anni di italia nello L’Italia dello Spazio 1946-1988 · Nazionale delle Ricerche (CNR),...

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di 45 anni italia nello spazio 49 | STORIA IN RETE Febbraio 2009 DOSSIER L’Italia dello Spazio 1946-1988 L’ITALIA, LE STELLE, LA STORIA/2 L’Italia dello Spazio 1946-1988 Nell’Italia della ricostruzione mancavano le risorse ma non le menti. All’estero si costruivano acceleratori di particelle, l’Italia doveva arrangiarsi. E lo fece egregiamente, sfruttando madre natura, che coi raggi cosmici mette a disposizione dei ricercatori un immenso acceleratore. I fisici italiani li raggiunsero coi palloni aerostatici. Michelangelo De Maria, Lucia Orlando e Giovanni Paoloni, ci accompagnano in un viaggio verso lo spazio iniziato con la complessa arte di arrangiarsi in un difficile dopoguerra

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49 | STORIA IN RETEFebbraio 2009

DOSSIER

L’Italia dello Spazio 1946-1988

L’ItaLIa, LE StELLE, La StORIa/2

L’Italia dello Spazio 1946-1988Nell’Italia della ricostruzione mancavano le risorse ma non le menti. All’estero si costruivano acceleratori di particelle, l’Italia doveva arrangiarsi. E lo fece egregiamente, sfruttando madre natura, che coi raggi cosmici mette a disposizione dei ricercatori un immenso acceleratore. I fisici italiani li raggiunsero coi palloni aerostatici. MichelangeloDe Maria, Lucia Orlando e Giovanni Paoloni, ci accompagnano in un viaggio verso lo spazio iniziato con la complessa arte di arrangiarsi in un difficile dopoguerra

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spaziodi altri possibili indirizzi di studio e di sperimentazione, anche per ragio-ni economiche. La ricerca sui raggi cosmici era infatti alla portata degli studiosi italiani, mentre la fisica nu-cleare, in cui pure l’Italia aveva una forte tradizione, appariva troppo co-stosa, e non vi era speranza di poter colmare in tempi rapidi la distanza con altri paesi.

Il rilancio della ricerca scientifica italiana nel dopoguerra venne a ca-dere in grande misura sul Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ri-formato nel dicembre 1944, e do-tato dal governo della possibilità di istituire propri centri di studio e di ricerca presso università e al-tri enti pubblici e privati. L’Istituto di Fisica dell’Università di Roma ottenne quindi, nell’ottobre 1945, la creazione presso la propria sede del Centro di Studio per la Fisica Nucleare e le Particelle Elementari voluto da Edoardo Amaldi e Gilber-to Bernardini. Altri centri analo-ghi vennero costituiti dal CNR, nel giro di pochi anni, presso altre sedi universitarie, dando vita alla rete che all’inizio degli anni Cinquanta sarebbe diventato l’Istituto Nazio-nale di Fisica Nucleare (INFN). Fu il lavoro di questi centri a rendere possibile il recupero del terreno per-so durante la guerra, in particolare sostenendo le ricerche sui raggi co-smici svolte con una nuova tecnica, quella delle emulsioni nucleari, in-trodotta nel dopoguerra. L’acquisi-zione di queste capacità permise ad alcuni gruppi italiani di partecipare alle tre iniziative scientifiche orga-nizzate dal neocostituito Centro Eu-ropeo per Ricerche Nucleari (CERN) per rilanciare la cooperazione scien-tifica tra i principali laboratori nella fase di avvio della propria attività.

A queste si devono aggiungere le numerose iniziative intraprese nel-l’ambito della partecipazione italiana all’Anno Geofisico Internazionale, nel 1957-1958: questo era stato promos-so dal Consiglio Internazionale delle Unioni Scientifiche (International Council of Scientific Unions, ICSU), e

solo da ragioni di carattere ideale, che pure sono sempre state presenti, ma anche da necessità materiali che non era a volte possibile soddisfare in altro modo. Data l’estrema insta-bilità dei governi, le organizzazio-ni internazionali hanno costituito, in questo più che in altri campi, un punto di riferimento indispensabile per assicurare continuità e supporto all’attività di ricerca.

Un altro importante elemento di sostegno alla ricerca spaziale, specialmente nel periodo immedia-tamente successivo alla fine della guerra, è stato rappresentato dalle Forze Armate: l’Aeronautica Militare e la Marina sono sempre state con-sapevoli della rilevanza militare dei sistemi e degli strumenti sviluppati in tale ambito, e hanno cercato di controbilanciare col loro sostegno lo-gistico ed economico la mancanza di una strategia politica globale. In que-sto quadro di debolezza istituzionale, i ricercatori hanno cominciato presto ad avere un ruolo centrale: in parti-colare, un numero notevole di fisici italiani era coinvolto fin dagli anni Venti e Trenta nelle ricerche di fisica dei raggi cosmici; questa linea di atti-vità era destinata a svolgere un ruolo centrale nella fisica italiana a partire dal 1946, talora anche a detrimento

luppo di tecniche e applicazioni rela-tive alla fisica dei neutroni. In accor-do con questa constatazione, Amaldi decise di orientare le attività del suo gruppo di ricerca rinunciando a com-petere con quanti operavano in Paesi dove era possibile disporre di ciclotro-ni e reattori, che negli anni immedia-tamente successivi alla guerra erano per i fisici italiani un sogno impos-sibile da realizzare. Questo permise di concentrarsi sullo sviluppo delle tecniche sperimentali necessarie alle ricerche sui raggi cosmici, che aveva-no un costo più basso e una tradizio-ne in Italia risalente agli anni Trenta. Scelte analoghe vennero compiute dai gruppi di Milano, Padova e Tori-no. Negli anni Cinquanta tutti questi gruppi si distinsero per i loro risultati scientifici e per la messa a punto di nuove tecniche sperimentali.

La necessità di combinare disponi-bilità ridotte e studio dei raggi cosmici nelle migliori condizioni sperimentali possibili condusse nel gennaio 1948 alla costituzione del Laboratorio del-la Testa Grigia, all’altezza di 3.505 m in cima al massiccio del Cervino: a quella altitudine era infatti possi-bile condurre ricerche sulle proprietà dei raggi cosmici che sarebbe stato impossibile svolgere all’altezza del mare. La progettazione e costruzione del Laboratorio fu opera di Gilberto Bernardini, Claudio Longo e Etto-re Pancini, con la collaborazione di Marcello Conversi. Amaldi era a capo del Centro di Studio per la Fisica Nu-cleare e le Particelle Elementari, cui si doveva la creazione del Laboratorio. Questo divenne il punto di incontro dei fisici di diverse sedi (Bologna, Roma, Milano, Torino): qui si svol-sero lavori importanti sulle reazioni nucleari indotte dalla componente penetrante dei raggi cosmici (gruppi di Milano e Torino) o sugli eventi di disintegrazione nucleare che i ricer-catori chiamavano «stelle» (Roma), e soprattutto si costruirono quelle forti relazioni di amicizia personale e di collaborazione scientifica che furono poi un ingrediente fonda-mentale delle successive collabora-zioni internazionali. Il Laboratorio

coincise con l’annuncio, da parte sta-tunitense, dell’intenzione di mettere in orbita un satellite per lo svolgi-mento di ricerche sugli strati superio-ri dell’atmosfera. Benché l’Italia non potesse aspirare a un coinvolgimento diretto e immediato in programmi così ambiziosi, nell’ambiente scien-tifico italiano cominciò a prendere piede la convinzione che si dovesse tentare di avere comunque un ruolo nel campo dei missili e dei satelliti: protagonisti di questo tentativo, ne-gli anni Cinquanta, furono Edoardo Amaldi e Luigi Broglio; quest’ultimo in particolare ebbe un ruolo chiave nell’istituzione del Centro di Ricerche Aerospaziali sorto a Roma, per razio-nalizzare e potenziare le strutture già esistenti, e per fornire una adeguata formazione a giovani ricercatori in-teressati al settore spaziale. A tale fine fu ancora Broglio a ottenere la trasformazione della Scuola di Inge-gneria Aeronautica in Scuola di Inge-gneria Aerospaziale, presso l’Univer-sità di Roma. Con la partecipazione al CERN e all’Anno Geofisico Interna-zionale, da un lato, e con l’impegno delle Forze Armate nello sviluppo di progetti missilistici in collaborazione con gli Stati Uniti dall’altro, si formò dunque quella rete di rapporti fra ri-cercatori, Forze Armate ed enti statali che nel corso del decennio successivo avrebbe reso possibile all’Italia l’in-gresso nelle attività spaziali.

2. Il ruolo italiano nella collaborazione europea sui raggi cosmici

E doardo Amaldi ha ricordato in più di un’oc-casione come l’Italia, dopo la Seconda guerra mon-diale, avesse

mantenuto un buon livello di compe-titività internazionale nella ricerca di base, ma fosse rimasta decisamente indietro per quanto riguardava lo svi-

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Edoardo Amaldi, Gilberto Bernardini e Ettore Pancini al laboratorio della Testa Grigia, a quota 3.505 m

1. Le linee di tendenza

L a presenza ita-liana nel campo delle ricerche spaziali risale agli anni Qua-ranta. Le vicende del settore sono state influenza-

te, nei loro sviluppi, da interessi di carattere scientifico e militare, indu-striale e politico, che si sono di volta in volta combinati nel determinare gli indirizzi prevalenti, a seconda dei periodi e delle condizioni al contor-no. D’altra parte, sarebbe impossibi-le comprendere davvero gli sviluppi delle attività spaziali italiane senza un riferimento costante al contesto internazionale in cui tali attività si sono svolte, e senza tener conto del-le relazioni preferenziali che l’Italia, grazie al lavoro dei suoi scienziati e dei suoi ingegneri, ha avuto con al-cuni Paesi che si trovano in posizioni di punta in questo campo. La ricer-ca italiana è stata caratterizzata, in questo come in altri settori, da una grande ricchezza di risorse umane e da una disponibilità piuttosto limita-ta di risorse finanziarie. In una situa-zione del genere, la decisione di sta-bilire rapporti di collaborazione con altre nazioni è stata motivata non

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della Testa Grigia guadagnò in tal modo una notevole reputazione nella comunità internazionale di riferimento. L’istituzione dell’INFN nel 1951 fu un riconoscimento del lavoro svolto da questi gruppi, ma fu anche un vero e proprio salto di scala in termini di finanziamenti e di progettualità.

Le ricerche sui raggi cosmici por-tarono negli anni Quaranta e Cin-quanta alla scoperta di particelle che non si riuscivano a classificare confrontandole con quelle già note: nel gergo degli addetti, vennero chiamate «particelle strane». I fisici

si convinsero presto che per trova-re una risposta ai problemi che tali particelle ponevano era necessario esplorare gli strati superiori dell’at-mosfera, adottando la nuova tecnica delle emulsioni nucleari, introdot-ta alla fine degli anni Quaranta, e messa a punto nei laboratori di Cecil Powell a Bristol e di Giuseppe Oc-chialini a Bruxelles. Diversi giovani fisici italiani (Carlo Franzinetti, Ro-berto Ceccarelli, Michelangelo Mer-lin, Alberto Bonetti, Giulio Cortini, Riccardo Levi-Setti, Livio Scarsi) fu-rono inviati ad apprendere la nuova tecnica a Bristol e a Bruxelles, men-tre la rete di collaborazione si esten-deva a Manchester e a Parigi. Di ri-torno in Italia, i giovani ricercatori continuavano a collaborare fra loro e al tempo stesso mantenevano un rapporto anche coi centri esteri dove avevano lavorato. In breve, alla fine

Il laboratorio della Testa Grigia, sul Cervino. Un luogo adatto alla ricerca sui raggi cosmici

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spazio Non si deve però dimenticare che le ricerche sulle particelle effettuate coi palloni in alta quota erano con-dotte in concorrenza con quelle dei laboratori americani che, ad esem-pio a Brookhaven, cominciavano a disporre di grandi acceleratori: que-sti ultimi permettevano di realizza-re esperimenti in cui le particelle da osservare erano prodotte all’interno della macchina, e non cercate nella radiazione cosmica affidandosi al caso e alla fortuna; la corsa per ot-tenere risultati rilevanti era dunque una corsa contro il tempo.

Si giunse così all’ultima delle tre spedizioni, organizzata sotto l’ala del CERN nell’ottobre 1954, detta del G-stack (G =Gigantic): questa consistette nel lancio di un unico contenitore di emulsione di grandi dimensioni; i laboratori principali erano Bristol, Milano e Padova. Il pallone che portava l’emulsione stet-te per sei ore nel cielo sopra Novi Li-gure, raggiungendo un’altezza di 27 km. Il recupero del contenitore con l’emulsione ebbe luogo con qualche inconveniente, perché il paracadute che doveva frenarne la caduta non si aprì. L’esito dell’esperimento fu comunque all’altezza delle aspetta-tive, e permise l’esecuzione di mi-sure di notevole importanza relative al decadimento di mesoni pesanti [particelle non elementari costituite da un quark e un antiquark. NdR]. I risultati di queste collaborazioni in-ternazionali, presentati a Pisa in una conferenza internazionale sulle parti-celle elementari nel giugno 1955, fu-rono nell’insieme di notevole valore scientifico, e permisero di fare luce su alcuni dei problemi che all’epoca si presentavano all’ancor giovane fisica delle particelle (in particolare il cosid-detto «puzzle theta-tau» che – con i dubbi che sollevava sul decadimento di alcune particelle – aprì la strada ad importanti scoperte sulla simmetria delle particelle e valse il Nobel per la Fisica nel 1957 a Chen Ning Yang, Tsung-Dao Lee). (2 - continua)

A cura di Francesco Rea Agenzia Spaziale Italiana

recupero e sviluppo, tra i laboratori partecipanti, per la successiva inda-gine microscopica. Avanzato durante la fase costitutiva del CERN, il pro-getto di Powell ebbe il sostegno del nuovo organismo, che finanziò tre spedizioni sperimentali. La prima di esse ebbe luogo nel giugno-luglio 1952, e coinvolse un gruppo di 13 laboratori: i palloni vennero lancia-ti dall’aeroporto di Cagliari-Elmas, per essere recuperati in mare; questa scelta geografica e operativa aveva solide ragioni scientifiche, logistiche ed economiche, e fu l’occasione per avviare una collaborazione con l’Ae-ronautica e la Marina italiane, che misero a disposizione una corvetta e un idrovolante per il recupero dei palloni. Dal punto di vista scientifico i risultati non furono particolarmente importanti, ma questa prima iniziati-va servì egregiamente per la messa a punto della macchina organizzativa di supporto alla sperimentazione, e rafforzò la collaborazione tra i ricer-catori, oltre a migliorare i loro rap-porti coi militari.

La partecipazione italiana creb-be, per quantità e importanza, nel-la seconda spedizione, anch’essa finanziata dal CERN, e alla quale parteciparono 18 laboratori europei e perfino un laboratorio di Sydney: vennero effettuati 25 lanci, con l’esposizione per sette ore alla ra-diazione cosmica di 1.000 lastre, trasportate a un’altezza tra i 25 e i 30 km. La spedizione ebbe di nuovo luogo in Sardegna, nel giugno-lu-glio 1953, e il laboratorio di Pado-va ebbe non solo il compito di svi-luppare le emulsioni (come già in quella precedente) ma anche quello della preparazione dei palloni uti-lizzando un nuovo macchinario messo a punto a Bristol. In questo esperimento venne usato un nuovo tipo di emulsioni (stripped-emul-sions), che permetteva di seguire le tracce delle particelle su diversi strati, con un forte miglioramento delle misurazioni effettuate. I ri-sultati scientifici furono importan-ti, perché cominciarono a fare luce sui misteri delle particelle «strane».

STORIA IN RETE | 52 Febbraio 2009

del 1951 in Italia erano presenti vari gruppi di ricerca che usavano la tec-nica delle emulsioni e che erano col-legati fra loro e coi principali centri europei. All’epoca, i fisici di Bristol e di Bruxelles lavoravano insieme ai tecnici dell’industria fotografica Ilford per la messa a punto di lastre di emulsioni più spesse e più sen-sibili, capaci di rilevare tracce più lunghe e più sottili della traiettoria delle particelle. Al ritorno da questi centri, Ceccarelli e Merlin realizzaro-no a Padova un’apparecchiatura per sviluppare le emulsioni.

Dopo la scoperta delle «particelle strane», Powell propose di affrontare i problemi che esse ponevano usando

la tecnica delle emulsioni nel qua-dro di una collaborazione tra i vari laboratori europei: trattandosi di eventi piuttosto rari, questo avrebbe permesso di incrementare le statisti-che dei dati disponibili. Nel dicembre 1951 egli convocò a Bristol un incon-tro fra i laboratori europei interessa-ti: il progetto era quello di esporre alla radiazione cosmica dei pacchi di emulsioni trasportati a grandi al-tezze da palloni sonda di polietilene (a Bristol c’era già una certa espe-rienza nella loro fabbricazione), e di suddividere le lastre, dopo il loro

Un pallone aerostatico per esperimenti di fisica ad alta quota pronto per il lancio