Anno 19 - N. 5 • Febbraio 2019 Diffusione gratuita ad uso ... · stupire, quindi, che anche papa...

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Anno 19 - N. 5 • Febbraio 2019 Diffusione gratuita ad uso interno MENSILE DELLA COMUNITA’ CRISTIANA DI PONTECITRA Prima gli italiani. Poi gli altri. Quelli che arrivano ci portano via il pane. Su queste parole uno dei parititi di governo basa la sua continua campagna elettorale mentre “condividere” è una delle azioni più ripetute. Ma solo se si tratta di post, foto o storie sui social. Ciò che dovremmo condividere è il pane. Anzi, dovremmo pregare dicendo: Dacci oggi il nostro pane quotidiano e dacci anche la forza Signore di condividerlo.

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Anno 19 - N. 5 • Febbraio 2019 Diffusione gratuita ad uso interno

MENSILE DELLA COMUNITA’ CRISTIANA DI PONTECITRA

Prima gli italiani. Poi gli altri. Quelli che arrivano ci portano via il pane.Su queste parole uno dei parititi di governo basa la sua continua

campagna elettorale mentre “condividere” è una delle azioni più ripetute. Ma solo se si tratta di post, foto o storie sui social.

Ciò che dovremmo condividere è il pane.Anzi, dovremmo pregare dicendo:

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

e dacci anche la forza Signore di condividerlo.

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Ogni Giovedì: ore 9,00 Celebrazione Eucaristica - A seguire Adorazione Eucaristica personaleore 18,30 Preghiera dei vespri

Ogni Venerdì ore 20,15: Incontro per i fidanzati che quest’anno celebreranno le nozze

Ogni martedì e venerdì 19,00: Incontro del RnS parrocchiale

Ogni Sabato ore 16,00: ACR

Sabato 9 ore 16,30:Incontro dei genitori dei fanciulli che si preparano a ricevere l’Eucarestia

Domenica 10 ore 10,30: Solenne Celebrazione Eucaristica della Consacrazione della Chiesa Parrocchiale

Sabato 23 ore 16,30:Incontro dei genitori dei fanciulli che si preparano a ricevere l’Eucarestia

Avvisi Febbraio 20192

Mensile della Comunità Cristiana di Pontecitra Parrocchia del Sacro Cuore

Anno 19 - N. 5 - Febbraio 2019

Direttore responsabile: Don Pasquale Giannino

Redazione: Francesco Aliperti Bigliardo, Antonio Cassese, Carmine Egizio, Don Rolando Liguori, Francesco Panetta, Maria Carmela Romano, Salvatore Sapio, Mariateresa Vitelli.

Progetto grafico e impaginazione: Carmine Egizio

Questo giornale è online al sito: www.chiesadipontecitra.it

Del Papa• Per l’accoglienza generosa delle vit-time della tratta delle persone, della prostituzione forzata e della violenza.

dei Vescovi• Perché malati e familiari ricevano la solidarietà di quanti per professione o vocazione sono a loro servizio.

Per il clero• Cuore di Gesù, sei stato presentato al Tempio … i Tuoi ministri si presenta-no al popolo di Dio quali Tuoi amici: fa’ che possano essere segno credibile della Tua salvifica generosità.

APOSTOLATO DELLA PREGHIERA

Compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica

164. Come impegnarsi a favore dell’unità

dei cristiani?

Il desiderio di ristabilire l’unione di tutti i cristiani è un dono di Cristo e un ap-pello dello Spirito. Esso ri-guarda tutta la Chiesa e si attua con la conversione del cuore, la preghiera, la reciproca conoscenza fra-terna, il dialogo teologico.

Febbraio

Poesia

Tu, ca hê priato a Dio ca ogne juornoncopp’ ’a tavula ’o ppane nun ha da mancà,

ce stanno nazione sane cu ’o vvacanta attuorno:dacce armeno na mullechella pe putè campà.

Tu, ca hê ditte chella sera “Pace a vvuje”,salutanno e parlanno cu ll’Apostole,

dacce ’o ppane d’ ’a pace pure a nnujee ogne juorno a ttutte quante ’e popule..

Tu, ca sì venuto pe nuje ncopp’ ’a terra,pe rialarce nu munno ricco d’ammore,lievece ’o ffele ’e ll’odio e d’ ’a guerrae dacce’ ’o ppane ca sazia ogne core.

Tu ca hê moltiplicato pane e ppisce p’ ’a gente,spartennele e sazianno a cchi pe te steva llà,

ll’abbundanza nun sparte cu ’o nniente:dacce ’o ppane d’ ’a gioia e ’a solidarietà.

Chesto è ’o ppane ca nuje te cercammo;è ’o ppane d’ ’a vita, nun ne putimme fa’ a mmeno;

pirciò cu ’o Patrennostro sempe te priammo:ce sarva d’ ’a morte, da ’o peccato e ’o vveleno.

’O PPANEdi Vincenzo Cerasuolo

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norenni, uccisioni sommarie e il manca-to impegno del governo nel perseguire i responsabili delle violazioni accertate. Le donne sono vittima di leggi e consue-tudini arretrate e ha una limitatissima libertà di stampa. Quanti scappano dai loro paesi lo fanno in nome di un diritto alla vita sancito tra l’altro dalla conven-zione di Ginevra, ma disattesa visti gli episodi di questi ultimi giorni. Ci siamo abituati a vederli su barconi stracolmi, sulle spiagge (ma questo accadeva fino

a poco fa), su navi fermi in mezzo al mare (oggi), senza mai un bagaglio, senza un abito di ricambio; ma non sappiamo il prima di questa gente! Basti pensare che chi è stato rimpatriato hanno affermato: “era meglio morire in mare e non ritornare in questi luoghi di tormenti”.

Dacci pure, Signore il pane quotidia-no ma insegnaci a condividerlo.

vare l’agire insano di chi non vuole dare un po’ del proprio pane quotidiano a chi sta nel bisogno. Tunisia, Eritrea, Nigeria, Sudan, sono tra i maggiori stati da cui molte persone scappano, non per un fu-turo più roseo, in cerca di un lavoro, ma sono uomini, donne, bambini con storie tragiche di povertà, guerre e violenze. La Tunisia oltre ai problemi economici, ci sono anche leggi draconiane che colpi-scono l’omosessualità fino a punirli con il carcere.

Non sono da meno le forti repressio-ni alla popolazione velata come lotta al contrasto del terrorismo, ma che di fatto violano i diritti umani basilari. In Eritrea la libertà d’espressione, di riunione e di stampa sono diritti costantemente cal-pestati dal governo. Inoltre l’instabilità politica alimenta scontri con i vicini del Sud, alimentando le crescenti violazio-ni del diritto internazionale e di guerra anche con uccisioni sommarie di civili, stupri e saccheggi.

Drammatica è inoltre la situazione della malnutrizione: il 40% della popo-lazione vive di stenti. In Nigeria la mi-naccia di Boko Haram continua a flagel-lare parte del paese. Centinaia i morti nell’ultimo anno, con picchi di violenza che hanno portato allo sfollamento di intere comunità. Come se non bastasse, la reazione dello stato al terrorismo sta portando all’aumento di casi di violenza e violazione contro civili da parte delle forze governative.

Arresti arbitrari anche di donne e mi-

3Febbraio 2019 Editoriale

di Don Pasquale Giannino

“Ci tengo, quale cittadino ita-liano, a dire questa frase: “NON IN NOME MIO”. Mi

spiego meglio: lo sgombero avvenuto a Castelnuovo di Porto di una comunità di 540 migranti che erano riusciti perfetta-mente a integrarsi nella società italiana con i bambini che da due anni frequen-tavano le scuole italiane, con gente che lavorava e pagava le tasse in Italia questo sgombero è persecutorio, cioè a dire, at-tenzione stiamo entrando assolutamente in un regime di violenza, di prepotenza non solo di difesa contro l’emigrazione, oscena, perché i porti devono essere aper-ti a tutti, perché i porti, spesso, sono la riva sognata dalla gente, da migliaia di per-sone, gli si chiude la porta in faccia e non solo, ma si comincia a perseguitare coloro che ormai sono italiani integrati perfetta-mente questa è un ossessione rendeteve-ne conto. NON IN NOME MIO! Io mi rifiuto di essere un cittadino italiano complice di questa nazista volgarità “. (Andrea Camil-leri – scrittore).

Mentre preparavo questo articolo una persona cara mi ha inviato il video che sopra ho volutamente trascritto di Camilleri, affinché ciascuno si renda conto del grave pericolo che stiamo cor-rendo nel diffondere una mentalità di intolleranza e di egoismo nazista. Non so se pregando la preghiera che Gesù ci ha insegnato abbiamo mai pensato che in fondo chiediamo a Dio la razio-ne di “pane” per vivere l’oggi. Ma come possiamo immaginare di chiedere e ot-tenere quanto serve per i nostri bisogni biologici e fregarcene di chi vive nel bi-sogno e bussa alla nostra porta? Come nel celebrare la “giornata della memoria” non mancano coloro che però ritengono una pura invenzione l’opera antisemita compiuta dal nazi-fascismo, così talvolta ho sentito di persone che banalmente hanno risolta la questione degli immi-grati come coloro che ci “colonizzeran-no”, “vengono a rubarci il lavoro”, “sono tutti ladri”, “fanno finta”. Insomma luoghi comuni e diffamatori che vogliono moti-

“Diamo” oggi il nostro pane quotidianoRiflessioni del nostro parroco

Cosa sono i CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo)

I Centri di accoglienza per richiedenti asi-lo (CARA), offrono ospitalità allo straniero che arriva in Italia in attesa di essere iden-tificato, affinché si accerti la possibilità della sua permanenza. I centri di questo tipo sono quattordici e sono nei comuni di Gradisca d’Isonzo, Arcevia, Castelnuovo di Porto (appena sgomberato), Manfredonia (Borgo Mezzanone), Bari (Palese), Brindisi (Restinco, Don Tonino Bello), Crotone (Lo-calità Sant’Anna), Mineo, Pozzallo, Calta-nissetta (Contrada Pian del Lago), Lampe-dusa, Trapani (Salina Grande), Elmas.

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Riflessioni Febbraio 20194

di Mariateresa Vitelli

Già da tempo la nostra par-rocchia, tramite le pagine di Rinascita, sta proponendo

una riscoperta del “Padre nostro”, ana-lizzando i vari versetti che la compon-gono. Ciò non stupisce, essendo fra le preghiere più note non solo della liturgia messale, ma anche fra i fede-li. È, anche, fra le prime che vengono insegnate anche ai bambini. Non può stupire, quindi, che anche papa Fran-cesco, durante le sue udienze generali nel dicembre 2018, abbia tenuto una catechesi sul “Padre nostro” che rien-tra in quel discorso più ampio dedi-cato da sempre alla preghiera, intesa come dialogo e come semplice ripeti-zione di formulette. Le formule “pre-confezionate” sono utili ad introdurre una certa conoscenza di ciò che può diventare la preghiera e perciò papa Francesco ci ricorda che Gesù insegna la prima preghiera e “...mette sulle labbra dei suoi discepoli una preghie-ra breve, audace.... audace perché, se non l’avesse suggerita il Cristo, proba-bilmente nessuno di noi – anzi, nessu-no dei teologi più famosi - oserebbe pregare Dio in questa maniera”. Que-sta piccola parola iniziale, da sola in-segna ciò che dovrebbe essere la pre-ghiera: innanzi tutto confidenza, ma semplice, umile e non prepotente.

Ma sul modo di pregare, esiste da tempo una specie di dibattito che, spesso, ovvero se sia più autentica e gradita la lode pura a Dio (senza il peso di alcuna richiesta) rispetto alla preghiera di domanda od intercessio-ne che rappresenta una forma debole della fede. Per semplificare la risposta, potrei riportare le parole lette di re-cente in un libro, nel quale una nonna insegnava al proprio nipote di cinque anni a pregare, spiegando che si può chiedere tutto a Dio, ma non le “cose sciocchine” (vincere la partita di pallo-ne, fare un dispetto a qualcuno ecc).

Nell’udienza del 12/12/2018, il pontefice ricorda che ”...Gesù invita i suoi discepoli ad avvicinarsi a Dio e

con fede, più forte del “buonsenso” di tanta gente che voleva farlo tacere.”

La preghiera di richiesta non ha dunque meno valore di un’altra, poi-ché “... La preghiera non solo prece-de la salvezza, ma in qualche modo la contiene già, perché libera dalla disperazione di chi non crede a una via d’uscita da tante situazioni insop-portabili”. Nella Bibbia vi sono diversi episodi di questo tipo di preghiera, a cominciare da Abramo (Gn 18,23-32) che interviene per salvare gli abitanti di Sodoma e Gomorra.

“...Certo, poi, i credenti sentono an-che il bisogno di lodare Dio. I vangeli ci riportano l’esclamazione di giubilo che prorompe dal cuore di Gesù, pie-no di stupore riconoscente al Padre (cfr Mt 11,25-27).

..Ma nessuno di noi è tenuto ad abbracciare la teoria che qualcuno in passato ha avanzato, che cioè la preghiera di domanda sia una forma debole della fede... No, questo non è vero. La preghiera di domanda è au-tentica, è spontanea, è un atto di fede in Dio che è il Padre, che è buono, che è onnipotente. È un atto di fede in me, che sono piccolo, peccatore, bisognoso. E per questo la preghiera, per chiedere qualcosa, è molto nobi-le. Dio è il Padre che ha un’immensa compassione di noi, e vuole che i suoi figli gli parlino senza paura, di-rettamente chiamandolo “Padre”; o nelle difficoltà dicendo: “Ma Signo-re, cosa mi hai fatto?”. Per questo gli possiamo raccontare tutto, anche le cose che nella nostra vita rimangono distorte e incomprensibili... E Lui ci capisce e ci ama tanto”.

a rivolgergli con confidenza alcune richieste: anzitutto riguardo a Lui e poi riguardo a noi. Non ci sono pre-amboli nel “Padre nostro”. Gesù non insegna formule per “ingraziarsi” il Si-gnore, anzi, invita a pregarlo facendo cadere le barriere della soggezione e della paura. Non dice di rivolgersi a Dio chiamandolo “Onnipotente”, “Al-tissimo”... non dice così, ma semplice-mente «Padre», con tutta semplicità... E questa parola “Padre”, esprime la confidenza e la fiducia filiale”. Quin-di Papa Francesco chiarisce ancora meglio il concetto: “ La preghiera del “Padre nostro” affonda le sue radici nella realtà concreta dell’uomo... ci fa chiedere il pane quotidiano: richiesta semplice ma essenziale, che dice che la fede non è una questione “decora-tiva”, staccata dalla vita.. non inizia nell’esistenza umana dopo che lo sto-maco è pieno: piuttosto si annida do-vunque c’è un qualsiasi uomo che ha fame, che piange, che lotta, che sof-fre e si domanda “perché”. La nostra prima preghiera, in un certo senso, è stato il vagito che ha accompagnato il primo respiro... quel pianto di neo-nato annunciava il destino di tutta la nostra vita: la nostra continua fame, la nostra continua sete, la nostra ri-cerca di felicità. Gesù, nella preghie-ra, non vuole spegnere l’umano...non vuole che smorziamo le domande e le richieste imparando a sopportare tutto. Vuole invece che ogni sofferen-za, ogni inquietudine, si slanci verso il cielo e diventi dialogo. Avere fede, diceva una persona, è un’abitudine al grido...come il Bartimeo del Vangelo (cfr Mc 10,46-52) quell’uomo cieco che mendicava alle porte di Gerico. Intorno a sé aveva tanta brava gente che gli intimava di tacere: “Passa il Si-gnore. Stati zitto. Tu sei fastidioso con le tue grida. Non disturbare”. Ma lui.. con santa insistenza, pretendeva che la sua misera condizione potesse final-mente incontrare Gesù. E gridava più forte! ... Gesù gli ridona la vista, e gli dice: «La tua fede ti ha salvato» (v. 52), quasi a spiegare che la cosa decisiva per la sua guarigione è stata quella preghiera, quella invocazione gridata

Dacci oggi il nostro pane quotidianoLa preghiera del “Padre nostro” affonda le sue radici nella realtà concreta dell’uomo

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Corso Umberto I, 303Tel. 081.885.19.50Marigliano (NA)

[email protected]

di Luigi Terracciano

5Febbraio 2019 Catechetica

di Don Rolando Liguori

“Dacci”: è bella la fiducia dei figli che attendono tutto dal loro Padre. Egli

«fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45) e dà a tutti i viventi «il cibo in tempo opportuno» (Sal 104,27). Gesù ci insegna questa doman-da, che in realtà glorifica il Padre nostro perché è il riconoscimento di quanto egli sia buono al di sopra di ogni bontà. «Dacci» è anche l’espressione dell’Alle-anza: noi siamo suoi ed egli è nostro, è per noi. Questo «noi» però lo riconosce anche come il Padre di tutti gli uomini, e noi lo preghiamo per tutti, solidali con le loro necessità e le loro sofferenze.

«Il nostro pane». Il Padre, che ci dona la vita, non può non darci il nutrimento necessario per la vita, tutti i beni «con-venienti», materiali e spirituali. Nel di-scorso della montagna Gesù insiste su questa fiducia filiale che coopera con la provvidenza del Padre nostro. Egli non ci spinge alla passività, ma vuole liberarci da ogni affanno e da ogni pre-occupazione. Tale è l’abbandono filiale dei figli di Dio. Il fatto però che ci siano coloro che hanno fame per mancan-za di pane svela un’altra profondità di questa domanda. Il dramma della fame nel mondo chiama i cristiani che prega-no in verità ad una responsabilità fatti-va nei confronti dei loro fratelli, sia nei loro comportamenti personali sia nella loro solidarietà con la famiglia umana. Come il lievito nella pasta, così la novi-tà del Regno deve «fermentare» la terra

rola e del Corpo del Figlio suo, questo «oggi» non è soltanto quello del nostro tempo mortale: è l’Oggi di Dio: «Se ricevi il Pane ogni giorno, per te ogni giorno è oggi. Se oggi Cristo è tuo, egli risorge per te ogni giorno. In che modo? “Tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato” (Sal 2,7). L’ oggi è quando Cristo risorge».

«Quotidiano». Questa parola, “épiou-sios”, non è usata in nessun altro passo del Nuovo Testamento. Intesa nel suo significato temporale, è una ripresa pe-dagogica di «oggi», per confermarci in una fiducia «senza riserve». Presa alla lettera (épiousios: «sovra-sostanziale»), la parola indica direttamente il Pane di vita, il Corpo di Cristo, senza il quale non abbiamo in noi la vita. Infine, legato al precedente, è evidente il senso celeste: «questo giorno» è il giorno del Signore, il giorno del Banchetto del Regno, antici-pato nell’Eucaristia, che è già pregusta-zione del Regno che viene. Per questo è bene che la liturgia eucaristica sia cele-brata «ogni giorno».

«L’Eucaristia è il nostro pane quotidiano [...]. La virtù propria di questo nutrimento è quella di produrre l’unità, affinché, resi corpo di Cristo, divenuti sue membra, siamo ciò che riceviamo [...], ma anche le letture che ascoltate ogni giorno in chiesa sono pane quotidiano, e l’ascoltare e reci-tare inni è pane quotidiano. Questi sono i sostegni necessari al nostro pellegrinaggio terreno». Il Padre del cielo ci esorta a chie-dere come figli del cielo il Pane del cielo. Cristo «stesso è il pane che, seminato nella Vergine, lievitato nella carne, impastato nella passione, cotto nel forno del sepol-cro, conservato nella chiesa, portato sugli altari, somministra ogni giorno ai fedeli un alimento celeste».

per mezzo dello Spirito di Cristo. Deve rendersi evidente attraverso l’instau-rarsi della giustizia nelle relazioni per-sonali e sociali, economiche e interna-zionali; né va mai dimenticato che non ci sono strutture giuste senza uomini che vogliono essere giusti. Si tratta del «nostro» pane, «uno» per «molti». La povertà delle beatitudini è la virtù della condivisione: sollecita a mettere in co-mune e a condividere i beni materiali e spirituali, non per costrizione, ma per amore, perché l’abbondanza degli uni supplisca alla mancanza degli altri.

«Prega e lavora». «Dobbiamo pre-gare come se tutto dipendesse da Dio, e agire come se tutto dipendesse da noi». Dopo avere eseguito il nostro lavoro, il cibo resta un dono del Padre nostro; è giusto chiederglielo e di questo ren-dergli grazie. Questo è il senso della be-nedizione della mensa in una famiglia cristiana. Questa domanda e la respon-sabilità che comporta, valgono anche per un’altra fame di cui gli uomini sof-frono: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4), cioè della sua Parola e del suo Spirito. I cristiani devono mobi-litare tutto il loro impegno per «annun-ziare il Vangelo ai poveri». C’è una fame sulla terra, «non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la Parola di Dio» (Am 8,11). Perciò il senso specificamen-te cristiano di questa quarta domanda riguarda il Pane di vita: la Parola di Dio da accogliere nella fede, il Corpo di Cri-sto ricevuto nell’Eucaristia.

«Oggi». È anch’essa un’espressione di fiducia. Ce la insegna il Signore; non poteva inventarla la nostra presunzione. Poiché si tratta soprattutto della sua Pa-

“Dacci” Padre, il dono della vitaLa catechetica di Don Rolando

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ché? L’umanità ci appartiene o abbiamo smesso di essere umani? Interrogativi che hanno bisogno di trovare risposte.

Siamo convinti che: quando le cose vanno male tutti desiderano l’uomo for-te che semplifica e decide per tutti e a cui ci si affida in modo fideistico; quando non c’è più umanità, inizia la fine della democrazia e della civiltà, quando non c’è più umanità, a prevalere è l’egoismo. Quando non c’è più umanità, c’è la so-praffazione e l’incattivimento; quando non c’è più umanità, c’è l’imbarbarimen-to e la resa della libertà.

La retorica populistica e demagogi-ca che fa leva sulla emotività e ignora la conoscenza sta avendo il sopravvento. A tutto questo noi abbiamo il dovere di opporci con la cultura e con la resistenza civile.

Sicuramente questo incontro non può essere l’unico, ci rivedremo con chi ha partecipato, ma anche con tutti quelli che vogliono condividere con noi l’espe-rienza. Perché alle parole poi devono se-guire le azioni, se vogliamo che qualcosa cambi.

“La vita è l’arte dell’incontro.”

“Attenzione verso i più deboli” è stato il tema della serata organizzata dall’Associazione Oltremarigliano

Quando non c’è più umanità

Sociale Febbraio 2019 6

Davvero una bella serata quella di martedì 22 gennaio, pres-so la Sala S. Sebastiano della

Chiesa (Collegiata) di Marigliano, grazie a una partecipazione nutrita e attiva. Siamo partiti da valori che, pensavamo scontati per una vita comune e di qualità: democrazia e partecipazione, comunità, diritti e legalità, solidarietà, uguaglianza e rispetto dell’alterità, collaborazione, condivisione, attenzione verso le fasce più deboli, ma che oggi stanno subendo un duro colpo!

Si sta sempre di più, invece, diffonden-do una cultura individualista e conserva-trice a discapito dei diritti umani e di una politica di accoglienza, di solidarietà, di rispetto. Complice di tutto questo anche una strategia mediatica che alimenta la percezione dell’insicurezza, che genera un clima di paura e diffonde linguaggi e valori lontani dalla cultura giuridica ita-liana e dai principi della civiltà europea e occidentale.

Tanti sono stati gli interventi dei pre-senti, che hanno offerto spunti inte-ressanti in un’atmosfera dialogante e costruttiva. Prima di tutto si è messo in evidenza che ci sono rare occasioni di incontro dove si può dialogare e soprat-tutto riflettere su problemi di carattere comune e sociali, e che sarebbe buona abitudine aprirsi sempre di più al dialo-go, per costruire una città vivibile, a mi-sura d’uomo ed uno stile di vita più par-tecipativo. Luoghi e momenti di incontro che rompano il silenzio assordante in cui siamo finiti. Non essendoci più discussio-ne, viene a mancare anche quel patos ra-zionale necessario per un cambiamento di rotta.

Erano presenti le Comunità parroc-chiali, rappresentanti di ordini religiosi, le associazioni di volontariato, esponenti della politica, il Sindaco e molti cittadini.

Tanti gli interrogativi: siamo alla ricerca solo del consenso? Siamo individualisti? Soffriamo di “eventite”? Siamo più indiffe-renti o più prepotenti? Che fine ha fatto la solidarietà? Come si costruisce una co-munità? La politica ci interessa ancora o siamo diventati fin troppo apatici? E per-

di Rosa Anna Quindici

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pia è dunque una delle ultime possibilità che abbiamo di trasformare il sonno nel qual siamo piombati, in una fase attiva della nostra vita quotidiana. Non ci sono alternative possibili, sarebbe il caso credo di renderlo evidente a tutti, prima insom-ma che quel sonno finisca con il coinci-dere con la incontrovertibile morte della nostra coscienza collettiva.

Ho fatto un sogno cari lettori di questa rubrica, camminavamo insieme tenen-doci per mano, mentre sorridenti pen-savamo “ecco, finalmente, il nostro pane quotidiano”.

7 Febbraio 2019 Rubriche

di Francesco Aliperti Bigliardo

L’ invocazione “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” pare indirizzata solo a soddisfare il bisogno di tene-

re piena la pancia e appagata la gola. Una esortazione orientata a colmare quella che gli economisti definiscono i nostri bisogni materiali e che invece, a mio giudizio, vuole essere soprattutto una implorazione a te-nere vivo e vitale il nostro spirito.

Vorrei suggerire che il pane quotidiano che la preghiera invoca per tutti noi, po-trebbe anche e soprattutto essere la richie-sta di tenere nella nostra vita di tutti i giorni ben chiaro ed evidente lo scopo, la meta, il fine da raggiungere. Sappiamo benissimo, anche se la società dei consumi tende a confondere le nostre certezze che non si vive di solo pane. Che esiste un vuoto che nessun pane può colmare dentro di noi. Tutti sentiamo costantemente una tensio-ne che ci chiede di andare oltre i bisogni corporali. Di vedere alimentata l’anima di quella carica, di quello slancio che capace di proiettarci dai confini imposti dai limiti fisici della nostra natura e di andare incon-tro ai nostri simili. Di andare verso chi come noi è contenitore inesausto di grande bel-lezza e incolmabile miseria. Una richiesta che assume un valore ancor più nobile e commovente nel momento in cui duran-te la messa, tenendosi per mano è l’intera comunità che invoca la presenza del pane quotidiano, del sogno collettivo ovvero, di quello spirito che ci rende finalmente fra-telli di intenti ancor prima che di sangue.

Le nostre società muoiono giorno dopo giorno, proprio per la mancanza di questo alimento. Quello che rende vuoti i nostri giorni e insipido il pane che mettiamo sulle

Nutrirsi di un pane che non saziaHo fatto un sogno

nostre tavole è l’assenza di un ideale comu-ne da immaginare, seminare, accudire e coltivare tutti insieme.

Fa spavento la nostra umanità sociale solo nel virtuale. Tribù digitale incapace di camminare insieme nel mondo reale. Il pane di cui ciascuno si nutre oggi è sem-pre più un pane incapace di saziare questo profondo bisogno che ogni individuo tiene soffocato nel fondo della propria coscienza. Un pane che ci rende bulimici, avidi, smo-dati. Un pane morto, che nessuno vuole e che è impossibile da condividere.

Rincorrere tutti insieme la stessa uto-

a cura del prof. Antonio Cassese

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano” E’ questo il primo dei tre imperativi che l’uomo rivolge a Dio in questa preghiera. Il pane richiesto è di ordine fisico

o spirituale? E’ il pane che riempie lo stomaco o è quello che arricchisce l’anima? Se si tratta del primo tipo di pane l’uomo sa o dovrebbe già sapere quale è stato il disegno divino: Dio ha detto all’uomo “ricaverai il pane col sudore della fronte”. Si tratta quindi di prendere coscienza di quanto Dio ha stabilito per l’uomo e cercare di fare tutto quan-to è possibile per guadagnarsi il pane che riempie lo stomaco. Certamente è un sacrificio, inteso anche come punizione per l’uomo peccatore, ma nel corso dei secoli anche la Chiesa ha dato al lavoro un significato più consono alle esigenze dell’uomo; il lavoro è diventato una categoria fondamentale dell’uomo per realizzarsi ed esprimere tutto se stesso. Se si tratta invece del pane spirituale comunque non è Dio a doverlo dare, ma è sempre e comunque l’uo-mo a poterne essere degno e saperlo conquistare. Conquistare e ottenere quotidianamente il pane spirituale comporta, per l’uomo, ben altri sacrifici: solidarietà, rispetto del prossimo, amore per i fratelli di qualunque colore, amore per la terra, rispetto delle istituzioni. In conclu-sione, sia per il pane fisico che per quello spirituale, è necessario per l’uomo rispettare i valori e cullare i sentimenti.

Il pungolo laico

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Come avrete capito il tema di questo numero è “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Il

cibo è al centro dei bisogni dell’uomo e per procurarselo è disposto a tutto. Gli esseri umani compiono imprese iperboliche per procurarsi da mangia-re. Addirittura possono sfidare la mor-te quotidianamente, sia a pranzo che a cena.

Sotto l’albero di Natale ho trovato Le assaggiatrici, l’ultimo romanzo di Rosella Pastorino basato su una storia vera ambientata durante il Terzo Reich. Hitler vive nella paura di essere avvele-nato, perciò quando decide di rifugiarsi nella cosiddetta “Tana del lupo”, vicino a un villaggio della Prussia orientale, arruola un gruppo di assaggiatrici che mangiano i pasti prima di lui. Viene composto un gruppo di dieci ragazze che ogni giorno vengono prelevate dalle loro case e condotte nel luogo segreto in cui si nasconde il Führer. Ogni giorno le dieci donne assaggiano i piatti che escono dalle cucine di Bri-ciola, il cuoco di Hitler, per scongiurare ogni possibile tentativo di avvelena-mento. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo per le assaggiatrici, ogni pasto l’ultima cena. Il cibo è buono, anche se vegetariano per assecondare i gusti del Führer, ma ogni volta che avvici-nano un boccone alla bocca aleggia la paura. Qualsiasi sintomo inatteso è un principio di avvelenamento che condurrà alla morte. Nonostante ciò c’è chi è felice di mettere a repentaglio la propria vita per Hitler. Esse sono le “invasate”, donne fiere di cantare le ge-sta del loro Führer e felici di immolarsi per lui.

Ma c’è anche chi, come Rosa Sauer, la protagonista del romanzo, raffinata don-na berlinese che la guerra ha relegato in campagna con i suoceri mentre il marito Gregor è al fronte, preferirebbe non salire ogni mattina su quel dannato pulmino. Ma allo stesso tempo, i duecento marchi al mese dello stipendio fanno comodo a tutte, così come i regali che Briciola

Agenda Febbraio 20198

Le assaggiatricidi Carmine Egizio

Visto, letto, ascoltato

L’autrice tratteggia in modo esemplare le figure delle donne e il loro sentimento di sorellanza, usando una scrittura raffinata con uno stile narrativo scorrevole e coin-volgente inanellando colpi di scena che inchiodano lo sguardo del lettore alla pa-gina. Assolutamente da leggere.

talvolta elargisce alle donne. E poi, cosa succederebbe se una donna si rifiutasse di adempiere al suo volere? Rosa non è nazista, accetta quell’incarico passiva-mente, così come altre sue compagne. Tra le donne, dopo un’iniziale diffidenza, comincia a instaurarsi un legame di ami-cizia, fatto di complicità e solidarietà.

Quando giunge la notizia che Gregor è disperso, Rosa, pur nella speranza che possa essere ancora vivo, si sente come svuotata e priva di speranza. In questo clima emotivo compare la figura di un uf-ficiale delle SS con il quale intreccia una relazione contorversa, con il senso di col-pa nei confronti dei suoceri.

Ispirato alla vera storia di Margot Wolk, Le assaggiatrici è un libro che racconta con realismo una verità a cui troppo spes-so preferiamo non pensare: i sopravvissu-ti non sempre sono i più giusti e la Pasto-rino racconta un aspetto della storia del nazismo totalmente inedito, ma soprat-tutto il rapporto di personaggi comuni con il regime.

Le vicende private delle assaggiatrici si inseriscono nella cornice della Storia, con le notizie dal fronte russo, le crescen-ti difficoltà dell’esercito tedesco, la cac-cia agli ebrei e l’attentato fallito a Hitler.

Margot Wolk era una segretaria berlinese che nel 1942, furono selezionate per assaggiare il cibo del leader tedesco Adolf Hitler a la tana del lupo in Prussia orientale per due anni e mezzo per confermare che il cibo era sicuro da mangiare e non conteneva tossine o veleni nocivi. Era l’unica dei 15 sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale , e il suo background come assaggiatore di cibo di Hitler non fu rivelato fino a un’intervista al suo 95esimo compleanno nel dicembre 2012. Eppure da giovane Wolk si era rifiutata di unirsi alla Lega delle ragazze tedesche, la versione femminile della Gioventù hitleriana, e suo padre era stato condannato per essersi rifiutato di unirsi al partito nazista. Era sposata e lavorava come segretaria durante l’inizio della guerra, ma lasciò l’appartamento bombardato di Berlino dei suoi genitori nell’inver-no del 1941, per trasferirsi temporaneamente nella casa di sua suocera a Gross-Partsch, ora Parcz , in Polo-nia. Secondo Wolk, le bombe alleate avevano danneggiato il suo appartamento di Berlino, che si trovava nell’acqua alta fino alle ginocchia. Suo marito Karl era in guerra, anche se non avendo sentito nulla da lui in due anni, aveva assunto da tempo che era morto. Subito dopo l’arrivo di Wolk a Gross-Partsch, lei e altre 14 giovani donne furono selezionate dal sindaco locale e portate nelle caserme dove i cuochi preparavano il cibo per il Fuhrer. Dopo la fine della guerra, quando Wolk tornò a Berlino, cadde nelle mani dell’esercito sovietico e per due settimane, l’hanno violentata ripetutamente, infliggendo tali ferite da non essere mai stata in grado di avere figli. Nel 1946, fu riunita a suo marito Karl; fu segnato da anni di guerra e prigionia, ma la coppia sposata visse felicemente insieme fino alla sua morte nel 1980. Per decenni Wolk non ha mai parlato di quello che è successo a Gross-Partsch; tuttavia, l’esperienza le è venuta spesso nei sogni. Non è stato fino a dicembre 2012, al suo 95esimo compleanno, quando un giornalista locale di Berlino del gior-nale Berliner Zeitung le ha fatto visita e ha iniziato a fare domande, che ha parlato di quelli che definisce i peggiori anni della sua vita. Fu allora, improvvisamente decise di rompere il suo silenzio. È morta nel 2014.

Margot Wolk, l’assagiatrice di Hitler