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PROGETTO RESTAURO Trimestrale per la tutela dei Beni Culturali anno 13 - numero 47 - estate 2008 rivista fondata da Giulio Bresciani Alvarez SOMMARIO Direttore Renzo Fontana Direttore responsabile Luca Parisato Vicedirettore Anna Pietropolli Responsabile di redazione Marina Daga Redazione Loredana Borgato, Anna Brunetto, Michela Carraro, Luca Caburlotto, Paolo Cremonesi, Maria Sole Crespi, Olimpia Niglio, Renzo Ravagnan Corrispondente dall’Inghilterra Claudia Sambo Corrispondente dagli U.S.A. Maria Scarpini Periodicità trimestrale Amministrazione e redazione il prato casa editrice via Lombardia, 41/43 - 35020 Saonara (Padova) tel. 049/640105 fax 049/8797938 e-mail: [email protected] - www.ilprato.com © Copyright gennaio 1998 il prato casa editrice - Padova Ideazione grafica ADV Solutions - Ospedaletto Euganeo (PD) Stampa: Arti Grafiche Padovane Abbonamento a quattro numeri Italia 20 - estero 38 da versare sul c.c.p. 13660352 intestato a il prato casa editrice via Lombardia, 41/43 - 35020 Saonara (Padova) Protezione dei dati personali - Informativa ex artt. 13 e 23 D.Lgs. n. 196/2003. I dati personali raccolti al momento dell’abbonamento sono trattati dalla casa editrice il prato, titolare del trattamento. Il conferimen- to dei dati richiesti è facoltativo: un eventuale rifiuto di comunicare i dati indicati nel modulo on line come necessari comporta, tuttavia, l'impossibilità di fornire il Servizio richiesto. L’abbonato potrà esercitare i diritti di cui all'art. 7 del D.Lgs. n. 196/2003 (accesso, corre- zione, cancellazione, opposizione al trattamento ecc.) rivolgendosi al Titolare del trattamento: casa editrice il prato, via Lombardia, 41/43, 35020 Saonara (PD). Ogni fascicolo Italia: 6 - estero 12 Registrazione presso il Tribunale di Treviso n. 971 del 19.09.1995 In copertina Mesocco (GR), chiesa di Santa Maria al Castello, San Bernardino. Le opinioni espresse negli articoli pubblicati dalla rivista Progetto Restauro impegnano esclusivamente i rispettivi autori. Paolo Cremonesi, Luisa Landi, Ilaria Saccani, Erminio Signorini Emma Calebich Paola Guerra Monica Abeni Giacinta Jean Concetta Nigero Sonia Giannella Olimpia Niglio Marcello Morandini Anna Pietropolli DEA, la sorella cattiva della TEA pagina 2 Il cinema San Marco di Quirino De Giorgio pagina 4 Un esempio di applicazioni di Gel Rigidi di Agar pagina 15 Insegnamento e ricerca: il Swiss Conservation Restoration Campus pagina 20 Centri storici allo stato di “rudere”. Strategie conservative a confronto pagina 28 Il problema della sostituzione degli elementi decorativi lapidei nel restauro delle cattedrali pagina 34 Il Panoptico di Ibaguè in Colombia. Memoria storica e nuovo museo della città pagina 41 Arte, Architettura, Design pagina 46 Segnalazioni bibliografiche pagina 48

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PROGETTO RESTAUROTrimestrale per la tutela dei

Beni Culturalianno 13 - numero 47 - estate 2008

rivista fondata daGiulio Bresciani Alvarez

SOMMARIO

DirettoreRenzo Fontana

Direttore responsabileLuca Parisato

VicedirettoreAnna Pietropolli

Responsabile di redazioneMarina Daga

RedazioneLoredana Borgato, Anna Brunetto, Michela Carraro, LucaCaburlotto, Paolo Cremonesi, Maria Sole Crespi, OlimpiaNiglio, Renzo Ravagnan

Corrispondente dall’InghilterraClaudia Sambo

Corrispondente dagli U.S.A.Maria Scarpini

Periodicitàtrimestrale

Amministrazione e redazioneil prato casa editricevia Lombardia, 41/43 - 35020 Saonara (Padova)tel. 049/640105 fax 049/8797938e-mail: [email protected] - www.ilprato.com

© Copyright gennaio 1998il prato casa editrice - Padova

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Stampa: Arti Grafiche Padovane

Abbonamento a quattro numeriItalia 20 - estero 38da versare sul c.c.p. 13660352intestato a il prato casa editrice via Lombardia, 41/43 - 35020 Saonara (Padova)

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Ogni fascicoloItalia: 6 - estero 12Registrazione presso il Tribunaledi Treviso n. 971 del 19.09.1995

In copertinaMesocco (GR), chiesa di Santa Maria al Castello, SanBernardino.Le opinioni espresse negli articoli pubblicati dallarivista Progetto Restauro impegnano esclusivamente irispettivi autori.

Paolo Cremonesi,

Luisa Landi,

Ilaria Saccani, Erminio

Signorini

Emma Calebich

Paola Guerra

Monica Abeni

Giacinta Jean

Concetta Nigero

Sonia Giannella

Olimpia Niglio

Marcello Morandini

Anna Pietropolli

DEA, la sorella cattiva della TEApagina 2

Il cinema San Marco di Quirino De Giorgiopagina 4

Un esempio di applicazioni di Gel Rigidi di Agarpagina 15

Insegnamento e ricerca: il Swiss ConservationRestoration Campuspagina 20

Centri storici allo stato di “rudere”. Strategieconservative a confrontopagina 28

Il problema della sostituzione degli elementidecorativi lapidei nel restauro delle cattedralipagina 34

Il Panoptico di Ibaguè in Colombia. Memoriastorica e nuovo museo della cittàpagina 41

Arte, Architettura, Designpagina 46

Segnalazioni bibliografichepagina 48

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Abbiamo preso visione di un docu-mento pubblicato a cura del NIEHS- National Institute of Environ -mental Health Sciences, uno degliIstituti NIH (National Institutes ofHealth) che fanno capo al U.S.Department of Health and HumanServices negli Stati Uniti, e deside-riamo informare il maggior numeropossibile di restauratori, chiedendoai singoli di farsi anche carico perso-nalmente di un’azione di informa-zione capillare tra i colleghi.

Il documento, datato 11.10.2007,riporta i risultati di uno studio all’in-terno del programma “NationalToxicology Program – Departmentof Health and Human Services”, e siintitola “Abstract for TR-478 –Diethanolamine. Toxicology andCarcinogenesis Studies of Dietha -nolamine (CAS No. 111-42-2) inF344/N Rats and B6C3F1 Mice(Dermal Studies)”1. Oggetto dellostudio è una base organica liquida, laDietanolammina (DEA), “sorella”

appunto della più nota Trieta -nolammina o TEA (di cui resta vali-da la connotazione di sostanza abasso potenziale di tossicità). I risul-tati dell’applicazione cutanea dellaDEA ad animali da laboratorio ven-gono così riassunti: “There was clearevidence of carcinogenic activity ofdiethanolamine in male and femaleB6C3F1 mice based on increasedincidences of liver neoplasms inmales and females and increasedincidences of renal tubule neoplasmsin males”, cioè “C’era chiara eviden-za di attività cancerogenica da partedella Dietanolammina nei topi [dellaspecie, n.d.a.] B6C3F1, maschi efemmine, sulla base dell’aumento diincidenza di neoplasmi al fegato neimaschi e nelle femmine, e dell’au-mento di incidenza di neoplasmi deitubuli renali nei maschi”.

Nei nostri corsi di aggiornamentosulla pulitura con metodi acquosi dacirca quattro anni abbiamo propostol’uso della DEA come sostanza tam-

pone, in grado di produrre soluzionialcaline tamponate in un intervallodi pH 8.2-9.5, quando cioè sia neces-sario “sforare” l’intervallo di sicu-rezza di pH per le superfici policro-me, cioè 5-9, per condurre certe ope-razioni come la rimozione di vecchieridipinture a legante oleoso. LaFigura 1 mostra una tipica immagineche abbiamo diffuso (Fig. 1).

Visto quanto sopra riportato, da orain avanti raccomandiamo di sospen-dere l’uso della Dietanolammina(DEA).

Dobbiamo purtroppo aspettarci chefuturi studi mettano in evidenza unpotenziale di tossicità maggiore permolte sostanze, che oggi utilizziamoin buona fede perché supportati dadati non troppo preoccupanti; que-sto è inevitabile, anzi dovremmoaccogliere con favore il fatto chequesti studi siano continuamenteaggiornati, a tutela della nostra salu-te. Sta a noi rispondere a questiavvertimenti con prontezza e deci-sione. Del resto, nel caso di moltesostanze, come la base DEA in que-stione, l’inconveniente pratico èdavvero limitato, vista la grandedisponibilità commerciale di sostan-

Materiali eMetodi

DEA, la sorella cattiva della TEAPaolo Cremonesi, Luisa Landi, Ilaria Saccani, Erminio Signorini*

Fig. 1. Fig. 2.

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ze che possano svolgere la stessafunzione.Nel caso specifico, una sostanzatampone adatta a rimpiazzare laDEA può essere il seguente compo-sto: Acido 3-Cicloesilammino-2-idrossi-1-propansolfonico, CAPSOsecondo la terminologia abbreviata.A titolo di esempio, nel catalogo deiconsueti fornitori di prodotti chimi-ci (Sigma-Aldrich-Fluka), il codicedel prodotto è Sigma C2278-25G.

Oltre a queste osservazioni sulla tos-sicità della DEA, sempre a proposi-to delle sostanze tampone, facciamonotare che le ditte fornitrici hannoaggiornato i valori degli intervalli dipH che si possono ottenere concerte sostanze tampone, che anchenoi correntemente utilizziamo: adesempio, la stessa Trietanolammina(TEA) e la base Trometamina (Tris oTrizma). Nel primo caso, i valori dipH aggiornati sono 7.0-8.3, e nelsecondo 7.5-9.02. Possiamo di con-seguenza aggiornare il nostro inven-tario di sostanze tampone, facendoopportune sostituzioni di prodotti,

secondo le informazioni contenutein figura 2. La figura 3 mostra poi le corrispon-denti strutture chimiche delle stessesostanze.

Possiamo riassumere così le varia-zioni principali rispetto al passato:

- Per preparare la tradizionale solu-zione tampone a pH 5.5, interrom-piamo l’uso del Bis-Tris (limite infe-riore di pH, valore aggiornato 5.8);conviene usare l’Acido Acetico (cheneutralizzato opportunamente conla soluzione 1M di Sodio Idrossidodarà la coppia tampone AcidoAcetico/Sodio Acetato, cioè il tam-pone acetico, efficace in un interval-lo di pH 3.6-5.6). Un’ottima alterna-tiva potrebbe anche essere l’Acido 2-Idrossisuccinico, comunemente det -to Acido Malico (Codice catalogoFluka 27606-250G), capace di azio-ne tamponante nell’intervallo di pH4.0-6.0

- Per preparare il valore neutro, pH,7, conviene interrompere l’uso della

base Tris (limite inferiore di pH,valore aggiornato 7.5) e utilizzareinvece la base Bis-Tris, neutralizzan-dola fino a pH 7 con la soluzione1M di Acido Cloridrico. Alterna -tivamente, anche la TEA potrebbeessere utilizzata.

- Per la Trietanolammina, i valoriaggiornati dell’intervallo di pH sono7.0-8.3

- Quando siano necessari valori piùelevati di pH, invece di utilizzare laDEA, si può far ricorso al CAPSO,intervallo di pH 8.9-10.3; anchel’Ammoniaca in soluzione acquosa,cioè l’Idrossido d’Ammonio, puòsvolgere efficace azione tamponantenell’intervallo di pH 8.8-9.9, occorreperò tener presente che data l’inevi-tabile tendenza alla volatilità, la con-centrazione reale dell’Ammoniacadiminuirà nel tempo, e la soluzionevarierà il suo valore di pH, e più ingenerale la sua efficacia.

Note1. Il documento è consultabile all’indi-rizzo:http://ntp.niehs.nih.gov/index.cfm?objectid=070AAE68-0C37-7929-9780 A1 -2F 127B27B72. Si vedano ad esempio le informazionidisponibili in rete all’indirizzo web:http://www.sigmaaldrich.com/Area_of_Interest/Biochemicals/BioUltra/Biological_Buffers.html

Materiali eMetodi

* Paolo Cremonesi, chimico con forma-zione anche nel restauro, Luisa Landi,restauratrice, Ilaria Saccani, collabo -ratrice restauratrice laureanda in Scien -ze per i Beni Culturali, ed ErminioSignorini, restauratore, svolgono attivitàdidattica nei corsi di aggiornamento pro-fessionale sulla pulitura organizzati dalCesmar7-Centro per lo Studio deiMateriali per il Restauro di Padova.

Fig. 3.

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Nel 1961, nonostante fosse già ini-ziato il declino dell’utenza cinemato-grafica, i fratelli Alfredo e Giu seppeFurlan decisero di aprire una nuovasala di visione a Mestre in viale SanMarco, in una zona allora quasi disa-bitata, ma in via di sviluppo.L’intenzione dei committenti eracostruire un complesso a sei pianiche avrebbe ospitato al suo interno,oltre alla sala cinematografica, unalbergo con un ampio garage sotter-raneo, al fine di costituire un rile-vante polo commerciale in un quar-tiere di sicura ed immediata espan-sione1 .

Il progetto fu affidato a Quirino DeGiorgio (Fig. 1) che, da poco laurea-to presso l’Istituto Universitario diArchitet tura a Venezia e iscrittoall’Ordine degli Architetti della pro-vincia di Padova dall’ottobre del19602 – a più di cinquant’anni –aveva ritrovato considerazione pro-fessionale e successo nel dopoguerradedicandosi particolarmente allaprogettazione e alla costruzione diedifici dedicati allo spettacolo3. Larealizzazione del cinema Altino aPadova risale, infatti, agli anni tra il1946 ed il 1951, il cinema Cristallo aOderzo viene realizzato alla fine

degli anni Quaranta, il cinemaGiorgione di Casale di Scodosia vienecostruito tra il 1953 e il 1955 e il cine-ma Las Vegas a Trebaseleghe vieneinaugurato nel febbraio del 19614.I fratelli Furlan devono la fortunadella ormai centenaria attività dellafamiglia nel settore dello spettacoloanche alla ricerca della più alta qua-lità nella realizzazione dei loro loca-li; essi si orientarono nella scelta delprofessionista cui affidare l’incaricodi questa nuova costruzione a DeGiorgio, proprio per la fama chequesti aveva ormai acquisita e inseguito ad un sopralluogo effettuatocon lui al cinema Las Vegas, direcentissima ultimazione, che ri -spondeva perfettamente, nell’impo-stazione progettuale e nell’esecuzio-ne, alle loro esigenze e alle loroaspettative. Un appunto manoscrittodel 17 luglio 1961 testimonia che irapporti professionali tra i Furlan eDe Giorgio sono già attivi5.L’incarico professionale prevedeva laprogettazione e la direzione deilavori di un edificio a sette piani che,come si è detto, doveva accogliere alsuo interno funzioni differenziate.La vicenda della sua costruzione,tuttavia, fu assai travagliata sia sottol’aspetto burocratico e amministrati-vo, sia per quanto relativo ai rappor-ti tra la committenza e il progettistae questo, come si può notare dallalettura dell’edificio, comportò unesito formale in parziale dissonanzacon altre architetture di De Giorgiodel medesimo periodo.Come si legge nel carteggio degliarchivi e come ricorda GiuseppeFurlan, che seguiva personalmente ilcantiere, infatti, numerose furono lelamentele e frequenti i dissapori e imotivi di attrito con l’architetto, cheall’epoca aveva ancora lo studio pro-fessionale a Roma, al quale si impu-tava scarsa solerzia nell’attività pro-gettuale.

Architettura eConservazione

Il Cinema San Marcodi Quirino De Giorgio Emma Calebich*

Fig. 1. Foto di cantiere. Nella persona seduta sull’armatura di una trave è stato ricono-sciuto Quirino De Giorgio. (Ar chi vio MART, Fondo archivistico di Qui rino DeGiorgio, neg. Deg_S2_07.tif).

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Tuttavia, se teniamo in considerazio-ne la documentazione in nostro pos-sesso, peraltro al momento tutt’altroche esaustiva6, non potremo nonnotare che le fasi progettuali preli-minari di De Giorgio furono decisa-mente tempestive. Nel settembre del1961 l’architetto presenta alla Com -missione Edilizia del Comune diVenezia-Mestre il progetto – cheporta il numero 501 quale riferimen-to del suo archivio privato – per uncomplesso edilizio denominato“Marco Polo”7. Nell’elenco delletavole, accluso all’atto di trasmissio-ne del progetto, sono presentati,distinti per argomento, i disegni diinquadramento topografico, definitisecondo appropriate scale di restitu-zione grafica, i prospetti delle quat-tro facciate, il tracciato degli assi difondazione e la pianta dei plinti difondazione, le planimetrie di tutti ipiani comprese quella relativa all’im-pianto fognario con quote e penden-ze e quella relativa agli impianti diriscaldamento, le sezioni e le quotedi livello in scala 1:100, ed infineventuno tavole di particolari co -struttivi in scala 1:20. Ma già nelnovembre del medesimo anno, una

nuova lettera di trasmissione, conaccluso un elenco di tavole, testimo-nia che l’architetto ha già presentatola terza variante di progetto.Il 20 febbraio dell’anno successivoviene inviata da De Giorgio laRelazione tecnica per una variante alprogetto che era già stato approvatodal Ministero e relativa solamente al“Cinema San Marco nel VillaggioSan Marco in Mestre”.La necessità di eseguire una varianteè esplicitata nella succitata relazionee fa riferimento a suggerimenti sul-l’assetto architettonico complessivo,dati al progettista dai membri dellaCommissione edilizia esaminatrice.Fermo restando il volume della salacinematografica e il numero deiposti già concessi, vengono apporta-te modifiche di tipo architettonico,strutturale e funzionale. Sotto il pro-filo architettonico si parla generica-mente di un “miglioramento” delsuo aspetto, senza entrare nel meritodi più precisati interventi. Dal -l’analisi comparata dei prospetti pre-sentati nei due momenti successivi,si può notare, oltre all’eliminazionedi tre piani in elevazione, anchel’utilizzo di un linguaggio figurativo

differente. Rispetto alla verticalitàaccentuata che si esprime nel proget-to della facciata predisposta nel 1961(Fig. 2), nel progetto proposto agliinizi del 1962 (Fig. 3), invece, DeGiorgio compone un affaccio forte-mente compattato all’interno di unacornice nettamente risentita di peri-metro e sopraelevata rispetto alprimo piano per mezzo di sei pila-stri, disposti questi, in due coppie ditre elementi e distribuiti lateralmen-te rispetto all’asse centrale dell’edifi-cio. Una decorazione a disegni geo-metrici, che richiama il disegno dellefinestre laterali del primo piano, erastata studiata per le balaustre dei ter-razzi e si configurava quale unicoelemento ornamentale dell’insieme.Le modifiche strutturali fanno riferi-mento alla sostituzione di unacopertura a volta della sala cinema-tografica con travature reticolari incemento armato.Le modifiche relative all’assetto fun-zionale si riferiscono a un “accorcia-mento della sala con convenientecostruzione di una galleria”, all’am-pliamento dell’atrio di ingresso,all’ampliamento della Cabina di pro-iezione e ad un “miglioramento”

Architettura eConservazione

Fig. 2. Prospetto principale dell’edificio a sette piani. Progettonon realizzato. (Archivio Alfredo e Giuseppe Furlan).

Fig. 3. Prospetto principale dell’edificio a quattro pianiDisegno di progetto. (Archivio Alfredo e Giuseppe Furlan).

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della visibilità e della ricezione acu-stica, studi che l’architetto era solitopredisporre personalmente e non adaffidare ad altri.L’accesso a Cinema è previsto me -diante due ampie rampe a gradoni,dell’ampiezza di nove metri ognuna,posizionate alle due estremità dellafacciata principale che prospetta suViale San Marco. Queste conduconoa due porticati che immettono diret-tamente nell’atrio del cinema e sonofiancheggiati da un locale adibito abar, predisposto, quest’ultimo, inmodo da essere del tutto indipen-dente dai locali del cinematografo(Fig. 4). L’ingresso alla platea avvie-ne attraverso due aperture della lar-ghezza di sette metri ciascuna equello alla galleria tramite due scaleampie tre metri e mezzo ciascuna.Sia la platea, sia la galleria sono for-nite di servizi igienici indipendenti.Nel progetto sono definite inoltre leuscite di sicurezza, studiate in basealle norme di sicurezza allora vigen-ti e previste indipendenti per il loca-le platea e per il locale galleria. Inparticolare, le uscite di sicurezza inquota di quest’ultima e le rampe discale ad esse pertinenti, studiate

esterne al volume netto del comples-so, determinano dei volumi laterali esimmetrici, i quali, unitamente a duevani esterni collocati pure in quota ea ridosso dello spigolo laterale delprospetto, contribuiscono a definirel’aspetto plastico d’insieme (Fig. 5).La Cabina di proiezione dispone diun accesso indipendente e di un pro-prio servizio igienico destinato alpersonale tecnico, oltre che di unaterrazza che dovrebbe servire da“disimpegno di ogni servizio dicabina”.Nella Relazione si fa inoltre riferi-mento al progetto per l’impiantoelettrico predisposto con circuiti perun’illuminazione normale, un’illu-minazione al neon ed una sussidia-ria, indipendente, a batterie e unafornitura di corrente relativa allaforza motrice con protezione in“tubo elios”. L’impianto di riscalda-mento prevede anche quello per larefrigerazione nei mesi estivi. Il suofunzionamento è previsto ad aria,surriscaldata o raffreddata da batte-rie di radiatori ad acqua, con centra-le termica posizionata al di fuori delfabbricato, in locale seminterratoricavato sotto una delle due rampe

d’accesso. Viene inoltre predispostaun’apertura situata nel tetto dellagalleria, a copertura mobile e fun-zionamento elettrico, per provvede-re al ricambio dell’aria nelle ore dimaggior afflusso e durante le ore dipulizia dei locali.Per quanto relativo allo studio del-l’acustica, finalizzata ad ottenereun’ottimizzazione della stessa daogni punto della sala e l’eliminazio-ne del fenomeno dell’eco, la relazio-ne rimanda alla visura delle tavole diprogetto allegate alla medesima.Infine, per il deposito del progettoesecutivo e dei calcoli delle opere incemento armato che, come era con-suetudine di De Giorgio, venivanoda lui stesso progettate e collaudate,l’architetto si dichiara in attesa diun’esplicita richiesta da parte del-l’ufficio competente.Ricorda, al proposito, GiuseppeFurlan che l’imprenditore CasimiroGuarise, titolare dell’impresa edileincaricata di eseguire la costruzionedell’edificio – nonché suocero diAlfredo Furlan – quando presevisione del progetto di Quirino DeGiorgio, rimase impressionato dalladefinizione delle strutture in cemen-to armato che gli apparvero estrema-mente esili e forse sottodimensiona-te. Decise quindi, in via preventiva,di farle controllare dai tecnici degliuffici del Genio Civile i quali, dopoaverle attentamente studiate, glirisposero che erano ineccepibili edinappuntabili e che potevano essereeseguite in tutta sicurezza. Quantodetto, che ha quasi valenza di aned-doto, evidenzia, in realtà, uno degliaspetti più interessanti dell’opera diDe Giorgio che consiste nell’effetti-va originalità delle sue architetture.Come è stato evidenziato dalla criti-ca anche in tempi recenti, il linguag-gio formale e strutturale da lui uti-lizzato, infatti, è spesso anticipatoredi quanto diverrà linguaggio comu-

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Fig. 4. Planimetria del primo piano. Progetto non realizzato. (Archivio Alfredo eGiuseppe Furlan).

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ne all’architettura realizzata in tempisuccessivi.Nella fattispecie, il rapporto forma-struttura su cui si impernia la suaprogettazione e si sviluppa la suaarchitettura, sembra essere l’aspettopiù rilevante che si riscontra in que-sta opera mestrina, con particolareriferimento alla grande struttura incemento armato che divide l’atriodalla sala cinematografica e genera ilpiano della galleria.

Il 20 marzo 1962 l’imprenditoreGuarise notifica alla IV divisionedella Prefettura di Venezia l’inten-zione di iniziare la costruzione di unedificio in viale San Marco di cui almappale n. 64, Fg. 22, Comune diVenezia, sezione di Mestre, per icommittenti Alfredo e GiuseppeFurlan e indica come progettistadelle opere, direttore dei lavori e cal-colatore dei cementi armati l’archi-tetto Quirino De Giorgio con studioa Roma, via Friggeri 95 e, per quan-to concernente il progetto delCinema San Marco con recapitoprofessionale in Corso del Popolo13, sede dell’impresa cinematografi-ca dei Furlan. Alla notifica vieneallegato il progetto di massima anorma delle vigenti disposizioni, al

quale farà seguito l’invio del proget-to esecutivo delle strutture incemento armato.Da questa data in poi le opere per lacostruzione dell’edificio paionoproseguire velocemente se si fa rife-rimento alla documentazione d’ar-chivio che contiene preventivi relati-vi anche ad opere di finitura nonché,tra la fine del 1962 e i primi giornidel 1963, indicazioni e tempisticaper effettuare il collaudo del Cinemae per l’applicazione del sistemaCinerama alla sala.

Ma, sebbene il cantiere proceda nelleopere, le difficoltà dei committenti,come si è accennato, aumentano neltempo. La richiesta di costruire unedificio a sette piani non viene accol-ta dalla Commissione poiché ilpiano di sviluppo dell’area prevedeche questo fabbricato non superi iquattro piani in quanto attiguo a unedificio scolastico. Questa riduzionedella cubatura interferisce tuttaviacon il progetto funzionale del com-plesso: la diminuzione della superfi-cie utile da adibire ad albergo rendeeconomicamente non vantaggiosa lafunzione alberghiera dell’immobile,motivo per il quale si dovranno stu-diare soluzioni commerciali diffe-

renti da quelle iniziali. Queste siconcretizzeranno nell’apertura di unsupermercato al piano terra e nelladestinazione ad uso residenziale peril resto dell’edificio.La speranza di ottenere la revisionedel parere negativo e l’accoglimentodella richiesta di sopraelevazione,inducono a mantenere in opera i ferridi armatura del calcestruzzo dell’edi-ficio non ancora completato e diconfidare negli interventi di tipoburocratico e amministrativo cheQuirino De Giorgio propone aicommittenti e dei quali ritiene dipotersi fare carico. In una lettera del13 settembre 1963 indirizzata ai fra-telli Furlan, l’architetto li informainfatti, che un suo progetto “ha otte-nuto la proroga di sopralzo facendoriferimento ad una sentenza delConsiglio di Stato del 1960” e che, inbase a questo, potrà prendere analo-ga iniziativa anche per loro. In unasuccessiva lettera, datata 21 aprile1964, De Giorgio informa i Furlan diavere comunicato al prof. Samonà,redattore assieme a Piccinato delprogetto per la costruzione del quar-tiere San Marco, “il desiderio di rial-zare di tre piani il prospetto dell’edi-ficio”. Nonostante questi abbia es -presso delle personali perplessità al

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Fig. 5. Disegno del prospetto su via Millosevich. (Archivio Alfredo e Giuseppe Furlan).

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riguardo, si è reso comunque dispo-nibile ad istruirlo sulla prassi daseguire per inoltrare una valida ri -chiesta ufficiale, dichiarando nel con-tempo che si terrà neutrale nell’es -pressione di un giudizio di merito.Il 5 settembre 1964 Quirino DeGiorgio accetta l’incarico per il com-pletamento del fabbricato e, conse-guentemente, l’8 ottobre trasmetteall’Ufficio tecnico del Comunequattro copie del progetto di varian-te in relazione al richiesto sopralzodel complesso San Marco, corredatoda dodici tavole. I lavori aggiuntivi,che prevedono strutture in cementoarmato unito a travi e montanti inacciaio, saranno eseguiti prolungan-do le stesse strutture approvate nelprecedente progetto iniziale e già asuo tempo collaudate.Ma, ancora una volta, la possibilitàdi costruire il San Marco Hotel vieneannullata dal parere negativo espres-so dalle autorità competenti. Al pro-posito De Giorgio ritiene che ciò siadovuto a uno sbaglio di proceduraeffettuato in quanto, trattandosi diun albergo, la proposta doveva esse-re presentata in Consiglio e non inGiunta. Ritiene quindi il caso di

informarne gli uffici competenti diRoma e di ripresentare successiva-mente la pratica al Comune diVenezia, corredata dal nulla ostadella Camera di Commercio al rila-scio della licenza alberghiera.Nonostante tutto, comunque, inal-terato rimase il parere e la sopraele-vazione non venne più concessa,come si può ben notare nell’edificioesistente.

Si è accennato, precedentemente,anche ad altre difficoltà che hannoaccompagnato la vicenda del fabbri-cato e queste riguardano i rapportitra i committenti e l’architetto.Il 29 agosto 1962 i fratelli Furlaninviano un telegramma a Quirino DeGiorgio con il quale richiedono,perentoriamente, entro due giorni, idisegni esecutivi dei prospetti dellafacciata principale e di quella retro-stante, nonché lo studio degli im -pianti, trascorso tale termine avreb-bero ritenuto la sua opera “ritarda-trice et contro producente per rapidosvolgimento dei lavori”. In una suc-cessiva lettera del 22 ottobre 1962,conseguente ad una risposta dell’ar-chitetto nella quale egli si dichiara

risentito per quanto espresso dai suoiclienti, il tono della polemica sale: silamenta il fatto che il professionistastia rallentando i tempi dell’esecu-zione dei lavori dal momento chenon invia i disegni esecutivi richiestie sollecitati, motivo per il quale sisono dovuti rivolgere direttamente,in prima persona, a ditte specializza-te. La lettera successiva del 14 dicem-bre non muta nel tono e richiamal’attenzione dell’architetto sullecarenze metrico-dimensionali deisuoi disegni che non possono essereconsiderati dei veri e propri disegniesecutivi. Nell’estate del 1963, nono-stante ci siano stati, nel frattempo,“colloqui chiarificatori” tra le parti, irapporti sono divenuti tali da moti-vare una richiesta di soluzione delrapporto professionale da parte deicommittenti all’architetto. La rispo-sta di De Giorgio è immediata: inuna lettera raccomandata, indirizzataad Al fredo Furlan, lo informa delleconseguenze che “tale gesto sconsi-derato” comporterebbe e che consi-sterebbero, tra l’altro, nella istanta-nea so spen sione dei lavori, nellarichiesta inapellabile da parte sua dirimuovere tutte le opere eseguite

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Fig. 6. Foto di cantiere. Prospetto principale. (Archivio Alfredoe Giuseppe Furlan).

Fig. 7. Prospetto su viale San Marco.

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autonomamente dai committenti inmodo non conforme al progetto econtro lo stesso parere dell’architet-to, nonché nell’avvio di una causacivile di risarcimento per dannimorali e materiali.Nonostante i dissapori, la collabora-zione professionale di De Giorgioprosegue ed accompagnerà, come èstato detto, l’iter progettuale delcomplesso edilizio, oltre i tempi dicompletamento del Cinema SanMarco che verrà inaugurato il 2novembre 1963.Si comprende comunque, da quantobrevemente è stato esposto, che,nella fase di esecuzione delle opere,le stesse sono state spesso attuate indifformità dalle indicazioni proget-tuali dell’architetto, se non addirit-tura in assenza di esse. E questo hacomportato indubbiamente un’alte-razione della definizione architetto-nica complessiva dell’edificio, anchein riferimento all’apparato decorati-vo e di finitura, mentre inalteratorimane l’assetto strutturale volutodal progettista8.Se si considerano, inoltre, gli inter-

venti che sono stati occasionalmenteapportati, nel tempo, per motivicommerciali e d’uso dell’edificio, sicomprenderà facilmente il motivoper cui il linguaggio di Quirino DeGiorgio appaia qui appannatorispetto ad altre sue architetture.

L’affaccio principale, su viale SanMarco (Figg. 6-7), si presenta arre-trato rispetto all’asse viario, la qualcosa consente una visione d’insiemenon comune agli altri edifici che siallineano sul medesimo fronte stra-dale. Due grandi rampe di scale, cheper dimensioni sembrerebbero unacontinuazione della viabilità pubbli-ca in profondità, si allungano e siraccordano in quota tramite unampio spazio libero dal quale siaccede ai locali della sala cinemato-grafica e ai piani superiori. Postesimmetricamente ai lati dell’edificio,le scalinate sono separate, al centro,da un passaggio scoperto che condu-ce ad un corridoio coperto, apertonei lati brevi per consentire un colle-gamento alla viabilità laterale; su

questo si affacciano le entrate e levetrine del centro commercialesituato al piano terreno. Si crea cosìuna soluzione di piani e di volumifortemente contrastata, equilibrata,tuttavia, dalle proporzioni dei volu-mi pieni e vuoti e dall’andamentodolce e uniforme della pendenzadelle rampe a gradoni.Anche in facciata l’allineamento delfronte si presenta differenziato: i trepiani sovrastanti al primo sporgonorispetto a questo, dando luogo a unvolume vuoto bilanciato, ai pianisuperiori, da stretti terrazzi costitui-ti da solette aggettanti ad andamentorettilineo e uniforme. Queste, forte-mente in evidenza per dimensione ecolore, equilibrano e distribuisconole linee marcatamente verticali dellafacciata, che termina con un tettopiano, sul quale è stato inserito unvolume tecnico di servizio al vanodell’ascensore. Le aperture, tutte diforma quadrangolare allungata, siripartiscono con una sequenza dicadenze verticali ed orizzontali,accentuando l’assetto compositivo

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Fig. 8. Prospetto su via Millosevich. Fig. 9. Vista dell’atrio del cinema in una foto degli anniOttanta. (Archivio Alfredo e Giuseppe Furlan).

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summenzionato e nel rispetto dellinguaggio formale e funzionale pro-prio dell’architettura, studiando, adesempio, l’alleggerimento lateraledel fronte, con l’inserimento di unforo a tutta altezza per parte, eponendo, in ogni piano, un’ unicaapertura orizzontale e tripartita nella

parte superiore della muratura, asegnalare la presenza del vano scaleprincipale. La lettura d’insieme di questo pro-spetto pone, tuttavia, un problemarelativo al bilanciamento complessi-vo delle masse che lo compongono.Queste parrebbero non del tutto

calibrate, se si fa riferimento alledimensioni e al volume delle scalina-te per rapporto a quelle dei quattropiani in elevazione. È possibile checiò sia da imputarsi ad un adatta-mento, in fase esecutiva, del proget-to, il quale prevedeva uno sviluppoin altezza di un maggior numero di

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Fig. 10. Sezione della galleria e delle gradinate laterali. (ArchivioAlfredo e Giuseppe Furlan).

Fig. 11. Disegno dell’armatura della struttura di sostegnodella galleria. (Archivio Alfredo e Giuseppe Furlan).

Fig. 12. Disegno di armatura di travi e studio del sistema dei tiranti. (Archivio Alfredo e Giuseppe Furlan).

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Fig. 13. Foto di cantiere. Costruzione della struttura della galleria. (Archivio MART,Fondo archivistico di Quirino De Giorgio, neg. Deg_S2_14.tif).

Fig. 14. Foto di cantiere. Particolare della struttura di sostegno della galleria.(Archivio MART, Fondo archivistico di Quirino De Giorgio, neg. Deg_S2_08.tif).

piani e che poi, come si è visto, nonè stato possibile realizzare.Gli affacci laterali presentano carat-teri linguistici e compositivi assaidiversi da quello principale. Il volu-me della sala cinematografica su viaMillosevich è costituito da un corpodi fabbrica basso e allungato, inseritotra i volumi delle due costruzioni ditestata. In esso, le alterazioni appor-tatevi nel tempo (Fig. 8), rendonodifficilmente leggibile il linguaggio diDe Giorgio che si intravede soprat-tutto nel disegno degli elementistrutturali dell’assetto complessivo,laddove essi non siano nascosti daparamenti successivamente appron-tati. La costruzione posteriore, con-tigua al fabbricato del cinema, edifi-cata in totale difformità dal progettooriginale, assieme ad un diffusodegrado della facciata laterale delcinema, conferiscono un aspettodimesso all’insieme.

Dove invece si riconosce maggior-mente la qualità progettuale di DeGiorgio è nei locali della sala cine-matografica sebbene, anche in que-sto caso, i committenti abbianoapportato alcune variazioni al distri-butivo, dettate da necessità funzio-nali9, e modificato più volte le finitu-re e gli arredi, per renderli piùrispondenti alle trasformazioni delgusto dell’utenza.L’atrio (Fig. 9), così come ora appa-re, è costituito da un unico vano cheoccupa tutto lo spazio al primopiano della costruzione principale,sottostante alla galleria della sala diproiezione. La continuità spazialeche si ravvisa in questo locale dalleampie dimensioni, è esito dell’im-pianto strutturale concepito da DeGiorgio: qui, al posto dei consuetipilastri di sostegno alle travature disolaio, egli utilizza delle travi metal-liche ad H posizionate nelle parti piùesterne del vano, con andamento

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Fig. 15. Interno della sala visto dalla galleria. Fase di posa dei rivestimenti. (ArchivioMART, Fondo archivistico di Quirino De Giorgio, neg. Deg_S2_10.tif).

simmetrico speculare, alle quali siaggiungono esili tiranti situati nellazona centrale del locale; le travi disolaio in cemento armato, inoltre,sono definite da linee spezzate adandamento ripetuto e simmetrico. Delle finiture disegnate dall’archi-tetto sono ancora presenti le finestrea motivi geometrici e probabilmenteanche la controsoffittatura con pan-nelli a listoni.Nelle intenzioni del progettista, inrealtà, l’atrio si sarebbe dovuto con-figurare come uno spazio articolatoin più vani, la cui ripartizione sareb-be stata scandita dagli assi definitidagli allineamenti dei pilastri metal-lici, per mezzo di sottili pannelliinseriti nella profilatura dei pilastristessi. Di grandissimo interesse è la strut-tura progettata a sostegno della gal-leria e che definisce lo spazio chesepara la sala dall’atrio, nonché lacopertura di quest’ultimo (Figg. 10-14). Un sistema di doppi pilastri in

cemento armato, di forma trapezioi-dale molto allungata, costituiscel’elemento principale di appoggiodella soletta della galleria, che termi-na a sbalzo nell’affaccio sulla sala,mentre si collega al sistema di pila-stri e tiranti collocati nell’atrio, tra-mite l’articolazione dell’armaturadelle gettate in calcestruzzo delletravi. Quest’ultima, disegnata indettaglio per ogni singolo elementoche la compone e studiata per poteressere ridotta al minimo essenziale,genera una forma geometrica e rit-mica, che imprime al soffitto unmodulato andamento di linee spez-zate10.Nella sala (Fig. 15), che ora è diffici-le vedere perché è stato asportatol’impianto di illuminazione, gli ele-menti strutturali, progettati per esse-re lasciati a vista costituiscono, nellasobrietà degli elementi decorativi dicorredo, gli aspetti formali di mag-gior risalto. Essi sono costituiti daglisnelli mensoloni in cemento armato,

di sostegno allo sbalzo della solettadella galleria, che si sviluppano apartire dai pilastri trapezioidali dicui si è detto. Questa complessa arti-colazione di elementi strutturali èconcepita come un organismo unita-rio che ancora oggi, a distanza ditempo, affascina per la sua concezio-ne formale e spaziale.Al momento, la parte centrale del-l’atrio è stata controsoffittata perinserire ulteriori punti luce all’im-pianto di illuminazione.

La crisi del settore dell’utenza cine-matografica ha ridotto drasticamen-te le presenze in questa sala diMestre, soprattutto in relazione allacarenza di un adeguato spazio nellevicinanze dove parcheggiare le autodei frequentatori del cinema. Da piùdi un anno, quindi, la sala cinemato-grafica è chiusa e sono già stateasportate, tra l’altro, le poltrone pergli spettatori e, come detto, l’im-pianto elettrico. La proprietà stacercando un possibile accordo conAmministrazioni pubbliche e priva-ti al fine di poter trovare una nuovafunzione ed uno sbocco commercia-le per questo locale. Nel frattempoha provveduto alla predisposizionedi un nuovo progetto che interessatutta l’area del complesso – proget-to che peraltro ha già ottenuto l’ap-provazione – e che prevede la com-pleta demolizione dell’intero fab-bricato e la ricostruzione di unnuovo stabile.

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Note1. Tra il 1951 e il 1956, nell’ambito dellapianificazione INA Casa, viene costrui-to ex novo un quartiere urbano in unalocalità della terraferma veneziana, ilVillaggio San Marco, secondo il proget-to redatto da Luigi Piccinato e GiuseppeSamonà.2. Questo prolungato ritardo nel conse-guimento del diploma di laurea potreb-be far presupporre un difficile rapportotra De Giorgio e l’Istituto Universitariodi Architettura di Venezia, o almeno conalcuni docenti. Al contrario, ci pare utilesegnalare, per la comprensione dello svi-luppo della sua attività professionale e inparticolare per quanto concernente allaprogettazione, al calcolo ed al collaudodelle strutture in cemento armato, checome studente era particolarmente sti-mato ed apprezzato da Guido Cirilliallora Ordinario di Composizione Ar -chitettonica, e da Carlo Minelli Or di -nario di Scienza delle Costruzioni, conil quale aveva istituito uno stretto rap-porto intellettuale e personale, esplicati-vo, forse, della sua particolare attenzio-ne allo studio delle strutture. 3. Quirino De Giorgio (Palmanova 1907-Abano 1998). Esordisce professional-mente, sebbene non laureato, nell’ambi-to del movimento futurista e diviene sti-mato progettista del regime fascista, suoprincipale committente, per il quale rea-lizza numerose opere pubbliche. Allafine della guerra, la sua qualità profes-sionale gli consente di mantenere unacontinuità lavorativa in ambito privato.Si vedano, al proposito: V. DAL PIAZ, E. PIETROGRANDE, D. SCHIESARI (a curadi), Quirino De Giorgio. Architetturedegli anni Trenta, Padova 1991. M.BACCAN, L. BEZZETTO, Un restauro delmoderno, Ravenna 2003. L. BEZZETTO,A. POSSAMAI VITA (a cura di), QuirinoDe Giorgio. Un futurista protagonistadel Novecento, catalogo della mostra(Padova, Musei Civici agli Eremitani, 14dicembre 2007-9 marzo 2008), Seren delGrappa 2007.4. G. MONTI, Vecchi cinema, in: Galileo,Padova e i luoghi del cinema, n. 169,Apr.-Mag. 2005, pp. 12-13. R. TOSATO,Quirino De Giorgio, un futurista al

cinema, in: Galileo, Padova e i luoghidel cinema, n. 169, Apr.-Mag. 2005, pp.26-33. G. MONTI, Un’occasione di civil-tà, in: L. BEZZETTO, A. POSSAMAI VITA,cit., pp. 19-21.5. Per quanto relativo alla costruzionedel Cinema San Marco, era già stato pre-sentato un progetto dall’ing. IvoIvanissevich che aveva ottenuto l’appro-vazione della Licenza Edilizia in data03.05.1961. La documentazione è depo-sitata presso l’Archivio Storico diMestre, b. 314/61.6. Gli archivi che custodiscono materia-le sulla produzione di Quirino DeGiorgio attualmente noti, sono l’Ar -chivio Studio De Giorgio di proprietàdella vedova dell’architetto, l’Archiviodel Comune di Vigonza (Pd), l’Archiviodi Alfredo e Giuseppe Furlan – solo perquanto relativo all’edificio di Mestre-Ve–, l’Archivio del Mart di Rovereto (Tn),che ha di recente acquisito documenta-zione di tipo esclusivamente fotografi-co. Tuttavia, una sistematica cataloga-zione del materiale contenuto in questiarchivi non è ancora stata effettuata.7. Di quest’opera, fino ad ora, era quasisconosciuta la paternità di Quirino DeGiorgio, forse perché essa si trova, neglielenchi del materiale d’archivio, men-zionata ora come Complesso San Marcodi Venezia, ora come Marco Polo diVenezia (alla recente mostra padovanaQuirino De Giorgio. Un futurista pro-tagonista del Novecento, a lui dedicata,ed organizzata dalla Regione Venetocongiuntamente al Comune di Padova,chi scrive ha fornito notizie e le copiedei disegni riprodotti in mostra e nelcatalogo).8. Nel ricordo di Giuseppe Furlan il tor-mentato rapporto con Quirino DeGiorgio è tuttora presente e nitido.Racconta, al proposito, che i motivi delcontenzioso erano principalmentedovuti alla tempistica: l’impresa esecu-trice e le ditte fornitrici di opere subap-paltate richiedevano continuamentedisegni esecutivi e di dettaglio in mododa poter chiudere la parte di cantiererelativa al Cinema; i Furlan infatti, pre-mevano per dare avvio al più presto allaloro attività commerciale. Accertato che

il loro progettista non dimostrava lasolerzia progettuale che loro esigevano,decisero di farne a meno e GiuseppeFurlan si incaricò di seguire le opere inprima persona. Quello che De Giorgiosicuramente non trascurò di fornire è ilprogetto delle strutture: numerosissimesono le tavole prodotte al riguardo econservate nel l’Archivio Alfredo eGiuseppe Furlan, che contengono indi-cazioni puntuali per ogni elementostrutturale in cemento armato da realiz-zarsi. Di questo stato delle cose ha cer-tamente risentito, invece, la definizionedell’apparato decorativo, degli arredi edelle finiture esterne ed interne, ad ecce-zione dei locali da adibire a sala cinema-tografica.9. Rispetto alla soluzione ideata da DeGiorgio, i committenti trovarono piùfunzionale una diversa distribuzionedegli spazi, al fine di consentire una age-vole organizzazione di quanti erano inattesa di accedere alla sala di proiezionetra uno spettacolo e l’altro. Venne dun-que eliminato il locale adibito a bar,lasciando completamente libero l’atrio.Anche la localizzazione della vendita deibiglietti fu cambiata e portata in un loca-le situato in facciata, in sostituzione diun vano scale ritenuto non più neces -sario.10. Le fotografie che riproducono fasioperative di cantiere sono state scattateda Quirino De Giorgio. Era sua consue-tudine, infatti, predisporre anche unadocumentazione fotografica dei lavorida lui stesso diretti.

* Architetto, docente di Storia dell’arte,insegna anche Restauro architettonicoallo IUAV - Istituto Universitario Ar -chitettura di Venezia.

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PremessaIl presente testo ha lo scopo didescrivere e diffondere un’esperien-za nell’uso dell’Agar per la forma-zione di Gel Rigidi applicata amanufatti lignei policromi, con ilimiti dell’attrezzatura di un comunelaboratorio di restauro.Siamo venute a conoscenza dell’ap-plicazione al restauro dei Gel Rigididi Agar durante un corso d’aggior-namento1, conoscenza approfonditapoi attraverso la lettura di una pub-blicazione2. L’occasione del restaurodi numerose tavelle lignee policromeci ha permesso di sperimentare l’effi-cacia di questo nuovo materiale peril perfezionamento della pulitura e,soprattutto, per l’asportazione diantiestetiche impregnazioni di tan-nino dai materiali costitutivi.

IntroduzioneLe tavelle lignee sulle quali si è inter-venuti derivavano da un antico sof-fitto a travi e cassettoni di un edificioprivato demolito in passato. Il mate-riale si trovava da anni accatastato, eciascun elemento era ancora ricoper-to dai numerosi strati di scialbo stesinelle varie manutenzioni dei locali diorigine (Fig. 1).Le tavolette, realizzate in legnod’abete e rastremate nello spessore(cm 1,7-1,8) su tre lati per l’inseri-mento nel solaio ligneo, hannodimensioni comprese tra cm 21×39 ecm 22×44.Sul lato superiore della maggiorparte delle tavolette era visibile unaporzione non ricoperta dagli strati di

tampone dell’eccesso di prodotto hafavorito la parziale rimozione deiresidui sovrammessi, ma non il rag-giungimento del livello ottimale dipulitura.Si è così sperimentato, per il perfe-zionamento della pulitura, l’impiegodi gel acquosi di Acido Poliacrilico(Carbopol) neutralizzato con laTrietanolammina a pH 5, risultato

Materiali eMetodi

scialbo poiché originariamenteoccultata dallo spessore dell’impal-cato del solaio; in queste zone erariconoscibile una decorazione, pertipologia e tavolozza databile allafine del secolo XV, tipica della pro-duzione locale di quel periodo.Nelle aree scoperte erano inoltrevisibili evidenti gore scure derivantida passate infiltrazioni d’acqua, cheveicolarono i tannini presenti nelsupporto ligneo.Gli strati di scialbo sono stati aspor-tati meccanicamente per mezzo dibisturi (Fig. 2) e, nelle zone in cui lastabilità della pellicola pittorica lopermetteva, con intervento localiz-zato di gomme sintetiche di variadurezza, che hanno permesso di rag-giungere un livello di pulitura nondefinitivo.Si è reso necessario effettuare, dopola prima fase di pulitura, un fissaggiopreliminare della pellicola pittorica,che manifestava in modo disomoge-neo difetti di adesione o di coesione,differenti per estensione e gravità aseconda, probabilmente, sia del-l’ubicazione originale delle varietavolette, sia della natura dei coloriche componevano la decorazione. La scelta dell’adesivo per il consoli-damento superficiale si è orientatasull’Alcool Polivinilico (Gelvatol),diluito in acqua e Alcol Etilico, per ilmoderato potere saturante dellesuperfici sulle quali viene applicato.La percentuale alcolica si prefiggevacome scopo una più veloce evapora-zione per contenere la solubilizza-zione dei tannini. La rimozione a

Un esempio di applicazione di GelRigidi di AgarPaola Guerra, Monica Abeni*

Fig. 1. Le tavelle lignee policrome primadel restauro.

Fig. 2. Primo tassello di pulitura per larimozione meccanica a bisturi degli strati di scialbo sovrammessi.

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molto utile per l’asportazione deiresidui di scialbo più resistenti (Fig. 5a). L’applicazione ha presenta-to comunque dei limiti in quanto ilgel perdeva la sua viscosità liquefa-cendosi, probabilmente per la pre-senza di sostanze proteiche neimateriali costitutivi la pellicola pit-torica che, inoltre, manifestava inseguito all’applicazione una disomo-genea fragilità.Quindi i tempi di contatto del gel diCarbopol sono stati estremamentecontenuti e localizzati alle zone dieffettiva necessità per la rimozionedei veli carbonatati, rimuovendo ilgel immediatamente con tampone asecco e con successivi risciacqui a

saliva artificiale (soluzione acquosadiluita, a pH neutro, composta diMucina).Tuttavia l’aspetto superficiale delletavolette, in seguito alle operazionisopradescritte, mostrava ancoraqualche residuo di veli di Carbonati,nonché l’antiestetica interferenzavisiva creata dalla saturazione datannino (Figg. 3a, 4a).Pertanto si è avuta la necessità disperimentare un materiale chepotesse solubilizzare e contempora-neamente trattenere la sostanzasolubilizzata, limitando al massimol’impregnazione del legno di sup-porto.

Sperimentazione del Gel Rigido diAgarAi fini di un test applicativo è statopreparato un piccolo foglio di GelRigido, ottenuto seguendo la proce-dura appresa dalle fonti citate ini-zialmente, utilizzando ml 50 diacqua distillata e gr 1 di Agar3. Ilfoglio, spesso mm 5, è stato suddivi-so per permettere la sperimentazio-ne su più tavelle, e appoggiato diret-tamente sulla superficie pittorica(Figg. 3b, 4b, 5b).L’osservazione continua durantel’applicazione ha evidenziato ilmoderato rilascio di acqua da partedel composto, con formazione di unpiccolo alone bagnato che deborda-

Materiali eMetodi

Fig. 3a-b-c. Sequenza dell’applicazione del gel rigido di Agar in una delle tavolette.

Fig. 4a-b-c. Sequenza dell’applicazione del gel rigido di Agar in una delle tavolette.

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Agar delle dimensioni delle tavolette.Avendo a disposizione attrezzaturanon professionale, e dovendo realiz-zare fogli grandi almeno cm 22×44,abbiamo utilizzato una normaleplacca da forno in metallo smaltatoche ci consentiva la preparazione difogli di cm 32×45×0,8 circa di spes-sore.Per la preparazione di ogni singolofoglio, secondo le proporzioni giàsperimentate, sono stati utilizzati gr20 di Agar in ml 1000 di acqua deio-nizzata. Data la quantità della misce-la da riscaldare a bagnomaria si sonoutilizzati recipienti in acciaio inossi-dabile, ben puliti, e per la miscela-zione una frusta da cucina, sempre

in acciaio. Durante la preparazionedei gel si è costatata l’importanza ditenere sempre sotto controllo latemperatura con un termometroinserito nella miscela, che deve rag-giungere e mantenere per circa 10-15minuti la temperatura di 80°, altri-menti non c’è la formazione del gel.Infatti, nella nostra sperimentazio-ne, la preparazione probabilmentefrettolosa e senza l’ausilio del termo-metro, ha inficiato la gelificazionedel preparato, che risultava d’aspettogranuloso e meno limpido. Era sortoanche il dubbio che la causa fosseimputabile alla scelta dell’attrezza-tura metallica. Un consulto ci hapermesso di correggere la procedura

Materiali eMetodi

Fig. 5a-b-c-d-e-f. Sequenza dell’applicazione del gel rigido di Agar in una delle tavolette.

va dal perimetro della porzione delfoglio di Agar, nonché il gradualeviraggio della superficie di contattodel foglio stesso da opalescente agiallo-bruna. Il tempo di contattoottimale del gel rigido si è rivelato di20-30 minuti.Il risultato di questa prima prova(Figg. 3c, 4c, 5c, 5d, 5f) è stato consi-derato soddisfacente per il grado disolubilizzazione e asportazione deitannini, ma ha posto il problemadella migrazione del tannino ai mar-gini del tassello con la formazione digore scure al di fuori dell’area ba -gnata dall’Agar (Fig. 5e). Questopro blema si poteva facilmente ovvia-re con la formazione di Gel Rigidi di

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Materiali eMetodi

Fig. 6a-b-c. Sequenza dell’applicazione del gel rigido di Agar in una delle tavolette.

Fig. 8a-b-c. Sequenza dell’applicazione del gel rigido di Agar in una delle tavolette.

Fig. 7a-b-c. Sequenza dell’applicazione del gel rigido di Agar in una delle tavolette.

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bisturi con maggior margine di sicu-rezza rispetto al descialbo iniziale.Le zone che denunciavano ancoracircoscritti problemi di decoesione,sono stati nuovamente trattate conun ulteriore fissaggio.

ConclusioniIl Gel Rigido di Agar si è rivelatoquindi idoneo ed efficace per lapulitura di manufatti di questa tipo-logia (Figg. 6c, 7c, 8c a fine restau-ro), che spesso manifestano analo-ghe casistiche di degrado, anche se èinusuale intervenire su soffitti ligneidisassemblati. Va sottolineato, dun-que, che la facilitata applicazione diquesti materiali è dovuta alla lavora-zione in piano e in laboratorio.L’utilizzo della stessa metodologiain cantiere, direttamente sui soffittie quindi con l’ausilio di controfor-me, rimane ancora da sperimentare.

Note1. Corso d’aggiornamento “Materiali eMetodi per la Pulitura” tenuto a Bresciadal Dott. Paolo Cremonesi nel Set -tembre 2006.2. E. CAMPANI - A. CASOLI - P. CRE -MONESI - I. SACCANI - E. SIGNORINI,L’uso di Agarosio e Agar per la Prepa -razione di “Gel Rigidi”, Quaderno n. 4/CESMAR7, Saonara 2007.3. Codice 05040 dal catalogo Fluka,Sigma-Aldeirch-Fluka, Milano.

Materiali eMetodi

di preparazione, ponendo particola-re attenzione al parametro tempera-tura, e interponendo un foglio dimelinex siliconato tra la placcametallica e la miscela di Agar. Questiaccorgimenti hanno permesso sia ilrecupero del gel non riuscito, riscal-dato nuovamente e portato a tempe-ratura ottimale, sia il completo suc-cesso nella preparazione dei foglisuccessivamente realizzati.I fogli di Gel Rigido preparati sonostati tagliati secondo le dimensionidelle singole tavelle e appoggiatisulla loro superficie (Figg. 7a, 8a).Manualmente, con una lieve pres-sione della mano, si sono estromes-se le bolle d’aria che si creavanonegli avvallamenti delle tavelle, nonperfettamente planari, garantendol’uniforme contatto tra le duesuperfici. L’impacco è stato lasciatoagire per una durata variabile tra i 20e i 30 minuti. È stato costatato chegli avanzi dei ritagli di gel, se giu-stapposti in modo preciso, potevanoessere utilizzati alla stregua di ununico foglio: l’umidificazione uni-forme del substrato non lasciavadiscontinuità nel livello di pulitura.Le immagini di seguito riportatedocumentano l’intervento eviden-ziando la quantità di tannino rimos-sa e inglobata nel gel di Agar (Figg.6b, 7b, 8b). Avendo notato che iltannino assorbito dall’impacco nonpenetrava nella totalità dello spesso-re del foglio (Fig. 5d), ciascun foglioè stato impiegato sia sul verso che sulrecto. Sulle tavolette maggiormenteinteressate dalle macchie di tanninol’operazione è stata ripetuta duevolte.Inoltre, i residui di scialbo ancorapresenti sulla policromia si sonorivelati facilmente asportabili conun’ultima revisione meccanica dellapulitura, verificando così l’efficaciadel fissaggio della pellicola pittoricache ha permesso una lavorazione a

* Monica Abeni e Paola Guerra sonotitolari dal 1993 dello studio di restauroAbeni Guerra Srl sito in Brescia. Lo stu-dio si occupa di conservazione e restaurodi dipinti murali, dipinti su tela e tavola,opere lignee policrome e con dorature.Esegue lavori per committenze pubbli-che e private sia in laboratorio sia in can-tieri esterni.

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La professione del restauratore-conservatore e l’insegnamento uni-versitarioIn Svizzera i corsi universitari perconservatori-restauratori competonoalle scuole di alta formazione, leScuole Universitarie Professionali,(Fachhochschulen, Haute écoles spe-cialisées o Universities of appliedsciences) dove l’insegnamento teori-co si unisce con la pratica professio-nale, lo svolgimento di prestazioni diservizio e la ricerca applicata. Il corsodi laurea in conservazione e restauro

istanze poste sia dalla riforma delsistema universitario sia dalle associa-zioni professionali attive in Europa(Fig. 1).Dal 2005 il contenuto dei corsi èstato adeguato alle disposizionicomunitarie secondo la così dettaconvezione di Bologna (sottoscrittanel 1999 da 48 nazioni) che prevedeche la laurea venga raggiunta attra-verso due tappe: una prima forma-zione triennale (Bachelor o laureabreve) seguita da due anni di studioche portano al conseguimento delmaster o laurea magistrale. In questomodo i titoli conseguiti in Svizzerasono equiparati ai corrispondentidiplomi di laurea europei. Parallelamente alla riforma del siste-ma universitario, a livello europeo siè a lungo discusso (e si sta ancoradiscutendo) sulla definizione deiruoli e dei profili professionali, conl’obiettivo di fornire indicazioni suilivelli qualitativi e sulle competenzeche devono contraddistinguere lediverse figure che entrano nelmondo del lavoro. La difesa dellecompetenze di un conservatorerestauratore, in particolare, vienefatta a partire dal grado di formazio-ne che si ritiene necessario impartirea chi vuole avvicinarsi alla cura dioggetti che appartengono al vastopatrimonio storico, artistico e cultu-rale e che sono, per loro natura,unici e inimitabili (Fig. 2). Le indica-zioni avanzate dalle due associazioniE.C.C.O. (European Confederationfor Conservator-Restorers’ Organi -zation) e ENCoRE (European Net -work for Conserva tion-RestorationEducation) sono confluite in docu-menti comuni che stabiliscono chetra i principali criteri per poter eser-citare la professione di conservatorerestauratore in modo autonomo eindipendente, ci sia quello di avereconseguito un grado di studio pari alMaster, ossia pari a cinque anni di

Insegnamento eRicerca

è attivo presso quattro istituti: laScuola Universitaria Profes sio naledella Svizzera Italiana (SUPSI), consede a Lugano, la Hochschule derKünste di Berna (HKB), la Hauteécole d’arts appliqués (HEAA Arc) diLa Chaux-de-Fonds e la FondazioneAbegg di Riggisberg (con laboratoridedicati esclusivamente al restaurodei tessili). Queste sedi si sono con-sorziate nel Swiss Conservation Re -storation Campus (www.swiss-crc -.ch) per ri spondere con un program-ma coordinato e unitario alle nuove

Insegnamento e ricerca: il SwissConservation Restoration CampusGiacinta Jean*

Fig. 1. In Svizzera la formazione universitaria è coordinata a livello federale. Lequattro sedi che offrono corsi di laurea in conservazione e restauro, con diversi indi-rizzi di approfondimento, sono riunite nel Swiss Conservation Restoration Campus.

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corso universitario o di livello equi-parabile1.In Svizzera, il rispetto di questeindicazioni viene osservato sia nellaformazione – le sedi universitariepresso cui è attivo il corso di laureafanno parte di ENCoRE – sia a livel-lo delle associazioni professionali –la SKR/SCR (www.skr.ch) che rap-presenta i conservatori restauratorisvizzeri è membro di E.C.C.O.

La ristrutturazione dei curriculaCon queste premesse è facile capirecome la ristrutturazione dei curricu-la abbia richiesto, a tutti i livelli,degli sforzi organizzativi e ammini-strativi notevoli. I corsi di laurea inconservazione e restauro, in partico-lare, hanno dovuto fronteggiare lanecessità di portare da quattro a cin-que gli anni di formazione a tempopieno, dando la possibilità a chivolesse terminare gli studi con il solotriennio di poter entrare nel mondodel lavoro ma, nello stesso tempo,distinguendo questi laureati con unprofilo professionale tale da nonconfondersi facilmente con chi hainvece completato i cinque anni di

formazione. Per garantire un coor-dinamento a livello federale delleazioni intraprese e la difesa dellecompetenze, diverse e complementa-ri, di ciascuna sede, si è deciso didefinire una serie di iniziative e pro-grammi comuni che seguissero dellelinee guida valide su tutto il territoriosvizzero. Le tre sedi presso cui è atti-vo il corso e la Fondazione Abegg(Abegg-Stiftung) che già da tempooffre, in collaborazione con laHochschule der Künste di Berna, uncorso continuo di cinque anni nelrestauro dei tessili, hanno strutturatoun programma e una serie di attivitàcomuni per garantire sia lo scambiodelle esperienze maturate nel corsodegli anni sia il rafforzamento a livel-lo federale dei propri ambiti di com-petenza. Ogni centro, infatti, è unasede di insegnamento e di ricercaspecializzata in uno o più settori.Oltre alla già citata FondazioneAbegg di Riggisberg (si trova ad unaventina di chilometri a sud di Berna)la Hochschule der Künste Bern(HKB) offre specializzazioni inarchitettura e arredamento; dipinti esculture; grafica, libri e fotografia;

materiali e media moderni; la Hauteécole d’arts appliqués Arc (HEAAArc) di La Chaux-de-Fonds offrespecializzazioni in archeologia eetnologia; strumenti scientifici, tec-nici e orologi; e, infine, la ScuolaUniversitaria Professionale dellaSvizzera Italiana (SUPSI) di Lugano,la specializzazione in dipinti murali,stucchi e superfici lapidee (Fig. 3). Lacaratteristica di questi indirizzi diapprofondimento è legata al loroparticolare inserimento nei diversicontesti culturali e linguistici: laFondazione Abegg possiede unadelle più importanti raccolte almondo di tessuti storici; grazie allasua ubicazione, la scuola di Berna hapotuto dotarsi di una fitta rete direlazioni con le istituzioni presentinella città federale; a La Chaux-de-Fonds sussiste uno stretto rapportocon l’archeologia, l’etnografia e lalocale industria orologiaia e infine,da Lugano e dal ricco patrimonio distucchi e affreschi del Ticino si apreuna prospettiva verso l’Italia dallaquale provengono continui stimolimetodologici nel campo della con-servazione e del restauro. Queste

Insegnamento eRicerca

Fig. 2. Mesocco (GR), chiesa di Santa Maria al Castello, SanBernardino (registro mediano dell’affresco attribuito aCristoforo e Nicolao da Seregno 1459-69).

Fig. 3. Mesocco (GR), chiesa di Santa Maria al Castello, affre-sco attribuito a Cristoforo e Nicolao da Seregno 1459-69, ana-lisi delle superfici.

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quattro località, inoltre, rappresenta-no sia le varietà linguistiche dellaSvizzera, sia la possibilità di aperturae di contatti con i diversi paesi euro-pei confinanti.Il Swiss Conservation RestorationCampus è diventato il luogo diincontro e scambio di tutti i docentie gli studenti presenti sul territoriosvizzero.Il progetto formativo è strutturatosecondo un bachelor in conservazio-ne della durata di tre anni e unmaster biennale di specializzazionein conservazione e restauro. I primidue anni del bachelor sono caratte-rizzati da un programma comuneche può essere seguito indistinta-mente presso ciascun istituto, men-tre dal terzo anno in avanti lo stu-dente segue un settore di specializ-zazione presso la sede responsabile.Durante i primi anni gli studentiseguono alcuni seminari comuni epossono frequentare gli stage offertidalle diverse sedi del Campus. Nelmettere a punto il programma, alcu-ni studenti hanno deciso di avviare la

Il Bachelor in conservazioneIl corso bachelor si propone di for-mare esperti nella conoscenza, nelladocumentazione e nella conserva-zione preventiva del patrimonio cul-turale. Questi aspetti costituiscono icampi di attività prevalente dei con-servatori che sapranno condurre unesame minuzioso dell’opera oggettodi studio, prestando particolareattenzione ai materiali impiegati, alletecniche di realizzazione, ai lorosignificati, alle alterazioni e alle lorocause. Agli studenti viene propostauna formazione articolata e interdi-sciplinare in grado di coniugarematerie scientifiche (chimica, chimi-ca dei materiali, analisi del degrado edelle forme di alterazione...) e uma-nistiche (storia dell’arte e della cul-tura, ...), aspetti teorici e capacitàoperativa (Figg. 4, 5).I primi due anni viene proposto unprogramma comune a livello svizze-ro di stampo generalista, volto amettere gli studenti a contatto condiverse tipologie di oggetti e indiriz-zato alla conoscenza dei materiali,

Insegnamento eRicerca

Fig. 4. Lugano (TI), Museo delle culture, catalogazione, analisi dello stato di conservazione e sistemazione in depositodella Collezione Nodari.

Fig. 5. Roveredo (GR), chiesa di San Fedele, pulitura deglistucchi.

loro mobilità già a partire dal secon-do anno per rendere più facile il loroinserimento all’interno della struttu-ra ospitante. La lingua di insegna-mento è quella della regione lingui-stica di appartenenza ma la biblio-grafia è multilingue, i docenti sonoin grado di capire e di accettare chele relazioni scritte e gli esami venga-no sostenuti in altre lingue federali oin inglese e la piattaforma internetpresso cui tutti i docenti mettono adisposizione le loro dispense e i rife-rimenti bibliografici è aperta a tutti,facilitando molto l’uso di linguediverse. Questo aspetto, unico intutta Europa, permette agli studentidi inserirsi in un mercato del lavoronon esclusivamente circoscritto alpaese di provenienza.

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delle tecniche artistiche, delle formedi alterazione e di degrado, delle tec-niche di rappresentazione e dellemetodologie di indagine. Lo studen-te viene invitato a sviluppare le suecapacità di osservazione e a com-prendere la natura, le caratteristichetecniche esecutive e lo stato di con-servazione dei manufatti storici,artistici e culturali. La formazioneavviene attraverso conoscenze inter-disciplinari e attraverso un continuoe diretto confronto con la praticaoperativa del trattamento/maneg -giamento dei manufatti. Durante ilprimo semestre gli studenti si occu-pano di capire come gestire le colle-zioni museali, come controllare glioggetti esposti e quelli in deposito,come misurare e osservare gli effettidel microclima e delle vetrine, comeorganizzare disinfestazioni, imbal-laggi, trasporti (Fig. 6). Nei semestriseguenti gli studenti lavorano inchiese o su opere d’arte all’aperto e

analizzano i manufatti, le tecnichecon cui sono stati realizzati, indaga-no la storia delle opere a partire dallaloro produzione fino a consideraregli effetti che provoca su di essel’ambiente in cui sono inserite (Fig.7). Per offrire maggiori occasioni dipratica e per aumentare le compe-tenze professionali, gli studentiseguono degli stages a tempo pienoper un periodo di cinque settimaneall’interno di ciascun semestre, sonocoinvolti nei progetti di ricerca incorso e sono invitati a seguire tiroci-ni esterni durante le vacanze estive.Nel terzo anno, gli studenti scelgo-no di approfondire un settore disci-plinare (con un anno di “pre-specia-lizzazione”) in uno degli ambiti dicompetenza di ciascuna scuola. Laparte pratica è ulteriormente svilup-pata e completata da specifichelezioni teoriche di approfondimen-to. Nel caso di Lugano, per esempio,viene approfondita da un punto di

vista teorico e pratico la conoscenzadelle tecniche pittoriche su muro,degli affreschi, degli stucchi e delledorature (Figg. 8, 9). Gli esercizi inatelier si alternano a casi studio incantiere dove lo studente è chiamatoad eseguire verifiche dello stato diconservazione di superfici condiverse caratteristiche costitutive edi degrado e a sviluppare progettipreliminari di intervento. Durante latesi finale gli studenti devono dimo-strare di sapere affrontare un proget-to di conoscenza di un oggetto indi-viduando i problemi presenti, lecause che li hanno generati e propo-nendo misure conservative rivoltesoprattutto a bloccare il progrediredei fenomeni di degrado. L’approc -cio al tema deve avvenire in modointerdisciplinare, unendo aspetti sto-rico critici, conoscenza scientificadei materiali e delle forme di altera-zione, capacità di osservare, descri-vere, rappresentare e agire (Fig. 10).

Insegnamento eRicerca

Fig. 6. Lugano (TI), Museo delle culture,controllo dello stato di conservazionedegli oggetti esposti.

Fig. 7. Sessa (TI), chiesa di Santa Maria in Corte.

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In questa fase così importante perassicurare la qualità della formazio-ne, è di fondamentale supporto lacollaborazione che si è instaurata congli Enti preposti alla tutela (Ufficiodei Beni Culturali, Istituto di dialet-tologia e di etnografia di Bellinzona,Ufficio dei Monumenti storici diCoira, Protezione civile), istituzioni(Musei, Comuni, parrocchie, entiprivati) e mondo professionale. Al termine degli studi i laureati sonoin grado di conoscere, descrivere einventariare beni culturali di diversotipo, appartenenti a tutte le epochestoriche; di preparare relazioni tec-niche, documentazioni scritte, grafi-che e fotografiche sui beni storici; didefinire misure di imballaggio, stoc-caggio, trasporto e di conservazionepreventiva; di conoscere le tecnichestoriche e di definire le misure di sal-vaguardia più appropriate.I laureati bachelor hanno conoscen-ze pratiche e teoriche tali da permet-tere loro il diretto inserimento nelmercato del lavoro come tecnici abi-litati a seguire, anche se in modo nonautonomo ed indipendente, progettidi restauro e di conservazione, con

particolare riguardo per la conserva-zione preventiva. Con un bachelorin conservazione è possibile lavorarepresso musei, collezioni, archivi,laboratori e imprese di restauro,svolgere interventi su manufatti ori-ginali sotto la supervisione di unconservatore restauratore ricono-sciuto dalle norme europee ECCO eENCoRE oppure continuare la for-mazione con un Master in Con -servazione e Restauro. Solo il titolodi Master, infatti, potrà permetterein futuro di svolgere la professionedi conservatore-restauratore in mo -do autonomo e indipendente, comeindicato dalle principali norme qua-dro europee sottoscritte anchedall’Associazione svizzera di con-servazione e restauro.

Il Master in conservazione e restauro Il corso di laurea master sviluppa leconoscenze acquisite durante il ba -chelor in conservazione, trattando inmodo approfondito le metodologie,i materiali e le tecniche di conserva-zione e di restauro in un particolaresettore di specializzazione e si ponecome obiettivo di integrare la ricerca

Insegnamento eRicerca

Fig.8. Roveredo (GR), Chiesa di San Fedele, osservazione eriproduzione di tecniche artistiche.

Fig.9. Roveredo (GR), chiesa di San Fedele, studio delle tecni-che di doratura.

applicata nella prassi operativa.Lo studio propone un approfondi-mento delle principali materie ed èrivolto alla formazione di competen-ze specialistiche in uno degli ambitiprofessionali della conservazione edel restauro nei settori di approfon-dimento attivi nelle scuole con -sorziate. Il corso di laurea può esse-re seguito a tempo pieno o a tempoparziale, parallelamente ad un’atti -vità professionale svolta in ambi -to affine a quella dell’indirizzo di studio.Il corso Master attivo presso laSUPSI di Lugano offre la specializ-zazione in conservazione e restaurodi dipinti murali, stucchi e superficilapidee. Agli studenti viene insegna-to come controllare le diverse fasiprogettuali che dallo studio dellostato di conservazione di un manu-fatto e dell’ambiente in cui esso èinserito, portano alla scelta e all’ese-cuzione di determinati interventi(Fig. 11).Le lezioni si svolgono in atelier, inlaboratorio e in cantiere per restitui-re nel modo più diretto lo strettolegame tra gli aspetti teorici e la pra-

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tica operativa. Sui cantieri gli stu-denti intervengono su affreschi, pit-ture murali a secco e ad olio, stucchi,intonaci, graffiti e dorature. AllaSUPSI gli studenti sono assistiti daun gruppo interdisciplinare di do -centi (restauratori, architetti, storicidell’arte, chimici e geologi) in modo

tale che le attività pratiche vengonoinserite in un più complesso quadrodi competenze. Parallelamente agliinsegnamenti pratico applicativi, icorsi teorici sono rivolti sia all’ap-profondimento degli aspetti chimi-co-fisici connessi ai trattamenti ese-guiti in cantiere sia a rendere lo stu-

dente sempre più autonomo ed indi-pendente nello svolgimento del pro-prio lavoro preparandolo alla gestio-ne amministrativa, giuridica ed eco-nomica di un progetto di restauro.Durante i primi due semestri vengo-no presentati e messi in pratica diver-si metodi di intervento, da quelli lar-

Insegnamento eRicerca

Fig. 10. Biasca (TI), chiesa dei SS. Pietro e Paolo, prelievo diSali.

Fig. 11. Biasca (TI), Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, sperimentazio-ne di nanocalci per il consolidamento della pellicola pittorica.

Fig. 12. Lugano (TI), prove di descialbodi una caminiera in stucco con l’impiegodel laser.

Fig. 13. Prove di materiali e tecniche di intervento.

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gamente utilizzati a quelli più inno-vativi, ne vengono discussi pregi edifetti in relazione alle caratteristichedel manufatto e del suo stato di con-servazione. Agli studenti viene forni-to un bagaglio di conoscenze di basema anche la capacità critica di affinar-le, sia durante i periodi di studio suc-cessivi sia durante la futura carrieraprofessionale. Dal terzo semestre, glistudenti cominciano ad affrontare untema di ricerca scelto da loro e a svi-lupparne gli aspetti conoscitivi edapplicativi mettendo in pratica quan-to appreso in precedenza. Questoimportante periodo di formazione,che condurrà alla tesi di Master, èinteso a sviluppare le capacità diautoapprendimento e ad incoraggiarela sperimentazione di nuove metodo-logie laddove quelle già note non sirivelassero adatte a risolvere il caso inesame (Fig. 12).Particolare attenzione viene riserva-ta nell’insegnare allo studente a

documentare e a trasmettere i risul-tati delle proprie ricerche in quantoquesto aspetto rappresenta un carat-tere della disciplina fondamentaleper gestire i rapporti con la commit-tenza, con le istituzioni preposte alcontrollo, con il mondo scientifico econ gli altri professionisti con cui ilconservatore restauratore sarà chia-mato a collaborare. Il quarto semestre è quasi interamen-te dedicato al lavoro di tesi, un lavo-ro di ricerca applicata che viene svol-to sotto il controllo di un relatore el’aiuto interdisciplinare del collegiodocenti. Il tema viene scelto dallostudente che con questo lavoro dovràdimostrare di aver sviluppato capaci-tà operative e critiche nell’esecuzionedi un intervento di conservazione erestauro, di saper approfondire i pro-pri interessi, individuare i problemi eimpostare le soluzioni. I temi sceltidovranno contribuire all’avanzamen-to delle conoscenze e fare riferimentoalla letteratura scientifica disponibilesugli argomenti affrontati. Le ricer-che proposte svilupperanno aspettirelativi alla lettura delle tecniche ori-ginali, alla conoscenza del contestostorico e architettonico, agli interven-ti e trasformazioni subite da unmanufatto nel tempo, al controllo

ambientale, alla diagnostica, allacaratterizzazione dei materiali, allostudio dei meccanismi delle forme dialterazione e degrado e alla propostadi un intervento di conservazione erestauro volto al rispetto dellasostanza materiale e delle caratteristi-che dell’opera (Fig. 13).Chi consegue il titolo di Master saràcapace di progettare, coordinare edeseguire lavori di conservazione e direstauro, comprese operazioni speri-mentali legate allo sviluppo di nuovemetodologie scientifiche; di realiz-zare semplici analisi scientifiche e divalutare e interpretare analisi piùcomplesse eseguite da altri; di colla-borare attivamente con i colleghi dialtre discipline (architetti, storici,archeologi, scienziati...), scambiandoinformazioni e competenze recipro-che. Il titolo consentirà di esercitarela libera professione, oppure di iscri-versi presso corsi di dottorato Ph.D.attivi all’estero.

Insegnamento eRicerca

Fig. 16. Lugano Trevano (TI), Dipar -timento Ambiente Costruzioni e De sign,attività al Laboratorio Tecnico Spe -rimentale (FT-IR).

Fig. 14. Croglio (TI), Oratorio di SanBartolomeo, gli effetti di precedentiinterventi di restauro (uso di cere micro-cristalline per la protezione dei dipinti).

Fig. 15. Lugano Trevano (TI), Dipar -timento Ambiente Costruzioni e Design,attività al Laboratorio Tecnico Speri -mentale (microscopio polarizzante).

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Le attività di ricercaLe metodologie di intervento nel set-tore della conservazione e del restau-ro sono oggetto di continue ricerchein costante sviluppo. Presso le sedidel Swiss Conservation Resto rationCampus sono attivi diversi settori diricerca applicata che si caratterizzanoper un forte legame tra la messa apunto di tecniche innovative, l’am-pliamento delle conoscenze teorichee la verifica del la ricaduta pratica diquanto realizzato in laboratorio. Daquest’anno, con un progetto di con-servazione programmata dell’insie-me delle sculture all’aperto di pro-prietà della Città di Lugano, sonopartiti progetti di ricerca che vedonocoinvolti docenti di diverse sedi e sispera che in futuro queste forme dicollaborazione vengano progressiva-mente ampliate.A Lugano le linee di ricerca sonoriconducibili a diversi ambiti legatialle pitture murali e ai materiali lapi-dei in generale: la storia delle tecni-che artistiche; la relazione tra lematerie prime (le rocce) e i manufat-ti (gli stucchi, ad esempio); la storiadelle tecniche di restauro della pittu-ra murale; la verifica dell’efficaciadei passati interventi di restauro; laconservazione preventiva per con-trollare e prevenire il degrado dellesuperfici architettoniche.Il corso di laurea in Conservazione erestauro attivo a Lugano ha svilup-pato una attività di insegnamento edi ricerca fortemente vincolata alterritorio, alla sua conoscenza e allasua protezione ma da qualche anno aquesta parte vi è sempre più apertu-ra verso altri Cantoni che richiedonole nostre competenze nello studiodegli stucchi, in progetti di ricompo-sizione di frammenti di affreschirecuperati durante scavi archeologicio per lo studio di pitture muralimedievali profondamente restauratead inizio secolo consentendo al

gruppo di ricerca di ampliare la zonageografica di riferimento. La siner-gia di competenze a livello federale,infatti, migliora la qualità dell’offer-ta formativa e delle prestazioni diservizio, permettendo alle scuoleconsorziate di rispondere in modocompleto e complementare alle esi-genze del territorio (Fig. 14).

Il ciclo di studi all’interno dellaSUPSI-DACDIl Dipartimento Ambiente Costru -zioni e Design (DACD) della SUPSI èun campus presso cui sono attivi cin-que corsi bachelor (in architettura,architettura di interni, comunicazionevisiva, ingegneria civile e in conserva-zione) e quattro centri di ricerca che sioccupano di territorio, comunicazio-ne e ambiente costruito (l’IstitutoScienze della Terra - IST, il Labora to -rio Tecnico Sperimentale – LTS, l’Isti -tuto per la Sostenibilità Applicataall’Ambiente Costruito - ISAAC e ilLabo ratorio di Cultura Visiva - LCV).I corsi bachelor sono strutturati inmodo da permettere di valorizzare lacomponente tecnica e la componenteartistica presenti all’interno del Dipar -timento con alcuni corsi che vengonoofferti trasversalmente ai diversi indi-rizzi. Sia nella formazione di base chenello svolgimento delle attività diricerca si sono instaurati rapporti dicollaborazione con gli altri corsi dilaurea e con le unità disciplinari. Atitolo esemplificativo si cita la collabo-razione con i corsi di architettura diinterni e di comunicazione visiva concui sono già in corso alcuni progettiche vedono coinvolti studenti dei tresettori nei temi della museografia(conservazione degli oggetti, allesti-mento, comunicazione), nello studiodi componenti impiantistiche (illumi-nazione di ambienti storici) e nellaproduzione di siti internet o di pubbli-cazioni su progetti di restauro incorso.

Una grande risorsa per il corso distudi in conservazione e restauro èrappresentata dalla presenza delLaboratorio Tecnico Sperimentaleattivo nella diagnostica e nella carat-terizzazione dei materiali costitutivi.Presso il settore “Conservazione erestauro” del laboratorio è possibileeffettuare prove sulle proprietà fisi-che, chimiche, meccaniche dei mate-riali, analisi mineralogiche e strati-grafiche, indagini termografiche,prove d’invecchiamento accelerato eprove penetrometriche sulle struttu-re lignee, attività di monitoraggiomicroclimatico (utili per stabilirel’evoluzione dei fenomeni di degra-do e valutare le misure di conserva-zione preventiva da adottare) e laverifica delle tecniche di conserva-zione. I docenti delle materie scien-tifiche e diagnostiche sono gli stessiricercatori attivi presso il Labo -ratorio e nelle attività di ricerca lacollaborazioni tra scienziati dellaconservazione e conservatori è con-tinuo (Fig. 15, 16).

Note1. Si veda: Clarification of Conser va tion / Restoration Education at Uni versity Le -vel or Recognised Equi valent, 3rd Ge -neral Assembly of ENCoRE (Euro peanNetwork for Conservation and Resto -ration Edu cation), 19-22 June 2001, Mu -nich, Germany e E.C.C.O. - ENCoREPaper on Education and Access to theCon servation-Restoration Profes sion,Pro fessional Guidelines (III): BasicRequirements for Education in Conser -vation-Restoration, documento appro-vato dall’assemblea generale della Euro -pean Confederation of Conser vator-Restorers’ Organisations (E.C.C.O.)(Brussels, 7 March 2003) e dall’assembleagenerale di ENCoRE (Torun, 9 May2003).

Insegnamento eRicerca

* Responsabile del corso di laurea inConservazione e restauro, SUPSI [email protected] - www.cr.supsi.ch.

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“... L’edificio presenta un’esistenzache inevitabilmente si esaurisce e,attraverso un processo di naturaledisgregazione fisico-chimica, diventaruina, situazione limite antecedentela totale e definitiva distruzionemateriale”. Questa citazione di JohnRuskin introduce in modo incisivo iltema della rovina e della sua conser-vazione.Il problema del recupero dei “vecchicentri urbani” tradizionalmenteintesi è divenuto un tema centraledel dibattito culturale. Osservandola storia del patrimonio architettoni-co non si può fare a meno di consta-tare che ci troviamo di fronte ad unprocesso di depauperazione sia fisi-co sia dei valori, un reale e continuoprocesso di “ruderificazione”.Il tempo, l’incuria, le manomissioni,l’evolversi dei cicli economici, cultu-rali e sociali, il succedersi di terre-

dall’altro hanno suscitato variegateinterpretazioni e successive reazionianche molto differenti tra loro.Passando ad esaminare in manierapiù specifica il tema, gli interventirisultano veramente difficoltosi, per-ché risentono, il più delle volte, del-l’esigenza di una scelta coraggiosa enon facile: quella di connettere sto-ria e realtà. È il dilemma di come“mantenere” il segno del passato e dicome nascondere o no il propriosegno. Insediamenti storici mutiliche si rifiutano con ostinazione diessere estirpati o sepolti, nuovi inse-diamenti che cancellano ogni tracciadel passato, insediamenti trasformatidai segni del tempo in cui convivo-no, a volte in armonia altre in modoforzato, frammenti di architettura diepoche diverse.Quando, se, come intervenire, in chemodo “usare” il rudere sono da sem-pre motivo di un vivace dibattito chelascia aperte molteplici possibilità.In che modo la rovina deve esseremantenuta? Come si deve affrontareil problema della sua fine?Alla fine del XVIII secolo il temadella conservazione delle rovinediventa, addirittura, motivo di man-

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moti, frane, alluvioni, l’incalzare diguerre locali, l’abbandono di origi-nari insediamenti, le modificazioninell’uso, sono causa di rovina diinteri centri urbani. Un insediamen-to storico allo stato di rudere portascritte le vicende di una continuatrasformazione spesso complessa: ilsuo processo di ruderificazione instretta relazione con la storia, simanifesta attraverso la distruzione ol’eliminazione parziale di strutture,livelli e stratificazioni1. Il problema riguarda una porzionenon indifferente del patrimonio edi-lizio nazionale, ma come ci si è com-portati finora?Solitamente si assiste ad un dupliceatteggiamento: da un lato tali testi-monianze colpite da eventi traumati-ci, hanno stimolato il sorgere dinuovi abitati e, quindi, l’abbandonototale degli originari insediamenti,

Centri storici allo stato di “rudere”.Strategie conservative a confrontoConcetta Nigero*

Fig. 1. Oasi di Ninfa. Veduta d’insieme. Fig. 2. Oasi di Ninfa. Particolare.

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tenimento dell’immagine, tanto dagiustificare, per maggior naturalez-za, l’invenzione e l’allestimento di“false rovine” a completamento delpaesaggio circostante. Lo stessoideatore del Bosco di Bomarzo, PierFrancesco Orsini, sembra che si siadivertito attraverso il ricorso sceno-grafico al frammento simulato. Ma ilfalso rudere è progettato per il suospecifico scopo di “rappresentazio-ne suggestiva”, altra cosa è un manu-fatto in rovina. Il vasto e multiformepatrimonio ruderizzato, costituitoda testimonianze di natura e formeprofondamente diverse che vannodal minuto oggetto, friabile e biso-gnoso di protezione, al grandemonumento ancora emergente nelpaesaggio urbano o extraurbano,dalla labile traccia di un antico inse-diamento urbano ad interi sitiarcheologici, subisce, nell’azioneconservativa, proprio a causa di que-sta eterogeneità del loro diversogrado di consistenza in cui ci per-vengono, trattamenti e sorti profon-damente diversi.In particolare, dalle esperienze direstauro finora condotte sui piccolicentri in rovina, risulta definito, in

modo generalizzato, un forte inte-resse, tanto per l’esigenza di rifun-zionalizzazione, quanto di musea-lizzazione in loco dei resti. I criteridi intervento sono, ovviamente,diversi a seconda del “valore” che siintenda loro attribuire. Operazionequesta veramente difficile perchérisente, il più delle volte, dell’esigen-za di connettere antico e modernonel rispetto dei noti valori riegelianidell’antico, storico, d’uso, estetico,ma anche dei valori ambientale, fisi-co, culturale, economico e sociale.Nel caso del tessuto storico “mino-re”, una parte preponderante del suo“valore” è racchiuso nella sua essen-za di costruito e perciò proprio nelprocesso che ne ha definito, attra-verso trasformazioni capillari omacroscopiche, il suo aspetto attua-le. Sia che si tratti di singoli edificiruderizzati all’interno di antichi abi-tati, sia che si tratti di interi insedia-menti in rovina, si è di fronte in ognicaso a “ruderi” non più individuabi-li fisicamente, assenti dalla memoriadegli stessi abitanti, o a volte, quasiinteramente assorbiti dalla vegeta-zione. Conservare i ruderi di singolepresenze all’interno di un contesto

urbano, per garantirne la funzionali-tà anche con il sacrificio di alcunesue parti, è ciò che si fa comunemen-te inserendo nuovi materiali e nuoveforme. L’approccio conservativocambia di fronte ad un intero agglo-merato urbano ormai in rovina. L’intento è quello di argomentarealcune reazioni, tendenze e atteggia-menti, particolarmente singolari esignificativi, concernenti il rapportotra intero centro storico in rovina erestauro, in modo da fornire qualchespunto di riflessione per far emerge-re la complessità del tema visto dadiversi punti di osservazioni, spessocontraddittori. Variegate sono lesituazioni contingenti; diverso lostato di conservazione e la quantitàdi materia storicizzata presente;molteplici e di segno opposto leaspettative della collettività e le fina-lità dell’intervento.Esistono casi in cui si è abituati aguardare con gli occhi del romantici-smo, dove il rudere pittoricamenteviene ricoperto dalla flora. Sul pianoiconografico, proprio per la suaindubbia forza pittorica, è la vegeta-zione che svolge un ruolo di prota-gonista, entrando a far parte, in

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Fig. 3. Gibellina. Cretto di Alberto Burri. Fig. 4. Bruzzano Zeffirio. Veduta d’insieme.

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modo talvolta prepotente dell’im-magine mentale della rovina e dellasua vicenda figurativa2. Solo verso lafine del XVIII secolo, la vegetazioneacquista lo status di attributo essen-ziale, di insostituibile complementodella rovina. Nel clima romanticodell’Ottocento si è arrivati addirittu-ra a formalizzare il valore esteticodelle rovine. Ma i segni del trascor-rere del tempo producono sempreun effetto suggestivo?Sembra che il destino irreversibile dimenomazione acquisti un voltoaccettabile, un nuovo status esteticograzie ad una sapiente aderenza tracostruito e natura. È il caso dell’Oasidi Ninfa3, splendido e selvaggiogiardino ricco di rovine, di edificiantichi e celebri chiese che costitui-vano un tempo l’antica città medie-vale. È certamente la più famosa frale «città morte» laziali, resa celebredalle descrizioni del Gregoroviusche la definì la Pompei medievale.Ninfa oggi è il ricordo di una picco-la, ma florida cittadina medievale, lacui vicenda si consumò nel volgeredi circa 600 anni, tra la fine dell’VIIIe la fine del XIV secolo; ed è unafantasmagoria di verde, fiori, alberi,cespugli, piante di ogni tipo, acqua,

ricreata da un genius loci tra il 1910 eil 1922 e nel 1950 e “ridisegnata” infunzione puramente estetica. Il giar-dino di Ninfa è il trionfo del giardi-no romantico, reso possibile graziealla magia del luogo, alle sorgentid’acqua, al clima e alla presenza dellerovine del villaggio medievale diNinfa. Il giardino artificiale unisce,dunque, arte e natura, in una combi-nazione unica spesso contrastanteche, tuttavia, non può non conside-rare che gli attori principali del giar-dino sono le piante, esseri viventiancorati al terreno in modo compa-tibile con la conservazione dellerovine. Nel giardino inglese le pre-senze naturali non sono seconde aquelle architettoniche, ma sonodominanti o semmai alla pari; lanatura è una realtà figurativa instretta compenetrazione col costrui-to. Ninfa rappresenta in pieno que-sta scelta: le presenze arboree rive-stono nel parco un ruolo paritariorispetto alle superstiti presenzearchitettoniche. La vegetazione èutilizzata come elemento finalizzatoalla valorizzazione dell’intero siste-ma oasi/rudere.Naturalmente, essendo il materialevegetale vivente, in grado di svilup-

parsi, trasformarsi e concludere ilsuo naturale ciclo vitale in intervallimolto brevi, è sottoposto insieme airuderi, ad una manutenzione perio-dica da parte dell’uomo. Si trattadella messa a punto di un’esteticadella presentazione dei ruderi: ilfondersi dei resti del Castello, delleChiese di S. Maria Maggiore, S. Gio -vanni, S. Biagio, S. Salvatore, deipalazzi, delle case, delle mura, con larigogliosa vegetazione sapientemen-te ambientata, anche dal punto divista romantico, e con il laghetto dacui nasce il fiume Ninfa, e l’intrecciodei vari corsi d’acqua che qua e làspuntano nel giardino, forma ununicum assai gradevole (Figg. 1-2).

Appartiene ad una cultura totalmen-te differente la sigillatura delle rovi-ne per la memorizzazione del passa-to, ovvero la “burrinata” commessain Sicilia a Gibellina4. A volte è pro-prio l’opera dell’uomo a stravolgeredefinitivamente il significato delresti materiali a noi pervenuti, facen-doci perdere quella fonte di cono-scenza che questi costituiscono. È,allora, difficile e rischioso parlare divalorizzazione o di recupero di que-sti resti, sempre che con ciò non s’in-

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Fig. 5. Bruzzano Zeffirio. Particolare. Fig. 6. Borgo e Castello di Amendolea. Veduta d’insieme.

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tenda semplicemente il garantirne laloro percepibilità e trasmissibilità. Questa considerazione ha trovatouna puntuale conferma nel caso diGhibellina, distrutta dal terremotodel 1968 e interamente ricostruitapoco distante dal luogo dove sorgeva.Sulle rovine dell’antica cittadina,Alberto Burri ha ideato il Cretto,scenario artificiale per la memoriz-zazione del passato e per l’isolamen-to dell’evento catastrofico. I ruderidi Gibellina vecchia di scarsa valen-za, ma in ogni caso esempio di unastratificazione storica, furono com-pletamente sepolti e sigillati dallamega scultura: un cocente strato dicemento bianco riveste completa-mente i resti lasciando a vista l’im-pianto viario. L’opera di Burri è datrascriversi in una pseudo cultura delnuovo architettonico, che non solodimentica e polverizza la tradizionee la cultura che da essa scaturiva, mache sostituisce l’antico al nuovo. Sitratta di un approccio che non nasceda un’esigenza di salvaguardia, bensìda un intento di trasfigurazione dellatragedia causata dalla calamità natu-rale. Dunque, rientra nella sfera delleopere concepite per trasmettere alfuturo una testimonianza concettua-le, intellettuale, piuttosto che unasopravvivenza materia (Fig. 3).

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Fig. 7. Borgo Amendolea.

Fig. 8. Borgo Amendolea. Planimetria.

Fig. 9. Borgo Amendolea. Stato di fatto. Veduta assonometrica.

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Ma cambiamo registro. Nei centristorici l’intervento di “tipo archeo-logico”, solitamente, rimane gene-ralmente assente o estremamentelimitato e, comunque, si presentacon una sporadicità e una occasio-nalità che dipendono, ma non sem-pre, dalla particolarità del caso. InCalabria Bruzzano Zeffirio, centrodi origine bizantina abbandonato inseguito al sisma disastroso del19085, rappresenta un esempio note-vole di questo orientamento. Lacostruzione a valle del nuovo centroabitato a circa un chilometro didistanza dall’antico borgo di Bruz -zano Vecchio, giustifica l’insolitascelta operata. Del primo nucleoabitativo, conservato nella sua strut-tura medievale, rimangono conside-revoli frammenti murari. Lo spetta-colo è suggestivo, soprattutto neipunti in cui la roccia Armeniamodellata dal tempo, quasi si fondecon la pietra dei muri rimasti ancorain piedi. C’è, indubbiamente, unproblema di rifunzionalizzazione.Non è facile, infatti, suggerire fun-zioni nuove per un intero tessutostorico ormai privo della comple-tezza formale, ormai morto nellefunzioni ricettive e che ha scarsepresenze monumentali6. A testimo-niare questa difficoltà valga per tuttil’esempio di Bruzzano quale esem-pio di “musealizzazione” al l’aperto,ma anche di “conservazione” e dirispetto delle tracce rimaste. Si trat-ta di un particolare caso in cui sipreferisce mantenere l’aspetto rovi-noso complessivo, piuttosto cheproporre invenzioni con vaste rico-struzione giustificate dalla pretesadi rendere il centro “comprensibile”o “vivibile”. L’in ter vento di prote-zione delle creste murarie con spal-mature di malta offre un impattovisivo particolarmente suggestivoed insolito per una fitta edilizia dicarattere rurale (Figg. 4-5).

Altro caso emblematico il borgo diAmendolea situato al centro del-l’area grecanica della Provincia diReggio Calabria a circa 350 m sullivello del mare, su una roccia domi-nante la confluenza dell’Amendoleae del Condofuri, in un paesaggiocaratterizzato dalla grande ampiezzadel letto delle fiumare e dalla impo-nenza dei rilievi. L’antico borgo fupesantemente danneggiato dal terre-moto del 1908 e definitivamenteabbandonato dopo l’alluvione del1956. Tipico di Amendolea e di altripaesi limitrofi è lo schema linearecaratterizzato da una conformazio-ne allungata tipica dei centri di spro-ne. L’abitato mostra in sommitàl’emergenza della chiesa di SantaMaria Assunta e il castello feudaledei Ruffo; lungo le pendici del crina-le, il borgo (Figg. 6-7). Un asse via-rio principale fiancheggiato daneglette abitazioni, attraversa ilpaese, collegando le due estremità: lachiesa e il castello (Fig. 8). Lungo ildeclivio si dispiegano due vie secon-darie, che permettono l’accesso allealtre case. Non mancano ovviamen-te sentieri angusti e tortuosi di colle-gamento nel pieno rispetto di unoschema feudale. L’interesse dell’abi-tato sta nell’essere rovina da duesecoli, quindi conservato nella suastruttura medievale, prima chemodificazioni politiche ed il pro-gresso tecnologico lo modificassero(Fig. 9).Studi ed approfondimenti hannopermesso di sviluppare una propo-sta progettuale che da occasionedidattica potrebbe tramutarsi in unconcreto strumento operativo speri-mentale7.Il progetto propone una duplicesoluzione tenendo conto delle condi-zioni complessive dei casi in oggetto(Fig. 10): la prima soluzione prevedeun intervento di manutenzione adot-tabile su quei manufatti in stato

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Fig. 12. Borgo di Amendolea. Progettodi Ricostruzione. Intervento di integra-zione di parti mancanti.

Fig. 10. Borgo di Amendolea. Propostaprogettuale. Veduta Assonometrica.

Fig. 11. Borgo di Amendolea. Progettodi Manutenzione. Intervento sulle crestemurarie mediante baule.

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d’avanzata rovina di cui rimangonotracce al livello perimetrale (h nonsupera i 2,50 m per cui i resti nonpongono problemi di sicurezzastrutturale). Non conoscendo esatta-mente l’elevazione originaria deiparapetti, l’intervento conservativorelativo allo “skyline del rudere”riguarda la protezione delle crestedei muri, mediante la realizzazionedi bauletti in pietrame, essendo partedegli edifici sprovvisti di quei segni“indispensabili”, inoppugnabili percongetturare una riedificazione egarantire l’immagine dell’edificiopreesistente (Fig. 11); la secondasoluzione prevede un intervento diricostruzione di quei manufatti ca -ratterizzati da una assenza di conti-nuità strutturale della scatola spazia-le e si presentano in configurazionigeometriche e statiche profonda-mente alterate (h supera i 3 m, per cuicomporta un alto rischio che i resticollassino facilmente). La reintegra-zione di parti mancanti del costruitopermetterebbe il ripristino della fun-zionalità dell’edificio per via di trac-ce evidenti presenti sull’edi ficio stes-so (alloggi delle travi del tetto e delsolaio, porzioni di muro, partitiarchitettonici) (Fig. 12).

Gli esempi selezionati e rivisitatiattraverso una sorta di “itinerario diriflessione” offrono solo uno stral-cio limitato di una realtà molto piùampia caratterizzata da moltepliciorientamenti particolarmente assor-titi. Fino a questo momento i centristorici italiani, in linea generale,hanno subito l’abbandono oppureprofonde demolizioni manomissionie un’espansione a macchia d’olio diinterventi invasivi che hanno altera-to profondamente l’armonia dell’an-tico tessuto edilizio. Forme semplicidi un’architettura povera per neces-sità economica trovano la loro forzacome elementi della memoria di un

paesaggio che si sta trasformando edi cui sentiamo il bisogno di mante-nere le tracce. Il tema impone certa-mente una più generale riflessione,oltre ad affrontare aspetti relativi allecaratteristiche tecniche degli inter-venti, è, infatti, di per sé, indagabilesotto diversi aspetti: teorico, storico,economico, normativo, ecc. La con-servazione di un rudere è ben piùonerosa e delicata di quella di unimmobile integro, completo di tuttele sue parti. C’è un’economia, unasociologia, un’antropologia e persi-no un’estetica delle rovine che lecostituiscono come bene altamenteconsumabile, e, dunque, redditizioper la società contemporanea. Oc -corre che l’insieme delle potenzialiqualità della rovina vengano esaltate,piuttosto che avvilite, come pur-troppo accade nella maggioranza deicasi, soprattutto in Italia. È infatti, infase di pianificazione preventiva cheandrebbero trovate soluzioni ade-guate affinché piccoli borghi ormaiin rovina quali Santa Maria delCedro o Amendolea in Calabria oCampomaggiore Vecchio in Ba sili -cata o Civita di Bagnoregio in Lazioo mille altri, vengano valorizzate etutelate al fine di evitare il loro deca-dimento e disfacimento totale.Su tutto un’unica certezza: la con-servazione eterna non è possibile,pur di fronte ad una sperimentazio-ne carica di responsabilità morali,pluralistica e soprattutto conscia delcarattere frammentario degli inter-venti. Ambiguità, paradossi e con-traddizioni sono, allora, i più rile-vanti punti di interesse, per cui nonpossono esservi su questo pianoaccordi generali, verità acquisite eparole conclusive. Ogni rudere continuerà a vivere sequalcuno continuerà a viverlo siacome documento storico, sia comesorgente di suggestioni.

Note1. M. LO CURZIO, Architetture e ruderi-ficazione, in Le rovine nell’immaginedel territorio calabrese, Quaderni diControspazio, Gan gemi Editore, pp.239-250.2. Il termine pittorico si riferisce allaresa visiva della vegetazione. È implicitoil rinvio al “pittoresco” come gusto pergli oggetti degradati e mutili, per la poe-sia delle rovine, per i ruderi intrecciatialla vegetazione spontanea. 3. S. SFERLAZZO, Un’oasi di serenitànella pianura pontina, in “Incontri”, n.64/2000.4. G. COSTANZA, I giorni di Gibellina,Palermo 1980; B. INGOGLIA, Gibellinanella sua storia civile e sacra, Palermo1981. 5. R. MALASPINA, Città morte inCalabria, in Le rovine..., cit., p. 141.6. A. MARINO, Rovine: finestre sulleidentità dei luoghi, in Le rovine..., cit.,pp. 53-58.7. Il progetto è redatto da ConcettaNigero. Per un approfondimento si vedaC. NIGERO, Architettura minore in rovi-na tra conservazione, rifunzionalizza-zione e musealizzazione. Il borgo diAmendolea: una proposta progettuale, in“Restauro Archeologico”, n. 3/2006,Bollettino del Gruppo di Ricerca sulrestauro archeologico Conservazione ema nu tenzione di edifici allo stato rudere,Università di Firenze, Alinea Editrice.

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* Architetto Conservatore e Dottore diRicerca in Conservazione dei beni archi-tettonici ed ambientali, DipartimentoPatrimonio Architettonico e Urbani -stico, Università degli Studi Mediter -ranea di Reggio Calabria.

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La sostituzione degli elementi deco-rativi lapidei nei cantieri di restaurodelle architetture è un’operazionespesso non ben documentata. È d’al-tronde impossibile pensare che imonumenti che noi ammiriamoancora oggi siano rimasti immutati altrascorrere del tempo e degli eventi. Occorre innanzitutto precisare chenell’ambito di questo articolo perelementi decorativi intenderemomodanature, cornici, ornato di capi-telli, guglie, cuspidi, ecc, che solita-mente si trovano a corredo di grandimonumenti e tecnicamente, sonocompresi nelle “superfici dell’archi-tettura”. Non sono invece prese inesame le strutture portanti, anche se,tale distinzione può divenire sottile– come ad esempio per i capitelli –,poiché alcuni elementi decorativipossono avere anche una fortevalenza strutturale.Da sempre eseguita nel corso deisecoli, la pratica delle sostituzionidegli elementi decorativi – e nonsolo – lapidei, è diventata più rara apartire dai primi anni del Nove -cento, incontrando nel corso delsecolo scorso critiche sempre menovelate in coincidenza con l’evolversidelle teorie sul restauro e con l’affer-marsi del concetto di “originalitàdell’opera d’arte” modernamenteinteso.Solo in termini relativamente recentiil concetto di rispetto per l’originali-tà del monumento e della sua fisicitàha implicato un cambiamento nellagestione degli edifici e tali operazio-

data ad un Ente che provvede tral’altro alla tutela, alla valorizzazionee alla promozione dell’edificio adessa assegnato. Tra i principali com-piti di questi Enti vi è quello digarantire fisicamente la sopravviven-za dell’edificio di culto, attuandoun’attenta attività di controllo e dimanutenzione che si differenzia tut-tavia nelle scelte esecutive a secondadel complesso considerato.Per i monumenti secolari come legrandi cattedrali, il problema delladurata fisica della materia si ponequotidianamente e le scelte che nederivano fanno ormai parte di unaroutine consolidata ed in un certosenso “storicizzata”. Per l’enormità degli interventi daprevedere, progettare e programma-re e per la complessità architettonicadei monumenti considerati, tali Entihanno a volte un cantiere di conser-vazione permanente. Si tratta princi-palmente di cantieri di conservazio-ne poiché periodicamente l’interoedificio viene percorso nella suainterezza compiendo il rilievo delleparti decorative e individuandoquelle degradate. Ovviamente nontutte le varie Opere agiscono allostesso modo, ognuna valuta in pienaautonomia (con l’appoggio dellacompetente Soprintendenza) la ne -ces sità di eseguire o meno dellesostituzioni e se sì in quale modoeffettuarle. Dall’analisi dei documenti ottocen-teschi emerge che ogni volta che siparla di restauro s’intendono più omeno massicce operazioni di ripri-stino e o sostituzione di elementidecorativi e soprattutto statici. Per imanufatti edilizi secolari, interventidi questo tipo ne garantivano nonsolo la sopravvivenza, ma soprattut-to la continuità d’uso e la sicurezza. Emblematici in proposito sono irestauri ottocenteschi al Battistero edalla Cattedrale di Pisa, ampiamente

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ni sono diventate sempre più rare.Nel corso del XX secolo il dibattitosu se fossero corretti o meno inter-venti in stile contemporaneo su edi-fici antichi, pur se molto acceso, nonha portato a soluzioni definitive. Lasciando a voci più autorevoli lequestioni sulla legittimità dell’artecontemporanea di integrarsi o menocon l’architettura antica, quello checi preme rilevare è come un’attentaattività di manutenzione e di restau-ro sia senza dubbio indispensabileper garantire la sopravvivenza di unmonumento. Occorre tuttavia sotto-lineare che oggi, le possibilità di assi-curare la permanenza in vita della“materia originale”, sono notevol-mente aumentate.In passato, tali operazioni non veni-vano nemmeno considerate inter-venti di restauro, bensì semplice-mente attività di manutenzione chesi legava direttamente alla tradizionestorica dell’edificio. Per comprendere meglio questoconcetto è sufficiente vedere comealcune delle principali cattedrali ita-liane siano state accompagnate sindalle origini da un’istituzione ad esseparallela. Si tratta dell’Opera oFabbriceria1 che, nel corso dei seco-li, ha garantito prima la nascita stes-sa dell’edificio e poi la sua sopravvi-venza.L’Opera è un’istituzione che, specieper i grandi complessi monumentali,sopravvive ancora oggi seppure evo-luta nelle forme e negli intenti. InItalia, ogni grande cattedrale è affi-

Il problema della sostituzione deglielementi decorativi lapidei nelrestauro delle cattedraliSonia Giannella*

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o di nuova invenzione (Figg. 1, 2).Analoga la sorte del vicino Bat -tistero, tanto che già nel 1837 si levòla voce di protesta di Carlo Lasinioche giudicò tale prassi: «cosa mo -struosa il farsi ad abbattere spietata-mente qualche vecchio pezzo diornato un po’ guasto e corroso daltempo per porre in sua vece unmoderno che tanto stona col coloritocupo dell’età – e quel che è peggiol’imbrattare il marmo bianco constrisce di tinta nera – lo che dà indizionon solo di pessimo gusto, ma di cras-sa ignoranza e presunzione d’arte»7.Carlo Lasinio non fu l’unico adaborrire la tecnica del “cuci-scuci”,molti altri esponenti dell’élite cultu-rale del tempo criticarono tali lavori,tanto che fu addirittura istituita unacommissione d’indagine. Alcunianni dopo J. Ruskin espresse il suosdegno in una lettera al padre scri-vendo: «questi disgraziati hannoalzato dei ponteggi intorno al Bat -tistero e stanno sostituendo i beimarmi antichi degradati con operemoderne del peggior genere».Tuttavia, il Battistero e la Cattedrale

di Piazza dei Miracoli non furono enon sono gli unici monumenti sog-getti ad attenzioni di questo tipo.Il Duomo di Milano ad esempio, perla mole dell’edificio, per la vastità evarietà delle forme, per la complessi-tà dei fenomeni di degrado, rappre-senta uno degli esempi più comples -si di manutenzione programmata (Fig. 3). Esso è dotato di un cantierepermanente che agisce in modo pre-ventivo, senza aspettare l’emergenza.Il restauro si rivolge all’intero appa-rato decorativo, in particolare agliornati, alla statuaria e al paramentomarmoreo esterno ed interno.

La Veneranda Fabbrica del Duomodi Milano sistematicamente in fase direstauro effettua la sostituzionedegli elementi deteriorati con altrisimili. Questa pratica, oggetto diacceso dibattito da parte della criti-ca, viene operata con riferimento alleprescrizioni introdotte medianteun’autorizzazione del 1973 da partedel Ministero della Pubblica Istru -zione che approva la sostituzione diquegli elementi tanto “profonda-

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Figg. 1, 2. Duomo di Pisa, facciata principale. Evidenti gli elementi delle ghiere sostituiti nel corso dei restauri ottocenteschi. Foto tratta dall’archivio personale.

indagati da R. Romanelli in “Grandie straordinari restauri” al Battisterodi Pisa: l’intervento di GiovanniCarmignani2, da A.R. CalderoniMasetti nei saggi Restauri ottocente-schi alla facciata del Duo mo di Pisa eRestauri pisani nel l’Ottocento: meto-do e prassi3, da C. Casini in una tesidal titolo I restauri del Duomo diPisa dal 1595 al 19814 e nel volumecurato da A. Peroni della collanaMirabilia Italiae5.Tali lavori, seppure in fasi alterne,occuparono tutto il corso del XIXsecolo e lasciarono un monumentoin parte “diverso” da quello origina-le. Si trattò, infatti, di operazioni par-ticolarmente invasive che sostituiro-no largamente il paramento lapideooriginario, sia nella parte puramentedecorativa che in quella statica, condel materiale completamente nuovo,“più nobile”6. Al marmo provenien-te dal Monte Pisano si preferì quellodelle Cave Apuane. Colonne, corni-ci, mensoloni, capitelli, ghiere, impo-ste d’arco, nulla fu esentato dall’esse-re “restaurato”. I pezzi rimossi furo-no sostituiti da altri progettati in stile

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mente deteriorati” da essere pratica-mente irrecuperabili8. Anche l’ulti-mo intervento di restauro della fac-ciata principale, ancora in corsonella zona bassa del fronte, ha com-portato la rimozione e la sostituzio-ne con pietre lavorate ex-novo dinumerosi elementi, così come era giàaccaduto nel corso dei restauri deglianni Trenta e Settanta del Nove -cento.Meno evidente, ma comunque pre-sente, è l’attività sostitutiva operatapresso la Cattedrale di Santa Mariadel Fiore a Firenze (Figg. 4-7). Adun occhio attento basta la semplicevisione dell’edificio per riuscire adindividuare le parti sostituite. Il pro-blema in questo caso non investesolo la legittimità o meno di taliinterventi, ma riguarda lo stessomateriale costitutivo dell’opera. Peril complesso monumentale fiorenti-no, infatti, non esistono più le caveoriginarie d’estrazione degli elemen-ti utilizzati. Il marmo verde di Prato,non è più reperibile e le scorte esau-rite. L’unica soluzione trovatadall’Opera di Santa Maria del Fiore.è di utilizzare un serpentino verdeproveniente da cave della zona dellago Maggiore, di durezza superiorea quello di Prato, ma di tonalità estratificazione diverse. Si è costrettiquindi ad installare un marmo dicaratteristiche dissimili da quellooriginale e del tutto estraneo allafabbrica9. Pur non risultando moltoalterato l’insieme della policromia, siutilizza comunque un materiale chenon ha alcuna tradizione storica neirivestimenti delle facciate del com-plesso di Santa Maria del Fiore10.Questo tipo di problema non sipone invece per il Duomo diMilano. La V. Fabbrica è l’unica inItalia a disporre ancora della cavaoriginale: quella di Candoglia. Lamateria adoperata sarebbe pertantola stessa ma, come ci ricorda Brandi,

bisogna fare delle distinzioni nettepoiché: «la materia non sarà affattola stessa, ma in quanto storicizzatadall’opera attuale dell’uomo, a que-sta e non alla più lontana epocaapparterrà, e, per quanto chimica-men te la stessa, sarà diversa e arrive-rà a costituire comunque un falsostorico ed estetico»11.

Per sintetizzare, possiamo riassumereil dibattito in alcuni punti principali:- è lecita la sostituzione?- se sì, in quali modalità e con qualimateriali essa deve essere effettuata?- tali interventi sostitutivi devonoessere in stile oppure differenziarsidagli originali?A queste domande ancora oggi sirisponde in modi diversi. Comeabbiamo già avuto modo di esporre,Milano sostituisce con pezzi in stile,rifiniti artigianalmente a mano e dellastessa materia degli originali, a Fi -renze si sostituisce meno frequente-mente e quando ciò avviene gli ele-menti sono anche qui rifiniti “amano”, ma sono di un materialealmeno in parte differente. A Pisa si èampiamente sostituito nel corso delXIX secolo e ciò ha permesso unarelativa tranquillità nel Nove cento,quando gli interventi sono statimoderati (del resto l’apparato decora-tivo era quasi del tutto “nuovo”) elimitati a risarcire i danni post belli-ci12. Meno indagate sono purtroppole realtà di altre città e di altri monu-menti, molto resta da ricercare e spes-so questo tipo di studi si scontra conla riservatezza degli interventi in attoe con una certa reticenza da partedegli “addetti ai lavori”.Occorre rilevare che in una cittàcome Milano, dove l’inquinamento èsempre più aggressivo, questo tipodi interventi non si circoscrive aqualche decorazione o a qualche pie-tra di tanto in tanto, ma investe granparte della superficie del monumen-

to e quindi della sua autenticitàmaterica. Se è vero che questomodus operandi si inserisce in unatradizione secolare e pertanto stori-cizzata e se è vero che i nuovi concinon sono delle mere copie ma “pezzirifiniti artigianalmente”, così comeprevedeva la vecchia scuola di botte-ga, bisogna tuttavia considerare cheun intervento di questo tipo richia-ma subito alla mente le parole di J. Ruskin e il fatto che alla finerischiamo di ritrovarci con una“copia” dell’edificio. Bisogna quindi operare una scelta:consolidare per quanto più a lungopossibile la materia originale e rasse-gnarci ad una sua lenta (di questitempi sempre meno però), ma inevi-tabile perdita oppure sostituirla cer-cando di preservare per quanto pos-sibile almeno la forma? La contro-versia non è semplice da dirimere ela scelta varia inevitabilmente.Nel caso di Milano e Firenze in par-ticolar modo si salva la forma: permotivi estetici, ornamentali, storici,d’uso e di sicurezza pubblica. Per lostorico d’arte e per occhi esperti, lesostituzioni sono spesso riconosci-bili: per colore, a volte per differen-za materica, per la diversa sensibilitàdella mano di chi crea questi nuovipezzi di ornato; per un fruitorecomune l’intero monumento “è ori-ginale”, è giunto a noi in modo pres-soché identico a quella che era l’ideadell’autore.Qualche notizia sui restauri passatidel Duomo di Milano si ricava dalsaggio di C. Ferrari da Passano I restauri del Duomo nell’ultimodecennio13, mentre gli ultimi inter-venti sono stati visionati personal-mente durante un sopralluogo sulcantiere reso possibile dalla disponi-bilità del responsabile dei lavoril’ing. B. Mörlin Visconti Casti -glione. Tale realtà meriterebbe tutta-via ulteriori approfondimenti che

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apporterebbero sicuramente un con-tributo notevole al dibattito.Da poco più di un anno si è conclu-so il restauro della facciata delDuomo di Siena del quale però sihanno ancora scarse notizie. Da unaricognizione superficiale, quale puòessere una visione a distanza, sem-brerebbe che l’intervento si sia limi-tato ad una semplice pulitura dellafacciata e che non siano state effet-tuate sostituzioni. Anche in questocaso è auspicabile al più presto unapubblicazione per poter paragonarei vari interventi e delineare un qua-dro più definito di quello che è ilrestauro degli elementi decorativilapidei per le grandi cattedrali italia-ne. Ulteriori ricerche andrebberosvolte sulla Basilica di San Marco aVenezia o sul Duo mo di Orvieto,solo per fare qualche esempio. Gliapporti po trebbero essere molteplicifornire nuovi elementi di discussione.Per comprendere meglio la portata

del dibattito è forse utile un breveaccenno alla realtà estera. Tra inumerosi esempi possibili sono statiscelti il Minster di York e la NašaKatedrala di Zagabria, ma ugual-mente significativi sono edifici comela Cattedrale di Notre-Dame o laSaint-Chapelle a Parigi14.Il primo esempio è stato scelto per labibliografia esistente (esigua, macomunque presente), il secondo susuggerimento del prof. M. Mi -chelucci. Per la Naša Katedrala diZagabria non esiste alcun cennobibliografico (l’unico articolo repe-rito è ad opera di Crnkovic B. PoggiF. e si trova all’interno di una rivistaspecializzata)15, ma è uno dei piùimportanti cantieri di restauro/ sostituzione presenti all’estero.Come accennato, questa pratica nonè assente nemmeno in Francia dove sipossono facilmente vedere, presso ilcantiere di restauro della Saint-Chapelle di Parigi, degli elementi

appena rimossi ed altri pronti per lasostituzione. Lo stesso accade aNotre-Dame sempre a Parigi, dovenei giardini sul retro della cattedralesono depositati numerosi elementidecorativi lapidei rimossi dall’edificio.Nel 1972 si iniziò a ravvisare lanecessità di un programma generaledi restauro all’intera fabbrica delMinster di York, nel quale venneprevista la sostituzione di tutti glielementi lapidei degradati, la ripara-zione o il rifacimento delle copertu-re ed altri lavori. Questa serie diinterventi fu organizzata in un arcotrentennale. I lavori furono suddivi-si in dieci fasi, ciascuna riguardanteuna zona diversa del prospetto fron-tale, in modo da evitare di coprirecompletamente la facciata per untempo così lungo.La parte più importante dei lavori èconsistita, come già in passato, nellasostituzione degli elementi lapideidegradati: conci del paramento, delle

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Fig. 3. Duomo di Milano, facciata principale. La parte altadella cattedrale è stata da poco restaurata e gli elementi piùchiari, ben evidenti anche da una visione a distanza, sonoquelli sostituiti nel corso degli ultimi lavori.Foto tratta dall’archivio personale.

Fig. 4. Firenze: Duomo di Santa Maria del Fiore, particolaredella Tribuna Sud. Ben evidenti a causa del contrasto cromatico i pezzi sostituiti. Foto tratta dall’archivio perso -nale.

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nicchie, delle ghimberghe, dei pinna-coli; ma i rifacimenti hanno investitoanche le parti interessate da veri epropri episodi plastici. Inoltre sonostati usati materiali differenti daquelli originali e la pulitura effettua-ta solo su alcune zone dell’edificio.Sulla superficie del Minster sonopertanto presenti materiali tra lorodisomogenei oltre che per aspetto ecolore, anche per puliture e stato diconservazione poichè la sostituzionedegli elementi deteriorati è avvenutaa campione, specie nelle ultime fasidel programma, quando, per pauradi un rifacimento totale, si è interve-nuti in modo da lasciare intatti ampibrani dei vecchi paramenti. Il risul-tato finale «non è tuttavia dei mi -gliori perché il contrasto tra le partinuove e quelle degradate è netto ed

interrompe l’armonia della visioneglobale»16.Lo stesso accade per la NašaKatedrala di Zagabria. Nell’arco delXX secolo la Cattedrale è stata inte-ressata da tre importanti restauri: ilprimo, tra il 1937 – 1941, previde laristrutturazione del campanile meri-dionale, ma fu arrestato a causa dellaguerra e per mancanza di mezzi; ilsecondo, tra il 1967 – 1968, riguardòle decorazioni gotiche al campanilesettentrionale, ma ancora una volta ilavori si arrestarono per mancanzadi fondi; il terzo iniziò nel 1990 conla completa rimozione del primoportico in pietra, la prima e la secon-da console delle cornici, la balaustraed i pinnacoli17.Questi esempi non sono dei casi iso-lati e l’argomento meriterebbe sicu-

ramente una maggiore attenzione daparte della critica.Durante le ricerche effettuate, èemersa con particolare nitidezza ladiscrasia presente tra fondamentiteorici ed operazioni pratiche nelcampo del restauro delle superficidell’architettura. Di fronte ad una pur ampia biblio-grafia di riferimento sussiste un“vuoto teorico” per quanto attienel’atteggiamento da assumere nel casodi eventuali sostituzioni di elementidecorativi o di qualsiasi lacuna ditipo formale. Pur esistendo diverse“linee guida”, manca un approcciounitario come invece si è affermatoda anni nell’ambito relativo alrestauro pittorico. Le indicazionicontenute nelle varie carte delrestauro, non dirimono in modo

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Fig. 5. Firenze: Duomo di Santa Maria del Fiore, particolare della Porta deiCanonici. Sono ancora individuabili gli elementi sostituiti nella seconda metàdell’Ottocento. Foto tratta dall’archivio personale.

Fig. 6. Firenze: Duomo di Santa Maria delFiore, colonne tortili poste a destra del portone centrale della facciata principali.Foto tratta dall’archivio personale.

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definitivo la questione. Restano deidubbi sulla legittimità degli inter-venti di sostituzione della materiaoriginale di un’opera d’arte. Se per idipinti e le pitture murali esiste unforte parallelismo tra sviluppo teori-co ed applicazione pratica di nuoviprincipi, grazie soprattutto allalezione di Cesare Brandi ed Um -berto Baldini, questo non sempre siverifica nel campo architettonico,dove la distinzione tra immagine emateria trova differenti modalitàinterpretative. Di fronte ad un’ipote-tica lacuna pittorica abbiamo diverseindicazioni critiche da analizzare eadottare a seconda del caso specifico.Anche per le pitture tra elaborazioneteorica ed attuazione pratica sussisto-no ritardi applicativi, ma questi nonsono mai così ampi come per ilrestauro architettonico. Esemplificativi i casi esaminati. Per icantieri delle grandi cattedrali risultache si è da sempre seguita una tradi-zione che ha più a che fare con lacontinuità di una pratica artigianaleche non con la messa in atto di pre-cise teorizzazioni. Le operazionieffettuate seguono un iter ben preci-so ormai consolidato da generazionidi “addetti ai lavori”, anche se gliesempi considerati sono di notevolevalenza sia storico-artistica che cul-tuale. Questa manodopera altamentespecializzata non è purtroppocomune a tutti i cantieri di restauro.Anche in Italia diventa sempre piùdifficile trovare degli scalpellini,degli scultori, che sappiano inserirsiin modo autonomo e non invasivonel tessuto monumentale in cui ope-rano, che sappiano trovare il giustoequilibrio tra ciò che è originale e ciòche non lo è, in modo da ricrearequegli equilibri che possono permet-tere all’edificio di continuare asopravvivere nei secoli, ma senzaridurlo a «falso di se stesso»18.Ancora più controversa diventa la

questione se considerata dal puntodi vista dell’alterazione della materiaoriginale, dell’autenticità dell’ogget-to artistico e, non da ultimo, della“falsificazione” del tempo del mo -numento. Restauri troppo aggressivio sostituzioni invasive possono alte-rarne l’aspetto e togliere al monu-mento quella sorta di aura acquisitanel corso dei secoli. In un saggio sulproblema delle patine Dezzi Barde -schi ricorda come Cesare Brandi nel1994, rivedendo in parte le sue posi-zioni giovanili e parlando delle“rughe” dei monumenti, riconobbeche, alla lunga, anche se «l’invecchia-mento dei materiali finirà perdistruggere lentamente ed inesora-bilmente le cose, esso è al tempo stes-so un fattore che conferisce loro unanuova bellezza»19. Una posizioneche può essere estesa in generale allaconservazione della materia origina-le del monumento e che sposta defi-nitivamente il problema del restaurocome reintegrazione dell’immaginead un impegno più attento “e allacura diretta della materia esistente econ ciò a sviluppare una tempestivaopera di prevenzione per rallentarequel processo di degrado che condan-na inesorabilmente i manufatti alloro progressivo disfacimento finoalla morte”20. Per Brandi occorre«rispettare le rughe del monumento,salvare soprattutto il suo ambientenel tessuto urbano; […] nessun artifi-ciale ambientamento, il tempo chepassa è doloroso per gli uomini, mabisogna sopportarlo»21. Il passaggiodi tempo sull’opera fa parte dellastessa storia del manufatto sia sotto-forma di patina sia di alterazioni ecome tale deve essere rispettato. Unmodo di vedere che è ben lontano daquella che è la realtà fin’ora rappre-sentata e che resta di difficile e pro-blematica attuazione.Se è fondamentale il rispetto delle«rughe del monumento» e della sua

materia originale, è pur vero che senoi possiamo ancora ammirare que-sti edifici lo dobbiamo ad un’attentapratica di “manutenzione e restau-ro”, mai venuta meno nel corso deisecoli. Tali interventi non sono dacondannare in toto, poiché sostitui-scono la materia originale con altraestranea al monumento, ma va sem-plicemente elaborata una forte teoriacritica in grado di orientare e valuta-re attentamente queste operazioni.Solo così si riuscirà a stabilire quan-do la pratica delle sostituzioni è utileper il mantenimento in vita di unedificio o quando si tratta di sempli-ce accanimento, di una visione uto-pica dell’oggetto artistico che nonpuò corrispondere alla realtà.Sarebbe certamente utile una mag-giore apertura al dibattito critico

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Fig. 7. In primo piano una colonna torti-le rimossa dalla facciata del Duomo diFirenze. In secondo piano una copiadurante la lavorazione, poi abbandona-ta a causa di difetti del marmo. Foto del-l’autore effettuata nei laboratori del -l’O.P.A. di Firenze.

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mediante la pubblicazione degliinterventi specifici che illustrino neldettaglio le scelte operative da partedei diversi Enti. Tali pubblicazioni,oggi estremamente scarse, potrebbe-ro portare utili contributi di caratte-re metodologico e tecnico e costitui-re una documentazione specificache, anche al di fuori dei grandi can-tieri qui esaminati, potrebbe agevo-lare non poco l’elaborazione e lacomprensione delle diverse posizio-ni su di un tema di sempre più vivaattualità.

Note1. Per approfondimenti su tale istituzionesi rimanda al testo M. HAINES - L.RICCETTI (a cura di), Opera: carattere eruolo delle fabbriche cittadine fino all’ini-zio dell’Età Moderna. Atti della TavolaRotonda, Villa I Tatti, Firenze, 3 aprile1991, Firenze 1996.2. R. ROMANELLI, «Grandi e straordinarirestauri» al Battistero di Pisa: l’interventodi Vincenzo Carmignani, “Bol lettinoStorico Pisano”, LXVI, 1997, pp. 105-137.3. A.R. CALDERONI MASETTI, RestauriOttocenteschi alla facciata del Duomo diPisa, in Roma Anno 1300. Atti delCongresso Internazionale di Storiadell’Arte Medievale, Roma 19-24 maggio1980, l’Erma di Bretschneider, Roma1983, pp. 807-832 e Restauri pisaninell’Ottocento: metodo e prassi, inAlfonso Rubbiani e la cultura del restauronel suo tempo (1880-1915), atti del conve-gno (Bologna 1981), a cura di L. BERTELLIE O. MAZZEI, Milano 1986, pp. 325-336. 4. C. CASINI, I restauri del Duomo di Pisadal 1595 al 1981, tesi di laurea in Storiadell’architettura, Università degli Studi diPisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Pisa1983, pp. 210 e seg.5. A. PERONI, Il Duomo di Pisa, Mo dena1995.6. C. NENCI, La decorazione architetto-nica dell’esterno, in A. PERONI, Il Duo -mo di Pisa, cit., vol. 1, pp. 169-190.7. Cfr. A. MILONE, Non vi era giornoche non acquistassi frammenti bellissimiper la storia delle Arti, in C. BA RAC -

CHINI (a cura di), I marmi di Lasinio. Lacollezione di sculture medievali emoderne nel Camposanto di Pisa, cata-logo della mostra, 30 luglio-31 ottobre1993, Firenze 1993, p. 52 nota 67.8. Ibidem.9. E. VICINI, Il “marmo verde” di Pratonella cattedrale fiorentina. Comporta -menti nel tempo e problemi di restauro, inD. LAMBERINI (a cura di), Il bianco e ilverde. Architettura policroma fra storia erestauro, Firenze 1991, pp. 131-136.10. E. VICINI, Il restauro di domani, inDue granduchi, tre re e una facciata,Firenze 1987, pp. 56-58, E. Vicini, Il“marmo verde” di Prato nella cattedralefiorentina, comportamenti nel tempo eproblemi di restauro, in (a cura di) D.Lamberini, Il bianco e verde. Ar chi -tettura policroma fra storia e restauro.Alinea editrice, Firenze 1991, pp. 131-136. 11. C. BRANDI, Teoria del restauro,Torino 1963, p. 11.12. Ad esempio la sostituzione sulla fac-ciata principale del Duomo di una colon-nina e del relativo capitello danneggiatidurante un bombardamento.13. C. FERRARI DA PASSANO, I restauridel Duomo nell’ultimo decennio, in IlDuomo di Milano, Congresso interna-zionale, Milano – Museo della Scienza edella Tecnica – 8, 12 settembre 1968, attia cura di M.L.a GATTI PERER, Milano1969, vol. 2, pp. 135-152.14. Il Minster di York e la NašaKatedrala di Zagabria sono solo unesempio delle differenti modalità di ope-razione e pensiero fuori dal nostropaese. Si deve evidenziare che spessoquesti tipi di interventi non trovanoriscontro nelle pubblicazioni ufficialiche di norma si limitano a descrivere irestauri in termini abbastanza generici oa concentrare l’attenzione sui problemidi statica o sugli interventi di pulitura,senza dubbio più spettacolari per il pub-blico. Brevi articoli si trovano talvolta inriviste specializzate, non di restauro, madi lavorazione ed impiego di materialilapidei; e quindi purtroppo sempre intermini abbastanza generici.15. B. CRNKOVIC - F. POGGI, Per laCattedrale di Zagabria restauro con

l’uso del travertino romano (Roman tra-vertine for the restoration of ZagrebCathedral), in L’informatore del marmi-sta, A. 35, n. 413 (mag. 1996), pp. 28-40.16. G. BELLI, Uno sguardo al restauroinglese. Lavori in corso al Minster diYork, in Quasar: quaderni di storia del-l’architettura e restauro, Dipartimentodi storia dell’architettura e restauro dellestrutture architettoniche, Facoltà diarchitettura, Università degli studi diFirenze 1998, Firenze, luglio-dicembre1998, n. 20 pp. 66-84. 17. B. CRNKOVIC – F. POGGI, Per laCattedrale di Zagabria..., cit., pp. 28-40.18. C. BRANDI, Teoria del restauro, cit.,p. 11.19. M. DEZZI BARDESCHI, Il punto divista dell’architetto, in Le patine: genesi,significato, conservazione, a cura di P.TIANO - C. PARDINI, Kermes Quaderni,Firenze 2005, pp. 64-65.20. Ibidem.21. Ibidem.

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* Nel 2007 consegue la laurea magistra-le in Storia dell’Arte presso l’Universitàdi Pisa, con una tesi in Museologia e sto-ria della critica d’arte e del restauro daltitolo “La sostituzione degli elementidecorativi lapidei nel restauro dellearchitetture”, relatori prof. M. Miche -lucci e dott.ssa O. Niglio.

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Nel 1787 Jeremy Bentham, filosofoe riformatore legale inglese, presen-tava un volume dal titolo ThePanopticon stampato a cura del -l’Assemblea Legislativa Inglese nel1791. Bentham durante la sua vita enei suoi scritti si era dedicato moltoad argomentare a favore della libertàpersonale ed economica, della liber-tà di parola, della parità di diritti perle donne, contro la fine della schiavi-tù e a favore dell’abolizione dellepunizioni fisiche1.Nel volume The Panopticon avevaelaborato un’idea di architettura car-ceraria il cui obiettivo era quello direalizzare una tipologia che permet-tesse di sorvegliare tutti i detenutisenza che questi si sentissero osser-vati. Da qui l’origine del nome stes-so di Panopticon, ossia possibilità diosservare (opticón) tutto (pan)2. Unospazio centrale ben definito nelcuore dell’edificio, che si sviluppavaa raggiera o a pianta centrale, con-sentiva di realizzare un punto diosservazione strategico per la vigi-lanza del luogo di detenzione3.A partire dalla seconda metà delXIX secolo questa tipologia carcera-ria fu introdotta anche nei paesisudamericani e sull’esempio delCárcel Modelo de Madrid furonocostruiti il Cárcel de Caseros diBuenos Aires, la struttura peniten-ziaria di Lima in Perù, di SanFrancisco de Quito in Ecuador, diLa Paz in Bolivia, il Panoptico diCittà del Messico e i carceri diBogotà ed Ibagué in Colombia.

lunghi 70 metri e larghi circa 6, svi-luppati su due livelli. In ogni corri-doio e su ciascun livello, per ognilato, si aprivano 13 celle. Lo spaziocentrale era destinato ai servizi dicontrollo (Fig. 3).

A seguito dell’aumento della popo-lazione all’interno del penitenzia-rio, in epoche differenti sono stateapportate alcune modifiche, preve-dendo anche l’aggiunta di nuovivolumi che non hanno però alterato

Approfondimenti

Mentre quello di Buenos Aires e diLima sono stati demoliti e sostituiticon nuovi interventi di riqualifica-zione urbana, diversamente quelli diBogotà e di Ibagué sono stati risana-ti e riutilizzati come strutture musea-li e scuola d’arte. In particolare quel-lo di Bogotà oggi ospita il MuseoNazionale.Con riferimento all’edifico peniten-ziario di Ibagué, questo fu costruitoa partire dal 1892, secondo le diretti-ve di Jeremy Bentham e su disegnodell’architetto inglese William Black -burn. A pianta cruciforme, la strut-tura carceraria originaria rispettavaperfettamente le caratteristiche di unPanoptico. La prima sua occupazio-ne viene fatta risalire al 1902.Il Panoptico di Ibagué fu costruitosu un’area di circa 3 ettari, fuori dalcentro abitato, nel quartiere Belén,prossimo al Parco Murillo Toro e aPlaza de Bolivar, centro politico esociale della città sin dalle sue origi-ni che risalgono al secolo XVI4.Un muro di recinzione delimitaval’area del carcere rispetto al quartie-re che nella prima metà del XX seco-lo risultava del tutto disabitato(Figg. 1, 2). Lungo le mura una gran-de porta d’ingresso al carcere eraposizionata in asse rispetto al ParcoMurillo Toro anche questo poi rin-novato, a partire dagli anni ’50 delXX secolo, rispetto al suo impiantooriginario ottocentesco.La struttura originaria del Panopticodi Ibagué era a pianta cruciforme,caratterizzata da quattro corridoi

Il Panoptico di Ibaguè in Colombia.Memoria storica e nuovo museo della cittàOlimpia Niglio*

Fig. 1. Il Panoptico di Ibagué nellaprima metà del XX secolo. Sullo sfondola Cordigliera Centrale e in basso ilcanyon che divide il quartiere Belén dalcentro abitato della città.

Fig. 2. Sullo sfondo il Panoptico diIbaguè con vista del Parco Murillo Toroe costruzione del Circolo Sociale. (metàdel secolo XX). Già si nota l’inizio diuna forte urbanizzazione dell’area circostante l’edificio penitenziario, oggidel tutto inglobato nel tessuto urbano.

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la struttura originaria. Ad esempioil doppio ordine di celle è statoulteriormente suddiviso in 4 livellied una parte della struttura cruci-forme è stata completamente sepa-rata dal resto con un alto muro perrealizzare la sezione femminile.Questa situazione è emersa solodopo la chiusura del penitenziarioavvenuta definitivamente nel 2001.Nel frattempo con atto amministra-tivo n. 0752 del 31 luglio 1998 ilMinistero della Cultura ha vincola-to l’edificio inserendolo nel gruppodel Pa trimonio ArchitettonicoNazio nale della Colombia (vediTabella 1).

Dopo la definitiva chiusura dellastruttura penitenziaria il GovernoNazionale della Colombia, il Di -partimento del Tolima e il Mu -nicipio di Ibagué nell’aprile del 2003presentano una proposta per la rea-lizzazione del restauro del Pa -noptico come Museo della città. Nel2005 il Dipartimento del Tolima e laSociedad Colombiana Arqui tectosbandiscono un concorso nazionale

per la realizzazione del progetto direstauro e riconversione funzionaledel Panoptico di Ibagué, il cui pro-getto è andato in appalto nel 2006 ealla fine del 2007 è previsto il com-pletamento del primo lotto di lavori.L’architetto Luis Hum berto DuqueGómez di Bogotà è il progettista edil direttore dei lavori, vincitore delconcorso.Il progetto è programmato in due

Approfondimenti

Fig. 4. Panoptico. La copertura lignea in corrispondenza dellacrociera (agosto 2006).

Fig. 3. Panoptico. Prospetti esterni in cui si rilevano evidentialterazioni formali (agosto 2006).

lotti di intervento: un primo lottoche prevede la realizzazione delrestauro della struttura originaria esua destinazione a spazio museale;un secondo lotto in cui sono previstiun parco urbano e nuovi volumi dadestinare ad attività commerciali(caffetteria, book shop, artigianato),fondamentali per la sostenibilità ditutto l’intervento.L’idea principale del progetto di

Tabella 1.

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restauro non è quella di cancellare lastoria di una funzione carceraria ma,diversamente, quella di farla cono-scere e far percorrere i suoi spazirestaurando in ogni sua parte ilPanoptico. In primo luogo vienerecuperato lo spazio originario conle sue celle, i due differenti livelli etutte le modifiche apportate nelcorso del tempo comprese le colori-ture che i detenuti avevano dato aisingoli “spazi abitativi”. La strutturaportante in muratura “faccia avista”, precedentemente intonacata,verrà restaurata e ripristinata la suaimmagine originaria. Solo i “mura-les” e le coloriture interne sarannosalvaguardate a memoria dell’origi-naria funzione. Tutti gli spazi interni saranno desti-nati a luoghi di esposizione, uffici,spazi pubblici. Solo una parte dellacrociera, a memoria dell’antico peni-tenziario, conserverà intatte le strut-ture delle celle e le modifiche a que-ste apportate nel corso degli anni daidetenuti.Il progetto di Luis HumbertoDuque Gómez prevede un restaurointegrale e conservativo della strut-tura originaria in cui la funzionemuseale dovrà saper dialogare conquesta senza alterarla. Qui sarà pre-visto anche il Centro dei DirittiUmani in quanto Ibagué nel 2004 èstata nominata Capitale Andina deiDiritti Umani.Particolarmente interessante è ilrestauro della copertura lignea delPanoptico, soprattutto per la solu-zione tipologica adottata nella partecentrale (Fig. 4). Tutta la struttura èin legno rifinita con un supporto dicanne di bambù e tegole in terracot-ta interamente recuperate e ricollo-cate in opera.L’aspetto più interessante che emergenell’analisi della copertura è la totalemancanza di una concezione struttu-rale della capriata, dove ogni elemen-

Approfondimenti

Fig. 5. Panoptico. Copertura in legnoprima dello smontaggio (agosto 2006).

Fig. 6. Panoptico. Copertura in legnodurante i lavori di restauro (agosto 2007).

Fig. 7. Panoptico. Vista di una bracciointerno con vista del doppio ordine dellecelle e il largo corridoio con copertura acapriate lignee (agosto 2006).

Fig. 8. Panoptico. Vista di un bracciodella crociera durante i lavori di restau-ro (agosto 2007).

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to di legno assolve ad una funzionenon propriamente corretta se analiz-zato da un punto di vista statico. Ilprogetto infatti prevede il totale rifa-cimento delle capriate lignee nelrispetto di un corretto funzionamen-to strutturale (Figg. 5-7).

Il progetto di restauro del Panoptico(Figg. 8-11) è allo stesso tempo unintervento di restauro urbano, inquanto va ad inserirsi in un contestoparticolarmente degradato e il cuisviluppo è stato fortemente condi-zionato dalla presenza del carcere.Osservando il contesto si osserva,infatti, un’edilizia di scarso valore edanche le destinazioni principali nonhanno alcuna qualità sociale ed eco-nomica.Per questo l’intervento sul Pa nop -tico prende in esame anche lo studiodella riqualificazione di tutta l’areacircostante con l’inserimento dinuove strutture destinate alla collet-tività nonché la realizzazione di unnuovo e grande parco urbano che vaa ricollegarsi con la riqualificazionedel Parco Murillo Toro e Plaza

Bolivar5. Inoltre è prevista la com-pleta demolizione del muro di cintae a memoria di questo sarà realizza-to un tracciato di acqua che va adintegrarsi con i percorsi pedonali delparco; l’idea del progettista è quelladi definire un nuovo spazio che,contrariamente ai concetti di “chiu-sura” e “verticalismo” del Panop -tico, va invece a realizzare una strut-tura “aperta”, “orizzontale” e senzaconfini costruiti (Figg. 12-15). Sitratta di realizzare un nuovo paesag-gio urbano, recuperando tutti i segnidella storia, la memoria sociale e cul-turale, puntando così ad un inter-vento che possa promuovere adIbagué e nell’interna Regione delTolima una riflessione sui valori cul-turali, civili e sociali propri della suapopolazione.

NoteLa documentazione fotografia del Pa -nop tico relativa agli anni 2006 e 2007 èstata realizzata dall’autore.

1. J. BENTHAM, Libertà di gusto e di opi-nione. Un altro liberalismo per la vitaquotidiana, Bari 2007.

Approfondimenti

Fig. 9. Panotpico. Prospettiva internade gli spazi destinati a nuovo museo dellacittà di Ibagué. (architetto Luis Hum -berto Duque Gómez).

Fig. 10. Panoptico. Vista esterna di una crociera prima deirestauri (agosto 2006).

Fig. 11. Panoptico. Vista esterna durante i lavori di restauro(agosto 2007).

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2. J. BENTHAM, Panopticon ovvero lacasa di ispezione, (3a edizione), Venezia2002.3. M. FOUCAULT, Surveiller et punir.Naissance de la prison, Paris 1975, p.328; F. BARTON BEN, S. MARTHALEEBARTON, Modes of Power in Technicaland Professional Visuals, “Journal ofBusiness and Technical Com muni ca -tion”, 7.1, anno 1993, pp. 138-62.4. R. GURIÉRREZ, J.E. HARDOY, La ciu-dad hispanoamericana en el siglo XVI.En: “Seminario La Ciudad Ibero ame -ricana”. Comisión de Estudios Hi stó -

ricos de Obras Públicas y Urba nismo deEspaña, Buenos Aires, no viembre 1985;AA.VV., Ibagué, ayer, hoy y mañana,Alcaldia popular de Ibagué y el In stitutomunicipal de Cultura, Ibagué 1994; W.N.ARAQUE, La Ciudad como museo enLatino América, in ESCALA,Reutilización, n. 173, Año 30, 1996, pp.9-11.5. Concurso Publico de Anteproyectoarquitectónico para la remodelación,mejoramiento arquitectónico, paisajsit-co y ambiental de la plaza Murillo Torode Ibagué y las Areas aferentes al Museo

Panoptico, para la conformación de ejedel centro International de la CiudadMusical de Ibagué. Governación delTolima, Sociedad Colombiana Arqui -tectos, Ibagué, 31 octobre 2005.

Approfondimenti

Fig. 14. Panoptico. Progetto per il nuovo museo della città diIbagué (architetto Luis Humberto Duque Gómez).

Fig. 12. Il progetto di restauro e trasformazione museale delPanoptico di Ibagué (architetto Luis Humberto Duque Gómez).

Fig. 13. Panoptico. Restauro degli ambienti carcerari (architet-to Luis Humberto Duque Gómez).

* Olimpia Niglio insegna Restauro Ar -chitettonico presso l’Università di Pisa.

Fig. 15. Panoptico. Progetto per il nuovo museo della città diIbagué (architetto Luis Humberto Duque Gómez).

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Redazionale

A quarant’anni dalla prima presenzaveneziana, con una sala personale allaBiennale del 1968, Morandini torna aVenezia, con un’importante mostra aCa’ Pesaro, in concomitanza con la XIBiennale Architettura, organizzata daiMusei Civici Veneziani. Oltre 60 lavo-ri tra opere d’arte, architettura edesign – tra cui 34 sculture e struttureda parete, realizzate dal 1978 al 2008,tutte in legno laccato in bianco e nero– documentano trent’anni di lavoro eun percorso complesso, segnato dauna rigorosa, poliedrica capacità pro-gettuale, da un legame profondo col

la logica e il coerente metodo proget-tuale che è alla base dei suoi “prodot-ti” di arte, architettura e design, con-sentendo di cogliere la sequenza delgesto creativo, dall’ispirazione artisti-ca al progetto e dal progetto alla rea-lizzazione di opere celebri nel mondointero.Dopo la tappa veneziana per la quale èstata progettata, la mostra passerà nelfebbraio 2009, con ulteriori integra-zioni, a Norimberga, al Museo Na -zionale d’Arte e Design (Neues Mu -seum – Staatliches Museum für Kunstund Design in Nürnberg).

Marcello Morandini nasce a Mantovail 15 maggio 1940. Dal ’47 vive a Va -rese.Tra il ’59 e il ’64 frequenta a Milanol’Accademia di Brera, realizzando leprime sculture. Nel ’67 è invitato allaBiennale di São Paulo in Brasile, nel

mondo senza fine delle forme geome-triche, della matematica, della perce-zione visiva, mediato da un approccioalla produzione artistica e architetto-nica olistico, cólto, al di fuori dallemode e dal tempo. L’esposizione, ideata da Silvio Fusoassieme allo stesso Morandini, sisnoda negli ampi spazi del piano terre-no del museo: dal grande androne lon-gheniano, al cortile interno, alle saleespositive ospitando – oltre ai lavori digrandi dimensioni – forme, progetti,architetture e oggetti, che testimonia-no e sorprendentemente chiariscono

Marcello Morandini.Arte, Architettura, DesignRedazionale

Fig. 1. Struttura 296A, 1987, legno laccato, cm 70x70.Collezione dell’artista.

Fig. 2. Struttura 411A, 2000, legno laccato, cm 200x35x35.Collezione dell’artista.

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’68 alla XXXIV Biennale d’Arte diVenezia, con una sala personale alPadiglione Italia. Dall’inizio deglianni ’70, dopo la mostra allaKestnergesellschaft di Hannover, av -via una lunga collaborazione conmusei, gallerie e industrie tedesche.Nel ’77 è invitato a Kassel a Do -cumenta 6; nel frattempo realizza edi-fici, piazze e altri importanti progettiarchitettonici in Italia, Asia (Sin -gapore, Giappone, Malesia), Europa(Germania, Portogallo, Sviz zera...).Riceve altresì commissioni di grandisculture per musei. La prima mostraantologica abbinata di arte e design èdel 1993, al museo Die Neue Sam -mlung di Monaco di Baviera, all’HackMuseum di Ludwigshafen e al PalácioGalveias di Lisbona. All’intensa attivi-tà artistica e architettonica abbina, dametà anni ’90, anche incarichi accade-mici in Germania, Svizzera, Italia.Dopo la nascita della figlia Maria Enza(’98) intensifica l’attività a Varese;seguono altre mostre (in Italia,Germania), altre commissioni pergrandi sculture e altri progetti archi-tettonici (in Svizzera, Italia, Ger ma -nia), onorificenze e premi prestigiosi(in Gran Bretagna). La mostra oraorganizzata a Venezia, nel 2009 verràintegrata da nuovi lavori e allestita alNeues Museum - Staatliches Museumfür Kunst und Design di Norimberga.

MARCELLO MORANDINI

Arte, Architettura, DesignVenezia, Ca’ Pesaro - Galleria internazio-nale d’Arte moderna12 settembre-16 novembre 2008Informazioniwww.museiciviciveneziani.itcall center 0415209070mkt.musei@comune.venezia.itPrenotazioniwww.museiciviciveneziani.it, call center0415209070

CatalogoSkira, italiano e inglese (224 pagine, 400illustrazioni) con testi, tra gli altri, diSilvio Fuso, Fabio Girardello, Lara VincaMasini.

Redazionale

Fig. 3. Scacchiera - Rosenthal, 2003, porcellana. Collezione dell’artista.

Fig. 4. Das Kleine Museum - Weissenstadt, 2006. Pannello fotografico.

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Bibliografia

Edilvenezia. Il recupero del conven-to di San Lorenzo. Spazi e architet-ture per gli anziani a Venezia, a curadi Franco Mancuso. Venezia,Marsilio Editori, 2007, pp. 144, Euro29,00. Il volume, primo della collana“Edilvenezia, opere e progetti”, dàconto della importante e laboriosaopera di recupero del complessoconventuale/ospedaliero venezianodi San Lorenzo, situato nel sestieredi Castello, ora restaurato e ristrut-turato come residenza specializzataper anziani. Il libro, curato daFranco Mancuso, progettista delrestauro assieme a Francesco Bono,testimonia come una struttura anticae obsoleta, in condizioni di avanzatostato di degrado, possa sostenere unradicale processo di modernizzazio-ne, senza d’altro canto perdere le suecaratteristiche storiche, anche in unacittà fortemente storicizzata quale èVenezia.

all’archivio informatizzato allegatoal volume in formato CD-rom, lostudio di Federica Rinaldi approfon-disce l’analisi, sotto il profilo tecnicoe storico, di tutti i rivestimenti musi-vi individuati nelle città e nei territo-ri presi in considerazione, appro-dando ad alcuni significativi risulta-ti, sintetizzabili nella ricostruzionedel tessuto urbano abitativo dei cen-tri indagati, nella definizione del cd“gusto di sito e/o area” e nella possi-bilità di fornire un importante soste-gno ai programmi di tutela, conser-vazione e valorizzazione del beneartistico.

L’intervento di restauro e ristruttu-razione, descritto puntualmente intutte le sue fasi in questa pubblica-zione, è stato finanziato con fondidella legge speciale per Venezia.Suddiviso in lotti e stralci funziona-li, ha interessato una superficie utiledi 8800 metri quadrati (più 660 diportici e terrazze) per una volume-tria di 40.200 metri cubi, nei qualisono stati realizzati alloggi peranziani non autosufficienti per untotale di 220 posti letto.

Federica Rinaldi, Mosaici e pavi-menti del Veneto. Province diPadova, Rovigo, Verona e Vicenza(I sec. a.C. – VI sec. d.C.), edito nel-l’ambito della collana “AntenorQuaderni”, diretta da I. Favaretto, F. Ghedini e G. Gorini, in collabora-zione con l’Università degli Studi diPadova, Dipartimento di Archeo -logia. Roma, Edizioni Quasar –Regione del Veneto, 2007, pp. 628,Euro 72,00. Con CD. Il volume propone la schedaturainformatizzata e lo studio dei mosai-ci e dei pavimenti del Veneto, inse-rendosi in un più ampio progetto dicatalogazione dei pavimenti antichi,gestito dalla banca dati on-lineTESS, nata nell’ambito del progettoInteradria (Interreg III A Tran -sfrontaliero Adriatico): attualmenteil progetto coinvolge, oltre alVeneto, anche altre regioni, territorie città d’Italia, ovvero il Friuli Ve -nezia Giulia con Aquileia, il Tren -tino Alto Adige e specificamente lacittà di Trento, l’area gardesana, finoalla città di Brescia, la regioneToscana e la città di Roma. Assieme

Segnalazioni bibliograficheAnna Pietropolli

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