utensili sacri (), di cui la ri-tualità si serviva per rendere me-glio i concetti del linguaggio sim-

bolico: tali oggetti venivano mo-strati soltanto in occasione dei Misteri e soltanto nel luogo a ciò

appositamente destinato, il

. Uomini di pensiero e di scrittura,

come Tertulliano, pronunciarono, riguardo al segreto dei Misteri e-leusini, giudizi assolutamente dissacratori e mortificatori, liqui-dando l’intera vicenda alla stre-gua di un vero e proprio gioco di

prestigio finalizzato a camuffare, sotto il velo della segretezza, ap-punto, quelle che, secondo la loro immaginazione, non potevano es-sere altro se non delle pratiche

non ripetibili in pubblico, ma, piuttosto, nel segreto delle alcove equiparandole, in tale modo, a quelle feste in cui si praticavano le fallolatrie.

La reprimenda tertullianea, deci-samente ispirata a difesa del nuovo culto cristiano al quale l’autore aveva fervidamente ade-rito, non ebbe in verità alcun se-

IL PRINCIPIO DELLA POLARITÀ DEL KYBALION

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guito concreto non essendo stata

in grado di risolvere i moltissimi dubbi che il mantenimento del segreto ingenerava, cosicché il mistero sui Misteri Eleusini conti-nuò ad alimentarsi e, addirittura, ad ispessirsi.

Solo Aristotele ebbe ad esaminare il fenomeno in modo più impar-ziale e, alla fine, più scientifico. Il filosofo stagirita, infatti, giunse alla conclusione, certamente rea-listica, che:

”. “Gli iniziati non devono apprende-

re qualcosa, ma sentire un’emo-zione e trovarsi in una certa di-sposizione di animo, evidentemen-te perché sono stati predisposti a questo”.

Sulla scia dell’imput aristotelico, si è giunti alla conclusione uni-versale per cui coloro i quali veni-vano iniziati non ricevevano già

un insegnamento (), ma, al contrario e semplicemen-te, essi ricevevano una impronta con una indicazione di massima,

e cioè quale fosse il sentiero da percorrere seguendo la via inizia-

tica (). Le conoscenze che oggi si possie-dono intorno ad Eleusi sono piut-tosto mutile e frammentarie es-sendo state escerpite da fonti let-terarie giammai dirette ed esege-tiche del culto, ma sempre indi-

rette e frutto il più delle volte di deduzioni che, anche se esatta-mente collocate dall’angolo visua-le storico e logicamente non con-

traddittorie, sono pur sempre pri-

ve del supporto delle imprescin-dibili originalità ed autenticità. Il riferimento più retrodatabile sulla nascita dei Misteri guarda dritto all’Inno a Demetra di Ome-ro, comunemente considerato il

testo nel quale trovarono ispira-zione i primi fondatori del rito e che risale al XV sec. a. C.

Nell’arco della sua parabola vitale il rito subì continui cambiamenti ed evoluzioni (veri e propri aggiu-stamenti in riferimento allo scopo da perseguire), ma è necessario

giungere sino al VI sec. a.C. per

IL PRINCIPIO DELLA POLARITÀ DEL KYBALION

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aversi una sua vera e propria ri-

voluzione. Ciò avvenne quando a prendere nelle mani il timone sa-cerdotale del rito stesso fu la fa-miglia degli Eumolpidi. Come è risaputo, il tema centrale e ricorrente dell’ Inno è costituito

dal rapimento organizzato ed ese-guito da Hades, dio degli inferi, in danno della figlia di Demetra, Ko-re-Persefone, che viene sottratta alla luce del sole e trascinata sot-to terra.

Il leitmotiv è, dunque, costituito dalla discesa di Kore sotto terra

() che non rappresenta, però, come ci si aspetterebbe, u-no status definitivo e irreversibi-le, ma, al contrario, assoluta-mente transitorio, in quanto la

catabasi non è altro che il prelu-dio di quanto avverrà in succes-

sione di tempo, cioè l’ ossi-

a la ri-salita sulla superficie ter-

restre e il ritorno alla luce del so-le. Anche Demetra ama stare sei mesi al buio degli inferi e i suc-cessivi sei alla luce del sole. L’esperienza simbolica di Eleusi è

tuttora variamente rivissuta in modo alchemico (san’a al-Kimiya=l’arte della pietra filosofa-le) nell’ambito del mondo libero-muratorio che propugna l’os-

servanza del precetto “visita inte-riora terrae, rectificando invenies occultum lapidem”, nel quale inci-so ricorre la ricerca della pietra (filosofale), costituita dall‘aurum

(c.d.: sole terrestre), elemento preziosissimo non già per il suo valore venale, ma perché nel pro-cesso alchemico è indispensabile come catalizzatore e, inoltre, per-

ché è l’unico metallo non soggetto a corrosione. La simbologia manifesta l’in-tenzione di voler propalare un messaggio salvifico. Dopo avere toccato il fondo della disperazio-

ne, del buio, del dolore, dell’ot-tundimento dell’anima, si comin-cia pian piano ad avere coscienza che non tutto è perduto, che non tutto è finito, che si può prendere l’aire ed abbandonare il fondo, e-

mergere ritornando alla luce, alla

speranza, alla gioia, all’, alla piena coscienza di se stessi. Per fare ciò è necessario che il mi-

ste si disponga in un particolare stato d’animo pronto a sentire l’intuizione vera e decisiva. Cono-sciuta la morte non se ne ha più paura.

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“La morte non solo non è un ma-

le, ma anzi è un bene” diceva un epitaffio del sec. II d. C. E’ opinione comune che i Misteri si prefiggessero proprio questo, vivere la propria condizione uma-na il più felicemente possibile, a-

vendo la certezza che nell’aldilà si sarebbe ottenuta l’immortalità. Ciò comportava, necessariamen-te, di dovere considerare la morte come una iniziazione verso un mondo vitale e immortale che i

non iniziati non potevano neppu-re immaginare, essendo relegati in un settore del mondo meschi-no, povero, nel buio o, al massi-mo, nella penombra, senza alcu-na attesa o prospettiva.

Ha scritto Aristofane: “Ciò che si acquisisce dalla parte-cipazione alla festa non consiste tanto nella gioia del momento pre-sente, né nel dissolvimento delle amarezze del tempo passato e

nella liberazione da esse, ma an-che nel nutrire speranze riguardo alla morte, confidando in una vita migliore, poiché non si giacerà nel-le tenebre e nel fango che attendo-

no i non iniziati”. ________________________ (1)I misteri minori venivano celebrati

nel mese di (cioè, da metà febbraio a metà marzo) e tale celebra-

zione avveniva in un sobborgo di Ate-ne, denominato Agrai. Questo rito con-sisteva nella purificazione preliminare,

tramite abluzioni con l’acqua del fiume Ilisso, prima di diventare un vero e

proprio iniziato.

(2)I misteri maggiori venivano celebrati

nel mese di (cioè, da metà

settembre a metà ottobre) e tale cele-brazione avveniva ad Eleusi. I Misteri

non potevano essere celebrati al di fuo-ri della città di Eleusi, anche se era u-

so effettuare una processione da Eleusi ad Atene, e viceversa, percorrendo la Via Sacra che congiungeva le due po-

leis. Gli oggetti sacri trasportati dai partecipanti alla processione venivano

ospitati e custoditi, finché non fossero rientrati ad Eleusi, in un tempio ate-

niese a ciò appositamente destinato, l’Eleusinion.

BIBLIOGRAFIA BIANCHI U., Saggezza olimpica e

mistica eleusina nell’inno omerico

a Demetra, in Studi e materiali di storia delle religioni, 1964;

DETIENNE M., Dioniso e la pante-ra profumata, Bari 2007;

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IL PRINCIPIO DELLA POLARITÀ DEL KYBALION

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a Crisopea è ottenuta dal-la lenta cottura dell'Uovo Filosofico (matraccio), es-

so stesso in un bagno di sabbia.

In seno all'Athanor, nasce dall'a-malgama e dalla co-distruzione

dell'Oro dei Saggi e dell'Argento

dei Saggi. L’Alchimia Spirituale

L'Unità della Materia è il postula-to di partenza degli antichi Erme-tisti, e oggi la moderna fisica nu-

cleare e la chimica ce lo dimostra-no nel realizzare materie e prodot-ti totalmente sconosciuti un tem-po, dimostrandoci che ha ragione l'antico adagio, il quale vuole che: "Omnia ab uno et in unum omnia"

ovvero "tutto è nell'uno e l'uno è in tutto". “Tutte le cose provengono dallo stesso germe ed esse sono state tutte generate dalla medesima Ma-

dre” (Basilio Valentino, Il Carro Trionfale dell’Antimonio). "L'Anima degli Uomini, i Demoni, i Santi Angeli, tutti vengono da una sola Sorgente, e l'Uomo contiene in

sé la parte del mondo Esteriore che il Demonio racchiude egual-

La Crisopea o Pietra Filosofale di Robert Ambelain (Aurifer) (traduzione di Giuseppe Rampulla)

Scritti classici dei Maestri dell'ermetismo e dell'esoterismo

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mente in sé, ma in un Principio

differente..." (Jacob Boehme, Del-la Elezione di Grazia). Molto prima di questi filosofi, la Gnosi tradizionale già aveva pro-posto questo concetto nella sua affermazione dottrinale dell'Ema-

nazione, affermando che tutte le creature spirituali sono state e-manate da una Sorgente unica: Dio – Abisso, assolutamente non

create dal nulla, per emissioni successive delle Cause Seconde dalle Prime, le Terze dalle Secon-de e così via, tutto dall'Uno Origi-nale, che è Dio. Conseguenza di questa dottrina:

tutto ciò che è presente quaggiù è di origine divina ma, prigioniero di un mondo grossolano, degene-ra e sminuisce le proprie possibi-lità spirituali; tutto ciò può pre-tendere di ritornare di nuovo

all’origine e quest'Opera di rige-neraz ione s i chiama la "Reintegrazione". L'Alchimia si divideva sin d'allora in tre tappe di probazione: 1) L'Opera, che trasmuta i metalli

in oro puro dallo stato di metallo imperfetto. 2) L'Elisir di Lunga Vita, specie di medicina universale, capace di guarire ogni malattia e di assicu-

rare una longevità considerevole, finanche l'immortalità. Non biso-gna prendere queste affermazioni se non nel loro senso spirituale. 3) La Reintegrazione Universale,

cioè la rigenerazione del Cosmo Intero, di tutte le creature spiri-tuali, obiettivo ultimo della vera Alchimia.

"Non c'è differenza essenziale tra

la Nascita Eterna, la Reintegrazio-ne e la scoperta della Pietra Filo-sofale. Essendo tutto uscito dall'U-nità, tutto deve ritornarvi in ugual modo ..." (Jacob Boehne, De Si-gnatura Rerum).

In merito al misterioso Elisir di

Lunga Vita possiamo trovare eco in queste parole: "..la rinascita è triplice, prima la rinascita nella nostra ragione, seconda quella nel nostro cuore e nella nostra volon-

tà, terza la rinascita corporale. Molti uomini pii, che cercano Dio, sono stati rigenerati nello spirito e nella volontà, ma pochi hanno co-nosciuto la rinascita corpora-le..." (Karl von Eckhartshausen,

La Nube sul Santuario). Conviene tuttavia distinguere tra Alchimisti e Soffiatori. I primi, fi-losofi in possesso di una dottrina millenaria (la Gnosi), avevano te-

orie particolari che non permette-vano loro d'allontanarsi da certi limiti nelle loro ricerche. Il loro

LA CRISOPEA O PIETRA FILOSOFALE

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campo di ricerca era il mondo

Metallico. I secondi, al contrario, sprovvisti di conoscenza esoterica e scienti-fica, empirici in sommo grado, fa-cevano sfilare nelle loro storte i prodotti più improbabili dei tre

Regni, non esitando a lavorare sulle sostanze più strane, come i residui naturali più ripugnanti. Gli alchimisti hanno conservato e dimostrato la fondatezza dell'Er-metismo e dell'alchimia; i soffia-

tori li hanno ignorati, ma hanno creato la Chimica. L'esistenza di una Alchimia Spiri-tuale come elemento della reinte-grazione individuale dell'Adepto, è provata, senza smentita, dalla

lettura degli antichi autori. Senza dubbio tutti dei buoni cristiani. Ma non lo erano, forse perché a-vevano compreso che Conoscenza e Saggezza dovevano andare di

pari passo, e che la Conoscenza senza la Saggezza era peggiore dell'ignoranza sola? Così, nella rarissima opera di Bernardo da Treviso "La Parola

Perduta" si dice: "..così è Trinità in Unità, ed Unità in Trinità poiché là dove sono lo Spirito, Anima e Cor-po, là sono pure, Zolfo, Mercurio e Sale."

E Albert Poisson conclude così: “La Grande Opera ha per conse-guenza un triplice scopo nel mon-do Materiale: La Trasmutazione dei metalli per farli arrivare all'O-ro, la perfezione. Nel microcosmo il

perfezionamento dell'Uomo Mora-le, e nel mondo Divino la contem-plazione della Divinità nel Suo

Splendore. In base alla seconda

accezione, l'Uomo è dunque l'Atha-nor filosofico in cui si compie l'ela-borazione delle Virtù. È dunque in questo senso, secondo i mistici, che bisogna intendere queste pa-role: "Poiché l'Opera è con voi ed

in voi, in modo che, trovandola in voi stessi, dove è continuamente, voi l'avrete così sempre, in qualsi-asi parte voi sarete, sulla terra o sul mare”. Citando Basilio Valentino:

“Di queste cose sappi, o amico mi-o, appassionato dell'Arte alchemi-ca, che la Vita è unicamente un grande e vero Spirito, e che per conseguenza tutto ciò che il volga-re o ignorante stima esser morto,

deve in cambio essere ricondotto ad una vita incomprensibile, visi-bile e spirituale, ed in quella deve essere conservata...”. (Basilio Va-lentino, Le dodici Chiavi della Fi-

losofia).

LA CRISOPEA O PIETRA FILOSOFALE

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“In breve, se tu vuoi realizzare la nostra Pietra, sii senza peccato,

persevera nella Verità. Prendi la risoluzione, dopo aver acquisito il dono divino che auguri, di tendere la mano ai poveri, ai bisognosi ed a rialzare coloro che sono nella di-sgrazia.". (Basilio Valentino, Il Re-

bis delle dodici Chiavi). Ai quattro Elementi naturali degli Antichi, Acqua (idrogeno), Aria (azoto), Fuoco (ossigeno), Terra

(carbonio), corrispondono le quattro Qualità, Umido, Caldo, Secco, Freddo, e i quattro Tempe-ramenti, Sanguigno, Bilioso, Ner-voso, Linfatico.

È il piano corrispondente alla re-alizzazione detta dell'Alkaest. Allo stadio superiore di questi quattro modi di manifestazione, nella materia della Vita, gli alchi-

misti traevano, per copulazione, i tre termini del secondo piano, che definivano la realizzazione dell'Azoto e cioè i tre principi es-senziali per l'inizio dell'Opera: Acqua + Aria (principio MERCU-

RIO), Aria + Fuoco (principio ZOLFO), Fuoco + Terra (principio SALE). Qui l'Opera poteva sperare di passare dal Nero al Bianco. In effetti, per la copulazione dei

principi Mercurio e Zolfo, l'Adep-to trovava ed otteneva l'Argento filosofico o Mercurio dei Saggi. Dalla copulazione dei Principi Zolfo e Sale, otteneva l'Oro filoso-fico o Zolfo dei Saggi.

Principio Mercurio + Zolfo = Ar-gento Filosofico (Mercurio dei Sag-gi).

Principio Zolfo + Sale = Oro Filo-sofico (Zolfo dei Saggi).

Infine, per copulazione del Mer-curio e Zolfo dei Saggi, l'Opera passava dal Bianco al Rosso e l'Adepto otteneva la Pietra Filoso-fale, la Crisopea.

La strada di Mercurio veniva in-dicata anche come il Palazzo del-la Regina, perché conduceva alla "Sposa Bianca" (il Mercurio); la

strada del Sale era il Palazzo del Re, perché conduceva al "Marito Rosso" (lo Zolfo).

Questa via materiale e sperimen-

tale si rivelava, dunque, una via trascendentale e spirituale quan-do ai quattro elementi di parten-za, si facevano corrispondere le Quattro Virtù Cardinali dell'anti-ca Scolastica:

Fuoco = Forza Aria = Giustizia Acqua = Temperanza Terra = Prudenza.

Ai tre Principi sorti da questi quattro Elementi corrispondeva-no le Tre Virtù Teologali, e dun-que: Principio Zolfo = Fede

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Principio Mercurio = Speranza

Principio Sale = Carità. Ai due Metalli Filosofici (Argento dei Saggi e Oro dei Saggi) nati dalla coagulazione dei tre Principi Zolfo, Mercurio e Sale, corrispon-

devano allora le due Virtù Subli-mi: il Mercurio dei Saggi corri-

sponde alla Indulgenza lo Zolfo dei Saggi corrisponde

alla Saggezza.

Queste due Virtù Sublimi, passa-te sotto silenzio come tali nella teologia classica, e ricondotte al rango di doni dello Spirito Santo (che sarebbe infinitamente meglio

chiamare in modo diverso), sono segnate nelle Sacre Scritture, con totale preminenza: (Bibbia Cattolica: Re 5,11-12; Bibbia Protestante: Re 3,10- 12.) "E Dio disse a Salomone: Poiché

tu non Mi hai domandato una lun-ga vita, né ricchezze, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domanda-to l'intelligenza e la saggezza per agire con giustizia, Io agirò secon-do la tua parola e ti donerò un

cuore pieno di saggezza ed intelli-genza..." . Citiamo anche (Deuteronomio 4,6) "...poiché là sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza

agli occhi dei popoli..." …

Sappiamo come nel ternario su-periore del sistema Sephirotico

della Kabbalah ebraica, Binah, l'intelligenza, è l'attributo di ciò che corrisponde alla visione, all'intuizione, alla penetrazione ed all'informazione. Come tale,

l'intelligenza è dunque anche "conoscenza" delle cose divine as-solute (Gnosis). Essa ha come complemento Cho-kmah, la saggezza, che esprime

assai bene l'idea della scelta del migliore, tra i dati accessibili all'intelligenza (Binah), e che non opera nel suo seno che per elimi-nazione. È la sottomissione spon-

tanea, intelligente e comprensiva, ad un Bene che scorge dominan-te. Come tale è una discrimina-zione tra il Bene ed il Male e la scienza di questi. Così, dunque, l'Intelligenza è la

Conoscenza massima, e la Sag-gezza l'uso che se ne fa. Come dallo Zolfo e dal Mercurio dei Saggi nascerà venuto il mo-mento, nell'Uovo Filosofico (dagli Alchimisti chiamato anche il Su-

blimatore), la “Pietra al Rosso”, la Crisopea, così nasce, nell'Anima dell'uomo, questo Athanor (Fuoco Filosofico), di cui il Cuore è il Su-

blimatore (o Uovo Filosofico), l'Il-luminazione Totale, elemento de-cisivo della Reintegrazione, e que-sto termine ultimo dell'Opera ha per nome "Luce Divina".

__________________ (Tratto da: Robert Ambelain, “L’Alchimie Spirituelle – La voie intérieure”, Ed. La Diffusion Scientifique, Parigi 1993)

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