Anche tu mi piacevi da morire, vorrei dirle. Ma il suo ... · moanche fatti unacanna. Persen tirci...

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"Anche tu mi piacevi da morire", vorrei dirle. Ma il suo fidanzato èn fuori che l'aspetta . 8 giugno 1998 C on i pantaloncini corti della pallavolo Oriana è, se possibile, anche più bella. I capelli lunghi, fermati in una coda, danzano a ogni suo salto e le rica- dono sulle reni. Gambe lunghe da trampoliere, il seno appena ac- cennato eppure bellissimo, sodo, da perderei la testa. Ma io cereo di non guardarla. Torneo scolastico di fine anno, tutti in palestra a fare il tifo. Due giorni alla fine della scuola, aria di festa, e invece sono triste da morire. Ci sono passaggi epocali che sai già si fisseranno dentro di te. Questo è uno di quel- li. Cambio casa, cambio scuola e città. Mio padre è stato promos- so, chiamato a dirigere una filiale importante della ditta per cui la- vora. Il fatto che sia a 300 chilo- metri da qui, dal mio mondo, da tutto quello che amo di più, pare non interessare a nessuno. Si per scontato che la famiglia si tra- sferisca, senza problemi. Mia so- rella è addirittura felice: «Vado a vivere al mare», dice a tutti. Bella soddisfazione. Ma Patrizia è cre- tina e poi ha solo dieci anni e p0- chi amici, forse nessuno, le im- porta un baffo di lasciare Milano. lo invece ci divento matto. Ho so- lo sedici anni, troppo pochi per decidere della mia vita. Dovrei dare un colpo di spugna a tutto. «Sei così giovane, ci metterai p0- chi giomi a farti dei nuovi amici», mia madre mi consola. Balle. An- tonio lo conosco fin dalle elemen- tari, insieme facciamo le scemate più grosse. Un paio di volte ci sia- mo anche fatti una canna. Per sen- tirci più grandi, forse. Invece ab- biamo tossito come matti, ci sia- mo intossicati e non abbiamo provato niente, nulla di sensazio- nale o degno di nota, al massimo ci girava un po' la testa. Così ab- biamo detto addio senza troppi rimorsi a un possibile futuro da tossici e ci siamo dati al calcetto. Molto più semplice e divertente. Adesso dovrò dire addio anche a quello. Ma non è questo a farmi male, inutile che ci giri intorno. L'unica a cui non riesco davvero a rinunciare è ariana. Non posso credere che non la vedrò più, è contro natura. È il mio primo amore, mi fa battere il cuore, ba- sta un suo sguardo a stroncarmi le gambe: diventano pesanti e non ne vogliono più sapere di andare avanti. E poco importa se per lei sono trasparente, anzi se mi piglia pure in giro. Mi chiama Naso, co- me tutti, anche se detta da lei la cosa mi ferisce di più. In fondo è nell'ordine delle cose, lei è una ragazza bellissima, la più bella di tutto il liceo, io solo uno sfigato come tanti, con i brufoli, un bec- co al posto del naso e le spalle spioventi. Assolutamente inade- guato. L'unica cosa in comune è la passione per l'italiano, siamo i migliori della classe. «Certo che scrivi bene, Naso», lei mi ha detto un giorno, «a vederti non si direbbe». Ho riso come un cretino: «Nean- che tu hai le phisique du role», ho ribattuto, piccato. In realtà avrei voluto dirle che per lei ho scritto poesie bellissime, che tengo ov- viamente nascoste in un cassetto in camera mia. Ci mancherebbe solo di fare il patetico, la sola idea mi mette la pelle d'oca. Ho fatto spallucce e me ne sono andato. ariana ha grandi occhi castani; pur senza un filo di trucco sono bellissimi. Le altre ragazze si mettono in ghingheri, indossano gonne corte e magliette attillate. Lei veste solo jeans e t-shirt ano- nime, eppure riesce a surclassare tutte. Somiglia vagamente ad An- gelina Jolie ma è molto più bella, sicuramente più vera. Mai una posa, nessuna civetteria, riesce ad essere l'essenza della femminilità anche senza intenzione. Insomma è il massimo e io il minimo. Ho provato in tutti i modi a rendermi più interessante, più virile. Mi so- no fatto crescere la barba, se si possono chiamare così quei quat- tro peli che mi sporcano il viso. Qualche volta provo pure a spa- rarmi le pose da introverso intel- lettuale, il che potrebbeanche fare figo. Peccato che poi, di solito, sul più bello arriva sempre Antonio con le sue battute ebeti, le pacche sulla spalla, gli scherzi e io ogni volta devo abbozzare. Ma tanto non c'è partita, lo so. Ho messo tutto in conto e non spero altro che poterle stare vicino, guardar- la, osservarla cercando di non far- mi vedere. Sono puerile ma non mi importa. Ho letto da qualche parte che un uomo innamorato cede le armi e diventa indifeso. È assolutamente vero. La mia è una partita persa per questo; invece di giocarla, abbasso le armi. Inutile pensarci, tanto adesso è tutto dav- vero finito. Tifo da stadio, le ra- gazze hanno messo a segno un altro punto, si abbracciano e no tutte insieme verso l'alto. Per un attimo, un attimo solo, mi pare che ariana mi guardi. Mi baste- rebbe potere rimanere qui a illu- dermi. Che cosa chiedo in fondo? Maledetto mio padre, la sua pro- mozione e quella città sul mare che non conosco ma odio già, con tutto me stesso. Due giorni anco- ra, due giorni soltanto vicino al mio amore, mi viene un groppo alla gola. Ci mancherebbe solo di mettermi a piangere come un bambino, meglio fare il giullare. La partita è finita, scendiamo tutti in campo, baci e abbracci, io fac- cio il sufficiente. Sarà che ho una rabbia dentro, ma divento pure antipatico. «Se c'è una cosa che non mi mancherà», dico a ariana, «sono queste partite da oratorio». «Ma vai un po' a quel paese!», la risposta me la sono meritata e sì, purtroppo ci vado davvero a quel paese. Due giorni soltanto e spari- sco per sempre dalla tua vita. Lo penso soltanto, non lo dico, in fondo ho già parlato troppo. 2 giugno 2010 La primavera non s'è vista, colpa della dannata nuvola uscita da un dannato vulcano che per fortuna ha smesso di eruttare lapilli e fu- mo. In compenso l'estate è scop- piata all'improvviso. Fa un caldo bestia ma tutto sommato tollera- bile. Qui al mare perlomeno. Per questo tutti hanno deciso di emi- grare, complici il sole e il we- ekend di festa gli italiani sono impazziti. L'ha detto persino la tv. I luoghi di villeggiatura, spiagge in prima fila, sono state prese d'assalto. Lo so perché da Jesolo tino a Union Lido ci ho messo un'ora buona, maledicendo il fat- to di non avere preso la moto. Ma chi poteva immaginarselo un ser- pentone di auto lungo dieci chilo- metri? Sono arrivato al villaggio in ritardo. In fondo mi piace lavo- rare qui. Mi pagano bene e faccio poco e niente. Resto a disposizio- ne, come si suoI dire, perché il resort è grande, ci sono ben due parchi acquatici e capita che qualcuno si fac- cia male, scor- razzando a piedi nudi lungo il bordo delle pi- scine. C'è la vigilanza ma i ragaz- zi, si sa sono intemperanti. A volte però arriva anche qualche persona anziana, un piccolo malore, un giramento di testa e vengono da me, che provo la pressione, di- spenso consigli e pillole, più sem- plicemente offro rassicurazioni. Così va il mondo. aggi però non si vede un cane, meglio così, sto leggendo un legaI thriller che mi prende un sacco. È la storia di un omicida seriale, certe descri- zioni sono da brivido. Infatti sobbalzo, quando qualcuno bus- sa alla porta. Chiudo il libro. Imposto la voce, dico «avanti» e poi non credo ai miei occhi. Ma questa splendida donna, sì, non ci sono dubbi, è proprio ariana; avanza verso di me zoppicando, sorretta da un marcantonio alto più o meno un metro e novanta. «Una brutta storta, dottore, spero di non essermi rotta niente, grazie Roberto», dice. L'energumeno gi- ra i tacchi e per fortuna se ne va chiudendo la porta, ariana ha pre- so posto davanti a me. Sono in controluce, forse non mi ha visto bene. Le vado vicino. «ariana Galimberti?», chiedo, sapendo già la risposta. Alza gli occhi, mi fissa. «Non ci posso credere! Ruggero Cini», perlomeno si ricorda di me. Un attimo dopo siamo persi nei ri- cordi. «Mi è davvero spiaciuto quando te ne sei andato, ci ho speso anche qualche lacrima, avevo una cotta per te, lo sai?». Lo dice tutto d'un fiato e mi pare anche che diventi rossa. «Eri co- sì diverso da tutti, così profondo, almeno in certi momenti, perché quando invece stavi con Antonio diventavi insopportabile, mi hai sempre ghiacciata con certe bat- tutine al fulmicotone!». E d'improvviso mi batte il cuore come quando avevo sedici an- ni. «Una cotta per me? Ma dai non prendermi in giro! Allora per tutti ero solo Naso». Mi guar- da seria. «Non per me, eri molto di più, sei stato, adesso te lo posso dire, il primo amore, anche se segreto e tu non mi guardavi neppure, tutti mi fa- cevano il filo tranne te», Colpito e affondato. «Invece ti guardavo eccome, eri un fiore, che adesso, sbocciando è diventa- to ancora più bello», mi lascio scappare, poi cambio registro, sa- no davvero imbarazzato. Mi abbasso, le prendo in mano la caviglia. «Fammi un po' ve- dere cosa hai fatto a questa zam- pa», scherzo. Lei emette un gri- dolino di dolore. «Forse è meglio se ti stendi sul lettino», la invito, sostenendo la. Sono passati un bel po' di anni ma lei mi fa anco- ra lo stesso travolgente effetto. Cerco di essere professionale. Le stendo una pomata sul piede dolorante, le faccio una fasciatu- ra contenitiva. «Niente di grave, ma ti farà un po' male, non devi camminarci su, tieni la caviglia a riposo. Mi spiace per la tua gamba e per la vacanza finita male, ti fermi molto?». «No, ripartiamo domani e mi di- spiace un sacco perché il mare, il villaggio sono bellissimi». «Quello fuori è il tuo ragazzo?», chiedo. «Sì, siamo venuti anche con altri quattro amici». «A quanto pare ha grandi spal- le», scherzo, «non farà fatica a sostenerti». Ride e abbassa gli occhi. Sono an- cora bellissimi, di più. «Vedo che hai imparato anche tu a truccarti», constato. «Solo un po', giusto il mascara e un velo di rossetto», ammette. Le giro le spalle, mi av- vicino alla vetrinetta dei medici- nali. Le tendo qualche bustina di antinfiammatorio. «Prendile dopo cena e dopo pranzo, obbligatoriamente a sto- maco pieno», raccomando. È giunto il momento di accomia- tarci. La aiuto ad alzarsi. "An- che tu mi piacevi da morire", vorrei dirle, "mi piacevi a tal punto che non te l'ho mai detto e non riesco a farlo neppure adesso. Ai tempi non sopporta- vo l'effetto che mi facevi, tutto quel subbuglio e per questo ti trattavo male, ti vedevo così vul- nerabile, così semplicemente splendida e mi sentivo inade- guato". Pensieri inespressi, che chiudo dentro di me. Non avreb- be senso, una ades- so, con il suo fidanzato che la aspetta fuori. Le tendo la mano. Le do un bacio sulla guancia. «[o lavoro qui tutta l'estate», spiego, «se decidi di tornare mi trovi in questo studio». La guar- do andare via, abbracciata al cul- turista. È uscita dai miei sogni dodici anni fa per ritornarci pre- potentemente all'improvviso. Sento ancora, come un tempo uno strano languore che mi pren- de allo stomaco. Magari tornerà a Union, il posto merita. Meglio se sola. Tra noi del resto, a quanto pare, è rimasto qualcosa di incompiuto. Chissà. Ruggero (testo raccolto da Elvia Grazi)

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"Anche tu mi piacevida morire", vorrei dirle.

Ma il suo fidanzatoènfuori che l'aspetta

. 8 giugno 1998

Con i pantaloncini cortidella pallavolo Oriana è,se possibile, anche piùbella. I capelli lunghi,fermati in una coda,

danzano a ogni suo salto e le rica­dono sulle reni. Gambe lunghe datrampoliere, il seno appena ac­cennato eppure bellissimo, sodo,da perderei la testa. Ma io cereo dinon guardarla. Torneo scolasticodi fine anno, tutti in palestra a fareil tifo. Due giorni alla fine dellascuola, aria di festa, e invece sonotriste da morire. Ci sono passaggiepocali che sai già si fisserannodentro di te. Questo è uno di quel­li. Cambio casa, cambio scuola ecittà. Mio padre è stato promos­so, chiamato a dirigere una filialeimportante della ditta per cui la­vora. Il fatto che sia a 300 chilo­metri da qui, dal mio mondo, datutto quello che amo di più, parenon interessare a nessuno. Si dàper scontato che la famiglia si tra­sferisca, senza problemi. Mia so­rella è addirittura felice: «Vado avivere al mare», dice a tutti. Bellasoddisfazione. Ma Patrizia è cre­tina e poi ha solo dieci anni e p0­

chi amici, forse nessuno, le im­porta un baffo di lasciare Milano.lo invece ci divento matto. Ho so­lo sedici anni, troppo pochi perdecidere della mia vita. Dovreidare un colpo di spugna a tutto.«Sei così giovane, ci metterai p0­

chi giomi a farti dei nuovi amici»,mia madre mi consola. Balle. An­tonio lo conosco fin dalle elemen­tari, insieme facciamo le scematepiù grosse. Un paio di volte ci sia­mo anche fatti una canna. Per sen­tirci più grandi, forse. Invece ab­biamo tossito come matti, ci sia­mo intossicati e non abbiamoprovato niente, nulla di sensazio­nale o degno di nota, al massimoci girava un po' la testa. Così ab­biamo detto addio senza troppirimorsi a un possibile futuro datossici e ci siamo dati al calcetto.Molto più semplice e divertente.Adesso dovrò dire addio anche aquello. Ma non è questo a farmimale, inutile che ci giri intorno.

L'unica a cui non riesco davvero arinunciare è ariana. Non possocredere che non la vedrò più, ècontro natura. È il mio primoamore, mi fa battere il cuore, ba­sta un suo sguardo a stroncarmi legambe: diventano pesanti e nonne vogliono più sapere di andareavanti. E poco importa se per leisono trasparente, anzi se mi pigliapure in giro. Mi chiama Naso, co­me tutti, anche se detta da lei lacosa mi ferisce di più. In fondo ènell'ordine delle cose, lei è unaragazza bellissima, la più bella di

tutto il liceo, io solo uno sfigatocome tanti, con i brufoli, un bec­co al posto del naso e le spallespioventi. Assolutamente inade­guato. L'unica cosa in comune èla passione per l'italiano, siamo imigliori della classe.«Certo che scrivi bene, Naso», leimi ha detto un giorno, «a vedertinon si direbbe».Ho riso come un cretino: «Nean­che tu hai le phisique du role», horibattuto, piccato. In realtà avreivoluto dirle che per lei ho scrittopoesie bellissime, che tengo ov-

viamente nascoste in un cassettoin camera mia. Ci mancherebbesolo di fare il patetico, la sola ideami mette la pelle d'oca. Ho fattospallucce e me ne sono andato.ariana ha grandi occhi castani;pur senza un filo di trucco sonobellissimi. Le altre ragazze simettono in ghingheri, indossanogonne corte e magliette attillate.Lei veste solo jeans e t-shirt ano­nime, eppure riesce a surclassaretutte. Somiglia vagamente ad An­gelina Jolie ma è molto più bella,sicuramente più vera. Mai una

posa, nessuna civetteria, riesce adessere l'essenza della femminilitàanche senza intenzione. Insommaè il massimo e io il minimo. Hoprovato in tutti i modi a rendermipiù interessante, più virile. Mi so­no fatto crescere la barba, se sipossono chiamare così quei quat­tro peli che mi sporcano il viso.Qualche volta provo pure a spa­rarmi le pose da introverso intel­lettuale, il che potrebbe anche farefigo. Peccato che poi, di solito, sulpiù bello arriva sempre Antoniocon le sue battute ebeti, le pacchesulla spalla, gli scherzi e io ognivolta devo abbozzare. Ma tantonon c'è partita, lo so. Ho messotutto in conto e non spero altroche poterle stare vicino, guardar­la, osservarla cercando di non far­mi vedere. Sono puerile ma nonmi importa. Ho letto da qualcheparte che un uomo innamoratocede le armi e diventa indifeso. Èassolutamente vero. La mia è unapartita persa per questo; invece digiocarla, abbasso le armi. Inutilepensarci, tanto adesso è tutto dav­vero finito. Tifo da stadio, le ra­gazze hanno messo a segno unaltro punto, si abbracciano e salt~­

no tutte insieme verso l'alto. Perun attimo, un attimo solo, mi pareche ariana mi guardi. Mi baste­rebbe potere rimanere qui a illu­dermi. Che cosa chiedo in fondo?Maledetto mio padre, la sua pro­mozione e quella città sul mareche non conosco ma odio già, contutto me stesso. Due giorni anco­ra, due giorni soltanto vicino almio amore, mi viene un groppoalla gola. Ci mancherebbe solo dimettermi a piangere come unbambino, meglio fare il giullare.La partita è finita, scendiamo tuttiin campo, baci e abbracci, io fac­cio il sufficiente. Sarà che ho unarabbia dentro, ma divento pureantipatico. «Se c'è una cosa chenon mi mancherà», dico a ariana,«sono queste partite da oratorio».«Ma vai un po' a quel paese!», larisposta me la sono meritata e sì,purtroppo ci vado davvero a quelpaese. Due giorni soltanto e spari­sco per sempre dalla tua vita. Lopenso soltanto, non lo dico, infondo ho già parlato troppo.

2 giugno 2010La primavera non s'è vista, colpadella dannata nuvola uscita da undannato vulcano che per fortunaha smesso di eruttare lapilli e fu­mo. In compenso l'estate è scop­piata all'improvviso. Fa un caldobestia ma tutto sommato tollera­bile. Qui al mare perlomeno. Perquesto tutti hanno deciso di emi­grare, complici il sole e il we­ekend di festa gli italiani sonoimpazziti. L'ha detto persino la tv.

I luoghi di villeggiatura, spiaggein prima fila, sono state presed'assalto. Lo so perché da Jesolotino a Union Lido ci ho messoun'ora buona, maledicendo il fat­to di non avere preso la moto. Machi poteva immaginarselo un ser­pentone di auto lungo dieci chilo­metri? Sono arrivato al villaggioin ritardo. In fondo mi piace lavo­rare qui. Mi pagano bene e facciopoco e niente. Resto a disposizio­ne, come si suoIdire, perché ilresort è grande,ci sono ben dueparchi acquaticie capita chequalcuno si fac­cia male, scor­razzando a piedinudi lungo ilbordo delle pi-scine. C'è la vigilanza ma i ragaz­zi, si sa sono intemperanti. A volteperò arriva anche qualche personaanziana, un piccolo malore, ungiramento di testa e vengono dame, che provo la pressione, di­spenso consigli e pillole, più sem­plicemente offro rassicurazioni.Così va il mondo. aggi però nonsi vede un cane, meglio così, stoleggendo un legaI thriller che miprende un sacco. È la storia diun omicida seriale, certe descri­zioni sono da brivido. Infattisobbalzo, quando qualcuno bus­sa alla porta. Chiudo il libro.Imposto la voce, dico «avanti» epoi non credo ai miei occhi. Maquesta splendida donna, sì, nonci sono dubbi, è proprio ariana;avanza verso di me zoppicando,sorretta da un marcantonio altopiù o meno un metro e novanta.«Una brutta storta, dottore, spero

di non essermi rotta niente, grazieRoberto», dice. L'energumeno gi­ra i tacchi e per fortuna se ne vachiudendo la porta, ariana ha pre­so posto davanti a me. Sono incontroluce, forse non mi ha vistobene. Le vado vicino.«ariana Galimberti?», chiedo,sapendo già la risposta.Alza gli occhi, mi fissa. «Non ciposso credere! Ruggero Cini»,perlomeno si ricorda di me. Unattimo dopo siamo persi nei ri­cordi. «Mi è davvero spiaciutoquando te ne sei andato, ci hospeso anche qualche lacrima,avevo una cotta per te, lo sai?».Lo dice tutto d'un fiato e mi pareanche che diventi rossa. «Eri co­sì diverso da tutti, così profondo,almeno in certi momenti, perchéquando invece stavi con Antoniodiventavi insopportabile, mi haisempre ghiacciata con certe bat­tutine al fulmicotone!».

E d'improvvisomi batte il cuorecome quandoavevo sedici an­ni. «Una cottaper me? Ma dainon prendermiin giro! Alloraper tutti ero soloNaso». Mi guar­da seria. «Non

per me, eri molto di più, sei stato,adesso te lo posso dire, il primoamore, anche se segreto e tu nonmi guardavi neppure, tutti mi fa­cevano il filo tranne te»,Colpito e affondato. «Invece tiguardavo eccome, eri un fiore,che adesso, sbocciando è diventa­to ancora più bello», mi lascioscappare, poi cambio registro, sa­no davvero imbarazzato.Mi abbasso, le prendo in manola caviglia. «Fammi un po' ve­dere cosa hai fatto a questa zam­pa», scherzo. Lei emette un gri­dolino di dolore. «Forse è megliose ti stendi sul lettino», la invito,sostenendola. Sono passati unbel po' di anni ma lei mi fa anco­ra lo stesso travolgente effetto.Cerco di essere professionale.Le stendo una pomata sul piededolorante, le faccio una fasciatu­ra contenitiva. «Niente di grave,

ma ti farà un po' male, non devicamminarci su, tieni la cavigliaa riposo. Mi spiace per la tuagamba e per la vacanza finitamale, ti fermi molto?».«No, ripartiamo domani e mi di­spiace un sacco perché il mare,il villaggio sono bellissimi».«Quello fuori è il tuo ragazzo?»,chiedo. «Sì, siamo venuti anchecon altri quattro amici».«A quanto pare ha grandi spal­le», scherzo, «non farà fatica asostenerti».Ride e abbassa gli occhi. Sono an­cora bellissimi, di più. «Vedo chehai imparato anche tu a truccarti»,constato. «Solo un po', giusto ilmascara e un velo di rossetto»,ammette. Le giro le spalle, mi av­vicino alla vetrinetta dei medici­nali. Le tendo qualche bustina diantinfiammatorio.«Prendile dopo cena e dopopranzo, obbligatoriamente a sto­maco pieno», raccomando. Ègiunto il momento di accomia­tarci. La aiuto ad alzarsi. "An­che tu mi piacevi da morire",vorrei dirle, "mi piacevi a talpunto che non te l'ho mai dettoe non riesco a farlo neppureadesso. Ai tempi non sopporta­vo l'effetto che mi facevi, tuttoquel subbuglio e per questo titrattavo male, ti vedevo così vul­nerabile, così semplicementesplendida e mi sentivo inade­guato". Pensieri inespressi, chechiudo dentro di me. Non avreb­be senso, una confes~ione,ades­so, con il suo fidanzato che laaspetta fuori. Le tendo la mano.Le do un bacio sulla guancia.«[o lavoro qui tutta l'estate»,spiego, «se decidi di tornare mitrovi in questo studio». La guar­do andare via, abbracciata al cul­turista. È uscita dai miei sognidodici anni fa per ritornarci pre­potentemente all'improvviso.Sento ancora, come un tempouno strano languore che mi pren­de allo stomaco.Magari tornerà a Union, il postomerita. Meglio se sola. Tra noi delresto, a quanto pare, è rimastoqualcosa di incompiuto. Chissà.

Ruggero(testo raccolto da Elvia Grazi)

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