Angelo Sconosciuto A pagina Quaresima 2011 - WebDiocesi · se Kira Teagi erireo ed Irai Cis n...

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Anno XXXIV 3 15 Marzo 2011 € 1,00 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Quando vinse un cuore Razionale Angelo Sconosciuto N é rimpatriata, né reduci- smo. L’altra sera, nei sa- loni dell’Autorità portua- le - pure loro testimoni un tempo del massiccio esodo dei cittadini albanesi, avvenuto esattamente quattro lustri addietro -, quello che abbiamo fatto è stata una seria ve- rifica su quale sia il nostro “stato di salute” di cattolici a due decenni da una prova, che abbiamo cer- cato di affrontare vangelo e cuore in mano, se è stato possibile. Anzi, vangelo e cuore con noi, ma con le mani libere visto che di queste c’è stato particolarmente bisogno in quei giorni di marzo. Era indubbio che dovessimo riflettere – da cittadini – come siano cambiate le politiche del- le migrazioni e di conseguenza quelle dell’accoglienza. Ci siamo anche stupiti – se è possibile far- lo – di come la legge naturale, in quei giorni, abbia ben supplito ai vuoti di decisione e come, ne- gli anni successivi, ciò che dav- vero ha continuato a reggere tutto sia stato proprio quanto da sempre è scritto nel cuore dell’uomo, ad ogni livello di re- sponsabilità, più di quanto era scritto nelle Gazzette ufficiali. Sapevamo che, in quei giorni, non si verificava un fatto nuovo, né che quanto accadeva avreb- be costituito l’ultimo episodio di qualcosa che, invece, avrebbe continuato ad essere cifra carat- teristica di quello scorcio di fine millennio, eredità per il nuovo. In quei giorni, però ciascuno fece vincere la razionalità del cuore, quella che ci ricordava di an- dare in soccorso del fratello fo- restiero, che era nudo, affamato, oppresso. Non gli abbiamo chie- sto nulla più del necessario per decidere le nostre azioni. Poi ab- biamo fatto esattamente come è accaduto in passato, quando “per la durezza del nostro cuo- re” anche noi abbiamo talvolta applicato la legge perché è legge, dimenticando che anche i più grandi studiosi del diritto in un passo del Digesto scrissero, che “non tutto ciò che è giuridico è morale” , volendo significare che l’agire concreto talvolta può an- che superare (in meglio) la legge positiva, perché nulla è più vali- do delle norme che sono scritte nel cuore dell’uomo. EDITORIALE Quaresima 2011 Servizi alle pagg. 2-3 e 12-13 Vita Diocesana I catechisti della diocesi incontrano fratel Enzo Biemmi A pagina 5 Aggiornamento clero La Pastorale per le famiglie irregolari. Intervista a don Carlo Rocchetta A pagina 7 Vita di Chiesa Don Luigi Guanella santo. Intervista con il “nostro” don Nino Minetti A pagina 19 © Mario Gioia «Con Cristo siete sepolti nel Battesimo con lui siete anche risorti» Donato al Papa il nostro Liber Synodalis Al termine dell’udienza generale di mercoledì 23 febbraio svolta- si nell’Aula “Paolo VI”, S.E. l’Arcivescovo, accompagnato da Mons. Giuseppe Satriano e da don Massimo Alemanno, rispettivamen- te Segretario generale e aggiunto del Sinodo diocesano, ha fatto dono al Santo Padre di una copia, particolarmente curata, del nostro Liber Synodalis. Benedetto XVI ha mostrato di gradire il dono, esprimendo al con- tempo parole di compiacimento e di incoraggiamento per la no- stra Chiesa diocesana. Una presenza che affratella «L a Chiesa rappresenta del popo- lo italiano l’elemento sintetico, il punto di vista che accomuna, la presen- za che affratella». Lo ha ribadito il cardi- nale Bagnasco, illustrando il senso della Messa che celebrerà il 17 marzo, a Roma, nella basilica di Santa Maria degli Angeli, in occasione dei 150 anni dell’Unità. Nel- la vicenda unitaria la Chiesa e i cattolici hanno un ruolo, che diventa urgente an- che nell’oggi. Il cardinale ha ribadito un giudizio at- tento sul federalismo, rilanciando il punto di vista della sussidiarietà, che non a caso fu proposta da papa Pio XI “proprio per reagire ad uno statalismo asfissiante che toglieva peso e responsabilità ai corpi in- termedi”. Serve, però, nello stesso tempo, un solido quadro di solidarietà sociale. E questo richiede responsabilità. Bagnasco insiste sul tema morale ed educativo: «La deregulation morale, cui abbiamo assistito per decenni, secondo la quale non esisterebbero vincoli da ri- spettare ma solo desideri da realizzare mostra oggi il suo vuoto e le insostenibili conseguenze». Bisogna cambiare registro, fare sì che «l’istanza etica, come quella spirituale e religiosa che le sono intrin- secamente connesse, crescano in modo stabile nella coscienza collettiva». Qui si radica il discorso sui «principi non nego- ziabili», con le connesse scelte politiche e legislative, come quella imminente sul “fine vita”. Ecco, allora, che ritorna la visione di una Chiesa di popolo, il senso della partecipa- zione convinta alla ricorrenza dell’Unità: «Senza valori veri e condivisi, e senza pas- sare dalla semplice difesa dei propri inte- ressi alla salvaguardia del bene comune, non si riesce a far crescere un popolo».

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Anno XXXIV n° 3 15 Marzo 2011 € 1,00Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi

E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Quando vinseun cuoreRazionale

Angelo Sconosciuto

Né rimpatriata, né reduci-smo. L’altra sera, nei sa-loni dell’Autorità portua-

le - pure loro testimoni un tempo del massiccio esodo dei cittadini albanesi, avvenuto esattamente quattro lustri addietro -, quello che abbiamo fatto è stata una seria ve-rifica su quale sia il nostro “stato di salute” di cattolici a due decenni da una prova, che abbiamo cer-cato di affrontare vangelo e cuore in mano, se è stato possibile. Anzi, vangelo e cuore con noi, ma con le mani libere visto che di queste c’è stato particolarmente bisogno in quei giorni di marzo.

Era indubbio che dovessimo riflettere – da cittadini – come siano cambiate le politiche del-le migrazioni e di conseguenza quelle dell’accoglienza. Ci siamo anche stupiti – se è possibile far-lo – di come la legge naturale, in quei giorni, abbia ben supplito ai vuoti di decisione e come, ne-gli anni successivi, ciò che dav-vero ha continuato a reggere tutto sia stato proprio quanto da sempre è scritto nel cuore dell’uomo, ad ogni livello di re-sponsabilità, più di quanto era scritto nelle Gazzette ufficiali.

Sapevamo che, in quei giorni, non si verificava un fatto nuovo, né che quanto accadeva avreb-be costituito l’ultimo episodio di qualcosa che, invece, avrebbe continuato ad essere cifra carat-teristica di quello scorcio di fine millennio, eredità per il nuovo. In quei giorni, però ciascuno fece vincere la razionalità del cuore, quella che ci ricordava di an-dare in soccorso del fratello fo-restiero, che era nudo, affamato, oppresso. Non gli abbiamo chie-sto nulla più del necessario per decidere le nostre azioni. Poi ab-biamo fatto esattamente come è accaduto in passato, quando “per la durezza del nostro cuo-re” anche noi abbiamo talvolta applicato la legge perché è legge, dimenticando che anche i più grandi studiosi del diritto in un passo del Digesto scrissero, che “non tutto ciò che è giuridico è morale”, volendo significare che l’agire concreto talvolta può an-che superare (in meglio) la legge positiva, perché nulla è più vali-do delle norme che sono scritte nel cuore dell’uomo.

editoriale

Quaresima 2011

Servizi alle pagg. 2-3 e 12-13

Vita Diocesana

I catechisti della diocesi incontrano fratel Enzo Biemmi

A pagina 5

Aggiornamento clero

La Pastorale per le famiglie irregolari.Intervista a don Carlo Rocchetta

A pagina 7

Vita di Chiesa

Don Luigi Guanella santo. Intervista con il “nostro” don Nino Minetti

A pagina 19

© Mario Gioia

«Con Cristo siete sepolti nel Battesimo con lui siete anche risorti»

Donato al Papa il nostro Liber Synodalis

Al termine dell’udienza generale di mercoledì 23 febbraio svolta-si nell’Aula “Paolo VI”, S.E. l’Arcivescovo, accompagnato da Mons. Giuseppe Satriano e da don Massimo Alemanno, rispettivamen-te Segretario generale e aggiunto del Sinodo diocesano, ha fatto dono al Santo Padre di una copia, particolarmente curata, del nostro Liber Synodalis.Benedetto XVI ha mostrato di gradire il dono, esprimendo al con-tempo parole di compiacimento e di incoraggiamento per la no-stra Chiesa diocesana.

Una presenza che affratella

«L a Chiesa rappresenta del popo-lo italiano l’elemento sintetico, il

punto di vista che accomuna, la presen-za che affratella». Lo ha ribadito il cardi-nale Bagnasco, illustrando il senso della Messa che celebrerà il 17 marzo, a Roma, nella basilica di Santa Maria degli Angeli, in occasione dei 150 anni dell’Unità. Nel-la vicenda unitaria la Chiesa e i cattolici hanno un ruolo, che diventa urgente an-che nell’oggi.

Il cardinale ha ribadito un giudizio at-tento sul federalismo, rilanciando il punto di vista della sussidiarietà, che non a caso fu proposta da papa Pio XI “proprio per reagire ad uno statalismo asfissiante che toglieva peso e responsabilità ai corpi in-termedi”. Serve, però, nello stesso tempo, un solido quadro di solidarietà sociale. E questo richiede responsabilità.

Bagnasco insiste sul tema morale ed educativo: «La deregulation morale, cui abbiamo assistito per decenni, secondo la quale non esisterebbero vincoli da ri-spettare ma solo desideri da realizzare mostra oggi il suo vuoto e le insostenibili conseguenze». Bisogna cambiare registro, fare sì che «l’istanza etica, come quella spirituale e religiosa che le sono intrin-secamente connesse, crescano in modo stabile nella coscienza collettiva». Qui si radica il discorso sui «principi non nego-ziabili», con le connesse scelte politiche e legislative, come quella imminente sul “fine vita”.

Ecco, allora, che ritorna la visione di una Chiesa di popolo, il senso della partecipa-zione convinta alla ricorrenza dell’Unità: «Senza valori veri e condivisi, e senza pas-sare dalla semplice difesa dei propri inte-ressi alla salvaguardia del bene comune, non si riesce a far crescere un popolo».

Primo Piano2 15 marzo 2011

La vita e le esperienze della gente salgono nuovamen-te in cattedra. Anche quest’anno la comunità della parrocchia San Vito martire di Brindisi ha organiz-

zato il consueto appuntamento, giunto alla sua settima edizione, della “Cattedra di Vita”, svoltosi dal 3 al 5 marzo presso il teatro parrocchiale.

“1991-2011: Arcobaleni di speranza nell’Adriatico” è stato il tema che ha guidato la tre giorni che ha spaziato a 360°, regalando ai presenti attimi intensi attraverso videoproie-zioni, testimonianze, concerti e festa. Lo spunto, quest’an-no è venuto dal ventesimo anniversario dello sbarco alba-nese in città, un evento tanto tragico quanto importante e carico di ricchezze per chi, a quel tempo, ne è stato prota-gonista.

Una bella iniziativa culturale che si pone lo scopo di fare memoria di un evento significativo del passato per riflette-re alla luce delle sollecitazioni dell’oggi e per individuare, al termine del percorso, degli spunti di progettazione.

«Quest’anno – ha spiegato Annunziata Tomassoni, una delle curatrici - abbiamo inteso dare voce ad alcuni immi-grati che, giunti a Brindisi, qui si sono stabiliti costruendo-si una nuova vita: Edy Mocci Saracino una signora albane-se, Kibrab Tesfazghi, eritreo ed Ibrahim Cissè un ragazzo della Costa d’Avorio. Poi, a partire dall’evento del 1991, si è cercato di leggere la realtà dell’immigrazione oggi, con gli interventi di chi ha vissuto sulla propria pelle quell’espe-rienza».

La prima giornata dei lavori dal tema “Vite sospese tra due sponde”, è stata dedicata alla memoria rivivendo l’evento attraverso due proiezioni: un filmato di venti anni fa, girato da un parrocchiano per tutta la città, ed un altro girato oggi, dove si sono volute raccogliere le testimonianze di gente che ha operato in quell’occasione. Dopo le proiezioni, Enzo Finizzi ha tirato le fila attraverso il suo intervento “Mosaico

di Ricordi”.La seconda giornata, dal titolo“I volti e le storie. Possibili

percorsi di integrazione”, è stata dedicata al tema dell’im-migrazione ascoltando varie testimonianze e un intervento circa le leggi sull’immigrazione a cura Paolo Piccinno.

Sabato, infine, la giornata conclusiva sul tema “Per andare oltre”, con le riflessioni delle curatrici Annunziata Tomasso-ni e Mina Leccese, seguite dall’esibizione dei maestri Artur Xheraj e Gaetano Leone in un concerto di flauto e chitar-

ra. Non semplice musica, ma anch’essa testimonianza: un frutto di quella esperienza dello sbarco. Un duo compo-sto da un musicista albanese ed un brindisino, che hanno compiuto anch’essi, proprio in questi giorni, venti anni di carriera come coppia musicale. A dimostrazione di come l’arrivo di migliaia di albanesi in città abbia portato anche storie di amicizia, di amore, di condivisione, di lavoro.

«La Cattedra di vita, non è una idea di oggi – ha dichiara-to Mina Leccese – e non si è voluto esclusivamente portare alla mente l’evento dello sbarco. Questa nostra iniziativa culturale ha lo scopo di fare memoria di alcuni momenti significativi della nostra vita o di alcune realtà importanti che ci riguardano. Vogliamo prendere coscienza di questi eventi per poi comprendere l’impatto che questi hanno avuto ed hanno sulla realtà dell’oggi per progettare uno sti-le di vita orientato al bene comune».

«È la nostra vita che sale in cattedra – sottolinea anco-ra Mina Leccese – e quest’anno c’è stata la coincidenza del ventennale dello sbarco quando la nostra parrocchia, come molte altre, visse quel momento drammatico e nel-lo stesso tempo molto significativo per quanto riguarda l’esperienza dei volontari. La scelta del tema non ha voluto assolutamente sostituirsi alle iniziative che ci sono state a livello cittadino e diocesano. Il nostro è, e sarà sempre uno stile parrocchiale, ma aperto a tutti».

«Le precedenti edizioni della Cattedra di vita, iniziativa partita nel 2002 – racconta l’altra curatrice Annunziata To-massoni – hanno trattato vari temi: il 40° anniversario del Concilio Vaticano II, la figura dello straniero, la magia, la superstizione e la fede, il dolore, il disagio degli adolescenti e il loro rapporto con i genitori e il decimo anniversario di casa Betania».

Antonella Di Coste

Segna il confine tra il mondo reale e quello degli invi-sibili, il cancello ridotto ad uno scheletro di ruggine, posto all’ingresso dell’ex azienda agricola su via (si

fa per dire) Leonardo Leo alla periferia di Tuturano. Nello stabile, patrimonio del Comune di Brindisi, c’è un ghetto. Saranno una trentina oggi gli immigrati in quell’accampa-mento di mondezza. Vergognosa testimonianza di degra-do senza fondo. Ma ci sono stati periodi, nel passato, in cui erano anche una settantina.

Nel cortile alberato dell’ex azienda agricola, confiscata alla mafia, lungo una strada sterrata ai confini con il centro abitato, un uomo si affaccia da uno dei ruderi. Ha in mano un mestolo. Lo intinge in una pentola colma di sugo fino all’orlo. Oggi la mensa sociale prevede pasta al sugo. Come ieri, l’altro ieri e tre giorni fa. Che fa se il pasto è sempre lo stesso, purchè acquieti i morsi della fame. Fame e freddo sono i fantasmi di ogni notte. Quelli che tengono gli occhi sbarrati. Ma insieme alla pasta al sugo arriva un odore di stantìo, come di roba ammuffita. Emana da un vano aperto per metà: una discarica di abiti sudici. Uno strato di odori nauseanti di varia umanità alto almeno quasi mezzo metro. La voce di un giovane sudanese rompe il silenzio: «Sono in-dumenti già usati e qui non abbiamo acqua. Quando sono troppo sporchi o troppo lisi li gettiamo lì dentro. In questa casa passano tanti giovani immigrati.... Molti si cambiano e vanno via di nuovo».

«Da lì presto dovremo mandarli via». Sentenzia Gabriella dell’Aquila, assessore ai Servizi sociali del Comune.

E dove troveranno ricovero? Anzi, un tetto sulla testa, per-chè chiamare ricovero quel tugurio è un complimento che non merita. A quanto pare, non è stata trovata una soluzio-ne. E allora? Troppo semplice dire che devono andar via.

Pareti senza più colore, coperte di fumo e muffa avvol-gono improbabili letti, reti metalliche su cui si allungano strati di coperte, pellicce e piumini. Divani sfondati, sedie

rabberciate, tavolini sgangherati poggiano su un pavimento dissestato. E la sporcizia sfiora livelli inimmaginabili. Diffi-cili persino da descrivere.

In quell’ammasso di catapecchie in muratura che qualcu-no, pare, avrebbe pure il coraggio di chiamare case dormo-no in una trentina. Suddivisi tre, quattro per stanza.

E la notte che succede qui? Quando cala il sole il freddo gela le ossa. I vecchi camini nei tuguri potrebbero aiutare ma senza legna che cosa si brucia?

Nella stanzetta, tra miseria e sporcizia, sulla parete lercia e nera c’è una croce. Poco sotto, su un piccolo scaffale, una scatola umida di sale grosso. «Voi siete il sale della terra...», diceva il Vangelo domenica scorsa. Sono loro, questi giova-ni eritrei, dai visi lindi e puliti nell’immondizia, nei locali a rischio colera, il vero sale.

Ma qui si vive come bestie. Al confronto i terremotati sono dei privilegiati.

Don Francesco Funaro il parroco dell’unica parrocchia di Tuturano, ammette di provare disagio a saperli in quelle condizioni. «A volte di notte mi sveglio pensando a questi poveri ragazzi», afferma sinceramente amareggiato.

«È a rischio di chiusura, la casa confiscata che ospita gli immigrati? Li accoglierò tutti in chiesa. Non li farò certo dormire per strada». Don Francesco è deciso.

Procediamo. Gli orrori non sono finiti. In fondo c’è il fieni-le. Al di là delle balle di fieno, in un ambiente senza finestra e senza porta, la luce del giorno che si diffonde all’interno come gli odori nauseanti, stagionano escrementi umani in ordine sparso.

Quale attesa di vita ci può essere tra queste mura?Se non fosse per la Caritas che porta qui, abiti, farmaci,

pasta, riso e pelati, sopravvivere con i miseri guadagni di una rara giornata in campagna, sarebbe ancora più duro.

Non hanno rabbia malgrado capiscano di essere invisibi-li per i tanti diritti negati. Nella camera di Tecli, eritreo, 27

anni, in Italia da quattro anni, le brande sono sorrette dai borsoni, sulla parete, invece, un grande dipinto allontana l’occhio dall’intonaco scrostato: è un paesaggio incornicia-to d’oro. Più in là uno stendino con i panni stesi. No, non sono lavati. Solo messi all’aria, nella speranza che gli odori si disperdano.

«A Tuturano ci sono diverse strutture comunali non utiliz-zate - prosegue il parroco della SS Addolorata - mi riferisco alla vecchia scuola elementare in via Stazione o il centro anziani chiuso in via Traetta, perchè non aprirle agli im-migrati almeno il tempo necessario per eseguire lavori che possano restituire a quelle baracche un po’ di decoro. Oltre che servizi igienici essenziali».

Giorni fa, Bruno Mitrugno, direttore emerito della Caritas ha definito inumane le condizioni in cui vivono gli ospiti del dormitorio. Nell’indifferenza generale: «Brindisi è città dell’acqua, del vino, del rigassificatore - affermato -. Non è città dell’uomo».

Valeria Cordella Arcangeli

reportage A Tuturano tra i ragazzi immigrati dall’Africa

Qui si vive come bestie

cattedra di vita 7ª edizione dell’iniziativa organizzata dalla Parrocchia san Vito martire

1991-2011: arcobaleni di speranza nell’Adriatico

Gli ambienti in cui vivono gli immigrati © M. Gioia

Gli ambienti in cui vivono gli immigrati © M. Gioia

La testimonianza di Kibrab Tesfazghi

La testimonianza di Edy Mocci Saracino

Primo Piano 315 marzo 2011

EvEnti� Presso l’Autorità Portuale un convegno a venti anni dagli sbarchi degli albanesi

Accoglienza, convivenza, reciprocitàEra il 7 marzo 1991

quando migliaia di al-banesi giunsero sulle

coste brindisine in fuga da un paese che non conosceva la libertà e che non dava spe-ranza di un futuro migliore.

Sono passati venti anni da quella drammatica pagina di storia che la città di Brin-disi ha vissuto in prima linea sapendola fronteggiare con coraggio e grande senso di solidarietà.

Per ricordare quei giorni, la Caritas diocesana, in col-laborazione con Migrantes, ha organizzato un convegno pubblico dal tema “1991-2011. Accoglienza, conviven-za, reciprocità” che si è tenu-to lunedì 7 marzo presso la Sala Conferenze dell’Autorità Portuale di Brindisi. Alla pre-senza delle autorità locali, la tavola rotonda, presieduta da Mons. Rocco Talucci e mo-derata dal giornalista del Tg2 Daniele Rotondo, all’epoca cronista di Telenorba, è stata introdotta dal direttore della Caritas diocesana Rino Romano. È in-tervenuto Mons. Giuseppe Pasini, di-rettore della Caritas Italiana dal 1986 al 1996, attualmente Presidente della Fon-dazione “Emanuela Zancan” di Padova, suor Grazia Rotunno, volontaria in Al-bania e, attraverso una testimonianza video, Bruno Mitrugno, direttore eme-rito della nostra Caritas diocesana.

Nel 1991, com’è noto, Brindisi dimo-strò una grande capacità di solidarietà e di apertura verso le migliaia di pro-fughi che in pochi giorni riempirono le strade della città, «una città – come ha precisato Daniele Rotondo all’inizio del convegno - che ha una sorta di le-adership nel primato dell’accoglienza non solo cristiana ma anche umana». Un’accoglienza toccata con mano e te-stimoniata da alcune persone presenti al convegno, giunte profughe venti anni fa, che conservano ancora vivo il ricor-do di quanto siano stati solidali e gene-rosi i brindisini.

Ad arricchire la serata un video con le immagini dell’epoca che ha portato la memoria di tutti a quel giorno stori-co di dolore e disperazione, ma vissuto con intensità e spirito di accoglienza.

Nel corso del suo intervento, Bru-no Mitrugno ha voluto ricostruire quell’evento: «Vi erano state delle av-visaglie nei mesi precedenti quando alcuni gruppi familiari raggiungevano Brindisi», ha ricordato. E menzionan-do quanti hanno offerto la propria di-sponibilità, ha sottolineato l’impegno dell’allora Arcivescovo Mons. Settimio Todisco, presente in sala, e di don Toni-no Bello, Vescovo di Molfetta, che offrì il suo aiuto alla nostra Caritas. Un invi-to ad un sempre maggiore impegno in favore dei più poveri, Bruno Mitrugno lo ha lanciato alle istituzioni, «per fare di Brindisi una vera città dell’uomo».

Di «miracolo di umanità, di religiosità, di civilismo» ha parlato un emozionato

e applaudito Mons. Settimio Todisco, il quale ha testimoniato la grande intesa che si venne a creare tra i responsabili, le associazioni, le parrocchie, i gruppi, le istituzioni. «I brindisini dal cuore grande e accogliente – ha detto il nostro Arcivescovo emerito – hanno salvato il vincolo saldissimo delle famiglie alba-nesi accogliendole nelle loro case». E da quell’esperienza di unione, di col-laborazione, di sinergia, Mons. Todisco ha lanciato a tutti quella che è la grande sfida di oggi: «saper costruire insieme e stare insieme, proprio come fu possibi-le allora».

A fornire dati di natura tecnica e lo-gistica è stato il dottor Bruno Pezzuto, all’epoca viceprefetto vicario di Brindisi che ha evidenziato le difficoltà enormi che la città dovette fronteggiare in un disordine difficile da gestire.

Le energie e le risorse impiegate fu-rono ingenti, come ha ricordato anche suor Grazia Rotunno, volontaria in Al-bania dal 1992 la quale ha raccontato vari aneddoti di una giornata che ha se-gnato la storia della città di Brindisi.

In una emergenza simile fondamen-tale fu il supporto di Caritas Italiana che andando anche al di là problema, cercò di capire cosa poteva essere fatto per aiutare l’Albania e il suo sviluppo. Mons. Giuseppe Pasini, in un racconto minuzioso di quell’evento così dram-matico, ha sottolineato come fossero «in gran parte i giovani a fuggire dal Paese e quindi la speranza di recupe-ro della nazione si sarebbe, in questo modo, affievolita». Da qui l’idea, appro-vata anche dalla Santa Sede, di creare in loco, delle chiese che potessero solleci-tare lo sviluppo dell’Albania. «Arrivaro-no innumerevoli aiuti – ha continuato Mons. Pasini – e l’85 % di questi ven-nero concentrati nel produrre progetti di sviluppo in alcuni settori principali. Progetti che dovevano essere ripetibili anche in altre zone albanesi, produttori

di reddito e resi partecipi a tutta la po-polazione. Una ripresa, insomma che è potuta realmente avvenire».

Le conclusioni del convegno sono sta-ta affidate a Mons. Rocco Talucci il qua-le ha precisato che la serata non voleva essere la celebrazione un evento, bensì un educarsi «a vivere da uomini e da cristiani, a sentirci comunità ecclesiale e civile, una sola cosa perché chi ha il dono della fede non si senta staccato o separato da chi è ancora in cerca o in attesa di trovarla».

Una grande eredità quella lasciata da chi ha vissuto l’esodo albanese po-sta nelle mani degli uomini di oggi per saper amare e servire questa umanità. «Un’ eredità – ha affermato l’Arcivesco-vo - che io stesso ricevo ed è motivo di riflessione e potenziamento del mio ministero». Riallaciandosi agli inter-venti di Mons. Pasini e di Mons. Todi-sco, l’Arcivescovo ha ricordato, ancora una volta, come proprio quest’anno la diocesi stia lavorando su due ambiti del Sinodo quali l’evangelizzazione e il territorio. «Dobbiamo presentare la speranza evangelica nel rispetto della fede e della libertà altrui, perché c’è un vangelo della carità, ma anche una ca-rità del vangelo che ci vede impegnati nel territorio. E l’esortazione di Mons. Todisco a lavorare insieme è la caratte-ristica del Sinodo. Una sinergia tra Sta-to e Chiesa, e tra istituzioni è possibile sempre - ha concluso Mons. Talucci – e mi auguro lo sia anche per l’accoglien-za degli immigrati, in massa, proprio in queste settimane, stanno raggiungendo le coste italiane».

La serata si è conclusa con un breve spettacolo tratto dal musical “Madre Teresa” portato in scena dai giovani della parrocchia San Nicola di Brindisi.

Daniela Negro

La sala conferenze dell’Autorità Portuale. In prima fila le autorità © D. Tasco

Il saluto del Direttore Caritas diocesana, Rino Romano © D. Tasco

La testimonianza di Mons. Todisco © D. Tasco

La testimonianza di Manila Gjoka © D. Tasco

Mons. Giuseppe Pasini © D. Tasco

L’intervento di Mons. Talucci © F. Cuppone

Vita Diocesana4 15 marzo 2011

Lo scorso 12 febbraio è toccato al Prof. Giacomo Ruggieri, economista dell’Università di Bari e già Direttore

regionale di Confcooperative, animare l’in-contro della Scuola di formazione all’im-pegno sociale e politico, tenutosi, come sempre, presso l’auditorium “mons. Elio Antelmi”. Tema dell’incontro: “Intrapren-dere”.

Dall’incontro mi aspettavo la solita di-scussione che si fa riguardo alle opportuni-tà di finanziamento e ai vantaggi fiscali per le attività che si avviano in taluni settori; oppure, quella specie di “seduta terapeu-tica di gruppo” che ogni tanto organizzano alcuni enti e associazioni impegnati nella promozione dell’intrapresa, proprio per stimolare e motivare (soprattutto “i giova-ni volenterosi”) alla creazione di attività imprenditoriali. Fortunatamente, nulla di tutto ciò.

È stato, al contrario, un prezioso momen-to di arricchimento culturale ed umano, fa-vorito non solo dalla competenza in campo economico messa a disposizione dal prof. Ruggieri, ma anche da una sua conoscenza del mondo e dei fatti che lo caratterizzano, esaltati, questi ultimi, da una inimitabile capacità narrativa, che gli ha consentito di tenere alta l’attenzione del pubblico per tutta la durata della lezione.

La sua lezione è stata un continuo “zizza-gare” da un argomento all’altro, dal raccon-to di una esperienza alla spiegazione di un concetto economico, il tutto legato da una direttrice comune: l’impresa. E da un sen-timento di fondo: la difesa dell’italianità. «Perché – ha spiegato – noi italiani abbia-mo un concetto dell’ospitalità, un gusto ed uno stile di vita che tutto il resto d’Europa ci invidia!». «E – ha continuato – per ac-corgersene basta guardare il modo con cui sono arredate le nostre case: quella del più povero dei nostri contadini è sempre più bella e meglio arredata di quella di un me-

diamente ricco signore del nord-Europa». Questa affermazione mi ha fatto capire che il “made in Italy” non è solo un marchio commerciale che contraddistingue i pro-dotti italiani sui mercati internazionali, ma è anche e soprattutto una proiezione su di una piattaforma chiamata “mercato” del nostro carattere, del nostro stile e del pecu-liare ed ancestrale modo con cui gli italia-ni vedono e vivono la vita. Non è un caso, infatti, che molti turisti che visitano l’Italia, rimangono affascinati non soltanto dalle bellezze culturali e paesaggistiche che essa offre, ma anche dagli usi e costumi locali, dalle tradizioni folcloristiche che caratte-rizzano anche la più piccola comunità di ciascuna provincia e che la rendono diver-sa e unica; dai dialetti che, tanti e diversi (si parla di un dialetto ogni tre km), contribu-iscono a forgiare le identità particolari che fanno dell’Italia “il Paese delle cento provin-ce”; o, ancora, la nostra cucina, povera e ru-stica, rinomata nel mondo per la sua varietà e la qualità dei suoi prodotti. Ed è proprio questo che fa dell’Italia, per il suo caratte-re distintivo ed inimitabile, una delle mete turistiche preferite non solo dai visitatori stranieri, ma anche dagli stessi italiani.

Proprio sul turismo che bisogna conti-nuare a puntare, intensificando gli sforzi. Vale a dire, migliorando la situazione attua-

le, correggendone i difetti e incentivando le nuove iniziative. L’Italia è, infatti, la nazio-ne che, al mondo, può vantare il maggior numero di beni culturali (per aver dato i natali a grandissimi architetti e scultori del Rinascimento e del periodo Barocco), ma è anche e purtroppo il Paese che ricava di meno, dal punto di vista reddituale, da que-sto suo immenso patrimonio. Oppure, pun-tare su idee nuove, che potrebbero contri-buire significativamente alla valorizzazione di alcune zone che, per loro sfortuna, non possiedono ricchezze culturali, ma che po-trebbero inventarsi una nuova forma di tu-rismo: un esempio il prof. Ruggieri ce lo ha fornito citando il caso della Basilicata, dove si può fare il “Volo dell’Angelo”: agganciati ad un cavo d’acciaio, sospesi a circa mille metri d’altezza, si può “volare” da Castel-mezzano a Pietrapertosa, a circa 100 Km/h, ammirando il magnifico panorama delle Dolomiti Lucane. È una nuova forma di in-trapresa, magari estrema, ma molto effica-ce, se si considera che accorrono appassio-nati da tutta l’Europa per provare una tale emozione.

La sintesi dell’incontro può essere la se-guente: innovare, valorizzando quanto di più antico e tradizionale la nostra terra e la nostra cultura ci offrono.

Francesco D’Onghia

Martedì 1 marzo, la comunità del Se-minario Arcive-

scovile “Benedetto XVI” ha vissuto con gioia grande l’ac-coglienza ufficiale delle due belle tele di cui si è arricchita la chiesa, raffiguranti Santa Chiara e il Beato Pier Giorgio Frassati.

Alla cerimonia di benedi-zione, presieduta dall’Arci-vescovo, era presente colei che le ha realizzate, la prof.ssa Rosalba Fantastico di Kastron, che ci ha consegna-to delle vere e proprie ope-re d’arte, mettendo a frutto non solo la sua competenza, ma soprattutto la sua sensibili-tà umana e spirituale.

Abbiamo vissuto questo incontro in un cli-ma di preghiera, più che di semplice conve-gno, perché pensiamo sia il modo migliore per esprimere l’intento di chi ha voluto que-ste immagini e di chi ha realizzate.

Queste tele non sono state pensate, infatti, solo come dei ritratti, ma come delle espres-sioni artistiche della santità dei due perso-naggi rappresentati: Chiara d’Assisi, cui è intitolata la chiesa del Seminario, ci parla dell’esperienza affascinante della sequela del Signore sulla scia di san Francesco, in un cli-ma di perfetta letizia, di povertà e di sempli-cità; Pier Giorgio ci propone un percorso di santità giovanile più vicino a noi nel tempo e ci fa innamorare del Vangelo e dei poveri, at-traverso una testimonianza gioiosa di carità.

L’augurio è che il loro esempio sia un conti-

nuo richiamo alla santità per tutti e in parti-colare per i giovani seminaristi che in questa casa si formano alla sequela del Signore.

La comunità del Seminario rivolge un gra-zie davvero sentito a tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione di queste ope-re, a partire dall’Arcivescovo, che ha deside-rato per primo di completare questa chiesa con le immagini dei nostri santi, l’Associa-zione Pier Giorgio Frassati e quanti hanno contribuito in vari modi.

Infine, un grazie particolare a mons. Ange-lo Catarozzolo per la sua grande generosità e per l’amicizia che sempre dimostra nei con-fronti del Seminario.

Che la bellezza dell’arte elevi il nostro spiri-to durante la liturgia e ci renda più disponi-bili all’incontro trasfigurante con Dio.

don Alessandro Luperto

EvEnti� Il 1° marzo scorso nel Seminario diocesano

Arte, due “esempi” da seguire

Le due nuove tele benedette dall’Arcivescovo

Scuola Soci�o-poli�ti�ca Un incontro col prof. Giacomo Ruggeri

Ecco cosa significa “intraprendere”

Il prof. Giacomo Ruggeri con il direttore della Scuola Eugenio Cascione © V.Musa

È tornato a Brindisi dopo nove anni She-rap Lama, monaco

buddista del monastero di Tawang (India). È tornato per lanciare il suo messaggio alla comunità, attraverso un incontro tenutosi presso la Caritas diocesana alla pre-senza, tra gli altri, del diretto-re Rino Romano e di Roberto Caroppo. Un’occasione que-sta, per parlare degli obiettivi raggiunti in questi nove anni durante i quali quel sogno di costruire una scuola per i piccolini della minoran-za Monpas è diventato una concreta realtà.

«Nel 2002 Sherap Lama giunse nel nostro Paese con altri monaci tibetani per sen-sibilizzare l’opinione pubbli-ca nei riguardi dei soprusi subiti dal popolo tibetano – racconta Roberto Caroppo - . In quell’occasione si fermarono a Brindisi per venti giorni, dove allestirono una mostra presso la Casa del Turista, e andarono via conservando nel cuore la grande ospitali-tà brindisina. Fu allora che nacque l’idea di costruire una scuola destinata ai bambini in una regione ai margini della foresta, tra l’In-dia e la Cina, con un altissimo tasso di anal-fabetismo. Oggi la scuola Jhamtse Gatsal ac-coglie oltre ottanta bambini».

«Sono felice di essere qui a Brindisi – ha

dichiarato il monaco – dove ho ritrovato la stessa cordialità e ospitalità da parte della gente del posto. Ho avuto modo di essere ri-cevuto dall’Arcivescovo Rocco Talucci, una persona molto gentile e sensibile. Il dialogo che abbiamo avuto ha dato frutto, una ric-chezza che testimonia il fatto che le differen-ze di religione non contano molto quando il denominatore comune si chiama Bene».

Antonella Di Coste

i�ncontRi� A Brindisi dopo 9 anni

Il ritorno di Sherap Lama

Giornata di preghiera per i Missionari martiri

S embrerebbe assurdo identificare un martire come colui che “resta nel-

la speranza” in quanto la vita trascorsa all'insegna dell’Amore è tragicamente interrotta e con esse sembra si fermi la vita stessa della Missione. La gente in quegli istanti di buio si chiede: Perchè ? Come si fa a dire di lui che è “rimasto” nella speranza?

Il martire non resta solo nella memo-ria di chi lo ha conosciuto, ma resta nel-la speranza che Cristo crocifisso risorge e così diventa esempio e modello per tutta la Chiesa.

Papa Benedetto XVI ha scritto: “La Chiesa annuncia ovunque il Vangelo di Cristo, nonostante le persecuzioni e le discriminazioni e l'indifferenza, talvolta ostile che le consentono di condividere la sorte del suo Maestro e Signore”.

Ma per noi che cosa vuol dire “restare nella speranza”? Se lo applichiamo nel nostro quotidiano, significa accettare le situazioni difficili che la vita ci riserva.

Lo slogan di quest'anno diventi per tut-ti noi un’esortazione ad essere sempre meglio testimoni del Vangelo e in que-sta giornata preghiamo perchè Dio so-stenga i tanti missionari sparsi in questo mondo che non ha confini.

“Missio” Brindisi-Ostuni

Vita Diocesana 515 marzo 2011

Domenica 13 febbraio, mons. Talucci ha celebra-to la Santa Messa presso il

Circo “Città di Roma” che in quei periodo stazionava presso il Cen-tro Commerciale “Le Colonne” di Brindisi. A fare da cornice all’al-tare, preparato per l’occasione al centro della pista, tantissimi bam-bini e ragazzi che hanno potuto vi-vere la celebrazione domenicale in un luogo inedito.

Nel corso della sua omelia l’Ar-civescovo ha fatto riferimento al Sinodo diocesano nel quale ha trovato ampio spazio la riflessione sulla Pastorale del Territorio.

«La celebrazione eucaristica nel circo - ha evidenziato mons. Ta-lucci - sta a significare la presenza della Chiesa in tutti i luoghi dove si svolge la vita e la storia degli uomi-ni, compreso il circo dove ci sono persone che spesso, a causa dei continui spostamenti, non riesco-no a programmare la partecipazio-ne alla messa domenicale».

«Se a livello nazionale esiste un ufficio che si interessa al popolo dei nomadi e dei circensi presso la

Fondazione Migrantes, nella no-stra Chiesa diocesana- ha prose-guito Mons. Talucci - non manca l’attenzione a queste realtà, anzi il nostro sguardo continua ad essere rivolto al territorio che serviamo, perché è lì che incontriamo l’uo-mo al quale desideriamo annun-ciare il Vangelo».

Mons. Talucci ha poi rimarcato il beneficio che anche il lavoro dei circensi porta alla società, assicu-rando a tanta gente momenti di spensieratezza e di sano diverti-mento.

Nel salutare e ringraziare il diret-tore per l’invito ricevuto, insieme alla sua famiglia e a tutti gli ope-ratori del circo, Mons. Talucci ha ricordato come già in passato, da giovane prete, avesse celebrato il precetto pasquale in un circo.

Al termine della Messa la fami-glia Bizzarro, proprietaria del Circo “Città di Roma” ha offerto all’Arci-vescovo e ai numerosi presenti un breve spettacolo.

Giovanni Morelli

brindisi Il 13 febbraio scorso

Parlare di Dio nel circo

Venerdì 25 febbraio si è tenuta presso il te-atro della Parrocchia

S. Vito martire l’Assemblea diocesana per i catechisti sul tema “Iniziazione Cristiana: strada per educare e forma-re i cristiani” tenuta da fratel Enzo Biemmi.

Il relatore, partendo dalla celebrazione del 40° anniver-sario del Documento di Base, ha affermato che la situazio-ne attuale della Catechesi ita-liana è in crisi ed esige “nuo-ve sfide” e “nuovi passi” per trasformarsi da catechesi puramente cognitiva e dottrinale a Catechesi per la vita cristiana cioè: “Educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui” (DB 38).

I tre grandi cambi di prospettiva di questo decennio, missionaria, inizia-tica e secolare hanno sostanzialmente mutato le nostre linee progettuali, ed abbiamo quindi bisogno di una con-versione pastorale.

Bisogna partire dal “secondo o primo annuncio” che fr. Biemmi ha paragona-to alla semina; in questi anni abbiamo speso tante energie, ma gli sforzi sono risultati sterili perché abbiamo dato per scontato che la catechesi mirava a nu-trire una fede già in atto, mentre inve-ce va valorizzata l’intuizione pastorale proposta dai Vescovi italiani, che indi-cano una chiave concreta di cambia-

mento, ben sintetizzata dal documento Cei su “Il volto missionario della par-rocchia”.

I tentativi di cambiamento del model-lo tradizionale della catechesi sono for-se la realtà più significativa e promet-tente dell’Iniziazione Cristiana.

In ogni diocesi italiana si tentano nuove sperimentazioni le cui caratteri-stiche comuni sono:

- Attenzione spostata dai fanciulli agli adulti, e in particolare alla famiglia.

- Il soggetto catechistico non è più solo il catechista, ma la comunità.

- L’accesso al processo di iniziazione per i soggetti adulti è caratterizzato dal-la libertà.

- Viene recuperata la dimensione ca-tecumenale del processo di iniziazione cristiana.

- Si tende a ripristinare il corretto ordi-ne teologico e l’unità celebrativa dei tre

sacramenti dell’Iniziazione Cristiana.- La domenica diventa il luogo e il

tempo privilegiato per i processi di ini-ziazione in atto.

- Il lavoro di èquipe è la modalità più diffusa per promuovere e sostenere le sperimentazioni.

In conclusione fr. Enzo Biemmi ha suggerito di mutare profondamente atteggiamento, non certamente ad im-pegnarci di meno, ma soprattutto a di-ventare più fiduciosi rispetto a quanto stiamo vivendo.

A noi decidere se investire su una pa-storale di un cristianesimo che sta fi-nendo o su quello che lo Spirito sta pre-parando, un cristianesimo della libertà e della grazia, un cristianesimo forse più debole, ma certamente più evange-lico.

Catechiste Parrocchia Sacro Cuore

cAtechisti Il 25 febbraio assemblea diocesana alla san Vito martire con fratel Enzo Biemmi

Iniziazione Cristiana: strada per formare ed educare

Nella foto Mons. Ciccarese e fratel Biemmi © S. Licchello

L’Arcivescovo in visita alla

Capitaneria di Porto

Il 24 gennaio scorso Sua Eccellenza l’Arcivescovo ha fatto visita alla Ca-pitaneria di Porto di Brindisi. Nel

saluto rivolto al personale, Mons. Taluc-ci ha ricordato l’abnegazione offerta dai militari della Guardia Costiera in occa-sione dello sbarco dei profughi albanesi di cui quest’anno si ricorda il 20° anni-versario, rimarcando l’approccio umano che nell’occasione ha contraddistinto gli uomini del Corpo delle Capitanerie di Porto. Inoltre Mons. Rocco Talucci ha riportato l’indimenticabile ricordo che il Papa conserva a seguito della sua visita a Brindisi il 14 e 15 giugno 2008 e in par-ticolare la Messa celebrata nell’originale scenario portuale .

Nel corso della sua permanenza presso la Capitaneria, accompagnato dal Co-mandante, il Capotano di Vascello Clau-dio Ciliberti, l’Arcivescovo ha visitato gli uffici del Corpo e in particolare la sala operativa, attiva 24 ore su 24 a tutela del-la sicurezza in mare .

Al termine mons. Talucci ha fatto dono del Liber Synodalis al Comandante Ci-liberti, a dimostrazione dell’attenzione che la Chiesa diocesana rivolge al terri-torio in cui opera.

Il C.V. Ciliberti e Mons. Talucci

Le riunioni del Consiglio Pastorale diocesano

Il Consiglio Pastorale Diocesano quest’anno è chia-mato a riflettere su uno strumento importante qual è lo Statuto - Regolamento che ne disciplina le moda-

lità di lavoro, lo stile e le caratteristiche peculiari, perché risponda alla sua essenza di “strumento della partecipa-zione e corresponsabilità di tutti i battezzati alla missio-ne salvifica della Chiesa”.

La necessità di mettere mano agli statuti e regolamenti è nata dalle osservazioni e discussioni emersi nel Sinodo diocesano che ampio spazio ha dedicato alla lettura di come attualmente siano vissuti gli organismi di parteci-pazione, il loro ruolo nella vita pastorale, le potenzialità ancora trascurate perché assolvano al loro ruolo di stru-menti di comunione al servizio della comunità.

Le bozze di modifica sono state elaborate dalla segre-teria del Consiglio Pastorale Diocesano ed inviate pre-ventivamente ai suoi membri, affinchè ciascuno, in base alle sue competenze ed esperienze, potesse approfondi-re, prima in maniera personale, le proposte di modifiche preparate.

Mercoledì 16 febbraio, dopo la preghiera del vespro, i lavori del Consiglio, in stile sinodale, hanno visto la ri-flessione, articolo per articolo, dello Statuto in vigore dal 1994 per il Consiglio Pastorale Diocesano. Le modifiche apportate, alla luce del Sinodo diocesano e dei docu-menti del Magistero della Chiesa, hanno posto l’accento sulla valenza educativa, sullo stile di comunione e corre-sponsabilità verso cui sempre più devono incamminarsi tali organismi di partecipazione.

La discussione e l’approfondimento per il solo Statuto Diocesano hanno impegnato lo spazio dell’intero con-siglio, rinviando quindi ad una seconda convocazione, avvenuta il 2 marzo u.s., per la modifica degli statuti per i Consigli Vicariali e Parrocchiali.

Consapevoli che il lavoro effettuato fosse destinato a segnare lo stile dei Consigli Pastorali per lungo tempo, la riflessione non ha trascurato nessuna osservazione, sop-pesando l’opportunità anche di eventuali integrazioni alle modifiche opportunamente già previste.

A breve l’Arcivescovo promulgherà gli Statuti così mo-dificati.

Iolanda Milone

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Celebrazione nel tendone del circo © A. Di Coste

Vita Diocesana6 15 marzo 2011

I ragazzi e i giovani dell’Azione Cattolica delle Parrocchie, Cattedrale, SS. Addolora-ta, San Giustino De Jacobis, San Lorenzo da Brindisi, San Nicola e San Vito martire di Brindisi, in occasione del mese della Pace, hanno inviato una lettera al Sindaco della città. Vi proponiamo il testo:

Egregio Sig. Sindaco,noi ragazzi e giovani di Azione Cattolica, negli incontri di riflessione sul tema della pace, ab-biamo elaborato un messaggio rivolto a Lei e a tutti i Responsabili Amministratori del Bene comune della nostra Brindisi, città di pace.

Questa definizione ben si addice alla città adriatica per la continua accoglienza che of-fre ai tanti stranieri che spesso incontriamo per strada e nei quartieri.

I nostri educatori ci hanno illustrato il pen-siero della Chiesa riguardo la pace.

Pace non è solo “non litigare, non è solo “as-senza di guerra”.

Pace è fare in modo che la giustizia, cioè il

rispetto dei diritti di ogni persona e di ogni popolo, venga realizzata.

Forse è possibile fare qualcosa di più e di meglio per i nostri ospiti di colore che tanto spesso ci appaiono disorientati nel loro quoti-diano girovagare?

E che dire della disoccupazione di tantissimi giovani brindisini, costretti a rimandare i loro progetti per il futuro e di tutte quelle nostre famiglie che avrebbero bisogno di sostegno per una vita più dignitosa?

Abbiamo scoperto, infatti, che Pace significa anche valorizzazione della vita.

Per fretta o per disattenzione, infatti, tanti aspetti della nostra vita ci passano inosser-vati, non riusciamo a dare senso ad ogni più “banale” momento della nostra vita quotidia-na, a tanti piccoli “nulla” di cui molti bambi-ni, ragazzi e giovani nel mondo non possano usufruire.

Avere un nome, una famiglia, essere protet-to e curato, avere una casa, andare a scuola, avere tempo libero per poter giocare o prati-

care uno sport sono solo alcuni dei diritti di cui godiamo, ma che troppo spesso diamo per scontati.

Abbiamo scoperto che la vita non è un fat-to “scontato” ma un vero e proprio “miracolo” che ogni giorno si rinnova.

Dare sapore alla vita significa metterci in un atteggiamento nuovo di fronte a noi stes-si, agli altri a tutto ciò che ci circonda, non sprecare le nostre capacità ma aprire il nostro cuore per trovare i grani di sale per insapori-re ogni singola azione e gesto che compiamo ogni giorno.

Riteniamo che le istituzioni pubbliche abbia-no un ruolo importante nel garantirci persone e luoghi che ci accompagnino in questo per-corso.

Carissimo Sindaco, noi ragazzi e giovani di Azione Cattolica ci

impegneremo a portare la pace nel nostro quotidiano, anche con piccoli gesti di solida-rietà e di aiuto, ma riteniamo che chi gover-na e amministra abbia un’opportunità e una

responsabilità più grande per la realizzazione vera della pace come giustizia e rispetto dei diritti della persona.

I ragazzi e i giovani dell’Azione Cattolica

Lettera dei ragazzi deLL’azione CattoLiCa aL sindaCo di Brindisi

Mostra su Pier Giorgio

Frassati

Il 26 gennaio scorso ha iniziato il suo viag-

gio tra i comuni della diocesi, la mostra itine-rante “Conosci Piergior-gio Frassati”, idealmen-te a fare da ponte tra il Convegno pubblico con Franco Miano e l’assem-blea elettiva diocesana di Azione Cattolica. La mostra, composta da 10 pannelli bifacciali con frammenti di dia-ri, lettere e fotografie, racconta in tutte le sue sfaccettature, la vita, la testimonianza, i semi di bene che il giovane to-rinese ha abbondante-mente sparso tra quanti hanno incrociato il suo cammino.

Ad ogni tappa la mo-stra è stata accom-pagnata da momenti di aggregazione, concerti, ta-vole rotonde, momenti di preghiera, cineforum con la visione del film “Se non avessi l’amore”, trasmesso dalla RAI all’indomani del-la beatificazione, appun-tamenti che, insieme alla visita della mostra, hanno unito i giovani e ragazzi intorno alla testimonianza efficace di uno di loro, la storia di una santità possi-bile per ciascun giovane e ragazzo di oggi.

Particolarità della mo-stra è stato, più che il suo svolgimento, la sua orga-nizzazione: questa è stata, infatti, interamente ideata dall’equipe dei giovanis-simi della nostra diocesi: una rappresentanza di ra-gazzi dai 16 ai 18 anni di diversi paesi della diocesi, ribattezzati, in omaggio a Piergiorgio, “i nuovi tipi loschi”, che collabora con l’equipe dei giovani per la programmazione e la riflessione sugli appunta-menti del settore. I giova-nissimi hanno studiato la vita del “giovane delle otto beatitudini”, hanno pre-parato filmati e presenta-

zioni, hanno ideato anche una caccia al tesoro per far conoscere ai più piccoli la figura e la testimonian-za di Piergiorgio, perché la mostra fosse, non un momento passivo di co-noscenza, ma una coin-volgente e appassionante occasione di incontro e ri-flessione.

Ultima tappa del cam-mino della mostra nella nostra diocesi è stata Brin-disi; allestita nel salone parrocchiale della San Vito martire dove il 27 febbraio si è celebrata l’assemblea elettiva di AC, la mostra è stata visitabile anche dai delegati delle associazio-ni parrocchiali. Durante i lavori dell’assemblea c’è stato spazio anche per i giovanissimi dell’equi-pe per presentare, con il loro consueto entusiasmo, l’esperienza positiva che si è dimostrata essere la mo-stra di Piergiorgio e quan-to, anche solo al momento di prepararla, la sua testi-monianza abbia saputo parlare a ciascuno di loro.

Iolanda Milone

AZIONE CATTOLICA Il 27 febbraio l’assemblea diocesana

affidati gli uni agli altriSi è svolta domenica

27 febbraio l'Assem-blea diocesana eletti-

va dell'Azione Cattolica sul tema: "Affidati gli uni agli altri. Un'Ac accogliente, re-sponsabile e popolare". L'in-contro, aperto a tutti i soci, e in particolare ai delegati dei Consiglio parrocchiali, si è tenuto presso il teatro della Parrocchia san Vito martire di Brindisi. Nel corso dei lavori è inter-venuto il dott. Vincenzo di Maglie, De-legato Regionale dell’Azione Cattolica per la Puglia. Le conclusioni sono state affidate a Sua Eccellenza l'Arcivescovo, mons. Rocco TalucciMomento centrale dell’Assemblea, è stata la relazione di fine triennio del Presidente diocesano Liliana Falcone.

Nel corso del suo intervento, la Falco-ne, dopo aver evidenziato che questa assemblea elettiva si colloca in un mo-mento di grande attenzione ai laici da parte della Chiesa e nel percorso verso il Convegno ecclesiale regionale del prossimo aprile “I laici nella Chiesa e nella società pugliese oggi”, ha ricordato come il laico sia «una persona che me-dita e prega la Parola di Dio, per leggere e abitare la storia nella prospettiva del Vangelo. Dall’incontro con Dio, quindi, nasce la passione, oltre che per la Chie-sa, anche per il mondo e per il territorio in cui viviamo».

«Le risorse della nostra terra – ha detto ancora la Presidente diocesana - sono rappresentate dalle bellezze na-turali e dalle persone che vi abitano, operose, oneste, coraggiose, generose e accoglienti.

Il nostro territorio riflette tutti i disagi presenti a livel-lo nazionale ed in parte do-vuti ad una politica tesa più a conservare il potere, che a promuovere il bene comu-ne: dalla crisi economica alla illegalità, dalla disoccupa-zione giovanile e di ritorno, all’urgenza dell’educazione».

Oggi – ha evidenziato Li-liana Falcone «il territorio è mortificato e penalizzato da scelte politiche, nazionali e regionali, sul versante della sanità e della scuola» e dalla mancanza di attenzione per l’agricoltura, «che si con-fronta ed interagisce con un mercato che non valorizza i prodotti della terra, per cui risulta addirittura più reddi-

tizio rinunziare al raccolto. Questo ha favorito l’accoglienza indiscriminata degli impianti fotovoltaici che garan-tiscono il benessere economico, ma deturpano l’ambiente già provato dalle centrali elettriche e sul quale incombe il probabile sansificio a Veglie ed il ri-gassificatore a Brindisi».

Nel corso della relazione sono stati richiamate alcune altre problematiche quali: la crisi del commercio locale do-vuta anche alla presenza degli ipermer-cati; l’usura, la criminalità organizzata. Si è fatto riferimento anche alla situa-zione del nord Africa, che certamente avrà delle ripercussioni anche nel no-stro territorio.

«Gli ultimi sviluppi in Libia con la re-lativa ondata migratoria sulle coste ita-liane - ha sottolineato Liliana Falcone - inducono a porsi molti interrogativi sul ruolo dell’Europa, unita sulla carta, ma fortemente individualista nell’agire po-litico. In questo territorio siamo chia-mati a vivere e a servire nella Chiesa e a partecipare attivamente alla vita so-ciale e politica, portando un’impronta cristianamente significativa».

Anche a questo deve mirare la for-mazione, impegno basilare dell’Azione

Cattolica.Altra aspetto fondamentale emerso

nella relazione è stato la democratici-tà, «che richiama la responsabilità e la partecipazione alla vita dell’Associa-zione» Partecipazione fatta di presenza fisica, di esercizio di corresponsabilità, di contributo di pensiero e di proposi-tività, di collaborazione fattiva, di pro-mozione e cura della comunione.

Il pensiero della Presidente è poi an-dato agli Assistenti diocesani e parroc-chiali, «preziose guide spirituali e com-pagni nel cammino ai quali dico grazie per la vicinanza e per l’accompagna-mento».

Infine l’invito a tutti i soci: «A voi chie-do di continuare ad accudire pastoral-mente l’Associazione, a seguirla, a pro-muoverla, non a tollerarla, o a subirla, ma ad amarla. Pur essendo pienamen-te consapevole di quanto la parroc-chia esiga da voi in termini di tempo e di energie, vi chiedo comunque di investire tempo ed energie anche per l’Associazione. È un investimento che dà degli interessi cospicui in termini di crescita nella corresponsabilità e di servizio nella Parrocchia».

Nel corso dell’assemblea i delegati delle associazioni parrocchiali hanno provveduto ad eleggere i membri del nuovo Consiglio diocesano di Ac per il triennio 2011/2014. Sono risultati eletti: Falcone Liliana (Vergine SS. del Carmelo - Mesagne), Caputo Rocchino (Madonna del Rosario - Leverano), Marseglia Lucia (Maria SS. Annunziata - Ostuni), Mi-lone Iolanda (SS. Medici - Ostuni), Palma Remo (S. Nicola - Brindisi), Arnesano France-sca (S.Maria Assunta - Salice), Marasco Angelo (S.Maria Assunta - San Donaci), Conversano Piero (S.Maria Assunta - San Donaci), Quarta Enza (Ss. Giovanni e Irene - Veglie), Trin-chera Rosanna (Maria SS. Annunziata - Ostuni), Mastro Antonella (S. Nicola - Brindisi), Di Giorgio Antonella (S. Nicola - Brindisi), Gigante Maria (S.Antonio abate - Veglie), Capriglia M.Teresa, (S.Maria delle Grazie - Ostuni), Cipolla Angelo (S.Antonio abate - Veglie), Flore Pamela (S.Maria delle Grazie - Ostuni), Carrozzo Francesco (Ss. Pancrazio e Francesco - S.Pancrazio S.no), Chimienti Mariapaola (Ss. Giovanni e Irene - Veglie), Sabato Benedetta (S.Antonio abate - Veglie), Caforio Alessandra (Vergine SS. del Carmelo - Mesagne), Marcuc-ci Gianluca (Ss.Rosario - Veglie), Farina Lia (S.Maria delle Grazie - Ostuni), Sabato Matteo (S.Antonio abate - Veglie), Bacca Paola (S.Maria Assunta - Salice), Pedali Cristina (S.Maria Assunta - San Donaci), Savina Fabrizia (Ss. Giovanni e Irene - Veglie), Cisaria Antonella (Maria SS. Annunziata - Ostuni), Corsa Danilo (SS. Annunziata - Mesagne).

il nuovo Consiglio diocesano dell’azione Cattolica

Da sinistra: don Piero Tundo, Mons. Talucci, Liliana Falcone e Vincenzo Di Maglie

Vita Diocesana 715 marzo 2011

Si è svolto il 14 marzo il terzo incontro di aggiornamen-to del clero diocesano. A trattare il tema “La pastorale per le famiglie irregolari” è stato don Carlo Rocchetta,

sacerdote della diocesi di Prato, da nove anni a Perugia dove guida il Centro familiare “Casa della Tenerezza”.

Abbiamo incontrato don Carlo per approfondire con lui al-cune delle tematiche emerse nel corso dell’incontro.

Il Papa, nella Sacramentum caritatis, definisce le situa-zioni di irregolarità matrimoniale “un problema pasto-rale spinoso e complesso”. In che senso?

«Quella delle separazioni rappresenta per la Chiesa una emergenza nuova. Fino a circa 40 anni fa, le separazioni era-no piuttosto rare (il divorzio, infatti, è stato introdotto nell’or-dinamento italiano nel 1974), mentre adesso la situazione è ben diversa, i dati statistici sono preoccupanti. Da questo punto di vista la Chiesa si è trovata impreparata ad affrontare tale emergenza ed è inoltre sprovvista di strutture adeguate che sappiano organizzare la speranza per queste persone, e impostare per loro un discorso di accoglienza, pur nel rispet-to della verità.

Non è più tempo di stare a guardare. In giro per l’Italia ini-ziano a nascere iniziative e percorsi per coniugi separati, ma siamo ancora agli inizi. Meritoria, a tal proposito, è l’atten-zione che la chiesa di Brindisi-Ostuni sta riservando a que-sto aspetto della Pastorale familiare, la quale deve sempre più allargare gli orizzonti del suo agire, sia a tutto ciò che precede, sia a tutto quello che segue alla celebrazione del matrimonio».

Non pensa che occorrerebbe un più serio accompagna-mento delle coppie nel periodo che prepara alla celebra-zione delle nozze?

«Assolutamente sì. Continuiamo a proporre corsi di prepa-razione al matrimonio come se la nostra società fosse attra-versata ancora da una cultura cristiana. Oggi, invece, non è più così. Occorre ripensare i percorsi: dalla mia esperienza vedo che buona parte delle coppie che arrivano ai corsi sono conviventi, altre non si sa se credono o meno; c’è da rifonda-re le basi, la fede, il Battesimo e solo dopo trattare il discor-so del sacramento del Matrimonio. Cominciamo a far capi-re loro cosa vuol dire credere, accettare la fede in maniera concreta, magari organizzando un cammino contenutistico a tappe, educando alla liturgia, al senso della partecipazione alla comunità, a vivere la preghiera…

Più che di corsi che preparano al matrimonio, dovremmo parlare di percorsi che preparano alla vita del matrimonio, altrimenti diamo l’idea che il matrimonio è un punto di ar-rivo mentre, invece, si tratta di un punto di partenza: il pas-saggio dall’essere figli all’essere coniugi è un cambiamento radicale che va sostenuto e incoraggiato.

E poi occorre lavorare con le giovani coppie, quelle ai primi

anni di matrimonio. Come per un bambino sono decisivi i primi 3-6 anni di vita, lo stesso avviene per le coppie: si do-vrebbero organizzare gruppi di giovani sposi che insieme si ritrovano e crescono nel cammino di maturazione.

Per intraprendere queste nuove strade non è sufficiente attendere le direttive che provengono dall’alto, ma bisogna partire dal basso, dalle piccole realtà, dalle parrocchie. Ogni comunità parrocchiale, in linea con le indicazioni del pro-prio Vescovo, deve cominciare ad organizzarsi: per esempio, cosa impedisce di prevedere due tipi percorsi per i fidanzati: quello “ridotto” per chi arriva a chiedere il Matrimonio ne-gli ultimi mesi, ed un altro più lungo, nel quale fare un vero e proprio percorso di fede e al quale le coppie sono libere o meno di partecipare: un modello da poter tenere presente è certamente l’Iniziazione Cristiana degli adulti».

Qual è la posizione della Chiesa riguardo alle varie cate-gorie di irregolarità matrimoniali?

«Io distinguo due categorie: i separati fedeli e i separati ri-sposati. Per i primi non c’è nessun problema, tanto più se vit-time; queste persone, che non vivono una nuova relazione, che hanno situazioni di sofferenza alle spalle e che scelgono di rimanere fedeli al sacramento, hanno bisogno della co-munione.

Gli altri (i separati risposati, ndr) sono in una condizione oggettivamente irregolare: la loro comunione con la Chie-sa non è piena e per questo non possono essere ammessi all’Eucaristia. Ciò non vuol dire che non possano vivere la vita della Chiesa, partecipare a momenti di riflessione e di preghiera… non sono scomunicati. Possono vivere la vita

cristiana con dei limiti, che devono accettare: nessuno può giudicare il loro cuore, soggettivamente nessuno può met-tersi in atteggiamento di accusa, anche se oggettivamente c’è una irregolarità. Soltanto Dio può giudicare la coscienza del-le persone. Spesso, invece, il tutto si riduce tutto al discorso “sacramento sì”, “sacramento no”.

Cosa intende quando definisce i separati e i divorziati “nuovi poveri” che interpellano la comunità cristiana?

«Separati e divorziati, anche se ricchi economicamente, vi-vono anni di sofferenza, difficoltà e angoscia, senza riuscire a venirne fuori da soli. I separati fedeli, cioè coloro che non sono risposati, spesso vivono il dramma della solitudine o dell’incomprensione dell’altro coniuge; i riaccompagnati, non potendosi accostare alla sacramento dell’Eucaristia, vi-vono la rabbia contro Dio e contro la Chiesa. Poi ci sono co-loro che vengono abbandonati ingiustamente ed emarginati dall’altro coniuge e magari si ritrovano a vivere da barboni, oppure devono mandare avanti da soli l’intera famiglia. Le difficoltà, infine, ci sono anche quando non c’è separazione, ma in casa si vivono vere e proprie lotte e battaglie legali».

Nel recente discorso ai membri della Rota Romana il Papa ha invitato i sacerdoti a non trattare la pratica ma-trimoniale solo come una mera formalità. Quali consigli può dare ai suoi confratelli in modo che questo richiamo del Papa non resti inascoltato?

«Bisogna prendere sul serio quei dialoghi introduttivi; quel piccolo giuramento che viene richiesto, dovrebbe rappre-sentare una verifica seria, un esame concreto delle motiva-zioni che portano la coppia alla scelta delle nozze cristiane, in modo da non arrivare a quella gran massa di matrimoni nulli. Dovrebbe trattarsi di un esame molto serio e molto at-tento: addirittura si potrebbe arrivare a chiedere una dichia-razione scritta in cui la coppia si impegna ad accettare e vi-vere il matrimonio cristiano con le sue qualità e i suoi fini».

Giovanni Morelli

AggiornAmento del clero Intervista a don Carlo Rocchetta, del Centro familiare “Casa della Tenerezza”

La pastorale per le famiglie irregolari

È una comunità di vita e di servizio. La abitano nove coppie con 28 bambini, insieme a don Carlo Rocchetta ed una laica consacrata.

Il progetto è quello di una “famiglia di famiglie”, si abi-ta in un’unica struttura edilizia, pur mantenendo ognu-no la propria privacy e gli spazi tipici di ogni famiglia.

Ciascuna coppia o singolo è autonomo, anche econo-micamente, ma si impegna a contribuire alla vita e alle attività della Casa con il 10% del proprio stipendio e rendendosi disponibile alle necessità del Centro.

Il servizio consiste nell’Accoglienza e nell’accompagna-mento delle coppie in difficoltà; in un cammino di spiri-tualità della tenerezza per le coppie e i fidanzati; nello studio della teologia del matrimonio e della famiglia; nella formazione.

Per maggiori informazioni si può visitare il sito web: www.casadellatenerezza.it

Don Carlo Rocchetta

Cos’è la Casa della Tenerezza

Anche quest’anno per la sesta volta c’è la possibilità di destinare la quota del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle per-

sone fisiche a svariate finalità, tra le quali vogliamo ricordare in particolare il sostegno alle associa-zioni di volontariato e alle ONLUS.

Tale destinazione di parte delle tasse che ciascu-no di noi ha già pagato durante il 2010, non sosti-tuisce, ma si affianca alla quota dell’8 per mille che già siamo abituati a devolvere alla Chiesa cat-tolica. Come tutti sappiamo, sono entrambe scel-te che non comportano alcun ulteriore esborso finanziario a nostro carico, perché si tratta solo di indicare a chi destinare una parte delle imposte da ciascuno di noi ha già pagato nel 2010.

Pertanto, sia che abbiamo solo il CUD da conse-gnare, o che presentiamo il mod. 730, o il modello UNICO per la dichiarazione dei redditi, non dob-biamo dimenticarci di effettuare due scelte:

quella dell’8 per mille alla Chiesa cattolica,quella del 5 per mille ad un’associazione di vo-

lontariato o ad una ONLUS.Il Consultorio diocesano “Speranza”, valido so-

stegno per tante famiglie del nostro territorio, con sede in Brindisi alla via Montenegro n.2, ha esteso notevolmente i suoi interventi al servizio di quanti si rivolgono ai nostri operatori (assistenti sociali, consulenti familiari, mediatori familiari, psicolo-gi, medici e avvocati) che prestano tutti la propria qualificata opera professionale volontariamente nella sede del Consultorio.

Tale benemerito lavoro merita di essere aiutato da tutti noi, anche con questa opportunità offerta da una legge dello Stato: siamo invitati, a destina-re il 5 per mille al Consultorio diocesano “Spe-ranza”, indicando nella nostra dichiarazione dei redditi le coordinate dell’Ente promotore:

“Amici del Consultorio O.N.L.U.S.” – Cod. Fisc. 91039400741.

Tutti possono mettersi in contattato con il Con-sultorio telefonando al 0831/563145, attivo 24 ore su 24 con il trasferimento gratuito di chiamata sul cellulare 349/3552987, o telefonando direttamen-te al sottoscritto, presidente dell’ente promotore, cellulare 347/3020335.

Telefonateci e invitateci presso tutti i gruppi dei quali fate parte, per illustrare e promuovere il lavo-ro svolto dal “vostro” Consultorio familiare, verre-mo volentieri ad incontrarvi presso le vostre sedi, con gioia ed entusiasmo.

Franco Mitrotta

cinQUe Per mille Risposta ad un appello

Una firma per il Consultorio

Domenica 20 febbraio, presso il Pontificio Seminario Regionale di Molfetta, si è svolto l’ incontro regio-nale di Pastorale Familiare, alla presenza di Mons.

Donato Negro, Arcivescovo di Otranto e delegato Cep per la Pastorale familiare, oltre che di don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza Episcopale Italiana.

Dopo il momento iniziale, nel quale ogni diocesi di Puglia e le diverse associazioni hanno presentato le varie iniziative utili alla formazione delle famiglie cristiane, Mons. Negro, con parole chiarissime, ci ha introdotto al tema che don Pa-olo Gentili avrebbe sviluppato di lì a poco: “Accompagnare le giovani coppie”.

Dalla nostra esperienza di accompagnatori dei nubendi, e in quella di molti altri, emerge come i giovani sposi, quelli più sensibili, se aiutati durante il percorso prematrimonia-le, sentono il desiderio di voler costruire cristianamente la propria vita di coppia: compito della comunità, quindi, è quello di accogliere tali esigenze per costruire una vera “fa-miglia di famiglie”.

Spesso, però, succede che gli sposi vengano “dimenticati” e allora è necessario che ci siano educatori più formati e in-cisivi. Mentre assistiamo alla fatica da parte dei giovani ad assumere decisioni definitive e stabili, l’educazione rimane il compito grande a cui siamo chiamati sia come singoli, che come coppia, e fondamentalmente come cristiani.

È necessaria quindi una pastorale giovanile che metta in primo piano “l’educazione all’amore” per condurre verso un’adeguata e ben ponderata prospettiva di scelta di vita qual è il matrimonio. La scelta delle nozze, infatti, per dirsi autentica, deve essere fatta con volontà piena e libera.

Di conseguenza il percorso prematrimoniale dovrebbe

servire, dopo la formazione giovanile, a verificare la reale volontà e maturità delle giovani coppie. Sono gli atteggia-menti adolescenziali, quelli egoistici, infatti, che mettono in dubbio la maturità della coppia. Così si rende necessa-rio un accompagnamento ed un’accoglienza particolare da parte della comunità cristiana, anche perché la società non sostiene la coppia, ma ne mina, attraverso modelli non ade-guati, la stessa esistenza. Bisogna sostenere le giovani cop-pie facendo riscoprire loro, con percorsi idonei, la bellezza del dono di sè, la santità della vita familiare. E ciò è possi-bile se si scopre essenzialmente quello che ci rende buoni, che non è sicuramente il benessere economico e fisico o la tecnologia avanzata.

La santità nella vita familiare è fatta dall’intima comunità della vita stessa intessuta con l’impegno sociale, e rifinita con la quotidianità. In ogni comunità familiare ci può es-sere il “profumo del Vangelo”. Allora si può anche parlare di missione – ministerialità degli sposi cristiani quando questi sanno essere riferimento di comunione per gli altri, là dove il luogo della famiglia sa essere una comunità vera, aperta ad un dialogo che si trasmette e si amplia: tra gli sposi, tra genitori e figli, tra famiglia e comunità.

E se in questa rete di dialogo possiamo inserire una corret-ta, stimolante, idonea relazione presbitero – coppia, questo non può che essere ancor più vivificante per la comunità, poiché può rendere gli sposi realmente soggetto e metodo dell’apostolato.

Impostare un’ottima relazione comunità – famiglia può renderla feconda poiché l’aiuta ad aprire nuovi orizzonti, a riscoprire la Grazia del Matrimonio anche in chi non avver-te più il “profumo nuziale” e ancora non riesce a scoprire la

figliolanza ricevuta col Battesimo. Occorre aiutare le giovani coppie con itinerari adeguati

e diversificati per poter riaccompagnare a vivere cristiana-mente la figliolanza da cui giungere alla coniugalità, orien-tandole verso la Vita Buona vissuta nello stile cristiano che è in grado di far comprendere che:

• prima di essere genitori si è coppia, • bastano pochi minuti al giorno…per dirsi grazie,• chiedersi scusa delle mancanze fa bene, avvicina, fa sen-

tire sì fragili,deboli, ma fa sentire di essere persone.

Concetta Rita e Franco Lanzillotti

MOLFETTA� L’incontro regionale della Pastorale della famiglia

“Accompagnare le giovani coppie”

Lo scorso 19 febbraio il Presidente della Con-ferenza Episcopale Pugliese, l’Arcivescovo di Bari Mons. Francesco Cacucci e Moderatore

del Tribunale Ecclesiastico Regionale, ha inaugurato l’Anno Giudiziario 2011. Il Presule, dopo aver espres-so la personale gratitudine per i Giudici, i Difensori del Vincolo, gli Avvocati, i Notai, ha auspicato che «l’opera della giustizia risponda, con la sollecitudine consentita, alle legittime esigenze dei fedeli della no-stra Regione». Richiamando, poi, l’Allocuzione che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato al Tribu-nale della Rota Romana il 22 gennaio, l’Arcivescovo ha ribadito quanto sia importante la preparazione dei nubendi al matrimonio e non solo quella imme-diata, ma anche quella successiva alla stessa celebra-zione delle nozze, così come saggiamente suggerito dal can. 1063 del Codice di Diritto Canonico. «Spesso - ha affermato Mons. Cacucci - ci si preoccupa lode-volmente di organizzare corsi di preparazione alle nozze, capaci di illustrare l’istituto matrimoniale in tutte le sue dimensioni, ma è prassi pressoché comu-ne nelle nostre parrocchie non continuare a seguire gli sposi nel loro percorso di vita coniugale».

All’inaugurazione era presente anche S. E. Mons. Angelo Massafra, Arcivescovo di Scutari e Modera-tore del Tribunale Ecclesiastico di Albania, di cui il Tribunale Regionale è sede di Appello. Con spirito di servizio si offre questa collaborazione alla Chiesa sorella e frequenti sono i contatti con gli operatori di quel Tribunale.

Il Vicario Giudiziale, Mons. Luca Murolo, ha pre-sentato l’attività svolta nel Tribunale Regionale nell’anno 2010. Lo scorso anno sono stati introdot-ti 216 nuovi libelli (cinque in meno del 2009); sono state concluse con decisione 251 cause (tre in meno del 2009); ne sono state archiviate 23; al 31 dicembre 2010 risultano pendenti 517 cause (al 31 Dicembre 2009 risultavano pendenti 577 cause). Delle cause concluse con decisione, 196 si sono concluse affer-mativamente, cioè con la dichiarazione di nullità del matrimonio; 55 si sono concluse negativamente, cioè con il riconoscimento della validità del matrimonio. Nel decennio 2001-2010 c’è stata una graduale fles-sione di richiesta di nullità matrimoniale passando da 311 nel 2001, a 216 nel 2010. Tale fenomeno ri-

leva che, da un lato c’è maggiore consapevolezza di coloro che chiedono il sacramento del matrimonio, dall’altro, purtroppo, in un clima di secolarismo, tan-ti giovani non si sposano più in chiesa o preferiscono convivere.

Mons. Luca Murolo ha, quindi, illustrato le moti-vazioni principali per cui sono state riconosciute le nullità. «È sempre alto – ha sottolineato il presidente del Tribunale regionale - il numero di matrimoni di-chiarati nulli per simulazione totale (163), per difetto di discrezione di giudizio o per incapacità psichica (69), e pertanto occorre ancora insistere nella pre-parazione seria dei nubendi al sacramento e va con-siderato il fenomeno della immaturità psicologica». Questa affermazione è in continuità con quanto ha raccomandato il Papa Benedetto XVI nel discorso te-nuto in occasione dell’inaugurazione dell’anno giu-diziario della Rota Romana. Il Santo Padre ha sotto-lineato «che tra i mezzi per accertare che il progetto dei nubendi sia realmente coniugale, spicca l’esame prematrimoniale. Tale esame ha uno scopo princi-palmente giuridico: accertare che nulla si opponga alla valida e lecita celebrazione delle nozze. Si tratta di un’occasione pastorale unica da valorizzare con tutta la serietà e l’attenzione che richiede nella quale, attraverso un dialogo pieno di rispetto e di cordialità, il pastore cerca di aiutare la persona a porsi seria-mente dinanzi alla verità su se stessa e sulla propria vocazione umana e cristiana del matrimonio». Per-tanto questo particolare adempimento deve essere ispirato al criterio di una autentica pastoralità, nella quale si devono coniugare, in modo adatto ed ade-guato, attenzione alle persone e rispetto delle norme canoniche. Soprattutto quando si tratta di giovani fidanzati che presentano insicurezze, fragilità affetti-ve, che mancano di progetto coniugale, che rigettano la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla pro-creazione, occorre che l’istruttoria matrimoniale sia accompagnata da altri momenti di confronto e di so-stegno. Tante eventuali nullità matrimoniali potreb-bero essere evitate se, durante il “processetto matri-moniale”, i fidanzati fossero sottoposti a indagini più approfondite.

Don Pietro De PunzioVicario Giudiziale

TribunA�LE EccLEsiA�sTicO Aperto l’anno giudiziario

Seguire il percorso coniugale

I numeri del Tribunale Ecclesiastico Regionale nel 2010

Le motivazioni principali dei Matrimoni dichiarati nulli sono:

82 per esclusione della indissolubilità;

42 per esclusione della prole;

69 per mancanza di uso di ragione, difetto di discrezione di giudizio e per incapacità ad assumere gli obblighi coniugali, (iuxta can. 1095, n.1, n. 2 e n. 3);

25 per simulazione totale del consenso;

13 per timore;

12 per esclusione della fedeltà

3 per condizione;

2 per esclusione del bonum coniugum;2 per errore di qualità (iuxta can. 1097 § 2);

3 per dolo;

4 per impotenza;

Durata della convivenza dopo la celebrazione: dai 216 libelli presentati nel 2010 risulta che 179 unioni matrimoniali sono durate tra 7 giorni e 10 anni.Delle 216 cause introdotte nell’anno 2010, 15 provengono dalla nostra Diocesi.

INCONTRI Nella Chiesa di Santa Maria del Casale si rinnova una consuetudine

Festa della Promessa con i fidanzati

Domenica 13 febbraio, nella Chiesa di Santa Maria del Casale, seguendo una felice consuetudine, è stata ce-

lebrata la “Festa della Promessa”, organizza-ta dalla Commissione Famiglia della nostra Diocesi. L’evento è stato non solo un’occa-sione d’incontro gioioso tra coppie di fidan-zati, ma principalmente, come è stato defi-nito nel saluto di apertura dei responsabili Arturo e Anna Maria Destino, «un momento di riflessione sul rapporto di coppia in vista del matrimonio e dell’impegno nella vita coniugale». Gli stessi hanno rivolto un rin-graziamento ai collaboratori che in tutte le Parrocchie hanno offerto il loro sostegno alla preparazione dei fidanzati, ai quali hanno augurato un percorso coniugale autentica-mente cristiano, la costruzione di un nucleo familiare fondato su un amore paziente, con-solidato dalla fiduciosa alleanza sacramen-tale con Dio.

Canti, danze, letture di passi evangelici e momenti di preghiera hanno animato la ce-lebrazione, che ha visto un numero quasi inatteso di giovani, una partecipazione vera-mente condivisa, che ha trovato il centro di riferimento nell’icona della Trinità collocata sull’altare, storia dell’Amore che si fa Uno, stimolo per l’uomo verso una comunione fiduciosa perchè intrecciata con l’amore di Dio.

Immagini e colori dell’icona, infatti, sono stati il filo conduttore di tutta la cerimonia: sono serviti ad analizzare e ad approfondire il valore della “Promessa”, a metterne in ri-lievo tutte le implicazioni teologiche, sociali e psicologiche, utilizzando un simbolismo, collegato ai colori, che mai ha rischiato di cadere nell’intellettualismo o nella retorica, ma che è rimasto aggrappato consapevol-mente e coraggiosamente alle problematiche dell’esperienza dei giovani, prima e durante la vita matrimoniale.

La coreografia sicuramente ha aiutato a presentare con piacevolezza ed immediatez-za la celebrazione dell’amore reciproco, con-siderato nelle sue molteplici sfaccettature: amore assoluto ed esclusivo, che riscalda col suo fuoco da tenere acceso anche a prezzo del sacrificio (rosso), amore prezioso, fonda-to sulla reciprocità del dono che dura un’esi-stenza e spinge all’unità con Dio (giallo), amore profondo capace di porsi coraggiosa-mente di fronte alle novità della vita e ai suoi problemi con la volontà di donarsi all’altro (azzurro), amore proiettato sempre in avanti, ravvivato dalla speranza in Dio (verde), im-prontato a comprensione, ascolto e tenerez-za (rosa), robusto e luminoso, compenetrato dalla luce totalizzante e dallo splendore av-volgente di Dio (bianco), energia da cui na-sce la forza per amare tutta l’umanità nella

molteplicità delle situazioni.Lo stesso tema è stato ripreso dall’interven-

to di Sua Eccellenza l’Arcivescovo, il quale si è soffermato in particolare sul significato e sul valore del colore bianco, quale luce di-vina che deve vivificare ed orientare tutte le scelte della coppia e che deve allontanare le ombre che spesso abitano i nostri giorni, alimentate dall’egoismo e dal relativismo o dalle illusioni allettanti, offerte dalla fabbri-ca dei miti del nostro tempo. A tutti i presen-ti ha proposto un modello di vita basato sul rispetto e sull’amore dell’altro, sull’ascolto paziente e l’amorevole comprensione, sulla ricerca di un rapporto di coppia esclusivo, fondato sulla tenerezza e sulla premura, sul-la laboriosa ricerca della felicità con la ra-dicalità di una vita vissuta come dono di sé sull’esempio della famiglia di Nazaret, amore confidente nella volontà di Dio, consapevo-le della fatica che accompagna il cammino da compiere nella storia. Un siffatto amore sponsale costituirà la base sicura per cresce-re come coppia e fondare i presupposti per l’educazione dei figli.

Motivo di ulteriore approfondimento del significato della celebrazione è stata, sul-lo sfondo della scena, la presenza di un al-bero: la sua immagine non si è esaurita in una funzione puramente ornamentale, ma è diventata simbolo dell’«albero della vita», le cui radici affondano nel terreno fecondo della fede, capace di fortificare l’amore nu-ziale alla luce della Parola. Quest’ultima, ha ribadito Sua Eccellenza, alimenta «l’albero della vita» e gli consente di fruttificare bene-volmente, perché radicato saldamente nel terreno dell’amore e preparato a superare la fatica della potatura, sofferenza gioiosa per-ché carica di buoni frutti.

Successivamente, a voler consolidare nel-la memoria le tappe fondamentali della vita insieme, l’Arcivescovo ha consegnato ad ogni coppia un’elegante scheda, tipo album, con «l’albero della famiglia», che racchiu-de le “radici” ed i “rami”, carichi dei frutti dell’amore sponsale.

Ha concluso la celebrazione don Massimo Alemanno, delegato per la Pastorale Fami-liare e coordinatore dei lavori della Giornata, riconfermando il ringraziamento a parro-ci ed operatori della Diocesi per l’impegno nella preparazione delle giovani coppie, alle quali poi ha augurato di vivere la loro unione all’insegna di una fede rinnovata e rafforza-ta nella fiducia dello Spirito, luce dalla quale nascono tutti “i colori della vita” e che avvol-ge amorevolmente il cammino di ogni cop-pia cristiana.

Giuseppe e Maria Carmela De Riccardis

© Pamela Quarta

Triangoli di luci si intrecciano, men-tre giovani danzatrici agitano foulard sullo sfondo della canzone "Stay with

me"...sulla sinistra un albero con tante foglie ma soprattutto con salde radici, rappresenta l'amore radicato bene ed assistito dalla fede in Dio e nello stesso tempo la continuità con la famiglia di origine e la prospettiva di una nuova famiglia cristiana.

La V edizione della "Festa della promessa" ha come protagonisti decine di coppie di nu-bendi. Nei colori che vediamo risiede la ri-sposta alla domanda: "Chi ci renderà capaci di amare?"

L'icona della Trinità è la storia del nostro amore, essa ignora le ombre, trae la sua fon-te dalla luce inesauribile. Giorno dopo gior-no viviamo assistiti dalla speranza, i giorni a volte sono nitidi, altre volte ombreggiati, così come i colori, essi hanno un linguaggio che

esprime il trascendente.Molto coinvolgente e familiare è stato il sa-

luto che Arturo ed Annamaria Destino han-no rivolto ai nubendi. Li hanno incoraggiati a non avere paura del matrimonio, perché non saranno mai soli e hanno detto loro che un amore perfetto, quello che è benedetto da Dio, non è un amore qualunque. Inoltre, hanno sottolineato che i colori dell'amo-re partono dall'alto, da Dio, per intrecciarsi sull'altare della famiglia, che il matrimonio cristiano è attuazione della Trinità, e l'amo-re, che tutto sopporta ed è paziente, è ciò di cui essi hanno bisogno.

Sono seguiti la declamazione dell'Inno alla Carità (dalla lettera di Paolo ai Corinzi) fatta da una coppia di fidanzati, e una canzone di Nek interpretata da un giovanissimo cantan-te brindisino.

Nicola e Mirella Distante

© Pamela Quarta

© Pamela Quarta

© Pamela Quarta

Attualità & Territorio10 15 marzo 2011

Info più aggiornate sul sito www.diocesibrindisiostuni.it

Il Piano straordinario per il lavoro in Pu-glia, varato dalla Giunta regionale si de-clina in 6 assi (giovani; donne; inclusione

sociale; qualità della vita; sviluppo e inno-vazione; più qualità al lavoro) per 43 inter-venti rivolti a 52.035 potenziali destinatari. Le risorse ammontano a 340 milioni. Tra gli interventi previsti: sviluppo dell’imprendito-ria femminile, servizi di conciliazione vita-lavoro, apprendistato, assunzioni di disabili, sostegno alla povertà, reimpiego e autoim-piego dei cassaintegrati, ricerca industriale e formazione. Gli interventi partiranno entro giugno.

Interesse e perplessità. «Qualsiasi cosa fatta per i giovani e il lavoro è sempre inte-ressante», esordisce Antonio Petraroli, inca-ricato regionale del Movimento lavoratori di Azione Cattolica. Tuttavia «nel dettaglio le risorse non sono poi così corpose consi-derando che il bacino d’utenza è di 52.000 persone, con un investimento, quindi, di poco più di 6.500 euro a persona, a fronte di una situazione che è allarmante», e per la

quale «stiamo anche aspettando il piano per il Sud». La Regione «ha fatto una indagine preliminare approfondita» anche se «certe volte questi interventi, sia a livello naziona-le sia regionale si rivelano più spot elettorali che strategia economica». Quella regionale è «una proposta organica perché tratta di la-voro, emersione sociale, recupero di soggetti che hanno abbandonato la scuola, fenome-no - quest’ultimo - che provoca situazioni di illegalità». Petraroli ha due perplessità. La prima è quella che «i soldi vadano ai grandi gruppi industriali lasciando poco a giova-ni, donne, immigrati», anche se «il rifinan-ziamento dell’iniziativa ‘Ritorno al Futuro’ (borse di studio post-lauream, ndr) è interes-sante». La seconda è che «a causa del nume-ro degli enti impegnati nella cabina di regia può sfuggire l’obiettivo di semplificare l’iter burocratico per la partecipazione ai bandi, fermo restando che quando c’è partecipazio-ne c’è trasparenza».

Antonio Rubino

OCCUPAZIONe� Valutazioni e commenti

Un piano per il lavoro

Si è insediato nella scorse settimane il nuovo Parlamento regionale dei giova-ni pugliesi. I neo eletti 40 parlamentari

hanno confermato alla presidenza dell’As-semblea Fabrizio Camera, diciannovenne tarantino, allievo del commerciale Bachelet del capoluogo ionico.

Tra gli eletti anche tre giovani brindisini: Giuseppe Leone, del Liceo Classico “Mar-zolla”, Davide Argentieri e Francesco Fusco dell’ITIS “Giorgi”.

Un passato da rappresentante d’istituto e la passione per la musica contraddistingue Giuseppe Leone (meglio noto come Gioe-le) che, nell’ambito scolastico della città, ha raccolto i consensi di 621 studenti che hanno creduto nelle sue potenzialità di giusto pro-positore nell’ambito del Parlamento.

Per l’avventura Parlamento dei Giovani ha in mente alcune proposte significative in ambito culturale che porta avanti insieme

agli attuali impegni di studio. Proposte deri-vanti da sue personali esperienze in campo teatrale e musicale.

Quasi simile il percorso che ha portato Da-vide Argentieri e Francesco Fusco ad essere candidati per lo stesso organismo. All’ITIS “Giorgi”, frequentano rispettivamente il quin-to e il quarto anno nella sezione Elettronica. Davide, da parte sua, con una passione per il teatro e per la musica (stessa band di Gio-ele), spera di valorizzare le sue interessanti proposte in ambito assembleare regionale. A sua volta, Francesco, con un’attivissima pre-parazione in discipline sindacali e politiche (è rappresentante dell’Unione degli Studen-ti) è pronto a condividere scelte che vadano nella direzione di favorire una crescita degli interessi studenteschi ben conoscendo le problematiche che vive la scuola di oggi.

Giorgio Esposito

PUglIA Parte una nuova avventura

Parlamento dei giovani

QUARESIMA 2011 IN DIOCESIVicaria di Mesagne

14 APRILE: Stazione Quaresimale c/o Chiesa Madre 06 APRILE: Incontro dei cresimandi

Vicaria del salento10 MARZO: Stazione Quaresimale c/o Parrocchia San Giuseppe (Salice Salentino)

21 MARZO: Incontro dei cresimandi c/o Santuario S.Antonio alla Macchia (San Pancrazio S.no)

Vicaria di ostuni31 MARZO: Stazione Quaresimale c/o Parrocchia Madonna del Pozzo

5 APRILE: Incontro dei cresimandi

Vicaria di Brindisi7 APRILE: Stazione Quaresimale

11 APRILE: Incontro dei cresimandi

Vicaria di san Vito-caroVigno-san Michele s.no17 MARZO: Stazione Quaresimale c/o Chiesa Madre (San Vito dei Normanni)

13 APRILE: Incontro dei Cresimandi c/o Cinema Melacca (San Vito dei Normanni)

Vicaria di locorotondo24 MARZO: Stazione Quaresimale c/o Chiesa Madre

12 APRILE: Incontro dei cresimandi

12 15 marzo 2011Speciale Quaresima 1315 marzo 2011 Speciale Quaresima

“Privo della luce della fede l’univer-so intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza

speranza”. Lo scrive il Papa nel Messaggio per la Quaresima 2011, nel quale Benedetto XVI ribadisce che “Dio ha creato l’uomo per la resurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultu-ra, alla politica, all’economia”. Ripercorrendo i testi liturgici delle domeniche di Quaresi-ma, il Papa sottolinea che nella quinta, in cui ci viene proclamata la risurrezione di Lazza-ro, “siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza”. “La comunione con Cristo in questa vita – spiega il Pontefice – ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurre-zione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo del-la nostra esistenza”. “Liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la ‘terra’, che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo”. Questo l’invito rivolto dal Papa ai fedeli a partire dal tema del Messag-gio, “Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti” (Col 2,12).

Digiuno, elemosina e preghiera. “Attra-verso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione – prosegue Be-nedetto XVI – la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo”. “Per il cristiano – puntualizza il Santo Padre – il digiuno non ha nulla di intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo”. La pratica del digiuno, infatti, che “può avere diverse moti-vazioni”, comporta per il cristiano la capacità di “superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore”, imparando a “disto-

gliere lo sguardo dal nostro io, per riconosce-re Dio nei volti di tanti nostri fratelli”. Quanto alla pratica dell’elemosina, è “un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’al-tro”, allontanando “la tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita”. “La bramosia del

possesso – spiega il Papa – provoca violen-za, prevaricazione e morte. L’idolatria dei beni non solo allontana dall’altro, ma spo-glia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, per-ché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della via”. “Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro?”, si chiede il San-to Padre, indicando come antidoto la pratica dell’elemosina, cioè la “capacità di condivi-sione”. Infine, la preghiera, che “ci permette di acquisire una nuova concezione del tem-po: senza la prospettiva dell’eternità e della

trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi verso un oriz-zonte che non ha futuro”.

Vincere le seduzioni del male. “Il diavolo è all’ope-ra e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore”, ma “Cristo ne esce vittorio-so, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e gui-darci a vincere le seduzioni del male”. È il commento del Papa alla prima domenica di Quaresima, che ci ricorda come “la fede cristiana im-plichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta ‘contro i dominatori di questo mondo tenebro-so’”, come si legge nella Let-tera agli Efesini. Il Vangelo della Trasfigurazione, che “anticipa la risurrezione e annuncia la divinizzazione dell’uomo”, ci esorta nella seconda domenica di Quare-sima a “prendere le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio”, la cui Parola ci aiuta a discernere “il bene dal male”. La domanda di Gesù alla Samaritana, nella terza domenica di Quaresima, espri-me per il Papa “la passione di Dio per ogni uomo” e ci mostra che “solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza”, perché “irriga i deserti dell’ani-ma inquieta e insoddisfatta”. Il miracolo del-la guarigione del cieco nato, al centro della quarta domenica di Quaresima, “è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possia-

mo riconoscere in Lui l’unico nostro Salva-tore”. “Lasciarci trasformare dall’azione del-lo Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberar-ci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo”. Questo, in sintesi, l’itinerario di “con-versione” della Quaresima, che per il Papa costituisce un “momento favorevole per ri-conoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo”.

Il digiuno è una via privilegiata per un rapporto autentico con Dio e con gli altri perché può educarci a

riconoscere e cercare di convertire la voracità che è in noi. Voracità che tende a farci consumare persone e cose senza discernimento, senza rispetto.

Gesù si prepara al suo ministero pub-blico digiunando 40 giorni nel deserto dove respinge le tentazioni dell’avver-sario andando alla Parola di Dio nella forza dello Spirito santo. In quel tempo di digiuno Gesù compie un cammino di umanizzazione confrontandosi con le dominanti interiori che condizionano il cuore dell’uomo, quelle sfere relaziona-li dell’amare, dell’avere, del volere che possono essere stravolte e diventare tentazioni, idoli che ci rendono schiavi.

Il fine del digiuno di Gesù non è una prova di forza ascetica ma l’obbedien-za alla volontà di Dio e al suo disegno eterno di amore all’umanità tutta.

Egli traccia una via per i suoi disce-poli nel mondo e nella storia perché sappiano vivere del pane della Parola di Dio, contenuta nelle sante Scritture, e del Pane eucaristico. Una via di piena umanizzazione, capace di condurci alla

comunione con Dio e con fratelli e so-relle.

Gesù ha chiesto ai suoi discepoli: con-divisione, preghiera, digiuno, (Mt. 6,1-17). Questi i mezzi dell’ascesi cristiana, non altri.

Il digiuno ci fa consapevoli che anche il nostro corpo va coinvolto nel cammi-no di conversione, non è solo un fatto intellettuale. Il digiuno ci deve aiutare a capire di che cosa viviamo, quale la nostra fame profonda, come ordinare i molteplici appetiti attorno all’unico vero necessario.

La fame è quella realtà prima che il bambino conosce nutrendosi allo-ra del latte materno e attraverso quel primo cibo impara la relazione con gli altri, col mondo tutto. Così il cibo ha un valore simbolico molto forte, inso-stituibile, per ciascuno di noi. Proprio nell’astenerci, nel moderarci sul cibo impariamo a conoscere e dominare i nostri appetiti, le nostre voracità più profonde.

Noi siamo ciò di cui ci nutriamo, a ogni livello, ed esprimiamo all’esterno ciò di cui ci siamo nutriti, formati, edifi-cati. Per questo è importante affermare

anche col nostro corpo che “non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”(Dt. 8,3; Mt. 4,4).

Il digiuno ci rende anche più consa-pevoli del nostro rapporto con i beni della terra e può allora aprirci alla con-divisione. Nell’unità della nostra perso-na comprendiamo che non basta dire “no” ad un cibo se poi non sappiamo dire “no” a ogni forma di ingiustizia che costringe tanti esseri umani come me a vivere un perenne digiuno forzato. Sen-za questo il nostro digiuno sarebbe solo quella ipocrisia religiosa che i profeti biblici hanno condannato con estrema forza.

Digiuno è allora riconoscere i veri e i falsi bisogni.

Digiuno è domandarsi ogni gior-no “Ma io di cosa nutro la mia vita?” e “Sono vicino a chi è più bisognoso e sofferente, so condividere i miei beni?”. Il digiuno è un mezzo necessario che può aiutarmi a compiere un cammino di conversione per restare, per crescere in quell’amore, quella carità che è l’uni-co fine della vita cristiana.

Domenico Ciardi

PAROLE CHIAVE Riconoscere autentici e falsi bisogni

Digiuno e veri nutrimenti MAGISTERO Il messaggio del Papa per la Quaresima

Ci interessa la resurrezione

Il libro del Papa “Gesù di Nazaret. Dall’in-gresso in Gerusalemme fino alla risur-

rezione” è stato presentato il 10 marzo. La Libreria Editrice Vaticana, d’intesa con Herder che ha curato l’edizione principe dell’opera, ne ha anticipato alcuni brani nei giorni precedenti la pubblicazione. L’opera è uscita in contemporanea inizialmente in sette lingue: tedesco, italiano, inglese, spa-gnolo, francese, portoghese e polacco. Pub-blichiamo stralci da tre capitoli.

Ultima cena. “Che cosa è stata veramente l’ultima cena di Gesù?”: si chiede Benedet-to XVI nel primo punto del quarto capitolo intitolato “L’Ultima Cena”. “In tutti i Vangeli sinottici fanno parte di questa cena – sotto-linea il Papa - la profezia di Gesù sulla sua morte e quella sulla sua risurrezione”, ma “una cosa è evidente nell’intera tradizio-ne: l’essenziale di questa cena di congedo non è stata l’antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo contesto. Anche se questo convivio di Gesù con i Do-dici non è stata una cena pasquale secon-do le prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connes-sione interiore dell’insieme con la morte e risurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù”. E in questo senso “Egli ha celebrato la Pasqua e non l’ha celebrata: i riti anti-chi non potevano essere praticati; quando venne il loro momento, Gesù era già morto. Ma Egli aveva donato se stesso e così aveva celebrato con essi veramente la Pasqua. In

questo modo l’antico non era stato negato, ma solo così portato al suo senso pieno. La prima testimonianza di questa visione uni-ficante del nuovo e dell’antico, che realizza la nuova interpretazione della cena di Gesù in rapporto alla Pasqua nel contesto della sua morte e risurrezione, si trova in Paolo” in 1 Corinzi, 5,7. E per Paolo, “morte e ri-surrezione di Cristo sono diventate così la Pasqua che perdura. In base a ciò si può capire come l’ultima cena di Gesù, che non era solo un preannuncio, ma nei Doni euca-ristici comprendeva anche un’anticipazione di croce e risurrezione, ben presto venisse considerata come Pasqua — come la sua Pasqua. E lo era veramente”.

Tradimento. Nel quarto punto del terzo capitolo il Santo Padre parla della lavanda dei piedi e del tradimento di Giuda. “La pericope della lavanda dei piedi – scrive il Pontefice - ci mette di fronte a due diffe-renti forme di reazione dell’uomo a questo dono: Giuda e Pietro. Subito dopo aver ac-cennato all’esempio, Gesù comincia a par-lare del caso di Giuda. Giovanni ci riferisce, al riguardo, che Gesù fu profondamente turbato”, ma “con il tradimento di Giuda la sofferenza per la slealtà non è finita”. “La rottura dell’amicizia giunge fin nella comu-nità sacramentale della Chiesa, dove sem-pre di nuovo ci sono persone che prendo-no ‘il suo pane’ e lo tradiscono”, sottolinea Benedetto XVI. Parlando di Giuda il Papa osserva che “chi rompe l’amicizia con Gesù,

chi si scrolla di dosso il suo ‘dolce giogo’, non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze – o piuttosto: il fatto che egli tradisce que-sta amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, al quale si è aperto”. E, pur quando si pente, Giuda “non riesce più a credere a un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù – quella luce che può illumi-nare e superare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che non riesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è di-struttivo e non è un vero pentimento”.

Accusatori. Nel terzo punto del settimo capitolo intitolato “Il processo a Gesù”, il Santo Padre si domanda “chi erano preci-samente gli accusatori” e “chi ha insistito per la condanna di Gesù a morte”. Nelle risposte dei Vangeli “vi sono differenze”. Secondo Giovanni, “essi sono semplicemen-te i ‘Giudei’” e con questa espressione, egli designa “l’aristocrazia del tempio”. In Mar-co, nel contesto dell’amnistia pasquale (Ba-rabba o Gesù), “il cerchio degli accusatori appare allargato: compare l’ochlos”, cioè “il gruppo dei sostenitori di Barabba, non però il popolo ebreo come tale”. “Un’amplifica-zione dell’ochlos di Marco, fatale nelle sue conseguenze, si trova in Matteo, che parla invece di ‘tutto il popolo’, attribuendo ades-so la richiesta della crocifissione di Gesù –

dichiara il Pontefice -. Con questo, Matteo sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte di Gesù? La realtà storica appare in modo sicuramente corretto in Giovanni e in Marco”. Inoltre, “se secondo Matteo ‘tutto il popolo’ avrebbe detto: ‘Il suo sangue rica-da su di noi e sui nostri figli’, il cristiano ri-corderà che il sangue di Gesù parla un’altra lingua rispetto a quello di Abele: non chie-de vendetta e punizione, ma è riconcilia-zione. Non viene versato contro qualcuno, ma è sangue versato per molti, per tutti”. “Come in base alla fede bisogna leggere in modo totalmente nuovo l’affermazione di Caifa circa la necessità della morte di Gesù, così deve farsi anche con la parola di Mat-teo sul sangue: letta nella prospettiva della fede, essa significa che tutti noi abbiamo bisogno della forza purificatrice dell’amore, e tale forza è il suo sangue”, conclude Be-nedetto XVI.

Il nuovo libro di Benedetto XVI Da Gerusalemme fino alla risurrezione

Benedetto XVI, nel recente Messaggio per la Quaresima, invita i Cristiani a "liberare il cuore dal peso delle cose

materiali, da un legame egoistico con la 'ter-ra’ che impoverisce e impedisce di essere di-sponibili ed aperti a Dio e al prossimo".

Il Santo Padre indica come pratiche della condivisione verso i fratelli e i bisognosi il digiuno, l'elemosina e la pre-ghiera.

Essendo la Carità il cardine della vita cristiana, ben com-prendiamo il messaggio del Papa, con il quale Egli esorta ad esercitare la Carità perché attraverso essa l'uomo si collega a Dio per ottenere da Lui quella tenerezza di cui ha bisogno.

La mancanza di Carità-amore "provoca violenza, prevaricazione e morte. L'idolatria dei beni materiali non solo allontana dall'al-tro, ma spoglia l'uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude". I tristi fatti di cronaca di questi ultimi tempi (Avetrana, Brembate di Sopra, Roma) e quelli che quotidianamen-te vengono alla luce dimostrano proprio la mancanza di valori religiosi, come dell'etica sociale e politica.

I numerosi problemi che affliggono la so-cietà contemporanea rappresentano le nuo-ve povertà da combattere: la miseria, lo sfrut-tamento e la sofferenza di milioni e milioni di esseri umani, la povertà di non conoscere Cristo, le guerre, le ingiustizie, la crisi mora-le, l'aggressione alla vita dal concepimento alla sua fine naturale, la crisi della famiglia, il relativismo culturale e morale, il miope rap-porto con la natura, la crisi economica.

Alla luce di tali problematiche e comples-sità della società contemporanea, se appare opportuno operare per la promozione dei diritti dei poveri, è nello stesso tempo in-dispensabile impegnarsi in progetti per la pace, per la giustizia, per la civile conviven-za, per la libertà, per la difesa della natura, stabilendo rapporti costruttivi tra Chiesa, Istituzioni, Associazioni e Agenzie educati-ve, come indicato nelle recenti Linee pasto-

rali 2010-2011 del nostro Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci.

Questa è forse l’unica via per realizzare una società a misura d’uomo e a “misura di Van-gelo”: è questa la rivisitazione dell’elemosina nel progetto di una società più giusta e uma-

na.Se la Carità è presente netta

vita di tutti i Santi, essa però caratterizza completamente l'opera di San Vincenzo de’ Paoli che, a buon diritto, è il primo patrono di tutte le opere dì carità della Chiesa.

Il Santo ha fornito l’esempio vivo di come la Carità verso gli ultimi, anche attraverso l'elemosina, è il vero collegamento con la bontà e la misericordia di Dio. I pove-ri, pertanto, divengono per lui il luogo teolo-gico per eccellenza, rappresentando essi la persona di Nostro Signore; "Quello che farete al più piccolo dei miei, lo considererò come fatto a me stesso" (S.V. X,332;S I,238s).

San Vincenzo riesce a congiungere amo-re affettivo ed amore effettivo, privilegian-do quest'ultimo e invitando ad "amare Dio a spese delle nostre braccia e con il sudore della nostra fronte, fino a consumarsi per il Signore”.

L'elemosina intesa come capacità di condi-visione, se fatta, in nome di Dio e con umiltà, ieri come oggi, richiede sì organizzazione, promozione, prevenienza, ma anche "forma-zione del cuore", “un cuore che vede dove c'è bisogno di amore e agisce di conseguenza".

L'esaltazione della Carità la si ritrova am-piamente nell'Enciclica "Deus Caritas est" di Benedetto XVI, dove si parla “dell'amore del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri".

La scelta del Pontefice è ampiamente mo-tivata dalla necessità di affermare in fatto di fede, la centralità dell'amore, non solo dona-to ma anche comandato: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato" (Gv 15, 9-17).

Gruppo di Volontariato Vincenziano A.I.C ITALIA - Sezione Brindisi

Non è facile parlare della preghiera perché questa realtà misteriosa ed essenziale non si comprende con le

parole e le teorie ma con l’esperienza. Anco-ra più faticoso è parlarne in poche battute.Per inquadrare la preghiera mi servo della definizione che la FIES (Federazione Italiana Esercizi Spirituali) ci offre per parlare degli Esercizi Spirituali che sono un momento al-tissimo di vita interiore. Ecco quanto dice la FIES: «Gli Esercizi Spirituali sono una forte esperienza di Dio, suscitata dall’ascolto del-la sua parola, compresa e accolta nel proprio vissuto personale, sotto l’azione dello Spirito, in un clima di silenzio e con la mediazione di una guida umana. Al fine di acquisire la capacità del discernimento spirituale, in or-dine alla purificazione del cuore, alla con-versione della vita e alla sequela di Cristo per il compimento della propria vocazione nella Chiesa e nel mondo».Da questa definizione estrapolo alcuni ele-menti essenziali della preghiera cristiana. Essa è: Incontro con DioLa preghiera è lo sforzo di passare dall’idea di Dio a Dio, dalle opere di Dio a Dio in per-sona, è, dunque, incontrare Dio e non noi stessi; ciò significa che pregare non è fare un eterno esame di coscienza accasciante; il ri-torno sulla vita ci deve essere, ma il primo in-contro da fare è quello con Dio. Alcune volte sembra di aver pregato e di aver incontrato Dio e invece si è rimasti sempre su se stessi, come in una prolungata analisi psicoterapica o in un esercizio di yoga orientale.Questo, che sembra essere scontato, è inve-ce una fatica immane: la tentazione è quella di ritornare su di noi. Il tentativo è quello di rimanere in stato di contemplazione per sco-prire qualcosa di nuovo di Dio che poi serva anche alla nostra vita.Mediante la ParolaIl tramite della preghiera cristiana è la Parola di Dio e non altro. Gli scritti dei Padri della Chiesa, dei Santi, dei fondatori, dei mistici e dei maestri di spirito non possono distoglier-ci dall’unica via che ci porta a Dio: la sua Pa-

rola, l’unica che ci parla in realtà di Dio.Di fronte ad una pagina della Sacra Scrittura chiediamoci:1. Cosa dice questa Parola di Dio su Dio? / «Cosa sta scritto?».2. Come mi raggiunge questa Parola? In qua-le stato mi trova? «Cosa vi leggi?».3. Come voglio impostare la mia vita in base a questa Parola? «Fa questo e vivrai».Per il discernimentoLa preghiera ci aiuta a conoscere i movimen-ti interiori per scoprire quelli che vengono da Dio, dunque da assecondare, e quelli che vengono da maligno e quindi da respingere. Tutto questo per purificare il cuore al fine di giungere al nucleo più essenziale di me dove scopro che ciò che voglio io veramente è ciò che vuole Dio e viceversa.Al fine di una vera conversioneTutto questo serve a convertire il cuore nello stato di vita che viviamo: Ascoltiamo quan-to scrive S. Ignazio di Loyola nel suo libretto Esercizi Spirituali nella nota previa quinta: «La quinta: è di molto giovamento per chi ri-ceve gli esercizi entrarvi con grande coraggio e con liberalità verso il suo Creatore e Signo-re, offrendogli interamente la volontà e la li-bertà perché la divina maestà possa servirsi secondo la sua santissima volontà tanto di lui quanto di tutto ciò che egli possiede».E per il compimento della missioneIl fine di tutto è vivere bene lo stato di vita in cui mi trovo. La prova del nove della preghie-ra è l’adempimento del proprio dovere.Tutto questo si comprende pienamente se si vive, perché a pregare si impara pregando. E allora buona preghiera a tutti!

don Salvatore Tardio

«Privo della luce della fede l’universo intero

finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza

speranza. La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui»

PAROLE CHIAVE Quaresima e solidarietà

Carità ed elemosinadimensioni dell’amore

PAROLE CHIAVE Difficile parlarne

Preghiera, autentico incontro con Dio

PaginAperta14 15 marzo 2011

Preceduto da roventi polemiche, dal vocia-re delle piazze, da pesanti insinuazioni che hanno scosso i palazzi della politica, il mon-

do delle donne italiane si ritrova immerso da diffu-si sentimenti di frustrazione e di sgomento. Dove sono andate a finire le grandi parole, che davano nome alla vita con cui nel secolo scorso si è intes-suto il pensiero femminile, quello che, reclaman-do una nuova soggettività nella sfera privata come in ambito pubblico, guardava con speranza alla costruzione di relazioni in-terpersonali, fondate sui valori del rispetto e del-la reciprocità?

Vale la pena, dun-que, alzare lo sguar-do, lasciando a terra rumori e schiamaz-zi, così che questo giorno, dedicato all’“altra metà del cielo”, aiuti tutti – donne e uomini – a ripensare quel mistero originario dell’unità duale, di cui parlava Giovanni Paolo II, quando coglieva nel-le prime battute di Genesi il manifesto generativo della relazione maschile-femminile, con tutta quella carica simbolica che ancor oggi trascina con sé. Se l’ordine dell’amore appartiene alla vita intima di Dio stesso, è proprio «nel fondamento del disegno eterno di Dio, che la donna è colei in cui l’ordine dell’amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per gettare la sua prima radice» (Mulieris dignitatem, 29). Infat-ti, nel vedere l’affascinante mistero che irradia dal-la donna a causa dell’intima grazia che Dio le ha donata, il cuore dell’uomo si illumina e si rivede in essa: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2, 23). La donna è un’altro «io» nella comune umanità. Bisogna riconoscere, affermare e difendere l’uguale dignità dell’uomo e della donna: sono ambedue persone, differente-mente da ogni altro essere vivente del mondo at-torno a loro.

È quanto continua a ripetere anche Benedetto XVI – si può ricordare al riguardo lo splendido di-scorso tenuto a Luanda il 22 marzo del 2009 - con-vinto che ambedue i generi sono chiamati a vivere in profonda comunione, in un vicendevole rico-noscimento e dono di se stessi, lavorando insieme per il bene comune con le caratteristiche comple-mentari di ciò che è maschile e di ciò che è femmi-nile. Chi non avverte, oggi, il bisogno di dare più

spazio alle «ragioni del cuore»? In un mondo come l’attuale dominato dalla tecnica, si sente bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumaniz-zarsi del tutto. Si pensi alle terre dove abbonda la povertà, alle regioni devastate dalla guerra, a tante situazioni tragiche risultanti da migrazioni forza-te… Sono quasi sempre le donne che vi mantengo-

no intatta la dignità umana, difendendo la famiglia e tutelando i valori cul-

turali e religiosi.I gesti profetici di tante donne partono da qui:

avvezze da sempre a sostenere il conflitto

e il peso dell’emar-ginazione e della differenza, hanno compreso la cari-ca rivoluzionaria dell’essere-lievito, d e l l ’e s s e re -s a l e nascosto dentro le pieghe della sto-

ria, consumando nella quotidianità il

compito prezioso di generare la vita e di ac-

compagnare il percorso faticoso dell’umanità. Non

è certo il vociare degli slogan o le discusse performance negli sce-

nari massmediatici a dar conto, oggi, del ruolo insostituibile della donna sia in ambito privato, nel cuore della famiglia, sia in quello pub-blico quando le si offre l’opportunità di mettere e a frutto la sua competenza e la sua creatività. E’ piut-tosto il terreno dei tanti gesti quotidiani, quelli che raccontano la vita, a disegnare la sua fisionomia identitaria, che non teme di rischiare il fallimento, quando ci sono di mezzo valori irrinunciabili da difendere e da potenziare.

Alle tante Sakineh, vittime della brutalità fonda-mentalista, alle molte Teresa di Calcutta, sparse nelle bidonville dell’America Latina o nell’inferno africano delle guerre fratricide, alle tante Rigober-ta Manchiù che traducono in difficili scelte di vita il metodo non violento come vessillo di promozio-ne umana nelle minoranze schiacciate e dimenti-cate, alle mamme di figli malati o disabili, lasciate sole con la loro disperata voglia di riscatto, vada il nostro pensiero grato. Rappresentano infatti quel-la parte migliore, che continua a fecondare gli stra-ti profondi del nostro tessuto sociale, molto spesso distratto da falsi miraggi e privo di quell’energia creatrice che solo l’amore sa comandare.

Paola Ricci Sindoni

Si discute da tempo fra op-posti modi di vedere, tutti pervasi dalla presunzione di

possedere la verità, della legge sul-la cosidetta “Dichiarazione Antici-pata di Trattamento” (DAT) senza che a nessuno venga in mente di porsi nei panni di chi, in condizio-ni di vita molto precarie, avrebbe il diritto di dire la sua, ove potesse sul modo di andare incontro alla morte a colui che di lui si prende cura in quel particolare momento in un rap-porto di estrema fiducia, defini-to “alleanza medico-pa-ziente”.

Q u a n t i inter ven -gono nei dibattiti in corso, par-te convinti di quello che s o s t e n g o n o , parte solo desi-derosi, per oppor-tunità politica, di appa-rire sostenitori della vita e parte infine sostenitori ad oltranza del principio di poter disporre della propria vita sempre e comunque, tutti presumono di avere diritto e competenza per fissare norme di comportamento a chi, per dovere professionale, è posto nelle condi-zioni di servire al meglio chi gli si affida in stato di completo abban-dono.

È bene sottolineare che l’etica non è un insieme di norme astrat-te, sia pure chiaramente codificate nel tempo, da applicare uniforme-mente in ogni particolare situazio-ne di vita; essa offre solo criteri di valutazione per comportamenti da applicare caso per caso da parte del medico che, in piena condivi-sione empatica, deve far fronte ad un particolare stato di sofferenza esistenziale.

Fra quanti intervengono nel me-rito, a proposito o con presunzio-ne, a chi è venuto mai in mente di rimettersi alla decisione libera e

responsabile di chi, in ragione del proprio stato e di un giuramento fatto, è tenuto a difendere la vita dal concepimento fino alla morte naturale?

Si domanda qualcuno se può es-sere definita morte naturale quella che può essere procrastinata sine die grazie alle tecnologie rianima-torie di cui si dispone attualmente? o quella che può essere ottenuta mediante la semplice interruzio-

ne del sostegno vitale dell’alimentazione e

dell’idratazione?Nel dibatti-to politico in

corso vi è chi dichia-ra di voler sostenere la vita in qualunque c o n d i z i o -

ne, ritenen-do la morte

come un even-to da rimuovere

sempre e comun-que, e chi invece ritiene

che la morte possa o debba essere agevolata in quanti non versano in condizioni di vita accettabili.

Nessuno si pone nelle condi-zioni di chi, in uno stato termina-le, vorrebbe essere solo aiutato a non soffrire ed accompagnato ad affrontare serenamente il suo tra-passo naturale verso una “buona morte”, la quale per un credente è un valore come la vita.

Questo è il problema da affronta-re, ponendo da parte ogni ideolo-gia ed offrendo al medico curante ogni sostegno e considerazione per porlo nelle condizioni migliori di operare da “buon samaritano”, sempre ed in qualunque circo-stanza, fidandosi della decisione che dovrà assumere liberamente in scienza e coscienza.

Pietro LacorteVice presidente

Società Italiana di Bioetica e Comitati Etici

(SIBCE)

BIOETICA� A proposito della DAT

Una domanda di senso8 mA�rzO Lasciare a terra rumori e schiamazzi

Occorre alzare lo sguardo

N el corso della prima metà dell’Ot-tocento la diocesi di Brindisi si estendeva lungo una direttrice da

nord-ovest verso sud-est fin quasi a rag-giungere con Leverano il porto di Taranto. Si trattava di borghi poveri, tranne per Me-sagne, e scarsamente popolati con un’eco-nomia immobile legata all’agricoltura come unica fonte di reddito. I prodotti non veni-vano smerciati a causa della lontananza della diocesi dai grossi centri di consumo quali Napoli e Palermo o di esportazione come Gallipoli, e il porto di Brindisi era or-mai inagibile da quando i lavori di miglio-ria, considerati “troppo costosi”, erano stati interrotti

Eppure, dall’inchiesta Meloni del 1870 la città sembrava essere favorita dall’importan-te posizione strategica assunta nel commer-cio internazionale con l’apertura del canale di Suez nel 1869. La più grave lacuna fu la mancanza della figura del mercante impren-ditore locale. Il piccolo e medio proprietario del sud coltivava, lavorava, vendeva, ma non aveva nessuna attrezzatura produttiva in senso stretto, si affidava alla manodopera familiare, non avendo sufficiente liquidità per svolgere il ruolo di intermediazione sul mercato.

Una tale condizione di miseria e difficoltà era evidente anche dai resoconti delle visite

pastorali che confermavano un quadro ge-nerale di abbandono e descrivevano la dio-cesi di Brindisi come periferica, squallida e dimenticata, considerata dagli stessi uomini di chiesa come una tappa di passaggio verso sedi più importanti.

Nel 1857 divenne arcivescovo Raffaele Fer-rigno (1856-1875), napoletano, che, per aver in più frangenti protetto alcuni perseguitati, fu costretto ad abbandonare la diocesi per-ché accusato di essere un tenace assertore del reggimento assolutistico. D’altra parte il prelato aveva assunto un atteggiamento un po’ sfumato e troppo altalenante: aveva in qualche modo protetto i liberali perseguita-ti, ma si era poi rifiutato di celebrare le fun-zioni religiose di ringraziamento “per tutti i fausti avvenimenti” e per il giorno natalizio di Vittorio Emanuele II; si era astenuto dal voto plebiscitario e poi in un secondo mo-mento accettava l’invito del sindaco di Brin-disi, Domenico Balsamo, di istruire i sacer-doti a sollecitare il popolo a votare. Proprio a causa di un tale atteggiamento, il gover-

natore di Lecce il 24 settembre 1860 richiese al ministro dell’Interno e Polizia opportune misure tese ad allontanarlo definitivamente “pel bene” della diocesi e “pel consolidamen-to dell’ordine attuale”. Così non fu. Nel 1865 venne sottoposto ad un procedimento giudi-ziario per aver accettato di benedire la nuo-va ferrovia per poi scrivere una lettera ad un giornale cattolico affermando di avere pre-senziato alla cerimonia solo dietro permes-so del pontefice. Le autorità contestarono al presule il reato di “abuso per mezzo di scritti pubblicati per la stampa contenenti l’usura delle istituzioni e delle leggi dello Stato e di natura da eccitare lo sprezzo ed il malcon-tento contro il Re e il Parlamento nazionale”. L’arcivescovo brindisino il 10 giugno 1866 fu assegnato al domicilio coatto in Piemonte per due anni con l’accusa di “cospirazione per una restaurazione borbonico-clericale”. L’11 giugno analoga disposizione colpì l’ar-cidiacono Giovanni Tarantini, il canonico Cosimo Manca, l’ex vice-console pontificio Francesco Chiaia, il notaio Felice D’Errico e

l’ex vice-console d’Austria Antonio Leanza. Tutti gli accusati furono prosciolti durante l’istruttoria irritando però le autorità loca-li che vedevano svanire nel nulla il quoti-diano lavoro teso a scongiurare pericoli reali o presunti della reazione borbonico-clericale. Conscio di un tale stato d’ani-

mo generale il prefetto di Terra d’Otranto, Francesco Morgia, interessato al ritorno dei vescovi di Oria, Brindisi, Nardò, Castellane-ta e Taranto, allo scopo di evitare disordini, raccomandava i sindaci di tranquillizzare gli unitari dicendo che il “vescovo rientra-va con buone intenzioni”. Nonostante però il proscioglimento di mons. Ferrigno il giu-dizio non venne sostanzialmente modifi-cato ed in un rapporto del comandante dei Carabinieri di Brindisi del 1866 viene de-finito: “di buona morale. In politica però il sentimento borbonico-clericale, l’avversione precisa dell’attuale ordine di cose, sta incar-nata nella sua mente e nel suo cuore. Non bisogna perdere di mira nella sua qualità di prelato la preponderanza di lui sul partito nero e sulle masse superstiziose ed ignoranti e le relazioni senza dubbio con la trista setta alla quale appartiene.”

Katiuscia Di Rocco

ITA�LIA�NI DA� 150 A�NNI A proposito di Mons. Ferrigno

Vescovo tra Borboni e Savoia

Sport 1515 marzo 2011

Si è svolto domenica 16 gennaio, presso il sito archeologico di Muro

Tenente, il Gran Premio Pro-vinciale di corsa campestre “ …A spasso nel tempo dei Messapi”, valido come prima fase del Campionato provin-ciale CSI di Atletica Leggera e parte integrante del Gran Premio Nazionale di Corsa Campestre 2011.

La manifestazione, orga-nizzata dal Csi Comitato Provinciale di Brindisi, è sta-ta patrocinata dai Comuni di Mesagne e Latiano e dal Coni-Comitato Provinciale di Brindisi.

La manifestazione ha visto la partecipazione di piccini e grandi, dalle categorie gio-vanili sino a quelle dedicate agli adulti

A favore della buona riu-scita della manifestazione, ha concorso in primis la lo-cation scelta dagli organiz-zatori, il sito archeologico di Muro Tenente. «A cavallo tra i territori dei Comuni di Mesagne e Latiano, Muro Tenente rappresenta per noi uno spazio ideale per la corsa campestre» - ha detto Francesco Maizza, Presiden-te del CSI Brindisi. «Inoltre la manifestazione è stata occasione per molti di cono-scere la storia di una parte del territorio provinciale in cui secoli fa si insediarono i Messapi» A favorire la cono-

scenza del sito archeologico, ci sono state delle visite gui-date che hanno illustrato le peculiarità, ancora in parte sconosciute ai più, di questo che in futuro potrebbe diven-tare un Parco Archeologico. Desiderio, questo, espresso dagli Assessori allo Sport dei due Comuni interessati, Me-sagne e Latiano. Maria De Guido e Giuseppe Blé han-no infatti sottolineato che lo sport e manifestazioni come queste in particolare aiutano le amministrazioni locali a creare politiche di ampio re-spiro affinché si stabiliscano dei rapporti di maggiore col-laborazione tra comuni limi-trofi, che pensano già ad una

futura Fondazione che tuteli un così vasto patrimonio ar-cheologico.

Anche in questa occasione, il Comitato Provinciale del CSI di Brindisi ha deciso di essere vicino alle iniziative messe in campo dalla Fon-dazione Operation Smile: per ogni quota di iscrizione, una parte è stata devoluta alla onlus che si occupa di intervenire chirurgicamente in malformazioni che si ma-nifestano sul volto dei bam-bini, che più necessitano di sorridere. Motivo in più per partecipare ad una gara che rappresenta un momen-to associativo e sportivo di grande rilievo.

a mesagne Gran premio di corsa campestre

A spasso nel tempo dei Messapi

Quale sarà il futuro delle Società Spor-

tive? Domanda seria e tutt’altro che retorica. Se guardiamo il presente, finiamo per fare i conti con una contraddizione tipica del nostro Paese. Da un lato “tutti” sono d’accordo nell’affermare l’importanza delle società sportive, nel considerarle “cuore” del sistema spor-tivo italiano, nel sottoline-are l’importanza del loro ruolo educativo e sociale. Dall’altro chi ci “vive dentro” (dirigenti e allenatori), spendendo parte importante della propria vita a fare il volontario in una piccola società di quartiere, di paese, d’oratorio si sente spesso «solo e abbando-nato», costretto a combattere contro mille problemi quotidiani: dalla burocrazia agli impianti che non ci sono, ai genitori che “rompono”, alla fatica di trovare i soldini per iscrivere i ragazzi al campionato e per fare le magliette. Ma il futuro cosa porte-rà? Come saranno le società sportive nel 2015? E nel 2020? E nel 2025? Parlare oggi di «società sportive del terzo millennio» non è tempo perso, è una scelta lungimi-rante e vincente. Bisogna iniziare oggi a costruire il futuro delle società sportive, invitandole a ragionare e riflettere sulle scelte e le strategie su cui puntare per cre-scere e migliorare. Un vero e chiaro pro-getto educativo, dirigenti e allenatori for-

mati, capaci di relazionarsi con territorio e Istituzioni appaiono ormai requisiti indispensabili. Se non ci sono questi non si va da nessuna parte. Ma non ba-stano. Servono anche altre strategie e indicazioni. Nei prossimi mesi proporremo occasioni per riflettere e confrontarsi sulle «società sportive del terzo millen-nio». Nel frattempo, a pro-posito di guardare avanti, mi piace condividere due scelte lungimiranti. La pri-

ma è dell’Assessore allo Sport del Comune di Parma. In un recente Convegno dedica-to a Parma Città Europea dello Sport l’As-sessore Ghiretti ha ufficializzato una scelta coraggiosa: i contributi dell’Amministra-zione andranno solo a quelle società spor-tive che non faranno selezione tra i ragaz-zi. Più bello, chiaro e coraggioso di così. La seconda è del Csi. Stiamo lavorando ad una certificazione di qualità delle società sportive. Una sorta di prestigioso “bollino blu” da assegnare a quelle realtà che ve-ramente vivono il progetto educativo e la proposta dell’Associazione. Un bollino blu che non sia una questione di prestigio. Al contrario, un “marchio” che dia benefi-ci concreti e che premi nei fatti chi vuole fare della sua società sportiva una vera agenzia educativa. Serve ancora un po’ di tempo ma ci arriveremo.

Massimo Achini

RIFLessIOnI Parla il Presidente nazionale del Csi

Le società sportive del Terzo Millennio

Il Centro Sportivo SS. Annunziata di Me-sagne, da tempo impegnato nell’edu-

cazione e formazione dei giovani ragazzi attraverso una fiorente Scuola Calcio, si è arricchito di un’altra disciplina, la pallavo-lo adulti ed il minivolley. Con l’avvio dell’ «attività sportiva parrocchiale SS. Annun-ziata 2010/2011», il nostro parroco, padre Cosimo Soliberto, ha coronato il sogno di vedere i giovani della parrocchia uniti dalla passione per lo sport offrendo loro un ventaglio più ampio di opportunità.

Pregevole l’attività di volontariato del team dei tecnici, nelle persone di Walter Magrì per la squadra di pallavolo adulti, e di Tiziana Rubino con Francesco Carrozzo per il minivolley, finalizzata alla cresci-ta sportiva ed umana degli adulti e dei bambini appassionati di questo sport bel-lissimo ed elegante.

Encomiabile il servizio svolto dal nostro Presidente, Raffaele Montanaro, il quale, dedicando il proprio tempo libero a favo-re dei ragazzi praticanti lo sport del cal-cio, svolge con abnegazione e passione il ruolo di tecnico ed educatore del Centro Sportivo Parrocchiale. Il progetto educati-vo e di vita che la comunità parrocchiale intende trasmettere ai nostri giovani, si ispira al messaggio pastorale ricco di ar-gomenti religiosi, morali e sociali, valori di cui oggi più che mai ha bisogno la so-cietà civile. Nel ringraziare coloro i quali credono fermamente in questo progetto, auguriamo a tutti buon lavoro nell’ottica di una proficua e costante collaborazio-ne.

Fabio Sportelli e Aldo Indolfi

CSI SS. ANNUNZIATARIPARTE IL VOLLEY

Incontro della Consulta diocesana

dello Sport

Giovedì 24 febbraio, presso il Semi-nario arcivescovile di Brindisi, si è

tenuto il primo incontro del 2011 della Consulta diocesana per la Pastorale del Tempo libero, Turismo e Sport. Hanno avuto modo di incontrarsi i rappresen-tanti delle Acli, del Csi provinciale di Brindisi, il presidente del Coni provin-ciale, Nicola Cainazzo, i responsabili delle strutture turistiche diocesane e dei gruppi di teatro ed animazione e della protezione civile.

L’incontro è stato impreziosito dal-la presenza di S.E. Mons. Rocco Talucci che ha aperto i lavori del gruppo con una preghiera e ha ricordato le Propo-sitiones contenute nel Liber Synodalis, in particolare quella riguardante i rappor-ti tra Chiesa e Sport. I lavori sono stati condotti dal delegato arcivescovile, don Francesco Funaro, che ha a sua volta introdotto la relazione di don Piero De Mita su “La funzione educativa dello sport nella prevenzione del disagio gio-vanile”. Altro tema affrontato durante l’incontro è stato la realizzazione del-la “Pasqua dello Sportivo 2011” che è in corso di definizione. Diversi aspetti hanno interessato i partecipanti dando vita ad un cospicuo scambio di opinio-ni. Sicuramente è emersa la volontà di allestire una “Pasqua dello Sportivo” in grado di coinvolgere diversi gruppi parrocchiali e non della diocesi. Per far questo saranno necessari altri appunta-menti della Consulta per organizzare al meglio una manifestazione, che per di-versi motivi, manca dal 2009.

Cosimo Destino

16 15 marzo 2011Associazioni & Movimenti

Si è svolto venerdì 11 febbraio presso la Biblioteca Comunale “F. Trinchera” di Ostuni un prezioso incontro di arric-

chimento e crescita promosso dall'Universi-tà delle Tre Età di Ostuni dal titolo “Volon-tariato e Cittadinanza attiva per la città dell’Uomo”.

L'incontro ha visto protago-nista il dott. Rino Spedicato, presidente di Retinopera Sa-lento nonché Vice Presiden-te Vicario del Centro Servizi al Volontariato Poiesis, lega-to alla Città di Ostuni e alle attività dell'Università da profonda stima e amicizia.

La serata è stata aperta da una breve ma saliente pre-sentazione dell'evento da parte del Presiden-te, il prof. Sandro Massari.

Nel suo intervento, Rino Spedicato ha pre-sentato brevemente la sua associazione e il suo impegno nel CSV Poiesis per poi passa-re ad un interessante approfondimento del tema dell'incontro.

Nella sua analisi l'essere volontario e citta-dino attivo passa attraverso tre fondamentali dimensioni: il sé, la comunicazione e l'azio-ne “per meglio prendere coscienza di ciò che si ha dentro, di ciò che si può e si deve offrire agli altri, sviluppando l’etica dell’altro, la cul-tura del dono e la coscienza critica” ripercor-

rendo le parole di Don Tonino Bello.Una lezione in cui è emerso prima di tutto

la profonda adesione personale intellettuale e “pratica” del dott. Spedicato, il suo “spor-carsi le mani” (ancora don Tonino Bello) in

quello che è il fare volonta-riato nella nostra provincia. Forte è stato il suo invito a continuare nell'impegno che questa associazione offre alla propria comunità, offrendo la propria personale espe-rienza e anche quella del Centro Servizi al Volontaria-to della Provincia di Brindisi.

Il CSV Poiesis è stato poi presentato nei suoi servizi e nelle sue attività, rinnovan-

do l'invito, già rivolto in più occasioni dal Vice Presidente Vicario, alle associazioni di “usarlo”, di dare la giusta identità al CSV e cioè quella di essere “a servizio” delle asso-ciazioni e quindi del volontariato.

In seguito è nato un bel dibattito in cui oltre ad alcuni presenti che hanno voluto portare la propria esperienza, ci sono state anche as-sociazioni che hanno manifestato la volontà di essere coinvolti in maniera più attiva dal CSV Poiesis, che ha preso il personale impe-gno a fare di più e meglio.

Caterina Luperti

ostuni L’Unitre incontra il Centro servizi al volontariato

Volontariato e Cittadinanza attiva

Si è svolto domenica 13 febbraio il Riti-ro Spirituale del Gruppo Rinnovamen-to nello Spirito, “Maria Consolatrice”,

sul tema: “Ecco quant’è buono e soave che i fratelli vivano insieme”. Relatore è stato Fer-ruccio Libardo,coordinatore diocesano del Rinnovamento nello Spirito!

Il tema era incentrato sulla persona di Gesù Cristo e sul Suo messaggio d’amore, che ci invita a crescere nella gioia e nella consape-volezza dell’appartenenza alla Chiesa.

Il riferimento dello slogan biblico “erano assidui nella frazione del pane e nelle pre-ghiere” (At 2,42) è in linea con i nostri inten-dimenti, poiché desideriamo essere “assidui”, come i primi cristiani, nell’applicare gli inse-gnamenti della Chiesa, nell’unione fraterna e nelle preghiere.

I primi cristiani, tutti insieme, frequentava-no la chiesa locale, spezzando il pane in co-mune e prendendo i pasti con letizia e sem-plicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. “Avevano un cuor solo ed un’anima sola” e rendevano testimo-nianza della Risurrezione del Signore Gesù!

Ferruccio Libardo ha ribadito il concetto

di appartenenza alla comunità cristiana, e al sentirci corresponsabili della sua vita, della sua missione e che tutta l’importanza della Chiesa deriva dalla sua connessione con Cri-sto!

Gesù Cristo è sempre presente nella Sua Chiesa ed in noi, per noi e con noi! Non c’è Chiesa senza riferimento a Gesù Cristo. La Chiesa è frutto dello Spirito Santo, che pone Gesù Cristo nei nostri cuori come nostro Si-gnore.

«Noi che siamo rivestiti di Cristo – ha detto il relatore - dobbiamo intensificare la nostra appartenenza a Cristo, imitando i suoi stessi principii, consolidando e incrementando il nostro impegno alla pienezza della vita cri-stiana, della santa liturgia, nella carità, nella comunione e nell’annuncio del Vangelo!

Ferruccio Libardo ha invitato noi tutti a ri-manere sempre uniti nel Gruppo Rinnova-mento nello Spirito, nell’Amore di Dio! Infi-ne, ci ha invitati ad essere aperti a tutti i doni che il Signore vuole donarci.

Francesco Antonuccio

BRinDisi Ritiro spirituale del gruppo del RNS

Rimanere uniti nell’amore di Dio

Il 7 febbraio nella parrocchia di San Teo-doro martire in Sarno la comunità si è ri-unita per festeggiare il suo santo patrono.

Ha partecipato alla liturgia il diacono perma-nente Vincenzo Vergati e una folta rappre-sentanza di sacerdoti (don Vincenzo Buono, don Raffaele Corrado, don Cristian Costanzo e don Raffaele Ferrentino). Ha presieduto la celebrazione don Adriano Miglietta che come sempre prontamente risponde alle no-stre iniziative.

Per tutti i parrocchiani ricordare il nostro martire è ogni volta un momento di gioia e riflessione. Don Adriano, durante l'omelia, ha voluto sottolineare che ogni santo patro-no deve essere di esempio e lasciare la sua impronta nei cuori della sua comunità. San Teodoro ha immolato la propria vita per fede verso nostro Signore e questo è un valore che non ha né confini né tempo. Il suo corpo bruciando è diventato una fiaccola ardente che ha il compito di illuminare i nostri pas-si e accompagnarci durante il pellegrinaggio su questa terra, indicandoci la strada da per-correre per giungere un domani alla casa del nostro Santissimo Padre.

A fine celebrazione alcuni bambini, grazie anche all'aiuto delle loro maestre, hanno in-scenato una piccola rappresentazione sulla vita di San Teodoro sottolineando il suo co-raggio di non rinnegare il proprio "credo".

Ringraziamo don Adriano per la sua dispo-nibilità e salutiamo anche l'Arcivescovo Ta-lucci che sappiamo sempre vicino a noi. Un saluto, infine, alla città di Brindisi a cui fare-mo visita a settembre per festeggiare insieme con loro il nostro Teodoro.

Rosa Cammarano

saRno Il 7 febbraio scorso si è rinnovato il gemellaggio

Uniti sull’esempio di San Teodoro

Sforzarsi per fare del Terzo Settore uno degli assi principali della Cittadinanza Attiva. È stato questo il filo conduttore

della conferenza regionale del Terzo Setto-re Pugliese organizzata da Forum del Terzo Settore, Csv Net, Convol e Consulta del Vo-lontariato presso il Forum del Terzo Settore in collaborazione con la Provincia di Brindi-si lo scorso venerdì 4 marzo nell’ambito del progetto “Formazione Quadri Terzo Settore” giunto alla sua seconda edizione.

Al dibattito era presente l’assessore regiona-le alle politiche giovanili ed alla cittadinanza sociale Nicola Fratoianni, oltre al vicepresi-dente della Provincia Francesco Mingolla, al vicepresidente di Anci Puglia Cosimo Du-rante, ai segretari regionali di Cgil e Cisl Gio-vanni Forte e Franco Surano.

«Oggi più che mai – ha spiegato Gianluca Budano Portavoce del Forum Regionale Pu-gliese del Terzo Settore – occorre costruire un modello di governo della società basato sul-la sussidiarietà. Il forum intende lanciare un messaggio chiaro, facendo sapere di essere pronto ad intervenire laddove gli interventi pubblici e privati hanno fallito. Non dimenti-chiamoci che il forum in Puglia rappresenta una forza economica notevole, con ricadute occupazionali notevoli, come testimoniano le oltre cinquecento cooperative sociali».

«Fortunatamente in un paese martoria-to dai problemi c’è anche l’Italia del Terzo

Settore – ha detto Daniele Ferrocino, coor-dinatore Regionale FQTS 2 - siamo noi che possiamo creare un vero sviluppo del Mez-zogiorno, se riusciamo a creare e a valoriz-zare i nostri beni comuni. Credo che insieme alle istituzioni locali possiamo pensare al co-siddetto patto di sussidiarietà, nel quale i cit-tadini diventano parte attiva nella vita socia-le: il progetto è partito in contemporanea in sei regioni del Sud e presenterà i risultati ad ottobre nella conferenza degli sati generali del Terzo Settore che con ogni probabilità si terrà a Bari».

Per il Centro Servizi al Volontariato “Poie-sis” la parola è stata affidata al vicepresidente Maurizio Guadalupi: «Il coinvolgimento del CSV in questo progetto di FQTS 2 è inevitabi-le, poiché i nostri servizi sono diretti alle As-sociazioni e tendono proprio a mobilitare le risorse del Volontariato. È importante che in questo momento anche Volontariato e Terzo Settore si diano una dimensione “politica”, sappiamo bene quanto non sia facile mettere insieme le forze del Terzo Settore, ma grazie ai vari laboratori (come ad esempio i Piani di Zona) anche il Volontariato ha fatto negli ul-timi tempi passi da gigante, ha capito che si può innovare la nostra società. In parole po-vere FQTS 2 serve a far riappropriare il Terzo Settore delle proprie competenze».

Tiziano Mele

BRinDisi Conferenza regionale del Terzo Settore

Creare vero sviluppo nel Sud

Occorre sviluppare

l’etica dell’altro e la cultura

del dono

Parrocchie & Associazioni 1715 marzo 2011

È incredibile come continui ad incu-riosire e ad affascinare la storia dei pastorelli di Fatima, ancora oggi

dopo quasi un secolo dalle apparizioni. Erano solo tre bambini: Lucia, Francesco e Giacinta, rispettivamente di 10, 9 e 7 anni, ma sono diventati dei “giganti “ nella storia della Chiesa.

Nel 1917 ebbero la grazia di vedere tre volte un angelo del Signore e sei volte la Madonna del Rosario, apparsi nel loro pic-colo villaggio di Fatima in Portogallo. La Vergine Maria li esortava a pregare, offrire sacrifici per riparare i peccati, per la conver-sione dei peccatori e per la pace nel mondo. Accolsero subito quell’invito e lo misero in pratica.

Lucia, interlocutrice privilegiata delle apparizioni, divenne in seguito una suora carmelitana, nel monastero di S. Teresa in Coimbra. I due cuginetti furono portati in cielo molto presto.

Francesco e Giacinta amarono tanto Gesù

che nella loro breve vita ebbero un solo de-siderio: pregare e soffrire, secondo l’invito dell’Angelo e della Madonna.

Il 13 maggio dell’anno 2000, il sommo Pontefice Giovanni Paolo II, li iscrisse nel numero dei beati.

Domenica 20 febbraio u.s., all’Opera “No-stra Signora di Fatima” in Ostuni, dove i Ser-vi e le Serve del Cuore Immacolato di Maria, insieme con i Laici del Movimento della Fa-

miglia del Cuore Immacolato di Maria, por-tano avanti il Messaggio di Fatima, abbiamo ricordato e festeggiato i tre pastorelli.

Alle ore 16 il grande piazzale era gremito di bambini, ragazzi, genitori, nonni, giunti con i propri mezzi per essere accolti dal “ca-lore” spirituale della Comunità.

Le Suore hanno animato il primo pome-riggio con canti e giochi all’aperto ed han-no consegnato ai bambini un proposito da

mettere in pratica nella settimana. Sono stati poi distribuiti 250 palloncini bianchi e azzurri: davanti alla effige della Madonna e dei pastorelli, sono stati lasciati volare tutti insieme, dopo aver recitato una preghie-ra alla Vergine. Alcune ragazzine avevano scritto sul loro palloncino il proprio nome nella speranza che fosse letto da “qualcuno” lassù. Un coro unanime di gioia si è levato. Tutti col naso all’insù guardavano quella nuvola bianca e azzurra, mentre un vento moderato li portava sempre più in alto nella stessa direzione. All’interno del salone po-lifunzionale i bambini hanno potuto cono-scere la storia dei Pastorelli illustrata dalle nostre brave Suore e poi hanno recitato una decina del S. Rosario. I ragazzi del Semina-rio Minore dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, sito in Carmiano, hanno allietato la serata con delle brevi rappresentazioni di alcuni episodi della vita di S. Gerardo, del servo di Dio Ferdinando Calò e dei be-ati Francesco e Giacinta. Si sono cimentati anche in alcuni sketch, divertentissimi, che hanno strappato sane risate a tutti i presen-ti. Alla fine ogni bambino ha ricevuto un palloncino modellato in varie forme.

Luigina Ramunno

OSTUNI� Il 20 febbraio scorso all’opera “Nostra Signora di Fatima”

Festa dei “Pastorelli”, giganti nella storia della Chiesa

Niente alcol, nè droghe. No allo sbal-lo ma sì al ballo. Nasce così l’idea di una serata in discoteca per ragazzi,

nel salone parrocchiale dei Santi Medici di Ostuni, capace di promuovere momenti di incontro, aggregazione e divertimento con la musica e il ballo, senza alimentare la cultu-ra dell’eccesso e dello sballo e per sviluppa-re nei giovani un senso critico alla scelta e la gioia di divertirsi stando insieme.

La serata animata in diretta dai DJ e dagli speaker di Radio Città Bianca, si è svolta il 7 marzo, ed ha visto il coinvolgimento di cen-

tinaia di ragazzi che hanno potuto divertirsi ma anche dire no alla cultura dello sbal-lo che produce isolamento, omologazione espropriazione di se stessi.

La «sfida» proposta ai giovani è semplice e può apparire perfino banale, ma in realtà si rivela assai ardua: essere normali, con le proprie specificità, i propri limiti e le proprie potenzialità; fuori dalla finzione, dai pseudo piaceri artificiali e dalla omologazione alle abitudini, ai vizi e agli eccessi.

I giovani dicono no allo sballo, sì al ballo

La Comunità Parrocchiale del Santua-rio SS. Medici Cosma e Damiano di Ostuni, ha vissuto per la prima volta, il

2 febbraio scorso, nella Festa della Presenta-zione di Gesù al Tempio (Candelora), il rito della Benedizione delle mamme in attesa di un figlio che si aggiunge alla benedizione dei bambini battezzati.

Aspettare un bambino è una gioia infinita, ma per molte donne è anche un motivo di angoscia: c’è chi teme per l’esito della gra-vidanza, chi attende trepidante degli esami, chi – e sono tante – spera da anni di diventa-

re madre. Un’iniziativa che ha subito raccol-to un inatteso consenso.

Tutto è cominciato con l’idea di mettere sotto la protezione del Signore i piccoli che vengono alla nel grembo materno.

«Credo sia importante avere un’attenzione da parte nostra per la maternità – ha affer-mato il parroco don Paolo Zofra - . È un bel modo per aiutare le madri che decidono di avere un figlio, mettendole nella condizione di sentire la presenza, la protezione e il ben volere di Dio attraverso la Chiesa».

Benedizione delle mamme in attesaOSTUNI� Diverse iniziative nella parrocchia Santuario dei Santi Cosma e Damiano

Parrocchie & Associazioni18 15 marzo 2011

Iniziativa della Pastorale Giovanile

La Consulta diocesana di Pastorale Giovanile orga-

nizza, nel pomeriggio di ve-nerdì 15 aprile a Brindisi, un incontro/laboratorio aperto a chiunque opera nel cam-po dell'educazione pastorale (catechisti, educatori, capi agesci…).

Al centro del percorso ci saranno tecniche diverse (clown, recitazione, bans, teatro, giochi, musica…) con le quali operare per trasmet-tere in modo nuovo i conte-nuti della fede, e i valori del cristianesimo.

Il laboratorio prevede una durata di almeno 3 ore ed è totalmente gratuito.

Le iscrizioni si possono ef-fettuare compilando l’appo-sito modulo scaricabile dal sito www.giovanibrindisio-stuni.it. Per ragioni tecniche, il numero è chiuso a 50 par-tecipanti.

Il luogo e l'orario saranno comunicati in risposta (via mail o telefonica) diretta-mente ai partecipanti, una volta raggiunto il numero sufficiente di 15 partecipan-ti. Per ulteriori informazioni si può chiamare il numero 340/3125404.

“Ferd.us De Simone Barensis fecit A. D. 1793”, si legge sul frontalino della ta-stiera dell’antico organo a canne della

Chiesa matrice di Mesagne, collocato sulla tri-buna lignea, “in cornu Epistulae” nella navata. La sua voce, benedetta dal Padre Arcivescovo mons. Rocco Talucci, martedì 15 febbraio scorso, è tornata a farsi sentire bella come il primo gior-no che fu costruito, grazie al restauro della Ditta Paolo Tollaro di Fissa di Concordia (Modena). L’intervento è stato reso possibile grazie ai finan-ziamenti della Regione Puglia e ai fondi dell’8 per mille della Conferenza episcopale italiana, dietro autorizzazione della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici della Puglia sotto l’alta sorveglianza della dott. Gio-vanna Di Capua.

Nella sua scheda storica, il prof. Paolo Tollari, ha ricordato come la chiesa matrice di Mesagne fos-se dotata di organo già agli inizi del Rinascimen-to e come, a fine Cinquecento, l’allora arciprete Luc’Antonio Resta avesse commissionato un altro strumento musicale, che non ebbe grande fortuna se è vero che fu costruito «un terzo stru-mento nel 1648 per mano del leccese Tommaso mauro, già coautore vent’anni prima del grande organo della matrice di Salve». «Dopo l’aggiun-ta di dieci canne di contrabbasso nel 1736 – ha osservato ancora Tollari – l’Organo Mauro viene quasi completamente rifatto nel 1739 dal barese Ferdinando de Simone junior», mentre «nel 1877 un omonimo organaro, probabilmente nipote del precedente, viene chiamato da Bari per rifa-

re una cinquantina di canne». E Tollari ancora: «Successivamente e per tutto il secolo XX sono proseguite manutenzioni e rimesse in efficien-za che hanno ulteriormente alterato le originali lunghezze e collocazioni delle canne«.

«Ma questa sera – ha ripreso il parroco della Matrice, don Angelo Argentiero – noi ascoltere-mo di nuovo la sua voce, così come giunse nelle orecchie e nel cuore dei mesagnesi di tanti anni addietro. Ascolteremo la sua voce – ha aggiunto – attraverso le note di un concerto mariano». Ed in effetti, affidato all’organista Gaetano Maga-relli ed alla Cappella Musicale Corradiana, coro polifonico e schola gregoriana operante nella cattedrale di Molfetta, proprio perché in Chiesa madre si svolgeva la novena in onore della Ma-donna del Carmine, patrona della città, i bra-ni scelti per verificare tutti i registri dell’organo sono stati di tema mariano, dall’Introitus: Salve Sancta Parens gregoriano in avanti, passando – a mo’ d’esempio – attraverso la Toccata avanti la Messa della Madonna di Frescobaldi e l’Antipho-na ad Magnificat: Beata Mater sempre in grego-riano.

Su quella tastiera di 45 tasti, con brani coevi e precedenti alla fabbricazione dell’organo stesso, sono passate le note più belle e più degne di un canto a Maria e al di là della indiscutibile bellez-za formale dei brani eseguiti, anche i meno eru-diti hanno potuto constatare la verità dell’adagio che afferma come col canto e con la musica si preghi due volte.

(a. scon.)

mesagne Benedetto da Padre Arcivescovo il 15 febbraio scorso

Restituita la voce all’antico organo della Matrice

Vita di Chiesa 1915 marzo 2011

Il Concistoro, ristretta assemblea di cardinali convocata dal Papa il 21 febbraio scorso, ha annunciato che il 23 ot-tobre p.v. don Luigi Guanella, apostolo della carità verso i

poveri, sarà proclamato “santo” Il miracolo che ha permesso l’onore degli altari al prete

lombardo è avvenuto nella diocesi di Philadelphia nel 2002 a favore del giovane William Glisson. Questi, mentre pattina a forte velocità, senza casco, cade battendo la testa e ripor-tando un grave trauma cranico. Due gli interventi chirur-gici, ma le condizioni del giovane rimangono critiche. Un medico dell’”Opera Don Guanella” di Springfield consegna alla madre due reliquie del “padre dei poveri” e hanno ini-zio preghiere di intercessione. Il quadro clinico migliora in-spiegabilmente tanto che il giovane è dimesso e non presen-ta alcun deficit cognitivo, è tornato inoltre a lavorare e si è sposato. Un caso che la medicina non sa spiegarsi. Dopo il processo canonico, condotto negli Stati Uniti, il caso è stato portato alla Congregazione per le cause dei santi ricevendo pareri favorevoli dalla Commissione medica (12/11/2009), dalla Consulta dei teologi (30/01/2010) e dalla Congrega-zione ordinaria dei cardinali (20/04/2010). Il 1° luglio 2010 il Papa ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto.

Per approfondire il carisma e l’opera del futuro santo, ab-biamo incontrato don Nino Minetti, sacerdote guanelliano originario di Ostuni, già superiore generale dell’Opera don Guanella. Attualmente don Nino è superiore della Provincia Romana San Giuseppe, che va da Firenze fino ad Agrigento con 18 presenze e 37 servizi educativo-assistenziali.

Don Nino, con quale spirito i guanelliani hanno accolto la notizia della canonizzazione del loro fondatore?

«Come ha detto il nostro Superiore generale, don Alfonso Crippa, che tra noi guanelliani ha lo sguardo panoramico sull’intera Congregazione e può sentirne il polso e coglierne le emozioni, “con gioia incontenibile nel cuore e slancio rin-novato per la missione”. Una risposta che condivido piena-mente, avendo una sua coerenza. Sì, siamo una famiglia in festa, perché la canonizzazione scrive la parola “eroica” ac-canto alla carità esercitata indefessamente, gratuitamente e per ogni genere di povertà da don Luigi Guanella. Cosa che, noi suoi figli, incominciammo a chiedere alla Chiesa già dal lontano 1923, introducendo il Processo informativo diocesa-no a Como e a Milano e che otterremo, dopo ben 88 anni, il 23 ottobre prossimo, come annunciato da Benedetto XVI, nel Concistoro del 21 febbraio appena trascorso. Evidente-mente la lunga attesa ha reso più esplosiva la gioia. E con la gioia, l’entusiasmo a riportare la nostra missione il più pos-sibile sulla stessa lunghezza d’onda che fu di don Luigi ed il cui tratto distintivo sta nel farsi dono di attenzione e di spe-ranza, a chi, come il paralitico del Vangelo, ci viene incontro dicendo: “Signore, non ho nessuno” (Gv 5,7)».

Chi è don Luigi Guanella?«Don Guanella è valtellinese. Nasce a Fraciscio di Campo-

dolcino (Sondrio) nel 1842, il 19 dicembre, nono di 13 figli. Rivela fin da giovane seminarista una predilezione per ogni genere di poveri, ai quali sogna di dedicare opere di assisten-za e di educazione. Diviene sacerdote nel 1866 e quando già crede di dar vita alle prime realizzazioni, dovrà prima sotto-porsi alla potatura feconda di cui parla il Vangelo: “Il Padre pota il tralcio, perché porti più frutti” (Gv 15,2). Per 20 anni infatti verrà contrastato senza scrupolo dall’autorità politica. Verrà stranamente incompreso dall’ambiente ecclesiastico. Anche le stesse circostanze spesso si riveleranno avverse. Ma

nel novembre 1881 quando arriva, come parroco, in un pa-esino sul lago di Como, Pianello Lario, riesce ad aprire, con un gruppetto di giovani suore, un ospizio, dove raccoglie e assiste bambine orfane, persone anziane, bisognose di cura e di amore.

È il classico piccolo fuoco, che divampa in incendio. Presto la sua carità giunge a Como, dove egli fissa la sua Casa Ma-dre. Si diffonde a Milano, nel Veneto, arriva a Roma e valica i confini dell’Italia, propagandosi in Svizzera e negli Stati Uniti d’America.

Quando muore nel 1915 lascia una variegata popolazione di poveri, (tra i quali spiccano quelli che oggi vengono chia-mati i “diversamente abili”). Sono raccolti in una trentina di case e assistiti da 600 suore, Figlie di Santa Maria della Prov-videnza e da 100 religiosi, Servi della Carità. Nel 1964, Paolo VI lo proclamerà “beato”. Oggi, a quasi 100 anni di distanza dalla morte, le religiose e i religiosi, eredi dei suoi ideali, si son fatti missionari della carità in 4 continenti e in 21 nazio-ni».

Don Guanella credeva molto nell’educazione dei giova-ni. Secondo Lei, quali strategie suggerirebbe oggi in un contesto di emergenza educativa?

«Due strategie in particolare. La prima, quella di battersi e di operare perché ai giovani venga riconosciuta la massima attenzione possibile sia da parte della Chiesa, che da parte delle istituzioni. Scriveva infatti, circa 150 anni fa, durante l’unificazione d’Italia, in tempi di emergenza educativa ana-loga alla nostra, che se non si fosse incominciato da loro, cioè dai giovani, a progettare, la società avrebbe visto prolungate “sine die” ignoranza, violenze, ingiustizie, disordini di ogni genere. Scriveva: “Come in una famiglia sana, dove i grandi prestano tutta la cura possibile per far crescere responsabil-mente i più giovani, così deve avvenire in una società che vo-glia costruirsi sul rispetto e vivere ordinatamente nella con-cordia e nella pace».

La seconda strategia che suggerirebbe don Guanella sareb-be quella che ha segnato marcatamente la sua biografia: vi-cinanza ai giovani meno dotati, più deboli, a quelli che non

ce la fanno da soli ad affron-tare la vita, a quelli insom-ma la cui dignità e la stessa esistenza sono a rischio per l’egoismo o l’indifferenza di chi li circonda. Anche su questo, ebbe a scrivere paro-le memorabili: “Farete opera di grande misericordia, quando verrete coricando nel vostro cuore le pene di queste creature e la stessa bontà, che usate per i vostri familiari, la userete con il giovane straniero, emi-grante, miserabile, perverso, disperato, non amato, non favo-rito, non protetto. Quanto più uno è privo di protezioni uma-ne, tanto più e di preferenza sarà ricevuto e aiutato da voi”.

Per don Guanella era fondamentale educare le persone facendo la carità. Può spiegarci meglio questo aspetto del suo impegno?

«Per Don Guanella, la carità, l’amore, la misericordia, la benevolenza sono gli strumenti privilegiati con cui il Dio di Gesù Cristo educa noi uomini. Da qui il suo insegnamento pedagogico di base: “Educare come Dio educa”. Ma da qui anche una metodologia semplice (don Guanella non è un pedagogista, è un educatore) e al tempo stesso esigente (per-ché mutuata direttamente dal Vangelo): educare richiede sempre vicinanza e attenzione al singolo, alla persona con-creta, non si educa mai in generale; l‘attenzione, a sua volta, qualsiasi attenzione all’educando, è sempre un gesto di amo-re, un dono: non è solo qualcosa di esteriore o di superfluo che può anche mancare, ma è qualcosa che si toglie dalla propria profondità e la si offre all’educando in modo gratuito e continuo; l’attenzione educativa infine non esclude nessu-no, non discrimina, ma tutti incoraggia e sostiene (anche un debile mentale), perché crede tutti educabili la loro parte. Giustamente Don Guanella riassumeva questo suo metodo con un’espressione molto significativa: “Abbiate sempre la carità di persona”».

Don Guanella risolveva tante situazioni di fragilità, di-sagio e povertà. Cosa ha lasciato in eredità alla Chiesa e alla società di oggi?

«Lascia in eredità, oltre l’esempio di una carità eroica, an-che quello di un servizio alla vita, inteso nel suo significato più ampio. Impressionano Don Guanella, l’avvilimento, l’ab-bandono in cui giace, nel suo tempo, la vita spirituale e quel-la fisica dell’uomo. “Chi è in questa sofferenza”, scrive, “meri-ta le nostre attenzioni, anzi la nostra venerazione”. Suggeriva perciò di soccorrere ogni anelito, ogni vagito che saliva dal mondo della marginalità. Voleva che ci si prendesse cura della famiglia, come culla della vita, luogo naturale della sua generazione e formazione. Esortava la comunità cristiana a divenire una centrale educativa nei riguardi della vita. Non distribuire solo beni materiali ai poveri. Ma anche l’annun-cio instancabile della verità.

A tutti, a partire dai suoi religiosi, raccomandava la “com-passione”. Niente di effeminato o di salottiero, ma il cuore dell’insegnamento evangelico, espresso nella parabola del Buon Samaritano. Compassione è vedere, ma non come guardare una scena. È vedere col cuore, commuoversi e di conseguenza “assumersi i pesi dell’agonia del prossimo”. Senza pretendere nulla di speciale. Come il Samaritano, che scompare dalla scena appena compiuto il suo gesto di soc-corso.

Giovanni Morelli

don guanella santo A colloquio con don Nino Minetti, già superiore generale

Educava le persone facendo la carità

«Un prete mostra al più alto grado la sua qualità di cittadino attivo e

responsabile quanto più e meglio è e fa il prete». Questa la "conclusione" di mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, che il 17 febbraio ha tenuto un inter-vento alla Commissione presbiterale italia-na, intitolato "Preti e cittadini". U".Responsabilità e dovere di cittadinanza. Dopo avere richiamato il divieto ai preti, contenuto nel Codice di diritto canonico, di assumere uffici pubblici o incarichi all'in-terno di partiti politici, mons. Crociata af-ferma che non c'è incompatibilità tra mini-stero presbiterale e impegno civico giacché «non è escluso tutto ciò che sta prima e ol-tre l'assunzione di un ufficio pubblico e di un impegno partitico diretto». L'impegno civico è dunque, secondo il presule, espres-

sione di «responsabilità» e del «diritto e do-vere di cittadinanza, verso cui, del resto, lo stesso magistero non esita a incoraggiare».Coscienza credente e vocazione alla po-litica. «Ciò che la Chiesa cerca - chiarisce mons. Crociata - non è diventare una forza alternativa o una proposta organizzativa specifica della società rispetto ad altre, ma piuttosto contribuire al bene intero della persona e della società coinvolgendosi fino in fondo ma, nello stesso tempo, mante-nendo una riserva critica che non è oppo-sizione all'uno o all'altro sistema, bensì di-stanza sistematica da ciò che non può mai assumere valore assoluto». In tale contesto «la massima efficacia della presenza e del servizio del prete in ordine alla cittadinan-za sta nel contribuire a far crescere cristia-ni e comunità in cui si riconosca la verità e

il bene delle persone e della società tutta: cristiani come cittadini esemplari, comu-nità come ambienti sociali in cui la ricerca del bene comune, i valori della solidarietà e della sussidiarietà sono realtà in qualche modo tangibili attraverso la coscienza del-le persone e nell'impronta fondamentale delle relazioni interpersonali, nella loro capacità di innervare spazi sociali sempre più ampi». Dalle «comunità cristiane che nascono secondo il Vangelo"» prosegue il presule, «scaturiscono anche vocazioni alla politica, perché proprio di vocazione si tratta quando una coscienza credente si sente toccata dalla chiamata alla responsa-bilità della cosa pubblica per la promozio-ne del bene comune». «Quale cittadino - si chiede mons. Crociata - più incisivo di un prete che costruisce nuovo tessuto cristia-no, e per ciò stesso nuovo tessuto umano e sociale? La conclusione che traggo è che un prete mostra al più alto grado la sua quali-tà di cittadino attivo e responsabile quanto più e meglio è e fa il prete».

Una presenza "pre-politica". Dopo avere sottolineato «l'efficacia politica della pre-senza pre-politica della Chiesa e dei suoi pastori», mons. Crociata si sofferma sul «le-gittimo pluralismo della opzione politica dei cattolici» sottolineando l'importanza della «capacità dei preti di non diventare strumento di divisione e di contrapposizio-ne all'interno della comunità, ma al con-trario segno di unità attorno a ciò che ci costituisce come Chiesa», e quindi «ci deve vedere uniti anche nell'ambito sociale e po-litico». Secondo il presule, «c'è uno spazio di valori e di principi sul quale non può non esserci concordia tra tutti i credenti al di là delle appartenenze e delle militanze» negli schieramenti politici. A partire dall'idea del bene comune, «il cui perno è la dignità in-tangibile della persona umana, il credente si ritrova sempre come espressione indivi-sa di una comunione ecclesiale integra e di solidarietà umana senza confini».

preti� Chiamati a far crescere anche vocazioni alla politica

A servizio della Chiesa e del bene comune

Don Nino Minetti

Libri20 15 marzo 2011

Dall’occhio al cuore. Diario di

un cronistadi Tonino Saponaro

«Diario di un cronista» di Tonino Saponaro, - Di-

rettore di Tele Radio Città Bian-ca, persona che nel complesso mondo dell’informazione locale ha sempre offerto una possibi-lità ed una finestra a chiunque

si sia rivolto a lui - è «un volume che raccoglie fatti ed eventi che abbiamo vissuto ed in alcuni casi sofferto, utili da ricordare». Li ha voluti fissare nella memoria colletti-va, perché diven-tassero patrimonio condiviso per una riflessione scevra da preconcetti, uti-le per capire cosa siamo stati e cosa siamo come comu-nità brindisina inse-riti nel contesto più ampio, nazionale o internazionale che sia. «Il libro è dedi-

cato, soprattutto, alle problema-tiche dell’ultimo decennio - ha scritto Francesco Roma -. Una sintesi opportuna per evitare un accumulo ingombrante di parole, ma che salvaguarda l’ori-gine degli eventi vissuti, anche fisicamente, dall’autore che ha incontrato, dialogato e discusso con i principali attori della vita sociale del nostro territorio. Un libro non incline al giornalismo benpensante e agnostico – ha proseguito -, ma funzionale ad una narrazione “da trincea” per meglio aderire ai profondi muta-menti sociali, politici e culturali che hanno interessato il “Gran-de Salento”. Un’area geografica indefinibile e indefinita ma che l’Autore conosce bene».«La nostra è una terra di senti-menti forti che va descritta an-che sfidando le regole, i precetti, e le cattive abitudini del nostro tempo - ha sostenuto Massimo Ferrarese nella sua Prefazione -. Credo sia questo l’approccio con il quale si cimenta Tonino Saponaro nella sua quotidia-na “mission” di divulgatore del verbo giornalistico, da oltre 30 anni attraverso la sua creatura televisiva ed ora con un libro. In entrambi i casi - ha osservato - l’ispirazione rimane la fedeltà deontologica al proprio ruolo di osservatore indipendente, con il solo vincolo di servire i propri utenti contro l’omologazione e la ristrettezza mentale e con la consapevolezza che tutte le sto-rie meritano profondità psicolo-gica».Ed ha aggiunto: «L’approfondi-mento delle tematiche trattate ci consente di catturare e rico-noscere un periodo storico de-terminante per comprendere le attuali evoluzioni socio-econo-miche della provincia di Brindi-si. Testimone del suo tempo, egli dimostra sensibilità e grande intuizione... Dalla sua postazio-ne privilegiata ci propone una esclusiva visione dei fatti quoti-diani e ci permette di osservare e registrare i cambiamenti di costume, di mentalità e, soprat-tutto, di comprendere la natura degli eventi narrati».

(a. scon.)

IL L

IBR

OL’unità dei

cristianidi Luigi Manca

«Il Concilio Vaticano II con-stata con sofferenza che

oggi nella Chiesa unità e comu-nione non corrispondono: “Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane pro-pongono se stesse come la vera eredità di Cristo Gesù”. Come

non intrave-dere in questo testo la stessa sensibilità ma-nifestata da Agostino? Da qui nasce l’im-pegno ecu-menico che la Chiesa catto-lica, nella sua totalità, sen-te di portare avanti con se-rietà, convinta che dall’unità dei cristiani dipende la credibilità del vangelo e la sua diffusio-ne nel mon-

do contemporaneo». Le parole conclusive del lungo saggio in-troduttivo di don Luigi Man-ca a «L’unità dei Cristiani» di Sant’Agostino, che Città Nuova pubblica nella «Nuova Biblioteca Agostiniana» danno esattamente la dimensione dell’importan-za del pensiero del Padre della Chiesa su questo tema fondan-te. «Scopo del presente volume - spiegava del resto il curatore - è evidenziare come l’amore per l’unità della Chiesa, che, di per sè, è una nota che accomu-na tutti i Padri, lo è in modo del tutto particolare per il vescovo d’Ippona, il quale, su questo amore, costruisce un’appassio-nata strategia per il recupero dei donatisti nella comunione catto-lica». Don Manca, del resto, ave-va evidenziato già queste piste di ricerca nel suo fondamentale saggio sugli «Aspetti ecumenici nei Padri della Chiesa» (O Odi-gòs, Bari 1994) ed ora li propo-ne ad un pubblico più vasto con chiarezza e puntualità di analisi. Insomma, il desiderio di unità della Chiesa era estremamente presente nell’animo di Sant’Ago-stino e ai donatisti «sulla base di argomentazioni teologiche - os-serva don Manca - riconosce lo statuto essenziale dei cristiani e, dunque, la validità del loro bat-tesimo. Si tratta di un riconosci-mento di grande importanza ai quei tempi - riprende - e, ancor più, ai nostri giorni, nel contesto del dialogo fra le diverse confes-sioni cristiane», se è vero che nel testo «Battesimo Eucaristia, Mi-nistero», redatto dalla Commis-sione «Fede e Costituzione», leg-giamo testualmente: «Il bisogno di ritrovare l’unità battesimale è al centro del compito ecume-nico, così come è fondamentale per attuare un’autentica fratel-lanza in senso alle comunità cristiane». Dall’ecclesiologia ago-stiniana, del resto, don Manca propone tutte le «forti affinità con l’ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II» e queste pagine, quindi diventano, se non vademecum per chi si occupa di ecumenismo, quanto meno utile tappa per riprendere con mag-gior vigore il proprio impegno.

(a. scon.)

IL L

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Ogni cosa alla sua stagione

di Enzo Bianchi

Pubblicato da Einaudi al termi-ne del 2010, “Ogni cosa alla sua stagione” è uno degli ultimi la-vori del prolifico priore di Bose Enzo Bianchi. Sulla scia autobio-grafica di “Il pane di Ieri” Enzo Bianchi racconta con efficacia narrativa, gli odori della campa-gna, i rumori, le atmosfere della

giovinezza e del-la fanciullezza, “ora che avverte l’incedere del tempo, la men-te ritorna a quei giorni passati”. È un viaggio nel-la mente, negli scenari di tanti momenti che sembra quasi di rivivere accanto a lui; un viaggio nei ricordi, nelle pieghe della sua storia personale e delle storie dei familiari, della gente semplice ma di una gran-de saggezza che

hanno segnato la sua vita, come la Teresina del Muchèt, come Etta e Cocco, le due donne che si sono prese cura del piccolo Enzo alla morte prematura della ma-dre. È un viaggio che parte dal silenzio della sua cella nel mo-nastero di Bose, luogo di rifugio e allo stesso tempo osservatorio da cui guardare il mondo, il luogo della consapevolezza in cui prendono forma le parole per narrare la vita e la fede nella compagnia degli uomini. Enzo Bianchi racconta e si rac-conta in questo libro e sembra quasi che, mentre lo fa, accarez-zi quei frammenti di vita, scri-vendoli con la tenerezza di chi li custodisce come tesoro prezioso ma che vuole condividere, senza lasciare però che il tempo appia-ni le rughe dei ricordi, ma rac-contandoli nella loro verità, an-che con quell’amarezza che ogni tanto rimane ancora in bocca.Il priore di Bose consegna al let-tore una triade, tre precetti, qua-si imperativi “Fuge, tace, quiesce” che sembrano essere uno stru-mento per riappropriarsi della propria vita, per un’esistenza bella, buona e beata. “Fuggire”, che “può diventare affermazio-ne che il luogo in cui si vive non basta, e che desideriamo altri luoghi”. “Tacere”, perché nella frenesia e nel rumore assordan-te dei nostri giorni è necessario riscoprire e riappropriarsi del silenzio. “Rappacificarsi”, infine, per rinfrancarsi dalle fatiche, e “esercitarsi a pensare in grande, all’amare contemplando l’amore di cui siamo oggetto e l’amore che può sbocciare dal nostro cuore”.Ma non è solo un viaggio nel passato, come nel bianco e nero delle fotografie di un tempo, è un viaggio a colori che aspetta di essere inondato dal profumo dei tigli appena piantati, che guarda anche al futuro perché “la vita continua e sono gli uomi-ni e le donne che si susseguono nelle generazioni, pur con tutti i loro errori, a dar senso alla ter-ra, a dar senso alle nostre vite, a renderle degne di essere vissute fino in fondo”.

Iolanda Milone

IL L

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Libri & Cultura 2115 marzo 2011

Lunedì 21 febbraio u.s. l’Assesso-rato alla Cultura della Provin-cia di Brindisi ha organizzato la

presentazione del libro “La questione di Dio oggi. Il nuovo cortile dei entili”, di mons. Lorenzo Leuzzi, cappellano di Montecitorio. A S.E. Mons. Rocco Talucci, erano affidate le conclusioni. Conclusioni in un’accezione formale, nella sostanza hanno rappresentato l’inizio di un dibattito che l’Arcivesco-vo vorrebbe garantire al territorio, per andare oltre il singolo evento e trasfor-mare la “Questione di Dio” in un pro-getto. Un progetto che affidi al dialogo tra credenti e non credenti l’obiettivo di scoprire l’essenza della fede, deter-minando nuovi contesti, all’interno dei quali accogliere, per poi compren-dere, i nuovi bisogni dell’uomo. Mi emoziona l’idea del “cortile dei gentili”, di un’agorà dove si incontrano fede e ragione, senza vincoli culturali, lingui-stici o religiosi. Luogo del confronto tra il credere e l’intelligere, luogo dove si pone la questione veritativa della religione, luogo dove la ragione non è che la dimensione umana della fede in cammino verso l’Incontro; luogo dove si può scoprire l’insopprimibi-le bisogno di «considerare la società contemporanea una realtà storica, che necessita di una forma dinamica». Al dinamismo storico mons. Leuzzi attri-buisce un arricchimento ontologico,

perchè si porti a compimento il desi-derio di pienezza di storicità dell’uo-mo, per essere a immagine di Dio. È il passaggio dall’uomo faber, eticamente buono o moralmente buono, all’«uo-mo costruttore, che diviene interlocu-tore e diretto collaboratore di Dio nella costruzione della storia». Al cortile dei gentili si richiede una conoscenza sa-pienziale, presupposto ineludibile per l’uomo di fede al punto che si possa poter dire, come afferma Galvàn, “che non conoscono, se non amando; non vedono, se non amando; non sentono, se non amando”.

Mi piace immaginare che il nuovo cortile dei gentili possa annullare l’in-quietante fenomeno della “scissione dell’esperienza umana”, responsabile di un clima culturale che fa del frammen-to e dell’occasione la cifra del vivere,

restituendo armonia e circolarità. Do-vrà essere l’ambito della piena fiducia e corrispondenza; il luogo dell’insostitu-ibile e dell’appassionato: ciò che di per sé non è mai sottoposto al calcolo. Do-vrà regalare un approfondimento eti-co dei processi culturali sì da generare una formazione della sensibilità e del carattere, che diventi modo di percepi-re l’esistenza per scoprire la grandezza dell’Amore, “perché l’amore-logos è il Dio vivo e vero che non teme concor-renti, anzi sfida l’uomo non per sé, ma perché possa, l’uomo costruire la storia con Lui, nel tempo ed oltre il tempo”.

Mi piace credere che nel nuovo cor-tile dei gentili possiamo dire, con Pao-lo: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”.

Paola Baldassarre

PRESENTAZIONE Il nuovo libro di mons. Leuzzi

La Questione di Dio oggi

“Con Maria di Magdala nel giardino del risor-to” è il titolo del libro

scritto da Maria Tondo presen-tato giovedì 3 marzo presso il Sa-lone “Mario Marino Guadalupi” del Comune di Brindisi. Alla pre-sentazione, organizzata dal Serra Club Brindisi, sono intervenuti oltre all’autrice, Mons. Giuseppe Satriano, Vicario Generale, e la dott.ssa Katiuscia Di Rocco, diret-trice della Biblioteca Arcivescovile “A. De Leo”, mentre le conclusioni sono state affidate a S.E. l’Arcive-scovo.

Maria Tondo, nata a Salice Sa-lentino, si è formata nelle disci-pline umanistiche di lettere e psicologia lavorando nella scuola e svolgendo un’intensa attività di accompagnamento vocazionale dei giovani. Linea dominante nei suoi scritti pedagogici e spirituali è la relazione e l’interesse per la problematica femminile che, in un certo senso, traspare anche da quest’ultimo libro: una donna, un giardino, un incontro di sguardi raccontato nell’essenza di una vi-cenda accaduta duemila anni fa attraverso una storia straordinaria che allude alla forza e al mistero di un legame d’amore.

Maria di Magdala, nella scena dell’incontro con il risorto, che a

lei affida la missione di annunziare agli altri ciò che aveva visto, è una figura a lungo contempla-ta e meditata nelle pagine del libro. Un viaggio che il perso-naggio evangelico percorre e che rap-presenta lo stesso intrapreso dall’autri-ce nella Pasqua 2009 proprio in Terra San-ta, come lei stessa ha raccontato.

Viaggio e giardino sono i due simboli al centro di questo lavoro, frutto di uno studio appassionato e di un’esperienza di fede piena-mente vissuta, che vuole essere un invito a modellare il proprio cammino spirituale su quello per-corso da Maria di Magdala, viven-do la fede con la sua stessa dispo-sizione d’animo.

«Il giardino del risorto – ha preci-sato l’autrice – è il luogo dell’ami-cizia ritrovata, l’Eden dove era av-venuta la rottura del legame con Dio e in cui possiamo re-imparare a diventare discepoli del Signore, perché non ha senso l’incontro con l’altro se non avviene quello con il Cristo». Radicati nel pas-sato e con lo sguardo fissato nel

presente in vista del futuro, Maria Tondo attraverso queste pagine incoraggia tutti a guardare la vita con “occhi nuovi”: «in questo giar-dino della storia che abitiamo- ha aggiunto – vogliamo cominciare a guardare con uno sguardo diver-so. Maria di Magdala ci invita a fare un viaggio, un cammino inte-riore come processo di nuova co-noscenza e consapevolezza, voler gustare, cioè, con tutto il nostro essere la realtà che stiamo viven-do». L’amore scaturito dalla visio-ne del risorto è la risposta chiara e definitiva ad ogni domanda sul senso della vita. «In questo tempo in cui sembra prevalere il dolore e la tragedia – ha concluso l’autrice - ci consola continuare a crede-re che dentro si celebra ancora il

mistero della risurrezione del Signore con Maria che continua ad attraversare le strade della nostra storia».

«Il punto focale è il su-peramento di ogni solitudine e consiste nella relazione tra l’uo-mo e Dio, ha detto Mons. Taluc-ci nel suo intervento conclusivo. Una relazione che Gesù ha stabi-lito con tutti anche con i peccatori aprendoci, così, al superamento del limite».

Sapersi riscoprire discepoli del Signore, questo l’augurio che l’Ar-civescovo ha rivolto a tutti i pre-senti, proprio come Maria di Mag-dala. «Chi esclude il maestro - ha concluso Mons. Talucci - rimane solo e non avrà nessuno con cui condividere il bene. Mi auguro

che anche nel presente storico possiamo sentirci discepoli del Signore e non essere motivo di pianto per gli altri».

E l’epilogo sarà, come per Maria, poter guardare la vita con occhi nuovi, con uno sguardo libero e trasparente e, come scrive la Ton-do nell’introduzione, “poter guar-dare questa donna per esplorare il suo mondo, la sua storia. Che è anche la mia. E quella di ogni donna. E di ogni credente. Per cercare la verità e crescere nel de-siderio di vedere Dio”.

Daniela Negro

Presentato a Brindisi “Con Maria di Magdala nel giardino del Risorto”

Paola Baldassarre, Mons. Talucci e Mons. Leuzzi

Premio letterario “Ignazio Ciaia”

al nostro Arcivescovo

Sabato 5 marzo nei locali del Circolo Ufficiali della Marina Militare di Brindisi, nell’ambito del progetto

Giambattista Gifuni per la diffusione del libro e della let-tura in Italia, si è tenuta una sessione del Premio “Igna-zio Ciaia-un premio in libri”.

Il Premio, consistente in 100 volumi, è stato assegnato ad Enzo Giase il quale ha voluto donare i testi al nostro Arcivescovo e attraverso lui alla Biblioteca Pubblica Arci-vescovile “A. De Leo”.

Il Premio, istituito dalla “Fondazione Nuove Proposte” per educare alla lettura, è intitolato ad Ignazio Ciaia, poeta e saggista originario di Fasano, già Ministro e Pre-sidente della Repubblica Napoletana del 1799.

Si tratta di libri selezionati di particolare interesse cul-turale inseriti in una sorta di "catalogo", cui attinge la Fondazione per costituire le cosiddette "Minibiblioteche Ciaia”, composte mediamente da cento volumi. Dette raccolte, nel corso di sessioni periodiche, vengono poi donate in premio, in Puglia, nel resto d’Italia ed anche all'estero, generalmente ad Enti o Istituzioni, indicati o dagli autori dei testi prescelti o dai protagonisti della vita culturale della Fondazione medesima.

Il progetto, che gode dell’Alto Patronato della Presiden-za della Repubblica, attraverso la presentazione ed illu-strazione dei libri premiati ha, dunque, il peculiare fine di educare alla lettura, di promuovere scambi culturali e di far altresì meglio conoscere la Puglia, anche attraver-so la divulgazione di libri di storia artistica, letteraria e politico-sociale.

La collana letteraria oggetto di donazione è costituita prevalentemente da molte annate dell’Archivio per la filosofia, collana diretta dal filosofo-letterato Enrico Ca-stelli, oltre ad altri saggi minori, per complessivi quasi novanta pregiati volumi.

Un momento della presentazione del libro

Internet & Cinema22 15 marzo 2011

Benedetto XVI: Le sfide della

“cultura digitale”

«La riflessione sui linguaggi svilup-pati dalle nuove tecnologie è ur-

gente». È quanto ha ribadito Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali. A parere del Papa «non si tratta solamen-te di esprimere il messaggio evangeli-co nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo». Il Pontefice ha ricordato che «la cultura digitale pone nuove sfi-de alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo uti-lizzare elementi della cultura e dell’am-biente del suo tempo: il gregge, i cam-pi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore si-gnificative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo».

Per Benedetto XVI, «è l’appello ai valo-ri spirituali che permetterà di promuo-vere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusia-smo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione». Per questo, «la comuni-cazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzio-ne linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il con-tributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare».

CONFLITTI E INTERNET Il ruolo dei social network nelle proteste del Nord Africa

La “rete” novità di una rivoltaTunisia, Egitto, Bahrein, Yemen, Ma-

rocco, Libia... Paesi in rivolta che, at-traverso l’utilizzo di Internet, fanno

conoscere, in tempo reale, a tutto il mondo cosa avviene nei singoli territori. Le nuove tecnologie, in particolare i social network, giocano un ruolo fondamentale nelle mani-festazioni di protesta che stanno infiamman-do il Nord Africa e il Medio Oriente: le auto-rità cercano di bloccare le comunicazioni e la diffusione di materiale “non autorizzato” sul web, mentre gli attivisti fanno del loro meglio per continuare a testimoniare con video e racconti quanto realmente succede. È davvero decisiva la presenza dei social net-work? Lo abbiamo chiesto a Michele Sorice, docente di sociologia della comunicazione e di comunicazione politica alla “Luiss Guido Carli” (Libera Università internazionale degli studi sociali) di Roma.

Quanto sono stati fondamentali Internet e i social network per organizzare e coor-dinare le rivolte?

«Sono stati importantissimi, anche se è ne-cessario fare alcune precisazioni. Le rivolu-zioni non le fanno i social media. Non è però nemmeno vero, come hanno affermato al-cuni studiosi, che il peso dei social network sia insignificante. Le rivolte di questi giorni nascono da un forte e diffuso disagio socia-le e, ovviamente, dall’assenza di democrazia. Internet, e i social network in particolare, hanno svolto una triplice funzione: la prima è rappresentata dalla capacità di generare connessione sociale e creare reti; la secon-da risiede nel ruolo avuto nello svolgimen-to delle azioni di protesta, come elemento di moltiplicazione dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale; la ter-za è la più importante perché è la cornice in cui si muovono i sogni delle persone: i social network hanno contribuito a far crescere la consapevolezza nei soggetti di non essere individui isolati e anonimi. In altre parole, i social network hanno consentito a ciascuno di capire che il proprio problema è quello degli altri. Hanno, cioè, svolto un’azione ve-ramente politica, in quell’accezione alta che ci aveva indicato don Milani: ‘Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia’».

La rivoluzione, quindi, passa dai social network?

«La rivoluzione passa ‘anche’ dai social network. Da soli non possono certo bastare: sono fondamentali per costruire movimen-ti, per far crescere consapevolezza, per co-struire reti e alimentare l’azione sociale. C’è, però, bisogno anche di un progetto politico, di competenze avanzate, di un’idea per il fu-turo».

Le nuove tecnologie stanno cambiando la geo-politica mondiale?

«Non direttamente, però sicuramente im-pongono un ripensamento degli schemi del passato. Le relazioni fra Stati non si esauri-scono più nella diplomazia e nei rapporti più o meno amicali fra i leader. La comunicazio-ne impone un regime di maggiore traspa-renza e non è un caso che i regimi totalitari cerchino di colpire i media e la rete; non è un caso che anche in molti Paesi democratici ci siano manovre economiche per creare con-glomerati, che sono di fatto monopolistici, e finanche farneticanti proposte di censura a Internet. Aggiungerei che non è un caso che Benedetto XVI, nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, abbia richiamato da una parte alla responsabilità e dall’altra al valore dialogico dei social network. Le nuove tecnologie non cambiano la geo-politica mondiale ma pos-sono aiutare gli uomini e le donne di buona volontà a farlo».

Emerge, però, anche un problema di at-tendibilità delle informazioni. In che

modo porsi dinanzi alle notizie che giun-gono dai social network?

«L’attendibilità è un vecchio – e mai risol-to – problema del giornalismo. La tradizione giornalistica anglo-americana ha provato ad affrontarlo ricorrendo all’analisi dei mecca-nismi di newsmaking e stabilendo regole de-ontologiche. In realtà sappiamo che non ba-sta. Anche il giornalismo professionistico – e quindi teoricamente qualificato e attendibile – spesso dipende dal potere politico o finan-ziario, magari preferisce dedicarsi al cosid-detto dossieraggio invece d’investigare sui fatti. Insomma, l’attendibilità è strettamente connessa al valore di credibilità della fonte. I social network presentano il rischio di mol-tiplicazione delle fonti, in cui ognuna legit-tima l’altra; questa dinamica, però, contiene anche i suoi stessi anticorpi. La pluralità e la diffusività delle voci consentono meccani-smi di controllo che alla lunga garantiscono da eccessive cadute di credibilità. Poi sono necessarie due cose: non bisogna considera-re i social network come fonti (un errore che spesso anche i giornalisti fanno) e bisogna che la rete sia neutrale, perché solo così tutte le voci saranno garantite».

In conclusione, quali lezioni da quanto accaduto? Le nuove tecnologie sono state un semplice supporto o qualcosa di più?

«Sono molto di più di un supporto. Non per la loro dimensione tecnologica, ma perché dietro e dentro di esse ci sono le persone che abitano il nostro tempo».

Vincenzo Corrado

CINEMALA VITA FACILEregia: Lucio Pellegrini

Luca è un medico italiano che lavora in Kenya da solo, fatta eccezione per un’infermiera e qualche aiutante, in un picco-lo ospedale umanitario. Mario è uno stimato chirurgo di una clinica privata romana, che lo raggiunge con la scusa di volerlo rivedere dopo anni di distanza, ma in realtà mira ad allontanarsi opportunistica-mente e brevemente dal luogo di lavoro. Quando, malgrado le diverse scelte di vita, Mario e Luca sembrano ritrovare le ra-gioni dell’amicizia che li aveva tanto legati in passato, si pre-senta in Africa anche Ginevra, la donna che entrambi hanno amato e che ha sposato Mario. Gli equilibri faticosamente rag-giunti saltano e la vita si ripre-sta a svolte e imprevisti.Questa la trama de “La vita fa-cile”, nuova commedia di Lu-cio Pellegrini, giovane regista.Il film non si diverte solo a raccontare personaggi che ri-velano man mano aspetti del proprio essere che contraddi-

cono l’etichetta che gli abbia-mo facilmente messo addosso, ma anche a disattendere le aspettative formali e struttura-li della storia: Favino metterà a nudo dei tratti più umani e solidali, Accorsi, il medico freelance che lavora in Africa, mostrerà invece di non essere immune dall’arte della fuga e della truffa tipica degli italiani e soprattutto Ginevra, l’eterea ragazza di cui i due protagoni-sti sono innamorati, si svelerà la vera anima nera del film, una sorta di dark lady che tra-ma all’oscuro di tutto e tutti ma che nel finale rimane con niente in mano. Un personag-gio femminile fuori catalogo, poco raccontato nel cinema italiano, a cui il regista, invece, dà qui ampio spazio.Questi i pregi di una pellicola che ha un buon ritmo. Ma la struttura narrativa ha qualche cedimento qua e là, non basta Favino a far ridere (anche se amaramente) lo spettatore, e in dei momenti si avverte una fragilità formale e anche te-matica.

Paola Dalla Torre

CINEMAIL DISCORSO DEL REregia: Tom Hooper

“Il discorso del re” trionfa alla 83ª notte degli Oscar, aggiudi-candosi i premi più prestigiosi: miglior film, regia (Tom Hoo-per), attore protagonista (Colin Firth) e sceneggiatura origina-le.Il grande sconfitto è David Fin-cher che, dopo la delusione di due anni fa per “Il curioso caso di Benjamin Button” (da 13 nomination aveva portato a casa appena tre statuette tec-niche), deve ingoiare un’altra volta il rospo: “The Social Net-work” si aggiudica solo l’Oscar alla sceneggiatura non origina-le (Aaron Sorkin), al montaggio e alla colonna sonora (di Trent Reznor e Atticus Ross). Epilogo amaro anche per “Il grinta” dei fratelli Coen: dieci candidatu-re, zero Oscar.Rispettati i pronostici invece per i premi agli attori: oltre al già ricordato Colin Firth, Natalie Portman fa sua la sta-tuetta come migliore attrice protagonista (“Il cigno nero”), mentre tra i “non protagoni-

sti” vincono i due comprimari di “The Fighter”: Christian Bale e Melissa Leo. “In un mondo migliore” di Susanne Bier è il miglior film straniero, “Toy Sory 3” della Pixar il miglior lungometraggio d’animazione. “Inception” di Christopher No-lan si aggiudica quattro premi tecnici (su 8 nomination): mi-gliore fotografia, miglior sono-ro, miglior montaggio sonoro, migliori effetti speciali. Infine, l’Oscar alla scenografia e quel-lo ai costumi (Colleen Atwood) è andato a “Alice in Wonder-land” – niente da fare per An-tonella Cannarozzi, unica can-didata italiana per i costumi di “Io sono l’amore” di Luca Gua-dagnino – mentre quello per il trucco è stato assegnato a Rick Baker e Dave Elsey per “Wol-fman”. Miglior documentario è “Inside Job” di Charles Fer-guson, miglior cortometraggio “God of Love” di Luke Matheny e miglior corto documentario “Strangers No More” di Karen Goodman e Kirk Simon.

cinematografo.it

Accadde nel.... 2315 marzo 2011

«Per i credenti, il mondo non è frutto del caso né della necessità, ma di un

progetto di Dio. Nasce di qui il dove-re che i credenti hanno di unire i loro sforzi con tutti gli uomini e le donne di buona volontà di altre religioni o non credenti, affinché questo nostro mondo corrisponda effettivamente al progetto divino: vivere come una fa-miglia, sotto lo sguardo del Creatore. Manifestazione particolare della cari-tà e criterio guida per la collaborazio-ne fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarie-tà, espressione dell’inalienabile liber-tà umana».

Il paragrafo 57 della lettera enciclica Caritas in veritate di papa Benedetto XVI esprime un principio guida che non può essere frainteso. E aggiun-ge: «La sussidiarietà è prima di tut-to un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la perso-na e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità eman-cipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace con-tro ogni forma di assistenzialismo pater-nalista. Essa può dar conto sia della molte-plice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordi-namento. Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la glo-balizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano».

Di più: «Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino recipro-camente». Così argomentando, dunque, Benedetto XVI ha riletto ed attualizzato l’enciclica Quadragesimo anno «sulla rico-struzione dell’ordine sociale nel 40° anni-versario della Rerum novarum», che papa Pio XI pubblicò il 15 maggio 1931. La crisi dello stato liberale, la guerra mondiale, la rivoluzione russa del 1917, la constatazio-ne da parte della Chiesa di una vivacità sociale unita al pericolo di disgregazione dell’ordine sociale pregresso, la crisi eco-nomica del 1929, imponevano un inter-vento. E papa Ratti non si tirò indietro.

A quarant’anni dall’enciclica di Leone XIII affermò che la Chiesa è chiamata ad

adoperarsi per rifondare un nuovo ordine sociale, tale da non andare contro la clas-se operaia e i poveri più in generale. Anzi, il nuovo ordine sociale poteva nascere creando un modello di collaborazione tra classi sociali, considerate le carenze sia dei modelli totalitari sia di quelli autoritari. Il modello applicabile, dunque, non poteva essere quello corporativo, ma uno che na-scesse dal principio di sussidiarietà, «prin-cipio per il quale – è stato scritto – nell’or-dine sociale, il rapporto tra le istituzioni, i gruppi o gli enti intermedi e il singolo, dovevano provvedere secondo la regola in virtù della quale l’organo superiore non faccia ciò che può essere svolto da un ente o un’istituzione di grado inferiore, mentre dovrebbe intervenire onde creare le condi-zioni necessarie acchè queste ultime pos-sano raggiungere le loro finalità».

Si vide subito che il nuovo ordine socia-le aveva come basi la giustizia e la carità, «fondamenti per riscrivere un vangelo del sociale» che passa attraverso il diritto del lavoratore al giusto salario, ma anche un’etica per l’impresa.

E se il principio di sussidiarietà resta ca-posaldo della Dottrina sociale della Chie-sa, un altro insegnamento non è meno attuale: l’interclassismo, concezione se-condo cui «non è l’appartenenza ad una classe sociale che determina il giudizio di valore circa la dignità della persona, ma il modo come si vivono gli insegnamenti e i valori evangelici».

(a. scon.)

QUADRAGESIMO ANNO (1931-2011)

Carlo De Marco nacque a Brin-disi il 12 novembre 1711 e quest’anno ricorrono i trecen-

to anni della sua nascita. Fu uno dei principali artefici del cambiamento e del riformismo del governo borboni-co di Ferdinando IV. Orfano di padre e di madre, fu avviato agli studi dallo zio materno Antonio Booxich, vica-rio generale dell’Arcidiocesi, per poi completarli a Napoli, dove si stabilì. Qui studiò teologia e diritto civile ed esercitò l’avvocatura con la protezione del potente uomo politico Carlo Mau-ri. Nei primi anni si occupò di cause anche private che riguardavano con-venti brindisini e seguì vari “negozii” per conto di terzi. A Napoli divenne uno stimato giureconsulto del Regno e a lui furono dati sin dal 1743 compi-ti di Auditore regio, avvocato fiscale, commissario di Campagna. Quando Carlo III divenne re di Spagna (1759) lasciando il trono al giovanissimo fi-glio Ferdinando, Carlo De Marco fu chiamato a far parte del Consiglio di Reggenza presieduto da Tanucci, occu-pandosi delle riforme che abolirono quasi del tutto il feudalesimo. Quando Ferdinan-do IV raggiunse la maggiore età e costituì il proprio governo, a Carlo De Marco fu affidato il ministero di Grazia e Giustizia e degli Affari ecclesiastici, un compito che tenne per quasi 30 anni, durante il qua-le abolì gabelle e pedaggi che gravavano sulla popolazione, ed avviò il programma di lavoro per la sistemazione del porto di Brindisi ridotto in palude. In particolare interessava al De Marco aumentare l’auto-rità dello Stato, facendo esercitare al re la prerogativa della Grazia attraverso la con-cessione di indulti e ostacolando le forze politiche che esercitavano poteri giurisdi-zionali. Il de Marco si occupò principal-mente della Segreteria dell’Ecclesiastico, ricoprendo quindi una serie di incarichi che gli consentirono di vigilare sugli studi, arti, lettere, e di conoscere vari personag-gi del mondo della cultura. Infatti tale no-mina lo obbligava ad occuparsi della Real Giurisdizione, dell’Università degli Studi di Napoli e Catania, di consulte e provviste degli impegni ecclesiastici regi, della licen-ze per la revisione e la stampa dei libri, di collegi e scuole napoletane mantenute. Quando il primo ministro Acton, successo-re di Tanucci, spinse il sovrano a combat-tere i rivoluzionari francesi, De Marco oltre a favorire utili consigli, mise a disposizione dell’erario 40mila ducati del proprio patri-monio per la causa. Le sue idee erano di ispirazione giannoniana e il riformismo di tendenza giansenista influenzato da

Antonio Genovesi e Gaetano Filangeri. La concezione laica dello Stato fu fortemen-te evidenziata nelle sue riforme e grande sostegno gli giunse da Nicola Fraggian-ni (1686-1763), membro della Camera di Santa Chiara. La politica anticurialista del De Marco fu più mite rispetto alle indica-zioni del Tanucci, ad esempio sulla vicen-da dell’espulsione dei Gesuiti, affermando che fosse necessario un pretesto giuridico che facesse sembrare l’allontanamento dell’Ordine come un conseguenza di un reato. Si seguì la linea intransigente del Ta-nucci e al De Marco non restò che studia-re un sistema di incameramento dei beni dell’ordine. Il ruolo del ministro brindisino cominciò a diventare meno importante e la sua posizione più nascosta a causa del-la posizione filo-austriaca della sovrana Maria Carolina, che portò al sollevamento dall’incarico del Tanucci filo spagnolo so-stituito dal marchese della Sambuca e poi dal marchese Domenico Caracciolo, già viceré di Sicilia. Soprattutto quando ebbe inizio il tentativo di revisionare il concor-dato del 1741, Carlo De Marco assunse po-sizioni intransigenti provocando su di sé l’avversione dell’inviato papale a Napoli. Da questo momento il ministro brindisino venne lentamente messo da parte e tra le diverse vicende storiche che si sussegui-rono De Marco rimase fedele ai suoi ideali ritirandosi a vita privata con la concessio-ne di una piccola pensione. Morì vicino Napoli nel 1804 lasciando tutti i suoi libri a mons. Annibale De Leo.

Katiuscia Di Rocco

CARLO DE MARCO (1711-2011)

Pio XI

BRINDISI (Parr. S. Giustino) 9 aprile, ore 17:00

GUAGNANO (Chiesa Madre) 10 aprile, ore 10:00

VEGLIE (Parr. S. Antonio) 9 aprile, ore 17:00

LOCOROTONDO (Chiesa Madre) 11 aprile, ore 16:30

CELLINO S. MARCO (Chiesa Madre) 13 aprile, ore 19:00

SALICE SAL. (Parr. S. Giuseppe) 30 aprile, ore 16:30

MESAGNE (Parr. S. Antonio) 7 maggio, ore 16:00

CAROVIGNO (Chiesa del Carmine) 11 aprile, ore 18:30

S. MICHELE SAL. (Parr. San Michele) 4 aprile

S. VITO DEI N. (Parr. S. Rita) 7 maggio, ore 16:00

LEVERANO (Parr. Consolazione) 7 maggio, ore 17:00

S. PANCRAZIO SAL. da concordare

SAN DONACI da concordare

Calendario degli incontri per i MINISTRANTI Aprile – Maggio 2011

info su: www.seminariobrindisi.it