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05/04/2015 Perchè studiare i media? Pagina 1 Sociologia della comunicazione e della moda Lezioni marzo 2015 Prof. Romana Andò marzo - maggio 2015

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Sociologia della comunicazione e

della moda

Lezioni marzo 2015

Prof. Romana Andò

marzo - maggio 2015

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LA COMUNICAZIONE NELLA

VITA QUOTIDIANA

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La svolta comunicativa

• È rilevante non solo perché ha incrementato gli studi sulla comunicazione (e sui media),

• ma perché «ha inserito la comunicazione tra i temi fondamentali da indagare per comprendere le dinamiche complesse della convivenza sociale» (Bovone, 2014, 14).

• La realtà, infatti, viene interpretata e definita nello scambio interattivo: è una costruzione sociale su cui mettersi d’accordo nelle microinterazioni della comune vita quotidiana.

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Il soggetto nelle micro-teorie della comunicazione

• «l’individuo di cui parla questa nuova sociologia non è più il soggetto che trasforma il mondo, capace di padroneggiarlo razionalmente portandolo al progresso economico e sociale e cioè alla modernità.

• Sembra, invece, un individuo che rinuncia a definire il mondo in cui si trova, a codificare dei fini sociali condivisi, a dire dove debba andare il progresso;

• si sente peraltro perennemente circondato dai suoi simili, cosciente che non può fare nulla solo perché lo vuole, cosciente che tutto si determina nell’interazione, anche il senso da attribuire ad ogni suo intervento e a se stesso» (Bovone, p.15-16).

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Dalla teoria dell’azione alle micro-teorie della

comunicazione

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Alfred Schutz

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• Filosofo e sociologo (Vienna 1899 - New York 1959).

• Focus: applicare il metodo fenomenologico alle scienze sociali, intese sempre come studio della realtà quotidiana dell'individuo, delle sue assunzioni di senso comune, del suo mondo di rapporti.

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L’esperienza e la conoscenza nella vita quotidiana

• «Questo settore del mondo fatto di oggetti percepiti e percepibili di cui io sono al centro sarà chiamato il mondo a mia portata attuale, il quale dunque, comprende gli oggetti entro il raggio della mia vista e la sfera del mio udito» (Schutz 1971, trad. it. 279)

• «Tutta la conoscenza del mondo [D] comporta costrutti, cioè un insieme di astrazioni, di generalizzazioni, di formalizzazioni, di idealizzazioni». (Schutz, 1971, trad. it. 5)

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Mondo sociale, predecessori e contemporanei

• Le tipizzazioni derivano da un mondo sociale che preesiste al soggetto che osserva – «i predecessori» - e che il soggetto condivide con i suoi «contemporanei», più o meno vicini a lui.

• Tutto ciò che il soggetto incontra nella sua vita quotidiana, quindi, può essere interpretato in funzione delle esperienze del passato, del mondo sociale, noto, dato per scontato,

• del senso comune.

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Il senso comune

• Il senso comune è “quell’insieme di conoscenze che la vita quotidiana mette a disposizione di ognuno: tipizzazioni preinterpretateintersoggettivamente nelle quali si riproduce la costruzione sociale della realtà” (Schutz).

• Il senso comune emerge da “tutte quelle pratiche, rappresentazioni, simbolizzazioni per mezzo delle quali il soggetto si organizza e contratta incessantemente il suo rapporto con la società, con la cultura, con gli eventi”(Jedlowski)

http://portale.unipa.it/persone/docenti/c/salvatore.costantino/.content/documenti/JEDLOWSKY-REALTA-COME-COSTRUZIONE.pdf

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Il senso comune

• La fitta e complessa trama delle conoscenze condivise e largamente interiorizzate a livello sociale costituisce il senso comune.

• Il senso comune può essere considerato come l’insieme delle certezze tacite e indubitabili che ciascun componente di un gruppo condivide con i suoi simili.

• I contenuti e le assunzioni sulle quali si basa sono ritenute auto-evidenti; le domande che lo mettono in discussione sono “prive di senso”; le persone che se ne discostano sono “dissennate”.

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Senso oggettivo e soggettivo

• Se nella sociologia classica l’attribuzione di senso è sempre soggettiva «perché è il soggetto agente che attribuisce senso e perciò intenzionalità alla sua azione, ed è l’osservatore, un altro soggetto, che penetra questa intenzionalità» (Bovone, p.20)

• per Schutz abbiamo da una parte il senso soggettivo del vissuto –spesso impenetrabile anche per il soggetto stesso – e il senso oggettivo «ricostruibile a posteriori in modo riflessivo, ma soprattutto incasellato in altre azioni simili tramite le categorie idealtipiche intersoggettive» (Bovone, p.21)

• Quest’ultimo è il senso comune che noi ereditiamo dai nostri predecessori già organizzato e che è «fin dall’inizio un mondo intersoggettivo di cultura» (Schutz 1971, trad.it. 10)

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Che cosa è la realtà?

• Quella che noi chiamiamo realtà è quindi una realtà interpretata, incasellata e riprodotta entro i significati che siamo in grado di attribuirle per leggerla e per renderla accessibile, cioè le «province finite di significato».

• «il veicolo più importante della preservazione della realtà è la conversazione» (Berger e Luckmann1966, p.9)

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Azione e riflessività

• Nella visione di Schutz le azioni dei soggetti non sono «razionali rispetto allo scopo», cioè il soggetto decide i mezzi funzionali per un fine.

• Al contrario, secondo Schutz il soggetto utilizza le tipizzazioni per razionalizzare la propria azione.

• «è pensando al passato che possiamo renderci conto se i mezzi sono stati appropriati per il fine» (Bovone p. 22).

• È la riflessività, cioè, che consente di dare un senso razionale alle azioni del soggetto.

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L’interazione con l’altro

• Solo a partire da «eventi [D] che si verificano nel corpo dell’altro o sono da esso provocati e soprattutto attraverso espressioni linguistiche [D] posso comprendere l’Altro» (Schutz, 1971, trad. it. 287).

• È solo attraverso la materialità dell’altro (i suoi gesti, le sue parole) che è possibile accedere alla sua individualità.

• La sua individualità, la sua mente viene «appresentata», cioè richiamata da quello che di lui si vede.

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Senso comune e media

• I media mettono in scena il senso comune, lo costruiscono e lo riproducono, in quanto “potenti costruttori di rappresentazioni socio-narrative convenzionalizzate e stereotipiche”.

• “Nel diventare parte del senso comune, le storie, i personaggi e le rappresentazioni socio-narrative mediali si offrono come risorse interpretative e riferimenti simbolici con i quali non si può evitare di confrontarsi, anche solo per rifiutarli. (Di Fraia, 2004)

Di Fraia, G. (2004). Storie con-fuse: pensiero narrativo, sociologia e media (pp. 1-217). FrancoAngeli.

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I luoghi comuni

• “I luoghi comuni sono i simboli condivisi di una comunità: condivisi ma non necessariamente indiscussi, e d’altro canto discussi, ma certamente riconoscibili”

R. Silvesrtone, Perchè studiare i media?

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I luoghi comuni

• Al centro della persuasione ci sono i luoghi comuni, i topoi: “essi sono idee e valori, strutture di significato, condivise e condivisibili da parte di chi ascolta e chi parla.

• I luoghi comuni sono il punto in cui la retorica si incontra con il senso comune e lo sfrutta [D] costruendo un quadro di conoscenza e di riconoscimento senza il quale i tentativi di persuadere risultano vani” (Silverstone, 2002:66)

R. Silvesrtone, Perchè studiare i media?

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La retorica e i media

• La retorica è una dimensione dei media: tutto quello che arriva ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alla nostra immaginazione è costruito retoricamente.

• Proprio perché la comunicazione mediale è retorica, la retorica può essere utilizzata come metodo di analisi dei media stessi.

R. Silvesrtone, Perchè studiare i media?

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Una mano aperta

• La retorica è una mano aperta, non un pugno chiuso come la logica.

• La retorica è una mano aperta perché prevede e richiede uno spazio di dibattito, una forma argomentativa.

• Tra gli esseri umani ci saranno sempre divergenze di opinioni: la retorica, da sola, non basta ad assicurare il successo.

• “La mano aperta non determina, invita” (Silverstone, 2002: 63)

R. Silvesrtone, Perchè studiare i media?

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La retorica come metodo

• I media offrono continuamente una mano aperta, vanno costantemente alla ricerca di pubblici e di attenzione, ci coinvolgono, ci interpellano.

• “Dobbiamo occuparci dei modi in cui questo avviene [D]. Dobbiamo occuparci della relazione fra strategie testuali e risposte del pubblico, della retoricizzazionedella cultura pubblica”. (Silverstone 2002:63)

R. Silvesrtone, Perchè studiare i media?

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La fiducia

• Di fronte ad una rappresentazione dei media come facciamo a sapere che ciò che osserviamo sta accadendo o è accaduto veramente?

• In cosa differiscono le rappresentazioni dell’uomo sulla luna, della guerra del Golfo,dell’invasione dei marziani di Orson Welles?

• “La risposta si trova nella fiducia che riponiamo nelle istituzioni responsabili di riportarci la storia, una fiducia nei sistemi tecnici e astratti che è una componente importantissima della modernità” (Silverstone,2002: 65)

R. Silvesrtone, Perchè studiare i media?

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La fiducia

• “La risposta si trova nelle convenzioni della rappresentazione, nelle forme di espressione, nel fragile ma efficace equilibrio fra il familiare e il nuovo, nella sicurezza e nella rassicurazione della narrazione e della voce; si trova nel linguaggio, nella retorica del testo e nel supporto di altri testi che lo precedono e lo seguono, quelli che rienfatizzano e riasseriscono continuamente la realtà affermata.

• [D] e l’immagine che non è degna di fiducia è ridotta al silenzio dalla retorica di una voce insistente” (Silverstone,2002: 65-66)

R. Silvesrtone, Perchè studiare i media?

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Far saltare le regole 0

• «Harold Garfinkel [1967] per far capire in che cosa consiste il senso comune, invitava i suoi studenti a «far saltare le regole» date per scontate, mostrandone così, empiricamente, la rilevanza e nello stesso tempo la fragilità» (Sciolla, 2002, 177).

05/04/2015 Pagina 23La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione

Di Harold Garfinkel

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Vivere o conoscere attraverso il senso comune?

• «Solo un gruppo molto ristretto di persone è impegnato a teorizzare nel campo delle ‘idee’ e della costruzione delle Weltanschauungen [visione del mondo] in qualunque società, ma tutti partecipano della sua ‘conoscenza’ in un modo o in un altro.

• In altri termini solo pochi sono interessati all’interpretazione teoretica del mondo, ma tutti vivono in un certo tipo di mondo [D].

• È proprio questa ‘conoscenza’ del senso comune che costituisce il tessuto dei significati senza il quale nessuna società potrebbe esistere» (Berger e Luckmann 1966, it. 32)

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Harold Garfinkel

• Sociologo (Newark 1917 – Los Angeles 2011)

• Focus: l’etnometodologia cioè l'insieme dei ''metodi'' impiegati dagli uomini (etno) per creare e sostenere, nei confronti del mondo sociale, la quotidianità e la naturalità del vissuto sociale; per ragionare praticamente sulla vita quotidiana.

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L’etnometodologia

05/04/2015 Pagina 26La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione

Di Harold Garfinkel

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Realtà, costruzione e spiegazione

• Garfinkel va oltre l’idea di Schutz e di Berger e Luckmann di «costruzione sociale della realtà» perché essa separa «il processo di costruzione dal suo risultato, cioè indagare come la società riesca a trovarsi d’accordo nel definire realtà un certo tipo di oggetti» (Bovone, p.23)

• Secondo Garfinkel è impossibile separare la realtà dai metodi (etno-metodi) usati dagli stessi soggetti che la costruiscono per spiegarla.

• "ogni situazione sociale deve essere studiata come autoorganizzantesi rispetto al carattere intellegibile delle sue proprie manifestazioni considerate sia come rappresentazioni che come prove-di-un-ordine-sociale" (Garfinkel 1967: 86).

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La riflessività

• Garfinkel intende per riflessività un processo discorsivo, «una attività di produzione di senso, per lo più implicita e data per scontata, attraverso la quale i membri dell’interazione reciprocamente si accordano e si confermano che quello che hanno fatto o stanno facendo o stanno per fare è sensato» (Bovone, p. 24).

• La riflessività è quindi una competenza, una caratteristica dell’interazione umana.

• È il modo che automaticamente impieghiamo per farci comprendere dagli altri, costruendo con gli altri un discorso dotato di senso per tutti (anche se non tutti sono d’accordo su esso).

05/04/2015 Pagina 28La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione

Di Harold Garfinkel

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Accountability

05/04/2015 Pagina 29La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione

Di Harold Garfinkel

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Account

• «Ogni discorso è un «account», un racconto o una spiegazione che razionalizza ciò che è successo in passato e nello stesso tempo si presenta come attualmente ragionevole, diventando «accountable», cioè spiegabile in un altro futuro account» (Bovone, 24)

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La morale e il senso comune

• «i membri di una data società incontrano e conoscono l’ordine morale come un normale corso dell’azione» scene familiari non solo date per scontate, ma che «sono così perché è moralmente giusto o sbagliato che siano così» (Garfinkel 1967:35)

05/04/2015 Pagina 31La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione

Di Harold Garfinkel

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La fiducia nell’interazione con l’altro

05/04/2015 Pagina 32La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione

Di Harold Garfinkel

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La promessa e la fiducia

• «quando l’individuo si trova alla presenza diretta di altri, la sua attività ha il carattere di una promessa.

• Gli osservatori si accorgeranno di dover accettare l’individuo sulla fiducia, facendogli credito, mentre è in loro presenza, per qualcosa il cui vero valore sarà accertabile soltanto dopo che egli se ne sarà andato». (Goffman, 1959 : tr. it. 1969 p. 13)

05/04/2015 Pagina 33Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1995. .

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Erving Goffman

• Sociologo canadese (1922 -1982).

• Il suo modello di sociologia si basa sull’idea di ''interazione rituale'‘: avvalendosi della metafora teatrale individua e analizza i processi di costruzione del mondo e del ruolo in esso svolto dall'individuo.

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La rappresentazione

• «sto adoperando la parola ‘rappresentazione’ per indicare tutta quella attività di un individuo che si svolge durante un periodo caratterizzato dalla sua continua presenza dinanzi a un particolare gruppo di osservatori e tale da avere una certa influenza su di essi»(Goffman, 1959 : tr. it. 1969 p.33)

05/04/2015 Pagina 35Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1995. .

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La vita quotidiana come rappresentazione

• «la prospettiva che viene usata in questo lavoro è quella della rappresentazione teatrale: i principi che ne derivano sono di tipo drammaturgico.

• Prenderò in esame il modo in cui un individuo, in normali situazioni di lavoro, presenta se stesso e le sue azioni agli altri, il modo in cui guida e controlla le impressioni che costoro si fanno di lui, e il genere di cose che può o non può fare mentre svolge la sua rappresentazione in loro presenza» (Goffman1959 : tr. it. 1969 p. 9)

05/04/2015 Pagina 36Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1995. .

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Scena e retroscena

• Erving Goffman “descrive la vita sociale come una sorta di recita teatrale su molti palcoscenici, in cui ognuno di noi interpreta ruoli diversi in differenti arene sociali a seconda del tipo di situazione, del nostro ruolo particolare in essa e della composizione del pubblico” (J. Meyrowitz, Oltre il senso del luogo).

Meyrowitz, J. (1993). Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale. Baskerville, Bologna.

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Persona e ruoli

05/04/2015Park, 1950, p. 250 Pagina 38

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Scena e retroscena

• Goffman distingue tra comportamenti comunicativi di scena e di retroscena.

• In una situazione comunicativa esplicita, cioè, il soggetto tende a presentare agli interlocutori una specifica immagine di sé e del suo ruolo.

• Questo comportamento comunicativo viene abbandonato quando “il pubblico” non vede ciò che avviene sulla scena: quando cioè il soggetto si trova in una posizione di retroscena.

• “La rappresentazione individuale sulla scena dipende dall’esistenza di un retroscena isolato dal pubblico”.

Meyrowitz, J. (1993). Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale. Baskerville, Bologna.

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La vita sociale come gestione delle impressioni

• Durante l’interazione «l’individuo dovrà agire in modo da esprimersi più o meno intenzionalmente, e i presenti, a loro volta, dovranno riportare un’impressione sul suo conto» (Goffman, 1959 : tr. it. 1969 p. 12)

• “il nostro è un mondo di apparenza visibile: viviamo in una cultura della presentazione, in cui l’apparenza è realtà.

• Gli individui e i gruppi presentano al mondo i loro volti in ambienti in cui gestiscono le proprie rappresentazioni con più o meno sicurezza” (Silverstone 2002: 115)

Goffman, La vita quotidiana come rappresentazioneSilverstone, Perché studiare i media?

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Rappresentazione e moralità

• «la società è organizzata sul principio che qualsiasi individuo che possieda certe caratteristiche sociali ha il diritto morale di pretendere che gli altri lo valutino e lo trattino in modo appropriato». (Goffman 1959 : tr. it. 1969, p.23)

05/04/2015 Pagina 41Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1995. .

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L’asimmetria del processo di comunicazione

• «Gli osservatori, sapendo che l’individuo tende a presentarsi sotto una luce favorevole, possono dividere la scena a cui assistono in due parti: l’una, che l’individuo può facilmente controllare a piacere e che riguarda in massima parte le sue affermazioni verbali;

• l’altra che sembra sfuggire al controllo o non rivestire alcun interesse per l’individuo e che consiste in massima parte nelle espressioni che «lascia trasparire».

• Gli altri possono allora servirsi di quelli che vengono considerati gli aspetti non controllabili del suo comportamento espressivo come mezzo per verificare la verità di quanto è trasmesso dagli aspetti controllabili.

• Con ciò viene dimostrata la fondamentale asimmetria del processo di comunicazione, poiché, presumibilmente, l’individuo è consapevole di un solo livello della sua comunicazione, mentre gli osservatori sono consapevoli di questo livello e di un altro» (Goffman, 1959 : tr. it. 1969 p. 17)

05/04/2015 Pagina 42Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1995. .

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I media e lo spazio intermedio

• La fusione degli spazi di scena e di retroscena, prodotta dai nuovi ambienti sociali costruiti dai media elettronici, porta alla definizione di un nuovo “spazio intermedio” o “da palcoscenico laterale”.

• I pubblici, cioè, vedono parti sia della scena che del retroscena e gli attori devono riadattare i propri ruoli, rendendoli coerenti con le nuove informazioni a disposizione del pubblico.

Meyrowitz, J. (1993). Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale. Baskerville, Bologna.

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Oltre il senso del luogo

• “l’evoluzione dei media secondo me ha cambiato la logica dell’ordine sociale, ristrutturando il rapporto tra luogo fisico e luogo sociale e modificando i modi in cui trasmettiamo e riceviamo le informazioni sociali”

• Questo mutamento va messo in correlazione con “il potere unico della televisione di abbattere le distinzioni tra qui è là, diretto e mediato, personale e pubblico. Più di ogni altro medium elettronico, essa ci coinvolge in temi che una volta non credevamo fossero “affari nostri”, ci lancia a pochi centimetri dai volti di assassini e presidenti, rende barriere e passaggi fisici relativamente privi di significato in qualità di modelli di accesso all’informazione sociale”. (Meyrowitz 1985)

Meyrowitz, J. (1993). Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale. Baskerville, Bologna.

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05/04/2015R, Silverstone, Perchè studiare i media?

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Attraversare i confini

• “Anche se conosciamo i confini tra spazi pubblici e privati, e quelli fra realtà mediate e realtà esperite, sappiamo che i confini separano e allo stesso tempo connettono:

• Sono barriere, ma anche ponti”• “il mondo viene quotidianamente rappresentato dai media e noi

spettatori recitiamo al loro fianco come attori e partecipanti, imitando, appropriandoci e riflettendo sulle sue verità e falsità”. (Silverstone 2002:118)

• Il confine tra attore e spettatore viene attraversato continuamente con sempre maggiore facilità.

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Il successo della rappresentazione

• Il successo di una rappresentazione, nella vita quotidiana, o sul palcoscenico, o sullo schermo, dipende dai giudizi del pubblico e dalla sua accettazione di quella rappresentazione.

• La modernità ha portato con sé “il nascere di una vita privata resa maggiormente pubblica”; i comportamenti di rappresentazione “consentono all’attore non solo di presentarsi all’altro, ma di presentarsi a se stesso, con un atto essenzialmente riflessivo” (Silverstone 2002:116)

R, Silverstone, Perchè studiare i media?

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Rappresentazione e identità

• «L’individuo ritiene, di solito, di esercitare un controllo sul modo in cui appare agli occhi degli altri. Per questo ha bisogno di cosmetici, vestiti, e di strumenti per adattarli, aggiustarli e renderli più belli; di un luogo accessibile, sicuro, dove poter conservare queste scorte e gli strumenti di lavoro –in breve, l’uomo ha bisogno di un corredo per la propria identità per mezzo del quale poter manipolare la propria facciata personale». (Goffman, 1961, tr.it. 49-50)

05/04/2015 Pagina 47Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1995. .

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Attore, personaggio, apparenza (e moda)

• L’attore è «un affaticato fabbricante di impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di mettere in scena una rappresentazione»

• il personaggio è «una figura per definizione dotata di carattere positivo, il cui spirito, forza e altre qualità eccezionali debbono essere evocati dalla rappresentazione» (Goffman, 1959, tr. it. p. 288).

• Per Goffman, la scelta di moda è collegata all’identità multipla, cioè al modo in cui un attore gestisce i molteplici personaggi e fa emergere i differenti ruoli.

• È il modo per negoziare con gli stereotipi sociali.05/04/2015 Pagina 48Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna,

1995. .

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Accedere all’identità

• All’identità dell’altro (e anche alla propria) è possibile accedere solo attraverso l’apparenza, la rappresentazione.

• La corporeità, quindi, è - per chi osserva - l’unica finestra che si apre sulla immaterialità dell’identità.

• Il sé che osserviamo «non ha origine nella persona del soggetto, bensì nel complesso della scena della sua azione [D] ciò che viene attribuito – il sé – è il prodotto di una scena che viene rappresentata e non una sua causa [D] è piuttosto un effetto drammaturgico» (Goffman, 1959, tr. it. p. 289)

05/04/2015 Pagina 49Goffman, E. (1959). La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1995. .

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Identità personale e identità sociale

• L’identità personale diventa sociale quando si comunica, attraverso l’esteriorità e l’apparenza.

• L’identità narrata del soggetto è continuamente costruita attraverso discorsi e comportamenti, corpo, pratiche e parole,

• ed è ricostruita da chi osserva le pratiche corporee situate e ascolta le narrazioni in un contesto di interazione.

• L’identità sociale è costruita e interpretata sulla base di regole morali e rituali di interazione (eseguiti in conformità con le regole dell’etichetta sociale che stabiliscono le coordinate per un corretto comportamento cerimoniale -gesti, espressioni, abbigliamento etc.)

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L’identità nelle rappresentazioni

• «le identità hanno a che fare con il problema di usare le risorse della storia, del linguaggio e della cultura in un processo che è in divenire, e non in essere: il problema è non tanto ‘chi siamo’ o ‘da dove veniamo’, quanto che cosa potremmo diventare, come siamo stati rappresentati e come tutto ciò riguardi il modo in cui potremmo rappresentarci.

• Perciò le identità si strutturano all’interno, e non all’esterno, della rappresentazione. [D]

• Esse scaturiscono dalla narrativizzazione del Sé» (Hall,2006 p. 316)

05/04/2015 Pagina 51Hall, S. (2002). A chi serve “l’identità”. C. Bianchi, C. Demaria, S. Nergaard (a cura di), Spettri del potere. Ideologia identità traduzione negli studi culturali, Roma, Meltemi.

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Le identità

• «Mi avvalgo del termine ‘identità’ per fare riferimento al punto d’incontro, al punto di sutura, tra – da una parte –i discorsi e le pratiche che cercano di ‘interpellarci’, di parlarci o di sistemarci come soggetti sociali di determinati discorsi, e – dall’altra – i processi che producono soggettività, che ci costituiscono come soggetti che possono essere ‘parlati’.

• Le identità sono perciò punti di temporaneo attaccamento alle posizioni soggettive che le pratiche discorsive costruiscono per noi (Hall p. 318)

05/04/2015 Pagina 52Hall, S. (2002). A chi serve “l’identità”. C. Bianchi, C. Demaria, S. Nergaard (a cura di), Spettri del potere. Ideologia identità traduzione negli studi culturali, Roma, Meltemi.

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Identificazione (o non identificazione)

• Per comprendere come l’identità viene costruita è necessario capire «quali siano i meccanismi mediante i quali gli individui in quanto soggetti s’identificano (o non s’identificano) con le ‘posizioni’ a cui vengono chiamati, in che modo essi modellino, stilizzino, producano e ‘realizzino performativamente’ queste posizioni e perché non lo facciano mai completamente, una volta per tutte, anzi alcuni non lo facciano affatto o siano perennemente in conflitto, lotta, resistenza, negoziazione e aggiustamento con le regole normative o regolative con le quali affrontano e regolamentano se stessi (Hall, p.328)

05/04/2015 Pagina 53Hall, S. (2002). A chi serve “l’identità”. C. Bianchi, C. Demaria, S. Nergaard (a cura di), Spettri del potere. Ideologia identità traduzione negli studi culturali, Roma, Meltemi.

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La performatività

• Per performatività si intendono, nelle parole di Judith Butler, quegli atti e gesti, generalmente costruiti, che regolano i principi di organizzazione dell’identità,

• nel senso che “l’essenza o identità che essi dichiarano di esprimere sono fabbricazioni prodotte e mantenute attraverso segni corporei e altri mezzi discorsivi”

• “la performatività non è un atto singolare, bensì una ripetizione e un rituale che sortisce i suoi effetti mediante la naturalizzazione nel contesto di un corpo” (Butler, 2004)

Butler, J. (2004). Scambi di genere: Identità, sesso e desiderio. Sansoni.

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La performatività

• La performatività è «una serie di pratiche che segnano i corpi, in accordo ad una griglia di

intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi

una fiction familiare» (McRobbie 2005)

• sono quindi le pratiche che segnano il sé in accordo ad una griglia di intelligibilità sociale, in modo tale che il sé diventi una fiction (rappresentazione) familiare (cioè condivisa e condivisibile all’interno dei legami sociali).

Andò, R. (Ed.). (2007). Audience reader: saggi e riflessioni sull'esperienza di essere audience. Guerini scientifica.

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Identità e carriere biografiche tipiche

• «il problema dell’identità è un problema di indeterminatezza, nasce quando l’identità è vista come qualcosa da raggiungere, non un dato ma un compito» (Bovone, p. 43)

• Questo significa da una parte «possibilità» dall’altra «indeterminatezza».

• Nel secondo Novecento, l’identità nonostante la «pluralizzazione dei mondi di vita» possiede ancora un «repertorio di carriere biografiche tipiche» cui l’individuo può differire la propria gratificazione.

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Identità, stabilità, abito

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La crisi dell’identità

• Dalla cosiddetta «homeless mind» (Berger e Keller 1973) si passa ad una identità instabile per cui l’individuo sperimenta quella perenne ricerca di sé –tipica del periodo adolescenziale – fino a tutta l’età adulta.

• «Nelle società complesse [D] le identità sociali di una persona sono non solo numerose, ma spesso contraddittorie, e non c’è una chiara gerarchia di appartenenze che renda un’identità dominante sulle altre. Qui il problema delle biografie personali diventa sempre più quello delle identità, dell’assenza di segni da parte della cultura della società nel suo complesso che aiutino nella scelta» (Kopytoff. 1986 tr. it. 109)

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