ANATOCISMO TRA COMPARAZIONE E PROSPETTIVE DI … · contratti bancari, in Squilibrio e usura nei...

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www.comparazionedirittocivile.it, dicembre 2017 L’ANATOCISMO: TRA COMPARAZIONE E PROSPETTIVE DI RIFORMA CARMINE LAZZARO SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Le origini della questione. 3. L’ondivago excursus giurisprudenziale e legislativo. 4. La disciplina italo-spagnola vigente: problematiche attuali. 5. Considerazioni conclusive. 1. La tematica dei rapporti tra banche e clienti si è sviluppata lungo due sentieri paralleli ed accidentati, reciprocamente collegati: da un lato, la magmatica produzione giurisprudenziale sull’argomento; dall’altro, gli interventi legislativi “a macchia di leopardo” 1 . Questi ultimi, in particolare, hanno ingenerato nell’operatore del diritto innumerevoli dubbi interpretativi e/o applicativi. Si tratta, infatti, di provvedimenti sibillini e poco organici, frutto di logiche diverse (ed a volte contrastanti tra loro), poiché, sebbene si ispirino ad una filosofia liberale, producono l’effetto immediato e consequenziale di accentuare l’intervento pubblico nel sistema bancario attraverso l’imposizione di regolamentazioni di carattere eteronomo 2 ; con l’intento, neanche troppo celato, di “frenare” l’autonomia degli intermediari creditizi in un’ottica di tutela dei soggetti “deboli” fruitori dei servizi 3 , onde assicurare una corretta gestione delle relative operazioni 4 , affinché l’autonomia negoziale non diventi “vuota formula5 priva di qualsivoglia valenza pratica. 1 V. M. SESTA, L’anatocismo bancario tra interventi legislativi e nuovi dubbi di legittimità costituzionale , in Corr. giur., 2011, 6, 745 ss. 2 Sul punto v. G. GABRIELLI, Controllo pubblico e norme bancarie uniformi , in Banca borsa tit. cred., I, 1977, 295. 3 Calzanti sull’argomento le osservazioni di A. FALZEA, Il civilista e le sfide d’inizio millennio (Ricerca giuridica ed etica dei valori), Introduzione al Convegno di Studio in onore del prof. Angelo Falzea (Messina, 4-7 giugno 2002), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, già in Atti (a cura di V. Scalisi), Milano, 2004, 17 ss., ora in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. III Scritti d’occasione , Milano, 2010, 389 ss., 412, ove si afferma che «L’economia della globalizzazione, incentrata sulla dialettica imprese-consumatori, riproduce in termini diversi ma con aspetti similari, la problematicità delle precedenti dialettiche, dovuta allo squilibrio, in termini di rapporti di forza, tra i protagonisti delle categorie umane ed economiche a confronto. Alla debolezza dei lavoratori rispetto ai padroni capitalisti ed a quella delle imprese rispetto allo Stato dirigista fa riscontro, nel regime della globalizzazione, la debolezza dei consumatori rispetto alle imprese produttive di beni e di servizi. Mentre la globalità non aggiunge potenza alla individualità dei fruitori dei beni e dei servizi, ingigantisce la potenza delle imprese di produzione». 4 Per un quadro generale sul punto v. A. MIRONE, Le “fonti private” del diritto bancario: concorrenza, trasparenza e autonomia privata nella (nuova) regolamentazione dei contratti bancari , in Banca borsa tit. cred., 2009, 3, 264 ss. 5 In tal senso, cfr. P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, 395.

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L’ANATOCISMO: TRA COMPARAZIONE E PROSPETTIVE DI RIFORMA

CARMINE LAZZARO

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Le origini della questione. 3. L’ondivago excursus giurisprudenziale e

legislativo. 4. La disciplina italo-spagnola vigente: problematiche attuali. 5. Considerazioni conclusive.

1. La tematica dei rapporti tra banche e clienti si è sviluppata lungo due sentieri

paralleli ed accidentati, reciprocamente collegati: da un lato, la magmatica produzione giurisprudenziale sull’argomento; dall’altro, gli interventi legislativi “a macchia di leopardo”1. Questi ultimi, in particolare, hanno ingenerato nell’operatore del diritto innumerevoli dubbi interpretativi e/o applicativi.

Si tratta, infatti, di provvedimenti sibillini e poco organici, frutto di logiche diverse (ed a volte contrastanti tra loro), poiché, sebbene si ispirino ad una filosofia liberale, producono l’effetto immediato e consequenziale di accentuare l’intervento pubblico nel sistema bancario attraverso l’imposizione di regolamentazioni di carattere eteronomo2; con l’intento, neanche troppo celato, di “frenare” l’autonomia degli intermediari creditizi in un’ottica di tutela dei soggetti “deboli” fruitori dei servizi3, onde assicurare una corretta gestione delle relative operazioni4, affinché l’autonomia negoziale non diventi “vuota formula”5 priva di qualsivoglia valenza pratica.

1 V. M. SESTA, L’anatocismo bancario tra interventi legislativi e nuovi dubbi di legittimità costituzionale, in

Corr. giur., 2011, 6, 745 ss. 2 Sul punto v. G. GABRIELLI, Controllo pubblico e norme bancarie uniformi, in Banca borsa tit. cred., I,

1977, 295. 3 Calzanti sull’argomento le osservazioni di A. FALZEA, Il civilista e le sfide d’inizio millennio

(Ricerca giuridica ed etica dei valori), Introduzione al Convegno di Studio in onore del prof. Angelo Falzea (Messina, 4-7 giugno 2002), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, già in Atti (a cura di V. Scalisi), Milano, 2004, 17 ss., ora in Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. III Scritti d’occasione, Milano, 2010, 389 ss., 412, ove si afferma che «L’economia della globalizzazione, incentrata sulla dialettica imprese-consumatori, riproduce in termini diversi ma con aspetti similari, la problematicità delle precedenti dialettiche, dovuta allo squilibrio, in termini di rapporti di forza, tra i protagonisti delle categorie umane ed economiche a confronto. Alla debolezza dei lavoratori rispetto ai padroni capitalisti ed a quella delle imprese rispetto allo Stato dirigista fa riscontro, nel regime della globalizzazione, la debolezza dei consumatori rispetto alle imprese produttive di beni e di servizi. Mentre la globalità non aggiunge potenza alla individualità dei fruitori dei beni e dei servizi, ingigantisce la potenza delle imprese di produzione».

4 Per un quadro generale sul punto v. A. MIRONE, Le “fonti private” del diritto bancario: concorrenza, trasparenza e autonomia privata nella (nuova) regolamentazione dei contratti bancari, in Banca borsa tit. cred., 2009, 3, 264 ss.

5 In tal senso, cfr. P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, 395.

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La disciplina di settore, quindi, continua ad oscillare come un pendolo tra esigenze di efficienza del mercato e ragioni di salvaguardia dei clienti6.

Il continuo succedersi di interventi legislativi non favorisce di certo il superamento dell’attuale deficit di tutela dei clienti (né del corretto funzionamento del mercato), aggravando, ove fosse possibile, la frammentarietà dell’attuale normativa, al momento difficilmente riconducibile ad una logica unitaria.

Poche disposizioni di legge hanno avuto vita tribolata come l’art. 120 T.U.B., il quale ha subito, nell’arco di un decennio, ben quattro riforme in tema di anatocismo7.

La finalità della scarna disciplina codicistica in materia di anatocismo (art. 1283 c.c., avente natura eccezionale8), chiaramente improntata al favor debitoris, è quella di coniugare il naturale principio della fruttuosità del denaro (art. 1282, co. 1, c.c.) con l’esigenza di evitare fenomeni usurari9. Meta ideale del legislatore, quindi, sarebbe quella di ridurre gli effetti del meccanismo anatocistico, ritenuto pericoloso, poiché impedisce al debitore di preordinarsi ex ante, con certezza, una agevole valutazione dell’ammontare esatto del suo debito e dei suoi eventuali incrementi10.

L’anatocismo è stato da sempre visto con sospetto dal legislatore che ha tentato di contingentarne gli ambiti applicativi attraverso l’individuazione di alcune condizioni inderogabili11.

In primis, l’art. 1283 c.c., infatti, ha previsto che gli “interessi scaduti” possano produrre interessi solo dopo che siano trascorsi quantomeno sei mesi.

6 Sul punto si rinvia alle osservazioni di R. ALESSI, Squilibrio negoziale e interventi normativi nei

contratti bancari, in Squilibrio e usura nei contratti, (a cura di G. Vettori), Padova, 2002, 373 ss. V. anche A. STILO, La tutela del cliente nei confronti dell’istituto di credito, con particolare riferimento alle questioni in materia di anatocismo, in Giur. mer., 11/2013, 2280 ss.

7 Il termine anatocismo è di origine greca (deriva dall’unione delle parole ανα, che vuol dire “di nuovo” o “sopra”, e τóκοσ, che significa “frutto” o “prodotto” o “interesse”) ed esprime il concetto della produzione di interessi sugli interessi, oggetto sin dai tempi remoti di norme restrittive, volte a tutelare il debitore nei confronti di un meccanismo insidioso che comporta un rapido ed, a volte, pesante incremento della somma dovuta.

8 In tal senso Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2017, n. 15944, in Giust. civ. mass., 2017, ove si evidenzia che «L’art. 1283 c.c., che, in materia di obbligazioni pecuniarie, ammette l’anatocismo, non enuncia un principio di carattere generale, valido per ogni specie di obbligazione, ma ha carattere eccezionale, sicchè non è estensibile ai debiti di valore, quali quelli derivanti da responsabilità aquiliana. (Fattispecie relativa al risarcimento dei danni subiti dal proprietario di un fondo in conseguenza dell’illegittima occupazione da parte di un concessionario)».

In senso conforme, Cass. Civ., sez. III, 05 dicembre 2014, n. 25729, in Giust. Civ. Mass., 2014.

9 In tema di usura bancaria si rinvia a M. SEMERARO, Usura bancaria e regole del mercato del credito, in Banca borsa tit. cred., 2017, 2, 207 ss.

10 Per un quadro generale della problematica si rinvia a C. COLOMBO, L’anatocismo, Milano, 2007, 1 ss.

11 Per maggiori approfondimenti sull’argomento, cfr. A. RICCIO, L’anatocismo, Padova, 2002, 1 ss. V. anche P. FERRO-LUZZI, Una nuova fattispecie giurisprudenziale: “l’anatocismo bancario”; postulati e conseguenze, in Giur. comm., 2001, I, 5 ss.

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Sembra che il legislatore abbia deciso di individuare uno specifico dies a quo a partire dal quale gli interessi (semplici) possano produrre ulteriori interessi, come se si trattasse di una quantità minima di denaro che deve accumularsi a titolo di interessi semplici affinché possano germinare nuovi interessi12.

In secondo luogo, ha sottoposto l’applicabilità di questa disposizione ad un ulteriore requisito, la necessità che si sia alternativamente in presenza o di una convenzione tra creditore e debitore avente ad oggetto il pagamento dell’interesse composto oppure di una domanda giudiziale posta in essere al fine di ottenere il medesimo interesse13.

Nonostante la stringente normativa codicistica, la prassi bancaria riuscì “ad imporre” una deroga che consentiva, in base alle cd. norme bancarie uniformi del 1951, unilateralmente considerate usi normativi, la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del cliente ed annuale di quelli a credito14.

2. Le due pronunce coeve della Suprema Corte15 configurano una cesura rispetto al passato, stravolgendo dogmi considerati un tempo intangibili16.

12 V. Cass. civ., sez. I, 18 gennaio 2017, n. 1164, in Guida al dir., 2017, 13, 71, in cui la S.C.

afferma che «La condanna al pagamento degli interessi anatocistici presuppone che si tratti di interessi accumulatisi per almeno sei mesi alla data della domanda e che la parte cui l’effetto di capitalizzazione giova li chieda in giudizio con una domanda specificamente rivolta ad ottenere la condanna al pagamento di quegli interessi che gli interessi già scaduti, ovverosia il corrispondente capitale, da tale momento in poi produrranno». In proposito, cfr. anche P. PARDOLESI, Obbligazioni pecuniarie, anatocismo e clausola penale: un rapporto controverso?, in Danno resp., 4/2003, 383 ss., 385.

13 Con riferimento ai tre “elementi di fatto all’accadere dei quali il legislatore consente l’anatocismo” (e, più precisamente: “che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi; che siano chiesti con domanda giudiziale o che esista una convenzione posteriore alla loro scadenza”) di cui all’art. 1283 c.c., cfr. V. BARBA, Interessi dovuti per effetto dell’inderogabile divieto di anatocismo, in Obbl. contr., 6/2009, 535 ss., 545, il quale fa notare che «Il primo è comune, mentre gli altri due alternativi. Quella scrutata è, dunque, norma con fattispecie complessa e alternativa. Complessa, perché consta di più fatti. Alternativa, perché due di essi non devono concorrere».

14 V. A. PAVONE LA ROSA, Gli usi bancari, in Le operazioni bancarie, (a cura di G.B. Portale), Milano, I, 1978, 32.

15 Cfr. Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374, ove si evidenzia che «La previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, concernente la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un mero uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria, è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi»; e Cass. civ., sez. I, 30 marzo 1999, n. 3096, in cui la S.C. ribadisce che «La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di conto corrente passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve rispetto a quella annuale applicata a favore del cliente sui saldi di conto corrente per lui attivi alla fine di ciascun anno solare) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell’ABI nel 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla “opinio iuris ac necessitatis”», entrambe in Banca borsa tit. cred., 1999, II, 649, con nota di M. PORZIO, Rilievi critici sulle recenti sentenze della Cassazione in materia di anatocismo,

16 In tal senso, C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, in AA.VV., I contratti bancari (a cura di E. Capobianco), Utet, Milanofiori Assago (MI), 2016, 433 ss., 472, ove si afferma che «[…] ci pare pertanto di poter affermare che la S.C., con le sentenze in esame, abbia essenzialmente inteso perseguire, nella latitanza del legislatore, alcune istanze di politica del diritto (prima tra tutte: l’esigenza di uniformare i periodi di conteggio degli interessi), anche a discapito della propria funzione istituzionalmente nomofilattica: bersaglio (nemmeno

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La Cassazione afferma, da un lato, la derogabilità dell’art. 1283 c.c. solo ad opera di usi normativi e, dall’altro, per quello che rileva in questa sede, sancisce la natura meramente negoziale degli usi relativi alla contabilizzazione degli interessi nelle operazioni bancarie. Le due sentenze, dichiarando la nullità della convenzione anatocistica17, mettono in crisi, quindi, una prassi cristallizatasi per oltre mezzo secolo, che dava per ammessa l’esistenza di usi contrari rispetto alla previsione dell’art. 1283 c.c.18.

La indubbia rilevanza dell’intervento giurisprudenziale e la necessità di fare chiarezza in una materia oggettivamente delicata (unite, probabilmente, alla volontà di sottrarre le banche alla “spada di Damocle” di dover restituire a chi ne avesse fatto richiesta, e nei limiti della prescrizione decennale, gli interessi già riscossi e non dovuti per violazione dell’art. 1283 c.c.) spingono il legislatore ad intervenire direttamente sul Testo Unico Bancario. L’art. 25 d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, aggiunge due commi all’art. 120 T.U.B.: con il primo, viene riconosciuta la piena legittimità dell’anatocismo bancario, affidando al Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio (che interverrà con la deliberazione 9 febbraio 2000) il compito di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interressi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio di attività bancaria”, con l’unico limite di assicurare nelle operazioni in conto corrente la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori; con il secondo, viene dettato un regime transitorio che fa salve tutte le clausole relative agli interessi sugli interessi contenute nei contratti stipulati anteriormente alla delibera CICR di cui

troppo nascosto) dell’operazione de qua sono gli usi, comunque definiti, ritenuti inidonei a regolare una materia, rispetto alla quale veniva avvertita da più parti […] un’esigenza di regolamentazione eteronoma, in funzione protettiva degli interessi di chi, non essendo in grado di incidere sulla formazione delle regole del gioco, è ritenuto bisognevole della tutela della legge».

17 Sul punto merita di essere citata la ricostruzione di G. DE NOVA, Capitalizzazione trimestrale: verso un «revirement» della Cassazione?, in Contr., 5/1999, 446, il quale precisa che «[…] la nullità non investe l’intera convenzione anatocistica anteriore alla scadenza: perché le decisioni qui annotate hanno anzi ribadito che sussistono “usi contrari” che prevedono l’anatocismo in relazione a interessi non scaduti con capitalizzazione semestrale. La nullità investe dunque solo la capitalizzazione trimestrale: e così la convenzione anatocistica rimane valida, ma la capitalizzazione sarà semestrale».

18 Per maggiori approfondimenti sul punto si rinvia a C. TRAPUZZANO, Anatocismo bancario, in Giur. mer., 2010, 2, 561 ss. V. anche C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, cit., 485, nt. 138, il quale, con riferimento agli “usi contrari” di cui all’art. 1283 c.c. (individuati nelle norme bancarie unitarie), afferma che «[…] hanno definitivamente perso ogni valenza, tanto che potrebbe addirittura ritenersi implicitamente abrogato l’incipit dell’art. 1283 c.c.: ci si chiede, infatti, quale significato possa mantenere il rinvio agli usi, quando questi ultimi sono definitivamente usciti di scena nell’unico settore economico in cui, in oltre cinquanta anni di esperienza giurisprudenziale, ne era stata affermata l’operatività».

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sopra19. Sull’argomento interviene la Consulta, la quale dichiara l’illegittimità costituzionale di quest’ultima disposizione per violazione dell’art. 76 Cost.20.

Si apre, così, uno scenario caotico, risultante da un’aspra lotta tra gruppi di potere, in un’ottica di reductio ad unum, una sorta di processo di sintesi di interessi diametralmente opposti (banca/correntista), che vedrà susseguirsi orientamenti dottrinali divergenti, pronunce giurisprudenziali difformi e, cosa ben più grave, interventi legislativi affrettati e/o volutamente ambigui, volti alla tutela di interessi di parte.

3. La ricostruzione della Cassazione anteriore al 2000 viene confermata da numerosi provvedimenti successivi21, fino a ricevere nel 2004 l’avallo delle Sezioni Unite che escludono la legittimità di qualsiasi riferimento agli usi normativi anche nel periodo antecedente al revirement del 1999, con l’effetto di rendere illegittimi, come tali non dovuti e, dunque, ripetibili ex art. 2033 cc, gli interessi sugli interessi capitalizzati trimestralmente22, anche se conformi a clausole contrattuali stipulate in epoca precedente al nuovo orientamento giurisprudenziale23.

Negli anni successivi, pertanto, il contenzioso si concentra sul problema della decorrenza del termine prescrizionale per la ripetizione degli interessi anatocistici indebitamente corrisposti dai clienti.

Il dubbio verteva, essenzialmente, sul dies a quo per il calcolo della prescrizione, se dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, o dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati, a dimostrazione del fatto che il problema

19 Cfr. D. MAFFEIS, Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi da parte del cliente, in Contr.,

4/2001, 406 ss. 20 Cfr. Corte cost., 17 ottobre 2000, n. 425, in Giur. comm., 2001, II, 179, ove si rileva che «È

fondata la q.l.c. dell’art. 25 comma 3 d.lg. 4 agosto 1999 n. 342, in riferimento all’art. 76 cost. nel senso che è da escludersi che la legge delega permettesse l’emanazione di una disciplina speciale di sanatoria delle clausole anatocistiche dei contratti bancari e che predisponesse per la loro validità».

21 Per maggiori approfondimenti, cfr. F. AGNINO, Anatocismo: tra divieti consolidati e questioni ancora dibattute, in Corr. Giur., 2011, 12, 1706.

22 V. Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095, in Riv. dott. comm., 2005, 7/8/9, II, 163, ove si evidenzia che «L’uso di annotare con cadenza trimestrale gli interessi a debito del correntista è un uso meramente negoziale e non normativo e, come tale, risulta inidoneo a derogare al disposto dell’art. 1283 c.c., anche con riferimento al periodo anteriore alle decisioni con cui la Corte di cassazione ha accertato, in difformità rispetto all’orientamento sino ad allora seguito, l’inesistenza di tale uso normativo, difettandone anche in relazione a tale epoca i presupposti». In senso conforme anche Cassazione civile, sez. I, 14 maggio 2005, n. 10127, in Riv. dir. comm., 2005, 7/8/9, II, 163.

23 Bisogna rilevare, comunque, in questa sede che non mancarono voci discordati sul punto, tant’è che ci si interrogò sull’esistenza (o meno) di un legittimo affidamento delle banche sull’interpretazione giurisprudenziale uniforme che ammetteva l’anatocismo ante 1999; per maggiori approfondimenti v. G. GRASSO, Cassazione, anatocismo e istituti di credito: possono le banche vantare un legittimo affidamento sull’interpretazione uniforme della Suprema Corte di Cassazione?, in Riv. dir. civ., 2006, 1, 61 ss.

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dell’anatocismo bancario, lungi dall’essere risolto, covava semplicemente sotto la cenere, aspettando l’occasione per infiammare nuove querelles interpretative24.

La soluzione della problematica de qua, evidentemente, non è di poco momento, producendo conseguenze pesanti in termini di esborsi economici per gli Istituti bancari a favore dei correntisti lesi25.

Secondo l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza il dies a quo coinciderebbe non con i singoli pagamenti (o addebiti in conto) degli interessi, bensì con la data di chiusura del conto corrente, giacché solo in tale momento si definirebbero i rapporti di credito o debito tra le parti, “trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi”26.

Merita un cenno, però, l’orientamento dottrinale incline ad escludere la stessa possibilità del configurarsi del fenomeno dell’anatocismo nel conto corrente bancario27. Questo filone di pensiero sottolinea come il diritto alla ripetizione dell’indebito sia esercitabile dal cliente anche nel corso del rapporto, poiché nel conto corrente bancario il saldo sarebbe sempre disponibile e l’effettiva valutazione dei rapporti di dare/avere tra le parti non dovrebbe essere rinviata al momento della chiusura del conto. Quindi, secondo i sostenitori di questa tesi, l’annotazione su conto nel rapporto tra banca e correntista produrrebbe una “immediata modifica del saldo disponibile” e, dunque, di quella quantità di moneta di cui il cliente “può disporre in qualsiasi momento” (art. 1852 c.c.)28. «Con allora la conseguenza che — nei rapporti tra banca e cliente — l’annotazione sul conto equivale a pagamento, estinguendo, a seconda dei casi, tanto l’eventuale debito della banca, quanto quello del cliente»29.

24 Per maggiori approfondimenti sull’argomento si rimanda a U. SALANITRO, L’inizio della

decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione degli interessi anatocistici nel conto corrente bancario: orientamenti giurisprudenziali e soluzioni legislative, in Banca borsa tit. cred., 3, 2011, 400 ss.

25 Per un quadro generale cfr. P. SERRAO D’AQUINO, Questioni attuali in materia di anatocismo bancario, commissione di massimo scoperto ed usura, in Giur. mer., 5, 2011, 1172 ss.

26 Cfr. Cass. civ., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Giust. civ., 2011, 9, I, 2066, ove si precisa che «L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’“accipiens”». V. anche Cass. civ., sez. I, 24 maggio 2016, n. 10713, in Giust. civ. mass., 2016.

27 Sull’argomento v. P. FERRO-LUZZI, Dell’anatocismo; del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, in Riv. dir. priv., 2000, 2, 201 ss.

28 In tal senso U. MORERA, Sulla non configurabilità della fattispecie «anatocismo» nel conto corrente bancario, in Riv. dir. civ., 1/2005, II, 17 ss., 21.

29 Cfr. U. MORERA, Sulla non configurabilità della fattispecie «anatocismo» nel conto corrente bancario, cit., 21.

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Seguendo tale ricostruzione, ne conseguirebbe che il dies a quo della prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito pagamento dovrebbe essere individuato nel giorno dell’annotazione (e non nella chiusura dello stesso, configurandosi l’annotazione come un pagamento e non come una mera operazione contabile). Ciò che assume decisiva rilevanza è quindi il momento in cui si verifichi effettivamente il “pagamento”, al fine di comprendere sia il quantum sia il dies a quo per l’esperimento dell’azione ex art. 2033 c.c.30.

Sul punto, comunque la S.C. sembra ormai essersi attestata su posizioni consolidate che individuano il dies a quo non nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, “[…] ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione”31.

Può capitare, infatti, che un versamento in denaro a copertura di precedenti annotazioni a debito non integri gli estremi di un pagamento32. Questo accade quando il versamento confluisce su un conto corrente a cui accede una formale apertura di credito bancario, in forza della quale la banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una specifica somma di denaro. Una situazione debitoria entro i limiti del fido e la regolazione in conto corrente del rapporto, quindi, attribuiscono a ciascun versamento funzione ripristinatoria della provvista messa a disposizione del cliente

30 Sull’argomento cfr. V. PANDOLFINI, Anatocismo bancario: le questioni ancora aperte, in Contr.,

7/2005, 713 ss., 714, il quale afferma che “D’altra parte, è senz’altro da escludersi la tesi, avanzata da isolata dottrina, secondo cui l’azione volta a conseguire la ripetizione degli interessi anatocistici, ex art. 2033 Codice civile, configurerebbe un abuso del relativo diritto da parte del cliente; come è stato, infatti, efficacemente osservato, il correntista il quale eserciti un’azione di ripetizione sulla base dell’accertamento della nullità della clausola anatocistica «non abusa, bensì usa lo strumento della ripetizione dell’indebito esattamente per la ragione per la quale il legislatore lo ha previsto e disciplinato»”. Contra F. ANGELONI, La ripetizione degli interessi anatocistici corrisposti sulla base di apposite clausole contrattuali anteriormente al mutamento di indirizzo della Suprema Corte che ne sanciva la legittimità, in Contr. impresa, 2000, 172 ss., per il quale il correntista userebbe tale rimedio per scopi diversi da quelli per cui esso è assegnato dall’ordinamento, andando, vieppiù, contra factum proprium, in violazione del principio di correttezza previsto dall’art. 1175 c.c.

31 V. Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 2017, n. 3190, in Dir.&Giust., 8 febbraio 2017, con nota di I. PIETROLETTI, Gli interessi passivi possono essere richiesti alla banca entro 10 anni dalla chiusura del conto, in cui la S.C. recita testualmente: «L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens».

32 Cfr. P. BONTEMPI, L’anatocismo bancario torna di attualità, in NGCC, 2011, I, 297 ss., 298.

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attraverso l’apertura di credito33. L’esistenza di una situazione giuridica soggettiva passiva di obbligo della banca (di tenere a disposizione detta provvista) - cui fa da contraltare, un contrapposto diritto del cliente all’utilizzo reiterato (entro i limiti prefissati) del credito concesso - non permette al passivo maturato di generare un credito liquido ed esigibile a favore della banca, la quale non può chiederne il rientro, se non dopo aver revocato il fido concesso34.

Le S.U. concentrano l’attenzione sul concetto di pagamento effettivo, spostando in avanti il dies a quo e precisando che l’azione di ripetizione di indebito oggettivo non è configurabile se riferita ad una semplice annotazione contabile a debito, a cui non faccia seguito un versamento di natura solutoria da parte del correntista a definitiva copertura del debito stesso35. Si tratta di un ragionamento

33 In proposito v. P. BONTEMPI, Si fanno sempre più stringenti gli oneri a carico del correntista che

agisce per la ripetizione di indebito, in NGCC, 2013, I, 501 ss., 504, «Non basta però neppure l’esecuzione di un mero versamento per configurare un pagamento ripetibile. Anche un versamento in denaro a copertura di precedenti annotazioni a debito può infatti non integrare gli estremi di un pagamento. Questo accade quando il versamento confluisce su un conto corrente a cui accede una formale apertura di credito bancario, in forza della quale la banca è obbligata a tenere a disposizione del cliente una data somma di denaro (art. 1842 cod. civ.). Infatti, l’esistenza di una situazione debitoria entro i limiti del fido e la regolazione in conto corrente del rapporto attribuiscono a ciascun versamento la sola funzione di ripristinare la provvista messa a disposizione del cliente attraverso l’apertura di credito. L’esistenza di un obbligo della banca di tenere a disposizione detta provvista e di un contrapposto diritto del cliente all’utilizzo ripetuto del credito concesso impediscono che il passivo maturato generi un credito liquido ed esigibile a favore della banca, la quale non può chiedere il rientro se non dopo aver revocato il fido concesso. Occorre allora distinguere tra versamenti confluiti in un conto corrente con saldo passivo (cioè con saldo negativo, ma entro il limite dell’affidamento) e rimesse operate invece in conto corrente scoperto (cioè con saldo negativo oltre il limite dell’affidamento o con saldo negativo su un conto corrente privo di affidamento). Solo nel caso di conto scoperto tutti i versamenti diretti a riportare il saldo entro i limiti del fido hanno natura di pagamenti».

34 Occorre allora distinguere tra versamenti confluiti in un conto corrente con saldo passivo (cioè con saldo negativo, ma entro il limite dell’affidamento) e rimesse operate invece in conto corrente scoperto (cioè con saldo negativo oltre il limite dell’affidamento o con saldo negativo su un conto corrente privo di affidamento). Nel caso di conto scoperto, il superamento del limite di disponibilità riconosciuto al cliente dalla banca fa sorgere in capo a quest’ultima un diritto di credito liquido ed esigibile alla restituzione delle somme corrispondenti allo sconfinamento e comporta che tutti i versamenti diretti a riportare il saldo entro i limiti del fido hanno natura di pagamenti. Diversamente le rimesse che confluiscono su un conto semplicemente passivo hanno la funzione di ripristinare quella disponibilità di cui il cliente usufruisce nell’apertura di credito in conto corrente. In tal senso Cass. civ., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, cit. anche in Resp. civ. prev., 2011, 4, 804, ove si sottolinea che «Tutte le volte in cui i versamenti in conto non superino il passivo ed in particolare il limite dell’affidamento concesso al cliente si tratterà di atti ripristinatori della provvista, della quale il correntista può ancora continuare a godere, e non di pagamenti. In questi casi il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente, a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente, decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi».

35 Sull’argomento cfr. V. FARINA, La ricostruzione giudiziaria del rapporto di conto corrente, in Obbl. Contr., 11/2012, 777 ss., 783-784, ove si precisa che «[…] parrebbe inammissibile, prima che infondata, solo la domanda formulata in corso di rapporto di apertura di credito in conto corrente con la quale si richieda la restituzione di versamenti effettuati per il ripristino della disponibilità concessa con l’affidamento. Difetterebbe in questi casi la titolarità del diritto al momento della proposizione della domanda, in quanto il versamento in parola non é un pagamento, ma

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analogo a quello seguito dalla S.C., in materia fallimentare, e, più precisamente, in tema di operazioni bilanciate, ove si distingue tra versamenti con funzione ripristinatoria della provvista e versamenti con natura solutoria, come tali revocabili ai sensi dell'art. 67 l. fall. per il loro valore estintivo del credito della banca36.

Il legislatore, evidentemente “allarmato” dall’orientamento giurisprudenziale suddetto, a pochi giorni dalla pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite (!), si affretta ad emanare, tramite una tecnica legislativa ed un modus operandi davvero criticabili, l’art. 2, co. 61, d.l. 29.12.2010, n. 225 (cd. «decreto mille proroghe»), convertito in l. n. 10/201137. L’allora “Governo tecnico” tenta, quindi, senza alcuna “reale” giustificazione pratica, di garantire un salvacondotto alle banche per uscire dalla difficile temperie storica, col tentativo di equiparare l’«annotazione», sia pur a fini prescrizionali, al pagamento.

integra un mero «versamento», espressione di quella c.d. «elasticità di cassa», tipica della fisiologia del rapporto di apertura di credito in conto corrente».

36 In tal senso, Cass. civ., sez. I, 30 marzo 2010, n. 7734, in Dir. Giust. online, 2010, la quale afferma che «In sede di revocatoria fallimentare, spetta alla banca l’onere di provare che esisteva un accordo col cliente per attribuire ai futuri versamenti la funzione di provvista per successivi ordini di pagamento e prelievi. In mancanza di tale prova, infatti, i versamenti conservano in linea generale la natura solutoria e sono revocabili ai sensi dell’art. 67 l. fall., avendo valore estintivo del credito della banca, ancorché da essa non richiesto e meramente accettato, come ogni rimessa a fronte di conti privi di affidamento o in quel momento scoperti». V. anche Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1834, in Giust. civ., 2012, 4, I, 1088, ove la S.C. evidenzia che «In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario affluite su un conto scoperto, per potersene escludere la dichiarazione di inefficacia, in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, è necessario il venir meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra il “solvens e l’accipiens”, che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di pagamenti o prelievi mirati in favore di terzi o del cliente stesso, in modo tale da poter negare che la banca abbia beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego; la prova dell’esistenza dei predetti accordi, che giovino a caratterizzare la rimessa, piuttosto che come operazione di rientro, come una specifica provvista per una operazione speculare a debito, in relazione ad un ordine ricevuto ed accettato o ad una incontestata manifestazione di volontà, ove non derivi da un atto scritto, può anche essere desunta da “facta concludentia”, purché la specularità tra le operazioni ne evidenzi con certezza lo stretto collegamento negoziale». Cfr. sull’argomento Cass. civ., sez. I, 4 maggio 2012, n. 6789, in Guida al diritto, 2012, 23, 63, ove si precisa che «Le rimesse in conto corrente in tanto sono revocabili, ai sensi dell’art. 67 l. fall., in quanto all’atto della rimessa il conto risulti scoperto, per tale dovendosi ritenere sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, sia quello in cui si sia verificato uno sconfinamento dal fido convenzionalmente accordato al correntista, con la conseguenza che, per valutare il carattere solutorio o ripristinatorio della rimessa, occorre riferirsi al saldo disponibile nel momento della singola rimessa, il quale non coincide necessariamente né con il saldo per valuta, né con quello contabile delle operazioni risultanti dall’estratto conto». In senso analogo, cfr. Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2008, n. 14552, in Guida al diritto, 2008, 39, 73 (s.m), Cass. civ., sez. I, 15 settembre 2006, n. 19941, in Giust. civ. Mass., 2006, 10 e Cass. 9 luglio 2005 n. 14470, in Giur. comm., 2006, II, 1015.

37 Il comma suddetto testualmente recita(va): «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge». Per un quadro generale sui problemi sollevati dall’art. 2 comma 61 della l. n. 10 del 2011 e sulle ordinanze di rimessione alla Consulta, v. A. STILO, Prescrizione e anatocismo nei rapporti bancari: principi giurisprudenziali e riforme legislative, in Contr., 6/2011, 629 ss., 633 ss.

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Evidentemente, la Consulta non resta inerme davanti ad un siffatto colpo di mano ed, innanzi alle numerose eccezioni di incostituzionalità, dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 61 dell’art. 2 Decreto Milleproroghe38.

L’intervento della Consulta portò alla “reviviscenza” della ricostruzione interpretativa suggerita dalle Sezioni Unite secondo la quale l’annotazione «in nessun modo si risolve in un pagamento», in quanto «non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista medesimo in favore della banca»39.

Interviene nuovamente il legislatore con la legge di stabilità 2014 (l. 27 dicembre 2013, n. 147), ove vengono individuati due distinti limiti al calcolo degli interessi che dovranno essere osservati dalla disciplina tecnica, adottata in via secondaria dal CICR40.

Il primo limite (art. 120 co. 2. lett. a) T.U.B.) impone, nelle operazioni in conto corrente, “la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”, ribadendo quel divieto del “doppio binario” che aveva invece caratterizzato fino al 1999 la prassi precedente e la cui legittimità era stata esclusa ad opera dell’art. 25 d.lgs. 342/1999.

Il secondo (art. 120 co. 2 lett. B) T.U.B.) afferma che “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

38 Cfr. Corte Costituzionale, 05/04/2012, n. 78, in Giur. comm., 2012, 6, II, 1176, ove la Consulta

afferma: «Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, prima parte del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225, conv., con modificazioni, dalla l. 26 febbraio 2011 n. 10, secondo cui in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. Infatti la disposizione si autoqualifica di interpretazione e, dunque, spiega efficacia retroattiva, mentre il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), costituisce valore fondamentale di civiltà giuridica, pur non ricevendo nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 cost.; mentre la norma censurata lede il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 cost.). Infatti essa è intervenuta sull’art. 2935 c.c. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente si era ormai formato un orientamento nettamente maggioritario in giurisprudenza, che aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il “dies a quo” per il decorso del suddetto termine. La norma è costituzionalmente illegittima anche per violazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia. Nel caso in esame non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall’art. 117, comma 1, cost., in relazione all’art. 6 della convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo».

39 A ciò consegue che il correntista non potrà però agire mai «per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo».

40 Per un quadro generale si rinvia a M. VILLANI, L’anatocismo nei contratti bancari, in Anatocismo e usura nei contratti bancari, (a cura di A. Izzo), Milano, 2016, 12 ss.

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L’inversione di prospettiva rispetto alla disciplina previgente è radicale: se infatti la precedente versione dell’art. 120 T.U.B., derogando alla disposizione generale del codice civile (che riconosce il diritto agli “interessi sugli interessi” solo entro limiti ben precisi) dava legittimità alla prassi anatocistica (ed affidava alla disciplina secondaria il compito di definirne i contorni applicativi), il nuovo art. 120 co. 2 ne sancisce, invece, l’assoluta illegittimità, ponendo il divieto di produzione di interessi sugli interessi come principio generale inderogabile in ambito bancario, indipendentemente dalla norma generale di cui all’art. 1283 c.c.41. Finalmente il legislatore propende per una scelta di campo che garantisce una rottura netta col passato42.

Né appaiono condivisibili le obiezioni di autorevole dottrina che nega l’immediata applicazione della riforma de qua in assenza della normativa secondaria (delibera C.I.C.R., a cui rinvia l’art. 120, co. 2, T.U.B. per “stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”43), criticando l’infelice espressione interessi “periodicamente capitalizzati”, che renderebbe il testo normativo prima facie contraddittorio44.

In realtà, appare lapalissiana la ratio legis volta a “defenestrare” dal sistema giuridico, in via definitiva, gli interessi anatocistici, per cui il termine capitalizzazione andrebbe inteso in senso improprio come contabilizzazione, non potendosi seguire alcuna diversa impostazione interpretativa45, il rischio, infatti, sarebbe quello di

41 Sull’argomento, cfr. P. CARRIÈRE, La fine dell’anatocismo (bancario?), in Contr., 12/2015, 1154

ss., 1157, il quale fa notare che «[…] attribuire alla norma primaria da cui muoviamo (l’art. 120, comma 2, T.U.B., come modificato dall’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147) un tale intento “eversivo” di abrogazione in toto, nell’ambito bancario-finanziario, l’art. 1283 c.c., ci pare davvero molto discutibile, imprudente e overshooting. É qui, infatti, ben percepibile l’impressione di trovarsi innanzi ad una di quelle norme, frutto di una secolare elaborazione sapienziale che, se avventatamente manomesse, rischiano di far pericolosamente traballare dalle fondamenta gli istituti portanti dell’intera struttura».

42 Critico col testo della riforma in questione C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, cit., 494, il quale fa notare che «[…] la tecnica redazionale della norma risulta alquanto discutibile: anche coloro che l’hanno salutata con favore, non hanno potuto omettere di rilevare alcuni evidenti errori che la caratterizzano. La prima censura che va senz’altro mossa alla disposizione de qua è costituita dalla mancata previsione di qualsivoglia disciplina transitoria (e/o di differimento dell’entrata in vigore), nonché di qualsivoglia indicazione di un termine, entro il quale il CICR avrebbe dovuto adottare la regolamentazione secondaria».

43 Cfr. C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, cit., 495, ove si sottolinea che «L’attribuzione di poteri finalizzati alla delegificazione, dunque, presenterebbe un perimetro ben più ampio, coinvolgendo non solo l’ambito che nel codice civile è presidiato dall’art. 1283, ma risultando esteso certamente agli artt. 1282 e 1284, oltre che con ogni probabilità agli artt. 1224 e 1815. In questo senso, quindi, il CICR avrebbe potuto dettare una disciplina degli interessi corrispettivi, ovvero di quelli moratori, ovvero financo di quelli usurari, in ambito creditizio, in difformità da quanto previsto dalle norme di diritto comune, e ciò sostanzialmente senza alcun limite di delega, atteso che i limiti imposti dalla norma concernono in via esclusiva la problematica dell’anatocismo: quanto ciò possa ritenersi legittimo sotto il profilo costituzionale, lasciamo che siano i cultori di detta materia a stabilirlo».

44 In tal senso U. MORERA - G. OLIVIERI, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120, comma 2, T.U.B., in Banca borsa tit. cred., 3, 2015, 286 ss.

45 V. A. TANZA, Divieto di anatocismo nei rapporti bancari e ripetizione dell’indebito, in www.altalex.com, nota a Trib. Lecce, 11 aprile 2015, n. 1463, 6 aprile 2016.

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rendere la novella lettera morta, in attesa di una fonte secondaria, ad essa gerarchicamente subordinata, cosa assolutamente impensabile.

Non essendo intervenuta, infatti, alcuna deliberazione CICR dal momento dell’entrata in vigore della riforma 2014 è stato sostenuto che la nuova disposizione avesse un contenuto meramente “programmatico” e che richiedesse l’emanazione della normativa secondaria per essere effettivamente applicabile46.

Tale prospettazione non può in alcun modo essere condivisa sia per i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sia per quelli che disciplinano la gerarchia delle fonti; ammettere, anche solo ipoteticamente, che il ritardo nell’intervento dell’autorità intergovernativa possa portare ad una “reviviscenza” della precedente disciplina, equivarrebbe a minare il principio di certezza del diritto47.

A ciò si aggiunga, inoltre, che il fatto di “bloccare” l’operatività della novella garantirebbe una sorta di ultrattività alla delibera CICR del febbraio del 2000, la quale trovava il suo fondamento in una disposizione primaria che si basava su una prospettiva totalmente diversa da quella oggi vigente: essa infatti è stata emanata sul presupposto della piena legittimità dell’anatocismo48. Ma, non si dimentichi che l’art. 120, co. 2, T.U.B. (che fungeva da fondamento della disposizione di carattere secondario, ammettendo il fenomeno de quo) è stato espressamente abrogato e sostituito da un altro comma in cui, invece, il legislatore sancisce l’illegittimità di una prassi che il primo, invece, legittimava49.

Da quanto detto, quindi, si evince che la legge di stabilità 2014 riesce a raggiungere il tanto agognato obiettivo: gli interessi non possono produrre interessi

46 In proposito cfr. B. PETRAZZINI, Le clausole anatocistiche nei contratti bancari e il nuovo art. 120,

2° comma, T.U.B., in Giur. it., 2015, 10, 2154 ss. 47 Sull’argomento, meritano senz’altro un cenno le lucide osservazioni di P. GROSSI, Ritorno al

diritto, Roma-Bari, 2015, 93, il quale afferma che «Se si vuole ancora parlare di “legalità”, dobbiamo renderci conto che si fa riferimento a un involucro che non è certamente vuoto, ma che, altrettanto certamente, è ricolmo dei riferimenti più diversificati, così come si sono diversificate le espressioni attuali della normatività. Il principio strategico della certezza, enunciato originariamente in rapporto alla primazìa gerarchica della legge e alla rigida geometria ad essa conseguente, di fronte alla rete plurale ed elastica dei criterii di normatività, perde almeno il suo valore strategico. E lo investe il decadimento che ha investito il principio di legalità».

48 Né può tacersi la mancata conversione in legge del D.L. 24 giugno 2014 n. 9 che aveva reintrodotto la legittimità dell’anatocismo bancario (cosa che, evidentemente, comprova, se mai fosse necessario, quanto sopra precisato).

49 Non pare quindi sostenibile che fino all’entrata in vigore del nuovo provvedimento del CICR continui a trovare applicazione il vecchio, a meno di forzare i rapporti di gerarchia tra le fonti e volere affermare che una disposizione di rango secondario che trovava la propria giustificazione in una fonte legislativa espressamente abrogata, possa prevalere su una legge successiva ad essa sovraordinata. V. Trib. Biella, ordinanza, 7 luglio 2015, in Redaz. Giuffrè, 2015, ove si afferma che «La modifica intervenuta all’art. 120 comma 2 TUB (in vigore nel nuovo testo dall'1 gennaio 2014) da parte dell’art. 1, comma 629, della legge di stabilità n. 147/2013, ha vietato e reso illegittimo l’addebito di interessi anatocistici passivi nei rapporti bancari, per cui ad ogni scadenza pattuita per il conteggio degli interessi (che dovrà sempre avvenire con pari periodicità per gli interessi a credito ed a debito) questi non potranno essere capitalizzati ed i successivi interessi non potranno che essere computati sul solo capitale».

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ulteriori nelle successive operazioni di capitalizzazione, circoscrivendo così la portata di quest’ultima in un ambito meramente contabile50. Il conteggio altro non è se non una mera operazione suscettibile di annotazione sul conto con tutte le conseguenze del caso in tema di esigibilità51. “La modifica dell'art. 120 t.u.b. introdotta dalla l. n. 147 del 2013 (c.d. legge di stabilità 2014) ha posto il divieto di anatocismo nei rapporti bancari, introducendo una disciplina speciale più rigorosa della normativa ordinaria dettata dall'art. 1283 c.c. Ne deriva che dall'entrata in vigore di tale legge non è più consentita, nell'ambito dei rapporti bancari, alcuna prassi anatocistica, posto pure che il mancato intervento di normazione secondaria a opera del C.I.C.R. non potrebbe comunque essere ritenuto rilevante in proposito. Ne deriva, altresì, il diritto del cliente di ripetere le somme per tale titolo addebitategli in conto nel periodo successivo all'1 gennaio 2014”52.

4. Sebbene la ratio originaria della riforma introdotta con la legge di stabilità 2014 fosse perfettamente in linea con l’excursus giurisprudenziale degli ultimi vent’anni e ponesse finalmente un espresso divieto di anatocismo53, ciononostante il legislatore sente l’esigenza di intervenire ulteriormente sull’argomento, ma non per limare le piccole discrasie lessicali, meglio sopra indicate, o per fissare un termine entro il quale il CICR fosse costretto ad emanare la delibera indicata dalla legge; bensì “per sparigliare le carte” e stravolgere i risultati positivi ottenuti dopo un’interminabile odissea legislativa.

L’art. 17 bis D.L. 14 febbraio 2016 n. 18 convertito in l. 8 aprile 2016, n. 49 modifica nuovamente l’art. 120, co. 2, T.U.B.

Viene ribadita l’ormai consolidata regola della medesima periodicità nel conteggio degli interessi attivi e passivi: si precisa, però, che la stessa non può essere inferiore ad un anno e che il conteggio viene effettuato il 31 dicembre di ogni anno, ovvero, in caso di chiusura del rapporto per cui sono dovuti54.

50 In tal senso V. FARINA, L’immediata operatività del (nuovo) divieto di anatocismo, in Contr.,

10/2015, 875 ss., 881, ove si sottolinea che «Indubbiamente, ricondotto il conteggio a capitale al rango di mera operazione contabile da annotazione, nulla osta a che gli interessi creditori e debitori maturati e calcolati con la stessa periodicità, possano essere annotati a parte, pur essendo addotti a capitale. In concreto, si verrebbe a creare un monte interessi da liquidazione periodica, destinato a confluire nel saldo del conto in uno con la sorte capitale, giammai produttiva di interessi. Questi ultimi, invece, continuerebbero a prodursi solo sulla somma dovuta o di cui è creditore il cliente a titolo, appunto, di capitale originario. […] L’identicità del computo dei medesimi e l’unicità del monte conteggiato a parte dovrebbe rendere piena contezza al cliente delle automatiche compensazioni, che interverranno tra interessi attivi e passivi confluiti in un unico “monte”».

51 Gli interessi così conteggiati non possono produrre interessi ulteriori, che, andranno quindi conteggiati solo sul capitale originario, poiché non idonei a generare frutti civili ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 820 c.c.

52 Cfr. Trib. Milano, sez. VI, ordinanza, 3 aprile 2015, in Banca Borsa Tit. Cred., 2015, 3, II, 310. 53 V. R. BENCINI, Anatocismo e usura: clausole vecchie e nuova normativa, in Dir.&Giust., 37, 2016, 2. 54 Contra Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24156, in Dir.&Giust., 2017, 16 ottobre, ove la

S.C. evidenzia che «Nelle controversie relative ai rapporti tra la banca ed il cliente correntista il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice

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Le novità più eclatanti, tuttavia, sono contenute nella lettera b), dedicata ai soli interessi debitori (per il cliente) relativi a tutte le tipologie di finanziamenti bancari, ove si sancisce il divieto di anatocismo, salvo che per gli interessi moratori.

Evidentemente, “torna (questa volta peraltro esplicitamente, a livello di disciplina primaria) ad essere senz’altro legittimo il conteggio degli interessi moratori anche sulla quota parte della rata di restituzione di un finanziamento a piano di ammortamento predefinito, rappresentativa degli interessi corrispettivi”55.

In pratica, nella formulazione dell’art. 120 T.U.B. previgente, così come interpretato anche dall’unanime giurisprudenza, gli interessi bancari maturavano giornalmente e la banca aveva il diritto di chiederne il pagamento una volta che gli stessi fossero divenuti esigibili (quindi scaduti), il che avveniva solo al momento della chiusura del rapporto, non potendosi reputare il credito liquido ed esigibile ai sensi dell’art. 1194 c.c. prima di tale momento. Gli interessi, pertanto, venivano conteggiati con la periodicità pattuita tra il cliente e la banca, ma divenivano esigibili solo alla fine del rapporto (con la chiusura di tutte le partite).

Con la nuova modifica, invece, gli interessi debitori solutori verranno, di fatto, conteggiati al 31 dicembre56 e diverranno esigibili già a partire dall’1 marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati.

In poche parole gli interessi solutori divengono esigibili, per legge, trascorso un arco di tempo prestabilito.

Evidentemente, il legislatore ha sentito l’esigenza di emanare una legge a tutela della parte “attualmente più debole”, gli Istituti bancari, al fine di ristabilire lo status

dichiarata la nullità della predetta clausola per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione». In senso analogo, C. LATTARULO, Divieto di anatocismo impedisce la capitalizzazione anche annuale degli interessi, nota a Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2017, n. 24293, in www.altalex.com, 22 novembre 2017, il quale rileva che «Non può ritenersi, parimenti, valida la opinione secondo cui la nullità della clausola anatocistica avrebbe ad oggetto esclusivamente il periodo trimestrale di capitalizzazione, lasciando in vita la convenzione integrabile per via interpretativa. Il vizio di nullità, infatti, afferisce alla intera clausola, in quanto la convenzione è violativa della norma imperativa prevista dall’art. 1283 c.c. applicabile “ratione temporis” al rapporto di garanzia in esame». Cfr. anche Trib. Messina, sez. II, 08/05/2015, (ud. 07/05/2015, dep.08/05/2015), n. 1068, in www.iusexplorer.it.

55 In tal senso C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti bancari, cit., 506. 56 E fin qui, nessun problema, dato che, ai sensi dell’art. 821 ultimo comma, c.c., “i frutti civili si

acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto”. Tale norma ovviamente trova applicazione anche con riferimento agli interessi anatocistici. In tal senso V. BARBA, Interessi dovuti per effetto dell’inderogabile divieto di anatocismo, cit., 541, in cui si precisa che «Codesta regola, riguardando gli interessi tout court, non soltanto, in assenza di una diversa pattuizione, regolamenta il tempo in cui si acquistano gli interessi semplici, ossia gli interessi che maturano sul capitale, bensì disciplina, in assenza di un diverso uso o pattuizione, il tempo in cui si acquistano anche gli interessi anatocistici. Come l’interesse semplice, cioè quello proporzionale al capitale e al tempo, così anche il composto, ossia quello che, in attesa di essere pagato o riscosso, è aggiunto al capitale iniziale, trova il ritmo del tempo di acquisto nel «giorno per giorno». La conclusione diviene, allora, obbligata. Quello anatocistico è un interesse composto discontinuo convertibile».

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quo ante, tanto che può tranquillamente parlarsi di ritorno al passato e/o di “riesumazione” dell’istituto dell’anatocismo.

Né, può diversamente opinarsi anche se la normativa in esame consente che il correntista, “vera parte contrattuale debole”, possa autorizzare preventivamente57 l’addebito degli interessi solutori sul conto quando questi divengono esigibili, trasformando detti interessi in sorte capitale, produttiva, a sua volta di ulteriori interessi. È vero che l’autorizzazione di cui si tratta può essere revocata in qualsiasi momento, ma chiaramente, vien da scommettere che tale eventualità si verificherà assai di rado, dati i diversi rapporti di forza tra le parti in gioco58.

Con incredibile solerzia (vista l’inerzia successiva all’entrata in vigore della legge di stabilità 2014), quasi a voler cristallizzare (e bloccare) un quadro generale “finalmente gradito”, il CICR pubblica la delibera del 3 agosto 201659, in cui ribadisce all’art. 4, da un lato, l’esigibilità degli interessi debitori a partire dall’1 marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati e, dall’altro, che gli intermediari devono concedere ai clienti un periodo di trenta giorni dal ricevimento delle comunicazioni previste ai sensi dell’art. 119 o 126-quater, co. 1, lett. b) T.U.B. prima che gli interessi maturati divengano esigibili60.

In ragione di quanto sopra, oggi più che mai, ritornano di attualità le osservazioni di attenta dottrina, la quale rileva che «la regola sull’anatocismo, infatti, non soltanto non è norma di divieto, ma non è neppure inderogabile»61.

57 Quindi ex ante, e non ex post, come previsto dall’art. 1283 c.c. 58 Sul punto si consenta di richiamare le osservazioni di C. COLOMBO, Gli interessi nei contratti

bancari, cit., 507, il quale sottolinea che «[…] è evidente che in tal caso, se il cliente non provvede altrimenti al pagamento degli interessi divenuti esigibili, è più che probabile che la banca si determinerà alla revoca della linea di credito concessa». V. anche G. MUCCIARONE, Anatocismo bancario: ultimi sviluppi, in Banca impr. soc., 2/2016, 355 ss., 361, nt. 17, ove l’A. evidenzia che «Certo, la necessità di una non opposizione, ovvero di una autorizzazione, del cliente alla capitalizzazione degli interessi dovrebbe definitivamente fare i conti con il problema della prova del ricevimento almeno dell’estratto conto annuale».

59 Per maggiori approfondimenti si rinvia a L. SERRA, Anatocismo bancario: in vigore le nuove regole, in www.altalex.com, 3 ottobre 2016.

60 Sul punto merita un cenno la recente sentenza del Trib. Catania, sez. IV, 17/02/2017, n. 790, in Redaz. Giuffrè 2017, ove si evidenzia che «In tema di contratti bancari ed azione di nullità di clausole per somme indebitamente riscosse a titolo di anatocismo, l’approvazione degli estratti conto periodicamente inviati al cliente dalla banca ha natura meramente enunciativa e confessoria dei fatti storici annotati negli estratti conto, impedendo la contestazione solo sotto un profilo contabile degli interessi a debito e a credito».

61 Cfr. V. BARBA, Interessi dovuti per effetto dell’inderogabile divieto di anatocismo, cit., 541, ove l’A. aggiunge (542) che «Con un po’ di malizia si può osservare che tutte le norme che consentono un fatto o un atto, per definizione, finiscono con il vietare quello stesso fatto o quello stesso atto permesso quando si esplichi fuori o oltre i limiti normativamente fissati. Per contro, invece, le norme di divieto, ossia quelle che vietano un certo fatto o un certo atto, sono solite non permetterlo in alcun caso. La norma contenuta nell’articolo 1283 c.c. non è di divieto, perché il fatto o l’atto non viene vietato, né occorre una norma eccezionale per consentirne la verificazione». Lo stesso discorso potrebbe tranquillamente estendersi all’attuale disciplina in tema di anatocismo in considerazione dell’attuale testo dell’art. 120 T.U.B., da considerarsi come norma speciale, che sancisce l’esigibilità degli interessi in oggetto a partire dall’1 marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. La giurisprudenza

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Appare doverosa, quindi, in una prospettiva de iure condendo, un’analisi comparatistica della problematica che ci interessa con un ordinamento storicamente molto affine al nostro: l’ordinamento spagnolo.

Il sistema spagnolo, in tema di interessi anatocistici, è incentrato sugli artt. 1109 codigo civil e 317 codigo de comercio. La prima norma prevede un anatocismo in origine solo legale/giudiziale, a cui viene affiancato un anatocismo convenzionale, per l’espresso richiamo, effettuato nel II comma, al Código de Comercio, per los negocios comerciales62; la seconda è dettata in origine in materia di mutuo commerciale ed è stata poi estesa ad altre tipologie di contratti, quest’ultima rileva maggiormente ai nostri fini63.

Nell’ambito di una generale libertà negoziale delle parti, infatti, a differenza del disposto dell’art. 120 co. 2, T.U.B., attualmente vigente, in Spagna, si nega fermamente l’anatocismo legale, viceversa, si ammette l’anatocismo convenzionale.

In considerazione di quanto sopra, la regola generale posta dall’art. 317 codigo de comercio sancisce che “Gli interessi scaduti e non pagati non produrranno interessi”, salvo che sia pattiziamente previsto per iscritto tra le parti64.

Il patto viene visto come espressione di autonomia privata, pertanto, non è vietato espressamente dalla norma e non è considerato contrario né al buon costume né all’ordine pubblico65. Infatti, a differenza del sistema codicistico italiano, dove vi è

più recente sembra comunque discostarsi dalla predetta “presa di posizione” del legislatore; v. sul punto Cass. civ., sez. VI-1, ordinanza 05 ottobre 2017 n. 23278, in www.altalex.com, 8 novembre 2017, in cui i giudici di legittimità sanciscono il seguente principio di diritto: «questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che la nullità delle clausole contrattuali che prevedono la corresponsione di interessi anatocistici o di interessi usurari è rilevabile dal giudice d’ufficio».

62 Artículo 1109. «Los intereses vencidos devengan el interés legal desde que son judicialmente reclamados, aunque la obligación

haya guardado silencio sobre este punto. En los negocios comerciales se estará a lo que dispone el Código de Comercio. Los Montes de Piedad y Cajas de Ahorro se regirán por sus reglamentos especiales».

(«Gli interessi scaduti producono l’interesse legale dal momento in cui siano giudizialmente rivendicati, benché nell’obbligazione ci sia silenzio su questo punto. Nei negozi commerciali si applicano le disposizioni del codice del commercio. I Monti di Pietà e le Casse di Risparmio saranno disciplinati dalle rispettive norme speciali»).

63 Per un quadro generale sull’anatocismo nel diritto spagnolo si rimanda a M.E. GÓMEZ ROJO, Historia jurídica del anatocismo, Barcelona, 2003.

64 Artículo 317 «Los intereses vencidos y no pagados no devengarán intereses. Los contratantes podrán, sin embargo, capitalizar

los intereses líquidos y no satisfechos, que, como aumento del capital, devengarán nuevos réditos». («Gli interessi scaduti e non pagati non produrranno interessi. Le parti contraenti potranno,

tuttavia, capitalizzare gli interessi liquidi e non soddisfatti, che, come aumento di capitale, produrranno nuovi redditi»).

65 Per maggiori approfondimenti v. Anatocismo, M. Medina Alcoz, Derecho español y Draft Common Frame of Reference, in www.indret.com, 4/2011, Barcelona, octubre 2011.

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un divieto generale con specifiche deroghe, le norme spagnole indicano una regola che può essere derogata liberamente dalle parti.

Ebbene, da ciò potrebbe evincersi un maggior rigore del sistema italiano rispetto a quello spagnolo. In realtà, tale assunto potrebbe essere contraddetto per due ordini di motivi. In primis, esistono limiti insuperabili, quali quelli posti dalla legge sull’usura, cd. Ley Azcárate (Ley de 23 de julio de 1908, de la Usura) la quale invero non prevede dei tassi soglia, ma rinvia ai giudici per una valutazione in concreto dell’usurarietà della clausola66.

La domanda sorge spontanea: tali limiti inderogabili esistono in Italia ove è previsto un “apparente” generale divieto di anatocismo, derogato dalla normativa speciale T.U.B., alla luce anche della recente sentenza delle Sezioni Unite in tema di usura sopravvenuta? Non si dimentichi, infatti, che la S.C. ha negato cittadinanza nel nostro ordinamento a tale figura, rinviando per la valutazione dell’esistenza (o meno) dell’usura (con tutte le ripercussioni giuridiche del caso) al momento della sottoscrizione del contratto67. Ergo, il raggio d’azione del giudice italiano appare più ristretto rispetto a quello del giudice spagnolo, potendo evidentemente una clausola “usuraria in concreto” produrre effetti nel nostro ordinamento, purchè, al momento della pattuizione originaria, gli interessi stessi rispettassero i tassi legalmente imposti68. Quasi che l’usura non fosse un reato69, o che esistesse un’usura ammissibile e/o tollerabile70. Per l’argomento che in questa sede ci interessa, infatti, occorre ricordare che gli interessi anatocistici sono interessi di mora71 e, come tali, alla luce del disposto

66 E per la sua eventuale declaratoria di nullità. 67 V. Cass. civ., sez. un., 19/10/2017, n. 24675, con nota di F. VALERINI, Per le Sezioni Unite

non c’è spazio per l’usura sopravvenuta: rileva soltanto il momento della pattuizione, in Dir.& Giust. 2017, 20 ottobre, 11, ove i giudici di legittimità precisano che «Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto».

68 Per maggiori approfondimenti cfr., S. PAGLIANTINI, La saga (a sfaccettature multiple) dell’usurarietà sopravvenuta tra regole e principi, in AA.VV., Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, (a cura di G. D’Amico), Torino, II ed., 2017, 95 ss.

69 Sul punto cfr. B. RICCIO, La portata eversiva della sentenza a sezioni unite che nega l’usurarietà sopravvenuta. E’ abrogato l’art. 644 e 644 ter cp? La sussistenza dell’usurarietà originaria nel mutuo e nel contratto di conto corrente, nota a Cass. civ., sez. un., 19 ottobre 2017, n. 24675, in www.iusexplorer.it, fasc.1, 2017, pag. 2.

70 In tema di usura e contratti bancari, imprescindibili appaiono le osservazioni di G. D’AMICO, Interessi usurari e contratti bancari, in AA.VV., Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, cit., 1 ss.

71 In tal senso v. G. MUCCIARONE, Anatocismo bancario: ultimi sviluppi, cit., 363, il quale rileva che «[…] l’aver permesso l’anatocismo nel limite della periodicità annuale ridimensiona, ma non elimina il problema del rapporto tra il fenomeno in discorso e l’usura».

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dell’art. 120, co. 2, lett. b) T.U.B. (che esclude espressamente gli interessi di mora dall’applicazione del divieto di anatocismo), potranno produrre interessi ulteriori, anche sfociando in somme potenzialmente usurarie, il tutto evidentemente “in linea con la legge”72.

In secondo luogo, si pensi, alla recente evoluzione dottrinale e giurisprudenziale spagnola che guarda alla clausola anatocistica come ad una “clausola abusiva” che deve essere regolata in modo da tutelare maggiormente il debitore, contraente debole73.

È stato suggerito, infatti, in un’ottica costituzionalmente orientata, di estendere alla materia de qua gli “accorgimenti” imposti dalla legge sui consumatori, prevedendo una vessatorietà in re ipsa delle clausole anatocistiche, che, come tali, devono essere interpretate restrittivamente, quando una delle parti sia un consumatore. Questa ricostruzione troverebbe giustificazione nell’art. 51 Constitución española 27 de diciembre de 1978 che garantisce e tutela la difesa dei consumatori74.

Appare lapalissiano che, sebbene l’ordinamento spagnolo non preveda alcuna rigida limitazione delle prassi anatocistiche, ciononostante da una ricostruzione sistematica si denota l’assoluta fermezza del legislatore spagnolo nel contingentare e combattere il fenomeno de quo, nel tentativo, comunque non facile, di contemperare i confliggenti interessi in gioco e di non invadere gli ambiti di rilevanza dell’autonomia privata delle parti75. Vien da chiedersi se partendo dalla problematica che ci interessa, non sia auspicabile un generale intervento riformatore, volto ad introdurre una tutela costituzionale, come tale, superprimaria ed inderogabile, per i consumatori in generale e per i risparmiatori/utenti dei servizi finanziari, in particolare, seguendo l’esempio dell’art. 51 Constitución española76 in modo da garantire trasparenza e scelte consapevoli ai correntisti, non solo ex post, ma, ove possibile, anche ex ante.

5. In conclusione di questa disamina, anche in chiave comparativistica, della disciplina in tema di anatocismo, potremmo “denunciare” (e criticare) l’atteggiamento “attendista” e “fazioso” del legislatore italiano, ma, si consenta, semplicemente, di

72 Sull’argomento si consenta di rinviare a C. LATTARULO, Usura: tasso soglia riguarda sia gli

interessi corrispettivi che quelli moratori, nota a Cass. civ., sez. VI-1, ordinanza 04 ottobre 2017 n. 23912, in www.altalex.com, 17 novembre 2017.

73 In tal senso cfr. V. CUÑAT EDO - R. BALLARÍN HERNÁNDEZ (Dir.), Estudios sobre Jurisprudencia Bncaria, coord. por R. Marimón Durá, F. González Castilla, Thomson Reuters-Aranzadi, Navarra, 2002, 103.

74 In tema di tutela dei consumatori si rinvia a E. GALÁN CORONA y J.A. GARCÍA-CRUCES (Dirs.), Reforma del Derecho Privado y Protección del consumidor, Valladolid, 1994.

75 Per maggiori approfondimenti sull’excursus giurisprudenziale/dottrinale spagnolo in tema di interessi anatocistici cfr. La capitalizzazione degli interessi bancari, in www.cortecostituzionale.it, a cura di C. Guerrero, maggio 2007, 33.

76 Cfr. D.A. BERCOVITZ RODRÍGUEZ-CANO, La protección de los consumidores, la Constitución española y el Derecho Mercantil, en Lecturas sobre la Constitución Española, Facultad de Derecho, Universidad Nacional de Educación a Distancia, Madrid 1978, T. II, 9.

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richiamare il pensiero di attenta dottrina che sintetizza, in senso critico, l’intero excursus normativo, considerando l’art. 120 T.U.B. come un emblematico esempio di linguaggio omissivo del legislatore77. Probabilmente, nel caso di specie sarebbe più corretto parlare di linguaggio volutamente ambiguo78; di un atteggiamento, quindi, dolosamente preordinato a favore di gruppi di interesse che tradisce la mission del Parlamento, il quale si dimostra, una volta di più, sordo rispetto alle esigenze che promanano dalla generalità dei consociati, “esponendo i soggetti deboli, sopraffatti o sfruttati, alla marginalità”79.

In ragione di quanto sopra, si impone una rilettura sistematica della materia che possa definitivamente approdare ad una disciplina esaustiva e completa in modo da evitare che i giudici possano vestire i panni del legislatore in spregio al sacrosanto principio di separazione dei poteri80.

Una disciplina così volutamente frammentaria ed ambigua, infatti, rischia di tradursi in pronunce contraddittorie ed ingiuste, tradendo, nell’interesse di ristretti gruppi di minoranza81, la legittima aspirazione generale ad una decisione secundum ius e

77 In tal senso G. ALPA, Il linguaggio omissivo del legislatore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2, 1 giugno

2017, 415 ss. 78 Sull’argomento cfr. le pertinenti osservazioni di V. L. MENGONI, Sull’efficienza come principio

giuridico, già in Scritti in memoria di Massimo D’Antona, Milano, 2004, VI, 4173 ss., ora in Scritti I. Metodo e teoria giuridica, (a cura di C. Castronovo, A. Albanese e A. Nicolussi), Milano, 263 ss., 273, il quale “denuncia” «[…] un aumento costante dei casi non risolvibili con semplici operazioni logico-formali di deduzione da enunciati normativi univoci o da principi generali ricavati per astrazione da norme particolari» e rileva che «Normalmente le leggi sono affette dalla plurivocità del linguaggio comune; sovente è incerto quale di più norme prima facie candidabili per la decisione sia applicabile, oppure il caso non è previsto, né può essere deciso per analogia o in via di sussunzione sotto un principio sistematico. Il giudice deve allora scegliere tra più interpretazioni possibili o tra più ricostruzioni tipologiche possibili del caso in rapporto a una piuttosto che ad un’altra fattispecie legale, ovvero, se il caso rivela una lacuna della legge, deve elaborare una regola di decisione adeguata alle circostanze concrete e insieme coerente col sistema normativo, ossia universalizzabile a un certo livello di astrazione del sistema, dato che una scelta razionale è tale solo se derivabile da un ordinamento».

79 In tal senso v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, III ed., Napoli, 2006, 474, il quale aggiunge (475-476) che «In tal modo il mercato si configura come uno strumento di indebolimento delle relazioni sociali, che conduce gli uomini ad una mercantilizzazione infinita ed al conflitto continuo che non può trovare una riduzione o una mediazione nella politica senza restringere le libertà economiche, senza inquinare il quadro delle libertà civili e quindi la stessa democrazia. […] Il mercato assume il ruolo istituzionale di organizzatore di relazioni sociali e di redistributore di ricchezza e i grandi gruppi economici, che svolgono la funzione di «governo privato» della società, si prestano alla cooperazione e alla sponsorizzazione compatibili con il loro egoismo, ma niente affatto disponibili a gesti e a forme di sincera solidarietà».

80 Cfr. sul punto C. CASTRONOVO, L’aporia tra ius dicere e ius facere, in Eur. dir. priv., 4/2016, 981 ss., 1014, ove l’A. afferma che «in ogni caso, la vocazione al “diritto giusto” viene detta e vista anzitutto con riferimento all’ordinamento nel suo complesso; e anche quando la si intenda verificare con riguardo alla singola norma, non può essere vista come una delega ai giudici, ai quali invero nessun ordinamento commette tale compito».

81 In proposito, appaiono calzanti le osservazioni di P. GROSSI, Ritorno al diritto, cit., 5-6, il quale identifica la modernità «[…] in un artificioso riduzionismo: è, infatti, un diritto pensato, voluto, realizzato in

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secundum iustitiam82 per causa assolutamente non imputabile al potere giudiziario, bensì ascrivibile all’incuria ed alla sciatteria di un legislatore “inspiegabilmente” di parte83.

D’altronde, oggi più che mai, appare irrinunciabile un intervento riformatore, anche comunitario, che imponga, dall’alto, con efficacia self executing una disciplina chiara e precisa che possa porre fine a questa interminabile «altalena normativa», volta a stravolgere le posizioni in campo, a discapito della parte contrattuale storicamente più vulnerabile84. Non si dimentichi, infatti, che la prassi anatocistica risulta essere in contrasto con i principi generali dell’U.E. della trasparenza, della proporzionalità e della non discriminazione scolpiti nei Trattati e riconosciuti dalla giurisprudenza della C.G.U.E.85.

Come mirabilmente osservato da autorevole dottrina «[…] al deficit di potere economico dei consumatori rispetto al potere economico delle imprese può porsi rimedio con l’ausilio delle regole giuridiche, mediante le quali vengano contenute entro canali invalicabili le forme di azione economica delle imprese nei rapporti con i consumatori»86.

alto, frutto di una visione duramente potestativa ed elitaria dell’ordine giuridico, che gènera inevitabilmente un distacco fra diritto ufficiale, cioè legale, e società».

82 V. L. MENGONI, La questione del «diritto giusto» nella società post-liberale, in Rel. Ind., 1988, 13 ss., relazione al convegno di studio su «Diritto ed etica pubblica», organizzato da «Comunità di Ricerca – Istituto di Studi e Ricerche Culturali» (Milano, 29-30 gennaio 1988), ora in Scritti I. Metodo e teoria giuridica, cit., 55 ss., 64.

83 Sull’argomento meritano un cenno le riflessioni di E. Mauro, in Z. BAUMAN - E. MAURO, Babel, Roma-Bari, 2015, 9, il quale, sottolineando l’attuale stato di vulnerabilità della generalità dei consociati innanzi ad una “struttura sociale indebolita” e ad una “democrazia esausta”, evidenzia che «Il cortocircuito è evidente: la percezione della propria vulnerabilità genera un sentimento di paura; ma se il compito dei governi è di garantire innanzitutto sicurezza, i governi diventano i primi imputati davanti alla nuova insicurezza crescente. Anzi, la politica finisce per essere il campione di un mondo che non funziona, il suo totem rovesciato». L’A. aggiunge, inoltre, (19) che «[…] quando la politica non riesce a incidere sulla nostra vita quotidiana, non interseca le nostre inquietudini sul futuro dei nostri figli, a cosa ci serve, qual è il suo valore d’uso? […] la democrazia dopo aver sconfitto le dittature non ha lo scettro per sempre, deve riconquistarlo ogni giorno rilegittimandosi continuamente, e la politica deve ritornare a occuparsi in concreto della vita delle persone, legando gli interessi legittimi in campo con i valori di cui è portatrice e con gli ideali a cui si fa riferimento».

84 In proposito v. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., 477, ove si sottolinea che «La storia tuttavia conferma che l’istituzionalizzazione del mercato non può prescindere dall’assunzione di un garante esterno, sia esso la morale (laica o religiosa) o il diritto. La società non è riducibile al mercato e alle sue sole regole; il diritto, al quale spetta la regolamentazione della società, indica limiti e correttivi, dettati non soltanto dal perseguimento della ricchezza e dalla sua distribuzione, ma da valori e interessi di natura diversa».

85 In tal senso G. COLANGELO, Un giudice a Lussemburgo. Proporzionalità, non discriminazione e danno nel conto corrente bancario, in Danno resp., 3/2012, 314 ss., 322, il quale precisa (324) che «[…] le banche commerciali sono imprese come tutte le altre e godono degli stessi diritti e sono soggette ai medesimi doveri. […] Tutti gli altri soggetti economici sono impediti dall’esercitare la pratica commerciale dell’interesse composto (anatocismo) nei confronti di terzi ma, e qui sta la discriminazione, sono costretti a subirla dall’industria del credito».

86 V. A. FALZEA, Il civilista e le sfide d’inizio millennio, cit. 414, il quale precisa (413) che «L’economia ha le sue leggi, ma, come anche avviene per le leggi fisiche, il diritto, se non ha la potenza di annullarne la

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www.comparazionedirittocivile.it, dicembre 2017

In conclusione, quindi, in un quadro normativo e giurisprudenziale/dottrinario sempre più variegato e cangiante, contraddistinto da instabilità ed incertezza, diventa fondamentale il ruolo del giurista, il quale deve necessariamente prendere atto dell’avvento di un’era senza verità assolute e/o dogmi intangibili87, caratterizzata da un diritto costantemente in fieri. Quest’ultimo, infatti, senza abbandonarsi ad un nichilismo giuridico, e, navigando a vista, deve impegnarsi «[…] continuamente a plasmare le sostanze normative in modo da renderle conformi al patrimonio positivizzato di valori»88.

Solo così si potrà raggiungere il tanto agognato obiettivo del «buon diritto», inteso come diritto “giusto, equo, solidale”, smarcato da logiche esterne, faziose e/o di potere, ed indirizzato a massimizzare la sintesi tra interesse individuale ed interesse generale, nel rispetto del principio generale della solidarietà sociale89.

forza cogente ha la capacità di governare la condotta degli uomini per evitare l’avveramento delle cause economiche nocive o per porre rimedio agli effetti economici dannosi».

87 Sul punto cfr. V. SCALISI, Per una ermeneutica giuridica “veritativa” orientata a giustizia, in Riv. dir. civ., 6/2014, 1249 ss., 1271 il quale evidenzia che “«Non si può possedere la verità se non nella forma di doverla cercare ancora». Perché nessuna interpretazione può avere pretesa totalizzante; e nessuna interpretazione può rivendicare il monopolio di una definitiva verità […]”.

88 In tal senso N. LIPARI, Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017, 153 ss., 189. 89 Cfr. sull’argomento le lucide osservazioni di P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità

costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., 479-480, ove l’A. afferma che «Il «buon diritto» non si pone all’esclusivo o prevalente servizio delle ragioni economiche, ma sa contrapporsi ad esse, impedendo la mercantilizzazione della società e la identificazione (e l’esaurimento) dei diritti civili e dei diritti umani naturali con quelli economici, siano essi di matrice proprietaria o imprenditoriale-contrattuale. Il «buon diritto» non soltanto garantisce la conservazione della realtà, come naturalmente e spontaneamente si crea e si evolve, ma anticipa e promuove la trasformazione della società per realizzare al suo interno, compatibilmente alle risorse, le maggiori chances di vita libera e dignitosa per tutti. Il «buon diritto» è giusto, equo, solidale, ha una sua giustificazione sociale, non esaurisce i diritti nel loro contenuto patrimonialistico, facendone dei «privilegi», ma, nel contribuire a migliorare la qualità della vita tende a diffonderli generosamente, attribuendo loro una funzione sociale desumibile dal livello culturale ed etico del sistema normativo».