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Andrea Dini "...In guisa d'un arcierpresto soriano": appunti per una metafora d'Amore nella liricadel Dugenta. 1. Se l'amore è un "dardo" - così come si ostinano a cantare con inconsapevole esattezza, nel loro latino Jàcilior, quei melomani emuli di un trovatoriale Conte della Luna tutto passioni e pire ("L'amore ond'io ardo... ") -, perchè non concedersi allora un onesto divertissement all'interno della lirica dugentesca e rintracciare progenitori e innesti, scarti e prosecuzioni di un'immagine sfaccettata dalla straordinaria fortuna letteraria? Dardi, saette, punte di lancia, giavellotti mortali indirizzati al seno di poveri amatori (che finiscono ora in un contorno di cuori spezzati e sanguinanti ora in un tripudio di dolcezze) condiscono infatti, da più versanti, strutture, rime e lemmi della poesia italiana delle origini. A partire dall'esperienza siciliana s'infittiscono i rimandi alla faretra di Cupido (provenienti da indubbie frequentazioni ovidiane), per culminare alla svolta di secolo, in terra toscana, nel serrato tiro a bersaglio cavalcantiano, e proseguire, definitivamente acquisite all'immaginario collettivo, coll'epigonismo iperbolico di un Frescobaldi, di un Lapo Gianni, o anche di un Cino. A questa tarda altezza cronologica essi perdono tutte le coordinate di termini pmi di paragone, e dal loro impiego come enti causali di un vocabolario d'amore presto divenuto stantio (il 'dardo' che fa pacifica rima con 'ardo', al cuore convogliato, è certo, con lo 'sguardo'), si oggettivano, diventano armi vere, veri personaggi, vengono piegati in qualcosa di tragico come motivi portanti di testi che è doveroso indagare, perchè sovvertitori di un'intera tradizione. I presenti appunti propongono un limitatissimo excursus tematico-lessicale delle occorrenze legate all'immagine della 'freccia' inaspettatamente lanciata dall'arco di Amore, concentrandosi in particolare sul trapasso concettuale cui detta immagine si lega tra la Scuola siciliana e le esperienze di Guinizzelli e Cavalcanti (con qualche sondaggio più tardo). Vasta, s'intende, e qui inesplorata rimane la zona d'ombra compendiata nella produzione dei cosiddetti 'minori '; minori per modo di dire, ché nelle fortune -o sfortune- dei topoi letterari irrinunciabile ci sembra la verifica capillare sugli epigoni, solo anche per studiare come certi luoghi fossero reperiti, assimilati, piegati alla costituzione di un canone. (Come s'è detto, il carattere di 'appunti' di cui questa ricerca è costituitaci impedisce un più ampio respiro.) 2. A sfogliare come utile strumento coadiuvante il Repertorio tematico della Scuola poetica siciliana (a cura di Walter Pagani, Bari, Adriatica, 1968), c'è da rimanere interdetti, notando la quasi assenza del motivo ricercato. E non solo da un punto di vista linguistico. Nei primissimi esempi di lirica italiana -vero (e forzato) patterndi confronto per i rimatori successivi-, se presente è spesso la 'ferita' causata da Amore (cioè l'effetto che Amore ha sul cuore d'amante), scompare il mezzo meccanico, il tramite oggettivato del travaglio, l'incarnazione di Amore stesso: la freccia. L'esperienza dell'innamoramento rimane primariamente astratta, intellettuale, teorica, interamente comunicata per verbis senza il ricorso a immagini iconografiche o a una cifra stilistica elcfrastica. Non ci sono dunque 'correlativi' oggettivi 'eliotiani' a suggerire l'introspezione, la restituizione al lettore del sentimento nel dato concreto. E tantomeno segnali linguistici fissi che la cristallizzano in formula. (L'espressione dell'emozione, così come ci ha insegnato il poeta novecentesco, può incarnarsi in una catena d'oggetti, una serie di eventi, attraverso la cui evocazione scatta il meccanismo di riconoscimento di un sentimento sperimentato.) In terra siciliana, secondo una varia fenomenologia tutta sperimentata nella sua discendenza occitanica, la pena d'amore può legarsi alla lontananza generica della donna, doloroso amor de lonh, o al vicino negarsi di questa; corrisponde all'esperienza degli "sguardi amorosi" divenuti

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Andrea Dini

"... In guisa d'un arcierpresto soriano":appunti per una metafora d'Amore nella liricadel Dugenta.

1. Se l'amore è un "dardo" - così come si ostinano a cantare con inconsapevole esattezza, nelloro latino Jàcilior, quei melomani emuli di un trovatoriale Conte della Luna tutto passioni epire ("L'amore ond'io ardo... ") -, perchè non concedersi allora un onesto divertissementall'interno della lirica dugentesca e rintracciare progenitori e innesti, scarti e prosecuzioni diun'immagine sfaccettata dalla straordinaria fortuna letteraria? Dardi, saette, punte di lancia,giavellotti mortali indirizzati al seno di poveri amatori (che finiscono ora in un contorno di cuorispezzati e sanguinanti ora in un tripudio di dolcezze) condiscono infatti, da più versanti, strutture,rime e lemmi della poesia italiana delle origini.

A partire dall'esperienza siciliana s'infittiscono i rimandi alla faretra di Cupido (provenienti daindubbie frequentazioni ovidiane), per culminare alla svolta di secolo, in terra toscana, nel serratotiro a bersaglio cavalcantiano, e proseguire, definitivamente acquisite all'immaginario collettivo,coll'epigonismo iperbolico di un Frescobaldi, di un Lapo Gianni, o anche di un Cino. A questatarda altezza cronologica essi perdono tutte le coordinate di termini pmi di paragone, e dal loroimpiego come enti causali di un vocabolario d'amore presto divenuto stantio (il 'dardo' che fapacifica rima con 'ardo', al cuore convogliato, è certo, con lo 'sguardo'), si oggettivano,diventano armi vere, veri personaggi, vengono piegati in qualcosa di tragico come motivi portantidi testi che è doveroso indagare, perchè sovvertitori di un'intera tradizione.

I presenti appunti propongono un limitatissimo excursus tematico-lessicale delle occorrenzelegate all'immagine della 'freccia' inaspettatamente lanciata dall'arco di Amore, concentrandosi inparticolare sul trapasso concettuale cui detta immagine si lega tra la Scuola siciliana e le esperienzedi Guinizzelli e Cavalcanti (con qualche sondaggio più tardo). Vasta, s'intende, e qui inesploratarimane la zona d'ombra compendiata nella produzione dei cosiddetti 'minori '; minori per modo didire, ché nelle fortune -o sfortune- dei topoi letterari irrinunciabile ci sembra la verifica capillaresugli epigoni, solo anche per studiare come certi luoghi fossero reperiti, assimilati, piegati allacostituzione di un canone. (Come s'è detto, il carattere di 'appunti' di cui questa ricerca ècostituitaci impedisce un più ampio respiro.)

2. A sfogliare come utile strumento coadiuvante il Repertorio tematico della Scuola poeticasiciliana (a cura di Walter Pagani, Bari, Adriatica, 1968), c'è da rimanere interdetti, notando laquasi assenza del motivo ricercato. E non solo da un punto di vista linguistico. Nei primissimiesempi di lirica italiana -vero (e forzato) patterndi confronto per i rimatori successivi-, se presenteè spesso la 'ferita' causata da Amore (cioè l'effetto che Amore ha sul cuore d'amante), scompare ilmezzo meccanico, il tramite oggettivato del travaglio, l'incarnazione di Amore stesso: la freccia.L'esperienza dell 'innamoramento rimane primariamente astratta, intellettuale, teorica, interamentecomunicataper verbis senza il ricorso a immagini iconografiche o a una cifra stilistica elcfrastica.Non ci sono dunque 'correlativi' oggettivi 'eliotiani' a suggerire l'introspezione, la restituizioneal lettore del sentimento nel dato concreto. E tantomeno segnali linguistici fissi che la cristallizzanoin formula. (L'espressione dell'emozione, così come ci ha insegnato il poeta novecentesco, puòincarnarsi in una catena d'oggetti, una serie di eventi, attraverso la cui evocazione scatta ilmeccanismo di riconoscimento di un sentimento sperimentato.)

In terra siciliana, secondo una varia fenomenologia tutta sperimentata nella sua discendenzaoccitanica, la pena d'amore può legarsi alla lontananza generica della donna, doloroso amor delonh, o al vicino negarsi di questa; corrisponde all'esperienza degli "sguardi amorosi" divenuti

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subito "sguardi micidiali" che uccidono (come in Rinaldo d'Aquino, Amorosa donna fina, vv.31­36: "per li sguardi amorosi/ che, savete, sono ascosi/ quando mi tenete mente; / che li sguardimicidiali/ voi facete tanti e tali/ che ucidete la gente"), ma a questo travaglio manca un adeguatorisvolto lemmatico. Lo scocco degli sguardi, l'abbaglio, il fulmine mentale 'procedens ex visione'che, tutti assieme, immancabilmente costituiscono la base dell'innamoramento, poco sitrasformano in 'dardi', ché manca in primis un gusto dell'immagine fisica, o propriamentefisiologica, del tormento d'Amore, come sarà codificato più avanti nel secolo. Tale fatto puòsorprendere. Nel tripudio enciclopedico dei bestiari, con i draghi, i basilischi, i pavoni e lesalamandre scientificamente usate come imagines aJ1'loris, per il tonnento curiosamente quasis'assenta l'immagine guerresca, il motivo della lacerazione, dello spargimento di sangue, delblocco delle facoltà vitali.

Nella compiuta 'metamorfosi' dell'interiorità causata da Amore si rinnega, -sacrificato sulversante astratto, psicologico,- lo strumento tradizionale, l'arma.

Invero la fenomenologia dell'innamoramento è ovidianamente codificata nei suoi effetti,pr~)Venienti proprio dalla puntura di Cupido, alato arciere. Si veda subito la fonte letterariapnmana:

Esse quidem laesi poterat tibi pectoris indexet coor et macies et vultus et umida saepelumina nec causa suspiria mota patentiet crebri amplexus, et quae, si forte notasti,oscula sentiri non esse soriora possent.Ipsa tamen, quamvis animo grave vulnus habebam,quamvis intus erat furor igneus, omnia feci(sunt mihi di testes), ut tandem sanior essem,pugnavitque diu violenta Cupidinis armaeffungere infelix... (Metam. IX 535-544)

I segni (index) che saranno utilizzati dai poeti lirici sono già tutti, in un dispiegamentopolisindetico da vera shopping list pronta al futuro saccheggio: "color", "macies", "vultus","umida.. .lumina", "suspiria". Facce pallide e contratte, occhi translucidi, sospiri. Il "gravevulnus", la 'ferita insopportabile' del cuore lacerato ("laesi... pectoris index") causata dentro(intus) da una passione di fuoco (furor igneus) ha per origine esplicita le "violenta Cupidinisanna", le sole, uniche armi che superano gli dei e che causano insane passioni. Nella codificazionelinguistica italiana, singolannente, sembra andare persa l'origine della ferita, pur essendo questaun'immagine di forte valenza.

Nella ricerca delle occorrenze sul territorio della Scuola fa capolino Giacomino Pugliese conDonnaper vostro amore, in cui lo strumento della tortura passionale si dà per accenno: "La ferutanon muta de' sguardi;/ ancora gli mi mandate tardi,! passano balestri turchi e sardi;/ sì m'hannoferuto i vostri sguardi" (vv. 74-77). Di contro, la guerra di "occhi feri - guerreri" (Anonimo,XLIV, 3, v.44) rimane embrionalmente ancorata al risultato di 'pene' e 'tormento' ("n'pene - litene/ e metteli in tormento", Id., v.52-53). Altrimenti si possono mettere in fila solo pochi altriesempi. I primi provengono da anonimi, di cui diamo qualche distillato: "Ed io [... ]/ sono ferutod'uno dardo intero:/ ciò è 'l vostro guardare,! che sì amorosamente/ mi dimostraste, c'ora m'èguerriero" (XLIV, 52, vv.31-36); "Co gli occhi, amor, dolce saette m'archi/ che m'an passat'alcor; fitte le porto,! sì che non le schiaverebben tutt'i marchi/ che 'n terra son, tal gioia m'anoporto" (XLIV, 107, vv.l-4); e infine un componimento famoso, "Uno piasente sguardo/coralemente m'a feruto,! und'eo d'amore sentomi infiammato;/ ed è stato uno dardo/ pungente, sìforte, aguto,! che mi passao lo core e m'a'ntamato;/ or sono in tali mene/ che dico: 'oi lasso mene,-com faragio,! se da voi, donna mia, aiuto non agio?' " (XLIV, 12, vv.1-9). Solo in quest'ultimocaso si ha la codificazione delle rime sguardo-dardo, cui si dovrà aggiungere, in seguito, l'ardere.

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Nel Notaro tale vocabolario è presente già tutto, sebbene manchi il salto estremo, il trinomioin posizione di rima di 'sguardo'-'dardo'-'ardo', come si evince da Meravigliosamente, dove, aivv.28-39, la metafora dell'ardere per il fuoco d'amore, causato com'è ovvio dalla vista delladonna, non confluisce in istantanee di strumenti, ma rimane sul versante astratto del 'dolore': "alcor m'arde una doglia,! com'om che ten lo foco/ a lo suo seno ascoso,! e quando più lo'nvoglia,!allora arde più loco / e non pò stare incluso:/ similcmente eo ardo/ quando pass'e nonguardo/ a voi, vis'amoroso./S'eo guardo, quando passo,! inver'voi, no mi gito,! bella, perisguardare" .

Con Pietro Morovelli si ha al contrario una prima precisa incarnazione, una fenomenologialapidmia ma più precisa, tallite e non solo visiva. Gli sguardi-dardi producono non più ungenerico sentimento interiore, psicologico-mentale, bensì sensazioni epidermiche: "Però siguardi,! e non più tardi,! da dolzi sguardi: ben sente dardi,! caldo e freddura" (XXVII, 1, vV.72­76).

In fine, da tenere a mente, il fatto che l'effetto predominante del dardo scagliato non sia unaferita che distrugge l'individuo; il suo esito rimane senz'altro positivo: le saette più che guerraconducono la gioia (come sopra, "tal gioia m'ano porto", XLIV, 107).

Una compiuta codificazione della ferita d'amore, qui con l'apparato lemmatico che diventeràvulgato (ma non ancora posto in posizione-rima, vera prova del nove della rilevanza stilistico­strutturale del motivo), si ha nel sonetto Sì come il sol di Giacomo da Lentini:

Sì come il sol, che manda la sua sperae passa il vetro e no lo parte,e l'altro vetro che le donne spera,che passa gli occhi e va da l'altra parte,così l'Amore fere là ove sperae mandavi lo dardo da sua parte;fere in talloco che l'orno non spera,e passa gli occhi e lo core diparte.Lo dardo de l'Amore, là ove giunge,da poi che dà feruta, sì s'aprendedi foco, c'arde dentro e fuor non pare;e li due cori insemola li giungede l'arte de l'amore sì gli aprendee face l'uno e l'altro d'amor pare.

Le rime equivoche in -parte riassumono l'esperienza dell'innamoramento. L'occhio (lo sguardo)raccoglie il dardo d'Amore, ne è trafitto; al contrario del vetro che non viene infranto dal raggio disole, il raggio dell'amore scinde la persona dell'amante e ne fa 'dipartire' -separare- il cuore.L'effetto non è però negativo. La separazione è solo apparente, è una riunificazione. 11 cuore siallontana a raggiungere madonna. Il dardo d'amore riesce dunque a fondere due cuori, è unacucitrice che non spezza né taglia né divide, ma unifica. Il cuore se ne va dal corpo d'amante acausa della freccia d'amore: si allontana per riunirsi al cuore dell'amata, e la riconciliazione lisanapienamente la ferita.

Vi sono svariati esempi di questo allontanamento positivo, non traumatico: la scissione è anzidesiderata, perché può lenire la distanza dalla donna ("poi che' l corpo dimori in altro lato/ lo corcon voi sogiorna tuttavia", Anonimo, XLIV, 8, vv.31-32; o "Luntan vi son, ma presso v'è locore/ con gran merzede tuttora cherendo/ che non vi grevi lunga dimoranza", e, principalmente, "'lcore/ che da voi non si muta,! anzi vi pur dimura;/ e ben gli pare durai di far la dipartuta"). ConMazzeo di Ricco si può invocare addirittura il concorde scambio dei cuori tra amante e amata,determinato dal tormento che essi provano per la distanza delle persone fisiche dei due amanti. Maqui non ci sono armi a svellere gli organi del senso, per calmare o infuocare.

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Esempio principe degli effetti contraddittOll d'Amore è il sonetto lentiniano A l'aire clara, incui s'afferma: "Ed ho vista d'Amor cosa più forte:/ ch'era feruto, e sanòmi ferendo;/ lo foeo dondeardea stutò con foco" (vv.9-11). La ferita dell'innamoramento è stata guarita con la nuova feritadella corrispondenza, perchè amore ha colpito a sua volta la donna. Il cuore appartiene dunque alladonna, una volta colpito dalla freccia; il cuore che si è staccato dall'uomo, ma per una superiorericonciliazione: il dolore del distacco produce una ricompensa maggiore. Si veda anche S'iodoglio no è meraviglia, dove questa situazione è sviluppata: "Lo meo eore eo l'aio lassato/ a ladolze donna mia;/ dogliomi ch'eo so allungiato/ da sì dolze compagnia./Co la madonna sta locore,/ che de lo meo petto è fore/e dimora in sua balìa" (vv.15-21).

3. Il motivo dell'arco e delle frecce d'amore trova stabilità con l'abate di Tivoli, il quale nellatenzone con da Lentini, nel sonetto Oi dea d'amore, riprende l'immagine codificata da Ovidio:"[... ] ma tu m'hai feruto/ de lo dardo de l'auro, ond'ò gran male,/ ché per lo mezzo lo core m'haipartuto:/ di quello de lo piombo fa altrettale/ a quella per cui questo m'avenuto" (vv.1O-14). E' trai primi componimenti che non richiedono immagini naturali per commento: se si pensa al sonettoSi corne il sol, il dardo era paragonato al raggio di sole, mentre qui ci si richiama all'ascendenzaclassica, l'auctoritas delle !vletamorfosi.

Ancora dal libro delle trasformazioni amorose:

Primus Amor Phoebi Daphne Peneia, quem nonfors ignara dedit, sed saeva Cllpidinis ira.Delius hunc nuper, victa serpente superbus,viderat adducto flectentem comua nervo"quid" que "tibi , lascive puer, cumfortibus armis?"dixerat: "ista decent umeros gestamina nostros,qui dare certa ferae, dare vulnera possumus hosti,qui modo pestifero tot iugera ventre prementemstravimus innumeris tumidum Pytona sagittis.Tu face nescio quos esto contentus amoreainri tare tua, nec laudes adsere nostras! "Filius huic Veneris "figat tuus omnia, Phoebe,te meus arcus" ait; "quantoque animaliaceduntcuncta dea, tanto minor est tua gloria nostra".Dixit et eliso percussis aere pennisinpiger umbrosa Parnasi constit arceeque sagitt~reraprompsitduo tela pharetradiversorum operum:fugat hoc, facit illud amarem;quod facit, auratum est et cuspide flliget acuta,quod fugat, obtusum est et habet sllb harundine plumbllm (Metam. I 452-471).

Esistono dunque due saette a disposizione di Amore, duo tela ... diversorum operum: e le operediverse pertengono ai loro effetti; una che fa innamorare, l'altra che causa l'isterilimento d'amore.

Immagini, queste, che nella marcia d'avvicinamento dalla terra siciliana alla toscana troveremonel Fiore, moltiplicate fino a cinque (nel sonetto I, 9-14: "la prima [saetta] ha nom' Bieltà: per liocchi il core/ mi passò; la seconda, Angelicanza:/ quella mi mise sopra gran pudore;/ la terzaCortesia fu, san' dottanza;/ la quarta, Compagnia, che fe' dolore; / la quinta apella l'uom BuonaSperanza"). E che alfine troveremo in Guido Cavalcanti. I poeti a lui di poco precedenti ocontemporanei come Chiaro, Guittone e compagnia s'astengono infatti dall'usare l'immagine.

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Che comparirà estensivamente in un sonetto cavalcantiano di dibattuta interpretazione, in cui Amoreha stavolta tre frecce!:

o tu che porti nelli occhi soventeAmor tenendo tre sae11e in mano,questo mio spirto che vien di lontanoti raccomanda l'alma dolente,la quale ha già feruta nella mentedi due saette l'arciere soriano;a la terza apre l'arco, ma sì pianoche non m'aggiunge essendoti presente:perché sarìa dell'alma la salute,che quasi giace infra le membra, mortadi due saette che fa tre ferute:la prima da piacere e disconforta,e la seconda disia la vertutedella gran gioia che la terza porta.

4. Il dardo cavalcantiano s'impone con una forza nuova: la freccia ricevuta non conduce il poetaad una analisi in telmini puramente psicologici, impressionistici, del soggetto d'amore, ma puntadritta alla cosità, o reificazione, dell'esperienza sensibile: il sentimento del personaggio si faoggetto, materia, detrito.

Il dardo distrugge in un sol colpo l'unità sensibile del soggetto-amante, il suo involucrofenomenico: il colpo invariabilmente scinde la persona nelle sue componenti, le ritaglia in 'anima',in 'cuore', in 'figura', lascia fuggire via 'spiriti' che si personificano, che acquistano cioè peso etangibilità. Il risultato possiede un preciso effetto visivo, teatrale per le sue personificazioni, che vaoltre l'effetto d'adesione sentimentale alla materia narrata. L'unità vitale del soggetto si disintegraper forza d'amore, un amore che infallibilmente fa rima con morte (Li mie' foll'occhi: "...ciascunsi doleva d'Amor forte. I Quando mi vider, tutti con pietanza I dissermi: 'Fatto se' di tal servente,!che mai non déi sperar altro che nwrte' ", vv.11-14; oppure, "L'anima mia vilmente è sbigotita/ dela battaglia ch'e l'ave dal core:Iche s'ella sente pur un poco Amorel più presso a lui che non sòle,ella nwre", vv.1-4. E ancora: "Veder poteste, quando v'iscontrai,1 quel pauroso spirito d'amorello qual sol aparir quand'uom si nwre,! e'n altra guisa non si vede mai", vv.l-4).

E questa è una rappresentazione completamente nuova nella lirica italiana, una vera primizia, chéalla spersonalizzazione dell'esperienza amorosa (si noti come il dardo non venga lanciato più alpoeta stesso, ma al 'concetto' di figura umana che fa esperienza del sensibile, universalizzandosi)si aggiunge una concretizzazione delle cause, fino a una frantumazione e dispersione dellasoggettività.

Questo processo è stato studiato (e spiegato) attentamente da Rinaldina Russel1:

"[In Cavalcanti] Ogni movimento della psiche è spiegato in relazioneai movimenti dell'anima sensitiva, la cui sede si supponeva nel cuoree dalla quale si credeva venissero trasmessi e Iicevuti gli impulsidalle membra del corpo e dagli organi di senso. Tale contatto tra

1 Per l'interpretazione della simbologia delle tre frecce, che qui va al di là dellatraddio raffigurativa -si cfr. Guiraut de Calanso, che aggiunge all'oro e al piombouna freccia d'acciaio (S.Santangelo, Le tenzoni poetiche nella letteratura italianadelle Origini, Geneve, Olschki, 1928, p.96)- si rinvia all'edizione commentata delleR i In e, curata da Domenico De Robertis, pp.66-68 (e in particolare la nota 11).

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l'anima e il mondo esterno era mantenuto da un numero indefinito dispiriti animali. In questo modo gli spiriti della vita dagli occhidell'innamorato an-ivano al cuore e da lì imprimono,nell'immaginazione di lui, l'immagine della donna, e nell'animasensitiva svegliano il desiderio amoroso. Questa implicazionescientifica, se comporta un processo d'astrazione e dispersonalizzazione del fenomeno amoroso, non è antitetica alprocesso rappresentativo ed espressivo della poesia. Nello stessomomento in cui lo stato d'animo dell'amante e i movimenti della suapsiche vengono definiti secondo nozioni scientifiche precise, essisubiscono per ciò stesso un processo di concretizzazionerappresentativa. !...} Sensazioni, emozioni, lllnori, condizionifisiche, psichiche e mentali diventano personaggi che vivono inrapporto alla mente e al cuore e si aggiungono ai protagonisti delduello anwroso, 'amante' e 'madonna' " (Russell 1973: 125, corsivonostro).

Le aree semantiche prevalenti del discorso cavalcantiano, 'angoscia', 'distruzione', 'dolore',sono raccolte intorno al "dissolvimento spirituale" (Russell 1973: 129). Questa lacerazionedevastante è vista quasi naturalmente come una battaglia, per cui da ciò derivano le immaginisature di saette e dardi, di guerre, colpi e ferite ricevute che in fondo già avevamo intravistoall'opera, timidamente sperimentate, in alcuni poeti precedenti. (A questo proposito censisceancora bene la sUldiosa:"Al tri verbi attuano l'immagine dell'amore come battaglia: ferire (IX, 12,23; XX, 5; XXVIII, 1; XXIX, 13; XXX, 14; XXXI, 4), saettare (XXI,lO), uccidere (XXI ,8;XXII, 6; XXXIV, 11), distruggere (VII, 11; XIII,4; XXXIV,6); tagliare (XIII, 5), gettare(XIII,9), ancidersi (XIX, 5), morire (VII,4; XIII, 14; XIX,6; XX,lO; XXX,l1 nel senso diuccidere)" (Russell 1973: 132).

Ma se tali immagini sono lessicalmente 'tradizionali' (hanno cioè degli antecedenti), gli effetticoncettuali sono di un ordine diverso, scardinano la pacifica ideologia che poteva desumersi daipoeti precedenti. In queste immagini si fa esperienza dell'averrosimo cavalcantiano, delpessimismo, dell'impossibilità della parola a raccontare un'esperienza trascendente, armonica,come quella della scuola stilnovistica: amore è esperienza solo sensibile, passione, problema, lotta,guerra, appunto. L'amore di Guido è dunque "come appetito dei sensi da scrivere all'animasensi tiva, che è rigorosamente separata dall'intelletto possibile, secondo l'interpretazioneaverroistica del De anima aristotelico: l'amore è dunque messaggero di morte perchè impedisce ilcorretto uso della ragione che è nell'uomo principio di vita" (Russell 1973: 127). Inoltre, "latenninologia immaginifico-filosofica è rigorosamente coerente con la concettualizzazione degli statid'animo: il che conferisce plausibilità al discorso rappresentativo ed esplicativo del turbamentoprovocato dall'incontro con la donna. Le similitudini naturali che in Guinizzelli e nei Sicilianiallargavano la scena dell'innamoramento fino ai confini della natura sono quasi del tuttoscomparse" (Russell 1973: 126).

Ma se si è nel giusto quando si rileva come l'innamoramento, in Cavalcanti, venga descrittocon immagini lessicalmente tradizionali del colpo ricevuto o della ferita (Russell 130), si opta peruna operazione riduttiva non osservando come gli 'effetti' di tale colpo e ferita vadano ben al di làdella tradizione codifcata fino allora, che non prevedeva alcuna spersonalizzazione del soggetto, masolo un paragone appunto descritivo, mutuato dalla tradizione classica greco-latina. La novità è chesecondo la tradizione classica, amore è elemento unificatore: un Cupido che ha arco e frecce, sìpungola, sì colpisce, ma spinge all'unione; in Cavalcanti esso sollecita invece la disintegrazione; èper principio una forza non attrattiva, ma entropica, non spinge gli elementi a combinarsi (comeall'origine del mondo Eros spinse i vari elementi tratti fuori dal caos a unificarsi). Esso divieneprincipio negativo. Non pacificazione trovata in altri enti, in sublimazioni salvifiche, in qualcuno"cui" Guido esprimerà certo "disdegno", per dirla con la voce di un poema sacro che non avrebbepotuto certo essere concepito da lui stesso.

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5. A rebours, tuttavia, un bell'esempio degli effetti distruggi tori d'amore, non ancora riconciliati,e con il corredo di lemmi poi ipersmisuratamente codificato dal Calvacanti e dai suoi epigoni, è inGuinizzelli, nei sonetti Lo vostro bel saluto e Dolente lasso, già non m'asecuro, i quali fannosfoggio dell'immagine del "trono"/"dardo" e del "bolzone", della balestra cioè dai micidiali colpi.

Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardoche fate quando v'encontro, m'ancide:Amor m'assale e già non ha reguardos'elli face peccato over merzede,ché per mezzo lo cor me lanciò un dardoclzed oltre 'n parte lo tagUae divide;parlar non posso, ché 'n pene io ardosì come quelli che sua morte vede.Per li occhi passa come fa lo trono,che fer' per la finestra de la torree ciò che dentro trova spezza e fende:remagno come statuad'ottono,ove vita né spirto non ricorre,se non che la figura d'orno rende.

Dolente, lasso, già non m'asecuro,ché tu m'assali, Amore, e mi combatti:diritto al tuo rincontro in piè non duro,ché mantenente a terra mi dibatti,come lo trono che fere lo muroe 'l vento li arbor' per li forti tratti.Dice lo core agli occhi: "per voi moro",e li occhi dice al cor: "Tu n'hai desfatti".Apparve luce, che rendé splendore,che passao per li occhi e 'l cor ferìo,ond'io ne sono a tal condizione:ciò Curo li belli occhi pien' d'amore,che me [eriro al cor d'uno disiocome si fere augello di bolzone.

L'armamentario lessicale (e di rima: sguardo-dardo-ardo) di cui si gioverà il più giovane Guidoè già tutto qui, come il primo 'spostamento' significativo d'immagine dalla tradizione. L'uccisionee la morte, provenienti dallo sguardo (e siamo ancora nella tradizione); il dardo (ovidiano elentiniano o dell'Abate da Tivoli), si ripercuotono sull'interiorità del soggetto creando stavolta unascissione ardita. Amore, che saetta fulmini attraverso il cuore causa al poeta uno sdoppiamento, e ilpoeta vede, più che sente, la morte propria. Il vedere presuppone uno spettatore; e qui gli spettatorisono le membra stesse del poeta, che si traggono quasi fuori dal corpo, che dialogano anzi colcorpo divenendo i personaggi principali del dramma. Gli occhi attraversati da Amore cheprotestano col cuore; il cuore trafitto che protesta con gli occhi: sapida anticipazione, questa, delteatrino delle personificazioni cavalcantiane2.

2 In Guinizzel1i, tuttavia, con la sola eccezione dei due sonetti precedenti, il dardod'amore, seppure devastante, non pone in discussione il piacere provato permadonna, e la conciliazione tra 'ferita' subita e 'ricompensa' finale ottenuta. Si

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Di contro ad un'immagine che è ancora naturalistica, quindi tradizionale (per gli effetti d'Amoreil paragone è col 'trono' che abbatte il muro o entra dalla finestra della torre attenando quello chetrova sul suo cammino), i moduli della rappresentazione sono tirati su esiti semi-espressionisti: '" npene io ardo /sì come quelli che sua morte vede" (sdoppiamento del soggetto); o, ad esempio, comericordato sopra, "Dice lo core agli occhi: "per voi moro e li occhi dice al cor: "Tu n'haidesfatti"(con efficace scambio a chiasmo).

Anche nel cavalcantiano Perch 'non fuoro a me gli occhi dispenti, la Morte che porta in mano ilcuore tagliato, straziato, dell'amante, è vista, più che sperimentata o raccontata secondo effettipersonali: la psicologia drammaticamente afflitta del soggetto-sperimentatore è restituita quasiattraverso un antico 'conelativo oggettivo'. Una catena di eventi, una selie di oggetti, una serie didramatis personae quasi fisse, ed ecco che l'evocazione di un dramma interiore prende piede.Come la saetta è evocata, in Cavalcanti, subito il contenuto tragico, a essa associato, è evocato alcontempo.

Perché non fuoro a me gli occhi dispentio tolti, sì de la lor vedutanon fosse nella mente mia venutaa dir: "Ascolta se nel cor mi senti?"Ch'una paura di novi tormentim'aparve allor, sì cmdele e aguta,che l'anima chiamò: "Donna, or ci aiuta,che gli occhi ed i' non rimagnan dolenti!Tu gli ha' lasciati sì, che venne Amorea pianger sovra lor pietosamente,tanto che s'ode una profonda voce

veda a mo' di esemplificazione Madonna il fino amor, in cui alla descrizionedell'impatto distruggitore della saetta amorosa, che piaga il cuore, fa subito eco,nonostante tutto, una pacificazione, un perdono; e al servizio obbligato d'Amorenon fa seguito una represione, ma l'affermazione di piacere ottenuto.

Di sì forte valor lo colpo venneche gli occhi no'l ritenner di neente,ma passò dentr'al cor, che lo sostennee sentèsi plagato duramente;e poi li rendè pace [...]

Amor m'ha dato a madonna servire:o vogli'i' o non voglia, così este;né saccio certo ben ragion vederesì como sia caduto a 'ste tempeste:da lei non ho sembianteed ella non mi fa vist'amorosa,per ch'eo devegn'amantese non per dritta forza di valore,che la rende gioiosa;onde mi piace morir per su'amore.

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la quale dice:- Chi gran pena senteguardi costui, e vederà 'l su' coreche Morte 'l porta 'n man tagliato in croce-" .

Voi che per gli occhi mi passaste 'l coree destaste la mente che dormìa,guardate all'angosciosa vita mia,che sospirando la distrugge Amore.E ven tagliando di sì gran valore,che deboletti spiriti van via:riman figura sol en segnorìae voce alquanta, che parla dolore.Questa vertù d'amor che m'ha disfattoda' vostr'occhi gentil' presta si mosse:lUI dardo mi gittò dentro dal fianco.Sì giunse ritto 'l colpo al primo tratto,che l'anima tremando si riscosseveggendo morto 'l cor nel lato manco.

La visività è qui una componente irrinunciabile. Da Cavalcanti anche l'accenno guinizzellianodel rimanere come una statua d'ottone, dunque privo di vita, è ripreso in Voi che per li occhi, colverso "rimane sol figura en signoria": la figura umana, a tu-per-tu con Amore, rimane svuotata, sipresenta come una entità scissa, privata dell'anima e degli spiriti che la compongono .Un'immagine che ricorre anche in Tu m'hai sì piena di dolor la mente : ''l'vo come colui ch 'è fuordi vita,/che pare, a chi lo sguarda, ch'omo sia /fatto di rame o di pietra o di legno, Iche si conducasol per maestria! e porti ne lo core una ferita! che sia, com'egli è morto, aperto segno" (vv.9-14).

6. Del resto, anche in un sonetto vicino alla tradizione guinizzelliana come Chi è questa che vèn ­in cui sono svolti i motivi tipici della 'loda' e del passaggio della donna (si confronti a proposito,dell'altro Guido, lo voglio del ver)- il segno di riconoscimento cavalcantiano rimane quello dellanegazione, elevata a figura retorica, di ogni possibilità di trascendenza conoscitiva, e dellanegatività dell'esperienza sensibile stessa, insufficiente sempre a descrivere la realtà.

L'effetto che la presenza della donna produce nell'ambiente possiede in primo luogo unaconnotazione fisico-psicologica, non morale: il "far tremar di chiaritate l'are" (v.2), testimonianzadi splendore, è signum di una potenza in atto che trascende la natura, che agisce anzi su di essa manon come elemento religiosamente salvifico. Ladonnaèl' 'altro', l' 'autre'. "Non si poria contarla sua piagenza" (v.9), "Non fu sì alta già la mente nostral e non si pose 'n noi tanta salute I chepropiamente n'avian canoscenza" (vv.12-14): restituita concettualmente dalla serie triplice dellenegazioni, la donna è soggetto che sfugge alla conoscenza, è un 'oggetto' di speculazioneinavvicinabile di per sè, più che per sue qualità intrisecamente miracolose. Anche in uncomponimento del primo Guido come Fresca rosa novella (in cui l'amore non è ancora unapassione lacerante), vi è un punto gravido di implicazioni future, qui richiamato: la donna-dea("Fra lor le donne deal vi chiaman, come sete", vv.28-29) è "tanto adorna", 'appare' anzi cosìadorna che tale esperienza non può essere riportata per verba: "... eo non saccio contare" . .. (v.30).In fondo, si continua, "...chi poria pensare -oltranatura?" (v.31).

Il "Non fu sì già alta la mente nostra" prende loco da questi versi, e sarà senz'altro riecheggiato,in una lettura polemica (e/o tendenziosa) da Dante nel X dell'Inferno, quando quest'impossibilitàdell'intelletto, così come Cavalcanti affermava, si rovescia invece, nelle parole del Dante-auctor, inpresunzione, in peccato religioso, in orgogliosa negazione della trascendenza e della comunicabilitàdell'esperienza trascendente all'uomo. L' "altezza d'ingegno" menzionata da Cavalcante che cercasuo figlio è un idolo polemico nelle mani di Dante, perchè risulta ben chiaro, in Chi è questa chevien, come per Guido simile altezza non sarebbe comunque sufficiente ad avvicinare l'uomo agli

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elementi della sfera del sovrasensibile: in Guido ogni esperienza mistica è esclusa, e per opere e perverba: l'uomo -l'intelletto umano- ha precisi confini.

Ma peccato dell'intelletto, insiste Dante, è anche affermare l'impossibilità del perfezionamento,del rinnovamento interiore attraverso la donna; in quanto essa è imago-Dei, è figura teologica. Se èvero, come è vero per la scienza medievale, che "Amor est passio, quaedam innata procedens exvisione [...] formae alterius sexus", in Dante il desiderio (passio, ergo, 'disio') della donna "fansvegliare lo spirito d'Amore" (Vita nuova, XX, 3-5), senza lacerazioni, senza uccisioni ofulminee morti.La poesia dovrà teologicamente essere poesia di lode, davvero un 'traier cansoniper forsa di scrittura', ché il verbo umano ha il compito di rivelare il Verbo (l'Amore universale)fatto carne nella Donna.

Al contrario, in Cavalcanti, attraverso la lode della donna si delinea una concezione dell'uomodefinito sulla base di ciò che non può fare e non sa fare. La teologia negativa di Guido prevedeamore solo come "accidente" 'feroce e altero' (Donna me prega), impedimento della ragione:l'amore come solo appetito dei sensi che non può innalzarsi oltre l'orizzonte delle passioni,materialità. La donna è l' "aperto segno" di una "ferita" (Tu m'hai sì piena di dolor la mente), diuna inadeguatezza umana incolmabile. La donna cavalcantiana non può essere una "cosa venuta! dacielo in terra a miracol mostrare"; essa non porta con sè beatitudine, non è una beatrice, insomma,una "che dà per li occhi una dolcezza al core". E' invece la testimone -questo sì- di un dissidio.

Una novità esiste comunque, in questo insistere sui segni: i fenomeni per Cavalcanti noncorrispondono più, simpateticamente, ad un contenuto noumenico. Se le apparenze sensibili sonomanifestazioni da interpretare, esse hanno come cifra non la corrispondenza pacifica tra contenentee contenuto (la donna "umile,! saggia e adorna e accorta e sottile/ e fatta a modo di soavitate!"come specchio di tali virtù), bensì il loro rovesciamento, un'ambiguità costitutiva: in S'io pregoquesta donna che Pietate, da cui è tratto il precedente esempio, come può la donna, che 'pare' ­cioè, etimologicamente: appare, si manifesta- 'gentile' e 'onesta' (per parafrasare Dante), essere alcontempo campionessa di "nova [inusitata] crudeltate"? Il quesito è interessante, perchè'kantianamente' abbandona ogni possibilita di riscatto trascendente che si potrebbe avere dallavisione idealizzatadella donna (compiut:'1 dalla mente, da un intelletto cioè che costruisce astrazionismentite dal cuore, dalla parte sensibile dell'uomo: s'inserisce quindi un elemento discordante,schizofrenico).

Anche qui, dunque, la faretra d'Amore, il dardo lanciato a priori (rappresentante Amore stesso),spezza, scinde, taglia e divide la coscienza dell'uomo, è il segno di un dimidiamento umanocostituitivo: facoltà intellettuali e facoltà sensibili stanno su due piani contrapposti, inconciliabili, esi manifestano stilisticamente in una proliferazione di enti, di entità minime che testimoniano delladissociazione. Ecco la processione di cuori, di menti, di sospiri o comunque di personificazioni, didramatispersonae che stanno lì a indicare la plurivocità dell'esperienza umana, l'irriducibilità a ununico ordine, la mancata liconciliazione tramite l'apparizione di una presenza salvifica, vero deus­ex-machina consolatore. Non si hanno sacrifici, espiazioni, figurae Christi, nella poesiacavalcantiana: non ci sono trasfigurazioni indotte dalla morte della donna (si rammenti solo, aparadigmatico esempio e contrario, Donna pietosa e di novella etade, dove l'intero universosolidale si turba per la morte di Beatrice, ripetendo l'esperienza della morte di Cristo). Una morteche non è mai elemento conciliatore (mai, cioè, come in Dante, "cosa gentile"); e non può cheessere così: essa incarna una sconfitta, un dolore indotto da Amore, "arcier presto soriano", entità"acconcia sol per uccidere altrui" (vv.7-8 di O donna mia non vedestù colui).

La novità cavalcantiana non è quindi solo ideologica, ma profondamente stilistica: i sintagmiassociati all'Amore sono necessariamente cose appuntite, dardi, saette, lance, perchè solo tramite illoro colpo può compiersi la scena di un'uccisione, la rappresentazione di un dimidiamento,l'esperienza visuale dello schianto nullificatore. L'astrazione dei siciliani, di quei pochi cheabbiamo trovato alle prese con questo motivo, tutto confinato nell'eterea sfera dello sguardomicidiale, si è volta in oggettivazione pura, forse anche convenzionale, ma non convenzionalequanto a effetti: effetti che necessitano del dispiegamento militare, entropico, delle saette. DalGuinizzelli, in cui il trono, immagine naturale, colpisce la torre, come lo sguardo uccisore, si passaalla dissociazione del soggetto conoscente operata tramite l'elemento che, come osservavamo,dovrebbe tradizionalmente unificare, fungere da spinta unificatrice (il cuore che, sradicato,

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s'allontana verso l'amata per ricongiungersi a essa): e così l'immagine vemva vissuta dallatradizione.

Amore, in conclusione, per Cavalcanti, non permette requie, nè la possibilità d'indugiare insogni o in 'incantamenti': e all'invito struggente da parte di Dante di un rapimento 'distensivo' sulvascello di Merlino, con Lippo (o Lapo), circondati da una buona compagnia di donnegraziosamente messe loro a disposizione dal "buono incantatore, Guido replica amaro.

S'io fosse quelli che d'Amor fu degno,del qual non trovo sol che rimembranza,e la donna tenesse altra sembianza,assai mi piaceria siffatto legno.E tu, che se' de l'amoroso regnolà onde di merzè nasce speranza,riguarda se 'l mi' spirito ha pesanza:ch 'un prest'arcier di lui Iwfatto segnoe tragge l'arco, che li tese Amore,sì lietamente, che la sua personapar che di gioco porti signoria.Or odi maraviglia ch 'el disia:lo spirito fedito li perdona,vedendo che li strugge il suo valore.

7. Solo un'appendice. Da questo punto in poi, il codice avviato, con il suo contorno di lemmi,sarà utilizzato come mero serbatoio dai rimatori contemporanei o di poco posteriori, indice di unsuccesso 'd'immagine' che ne snatura però le coordinate essenziali, divenendo 'maniera'. Gliepigoni cavalcantiani si approprieranno cioè di un linguaggio svuotandolo del suo contenutoideologico. Lapo, Cino, Dino, col contorno di anonimi si metteranno all'opera sui frammentistilistici del poeta, sugli ossi di seppia di una tradizione che loro rivolgono, di nuovo, sulla rotta diuna lode o di un servizio. Frecce e saette diventano esercizi, virtuosismi, gli stilemi un repertorio disituazioni combinate con una nuova veste.

La metafora del dardeggiamento e del ferimento amoroso, ad esempio, è vissuta nello smilzocanzoniere di Frescobaldi all'ennesima potenza. Schemi figurativi, tematiche, lessico: tuttoproviene da una frequentazione assidua delle pagine di Cavalcanti, qui iperbolizzate quanto acontenuto. Le immagini si fanno più violente, più diretto il contenuto negativo, rispetto alvocabolario misurato e essenziale della poesia 'matrice', del 'padre suo'. In Frescobaldi ildescrittivismo usato dal Cavalcanti come essenziale elemento della sua ideologia, della tensioneconoscitiva, diventa descrittivismo analitico, artificiale, in cui la parola ha un peso, da sola, noncomune.

Con Cino si arriva all'estrema arte della 'ripresa' letterale, almeno in due componimenti cheriechieggiano,l'uno, un vicinissimo Guinizzelli; l'altro, tutti i luoghi comuni che hanno al centrola ferita.

Amor è uno spirito ch'ancide,che nasce di piacere e ven per sguardo,e fere'l cor sì come face un dardo,che l'altre membra distrugge e conquide;da le qua' vita e valor dividenon avendo di pietà riguardo,sì com' mi dice la mente ov'io ardoe l'anima smarrìta che lo vide... (XXXVII, vv. 1-8).

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Le parole-rima sono tutte -o quasi- in Guinizzelli, Lo vostro bel saluto: sguardo-m'ancide­reguardo (vv.1-3), e dardo-divide-ardo-vede (vv.5-8). Per tacere delle immagini (o dellesuggestioni che vanno oltre Guinizzelli e toccano Dante).

Or sento si rinfresca e si rinovaquellaferuta la qual riceveinel tempo che de li occhi suoi si mosseuno spirito fero e pien d'ardore,che passò dentro sì che'l cor percosse;onde i sospir miei parlan dolore,perchè l'alma giammai non si riscosse,che tramortì allor per gran tremore (CI, vv.7-14).

Il 'percuotersi', i sospiri che 'parlano' dolore, l'anima che non riesce a riscuotersi, perchémorta: agisce qui la lezione cavalcantiana. E appare il Dante stilnovista, di cui Cino dà una parafrasi(... "de li occhi suoi si mosse/ uno spirito fero e pien d'ardore", rovesciando la soavità e l'amoreche emanano gli occhi di Beatrice in Tanto gentil). (Ma tempo è già di Petrarca, rinfrescare ildolore, del rinnovarlo -qui c'è forse anche un'eco dantesca, la Francesca che si accinge araccontare di sè, o il virgiliano Enea sull'orlo del racconto dell'incendio di Troia- appunto neltempo) ...

Con Lapo il motivo cavalcantiano ricorre a modo di passacaglia, fino quasi al bisticcio verbale:

Amore, infaretrato com'arcero,no lena mai la foga del tu' arco:però tutti tuo' colpi son mortali.Deh, com' ti piace star presto guerrero!e se' fatto scheran, come stai al varcorubando i cori e saettando strali!ProvaI: che di colpire a me non cali,c'hai tanto al cor dolente saettatoch'una saetta lo portò dal segno (XIV, vv.53-61).

Il gioco s'è oramai fatto semplice gioco verbale: dal gerundio al participio al sostantivo, è tuttoun rapido rincorrersi di saette. L'immagine è però interessante: il cuore che è scomparso perchètrascinato fuori dal 'segno' da una saetta precedente. Ma in tutti gli altri esempi post-cavalcantianipoca originalità sopravvive: in Frescobaldi la "ispietata saetta e sottile" apre naturalmente il cuore"per mezzo lo fianco" (III), saette che puntuali si ripetono in IV ("Trasse Amor poi di sua novabiltate/ fere saette in disdegnosa quadra;/dice la mente, che non è bugiadra,! che per mezzo delfianco san passate", IV, vv.5-8) o saette inefficaci, ché l'anima riesce a contrastare gli effettinegativi d'amore, raccontate per rime equivoche, per ribadimenti, nel dominio della maniera: "poisi dilunga chi valore acquistai gridando forte un suo dur'arco 'intende/ e la saetta prende,! tal ched'uccidermi e' crede esser certo; /ed apre verso questo fianco aperto, /dicendo: 'Fuggi!' all'alma'che fai?/checamparnol potrai'/ Ma ella attende il suo crudel fedire,! e fascia il cor, nel punto chesaetta,! di quel forte desire/ cui non uccide colpo di saetta" (XVI, vv.35-45).

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