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CORSO DI RELIGIONE CATTOLICA ANALISI CASI COLLEZIONI DI VARIABILI CASUALI (osservazioni campionarie) PREMESSA Vedere il mondo, fotografare il mondo, misurare e esplicitare l’essenziale le caratteristiche le differenze del fenomeno definito religione cattolica. Sui dati raccolti in questo file e quelli raccolto in rassegna stampa svilupperemo una riflessione per capire la realtà all’interno di una posizione probabilistica e indeterministica per raggiungere una approssimazione ottimale. La comprensione di una fenomenologia soggetta ad incertezza come la religione cattolica presuppone sia un momento deduttivo ( cosa avverrà sulla base di schemi) sia un momento induttivo ( quale meccanismo incognito può aver provocato i risultati empirici). La religione è un risultato empirico che ha basi teoriche che la generano partendo dal fatto che l’uomo senza azione non sopravvive e non migliora. Dato questo aspetto poc’anzi descritto, bisogna capire quali progetti fare. Questo metodo della ricerca è uno strumento che come tutti gli strumenti dell’uomo possono essere utilizzandoti in modo improprio precostituendo i risultati o orientando le interpretazioni quindi generando autentiche falsificazioni generate da faciloneria, ignoranza, malafede (statistica come spettacolo). I dati e le informazioni sono realizzazione di una legge o di ipotesi che quei dati devono mettere in discussione. Senza modelli falsificabili dall’esperienza i dati statistici sono numeri privi di senso. La descrizione della tipologia delle informazioni disponibili rende più agevole il lavoro di ricerca quindi è necessario capire il contesto in cui viene studiato il 1

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CORSO DI RELIGIONE CATTOLICAANALISI CASI

COLLEZIONI DI VARIABILI CASUALI (osservazioni campionarie)

PREMESSAVedere il mondo, fotografare il mondo, misurare e esplicitare l’essenziale le caratteristiche le differenze del fenomeno definito religione cattolica.Sui dati raccolti in questo file e quelli raccolto in rassegna stampa svilupperemo una riflessione per capire la realtà all’interno di una posizione probabilistica e indeterministica per raggiungere una approssimazione ottimale.La comprensione di una fenomenologia soggetta ad incertezza come la religione cattolica presuppone sia un momento deduttivo ( cosa avverrà sulla base di schemi) sia un momento induttivo ( quale meccanismo incognito può aver provocato i risultati empirici). La religione è un risultato empirico che ha basi teoriche che la generano partendo dal fatto che l’uomo senza azione non sopravvive e non migliora. Dato questo aspetto poc’anzi descritto, bisogna capire quali progetti fare.Questo metodo della ricerca è uno strumento che come tutti gli strumenti dell’uomo possono essere utilizzandoti in modo improprio precostituendo i risultati o orientando le interpretazioni quindi generando autentiche falsificazioni generate da faciloneria, ignoranza, malafede (statistica come spettacolo).I dati e le informazioni sono realizzazione di una legge o di ipotesi che quei dati devono mettere in discussione. Senza modelli falsificabili dall’esperienza i dati statistici sono numeri privi di senso.

La descrizione della tipologia delle informazioni disponibili rende più agevole il lavoro di ricerca quindi è necessario capire il contesto in cui viene studiato il fenomeno religioso cattolico i limiti territoriali, temporali o di altra natura.La terminologia scientifica richiede rigore quindi ci atteniamo al concetto di rilevazione statistica ovvero quel complesso di operazioni rivolte ad acquisire informazioni su un insieme di elementi oggetto di studio nel nostro caso la religione cattolica.Le rilevazioni possono essere classificate in:

1) Semplici e complesse2) Risposte(opinioni, sentimenti, scala di giudizi) o misurate (metro, orologio)3) Globali o parziali

Alcune precisazioni:Popolazione: universo insieme nel suo complessocampione: sotto insieme derivato da una certa popolazioneunità statistica è l’elemento di base su cui viene effettuata la rilevazione es la persona, la famiglia, la chiesa cattolica; variabile: è il fenomeno rilevato o misurato e può essere qualitativo e quantitativo nel primo caso lo chiamiamo semplicemente mutabile nel secondo caso variabile numerica. Le variabile qualitative possono essere nominali o ordinali mentre le variabili quantitative possono essere discrete o continue;modalità è l’espressione concreta mediante la quale la variabile si manifesta ad es è un numero o un attributo;

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frequenza è il numero di volte in cui una modalità si verificaserie è l’insieme delle modalità rilevate della popolazione e può essere geografica, alfabetica, cronologica, cromatica ecc.serie storiche o serie temporali sono particolarmente utili nello studio della religione perché è un fenomeno che si manifesta nel tempo in modo ripetitivo ad es ogni domenica si va a messa, ogni anno c’è Natale e Pasqua ecc. Diventano serie temporali-sapaziali se si collocano anche nel territorio e sono uni variate se osserviamo una variabile oppure sono multivariate se osserviamo più variabili.matrice di dati: è una rappresentazione tabellare (righe colonne);Il campionamento in questo corso ha l’obiettivo di ottenere INFORMAZIONI sulla popolazione di interesse religioso questa indagine campionaria è dovuta al fatto che non vogliamo ma soprattutto non possiamo effettuare un indagine totale. Ogni giorno estraggo dalle fonti ufficiali e studio un campione di unità di popolazione al fine di ottenere PARAMETRI quali la via media e la varianza della religione e degli argomenti che trattiamo durante le lezioni. Siamo convinti che è preferibile osservare soltanto una parte della popolazione cioè un sottoinsieme appunto il campione ad oggi la numerosità del campione non è ampia ma la frazione di campionamento cioè il rapporto tra la dimensione campionaria e la popolazione deve aumentare per garantire un livello di approssimazione che consideriamo buono. La regola di selezione è di tipo probabilistico cioè prevedo che l’estrazione di un campione avvenga in accordo con una specifica distribuzione di probabilità. Per definire la regola di selezione ho definito l’insieme detto spazio campionario formato da tutti i possibili campioni di essere estratti con una medesima tecnica. I due dati ovvero spazio campionario e probabilità di estrazione formano il PIANO DI CAMPIONAMENTO. Dobbiamo tener conto comunque che l’ERRORE CAMPIONARIO cioè le conclusioni sono fatte solo sull’osservazione di un SOTTOINSIEME per questo motivo tengo conto del contesto in cui opero del tempo e delle risorse disponibili.. Per questo motivo viene scelto il CAMPIONAMENTO A GRAPPOLI perché la popolazione di interesse viene suddivisa in sottoinsiemi o grappoli che devono essere al loro interno il più possibile ETEROGENEI. Il nostro CAMPIONE OSSERVATO è una COLLEZIONE di v.c. INDIPENDENTI e IDENTICAMENTE DISTRIBUITE e ogni v.c. possiede la stessa DISTRIBUZIONE della popolazione di interesse religioso. La statistica campionaria è una funzione delle OSSERVAZIONI CAMPIONARIE e le statistiche che uso la media la varianza il massimo e il minimo e l’intervallo di variazione. In questo contesto il valore atteso della media campionaria è uguale alla media campionaria e la varianza della media campionaria è uguale alla varianza della popolazione. La ricerca necessità di una buona approssimazione e per raggiungere tale obiettivo faccio riferimento alla TEORIA DEL LIMITE CENTRALE TLC ovvero la distribuzione della media campionaria tende alla distribuzione Normale all’aumentare della dimensione campionaria ovvero almeno 30 osservazioni.Bisogna esercitare un notevole senso critico e costante cautela di fronte ad innumerevoli rappresentazioni grafiche, fotografiche, letterarie dei mass media perché spesso hanno la pretesa di offrire dati ed informazioni statistiche di qualità.

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La rappresentazione di gran lunga più importante è quella della distribuzione di frequenza (n di volte che si manifesta) che indicano come le unità della popolazione ( persona, famiglia, chiesa) si distribuiscano rispetto alla modalità della variabile che di volta in volta consideriamo. Il problema della migliore sintesi di distribuzione di frequenza fa emergere che la sola media aritmetica non può di per se esaurire la sintesi di un fenomeno reale.Possiamo dire che da un punto di vista epistemologico la variabilità è strettamente connessa con l’informazione raccolta e grazie ad essa possiamo discriminare le osservazioni dei fenomeni raccolto e prendere decisioni con una efficace scelta graduata.. Nello stesso tempo la variabilità nella vita quotidiana presenta incertezza, paure, rischi, errori e in questi casi produce tendenze ad affidarsi a fenomeni pocoo mutevoli o meglio a fenomeni che possiedono una dispersione controllata appunto come la religione cattolica.Studieremo il disporsi dei fenomeni attraverso due indici, indice ci connessione se le variabili sono qualitative e l’indice di correlazione se le variabili sono quantitative. Il legame viene misurato dalla distanza tra le frequenze osservate e le frequenze ipotetiche nel senso che maggiore è la distanza e maggiore è il legame tra le variabili. Il coefficiente di correlazione misura la forza del legame che può risultare con pendenza positiva e quindi la corr (x,y) = 1 con pendenza negativa quindi con corr (x,y) = -1 o con corr (x,y) = 0 quindi x e y sono indipendenti sono variabili incorrelate.

ANALISI DI CASI

2008-02-01 18:38

BAGHDAD, KAMIKAZE ERANO DISABILICongegno esplosivo e' stato fatto detonare a distanza

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(ANSA) - BAGHDAD, 1 FEB - Erano 'disabili mentali sin dalla nascita' le due donne kamikaze che oggi si sono fatte saltare in aria in due mercati di Baghdad. Il duplice attentato ha provocato la morte di almeno 60 persone, 150 sono rimaste ferite. Secondo il portavoce delle operazioni di sicurezza a Baghdad, il generale Atta, le due donne non erano in grado di far detonare il congegno esplosivo, che e' stato quindi innescato a distanza

» 2008-02-02 15:20

DONNE: 7 MLN MALTRATTATE IN ITALIAL'11 per cento durante la gravidanza

(ANSA) - ROMA, 2 FEB - Sono 6 milioni e 743 mila le donne, in Italia, che hanno subito una violenza fisica o sessuale nella loro vita.La meta' dei casi avviene all'interno delle mura domestiche ed il partner e' il carnefice. E la violenza non si ferma neppure davanti alla gravidanza: l'11,2% delle donne ha subito violenza proprio durante la gestazione. Lo rileva un

dossier presentato dalla parlamentare europea Roberta Angelilli nell'ambito di una campagna del Consiglio d'Europa.

2008-02-02 09:38

LITIGA CON COMPAGNA E SI DA' FUOCO IN AUTO SOTTO CASA, MORTOE' avvenuto ieri sera a Rivignano Udinese

(ANSA) - UDINE, 2 FEB - Un uomo e' morto ieri sera a Rivignano Udinese (Udine), dandosi fuoco nella propria auto dopo aver litigato con la sua ex compagna. L'uomo e' rimasto carbonizzato e l'auto, rapidamente avvolta dalle fiamme, e' esplosa. I due avevano piu' volte litigato in passato e l'uomo, Vinko Banovic, 48 anni, di origine

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serbo-montenegrina, aveva gia' ripetutamente minacciato di suicidarsi se la donna lo avesse lasciato. Il fatto e' avvenuto intorno alle 21 alla periferia del paese.(FOTO ARCHIVIO)

2008-02-02 11:13

MATRIMONI GAY: SENTENZA A NEW YORKAssociazione libertaria, 'una vittoria per i diritti umani'

(ANSA) - NEW YORK, 2 FEB - I matrimoni tra gay contratti in altri stati Usa devono essere riconosciuti a New York, secondo una corte d'appello cittadina. 'Si tratta di una vittoria per le famiglie, una vittoria per l'equita' ed una vittoria per i diritti umani', ha detto Donna Lieberman, direttore del New York Civil Liberties Union. Il Massachussetts e' il solo stato americano che consente il matrimonio tra gay.

dell’uomo»

MULTILATERALISMO «Un no alle decisioni di pochi»

  La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di cui nel 2008 ricorre il sessantesimo anniversario, è stata il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali diverse che ponevano al centro il bene della persona. I diritti che vengono codificati nel documento sono fondati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo. Essi perciò si applicano a ogni uomo, in virtù della comune origine della persona, «la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia». Il Papa mette in guardia contro il prevalere di «una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti

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potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e perfino religiosi differente».  Bene comune  Il Papa: così l’Onu aiuti a vincere le sfide del mondo

 Nell’intervento pronuciato all’Onu, il Papa sottolinea come «le Nazioni Unite incarnino l’aspirazione ad 'un grado superiore di orientamento

internazionale', ispirato e governato dal principio di sussidiarietà» e parla di «regole internazionali vincolanti».  Tutto ciò, secondo Benedetto XVI, «è ancor più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua a essere in crisi a causa della subordinazione alle decisioni di pochi». Evidente il riferimento a un dibattito planetario che da anni contrappone visioni unilateralistiche, sostenute da chi ha la forza – militare, economica, politica – per imporre i propri interessi e le proprie decisioni ad altri Paesi, e INGERENZA BUONA

Le visioni multilateralistiche, auspicate da coloro che ritengono doveroso un concerto per quanto possibile paritario tra le nazioni. «I problemi del mondo – ha infatti detto il Pontefice davanti all’Assemblea generale dell’Onu – esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale».  GLOBALIZZAZIONE  «Dovere d’intervenire in aiuto»   ur non nominando il concetto di 'ingerenze umanitaria', Benedetto XVI vi ha fatto implicito richiamo quando ha parlato del «dovere della comunità internazionale di intervenire con i mezzi giuridici previsti», nel caso gli Stati non siano in grado di garantire protezione alla popolazione da «violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie». Ciò sembra implicare un obbligo a mettere in atto azioni proporzionate ed efficaci. Dice il Papa: «L’azione, supposto il

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rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, sono l’indifferenza o la mancanza di intervento che provocano danno reale». Ma non si tratta di un ampio via libera a operazioni belliche: serve una «ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti», ammonisce Ratzinger, «prestando attenzione anche ai più flebili segni di dialogo».  «Anche l’Africa nello sviluppo»

DIRITTI E DOVERI   Non è mancato un riferimento al fenomeno della globalizzazione, nel discorso letto da Papa Ratzinger. Le Nazioni Unite sono, nella loro stessa essenza, il luogo della condivisione planetaria dei problemi e delle possibili soluzioni, ma è la mondializzazione a livello economico quella che maggiormente tocca la vita delle nazioni e dei singoli cittadini, con opportunità di sviluppo ma anche pericoli di impoverimento per coloro che non riescono a entrare nelle dinamiche positive della crescita. E al Pontefice stanno a cuore soprattutto quelle popolazione, come anche ieri ha ribadito. «Penso in particolare ai quei Paesi dell’Africa e di altri parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione». È proprio di questi mesi l’allarme per la crescita dei prezzi di molti prodotti di prima necessità, che minaccia di portare letteralmente alla fame milioni di persone, frutto avvelenato di dinamiche globali che non trovano adeguata  «Scienza rispettosa dell’etica»  

Nell’ambito delle relazioni internazionali, sono state messe a punto alcune regole che hanno lo scopo di promuovere il bene comune e

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di tutelare la libertà umana. E in nome della libertà deve esserci una correlazione tra diritti e doveri, con cui ciascuno è chiamato ad assumersi le responsabilità delle scelte che vengono fatte entrando in rapporto con gli altri. Una delle frontiere più problematiche in questo senso è quella legata ai risultati della ricerca scientifica e tecnologica. Pur riconoscendo gli indubbi compensazione.  vantaggi che essa ha portato all’umanità, vengono sottolineano i rischi legati alla violazione

La dichiarazione dei diritti umani  articolo 1 articolo 6 articolo 10 articolo 14 articolo 19  Tutti gli esseri umani nascono  liberi ed uguali Diritto al riconoscimento della propria personalità giuridica  Diritto ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale  Ogni individuo ricercato per reati politici ha il diritto di cercare asilo in altri paesi  Libertà di opinione e di espressione

dell’ordine della creazione. Fino a contraddire il carattere sacro della vita e arrivando a violare la persona e la famiglia umana nella loro identità naturale. Non si tratta, in definitiva, di scegliere tra scienza ed etica, ma piuttosto di «adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici».  articolo 2  articolo 7 articolo 11 articolo 20 Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione articolo 15 Diritto ad una cittadinanza Libertà di riunione e di associazione pacifica Tutti sono uguali dinanzi alla legge, e hanno diritto ad un'eguale tutela da parte della legge articolo 3  Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo  articolo 16 articolo 21 Diritto alla vita, alle libertà ed alla sicurezza della propria persona articolo 8

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Uomini e donne hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento LIBERTÀ RELIGIOSA  articolo 4 articolo 12 Diritto ad un'effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti Diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti in elezioni periodiche, a suffragio universale e a voto segreto Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù  o di servitù  Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata  articolo 17 «No a laicismo e intolleranza» Diritto alla proprietà personale  articolo 5 articolo 13  articolo 9 articolo 18  L  Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudele, inumani o degradanti  Nessun individuo potrà essere  arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato  Diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato e di lasciare qualsiasi paese Diritto alla libertà di pensiero,di coscienza e di religione articolo 20 Diritto alla sicurezza sociale  ANSA-CENTIMETRI  LA CITAZIONE   a libertà religiosa viene riaffermata come componente essenziale della famiglia dei diritti umani, nella sua dimensione individuale e comunitaria. Essa comprende sia la libertà di professare sia quella di scegliere la propria fede.  Viene anche ribadita la valenza pubblica dell’esperienza religiosa, criticando quanti puntano a rinchiuderla nella sola dimensione

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privata: «È inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe essere mai necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti». Infine, Benedetto XVI sottolinea la necessità di tutelare «i diritti collegati con la religione» quando vengono considerati in conflitto «con l’ideologia secolare prevalente» o «con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva». Trasparente, in questo passaggio, il riferimento alle derive laiciste presenti in molti Paesi e alle discriminazioni di cui sono oggetto le minoranze religiose (non solo cristiane) negli Stati confessionali.  FRANCISCO DE VITORIA, TEORICO DEL DIRITTO E DELLA GUERRA GIUSTA

Il Papa ha citato il filosofo e teologo spagnolo Francisco de Vitoria (1483-1546) come precursore dell’idea delle Nazioni Unite. Frate domenicano, fondatore della cosiddetta Scuola di Salamanca, è noto proprio per i suoi contributi alla definizione del concetto di 'guerra giusta' e all’elaborazione del moderno diritto internazionale. La sua riflessione, occasionata sia dalla conquista delle Americhe e dalla violazione dei diritti delle popolazioni indigene sia dai conflitti che insanguinavano l’Europa cristiana, ebbe molti e illustri continuatori.

 

 DA BERLINO  VINCENZO SAVIGNAN

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L’Austria è sotto choc: il padre-carceriere confessa l’orrore L’uomo «ha ammesso di aver tenuto nascosta la figlia per 24 anni e di aver avuto da lei sette bambini». Uno sarebbe stato ucciso subito dopo la nascita O  Un orrore senza fine, difficile da raccontare e da spiegare. I media austriaci e tedeschi di ora in ora stanno fornendo particolari sempre più agghiaccianti sulla tragica, spaventosa vicenda di Elisabeth Fritzl, la donna rinchiusa dal padre per 24 anni in uno scantinato senza finestre assieme a tre dei suoi sette figli (due ragazzi e una ragazza, i due maggiori di 18 e 19 anni, e il più piccolo di 5) avuti da rapporti sessuali imposti dallo stesso padre, Josef. L’ex ingegnere di 73 anni è stato arrestato casualmente lo scorso week-end dopo aver accompagnato in ospedale una diciannovenne in gravissime condizioni e con una malattia genetica tipica dell’incesto. Da quel momento per la polizia di Amstetten, cittadina di 23.000 abitanti, a 130 chilometri da Vienna, è stato un viaggio nell’orrore: nell’abitazione di Fritzl la polizia ha trovato uno scantinato con varie celle, senza luce naturale, in cui Elisabeth, oggi quarantaduenne, era rinchiusa dal 1984. In quella prigione di circa 50 metri quadrati, con soffitti alti non più di 1 metro e 70 e con una piccola cucina, un televisore e uno spazio per dormire, ha dato alla luce sette figli. Tre sono rimasti con lei nello scantinato, altri tre sono stati dati in affidamento ai suoi genitori che, a quanto sembra, credevano Elisabeth unita a una setta religiosa: «I tre neonati sono stati lasciati davanti alla porta di casa», ha raccontato al quotidiano austriaco der Standard  l’anziana moglie di Josef Fritzl, Rosemarie, che ha anche sostenuto di essere sempre stata all’oscuro di tutto. Il settimo figlio, infine, è stato ucciso subito dopo la nascita da Fritzl. Quest’ultimo angosciante episodio della vicenda sarebbe stato confermato dallo stesso ex ingegnere di 73 anni . «L’uomo ha ammesso di aver tenuto segregata la figlia per 24 anni e di essere il padre dei sette bambini», ha sottolineato il portavoce della polizia che conduce le indagini, Franz Polzer. Secondo la radio austriaca Orf, gli inquirenti attendono i risultati dell’esame del Dna, che dovranno confermare se Fritzl è realmente il padre dei sette figli di Elisabeth. Il portavoce della procura di Sankt-Polten, Gerhard Sedlacek, ha inoltre aggiunto che le dichiarazioni di Elisabeth sono «credibili» e riversano sulle spalle del padre «accuse pesantissime».

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  Elisabeth e cinque dei sei figli sono stati affidati a un’équipe di psicologi. La sesta figlia è invece in gravissime condizioni all’ospedale di Amstetten.  L’Austria è di nuovo sotto choc a meno di due anni dalla liberazione di Natascha Kampusch, che il 23 agosto 2006 riuscì a fuggire dallo scantinato di una casa della periferia di Vienna, dopo otto anni di violenza e prigionia a cui era stata costretta dal suo aguzzino, Wolfgang Priklopil, il quale si tolse la vita lo stesso giorno della fuga di Natascha.  La giovane, oggi neanche ventenne, sta cercando di ricostruirsi una vita e avrebbe offerto il suo aiuto sia come interlocutrice sia con un sostegno finanziario a Elisabeth e ai suoi figli, mettendo a disposizione parte delle donazioni ricevute da tutto il mondo dopo la sua liberazione. Ma come accade due anni fa con Natascha, intorno alla terribile vicenda di Elisabeth e i suoi figli si sta scatenando la morbosità di gran parte dei media austriaci e non.  La moglie: «Ero all’oscuro di tutto». La vittima e cinque piccoli sono stati affidati agli psicologi. Il sesto ricoverato in ospedale è grave. Natascha Kampusch offre aiuto

Martedì 29 aprile 2008

Sgreccia: l’aborto non è un «diritto»  ROMA. Il «diritto all’aborto» è «un falso diritto» e va criticata la recente risoluzione 1607 approvata dal Consiglio d’Europa che invita i 47 Stati membri a orientare, laddove necessario, la propria legislazione in maniera da garantire effettivamente alle donne «il diritto di accesso all’aborto sicuro e legale». Lo scrive il vescovo Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita in un articolo di prima pagina sull’«Osservatore Romano». Per Sgreccia la risoluzione sull’aborto del Consiglio d’Europa, con alcuni principi condivisibili, contiene «un’affermazione contraria ai diritti umani». L’atto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa è un

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«pericoloso precedente in quanto introduce per la prima volta in un documento internazionale un nuovo diritto, quello di aborto». «Dal punto di vista legislativo, infatti – sottolinea il vescovo –, una cosa è permettere o depenalizzare l’aborto effettuato in determinate circostanze, altro è definirlo come un “diritto”, a cui dovrebbe logicamente corrispondere anche un “dovere” di tutela del medesimo. Ma è davvero possibile postulare fondatamente un “diritto all’aborto”? Su quali basi si potrebbe giustificare il diritto di interrompere la vita di un essere umano innocente e, per di più, debole e indifeso? A meno di adottare criteri antropologici discriminatori e arbitrari, che non riconoscano a ogni essere umano uguale dignità e diritti fondamentali, questa pretesa è del tutto infondata e arrogante». 

Il Professor Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace, conosciuto come «il banchiere dei poveri»  DA MILANO GIUSEPPE MATARAZZO

Ora anche la finanza si accorge di Yunus  l’altra economia  A 25 anni dai suoi esordi, dopo il Nobel conferito al suo teoreta, il modello solidale del microcredito cresce a ritmi spediti: era un settore da 417 milioni nel 2004, vale 4 miliardi oggi. Pure l’Italia vive questo fermento, con 40 fondi dedicati, nati negli ultimi anni. E la realtà dei mini prestiti interessa adesso gli investitori tradizionali  RISPARMIO ALTERNATIVO

 I l principio è chiaro: fornire prestiti senza garanzie a tassi di mercato alle fasce più povere della popolazione, che non potrebbero mai accedere alle forme di finanziamento tradizionali per creare anche piccole attività produttive. Una fetta di mondo per cui le banche sono proprio 'off-limits' e che invece così ritrovano la

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dignità e la speranza di costruire un progetto di vita. È tutto questo che anima il microcredito, che insieme alla microfinanza, da qualche tempo, rappresenta un’asset class alternativa per i Paesi emergenti e non solo.  Il microcredito è nato 25 anni fa, ma è balzato sulla scena mondiale dopo la celebrazione nel 2005 dell’anno internazionale del microcredito e l’assegnazione del premio Nobel per la Pace 2006 a Muhammad Yunus, 'inventore' di un sistema di credito semplice e solidale: la sua Grameen Bank, la 'banca del villaggio', costituita in Bangladesh nel 1983, conta oggi 2.488 filiali, vi lavorano 25.157 persone, per oltre 7,5 milioni di clienti. «È da almeno tre anni che la comunità finanziaria guarda con interesse alla microfinanza – afferma Mariagrazia Briganti, analista di Morningstar – a giudicare dai flussi di liquidità che i paesi sviluppati – attraverso gli strumenti di investimento denominati Mivs (Microfinance Investment Vehicles), in prevalenza fondi comuni o trust – hanno dirottato nelle casse delle numerose istituzioni che offrono microcredito in tutto il pianeta».  Un grande fermento che tocca anche l’Italia. Da pochi mesi è partita la campagna 'Africa works' condotta dal gruppo Benetton, impegnato in Senegal a sostegno dello sviluppo e della piccola imprenditorialità locale, in prevalenza fatta di agricoltori, pescatori e artigiani. C’è poi l’entusiasmante esperienza di Banca Etica, la prima istituzione di finanza etica nel nostro paese, che indirizza i risparmi dei clienti per la cooperazione sociale e internazionale, l’ambiente e la cultura. Nel 2002 è nata anche l’associazione Microfinanza e Sviluppo che promuovere progetti di microcredito e iniziative di informazione, formazione e ricerca nel campo della microfinanza.  Secondo un’analisi condotta da MicroRate – società specializzata nella valutazione delle società che concedono i prestiti – gli investimenti effettuati dagli operatori privati attraverso i Mivs stanno crescendo a tassi elevatissimi. Negli ultimi 3 anni sono stati costiuiti 40 nuovi fondi dedicati che investono in strutture legate alla microfinanza e ogni mese altri prodotti si affacciano sul mercato per raccogliere nuovi investimenti. I flussi internazionali di microfinanza sono passati da 417,4 milioni di dollari del 2004 a 1,4 miliardi di dollari del 2006. Nel 2007 hanno raggiunto addirittura i 4 miliardi di dollari. I veicoli di investimenti di mocrofinanza riguardano per il 56% l’America Latina, il 12% l’Asia, il 17% l’Est Europeo, l’8% l’Africa e il 7% altre regioni.  Se la microfinanza è un’alternativa d’investimento molto interessante per gli investitori socialmente responsabili, lo è anche,

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più in generale, per l’investitore alla ricerca di rendimenti. «La maggior parte delle persone ritiene che il microcredito consista in prestiti a bassissimi tassi di interesse a persone povere e nessuno si aspetta seriamente che siano ripagati», spiega Damian von Stauffenberg, fondatore di Microrate. «La nostra sfida è correggere questa percezione e convincere gli investitori che i poveri invece ripagano i loro debiti e che lo fanno a tassi di mercato. Occorre rendersi conto che le istituzioni di microcredito sono società con business finanziariamente solidi e sostenibili». Il tasso di restituzione, secondo la Grameen Bank, è infatti vicino al 98%. Solo il 2% di chi contrae il debito, non riesce poi a ripagarlo.  «Un mercato che non è però esente da rischi – avverte la Briganti – e deve vincere la sfida dell’informazione e della trasparenza se vuole crescere con questi ritmi e aprirsi al mercato dei capitali e dei piccoli investitori senza andare a incontro a pericolosi crac, che potrebbero minarne la fiducia e l’ulteriore sviluppo».

Venditti svela la sua fede: «Oggi sono un cantante perché salvato da piccolo da S.Francesco Saverio»

 Vivo grazie ad un miracolo di san Francesco Saverio, vittima di Satana dal quale si liberò col segno della Croce: è un Antonello Venditti inconsueto quello che si svela in un’intervista a Petrus, il quotidiano online sull’apostolato di Benedetto XVI,Venditti si racconta: «Ero nato di otto mesi, piuttosto fragile e sottopeso, tanto che i medici mi avevano pronosticato la morte quasi imminente. Mia madre Wanda, religiosissima e grande devota di san Francesco Saverio, pregò e chiese la sua intercessione per la mia sopravvivenza. Fu così che una notte, in sogno, san Francesco Saverio le disse: non ti preoccupare, si salverà, diventerà grande e sarà un cantante famoso. E così è stato». Quanto a Satana,Venditti racconta di esserne stato vittima a 16 anni: «Ero ossessionato da una figura malefica che appariva all’improvviso e mi immobilizzava. Potevo muovere solo il braccio destro, tanto che mi praticai da solo

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una preghiera di liberazione facendomi continuamente il segno della Croce fin quando quell’immagine orribile e malefica non scomparve definitivamente».Venditti parla anche di Padre Pio, «sintesi della santità, perché credeva e obbediva senza chiedere nulla». 

«Laicità, valore anche per la Chiesa»  Il cardinale Bagnasco: nessun rischio

 DA ROMA MIMMO MUOLO  N on c’è ingerenza quando la Chiesa e i vescovi intervengono su temi sociali e politici. Prima di tutto perché si tratta di «interventi sul piano dei principi». E poi perché «la laicità dello Stato è un valore anche per la Chiesa». Dunque «né l’altare deve mettersi a servizio del trono, né deve accadere il contrario». Il cardinale Angelo Bagnasco spiega così il senso dei pronunciamenti che anche in questi giorni hanno avuto largo risalto sui mass media. E durante la conferenza stampa che, come è consuetudine, segue la chiusura dei lavori dell’Assemblea generale dell’episcopato italiano, egli stesso non si sottrae alle domande. In tal modo il presidente della Cei tocca diversi aspetti dell’attualità: dall’immigrazione alla scuola cattolica, dalla presenza dei credenti in politica alle attese nei confronti del governo e del Parlamento, dall’otto per mille all’emergenza educativa. Sempre argomentando con pacatezza il contributo che la comunità ecclesiale intende portare al dibattito pubblico. Sulla laicità dello Stato, per esempio, il porporato ricorda che «le parole di Gesù 'date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio' indicano chiaramente quale sia la prospettiva cui la Chiesa si deve ispirare. Si tratta di una visione di assoluta laicità – sottolinea –. E come Vescovi stiamo tutti sempre molto attenti ad intervenire sul piano dei principi, perché la Chiesa ha come suo compito fondamentale quello di essere 'sale' e 'lievito' della storia, e anche di essere 'luce' e 'città sul monte'». Alla domanda, poi, se non vi sia il rischio di trasformare la fede cristiana in una semplice «religione civile», il presidente della Cei risponde di no. «Nel nostro Paese non esiste il pericolo di un utilizzo strumentale della religione. La religiosità ha sempre una ricaduta sul piano sociale, ma questo non significa che l’altare debba mettersi al servizio del trono, o viceversa». Di qui anche un appello ai mass media a «dare una corretta informazione di quanto la Chiesa e i vescovi dicono.  Un’informazione serena, obiettiva, il più possibile completa». Diversi poi i quesiti sulla nuova stagione politica italiana. Bagnasco, che non ha per il momento in agenda un incontro con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (il quale il prossimo 6 giugno sarà ricevuto dal Papa), esprime innanzitutto un auspicio di carattere generale. «Se la presenza di umanesimi

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diversi nel dibattito pubblico, ad esempio un umanesimo personalista e relazionale accanto a uno più individualista, animano il dibattito culturale, noi ci auguriamo che il Parlamento si ispiri ai valori di solidarietà, fraternità e di un costruttivo spirito per affrontare i grandi problemi del Paese, al di sopra di interessi individuali o di parte». Ciò vale ad esempio in relazione a problemi specifici come quelli dell’immigrazione. «Piuttosto che di tolleranza preferisco parlare di rispetto, di accoglienza», sottolinea il presidente della Cei.  Un’accoglienza che va accompagnata, aggiunge il porporato, da «quello sforzo educativo, non disgiunto dalla legalità, che tutti dobbiamo compiere per creare una convivenza sempre più degna dell’uomo e, per noi cristiani, nel segno del Vangelo». In risposta a chi gli chiede un parere sull’eventuale reato di immigrazione clandestina, l’arcivescovo di Genova fa notare: «Tutti noi speriamo che qualunque provvedimento il Parlamento prenderà faccia salvo il duplice orientamento della giusta sicurezza dei cittadini e della tradizione di accoglienza che caratterizza non solo la comunità cristiana, ma la storia del nostro popolo». Infine, conclude sull’argomento, «ciò che dev’essere temporaneo (chiaro il riferimento ai Cpt, ndr) non diventi troppo prolungato, e tanto meno permanente». Il principio del personalismo, del resto, vale anche in rapporto alla scuola. «I ripetuti appelli del Papa e dei Vescovi per il sostegno della scuola cattolica – ricorda – fanno riferimento al valore della libertà educativa dei genitori, un dato che attiene al loro diritto naturale di dare ai propri figli l’educazione che reputano più adeguata». E questo è anche «l’auspicio che abbiamo formulato in questi giorni: cioè che i genitori possano avere questa libertà concreta, usufruendo di sostegni, anche istituzionali, rivolti alle scuole non statali». Tali scuole, infatti, «appartengono a pieno titolo alla scuola pubblica, che è fatta di scuole statali da un lato e di scuole parificate dall’altro». Secondo Bagnasco «occorre sempre ricordare che le scuole paritarie così come quelle statali svolgono un servizio, appunto, di tipo pubblico e pertanto parlare di scuole private non è una dizione corretta». «Su questo e altri temi di tipo sociale – rileva poi il cardinale, rispondendo a una domanda specifica – la Chiesa non fa ingerenza, ma semplicemente propone un richiamo ai valori di fondo in temi di fede e di etica». Qualcuno chiede anche al presidente della Cei, se non giudichi troppo esigua, e comunque notevolmente ridotta rispetto al passato, la presenza dei cattolici nel governo. «I cattolici in Italia – risponde il porporato – non sono soltanto quelli espressi da organizzazioni religiose, parrocchie, associazioni e movimenti. E quindi non necessariamente, nel campo politico, bisogna considerare come cattolici quelli che militano all’interno di organizzazioni etichettate». Perciò, «come vescovi noi siamo chiamati a guardare anche alla presenza dei credenti in quanto singoli nelle più diverse realtà e situazioni. Nello specifico del campo politico guardiamo i frutti, auspicando che quelli buoni vengano da qualsiasi parte e non soltanto da parte cattolica». Intanto i vescovi italiani sono contenti «sia per la partecipazione al voto, sia per il nuovo clima di dialogo tra le forze politiche

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instauratosi dopo le elezioni».  Non manca infine una domanda sullo scandalo delle mense a Genova. «Il millantato credito esiste da sempre e purtroppo esisterà sempre – è il commento dell’arcivescovo di Genova –. Bisogna stare attenti a quel che si dice, o a quel che si scrive perché si può far male alle persone.

L’ALIMENTAZIONE NON È TERAPIA  Eluana non era morente Ora è condannata  ROBERTO COLOMBO

 L a drammaticità della vita umana appare in tutta la sua incalzante urgenza e nel suo insopprimibile interrogativo quando la malattia e la sofferenza ci colpiscono. Ancor più se esse durano nel tempo e non si aprono punti di fuga, almeno a vista d’uomo.  Della malattia e della sofferenza si dovrebbe parlare in prima persona (alcuni lo hanno fatto, altri non ne hanno avuto modo), perché solo l’esperienza rende più evidente la realtà e lucido il giudizio della ragione. Se la sua situazione fosse rimasta nel dovuto riserbo – protetta come si doveva da ingerenze giornalistiche, giuridiche e politiche – di Eluana non avremmo voluto scrivere, tanto distante è l’esperienza che ci separa da lei e dai suoi familiari. Ma così non è stato. Il suo è diventato un caso pubblico, caricato di valenze e allusioni emotive, simboliche, giurisprudenziali e amministrative, e, dunque, non può restare senza una valutazione clinica, deontologica ed etica, senza una riflessione culturale e sociale. In punta di piedi, bisbigliando – come quando si entra nella stanza di chi sta male – dobbiamo quindi parlare, col massimo rispetto, o meglio, con grande amore verso di lei.  Anzitutto la realtà clinica: Eluana non è morta (né dal punto di vista cardiocircolatorio e polmonare, né sotto il profilo cerebrale) e neppure sta per morire (non è un 'malato' con prognosi terminale). La condizione di «stato vegetativo persistente» in cui versa da anni non è clinicamente identificabile con uno stato di «coma irreversibile» dal quale si differenzia, tra l’altro, per la possibilità (non escludibile) di un risveglio, spontaneo o stimolato, e la presenza di una importante attività elettrica cerebrale e di movimenti di apertura degli occhi, stimolati e non. Anche il 'senso comune' (per non dire dello sguardo clinico) apprezzano queste differenze obiettive.

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  Inoltre, la paziente non subisce nessun tipo di trattamento che possa ricadere nella fattispecie dell’«accanimento terapeutico»: al contrario, essa viene curata amorevolmente dal personale medico e infermieristico che la assiste e le assicura l’idratazione, l’alimentazione, il ricambio, la mobilizzazione ed altre cure nella forma che corrisponde ai suoi bisogni fisiologici essenziali. Perché privarla di tutto questo per porre fine ai suoi giorni? Come il medico e l’infermiere potrebbero abdicare – seppure in ottemperanza ad una sentenza – alla propria scienza e coscienza, la cui evidenze mostrano ragionevolmente che attuare quanto previsto dalla Corte significa condannare a morte certa questa giovane donna?  Da oltre due millenni e mezzo, la medicina è nata e si è sviluppata in Occidente per curare ogni paziente in qualunque circostanza fisica o morale si trovi; solo in epoca recente, e oggi sempre più e meglio, anche per restituirgli la salute e salvargli la vita. I medici non sono chiamati né a provocare né ad accelerare il processo della morte. Chi può arrogarsi il diritto di infrangere la dignità e la deontologia che hanno fatto di questa professione un valore imprescindibile per la nostra società e un sicuro strumento di miglioramento della vita personale dei cittadini? I giudici hanno considerato l’idratazione e l’alimentazione fornite a Eluana come 'atti medici', al pari di terapie che possono essere intraprese o sospese in ogni momento, sulla base della considerazione della loro efficacia o futilità clinica. Occorre invece sciogliere l’equivoco: anche se posti in essere da personale qualificato come sanitario, la natura di sostegno vitale essenziale per l’esistenza del soggetto non muta. Come ha ricordato lo scorso anno la Congregazione per la Dottrina della Fede, «la somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente». E nel caso di Eluana, esse continuano a risultare di provata utilità nel sostenere la fisiologia del suo organismo e consentire la vita della persona.

  In questa delicata materia il foro giudiziale non appare essere la sede più appropriata per decisioni che, nella lunga storia della cura dell’uomo, hanno trovato nell’alleanza terapeutica tra paziente, congiunti e medico un luogo appropriato e ragionevole di composizione dei diritti e dei doveri, tra i quali figura – secondo il detto evangelico – quello di «dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati».

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CHIESA ITALIANA E POLITICA

(Ansa) - Roma, 28 Ago - ''La Chiesa e' una protagonista forte e vera della societa' italiana, arricchisce la politica, talvolta la surroga, ma c'e' chi la vorrebbe marginale, che diventasse una spece di Ong o una organizzazione caritatevole. Ma non e' cosi'''. Ad affermarlo, in una intervista al 'Sole 24 Ore', e' il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. ''Con le sue parole - sostiene - Bagnasco ha smentito chi pensava che dopo il Family Day la Cei, e in generale la Chiesa italiana, diventasse solo un puro elemento testimoniale e non disturbasse piu' sui temi eticamente sensibili. Ma la storia e' un'altra e in linea con Ruini si conferma un ruolo centrale nella societa'''.

''La nostra identita' cristiana - aggiunge - si riconnette al modo di essere dell'Occidente. E' giusto essere pronti a integrare le diversita': ma quale tipo di societa' avremmo se non rivendicassimo il nostro patrimonio? Ecco perche' non e' un segno di clericalismo parlare di radici cristiane dell'Europa''.

Secondo Casini, e' assurdo pensare che la Chiesa italiana, che e' il riferimento di quella europea, ''non debba per esempio dire la sua su un'eventuale legislazione sulla fine della vita, specie dopo la vicenda di Eluana'': ''Ogni suo contributo e' una ricchezza, altro che ingerenza'', sottolinea.

L'esponente centrista fa riferimento anche alla posizione sul federalismo: ''La Chiesa parla da protagonista, visto che e' un elemento di unita' di un popolo. L'obiettivo e' creare un federalismo solidale che non faccia prevalere i piu' forti. Ecco perche' vedo con sospetto i partiti territoriali, non solo al Nord ma anche al Sud''. ''La societa' - conclude - e' cambiata e anche la rappresentanza si e' modificata.

Ma un fatto a me pare certo: l'influenza complessiva della Chiesa, anche dopo la scomparsa della Dc, e' cresciuta a dispetto della

L’OSSERVATORE ROMANO

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 Mercoledì 3 settembre 2008 (avvenire)Morte cerebrale: rivedere il concetto

 La dichiarazione di «morte cerebrale» andrebbe rivista e aggiornata in base alle nuove ricerche scientifiche: lo scrive l’Osservatore Romano, in un articolo dedicato ai 40 anni del cosidetto 'Rapporto di Harvard', che modificò la definizione di morte (non più da allora basata sull’arresto cardiocircolatorio, ma sull’encefalogramma piatto). Anche la Chiesa cattolica – si legge – accettò quella definizione, proclamandosi favorevole al prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti. Successivamente è stato dimostrato però che «la morte cerebrale non è la morte dell’essere umano». Ed anche la Chiesa si trova ora in una situazione delicata perché l’assunto di «morte cerebrale» – scrive il quotidiano vaticano – «entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica» e quindi «con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistenti». Perché la definizione di «morte cerebrale» ha cambiato radicalmente la concezione della morte, consentendo il distacco dalla respirazione artificiale ma soprattutto rendendo possibile il trapianto di organi. E «la giustificazione scientifica di questa scelta risiede in una peculiare definizione del sistema nervoso, oggi rimessa in discussione da nuove ricerche, che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo», osserva Lucetta Scaraffia nel suo articolo.

  Interpellato da un’agenzia di stampa, il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha detto ieri sera che «le riflessioni pubblicate sull’Osservatore Romano in un articolo sono ascrivibili all’autrice del testo e non impegnano la Santa Sede, non si tratta di un atto magisteriale né di un documento di organismo pontificio».«Lo stato vegetativo?  Mai è possibile definirlo irreversibile»

 Mai. Anche perché, e questo va detto, all’epoca del suo incidente le unità di risveglio ancora non esistevano.

 Tornando a Owen, la cui ricerca è stata citata proprio nel ricorso della procura di Milano, il suo test è mai stato

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condotto in Italia?

 Ma certo. La macchina per quel tipo di risonanza c’è in molti ospedali. Per esempio a Bologna.

 Perché queste prove non vengono condotte anche su Eluana?  Non lo so. Anche perché la Cassazione, pur in un sentenza a mio avviso scorretta, si era espressa chiaramente: per autorizzare l’interruzione dell’alimentazione di Eluana la condizione di stato vegetativo della paziente avrebbe dovuto essere apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima   possibilità di recupero della coscienza. Per Eluana questa minima possibilità non si è cercata. Voglio dire una cosa, però.  Poniamo anche che Eluana sia destinata a non risvegliarsi, a non migliorare. Poniamo che tutte le prove effettuate diano risultati negativi, che il suo cervello sia del tutto compromesso, che la sua attività cognitiva sia pari a zero. E poniamo anche che le sue volontà siano accertate, che esista una legge per questo e lei abbia lasciato addirittura per iscritto che vuole non essere curata.  Prego.Ebbene?  A quel punto le toglieremmo le cure: cioè, le toglieremmo le me-dicine (se ne prende) e i trattamenti per le malattie (se ne pre-senta). Morirebbe? No. E non morirebbe perché Eluana è sana! È affetta da una gravissima disabilità certo, un difetto di coscienza. Ma morirebbe solo se smettessimo di nutrirla. Eccolo il cortocircuito, ecco la balla – me lo lasci dire – che ci viene rac-contata. Questi signori ci dicono che Eluana non presenta 'segnali' di reversibilità cognitiva e che quindi deve morire: ma Eluana vive, vive una sua vita emotiva e una vegetativa. L’uomo non è tale solo perché ha una coscienza cognitiva. Se no che faremmo dei malati di Alzheimer, dei Parkinsoniani, delle arteriosclerosi cerebrali? Questi son tutti malati che, in fase avanzata, vengono nutriti con sondino naso- gastrico! Che faremmo dei bambini abbandonati nei cassonetti, non gli daremmo il latte? Qui non è in gioco il parametro clinico di una diagnosi.

 Ecosa?  Qui, con il caso di Eluana, è in gioco il grado di civiltà del nostro

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Paese.

Avvenire 4 febbraio 2009

INTERVISTA  il fatto La moglie del carabiniere assassinato in Iraq nel 2003 racconta il suo rapporto con la Englaro e con il padre «Rispetto Beppino e provo sempre affetto per lui, ma non è giusto quello che sta facendo»  Vi racconto Beppino ed Eluana

 Parla la vedova Coletta: ragazza libera e senza alcuna cannula

 DA ROMA PINO CIOCIOLA

 Ha chiamato ancora papà Beppino ieri mattina poco prima delle nove: « Ma nemmeno l’hai accompagnata Eluana? », gli ha detto subito. Margherita Coletta è la vedova di Giuseppe, carabiniere assassinato a Nasiriyah il 12 novembre 2003, nel-l’attentato che spazzò la base italiana 'Maestrale', carabiniere che non aveva mai ucciso e che sceglieva le missioni all’estero per aiutare i bimbi più indifesi, quelli colpiti dalla guerra. Lo faceva per ritrovare il sorriso di suo figlio Paolo, morto a sei anni stroncato dalla leucemia: « Quando capimmo che era finita e i medici ce lo spiegarono chiaramente – racconta lei –

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facemmo interrompere la chemioterapia ». Margherita in questi mesi è volata dalla Sicilia a Lecco per andare a trovare Eluana, accompagnata da Beppino. Spesso e a lungo l’ha accarezzata, l’ha baciata, le ha parlato. E spesso ha parlato col papà, scontrandosi anche duramente, ma senza che mai lui le negasse il dialogo: in qualche modo forse sono diventati amici. Ecco perché ancora ieri mattina lei gli ha telefonato dicendogli: «Speravo che coi giorni fossi rinsavito».  Cos’ha provato, Margherita, entrando nella stanza di E-luana?  La prima volta mi sono fermata sulla soglia della sua porta. Pensavo di essere più forte. Ho respirato a fondo, poi sono entrata. Quando l’ho vista, abituata com’ero alle foto di lei ragazza, mi ha scosso, oggi è una donna. Ma poco dopo è diventato tutto così normale, come fossi a trovare una persona in ospedale. Anzi, ho sentito tanta dolcezza e nessun ribrezzo o pena. Né ho visto alcun 'sacco di patate', come qualcuno descrisse Eluana, ma una persona che è tutt’altro. Una persona.  La sensazione più bella?

 Quando l’ho accarezzata. Con la sensazione netta, nettissima, che lei avvertisse le carezze. Certo è che pensavo d’andare a dare io a lei, invece ho ricevuto assai più di quanto le abbia dato.

 Cosa?  La maggiore certezza nelle cose in cui credo. La con-sapevolezza che non si può ridurre una persona alla sua forma fisica.  Papà Beppino la accompagnava in quella stanza?  Sì. La prima volta che l’ho incontrato mi aveva fatto molta tenerezza: pensavo a mio marito Giuseppe, a quando è morto nostro figlio. E poi mi sembrava quasi di parlare con mio padre: mi diceva «sei una birba ».

Adesso è cambiato qualcosa?

Rispetto comunque Beppino e provo sempre grande affetto per lui. Ma non è giusto quello che sta facendo. I figli non sono di nostra proprietà: ci sono soltanto affidati. Ci prendiamo cura di

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loro, li aiutiamo, li assistiamo e semmai li accompagniamo alla morte, preparandoli se deve accadere, anche da piccoli. Ma lui non si rende conto di tutto questo, si sente incapace di tornare indietro: credo sia soprattutto lui in uno stato simile a quello vegetativo. Quando si risveglierà da questo torpore si renderà conto e starà male, tanto.

 Lei che rapporto ha, Margherita, col papà di Eluana?  Ci siamo confrontati tante volte, ma è sempre stato cortese con me. È convinto di quanto fa, forse perché non vede più Eluana come lui la vorrebbe. Ma a me pare evidente che in qualche modo sia stato plagiato da tanta gente alla quale non interessa nulla di Eluana. E lui ora è strumentalizzato, è finito in un vortice: ha anche momenti nei quali io credo vorrebbe tornare indietro, perché non pare convinto fino in fondo di quanto sta facendo, ma non ne ha la forza.  Com’era trattata Eluana nella casa di cura lecchese?  Come una regina. Le suore che le stanno accanto ogni giorno la curano, la lavano, la profumano, la portano a spasso sulla carrozzella. Addirittura la depilano, perché Eluana come ogni ragazza non sopportava d’avere peli sulle gambe.

 E come sta?  Lei è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuore batte da solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sorride e altri nei quali forse socchiude gli occhi. Ma quanti sanno davvero che Eluana non è attaccata a nessuna macchina? Quanti sanno che nella sua stanza non c’è un macchinario, ma due orsacchiotti di peluche sul suo letto? Che non ha una piaga da decubito? Che in diciassette anni non ha preso un antibiotico?

 La notte scorsa hanno portato Eluana a morire: lei, Margherita, cosa sta provando?  Ho un pugnale dentro. Prego, spero fino all’ultimo che lui si renda conto di quel che sta facendo.  Quanto sia sbagliato. Quanto non sia paterno. Quanto non sia umano. Io so che lui soffre dentro di sé, e tanto.

 Ci ha parlato appena ieri mattina: secondo lei cosa prova Beppino?  Non so come possa vivere con un peso addosso come questo: Eluana da diciassette anni è in quelle

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condizioni, ma lui fino a ieri mattina non si era mai svegliato sapendo che sua figlia sta per morire.

 Come mai, Margherita, lei e suo marito Giuseppe decideste d’interrompere la chemioterapia a vostro figlio?  Paolo ne aveva fatti quattro cicli, ne mancavano due, ma ormai il male aveva invaso tutto il suo corpo e i medici ci spiegarono bene la situazione. I dolori e il vomito e tutte le devastazioni provocate dalla chemio a quel punto sì che sarebbero stati accanimento terapeutico: così ci fermammo, affidandoci e affidando Paoletto a Dio.

 Perché invece con Eluana non ci sarebbe accanimento terapeutico?  Ma Eluana non ha una malattia, non è terminale, non ha un dolore, non ha un macchinario nella stanza, non c’è nulla che possa far pensare ad un accanimento per tenerla in vita! È accudita, curata, amata. La si deve solamente aiutare a mangiare!  Beppino però sostiene che la morte di Eluana servirà a liberarla...  Liberarla da cosa? Come fa lui a sapere che lei è in catene? Una persona che soffre lo si vede. Non lo capisco proprio cosa voglia dire Beppino, cerco di sforzarmi, ma non ci arrivo.  Quella giovane donna da ieri è ricoverata nella sezione maschile  del 'Reparto Alhzeimer' della clinica udinese 'La Quiete'...  Ma si rende conto?! È lì, da sola, con nessuno che la conosce, che l’ha curata, che la ama, perché le suore di Lecco la amano: se sapesse ieri sera ( lunedì, ndr) quando ho chiamato suor Rosangela come piangeva. Anzi, mi permetta di ringraziare proprio le suore della casa di cura 'Beato Talamone' e tutte le persone che per quindici anni hanno avuto quella tale cura per Eluana.

 Margherita, ma perché lei decise d’andare a trovarla?  Non lo so. Una sera ero a casa, ho visto la notizia al telegiornale e ne ho avuto il desiderio. So di non valere nulla, ma ho cercato il numero di Beppino, perché volevo fargli sentire la mia vicinanza. L’ho chiamato, gli ho spiegato chi ero e che sarei stata felice se avessi potuto incontrare Eluana. Lui fu molto gentile, mi disse: «Signora, davanti al suo dolore

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m’inchino e mi fa piacere se viene». Appena poi arrivai a Lecco, mi chiese subito: «Margherita, tu da che parte stai?».

 Lei cosa gli rispose?  «Beppino, io non sto dalla parte di nessuno: sono venuta a trovare Eluana come se tu fossi venuto a trovare un mio parente caro»: andai da lei non per far cambiare idea a Beppino né per altro, solo perché mi era sembrato giusto farlo.

 Come mai lei ha accettato di raccontare tutto questo solamente adesso?  Beppino sa che io non avrei mai detto nulla e l’ha visto finora. Però è giunto il momento di dare voce a Eluana.

 Un’ultima domanda, Margherita: ha speranze per Eluana?   La prima volta andai a trovarla nel novembre scorso: le promisi che sarei tornata per Natale e Beppino, certo e tranquillo, mi disse: «A Natale non ci sarà più». Io le sussurrai nell’orecchio sotto voce « non ti preoccupare, ci rivediamo » e così poi è stato.

 «È una donna di trentotto anni, la mia stessa età.  Apre gli occhi di giorno e li chiude di notte. Respira benissimo, serenamente Ci sono momenti nei quali forse sorride Quanti sanno che non è attaccata a nessuna macchina? Che non ha una piaga da decubito, che in diciassette anni non ha preso un antibiotico?» «Da quando l’hanno portata a Udine ho un pugnale dentro.  Prego, spero fino all’ultimo che lui si renda conto di quel che sta facendo. Quanto non sia paterno, non sia umano. So che lui soffre dentro di sé, e tanto»

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Margherita Coletta insieme al marito Giuseppe, vittima dell’attentato alla base italiana di Nasiriyah nel novembre del 2003. Dopo la sua morte ha fondato un’associazione benefica

COMPLETO ROVESCIAMENTO  FERRUCCIO PARAZZOLI  «Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini».  (1 Corinzi 1, 25 ) Sono sconcertato. I valori, sui quali ho creduto di poter costruire la mia dignità di uomo, la mia eroica solitudine, che mi avrebbero innalzato nel rispetto e nell’ammirazione del mondo, oltre che di me stesso, sono stati rovesciati. Esiste, dunque, una stoltezza che vanifica la mia sapienza, una debolezza che sopravvince la mia forza. Che fare? Si presenta l’eterna domanda di coloro che credono che ogni soluzione, individuale o collettiva, sia in loro possesso, che occorra soltanto volontà, intelligenza, potenza per affrontare e sciogliere i nodi della vita pubblica e privata. La strada è aperta al superuomo, all’uomo della provvidenza, di cui la storia del mondo ha fatto anche troppo larga esperienza. Paolo non lascia scampo, ha completato il rovesciamento, scatena lo scandalo: la risposta al 'che fare?' è al di fuori di noi, ma sta a noi sceglierla dopo che avremo, con lui, che ne è testimone nella carne e nello spirito, riconosciuto che ciò che alla nostra ragione appare irragionevole fino alla stoltezza, è la forma più alta della sapienza; ciò che appare mansueto fino alla debolezza, è l’invincibile forma della forza. E che altro potrebbe essere la fede in un Dio crocefisso?

MERCOLEDÌ 30 SETTEMBRE 2009

Eutanasia, uno spettro si aggira per l’Europa  Londra ha aperto una breccia, altri pronti a seguire

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 SVIZZERA

LA TRISTE PATRIA DELLA «DOLCE MORTE»

La Svizzera è diventata, negli ultimi anni, la “patria” della dolce morte. Ogni anno sono più di un centinaio le persone, provenienti da ogni parte del mondo, che vi si recano e che si rivolgono ad organizzazioni di assistenza al suicidio. Un fenomeno inizialmente tollerato dalle autorità elvetiche, che ha però assunto dimensioni preoccupanti anche per la Commissione nazionale di etica per la medicina. Stando alle statistiche ufficiali, su 1.400 suicidi registrati nel Paese, 272 (quasi il 20%) sono stati “assistiti”. Ad aver innescato questo «turismo del suicidio» è la presenza di una zona grigia nel diritto, che garantisce l’impunibilità di tale pratica purché non vi siano «motivi egoistici» da parte di chi assiste il candidato suicida, come sancisce l’articolo 115 del Codice penale. Il canton Zurigo e la stessa Confederazione hanno tollerato la presenza di organizzazioni come Dignitas o Exit, ma ora si trovano a dover fare i conti con una situazione fuori controllo. Vengono prodotti con regolarità atti parlamentari sul tema, ma la soluzione appare lontana: è possibile legiferare senza, di fatto, legittimare l’operato di tali organizzazioni?  Federica Mauri Luzzi FRANCIA

UN NO CHIARO, MA ANCHE EPISODI ESTREMI  Il suicidio assistito non è ammesso in nessun caso dalla legge francese e negli ultimi anni le istituzioni di garanzia del mondo sanitario hanno ricordato al corpo medico i propri obblighi deontologici. Il codice penale prevede una serie di reati specifici, fra cui quello di « somministrazione di sostanze tossiche » . Un profondo dibattito è stato sollevato da due destini estremamente angoscianti di malati: il “caso Humbert” e il “caso Sébire”. Dopo il primo episodio, quello di una madre che ha staccato la spina al proprio figlio tetraplegico, il Parlamento ha fatto chiarezza votando una « legge sulla fine della vita » . Il testo prevede una netta distinzione fra il divieto assoluto del « far morire » ( suicidio assistito e ogni forma attiva di eutanasia) e una regolamentazione molto stringente di casi in cui, per evitare l’accanimento terapeutico, diventa legittimo il « lasciar morire » . Votata da quasi tutto l’arco parlamentare, la legge ha indebolito gli argomenti dell’agguerrito fronte che chiede il suicidio assistito. Ma quest’ultimo non s’arrende e pubblicizza storie di francesi recatisi in Svizzera in ragione della legislazione elvetica « liberale » .  Daniele Zappalà BELGIO

INTRODUZIONE NEL 2002, SI VUOLE ACCELERARE  In Belgio l’eutanasia è diventata legale nel 2002. Da quel momento si sono succeduti continui tentativi per allargarne i criteri di applicabilità. Già nel 2005 in farmacia si poteva acquistare il kit

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per l’eutanasia. A metà del 2008 è iniziato il dibattito sulla possibilità di estendere le pratiche eutanasiche, con la proposta che per coloro che a causa di danni cerebrali avessero perso la capacità di esprimersi, fossero ritenute valide le dichiarazioni anticipate di volontà. Anche i minori finirono al centro del dibattito: partendo da uno studio pubblicato sulla rivista «Lancet» nel 2000, secondo il quale nelle Fiandre più della metà delle morti neonatali è da ricondurre ad interventi diretti dei medici, i sostenitori dell’eutanasia si dissero convinti che si doveva rendere legale ciò che di fatto era già praticato.  Successivamente fu preso un provvedimento per facilitare la richiesta di eutanasia, grazie al quale è possibile recarsi nel proprio Comune per depositare le dichiarazioni anticipate di volontà. Tutto così facile in Belgio che Amelie, 93 anni, nell’aprile scorso ha chiesto ed ottenuto il suicidio assistito nonostante godesse di buona salute.  Lorenzo Schoepflin SPAGNA

L’ANDALUSIA AUTONOMA FA DA APRIPISTA  Il dibattito in Spagna è caldo da anni ( ne è prova il noto caso di Ramon Sampedro, che ispirò il film « Mar Adentro » del regista Alejandro Amenabar). Ma il primo passo concreto – sul piano legale – l’ha fatto l’Andalusia. Lo scorso giugno il governo della comunità autonoma meridionale ha approvato e inviato al Parlamento regionale il progetto della « Legge sui diritti e garanzie della dignità delle persone nel processo di morte » . Secondo l’esecutivo andaluso, il testo esclude l’eutanasia diretta e il suicidio assistito, figure che in Spagna sono tipizzate nel Codice penale.  Quello che la norma andalusa consentirà – se approvata – sarà il rifiuto di un trattamento medico ( dai farmaci al respiratore artificiale) e dell’accanimento terapeutico. Nel testo si tratta anche di cure palliative, sedazione e dichiarazione anticipata di volontà. La questione è aperta, ma se il Parlamento approvasse la legge è probabile che altre regioni ( o lo Stato) seguirebbero l’esempio. I timori di parte degli esperti sono chiari: leggi ambigue aprirebbero le porte alla regolarizzazione dell’eutanasia.  Michela Coricelli OLANDA

LA «PIONIERA» CHE NON RISPARMIA I BAMBINI  L’Olanda è stata l’apripista per l’eutanasia in Europa, con l’approvazione della legge avvenuta nell’aprile 2002. La legge prevede che la scelta del paziente, «volontaria» e «ben meditata», sia redatta in forma scritta. Negli anni il dibattito non si è sopito e l’eutanasia ha progressivamente allargato le sue maglie. È del 2005 la pubblicazione sul «New England Journal of Medecine» del «Protocollo di Groeningen» elaborato dal dottor Eduard Verhagen per codificare le procedure di eutanasia su minori e in particolare su neonati in grave stato di sofferenza. Nel Protocollo veniva introdotto il concetto di «qualità della vita», in base al quale si catalogavano i bambini, decidendone le sorti. Alla tendenza a estendere i criteri di applicabilità dell’eutanasia corrisponde un numero sempre crescente di richieste: è del giugno scorso un rapporto delle Commissioni regionali che certifica l’aumento delle richieste nel 2008 pari al 10% rispetto al 2007. E non mancano gli abusi: risale a giugno l’arresto del presidente di una associazione pro-eutanasia: ha collaborato al suicidio assistito di una malata di Parkinson alla quale ero stato rifiutato poiché non si erano riscontrate sofferenze insopportabili.  (P.M.Al.-L.Sch.) GERMANIA

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TESTAMENTO BIOLOGICO VINCOLANTE PER I MEDICI  Durante il nazismo più di 70.000 persone in Germania furono vittime del programma Aktion T4, che impose un’eutanasia di massa a persone con disabilità fisiche e mentali. Dopo la caduta del regime nazista qualunque forma di eutanasia venne considerata illegale; negli ultimi anni, tuttavia, si è aperto un dibattito sulla questione soprattutto da quando è diventata legale nella vicina Olanda. Lo scorso anno provocò proteste l’iniziativa dell’ex ministro della Giustizia di Amburgo, Roger Kusch, che presentò la sua 'macchina per il suicidio legale'. Il 18 giugno il Bundestag ha approvato un disegno di legge in base al quale la Patientenverfügung (testamento biologico) sarà vincolante per i medici. Il volere del paziente avrà così la priorità e i medici dovranno rispettarlo indipendentemente dal tipo e dalla gravità della malattia. Ciò significa che il biotestamento dovrà essere rispettato anche se la malattia non sarà di tipo mortale. Soltanto nel caso in cui il paziente non avrà sottoscritto il testamento biologico o questo non corrisponderà più al quadro clinico, la decisione sull’eventuale interruzione delle cure e dell’alimentazione spetterà al medico o alla persona designata come responsabile per il malato. In caso di conflitto, la parola passerà al tribunale. Il codice civile prevede che ogni persona in grado di decidere autonomamente abbia il diritto di rifiutare medicinali o qualunque terapia che lo aiuti a tenerlo in vita.  Vincenzo Savignano LUSSEMBURGO

« ESAUTORATO » IL GRANDUCA PER AVERE IL SÌ  È il febbraio del 2008 quando in Lussemburgo viene adottato in prima lettura alla Camera il “Progetto di legge sul diritto a morire con dignità”. Nel testo vengono fornite le definizioni di eutanasia e suicidio assistito e si precisano le condizioni per le quali un medico non commette reato nell’eseguire le volontà del paziente. La richiesta di morire deve essere effettuata da un maggiorenne o « minorenne emancipato » , pienamente consapevole e libero da pressioni esterne. Nella legge si affronta anche l’argomento del « testamento di vita » , col quale una persona può chiedere che un medico di fiducia possa praticare l’eutanasia una volta accertata una sopravvenuta situazione di salute « grave e incurabile » . La legge, prima di essere approvata il 18 dicembre 2008, trovò un inatteso ostacolo nell’opposizione del Granduca Henri di NassauWeilburg, che si rifiutò di firmarla per la ferma volontà di tutelare la vita umana. Il Granduca fu privato dei suoi poteri grazie ad una legge voluta dal governo del cristiano sociale Juncker e votata a larga maggioranza. Per la sua fiera opposizione il Granduca ha ricevuto in Vaticano il premio Van Thuan.  ( L. Sch.)

DA LONDRA ELISABETTA DEL SOLDATO  Una piccola breccia a Londra potrebbe provocare una valanga in Europa. E lo spettro dell’eutanasia legale comincia ad aleggiare sul Vecchio Continente, dopo gli strappi – pur diversi nella forma legislativa – di Belgio, Olanda, Lussemburgo e Svizzera. Il suicidio assistito in Gran Bretagna è reso illegale dal Suicide Act, una legge del 1961 nella quale si stabilisce che chiunque aiuti o incoraggi un’altra persona a togliersi la vita è punibile con la reclusione fino a 14 anni. Nonostante vari tentativi di modificare la norma, la pratica del suicidio assistito continua a essere illegale, con il sostegno della maggioranza della po-polazione e del governo di Gordon Brown. Il premier ha infatti più volte rimarcato quanto sia importante, per il rispetto della vita umana, aiutare chi è in una condizione di vul-

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nerabilità e non metterlo sotto pressione.  Nelle ultime settimane tanta stampa ha titolato che la Gran Bretagna ha legalizzato il suicidio assistito, ma ciò non corrisponde al vero, sebbene con l’introduzione di nuove 'linee guida' da parte del direttore della Procura generale, Keir Starmer, il dibattito si è acceso e molti temono che esse potrebbero rappresentare il primo passo verso un at-teggiamento più tollerante nei confronti di chi aiuta un’altra persona a morire.  Le linee guida sono state pubblicate dopo le molte richieste di una malata di sclerosi mul-tipla, Debbie Purpdy, la quale voleva che fosse chiarito dal giudice se il marito rischia l’in-criminazione quando egli l’accompagnerà alla clinica svizzera Dignitas dove sarà assistita dai medici a morire. La richiesta della Purdy, bocciata due volte dai giudici, è poi stata accolta dalla Camera dei Lord.  Poco dopo la Procura Generale è intervenuta sostenendo la necessità di specificare chi è punibile tra coloro che aiutano una persona a suicidarsi. Sono seguite le linee guida: è punibile chi spera in un ritorno economico dalla morte della persona suicida; è punibile chi mette sotto pressione la persona suicida; non è necessariamente punibile una persona che ne accompagna un’altra in un Paese dove il suicidio assistito è legale. Finora sono più di cento i britannici che si sono recati in Svizzera per porre fine volontariamente alla propria esistenza: tutti erano accompagnati da almeno un familiare, nessuno di essi è stato incriminato.  La legge inglese non cambia, ma le linee guida per chi accompagna persone al suicidio assistito sono un cedimento

Avvenire 03/12/2009, Pagina A01

CONTRO LA VITA, CONTRO LA LEGGE

  QUEI PILATI «INCOMPETENTI»

 MARINA CORRADI

 N on è cosa di nostra competenza. Questa la risposta dell’Aifa al ministro Sacconi che, dopo un’approfondita indagine parlamentare, chiedeva che la pillola abortiva venisse somministrata solo in regime di «ricovero ordinario», cioè in ospedale fino al compimento dell’aborto. L’Agenzia italiana del farmaco ha elegantemente declinato la richiesta: le nostre competenze in materia di dispensazione dei farmaci «sono limitate», ha spiegato. Risposta medicalmente pilatesca, quando è noto che in un alto numero di casi la somministrazione del farmaco abortivo dà luogo a emorragie e problemi, anche gravi, che la donna non dovrebbe trovarsi ad affrontare da sola. Risposta politicamente invece molto chiara, quando spiega come il pieno rispetto della legge 194 sia materia di competenza del Ministero – e che dunque se la veda lui.  Perché qui è il nodo politico del confronto. La 194 prevede che l’aborto avvenga in ospedale. Se si arrivasse invece a delegare all’ospedale solo la somministrazione della pillola, mandando poi le donne a casa, la legge 194 sarebbe scavalcata. In una sorta di privatizzazione di fatto dell’aborto. Utile a sgravare i medici da un compito pesante, e il servizio sanitario dalle spese degli interventi chirurgici. Ma poco conciliabile col testo di una legge che almeno nel suo incipit affermava di riconoscere «il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana dal suo inizio ».

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  Che cosa si tutela, se la Ru486 va presa in fretta, entro la settima settimana di gravidanza, e non c’è neanche il tempo di quella settimana di riflessione prevista dalla 194? Chi si tutela, se passa la vulgata che per abortire ora 'basta una pillola'? Non certo le adolescenti, né la loro consapevolezza di cos’è un figlio, e cos’è buttarlo via. Che cosa sia poi davvero, di sofferenza, il lungo velenoso 'lavoro' dell’aborto chimico, lo scopriranno poi, sulla pelle. Sembra paradossale che proprio un giornale cattolico debba 'difendere' la legge sull’aborto così come fu concepita trent’anni fa. Ma quella legge, inaccettabile per i credenti, era almeno il compromesso fra parti politiche che, nel legalizzare l’aborto, avevano ancora uno sguardo, sia pure a livello di princìpi, alla maternità, giudicata come un bene da tutelare, e ai diritti del concepito: cui era dedicato il lungo articolo 2 sulla prevenzione dell’aborto. Trent’anni dopo, quell’articolo è rimasto quasi lettera morta. Le «associazioni di volontariato» che avrebbero voluto aiutare le donne a tenersi il figlio sono state ostacolate e spesso demonizzate. Per trent’anni il leit-motiv costante invece è stato: «La legge 194 non si tocca». (Un Moloch, un dogma del laicismo, del femminismo e della sinistra. Secondo cui l’aborto è prima di tutto 'diritto' da affermare).  Ma se il garbato declino di responsabilità dell’Aifa porterà come risultato a lasciare che le donne, ottenuta in fretta una pillola, abortiscano sole a casa loro, sarà nei fatti e idealmente, rispetto alla legge, un passo indietro, un venire meno a quello 'sfavore' all’aborto che pure tra le righe del testo della 194 si avverte. Una scelta pragmatica, utile ai conti delle Asl; una scelta utilitaristica in linea con l’individualismo che ci do-mina. (Fare in fretta, senza nemmeno aspettare o aspettarsi l’aiuto di qualcuno. Abortire da sole, creando meno problemi possibile. E pazienza se a qualcuna magari andrà male).  Non è cosa, hanno detto, di nostra competenza. Dietro a una formula burocratica, una visione del mondo. Che una donna – povera, ricca, straniera – abortisca, e come, e la sua salute, son fatti suoi. Che questo avvenga secondo il dettato della legge, son fatti del Ministero. Perfettamente in linea, quelli dell’Aifa, con la mentalità comunemente dominante. E altrettanto dimentichi di quel bene che, pur ferito e sopraffatto, nel 1978 l’Italia ancora ricordava. L’aborto, sì, legale, ma maternità come un bene da sostenere. La vita umana un valore, «dal suo inizio». Quella pillola data in fretta, che porta la morte in solitudine, sembra il simbolo di un mondo in cui si vive per sé soli.   

Avvenire 02/12/2009, Pagina A03 DI LUCIA BELLASPIGA E ENZO GABRIELI

 Un figlio indesiderato, una gravidanza annunciata e poi confermata da due rapidi te-st fai-da-te nel bagno dell’università di Barcellona, dove da qualche mese studiava con il suo fidanzato. Infine la decisione di abortire e il benevolo consiglio di un medico spagnolo, gentile quanto ingannevole: «Due pillole e non ci pensi più»... In-vece Anna (nome di fantasia), 24 anni, studentessa calabrese, ripenserà per sempre a ciò che è avvenuto dal momento in cui ha assunto la Ru486, un 'medicinale' che non cura niente e nessuno, nato allo scopo specifico di sopprimere la vita al suo esordio. Ma che quel giorno rischiò di uccidere la giovane madre, oltre a quel feto che oggi, mentre piange, chiama «figlio». «Ero partita dall’Università della Calabria per il 'Progetto Erasmus' – racconta incontrandoci sul Ponte Pietro Bucci dell’ateneo, i

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segni di una sofferenza indelebile sul volto e nel tremore della voce –. Studiavo e tuttora studio a Cosenza, allora ero una ragazza felice e piena di propositi per il futuro, anche perché presto ho conosciuto il mio fidanzato, con cui poi sarei partita per Barcellona...». Gli occhi neri si muovono rapidi e insicuri, offuscati da un’ombra di dolore, ciò che resta del suo viaggio in quello che lei chiama «il tunnel oscuro» e dal quale ancora non sa uscire. La sua storia è di quelle che iniziano fin troppo bene, con un bando proposto agli studenti più meritevoli per uno scambio culturale e formativo in una delle città europee, il brillante superamento della selezione assieme al fidanzato (che chiameremo Roberto), e la partenza per la metropoli catalana. «Doveva essere un’esperienza indimenticabile», ricorda senza sorridere. Anna, che nel suo soggiorno spagnolo condivide l’alloggio con due compagne straniere, un giorno si accorge, calendario alla mano, che i conti non tornano: «All’inizio pensavo che il mio ritardo derivasse da alcuni antibiotici che avevo assunto per una brutta influenza – prosegue – , poi cominciai a temere di essere rimasta incinta e in una farmacia del centro comprai il test di gravidanza ». La vita di suo figlio, annunciata in quel bagno, le cadde addosso come la peggiore delle notizie. «Lo dissi a Roberto e sperammo entrambi in un errore, ma anche il secondo test diede lo stesso risultato. Da allora litigammo furiosamente...».

  La vita di Anna iniziava a frantumarsi, e il primo pezzo che se ne andava era pro-prio l’amore: da una parte c’era Roberto, deciso a tenere quel figlio e a prendersi le sue responsabilità di padre nonostante i suoi 24 anni e la mancanza di un lavoro, dall’altra le paure della giovane, il timore dei genitori, il terrore della solitudine. E sola rimane davvero, Anna, accompagnata da un’amica spagnola nella struttura sanitaria in cui i medici le spiegano che «la Spagna è molto più avanti dell’Italia e qui c’è la libertà di abortire con semplicità». Sola è anche quando i camici bianchi le raccontano che non avrà alcun problema, che «basterà assumere due pillole, una per bloccare la gravidanza e l’altra per espellere il feto, niente di complicato, al massimo quel piccolo fastidio come nelle giornate del ciclo...». Sola quando imbocca il tunnel senza nemmeno far sapere a Roberto che tra poche ore non sarà più padre. Un mare di carte da compilare per dichiarare che era stata informata di tutte le conseguenze cui andava incontro, un colloquio frettoloso con un’assistente sociale, una prescrizione medica e giù le pillole. «Eravamo in tante - ricorda tormentandosi per tutte - e ci chiamavano per nome e cognome, senza alcun rispetto della privacy. Quando toccò a me, nessuno in realtà mi disse nulla del pericolo cui andavo incontro, così firmai e presi la prima pillola, che poi scoprii chiamarsi Mifeprex. Due giorni dopo ritornai in ospedale, come mi aveva detto il medico, e presi l’altra pillola, il Misoprostol. È stato tutto molto facile». Facile come bere quel bicchier d’acqua con cui le manda giù.

  Ma il dramma deve solo cominciare. «La mattina seguente ero sola in apparta- mento, le mie due amiche erano uscite, il mio fidanzato neanche sapeva che stavo già mettendo in pratica il mio intento abortivo. Iniziai ad avere dolori lancinanti all’addome, a fare avanti e indietro dal bagno con una diarrea incontrollabile e una nausea terribile. Pensavo di morire. C addi in uno stato di semi incoscienza e dopo alcune ore mi svegliai in un bagno di sangue. L’emorragia era inarrestabile, con-tinuavo a perdere sangue, sentivo la vita uscire dal mio corpo, non ero mai stata tanto male. Chiamai aiuto e tornai in ospedale, dove mi fecero una nuova ecografia

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ed ebbi la notizia che l’aborto era avvenuto 'con successo'. In realtà lì si celebrò il cuore vero del mio dramma. Le mie convinzioni ad una ad una sono tutte crollate, sono caduta in uno stato di depressione terribile, piango sempre e fatico a riprendere forza. Ora mi sento in colpa verso il mio fidanzato, che peraltro ho anche perso, e soprattutto verso quella creatura. Devo cominciare a ricostruire tutta la mia vita, ma so che questo ricordo non mi abbandonerà».

  Era una ragazza come tante, Anna, con quella voglia di vivere a volte irrefrenabile, quella convinzione di avere il mondo in tasca e le certezze nel cuore, decisa a fare di testa sua. «Anche in quell’occasione pensavo di aver scelto la via facile, così sui giornali ti presentano la Ru486, credevo fosse una conquista della scienza, invece la mia vita è finita con quella pillola, che ti dà l’illusione di non abortire mentre in realtà rischia di uccidere te oltre a tuo figlio...».

  Ce la farà, Anna, la sua rinascita comincia da qui, dal desiderio di raccontare la sua storia, rimasta sconosciuta anche ai genitori: «Non voglio che altre ragazze imbocchino la mia strada, devono sapere a cosa si va incontro. Vorrei dire solo questo: attente alle false libertà e soprattutto non decidete da sole, la vita, sin dal suo sbocciare, anche nel dramma si può trasformare in un dono. Io me ne sono accorta troppo tardi, ma per voi c’è ancora tempo».

 L’odissea di Anna, studentessa calabrese, a Barcellona per studiare: «Mi avevano detto che la Spagna è più avanti dell’Italia, che bastano due pillole per risolvere il problema e che non avrei avuto alcun fastidio»  

Avvenire 03/12/2009, Pagina A19 di  Antonella Mariani  la posta in gioco  Ora è a rischio l’«eccezione italiana» stamy  L’ Italia? Uno degli ultimi Paesi a introdurre l’aborto chimico, fanalino di coda di una beata civiltà europea. Insomma: chi arriva per ultimo nella corsa alla Ru486 per forza è arretrato, forse perfino leggermente troglodita. Ecco il tormentone – un po’ snob – degli ultimi mesi, secondo il quale la civiltà si misura nell’assimilarsi alla legge del « così fan tutti » . « Possibile – si dice – che in Francia la pillola abortiva negli ospedali c’è da anni e da noi ancora niente? Possibile che indietro come l’Italia ci sia solo la Polonia e la Lituania? Ma come siamo incivi li » .  E invece no. E se fossimo noi, i veri civili tra gli europei? Questo rovesciamento di prospettiva non è suggerito dalle opinioni ma dai dati. Perché l’Italia è tra i

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pochissimi Paesi europei – l’unico, insieme alla Germania, tra quelli occidentali – ad aver registrato in dieci anni un calo degli aborti, addirittura di quasi il 50 per cento rispetto al picco massimo del 1982 ( allora le Ivg furono 234.801, nel 2008 sono state 121.406). Nella civilissima Francia, Paese ' pilota' della pillola Ru486, nel 2007 invece ci sono stati 8.153 aborti in più rispetto a dieci anni prima. Non che Oltralpe ne siano soddisfatti, ovviamente, tanto che per frenare le interruzioni di gravidanza si è usata la contraccezione a pioggia, con i preservativi distribuiti fin nelle scuole superiori. Risultato: nessuna diminuzione degli aborti, anzi, ancora aumento, anno dopo anno. Nel 2007 la Francia ha raggiun to quota 209.913, seconda solo alla Gran Bretagna con 219.336.  L’' eccezionalità' italiana, che dovrebbe essere motivo di soddisfazione non solo per i cattolici ma proprio per tutti, nessuno escluso, si esprime anche nel tasso particolarmente basso di aborti tra le minorenni: 4,8 per mille ( numero delle Ivg per mille donne nella fascia d’età considerata), in leggera discesa rispetto al 2006. Sempre tanto, anzi troppo, si dirà, ma nemmeno lontanamente paragonabile al 25 per mille delle ragazze inglesi e del 16,4 per mille di quelle francesi. Si può ancora dire che l’Italia è un Paese incivile perché non ha ( ancora) introdotto la Ru486? O non sarebbe meglio preoccuparsi del fatto che l’aborto chimico – una pillola e via il pensiero di un figlio che arriva non richiesto – potrebbe insidiare proprio quest a ' eccezionalità italiana' che a qualcuno va stretta ma che, con un gioco di parole, faremmo meglio a tenerci ben stretta?  Ec’è dell’altro: in Italia l’aborto sembra essere percepito ancora come una sorta di 'estrema ratio' e lo dimostra il fatto che ( solo, se così si può dire...) una donna che abortisce su 4 è recidiva ( 26,9%), cioè si è già sottoposta a un’Ivg in precedenza. Ben altro succede nell’Europa dalla pillola facile: nel Regno Unito è recidivo il 32% delle donne, il 37% in Danimarca e Svezia. Non sarà, allora, che l’aborto chimico, normalmente praticato in questi Paesi, introduce un elemento di banalità nello sbarazzarsi di un figlio non desiderato, tanto da poter essere ripetuto, al bisogno, una, due, tre volte?  In conclusione: se è vero che in Italia l’aborto è ( ancora) considerato un disvalore e non una semplice espressione di libertà, non sarà che fors e i ' civili' siamo noi? Anche senza Ru486. 

Aborti giù del 50% dal 1982, basso tasso di Ivg tra le minorenni: in Europa siamo in controtendenza. Però c’è chi ci chiama 'incivili' perché in ritardo con la Ru486. E se i civili fossimo noi?   

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Avvenire 09/02/2010

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Massimiliano, rinascere con un segno di croce  risvegliato Uscito dopo 10 anni dallo stato vegetativo, racconta: «Io sentivo tutto». La madre: «Gli vidi muovere un mignolo e capii che c’era, ma non mi credevano». Ora il sogno di camminare. Asl permettendo  DA MILANO  D ue vite parallele, quelle di Eluana e Massimiliano, almeno per un lungo tratto: han-no entrambi 21 anni quando un incidente d’auto, a pochi mesi l’uno dall’altro, interrompe il corso normale della vita e spazza via pensieri, azioni, speranze. Per entrambi è l’inizio del lungo sonno, chiusi in un corpo che sembra non comunicare più nulla a nessuno. Poi nella vita di Max succede qualcosa e tra i due giovani è il bivio: « Dopo quasi 10 anni di stato vegetativo, la sera di Natale del 2000 Max ha sollevato la mano e ha fatto da solo il gesto che gli avevo sempre fatto fare io, il segno della Croce. Credev o di essere impazzita » . Così Lucrezia Tresoldi, la mamma che, con il marito Ernesto, aveva passato giorni e notti attorno a quel figlio, parlandogli, muovendogli braccia e gambe, stimolandolo senza sosta.  Qual era stata la diagnosi?  Il cervello era così lesionato che i medici escludevano nel modo più assoluto qual-siasi ripresa anche parziale. Un neurologo fece un paragone: Max era come una centralina elettrica, se tagli i fili non ci sarà mai più alcun contatto. Sulla cartella clinica scrivevano ogni giorno ' non collabora'. Non vedevano segni di risposta, loro.  Perché, voi li vedevate?  Io un giorno colsi il movimento di un mignolo. Ma i neurologi dissero che era un riflesso condizionato, che m i illudevo. Negli anni quante volte ci hanno dato degli illusi o dei visionari...  Oggi i fatti vi danno ragione, ma in effetti non era facile credervi, allora.  Il fatto incredibile è che quelle lesioni cerebrali Max le ha ancora, come rileva la risonanza magnetica, il che prova quanto poco si sappia del cervello umano.  Per tanti anni nessun segno di coscienza. Poi?  Dopo nove anni di stato vegetativo abbiamo visto un sorriso. I neurologi sostenevano che era uno spasmo involontario, ma la cosa si ripeté e mai per caso, sempre quando gli amici di Max lo venivano a trovare. Un anno dopo, quando nostro figlio si è risvegliato, ci ha spiegato quei sorrisi... Durante quei lunghi dieci anni Massimiliano era sempre stato ' qui', con noi, solo che non poteva comuni carlo. Al risveglio ricordava perfettamente chi in passato era venuto a trovarlo, raccontava episodi avvenuti in camera sua...  Quanto conta che lo abbiate portato a casa e la famiglia gli sia sempre stata accanto?  Gli studi dimostrano che lo stimolo maggiore per questi casi è proprio il contatto con i genitori. Anche l’infermiere più bravo non potrà mai trasmettere le sensazioni, i rumori, gli ' odori' della famiglia, soprattutto l’amore, che sul cervello ha effetti molto forti. Quando lo abbiamo portato a casa, dopo 8 mesi di ospedali e di sondino, aveva

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già ricevuto l’estrema unzione, non poteva più deglutire, pesava 39 chili, era tutto piagato, aveva 40 di febbre. Noi a casa gli abbiamo tolto il sondino e, cucchiaino per cucchiaino, lo abbiamo imboccato con i frullati, a ogni sorso gli muovevamo il collo perché imparasse il movimento giusto. Ci sono voluti mesi.  Il giorno prima della morte, l’équipe di Udine ha provato a far bere acqua a Eluana per dimostrarne l’incapacità.  Una follia: a una persona in agonia? E con i liquidi Max si strozza anche oggi che mangia spaghetti e cotolette. Comunque ci vogliono mesi e mesi di esercizio co-stante, dopo anni di sondino.  Max accetta la sua disabilità?  È un ragazzo felice e ringrazia Dio se tre medici su cinque si opposero al distacco dalle macchine. Da un mese a questa parte sta pronunciando sempre nuove parole e ora ha il sogno di camminare, grazie a uno speciale ausilio che però aspettiamo dall’Asl... Lo vedremo mai?  Che aiuti ricevet e dalla Asl?  Tre ore a settimana di fisioterapia, cioè zero. Ci siamo comprati il letto antidecubito, l’aspiratore per il catarro, la palestra. Solo da un anno ci possiamo permettere il logopedista, ma quanti anni fa Max avrebbe parlato, se le sedute fossero iniziate prima?  Perché nessun genitore in questo anno ha seguito la via aperta da Englaro?  Tutti combattono per ottenere gli aiuti e garantire a questi figli le cure cui hanno diritto, non per farli morire. Magari avessimo tutti le suore Misericordine.  Lucia Bellaspiga

18 febbraio 2010 San Remo

Italia amore mio

Io credo sempre nel futuro,nella giustizia e nel lavoro,nell’equilibrio che ci unisce,intorno alla nostra famiglia.

Io credo nelle tradizioni,di un popolo che non si arrende,

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e soffro le preoccupazioni,di chi possiede poco o niente.

Io credo nella mia cultura e nella mia religione,per questo io non ho paura,di esprimere la mia opinione.Io sento battere più forte il mio cuore di un’Italia sola,che oggi più serenamente si specchia in tutta la su storia.

Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,Italia amore mio.Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio,Italia amore mio.

Ricordo quando ero bambino,viaggiavo con la fantasia,chiudevo gli occhi e immaginavo,di stringerla fra le mie braccia.

Tu non potevi ritornare pur non avendo fatto niente,ma chi si può paragonare a chi ha sofferto veramente.

Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,Italia amore mio.Io non mi stancherò di dire al mondo e a Dio,Italia amore mio.

Io credo ancora nel rispetto,nell’onestà di un ideale.Nel sogno chiuso in un cassetto,e in un paese più normale.Sì stasera sono qui per dire al mondo e a Dio,Italia amore mio

Una pagina nuova nel rapporto tra ebrei e cristiani

Non è la prima volta che Benedetto XVI è ospite in una sinagoga, ma non sfugge il fatto che quel che è

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accaduto il 17 di gennaio, in quel piccolo angolo sul bordo del Tevere dove vive una comunità ebraica portatrice di una storia profonda e notevole, non è un fatto solo romano

 

      La visita di Benedetto XVI al Tempio maggiore di Roma è una pagina nuova che si apre nel rapporto tra ebrei e cristiani, sulla quale sarebbe un errore grave fare retorica, ma che non deve neanche essere sottovalutata per la paura di uscire fuori binario.       Ricordo che, nell’aprile dell’86, mi si riempì il cuore di gioia quando Giovanni Paolo II entrò nel Tempio maggiore di Roma accolto dal rabbino capo Elio Toaff, perché era la prima volta che un papa entrava in Sinagoga. Ma quell’innovazione che veniva introdotta nel dialogo tra cristiani ed ebrei, pur essendo un avvenimento importantissimo, appariva allora un momento a sé stante.       Quella di papa Ratzinger, invece, rappresenta il capitolo di un indirizzo che si sta sviluppando, sia pure giustamente nel silenzio, e che avrà sicuramente nuove svolte.       Non è la prima volta che Benedetto XVI è ospite in una sinagoga, ma non sfugge il fatto che quel che è accaduto il 17 di gennaio, in quel piccolo angolo sul bordo del Tevere dove vive una comunità ebraica portatrice di una storia profonda e notevole, non è un fatto solo romano. Anzi proprio perché è avvenuto a Roma è un passaggio carico di significati e ripercussioni su tutto il

cammino di riconciliazione tra cattolici ed ebrei. E non possiamo non tener conto che certi passaggi storici avvengono perché è la situazione che è ormai matura per voltare pagina e guardare avanti.       Giustamente il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha ricordato l’importanza del Concilio Vaticano II, che fu una svolta coraggiosa, ma che, aggiungo, era maturata da tempo, anche se si aveva paura di affrontarla. Si può anche ricordare che storicamente fu con Giovanni XXIII che si volle togliere dalla liturgia del Venerdì Santo l’orazione pro perfidis Iudaeis, che risuonava con durezza, ma non a caso già da molti anni un gruppo di sacerdoti di avanguardia (tra i quali c’erano anche Roncalli e don Giulio Belvederi e dei quali alcuni furono in seguito trattati male e a torto bollati come modernisti) di loro iniziativa avevano già soppresso questa orazione. Perché, mi spiegò monsignor Belvederi, anche se in quel contesto l’aggettivo “perfidi” non aveva il significato negativo dell’uso corrente, la liturgia non è un terreno per le sottigliezze letterarie.       Indubbiamente da cattolico romano cresciuto nella giovinezza con il divieto di entrare in edifici di culto non cattolici persino per un funerale, non posso che apprezzare la strada fatta fin qui. Soprattutto perché non è stato un cambio di indirizzo riservato agli addetti ai lavori, ma una curva ad “u” nella vita vissuta della Chiesa.       Noi cattolici abbiamo superato qualsiasi velleità di discriminazione verso gli ebrei. Discriminazione che storicamente non fu solo rappresentata dalle odiose leggi razziali del 1938 (anche se già allora molti di noi giovani percepirono come profondamente ingiusto l’allontanamento dalla scuola dei nostri compagni ebrei), ma anche certo dal sottolineare la diversità del popolo ebraico con un sottofondo di ostilità e diffidenza.       Credo che oggi, pur permanendo delle evidenti e irriducibili differenze sul piano teologico, i tempi possano essere maturi perché su un piano pratico e sociale si possa sviluppare un indirizzo che io definirei di comunione con gli ebrei e che rappresenta una logica conseguenza della strada fatta fin qui. Prima sarebbe stata forse una bizzarria anche pensarlo, ma oggi possiamo responsabilmente godere dei frutti di ciò che è stato raggiunto.       Mi auguro, quindi, che si possa lasciare sempre più alle spalle l’angustia culturale che qualche volta ha appesantito il rapporto tra cristiani ed ebrei e in questa prospettiva anche la beatificazione di Pio XII non è davvero un ostacolo. Non è mia intenzione entrare nello specifico, ma, salvo che per alcune posizioni da una parte e dall’altra che definirei faziose, il dialogo e la comprensione reciproca possono approfondirsi anche senza il venir meno del rispetto reciproco e della coerenza verso un giudizio storico. Questo è importante anche per i giovani, perché guardino a questi

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problemi con occhi nuovi, non appesantiti da fardelli che vengono dal passato e che sono frutto più della politica che della teologia.

      Inoltre spero che tutto ciò che si sta facendo intorno alla figura di Pio XII sia fatto in buona fede. Nel senso che non ci devono essere né vincitori né vinti sull’argomento. Si tratta di lasciare che la Chiesa possa sviluppare con assoluta ampiezza la sua azione e di non coinvolgerla in polemiche che, a guardarle bene, non sono tanto dell’altro mondo, ma appartengono molto di più a questo. E forse non sono neanche brillanti come polemiche.       Il rapporto tra cristiani ed ebrei esiste storicamente con motivi di convergenza e di divergenza lungo il tempo. Cancellare i punti di divergenza con un colpo di spugna è illusorio, guardare avanti senza farsi condizionare negativamente da vicende storiche (che nessuno può negare), credo sia la linea giusta. Con riflessione, prudenza e, come detto, rispetto reciproco.       Anche la situazione politica in Medio Oriente, con l’annosa crisi arabo-israeliana, è un elemento che incide nel dialogo tra ebrei e cattolici, rendendolo difficile se non, a volte, impossibile. Ma, anche se alcune posizioni che attengono al campo spirituale non possono essere cambiate, non possiamo comunque considerare il rapporto verso gli ebrei e quello della comunità ebraica verso di noi solo come un rapporto tra diverse diplomazie.       Sono temi difficili in cui a volte c’è una passionalità che impedisce di vedere i termini reali della questione. Io stesso faccio fatica a evitare questa passionalità. La politica estera dell’Italia, ad esempio, è stata più volte ingiustamente considerata dagli ebrei troppo filoaraba, con uno schematismo e una rigidità che non consente obiettività e comprensione dei problemi. Così, dall’altra parte, sono bastate alcune dichiarazioni durante il viaggio in Israele del presidente del Consiglio Berlusconi perché si verificassero incidenti davanti all’ambasciata italiana in Iran. Credo che dobbiamo rasserenarci tutti, perché il razzismo non c’è più per fortuna, ma ha lasciato una coda in una certa maniera prevenuta di porre i problemi.       Noi sappiamo che ci sono cose che vanno ancora comprese e risolte, ma non devono essere pietre di inciampo nel nostro cammino. Con coraggio vanno messe alle spalle, per l’interesse di tutti.

13.V.2010

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Il Bambino di senza none di Rossano Calabro non va dimenticato

di S. E. Mons. Ciampaolo Crepaldi Non dobbiamo dimenticare il bambino senza nome di Rossano Calabro. Non dobbiamo permettere che l’incalzare delle notizie lo seppellisca nella nostra incoscienza. E’ stata una tragedia cui non dobbiamo aggiungere la tragedia dell’oblio. Sono in corso una indagine della Procura e una ispezione del Ministero che dovranno chiarire ancora alcuni aspetti, ma quanto ne sappiamo è già più che sufficiente per dirci che non dobbiamo dimenticare. Nell’Ospedale civile di Rossano Calabro (provincia di Cosenza, Italia) è stato praticano un aborto alla 22.ma settimana di gestazione. Ventiquattro ore dopo, sabato scorso 1 maggio, il Cappellano dell’Ospedale don Antonio Martello è andato, come solitamente fa, a benedire il salma del bambino abortito. Quando ha alzato il lenzuolino lo ha visto muovere. Respirava. Ha chiamato aiuto. Il bambino è stato trasportato all’ospedale di Cosenza, dove è sopravvissuto un altro giorno dopo di che è morto. La mamma, alla prima gravidanza, aveva preso la decisione di abortire dopo una diagnosi prenatale che sembra avere diagnosticato un difetto del labbro e del palato. La morte di quel bambino è segno di una emergenza sociale: del disprezzo per la vita umana, della deriva eugenetica dell’aborto, del non rispetto dei diritti e del diritto, di una mentalità irresponsabilmente semplificatoria, del disinteresse ideologico verso le nuove possibilità della scienza, della falla nella deontologia della classe medica e sanitaria. La stessa legge 194 sulla interruzione volontaria della gravidanza non è stata rispettata. Essa stabilisce che alla 22ma settimana si può praticare un aborto solo in caso di pericolo di morte per la mamma; che tale intervento può avvenire solo in strutture in grado di garantire l’eventuale sopravvivenza del bambino; che medici e paramedici hanno il dovere di rianimarlo e proteggerlo, anche contro il parere della mamma se, contrariamente alla volontà umana, dovesse uscirne vivo. In

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questo caso nessuna delle tre condizioni era presente. All’ospedale di Rossano Calabro non c’erano strutture di terapia intensiva neonatale e il bambino è stato completamente abbandonato: non l’hanno nemmeno pulito del sangue placentare. E’ difficile che un nato alla 22ma settimana possa sopravvivere, dato che in genere non è in grado di respirare autonomamente. Qualcuno ipotizza che sia stato fatto un errore di calcolo nei giorni di gestazione e che il bambino di Rossano avesse qualche giorno in più di 22 settimane. Sta di fatto, però, che i casi di sopravvivenza alla 22ma settimana sono in aumento, anche se in percentuali bassissime. La possibilità, anche se piuttosto remota, c’è. Tanto è vero che molti ospedali e cliniche pediatriche si sono dati codici interni di autoregolamentazione per vietare l’aborto a questo grado di gestazione del feto La legge italiana non ammette l’aborto per motivi eugenetici, ossia per la presenza di una malformazione nel feto. Nel caso di Rossano Calabro non è ancora chiaro di che tipo di malformazione si trattasse, se lieve o molto grave. In ogni caso, però, possiamo dire che la diagnosi prenatale viene ormai troppo velocemente, quasi automaticamente, collegata con l’aborto, perfino ad una gestazione così avanzata. Nessuno accompagna la mamma in questi casi. L’80 per cento delle diagnosi prenatali si rivela di scarsa rilevanza sulla salute e lo sviluppo del bambino, eppure ormai vengono interpretate come una sentenza di morte. La nostra cultura, così rispettosa della scienza, non accoglie però l’indicazione scientifica che le diagnosi prenatali sono imperfette e che alla 22ma settimana il bambino ha qualche possibilità di vivere e i parlamenti non ascoltano le richieste di diminuire il limite permesso per abortire a non oltre la 20.ma settimana. L’immagine di quel bambino che ha sgambettato e si è affannato a respirare per ben tre giorni – un “piccolo combattente” lo ha definito un quotidiano italiano – non sgombrerà il campo della nostra memoria così facilmente e ci rimprovererà ancora a lungo la nostra barbarie.

13/4/2010 - In un documento della commissione episcopale per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi, diffuso in occasione del quarantesimo del documento 'Il rinnovamento della catechesì, la Cei sottolinea l'importanza della «catechesi degli

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adulti e dei giovani. Di fatto, questo obiettivo primario di formare cristiani adulti, capaci di rendere ragione esplicitamente della loro fede con la vita e con la parola, è rimasto spesso disatteso dalle nostre comunità. Eppure indicazioni e proposte non sono mancate».

"Italia sempre più materialista e razionalista"

In Italia «si diffonde l'indifferenza religiosa: molti adulti e giovani attribuiscono scarsa importanza alla fede religiosa, vivendo nell'incertezza e nel dubbio, senza sentire il bisogno di risolvere i loro interrogativi. L'irrilevanza attribuita alla fede è dovuta anche al fatto che la formazione cristiana della maggior parte dei giovani e degli adulti si conclude nella preadolescenza: essi, perciò, conservano un'immagine infantile di Dio e della religione cristiana, con scarsa presa nella loro vita»: è la preoccupazione della Conferenza episcopale italiana

GIACOMO GALEAZZI

 «L’Italia conserva ancora larghe tracce di tradizione cristiana, ma è segnata anche da un processo di secolarizzazione. Si diffonde una concezione della vita, da cui è escluso ogni riferimento al Trascendente», afferma la Conferenza Episcopale Italiana in una «Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di base ’Il rinnovamento della catechesi». I vescovi

identificano i «molteplici influssi culturali» che hanno contribuito al diffondersi dell’ «indifferenza religiosa» e cioè: «il razionalismo, che assolutizza la ragione a scapito della fede; lo scientismo, secondo cui ha senso parlare solo di ciò che si può sperimentare; il relativismo, che radicalizza la libertà individuale e l’autonomia incondizionata dell’uomo nel darsi un proprio sistema di significati, rifiutando ogni imperativo etico fondato sull’affermazione della verità; il materialismo consumista, che esalta l’avere e il benessere materiale». «In questo contesto culturale - si legge nel documento diffuso oggi - molti adulti e giovani attribuiscono scarsa importanza alla fede religiosa, vivendo nell’incertezza e nel dubbio, senza sentire il bisogno di risolvere i loro interrogativi. L’irrilevanza attribuita alla fede è dovuta anche al fatto che la formazione cristiana della maggior parte dei giovani e degli adulti si conclude nella preadolescenza:essi, perciò, conservano un’immagine infantile di Dio e della religione cristiana, con scarsa presa nella loro vita. Non negano Dio; semplicemente non sono interessati». «A questi processi - rilevano i vescovi - si aggiunge il soggettivismo, che induce molti cristiani a selezionare in maniera arbitraria i contenuti della fede e della morale cristiana, a relativizzare l’appartenenza ecclesiale e a vivere l’esperienza religiosa in forma individualistica». Secondo i vescovi italiani, «la religione, di conseguenza, viene relegata nella sfera del privato, con la conseguente relativizzazione dei contenuti storici e dottrinali del messaggio cristiano

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e dei modelli di comportamento che ne derivano». Ridotta a un «fatto meramente individuale», la religione perde così «gradualmente rilevanza anche nella vita dei singoli». «Su tutto ciò - afferma la Cei -  incide anche il crescente pluralismo culturale e la pervasività della comunicazione multimediale, fenomeno del quale si devono cogliere anche le provocazioni positive e le opportunità per un nuovo annuncio del Vangelo e una piena umanizzazione della società». In questo contesto, ricordano i vescovi si parla opportunamente di «emergenza educativa» , ma non bisogna ignorare «i tanti segni di speranza e le numerose esperienze positive in atto nelle nostre comunità». «Si può dire -rileva la Lettera - che la Chiesa si trova in Italia di fronte a una situazione profondamente mutata rispetto a quella del 1970, quando il DB fu pubblicato. Ciò conferma la necessità di non smentirne nè dimenticarne le grandi intuizioni, ma chiede anche di compiere ulteriori passi in avanti nell’opera di evangelizzazione e di catechesi». Il documento diffuso oggi contiene il giudizio nettamente positivo della Cei sul Concilio Vaticano II, nonostante le ombre del post-Concilio. Recependolo il Documento di Base sulla Catechesi pubblicato 40 anni fa, scrivono i presuli, «ha favorito il nascere e l’impiantarsi di una nuova sensibilitàmissionaria; ha introdotto nuove tematiche, un nuovo linguaggio, un nuovo metodo di lavoro» e «sul piano dei contenuti della fede, ha offerto una visione rinnovata dellarivelazione: Dio si è manifestato agli uomini mediante eventi e parole e si è consegnato a noi in Cristo, per chiamarci e ammetterci alla piena comunione con sè. Di questa rivelazione, tutta la Chiesa è chiamata a farsi annunciatrice, attraverso molteplici espressioni, perchè tutta la Chiesa è missionaria».

Cina

Un potere forte che esercita il controllo totale sui fedeli  T erra dei paradossi, anche in campo di libertà religiosa la Cina si conferma, appunto, paradossale. Perché, se da una parte la Co-stituzione ammette la pratica di cinque religioni (buddismo, taoismo, islam, cattolicesimo e protestantesimo), è però vero che lo Stato vuole esercitare un controllo ferreo e totale sull’attività religiosa di ciascuna fede e di ogni credente. Così, ad esempio, per la Chiesa cattolica è stata promossa negli anni Cinquanta l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, organismo che intende creare una chiesa indipendente e slegata dalla Santa Sede considerata – secondo l’ideologia marxista ancora in voga nelle élite del potere ci-nese – come «un potere straniero». Di qui vengono, come conseguenza, le azioni di persecuzione e arresti rispetto a quanti non si allineano con le direttive del regime. L’agenzia AsiaNews del Pime informa che ad oggi sono ancora in carcere una decina i sacerdoti «sotterranei» – cioè che non aderiscono all’Associazione

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patriottica – e due vescovi , precisamente monsignor Giacomo Su Zhimin, della diocesi di Baoding, nella provincia dell’Hebei (guarda caso la zona a maggior concentrazione di cattolici nel Paese), e monsignor Cosma Shi Enxiang, della diocesi di Yixian, sempre nell’Hebei.  Ma la persecuzione di marca comunista contro le religioni non affligge solo i cattolici ma anche altre minoranze come il buddismo tibetano, stretto in una morsa di occupazione nella sua madrepatria, appunto il Tibet. Molto colpite dalla repressione inoltre sono le cosiddette «chiese domestiche», cioè i gruppi protestanti non riconosciuti dal governo, così come la setta Falun Gong, i cui membri vengono arrestati e – come denunciato nei giorni scorsi al Congresso americano da parte di alcuni fuoriusciti – usati come cavie nel commercio di organi umani.

 Lorenzo Fazzini

La persecuzione di marca comunista coinvolge anche le cosiddette «Chiese domestiche», come il buddismo tibetano

Comitato Nazionale bioetica: risorsa, non «lusso» Due decenni di studi per approfondire tutto ciò che ha a che fare con la bioetica. E per attrezzare governo e parlamento a compiere scelte su temi come eutanasia, trapianti di organi, fecondazione in vitro... Il Comitato nazionale per la bioetica compie vent’anni. Lo fa solennemente, oggi 15 luglio 2010 a Palazzo Chigi, col presidente Francesco Paolo Casavola che illustrerà il bilancio del lavoro svolto nell’ultimo quinquennio, che va a concludersi. Interverranno anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini e il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella. Un bilancio «ampiamente positivo», tiene a sottolineare Adriano Bompiani, presidente emerito del Comitato, l’organo che in questi anni ha fatto anche da riferimento per i comitati territoriali coordinandosi con gli omologhi internazionali.  «I   l Comitato italiano è quasi coevo del primo Comitato nel mondo, quello francese, nato nell’84 per volontà di Mitterrand – spiega Bompiani –. Noi siamo nati nel ’90, secondo Comitato a livello

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europeo». Un lavoro, quello del Cnb, che spesso ha valicato i confini nazionali per lavorare sui «diritti fondamentali dell’uomo».  Ne sono una conferma le convenzioni internazionali, come quella di Oviedo, in relazione alle quali il Comitato italiano non ha mai voluto recedere sul piano dei princìpi

.  Temi come «l’inviolabilità della vita già esistente e formata nella sua essenza fin dalle primissime fasi di vita sono stati portati avanti dal Comitato e difesi a oltranza», rivendica con orgoglio Bompiani. Il Comitato ora è impegnato soprattutto sui nuovi e complessi fronti della genetica per scongiurare una visione riduzionistica dell’uomo secondo la quale «tutto si dovrebbe ridurre alla dinamica del gene». Dopo vent’anni «mi auguro – conclude Bompiani – che ci sia il riconoscimento dell’opera che il Comitato ha svolto a favore della cultura, divenendo una necessità e una risorsa di questo Paese». Niente ipotesi liquidatorie, dunque: ora serve semmai «un rilancio: sarebbe una vergogna se l’Italia rinunciasse a un proprio Comitato di bioetica».  Graziella Melina

Addio al Picconatore, è morto Cossiga (17 agosto 2010)

Le lettere ai vertici dello StatoInviate da Cossiga al Capo dello Stato e ai presidenti di Camera, Senato e Consiglio dei ministriL'ex capo dello Stato Francesco Cossiga ha scritto quattro lettere alle più alte cariche dello Stato. Portano la data del 18 settembre del 2007. In quel periodo, era la XV legislatura, solo una di queste quattro cariche era ricoperta dal titolare attuale: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alla presidenza del Consiglio c'era Romano Prodi, a Palazzo Madama e Montecitorio c'erano rispettivamente Franco Marini e Fausto Bertinotti. Dopo le elezioni della primavera del 2008, Prodi, Marini e Bertinotti sono stati sostituiti rispettivamente da Silvio Berlusconi,

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Renato Schifani e Gianfranco Fini. È toccato quindi a loro, oltre che a Napolitano, ricevere le lettere di Cossiga. Di seguito il testo integrale delle missive.

AL CAPO DELLO STATO

«Signor Presidente, Le confermo i miei sentimenti di fedeltà alla Repubblica, di devozione alla Nazione, di amore alla Patria, di predilezione della Sardegna, mia nobile Terra di origine. Fu per me un grande onore servire immeritatamente e con tanta modestia, ma con animo religioso, con sincera passione civile e con dedizione assoluta, lo Stato italiano e la nostra Patria, nell'ufficio di Presidente della Repubblica. A Lei, quale Capo dello Stato e Rappresentante dell'Unità Nazionale, rivolgo il mio saluto deferente e formulo gli auguri più fervidi di una lunga missione al servizio dell'amato Popolo italiano. Con viva, cordiale e deferente»

AL PRESIDENTE DEL SENATO

«Onorevole Presidente del Senato della Repubblica nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente sulle verità in cui ho creduto e che ho testimoniato e sulla giustizia e carità che ho praticato, professo la mia Fede Religiosa nella Santa Chiesa Cattolica e confermo la mia fede civile nella Repubblica, comunità di liberi ed uguali e nella Nazione italiana che in essa ha realizzato la sua libertà e la sua unità. Fu per me un onore grande servire la Repubblica, a cui sempre sono stato fedele; e sempre tenni per fermo onorare la Nazione ed amare la Patria. Fu per me un privilegio altissimo: rappresentare il Popolo Sovrano nella Camera dei Deputati prima, del Senato della Repubblica quale Senatore elettivo, Senatore di diritto e a vita e Presidente di esso; e privilegio altissimo fu altresì servire lo Stato nel Governo della Repubblica quale membro di esso e poi Presidente del Consiglio dei Ministri ed infine nell'ufficio di Presidente della Repubblica. Nel mio testamento, ho disposto che le mie esequie abbiano carattere del tutto privato, con esclusione di ogni pubblica onoranza e senza la partecipazione di alcuna autorità. Per quanto attiene le onoranze che i costumi e gli usi riservano di solito ai membri ed ex-Presidenti del Senato, agli ex-Presidenti del Consiglio dei Ministri ed agli ex-Presidenti della Repubblica, qualora Ella ed il Governo della Repubblica decidessero di darne luogo, è mia preghiera che ciò avvenga dopo le mie esequie, con le modalità, nei luoghi e nei

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tempi ritenuti opportuni. Voglia porgere ai valorosi ed illustri Senatori il mio ultimo saluto ed il mio augurio più fervido di ben servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del Popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico. Che Iddio protegga l'Italia!».

AL PRESIDENTE DELLA CAMERA

«Signor Presidente, nel momento in cui nella fede cristiana lascio questa vita, il mio pensiero va alla Camera dei deputati, nella quale, per voto del popolo sardo, entrai nel 1958 e fui confermato fino al 1983, anno in cui fui eletto senatore. Fu per me un grandissimo e distinto privilegio far parte del Parlamento nazionale e servire in esso il Popolo, sovrano della nostra Repubblica. Professo la mia fede repubblicana e democratica, da liberaldemocratico, cristianodemocratico, autonomista-riformista per uno Stato costituzionale e di diritto. Professo la mia fede nel Parlamento espressione rappresentativa della sovranità popolare, che è la volontà dei cittadini che nessun limite ha se non nella legge naturale, nei principi democratici, nella tutela delle minoranze religiose, nazionali, linguistiche e politiche. Ringrazio i parlamentari tutti per il concorso che in tutti questi anni hanno dato con l`adesione o con l'opposizione, con l'approvazione o con la critica alla mia opera di politica. A tutti i deputati e a Lei, Signor Presidente, l'augurio di un impegnato lavoro al servizio della libertà, della pace, del progresso del popolo italiano. Dio protegga l'Italia».

AVVENIRE 2-3- SETTEMBRE 2010 Incinta, chiede aiuti al consultorio Risposta: abortisca

DA ROMA ALESSIA GUERRIERI

T eresa accarezza continuamente il suo pancione, come se dovesse ancora proteggere quel figlio che cresce da tre mesi nel suo ventre. «Ora che è qui dentro è al sicuro, ma quando nascerà sarà molto dura per noi». Sorride comunque, finalmente. Non ha più paura di affrontare la sua nuova vita da ragazza madre, «io non sono più sola, c’è lui con me – dice mentre indica quel miracolo che l’ecografia ha già scritto che sarà un 'lui' –. Siamo in due, solo noi due». Un lui che chiamerà Francesco e nascerà a marzo: «Questo bambino è stato concepito in Umbria, la patria di Francesco d’Assisi, vorrei che portasse il

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suo nome». La luce della vita, Teresa l’ha riscoperta dopo settimane di vuoto e di confusione, attraversate di tanto in tanto anche dalla voglia di farla finita. «Come potevo pensare – ribatte – di far crescere un figlio da sola, senza lavoro, senza casa, senza un compagno e senza un soldo?».

Quasi trent’anni, due sorelle all’estero e una mamma che non sente da anni, un diploma da odontoiatra, per ora inutilizzato. Poi quel compagno che «pur dicendo di desiderare come me un bambino, se ne è tornato in Tunisia» con il suo bagaglio di bugie. E non ha più nessuna intenzione di venire in Italia. Teresa parla tenendo lo sguardo fisso a quel figlio che le sta dando il coraggio e la forza di affrontare mille difficoltà. Lei, cardiopatica e con una gravidanza a rischio, però, ha deciso di andare avanti. Eppure, sola e disperata, il 30 luglio stava per cancellare quella vita che tanto aveva sognato. «Io lo volevo, l’ho voluto fin dall’inizio – racconta – ma ero talmente confusa che avevo già avviato le pratiche per l’aborto. Mi sentivo un mostro, comunque, una donna indegna di vivere. Per fortuna non ho avuto la forza di presentarmi in ospedale quel giorno». Infine la decisione di rivolgersi ad un assistente sociale nel suo municipio a Roma.

«Cercavo una parola di conforto, un posto dove stare, visto che dovevo lasciare il mio appartamento perché non potevo più permettermelo – confessa –, cercavo un aiuto ed invece...». I suoi occhioni neri si sono riempiti di lacrime quella mattina d’inizio agosto, quando le uniche parole di sostegno che ha avuto sono state quelle che mai nessuno si sarebbe immaginato. «Non possiamo fare molto per lei, non abbiamo grandi risorse. Ma non si rende conto che sarà difficile nella sua situazione crescere un bambino? Forse sarebbe il caso di pensare all’interruzione di gravidanza». L’assistente sociale non ha prospettato grandi alternative; in più le sue ferie sarebbero cominciate il giorno successivo e, quindi, pochi i tentativi da fare. Una telefonata dai servizi sociali effettivamente il giorno dopo è arrivata con una probabile sistemazione per soli due mesi e l’invito a risentirsi al rientro dalla vacanze.

«Ho pregato molto il Signore quella notte, non sapevo cosa fare, pregavo per il mio bambino e per quelle mamme come me che nessuno sente gridare in silenzio. Mi sono sentita come se tenere il figlio che già amavo immensamente fosse il reato più grande che potessi fare». Teresa fa una pausa. Poi spiega dell’incontro con un vecchio amico vicentino e, grazie a lui, del contatto col Centro di aiuto per la vita della Capitale. «Lì ho trovato innanzitutto il conforto e l’ascolto di cui avevo bisogno, oltre ad un aiuto materiale – aggiunge –. Mi hanno sistemato in una casa-famiglia dove potrò stare anche dopo il parto. Sempre grazie a loro ho un ginecologo di un grande ospedale romano che mi segue gratuitamente e che conosce bene la mia patologia».

Al tavolino di un bar, giocherellando con la cannuccia della sua acqua e limone, Teresa non nasconde la rabbia per quel «muro di insensibilità» che ha trovato, e continua a ricevere, proprio da chi invece dovrebbe aiutare. Per vivere ora, oltre ad un piccolo contributo del Cav, si arrangia come può, vendendo anche le sue originali lampade su internet. «Non voglio sentirmi una parassita dello Stato – dice lasciando per un attimo cadere gli occhi sulla lana che ha appena comprato per la copertina del suo Francesco –. Come è possibile in un Paese moderno e credente che i servizi sociali mi dicano di abortire, di dormire in alloggi di fortuna o addirittura di andar via dall’Italia per farmi aiutare delle mie sorelle all’estero?». Alle sue tante domande per adesso non trova risposta, ma ha un’unica certezza: quando Francesco nascerà vorrà impegnarsi perché nessun’altra donna viva ciò che ha passato lei. Tra qualche giorno sarà il suo compleanno, ma la vita le ha già riservato il regalo più grande.

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Teresa è una gestante in grave disagio economico Il 30 luglio si era rivolta all’assistenza sociale di zona. La risposta: «Non possiamo fare molto per lei, dovrà interrompere la sua gravidanza»

«Il Cav? Non sapevamo neppure che esistesse»

Roma, al consultorio negano: mai spinto per l’aborto Ma ammettono: non conosciamo centri di aiuto alla vita

DA ROMA ALESSIA GUERRIERI

« C entri di aiuto per la vita? Non sapevo nemmeno cosa fossero prima che la ragazza me ne parlasse». Al dipartimento per i Servizi Sociali del XX municipio capitolino cadono dalle nuvole. Nulla sanno delle iniziative per sostenere le ragazze incinte che non vogliono abortire. All’inizio sono anche restii a parlare, ma negano comunque tutto. La storia di Teresa, rivoltasi a loro al terzo mese di gravidanza, senza casa e senza lavoro, a cui è stata prospettata come soluzione l’aborto, la raccontano in maniera diversa. «Non è possibile che uno dei nostri operatori abbia dato una risposta del genere». Il funzionario provvisorio del servizio (qui si attende ancora la nomina del responsabile) non ha dubbi. Qui non facciamo miracoli certo, continua, ma «non abbiamo motivo di spingere una donna ad abortire». In sostanza si cerca di fare quel che si può, convivendo con la scarsità dei fondi, tra l’altro vincolati ad un «progetto sociale» e con tempi di erogazione epocali. «Non è poi così raro – continua – che gli utenti reagiscano nelle maniere più disparate, quando si aspettano delle risposte che per motivi di risorse o altro, non siamo in grado di dare». Secondo lui, cioè, Teresa avrebbe nel migliore dei casi frainteso le parole dell’assistente sociale, oppure addirittura inventato la soluzione dell’interruzione di gravi-danza «perché si aspettava qualcosa di diverso da noi».

Parlando con la diretta interessata, l’assistente sociale che segue Teresa, la replica imbastita di diplomazia è sempre la stessa. Il racconto della ragazza, secondo lei, è «strumentale». Ma a cosa? Ad ottenere qualcosa in più? «Le motivazioni possono essere molte – dice in maniera evasiva – sta di fatto che io non ho mai accennato nel colloquio con Teresa all’aborto, è stata lei ad informarmi che aveva anche pensato a questa soluzio-ne, ma che non aveva avuto il coraggio di farlo. Perché avrei dovuto riproporglielo? ». Il nostro modo di operare, aggiunge, è «quello dell’autodeterminazione della persona, noi vagliamo tutte le soluzioni partendo dalla rete familiare, amicale e delle strutture di accoglienza madre-bambino ». Fatto sta però, che pur avendo trovato per lei una struttura provvisoria per due mesi, ora Teresa deve ringraziare il Centro di aiuto per la vita se ha una tetto semi definitivo e un medico. In più per avere un sussidio si dovrà aspettare di «pianificare con la ragazza un progetto, un percorso, i fondi dipenderanno da questo – conclude – anche i tempi di erogazione sono variabili». Aspettando la burocrazia, intanto,

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Teresa ha incontrato la sua buona stella, un amico vicentino che, tramite facebook, le ha fatto conoscere le volontarie del Cav e che ha donato al centro alcuni fondi per il suo bambino. «Da noi ha ritrovato il sorriso e la speranza – racconta Francesca Siena del Cav –. La prima volta che l’ho incontrata era spaventata. Poi l’abbiamo sistemata in una casa-famiglia, ora ha un ginecologo che la segue gratis ed è stata inserita nel progetto 'Madre Teresa' per cui avrà 250 euro al mese per un anno, oltre a tutti i beni materiali per suo figlio fino al quarto anno di vita». Alla sua versione qui credono tutti, soprattutto perché «non è la prima futura mamma che racconta una storia del genere – prosegue Francesca –. Noi sconsigliamo sempre alle donne in gravidanza di rivolgersi ai servizi sociali prima della dodicesima settimana. Troppa la paura che le inducano, come è già successo, ad abortire».

Pubblicato il 08/09/2010Contesto familiare e comportamenti a rischio per la salute in adolescenzaSilvia Meggiolaro* & Stefano Mazzuco**

La maggior parte dei comportamenti a rischio per la salute ha inizio durante l’adolescenza. E proprio in adolescenza il ruolo della famiglia per lo sviluppo dei diversi comportamenti è cruciale. Ma quali sono le caratteristiche familiari che veramente influenzano i comportamenti a rischio dei genitori?

 

Comportamenti a rischio per la salute fra gli adolescenti

A livello sia mediatico sia scientifico si registrano interesse e preoccupazioni crescenti sulle condizioni di salute degli adolescenti. In particolare, esiste una diffusa preoccupazione su comportamenti che, nonostante la loro conclamata nocività, non si riesce a limitare tra i giovani. Abitudine al fumo, abuso di alcol, scarso consumo di frutta e verdura e inattività fisica sono fattori di rischio per la salute tutt’altro che marginali. Consumo di frutta e verdura e sedentarietà tra i giovani sono rimasti quasi invariati nel corso del tempo (Istat, 2007) e, negli ultimi anni, si è assistito soltanto a una lieve diminuzione della quota di fumatori, ma il consumo di alcol, è invece aumentato (Istat, 2008; cfr. però anche Massimiliano Crisci, "Italiani, popolo di beoni?")

L’Indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” del 2005 mostra che fra i ragazzi in età 14-17 anni, uno su dieci (10,5%) ha già fumato e una quota solo di poco inferiore (7,8%) ha sperimentato quello che viene definito binge drinking, cioè si è ubriacato, consumando 6 o più bicchieri di bevande alcoliche in una stessa occasione. Inoltre più del 16% dei teen ager è sedentario e il 23% di essi segue una dieta poco sana, dichiarando di non mangiare quotidianamente frutta e verdura - quando l'Organizzazione Mondiale per la Sanità raccomanderebbe invece 5 porzioni giornaliere.

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È quindi importante esaminare in quale contesto maturano questi comportamenti a rischio per la salute e il contesto familiare ha sicuramente un ruolo cruciale soprattutto in adolescenza (come mostrano vari studi: si veda, ad esempio, McLanahan, 2009).

 

Il ruolo svolto dal contesto familiare

Non c'è dubbio che il ruolo dell'ambiente familiare nell'orientare gli adolescenti verso comportamenti salutari sia fondamentale, ma qual è la caratteristica familiare che conta di più? Attraverso l'analisi dei dati provenienti dall’Indagine Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” del 2005 possiamo considerare contemporaneamente diverse caratteristiche familiari e l'influenza che queste hanno su differenti comportamenti a rischio per la salute degli adolescenti fra i 14 e i 17 anni. In particolare, consideriamo l’effetto della struttura della famiglia, dei comportamenti dei genitori conviventi, della qualità delle relazioni in famiglia (definita dalla soddisfazione dell’adolescente riguardo alle relazioni familiari) e dello status socio-economico (su cui la letteratura ha più volte indagato: Hanson e Chen, 2007) a parità di altri fattori individuali.

I risultati sintetizzati nella figura 1 mostrano che solo alcune caratteristiche familiari incidono in modo significativo sul comportamento degli adolescenti, mentre altre non hanno effetti o hanno effetti nel complesso marginali.

Prima di tutto, si vede che in adolescenza assumono grande rilevanza i comportamenti dei genitori. Avere in famiglia un genitore che fuma aumenta il rischio di aver fumato (dell’84%); se almeno un genitore consuma moderatamente alcol[1], per il figlio aumenta il rischio di aver sperimentato il binge drinking (del 114% - cioè poco più che raddoppia). Similmente, per gli adolescenti

che vivono con genitori sedentari e con cattiva dieta il rischio di sedentarietà e di non mangiare quotidianamente frutta e verdura aumenta rispettivamente del 95% e del 353%.

Anche vivere con un solo genitore fa aumentare il rischio di avere una cattiva dieta (del 63%), ma non sembra influenzare gli altri comportamenti a rischio per la salute. La deprivazione economica (misurata sulla base dei beni durevoli posseduti dalla famiglia) ha un effetto solo sull’inclinazione al fumo e alla sedentarietà (più si è poveri maggiore è il rischio di fumare e di essere sedentari).

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Infine, gli adolescenti che si dichiarano soddisfatti delle relazioni familiari mostrano un rischio inferiore di fumare e di sperimentare il binge drinking. In sostanza le caratteristiche familiari che sembrano contare di più sono il comportamento dei genitori e la bontà (o, perlomeno, la soddisfazione dei figli) delle relazioni intra-familiari.

 

[1]           Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un consumo moderato corrisponde a 3 unità alcoliche al giorno per l’uomo e a 2 unità per la donna.

 

 

Bibliografia

Hanson, M.D., Chen, E. (2007). Socioeconomic status and health behaviors in adolescence: a review of the literature. Journal of Behavioral Medicine 30 (3), 263-285.

Istat (2007). La pratica sportiva in Italia, Anno 2006, Statistiche in Breve, Roma, Istat.

Istat (2008). L’uso e l’abuso di alcol in Italia, Anno 2007, Statistiche in Breve, Roma, Istat.

McLanahan, S. (2009). Children in Fragile Families. Mimeo, Princeton University.

 

* Università di Padova** Dipartimento di Scienze Statistiche, Università degli studi di Padova

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S.O.S. per i cristiani nel mondo: dall'Iraq al Pakistan al Congo non c'è pace per il Vangelo

Tra l'indifferenza della comunità internazionale, la situazione dei cristiani iracheni precipita ogni giorno che passa. In soli dieci giorni la comunità è stata attaccata tre volte, a Baghdad e nelle periferie della capitale. Il 31 ottobre un gruppo di terroristi, che ha rivendicato l'appartenenza ad Al-Qaeda e alle formazioni locali della jihad islamica, ha fatto irruzione nella cattedrale di Nostra Signora del Soccorso dove la comunità era radunata, numerosa, per la Messa domenicale. I terroristi hanno aperto il fuoco sulla folla in preghiera, non fermandosi neanche di fronte alle persone raccolte sugli inginocchiatoi: è stato un massacro, 58 morti (tra cui 8 bambini e 3 sacerdoti) e un centinaio di feriti. Qualche giorno dopo, l'8

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novembre, altre 2 persone, sempre a Baghdad, sono state uccise di fronte alle loro abitazioni, all'interno del principale quartiere cristiano della capitale, mentre altre 9 sono state ferite. Il 10 novembre, infine, con un attacco simultaneo a colpi di granate, ugualmente mirato contro quartieri tradizionalmente cristiani e le rispettive chiese, sono state uccise altre 6 persone (33 i feriti). Secondo il patriarca dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly, i terroristi di Al-Qaeda “stanno dando la caccia ai cristiani in ogni quartiere di Baghdad”, con l'obiettivo di cancellare definitivamente la loro presenza nel Paese.

            Alcuni mass-media internazionali l'hanno considerata un'esagerazione, ma una conferma insospettabile a queste parole è arrivata proprio nei giorni scorsi da un comunicato emesso dalle  milizie terroriste, secondo cui ogni cristiano presente nel Paese “è considerato un bersaglio legittimo”. Nella stessa dichiarazione si fa riferimento anche all'appena tollerata presenza cristiana in Egitto, da sradicare per sempre, con ler stesse modalità. Secondo l'arcivescovo di Mosul, mons. Basile Georges Casmoussa, siamo ormai di fronte a “una catastrofe umana e religiosa” senza precedenti nella storia - pure tormentata dell'Iraq - mentre per mons. Philip Najim, procuratore dei caldei presso la Santa Sede, semplicemente, il progetto è quello di “far sparire i cristiani dall'Iraq”.

            Le cifre in effetti sono impressionanti: nella sola Baghdad, su 65 tra chiese e monasteri cristiani finora ne sono stati assaliti più di 40, senza contare le

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abitazioni e le scuole. A fronte di questo attacco reiterato, l'esodo sembra essere l'unica soluzione ragionevole: così, nel giro di pochi anni, nella grande comunità cristiana irachena oltre la metà ha preferito fuggire all'estero, lasciando per sempre il Paese. Ancora alla fine degli anni Novanta, infatti, i cristiani residenti erano più di un milione mentre oggi sfiorano appena le 400.00 unità, ma la cifra tende ad assottigliarsi di giorno in giorno, nell'indifferenza generale. Forse molti non sanno che si tratta dell'unica popolazione cristiana al mondo (i caldei) che parla ancora l'aramaico, la lingua di Gesù Cristo: una testimonianza di fede vivente, a dir poco straordinaria, più unica che rara. Un popolo autoctono, legato all'Iraq da sempre e dalle antichissime radici: la loro presenza risale infatti alla predicazione apostolica e precede (ovviamente di secoli) la venuta dell'Islam.

            Ma l'Iraq non è l'unico Paese dove il Cristianesimo sta soffrendo persecuzioni inaudite. In Pakistan la scorsa settimana una giovane donna, madre di tre figli, è stata condannata a morte perché parlando con delle amiche di Gesù avrebbe offeso la figura di Maometto: secondo la 'legge sulla blasfemia' in vigore nel Paese, che punisce ogni offesa o critica pubblica al Corano o al profeta, è quindi passibile della pena capitale. Dopo essere stata picchiata, è stata consegnata al tribunale che ha emanato senza colpo ferire lo spaventoso verdetto. Nello stesso modo, negli anni scorsi, sono state condannate ingiustamente decine di persone, alcune

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'colpevoli' di essersi convertite a Cristo. Attorno ad Asia Bibi (questo il nome della donna) sta nascendo ora una mobilitazione rilevante, ma l'episodio sottolinea una volta di più l'incredibile situazione di prostrazione che la piccolissima comunità cristiana presente nel Paese è costretta a vivere. Venendo  all'Africa invece, in Congo, uno dei tanti sacerdoti impegnati nel campo dei diritti umani, don Christian Bakulene, è stato ucciso dai gruppi armati che stanno cercando di impedire con tutti i mezzi lo sviluppo democratico e il processo di pacificazione in corso nel Paese (9 novembre). Ma episodi di violenze, attacchi e aggressioni continue contro cristiani, laici e religiosi, per gli stessi motivi, si registrano ultimamente anche in  India e Vietnam. 

            Secondo gli ultimi dati dell'OSCE, più del 75% delle persecuzioni religiose nel mondo ha per oggetto i cristiani, che il più delle volte vengono discriminati e colpiti per il semplice fatto di essere tali, cioè seguaci di Cristo (cfr.: http://www.vanthuanobservatory.org/nostri-libri/libro.php?lang=it&id=193): gli episodi impressionanti raccolti qui sommariamente, non certo esaustivi, ma accaduti tutti nell'arco di appena dieci giorni, non fanno altro che confermarlo. Tuttavia, proprio questa evidenza spaventosa è una delle realtà che l'Occidente contemporaneo fatica più ad accettare. Probabilmente perché significherebbe esprimere un giudizio di valore sul 'fatto cristiano' e magari rivedere qualche pre-giudizio ideologico, nonché affrontare controcorrente le spinose questioni ancora aperte legate alla memoria

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e dell'identità europea. La risoluzione concreta dei problemi, però, comincia solo dal riconoscimento onesto e obiettivo della loro esistenza. A maggior ragione quando si tratta di vite umane, tergiversare ulteriormente vorrebbe dire abbandonare i più deboli in balìa del più tragico dei destini.

Omar Ebrahime       Newsletter n.342 | 2011-03-23

Settimana storica: da Cassazione e Corte Europea due sì al Crocifisso

Nell'ambito del discusso tema dei simboli religiosi esposti in luoghi pubblici (come ad esempio aule di giustizia e scuole) gli ultimi giorni hanno fatto registrare due pronunciamenti estremamente importanti - destinati, come si dice, a 'fare giurisprudenza'- , peraltro convergenti nelle valutazioni. La prima sentenza arriva dall'Italia dove si è finalmente concluso il caso di Luigi Tosti, il giudice di pace di Camerino che si era rifiutato di entrare in un'aula di giustizia finchè non fossero stati rimossi i crocifissi da tutti i tribunali del Paese. Nell'ultimo grado di giudizio, infatti, la Corte di Cassazione, per tramite delle sue sezioni unite civili, ha respinto definitivamente la richiesta di Tosti rimettendo semmai ulteriori giudizi di merito sulla questione alla volontà del legislatore. I giudici di Piazza dell'Indipendenza, in particolare, hanno stabilito che il principio di laicità dello Stato, attualmente vigente in Italia pur se non esplicitamente rinvenibile nella lettera della Costituzione, “non può essere assolutamente messo in dubbio” dalla presenza del crocifisso nelle aule di giustizia e che per esporre eventualmente degli altri simboli religiosi, come Tosti - insieme ad altri - polemicamente proponeva, “è necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo stato non sussiste”. E' una sentenza importante che, almeno per l'Italia, chiude una lunga vicenda e farà necessariamente da orientamento per i prossimi pronunciamenti delle autorità giurisdizionali, civili e amministrative, che dovessero essere chiamate ad esprimersi in materia.

            L'altra sentenza, più attesa, arriva invece dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, l'organo del Consiglio d'Europa che era stato investito

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della contesa sul crocifisso a seguito di un ricorso della cittadina italiana di origini finlandesi Soile Lautsi che contestava la presenza del medesimo simbolo religioso nelle scuole pubbliche italiane, fra cui quella frequentata dai suoi figli  (per un riassunto della vicenda vedi qui: http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=992). Dopo aver dato ragione a Lautsi in prima istanza, infatti, nel giudizio di appello la Grand Chambre della Corte, in composizione allargata (e con quindici voti su diciassette), ha stabilito che il crocifisso può legittimamente restare nelle aule scolastiche italiane, giacchè con ogni evidenza non vìola - come invece sostenuto dalla ricorrente - alcuna libertà di coscienza. Come si ricorderà, il caso aveva scosso e fatto parlare l'opinione pubblica per diversi mesi destando forti emozioni in vasti strati della popolazione, che si era vista colpita nella sua anima più profonda, come accade per la perdita degli affetti più cari. Ma all'indomani del controverso verdetto analoghe reazioni e forti prese di posizione erano state registrate anche all'estero: così, alla fine, a sostenere l'Italia nella pronuncia di secondo grado erano arrivate le adesioni politiche, e quindi ai massimi livelli istituzionali, di dieci paesi (Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Monaco, Romania, Russia e San Marino). Nello specifico la sentenza della Corte Europea, definita già epocale dalla Santa Sede, dimostra autorevolmente che la cultura dei diritti dell'uomo (la stessa che storicamente è all'origine dell'istituzione del Consiglio d'Europa) non può e non deve essere “posta in contraddizione con i fondamenti religiosi della civiltà europea, a cui il cristianesimo ha dato il contributo essenziale”, secondo quanto ha commentato il portavoce padre Federico Lombardi, e segna in tal senso una provvidenziale inversione di marcia. Inoltre, e ciò che fa ben sperare per il futuro, è il fatto che con questo giudizio la Corte riconosce espressamente l'esistenza positiva del principio di sussidiarietà a livello europeo e lo fa valere concretamente, rispettando la libertà e l'identità (culturale e storica) dei singoli Stati. Infine, la sentenza - che arriva in un momento drammatico per la libertà religiosa nel mondo e vede soffrire in prima linea soprattutto le minoranze cristiane - fa rientrare l'esposizione pubblica dei simboli religiosi opportunamente e a pieno titolo nell'esercizio proprio della libertà religiosa, come a dire che non può esserci l'uno senza l'altro, riportando così una coerenza d'insieme nella incerta strategia europea in materia. Sarebbe stato infatti a dir poco paradossale se, mentre da una parte (con mille difficoltà e lentamente, è vero, ma è pur sempre un primo passo) le istituzioni europee iniziavano a prendere coscienza delle persecuzioni anticristiane nel mondo condannando gli attacchi ai quattro angoli del pianeta, dall'altra - negli stessi giorni - si fossero trovate a cancellare i crocifissi a casa propria, defenestrandoli dai luoghi pubblici. E' chiaro che il tema è lo stesso, ovvero il diritto di vedere garantita una presenza pubblica a

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un'identità religiosa specifica (peraltro 'costitutiva' nel caso della Ue), e richiede evidentemente una visione unitaria e complessiva del problema, proprio ciò che spesso viene rimproverato all'Europa di non avere, su tanti altri temi.

Il 'caso-crocifisso' probabilmente non si chiuderà qui ed è destinato a proseguire, prima o poi, in altre sedi ma oggi la buona notizia è che il futuro dell'Europa è ancora tutto da decidere, e per il meglio: il momento storico è certamente difficile ma il segnale che arriva da Strasburgo è che nulla è irrimediabile. Come soleva ripetere, guardando con speranza all'avvenire, il Servo di Dio - tra poco Beato - Giovanni Paolo II, l'Europa del XXI secolo sarà, concretamente, quello che i suoi cittadini (o “le sue minoranze creative”, per citare Benedetto XVI) ne faranno. Nulla è precluso: da qualche parte, le radici cristiane del Continente, ripetutamente ferite ma non ancora spezzate, parlano ancora.

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L'ideologia del genere: una bomba culturale ad alto potenziale distruttivo. Il Papa nel discorso alla Curia romana del 21 dicembre 2012.

Benedetto XVI ci ha abituato a discorsi di grande livello in occasione del suo incontro con la Curia romana per la presentazione degli auguri natalizi. E’ accaduto anche quest’anno. Il 21 dicembre scorso egli ha approfondito due tematiche di grande rilevanza: la famiglia e il dialogo tra le religioni. Ci occupiamo in questa pagina del primo argomento. Chissà se i cattolici impegnati in politica hanno letto questo discorso del Papa. Avremmo piacere che leggessero specialmente la frase che abbiamo evidenziato tra virgolette, soprattutto in questo periodo preelettorale nel quale le forse politiche si guardano bene dall’affrontare questi temi. 

La famiglia, egli ha detto, è di fondamentale importanza nella trasmissione della fede. Se viene meno la famiglia anche tale trasmissione è in pericolo. Se le persone non si vogliono più impegnare in un legame per la vita, scompaiono esperienze fondamentali della persona umana e cristiana: “essere padre, madre, figlio”. Scompare l’apertura e la dedizione, il superamento dell’egoismo, che è alla base della famiglia e della società. La cultura occidentale sta minando la famiglia nelle sue stesse basi. La famiglia non è solo una forma sociale ma una istituzione sociale fondamentale perchè l’uomo non rimanga chiuso in se stesso, ma nella scelta di unirsi nel matrimonio e nella famiglia superi veramente il proprio “io” in un “noi”. Senza questo superamento nella famiglia non c’è una vera società.

Ecco perché il Papa ha condannato senza riserve e con parole molto decise e dure la cosiddetta “ideologia del genere”, che secondo lui comprende una drammatica rivoluzione antropologica, ossia un mutamento essenziale nel modo di considerare l’uomo. Benedetto XVI spiega che per questa ideologia il sesso non è più un dato originario della natura che l’uomo deve riempire di senso, ma è visto come una creazione e una scelta dell’uomo stesso.