Anche gli organismi edilizi di scala maggiore, in primo ... · Eppure gli edifici progettati da...

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"Anche gli organismi edilizi di scala maggiore, in primo luogo il palazzo di Federico, visti da lontano non si presentano come sistemi unitari, ma come aggregazione di sistemi minori ; così armonizzano felicemente con il resto della città, perché non si paragonano alle singole case, ma alle masse edilizie distribuite nel paesaggio, da cui si distinguono per l'addensamento e la distribuzione intenzionale dei fuochi prospettici, non per un diverso ingombro."i Leonardo Benevolo, Storia dell'architettura del Rinascimento, Bari 1973 fucol'là di architettura del politecnico di milano bovisa, aa 1 998/99 laboratorio di progettazione architeltonica I, prof. l*tarcello De Carli nuvole a porto, di alessandro floris

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"Anche gli organismi edilizi di scala maggiore, in primo luogo il palazzo di

Federico, visti da lontano non si presentano come sistemi unitari, ma come

aggregazione di sistemi minori ; così armonizzano felicemente con il resto

della città, perché non si paragonano alle singole case, ma alle masse

edilizie distribuite nel paesaggio, da cui si distinguono per l'addensamento

e la distribuzione intenzionale dei fuochi prospettici, non per un diverso

ingombro."i

Leonardo Benevolo, Storia dell'architettura del Rinascimento, Bari 1973

fucol'là di architettura del politecnico di milano bovisa, aa 1 998/99

laboratorio di progettazione architeltonica I, prof. l*tarcello De Carli

nuvole a porto, di alessandro floris

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il panorama architettonico/culturale/politico portoghese

la scuola di porto

porto

il sito

la prima fase

I'edificio

alvaro siza

Questi, forse altri, forse gli uni e gli altri saranno stati gli argomenti della comunicazione di mercoledì,

comunicazione chiaramente imperfetta. A chi volesse rivedere o approfondire quanto detto quel

giorno, lascio una bibliografia di riferimento.

Non essendo nulla da studiare (forse solo studere, per chi vuole), né tantomeno da sapere, mi è

sembrato inutile riscrivere le cose che avrò detto -e che tra l'altro non posso conoscere prima che mi

siano uscite di bocca. Qui piuttosto ho raccolto alcune impressioni ed una descrizione d'insieme

dell'edificio. Ho tentato di raccontare un luogo, parlando di architettura come ne dovessi parlare a chi

ne volesse udire. Per cui se non vi interessa, non fatevi le fotocopie di questi fogli.

Escuta, escuta : tenho ainda

uma coisa a dizer.

Nao é importante, eu sei, nao vai

salvar o mundo, nao mudarà

a vida de ninguém -mas quem

è hoje capaz de salvar o mundo

ou apenÉls mudar o sentido

da vida de a§uem ?

Escuta-me, nao te demoro,

È coisa pouca, como a chuvinha

que vem vindo devagar.

Sao tres, quatro palavras, pouco

mais. Palavras que te quero confiar.

Para que nao se extinga o seu lume,

o seu lume breve.

Palavras que muito amei,

que talvez ame ainda.

Elas sao a casa, o sal da vida,

eugenio de andrade, o alda lìngua

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'insediamento della Facultade de

Arquitectun de Porto ii(FAUP) viene

progettato dall'architetto portuense Alvaro

Siza nella seconda metà degli anni ottanta,

e comprende sostanzialmente due interventi

successivi inseriti in un più vasto piano-bazar di

nuove strutture universitarie nella periferia

occidentale di Porto, poco prima del gigantesco,

spettacolare -e un po' confuso- ponte

cementizio a campata unica detto di Arabida,

che costituisce oggi il principale confine visivo

(nella sua estensione) e il principale accesso

(nella sua sezione, francamente) alla città.

Nel caso voleste recarvi a visitarla (anche

voi...dio...ma ne vale la pena) I'indirizzo è rua

do fiolgota 215, ma non fateci troppo

affidamento : primo, perché nonostante anche il

mio personale idraulico conoscesse il simpatico

Alvaro (ormai icona nazionalpopolare

taumaturgica quanto la madonna catalana del

lulontsenafl, nessun tassista riuscirebbe ad

arrivarvi senza chiedere a voi (stranieri,

sorpresi, ed anche contenti di vedere che non

solo l'ltalia è messa male) dove diavolo si trovi

questa cazzo di rua; secondo, perché se

decideste di raggiungerla a partire dalla riva

superiore del Douro, tentando la scalata al

monte che sovrasta lvlassarelos, vi rendereste

conto che non solo era meglio un taxi, ma che

di ruas do Golgotace ne sono almeno sei, tre di

una pendenza che sembra uno scherzo, due in

forma di scalinata, ed una in pianura. Di queste,

sappiate, ve ne serve solo una (cioè l'ultima che

esplorerete, per la quarta legge di Murphy) la

quale vi condurrà, stremati, alla settima e

discendente rua do 6olgota, dove riconoscerete

subito, incastrate in un rovinoso portale del

settecento, alcune nuvole dagli angoli troppo

angoli per essere le rotondità di un cirro :

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benvenuti alla FAUP (e complimenti per aver

scoperto perché la zona sia denomin ata do

6olgota),

Tutto ciò per dirvi semplicemente, e per farvelo

comprendere, che questa parte di città è

dawero sfigata, assomiglia ad una cittàstudi in

pendenza, che alle dieci di una sera d'inverno

potreste incontrarvi solo uno studente italiano

col tubo al collo che mestamente cerca la via di

casa oppure il caro Joao, barbone umbratile che

vive sotto il viadotto che scorre alle spalle della

Facoltà, sfrecciante e cromato in direzione

Lisboa. Qualcuno un p0'brillante a Porto ha

deciso di occupare la periferia cittadina infilando

dove possibile le università, che infine hanno

preso possesso di due zone, una a settentrione,

al principio delle pianure, tra la clrcunvallagao e

la cintura interna,l'altra qui, accanto a rua do

Canpo Alegre, tappando tutti i buchi edificabili

(quelli liberi) intorno alla Panoranka, raccordo

dal quale non si vede assolutamente niente e

che si percorre praticamente in derapata

pregando di terminare il più in fretta possibile i

trecentosessanta gradi che la congiungono al

ponte da Arrabida, da cui si dominano fiume e

oceano -e che almeno una volta va percorso a

piedi.

Ciò awiene nonostante la non lieve differenza

che corre tra un pezzo di nebbiosa pietra

grigiopolitecnico e questo angolo di paradiso,

fatto di piante secolari e di cielo blu, seriamente

blu, come il Douro da questa distanza e

I'oceano non al tramonto, quando riflette tutta

la luce e i colori necessarj a dimenticare il

concetto del buio e l'esperienza del televisore in

bianco e nero.

Questa era una parte inutile di Porto, dai

dislivelli cattivi ed ai margini di tutto, troppo

lontana dal centro e da Foz, nell'unico punto

equidistante per inutilità dal fiume e dall'oceano.

Per questo è rimasto un vuoto tra i poverissimi

insediamenti delle ruas do Golgota (a valle di

questa parte di mondo), uno stabilimento di

cemento ai piedi del ponte e quattro case

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raggera, parallela rispetto al rio Douro, è lRdominante rispetto alfiume ed all'0ceano Mare, (p

ancora più povere che sono soprawissute su

Canpo Alegre: oggi, grazie ad uno svincolo

modello highway provinciale, stile Mariano

Comense, la zona è fortemente rivalutata,

perlomeno tra esso e il radicatissimo BonSucesso, dove infatti si accavallano miliardi di

centri commerciali. Dove non passa cristo,

invece, ecco le università (che tanto non

rendono, beato Iiberismo).

Tale "vuoto urbano" (locuzione inventata da un

architetto castrato, evidentemente) era ed è

meravigliosamente pieno, fatto di piante dalla

dimensione e dalla bellezza sconcertanti, poste

a raggera da sud-est (il punto più alto) a sud-

ovest, perfetto emiciclo solare che neanche F,

Ll. Wright ha mai realizzato. La posizione della

così che si gode di una vista a centottanta gradi

dalla città all'orizzonte rinascimentale. Un luogo

inutile, dunque, ma perfetto,

Per questo la Quinta da Povoaconteneva solo

una grossa residenza nobiliare in stile inglese,

collocata sul cocuzzolo più elevato dell'emiciclo,

da cui è possibile godere della luce e delle viste

migliori, il cui piacere è tale da aver suggerito

nel passato la costruzione di un delicato

pensatoio metallico verso le Americheiii.

Decine di edifici stanno nascendo oggi tra le

pietre di questo colle ; molti, ingrati, Io

sbancano, altri vi si appoggiano, estirpando

comunque gli antichi abitanti lignei che

chiedevano di partecipare; tutti tentano di

mostrarsi, piccoli esibizionisti repressi, tra le

sue pieghe, e per questo nascono già troppo

adulti (in allezza, non in saggezza)

affannandosi per prenotare un posto alla

Panaranica, megascreen metropolitano \attraverso il quale si presentano alla città. Un

braccio d'asfalto chiude la quinta e tutti questi

mattoni tentano di aggrapparvisi mostrando la

loro bella faccia, tralasciando anche solo di

considerare la poesia sottile e delicata che si

raccontano, a braccio, gli alberi e I'orizzonte.

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La Facoltà è forse l'unico edificio praticamente

invisibile dalla Panoramica, raggiungibile solo

con molta fede (e dunque solo da chi vuole o è

costretto a visitarlo) essendo quasi una visione

improwisa per chi giunge dalla strada, protetto

com'è a nord dalla macchia, a est dalla residua

Quinta da Povoa (che rientra comunque

nell'intervento siziano della facoltà

d'architettura), a ovest dal viadotto del

raccordo.

Eppure gli edifici progettati da Siza sono assai

visibili, e fanno bella mostra di loro stessi nella

cornice unitaria della città, che voi la ammiriate

dai ponti (altissimi sul livello del fiume) o dalle

rive del Douro. Sorgono al limite della città, tra

gli alberi, ma ai loro piedi stanno quartieri

storici (nel vero senso della parola, alcuni

perché vecchi, altri perché rivoluzionari, quelli

del SML), e da essi sembrano, pur nella loro

indipendenza formale e spaziale -si direbbe

sostanziale- che traggano spunto per elevarsi,

per costruirsi, come se non fossero opera

umana bensì cresciuti autonomamente, automi

costruiti dagli automi, città figlia di se stessa

(con buona pace degli architetti).

Sarà forse per questa strana forma di auto-

discendenza, però il fatto è che ben in pochi si

accorgono della facoltà di architettura. Voglio

dire che a parte i sospiri di studenti ed architetti

più vaccinati (c'è chi arriva ad ansimare) tutta

questa roba bianca, in realtà, non se la caga

nessuno. Seppure tutti [a possano

riconoscere,tra gli altri palazzi, il giudizio del

portuense medio (ammesso che io lo conosca,

cosa non vera, ma da scrittore me ne frego e lo

intuiscoi,) è di indifferenza : nessuno, passando,

si ferma ad osservarlo come fenomeno da

circo ; nessuno passando, lo depreca, Anche

quelle finestre immense, quando ci sono, o

certe azzardate pensiline, alla fine mettono in

pensiero solo noi, giacchè, all'abitante medio,

non glie ne cala', Cefto quando uno di essi vi

entra, a fronte di una scarsa attenzione per

cose a noi più evidenti, manifesta un certo

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gaudio vislvo {riprovazione o dubbio mai : Siza,

in patria, è un santo) : ma se non perturbiamo

la situazione che stiamo osservando (sempre

che ciò sia possibile), evitando di chiedere

giudizj a chicchessia, quel certo anonimato a cui

ho accennato precedentemente ci deve far

riflettere, ben oltre le normali riflessioni sulla

poetica o altre simpaticherie di cui comunque

dobbiamo continuare a renderci colpevoli.

Perché quel nascere dalla città, quell'essere

indifferente, cioè, sempliceme nle, non differente

da altriluoghidella città, per la popolazione, è

segno di una sensibilità spesso perduta dalla

pratica architettonica di questo secolo, forse

perduta nel periodo rivoluzionario del

movimento moderno (e dunque più che perduta,

volontariamente abbandonata) e non ritrovata

in seguito, né dai varj neo-ismi né dal post-

moderno, anzi.

Dalla costa ,a margem, appaiono quattro edifici,

regolati nelle distanze attraverso lo stesso

passo, che produce un distanziamento regolare

semplice tra i primi e, tra gli ultimi due,

"quadruplo" dato dalla mancanza di un quinto

edificio, ad essi intermedio.La separazione tra i

corpi e il loro inserimento paesaggistico tra i

terrazzamenti del Douro e un bosco di cipressi

e alberi di cui francamente ignoro la qualità (ci

sono dei platani e delle querce assai particolari,

ma anche altri cosi atlantici) accentua Ia loro

verticalità e la evidente parentela con la figura

tipica del panorama urbano portoghese, data da

famose, infinite ed infinitamente varie sequenze

di facciate alte fino ai sette, otto piani su lotti

modulatitra i quattro e i sette metri di

larghezza (così, ad occhioui) ; figura derivata

dalla diffusione del medievale arcinoto forse

ignoto lotto gotico (in pianta, stretto e lungo,

perpendicolare alla strada, con la quale

condivide il suo lato corto), ma poi applicata

con pressocchè felice consonanza fino ai giorni

nostri (addirittura nel vicino centro di

Matosinhos), ed in particolare nel secolo XlX.

Ho detto pressocchè felice perché in realtà le

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condizioni igieniche non solo delle abitazioni al

loro interno, ma anche delle sole strade,

risultano spesso soffocate dagli alti palazzi:

fatto, questo, rimediato de veses en quando,

nel centro di Porto, attraverso strade ortogonali

a quella morente che, approfittando dei

dislivelli, conducono a lerrazze all'aria aperta

che dominano la città. ln qualche maniera Siza

ha costruito una cortina continua, dappoi

svuotandola e aprendo i volumi anche sui loro

fianchi, cercando l'aria ed i migliori orientamenti

per le varie parti degli edifici. Lo stiamo anc0ra

guardando da lontano, questo insieme di nuvole

angolose, ma quella strana grazia che all'inizio

parlava di incesti urbani sembra già essersi

tramutata in una forma di intelligenza

inconsueta, non diretta, ma non intuitiva, come

spesso si sente dire a proposito di quest'uomo

e delle sue architetture, piuttosto esperienziale,

più che empirica. Fa immaginare i disegni di un

vecchio, una persona invecchiata in un luogo,

che non lo analizza perché nemmeno immagina

che lo si possa poter fare ; lo conosce e Io usa

e vi interviene per uno scopo collettivo e, al

tempo, individuale (poetico) ; implicitamente

consonante, non mimetico.Così fa immaginare,

ma tralasciata la poesia che ci aiuta a pensare

un mondo migliore, sappiamo dell'uomo e della

sua fatica, della sua conoscenza esperienziale,

questo sì, e ci pare che la strada sia quella

buona.

La raggera di terreno che compone il sito si può

schematicamente dividere in due zone divise da

una considerevole differenza altimetrica : una

parte alta, di superficie minore e più

propriamente definibile come la Quinta da

Povoa, ed una posta circa cinque metri più a

valle ma di dimensioni decisamente maggiori ;

una terza (avevo detto due ?), ad est, precede

la quintafino al ciglio stradale della discendente

rua do Golgota. La raggera solare ha la forma

planimetrica di un triangolo (basta osservare la

mappa annessavii) e che dipende dal raccordo

viario a nord -ipotenusa- e dalla ruada est a

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ovest -cateti-, mentre topograficamente si

p0ssono distinguere due piani principali,

collegati tra di essi ed alla strada in maniera

assai articolata, che però ora non interessa

considerare (anche perché è un casino e

incastrarsi nella narrazione ha senso solo a

teatro).

Gli edifici che si notano dal fiume sono disposti

lungo uno dei cateti della parte inferiore, dove

pure si dispongono, a nord, le altre parti della

facoltà. Un insieme articolato di terrazzamenti

(complesso, ma non complicato, di per sé)

conduce invece alla superiore quinta, dalla

quale appaiono, dietro un ambrato muro di

contenimento, il volume di un'altra nuvola ad

angoli, piante tra Ie più splendide che Calvino

abbia mai immaginato e la copertura dell'antica ,

nuovo padiglione (detto "Carlos Ramos",

intitolato all'architetto che negli anni '40

dirigeva la ESBAPviii e innovatore della

consuetudine architettonica di quegli anni) oltre

allo splendido giardino prospiciente; la seconda

(1986/95, ma in effetti ancora in fase di

ultimazione) è invece costituita dai volumi che

formano lapiazza centrale, quelli con cui \normalmente viene identificata Ia FAUP. \Gli ingressi alla facoltà, sono due ; anzi, a -considerarli tutti sono almeno otto (se non più,Icosa peraltro sicura, a ben pensarci), e

comunque quello che conta dire è che non c'è

un ingresso principale, gerarchicamente

riconoscibile. Sono perfettamente leggibili e

comprensibili anche da lontano i punti

attraverso cui poter penetrare il corpo

edilizio(cosa non sempre facile, come sapete),

mentre ['identificazione di un ingresso

rappresentativo che da alcuni autori viene

raccontata è, perdonatemi, una vaccata. Poco

preoccupato di rappresentare un'istituzione, ed

L

residenza. Sui due piani altimetrici in effetti si t ')

identificano le due fasi in cui è stato effettuato ,9l'intervento: la prima (1985/86) comprende -,fdunque il riordino della villa rossastra che udomina il sito, del corpo delle ex-scuderie ed un

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invece carico del programma educativo e

simbolico di questa scuola in cui si concretano

dopo lunghi anni gli sforzi di un gruppo coeso e

rivoluzionario (nella realtà e nella storia

portoghese) di architetti portuensi, il complesso

sfrutta le potenziali caratteristiche d'uso

"aperto" che sono proprie di una struttura

universitaria contemporanea. Quello di cui si è

preoccupato maggiormente l'architetto pare

piuttosto essere la permeabilità dell'edificio, ed

ancora la sua percorribititài*. È come se la

matita avesse tracciato sul foglio prima i

percorsi, poi gli ambienti idonei ad essi

collegati. E evidente che così, realmente, non

possa essere, vuoi per il controllo dell'immagine

complessiva vuoi per gli orientamenti sempre

ottimali delle diverse zone ; ma proprio questo

fa pensare ad un lavorio continuo tra il

particolare ed il generale, i cui intenti

fondamentali, i cui principi non vengono mai

compromessi.

Due, dicevo, sono gli ingressi fondamentali, alle

due quote del colle. ll primo, alto, è quello che

un tempo segnava I'ingresso alla proprietà, e da

allora non è stato mutato, se non con l'aggiunta

di una microscopica targa in ottone. Quel che

invece ci annuncia l'essere giunti ad architettura

è l'immensa scritta nera, lasciata anni fa, che

approfittando dell'intonaco rosso pallido recita

"arquitectura no se ensina", motto inquietante

da principio, ma che alla fine non pare troppo

incredibile e che forse, chissà, proviene dalla

mano di qualche docente*..,Proprio sopra quella

porzione di muro si staglia il volume basso del

Carlos Ramos, mentre all'estremo opposto del

muro si eleva I'altrettanto rossastro casermone

nobiliare (assai più simpatico da quando è

divenuto un centro di ricerche -una sorta di

dipartimento generale). Varcata la soglia del

muro di cinta ci si trova accanto ad una fonte

settecentesca, circondati a sinistra dalla villa, a

destra dalle stalle ; di fronte a sé un giardino

spettacolare, fatto di profumi d'oltremare, di

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essenze d'ogni altrove, conservato per

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nobile signore che si chiama Tutti. Procedendo

a destra , accanto alle stalle, si arriva al

padiglione bianco, una c chiusa su se stessa,

che guarda la villa e di scorcio, il giardino,

rispetto alquale si pone a-simmetricamente,

evitando di dominarlo e di confrontarsi

disturbando it suo equilibrio. E che in effetti la

costruzione dipenda totalmente dalla

vegetazione appare chiaro quando ci si accorge

di quante e quali piante lo circondino, tanto da

chiedersi dove poi si sian fatte fondamenta. Di

sicuro non al suo angolo superiore, eliminato al

piano terra per evitare di intaccare le radici di

una quercia, ma mantenuto, con uno sbalzo di

quattro metri, al piano superiore ; che sorpresa'

vedere poi che il tutto è stato realizzato in

muratura portante I E questo non è l'unico

sgarbo fatto all'utile, ma insufficiente schema a

corte : ogni qualvolta alle esigenze del volume

seruisse o meno dello spazio, si è aggiunto o

sottratto il tanto necessario a fornire una panca,

aprire una finestra in una certa direzione o, che

s0, a porre delle scale. Soprattutto perché

mentre I'interno della corte è totalmente

trasparente, I'esterno è completamente chiuso,

bucato quando necessario e non più. ll muro

esterno protegge come una coperta fianchi e

coperture dal rumore della tanto vicina

Panoranka, distante non più di cinque metri. ll

silenzio è totale, Anche I'ambiguità spaziale

contribuisce con esso a rendere illusoria

l'atmosfera, Si tratta in sostanza di un grosso

atelier "diviso" in sei ambienti interconnessi ai

due piani dei tre bracci dell'edificio. La corte

non è mai più larga di sette metri, e quando si

lavora si può osservare il lavoro dei compagni in

ogni angolo delle sale (o con chi stia parlando

la propria bella al piano inferiore) : qui infatti si

svolge il lavoro di progetto del quarto ar'ìno -

perlomeno io questo vi ho fatto- praticamente il

progetto architettonico finale della carriera

universitaria portuense, che dovrebbe essere

condotto in stretta collaborazione con gli altri. I

due piani son sfalsati rispetto al terreno, così

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che all'ingresso è possibile raggiungere il piano

superiore con una rampa unica, ai cui lati pochi

gradini permettono di scendere al livello

inferiore. La scala, baroccheggiante, si divarica

verso l'alto, servendo due panche curve in

mogano simmetriche al piano superiore. ll

marmo che possiede gli scalini si avvolge su se

stesso ricoprendo come un blob le panche nella

parte muraria curva, alla quale si contrappone

la curva opposta che separa la distribuzione

dall'atelier, mentre sotto di esse, al piano

inferiore, la stessa divisione è compiuta tramite i

corpi dei servizi (minimi) e gli impianti. Quello

che colpisce maggiormente (oltre I'eccezionale

concezione della struttura, ma questo è altro

argomento*i) è la cura del dettaglio, tanto

materico quanto compositivo. Voglio cioè dire

non solo dei particolari tecnologici e linguistici

delle parli anche più minute dell'opera, che

coinvolgono pochissimi materiali (marmo e

mogano per le scale, graniglia di cemento a

terra, intonaco bianco e zoccolini in legno

verniciato che salgono anche a formare i quadri

delle porte), ma anche della incredibile

precisione, ad esempio, nel posizionare le

aperture sull'involucro esterno, che inquadrano

precisi scenari e che fanno pensare quasi ad

una progettazione "di cantiere", smentita però

dalla cura del disegno e dalle complesse

costruzioni geometriche.

Sono caratteri che ritornano in tutto l'intervento,

ma che in questo piccolo cirro angoloso sono

stati sperimentati la prima volta, come quando

si guarda un nube e vi si legge una figura, che

dopo -dopo- tentiamo di fissare ulteriormente.

Quello che sembra irripetibile è questa poesia

delicata del Carlos Ramos, che è sì propria

dell'autore anche nel secondo intervento, ma

che pare raggiungere intensità tanto più elevate

quanto in accordo con le poche cose che lo

circondano, similmente a quanto awiene nella

relazione tra il complesso e la città*ii,

Esattamente di fronte all'ingresso del Carlos

Ramos sta il piccolo passaggio (che non

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racconto perché non si può) che apre alla

seconda, unitaria parte della FAUP. Attraverso

una porta en pleln airci si ritrova all'estremità

più elevata del triangolo che costituisce la

piazza ed i camminamenti di raccordo della

facoltà ; di qui si dispongono tutti i volumi, quasi

scomposti a metà tra una visione cubista ed una

pittura duecentesca, per tanto vasta è la

possibilità di comprendere la disposizione dei

corpi. Alle nostre spalle scorre il muro di

contenimento della quintache mano a mano si

divide e si ramifica, conducendo verso I'angolo

a noi più prossimo ma anche verso varj punti

della piazza, il cui spazio risulta così contornato

-oltre che da esso-, da tre corpi interconnessi

che proteggono dalla strada a nord, e dai

singoli manufatti disposti lungo il versante sud,

l'uno parallelo all'altro ad eccezione del['ultimo,

ruotato ad assecondare la prospettiva, Subito si

nota come tutti, ma proprio tutti gli elementi

della composizione si appoggino su più livelli,

nonostante il terreno sia stato regolarizzato per

piani paralleli. I corpi singoli si appoggiano al

livello della rua do Golgota, ma i loro ingressi

stanno tre metri più in alto, alla quota della

piazza, Gli edifici a settentrione si muovono

invece sul pendio, limitandolo al contempo, ed

in particolare il volume della biblioteca risulta

sfalsato di circa quattro metri, rispetto alla

piazza: in realtà anche esso giunge più in

profondità, ma vi pone un auditorium e gli

impianti ; impianti che, solo ora si vedono con la

coda dell'occhio, compaiono tra i volumi a nord

e la strada panoramica, inseriti come sculture di

mattone facciavista in un piccolo bosco.

La piazza è come una immensaterrazza,la

quale gode della raggera solare attraverso il

filtro regolare dei quattro corpi meridionali, che

regalano sole e ombra e vista, godibile però a

pieno sulla terrazza minore ricavata

dall'eliminazione del quinto corpo (quello che,

mancandorii, quadruplica il loro passo). Su di

essa si aprono i singoli volumi, che contengono

il primo i laboratori informatici*i' , i successivi le

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aule di progetto dei primi tre anni di corso, ad

eccezione dei piani inferiori di ognuno (quelli

sotto il livello della piazza, dove trovano posto

gli uffici dei docenti). A quest'ultimo livello,

sotto la piazza, al suo estremo meridionale, un

corridoio collega i cinque volumi al coperto,

accompagnandoli sul lato cieco con un preciso

lavoro di carpenteria che contiene armadietti e

impianti ( !), su quello meridionale con una

vetrata continua ; in sostanza Ia copertura del

corridoio si comporta come uno sbalzo della

piazza, che tocca i singoli edifici con un giunto

di dilatazione.

I tre elementi del lato opposto contengono

invece tutte le funzioni comuni* (anche un

quarto volume più piccolo e collegato ad essi

contiene un analogo servizio, la caffetteria) e,

oltre ad aprirsi sulla piazza, sono collegati al

corridoio sottostante al vertice del triangolo

così composto, Tra di essi sono raccordati alle

diverse quote attraverso una sequenza di scale

e rampe che li legano secondo le attrezzature

principali : dall'auditorium maggiore alle

segreterie, poi ancora alle due sale espositive e

ancora su alla biblioteca.

A dire il vero il collegamento tra di essi è in

tutto simile al corridoio distributivo descritto per

il lato meridionale del complesso : supponendo

di partire dallo spazio della caffetteria, il quarto

piccolo volume, al piano a quota -3 metri, si ]

procede fino alla biforcazione col braccio a sud ;

proseguendo attraverso una rampa di scale ci si

ritrova di fronte alle segreterie, e imboccando la

rampa prospiciente (caratterizzata da una

lunghissima e sottilissim a fenetre en longueufi

si giunge al corpo emiciclico degli spazi

espositivi (mica poi tanti, due) e, da qui, o

attraverso una rampa circolare interna al

principale e irreale spazio mostre, oppure con

una scala a tenaglia, dopo di essa si arriva

finalmente alla biblioteca. ll controllo simultaneo

dei due percorsi divergenti lungo i.lati del

triangolo della piazza, uno rettilineo e l'altro

complesso, è sconcertantewi : al termine della

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biblioteca (di impostazione michelangiolesca, si

trova un piccolo lerrazzo esterno,

perfettamente allineato al termine del percorso

dal lato opposto della piazza. E sconcertante

perché non si tratta solo (certo Io è) di un

giochino formale : i percorsi, per quanto in

maniera assai differente, possiedono regole

proprie e un accurato disegno degli spazi

intermedi, di sosta o di servizio Che siano, come

pure li hanno i corpi che nel mentre sitoccano ;

perché inoltre il disegno complessivo del

progetto dimostra rispondenze geometriche e

compositive tra le parti che non negano, anzi,

aiutano la formazione di dettaglio dei singoli

ambienti e dei loro collegamenti. Certo , ancora

una volta, non è solo il mantenimento delle

regole di composizione dal generale al

particolare, ma anche quel lavorio sottile e

imponente che rimanda la progettazione da una

scala all'altra, come un'assonanza in poesia

riesce a scalfire una rima ed a introdurre una

successiva strofa. Forse era a questo che Le

Corbusier pensava quando si riferiva

all'euritmia.

Anche perché lo stesso ragionamento sui

percorsivale partendo non dalla caffetteria, alla

quota inferiore, ma alla quota della piazza, al

vertice di tutta la composizione, oltre il quarto

volume e in corrispondenza di una piccola

edicola a cielo aperto costruita con tutte le

stesse componenti dei successivi edifici, ma

riassunte in cinque metri quadrati. È il famoso

ingresso alla facoltà, che se tale è non lo

dimostra certo per qualità gerarchiche o per

differenze strutturali : piuttosto per una lezione

di gentilezza o, se si vuole, per intima poesia.

Vien da sorridere a vederlo, vengono i brividi

pensare che così sia stato prima disegnato

poi costruito.

E un piccolo scatolino trapezoidale, senza

soffitto, alto come un comune locale ; è bianbù

fasciato del medesimo granito dell'edificio,

composto e bucato ancora analogamente.

Possiede un ingresso dalla strada prowisto di

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cancello chiuso, saldato, non apribile. Dal lato

obliquo, tangente I'inizio del percorso, due

gradini permettono di salire al suo piano

lievemente rialzato e pavimentato con lo stesso

granito(differente dal primo) che incornicia le

bucature, Le fronde di un albero distante un

metro permettono di proteggersi anche dalla

pioggia novembrina che massacra in quel nese iq!le strade di Porto, e di affacciarsi sulla piccola

finestra che dal lato opposto a quello del

cancello permette di cogliere in una sola vista I

caratteristiche del complesso : i dislivelli, il

terrapieno, i percorsi, l'antica casa, gli alberi e

l'infilata dei quattro volumi a ritmo differente da

un lato, la cortina continua dall'altro.

Di fronte a questo, come al resto del

complesso, ai differenti modi esibiti di

appendere una pensilina, reggere uno sbalzo,

utilizzare un sistema costruttivo*ii

suggerendo.ne applicazioni dalla più grezza alla

più sofisticata, oppure ancora di fronte a quel

piccolo squarcio fatto con una penna

nell'isolante-intonaco nell'unico tratto dove si

interrompe la fasciazione di pietra che

normalmente lo impedisce (ossia nel piccolo

trapezio a cielo aperto), dicono della volontà di

mostrare, se non proprio insegnare,

I'architettura a chi la vuole apprendere. Eppure

quel che più si vorrebbe imparare, rimane la

poesia.

La poesia euritmica della composizione, ma

anche quella utile di una costruzione accurata

che svolge bene il proprio compito, e la poesia

diver-tita dei percorsi ; quella meditata del

dettaglio, ma anche quella ineffabile della luce,

portata negli ambienti più remoti con soluzioni

varie come deve essere una lezione

d'architettura, varie come vuole essere questa

architettura. Ma non si tratta di disomogeneità o

di dispersione : è una diversità necessaria,

svolta per permettere che ogni spazio interno

riceva la giusta luce che ne possa caratterizzare

uso e identità, tale da permettere la vita

piacevoledegli uomini. L'edificio non è solo

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involucro, né mera composizione (che perde

senso quando è bisturi dell'accademia), ma

contributo ad una vita migliore : i volumi

dell'edificio si dispongono verso sud a

raccogliere tutta I'aria possibile, permettendo

agli ambienti interni di bucarli per trovare la luce

che richiedono, proteggendoli dai raggi troppo

forti o distribuendo in più parti lo sforzo

costruttivo (il lavoro umano) del medesimo

lucernario. Non ho mai visto un ambiente privo

di illuminazione naturale. Anche nell'auditorim

principale è possibile richiamarla o escluderla.

Non ricordo un passaggio tra locali che non

comportasse un cambio di luce, né ho visto

ambienti di lavoro che almeno in una loro parte

non possedessero un affaccio all'esterno ed

una luce diretta, L'atelier del sesto anno è

esemplare. Si trova sopra l'auditium principale ,

è composto come una lunga navata unica

prowista di un lucernario che ditribuisce una

luce indiretta e diffusa utile al disegno. Ma poco

oltre il centro della navata una piccola finestra a

nastro si apre sulla piazza. E bassa, e la luce

che vi entra da sud, forte, calda, non disturba

chi lavora, arrivando diretta al pavimento, senza

interferire con i piani dei tavoli. Qui gli studenti

si ritrovano per mangiare qualcosa, per parlare

o anche solo per discutere uno dei loro

progetti, ed una serie di sgabelli a semicerchio

stanno sempre lì, poiché per guardare

all'esterno è necessario sedersi.

Si tratta di poesia piccolaxuiii, anche misurat4,

che pervade lo spazio interno ed esterno, il

luogo.

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bibliografia

Per quanto riguarda la figura di Alvaro Siza, è stato scritto di tutto. ln ltalia Gregotti, all'epoca direttore

di Casabella, è stato il primo divulgatore. Le migliori documentazioni si trovano comunque nelle

edizioni lisbonesi BIAU (due volumi). Attenzione alla monografia electa : di per sé orribile, contiene

una splendida intervista all'architetto. In biblioteca difacoltà si trovano sicuramente :

vittorio gregotti, alvarosba 1954/79, milano 1979

a*u, alvaro siza,1989 n.6

pedro de llano, c, castanheira, alvaro siza, milano 1995

peter testa, alvaro siza,bukhauser 1996

Per quanto riguarda invece questo scritto, argomenti, riferimenti o quant'altro (ivi compresa Ia

curiosità) hanno a che fare con :

vilanova artigas, o desenho, sao paulo 1967

centre geoges pompidou, alvaro siza, paris 1990

giacomo borella, la scuola diporto, milano 1991

giancarlo de carlo, gli spirlti dell'architettura, roma i 992

italo calvino , le città invisibili, milano I 993

leonardo benevolo, storia dell'architettura del rinascimento, bari 1995

peter testa, una chinera a pofto : la facoltà di architettura,lotus 88 febbraio 1996 pg6

eugenio de andrade , o sal da lingua, porto 1 996

fernando tavora, da organizagao do espaso, porto (FAUP) 1996

gabriella spizzuocco, a cura di, gadda calvlno, scritti di architettura, torino 1997

ernesto nathan rogers, esperienza dell'architettura, milano 1997

vincenzo riso, alvaro siza la facoltà dlarchitettura diporto, bologna 1998

madfedeUS , O pOftO, concedo"oparaiso"gravadoaoviwnocoliseudoporto, / deabril 1998, emi, hOlland 1998

awertenza

I disegni (tecnici e a schizzo) sono riprodotti da fonti bibliografiche ; le fotografie effettuate dal

sottoscritto sono come tali segnalate, le altre sono parenti dei disegni.

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iHo questo sospetto, che in questa opera ci stiaanche un viaggio in ltalia, proprio nelle Marche, che queste tante somiglianze con alcune cose

d'Urbino, con altre di Piandimeleto e di Sassocorvaro e di Frontino,..So di un viaggio per I'ILA&UD, ma mi mancano le date.ii Per chi venisse colto da sincope intellettiva alla lettura del termine "Porto", sappia che con tale termine, maiuscolo, non si è soliti indicare

semplicemente il luogo dove con regolarità approdano e si ormeggiano i battelli, se non in principio di frase (es. : "Porto antico della Magna

Grecia...") ; sarebbe già più indicato pensare, come seconda definizione, al rinomato e robusto vino portoghese (vecchie spugne !), di gradazione

variabile tra i 1 8 e i 22 gradi (ottima marca il Taylor, un po' difficile da trovare in ltalia), eppure ancora non ci saremmo.

Stiamo infatti parlando di una terza possibile definizione di tipo geografico non appositivo : una località, cioè, dal semplice nome Porto, non

Portopiùqualcosaltro, tipo Portofino ; solo Porto. Su alcune carte di minorati linguistici potreste trovarne il nome inglese Oporto, e ciò ci è

comunque utile perché in queste sette righe di paglia abbiamo messo a fuoco quel che ci interessava dire.

Porto è un grosso centro "marittimo" sulle coste dell'Atlantico, da cui dista in realtà circa un cinque chilometri (così, a occhio), ma al quale è

collegata dal grande rio Douro, fiume che giunge dalla Spagna col nome di Duero (se gli spagnoli non tirano le dighe), attraversa i monti e nel

Minho si carica di vino in una quantità tale da fare impallidire Guccini ;vino che una volta arrivato in città si ferma dai cinque ai settant'anni, prima

di muoversi nuovamente, Se vi ponete sulle rive del fiume potete intendere la città : intorno ad una sua ansa stanno alcune e differenti colline,

tutte ugualmente colme di edifici. Porto è costituita unicamente da quelli posti sul lato settentrionale, mentre su quello meridionale si dispone, più

bassa, Gaia, città fatta totalmente di cantine di vino di Porto, chilometri quadrati ricoperti di alcool.

Della sua sloria, come si suol dire, beata ignoranza : solo vi lascio immaginare la sua importanza di porto mercantile e il suo ruolo nel

rinascimento pieno e tardo I da qui il portoghese, che in patria conta dieci milioni di anime, è stato espodato in America ed in Africa, ed oggi è la

quarta lingua del mondo. La città fu tanto impoilante che, si può dire, viva ancora di rendita, da una parte per i frutti del colonialismo (ahinoi),

dall'altra per ifrutti del vino, profumatamente pagato dagli inglesi, che in cambio di un secolo di esclusività hanno concesso a questa terra una

marea di privilegi commerciali,

Oggi, poiete immaginarlo, nonostante la fama acquisita nei secoli la città non vede una nave neanche di striscio : a dieci chilometri sta

Matosinhos, col bel porto che Porto le ha regalato per togliersi un po'di rumenta dal centro cittadino. Quegli ettari collinosi sul Douro sono stati

dichiarati dall'UNÉSC} patrinonio mondiale dell'umanità,e onestamente non serviva I'unesco per capirlo. Dove non anivano i secoli di storia,

prowedono clima e cielo a fornire un motivo per vivere anche nel Gratosoglio portoghese : in centro, in edifici cadenti, o fuori, tra un paio di

industrie, si dimentica tutto.iii Dimenticavo : W la geografiaiu Con buona pace del resoconto oggettivo. W dario fo., Perdonate itermini, ma dell'oggettivismo linguistico della trattazione d'architettura non me ne può fregare di meno.ui Si ringrazia il progetto aritmetico di Pasqual Bendicho Cabutì che mi ha suggerito di stare più attento, nella vita,

miGuardala, però.,.viii Escola Superior de Belas Arles do Porto, da una cui costola è nata la FAUP, non troppo tempo addietro.i, Certo questo è dovuto al tipo di utenza proprio di una università (giovani baldanzosi intellettuali coscienti del sé e rispettosi dell'altro...), ma

soprattutto ad una idea dell'educazione che è propria dell'architetto e che dimostra la forza propositiva e innovatrice di un progetto

d'architettura. Contro il servilismo del pensiero unico.* ln realtà sta scritto A ARQUITECTURA N0 SE ENSINA, e la A iniziale è marcata da un segno tondo che la circonda, ma che non riesce a

contenerla. ll primo giorno pensai all'architettura libera di Giancarlo de Carlo, ma al secondo mi ricordai del primo architetto che conobbi, il primo

giorno in cui frequentai l'università. Si trattava di Vittoriano Viganò, che parlava un po'di sé, un po'di quello che gli pareva -un po'era anche bet

vecchio- un po'di quello per cui era stato invitato, e nominando un tratto dell'edificio in via Bonardi disse (più o meno...) : "Volli scrivere A, come

amore, architettura, arte, albero,..., anarchia, se volete".il A chi interessi, una buona e breve spiegazione sta in una libello da poco ( ?) pubblicato di Vincenzo Riso, guardate in bibliografia (non ho volia

di cercare ora...).niForse è in questa pratica costante della poesia alle varie scale (alle varie esperienze) che si tocca e si ama I'architettura. Chissà.

xiii ln barba ad ogni supposto calcolo compositivo il corpo manca perché la volumetria era eccessiva, tanto che il ministero si rifiutava di pagarne i

lavori : è dunque diventato la base per un futuro ampliamento dell'università, e fino ad allora, non essendÒ Siza troppo stupido, lo si è inserito in

maniera tale da contribuire alla composizione e da approfittare il più possibile delle caratteristiche climatiche e paesaggistiche.

xiv fill'sysngmrdia anche per il notevolissimo lavoro teorico di Femando Lisboa, allucinato architetto informatizzato.

* Contegono le segreterie, due auditorium (di cui uno scomponibile in due sale), la biblioteca, gli apparati degli impianti, ma anche alcune aule

(sopra le segreterie) e lo spettacolare atelier del sesto anno, il cui lucernario serve anche la distribuzione e alcune aule.

fr E anche un po'maniacale.*ii

Quello a cassa continua e isolante-intonaco esterno, sperimentato nel Carlos Ramos e perlustrato nel resto della facoltà.wiii

61',. i commentatori sembrano non vedere, abbacinati dal Pritzker o da altre simiglianti onoreficenze che hanno trascinato Siza alla fama'

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