Anno LXVII n. 1 Gennaio-Marzo 2021 - Il Rievocatore

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Anno LXVII n. 1 Gennaio-Marzo 2021 TRIMESTR ALE DI ARTE SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALV ATORE LOSCHIAVO

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Anno LXVII n. 1 Gennaio-Marzo 2021

TRIMESTRALE DI ARTE SCIENZA E CULTURA FONDATO DA SALVATORE LOSCHIAVO

IN QUESTO NUMERO:

Editoriale, La “famiglia-Rievocatore” p. 3

E. Aloja, Piedigrotta: sacro e profano p. 4

A. Imperatore, Aleppe p. 7

A. La Gala, Boccaccio a Napoli p. 8

G. Scotto di Perta, I Cossa e la chiesa di SanRocco p. 11

O. Dente Gattola, La caduta di Costantinopoli p. 13

E. Barletta, Leon Pancaldo e l’Istituto nauticodi Savona p. 17

E. Notarbartolo, Il merito e l’utopia p. 19

F. Ferrajoli, Palazzo Cellamare a Chiaia p. 21

L. Santoro, Domenico Cassini ed il DirittoPapiniano p. 23

S. Zazzera, Due affreschi laurentini p. 25

P. Carzana, Maria Giuseppa Guacci Nobile p. 29

R. Salvemini, L’istruzione nautica a Procidaprima dell’Unità d’Italia p. 34

M. Piscopo, Comportamenti poco... regali p. 37

M. Florio, La napoletanità di guappi e femminielli p. 39

R. Ribaud, Benedetto Croce e la sua Napoli p. 42

L. Alviggi, Il mistero di Angelika Raubal p. 44

A. Guarino, Maria Luisa d’Aquino p. 47

W. Iorio, La R.S.I. nei documenti della Questuradi Brescia p. 50

A Ferrajoli, La mano di Dio p. 52

F. Lista, “Neapolitana fragmenta” p. 53

U. Franzese, Opportunisti, ma non sempre p. 58

M. Lista, La Majella: Grande Madre d’Abruzzo p. 60

N. Dente Gattola, Il Mezzogiorno tra le speranzee la cruda realtà del nuovo Governo p. 63

A. Grieco, Gli ultimi e la speranza del riscatto p. 66

Il “Caso Juventus-Napoli” p. 69

Libri & Libri p. 72

La posta dei lettori p. 75

Direttore responsabile: Sergio ZaZZeraRedattore capo: Carlo ZaZZeraRedazione: antonio la gala,FranCo liSta,elio notarbartolo,MiMMo PiSCoPo,gabriele SCotto Di PertaPast-director: antonio Ferrajoli

Direzione, redazione, amministrazione:via g. Sagrera, 9 - 80129 napoli- tf. 081.5566618 - e-mail: [email protected]

Registrazione:tribunale di napoli, n. 3458 del 16 ottobre 1985.

Fascicolo chiuso il 9 marzo 2021,pubblicato online ai sensi dell’a.3-bis l. 16 luglio 2012, n. 103.

diffusione gratuita

In copertina:Diana Franco, Il richiamo del mare

(vetrata policroma)

https://www.facebook.com/ilrievocatore

Anno LXVII n. 1 Gennaio-Marzo 2021

Editoriale

LA “FAMIGLIA-RIEVOCATORE”

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In questa sua fase “3.0”, Il Rievocatore è entrato, ormai, nell’ottavoanno di vita; e riteniamo di poter aggiungere “felicemente”, a giu-

dicare dal numero sempre crescente, sia dei lettori, sia dei collaboratori,che sembrano quasi costituire, tutti insieme, una famiglia: la “fami-glia-Rievocatore”, per l’appunto. Ed è proprio su questo aspetto che in-tendiamo soffermarci in questa sede.Chi dovesse tornare a sfogliare il n. 1/2014 – primo di questa serie –,noterà che le pagine erano soltanto una trentina e autori degli articolierano unicamente i componenti delle due redazioni, la nuova e quellaprecedente. Da allora, il numero delle pagine è, in media, più che rad-doppiato e quello dei collaboratori è cresciuto, con andamento progres-sivo, addirittura in maniera esponenziale. Ciò costituisce per noi un motivo di grande compiacimento, poiché chici legge non ci fa mancare, per lo più, le sue espressioni di stima e il suo apprezzamento positivo, men-tre chi ci offre la propria collaborazione ha consentito, e continua a consentire, la graduale crescita delperiodico, non soltanto quantitativa, ma soprattutto qualitativa.Ora, per quanto dovrebb’essere già sufficientemente chiaro – e, perciò, superfluo –, tuttavia, formuliamoancora una volta il nostro invito ai gentili lettori, a entrare a far parte anche del novero dei collabora-tori: da sempre, infatti, è stata nostra intenzione perpetuare l’originario progetto del fondatore dellatestata, Salvatore Loschiavo, di dare spazio, attraverso queste pagine, a chiunque abbia qualcosa diserio e d’interessante da comunicare. Il suggerimento che ci permettiamo di dare, semmai, è quello dileggere, prima, i “Criteri per la collaborazione” e prendere, poi, contatto con la redazione.È un luogo comune quello secondo cui il settimo anno segnerebbe, per i matrimoni, il momento dellacrisi; per fortuna, però, l’affermazione, peraltro già in sé mitica, non trova estensione al mondo deimedia o, almeno, sembra non trovarla, con riferimento al nostro periodico, che ha superato senza osta-coli quel traguardo. Del che dobbiamo essere grati, in primo luogo, al direttore della fase “2.0”, AntonioFerrajoli – la cui attuale presenza nella redazione, oltre a offrire un segnale di continuità, onora tuttinoi – e, poi, a quanti, rispettivamente, attraverso la lettura e attraverso la collaborazione, concorronoalla crescita progressiva della “famiglia-Rievocatore”.

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A partire da questo numero, entra a comporre la redazione della rivistaGABRIELE SCOTTO DI PERTA – un passato da operatore turistico e un presenteda operatore culturale nell’isola di Procida –, che ha già collaborato con suoiscritti ad alcuni numeri precedenti. Nel porgergli il benvenuto, il direttore ei redattori di questo periodico gli augurano cordialmente buon lavoro.

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di Ennio Aloja

C’era una volta la festa di Piedigrotta.Per pochi interminabili minuti mi sono im-merso totalmente nei ricordi della mia infanziapovera ma felice. Cos’era la Piedigrotta neglianni 50? Passata la nottata della guerra, la cittàpiù bombardata d’italia, la napoli plebea edaristocratica voleva esorcizzaresofferenze e lutti ritornando infretta a far festa al carpe diem.ed ecco l’ultima testimonianzadella festa delle feste, la Piedi-grotta plurale che non c’è più. in quegli anni ho vissuto gli ul-timi sussulti di una napoletanitàeffervescente, gaudente, conta-giosa, aggregante. la communi-tas del mio quartiere avvocata,sito tra il centro storico e la cittàcollinare, attendeva gioiosa l'ar-rivo dei carri, un elemento dellafesta mutuato dal carnevalefatto sparire per la sua effimera ma pericolosa,carica eversiva plebea. la gente si riversavanelle strade, sostava nelle piazze mentre tantibalconi erano abbelliti da lampioncini colorati.Frotte di ragazzi, gli ultimi scugnizzi, armati di“coppoloni” e trombette di latta, cercavanocoppie borghesi da assediare e costringere allafuga con i loro scherzi e lazzi. bambine e bam-bini sorridenti, orgogliosi per i loro vestiti dicarta colorata crespa, sfilavano lungo le strade. Vi sono state varie concause a determinare lafine di Piedigrotta, tutte riconducibili alle ve-locissime trasformazioni socio¬economiche e

culturali indotte da quello che definisco il «mo-dello statunitense».bando alla nostalgia! oggi, a distanza di menodi settant’anni, occorre un’analisi condotta amente fredda, non con il cuore. Piedigrotta, intre secoli, aveva amalgamato sedimentazioni e

contaminazioni pregresse: sonoquelle metamorfosi descritte ininnume- revoli testi pluridisci-plinari. la Piedigrotta della na-zione napoletana, includevaparate reali, militari, pellegri-naggi catartici al santuario Ma-riano, sito ai piedi della cripta,autorappresentazioni plebee,baldorie e pranzi pantagruelicinella Villa borbonica, fuochid’artificio, sfilate di carri alle-gorici, luminarie, canzoni, ta-rantelle e tammurriate nellagrotta dei misteri nella “notte

delle fiaccole”, tra il 7 e l’8 settembre. la festa di Piedigrotta è stata giustamente de-finita come la festa delle feste perché coinvol-geva tutti i quartieri della città, il contado,persino tanti turisti in cerca del “pittoresco”della napoli plebea. Secondo alcuni studiosi,dopo l’unità nazionale, l’italianità sabauda hainiziato a ridurre la festa ad una manifestazionedella nuova italia. il fascismo ha completa-mente strumentalizzato la festa in chiave pro-pagandistica, futuristica. l’italia repubblicanacon la rivoluzione mediatica televisiva ed il fe-stival della canzone napoletana ha espropriato4

PIEDIGROTTA: SACRO E PROFANO

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l’oro di napoli dando un colpo mortale alla“nostra” Piedigrotta.

La Crypta Neapolitana tra storia e mito. È attendibile, ma non suffragata da fonti scritte,la tesi della genesi cumana del traforo nellacollina di Posillipo per collegare, anche perCryptam, Puteoli e Neapolis dopo la più anticavia per colles. alcune fonti scritte romanefanno risalire la realizzazione della Crypta aCocceio nerva, altre a Cocceio antóo, l’autoredella grotta di Seiano. Seneca in una sua letteraa lucilio definisce la Crypta tenebrosa, stretta,polverosa, inaugurando una serie di raccontisulla pericolosità del transito nella grotta e suincontri esoterici. la realtà storica, dall’antichità ad oggi, non ciaffascina come il labirinto di mitografie ine-renti i culti-misteri di Mitra, Priapo, Venere, di-vinità dell’eros e thanatos, della trasmissionedella vita, della fertilità. nella Crypta Neapo-litana si tenevano pratiche rituali che richia-mano, in parte, il tarantismo orgiasticodionisiaco. recenti ricerche hanno evidenziatoil sincretismo cultuale e culturale della mille-naria pietas popolare campana e napoletana.le tarantelle e le tammurriate presenti nei pel-legrinaggi ai santuari mariani di Monteverginee di Sant’anastasia sono state effettuate nellaCrypta, fino a fine ottocento, nella notte dellefiaccole, tra il 7 e l’8 settembre. il patrocinio prevalente della Madonna di Pie-digrotta è legato, infatti, alla fertilità. ella pro-tegge le donne che hanno difficoltà a tra-smettere la vita, le partorienti, e le giovanispose. È interessante rintracciare il basso con-tinuo religioso sincretico del popolo napole-tano. le mitografie legate alla Crypta Neapo-litana attraversano secoli e quelli medievali re-cuperano incanti e magie tra cui giganteggiaVirgilio, divenuto patrono di napoli antece-dente a San gennaro. in età moderna e contemporanea la Crypta èoggetto di cronache fantastiche, di visite gui-date all’élite intellettuale del Grand Tour, alcommercio di litografie, a dipinti di danze nellimbo tra i vivi e gli inferi. nella napoli «pa-radiso abitato da diavoli» goethe trasforma gliscugnizzi in un’umanità primitiva, ingenua e

selvaggia. Fotografi di fine ottocento - inizionovecento faranno fortuna vendendo le loroopere ai turisti assetati di scene pittoresche diuna napoli “notturna”. l’epilogo dei miti inizia nel 1885 con la rea-lizzazione della nuova galleria e si concludenel 1930 quando viene definitivamente chiusala Crypta. oggi è lì a pochi metri dalla stazionedi Mergellina della linea 2 della metropolitana,inglobata nel parco archeologico ospitante ilpresunto sepolcro di Virgilio e la tomba di leopardi.

Secoli di devozione popolare alla Madonnadi Piedigrotta. non sappiamo la data precisa della genesi deltitolo “Santa Maria di Piedigrotta”, comunquerisalente alla napoli angioina. la fondazionedel santuario mariano, voluto dalla regina gio-vanna i, è attestata nel 1353.Sette secoli prima, nella napoli ducale bizan-tina, esisteva nello spazio sacro presso laCrypta Neapolitana, un sacello intitolato allaMadonna dell’ltria o dell’ldria. l’erezione deltempietto sarebbe avvenuta nel Viii secolo adopera di monaci basiliani sfuggiti all’iconocla-stia ordinata dall’imperatore d’oriente leoneiii isaurico. Fonti scritte trecentesche citano lapresenza del tempietto, tra cui una lettera delboccaccio, la Cronaca di Partenope ed unpasso dell’itinerario siriaco del Petrarca. alcuni studiosi legano il patrocinio duale ma-riano all’acqua. la Madonna, assunto il nuovotitolo dal nomen loci, con l’acqua lustrale pro-veniente dai pozzi della Crypta assicurava fer-tilità e, vicina al Sinus Margellus, al mare chegiungeva presso il Santuario, proteggeva i pe-scatori e naviganti. la pietas popolare ricorda l’apparizione dellaMadonna, nel 1353, in contemporanea, all’ere-mita Pietro, presso la Crypta, al monaco bene-detto, presso l’attuale piazza dei Martiri, ed allamonaca Maria di Durazzo, nel cenobio di Ca-stel dell’ovo. la Madonna avrebbe loro indi-cato il luogo del ritrovamento della sua statualignea da collocare nel nuovo santuario. Piazzadei Martiri, Castel dell’ovo e Piedigrotta sa-ranno, per secoli, il perimetro dell’iniziale de-vozione e dei pellegrinaggi catartici dei novesabati antecedenti all’8 settembre, la data della5

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nascita di Maria secondo i Vangeli apo-crifi. Da Santa lucia fino al santuario di Piedi-grotta si recitava a voce alta il rosario dinove decadi. Settecentesca è la genesi diuna congrega di pescatori di Mergellina in-nalzata ad arciconfraternita da leone Xiiinel 1881. i pescatori, col sacco bianco e lamozzetta cinerea, portavano in proces-sione la statua della Madonna. l’oralitàdella granitica ed ingenua pietas popolareci ha trasmesso gli episodi dello “scarpun-ciello della Madonna”, del “volo dei cardellininel santuario” e dell’antico topos del ritrova-mento di un’icona mariana, come quella legataalla fondazione della basilica giubilare romanadi Santa Maria Maggiore.il Sessantotto cristiano ha iniziato un lodevolerecupero delle nostre radici, gli anni ottanta,invece, hanno determinato una desertificazionedel sacro che perlomeno a Mergellina e Piedi-grotta è stata combattuta dalle edizioni della“serenata alla Madonna”. la rappresentazioneteatrale che si tiene da anni nel santuario vedeaccomunati attori devoti e devoti attori.

Piedigrotta: una festa istituzionale e popo-lare. Per cinque secoli, dalla regina giovanna id’angiò a Francesco ii di borbone, i sovranihanno reso omaggio alla Madonna di Piedi-grotta ostentando al popolo napoletano la lorodevozione ed organizzando fastose proces-sioni. alfonso d’aragona elargiva cinquantaducati annui ai Canonici regolari di Sant’ago-stino, detti lateranensi, e nel 1452 fece restau-rare il santuario. nel Cinquecento iniziano leprime parate militari e si registra la modificadell’orientamento del santuario con l’ingressorivolto alla città. alcuni studiosi di storia patriasostengono che la genesi della parata reale emilitare è ascrivibile a Carlo Vii di borbonevittorioso sugli austriaci nella battaglia di Vel-letri. il museo nazionale di San Martino custo-disce due oli di antonio joli raffiguranti laparata carolina. altri studiosi anticipano la pa-rata borbonica al 1734, l’anno dell’insedia-mento carolino sul trono di napoli. Durante la festa istituzionale si afferma, pro-

gressivamente, il protagonismo popolare cheoccupa spazi urbani e, soprattutto, la Villa realee la Crypta Neapolitana. l’ultima parata bor-bonica avviene nel settembre 1859. l’annosuccessivo vedrà garibaldi, il mangiapreti, arendere omaggio alla Madonna di Piedigrotta. Mentre il basso continuo religioso sincreticotestimonia la propria resilienza, nel 1861, il ge-nerale Cialdini raggiunge il Santuario con di-ciottomila militari. la cosiddetta “Piemonte-sizzazione del sud” e di napoli dimidia mag-giormente la festa tra la connotazione nazio-nale ed il secolare protagonismo popolare. laresilienza del popolo di napoli si esprime at-traverso sfilate in maschera, carri allegorici,fuochi d’artificio, luminarie... il 1868 segna unautentico trionfo popolare. il dualismo “istitu-zione-popolo” della Piedigrotta sabauda verràin parte ridotto dal regime fascista che imponela propria visione del popolo napoletano epu-rato dai suoi eccessi, da un secolare “lazzari-smo”. il regime organizza, orienta, controllatutto e la Piedigrotta fascista del 1935 è emble-matica. Da comprimario il popolo viene tra-sformato in un attore-spettatore subalterno. nel secondo dopoguerra la rivincita popolaredura poco perché l’istituzione repubblicananon solo mutua dal fascismo la cifra dell’ita-lianità della festa, ma la trasforma in spetta-colo, in un evento teatrale da trasmettere intelevisione. napoli viene espropriata della suafesta e il festival della canzone napoletana vedecantanti non napoletani premiati sul palco. lafesta delle feste è finita: oggi è un mito da rivi-sitare in mostre, visite guidate, reminiscenzecanore e teatrali.

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ALEPPE

di Alfredo Imperatore

Il canto Vii dell’Inferno inizia col più di-scusso verso di tutta la Divina Commedia,

che ha dato adito alle più disparate spiegazioni:«Pape Sàtan, pape Sàtan aleppe». Pertanto,nessuno me ne vorrà se anch’io, che amo in-terpretare le parole, dirò la mia ex-novo, suquesto verso.Premesso che su tale endecasillabo non si puòdare nulla di scontato, consideriamo, però, ve-ritiere due parole: pape = pace e Sàtan = Sa-tana, e accentriamo la nostra attenzione sualeppe.Per quanto riguarda pape → pace, importantiaa. come il Cellini, il Fantoni, il Vigliecca, loScolari e altri, si sono orientati verso la linguafrancese, per esprimere una battuta polemicacontro l’ingordigia della casa reale di Francia,e dove pape significa proprio “pace”. la frasefrancese sarebbe: «Paix, Satan, paix Satanallez» (Pace Satana, pace Satana, andate). Ma proprio sulla parola aleppe, gli studiosi sisono sbizzarriti nelle più disparate decodifica-zioni, e su di essa, voglio dire pure la mia.Aleppe potrebbe essere la trascrizione fonetica(magari rivista dallo stesso Dante, per far rimasuccessivamente con «seppe»), della città si-riana di aleppo, in arabo Halab. Senza risaliretroppo indietro nella sua travagliata storia, que-sta città fu occupata dai romani nel 65 a.C.;saccheggiata dai Persiani; conquistata daiprimi Califfi nel 637, diventando un centro mu-sulmano. Fu assediata dai crociati nel 1124 chefurono respinti nel 1183 dal feroce Saladino,

musulmano sunnita, il quale fu uno dei mag-giori oppositori alle crociate europee. nel medioevo aleppo raggiunse grande impor-tanza strategica. Di lì partivano in quattro pe-riodi dell’anno, le carovane dirette verso laPersia, l’india, l’impero bizantino e l’armenia.Sotto i turchi restò un centro commercialemolto attivo. Come si vede, proprio nell’altomedioevo, periodo in cui Dante (morto nel1321 ad appena 56 anni per malaria) scrisse laDivina Commedia, erano particolarmente ac-cese le rivalità tra i cristiani e i maomettani.Per l’interpretazione di questo enigmaticoverso, si può ipotizzare che si trattò di un invitoa una pacificazione tra questi due mondi in pe-renne contrasto tra loro. È appena il caso di ri-cordare, come ancora adesso persiste un odiomortale (esplicito o mistificato) di gran partedegli islamici verso la nostra civiltà, con nu-merosi, sanguinosi attentati nelle più disparatezone dell’europa, della russia e dell’america,che rappresentano la parte più evoluta della ci-viltà occidentale.Che il “Divino poeta” abbia precorso i tempi,per auspicare una riappacificazione generaletra le due civiltà, e abbia scelto la città dialeppo, che per la sua storia millenaria rappre-sentava fin d’allora un importante fulcro del-l’islamismo, non deve meravigliarci: da Danteci si può aspettare tutto! Che poi abbia sceltoproprio Satana per far lanciare un grido di con-ciliazione, rientra senz’altro nella sua genialepersonalità.

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I COSSA E LA CHIESA DI SAN ROCCO

di Gabriele Scotto di Perta

ICossa eranomembri di una

prestigiosa fami-glia nobiliare giàconosciuta nelXiV secolo, senon da prima. Perquanto ci riguardaci limiteremo aparlare di queipersonaggi dellanobile casata chepiù sono vicinialle vicende diProcida. Pietro Cossa fu governatore di ischia e grandecomandante di milizie sotto le insegne di Carloii d’angiò. Partecipò allo sbarco in Siciliadove, catturato dagli aragonesi, trovò la morte.Marino Cossa nel 1340 acquistò l’isola da adi-nulfo da Procida, figlio di giovanni, eroe deiVespri Siciliani; fu valoroso uomo di mare al

comando di sedicigalee. liberò l’i-sola di lipari da-gli aragonesi.giovan Carlo Cos-sa nel 1520 di-venne abate com-mendatario di Pro-cida, quando, do-po la partenza deibenedettini, l’an-tica abbazia pas-sò dallo stato re-golare a quello se-colare con l’istitu-

zione della commenda e la nomina degli abaticon titolo cardinalizio concesso dai Ponteficidi Santa romana Chiesa. egli è ricordato perdue fatti essenziali: l’edificazione della chiesadi San rocco e l’ordine di compilazione, nel1521, di un accurato inventario di tutti i benidell’abbazia. nell’inventario, documento

Vi è sempre vittoria dove vi è concordia.

Publilio Siro

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oggi preziosissimo, già è menzionata la chiesadi San rocco, della quale ci accingiamo a par-lare.la chiesa trovasi a valle della discesa di viaSan rocco, che parte dal santuario di SantaMaria delle grazie per arrivare a via MarcelloScotti (Callìa). Semplici ma piacevoli linee ar-chitettoniche disegnano la facciata del piccoloedificio sacro che, inserito tra le antiche casedella zona, produce una gradevole sensazionedal sapore di storia passata.l’interno della chiesa (v. foto sopra) è compo-sto da un’unica navata con forme sobrie e ar-moniche. appena entrati, a sinistra, in un angolino, trovasi un’acquasantiera recante lo

stemma dei Cossa (v. foto sopra), quasi unafirma per indicare il possesso di questo luogodi culto da parte di quel casato. Sul lato sini-stro della navata è collocato un altarino inmarmo con nicchia e statua di san rocco, men-tre al lato destro si vede la statua di san Fran-cesco di Paola, al cui culto sono ancora oggimolto legati i pescatori della Corricella. al cen-tro del piccolo presbiterio è posizionato un di-gnitoso altare di marmo policromo, al di sopradel quale si può ammirare una piacevole paladel tardo Quattrocento rappresentante la Ver-gine col bambino ed i santi rocco e Francescodi Paola. Questo quadro si presenta in pessimostato di conservazione: tante opere d’arte, negliultimi anni, sono state salvate mediante re-stauro, ma purtroppo il maestro Mario tata-fiore, che intendeva recuperare quest’opera,venerata col titolo di “Madonna della neve” –evidente legame con la sacra icona di SantaMaria Maggiore in roma – morì prima di potermettere mano al lavoro. Dunque, prima dellatotale distruzione dell’opera stessa, la più an-tica dell’isola, il suo restauro sarebbe un’ottimainiziativa, anche in vista di “Procida Capitaledella cultura 2022”.

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Etichette realizzate dal nostro redattore Franco Lista.

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BOCCACCIO A NAPOLIFelicità e delusione

di Antonio La Gala

La napoli angioina del trecento ospitò i duesommi letterati Francesco Petrarca e gio-

vanni boccaccio, che, per motivi diversi, allafine rimasero entrambi delusi dal loro rapportocon la città. nella vita e nella produzione arti-stica di boccaccio, napoli occupò una posi-zione maggiore rispetto a quelle del Petrarca. boccaccio vi trascorse l’adolescenza e la primagiovinezza, dopo che il padre, pare nel 1327,con l’intera famiglia, si trasferì presso la corteangioina come “socio” e poi unico rappresen-tante della potente compagnia bancaria deibardi di Firenze. a napoli, ben presto il padre lo avviò alla pra-tica bancaria e mercantile. Quegli anni di ap-prendistato del mestiere paterno furono anniutili per la sua formazione. Stava al banco, ri-ceveva clienti, sbrigava commissioni, acqui-siva e riferiva notizie, stava a contatto continuoe quotidiano con un’umanità eterogenea, spon-tanea, ricca di passione: uomini d’affari, arti-giani, borghesi, popolani, gente di mare, donnebuone e meno buone, massaie e donne di lusso.gli passava sotto gli occhi tutta la vita della vi-vace città partenopea, depositandogli un pre-zioso materiale che egli riverserà nelDecamerone. nel 1329 il padre di boccaccio venne nomi-

nato consigliere e ciambellano di re robertod’angiò, nonché «familiaris et fidelis noster».grazie alla posizione del genitore, a giovannisi aprirono le porte dei salotti buoni di napoli,colti e raffinati, anche quelli che ruotavano at-torno alla corte angioina, un ambiente aristo-cratico di dame gioiose e di giovani spensieratiche, intrecciando amori, si raccoglievano inbrigate, organizzando feste, cortei e giostredelle quali parla lo stesso boccaccio. nel poe-metto Caccia di Diana boccaccio ricorda le piùbelle donne della corte di giovanna i, che allaloro galanteria accoppiavano la sfarzosità degliabiti e dei costumi introdotti a napoli dallacorte angioina. Scriverà poi nelle Epistole:

«io sono vivuto, dalla mia puerizia infino in intera etànutricato, a napoli ed intra nobili giovani meco in etàconvenienti, i quali, quantunque nobili, d’entrare in casamia né di me visitare si vergognavano. Vedevano meassai dilicatamente vivere, sì come noi fiorentini vi-viamo; vedevano ancora la casa e la masserizia mia se-condo la possibilità mia, splendida assai».

la città, «dilettevole come ne più sia altra initalia» come la definirà nel Decamerone, glidovette riempire l’animo di gioia e fargliela re-stare nel cuore per sempre. Come il Petrarcaanche boccaccio era entusiasta di robertod’angiò che definì il più dotto re al mondo

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dopo Salomone.nell’ambiente in cui la posizione privilegiatadel padre lo aveva introdotto. boccaccio ebbemodo di avvicinarsi anche ad artisti prestigiosi,cosa che lo allontanava sem-pre di più dal mondo dellamercatura. Dopo il non riu-scito tentativo di farne unmercante-banchiere, il padrecostrinse boccaccio a stu-diare diritto canonico pressolo “Studio napoletano”, comesi chiamava allora l’Univer-sità, dove giovanni passò seianni a studiare legge, maanche stavolta senza risultati,prima di dedicarsi a ciò chepiù lo attirava: le lettere, lapoesia, in cui si tuffò, comeaveva sempre fatto, con il fu-rore entusiasta dell’autodidatta. Muovendosicon disinvoltura nell’ambiente erudito dellacorte, ben presto cominciò ad avere frequenta-zioni altolocate in campo culturale, che gli fa-cilitarono l’ingresso a importanti bibliotechefra cui la fornitissima biblioteca reale, dove siapure con le lacune e le ingenuità che caratte-rizzano gli studi degli autodidatti, appassionan-dosi a tanti argomenti, letteratura, scienze,astronomia, mitologia, storia, ecc. si costruìuna solida base culturale, ed è a napoli che boccaccio scrisse le sueprime opere. a contatto con la gaudente e disi-nibita corte angioina, collezionò esperienzed’amore e d’infedeltà che ispireranno alcunesue pagine. nella felice frequentazione di nobili e dotti,s’inserisce anche l’innamoramento, prima cor-risposto e poi respinto, per una non bene iden-tificata Fiammetta, conosciuta nella chiesa di

San lorenzo Maggiore, dove il fiore dell’ari-stocrazia napoletana e le nobildonne andavanoa sfoggiare, fra le volte gotiche di quel tempio,le loro grazie e gli abbigliamenti. Secondo al-

cuni Fiammetta era una figlianaturale di re roberto.il nome Fiammetta comparenel romanzo in prosa di boc-caccio intitolato Filocolo,composto negli anni 1336-38: «il suo nome è da noi quichiamato Fiammetta [...] ellaè figliuola dell’altissimoprencipe sotto il cui scettroquesti paesi in quiete si reggono».in quegli anni era molto fre-quentata la fascia costiera aridosso di Mergellina e laparte iniziale di Posillipo, fa-cilmente raggiungibile dal

boccaccio, che nel 1339 andò ad abitare a Pie-digrotta, da dove poteva raggiungere in allegracomitiva quelle zone di mare prossime a casasua. a proposito di Piedigrotta, nel 1339, scri-vendo ad un amico, raccontò di essersi recatoalla chiesa di Piedigrotta per raccomandarsi af-finché fosse protetto dai pericoli che potevanoprovenirgli da una sua imprudenza amorosa.non sappiamo quale imprudenza lo preoccu-pava. Forse nel collezionare avventure “boc-caccesche”, non tutto andava sempre liscio. intanto i rapporti fra gli angioini e i banchierifiorentini erano cambiati; la compagnia deibardi in particolare, stava sull’orlo del falli-mento, dopo aver finanziato il re inglese - nonpiù in grado di pagare i suoi debiti - nellaguerra dei cent’anni. attorno al 1338 il padredi boccaccio se ne tornò, povero, a Firenze,dove, a fine 1480, sarà raggiunto, malvolen-tieri, dal figlio, allora ventisettenne.

Il direttore e la redazione di Il Rievocatore sicomplimentano con GIANFRANCO COPPOLA perla sua elezione a presidente nazionale del-l’USSI - Unione Stampa Sportiva Italiana e gliformulano i migliori auguri di buon lavoro.

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tornato a Firenze, boccaccio continuò la suaattività di studioso, mentre stringeva rapporticon letterati del-l’epoca, fra cui il Pe-trarca, anche grazieagli incarichi ricevutidai suoi concittadiniche gli consentivanodi viaggiare spessoper l’italia. Ma napoli gli era ri-masta nel cuore. an-datone via malvolen-tieri, sperava di tor-narvi, sollecitandol’aiuto di amici in-fluenti, fra cui nicolò acciaiuoli, diventato po-tentissimo collaboratore della regina giovanna.le manifestazioni d’affetto dell’influenteamico riaccesero nell’animo del boccaccio ildesiderio di tornare a napoli, dove si recònell’autunno del 1355, viaggio di cui si sapoco, se non che il poeta ne rimase deluso,senza però guastargli il ricordo felice del sog-giorno giovanile, tant’è che quando nel 1362l’acciaiuoli le invitò nuovamente a napoli,boccaccio vi si recò pieno di speranze di ri-prendere una onorata presenza alla corte an-gioina, fidando sul fatto che l’acciaiuoli loinvitava alla corte perché voleva arricchirla diun letterato famoso, come il boccaccio nel frat-tempo era diventato, un invito che sostanzial-mente era un ripiego, dopo che la prestigiosaofferta era stata rifiutata dal Petrarca.

in effetti da buon politico l’acciaiuoli non sa-peva cosa farsene di un poeta, ma accontentò

boccaccio nel suo de-siderio di venire a na-poli perché avevabisogno di lui per al-cuni contatti a Fi-renze. Così boccacciotornò a napoli con en-tusiasmo, con tutta labiblioteca e tutte lesue cose. Qui però loattendeva una fortedelusione. l’accia-iuoli, raggiunto il suoscopo, non lo curava

più e lo relegò in una

«cameruccia aperta da più buche, fetida e di cattivoodore e d’ogni bruttura ricettacolo, assegnata a me vec-chio e affaticato acciò che insieme col mio fratello ripo-sassi […] al disotto alla tavola, in luogo di una panca,era un legnerello monco d’un piè».

trattato come un parassita, sballottolato da unasistemazione a un’altra, alla fine scappò da na-poli. tuttavia, ostinato nei suoi sogni, incredi-bilmente vi ritornò alle soglie della sessantina,nell’autunno del 1370, ma ancora una voltarestò deluso, per la nuova serie di umiliazionicollezionate. ne andò via definitivamente nellaprimavera successiva.la napoli gaia della sua giovinezza era un fan-tasma della memoria.

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L’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “LA COLOMBARIA”ha implementato il proprio canale YouTube (https://www.youtube.com/channel/UCEQL_wYt_xkIfZz1q1OMnqA),sul quale sono presenti le prime due lezioni del ciclo dante-sco e la lezione di Anna Nozzoli su Elsa Morante tenuta nel-l'ambito del ciclo “Donne del '900 italiano”, e saranno

pubblicate le successive conferenze registrate e autorizzate, il cui sonoro è re-peribile anche sul canale Spotify (https://open.spotify.com/show/ 44pugSFSY-CaqQd80Hcxl9d). Per contatti: tf. 055.291923; cell. 370.3316576;[email protected].

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LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

di Orazio Dente Gattola

«Fuerunt Itali rerum domini, nunc Turco-rum inchoatur imperium» (gli italici

furono i padroni dell’universo ma ora ha iniziol’imperio dei turchi) così scriveva l’arcive-scovo di Siena enea Silvio Piccolomini, futuroPio ii, all’amico leonardo benvoglieri, amba-sciatore senese presso la Serenissima repub-blica di Venezia dopo avere ricevuto il 25luglio 1543 la noti-zia della caduta diCostantinopoli. la capitale di quelloche era stato l’im-pero romano d’orien-te, erede naturale elegittimo di quellod’occidente era ca-duta il 29 maggiodello stesso annosotto l’urto dellepossenti armate tur-che del sultano Me-hemed ii ma lanotizia era giunta a Venezia solo un mese dopo,il 29 giugno. Portata da un “gripo”, uno dei piùveloci del tempo.tutti i tentativi precedenti a quello del maggio1453 erano falliti in quanto gli ottomani nonavevano potuto bloccare la città anche dalmare.Da Venezia la notizia era subito rimbalzatanelle altre capitali europee compatibilmentecon la lentezza dei mezzi di comunicazione deltempo. Ciò che tutti temevano ma nessuno si

augurava era dunque accaduto.l’islām che da tempo portava avanti, estenden-dosi a macchia d’olio, una politica di conquisteche non conosceva soste, era dunque riuscitoad impadronirsi anche dell’ultimo territorio delVicino oriente indipendente. la notizia gettònello sgomento l’intera europa, quell’europache aveva praticamente ignorato le invocazioni

di soccorso limitan-dosi a soccorsiquasi insussistenti.la conquista otto-mana della capitaledell’impero d’orien-te, ormai ridottodalla progressivaquanto inarrestabileavanzata ottomanaal solo perimetrodella città, deteminòuna svolta impor-tantissima nella sto-ria di gran parte

dell’europa orientale. Si tenga conto infatti chei turchi nel momento maggiore della loroavanzata giunsero sino alle porte di Vienna. levarie nazioni europee, specialmente quelle piùdirettamente minacciate, da un lato sconvoltedal terrore, dall’altro non seppero o non volleroreagire ad un nemico che giunse a gettare conle sue navi a seminare il terrore sui paesi rivie-raschi. D’altro canto occorre considerare che,salvo i mercanti pisani, veneziani e genovesi,nessun altro in europa aveva mostrato inte-

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resse ai contatti con l’ormai fatiscente imperoorientale. Solo dopo la caduta di Costantino-poli gli ambenti occidentali si aprirono all’in-fluenza dei sudditi orientali sfuggiti al disastro.occorre tener conto del fatto che l’imperoorientale s’era, come dire, andato cercandoquello che fu il suo destino. negli ultimi duesecoli della sua esistenza la sfarzosa città diCostantinopoli, capitale dell’impero, si limitòa vivere come un’isola nell’impero ottomanogodendo delle delizie che le venivano da un fa-talistico abbandono ad un senso di grandezzadi cui rimanevano solo i resti.l’impero ottomano da un lato si era accresciutosino a raggiungere il centro della penisola ibe-rica e dall’altro aveva occupato la Sicilia e ri-salito i balcani sino a lambire nel momentoculminante le città di Udine e di Vienna. il ter-ritorio dell’impero di Costantinopoli, stretto inquesta sorta di tenaglia si era andato progres-sivamente restringendo riducendosi nel mo-mento culminante alla triplice cerchia dellemura che circondavano la città. il lusso o, me-glio, lo sfarzo di una città in cui predominavaincontrastata la corruzione.l’islām beneficiò indubbiamente della cadutadi Costantinopoli, che non fu la sola causadella sua decadenza e della caduta che le feceseguito: le ripetute invasioni dei goti, degliUnni e, persino dei Crociati, l’azione non sem-pre disinteressata delle numerose colonie com-merciali fondate da pisani, genovesi eveneziani contribuirono ad alimentare la deca-denza di un impero che, pure, era stato grande.gli ultimi imperatori si astennero da ostilitàsperando che le loro potenti galee ormeggiatenel Corno d’oro potessero servire da deter-rente nei confronti dei turchi sempre più vicinie più aggressivi. essi poco o nulla fecero per contrastare ed in-vertire il processo di decadenza dell’imperochiusi, com’erano, in una corte nella qualesfarzo e corruzione la facevano da padroni.i turchi discendevano da una popolazione pa-gana dedita alla pastorizia originaria dell’asiacentrale che nel corso delle sue migrazionigiunse nell’anatolia. erano formidabili cava-lieri pur essendo, giova ribadirlo, un popolo di

pastori. allorché giunsero in anatolia venneroa contatto con i missionari bizantini che invanocercarono di convertirli. Furono invece gliimam e i califfi arabi che facilmente li conver-tirono all’islām, un credo molto più congenialeal loro temperamento.Fondatore dell’impero ottomano fu il sultanoMurad i che intorno al 1385 proclamò la jihadcontro la Cristianità, ossia la “guerra santa”una sorta di risposta alle Crociate che in nomedi allah dava licenza di uccidere, di derubare,rendere schiavo chiunque non fosse un “verocredente”. Murad i riformò l’esercito isti-tuendo il corpo dei giannizzeri che terrorizzavachiunque si ponesse sulla loro strada. i gian-nizzeri erano dotati di archibugi, arma da fuocoantenata del fucile, che veniva importata daimercanti genovesi e veneziani.grazie all’eccezionale combattività dei gian-nizzeri e alla potenza numerica delle sue ar-mate il successore di Murad i, Murad ii, potéspingersi sempre di più nel cuore dell’europamentre Costantinopoli divenne una sorta diisola cristiana: per contrastare la sua avanzataCostantinopoli, Venezia e l’Ungheria organiz-zarono con la benedizione del Papa un’enne-sima quanto infruttifera crociata che siconcluse con una pesante disfatta degli alleatiche dovettero sobbarcarsi al pagamento di unumiliante tributo. Murad ii morì nel 1451 e ilsuo successore, il giovanissimo Mehemed ii,si trovò ad essere padrone di buona parte dellapenisola balcanica e di una grossa fetta del-l’asia minore.Solo Costantinopoli. stretta sempre più da vi-cino, restò indipendente. Mehemed ii era peròdeciso a conquistarla e portò le sue armate vit-toriose sempre più sotto le sue mura.alla vigilia della Pasqua del 1453 Mehemed iiscagliò contro la città un’armata forte di ben100.000 uomini che invocando allah si accin-sero a dare l’assalto alla città avendo posto illoro accampamento ad appena un miglio dallemura. Mehemed disponeva di 80.000 regolarie 20.000 bashi-bazouk o irregolari ai quali fupossibile contrapporre appena 7.000 uominivalidi tra greci e stranieri. l’assalto definitivoera stato deciso nel gennaio di quello stesso

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anno dopo un incontro con i più stretti consi-glieri. Dei preparativi si era occupato lo stessoMehemed che, durante l’inverno, radunò letruppe in tracia. oltre alle forze di terra il sul-tano disponeva di una flotta numerosissima.già da qualche tempo i balivi di genova e diVenezia stavano inviando ai rispettivi senatimessaggi allarmati coni quali invocavano l’in-vio di soccorsi, invoca-zioni che, purtroppo,non venivano recepite.Ciò non significava chel’intero occidente nonfosse al corrente delfatto che l’impero eraridotto ad un’isola cri-stiana sempre più pic-cola in mezzo ad unmare islamico, cosìcome non fosse al cor-rente che si trattava,piacesse o no, dell’erededi roma. Solo Venezia e genova sembravanoavere a cuore il destino di quell’isola assediata.la stessa Chiesa mostrava di ignorare il pro-blema: il disinteresse della Chiesa di roma erada ascrivere alle conseguenze dello scisma. ilcontrasto tra le due Chiese era talmente acutoche quando nel 1452 Costantino Xi, ultimo im-peratore, proclamò la loro unione, sperando diricevere soccorsi dai paesi cattolici, il clero or-todosso si oppose violentemente affermando dipreferire il turbante islamico alla tiara pontifi-cia.l’ultimo degli imperatori bizantini era, a dif-ferenza dei suoi predecessori, un uomo volitivoe deciso e, pur consapevole della schiacciantesuperiorità numerica degli assalitori, si mostròrisoluto alla resistenza pur rendendosi contodell’imminenza della fine e tentò con scarsi ri-sultati di ottenere consistenti rinforzi inviandoambascerie nei paesi cristiani. i soccorsi inviatipurtroppo consistettero in appena 200 armatiraccolti dal cardinale isidoro e 700 balestrieriinviati da genova al comando di giovannigiustiniani. Venezia, invece, inviò una flottaaffidata all’ambasciatore bartolomeo Marcello

che avrebbe dovuto intavolare trattative di pacecon il sultano; le navi, però, non giunsero maia Costantinopoli.il 2 aprile 1453, falliti tutti i tentativi di otte-nere una pace e soccorsi, Costantino iX Paleo-logo si rivolse alla colonia straniera residenteaffinché cooperasse alla difesa ottenendo che i

mercanti genovesi equelli veneziani impu-gnassero le armi in di-fesa della città.Furono murate tutte leporte, sollevati i pontilevatoi. a difesa dal latodel mare fu collocatauna barriera galleg-giante di tronchi tenutiassieme da possenti ca-tene che doveva preclu-dere l’accesso al Cornod’oro e a consentire ilpassaggio dell’inutil-mente attesa flotta vene-

ziana.la mattina del 6 aprile tutti i difensori erano ailoro posti: Costantino iX e giovanni giusti-niani comandavano il settore più esposto ad unchilometro dalla punta nord. Mehemed ordinòun bombardamento senza precedenti per la vio-lenza che portò all’apertura di una breccia chei difensori riuscirono a chiudere dopo un inu-tile assalto ottomano.Mehemed ii fece realizzare una strada spia-nando una collina posta nei pressi di galata ecosì poté far scivolare su dei rulli le fuste bi-remi all’interno dello sbarramento che in talmodo venne reso inutile.giovanni giustiniani che aveva assunto il co-mando dei difensori d’accordo con il consigliodi guerra fece approntare alcuni brigantinisenza equipaggio caricati con il “fuoco greco”per lanciarli contro le fuste turche ed incen-diarle. il 28 aprile si effettuò l’attacco che ri-mase senza risultati in quanto i turchi, avvisatida un traditore, ebbero modo di respingerlo.Mehemed fece a questo punto entrare in azionele bombarde, un’arma che già esisteva ma uncui esemplare che era stato reso micidiale da

Mehemed ii

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un fonditore ungherese opportunamente co-perto d’oro, tale Urban. Si trattava di un gigan-tesco cannone della lunghezza di 9 metri e delpeso di 48 tonnellate che veniva trainato da 50paia di buoi ed aveva un calibro di 889 milli-metri capace di scagliare palle di pietra delpeso di 490 kg e di 3 metri di diametro ad unadistanza di 1.500 metri. Quando l’enorme can-none fu messo in postazione davanti alla portadi San romano (da allora detta del topkapı,che significa “porta del cannone”) con pochicolpi aprì un’enorme breccia nelle mura che idifensori non riuscirono a colmare. ormai benpoco potevano fare gli eroici difensori di Co-stantinopoli.il 28 maggio dopo che gli ulema e gli imam eb-bero infiammato gli animi delle truppe tra lequali, come da tempo, si distinguevano i gian-nizzeri ed ebbero promesso il paradiso dellehuri per i morituri e il saccheggio per i vincitoriMehemed ii, stanco per il protrarsi dell’assedioche durava da 44 giorni diede il segnale del-l’assalto.l’esercito fu ordinato avendo i giannizzeri,corpo scelto, alla testa; seguivano gli arcieri e,quindi, gli archibugieri.nel frattempo le campane delle chiese suona-vano a distesa e i fedeli partecipavano a pro-cessioni e a riti propiziatori celebrati nellechiese dai sacerdoti. Fu portata in processioneun’icona della Vergine alla quale si attribui-vano poteri miracolosi; purtroppo l’iconacadde a terra mentre si scatenò un violentotemporale, segni ai quali il popolo terrorizzatoreagì precipitandosi nella basilica di SantaSofia.Purtroppo il miracolo invocato non si verificòe nei pressi della porta di San romano ebbeluogo lo scontro finale, nel corso del quale igiannizzeri uccisero quanti li affrontarono.Dei difensori si salvò solo giovanni giusti-niani che, ferito gravemente, fu portato in salvosu una nave genovese. Costantino Xi, invece,cadde combattendo. i turchi non ebbero pietàper il cadavere del valoroso sovrano: gli fu ta-gliata la testa che fu portata al sultano mentreil corpo fu scuoiato e la pelle riempita di pagliache fu portata in giro per dimostrare la vittoria.

Una volta conquistata la città, l’armata di Mo-hamed ii si abbandonò ad un violento saccheg-gio e a violenze di ogni genere sulla sfortunatapopolazione: molti, per dirne una, furono im-palati vivi. ovviamente al destino della cittànon sfuggirono nemmeno i monasteri: monacie suore furono anche loro oggetto di violenzealle quali solo la morte poneva termine. nonpoche suore sfuggirono alle violenze suicidan-dosi. la bisessualità, comune tra i soldati otto-mani, fece sì che nemmeno i giovanissimisfuggissero alle violenze. le donne più avve-nenti vennero salvate per essere avviate agliharem dei comandanti o al serraglio del sul-tano.Mehemed ii entrò nella città su di un cavallobianco e, giunto davanti a Santa Sofia ordinòal suo seguito di inginocchiarsi per pregareallah in segno di ringraziamento per la vittoria.Durante un banchetto tentò di usare violenzaad un giovanetto facendo uccidere i consangui-nei che, resisi conto delle intenzioni del so-vrano, tentarono di opporsi: si richiama questoepisodio per dimostrare che uomo feroce eglifosse.la colonia straniera esistente in città andò in-contro ad un destino che colpì a caso: il balivoveneziano girolamo Minotto fu ucciso contutti i suoi familiari mentre altri poterono sal-varsi pagando forti somme per il loro riscatto.Un diverso trattamento ricevettero i genovesi:genova aveva sempre intrattenuto buoni rap-porti col sultano e anche se molti genovesi re-sidenti a galata avevano combattuto valo-rosamente in difesa della città ciò non impedìa Mehemed ii di usare loro un buon tratta-mento preferendo mantenere buoni rapporticon genova.Dopo la conquista della città il Sultano vi tra-sferì la capitale che in precedenza era ad adria-nopoli e avviò una fruttuosa politica dicollaborazione con i mercanti stranieri cheportò alla netta ripresa della città stessa e, fi-nanche di rispetto della religione dei cittadini,salvo il singolare divieto di suonare le cam-pane.

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LEON PANCALDOE L’ISTITUTO NAUTICO DI SAVONA

di Elio Barletta

Il 10 agosto 1519 iniziò da Siviglia il viaggiodi una flotta di cinque navi intente ad effet-

tuare, al servizio della corona di Carlo V diSpagna, la circumnavigazione del globo terre-stre. erano: la Trinidad, 130tonnellate, 55 uomini, capi-tano: Ferdinando Magellano;la Sant'Antonio, 130 tonnel-late, 60 uomini, capitano:juan de Cartagena; la Concep-ción, 90 tonnellate, 45 uomini,capitano: gaspar de Quesada;la Victoria, 90 tonnellate, 42uomini, capitano: luis deMendoza; la Santiago, 60 ton-nellate, 32 uomini, capitano:giovanni Serrano. i 234 uo-mini della spedizione eranoformati da 170 spagnoli, 40portoghesi, 20 italiani e 4 in-terpreti afro/asiatici. le prov-viste erano formate da 7240 kg di panebiscottato, 194 kg di carne essiccata, 163 kg diolio, 381 kg di formaggio, 200 barili di sardesalate e 2856 pesci essiccati.il comandante della flotta era il ben noto navi-gatore ed esploratore portoghese, italianizzato

Ferdinando Magellano (in latino FerdinandusMagellanus; portoghese Fernão de Magalhães;spagnolo Fernando de Magallanes). nato a Sa-brosa il 17 ottobre 1480, Ferdinando visse una

vita assai breve, ma ricca disuccessi, prevalentementemarinareschi. nell'attuazionedella suddetta circumvalla-zione le navi partirono da Si-viglia per seguire il corso delfiume guadalquivir fino aSanlúcar de barrameda, dovefurono costrette a fermarsi percinque settimane, per le rilut-tanze delle locali autorità spa-gnole a far partire laspedizione sotto il comandodi un ammiraglio portoghese.Solo il 20 settembre 1519 Ma-gellano poté affrontarel'oceano. e ben presto si trovò

ad essere disturbato da un gruppo di navi man-date da re Manuele i del Portogallo.il 27 aprile 1521, a soli 41 anni di età, avendorifiutato di sottomettersi al potere ufficiale, nonriuscì a concludere l'impresa del secolo, para-gonabile soltanto all'epopea di Cristotoro Co-

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leon Pancaldo

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lombo. Fu purtroppo la battaglia combattutasulla spiaggia della città di lapu-lapu, sul-l'isola di Mactan, nella parte centrale delle at-tuali Filippine, a segnare la fine del prestigio edella vita di Magellano. e fu una fine inglo-riosa e immeritata perché le spoglie del navi-gatore non furono mai più ritrovate generandouna serie di supposizioni infondate. i registridella spedizione sono conservati presso l'ar-chivo general de las indias a Siviglia. leon Pancaldo nacque a Savona nel 1482, fi-glio di battistina de reposano e Manfrino Pan-caldo, un tessitore di panni che era stato inottimi rapporti con un altro lanaiolo, DomenicoColombo, nel periodo in cui la famiglia di Cri-stoforo Colombo aveva risieduto nella cittàdella torretta. Partecipò come nocchiero al 1°viaggio di circumnavigazione intorno almondo sulla nave Trinidad sotto il comando diFerdinando Magellano; fu fatto a lungo prigio-

niero dai portoghesi alle Molucche durante ilviaggio di ritorno. grazie all'esperienza acqui-sita in gioventù compì viaggi commerciali nelMediterraneo. Morì al rio de la Plata, nel1540. a suo ricordo fu intestato l'istituto tecniconautico di Savona dove, dal 1930 al 1934, hainsegnato mio padre, Mariano barletta, qualedocente precario di materie nautiche (cerchiatoin rosso nella foto, in alto a sinistra), diventatopoi professore ordinario delle stesse materie epreside negli istituti di Procida e di napoli.nella schermata è rappresentato superiormentel'organico degli insegnanti ed in basso unaclasse di allievi dell'ultimo anno, nell'appositadivisa di maturandi. in alto, al centro, svetta ilritratto del preside dell'epoca, il professor Stur-lese, un uomo molto apprezzato per la suachiara fama di letterato.

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IL MERITO E L'UTOPIA

di Elio Notarbartolo

La direzione degli scavi di Pompei è stata as-sunta da un giovane funzionario italo-tede-

sco che ha molti meriti non solo di studi maanche di aver elevato il museo di Paestum dalui diretto ad una efficienza burocratica e cul-turale di tutto rispetto. È un giovane motivatocon progetti e utopie che, sempre, dovrebberoispirare la progettualità di chi ha il compito digestire grandi istituti della cultura.auguri a lui e agli scavi di Pompei, polo di at-trazione di tanti turisti e tanti uomini colti datutto il mondo.anche napoli è una grande istituzione cultu-rale e ci vorrebbe qualcuno con competenze egrandi progetti. l'ultimo sindacato è andatopiuttosto male a napoli, occupata da perso-naggi capaci di "scassare" ma senza grandiprogetti o, addirittura, utopie da coltivare. Chisia sia quello che farà il sindaco di napoli peri prossimi 5 anni, noi abbiamo un'utopia daproporgli: la creazione di una bellissima piazzarinascimentale.«Ma come, direte voi, creare oggi una piazza

di saporecinquecen-tesco e ri-nascimen-tale? Sareb-be un falso!»no, affatto!Sì, a napoliquesto èp o s s i b i l eperché imonumentic i n q u e -centeschi li

abbiamo già, tutti radunati in un posto e vici-nissimi tra loro, ma che non riescono a costi-tuire una vera piazza, nobilissima e di nobiltàpari alla somma della nobiltà di ciascuno diessi, unica e godibilissima, tale da poter dotarenapoli di un altro miracoloso segno di Storia,di bellezza, e di rinascimento.Dove? a porta Capuana.Porta Capuana (v. foto sopra) è un dono di al-

Nella Cattedrale cittadina si è svolto, il 2 febbraio scorso, il rito d’inse-diamento del nuovo Arcivescovo metropolita di Napoli, S. E. mons.DOMENICOBATTAGLIA, proveniente dalla diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti. A “don Mimmo” – come egli preferisceessere chiamato– Il Rievocatoreformula vivissimi auguri di proficuoministero pastorale.

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fonso il Magnifico alla nostra città mentre lavicina chiesa di Santa Caterina a Formiello (v.foto sopra) è un dono di suo figlio, Ferranted'aragona, che volle dedicare la chiesa a ricor-dare i Martiri di otranto, che furono giustiziatinella cittadina pugliese per non aver voluto ab-dicare alla loro fede di Cristiani. Ferrante riuscìa rigettare in mare quegli arroganti saraceni eportò a napoli una grande parte di quei corpiche ora sono conservati a Santa Caterina a For-miello. essa conserva la loro memoria e lagrandezza della famiglia aragona.il terzo monumento è la facciata principale diCastel Capuano (v. foto a lato). «Ma come, è ilcastello più medievale di napoli: che c'entral'alto Medioevo con il rinascimento?». CastelCapuano fu restaurato dagli aragonesi quandoalfon-so conquistò la città. Una larga parte di

questa bellissima facciata è nascosta da unaquinta di fabbricati, qualcuno anche in cattivecondizioni, che impedisce al tutto di diventareun unicum edi leggerne labellezza, lacaratterizza-zione e lameravigliosaarmonia diun tempo cheè stato il mi-glior tempodell'italia, eper chi cono-sce napoli,della stessacittà parteno-pea.Demolire questa (brutta) quinta e dare a napoliun'altra perla della sua incommensurabile mul-ticulturalità aggiungendo un castone inconta-minato alla sua corona di regina del Medi-terraneo: questa è l'utopia che vorremmo con-segnare al nuovo sindaco perché sia lui a co-minciare quel lungo lavoro per trasformare unsogno in realtà.

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Lo scorso 17 gennaio, nel corso di una videoconferenza del ciclo “INCROCI MEDITERRANEI”, curato dalsociologo Maurizio Vitiello e condotto dal giornalista Pino Cotarelli, il direttore Sergio Zazzera ha presentatoIl Rievocatore, delineandone brevemente la storia. All’incontro hanno partecipato anche i giornalisti Gio-vanna Tramontano e Giulio Rolando e lo scrittore Renato Casolaro. La visione della registrazione delmeeting è possibile, collegandosi all’indirizzo: https://www.facebook.com/ pino.co-

tarelli/videos/3960151030661613.

Sulla pagina Facebook della Biblioteca comunale “Don Michele Ambro-sino” di Procida (https://www.facebook.com/BibliotecaProcida) è presentela registrazione della presen- tazione del volume PROCIDA ‘900, di SergioZazzera, direttore di questa testata, svoltasi in diretta streaming il 19 gen-naio scorso, a cura di Gea Palumbo e Pasquale Lubrano Lavadera.

Il 24 gennaio scorso, il format “Con la cultura non si mangia”,ideato dai giornalisti Agostino Ingenito e Ilaria Varriano, ha datovita a una conversazione di quest’ultima col direttore di questo pe-riodico, Sergio Zazzera, sui profili culturali dell’isola di Procida.

La registrazione dell’evento è fruibile sulla pagina Facebook di Agrotoday.it, all’indi-rizzo: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=440052777118496&id=113000690487034.

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PALAZZO CELLAMARE A CHIAIA

di Ferdinando Ferrajoli

Il lato di napoli, che, dal promontorio dimonte echia, arriva alla spiaggia di Mergel-

lina, è la più amena contrada della terra: sorrisoeterno della natura, amore e delizia degli artistie di poeti, che trovò il suo naturale sviluppocon la costruzione di via toledo.nel 1566, la piazza S. Ferdinando e il largo diPalazzo altro non erano se non orti e giardinidisseminati di case coloniche, con qualche villarustica qua e là, mentre una parte di Chiaia eraattraversata da un sentiero sinuoso che si sno-dava nel fondo valle della boscaglia, fra le duecolline delle Mortelle e di Pizzofalcone1.in quel tempo già esisteva il solitario e severopalazzo di Stigliano, costruito da giovan Fran-cesco Carafa, abate di Sant'angelo d'atella2,come villa di campagna: divenuto poi palazzodi città dopo la costruzione di Palazzo reale,quando don Pietro di toledo aprì la attualestrada di Chiaia3 che il viceré Monterey, nel1636, congiunse le colline con l'attuale ponte.il palazzo Stigliano, in via Chiaia 149, che tut-tora porta tracce nel basamento delle antichebugne, aveva, nella parte collinosa, un magni-fico giardino fatto poi abbellire da luigi, se-condo principe di Stigliano, con una magnificafontana che porta incisi gli stemmi dei Carafadi Stadera, dei della Marra, dei Capua e degliorsini.i Carafa di Stigliano, gente ambiziosa e fa-stosa, crebbero in potenza allorché luigi sposò

isabella gonzaga, figlia di Vespasiano, duca diSabbioneta. riunito questo titolo ai molti chegià gli provenivano per discendenza, luigitenne corte di piccolo sovrano. Fu tra i fonda-tori dell'accademia degli oziosi presieduta dalManso, protesse ed amò i letterati ed ebbe,come amici, Camillo Pellegrino il Vecchio, ilMarchese Manso, giovan battista Marino egiambattista basile.la potenza di casa Stigliano crebbe ancor dipiù con il matrimonio di antonio, figlio diluigi, con elena aldobrandini, nipote di Cle-mente Vili, dalla cui unione nacquero tre figli:luigi, giuseppe ed anna. nel giro di pochianni, però, la potente famiglia fu decimata:morirono i due giovani figli e, nel 1630, lostesso principe. Unica superstite ed erede dellapotenza degli Stigliano fu la figlia anna e lavecchia principessa. era tanto grande il valoredella eredità degli Stigliano che anna, il cui pa-trimonio si aggirava su circa un milione emezzo di ducati, fu chiamata la «prima doted'europa».Fra i tanti pretendenti alla sua mano ebbe lameglio il giovane Don ramiro guzman, ducadi Medina las torres, che portò come dote lapromessa di ottenere il vicereame di napoli.le nozze furono celebrate, in palazzo Sti-gliano, nel 1636 e, il 18 novembre 1637, il gio-vane duca si insediò quale viceré di napoli.il nome di questa potente principessa, morta

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anch'essa giovane e abbandonata dal marito edai familiari, è legato al famoso palazzo di Po-sillipo detto «la Sirena»4.Quando nel 1689 il principe di Stigliano nicolaguzman Carafa venne a morte senza legittimieredi, il fisco mise in vendita il palazzo che,con pubblico bando del 20 ottobre 1695, venneacquistato per diciottomila ducati dal principedi Cellamare antonio giudice, lo stesso chepoi doveva legare il suo nome alla «congiuradi Cellamare» nota agli annali di Francia.

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1 F. Colonna, La strada di Chiaia, in Napoli Nobilissima,1897, p. 145.2 b. aldimari, Historia genealogica della famiglia Ca-rafa. 2, napoli 1691, p. 317, che cita l’opera di Zazzera.b. Croce, Aneddoti di varia letteratura. 2, bari 1953, p.374 s. (Il palazzo Cellamare a Chiaia e il principe diFrancavilla).3 C. Celano, Notizie del bello dell’antico e del curiosodella città di Napoli. 2, napoli 1860, p. 539.4 Palazzo Donn’anna (n.d.r.)

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Che sia di scuola leonardesca o - come qualcuno vuole - braman-tesca, il prezioso quattrocentesco SALVATOR MUNDI della basilicadi San Domenico Maggiore ha fatto ritorno nella Cappella Muscettola,dalla quale era stato sottratto: gli agenti della Sezione Reati con-tro il Patrimonio della Squadra Mobile di Napoli, infatti, lohanno rinvenuto, il 16 gennaio scorso, in un appartamento dellaStrada Provinciale delle Brecce, il cui proprietario hanno denun-ciato per ricettazione.

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DOMENICO CASSINI ED IL DIRITTO PAPINIANO

di Leonardo Santoro

Dalla scuola dei culti, che ancora continuala sua costante ed impegnativa opera, si

sono avuti, in ogni epoca successiva, degli stu-diosi, la cui attività ha offerto, ed offre, al di-ritto, insieme alla corrispondente storia, deinotevoli contributi di spiegazione, filologica enon, dei contenuti, alla luce di rinnovamentigiuridici, di linguistica, nella semantica vera epropria, di dogmatica e di sistematica, nonavulsi dalla logica concreta dei fatti della vitasociale, dove l’andare dell’uomo si manifestacon la richiesta di esigenze, morali ed etiche,nonché economiche, produttive, industriali e dicommercio, da soddisfare, sempre nuove e mo-derne, anche se di sapore antico, in direzionedi elevazione culturali e di progresso materialee civile.il che, innestandosi nella tradizione, come na-turale evoluzione, ha indotto, ed induce, gli ap-passionati della materia alla ricerca conoscitivadi argomenti, interessanti la statica e la dina-mica dei rapporti, individuali e di gruppo,nell’ambito di un contesto di organizzazionepolitica, a seconda dei periodi diversi, presi inesame, allo scopo, non solo di arricchire, dalpunto di vista letterario, un patrimonio di sa-pere, ma di ricavare, dall’indagine creativa, im-

portanti indicazioni per l’avvenire, a sostegnodi ragioni, valide ed efficaci, nel tempo e nellospazio.Quotidianamente il discorso è stato, ed è, cri-tico e, da Cino da Pistoia in poi, bartolo daSassoferrato lo seguì, avviando un rigogliosofiorire di lavori, che, con varie angolazioni, sidiffusero dall’italia alla Francia, alla germa-nia, all’olanda, ed altrove in europa, graziepure a lorenzo Valla ed angelo Poliziano, abudé, alciato e Zasio, a Cuiacio e Donello, en-trambi, questi ultimi, sostenitori del principiodella relatività storica, rispetto a quello di au-torità, iniziatore e programmatore del metodointerpretativo, per indirizzi di studio: storici-fi-lologici e dogmatici-sistematici, nondimenonecessari, ed indispensabili, nella rielabora-zione concettuale dell'esperienza giuridica.la quale, venendo coltivata dal Donello nel se-condo aspetto e dal Cuiacio nel primo, relati-vamente al diritto romano, ebbe approfondi-menti, per la parte dogmatica-sistematica, daScipione gentili, da Marco aurelio galiani, dagiuseppe averani, da leopoldo andrea gua-dagni e, per la storico-filologica, soprattutto anapoli, da Francesco D’andrea, da giuseppeaurelio Di gennaro, da giuseppe Pasquale Ci-

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Pagine vive

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rillo, da gian Vincenzo gravina, da Donatoantonio d’asti.a questi si può aggiungere, tra la fine del ‘700e fino al 1837, Domenico Cassini, un lucano,nato a Moliterno (Potenza) nel 1778, dalleumili origini, perché fi-glio di massaio di pe-core, a dire del biancul-li, rivelatosi, nel foropartenopeo, un valenteavvocato ed un giurista,dalle ottime doti d’intel-ligenza e di cultura, perlo più versato nelle di-fese difficili e nei campigiuridici dottrinari, feu-dali e romani, cari al-l’insegnamento del Cu-iacio e di Celso, il cuimotto fu: «Scire legesnon est earum verba te-nere, sed vim et potesta-tem», ancoraammonitore del fatto che la giurisprudenzasenza la storia equivale a scienza delle leggisenza ragione.ed il libro sul Diritto Papiniano, edito nel-l’anno della morte del Cassini, seguendo talecriterio, mette in evidenza la politica costitu-zionale della roma dei sette re, la sua organiz-zazione, le leggi, quanto mai fondate sulrispetto della tradizione degli usi e dei costumi,mentre oratori e giureconsulti vennero ulterior-mente a raccogliere il diritto civile del tempoda romolo a tarquinio il Superbo.nel volume in parola, l’autore riconosce ancheil carattere, in prevalenza, pratico e casisticodell'insieme codificato e sottolinea il costanterichiamo fatto, nel corso degli avvenimenti di

quei periodi, almeno per la soluzione dei casiprospettati, alle concrete esigenze della vita so-ciale ed ai princìpi dell’equità, non dimenti-cando il passaggio verificatosi dal costume aldiritto, a mano a mano separantisi per un con-

trasto incolmabile nellerispettive linee di con-dotta. il De Pilato av-verte, nel lavoro sulDiritto Papiniano diDomenico Cassini, unasagace erudizione eduna dottrina non trascu-rabile, degne di contri-buire a significare chelo studio delle normegiuridiche, essendo que-ste positive nel fatto chela storia dell'uomo vaconsiderata nei succes-sivi gradi della società,riesce, secondo il no-stro, malagevole,

quando non è preceduto, od accompagnato,dalla cognizione delle leggi e dalla conoscenzadella storia, intese a sapersi degli uomini, messinell’azione dei rapporti sociali.risulta, pertanto, oggi apprezzabile il ritornoalla concezione della filosofia dell’esperienzagiuridica, una volta superati i canoni dell’idea-lismo e del positivismo, del neopositivismo edel giusnaturalismo, al pari di Vico, che, attra-verso bartolo e Cuiacio, parla, con le opere delmoliternese e degli altri, in maniera pratica erealistica, a soddisfazione della tradizione, chesi evolve, senza rinnegamenti, nella misura delrispetto dell’economia della vita dei singoli.

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Si è spenta il 16 dicembre, in Napoli,

suor ANTONIETTA TUCCILLOsuperiora delle Piccole Ancelle di Cristo Re dal 1991 al 2009, che era nata ad Afragolail 3 gennaio 1933. Laureata in filosofia morale nell’Università Cattolica di Milano, ha in-segnato filosofia e pedagogia nell’Istituto magistrale di San Giuseppe Vesuviano, delquale è stata anche preside. Fra le tante attività da lei curate, va ricordata l’organizza-zione, insieme con il compianto prof. Antonio V. Nazzaro, illustre latinista, della Lectura

Patrum Neapolitana. Alla Comunità religiosa che fu guidata da lei giungano le condoglianze del direttore edella redazione di questo periodico.

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emilio Papiniano

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DUE AFFRESCHI LAURENTINI

di Sergio Zazzera

Due affreschi di particolare interesse, siglati«b.b.r.», occupano quasi interamente le

pareti laterali della navata della chiesa di SantaMaria della Sanità, sede dell’omonima Con-gregazione, in San lorenzello1.a dipingerli, nel 1800, fu bernardino rullo2,del quale si hanno poche notizie. innanzitutto,si sa che era un profugo politico toscano3, esi-liato da napoli in conseguenza della reazioneborbonica agli avvenimenti del 17994: c’è dapensare, dunque, che egli avesse aderito allarepubblica napoletana, mentre si trovava inquella città per eseguire qualche lavoro, e chefosse appena arrivato in territorio cerretese-lau-rentino, quando eseguì le due opere. Va detto,inoltre, che non di rado egli è confuso con unomonimo artista calabrese, nato intorno al16365, al quale viene attribuita, fra l’altro, unaveduta di tropea e «Paralia» (l’odierna Parghe-lia), che, viceversa, proprio lui aveva dise-gnato6, evidentemente, quando giunse inCalabria, dopo il terremoto del 1789, quale«disegnatore» componente della giunta scien-tifica guidata da nicola Pacifico7.il fatto, poi, che gli spolveri delle opere lauren-tine furono lasciati da lui stesso alla famigliacerretese degli Ungaro8 lascia presumere cheproprio Cerreto Sannita fosse la località nellaquale egli si recò in esilio e che, magari, colàfosse stato ospite di quella famiglia, la quale se

ne ricevette quel tangibile attestato di gratitu-dine.Sotto il profilo stilistico, lo sguardo del rullosembra essere rivolto più che un tantino all’in-dietro: la resa del panneggio, infatti, arieggiaalquanto lo stile del guercino, mentre la com-posizione delle scene rimanda, in qualchemodo, addirittura ad annibale Carracci9.Dei due affreschi laurentini, quello di sinistraraffigura – sotto il titolo Quies in fuga – l’epi-sodio evangelico del riposo durante la Fuga inegitto (Mt. 2.3-15), quello di destra – a suavolta, sotto il titolo In Visitatione exultatio –l’altro episodio della Visita di Maria alla cu-gina elisabetta (lc. 1,39-56)10.il primo di detti affreschi vede al centro laSacra Famiglia, sovrastata dalla palma che, dilì a poco, offrirà i datteri alla Vergine11, con ac-canto due angeli, uno dei quali è genuflesso;sul lato sinistro un altro angioletto, raccordatoai primi due da un fanciullo, custodisce l’asino,che della famiglia costituiva la cavalcatura12.Peraltro, tutta la composizione non rispondealla menzionata narrazione evangelica, bensì aquella dell’apocrifo Vangelo dello pseudo-Mat-teo (14.1-3)13.nel secondo, la parte sinistra della scena è oc-cupata dall’incontro fra le cugine, e Maria vi èrappresentata visibilmente incinta14, mentre alcentro sono le figure di Zaccaria e giuseppe

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con accanto un cane15. la sezione più singolaredell’affresco, però, è quella di destra, nellaquale un angioletto trattiene un asino, la cuitesta fa capolino da dietro a un albero. in realtà,l’animale è assente in tutte le narrazioni del-l’episodio; come si vedrà successivamente,però, una ragione della sua presenza si può bendire che vi sia.l’insolito fil rouge che lega i due dipinti lau-rentini, dunque, è costituito dall’asino, animalericco di significati simbolici, sui quali vale lapena d’intrattenersi.È da premettere che il racconto della nativitàsecondo lo pseudo-Matteo (assente, peraltro,in Matteo e luca, come pure nel Protovangelodi Giacomo, datato al ii secolo) trova la suatraduzione in immagini già in un affresco delleCatacombe romane di San Sebastiano e in unaraffigurazione presente nella parte superioredel sarcofago di Stilicone, nella basilica am-brosiana di Milano, entrambi del iV secolo.tuttavia, poiché già un secolo prima origenecita la profezia di isaia, che lo pseudo-Matteocosì riferisce:

«… il bue e l’asino lo adorarono. Si adempì quanto erastato detto dal profeta isaia16, con le parole: “il bue ri-conobbe il suo padrone, e l’asino la mangiatoia del suosignore”»,

è al iii secolo che dev’essere ricondotta l’ori-gine dell’inserimento dell’asino nell’episodioin questione17. a sua volta, nell’iconografia della Visitazionela raffigurazione dell’animale è abbastanzatarda (secc. XVi-XVii) e tutt’altro che fre-quente: mi ci sono imbattuto soltanto nella paladella Visitazione dipinta da Federico barocci,detto “il Fiori”, per la chiesa romana di SantaMaria in Vallicella, e nella copia della stessa,attribuita a robert levoyer, presente nella Col-legiata di Santa Maria della Scala in Chieri18,nonché in un’incisione di julius Schnorr vonCarolsfeld e in un’acquaforte di Pieter de jodeii19.Ciò premesso, gli studi di simbologia attribui-scono alla figura dell’asino numerosi e diversisignificati. in primo luogo, infatti, secondo eu-ticherio di lione e isidoro di Siviglia, l’ani-male rappresenterebbe i gentili (e il bue, a suavolta, gli ebrei), nel riconoscimento della na-tura divina di Cristo20. altri ravvisa nel bue ilsimbolo dell’umiltà e nell’asino quello dellapazienza21; altri, ancora, nell’uno la rappresen-tazione delle forze benefiche e nell’altro quelladi quelle malefiche – di valenza satanica –, suentrambe le quali Cristo trionfa22. e l’accosta-mento dei due animali doveva essere tutt’altro

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che infrequente, ancora prima e – ciò che piùinteressa – con l’identica connotazione dibene/male, tanto che il Deuteronomio (22.10)pose il divieto (kilajim) di aggiogarli insiemeper l’aratura23.ora, se si tiene presente che l’asino accompa-gna l’intera vita terrena di Cristo in più mo-menti – oltre che nelle tre occasioni qui inconsiderazione, anche nell’episodio dell’in-gresso in gerusalemme (Mt. 21,1-10; Mc.11,1-11; lc. 19,28-40; gv. 12,12-19) –, e chegià Zaccaria (9,9) profetizza: «egli è giusto evittorioso / è mite e cavalca un asino»24, sidovrà necessariamente escludere che, almenonelle Scritture, sia Vetero-, che neotestamen-tarie, esso assuma una valenza negativa25: delresto, esso stesso costituiva la cavalcatura deire in tutto l’oriente e le Scritture medesime loassociano a giudici e generali26.Questa presenza costante, peraltro, consenteanche di dare un senso alla raffigurazionedell’asino nell’affresco della Visita a elisa-betta. in proposito, occorre avere presente che,secondo una corrente della critica neotesta-mentaria27, Maria e giuseppe avrebbero recatocon sé un bue, da sacrificare, e un asino, cheavrebbero impiegato come cavalcatura e che,dunque, sarebbe quello che è presente, insieme

col bue, nella grotta della natività e che, pocodopo, sarebbe stato adoperato ancora comemezzo di locomozione, durante la Fuga inegitto. Ciò induce a ritenere che, evidente-mente, l’animale sarebbe stato fin da prima inpossesso della coppia, la quale, perciò, se nesarebbe servita anche per recarsi a far visita aicugini. Credo, anzi – e senza che ciò debbasuonare come una proposizione ereticale – chel’asino, “utilitaria” per eccellenza di queitempi, abbia accompagnato la Sacra Famigliaanche al tempio, in occasione della Presenta-zione del neonato gesù, e al successivo ritornoa nazaret (lc. 2,22-39).tutto quanto si è fin qui osservato conduce allaconclusione che bernardino rullo avesse sicu-ramente una solida formazione culturale, orien-tata nel senso della conoscenza, da una parte,del panorama artistico anche dei secoli prece-denti e, dall’altra, di quella delle Scritture, siacanoniche, che apocrife, al punto d’inserirel’immagine dell’asino, oltre che nella raffigu-razione del riposo dalla Fuga in egitto, anchein quella della Visita a elisabetta. _________

1 Cfr. n. Vigliotti, Il Venerabile Oratorio ossia Congre-gazione sotto il titolo di Santa Maria della Sanità in SanLorenzello, San lorenzello 2008, p. 30. altri due, raffi-

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guranti, rispettivamente, il Sogno di Giuseppe e l’An-nunciazione, si trovano nelle pareti laterali del presbite-rio (ivi, p. 34 ss.).2 ivi, p. 30; cfr. altresì, a. Ferrara, La memoria e lo zelodi Luigi Fato, Salerno 2009, p. 24. 3 il cui cognome risulta diffuso un po’ in tutta la regione,con prevalenza per il grossetano (cfr. il sito internet:https://www.cognomix.it. n. b.: la citazione di questo edi tutti gli altri siti va riferita al mese di novembre 2020). 4 Cfr. a. orefice, Il Pantheon dei Martiri del 1799, inNuovo Monitore Napoletano, 6-17.1.2017 (al sito inter-net: http://www.nuovomonitorenapoletano.it/).5 Sul quale cfr. P. Zani, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti, 1.16, Parma 1823, p. 255.6 Cfr. l’indirizzo internet: https://www.regione.marche.it/Regione-Utile/Cultura/Catalogo-beni-culturali/. il dise-gno, poi, fu inciso su rame da Francesco lamarra.7 Cfr. M. d’ayala, Vite degl’italiani benemeriti della li-bertà e della patria, torino-roma-Firenze 1883, p. 460.8 Cfr. n. Vigliotti, San Lorenzello e la Valle del Titerno3,San lorenzello 1998, p. 107 nt. 203, nonché, sulla fa-miglia Ungaro, V. Mazzacane, Memorie storiche di Cer-reto Sannita, a c. di a. Mazzacane, napoli 1990, p. 261.9 in particolare, quanto al guercino, rinvio a l’angeloappare ad agar e ismaele (1652 ca.; londra, nationalgallery) e all’annunciazione (1646; Pieve di Cento,Collegiata di S. Maria di Cento); quanto al Carracci, aercole al bivio (1595-96; napoli, Museo di Capodi-monte) e a Cristo e la Samaritana (1593-94 ca.; Milano,Pinacoteca di brera). Sono grato al redattore Francolista, per i suggerimenti che mi ha prodigato al riguardo.10 Cfr. n. Vigliotti, Il Venerabile Oratorio cit., p. 30,nonché a. Ferrara, o. l. c.11 Particolare dell’episodio che trova riscontro, sebbenein maniera alquanto diversa, anche nel Corano (19,25).12 e che ispirerà il modo di dire napoletano: San Giu-seppe, ‘a Marònna, ‘o Bambino e ‘o ciuccio, che stig-matizza il comportamento dei criticoni (cfr. S. Zazzera,Proverbi e modi di dire napoletani, roma r. 2012, p. 175s.). Si badi che il Corano (16.8) individua nell’asino lacavalcatura data da allah all’uomo.13 e cfr. pure ps.-Mt. 20.1 («giuseppe l’accompagnò infretta alla palma e la fece scendere dal giumento»), chedescrive proprio il momento raffigurato nell’affresco inesame.14 al pari di quella presente in una pala della Chiesa par-rocchiale di San lorenzello, sulla quale cfr. S. Zazzera,Due immagini della “Madonna incinta”, in Il Rievoca-tore, gennaio-marzo 2017, p. 16 ss.15 Simbolo di paganesimo, secondo Matteo (7.6; 15.26);dunque, il suo sguardo rivolto a Zaccaria e a giuseppe(simboli, a loro volta e rispettivamente, dell’antico e del

nuovo testamento) sembra rappresentare l’attenzionedi quei pagani che si convertirono al Cristianesimo. Sultema cfr. g. ravasi, Le cose sante gettate ai cani e leperle ai porci, in Famiglia cristiana, 28 febbraio 2014(al sito internet: https://www.famigliacristiana.it/). 16 is. 1,3: cfr. a. revel, Il compagno della Bibbia.1,roma-Firenze 1872, p. 170.17 Cfr. F. nicolini, Motivi presepiali: il bove e l’asinello(1944), ora in F. Mancini, Il presepe napoletano, napoli1983, p. 275 s. Peraltro, l’a. segnala altrove l’inseri-mento della rappresentazione della Fuga in egitto in al-cune scenografie presepiali: cfr. F. nicolini, Il presepenapoletano (1930), ivi, p. 179 s.18 Cfr., per la prima, j. W. Mann, Federico Barocci In-spiration and Innovation in Early Modern Italy, abin-gton - new York 2018, fig. 23, e l’indirizzo internet:www.ilmessaggeroitaliano.it, e, per la seconda, l’indi-rizzo internet: www.100torri.it. 19 Cfr., rispettivamente, gl’indirizzi internet: www.alamy.it ewww.popsoarte.it. 20 Cfr. F. nicolini, Motivi cit., p. 276; a. Cattabiani, Ca-lendario6, Milano 1991, p. 87. in un graffito rinvenutosul Palatino, gesù è raffigurato, addirittura, come unasorta di “dio-asino”: cfr. a. Papi, San Francesco, le stim-mate e la Sindone: una possibile antistoria del cristia-nesimo. Parte 2a, 3 agosto 2013, § XViii.4 (all’indirizzointernet: misteridiassisi.it/). 21 Così g. ravasi - r. Crovi, Breviario familiare. AnnoC, Milano 1991, p. 38.22 Così r. guénon, Simboli della Scienza sacra, tr. it.,Milano r. 1990, p. 132 e nt. 2. Poco prima (p. 130), l’a.ha ricordato come entità fra le più temibili che il mortodoveva incontrare durante il viaggio nell’oltretomba (alpari dell’iniziato nel corso delle prove) fosse l’“asinorosso”. Similmente, a. Cattabiani, o. c., p. 88, ricordacome nell’antico egitto l’animale simboleggiasse il mal-vagio Seth, e come nell’antica grecia esso costituisse lacavalcatura di Dioniso, così rappresentando i vizi.23 Cfr. a. revel, o. l. c., nonché la tesi di dottorato di a.latorre, Eugenio Zolli semitista e orientalista in dialogocon la storia delle religioni (Univ. d. st. di Verona, rel.F. Marcolungo, tut. P. a. Carozzi, 28 febbraio 2007), p.162 nt. 265.24 Mi piace, anzi, immaginare che proprio ciò stesse con-fidando Zaccaria a giuseppe nel momento fissato nel-l’affresco (cfr. supra, nt. 16).25 Che, viceversa, gli è attribuita sostanzialmente dal Co-rano (31.19).26 gdc. 5,10-11: cfr. a. Cattabiani, o. l. u. c., e, inoltre,sul pregio dell’asino come cavalcatura, a. revel, o. l. c.27 riferita da F. nicolini, Motivi cit., p. 275.

La saggezza apre l’intelletto, l’amore apre il cuore, e la verità apre la volontà.Omraam Mikhaël Aïvanhov

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MARIA GIUSEPPA GUACCI NOBILEProfilo di una napoletana illustre

di Paolo Carzana

Maria giuseppa guacci nacque a napoli il20 giugno 1807 da giovanni e da Saveria

tagliaferri. ebbe due fratelli e una sorella, piùpiccoli di lei: Carlo, Francesco ed elisabetta. le notizie sul padre sono contrastanti: secondoalcuni era un tipografo, peraltri era un architetto addettoai regi teatri di napoli. ineffetti giovanni fu, come te-stimoniato dal suo atto dimorte, «di professione archi-tetto». non ebbe particolare curadell'educazione della figliaprimogenita. la madre, invece, ne inco-raggiò la vocazione poetica:così già da ragazzina laguacci, sia pur con le limi-tate cognizioni letterarie cheaveva potuto acquisire da au-todidatta, cominciò a com-porre le sue prime rime.Durante l’infanzia e l’adolescenza visse, conla famiglia, al n. 45 di via Sergente Maggiore:una traversa di via toledo che s’inerpica su peri Quartieri Spagnoli. a tredici anni conobbe il poeta dialettale Do-menico Piccinni (1764-1835) che la incoraggiòa proseguire gli studi e le impartì lezioni pri-

vate. il nome del Piccinni è incastonato sul latosinistro della facciata del teatro San Carlo as-sieme a quelli di Pergolesi (1710-1736) e jom-melli (1714-1774); sul lato destro cam-peggiano quelli di goldoni (1707-1793), Me-

tastasio (1698-1782) e al-fieri (1749-1803).notata per le sue doti di ver-seggiatrice da giuseppeCampagna (1799-1868) (chenel 1847 diverrà presidentedell’accademia Pontaniana)Maria giuseppa fu da questiintrodotta alla prestigiosascuola linguistica del mar-chese basilio Puoti (1782-1847), già ispettore generaledella Pubblica istruzione delregno delle Due Sicilie. intanto, a via San liborio,non lontano da dove era nata,la guacci promosse un sa-lotto letterario che, un po’

alla volta, si arricchì di frequentatori semprepiù autorevoli: i convivî, abitualmente, si tene-vano di sabato.tra i partecipanti alle riunioni "sabatine" vannoricordati giuseppe giusti (1809-1850) e gia-como leopardi (1798-1837) condottovi,quest’ultimo, da antonio ranieri (1806-1888):

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fu proprio presso il “salotto” della guacci chea leopardi affibbiarono il soprannome di ra-navuottolo (ranocchio) «perché soleva rincan-tucciarsi ed amava più ascoltare ed osservareche prendere parte alle conversazioni»1. la guacci fu una fervente patriota il cui amoreper l’italia trapela anche dalla poesia che de-dicò al recanatese ove si evidenzia tutta l’am-mirazione che la giovaneMaria giuseppa nutriva perl’autore degli Idilli.la spiritualità dello scrittoremarchigiano esercitò una no-tevole influenza sulla produ-zione poetica della giovanenapoletana che la interpretò, inchiave romantica, come rifles-sione malinconica sulla pro-pria vita. afferma rolando Damiani,insigne critico letterario, in ri-ferimento al Leopardi dellaguacci:

«…la lirica di giuseppina guaccinobile costituisce un trepido e in-tenso atto d’omaggio nei confronti del poeta dei Canti,celebrato principalmente per la sua dedizione agli studie per la sua esplorazione filosofica, schiva di ricompensee gratificazioni materiali, sorda alla sollecitazione dieventuali lusinghe e fermamente contrapposta, con ri-gorosa fermezza, alla tagliente invidia di contemporaneiinadeguati a comprenderne il valore»2.

la guacci esalta leopardi, visto nel suo disin-teressato impegno civile ed umano, contrappo-sto ai letterati napoletani tutti intrisi dispiritualismo cattolico, così ben tratteggiati dalrecanatese nella sua feroce satira in versi daltitolo I nuovi credenti. notizie sulla sua giovinezza e formazione let-teraria si trovano in una lettera che la stessaguacci inviò, nel 1832, a monsignor Carloemanuele Muzzarelli (1797-1856) che l'avevafatta nominare corrispondente dell'accademiatiberina toscana.il conte Muzzarelli era un presbitero ferrarese,dotato di notevoli capacità letterarie; fu revi-sore dei Conti presso il tribunale della Sacrarota e in contatto epistolare con leopardi delquale si conserva una lettera di ringraziamento

che, parzialmente, riporto:

al conte Carlo eManUele MUZZarelli -roMabologna 18 Dicembre 1825eccellenza reverendissima. ebbi la pregiatissima suadei 4 del corrente, delle gentilissime espressioni dellaquale debbo ringraziarla senza fine. Profittando della li-cenza ch'ella me ne ha conceduta, ho fatto stampare quile sue belle quartine in un foglietto periodico di cui le

mando copia. Se ella ne desiderassequalche altro esemplare, vedrei dipoterla servire... So che ella è stataqui qualche giorno, e m'informaidove abitasse con intenzione di farlevisita, ma in quel tempo appunto fuiobbligato da un incomodo di salutea tenermi in casa per più settimane,e però non mi fu possibile di ve-derla.ella mi conservi la benevolenza chesenza mio merito mi ha conceduta,e all'occasione non mi risparmi, per-suadendosi ch'io sono veramente dicuore e sempre sarò di V. ecc. rev.ma devotissimo obbligatissimo ser-vitore giacomo leopardi.

le «belle quartine» di cuiparla il recanatese eranoquelle di un’ode che il reve-

rendo aveva dedicata allo stesso leopardi.in esito ad un’asta tenutasi nel novembre 2020la lettera riportata è andata ad arricchire il giàprezioso “Fondo leopardiano”, conservatonella biblioteca nazionale “Vittorio emanueleiii” di napoli ove è custodita la quasi totalitàdelle opere letterarie, filosofiche e saggistichedel Poeta nonché l’80% delle lettere inviate daleopardi a parenti ed amici.Come accennato, la guacci frequentò, a partiredal 1830, la scuola di basilio Puoti, improntataal più rigoroso purismo: le lezioni si tenevanopresso la sua dimora, a palazzo bagnara inlargo Mercatello (oggi Piazza Dante). e pro-prio qui avvenne il primo incontro della poe-tessa con antonio ranieri col quale la guacciebbe, prima del matrimonio con l’astronomoantonio nobile (1794-1863), una tenera liai-son amorosa: lo rincontrò poi verso la fine del1833 quando il bell’antonio tornò a napoli incompagnia del sodale recanatese. tra i salotti letterari, allora molto attivi a na-

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poli, la guacci frequentò particolarmente quellidi Francesco ricciardi, conte di Camaldoli(1758-1842) e di Carlo troja (1784-1858):presso quest'ultimo, nel 1833, conobbe anto-nio nobile (nella foto in questapagina), che avrebbe sposatodue anni dopo. attestate sonoanche le frequentazioni dellaguacci al salotto di giuseppeFerrigni (1797-1864), cognatodi ranieri, in quanto maritodella sorella enrichetta, doveincontrò, tra gli altri, Pier Silve-stro leopardi (1797-1870), unparente, molto alla lontana, digiacomo e da questi poco ap-prezzato:

«alle innumerevoli mie sventure s’èaggiunta in questi ultimi anni unamano di leopardi che è venuta fuoricon le più bestiali scritture del mondo,l’ignominia delle quali ritorna sopral’infelice mio nome, perché il pubblico non è né capacené curante di distinguere le omonimie»3.

Un rapporto particolarmente profondo, sia dalpunto di vista culturale che affettivo, la guaccil’ebbe con “le poetesse Sebezie”: un gruppodi giovani letterate napoletane, tra le qualilaura beatrice oliva (1821-1869) ed irenericciardi (1802-1870), sua intima amica, figliadel conte di Camaldoli, alla quale dedicò dueliriche nonché una “stanza” (o “ottava a rimatoscana”) in occasione delle sue nozze.Maria giuseppa raccolse la propria produzionepoetica (sonetti, canzoni, odi e poemetti) in un

volume dal titolo Rime. la prima edizione recòuna prefazione della stessa guacci, datata 6febbraio 1832; nel 1839 ve ne fu una secondae nel 1847 una terza, in due volumi accorpati,

(napoli, Stamperia dell'iride):la “Stamperia dell’iride” eraubicata alla Strada Magnoca-vallo n. 29, oggi via Francescogirardi (1842-1912) la qualecollega la zona di via toledo alCorso Vittorio emanuele.È il caso di sottolineare che nel1832 la guacci aveva solo ven-ticinque anni ma aveva già rag-giunto una notevolissimamaturità poetica. Durante il colera che colpì na-poli tra 1836 e 1837 e che fececirca ventimila vittime (fra lequali giacomo leopardi) laguacci si prodigò in ogni modoper alleviare le sofferenze dei

più poveri, visitando i quartieri della città piùdegradati ove l’igiene era più scarsa: dalle sueriflessioni nacque una Storia del cholera in Na-poli o di alcuni de’ costumi napoletani del1837, mandata alle stampe solo nel 1978 daCarolina Fiore nobile, moglie di un suo nipoteed insigne matematica.l’interesse della guacci per le classi meno ab-bienti è testimoniato anche dalla tenacia con laquale portò avanti un progetto a favore deibambini poveri, fondando, nel 1840, la “So-cietà degli asili infantili”:

«era laica (propose durante il colera del 1836-37 di

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Le CATACOMBE DI SAN GENNARO, gestite dallaCooperativa “La Paranza” si sono aggiudi-cate l’edizione 2020 del “Global Remarka-ble Venue Award” di Tiqets, come “Miglioreesperienza al mondo”. Il riconoscimentoconferma il valore delle iniziative culturali/

turistiche, sempre più diffuse in Campania, e particolarmente nel capo-luogo. Il Rievocatore manifesta il proprio compiacimento all’istituzionevincitrice, per il valido contributo offerto alla valorizzazione del rione Sanità.

espropriare i conventi per accogliere i bisognosi), forsenemmeno credente, con un interesse solo scientifico-an-tropologico verso la religiosità popolare e il folklore»4.

Dal punto di vista letterario il giudizio criticosulla guacci è contrastante.luigi Settembrini (1813-1877), che nelle sueLezioni di letteratura ita-liana la definì «grande tra ledonne come leopardi tra gliuomini», apprezzò la formaaccurata delle sue composi-zioni, mettendone in risaltola matrice classica. Menolusinghiero il giudizio diFrancesco De Sanctis(1817-1883) che, pur rico-noscendole un ruolo diprimo piano nell'ambienteletterario napoletano e mo-menti di autentica poesia, latrovò troppo condizionatada stilemi che si rifacevano,in modo evidente, a Dante(1265-1321), ariosto(1474-1533) e allo stessoleopardi.il riconoscimento più importante che le vennetributato fu quello di essere la prima donna am-messa all’accademia Pontaniana di napoli:una delle istituzioni più prestigiose del mondoculturale nazionale. in un primo momento la guacci abbracciò cer-tamente il moderatismo liberale della maggiorparte degli intellettuali napoletani ma una let-tera, successiva ai tragici eventi del maggio1848 spedita all'amico Francesco Paolo rug-giero (1798-1881), sembra mostrare che in se-guito si avvicinò ai radicali (oggi diremmoall’estrema sinistra). nel 1835 la guacci sposa, benché ne sia «in-namorata punto», antonio nobile, assistenteall'osservatorio astronomico di Capodimontee dal 1836 professore di algebra nell'Universitàdi napoli. Si sposa, probabilmente, solo per accasarsi,poiché una rappresentante del gentil sessosenza un marito, secondo la mentalità deltempo, era quasi delegittimata: eppure la ven-

tottenne giuseppina, quando le donne impara-vano a malapena a leggere e scrivere, era unafanciulla brillante, dall’ingegno vivace, poe-tessa già affermata ed apprezzata dai maggioriletterati napoletani. Dal matrimonio con nobile nacquero due figli:

arminio (1838-1897), cheseguì le orme paterne, edemilia: in precedenza laguacci aveva perso un bam-bino. antonio nobile era nato aCampobasso l’8 dicembre1794. Da ragazzo si era di-stinto subito per acume edintelligenza: soprattutto unamateria lo appassionava piùdelle altre ed era l’astrono-mia. nel 1818 si trasferì anapoli per studiare matema-tica. in quel periodo le le-zioni erano tenute dagiuseppe Piazzi (1746-1826), scopritore dell’aste-roide Cerere, chiamato dal

re nella città partenopea per realizzare la spe-cola di Capodimonte, inaugurata nel 1819:nello stesso anno Ferdinando i di borbone(1751-1825) nominò il nobile assistente pressoil nuovo osservatorio astronomico. Una de-cina di anni prima ne era stato realizzato unaltro per volere di giuseppe bonaparte (1768-1844) il quale, nel 1807, emanò un decreto cheprevedeva la realizzazione di un osservatoriopresso il convento di San gaudioso (abbattutonel 1920), ubicato sulla collina di Sant’agnelloa Caponapoli (in prossimità della odiernapiazza Cavour).animo sensibile e attento alle esigenze di cam-biamento della società in cui visse, nel 1848antonio nobile riprende ad organizzare con lamoglie, presso l’osservatorio, le riunioni “sa-batine” che la guacci era solita tenere, primadel matrimonio, a via San liborio. a quelle riu-nioni intervenivano i più bei nomi del liberali-smo napoletano ed è facile immaginare che sidiscutesse di letteratura per poi passare a spi-nosi argomenti di carattere politico.

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il 1848 fu un anno cruciale, per i coniugi no-bile, per l’italia e per l’europa intera. in occasione delle “Cinque giornate” di Milanola guacci costituì un gruppo dicompagne il cui compito eraquello di raccogliere fondi perquanti, da napoli, avessero vo-luto raggiungere la città mene-ghina e combattere a fianco deilombardi.alle richieste degli intellettualinapoletani di passare dalla mo-narchia assoluta a quella costi-tuzionale Ferdinando ii(1810-1859) rispose con unarepressione feroce (fatti del 15maggio 1848), seguita da per-secuzioni politiche contro tuttele personalità considerate com-promesse, compreso il nobile:la reazione borbonica raggiunse, quindi, anchela specola di Capodimonte. gli avvenimenti di quel maggio provarono du-ramente Maria giuseppa che, malata da tempo,si spense il 25 novembre 1848, mentre a na-poli le truppe borboniche continuavano a sof-focare gli aneliti di libertà della parte miglioredella città. la plebe, invece, come già era accaduto nel1799, parteggiava per il re.nel 1850 nobile si dimise dall'impiego pressol'Università, insieme ad altri esponenti liberalidel mondo accademico: dovrà aspettare la ca-duta dei borbone per riprendere, nel 1862, iltitolo di Professore emerito dell’Università dinapoli.

Morirà il 2 agosto 1863. alla morte della guacci gli scritti inediti e lelettere restarono al marito che poi li consegnò

al figlio arminio. Questi lasciòl'archivio di famiglia alla figliaemilia (che portava lo stessonome della zia), la quale pensòdi scrivere una biografia dellanonna in collaborazione conanna balzerano5 che, per l’im-provvisa mortedella nobile, fu costretta acompletare l’opera da sola. a napoli c’è una parallela alCorso Umberto i (1844-1900)intitolata alla guacci nobile, apochi passi dal Palazzo del-l’Università. lungo la via èstata collocata, negli anni ventidel secolo scorso, una copia

della fontana della Spina Corona (detta, dal po-polino, "delle zizze": v. foto accanto): il sog-getto principale è la Sirena Partenope che è inprocinto di spegnere le fiamme del Vesuviocon l'acqua che le sgorga dai seni.____________

1 g. laurini, Ranieri, p. 3. 2 r. Damiani, Leopardi e Napoli, 1833-1837. Sodaliziocon una città, tra nuovi credenti e maccheroni. Docu-menti e testimonianze, napoli 1998. 3 Da una lettera inviata da leopardi a Ferdinando Mae-stri (1786-1860) datata napoli, 5 maggio 1837.4 Nuovo Monitore Napoletano, Periodico mensile online, luglio 2013. 5 a. balzerano, Giuseppina Guacci Nobile nella vita,nell'arte, nella storia del Risorgimento, napoli 1975.

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Una statua di marmo, risalente al I-II secolo d.C., spezzata intre parti, acefala e priva delle braccia, fu recuperata nel 2013dalle acque dell'area marina protetta di Baia. Sul momento siritenne che si trattasse di una “bella e misteriosa signora inpeplo”, ma ora il restauro eseguito dall’Istituto Centrale per ilRestauro di Roma ha consentito di stabilire che essa raffigu-rasse APOLLO CON LA LIRA.

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L’ISTRUZIONE NAUTICA A PROCIDAPRIMA DELL’UNITÀ D’ITALIA

di Raffaella Salvemini*

La notizia che Pro-cida sia la Capi-

tale italiana dellaCultura 2022 ha de-stato grande stupore.Procida ha vinto perla sua capacità di pro-gettare un futuro maanche grazie alla rile-vanza del suo passatoe del suo curriculumda cui emergono pri-mati o rilevanti parte-cipazioni ai processidi sviluppo sociale,economico-marittimonazionali e interna-zionali. Si tratta dipercorsi decisamentestraordinari in tema di navigazione, cantieri-stica e investimento nella formazione dellagente di mare a cui io stessa, come altri stu-diosi, abbiamo dedicato vari studi1. Singolare a mio parere è l’impegno dell’isolanel campo dell’istruzione nautica dove si pos-sono individuare due precisi momenti che ri-salgono rispettivamente al 1788 e al 1833.Partiamo dalla fine del Settecento quando ilprogetto d’istruzione pubblica dopo la cacciatadei gesuiti nel 1767 interessò il Mezzogiorno.Da allora lo Stato borbonico, supportati damolti illuministi, cominciò a interessarsi al-

l’istruzione della “gentealta e bassa”. nasconocosì le scuole profes-sionali nautiche a na-poli al San giuseppe aChiaia (1767), a Metae Carotto (1770) inpenisola sorrentina2 enel 1788 a Procida. Per l’isola su inizia-tiva del sindaco Sal-vatore Schiano, deidecurioni e dei mas-simi esponenti dellamarineria procidana,legati a quel Montedei Marinai nato nel1617, fu votata unadelibera per aprire una

scuola secondo il “Metodo normale” che alsuo interno avesse anche una classe di nautica3.la proposta inviata ai responsabili dei pianidell’istruzione pubblica nel regno di napoligià conteneva un piano economico e un singo-lare modello di governance: per il manteni-mento della scuola fu stabilito un fondo di 300ducati di competenza per metà dell’Universitàe per l’altra metà dalla “bussola delle tartane”.Destinatari del progetto, sicuramente «utile aquella popolazione commerciante», erano ifigli dei marinai e dei poveri cui si garantivanolibri, carta ed ogni altra cosa necessaria al-

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l’istruzione. il progetto fu redatto il 17 aprile 1788 dai padrialessandro gentile e ludovico Vuoli, cui an-dava il merito di aver introdotto il “metodonormale” d’insegnamento nel regno di napoli.Per Procida si prevedeva la creazione di treclassi delle “Scuole normali” con una cattedradi nautica, cui si sarebbero aggiunte una classedi “belle lettere” ed una di “lingua latina”4.la scelta e il pagamento del maestro di nauticadovevano essere di pertinenza della bussola edella Chiesa di Santa Maria della Pietà e delMonte dei Marinai. Per il ruolo di direttore della scuola fu fatto ilnome di un supporter d’eccezione il sacerdoteMarcello eusebio Scotti autore nel 1788 delCatechismo Nautico. Purtroppo a causa deiconflitti con il clero locale l’allora segretariodi guerra e Marina l’ammiraglio acton, da cuidipendeva la Delegazione delle Scuole nor-mali e nautiche, non affidò l’incarico di diret-tore al sacerdote che rimase per diversi annivacante. ritenuto colpevole di aver partecipatoalla repubblica Partenopea, Marcello Scottimorì per mano del boia in Piazza del Mercato

a napoli in quel tri-ste mattino del 4gennaio del 18005 . Con l’arrivo deifrancesi nel regno(1806) ci fu la ri-forma dell’istruzionepubblica e a Procidafurono aperte lescuole maschili efemminili, con tremaestre, di «leggere,scrivere e far diconto» oltre la classedi nautica6. Con la restaura-zione si apre un mo-mento buio per l’in-segnamento nauticoche dopo la mortenel 1815 del maestroDomenico Parascan-dolo fu soppresso. in

generale l’istruzionepubblica, e ancora più quella tecnico-profes-sionale, non era tra le priorità dello Stato equindi i Comuni facevano fatica a trovare deifondi per la scuola. Ciononostante non manca-rono le iniziative. la decisione di chiudere lascuola fu contestata da capitani e padroni di ba-stimenti di Procida che lamentavano l’assenzadi equipaggi preparati e competitivi. Dopol’approvazione (1818) dei regolamenti perMeta di Sorrento, nel 1822 i padroni di basti-mento dell’isola sostennero nuovamente la ne-cessità di aprire una scuola nautica. il Comune,nonostante le difficoltà finanziarie, fu chiamatoa fare la sua offerta per la scuola. Ma dove tro-vare i fondi? l’ipotesi fu quella di trarre pro-fitto dal fitto dell’isola di bivaro (Vivara) chenel 1818 era diventata di proprietà del comune.la proposta fu ricusata. le condizioni del-l’isola erano disastrose e non si poteva ipotiz-zare alcuna rendita da una terra che era stataper troppo tempo abbandonata. Ma il progetto della scuola non fu abbandonatoe così nel 1830, salito al trono Francesco i diborbone, furono nuovamente i proprietari di

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Scuole nautiche negli stati di antico regime (sec.XViii-XiX)

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alcuni bastimenti, con la precisione 78, a sot-toscrivere un appello in cui s’impegnavano afinanziare la scuola versando in proporzione altonnellaggio 425 ducati annuii. Dal finanzia-mento erano escluse le piccole barche da tra-sporto e traffico e coloro che avevano perso ilbastimento. Finalmente il Consiglio provin-ciale di napoli nel 1832 accettò la proposta enella primavera del 1833 nacque la scuola nau-tica comunale di Procida7. nel 1836 il giurista Pasquale liberatore nel ri-cordare le scuole nautiche di Sorrento, trapanie Procida affermava:

«era ormai chiaro che per il progresso nel campo dellanavigazione era legato alla formazione e all’istruzionedella gente di mare: Vane riuscirebbero tutte le solleci-tudini del governo in avvalorare il traffico marittimo semancassero le nostre filuche di marinai capaci di benmaneggiarle. Soccorrono a questo bisogno le natichescuole»8.

la storia dell’istruzione nautica a Procida traSettecento e ottocento, come pure in Sicilia,ha evidenziato l’affermarsi di un progetto diformazione frutto di una sinergia pubblico-pri-vato. la gente di mare (armatori, capitani e pa-droni di bastimento) sollecitò l’intervento deicomuni, impegnandosi anche a finanziare lascuola. nel valutare il successo della marineriaprocidana non si può dunque prescindere datali pagine che impongono peraltro nuove ri-

flessioni sulla portata di quel divario sulla sto-ria dell’istruzione tecnico-professionale tranord e Sud9.__________

* Primo ricercatore iSMed-Cnr napoli.

1 g. Di taranto, Procida nei secoli XVII-XIX: economiae popolazione, gèneve 1985; S. Zazzera, Procida mari-nara, napoli 1997.2 M. Sirago, Le città e il mare. Economia politica, poli-tica portuale, identità culturale dei centri costieri delmezzogiorno moderno, napoli 2004.3 Una copia della delibera è conservata nell’archivioComunale di Procida. Uno stralcio è presente nel videodel Museo Civico di Procida nel Palazzo della Cultura.4 r. Salvemini, Introduzione a M. e. Scotti, Catechismonautico, napoli, 2001. 5 ivi. 6 P. avallone - r. Salvemini, Gente di mare. Capitaleumano e finanziario a Procida nell’Ottocento, in S. Ca-passo - g. Corona - W. Palmieri (a c. di), Il Mediterra-neo come risorsa. Prospettive dall'Italia, bologna 2020,p. 483 ss. 7 ivi. 8 P. liberatore, Della amministrazione pubblica consi-derata ne' suoi principii e nella loro applicazione perservire di prolegomeni alle istituzioni della legislazioneamministrativa pel regno delle Due Sicilie, napoli 1836,p.22.9 r. Salvemini, Le scuole nautiche nell'Italia pre-unita-ria in Sguardi mediterranei tra Italia e Levante (XVII-XIX secolo), in Commerce, Politics and Ideas (XVII-XIXCenturies), a c. di M. Mafrici & C. Vassallo, Malta 2012,p.37 ss.

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I RITI PASQUALI A PROCIDA

Il Superiore della Confraternita dei Tur-chini di Procida, com.te Matteo Germi-nario, comunica che, a causa dell’e-mergenza-Covid19, i consueti riti pa-squali non potranno svolgersi neppurequest’anno. In loro luogo, si è svoltauna Peregrinatio con esposizione delCristo morto e Via Crucis nelle chiese

di San Leonardo, della SS. Annunziata e di Sant’Antonio di Padova. La statua èora esposta nell’Abbazia di San Michele Arcangelo, dove si svolgeranno i riti ca-nonici della Settimana santa, dei quali è prevista la trasmissione a cura della retetelevisiva Nuvola TV. Tutti i trasferimenti sono stati attuati in notturna e con l’os-servanza delle norme anticontagio. Infine, nella chiesa di San Tommasod’Aquino, sede della Confraternita, è allestita anche una mostra dei “Misteri fissi”del Venerdì santo (v. foto).

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di Mimmo Piscopo

Sarebbe stato un ottimo regista al giornod’oggi, data la ricca ed inesauribile vena di ori-ginalità comportamentale che questo monarcaoffriva alla curiosità ed alla sete di pettego-lezzi, con una infinità di sfu-mature delle azioni materiali everbali. Parliamo di re Ferdi-nando iV di borbone.Per il fisico non proprio attra-ente ed un naso particolar-mente accentuato era chiamatore nasone, cosa che egli nongradiva e minacciava chiavesse l’ardire di chiamarlo; ilche, tuttavia, non gli impedivapiacevoli e ricambiate vicendeerotiche/amorose.ebbene, egli si divertiva ad of-fendere i parrucconi di corte,concedendosi libertà a dirpoco plebee, proprio per indispettire il mum-mificato parterre dei nobili e delle imbalsamatedame.redarguito incessantemente dalla moglie, laregina Maria Carolina, dal severo cipiglio au-striaco, non desisteva, anzi, prendeva spuntonel ricambiare con battutacce ed improperi dafar impallidire gli astanti, come autentico po-polano, forse lontanamente consapevole delruolo di regnante con le sue regole e responsa-

bilità: lo stesso Dumas lo definiva rozzo edignorante.Costante era l’imbarazzo della Corte, specie inoccasione di visite di ambascerie o di corpi di-

plomatici quando, in evidente,offensivo atteggiamento nonconsono al suo ruolo, ricevevagli impacciati notabili in pi-giama o peggio, durante il pla-teale espletamento dei suoibisogni corporali accompa-gnati da rumori e gesti che nonavevano nulla di regale.Ferdinando reagiva in modoinconsulto, specie per quantoriguardava la sua posizionesentimentale, esternando parti-colare predilezione per il gentilsesso, senza alcuna remora so-ciale, per la arcinota relazione

con la duchessa lucia Migliaccio di Floridia,anche quando il bigotto figlio, principe Fran-cesco lo richiamava all’ordine.il re, non scomponendosi, gli disse: «guaglió’,tu penza a mammeta!» in sorta di ricatto, rife-rendosi alla nota, reciproca infedeltà coniugale.la biografia in merito è ricca. abbondanti epi-sodi farebbero la felicità degli amanti del co-siddetto gossip.Ferdinando rimproverava il principe Francesco

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COMPORTAMENTI POCO …REGALI

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per la vita sobria, monastica, da bigotto, in evi-dente contrasto con quella del genitore che te-meva un allentamento dinastico, tanto cheandava dicendo: «lasa s’adda spusà!», chepropendendo ad una voluta castità, preferivamangiare con particolare propensione la lasa-gna.il re trascorreva le giornate tra avventure ga-lanti, importunando floride contadinotte dellesue tenute di caccia e pesca, trascurando cosìdoveri ed impegni regali, espletati autoritaria-mente dalla regina Maria Carolina, che perciòi sudditi ironicamente riconoscevano qualeunico uomo della famiglia.Ma il dovere coniugale non veniva affatto tra-scurato; egli donò alla moglie ben quindici gra-vidanze, anche per il piacere di avere adeguatadiscendenza. Però la storia prese tutt’altro svol-gimento, il cui epilogo fu la tragica epopea digaeta.

lucia Migliaccio, duchessa di Floridia

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LA “GIORNATA DELLA MEMORIA”Tra le numerose iniziative che hanno celebrato –online, a causa della situazione sanitaria in atto – la“Giornata della Memo-ria”, il 27 gennaioscorso, segnaliamo quel-

la della Fondazione Valenzi (“#CriticaMente controtutti i razzismi”, artico-lata in un confronto tra studenti sul tema “Razzi-smi contemporanei” e in un dialogo tra LuciaValenzi e lo scrittoreNico Pirozzi), quella

della Fondazione Ezio De Felice (5a edizione di “IMusei della Memoria. Architetture che raccontano”)e, infine, quella dell’Associazione Culturale Radici (“Stille di memoria”). Co-gliamo, altresì, l’occasione per associarci alla sollecitazione, rivolta dall’ing.Gennaro Capodanno alle autorità competenti, al restauro del roseto e dellatarga, commemorativi di Sergio De Simone, giovanissima vittima vomeresedella Shoah, apposti nel Parco Mascagna.

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LA NAPOLETANITÀ DI GUAPPI E FEMMINIELLI

di Monica Florio

Nella storia di napoli vi sono dei perso-naggi che esprimono con il loro modo di

essere e apparire l’appartenenza alla città.È il caso dei guappi e dei femminielli (v., ri-spettivamente, le immagini in questa pagina enella successiva), due figure antitetiche aventiin comune, però, alcuni caratterie aspetti che denotano la loro“napoletanità”1.i napoletani sono dei teatrantinati, avvezzi ad accompagnarela parola con i gesti come su unimmaginario palcoscenico.l’esuberanza e il bisogno di co-municare al prossimo i propristati d’animo si riflettono nellagestualità enfatica di questo po-polo votato all’eccesso e allaplatealità. Questa teatralità, presente nellastessa lingua partenopea, riccadi colore e ritmo, è il tratto di-stintivo del guappo, il “re” delvicolo, dove è rispettato e te-muto. ecco che il singolare gergo da lui adot-tato si accompagna a una gestualità marcata,caratterizzata dal frenetico movimento dellemani e dal dimenarsi del corpo. altrettanto stu-diato è il suo modo di camminare: nel fermarsiall’improvviso per strada, è solito appoggiarsisu un’anca, pronto a scattare nel caso di un

eventuale pericolo.Prodotto della stessa cultura patriarcale distampo camorristico e ben integrato nella realtàdel vicolo, dove si prostituisce godendo dellaprotezione del guappo, è il femminiello, anellodi congiunzione tra il maschile e il femminile.

le movenze aggraziate, la ge-stualità espressiva, il linguaggiospigliato e diretto, condito dadoppi sensi e allusioni sessuali,ne fanno l’animatore della tom-bola vajassa o scostumata, va-riante “scorretta” del giocotradizionale. innegabile, anche se contraddit-torio, è il fervore religioso deiguappi. la devozione tributataal santo Vincenzo Ferreri2 lispinse a far opera di persuasionesui fedeli della chiesa di SantaMaria della Sanità affinché fos-sero più generosi nelle offerte inquanto il denaro raccolto era de-stinato ai lavori di restauro

dell’edificio. nel femminiello sono espressioni di un pro-fondo sentimento religioso3 alcune forme di re-ligiosità popolare come il culto delle anime delPurgatorio e quello della Madonna nera.il primo, che ha luogo presso il Cimitero delleFontanelle nel quartiere Sanità, prevede che i

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devoti – in particolare, le donne e i femminielli,spinti dal desiderio di maternità – si rechinopresso il camposanto per adempiere a un ritoche si svolge secondo un preciso cerimoniale. i devoti adottano un teschio, che corrisponde aun’anima abbandonata4, lo puliscono e, dopoaver pregato, chiedono una graziao dei numeri da giocare al lotto5.Se le loro richieste vengono esau-dite, viene data una sepoltura mi-gliore al cranio che, in casocontrario, viene sostituito con unaltro. Costituisce una forma di religio-sità popolare il culto della Ma-donna di Montevergine, luogofortemente simbolico per i femmi-nielli a causa dell’incendio6 avve-nuto nel 1611 in cui il Santuariovenne distrutto.Dalla Madonna nera7 o MammaSchiavona, andavano le donneche, accompagnate dai femmi-nielli, rimanevano sulle montagnedove pregavano di restare incinte. il rito, che si celebra a Merco-gliano (avellino) il 2 febbraio, ilgiorno della Candelora8, attesta l’integrazionedei femminielli che vi partecipano rivendi-cando il diritto alla loro esistenza. la devozione alla Madonna bruna9, l’unicanera tra le sorelle campane, era praticata nontanto dai borghesi, che pure vi si recavano perostentare la propria posizione sociale, ma dallagente comune e dagli stessi malavitosi. l’ascesa al Monte Partenio avveniva all’alba:i pellegrini percorrevano il cammino, tra i canti

e il suono delle tammorre10, fino all’arrivo altempio. Qui attraversavano la navata e si fer-mavano davanti all’immagine di MammaSchiavona per onorarla e implorarne la prote-zione. Poi, senza voltare le spalle all’altare, uscivano,

intonando inni, dalla chiesa. aquesto punto, il coreografico ritocedeva il posto alla festa pagana,avente luogo nelle taverne e nellecampagne, dove le comitive siriunivano attorno alle tavole im-bandite per rifocillarsi. il mattino successivo, i penitentisi mettevano in viaggio per nolae napoli. Sui carri allestiti sfarzo-samente, le maéste11, tutte ingio-iellate, e gli uomini dai cappelliornati da penne di fagiano, esibi-vano a loro opulenza.Dopo questo giro trionfale, i pel-legrini si sfidavano in una garasfrenata di velocità con carri ecarrozze detta arretenata12. in prima fila c’erano i guappi ecamorristi che si servivano diquesta festa popolare come scena-

rio ideale per inscenare risse e dichiaramenti13. tra canti e brindisi, la sera i pellegrini condi-videvano l’esperienza appena trascorsa del pel-legrinaggio a Montevergine.espressione di napoletanità è, infine, il gustoeccessivo che sfocia nell’abbigliamento vi-stoso dei guappi.Quelli più pittoreschi, rappresentati nel teatropopolare di San Carlino, indossavano unagiacca corta e aderente, portata sbottonata, su

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Il 3 febbraio scorso, la 4a Municipalità del Comune di Napoli ha collocato, inun’aiuola di piazza Carlo III, tre “pietre d’inciampo”, in memoria di Sergio De Si-mone, Luciana Pacifici e Paolo Procaccia, vittime della Shoah. Al compiacimentodi istituzioni e privati cittadini Il Rievocatore non ritiene di potersi associare, avutoriguardo al fatto che la cultura ebraica prevede il collocamento delle “pietre d’in-ciampo” nel luogo dal quale la vittima della persecuzione razziale uscì per l’ultimavolta; e in tali luoghi le tre “pietre” erano già state poste. Dunque, si sarebbe potutascegliere un’altra qualsiasi modalità, fra le tante disponibili, per onorare la memoria

di quelle vittime, senza offenderne contemporaneamente la cultura.

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dei pantaloni larghi che terminavano con duegrosse trombe sulle scarpe. Completavano l’in-sieme la coppola di panno col gallone d’oro ela particolare acconciatura “a mazzo de pe-siello”14, con i capelli tagliati corti dall’occipitefino a metà testa e pettinati sulle tempie ingrandi ciuffi arruffati. Da questo gusto tendente al pacchiano si disco-stavano i “guappi di sciammeria”15 che, imi-tando lo stile del dandy di fine ottocento,abbinavano l’abito più lungo, la marsina, a unachemise corta, mostrando il potere acquisitonegli accessori di qualità: cappelli, guanti e lar-ghe cravatte16 fermate da spilli di corallo o diperle. il fatalismo e la saggezza del popolo napole-tano si ritrovano nel femminiello, avvezzo ad“arrangiarsi” per adattarsi a una realtà precaria. la napoletanità di questo personaggio, vicinoa una femminilità di tipo tradizionale, risiedeproprio in quell’ironia che gli consente di sop-portare l’emarginazione con il sorriso amaro dichi è abituato a convivere con una realtà chevorrebbe differente. Questo senso dell’umorismo è, invece, deltutto assente nel guappo che, di carattere per-maloso e irascibile, considerava l’essere presoin giro un’offesa da vendicare, una minaccia aquell’immagine autorevole e virile che lo ren-deva, a tratti, quasi ridicolo. Simboli di un mondo che va scomparendo – ilguappo è stato assorbito dalla malavita orga-nizzata mentre il femminiello si è spostato nellecampagne delle zone vesuviane e avellinesi ein quartieri anonimi come bagnoli, Ponticellie Scampia –, questi due personaggi sopravvi-vono tuttora nell’immaginario popolare pro-prio perché recano nel loro Dna le tracce

dell’identità del popolo napoletano al punto dapotersi considerare degli autentici “figli di Par-tenope”17. __________1 aspetti così peculiari da suscitare quella nostalgia perla città da parte di chi si allontana nota come “napoleta-nitudine”. 2 nome italianizzato del monaco domenicano spagnoloVincenzo Ferrer. 3 ed è proprio questo sentimento religioso a determinareil rispetto del genere sessuale di appartenenza e il con-seguente rifiuto del cambiamento di sesso. 4 Detta pezzentella. 5 Di lunedì i femminielli si recano presso il cimitero. ilsabato è, invece, il giorno designato per giocare al lottoi numeri ricevuti in sogno. 6 in Croniche di Montevergine di g. g. giordano è ri-portato che tra i fedeli deceduti vi fossero dei pellegrinimaschi travestiti da donna. 7 Così detta per il suo mantello, nero come la pelle deglischiavi. 8 battezzato nel 2002 dal modo omosessuale “Candeloraday”. 9 Secondo una leggenda, venne mandata in esilio e, nelsalire sul Monte Partenio, mostrò la sua fisionomia chela fece apparire come la più bella. 10 la tammorra è un tamburo dai dischi metallici (le ci-cere), decorato con nastri rossi e arancioni. 11 Donne mature. 12 Da retena che significa briglia. a napoli avveniva lacorsa con le charrettes, le carrozze a due posti che daborgo Marinaro giungevano a Mergellina. 13 Spiegazioni che precedono l’appicceco (il diverbio). 14 Simile ai mazzi di piselli legati e aggiustati. 15 Di estrazione piccolo borghese, erano basisti, strozzinie usurai che la camorra reputò, pur non ammettendolinell’organizzazione, degni di ricevere l’anello di ferro,una particolare onorificenza. 16 Dette rabats. 17 Così li definisce Sergio Zazzera nella sua prefazioneal mio saggio Storie di guappi e femminielli, edito daguida nel 2020.

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Con provvedimento del 9 febbraio scorso, il Direttore generale del-l’A. s. “Santobono-Pausilypon” ha deliberato l’intitolazione delPronto soccorso dell’Ospedale “Santobono” alla memoria di Sergio DeSimone, il bambino vomerese di 8 anni, di etnia ebraica, deportatoad Auschwitz e, poi, ad Amburgo, dove fu ucciso, il 20 aprile 1945,dopo essere stato sottoposto a inumani esperimenti dal medico nazi-sta Josef Rudolf Mengele. Al piccolo De Simone era già stata intito-lata, tre anni fa, la tensostruttura “Palabimbo”, installata nelcortile dello stesso ospedale. Il Rievocatore plaude a tale iniziativa,

che contribuisce in maniera vigorosa alla conservazione della memoria della Shoah.

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BENEDETTO CROCE E LA SUA NAPOLI

di Renato Ribaud

Tra i libri rari da reperire nelle antiche libre-rie di Spaccanapoli o anche per gli amanti

del virtuale tra le offerte di Face-book, edito a suo tempo dall’artetipografica, il volume dal titoloBenedetto Croce e la sua Napoli.ne è stato a suo tempo autore ilcollega renato Caserta, profondostudioso e fecondo scrittore.nelle documentate pagine, v'èl'attenta descrizione del rapportotra il grande filosofo, napoletanonell'animo, e la città, in un conte-sto storico delicato e difficile.non basta. renato Caserta che èun convinto e appassionato cro-ciano, ha anche mostrato le relazioni d'amiciziae le intese politiche, e a volte i dissensi, con ipersonaggi dell'epoca che hanno fatto la storiae hanno gravitato attorno a lui, come storici,economisti, scrittori, poeti, giornalisti e politici.Dalla napoli di giambattista Vico e di gaetanoFilangieri e, indirettamente, di Francesco DeSanctis, arrivavano a Croce segnali che equili-bravano i giudizi convenzionali sulla città. Ca-serta non ha remore nel definire Croce il più

grande «cantore» di napoli. «ne vedeva tutti idifetti – come avviene forse soprattutto in co-

loro che la amano – ne indivi-duava le cause, ne accusava iresponsabili, ma nello stessotempo contestava i luoghi comunisuperficiali, le critiche faziose». el'amore per la “sua” napoli, nonera solo espresso nelle tante etante pagine dei suoi libri «ma siconcretizzava in un impegno ap-passionato, per la conservazionedel patrimonio storico e artisticodella città, in proposte e iniziativeche contribuivano efficacementead evitare scempi e speculazioni

disastrose». la casa di Palazzo Filomarino, nel centro sto-rico della città, fu l'approdo definitivo di be-nedetto Croce e divenne anche fulcro di culturae palestra di conoscenza.in Palazzo Filomarino Croce visse, fino allascomparsa, nel fervore degli studi e nel caloredegli affetti familiari (l'impareggiabile consorteadele e le devote figliole). in questa casa la se-condogenita alda, che gli fu particolarmente

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Letture

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vicina come collaboratrice, resta a tener viva,con appassionata cura, la fiamma del grandepadre. Si parla quindi di come ilfilosofo avesse a cuore laSocietà di Storia Patria, labiblioteca nazionale diPalazzo reale, l'acquarioDohrn, ma anche il dia-letto, la poesia, il teatroscarpettiano. Ma l'obiet-tivo di maggiore impegnodi Croce fu l'istituto ita-liano per gli Studi Storici,che fondò nel 1947 a Pa-lazzo Filomarino. l'au-tore ricorda di essere statopresente alla cerimonia,conscio di aver presoparte ad un evento di por-tata a dir poco internazionale.Scritto in stile rigoroso e preciso, con una pre-fazione di arturo Fratta, il libro di renato Ca-serta, come egli stesso spiega nell'introduzione,vuole essere la prova che «per anni Croce rap-presentò un incredibile punto di riferimentoanche per i suoi avversari e fu, a napoli al cen-

tro di una felice fase di sviluppo culturale,mentre la capitale del sud viveva una sorta di

Belle Epoque che non tro-vava confronti con altrepur gloriose città ita-liane».l'attualità del volume èsottolineata acutamente daarturo Fratta, quandoscrive che «il clima di su-perficialità e di approssi-mazione nel quale vivia-mo, non lascia intravederenessun bisogno di autenti-cità, che pur sarebbe op-portuno nell'approccio auna città come napoli,alla sua storia, alle sue tra-dizioni, da parte di chi di-sinvoltamente ne distorce

l'immagine, come non sarebbe consentito inaltre città d'italia».

RENATO CASERTA, Benedetto Croce e lasua Napoli (Napoli, L’Arte tipografica,2004), pp. 152, €. 13,00.

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Giovanni Battista Mascolo

De incendio Vesuvii(l’eruzione del 16 dicembre 1631)

Il Vesuvio prima dell’eruzione Il Vesuvio dopo l’eruzione

(Ercolano, Archivio storico dell’Osservatorio Vesuviano)

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IL MISTERO DI ANGELIKA RAUBAL

di Luigi Alviggi

Angelika raubal, per gli amici geli, (linz[austria] 04 giugno 1908 - Monaco di ba-

viera 18 settembre 1931) è una giovane moltobella e di grande impatto sociale. in quanto fi-glia della sorellastra angela è nipote di adolfHitler: si sono conosciuti nel 1924. Piena divita e ben introdotta nella società monacenseper la posizione, la giovane età e la grazia, èpresente in prima linea in ogni manifestazionecittadina di rilievo. Viene descritta anche piùbella delle numerose foto che l’hanno immor-talata, capace di ravvivare con la sua presenza,in teatro, negli spettacoli, nelle riunioni piùserie – anche quelle politiche dove lo zio laportava con sé –, l’ambiente freddo e ingessatodi una germania traversante il difficile periodoche porterà dalla sconfitta nella prima guerramondiale all’avvento del nazismo. Purtroppola sua splendida parabola, di sicura irresistibileascesa a venire, si dissolve nel nulla a soli 23anni quando, il 19 settembre 1931, viene rin-venuta cadavere nella sua stanza con la pistolavicino, tenuta in casa dallo zio e tutore adolf.a tutti gli effetti la giovane pare essersi suici-data. il fatto viene scoperto la mattina dopoquando la giovane non risponde alle bussatealla porta della stanza. Questa verrà forzata erisulterà chiusa dall’interno. la polizia dellasezione Crimini Violenti, subito chiamata, nonpuò che constatarne il decesso nel terribilespettacolo che si presenta agli occhi: la giovanesul pavimento circondata da un lago di sangue.

la potenza politica e sociale di Hitler già nelsettembre del 1931 è di tale livello che sarebbestato impossibile per chiunque approfondireper bene come si fossero svolti i fatti. il proiet-tile non l’ha finita subito:

Sta morendo.nella stanza chiusa a chiave, la ragazza giace a terra difronte al divano, gli occhi sgranati, le labbra schiuse, lapelle fredda, sempre più fredda, mentre il sangue si al-larga lento sul vestito (...)Quanto tempo si impiega a morire così? Un’ora, cinque,dieci? la mente della ragazza tenta di unire orari e volti,calcolare se qualcuno, e chi, e quando, si accorgerà diquello che è successo – di quello che sta ancora succe-dendo, e potrebbe essere fermato. (...)Così la ragazza resta a terra, senza voce, senza fiato, gliocchi fissi su un cielo di stucchi, e mentre il freddo di-viene pian piano accettabile, aspetta che qualcuno,chiunque, arrivi a salvarla, o quantomeno a confortarla1.

adolf Hitler (austria, 1889-1945), dopo esserestato bocciato all’esame d’ingresso nell’acca-demia delle belle arti di Vienna (1906), per unperiodo si dedicò anche a dipingere acquerelli.emigrato a Monaco di baviera nel 1913 persfuggire al servizio militare, dopo vicissitudinivarie e aver partecipato alla prima guerra mon-diale come volontario nell’esercito tedesco, purnon avendo ancora la relativa cittadinanza, di-verrà capo del Partito nazionalsocialista tede-sco dei lavoratori già nel 1921. nel gennaiodel 1933, con la nomina di Hitler a Cancellieredel reich da parte del Presidente Hindenburg– già feldmaresciallo a capo delle forze tede-

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sche nella grande guerra dal 1916 al 1918,con vittorie otttenute sui russi in quel periodo–, il nazismo inizierà la veloce conquista delpotere e la trasformazione della repubblica diWeimar in terzo reich. alla morte di Hinden-burg nel 1934 Hitler divenne, oltre che Cancel-liere, il Führer – cioè la “guida” dalla nazione:«Ein Volk, ein Reich, ein Führer» (Un popolo,uno stato, una guida)–, in preparazione diquello che sarebbepoi stato chiamato ilreich “millenario”.la polizia mona-cense, quindi, “do-vette” chiudere ilcaso raubal comesuicidio nella stessagiornata in cui lamattina era stato vi-sionato il cadavere. a seguire insabbiamenti atutti i livelli necessari.Conseguita la maturità, geli si iscrive alla fa-coltà di medicina di Monaco e ivi si trasferiscevivendo non lontano dallo zio. Diventerà moltoamica di Henriette Hoffmann, figlia del foto-grafo Heinrich. Questi acquisterà fama dive-nendo fotografo di geli (e forse anche di più)e poi quello ufficiale di Hitler. Heinrich dirà digeli2: «con la sua natura spontanea, priva diogni artificiosità, diveniva sempre il centro del-l’attenzione di chi le stava intorno».geli, nella grande molteplicità di conoscenze,non fu estranea ad altri rapporti affettivi – nonsappiamo fino a che punto spintisi – finché lozio non la costrinse nel 1929 ad andare a viverecon lui, trasferendosi entrambi nello storico ap-partamento di Printzregentenplatz 16. Sarà unagabbia dorata per la giovane che dovrà viveresotto l’osservazione stretta e costante di zioadolf, che imponeva permessi e sorveglianzasu ogni sua uscita, fino all’ultimo terribilegiorno.lasciata la facoltà di medicina, geli, dalla bellavoce, espresse il desiderio di divenire cantantelirica, e questo le fu concesso. i rapporti moltostretti tra zio e nipote iniziarono a far circolarenella società monacense voci molto malsane.

in particolare gregor Strasser, un’anima mo-derata nel partito e dunque rivale di Hitler, ini-ziò a definire quel legame morboso. Sulpossibile rapporto incestuoso con la nipote nonsono mai state raccolte prove evidenti ma,anche dalla posizione delle rispettive stanze daletto – contigue nell’abitazione e con in mezzoun bagno comune con porta su entrambe le stanze –,

la cosa dovrebbe esseremolto probabile (se noncerta…).Un recente romanzodi Fabiano Massimi3,anche se appunto unromanzo, tenta di in-dagare sul mistero digeli, irrisolvibile a90 anni di distanza,introducendo comun-que ipotesi che po-

trebbero davvero essere molto vicine allarealtà. indubbio e complesso il lavoro di accu-rata ricerca storica e topografica dell’autoreche, mescolando abilmente storia e creatività,personaggi reali e fittizi, disegna sviluppi av-vincenti e ben congegnati su questo terribiledramma. Molteplici gli approfondimenti sullosvolgersi degli eventi e i lettori, alla fine, nonpossono non chiedersi dove sia il confine trainvenzione e realtà storica. lo “strillo” di co-pertina recita che il libro è già in traduzione in10 paesi, e ne è meritevole per l’esame accu-rato di tanti aspetti. la cronaca nera – e checronaca! – serba intatto anche oggi il suo fa-scino per innumerevoli individui. nell’opera, le migliori parole per definire gelisono quelle pronunciate da una stretta amica ecoetanea, la figlia di Hoffmann, che rivelaanche il nome col quale lo zio adolf è chia-mato dalle tante giovanissime cui corre ap-presso: Wolf (il lupo). Henny ha compresocome nessun altro il nucleo dell’anima delladerelitta geli, schiava di sentimenti e azioni tri-sti che incombono divenendone carnefici «tri-ste, spaventata, braccata, ma più di ogni altracosa determinata a fuggire o a fargliela pa-gare»4. in effetti, geli pare che stesse per scap-pare a Vienna per unirsi a una vecchia

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conoscenza e amore del momento, Kurt Heigl,un musicista, e per questo motivo ci sarebbestato un violento litigio tra geli e adolf nellostesso giorno in cui la giovane perse la vita. È chiaro che oggi si possono fare solo ipotesisulla fine della ragazza e, a mio misurato pa-rere, esse sono riducibili a tre. la meno plau-sibile è che lei si sia suicidata. Per come fudescritta dai conoscenti, espansiva, avida di undiverso futuro, smaniosa di liberarsi del tiran-nico e opprimente controllo parentale, e prontaad abbandonare tutto per la propria libertà. ilcolpo non venne sparato a bruciapelo, comesolito in un suicidio, ma da breve distanza.Questo le causò un’agonia non breve (descrittasopra letterariamente) e certo molto sofferta.la morte sopravvenne per soffocamento daemorragia polmonare. Ciò fa anche pensareche lo sparatore non fosse un killer di profes-sione ma qualcuno che, sotto effetto di unoscatto d’ira improvvisa da far perdere la testa,abbia voluto mettere fine a una situazione chesi faceva insostenibile.la seconda ipotesi è che membri eminenti delPartito abbiano voluto eliminarla per due mo-tivi principali: lo stretto rapporto, anche pub-blico, tra zio e nipote stava dando voce adicerie maligne che, peggiorando nel tempo edata l’epoca, avrebbero potuto nuocere all’af-fermazione dei nazionalsocialisti nelle succes-sive elezioni. Questo sarebbe stato un graveproblema collettivo. Contro questa ipotesi sus-sistono due elementi. la casa di Hitler, siaesternamente che internamente, era molto bensorvegliata da agenti della sicurezza e da sog-getti fedelissimi. ora, nell’ampia messe di sui-cidi (?!) che seguì per la gran parte di quantiavevano avuto a che fare con la morte violenta,non ve ne sono stati nell’entourage hitleriano,duro come l’acciaio e muto come una tombasull’accaduto. eppoi, quale capo secondario –anche di gran nome nel partito - avrebbe maiavuto il coraggio di essere il mandante di unatale esecuzione, sapendo che avrebbe subito lastessa sorte nel minor tempo possibile? l’ultima ipotesi – ritengo la più vicina al vero!– è che sia stato lo zio a uccidere la nipote. lacoabitazione l’avrebbe reso facile. teniamo

presente le innumerevoli crudeltà che, nel pe-riodo 1939-1945, il dittatore ha decretato e in-coraggiato facendo milioni di morti. Hitler èstato il tiranno più assatanato della storia cau-sando la fine di circa 70 milioni di persone –cifra precisa impossibile da accertarsi –, trastermini e perdite civili e militari! Hitler poi,alla fine della prima guerra, ancora in ospedalemanifestò segni di psicosi abbastanza gravi edocumentati al tempo, ma è chiaro che la ge-stapo dopo non ebbe problemi a distruggeretUtto il materiale compromettente sulla sto-ria pregressa del dittatore. lo psichiatra ed-mund Forster, che lo ebbe in cura, fu suicidatonel 1933. Peraltro anche le abitudini sessualidel Führer erano molto stravolte e particolari– aveva il vezzo degli schizzi porno –, forse lamaggiore sofferenza e schifo per la sventuratanipote.innegabile però, anche per le tante testimo-nianze storiche, il dolore dello zio per il gra-vissimo lutto. Fu visto comunque distrutto neigiorni a seguire tanto che chi gli era vicino sipreoccupò di stretta sorveglianza perché pativaanche impulsi suicidi. Sarebbe stato l’unicovero ottimo suicidio tra i tanti collegati al-l’evento... Pare anche che le ceneri di geli l’ab-biano sempre accompagnato nel seguito deigiorni, da lui custodite molto gelosamente. la sera stessa della morte della nipote, Hitlersarebbe stato a cena in un locale di Monacocon la segretaria di Hoffmann, una certa evabraun che successivamente sarebbe divenutaben famosa in germania e nel mondo. Sarà ladonna che il Führer sposerà nel bunker di ber-lino nell’aprile 1945, il giorno prima di spararea lei stessa e poi suicidarsi subito dopo. e la pi-stola con cui ucciderà entrambi è la stessa concui 14 anni prima era stata ferita a morte geli.Un omaggio tenebroso o una espiazione tar-diva rispetto quanto svoltosi in quel maledettovenerdì.__________1 F. Massimi, L’angelo di Monaco, Milano, 2020, p. 7.2 H. Hoffmann, Hitler was my friend, london, 1955, p.148.3 F. Massimi, op. cit.4 ivi, p. 321.

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MARIA LUISA D’AQUINOLa Signora della poesia

di Alfonso Guarino

Maria luisa d’aquino è da considerarsisenz’altro una delle maggiori figure, pro-

tagonista e testimone, di oltre mezzo secolo divita culturale del novecento. ricordare il pas-sato fa parte della nostra tradizione culturale,della nostra formazione umanistica che proprionel Sud ha conosciuto oriz-zonti ben precisi. alla no-stalgia per un’epoca chenon ritorna si unisce il sen-timento di inseguire un’at-mosfera, un’idea, un’im-magine che ci riporta in unmondo scomparso eppurevivo nella memoria storica. la “gentile poetessa” nac-que a napoli il 27 gennaio1908 da ettore d’aquino,dirigente del banco di na-poli ed angele roche. l’ultima discendente di unramo della nobile famiglia che diede i natali aSan tommaso, l’insigne dottore della Chiesa,a rinaldo, poeta del dolce stil novo, a Fiam-metta (Maria d’aquino) che fu il grande amoredi boccaccio. Suo nonno luigi d’aquino, ca-

pitano dei reali Veterani, decorato per attieroici nell’assedio di Messina del 1848, feceparte dei Capitolati di Capua che nel 1860 ri-masero fedeli al re borbone, mentre garibaldiconsegnava l’italia unita a Vittorio emanueleii. la madre angele roche era figlia di luisa

Massone appartenente aduna delle famiglie più illu-stri di San lorenzello dicui fecero parte agricoltori,industriali, giuristi, funzio-nari di altissimo grado, di-plomatici e prelati. traquesti lorenzo Massone,intendente del re di na-poli, inviato in Sicilia confunzioni di vicerè, fu fi-gura di spicco della monar-chia borbonica. Don Pa-squale Massone, senior,dottore in Sacra teologia,

fu professore di Diritto civile ecclesiastico,nonché vicario capitolare della diocesi di Cer-reto durante la sede vacante del 1807. PasqualeMassone junior, diplomatico con i borbone,divenne poi console generale e ministro pleni-

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potenziario con i Savoia. Francesco Massonefu capitano delle guardie pontificie.Una forte tradizione familiare dunque rac-chiusa in una donna mite, sobria, cordiale,sempre elegante senza sfarzo, tanto riservatache, così come scrisse Domenico rea, «ricor-dava certe scrittrici inglesi, dedite a fare – piùche ad apparire». Compì i suoi studi all’istituto Maria ausilia-trice di napoli e presto cominciò a frequentarel’ambiente culturale e gior-nalistico della città.nel 1931, a soli 23 anni,esordì con un libro di poe-sie napoletane, Vocche, cheincontrò lusinghieri con-sensi fra i grandi della poe-sia in vernacolo: SalvatoreDi giacomo le scrisse: «lavostra poesia è fresca egentile come voi» e le de-dicò una sua fotografia fir-mandola «il collega Salva-tore Di giacomo»; liberobovio le scrisse tra l’altro:«Voi cantate con gioia, an-che quando il sorriso è ve-lato d’amarezza e d’ironia!Siate la benvenuta tra noi»;ernesto Murolo le disse:«tutta la vostra anima squi-sitamente femminile è neivostri versi», mentre l’insigne critico adrianotilgher le consacrò il primato femminile dellapoesia vernacolare napoletana.le fu padrino d’arte roberto bracco, cui lapoetessa si rivolse per un giudizio sui suoiversi e dal quale ebbe caldi incoraggiamenti,dei quali lo stesso bracco ebbe poi a rallegrarsiscrivendo alla sua amica, da lui chiamata affet-tuosamente Frou-frou: «Sono orgogliosod’aver ammirato le vostre facoltà quando nes-

suno le conosceva».la Signora Maria luisa rimase vedova durantel’ultima guerra. il marito, tenente colonnellodei bersaglieri, Umberto lombardi (con leinella foto in questa pagina), dopo aver messoin salvo i suoi soldati e la popolazione di So-lofra, fu trucidato dai nazisti il 17 settembre1943 sui monti irpini. il colonnello lombardicomandava il distaccamento del i° reggimentobersaglieri inviato a Solofra in previsione dello

sbarco alleato a Salerno.Dopo l’8 settembre il re-parto rimase senza ordini,isolato tra i monti di avel-lino, con le truppe di Hitlerdivenute nemiche. il colon-nello mentre si recava adavellino, per chiedere l’in-tervento della Croce rossainternazionale a favoredella gente di Solofra, fufucilato dai tedeschi in-sieme al suo attendente.l’atto eroico è stato ricor-dato dopo 59 anni nel gen-naio 2002 dal Comune diSolofra che nel corso di unacerimonia ufficiale ha inti-tolato la scuola ed ha postouna lapide in memoria.a soli 35 anni Maria luisarestò sola con cinque figli:

giacomo, ettore, luciano, gianfranco eguido.Come vedova di guerra fu assunta nel 1945presso il Comando Militare di napoli dovecontribuì allo sviluppo e all’efficienza dell’UfficioStampa presso il quale lavorò per circa trent’anni.iscritta all’albo dei giornalisti pubblicisti, feceparte per oltre cinque lustri della redazione diIl Mattino, curando, inoltre, la rubrica di modacon lo pseudonimo di Lady Lou.

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Se non diventiamo il Dono Divino che siamo vivremo una vita di-mezzata e priva di senso.

MAURO SCARDOVELLI(psicoterapeuta)

Collaborò attivamente al Roma, alla Gazzettadel Mezzogiorno, a Il Paese, a Il Risorgimento,a Il Domani d’Italia, a Il Popolo a Il Mezzo-giorno e ad altri quotidiani e periodici.Dopo il suo primo libro Vocche, pubblicò unaraccolta di novelle con presentazione delloscrittore guido Milanesi dal titolo Finestre sulMondo. Una raccolta di poesie in lingua ebbeuno dei Premi Siracusa 1951. Con il volume dipoesie napoletane Rose d’Autunno vinse,prima classificata, il Premio napoli 1954 enello stesso anno fu inclusa nella rosa dei can-didati al Premio Viareggio.nel 1955 pubblicò Vespro Acceso, una raccoltadi poesie d’amore. nel 1957 le fu conferito illauro d’onore al Premio Vallombrosa, mentrenel 1958 usciva una nuova raccolta di poesienapoletane Ore sulitarie, ore d’ammore, fina-lista al premio Viareggio dello stesso anno.nel 1957 per i tipi della guida editori fu datoalle stampe Quel giorno trent’anni fa, una sortadi diario di guerra scritto tra il 1943 ed il 1944che suscitò larghi consensi di critica e di pub-blico. in quest’opera vi sono anche i raccontidelle tristi giornate vissute a San lorenzello.leggendola si può notare la capacità della no-stra scrittrice di dire cose terribili con estremadelicatezza, senza gridare, senza urlare: stabi-lizzandosi sempre sui fatti sia psicologici chemateriali. Si nota il bisogno di raccontare. rac-contare sempre la sua storia ideale nonostanteche, nel fiore della sua giovinezza, conosce unagravissima perdita che la segnerà per sempre.

nel 1959 le fu assegnato il Premio Culturadella Presidenza del Consiglio dei Ministri.Dal 1965 è stata Membro dell’accademia ti-berina in qualità di accademico associato.negli anni ottanta scrisse una nuova raccoltadi poesie in lingua: L’odore della memoria edun volume di novelle La musica dei ricordi.È stata socia del Sindacato Scrittori e della Co-munità europea degli Scrittori.nel 1981 Penna d’argento, per venticinqueanni di attività pubblicistica.l’ente Culturale San lorenzo Martire, haavuto il piacere di pubblicare nel 1988 la suaultima opera San Lorenzello, un dolce nome.Un canto d’amore per il suo paese di elezione,dove racconta con estrema delicatezza tutta lasua nostalgia, un amoroso catalogo su untempo scomparso e a futura memoria.

…Per me San lorenzello è dolce nome,di luoghi aprichi, d’albe e di tramonti sereni,dove il cuore mio s’acquetatra visioni di verde e dove, calma,trascorrer vorrei l’ultima stagionerinnovellando il tempo di mia vitanell’idillica pace virgiliana di quei monti silenti,tra stormire di fronde e vol d’uccelli negli spazilontan dal mondo in sì profonda quiete.e assaporare il senso dell’eterno…

Così come aveva sempre desiderato Marialuisa d’aquino si spense nella sua casa di Sanlorenzello il 9 gennaio 1992 tra il compiantodi quanti la conobbero e ne apprezzarono labontà e disponibilità.

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La Fondazione Valenzi ha proceduto,con una cerimonia svoltasi in streamingil 5 marzo scorso, alla consegna dei“Maghen David d’oro”, assegnati nel-

l’ambito dell’11a edizione di “MEMORIAE”, curata dal giornalista Nico Pi-rozzi. Destinatari del riconoscimento sono stati l’associazione “ProgettoMemoria” – impegnata nell’insegnamento della Shoah nelle scuole –, ilComune di Bacoli – che nell’immediato dopoguerra soccorse numerosiebrei scampati allo sterminio nazista – e Luigi Galletta (alla memoria) –vittima della criminalità organizzata napoletana –. Nella stessa occasionesono state anche premiate le scuole vincitrici del concorso “Io non dimen-tico”, tra le quali figura l’Istituto comprensivo di Telese Terme.

LA R.S.I. NEI DOCUMENTI DELLA QUESTURA DI BRESCIA

Ancora luce nuova in que-st'opera di lodovico

galli sulle luttuose vicendebresciane del biennio 1943-1945. la ricerca di una veritàsapientemente obliata dallaretorica resistenziale fornisceoriginale sostanza alla micro-storia locale rievocata dal-l'autore che, ancora una voltaimpenso suo, persegue e pro-fessa una fede inarrestabilenella documentazione di ve-rità, non sospinto da urgenzerecriminanti né da rivendicazioni di parte,bensì sorretto dalla convinzione che una storiariesposta con la coerenza ma pure con il livoredella ricostruzione a posteriori possa alterarel'essenza autentica e la logica stessa delle vi-cende narrate.

Scopo, infatti, di lodovicogalli è per documenta loqui,come si evince dalla titola-zione stessa dell'opera, Docu-mentazione della Questurabresciana della R.S.I. 1943-1945, che acquisisce testimo-nianze rigorose dall'archivioStorico della Questura di bre-scia di quel tempo. e come èconsuetudine del narrante, laprosa, asciutta ed essenziale,procede serrata nell'esposi-zione di questa o di quella vi-

cenda, di questo o di quel personaggio, man-tenendo un atteggiamento il più possibile im-perturbato di fronte a eventi di cui essi furonoprotagonisti.la finalità della ricerca non è peraltro il capo-volgimento della prospettiva della grande Sto-

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Letture.1

di Walter Iorio

Si nasce sempre sotto il segno sbagliato e stare almondo in modo dignitoso vuol dire correggeregiorno per giorno il proprio oroscopo.

Umberto Eco

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ria che, in tema di repubblica Sociale italiana,ha già ampiamente espresso un suo giudizioma è notorio che, nell'accertamento dei fatti, lavulgata storiografica ha non di rado posto ilveto su episodi di umana generosità e si è percontro astenuta, il più delle volte, dallo studiodelle condizioni reali di uno Stato e di un go-verno impegnato, a pegno dell'onore nazionale,sul duplice fronte degli oppositori al regime(quello interno) e della lotta al nemico anglo-americano fiancheggiato da partigiani informa-tori (quello esterno): una situazione, quella deipersonaggi di Salò, assai complicata sul pianoesistenziale e materiale, che non si è valutatada una visuale totale e complessiva e neancheanalizzata in dettagli particolari ma non menosignificativi.la pubblicazione di lodovico galli non tace,infatti, pur nell'esiguità di riferimenti narrativi,sulla violenza personale di bande e di squadri-sti estremisti che legarono il proprio nome a

imprese tutt'altro che edificanti, persuaso chea nulla servirebbe una ricostruzione sic et sim-pliciter recriminante della storia, ma concederepari opportunità di ascolto ai vinti e alle loromotivazioni sembra operazione degna dell'one-stà dell'intelletto. Del resto già una trasmis-sione radiofonica di pochi decenni orsono, Lavoce dei vinti, lavorava in questo senso; né sicapisce per quale ragione non si possa conti-nuare in questa nobile operazione culturale:essa sarebbe il più alto contributo a una ricon-ciliazione nazionale autentica in quanto matu-rata nello spirito degli italiani e non, piuttosto,sospinta dall'opportunistica logica politica.Questo esperimento è già stato fatto ma con ilrisultato di un clamoroso fallimento!

LODOVICO GALLI, Documentazione dellaQuestura bresciana della R.S.I. 1943-1945(Brescia, s.i.e., 2014), pp. 192, s.i.p.

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PROCIDACAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA 2022

All’esito dei lavori della commissione istituita presso il Mi-BACT, presieduta dal prof. Stefano Baia Curioni, il 18 gen-naio scorso il ministro Dario Franceschini ha proclamatoProcida Capitale italiana della cultura 2022. Il progetto dimassima dell’iniziativa, curato da Agostino Riitano, era statopresentato il 15 gennaio, insieme con quelli degli altri co-

muni concorrenti (Ancona, Bari, Cerveteri, L’Aquila, Pievedi Soligo, Taranto, Trapani, Verbania e Volterra), alla com-missione, la quale ha così motivato la scelta: «Il progettoculturale presenta elementi di attrattività e qualità di livelloeccellente. Il contesto di sostegni locali e regionali pubblicie privati è ben strutturato, la dimensione patrimoniale epaesaggistica del luogo è straordinaria, la dimensione la-boratoriale, che comprende aspetti sociali e di diffusione tecnologica è dedicata alle isoletirreniche, ma è rilevante per tutte le realtà delle piccole isole mediterranee. Il progettopotrebbe determinare, grazie alla combinazione di questi fattori, un’autentica disconti-nuità nel territorio e rappresentare un modello per i processi sostenibili di sviluppo abase culturale delle realtà isolane e costiere del paese. Il progetto è inoltre capace di tra-smettere un messaggio poetico, una visione della cultura, che dalla piccola realtà dell’isolasi estende come un augurio per tutti noi, al paese, nei mesi che ci attendono. La capitaleitaliana della cultura 2022 è Procida». Il direttore e la redazione di questa rivista porgonole proprie felicitazioni al sindaco e all’Amministrazione comunale dell’isola.

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LA MANO DI DIO

di Antonio Ferrajoli

S i vocifera tra alcuni strati sociali che i posses-sori di uno stemma formato da compasso e

squadra vogliono comandare il mondo. Si ricordiche costoro sono ricchissimi.Voglio raccontare un episodio accaduto a me,quando ero un giovanissimo medico ed ero internoin una clinica diretta da un professore, che eraforse il più importante della facoltà di Medicinapartenopea. erano interni con me anche due co-niugi dal cognome rassomigliante al nome di unortaggio, che emergevano sempre. eravamo amicimolto stretti ed essi insistevano perché aderissi alloro credo. Dopo circa un anno di insistenze, un giorno pren-demmo appuntamento per l’indomani, per iscrivermi, ma la notte precedente morì miozio. Passarono molti mesi, sempre tra le loro insistenze, e prendemmo un altro ap-puntamento, ma in nottata morì una mia zia, che chiamavo “Matetta”. Passò un altroanno e con quei colleghi concordammo un nuovo appuntamento, ma durante la nottemia madre fu colpita da un edema polmonare acuto. Fortunatamente, a seguito delcambio del turno di notte con un collega, il cui cognome era Panariello, mi trovavoin casa e, col validissimo aiuto di mia moglie Maria teresa, salvai mia madre.Si noti la mano di Dio, che mi indusse a non commettere un enorme errore.

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Si è spenta a Napoli, la notte sul 6 marzo scorso, la giornalista e scrittrice

GRAZIA CERINOfiglia di Salvatore Cerino, il celebre “poeta di Mergellina”, e animatrice dellostorico Salotto Cerino. Alla famiglia – e, in particolare, alla sorella, profes-soressa Assunta – il direttore e la redazione di questa rivista formulano lepiù vive condoglianze.

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“NEAPOLITANA FRAGMENTA”

di Franco Lista

Il senso della grande bellezza.Un po' di tempo fa, Stefano Zecchi scrisse uninteressante saggio, l’uomo è ciò che guarda,mutuando il significativo titolo dall’antica lo-cuzione: «l’uomo è ciò che mangia». loscritto, polemicamente, aveva come oggettosoprattutto la percezione indiretta, spesso fal-sificata e inganne-vole, della realtà: latelevisione con isuoi programmiconsiderati dal filo-sofo «un campiona-rio di idiozie evolgarità».riflettendo, perconverso, sul va-lore positivo che labella visione e le circostanze offrono allosguardo del fruitore, potremmo dire che i na-poletani sono fortunati per l’opportunità chehanno di ammirare la realtà, non la finzionevirtuale, del nostro splendido golfo. Da un punto mediano del lungomare, la perce-zione visiva scorre dal leopardiano “Fatal Ve-sevo” a Punta Campanella; dal mitico profilodi donna distesa dell’isola di Capri fino alCapo di Posillipo, cogliendo, nell’etereo oriz-

zonte di mare che li separa, l’essenza paesag-gistica e umorale di napoli, della sua insena-tura, dei promontori e delle sue isole. Un’immagine seducente e insieme rassicuranteper la serena bellezza che esprime; tale da es-sere poeticamente definita da erri De luca, «lastanza del golfo», mettendone in evidenza quel

raro senso di do-mestica acco-glienza di cui èdotata. Questa potrebbeessere l’immagineemblematica dinapoli; più che lasirena Parthenope èl’arco del golfo conla sua geometria

della natura, il suo poetico tuttotondo a rappre-sentare, come una sorta di ipòstasi, la nostrabella città. Una “stanza”, un vero e abitato domicilio,«uno spazio della “immensità intima”, dove lanostra esperienza trova la sua dimora, il suostare con se stessi, il”guscio” entro cui ripararee ritrovarsi» (gaston bachelard).Una intimità geografica, di spazio interiore cheha fatto sognare tanti poeti e viaggiatori e an-

Il presente scritto fa seguito a quello, intitolato in maniera analoga, pubblicato nel volume col-lettaneo gentile ingegno (Napoli 2006), dedicato alla memoria di Augusto Crocco.

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cora sollecita atteggiamenti di contemplazionee di piacere sensoriale. Un piacere che certo ac-compagna gli abitanti nel trascorrere il tempodella loro esistenza, nel godere della propriaincarnazione nel senso paesaggistico dellacittà.Senza questa immagine paesaggistica, reale,concreta, tattile (non solo visiva, certamente in-tersensoriale) i napoletani non sarebbero quelliche sono; cioè portatori di una piccola filosofiadell’immaginazione, della poetica del propriospazio esistenziale. Perquesto, la cosiddetta“cartolina di napoli”,in versione affettiva enon oleografica, oc-cupa un posto di ri-lievo nel nostromagazzino della me-moria in cui tutte lepiacevoli tracce mne-stiche si proiettano sempre su di un unico con-testo, il paesaggio.Cosa effettiva e ancora verificabile è la conna-turata relazione tra la buona architettura, untempo presente nel territorio partenopeo - oggipurtroppo solo in forma superstite - e la naturastessa del territorio nel quale era, quasi prodi-giosamente, collocata.Si tratta, dunque, di una bellezza - come hascritto recentemente il filosofo Salvatore Veca– che va intesa

«come congruenza e, soprattutto, giustezza nell’equili-brio guadagnato nel tempo fra la cultura e la natura, fraprogetto del costruito e il contesto naturale, fra le formedegli artefatti e le funzioni degli stessi nella vita indivi-duale e collettiva, correlate alla soddisfazione dei biso-gni».

Una sorta di connessione, o almeno di conso-nanza, tra la bellezza del paesaggio partenopeoe noi abitanti che ne fruiamo ancora, forse conun po' della sapienza dei nostri antenati greci ecioè col «coerentizzare i luoghi e i modi del-l’abitare umano con il respiro della natura …con le voci del vento e la partitura che modulalo scorrere delle acque» (Veca).ecco perché napoli si offre, non solo come im-maginazione, ma pur sempre quale avventura

ed esperienza di una nuova scoperta visiva esensoriale. napoli, tra le tante vedute, panorami e scorci,appare come un gioco di scatole cinesi: se neapre una e si trova sempre al suo interno un’al-tra che ci sollecita ad essere aperta; ed è sempreuna nuova apertura conoscitiva, immaginativae insieme interpretativa.

Natura e mito.Penso, per fare un solo esempio, al centinaio e

più di belle ville vesu-viane del cosiddettoMiglio d’oro con le ar-chitetture in aperta re-lazione con la natura: ilmare e l’arco del golfoda una parte, il verdeagricolo, la pineta e ilVesuvio sull’altro ver-sante: connessioni e

varietà di visuali armonicamente sfruttate nellacostruzione di residenze e ville di epoca bor-bonica.il nostro vulcano è pur sempre l’assoluto attoreprotagonista del paesaggio. immaginiamo diprivarci della sua presenza di estetico fondalea tutto tondo, di sostituirla con la piattezza diuna pianura; ecco simuliamo per assurdo tuttoquesto. allora, con la sua sparizione dallascena, il paesaggio perde totalmente di signi-ficato. il suo rapporto, non solo visivo, con lacittà e con gli abitanti risulta irrimediabilmenteun disastro, un lutto davvero insopportabile.Un modellato, una orografia che esprime, puressendo in quiescenza, un enorme potenzialeenergetico.non a caso nietzsche, che pure l’aveva esplo-rato, riconoscendo nell’ambiente un «sostratodionisiaco», indicava il Vesuvio agli «uominidella conoscenza» come luogo sul quale edifi-care la loro città. nietzsche, con spirito profe-tico aveva anticipato la risalita cementizialungo le pendici del vulcano, per cui assume,si fa per dire, il ruolo di nume tutelare degliabitanti che hanno la stessa radice vulcanica ene sfidano la forza.Per gli abitanti della città, questo “vulcano-

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scultura” di scala territoriale, come l’ho sempredefinito, diventa invece un baluardo identita-rio, la sua forma di “sistema gemini Somma-Vesuvio” è immagine mammellare, chealimenta il terreno e sé stessa.Questa idealizzazione, questa riconoscibilitàleggendaria – distruttivae costruttiva, allo stessotempo – ne fa assumereil ruolo di maggiore eautorevole personaggioepico del golfo; un po'come lo è stato il Monteathos che nell’incisionedi Fischer von erlachassume le sembianze e ivestimenti di antico,classico guerriero.oltre il Vesuvio il mito èdiversamente presentenelle forme del golfo: ilricordo delle sirene diUlisse pietrificato nelprofilo di donna del-l’isola di Capri; il mito-logico teatro flegreodove Mimante, nel vano tentativo di scalarel’olimpo, è incenerito da Zeus e scagliato nelleazzurre acque dando forma all’isola di Procida,mentre lo scuotimento del ciclope tifeo, inca-tenato e imprigionato sotto l’epomeo, giusti-fica i movimenti sismici della vicina isola diischia.Pare che “orme degli dei” creassero la grandebellezza, «per la quale l’arte…di sé fa unospecchio nel quale tutti gli uomini possanoguardarsi e riconoscere se stessi», come conrara efficacia ha scritto rosario assunto.

Uno sguardo ravvicinato.Dall’insieme ambientale e dalla scena urbana,espressive del cuore antico della città e dei suoidintorni, ben si coglie il continuum di natura ecultura convertito in un perenne spettacolo,reso dalla figurabilità delle emergenze naturalie antropiche del territorio. Un connubio, un in-sieme chiaramente delineato “di natura nellanatura”, una autenticità rivelatrice del senso

dell’abitare nella quale lo spettatore s’immergee si integra. oggi, purtroppo, cementificazione e inurba-mento hanno compromesso in misura notevoleil paesaggio che, tuttavia, con la sua più gene-rale e resiliente struttura e le preesistenze ar-

chitettoniche, offre unosguardo d’insieme an-cora, e in buona misura,mirabile.Un’ottica ravvicinatasulla città di napoli ciaccosta alla storia e allasua narrazione. la leg-gendaria fondazione, lamitologica immaginedella sirena Parthenope,la Neapolis che portal’ossatura della scac-chiera ippodamea: unmarchio che conservanel tempo, come unasorta d’incancellabilesovraimpressione, le sueorigini greche. ecco il taglio, netto e

prolungato da oriente a occidente della Spac-canapoli! Una sorta d’incisione che divide e, altempo stesso anima e concilia il centro antico,quasi come un canyon pulsante di tufo e attra-versato da “carovane” di napoletani, turisti,venditori: un traffico umano, vociante che av-volge tutti nella stretta e sterminata prospettivadi Spaccanapoli e degli altri due decumani.la napoli antica è città costruita col tufo e fon-data sul tufo, questo straordinario materiale pi-roclastico che ha modellato l’intero territorio,mentre l’opera dell’uomo lo ha estratto e nelsottosuolo, nel corso della storia, ha ricavatogallerie, catacombe, cunicoli e acquedotti sot-terranei.gregorovius a metà ottocento visita napoli esul tufo scrive una efficace notazione:

«non potevasi rinvenire qualità di pietra più facile adessere scavata in questa guisa, che questo tufo volcanico,di colore gialliccio; ed uno può farsi agevolmente unaidea del modo in cui vennero aperte quelle caverne equelle grotte, osservando le pareti di quel tufo stesso …

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gli immensi spazi scavati per tal guisa sottoterra, chepoco a poco vennero a formare un labirinto troglodito,dovevano pure avere uno scopo, e servire ad un qualcheuso».

Uno straordinario materiale nel quale èespressa la palpabile e singolare fisicità di na-poli, forse anche percepibile nella notevole ra-dioattività del gas radon che sprigiona eoccultamente nutre la vivace vitalità degli abi-tanti.il tufo è stato il soggetto protagonista nella fasenapoletana della pittura di thomas jones checolse il forte carattere materico e cromaticodella pietra lasciata nuda, priva d’intonacodelle abitazioni popolari della città. Così comenumerosi altri pittori intuirono e afferrarononel paesaggio il felice connubio tra natura e co-struito, delle falesie e dei banchi tufacei arric-chiti dal verde spontaneo, rafforzando l’ideache la «pietra costituisce la prima solidifica-zione del ritmo creatore», come ha scritto conreligiosa vena poetica, juan eduardo Cirlot.Come la pittura e il vedutismo, a partire da Pi-tloo, ecco poesie, canzoni, narrazioni ispiratedai luoghi, suscitate dalla visione del paesaggioagli occhi degli innumerevoli cantori delle suebellezze. ed è subito immagine intersensoriale,dove sguardo e udito si connettono in un unicomondo pittorico-musicale-poetico: un singo-lare, olistico “paesaggio”, dove la percezionevisiva può giungere alla sinestesia.Penso a Salvatore Di giacomo, mentre fuori,nel momento in cui scrive, il tempo è assai biz-zarro: «nu poco chiove e n’ato ppoco stracqua,torna a chiovere, schiove; ride ‘o sole cu ll’ac-qua». Un “paesaggio” fatto di iterazioni ritmi-che, assonanze timbriche in un colloquio

umanizzato. Qui il sole ride con l’acqua, un po'come Dante che parla del «sole che tace»: re-ciproca attrazione tra linguaggi in una classicametamorfosi della natura nell’elementoumano.

La lingua napoletana diventa paesaggio.Una breve riflessione sulla lingua napoletana,personalmente, appare come motivo di conso-lazione nei confronti del generale impoveri-mento dei linguaggi al quale passivamenteassistiamo.allora prendiamo in esame e consideriamo ilcittadino napoletano verace quale dialettofono,cioé provvisto di linguaggio formato sul campoper imprinting (come avviene per il musicistache suona “ad orecchio”), e di una certa dota-zione di espressività che dà colore e sapore allacomunicazione.Questo napoletano possiederà un proprio ac-cento, una propria musicalità nella parlata: edè quello che farà scrivere a libero bovio: «Jeso’ napulitano e si nun canto moro!» Musica-lità della parola che si accompagna a una effi-cace gestualità e a una mimica intensamenteespressiva. Una sorta, diremmo con termini piùspecialistici, di flusso continuo di informazionipolisensoriali tali da interessare vista-udito-suono-tatto. la materia comunicativa è dunque polidimen-sionale: un sistema complesso difficilmente re-gistrabile nella sua totale interezza espressiva,a meno di non ricorrere a un improbabilequanto complicato “pentagramma” che possarestituire la molteplicità dei messaggi senso-riali e cogliere la particolare struttura di lin-guaggio espressivo, carico – come direbbe

TESTATE AMICHETESTATE AMICHE

IL 2 PUNTO 0via Roma, Palazzo Massone - 82030 San Lorenzello (BN)

[email protected]. resp. Lorenzo Lombardi d’Aquino

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berardinelli – di «polline poetico».non azzardato appare l’accostamento che tentodi fare tra musica e le caratteristiche indeter-minatezze e i suoni indistinti delle finali, verescie sonore della parlata napoletana. Mi aiu-tano in questo le riflessioni di Melchiorgrimm, straordinario corrispondente di Mo-zart, a proposito dell’indeterminatezza dellamusica. grimm la considerava la vera forza dellinguaggio musicale che arriva direttamente alcuore, prima ancora di passare per la mente.Polline poetico partenopeo, elaborazione co-rale e insieme contributo individuale, po-tremmo dire. Un po’ come avviene nel mondodelle api. il miele è tutto concentrato nellastruttura, prevalentemente vocalica, della lin-gua che più che parlata è cantata nel diventareil commento musicale del paesaggio, la sua co-lonna sonora!

Napoli segreta.la napoli dei misteri, oltre la storia, ha sempreofferto visioni leggendarie, mitologiche ed eso-teriche. ampie sono le narrazioni che si sonoimmerse in questa poco penetrabile e occultafaccia della città: un altro aspetto della città nelquale la storia, le leggende, i miti e l’immagi-nario hanno un loro scenario fisico, talvoltaenigmatico, fatto di cavità, di un sottosuolo se-greto ancora da esplorare interamente. ecco lanapoli sotterranea, quella degli antri ricavatidall’estrazione del tufo, dei cunicoli e degli ac-quedotti, degli ipogei greci e dei mitrei, laCrypta Neapolitana, le grotte del Chiatamonee ancora tanti luoghi ermetici e oscuri, sia allavista che alla mente razionale, diffusi nella cittàe nei dintorni.

Senza andare molto indietro nel tempo, bastaleggere gli scritti di Matilde Serao e di bene-detto Croce per rendersi conto della moltepli-cità dei motivi e degli argomenti misteriosi. Masi tratta solo di una piccola parte della lettera-tura in proposito che va dai riti e dai culti diPriapo e iside, dalla Sibilla Cumana a VirgilioMago. a questi inesplicabili aspetti vanno ag-giunti quelli religiosi come la liquefazione delsangue di santi oggetto di grande devozione,San gennaro, Santa Patrizia. la mescolanza tra sacro e profano è cosa anticaa napoli. Superstizioni, fatture, malocchio,sogni e gioco del lotto, riti, feste religiose e po-polari costituiscono un tenace insieme di coseapparentemente contrastanti. Questo forteamalgama è un impasto connaturato conl’animo del napoletano che porta sempre consé santini insieme a cornetti, amuleti e altri og-getti apotropaici.Questo è solo un accenno a quell’insieme dicose della nostra città, contemporanee e delpassato, poste aldilà della freccia del tempo ecaratterizzate dalla contraddizione e dal para-dosso. Un singolare accumulo, che mette inmoto un fantastico fluire di attività mentali, tal-volta inafferrabili e indecifrabili, pur sempreaffascinanti che alla mente dei napoletani piùsensibili appaiono come materiali su cui inter-venire forse con modalità analoghe all’alche-mico solve et coagula per penetrare nelmisterico universo partenopeo. Questo è il sex appeal di questo antico territo-rio: immagini, figure, scenari tattili, sensoriali,mentali che ci consentono di risalire ai modi disentire, di fantasticare, di vivere napoli.

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Vittima della pandemia da Covid-19, si è spento il 18 febbraio scorso inNapoli, dov’era nato nel 1936, lo scultore

LUIGI MAZZELLAAllievo di Ennio Tomai, Mazzella ha lasciato una traccia particolar-mente incisiva nel panorama dell’arte napoletana, a cavaliere fra il se-colo scorso e il presente: suoi, fra l’altro, sono il “Totem” di piazza Fuga,

dedicato al suo maestro, e quello di largo Celebrano. Alla famiglia – e, in particolare, aifratelli Rosario ed Elio, entrambi pittori – giungano le condoglianze del direttore e dellaredazione di questo periodico.

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OPPORTUNISTI, MA NON SEMPRE

di Umberto Franzese

Fanno fuoco e fiamme. Col fuoco che fannoneppure si scottano. Per scaldarsi attizzano

il fuoco accortamente, e guarda caso, hanno bi-sogno della legna da ardere. Di buona legna daardere non se ne trovain giro e vanno a trarrei grossi ceppi dalla ca-tasta di zio Menico o dinonno Ulrico. allora sìera un fuoco. Un fuococoi fiocchi fatto con iciocchi e che ciocchi!Sì, perché ora che tristeè il grande inverno, l’at-tenzione cade, per man-canza di materia prima,sui poeti di un tempo incui imperavano ezraPound e D’annunzio.Un tempo ottimista, untempo di grandi: grandifilosofi, grandi scrittori, grandi giornalisti. bussiamo a poeti: giuseppe Ungaretti, liberobigiaretti aldo Palazzeschi, alfonso gatto. Vo-gliamo parlarne ai giovani italiani accaniti ciar-lieri sui social, ai quali ricordiamo che naturainsegna a parlare e ragione a tacere. Parlare sì,comunicare vis à vis, ciarlare meno. Di parlare,comunicare a viso aperto, spiccicando alla na-

poletana per meglio impattare, era solito fareguglielmo il conquistacuori alle sue allegrebrigate. occuparsi di poeti che assaggiammoda studenti delle medie come Palazzeschi e

Ungaretti, come bigia-retti e gatto che bec-cammo come docenti,dispensando concetticon la mordacchia.Fuoco alle polveri! aldo Palazzeschi (v.foto accanto), pseudo-nimo di aldo giurlani.Prese parte alla grandeguerra come addettoagli approvvigiona-menti e alle comunica-zioni. Pubblicò nel1920 Due imperi man-cati. Secondo Carloemilio gadda, Palazze-

schi poeta dei buffi «ci porge la testimonianzadel suo dolore, del suo dissenso dalle ragionidella morte». nel 1945 in Tre imperi mancatilo scrittore «sceglie di rivivere il Ventennio inuna chiave dolente e sarcastica». giochi lingui-stici a volte vibranti a volte melanconici, zig-zagando, nei versi della Fontana malata:«Clof, clop, cloch\ cloffete\ cloppete,\ cloc-

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chete,\ chchch». giuseppe Ungaretti (v. foto in questa pagina),fra i grandi poeti italiani del primo novecentofu uno di quelli che più aderirono al fascismocondividendo appieno il nazionalismo esaspe-rato. Sosteneva che gli italiani dovessero ac-quistare peso e prestigio nei confronti deglialtri popoli. nel 1914,stabilitosi a Milano,pubblicò le prime poe-sie nella rivista dei futu-risti. Strinse ottimirapporti con Mussolini.Combatté per tre annisul Carso, fu corrispon-dente da Parigi per ilPopolo d’Italia nel1919. nel novembredello stesso anno pub-blicò L’allegria deinaufragi con una poesia– Popolo – dedicata alDuce. nel 1925 firmò ilManifesto degli intellet-tuali del Fascismo. nel 1936 insegnò lettera-tura italiana all‘Università di San Paolo delbrasile. nel ’38, libero bigiaretti, di buzzo buono, par-tecipò al “Premio ai poeti del tempo di Musso-lini” con una poesia dal significativo titoloCanto dei contadini dell’Agro Pontino in cui ilDuce, pur non essendo menzionato, è celebratocon pruriginose e seducenti maiuscole: «allaSua voce», «Colui che dà fierezza al nostro af-fanno»; «nella gran piazza della giovinezzacittà di gentil nome, siamo alle Sue parole,

come il campo da seminare». Ma già nel ’68,anno della contestazione, il poeta si faceva no-tare per aver vinto a pieno titolo il Premio Via-reggio passando da un campo all’altro,dall’esaltazione di Mussolini, all’epicedio diallende. Dal nero ferrigno al rosso frizzante.nel 1943, dopo il bombardamento alleato in

cui gli “alleati” ci im-partivano una sonora le-zione di democraziaaccelerata, alfonsogatto scriveva una poe-sia dal sapore vaga-mente amarognolo: Allamia terra. nel 1934 ilpoeta era stato littore. ilsuo fervido progetto eradi lavorare sul serio perpropagandare l’idea fa-scista. Un buon appren-distato gatto l’avevacompiuto tra il ’34 e il’37 presso la DirezioneCentrale della Stampa

italiana al Ministero della Cultura Popolarenell’Ufficio Propaganda. Protetto da galeazzoCiano nel 1937 fu poi “sistemato” nella reda-zione del periodico illustrato Casabella.oggi, tali poeti non riuscirebbero a farci sentirequell’aria dai freschi vapori che si respirava apieni polmoni in un tempo in cui non regnaval’anarchia culturale più assoluta. oggi si pro-ducono “libroidi o mattoni”. e i “migliori”scrittori sono o politici scadenti o cantanti eballerine.

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CONCORSO “MATTEOTTI PER LE SCUOLE”

La 6a edizione del concorso “Matteotti per le scuole” – indetto dal Ministerodell'Istruzione - D. G. per lo Studente, l'Inclusione e l'Orientamento scola-stico, dalla Fondazione Giacomo Matteotti - ETS e dalla Fondazione di StudiStorici Filippo Turati Onlus – è rivolta agli alunni della scuola secondaria di2° grado, che possono partecipare con testi per la stampa o per il web, operedi grafica digitale, fotografie o servizi radiofonici o televisivi o di web-giorna-lismo, ovvero video o elaborati audiovisivi multimediali, sul tema: “Giacomo

Matteotti: la dignità della persona, la partecipazione e l'inclusione sociale”. Il termine per lapartecipazione è fissato al 30 aprile 2021; ulteriori informazioni e/o copia del bando potrannoessere richieste alla e-mail: [email protected].

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LA MAJELLAGrande Madre d’Abruzzo

La leggenda racconta che Maja, la più belladelle Pleiadi, fuggì dalla Frigia per portare

in salvo il suo unico figlioermes, il gigante, caduto inbattaglia. Dopo un lungoviaggio si rifugiò tra i boschidei monti d’abruzzo per cer-care l’erba miracolosa checresce alle falde della biancamontagna, l’unica in grado disalvare il suo amatissimo fi-glio. Ma la montagna, riccadi erbe medicamentose, erapurtroppo coperta dalla nevecosì ogni suo tentativo di ri-cerca fu inutile. ermes morì. Sconvolta dal dolore Maja, loseppellì sul gran Sasso, doveancora oggi, chiunque os-servi da levante, può ricono-scere nel profilo della catenamontuosa il "gigante chedorme". Maja, inconsolabile,vagò a lungo per i boschi.Poi, logorata dal pianto e daldolore, esalò l'ultimo respirosul monte che l’aveva accolta e che oggi portail suo nome, la Majella. lì venne sepolta daipastori impietositi per la sua triste storia,adorna di ricche vesti, di vasi di prezioso me-

tallo, e soprattutto di fiori e di erbe aromatiche.la montagna prese così la forma di una donna

impietrita dal dolore, riversasu se stessa con lo sguardofisso al mare. ancor oggi ipastori odono i suoi lamentinelle giornate di vento,quando i boschi e i valloni ri-producono il lamento di unaMadre in lacrime. Quando ilvento dirada le nubi, ed ilcielo è terso, la Majella è vi-sibile anche a pochi metri dalmare: rotonda e materna,quando innevata riflette laluce del sole, levigata nel suoprofilo azzurrino nei tramontiestivi.Per le genti d'abruzzo la Ma-jella è la Madre, il simbolodella terra d'abruzzo, dellafertilità della terra, è… laterra stessa.torniamo all’escursione: an-dremo su Monte amaro(2.794 metri), la cima più alta

del gruppo della Majella, percorrendo il sen-tiero del Parco contraddistinto con la lettera Pin verde.Si parte dal rifugio Pomilio, direzione bloc-

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di Maria Lista

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khaus, percorrendo la strada interrotta al traf-fico (breve percorso dedicato a indro Monta-nelli), arrivati al blockhaus inizia l’escursione.attraversiamo Monte blockhaus sul percorsodi destra per poi proseguire attraversando lasplendida mugheta di Scrima Cavallo, ammi-riamo a destra Monte Cavallo (2.171 metri) ela valle dell’Ufento, mentre a sinistra ammi-riamo il vallone di Selvaromana, un canyonbellissimo e moltoselvaggio. Più avanti, a circa1.30 - 2 ore dal rifu-gio Pomilio, sullanostra destra, visi-tiamo le tavole deibriganti. Qui storia ebellezza del postocreano un’emozioneunica. Su placche dicalcare orizzontali,tra il 1860 e il 1866,i briganti della Ma-jella hanno lasciato le loro testimonianze didissenso verso l’annessione del regno delledue Sicilie al regno D’italia, oltre ai nomi edate scolpite una tavola recita:

leggete la Mia MeMoria Per i Cari let-tori nel 1820 naCQUe Vittorio eManUeleii re D’italia, PriMo il 60 era il regno DeiFiori, ora È il regno Della MiSeria.

oltre alle testimonianze dei briganti leggiamoanche quelle dei pastori con date più recenti,loro sono la vera storia d’abruzzo, questa terrameravigliosa. Facciamo alcune foto ricordo, ci

spariamo due pose fra emozioni, storia e bel-lezza del posto e si riparte per arrivare a Sellaacquaviva, dove facciamo una piccola sostaalla fonte omonima.Da qui iniziamo a salire per arrivare al bivaccoFusco, nuova sosta per riprendere forza e am-mirare l’anfiteatro delle Murelle, la zona piùalpinistica della Majella, sotto di noi, sui pratidi fronte al Fusco, un primo branco di camosci

ci dà il benvenuto,mentre volgendo losguardo verso sud-est il sole si specchiasul mar adriatico, anord il gran Sasso, iMonti Velino e Si-rente e i monti delparco nazionale d’a-bruzzo, infine il Mo-lise a sud.Dopo la sosta sa-liamo verso destra, ilsentiero si inerpica

sulla lunga cresta che ci porta sulla cima delFocalone a 2.670 metri. Da qui il paesaggio di-venta lunare, fiori di ogni tipo e colore sbucanonon so come da questo terreno piastrellato disassi. la vista bellissima, il vento leggerodell’estate ci spinge verso la cima del Foca-lone.arrivati sul Focalone uno strepitoso pianorolunare di rara bellezza si affaccia davanti a noi,giriamo lo sguardo intorno e ammiriamo tuttele più alte vette della Majella: monte amaro,Pescofalcone, monte rotondo, i tre portoni,Cima Pomilio, monte Sant’angelo, e monte

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Dalla sede dell’Istituto italiano per gli studi storici (via B.Croce, 12, Napoli) prosegue il ciclo di conferenze sul tema:“GENESI, FORME E CRISI DELLO STATO MODERNO”, trasmessein diretta streaming sul canale YouTube dell’Istituto. In parti-colare, il 15 aprile Giovanni Iudica parlerà di “Lo Stato mo-derno e le codificazioni”, mentre il 20 maggio Piero Craveri

illustrerà il tema “Formazioni e cadute delle classi dirigenti italiane dallafine dell’Italia liberale alla Repubblica”.

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acquaviva, un panorama mozzafiato.Dal Focalone scendiamo per attraversare ilPrimo Portone la massima depressione e spar-tiacque tra la valle delle Mandrelle a sinistra esulla valle dell’orfento a destra, saliamo suCima Pomilio per poi attraversare il secondo eil terzo Portone. Ci lasciamo Monte rotondo adestra, lassù crescono le stelle alpine; una bel-lissima attraversata aerea con splendida vistasul Monte amaro ci porta ad un pianoroenorme del monte Pesco Falcone, e in leggeraascesa saliamo in vetta a Monte amaro (2.793metri). Quassù il vento ci obbliga a indossarele giacche ma l’emozione per la bellezza delpaesaggio ci riscalda l’anima e ci riempie digioia.il ritorno è sullo stesso sentiero, ma incredibil-mente siamo sempre accompagnati dallosguardo incuriosito e fiero dei camosci.ringrazio Davide, guido e Maria che hannovoluto condividere con me questa emozione1.______1 l’amore e il rispetto delle genti d’abruzzo per lagrande Madre, lo si evince da una canzone popolare,abruzzo, che nelle strofe dedicate alla Majella recita:

Po' so' jitu alla Majella, la muntagna è tutta 'n fiore; quant'è bella, quant'è bella, pare fatta pe' l'amore! quant'è bella, quant'è bella, pare fatta pe' l'amore!

Quantu sole, quanta pace, che malia la ciaramella ju pastore veja e tace pare ju Ddiu della Majella. ju pastore veja e tace pare ju Ddiu della Majella.

e dalla poesia di gabriele D’annunzio, Pastori:

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.

ora in terra d'abruzzo i miei pastorilascian gli stazzi e vanno verso il mare:scendono all'adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fontialpestri, che sapor d'acqua natiarimanga ne' cuori esuli a confortoche lungo illuda la lor sete in via.rinnovato hanno verga d'avellano.

e vanno pel tratturo antico al piano,quasi per un erbal fiume silentesu le vestigia degli antichi padri.o voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina!

ora lungh'esso il litoral camminala greggia. Senza mutamento è l'aria.

il sole imbionda sì la viva lanache quasi dalla sabbia non divaria.isciaquìo, calpestìo, dolci rumori.

ah perché non son io co' miei pastori?

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A seguito della proclamazione di Procida Capitale della cultura 2022, il past-directordi questa rivista, Antonio Ferrajoli, ha messo a disposizione il giardino del suo palazzodi Procida, in via Marcello Scotti, per lo svolgimento di un ciclo, da lui stesso ideato,d’incontri estivi, che, sotto il titolo “CULTURE PER UNA CAPITALE”, saranno curati dallanostra redazione e affronteranno una serie di argomenti attinenti alla storia e alletradizioni dell’isola. Il programma del ciclo, che vedrà impegnati numerosi esperti, èin corso di elaborazione..

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IL MEZZOGIORNOtra le speranze e la cruda realtà del nuovo Governo

Puntuale come sempre, arriva sulla scriva-nia del nuovo Presidente del Consiglio la

questione meridionale, tutti promettono grandicose, di risolvere ogni problema e che il sudsarà al centro dell’agenda dell’esecutivo.anche in questocaso non è man-cato il ministeroper il Sud, che inogni esecutivo è –dispiace dirlo –una sorta di pegnoche si paga allacausa, ma che ilpiù delle volte ri-mane privo diqualsiasi efficaciae non lascia alcun segno nella vita dell’esecu-tivo di turno. insomma una sorta di rito, unclassico, in poche parole, solo che con il tempoè cambiato il clima ed è cambiata la percezionenel resto del paese e purtroppo anche la dispo-nibilità.Complice il momento del paese e le sfide cui èchiamato per la gestione del Recovery fund, ilMezzogiorno sembra sparito dall’agenda poli-

tica nazionale e oggi più che mai appare ab-bandonato a se stesso: in poche parole la pos-sibilità di rinascita è legata all’iniziativa locale.Si aggiunga che l’esecutivo Draghi appare lon-tano dalla questione meridionale, come del

resto gli ultimiesecutivi: difattinon vi è stato neivari colloqui alcunaccenno concretoma solo dei pas-saggi generici,quasi di rito.Ma è chiaro comesia cambiato ilclima e come visia stato un netto

cambio di direzione in materia, in primo luogocirca le misure previste. Se un tempo infatti ifondi erano elargiti senza alcun criterio logico,forse solo allo scopo di foraggiare le clienteledei politici locali, oggi il clima è radicalmentecambiato, complici vari fattori, che hanno por-tato ad un lento ma inesorabile cambiamentonelle politiche verso il Mezzogiorno, in conse-guenza di vari fattori, quali le minori disponi-

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di Nico Dente Gattola

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bilità economiche del paese, l’Unione moneta-ria europea e l’avanzamento del processo inte-grativo e in ultimo ma forse il principale lanascita della lega nord.Fino agli anni 90 a prescindere dai risultati chene derivavano erano assicurate alle regioni me-ridionali risorse ingenti,che però non hanno maiassicurato uno sviluppodelle aree depresse delpaese ma semplice-mente una politica assi-stenzialistica. Con ildeclino della prima re-pubblica, in concomi-tanza con l’esplosionedi tangentopoli e lostravolgimento della politica nazionale conl’arrivo di nuovi protagonisti, tutto è radical-mente mutato, imboccando una strada radical-mente differente rispetto al passato: processoche non è ancora terminato.il Carroccio sbarcato sulla scena politica na-zionale sin dall’inizio ha imposto l’agenda po-litica che poneva al centro dell’interesse dellapolitica nazionale il nord del paese, avviandoun processo di trasferimento di poteri semprepiù marcato dallo stato centrale alle regioni.Processo che ha trovato il suo culmine nei re-ferendum sui trasferimenti di competenzeesclusive alle regioni in materie sempre più de-licate, temporaneamente arenato con l’esecu-tivo Conte-bis, ma che – c’è da scommetterci– tornerà in auge con la lega di nuovo al go-verno.Un trasferimento ulteriore di poteri rischia diesser deleterio per le regioni meridionali, chevedrebbero accrescersi il divario ulteriormentecon un impoverimento sempre più marcato. Sirichiede inoltre da più parti, anche da regioni agoverno P.d. quali l’emilia romagna, di potertrattenere una quota maggiore di risorse, il cheandrebbe a discapito dei nostri territori, che sivedrebbero privati di una quota rilevante di tra-sferimenti di fondi. in poche parole, verrebbemeno il principio della solidarietà nazionaleper il quale ricava dal gettito extra delle regionipiù ricche una quota sensibile dei trasferimenti

destinati al Mezzogiorno: di fatto ci troveremoal cospetto di un paese a due velocità, in cui leprestazioni sanitarie o il diritto allo studio pos-sono essere assicurati a Milano ma non a na-poli, semplicemente perché mancano i fondi.la presenza della lega al governo in uno spi-

rito di solidarietà nazio-nale autorizza a sup-porre che la questionedella devoluzione dicompetenze alle regionitornerà di nuovo inauge, e in assenza diuna azione di contrastoefficace qualcosa po-trebbe effettivamentecambiare questa volta.

infatti non bisogna dimenticare come il neoPremier ha una missione ben specifica ovveroquella di gestire il Recovery fund e ben po-trebbe arrivare ad un compromesso in materiain nome di una governabilità più tranquilla,tanto più che in modo sempre più evidenteanche da sinistra si alzano voci sempre menocritiche nei confronti di una maggiore autono-mia delle regioni settentrionali. Questa è laprima vera sfida che il nuovo esecutivo gui-dato da Mario Draghi si troverà ad affrontare.Sfida per nulla semplice, poiché da un lato, sesi vuole assicurare il rilancio del sud del paese,occorre destinare risorse ingenti destinate allosviluppo delle aree depresse, ma d’altro cantola presenza tutt’altro che casuale della lega algoverno rende tutto ciò molto più difficile. lerisorse sono in ogni caso sempre di meno, vuoianche per la crisi del nostro sistema economicoe per le sempre minori disponibilità economi-che del paese, che volente o nolente è costrettoa ridurre anche le risorse destinate alle politi-che a favore dello sviluppo dell’italia meridio-nale.Un valido aiuto potrebbe appunto giungeredalla marea di soldi che arriveranno al nostropaese dal Recovery fund, sui quali si preannun-zia battaglia non tanto sui settori di destina-zione, quanto piuttosto sulle zone dove sarannomaterialmente spesi. Si potrebbe dire che tuttodipende dalla presenza di ministri meridionali

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e dal loro peso politico, ma in realtà l’italia haavuto nella sua storia svariati esecutivi con piùdi un meridionale in posti chiave, eppure nullaè cambiato in termini di sviluppo, anzi tutt’al-tro. insomma vi è stata più di un’occasione incui il corso del Mezzogiorno avrebbe potutosubire una svolta, ma nulla è cambiato, perchétroppe volte ci si è limitati al semplice nome,laddove sarebbe stato necessario un cambio dipolitiche che invece non vi è mai stato in re-altà.È infatti evidente come in passato sarebbe statanecessaria una politica nettamente differentenei confronti del sud, non tesa ad un mero as-sistenzialismo, ma in grado di assicurare unconcreto sviluppo con politiche economicheche garantissero il superamento del divario esi-stente nel paese. Certo sarebbe stato auspica-bile avere una classe politica più lungimirante,che nella sua componente meridionale avrebbedovuto pretendere non politiche assistenziali-stiche ma di sviluppo e di crescita culturale enella componente settentrionale una visionetesa alla reale unione del paese.Purtroppo, quello che in passato era auspica-bile vi fosse e poteva essere ottenuto senza dif-ficoltà ma semplicemente con politichedifferenti, in questo contesto storico è poco piùdi una mera speranza, cui lo stesso Stato cen-trale non presta più attenzione. oggi, riba-diamo, la situazione è differente poiché inprimo luogo è cambiato l’interesse e l’atten-zione nei confronti del Mezzogiorno e non èpiù sufficiente la presenza di leader nati a suddel garigliano, perché in primo luogo moltiprocessi decisionali sono presi in sedi, dove ilMezzogiorno del paese non è visto come unesigenza primaria ma come un problema che ilsistema italia se vuole può risolvere o meno: èimportante che siano rispettati i parametri eco-nomici fissati.Di conseguenza, non è sufficiente che un ese-cutivo appena varato manifesti la volontà diporre in essere politiche a favore delle regionimeridionali, poiché occorre tenere sempre piùin conto il ruolo dell’Unione europea e delleregioni, le quali stanno acquistando sempre piùcompetenze. Per essere chiari il ministro per il

Sud, per incidere realmente nelle politichedell’esecutivo, dovrebbe avere gli stessi poteridi un ministro con portafoglio ed avere voce incapitolo anche in materie oggi di competenzadi altri dicasteri.anche l’attuale assetto politico con una realtàterritoriale frastagliata ed eterogenea non aiutaad un rilancio delle politiche a supporto delMezzogiorno, con il costante ed inesorabile de-centramento di competenze dallo Stato centralealle regioni. infatti ogni regione rappresentauna realtà a sé stante difficile da coordinare conle altre. Differente sarebbe se vi fosse una solamacroregione la quale si rapporterebbe inmodo più efficiente con lo Stato centrale:anche la causa meridionale avrebbe ben altrospessore e valenza.in ogni caso appare evidente come il nuovoesecutivo, muovendosi all’interno di vincoli divaria natura, non potrà muovere molte risorseverso il Mezzogiorno e quindi sarebbe impor-tante a fronte di riduzioni e di vincoli proporredelle politiche realmente innovative in gradodi riuscire ad assicurare un reale cambiamentoper il sud del paese.oggi come oggi il Mezzogiorno appare comeun qualcosa cui non prestare attenzione, cheper motivi contingenti è abbandonato a sestesso o meglio deve riuscire a rilanciarsi conle sue forze e, cosa più difficile, in assenza dipolitiche concrete di aiuto.importante sarebbe, visto il clima, che partissedalle nostre terre un processo chiaro di rilancio,con la proposta di politiche realmente innova-tive: non basta infatti chiedere le risorse chespettano ma occorre dimostrare di spenderle inmodo intelligente.rispetto al passato non è più sufficiente che re-gioni come la Campania lamentino difficoltàeconomiche, ma occorre proporre progetti cherealmente assicurino un cambio di rotta. lavera sfida è quella di dimostrare che anche alsud vi è una differente volontà di gestire le ri-sorse che arrivano, ma per fare ciò occorreanche avere interpreti politici in grado di pre-tendere politiche adeguate e nel contempo dinon disperdere in mille clientele quello che ar-riva.

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GLI ULTIMI E LA SPERANZA DEL RISCATTO

La letteratura dentro lacrisi.la grande Crisi, economica,sociale e culturale, che negliultimi decenni si è abbattutasulle società occidentali, haavuto riflessi anche in lette-ratura, spingendo molti scrit-tori italiani a scavare più afondo nel mondo reale, percoglierne ciò che spesso èsommerso, invisibile, fuoridel nostro sguardo. a propo-sito di questa nuova poetica1,qualche anno fa si è parlatodi “ritorno al realismo” o diun nuovo “neorealismo”, incui gli autori, talvolta conmaggiore efficacia di studisociologici e antropologici, nelle loro opere ciilluminano su quei processi di trasformazioniche investono il mondo globalizzato e che –ieri come oggi, come abbiamo visto anche inquesta terribile emergenza pandemica – condi-zionano l’individuo, trascinandolo in un vor-

tice oscuro senza vie d'uscita.Questa riflessione sulla no-stra piu recente ricerca lette-raria, ci è tornata in mente nelcorso della lettura di Allaluce del sole, il nuovo ro-manzo di elio Serino, che purambientando la storia agliinizi dello scorso secolo sem-bra in realtà alludere al nostrotempo, ai drammi generatida quella che negli anni ot-tanta Peter glotz chiamò la«società dei due terzi»2, una“società-mondo” costruitasulla negazione dei diritti, laviolenza, la povertà, le disu-guaglianze sociali.

Un viaggio al contrario.ecco allora che se non perdiamo di vista que-sto orizzonte culturale e politico più generale,la storia raccontata da Serino di giovanni ePaolo – due cugini, piccoli borseggiatori chevivono a new York agli inizi del novecento e

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di Antonio Grieco

Letture.2

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decidono di tornare a napoli (da dove eranoemigrati anni prima con i loro genitori) – ci ap-pare esemplare e attuale, perché costringe a in-terrogarci su una realtà che promettevainclusione e solidarietà ma che alla fine, comeaccade oggi ai tanti migranti che sperano ditrovare nel nostro Paese un mondo migliore, sirivela solo una drammatica trappola infernale.la storia prende l'abbrivio in una megalopoliostile come la new York degli inizi delloscorso secolo, con giovanni e Paolo che, quasiinevitabilmente, si trasformano in due gan-gsters spietati, applicandofondamentali tecniche crimi-nali apprese alla scuola didon Peppe lightland: «l'u-nica strada che conoscesseroper uscire dalla miseria». idue cugini hanno caratterimolto diversi. «Paolo posse-deva un bel carattere, un a-nimo pieno di semplici aspi-razioni. giovanni no, gio-vanni mostrava un tempera-mento duro e cinico». Conti-nuamente in fuga per sfuggire alla polizia, a uncerto punto decidono di intraprendere un«Viaggio all'incontrario», che consenta loro ditornare da dove erano partiti, a napoli, la loroamata terra di origine, per sperare in un diversodestino. Per realizzare questo sogno, riesconocon uno stratagemma ad introdursi nella stivadi una nave in partenza, dove saranno costrettiper molti giorni a vivere in condizioni inu-mane: al buio, senza cibo, senz'acqua, circon-dati dai topi e dal puzzo dei liquami e degliescrementi animali.le pagine che descrivono questa atroce traver-sata, come accennavamo, fanno immediata-mente pensare alle tragedie dei nostri giorni, a“genti in cammino” che in questo triste iniziodi millennio rischiano la vita pur di sottrarsi

alla fame e alle guerre, e, a nostro avviso, sonoanche le più felici del romanzo, perché Serinosembra qui abbandonare lo schermo mimeticodella finzione per una “scrittura della crudeltà”più intimamente partecipata ed emotiva. Paolo e giovanni, ai limiti delle loro forze, rag-giungeranno finalmente napoli. Qui, per loro,dovrebbe iniziare un'altra storia, ma tornerannoa delinquere. Seguendo però strade opposte.Paolo infatti dopo aver cambiato nome sottra-endo con destrezza i documenti a un turistaamericano (d'ora in poi si chiamerà Daniel Sca-

futo), cercherà di guada-gnarsi il pane con umililavori che gli permettano divivere con onestà. giovanni,al contrario, si macchierà didelitti atroci pur di “svol-tare”, di diventare un altro,un personaggio della buonasocietà rispettato e ricco.anche lui, attraverso l'enne-simo, efferato crimine, mu-terà identità prendendo ilnome di john Ferrosi. Ma la

sua sarà una vita segnata da una violenza cieca,con qualche barlume di luce quando si legheràa una giovane prostituta incontrata in cittàqualche giorno dopo il suo arrivo. Quandosulle loro tracce si metteranno il tenente Pa-squale bitonti e il brigadiere torco, per sco-prire cosa davvero si celi dietro i nomi di queigiovani criminali, il racconto sembra assumerele caratteristiche proprie del romanzo giallo,costruito, come in Camilleri, sulla potenzaespressiva del dialetto, sull'ironia, sulla inven-zione dell'intreccio narrativo. tuttavia, anchequi, si ha l'impressione che Serino guardi oltreuna letteratura di genere, per indagare più davicino l'interiorità psicologica dei due servitoridello Stato e quella sofferta presa di coscienzache alla fine consente ai due ragazzi di salvarsi

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Per non diventare molto infelici il mezzo più sicuro sta nel non pre-tendere di essere molto felici.

Arthur Schopenhauer

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dal baratro umano in cui sono precipitati.

La possibilità di tornare umani. il più determinato ad abbandonare il crimineper un’altra vita è, come si è detto, Paolo. È unsincero ripensamento, che matura, con sempremaggiore convinzione, dopo essersi perduta-mente innamorato di una ragazza conosciutaper caso nel suo negozio di strumenti musicali. Pagherà il suo prezzo con la giustizia ma final-mente potrà pensare a una nuova vita. anche giovanni sembra ricredersi («Fuggiamoin america latina e proviamo a costruirciun'esistenza pulita», dirà ad amalia, la prosti-tuta che non ha mai smesso di amarlo), quandoalla fine, in modo rocambolesco, riuscirà a sot-trarsi alla cattura e imbarcarsi per un altroPaese. ed anche qui non può sfuggire la sceltapoetica ed etica dell'autore di indicare nelladonna, nella sua diversità e purezza, la forzamotrice del profondo cambiamento dei duegiovani cugini. Da fiction, il colpo di scena finale con il te-

nente che cerca giovanni nella sua casa, e i duemastini napoletani che si lanciano contro di luie il brigadiere torco. riusciranno a stento asalvarsi dall'assalto di quelle due belve feroci.e subito dopo dovranno, sconsolati, constatareche la casa è deserta: «Siamo arrivati tardi».Questa in estrema sintesi la trama del romanzodi Serino, che – come in Gesù metropolitano3

– nasce da un sincero afflato spirituale: da unautentico, cristiano, gesto d'amore per tutti co-loro che nella vita hanno incontrato solo soffe-renze e umiliazioni. tutti, sembra dirci l'autore,probabilmente alludendo alla facoltà umanadel libero arbitrio, possono riscattarsi, redi-mersi, scegliere una strada non condizionatadal mondo esterno. Ma al di là di «questa co-scienza utopica che – per dirla con ernst bloch– spinge lo sguardo molto più in là»4, il rac-conto si fa apprezzare soprattutto perchéespressione di un empatico legame con gli ul-

timi; e per una scrittura, aggiungiamo, che,anche per l'uso non comune e gergale diespressioni dialettali, fa pensare ad autori comeFerdinando russo – il poeta napoletano che de-nunciò le drammatiche condizioni di vita delsottoproletariato5 nella napoli post-risorgimen-tale (e che ha già ispirato un bel libro di Se-rino6) – e raffaele Viviani, col suo teatro chenasce direttamente dalla vita del popolo. nem-meno troppo nascosto nella vivacità dell'inven-zione letteraria, c'è infine un altro elemento chefa da sfondo alla narrazione e che crediamo siagiusto sottolineare: il paesaggio metropolitano.Seguendo il dramma esistenziale di giovannie Paolo, Serino, infatti, insieme alle nostre tra-dizioni popolari, ci fa scoprire una napoli d'ini-zio novecento non ancora violata da una classedirigente al potere mai così inetta e famelica.Ma quella che egli ci mostra con mano leggera,è una città sospesa nel tempo, quasi specchiodi una storia che tra le inquietanti ombre delsottosuolo lascia sempre trasparire la speranzadi rinascere alla luce del sole.

ELIO SERINO, Alla luce del sole (Napoli,Homo Scrivens, 2020), pp. 294, €. 16,00.________1 Si v., a questo proposito, Tirature '10. Il New ItalianRealism, a c. di V. Spinazzola, Milano 2010. 2 Cfr. P. glotz, Il moderno principe nella società dei dueterzi, in Il Contemporaneo, n. 8, 28 febbraio 1987, p. 24s.3 e. Serino, Gesù metropolitano, roma 2016.4 e. bloch, Il principio speranza, Milano 1994, p. 16.5 Cfr. P. ricci, Ferdinando Russo, il “Verismo” e la fe-deltà al “documento umano”, in F. russo, CronacaNera, napoli, 1962; al riguardo, si v. anche a. grieco,Ferdinando Russo, la camorra e l'infanzia abbandonatanelle cartoline di Elio Serino, in napolimonitor.it, 27 lu-glio 2016 (all’indirizzo internet: https://napolimonitor.it/page/3/?s=grieco).6 e. Serino, Ferdinando Russo. Folklore e personagginapoletani, napoli 2015.

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Beato il popolo che non ha bisogno di eroi.

Bertolt Brecht, Vita di Galileo

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Documenti

IL “CASO JUVENTUS-NAPOLI”La sentenza definitiva

COLLEGIO DI GARANZIA CONI, Sez. unite, 22 dicembre 2020, n. 1 – pres. Frattini, rel. Zaccheo– s.s.c. Napoli s.p.a. (avv. Grassani, Lubrano) c. F.I.G.C. (n. c.) e Juventus f.c. s.p.a. (n. c.).

(Omissis). il ricorso è fondato e va accolto.Per ragioni di coerenza argomentativa i tre motivi vengono trattati unitariamente.Sia il giudice Sportivo che la Corte Sportiva d’appello nazionale (di seguito: CSa) individuano l’ipotesidi forza maggiore, ex art. 55 noiF FigC, nell’"impossibilità della prestazione" per il c.d. factum principisquando sopraggiungano provvedimenti di legge o di carattere amministrativo emessi dalle competentiautorità governative o territoriali che, per tutelare l'interesse pubblico a cui sono preposte, impongonoprescrizioni comportamentali o divieti che rendono impossibile la prestazione dell'obbligato indipen-dentemente dalla sua volontà.il Collegio condivide questa motivazione.Dalla quale, tuttavia, i giudici endofederali, con diversità di motivazione e accenti, fanno discendere con-seguenze, invece, non condivise da questo Collegio.Sempre secondo i giudici endofederali, mentre, dunque, i primi “segnali” che giungevano dalle autorità(vale a dire le comunicazioni delle aaSSll del 2 e del 3 ottobre 2020, ndr) apparivano obiettivamentenon ostativi all'applicazione del Protocollo e dunque all'effettuazione della trasferta, pur con tutte le pre-cauzioni e misure cautelative del Protocollo stesso, solo successivamente, ed in particolare con i chiari-menti da ultimo forniti dalla aSl na2 il giorno 4 ottobre 2020 alle ore 14.13 il quadro divenivaall'evidenza difficilmente compatibile con la trasferta a torino, e l’“ordine dell'autorità” assumeva va-lenza incidente e connotati prescrittivi chiari; quando però, ai fini della valutazione della forza maggioreex art. 55 noiF, la "prestazione" sportiva da parte della Soc. napoli (che fin dalla sera precedente avevaproceduto a disdire il viaggio aereo programmato con apposito charter) era nel frattempo oggettivamentedivenuta di suo impossibile, anche sotto il profilo logistico-organizzativo, avendovi da tempo la Societàrinunciato ed essendo ormai giunti in prossimità dell'orario della gara. Deve, in definitiva, affermarsi ilprincipio che non si può far valere una causa esterna oggettiva di impossibilità della prestazione, qualeè appunto la forza maggiore, nel caso declinata come ordine dell'autorità, quando la prestazione sia statada tempo unilateralmente rinunziata (non conformemente, peraltro, alle indicazioni dell'ente organizza-tore) e sia divenuta ormai nei fatti impossibile, atteso che in tal caso la sopravvenuta via esterna divienein concreto irrilevante.ne discende, da questo incedere, che l’impossibilità della prestazione non sarebbe derivata da un casodi forza maggiore, ma sarebbe stata causata dalla stessa SSC napoli, che avrebbe disdettato il volo aereo.la CSa, poi, seguendo questo itinerario tracciato dal giudice Sportivo, non scorge soltanto una impos-sibilita sopravvenuta imputabile alla SSC napoli, ma individua, prima dell’impossibilità, una scelta vo-

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lontaria, se non addirittura preordinata, della Società, ricorrendo alla figura della c.d. “actio libera incausa”, «che costituisce, come noto, una deroga al principio generale secondo il quale la punibilità perla commissione di un reato necessita della capacità di intendere e di volere dell’autore al momento delfatto; eccezione, quest’ultima, che trova giustificazione, secondo la migliore dottrina, nel c.d. “dolo dipreordinazione”; ed, infatti, anche se, al momento della realizzazione del reato, difetta, nel soggettoagente, la capacità di intendere e di volere, non può sottovalutarsi che è stato egli stesso a creare la pre-detta condizione, non soltanto dandovi vita volontariamente, ma anche orientando il proprio programmavolitivo al precipuo scopo di commettere il reato o prepararsi una scusa».Secondo la Corte, pertanto, la società ricorrente, nei giorni precedenti la gara, avrebbe «orientato la pro-pria condotta al precipuo scopo di non disputare il predetto incontro, o, comunque, di precostituirsi unascusa per non disputarlo».le motivazioni appena indicate non possono essere condivise.Quanto all’applicazione dell’art. 55 noiF, va sottolineato che ricorre una ipotesi di impossibilità dellaprestazione quando il soggetto tenuto alla medesima non può eseguirla per una causa sopravvenuta a luinon imputabile.ebbene, entrambi i giudici endofederali non negano che sia intervenuto un fatto (cd. factum principis),che ha reso impossibile la prestazione, ma ritengono, con diversi accenti, che la sopravvenuta impossi-bilità sia imputabile alla SSC napoli; colposamente il giudice sportivo, dolosamente quello di appello.Della fattispecie dell’impossibilità sopravvenuta, che esclude la responsabilità dell’agente, non manche-rebbe, di conseguenza, il fatto sopravvenuto, ma la causa del medesimo; nel caso del giudice Sportivoimputabile alla SSC napoli a titolo di colpa; a titolo di dolo, per averla preordinata, da parte della CSa.in entrambe le ricostruzioni, che portano ad escludere l’applicabilità dell’ipotesi dell’impossibilità so-pravvenuta, il fatto che legittima la conclusione di entrambi i giudici endofederali è sempre il medesimo:la nota del 4 ottobre 2020, ore 14.13 della aSl napoli 2 nord. non è un caso che la Corte di appello af-fermi che «il soggetto che si sia posto, volontariamente e preordinatamente, nelle condizioni di non fareuna cosa, non può, poi, invocare, a propria scusante, la sopravvenienza di una causa successiva, peraltroper nulla autonoma rispetto alla condotta posta in essere dalla Società ricorrente (la nota del 4 ottobre2020, ore 14,13 della aSl napoli 2 nord costituisce, infatti, la risposta all’ennesima richiesta di chiari-menti della Società ricorrente) che non gli ha consentito di fare quella cosa».ebbene, la valutazione dei giudici endofederali non tiene conto, in generale, del sistema disegnato dallegislatore emergenziale e, in particolare, del criterio di gerarchia delle fonti.ad una più attenta riflessione, infatti, emerge che, quando i fatti sono accaduti, ratione temporis trovavaapplicazione la Circolare del Ministero della Salute n. 21463 del 18 giugno 2020, avente ad oggetto«Modalità attuative della quarantena per i contatti stretti dei casi CoViD-19», in ragione anche del rinvioeffettuato dal Protocollo FigC del 28 settembre 2020 (vigente all’epoca dei fatti di causa).ne deriva che la fonte normativa che disciplina il caso esaminato è la richiamata Circolare del Ministerodella Salute. la quale ultima prevede, al settimo comma, che il Dipartimento di prevenzione può preve-dere che, alla luce del citato parere del 12 giugno 2020 n. 88 del Comitato tecnico scientifico nominatocon ordinanza del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 630 del 3 febbraio 2020, alla quarantenadei contatti stretti possa far seguito, per tutto il “gruppo squadra”, l’esecuzione del test, con oneri a caricodelle società sportive, per la ricerca dell’rna virale, il giorno della gara programmata, successiva al-l’accertamento del caso confermato di soggetto Covid-19 positivo, in modo da ottenere i risultati del-l’ultimo tampone entro 4 ore e consentire l’accesso allo stadio e la disputa della gara solo ai soggettirisultati negativi al test molecolare.Come è dato osservare, la norma prevede una facoltà, concessa al Dipartimento di prevenzione, non unobbligo. tale facoltà non è stata esercitata dal richiamato Dipartimento; anzi, quest’ultimo ha agito inmodo del tutto opposto, esercitando la diversa prerogativa riconosciuta dalla legge. la quale, attraversola Circolare richiamata, in specie al comma 6, prevede: in particolare, l'operatore di sanità pubblica delDipartimento di Prevenzione territorialmente competente:provvede, nei confronti dei contatti stretti, alla prescrizione della quarantena per 14 giorni successivi al-l'ultima esposizione, e informa il Medico di Medicina generale o il Pediatra di libera Scelta da cui ilcontatto è assistito anche ai fini dell’eventuale certificazione inPS (circolare inPS HerMeS 25 febbraio2020 0000716 del 25 febbraio 2020). in caso di necessità di certificazione ai fini inPS per l’assenza dal

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lavoro, procede a rilasciare una dichiarazione indirizzata all’inPS, al datore di lavoro e al medico di me-dicina generale o al pediatra di libera scelta in cui si dichiara che per motivi di sanità pubblica il contattoè stato posto in quarantena precauzionale, specificandone la data di inizio e fine;per quanto riguarda l’attività agonistica di squadra professionista, nel caso in cui risulti positivo un gio-catore ne dispone l’isolamento ed applica la quarantena dei componenti del gruppo squadra che hannoavuto contatti stretti con un caso confermato. il Dipartimento di prevenzione ha applicato questa norma;avrebbe potuto in alternativa applicare il comma 7, ma non lo ha fatto. ne deriva che il factum principis,– cioè un provvedimento di legge o di carattere amministrativo emesso dalle competenti autorità che,per tutelare l'interesse pubblico a cui sono preposte, impongono prescrizioni comportamentali o divietiche rendono impossibile la prestazione dell'obbligato indipendentemente dalla sua volontà – non può es-sere ravvisato nella nota del 4 ottobre 2020, ore 14.13 della aSl napoli 2 nord, ma va, invece, indivi-duato nelle due note del 3 ottobre 2020, ore 16.53 (con la quale la aSl napoli 1, ricevuti i datidall’indagine epidemiologica, provvedeva a formalizzare l’indicazione dei contatti stretti relativi al casoaccertato di infezione Sars-Covid, ricordando la necessità dell’isolamento domiciliare degli stessi) e nellanota del 3 ottobre 2020, n. 14450, delle 16.03 della aSl napoli 2 (che chiariva la necessità di isolamentofiduciario domiciliare per 14 giorni). le due richiamate note integrano del tutto i requisiti richiesti dalcomma 6 della Circolare 18 giugno 2020 e rappresentano, pertanto, gli atti oggettivamente impeditividell’attività cui sarebbe stata tenuta la SSC napoli in applicazione della normativa federale. Quegli attirappresentano il c.d. factum principis, che ha impedito la prestazione della SSC napoli, sia perché en-trambi sono atti amministrativi di fonte superiore rispetto alle norme federali, che cedono di fronte aimedesimi, sia perché applicativi di una Circolare emergenziale del Ministero della Sanità, sia perchécoerenti proprio con il procedimento previsto dal comma 6 della richiamata Circolare.Se, dunque, il factum principis, che le stesse decisioni endofederali non negano, va individuato nelle duerichiamate note del Dipartimento di prevenzione, ne deriva che la condotta attesa dalla SSC napoli èdivenuta impossibile per effetto dei richiamati provvedimenti, che escludono, peraltro, considerato ilpieno rispetto della normativa vigente, una responsabilità di quest’ultima società. responsabilità che, dicerto, non può essere individuata, come invece concludono le decisioni endofederali, nella richiesta dichiarimenti circa la condotta da tenere. infatti, sotto questo profilo, la SSC napoli ha applicato il Proto-collo FigC vigente all’epoca dei fatti di causa, che rimanda, con riferimento alla procedura da osservarein caso sia accertata la positività al CoViD-19 di un calciatore, alla citata Circolare del Ministero dellaSalute del 18 giugno 2020 e, dunque, all’esclusiva competenza della aSl territorialmente competente;la quale in presenza di un caso positivo, fornisce informazioni e indicazioni chiare, anche per iscritto,sulle misure precauzionali da attuare ed eventuale documentazione informativa generale sull’infezioneda SarS-CoV-2, comprese le modalità di trasmissione, gli interventi di profilassi necessari (sorveglianzaattiva, quarantena, ecc.), le istruzioni sulle misure da attuare in caso di comparsa di sintomatologia e ladescrizione dei possibili sintomi clinici.ne discende che la richiesta di informazioni e chiarimenti, lungi dall’essere un atto preordinato a preco-stituire un elemento per non adempiere all’obbligo rimesso, è invece la diretta applicazione della richia-mata Circolare, che è l’atto normativo gerarchicamente superiore, rispetto al quale cedono tutte le normefederali incompatibili con il medesimo.ne discende, ancora, non solo l’assenza di mala fede da parte della SSC napoli, che ha agito in pienacoerenza con quanto previsto dalla normativa vigente, ma anche la infondatezza della tesi, sostenutadalla CSa, del c.d. dolo da preordinazione, proprio per l’assoluto rispetto del Protocollo da parte dellaSocietà e della sussistenza di un provvedimento, che è il factum principis, e che ha reso impossibile unacondotta diversa. ne deriva ancora che le ulteriori considerazioni della CSa sul nuovo Protocollo FigCdel 30 ottobre 2020, che ha reso “obbligatoria” anziché “facoltativa” la deroga della trasferta in bolla,prevedendo l’effettuazione dei tamponi il giorno della partita per il gruppo squadra, non possono assumerealcun rilievo anche perché inapplicabili in quanto successivo agli eventi.tutto concorre, in definitiva, all’annullamento del provvedimento impugnato.P.q.m. il Collegio di garanzia dello Sport Sezioni Unite accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla senzarinvio la decisione impugnata. nulla per le spese. (Omissis).

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LIBRI & LIBRI

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GIUSEPPE DE VERGOTTINI, La Costituzione secondo D’Annunzio (Milano,Luni, 2020), pp. 176, €. 20,00.Storia giuridica e storia politica della contemporaneità convergono nel saggio dell’illu-stre giurista, che analizza la struttura costituzionale dell’esperienza autonomistica diFiume, indirizzata verso l’annessione all’italia. la pubblicazione del testo del disegnodi carta costituzionale, stilato dal sindacalista alceste De ambris, e di quello della “Cartadel Carnaro”, redatto da gabriele D’annunzio, consente di riscontrare, da una parte, ledifferenze tra i due documenti e, dall’altra, la transizione dal progetto repubblicano del

primo a quello di “reggenza” del secondo. né mancherà al lettore la possibilità di verificare l’ingom-brante sovrapposizione, in quest’ultimo, dello stile letterario decadentista dell’autore ai concetti giuridiciespressi nell’altro. (S.Z.)

Ciao Diego, a c. di Ottavio Ragone e Giovanni Marino (Torino, GEDI, 2020), pp. 192,s. i. p.Diego e noi, a c. di F. De Luca e aa. (Roma, Il Mattino, 2020), pp. 144,f. c.Continua la celebrazione del mito del Pibe de oro , in tut tele forme in cui esso s i è manifes ta to , mediante una narra-zione che occupa le due antologie , nel le qual i sono raccol t i

gl i ar t icol i scr i t t i , a suo tempo, da redat tor i e opinionis t i d i entrambele tes ta te giornal is t iche, ol t re che una selezione d’ immagini provenient i dai r ispet-t ivi archivi fotograf ic i . (S.Z.)

ANTONIO FILIPPETTI, Almanacco del tempo del coronavirus (Napoli, Isti-tuto culturale del Mezzogiorno, 2020), pp. 80, €. 12,00.Al-manākh per gli arabi è il clima, ma il vocabolo ha generato l’italiano “alma-nacco”, con significato di calendario, al quale sono aggiunte altre notizie, di ca-rattere astronomico, statistico e/o geografico. in tal senso, l’agevole volume diFilippetti registra una serie di dati sull’evoluzione della pandemia da Sars-Cov2, accompagnate da riflessioni personali sull’incidenza della stessa sull’econo-

mia, sulla cultura e perfino sul linguaggio, ponendo in risalto i danni subiti dalle diverse ge-nerazioni, oltre che direttamente dalla malattia, anche dalle forme di devianza dei media edalla sovrapposizione di manifestazioni di pseudoscienza sui dati rigorosamente scientifici.interessante, peraltro, è anche il parallelismo istituito fra l’attuale pandemia e la peste di Mi-lano del 1630 e l’epidemia di “Spagnola” del 1918, al pari della soluzione ai problemi chene sono derivati, proposta in termini di solidarietà. (S.Z.)

PIER BERGONZI - don MARCO POZZA (a c. di), Lo sport secondo PapaFrancesco (s. l. ma Milano, RCS, 2021), pp. 32, f. c.Definito, in maniera impropria, “enciclica laica sullo sport” (e chissà, poi, perchél’aggettivo), il volumetto contiene il testo dell’intervista concessa dal Ponteficeai curatori, inviati dalla Gazzetta dello sport, che lo ha offerto in omaggio ai let-tori. Dopo la configurazione dello sport come religione, prospettata da Marcaugé, da jurgen Möltmann e da ernesto Paolozzi, con riguardo alle sue ritualità,

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l’“interpretazione autentica” del tema, proposta da Papa Francesco, che non ha mai nascostola sua simpatia per le attività sportive, ha riguardo alla rispondenza delle stesse a concettiespressi da fonti vetero- e neotestamentarie e alla possibilità d’interazione fra sport e reli-gione (e quella cristiana in particolare). (S.Z.)

VINCENZO CUOMO - ANTONIO GRILLETTO, Armando Diaz. Il Generaledella Vittoria (s. l. ed e., 2020), pp. 128, €. 15,00.la sinergia tra uno storico e un militare ha consentito di realizzare la ricostru-zione della biografia del generale che condusse l’esercito italiano alla vittoriail 4 novembre 1918, nella quale alle vicende personali e militari del protagonistasi accompagnano riferimenti agli avvenimenti del panorama, sia interno, che in-ternazionale, dell’epoca. Una nutrita appendice documentaria completa il vo-

lume, illustrato anche da numerose foto provenienti dall’archivio di famiglia. (S.Z.)

CLEMENTINA GILY REDA, Giordano Bruno: per Ercole (Napoli, Stampe-ria del Valentino, 2020), pp. 174, €. 18,00.“Per mai intermesso amore” è la condizione, in forma di affettiva dichiarazione,con cui l’a. ha scritto e continua a scrivere su giordano bruno. e di questo fortee permanente sentimento intellettuale è figlio questo prezioso, ultimo saggio sulfilosofo nel quale l’a. riflette e delinea l’aspetto politico del pensatore. l’arti-colato itinerario di viaggi intrapreso dal filosofo tocca tutte le corti d’europa e

rappresenta un modo “per dare corpo politico al suo progetto di pace nel mondo”. in questoil nolano è sostenuto dal suo forte pensiero: la “religione naturale, rispettosa della Madreterra – l’anima del Mondo – che è anche profondamente cristiana”. Un saggio, dunque, digrande interesse e di felice stesura che accuratamente elimina quelle forme criptiche che tal-volta contrassegnano la scrittura dei filosofi. (F.L.)

RENATO CASOLARO, Il resto di Lesbia (Napoli, Sigmalibri, 2019), pp. 104,€. 6,00.Soltanto un poeta napoletano, che fosse anche latinista, poteva proporre la ver-sione (peraltro, libera) in vernacolo di una selezione di Carmina catulliani. e,molto opportunamente (e fatto salvo qualche caso sporadico) alla metrica clas-sica è sostituita quella moderna – endecasillabi e alessandrini –, più congenialeall’espressione idiomatica dialettale, che consente di apprezzare, in tutta la sua

pienezza, la modernità della poetica, in qualche modo hippiechic, di Catullo. (S.Z.)

EDGAR ALLAN POE, La scrittura segreta, tr. it. (Roma, Elliot, 2020), pp. 88,€. 8,00.al notissimo racconto Lo scarabeo d’oro, che ruota intorno a un caso di critto-grafia, fa seguito nel volumetto un meno conosciuto articolo-saggio di Poe, cheaffianca la teoria di tale materia – della quale egli era grande esperto – all’esamedi alcuni casi pratici, da lui stesso provocati fra i lettori del periodico sul quale

lo scritto fu pubblicato. (S.Z.)

ULRICH VAN LOYEN, Napoli sepolta, tr. it. (Milano, Meltemi, 2020), pp.406, €. 24,00.Con una citazione, spesso sovrabbondante, di fonti orali, l’a. si propone di deli-neare un quadro del culto dei morti a napoli, con le sfumature che lo caratteriz-zano nei diversi luoghi deputati. e lo fa con l’atteggiamento – rimproveratogli,peraltro, da qualcuno dei suoi interlocutori – di chi arriva dalla germania perasserire che la popolazione locale non ha capito nulla dell’argomento. il discorso

viene esteso, poi, ad altri culti – come quello della Madonna dell’arco, ma anche alcune con-fessioni acattoliche – e a miti – come quello del Principe di Sansevero – che incrociano quello

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principale, non soltanto nel senso topico, ma pure in quello contenutistico. anche la biblio-grafia, infine, accosta a saggi di sicuro valore scientifico altri scritti di carattere, più chealtro, “romanzesco”. (S.Z.)

OTTAVIO RAGONE - CONCHITA SANNINO (a c. di), Napoli nessuna ecentomila (Torino - Napoli, GEDI - Guida, 2021), pp. 240, f. c.Per celebrare i 30 anni della redazione napoletana, ai suoi lettori la Repubblicaha fatto omaggio del volume collettaneo, dedicato a Fabrizia ramondino, chegià nel titolo manifesta la molteplicità di aspetti che ciascuno può cogliere innapoli. i contributi raccolti nel volume sono dovuti alla penna di scrittori, sto-rici, antropologi, giornalisti, artisti, napoletani e non (magari, addirittura stra-

nieri), e sono affiancati da immagini che, al pari degli scritti, presentano “le” napoli che iltitolo propone; un titolo di sapore pirandelliano, nel quale, però, è assente l’“uno”, che, inrealtà, è l’elemento che manca proprio alla città. (S.Z.)

UMBERTO ECO, La bel lezza (Torino, GEDI, 2021) , pp. 48, f . c .UMBERTO ECO, La brut tezza (Torino, GEDI, 2021) , pp. 48,f. c. UMBERTO ECO, I l complot to (Torino, GEDI, 2021) , pp. 48,f. c.o s c i l l a n t e f r a a n t r o p o l o g i a e s t o r i a , i l p e n s i e r o d i e c o –a f f i d a t o a t r e b r e v i s a g g i , d e s t i n a t i r i s p e t t i v a m e n t e a l l ee d i z i o n i 2 0 0 5 e 2 0 0 6 d e l l a “ M i l a n e s i a n a ” – è v o l t o a d e -l i n e a r e i c o n c e t t i d i “ b e l l e z z a ” e d i “ b r u t t e z z a ” , s o t t o l i n e a n d o , p e ri l p r i m o , i l p a s s a g g i o d a l l ’ e s t e t i c a d e l “ b e l l o ” a q u e l l a d e l “ s u -b l i m e ” e , p e r i l s e c o n d o , l a d e f i n i b i l i t à a c o n t r a r i o . n e l t e r z o , p o i ,è a f f r o n t a t o i l t e m a d e l l e “ o s s e s s i o n i ” , d a l l ’ a n t i c h i t à a i g i o r n i n o -s t r i . i l t u t t o , a c c o m p a g n a t o d a e s e m p i t r a t t i s i a d a l l e a r t i f i g u r a -

t i v e , c h e d a l l a l e t t e r a t u r a . ( S . Z . )

GEA PALUMBO, Quadrilli (Napoli, Fioranna, 2020), pp. 208, €. 18,50.l’attenzione dell’a. nei confronti del quatrìddo, reliquiario dell’iconaveterefoggiana, particolarmente diffuso a Procida, ma presente anche a napoli e inaltre località, soprattutto dell’italia meridionale, è rivolta principalmente allasua relazione con la donna – “monaca di casa”, in particolare –, sia come pro-duttrice, sia soprattutto come utilizzatrice dell’oggetto sacro, che nell’isolaera adoperato per “leggere” il presente ignoto (oltre che, secondo l’a., il fu-turo). e la catalogazione e la descrizione di tali strumenti di religiosità popo-

lare trovano sistemazione nel volume, con estrema acribia, mentre si fa avvertire la mancanzadi una spiegazione della “visione” di eventi, che si riteneva che vi avvenisse e che non puòessere considerata razionalmente un mero fenomeno di magia. (S.Z.)

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Prima del nostro arrivo, niente mancava almondo; dopo la nostra partenza, niente gli man-cherà.

Omar Khayyâm(matematico, astronomo, poeta e filosofo persiano; 1048-1131)

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LA POSTA DEI LETTORI(e le risposte del direttore)

Complimenti vivissimi per la rivista, con articoli sempre interessanti. In particolare hogradito quello sulle antiche osterie vomeresi. Ricordo in particolare, da ragazzo, il

ristorante della Pagliarella, ubicato all'inizio di via Luigia Sanfelice, che accoglieva isuoi clienti in un vagone ferroviario. Bei ricordi di un Vomero che purtroppo non esiste più.Gennaro Capodanno (e-mail)

Da buon “vomerese d.o.c.”, l’ingegnere Capodanno ha manifestato – insieme con i complimenti, deiquali lo ringraziamo – il suo apprezzamento per l’articolo del nostro redattore antonio la gala sulle an-tiche osterie del Vomero, pubblicato nel n. 4/2020. in maniera particolare, egli ha gradito il ricordo della“Pagliarella” di via luigia Sanfelice (e chi dei vomeresi non la ricorda?). Sarà noto, sicuramente, ancheall’amico Capodanno che la scomparsa di quella trattoria così caratteristica fu dovuta all’espropriazionedell’area, sulla quale essa insisteva, e al suo asservimento all’impianto della funicolare di Chiaja, quandoquesta fu rinnovata. e qui vengono in mente due riferimenti: la canzone Napule ca se ne va, dei “due er-nesto”, vale a dire, Murolo e tagliaferri, e il quasi omonimo saggio Napoli che se ne va, di aniello Co-stagliola. Una canzone e un libro, dal sapore marcatamente elegiaco, che inducono a pensare che, sì, ègiusto che l’umanità progredisca, ma rimane sempre ferma la considerazione che, a distruggere la me-moria del passato, ci si sta giocando a testa e croce o a zecchinetta il futuro.

La storiella di Morelli ... ladro di mattonelle l'avevo già letta da qualche parte,tale e quale ... è s impat ica ... purtroppo, se quello di fine '800 fu uno

scherzo, ... successivamente no.Eduardo Alamaro (e-mail)

È probabile che l’architetto alamaro, notissimo esperto di storia della ceramica, avesse letto la “storiella”nel numero di questa rivista, dal quale è stato ripreso l’articolo di Salvatore loschiavo, per la riproposi-zione nella rubrica “Pagine vive”. in ogni caso, il suo messaggio mi offre lo spunto per tornare sulla di-cotomia mito-leggenda: il primo, infatti, è – senza mezzi termini – falso linguaggio; la seconda, viceversa,è la narrazione di un fatto vero, condita da qualche pizzico (o, forse, più) di fantasia. ebbene, credo chel’episodio in questione vada ascritto proprio a quest’ultima categoria, poiché – anche secondo la testi-monianza di quella vera e propria miniera di notizie che è Questa era Napoli di Carlo Siviero – il rapportofra Morelli e Palizzi fu improntato sempre a estrema cordialità, come “leggenda metropolitana”. Quanto,poi, al «successivamente» dell’amico alamaro, beh, non so lui, ma io molto raramente ho visto mutarei tempi in meglio.

“Lo Scoglio” ce l’ha fatta! Oggi più che mai sono inorgoglito di essere procidanoper diritto di nascita, anche se “emigrato” nell’isola maggiore. L’orgoglio ed il

sentimento di appartenenza pervadono la mia persona e quella dei miei familiari nel cuoree nella mente, soprattutto perché la nomina a capitale italiana della cultura di Procidasegna il riscatto di un’intera comunità umile e laboriosa, dalle antichissime tradizionimarinare, culturali, storico-religiose e di folklore. Un’isola troppo spesso considerata e giudicata, atorto, la “Cenerentola” del Golfo o, peggio, il “Brutto anatroccolo”. Ma come in tutte le più belle favole,alla fine vince sempre l’amore! Cenerentola trova il suo Principe grazie alla scarpetta di vetro ed il

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rospo dello stagno viene trasformato in un bellissimo Principe Azzurro grazie al bacio di una bella fan-ciulla! Morale: mai affrettarsi nei giudizi, soprattutto quelli dettati dalla pancia e non dal cervello! Miviene spontaneo dedicare questa grande e bella vittoria isolana ai tanti, troppi marittimi e pescatoriprocidani che nel corso della lunga storia marinare hanno dovuto lasciare l’isola per lavoro e… ahiloro,non hanno mai più potuto far ritorno nella loro terra tra gli affetti familiari. Complimenti e… forza Pro-cida, sempre nel cuore!Fernando Calabrese (WA)

Sì, è Procida la Capitale della Cultura! Finalmente! Una speranza diventa certezza,una favola si realizza e dà vita ad un’idea nata dai sogni di tutti coloro che amano

l’isola con il cuore e non con vuote parole. Sappiamo che è ben arduo il compito per ridaresmalto ad una terra che, pur nel suo naturale splendore, insieme a tante altre zone dellanostra Campania, ha subito oltraggi e ferite per quel grigiore che spesso offusca la grandecultura, indispensabile per onorare le bellezze ereditate. Purtroppo è ancora tanto lo sconforto di vedereil nostro Meridione benedetto da Dio e poi maledetto dai cattivi governanti e da una moltitudine di esseriumani indegni di abitarlo. Un territorio che in quanto a bellezze non teme confronti ma che, purtroppo,è stato spesso solo terra di conquista e di sfruttamento per fini egoistici e tornaconto personale. Oranella forza dei giovani – e delle tante donne e uomini di buona volontà – c’è l’impegno saldamente de-terminato per isolare definitivamente coloro che “senza ingegno, senza cuore e senza iniziativa” nonfanno altro che impoverire e mortificare il nostro meraviglioso territorio. È una grande opportunità cheviene offerta all’isola di Procida e ai responsabili di tanto ambito progetto per arricchire il cuore dellepersone, e soltanto la cultura può riuscirci perché è la vera medicina per eliminare il virus del degradosociale e morale che fa della volgarità e negligenza il pane quotidiano per molti. Ognuno di noi, nessunoescluso, è chiamato per contribuire a costruire una società migliore per il bene di tutti.Raffaele Pisani (e-mail)

Credo (o, almeno, spero) che il capitano Calabrese sia soltanto la punta dell’iceberg di quella “procida-nità” diffusa per l’italia (se non per il mondo), che vale a dimostrare quanto mai essenziale sia la valo-rizzazione dell’identità – purché correttamente intesa –, soprattutto in un’epoca di prevalenteglobalizzazione. il poeta Pisani, poi, dal suo “volontario esilio” catanese, manifesta delle preoccupazioni,comprensibili, data la distanza fisica dell’“isola maggiore” da quella “minore”, dove, però, deve sapereche va verificandosi progressivamente l’“effetto Mary Poppins” – vale a dire, il vento che cambia –, che,certamente avrà trainato il risultato della selezione. il riconoscimento tributato a Procida dal MibaCt(v. box a p. 51) – devo essere sincero – non è che me lo attendessi, per quanto tifo possa avere fatto: trale località concorrenti, infatti, c’era più di qualche osso duro. È evidente, però, che la commissione giu-dicatrice deve avere colto l’ampiezza a trecentosessanta gradi dell’offerta culturale dell’isola, che ha co-stituito, sicuramente, il fattore che ha determinato la scelta. lasciate, dunque, che associ le mie allefelicitazioni manifestate da Calabrese e da Pisani.

* * *

abbiamo ricevuto messaggi di apprezzamento positivo dalla Commission internationale d’Histoire Mi-litaire e dal Mann, nonché dai lettori Filiberto ajello, eduardo alamaro, Dino ambrosino, rodolfo ar-tese, renato Cammarota, Yvonne Carbonaro, aldo Cianci, Fortunato Danise, lucio De Feo, alberto Delgrosso, antonino Demarco, guido Dente, aurelio De rose, gabriella Fiore, Paola lista, Vincenzo Me-lodia, gaetano Mutarelli, Vincenzo nigro, raffaele Pisani, lina Proietti, giacomo retaggio e giosuèScotto di Santillo. a tutti loro siamo grati.ringraziamo, altresì, il poeta Claudio Pennino, che ci ha inviato la sua Nferta p’’o Capodanno d’’o 2021.

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CRITERI PER LA

COLLABORAZIONE

La collaborazione a Il Rievocatore s’intende a ti-tolo assolutamente gratuito; all’uopo, all’attodell’invio del contributo da pubblicare ciascun col-laboratore rilascerà apposita liberatoria, sul mo-dulo da scaricare dal sito e da consegnare o farpervenire all’amministrazione della testata in ori-ginale cartaceo completamente compilato.Il contenuto dei contributi - che la rivistapubblica anche se tale contenuto non è con-diviso dalla redazione, purché non conten-gano estremi di reato - impegna in manieraprimaria e diretta la responsabilità dei ri-spettivi autori.Gli scritti, eventualmente corredati da illustra-zioni, dovranno pervenire esclusivamente informato digitale (mediante invio per e-mail oconsegna su CD) alla redazione, la quale se ne ri-serva la valutazione insindacabile d’inserimentonella rivista e, in caso di accettazione, la sceltadel numero nel quale inserirli. Saranno restituitiall’autore soltanto i materiali dei quali sia stata ri-fiutata la pubblicazione, purché pervenuti me-diante il servizio di posta elettronica.L’autore di un testo pubblicato dalla testata potràfar riprodurre lo stesso in altri volumi o riviste,anche se con modifiche, entro i tre anni successivialla sua pubblicazione, soltanto previa autoriz-zazione della redazione; l’eventuale pubblica-zione dovrà riportare gli estremi della fonte.La rivista non pubblica testi di narrativa,componimenti poetici e scritti di criticad’arte riflettenti la produzione di un singolo arti-sta vivente. Gli annunci di eventi saranno inseriti,sempre previa valutazione insindacabile da partedella redazione, soltanto se pervenuti con un an-ticipo di almeno sette giorni rispetto alla datadell’evento stesso. I volumi, cd e dvd da recensiredovranno pervenire alla redazione in dupliceesemplare.È particolarmente gradito l’inserimento di note apie’ di pagina, all’interno delle quali le citazioni dibibliografia dovranno essere necessariamentestrutturate nella maniera precisata nell’appositasezione del sito Internet (www.ilrievocatore.it/col-labora.php).

Mentre andiamo in rete, cigiunge notizia della scom-parsa del poeta

GIULIO PACELLAalla cui famiglia siamo af-fettuosamente vicini.

UN PO’ DI STORIA

alla metà del ventesimo secolo napoli an-noverava due periodici dedicati a temi distoria municipale: l’Archivio storico per leprovince napoletane, fondato nel 1876 dallaDeputazione (poi divenuta Società) napole-tana di storia patria, e la Napoli nobilissima,fondata nel 1892 dal gruppo di studiosi chegravitava intorno alla personalità di bene-detto Croce e ripresa, una prima volta, nel1920 da giuseppe Ceci e aldo De rinaldise, una seconda volta, nel 1961 da robertoPane e, poi, da raffaele Mormone.in entrambi i casi si trattava di riviste re-datte da “addetti ai lavori”, per cui Salva-tore loschiavo, bibliotecario della Societànapoletana di storia patria, avvertì l’esi-genza di quanti esercitavano il “mestiere”,piuttosto che la professione, di storico, dipoter disporre di uno strumento di comuni-cazione dei risultati dei loro studi e delleloro ricerche. nacque così Il Rievocatore, ilcui primo numero data al gennaio 1950, chegodé nel tempo della collaborazione di fi-gure di primo piano del panorama culturalenapoletano, fra le quali mons. giovan bat-tista alfano, raimondo annecchino, p. an-tonio bellucci d.o., augusto Crocco, ginoDoria, Ferdinando Ferrajoli, amedeo Ma-iuri, Carlo nazzaro, alfredo Parente.alla scomparsa di loschiavo, la pubblica-zione è proseguita dal 1985 con la direzionedi antonio Ferrajoli, coadiuvato dal com-pianto andrea arpaja, fino al 13 dicembre2013, quando, con una cerimonia svoltasi alCircolo artistico Politecnico, la testata èstata trasmessa all’attuale direttore, SergioZazzera. Da quel momento, la pubblica-zione del periodico avviene in formato di-gitale.

Ricordiamo ai nostri lettori che i nu-meri della serie online di questo perio-dico, finora pubblicati, possono essereconsultati e scaricati liberamentedall’archivio del sito:

www.ilrievocatore.it.

Anno LXVII n. 1 Gennaio-Marzo 2021

www.ilrievocatore.itdiffusione gratuita