ANALISI FITOCHIMICA DELLA GENTIANA LUTEA PRESENTE … · Lo stelo è quadrato ed eretto e le...

65
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” FACOLTA’ DI FARMACIA Corso di laurea in FARMACIA TESI DI LAUREA SPERIMENTALE ANALISI FITOCHIMICA DELLA GENTIANA LUTEA PRESENTE NEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA Relatori: Laureanda: Professor Mauro Serafini Alessia Ramunno Matr. n° 06029238 Professor Armandodoriano Bianco Anno accademico 2001/2002 Dipartimento di Biologia Vegetale e Dipartimento di Chimica

Transcript of ANALISI FITOCHIMICA DELLA GENTIANA LUTEA PRESENTE … · Lo stelo è quadrato ed eretto e le...

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

FACOLTA’ DI FARMACIA

Corso di laurea in FARMACIA

TESI DI LAUREA SPERIMENTALE

ANALISI FITOCHIMICA DELLA GENTIANA LUTEA

PRESENTE NEL PARCO NAZIONALE DELLA

MAJELLA

Relatori: Laureanda:

Professor Mauro Serafini Alessia Ramunno

Matr. n° 06029238 Professor Armandodoriano Bianco

Anno accademico 2001/2002

Dipartimento di Biologia Vegetale e Dipartimento di Chimica

INTRODUZIONE

IL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA: ASPETTI

GEO-MORFOLOGICI E FLORISTICI Il parco della Majella appare composto da un grande complesso

montuoso, quello della Majella vero e proprio, e da uno minore, quello

del Monte Morrone, collegato alla Majella(1) dal Passo San Leonardo.

Le estensioni meridionali dei Monti Pizzi costituiscono un complemento

naturale dell’area e assicurano la contiguità dei principali ecosistemi.

L’ecosistema del Parco della Majella è rappresentato da tre grandi

formazioni:

- la prima, la più caratteristica, è quella delle praterie d’altitudine,

presenti al di sopra dei 1800 m fino alle più alte vette montane;

- la seconda introduce i grandi boschi di faggio che iniziano dai 1800

m. fino a frammentarsi con i pascoli e le aree agricole al di sotto dei

1000 m.;

- infine il terzo, rappresentato da prati e campi che costituiscono un

ambiente di estrema importanza per la salute biologica dell’ intera

area protetta.

Il complesso del Parco è collegato con altre grandi aree montane della

dorsale appenninica dell’ Italia centrale. Infatti confina

-a nord con il Parco Regionale del Sirente-Velino e con il Parco del Gran

Sasso e della Laga, attraverso il quale mantiene una certa continuità con

tutto l’Appennino fino alle Foreste Casentinesi;

- a sud con l’Alto Molise e con i Monti di Capracotta;

- ad ovest, attraverso l’area del Piano delle Cinque Miglia e con la

Valle del Sangro, è strettamente collegato con il Parco Nazionale d’

Abruzzo e con il Monte Genzano.

- Da questo risulta evidente che il Parco Nazionale della Majella

rappresenta uno snodo essenziale del sistema montuoso appenninico

ed un anello di giunzione tra tutte le aree naturali dell’Appennino

centro-meridionale.

La caratteristica del Parco deriva sia da un gran numero di elementi

naturali, specie ed habitat (endemici o presenti con imponenti

popolazioni), sia da una fisionomia assolutamente diversa dalle altre aree

vicine.

La geo-morfologia del Parco Nazionale della Majella è legata in primo

luogo all’assetto fisiografico che mette in evidenza i due grandi massicci

carbonatici della Montagna della Majella e della Montagna del Morrone.

Questo aspetto è fortemente marcato dal contrasto esistente tra le rocce

carbonatiche che costituiscono i massicci stessi e i terreni argillo-

arenacei che li circondano. Tuttavia i caratteri geo-morfologici dell’area

del Parco si diversificano a seconda della zona.

Il Parco presenta una interessantissima stratificazione altitudinale che

permette la convivenza di elementi di origini molto diverse. Le quote alte

della Majella, più di quelle del Gran Sasso e della Laga, costituiscono

l’ambiente ideale in cui, per dimensione geografica e per la porzione di

massiccio al di sopra dei 2000 m., è possibile trovare strette assonanze

con le regioni alpine. Si possono osservare, per la sua natura prettamente

calcarea, particolari scenari paesaggistici, gole, grotte, altipiani come in

nessuna altra zona appenninica.

Le conoscenze floristiche del Parco sono relative ai territori del

massiccio della Majella propriamente detto e ad alcune aree più a sud,

come gli Altipiani Maggiori; per quanto riguarda, invece, zone come i

Monti Pizzi e Monte Pizzalto, le indagini in questo ambito sono piuttosto

scarse.

Dai dati ad oggi disponibili, è stato possibile censire oltre 2000 entità

floristiche(2),(3), ma la straordinarietà del Parco della Majella può essere

sottolineata tenendo presente che la flora di tutta la regione Abruzzo è di

poco superiore alle 3000 entità ( a livello dell’intero territorio nazionale

si raggiungono le 5600 entità).

La diversità floristica del Parco risulta inoltre ulteriormente rafforzata se

si considera la qualità delle presenze, legata ai vari avvenimenti storici

e alla sua posizione geografica. Come precedentemente descritto, la

Majella rappresenta un vero e proprio crocevia di flussi genetici che

hanno attraversato, in passato, la penisola italiana e di conseguenza

presenta una serie di categorie di grande prestigio ecologico e

fitogeografico.

Tabella 1: Spettro biologico della flora(1).

La flora del Parco si qualifica su due direttrici:

- quella settentrionale in cui le varie specie raggiungono il 16% del

totale;

- quella orientale con oltre il 18%.

E’ pur vero che anche l’elemento endemico è largamente rappresentato

con oltre l’11 %. Nell’ambito dell’Appennino centrale, la Majella

si caratterizza per la presenza di una vegetazione a carattere alpino

FANEROFITE 5,70%CAMEFITE 4,30%EMICRIPTOFITE 64,20%GEOFITE 7,80%TEROFITE 17,90%IDROFITE 0,10%

e subalpino; a livello collinare, invece, presenta delle affinità con la

vegetazione della penisola balcanica.

Tabella 2 Distribuzione di alcune specie presenti nel Parco Nazionale della Majella

Zone aride e pietrose Leontopodium elynetum Arabidion coeruleae

Tundra alpina Silene acaulis Spp cenisia Saxifaga speciosa

Piano subalpino Mugheta Ginepro nano

Pascoli Sesleria tenuifolia Festuca macrathera Luzula italica Trifolium thalii Brachypodium genuense

Zone rupestri Saxifraga ampullacea Saxifraga italica

Zona forestale Fraxinus excelsior Fagus silvatica Ulmus glabra Tilia Platyfillus Acer pseudoplatanus Acer platanoides Acer obtusatum

Zona collinare Quercus pubescens Brachypodium rupestre Crataegus monogyna Rosa canina Ostrya carpinifolia

Da alcune indagini effettuate da Tammaro, è risultato che il

comprensorio magellense è ricco di esemplari floristici del tutto nuovi

oltre ad alcune entità già notoriamente conosciute(4).

Specie riconfermate Specie nuoveJuniperus sabina Celtis australisQuercus robur Opuntia ficus-barbaricaUlmus glabra Cerastium glomeratumClematis recta Anemone nemorosaPeonia officinalis Ranunculus tricophyllysCardamine chelidonia Fumaria capreolataLunaria annua Tamarix africana Epilobium parviflorum Rhamnus alarernusVaccinum myrtillus Malva neglectaFraxinus excelsior Calystegia silvaticaScutellaria alpina Sympytum bulbosumCarex lepidocarpa Scilla autumnalisIris pseudocorus Gladiolus italicus Typha minima Orchis italica

Tabella 3: Esemplari floristici del Parco della Majella(5) (6) (7)

Dalle considerazioni fin qui esposte, il Parco Nazionale della Majella

risulta essere un ambiente particolarmente interessante, in quanto la

sua collocazione geografica, parzialmente discostata rispetto agli altri

massicci dell’Appennino centrale, ne ha fatto un ambiente unico che ha

permesso l’insediamento di numerose specie autoctone. Particolarmente

ricca risulta essere la flora del Parco dove sono presenti numerose

piante officinali che sono state ampiamente utilizzate sia in ambito

ristretto (famiglie, piccole comunità, etc.), sia in ambito più ampio

(utilizzo comune come cosmetici, alimentare, etc.). Su questa base,

si è deciso di approfondire lo studio di una specie vegetale che in

passato caratterizzava la zona del Parco, ma che adesso, anche a causa

dell’utilizzo indiscriminato, si è ridotta come numero di esemplari

presenti: la Gentiana lutea. Questa pianta è usata nella zona, sia a livello

artigianale che industriale, per la preparazione di bevande, in genere

amare, usate sia a livello locale che per esportazione. Tuttavia fino

ad oggi non era stato mai intrapreso alcuno studio volto a definire la

composizione molecolare della Gentiana, come di nessuna altra specie

vegetale presente nel Parco. Pertanto ci siamo dedicati allo studio dei

componenti glicosidici di questa pianta che sono noti essere quelli

più interessanti sia dal punto di vista organolettico che della attività

biologica.

DESCRIZIONE BOTANICA DEL GENERE GENTIANA

La famiglia della Gentianaceae comprende circa 80 generi e 1000 specie,

generalmente erbe annue o perenni e suffrutici delle zone temperate(8).

Tabella 4 Principali generi della famiglia delle Gentianaceae

La maggior parte delle specie di questa famiglia sono caratterizzate da

foglie semplici, opposte o decussate, ovate ed intere, senza stipole. I

fiori, piuttosto regolari, possono essere isolati o in infiorescenza e sono

caratterizzati da una corolla gamopetala campanulata a 5 lobi contenente

5 stami.

Nel sud dell’America e in Nuova Zelanda il colore prevalente del

fiore è rosso, mentre in Europa sono presenti soprattutto specie con

infiorescenze blu, gialle e più raramente bianche(9).

Il nome del genere Gentiana deriva da Gentius, un antico re dell’Illiria

(180-167 A..C.), che, insieme a Plinio e Dioscoride, descrisse

l’importanza in medicina di queste piante.

GENERENUMERO Spp

Gentiana

NUMERO Spp400

Sebacea 100Erytreae 30Swertia 100

Durante il Medio Evo, la Gentiana era comunemente utilizzata come

antidoto nei casi di avvelenamento. Inoltre, nel 1552, Tragus la menziona

per curare le ferite.

In Inghilterra la coltivazione della Gentiana gialla (G. lutea), per scopo

medicinale, è stata introdotta più tardi rispetto ad altri paesi, anche

se, con il tempo, preparazioni a base di radici sono state introdotte

soprattutto in ambito veterinario. Infatti era prevalentemente usata come

ornamento dei giardini domestici.

Qui di seguito descriviamo alcune specie:

Gentiana japonica

Presenta un rizoma grigio-scuro marrone che può arrivare fino a 10 cm di

lunghezza e 5 mm di diametro; è irregolarmente anellato e sostiene alla

base, sullo stelo, i piccioli più piccoli e lateralmente le numerose radici;

mostra fasci fibro-vascolari che corrono in modo irregolare.

Le radici, giallo-marrone e rugose longitudinalmente, raggiungono i 20

cm di lunghezza e 3 mm di diametro. Questa specie non contiene cellule

sclerenchimate, mentre quelle del parenchima sono caratterizzate da

cristalli di ossalato, ma non da granelli di amido.

Anche la G. japonica contiene principi amari che possono essere usati

come sostituti della radice di gentiana.

Gentiana amarella

E’ una specie presente in poche zone d’Europa e fiorisce generalmente

tra luglio e settembre; è caratterizzata da una radice gialla a spirale, a

volte filamentosa. Lo stelo è quadrato ed eretto e le foglie, verde scuro,

hanno tre venature prominenti. Per l’intera lunghezza lo stelo è rivestito

con fiori che poggiano su corti gambi all’ascella delle foglie. Il calice è

chiaro con venature verdi diviso in cinque tagli. La corolla può essere

blu o porpora e, in estate, i suoi lobi si distendono completamente in

orizzontale, assumendo una forma stellata.

Gentiana campestris

Per numerose caratteristiche somiglia alla specie sopra descritta; i suoi

stami sono eretti e molto ramosi; foglie e fiori sono distribuiti per l’intera

lunghezza ma sono in numero minore rispetto a quelli della G. amarella,

anche se più larghi.

Tuttavia la differenza essenziale tra le due specie è che il calice e la

corolla, di un colore purpureo molto scuro, nella G. campestris, sono

divisi in quattro parti e i lobi ovali del calice sono molto più larghi. Le

radici sono molto piccole ma riescono comunque a penetrare nel suolo.

Questa specie cresce prevalentemente nei pascoli e nelle zone di mare

e, al contrario della G. amarella, non predilige i terreni calcarei. E’

una pianta annuale e fiorisce tra agosto e settembre. In Svezia veniva

impiegata, insieme al luppolo, per la preparazione e la aromatizzazione

della birra.

Gentiana Pneumonanthe

I suoi stami raggiungono un’altezza compresa tra i 3 e i 18 cm, mentre

le foglie sono lunghe 1-2 cm; i fiori non sono numerosi ed esternamente

hanno un colorito blu pallido, con cinque strisce scure. La delicatezza

di questa piccola e graziosa pianta la rende adatta alla coltivazione nei

giardini.

Tuttavia, in passato, è stata spesso citata da alcuni medici come rimedio

contro la pestilenza anche se è caratterizzata dalle stesse proprietà amaro-

toniche delle altre specie.

Gentiana verna

I fiori di questa specie sono di un blu particolare, addirittura descritto

da A.C. Benson come “un puro raggio nel limpido cielo”; crescono

singolarmente sui corti steli e si aprono solo con il sole nel momento in

cui i loro petali blu si stendono. Il calice verde si apre in cinque lobi, le

foglie sono pari, senza gambo, allacciate allo stelo e, pur non essendo

molto numerose, riescono a formare delle rosette basali chiuse sul suolo

in cui crescono.

I gambi del fiore sono rigidamente eretti e raggiungono un’altezza di 4-

12 cm. La G. verna fiorisce tra aprile e maggio soprattutto in Irlanda,

prediligendo territori pietrosi.

Gentiana cruciata

E’ così chiamata perché le sue foglie crescono a forma di croce. Nella

medicina omeopatica, la tintura di radici è stata spesso utilizzata per la

cura della raucedine e delle infiammazioni dell’apparato respiratorio.

DESCRIZIONE BOTANICA DELLA GENTIANA LUTEA

La Gentiana lutea è la specie più comune nell’area mediterranea. E’ una

pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Gentianaceae

dell’ordine delle Contortae in quanto i fiori hanno una corolla contorta

nel boccio(10).

La Gentiana lutea è fornita di un robusto rizoma verticale bruno-

giallastro all’esterno e giallo vivo all’interno; nei primi anni di vita

sviluppa soltanto una rosetta di foglie basali.

Divenuta adulta produce il fusto che porta i fiori e può raggiungere fino a

150 cm. Questo appare semplice e fistoloso, cioè cavo all’interno(11).

Le foglie basali, riunite in rosetta, sono ovali-ellittiche ed hanno l’apice

acuto e il margine intero; gradatamente si restringono alla base in un

piccolo picciolo. Le nervature principali delle foglie sono tre-cinque:

quella centrale è dritta, le altre, invece, partendo sempre dal picciolo,

sono arcuate e più o meno parallele al margine.

Le foglie del fusto sono sessili, opposte a due a due ed amplessicauli.

I fiori sono grandi e di colore giallo oro, da cui la più comune

denominazione di Gentiana gialla; sono riuniti in pseudoverticilli

all’ascella delle foglie superiori. Il calice è diviso in cinque piccoli denti,

mentre la corolla, saldata in basso a tubo, è divisa, in alto, in cinque lobi

gialli, lineari-lanceolati.

I frutti sono rappresentati da una capsula ovale-oblunga che, a maturità,

si apre in due parti, lasciando cadere sul terreno di crescita i piccoli semi

ovali e di colore bruno chiaro.

La droga è rappresentata dalle parti ipogee, in particolare le radici,

che vengono raccolte in autunno, generalmente nei mesi di settembre-

ottobre, oppure anche all’inizio della primavera.

Dopo la raccolta, le radici vengono ripulite dalla terra e tagliate in

pezzi di alcuni cm. di lunghezza che si dividono in due per il lungo;

vengono quindi essiccate al sole. In altri casi, i pezzi di radice vengono

abbandonati al suolo, talora coperti da terra, perché subiscano una

caratteristica fermentazione atta a sviluppare le tipiche proprietà

organolettiche della droga stessa.

Per quanto riguarda la conservazione, questa viene effettuata in recipienti

di vetro perfettamente chiusi; la polpa, dapprima bianca, diventa verde e

successivamente rossastra.

Le radici hanno un colore che va dal marroncino, marrone-rossiccio

al marrone intenso; hanno uno spessore compreso tra i 0,3 e i 4 cm. e

presentano solchi longitudinali. Il rizoma è percorso da solchi circolari

e porta delle piccole gemme(12). Il rizoma e le radici ben secche si

rigonfiano fortemente in acqua, per la presenza di sostanze di natura

peptidica(13).

Nella sezione trasversale della droga tagliata si osserva una corteccia

relativamente sottile, con sughero grossolanamente rugoso, ed un anello

di cambio, nettamente visibile, che delimita il corpo legnoso(14).

All’esame microscopico l’anatomia della radice è quasi identica a quella

del rizoma. Corteccia e legno sono separati da una assisa cambiale molto

evidente; presentano una struttura porosa con pochi raggi. Le fibre

mancano sia nella corteccia che nel legno.

Nel legno si osservano vasi reticolati e scalariformi tra cui è possibile

intravedere tubi cribrosi. L’amido manca quasi completamente, mentre

nel parenchima sono presenti ossalato di calcio sotto forma di cristalli

acicolari e goccioline oleose.

Anche la polvere della droga, di colore giallastro o giallo-brunastro, è

caratterizzata da vasi scalariformi e reticolati poco numerosi, da cristalli

di ossalato di calcio e da goccioline oleose.

La G. lutea cresce a 1800-2000 m. soprattutto nell’Europa centro-

meridionale, in quanto necessita di temperature climatiche favorevoli al

suo sviluppo. Si distinguono essenzialmente due sottospecie, anche sulla

base del contenuto dei principi attivi:

- la sottospecie lutea, in cui la amarogentina è presente con lo 0,8-

0,12 % e il gentiopicroside con il 6,1-9,5 %;

- la sottospecie symphyandra, con un contenuto di amarogentina

pari allo 0,07 % e di gentiopicroside pari al 7,0 %, spontanea della

Slovenia e del Friuli, con ibridi che presentano valori dello 0,2 % di

amarogentina.

La coltivazione va effettuata in altitudine a circa 1200 m., altrimenti

la concentrazione dei principi attivi decade fino al 50 %(8) , e in terreni

preparati in modo tale da mettere le piantine provenienti da semenzaio in

file distanti circa 60 cm. l’una dall’altra. In questo modo, per ogni ettaro

di terreno coltivato, si riescono a trapiantare circa 40.000 piantine.

In Italia, la G. lutea cresce spontaneamente in molte regioni e il suo

nome varia di zona in zona(15).

NOME LOCALE REGIONEGensianna, Gensara Liguria

Argensanna, Giansana PiemonteGensana, Radis gialda Lombardia

Genziaan, Ensiana VenetoInzana, Genziana gialla Abruzzo

Erva biunnina Sicilia

Tabella 5 Nomi comuni della Gentiana lutea

G. purpurea, G. pannonica, G. punctata e G. acaulis sono genziane

europee aventi proprietà medicinali simili a quelle della G. lutea. Anche

le radici della gentiana americana, comprendente le specie G. puberola,

G. saponaria e G. andrewsii, sembra abbiano proprietà simili a quelle

delle varietà europee.

METABOLITI SECONDARI DELLA GENTIANA LUTEA:

I GLUCOSIDI IRIDOIDI(16), (17)

I componenti più interessanti dal punto di vista farmacologico della

Gentiana lutea, sono i glucosidi secoiridoidi, un particolare gruppo di

monoterpeni, presenti solo in un numero limitato di specie vegetali,

ed appartenenti alla famiglia degli iridoidi. Gli iridoidi sono dei

monoterpeni caratterizzati da un residuo ciclopentanoide; tali composti

e i loro derivati biogenetici sono suddivisi in due gruppi: composti

iridoidici e alcaloidi.

Il termine “iridoide” deriva dal nome di alcune specie di formiche

(Iridomyrmex) che presentano la iridomirmecina e l’iridodiale come

componenti delle loro secrezioni difensive.

Composti iridoidici

Sono rappresentati da sostanze neutre e suddivisi in quattro gruppi:

iridoidi glicosidici, iridoidi non glicosidici, secoiridoidi e bisiridoidi.

Iridoidi glicosidici

Questi composti sono caratterizzati da una particolare struttura in cui

l’unità ciclopentanoide è fusa, mediante una giunzione di tipo cis, con

un anello diidropiranosico sul cui carbonio C-1 è legato un residuo

glicosidico, rappresentato generalmente dal ß-D-glucosio.

O

CH3

OH

O-glc

COOCH3

O

OH

CH2OH O-glc

O

O-glcCH3

OH

OHCHO

O

OHOH

Cl

OHO-glcCH3

O

CH2OH

O

OH

O-glc

OOH

O-glc

OHOH CH3

CH3

loganina aucubina tecomoside

linarioside catalpolo lamiolo

Figura 1 iridoidi glicosidici

Iridoidi non glicosidici

Sono anche chiamati iridoidi semplici oppure agliconi iridoidi oppure

genine iridoidi.

Differiscono dai composti del gruppo precedente per l’assenza dell’unità

glicosidica legata al carbonio C-1.

Tuttavia tra gli iridoidi non glicosidici potrebbero essere inclusi molti

composti come patrinoside, penstmide, gelsemide, caratterizzati dalla

presenza, nella loro molecola, di una o più unità di zucchero, nessuna

delle quali però legata al carbonio C-1.

Fanno parte del gruppo degli iridoidi non glicosidici anche alcuni

composti aventi strutture analoghe alla plumiericina, cioè caratterizzati

da quattro carboni di origine acetica, alla valeriana e a vari altri

composti tra cui il nepetalactone e la iridomirmecina. Questi derivano

biogeneticamente da un iridoide aglicone, mediante la apertura riduttiva

dell’anello diidropiranosico.

O

CH3

OHCH3

O

CH3

CH3

O

O

CH2OH OH

COOCH3

CH2OHCH2OH

OH

CH2OHO

CH2OAc

OO-isoval

O-isovalO

O

COOCH3

CH3

iridodiale nepetalactone genipina

eucommiolo valtrato fulvoplumierina

Figura 2 iridoidi non glicosidici

Secoiridoidi

Sebbene non presentino il caratteristico anello ciclopentanoico, i

secoiridoidi sono comunque considerati iridoidi, in quanto derivano

biogeneticamente dall’apertura ossidativa dell’anello ciclopentanoico

degli iridoidi glicosidici o dei loro agliconi.

In seguito alla apertura dell’anello, si verifica una riorganizzazione

strutturale della molecola, strettamente correlata allo stato ossidativo del

carbonio C-7. Infatti, in base alla funzione presente su questo carbonio,

è possibile distinguere tre sottogruppi: analoghi della oleuropeina, con

gruppo carbossilico; analoghi della secologanina, con gruppo aldeidico;

analoghi del gentiopicroside, con funzione alcolica.

O

OCH3

O-glc

COOCH3

OHOH

OO

O

O-glc

O

O

O-glc

O

HCOOCH3

oleuropeina gentiopicroside secologanina

Figura 3 secoiridoidi

Bisiridoidi

Appartengono, a questo gruppo, composti caratterizzati dall’unione,

mediante un legame di tipo estereo, di due sostanze incluse in uno dei tre

sottogruppi appena descritti.

O

OO

O-glcCH2OH

O

O-glcCH3

CO

O

O-glc

COO

OH

O-glc

COOCH3

CH3

argilioside sylvestroside

Figura 4 .bisiridoidi

… Questa parte riguarda la biogenesi dei monoterpeni metil-ciclopentanoidici ed è stata omessa…

RISULTATI E DISCUSSIONE

COMPOSIZIONE MOLECOLARE DELLA GENTIANA LUTEA

Nella medicina tradizionale e moderna, le radici della G.lutea sono da

sempre impiegate per la loro azione stomachica e per la formulazione di

preparati che abbiano effetti benefici per i disturbi dell’apparato epato-

biliare(18).

Recenti studi hanno mostrato una interessante composizione chimica

delle parti aeree della pianta. Hostettmann et al. hanno rilevato la

presenza di isogentisina e due eterosidi flavonici(19).

La isogentisina ha mostrato una potente azione inibente nei confronti

della monoammino-ossidasi(20)(MAO), mentre la mangiferina, un

composto xantonico, ha mostrato attività farmacologiche antidepressive

e antiossidanti(21, 22). Lo studio della composizione chimica delle parti

aeree della G. lutea è stato approfondito esaminando gli esemplari

in quattro diversi habitat naturali durante la fase della fioritura. La

concentrazione di prodotti secondari(23-26) è risultata variata in base ai

campioni vegetali valutati, ma non appare correlata all’altitudine.

Infatti, le variazioni della concentrazione dei prodotti secondari è stata

registrata, in alcuni campioni di G. lutea, in vari stadi dello sviluppo,

ogni mese, tra marzo e ottobre.

La mangiferina e l’isoorientina raggiungono il massimo della loro

concentrazione nel periodo coincidente con la fioritura, tra giugno e

luglio; a maggio e ad agosto è stata evidenziata una rapida diminuzione

dei livelli di mangiferina, ma solo minimi cambiamenti per quanto

riguarda l’isoorientina(27).

Il più alto livello di concentrazione della isogentisina e del primeveroside

è stato riscontrato in aprile; mentre un significativo decremento, durante

il periodo della fioritura, per poi aumentare nuovamente in ottobre.

Da tali studi potrebbe essere facilmente dedotto che, durante la

fioritura, le foglie siano ricche di composti caratterizzati da strutture

C-glicosidiche; al contrario, composti O-glicosidici si accumulano

principalmente prima del periodo di fioritura.

Per quanto riguarda i composti secoiridoidici, l’incremento è risultato più

o meno costante durante l’intero periodo vegetativo, fino a raggiungere il

massimo in ottobre.

Tuttavia, significative variazioni delle concentrazioni dei metaboliti

secondari sono state riscontrate anche nella radice e nel rizoma della

stessa G. lutea. Infatti, il più alto contenuto di gentisina e primeveroside

si ha in aprile, mentre solo la gentisina raggiunge il suo massimo in

ottobre.

La dinamica dell’accumulo dei secoiridoidi nelle radici non è

paragonabile a quella delle foglie. Anche la concentrazione della

gentiopicrina è massima in aprile e in ottobre, mentre quella della

swertiamarina rimane relativamente costante durante l’intero ciclo

vegetativo della pianta.

CARATTERISTICHE DEI COMPOSTI AMARI Molte droghe vegetali sono caratterizzate dalla presenza di composti

iridoidici che conferiscono alla droga stessa un sapore amaro(28),(29).

E’ possibile determinare la misura del potere amaricante in rapporto ad

una sostanza di riferimento; in pratica il potere amaricante corrisponde

alla concentrazione minima in grado di far avvertire la sensazione di

amaro ad un soggetto sottoposto al test.

Esso viene espresso in unità corrispondenti alla 1/2000 parte del potere

amaricante del cloridrato di chinina(30).

Tali sostanze sono state suddivise in tre gruppi principali:

Chinina ChinaStricnina Noce vomicaColubrina ColumbinaBerberina ColumbinaAlcaloidi

GlucosidiGentiopicroside GentianaAloina AloeNaringenina AgrumiEsperidina AgrumiAloemodina Rabarbaro

TerpenoidiSantonina ArtemisiaAbsintina ArtemisiaTujone ArtemisiaLimonene RutaceaeUmuleni Luppolo

Queste droghe, o meglio le sostanze in esse contenute, vengono

frequentemente utilizzate nel campo della liquoristica, e le bevande

stesse, a diverso titolo alcolico, sono spesso assunte come aperitivo o

anche come digestivo.

Vengono utilizzate, a tale scopo, piante aromatiche come cardamono,

assenzio, vaniglia, cannella, garofano, quassio, aloe, coriandolo.

Per la preparazione di queste bevande, le droghe sono sottoposte a

diversi processi di lavorazione, come la macerazione, oppure ‘alterate’

con l’aggiunta di olii essenziali o anche semplicemente essenze, tra cui

estratti o tinture.

In questo modo si cerca di rendere il grado di amarità abbastanza intenso

ed omogeneo nel gusto. I principi amari rappresentano una categoria di

composti caratterizzati da una struttura chimica piuttosto eterogenea.

Essi sono presenti soprattutto nelle piante appartenenti alle famiglie delle

Asteraceae, Gentianaceae, Cannabaceae, Meniantaceae.

Da un punto di vista chimico possono essere divisi in:

principi amari eterosidi, formati da uno zucchero e da un aglicone,

costituito da un lattone sesquiterpenico insaturo, come nel caso del

gentiopicroside; principi amari esteri degli acidi fenolici, come nella

cinarina; principi amari alcaloidi, il cui rappresentante è la chinina;

principi amari lattoni diterpenici come nella marrubina; principi amari

lattoni sequiterpenici cui appartiene la cnicina.

Tabella 9 Principali droghe vegetali contenenti principi amari

Dal punto di vista farmacologico, i principi amari sono in grado di

DROGA PRINCIPI AMARI

Centaurea Monoterpeni Artiglio del diavolo Monoterpeni Radice di Gentiana Monoterpeni Trifoglio fibrino Monoterpeni Chiretta Monoterpeni Radice di Colombo Lattoni diterpenici (columbina) Cascarilla Lattoni diterpenici (cascarillina) Marrubio Lattoni diterpenici Lattucario Sesquiterpeni (lattucopicrina) Cicoria Sesquiterpeni (lattucina) Camomilla Sesquiterpeni (guaianolidi) Cardo mariano Lattoni sesquiterpenici (cnicina) Radice di Tarassaco Lattoni sesquiterpenici Assenzio Lattoni seaquiterpenici (absintina) Quassia Triterpenoidi (quassinoidi) Limone Triterpenoidi (limonina) Radice di Condurango Steroidi Luppolo Acidi amari (floroflicine prenilate) Arancio amaro Flavonoidi/Limonoidi Corteccia di China Alcaloidi (chinina) Angostura Alcaloidi (cusparina) Boldo Alcaloidi (boldina) Caffè Alcaloidi (caffeina) Cacao Alcaloidi (teobromina) Carciofo Caffeoilchinici (cinarina) Sesquiterpeni (cinaropicicrina) Aloe spp. Polichetidi (aloine) Rabarbaro Polichetidi (antroni) Cascara Polichetidi (antroni) Senna Polichetidi (antroni)

stimolare l’appetito e la secrezione gastrica oltre ad avere un’azione

coleretica, colagoga, diuretica e febbrifuga.

La presenza di alcune sostanze di natura secoiridoidea, come lo stesso

gentiopicroside, favorisce la stimolazione in maniera riflessa della

secrezione salivare e gastrica(31).

Infatti questa sostanza è capace di eccitare i recettori gustativi e di agire

soprattutto sulla fase encefalica della secrezione. I nuclei salivatori, che

si trovano in prossimità della giunzione tra il bulbo e il ponte, vengono

eccitati da efferenze sia gustative sia tattili provenienti dalla lingua e da

altre aree buccali(32).

Molti stimoli gustativi, specialmente quelli aciduli o amari, provocano

abbondante secrezione salivare.

Inoltre la salivazione può essere attivata o inibita da impulsi provenienti

ai nuclei salivatori, dai centri superiori del nevrasse.

L’area dell’appetito, implicata in questi processi, si trova a livello

dell’ipotalamo anteriore e risponde ad impulsi che provengono dall’area

gustativa ed olfattiva della corteccia cerebrale e dall’amigdala.

Per quanto riguarda la funzione dell’apparato gastrointestinale, bisogna

considerare il fatto che la mucosa gastrica è caratterizzata da due tipi di

ghiandole tubulari: le ghiandole gastriche e le ghiandole piloriche.

CO2 CO2 + H2O

Anidrasi carbonica Sangue H2CO3 HCO3 HCO3 + H+ Trasporto attivo Lume intestinale

HClTrasporto attivo

Cl‾

H2O H2O Trasporto passivo

Tabella10: Meccanismo ipotetico per la secrezione dell’HCl(33).La CO2, proveniente dal sangue o che si forma dal metabolismo della cellula stessa, si combina con H2O per formare H2CO3 che si dissocia in HCO3 e H+. L’idrogenione attraversa la parete del canalicolo e passa nel lume intestinale. HCO3 diffonde nel sangue, mentre lo ione cloruro viene trasportato attivamente dal sangue ai canalicoli.

Le prime, presenti ovunque nella mucosa del fondo dello stomaco, sono

deputate alla secrezione di succhi digestivi; al contrario, le seconde,

residenti nella porzione antrale, producono esclusivamente muco

destinato alla protezione della mucosa pilorica.

Ogni ghiandola gastrica è costituita da tre differenti tipi di cellule,

ognuna delle quali svolge un ruolo ben definito nel processo secretivo.

Infatti le cellule mucose del colletto secernono muco; le cellule principali

provvedono alla secrezione di enzimi digestivi, in particolare della

pepsina; le cellule parietali sono deputate alla produzione di HCl,

sfruttando un meccanismo non ancora ben definito.

Il più importante enzima secreto dalle cellule principali è la pepsina,

prodotto sotto forma di pepsinogeno privo di attività digestiva.

Quando viene a contatto con l’acido cloridrico, il pepsinogeno viene

immediatamente trasformato in pepsina, passando da un P.M. pari

a 42500 ad un P.M. di 35000. La pepsina, enzima proteolitico, è

attivo solo a valori di pH fortemente acidi (~ 2) infatti già a pH ~ 5

diventa rapidamente inattivo. La secrezione gastrica è coordinata sia

da meccanismi nervosi sia umorali, regolati rispettivamente da fibre

parasimpatiche dei nervi vaghi e dalla gastrina.

La secrezione di gastrina, ormone costituito da un eptadecapeptide,

può essere promossa in due modi: dal bolo alimentare che, causando la

distensione dello stomaco, determina la liberazione dell’ormone oppure

da alcune sostanze secretagoghe, come per esempio la caffeina, capaci di

provocare la secrezione della gastrina dalla mucosa antrale.

In questo modo, i meccanismi appena descritti, stimolano le fibre

nervose sensitive dell’epitelio gastrico che contraggono sinapsi con il

plesso mioenterico.

La Gentiana lutea, ma anche altre specie appartenenti alla famiglia delle

gentianaceae, è sicuramente tra le più note piante ad alto contenuto di

principi amari.

Il contenuto di gentiopicroside nella G. lutea non varia

significativamente in seguito a processi di essiccamento o nei diversi

stadi della crescita vegetativa. Tuttavia, da studi recenti, è stato

riscontrato che il contenuto di amarogentina e di gentiopicroside aumenta

nei periodi primaverili, mentre l’accumulo delle sostanze zuccherine si

riduce in modo molto evidente(34). Inoltre si è osservato che le piante

coltivate sono più ricche di amarogentina rispetto a quelle selvatiche(35).

Tabella 11: Principi amari del genere genziana. *la amaropanina è assente nella G. lutea. Lo studio dei principi amari ed in particolare delle sostanze amare della

G. lutea, come anche di altre specie dello stesso genere, risale addirittura

PRINCIPIO AMARO VALORE AMARO PERCENTUALEamarogentina 58.000.000 0,01-0,5 %amaropanina* 20.000.000 0,02-0,2 %

gentiopicroside 12.000 3,5-10 %gentiobiosio 120 0,08- 0,12 %

alla fine del 1800.

Infatti queste sostanze, prese in piccole dosi prima dei pasti possono

aumentare lo stimolo della fame e il flusso dei succhi gastrici, anche in

condizioni di anemia. Già Ivancevic e Kadruka, nel 1938, riportarono

delle osservazioni fatte su alcuni soggetti(36).

COMPOSTI ISOLATI DALLA GENTIANA LUTEA DELLA MAJELLA

In base a quanto riportato nella introduzione, si è deciso di approfondire

lo studio della composizione molecolare della Gentiana lutea presente

nel territorio del Parco Nazionale della Majella, caratterizzato

attualmente da un numero ancora sufficiente di insediamenti.

La raccolta è stata effettuata durante il periodo estivo del 2001, a 1500-

1800 m. di altezza, sulle montagne che sovrastano Campo di Giove, una

località abruzzese, nel centro del Parco.

La pianta era in piena maturità e presentava tutti gli organi in completo

sviluppo. Dopo la raccolta, le parti aeree della pianta sono state separate

in capsule, contenenti i numerosi semi alati, e foglie.

Le parti ipogee, rizoma e radici, non sono state raccolte per favorire

la preservazione della specie. Infatti questa pianta ha un ciclo vitale

di circa cinque anni e la raccolta della radice altera profondamente il

ciclo riproduttivo con conseguenze gravi per la sopravvivenza. Tuttavia,

occorre pensare che, per aromatizzare liquori alcolici, ne viene utilizzata

quasi unicamente la voluminosa radice che può arrivare a pesare anche

fino a 6 Kg. Naturalmente la avidità di alcuni raccoglitori sconsiderati

ha portato alla scomparsa di questa splendida pianta da alcuni habitat

importanti, come la fascia orientale del Gennargentu, in Sardegna.

Per questo motivo, la G. lutea è una delle specie protette del

territorio magellense e la raccolta è possibile solo dopo una specifica

autorizzazione da parte del presidente della Comunità Montana del

comune di Campo di Giove.

La nostra attenzione è stata rivolta in particolare alla identificazione di

composti glicosidici e dei più polari in genere presenti nelle parti aeree.

Lo studio è iniziato con la lavorazione della parte floreale costituita, dalle

capsule contenenti i semi, dall’aspetto scuro, dato il periodo di raccolta.

Questo campione è stato diviso in due parti uguali che hanno subito due

differenti protocolli di estrazione.

Il primo prevede la infusione del campione in alcool etilico a temperatura

ambiente, ripetendo l’estrazione in alcol per almeno tre volte. Questa è

una delle metodologie più comunemente usata per i composti glicosidici,

in quanto garantisce la minima alterazione dei prodotti presenti nel

campione vegetale.

La seconda aliquota di capsule e semi, invece, è stata sottoposta ad

estrazione con alcol in continuo, a caldo, con apparecchiatura soxhelet.

Confrontando, mediante test cromatografici, i campioni dei due estratti

ottenuti, è risultato evidente che il campione ottenuto con il primo

protocollo presenta una composizione più ricca in prodotti diversi,

rispetto a quello lavorato con soxhelet.

La frazione estratta a temperatura ambiente è stata sottoposta ad un

primo processo cromatografico, volto a separare grossolanamente le

frazioni in relazione alla loro polarità.

Le frazioni ottenute sono state successivamente analizzate con

differenti processi cromatografici che ci hanno permesso di isolare

numerosi composti. La frazione meno polare sembra essere costituita

essenzialmente da sostanze di natura lipidica e da fitosteroli.

Di seguito è stata ottenuta una frazione costituita da alcuni esteri di acidi

cinnamici variamente ossidrilati di cui non abbiamo ancora approfondito

la struttura.

La frazione successiva è rappresentata dai glucosidi iridoidi, secoiridoidi

e da zuccheri, come il gentiobiosio, tipico di questa pianta.

La frazione secoiridoide appare costituita essenzialmente da un composto

meno polare che è il componente principale, e da una coppia di prodotti a

comportamento cromatografico quasi eguale.

OCH2OH

OH

OH

OH

O

O

O

O

OCH2OH

OH

OH

OH

O

OH

CH3

CO2H

OCH2OH

OH

OH

OH

O

O

O

O

OCH2OAc

O

OAc

OAc

O

O

O

O

O

OH

glc-O

1 2 3 4

Si è quindi passato al riconoscimento della struttura dei composti

isolati, iniziando da quello presente in maggiore quantità. Lo spettro 1H-

NMR indicava la presenza di tre gruppi acetili, di una struttura di tipo

aromatico, oltre naturalmente alla parte terpenica e glucosidica. Questi

dati ci hanno portato ad ipotizzare, per questo composto, la struttura del

trifloroside 4, un raro secoiridoide. Tuttavia, i dati spettroscopici riportati

in letteratura(37), pur se abbastanza in accordo, non erano esattamente

coincidenti con i nostri dati. Inoltre il trifloroside 4 non è stato mai

identificato fino ad ora nella G. lutea ma solo nella G. triflora, nella

quale, tra l’altro, costituisce uno dei componenti secoiridoidici minori.

Pertanto, per avere ulteriori informazioni sulla struttura del composto

isolato, è stata effettuata una reazione di acetilazione.

L’acetato ottenuto è risultato essere identico all’acetato del trifloroside

descritto in letteratura e pertanto è stato possibile stabilire in modo

univoco la struttura della molecola isolata.

L’isolamento del trifloroside 4 dalla G. lutea del Parco Nazionale della

Majella è, secondo la nostra opinione, un dato interessante. Infatti la G.

triflora è una specie tipica delle regioni asiatiche ed in particolare del

Giappone.

Ancora più singolare è stato notare che questo stesso secoiridoide risulti

essere il componente glucosidico principale nel campione di G. lutea da

noi esaminato.

Gli altri due secoiridoidi presenti sono stati purificati per cromatografia

e sono stati identificati strutturalmente dopo aver confrontato i

rispettivi spettri 1H- e 13C-NMR con quelli presenti in letteratura. I dati

spettroscopici sono in accordo con le strutture rispettivamente dello

sweroside 1 e del gentiopicroside 2 che sono risultati essere, nel caso

della Gentiana della Majella, i componenti secoiridoidici minori.

Assieme ai tre secoiridoidi descritti, abbiamo rilevato la presenza di un

glucoside iridoide, caratterizzato da un gruppo carbossilico a C-4 e da

un metile a C-8. I dati di 1H- e 13C-NMR hanno indicato che si tratta

dell’acido loganico 3.

La presenza dell’acido loganico, recentemente identificato nel genere

Gentiana, è chiaramente comprensibile in quanto il cammino biogenetico

degli iridoidi prevede la formazione dei secoiridoidi per apertura

ossidativa dell’anello ciclopentanico

Con molta probabilità, come è stato da noi ipotizzato anche nel caso del

genere Vinca(38), il precursore della frazione secoiridoide e alcaloidea

della Gentiana è la loganina, mentre l’acido loganico, non partecipando

in modo significativo a questo processo metabolico, può essere isolato in

quantità significative.

O

O-glcCH3

OH

COOCH3

O

O-glc

H-O

PO-H2C

COOCH3

O

O-glc

COOCH3

H

O

O-glc

COOCH3

OH

O

O O

Oglc

loganina

sweroside

Figura 20 Proposta di biogenesi dei secoiridoidi della gentiana

Sono stati inoltre isolati il gentiobiosio, zucchero caratteristico di questa

pianta, e il glucosio.

La frazione estratta con soxhelet è stata esaminata per evidenziare la

presenza degli alcaloidi. Infatti, è noto che questi composti siano in

genere termostabili, e quindi dovevano rimanere inalterati in seguito

all’estrazione con alcol bollente.

La frazione alcaloidea è stata ottenuta con un protocollo standard di

separazione. L’estratto grezzo è stato solubilizzato in acqua, la soluzione

è stata acidificata a pH 3 ed estratta con etere etilico per ricavare i

composti a carattere neutro e acido estraibili. Successivamente si è

alcalinizzato a pH 9 e si è estratta la frazione basica.

Con questo procedimento, attualmente, abbiamo isolato solo la

gentianina, uno degli alcaloidi più caratteristici del genere genziana.

Siamo quindi passati allo studio della composizione molecolare delle

foglie. Anche in questo caso sono stati utilizzati due protocolli di

estrazione. Il primo è identico a quello usato per i semi e le capsule e

prevede l’estrazione con alcol a temperatura ambiente; il secondo è stato

messo a punto in questo caso e prevede la triturazione delle foglie in

acqua in presenza di un antifermentativo (2% di sodio azide).

In ambedue i casi, l’estratto ottenuto è stato analizzato mediante

cromatografia di adsorbimento con il cosiddetto “metodo del carbone”.

I due estratti ottenuti sono risultati molto simili e, sottoposti a

separazione cromatografica, hanno fornito una frazione iridoide che

è apparsa però diversa da quella ottenuta dai semi e capsule. Infatti è

presente l’acido loganico 3, il gentiopicroside 2, e lo sweroside mentre

risulta assente il trifloroside.

PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE DEI PRINCIPALI COMPONENTI

DEL GENERE GENTIANA

Nella medicina tradizionale cinese viene frequentemente usato

il “Qinjiao” per il trattamento di infezioni batteriche e fungine,

epatiti, reumatismi, ipertensione ed inoltre come analgesico(39). Infatti

dall’estratto metanolico di radici di Gentiana tibetica, dopo aver

frazionato mediante CC su gel di silice e filtrato su Sephadex LH-20, è

stato isolato un derivato dell’acido antranilico, risultato biologicamente

attivo.

In realtà, l’etil-N-docosanoilantranilato ha mostrato attività nei confronti

di alcuni tipi di funghi patogeni per l’uomo, come la Candida albicans e

l’Aspergillus flavus

Il “Qinjiao” si ottiene principalmente dalla Gentiana macrophylla (Pall.)

ma anche da altre specie come la G. tibetica (King), G. crassicaulis

(Duthie ex Burkill) e G. dahurica (Fisch).

Dai test effettuati su tutti i composti isolati dalla G. tibetica e, in

particolare, sul derivato antranilico, è risultato che l’inibizione della

crescita della C. albicans e dell’A. flavus si ottiene usando una MIC

(minimal inhibition concentrations) rispettivamente pari a 80 μg/ml e a

60 μg/ml(40),(41).

Inoltre è da sottolineare che il gentiopicroside, il capostipite della

classe dei secoiridoidi glicosidici della famiglia delle Gentianaceae,

sembra avere azione protettiva nei confronti di epatiti virali, inibendo la

produzione del TNF (fattore di necrosi tumorale)(42).

Infatti questo secoiridoide è stato testato per verificare gli effetti

terapeutici su due modelli di danno epatico indotto da CCl4 e dal

lipopolisaccaride/bacillus Calmette-Guerin(43).

Da tali studi sperimentali è risultato che, l’aumento dei livelli sierici

delle transaminasi, indotto dal trattamento con CCl4, viene bloccato

trattando precedentemente con gentiopicroside a concentrazioni di 30-60

mg/kg/die per 5 giorni consecutivi.

L’incremento di questi stessi enzimi si ottiene anche somministrando,

per via endovenosa su topi, lipopolisaccaride/bacillus Calmette-

Guerin(44).

Anche in questo caso il danno epatico viene bloccato usando le stesse

concentrazioni di gentiopicroside sopra descritte.

Nel modello BCG/LPS i livelli sierici di TNF, uno dei principali

mediatori del processo infiammatorio, aumentano raggiungendo un picco

di 90-120 minuti insieme all’attività delle transaminasi(45-48).

Azione protettiva del gentiopicroside sull’epatotossicitàindotta dal CCl4 Il meccanismo della necrosi epatica da CCl4 è stato per anni oggetto di

numerosi studi.

Nell’ uomo, come anche nella scimmia, nel ratto, nel topo e in altri

animali utilizzati durante le sperimentazioni, il CCl4 causa necrosi

centrolobulare e steatosi; l’entità del danno può variare in base a fattori

quali la diversità di specie, l’età e il sesso. E’ probabile che queste

differenze di sensibilità siano da attribuire a vari modelli che attivano

metabolicamente il CCl4 a specie molto tossiche(49).

Il danno epatico segue un andamento ben preciso; infatti dopo una

dose singola di CCl4, somministrata per via orale o anche in altro

modo, incomincia a svilupparsi necrosi centrolobulare, destinata a

peggiorare entro 24 ore. Durante le prime 48 ore, enzimi epatici come la

transaminasi glutammico piruvica (GPT), la transaminasi glutammico

ossalacetica (GOT) e la lattico deidrogenasi (LDH) iniziano ad

aumentare a livello sierico e vengono utilizzati per quantificare il danno

epatico.

Al microscopio ottico vengono osservati danni ai mitocondri e

all’apparato del Golgi; inoltre si verifica il distacco dei ribosomi dal

reticolo endoplasmatico rugoso, seguito dalla loro dispersione nel

citoplasma e quindi dalla disorganizzazione del reticolo endoplasmatico

liscio.

Dal punto di vista biochimico, il danno al reticolo endoplasmatico porta

all’accumulo di lipidi e alla diminuzione della sintesi proteica e della

attività delle ossidasi a funzione mista.

Molte sono state le teorie sui probabili metaboliti attivi del CCl4:

Recknagel e Glende

CCl4 → CCl3• + Cl•

Rottura omolitica di un legame C-Cl per opera del citocromo P-450 con

conseguente formazione di radicali liberi quali il triclorometile e cloruro.

Slater

CCl3• + O2 → Cl3COO•

Il radicale libero triclorometile è blandamente reattivo ma, reagendo con O2,

porta alla formazione del radicale libero triclorometilperossi.

Reiner e Uehleke

CCl4 → Cl3C:

Scissione dei legami carbonio-alogeno in condizioni anaerobiche e produzione

di metaboliti altamente reattivi con struttura generale R3C: e denominati

carbeni.

CCl3

Si lega agli acidi grassi enoici delle membrane del reticolo endoplasmatico formando ulteriori radicali liberi all’interno degli acidi grassi. Questi vengono successivamente attaccati dall’O2, causando la perossidazione lipidica che danneggia le membrane e gli altri enzimi. Cl3COO• Reagisce prontamente con i lipidi di membrana e causa per ossidazione lipidica, degradazione cellulare.

Media, in condizioni anaerobiche, il legame covalente tra il CCl4 con le macromolecole cellulari

Tabella 12 reazioni metaboliche del tetracloruro di carbonio. A questo punto, appare chiaro che il CCl4 è in grado di indurre una serie

di eventi tossici che porta alla disfunzione di numerosi processi cellulari

ed infine alla morte delle cellule coinvolte. E’ risultato possibile far

diminuire la concentrazione sierica delle transaminasi e della lattato

deidrogenasi somministrando ai topi, per via intragastrica, concentrazioni

specifiche di gentiopicroside per cinque giorni consecutivi.

Dealogenazione riduttiva del tetracloruro di carbonio

CCl4

e‾ dealogenazione

Cl‾ riduttiva

•CCl3 O2

Cl ¯ RH •O―O―CCl3

R•

:CCl2

CHCl3 HOOC―CCl3

H2O P-450

2HCl HOCCl3

CO HCl

COCl2 CO2

H2O 2HCl

AZIONE PROTETTIVA DEL GENTIOPICROSIDE SULLA EPATOTOSSICITÀ INDOTTA DAL BCG/LPS Sono stati effettuati esperimenti su topi trattati con BCG e, dopo sette

giorni, con una dose non letale di LPS.

Già a distanza di qualche ora dalla somministrazione di LPS, si sono

osservati significativi aumenti delle attività delle transaminasi(50)

Somministrando il gentiopicroside cinque giorni prima della iniezione

di LPS, si verifica una significativa riduzione dei livelli sierici di GPT e

GOT.

Alcuni pazienti, colpiti da forme fulminanti di epatite, hanno mostrato

attivazione di monociti e infiltrazione dei macrofagi nel fegato, nonché

produzione abnorme di importanti mediatori del processo infiammatorio

come interleuchina-1, α –TNF e γ- interferone.

Nel modello BCG/LPS, la produzione di TNF precede il rilascio di

aminotrasferasi dal fegato. Il gentiopicroside è risultato capace di

sopprimere la produzione di TNF, come anche il rilascio di enzimi

epatici.

Da questi risultati sperimentali, è stato ipotizzato che il gentiopicroside

potrebbe rivestire un ruolo determinante nella inibizione della

produzione di radicali liberi e quindi essere utilizzato come

anti-ossidante nelle patologie epatiche indotte chimicamente e

immunologicamente.

USO DELLA GENTIANA LUTEA IN FITOTERAPIA La “medicina delle erbe”, più comunemente conosciuta come fitoterapia,

è la scienza che studia vari rimedi per il trattamento di patologie usando

piante officinali(51-52).

Il termine è stato introdotto, alla fine del 1800, da Henri Leclerc,

medico francese, autore di numerose pubblicazioni sull’uso delle piante

medicinali.

Tuttavia, l’importanza delle piante medicinali e i loro usi erano

conosciuti sin dai tempi antichi, basti pensare ad Imotepe, sacerdote

medico dell’antico Egitto, a Galeno, medico personale dell’imperatore

romano Marco Aurelio, a Paracelso, autore di importanti erbari nel

Medioevo.

La straordinarietà di questa disciplina può essere messa in evidenza

dalle opere di uno dei più illustri rappresentanti della medicina antica,

Asclepio di Tessalia, secondo cui l’esatta sequenza da seguire nell’uso

di un qualsiasi agente terapeutico era “prima la parola, poi la droga

vegetale e solo in ultimo il bisturi”.

Le più comuni formulazioni contenenti droghe vegetali includono :

polveri con dose prevista tra 0,20 e 2 g.;

infusi in cui i tessuti della pianta così come i fiori, le foglie e in alcuni

casi anche i semi vengono lasciati in infusione in acqua fredda per un

periodo di tempo variabile;

decotti preparati con radice e corteccia che vengono estratti mediante

bollitura;

prodotti di macerazione ottenuti estraendo con acqua fredda.

Tuttavia è possibile combinare due tecniche appena citate, come nel caso

della infusione-macerazione, impiegata soprattutto per droghe contenenti

olii volatili, oppure nella macerazione-decozione prevista per le parti

ipogee della pianta.

Nel caso della G. lutea, la Farmacopea Ufficiale X Edizione contempla,

oltre alla Gentianae radix anche l’estratto fluido (Gentianae extractum

fluidum), costituito da un liquido giallo- rossastro, con l’aroma

caratteristico della Gentiana e di sapore amaro(12).

Nella medicina tradizionale, viene utilizzata esclusivamente la radice

essiccata di Gentiana (Gentiana lutea), in quanto fresca risulta essere

velenosa.

Il sapore della droga, dapprima dolciastro ed in seguito piacevolmente

amarognolo le è conferito da alcune sostanze in precedenza citate,

tra cui la gentiopicrina. La parte ipogea della pianta viene impiegata,

notoriamente, come infuso contro la inappetenza e le atonie gastro-

intestinali oppure come liquore-digestivo, in quanto manifesta proprietà

toniche e stimolanti dell’apparato digerente.

In realtà, questa pianta, come anche altre appartenenti alla stessa famiglia

(Gentianaceae), viene frequentemente utilizzata in fitoterapia per la

formulazione di preparati indicati nella cura di disagi gastrici cronici,

tra cui mancanza di appetito, bruciori di stomaco, nausea, vomito e altri

sintomi generali di dispepsia.

Tale condizione patologica si manifesta essenzialmente quando la

mucosa gastrica subisce evidenti cambiamenti da un punto di vista

biomolecolare e dunque fisiologico. Per esempio, l’uso ripetuto di

salicilati può causare la condizione sopra descritta(54,55).

fosfolipidi della membrana cellulare

fosfolipasi A2

Acido arachidonico

leucotrieni PGG2

PGH2

Trombossano A2

PGF α2

prostaciclina(PGI2) idroperossidasi

FANS

Tabella 13. sintesi delle prostaglandine e dei leucotrieni(56):la prostaciclina

(PGI2) inibisce la secrezione acida dello stomaco, mentre la PGE2 e la PGF α 2

stimolano la sintesi di muco protettivo sia nello stomaco sia nell’ intestino tenue.

In presenza di acido acetilsalicilico o qualsiasi altro salicilato, le prostaglandine

e le prostacicline non vengono più sintetizzate. Questo porta ad un aumento della

secrezione acida e ad una riduzione della protezione della mucosa. Il rischio, in

questi casi, è l’insorgenza di sofferenza epigastrica , ulcerazioni ed emorragie(

Sia nel caso di disagio indotto da farmaci che in quello causato da

una alimentazione poco corretta, è necessario eliminare la causa e se

necessario intraprendere una terapia fitoterapica, per esempio con infusi

di camomilla e valeriana.

Esiste, tuttavia, la possibilità che si manifesti una dispepsia cronica, oltre

che dipendente da fattori nervosi o da una dieta non equilibrata, causata

dall’assenza, nei succhi gastrici, di acidi e di pepsinogeno.

In questi casi, la scelta del rimedio terapeutico dipenderà dal fattore

scatenante il disagio. Infatti, se si tratta di dispepsia causata da una

ridotta produzione di acidi gastrici, è possibile prediligere droghe la cui

composizione è caratterizzata da sostanze amare con proprietà toniche;

al contrario, se è coinvolta la scarsa funzionalità dei dotti biliari, possono

essere impiegate piante con azione coleretica e colagoga, cioè capaci di

stimolare o regolare la secrezione e il flusso della bile. Molto spesso,

anche la combinazione di entrambi i gruppi può risolvere il disagio con

successo.

E’ pur vero che le normali funzioni dell’apparato gastrointestinale

possono essere compromesse in seguito ad infezioni acute come nel

caso dell’influenza o della dissenteria. Anche in queste situazioni le erbe

medicinali, e quindi un piano fitoterapico, sono in grado di dare risultati

soddisfacenti.

Le condizioni appena descritte evidenziano l’importanza dell’uso delle

piante in medicina; basti pensare che, solo per risolvere i problemi

cronici che colpiscono l’apparato gastrointestinale, è possibile il

trattamento con erbe capaci di stimolare la produzione e la secrezione di

acidi gastrici, di proteggere la membrana infiammata della mucosa che

riveste lo stomaco ed infine di contrastare crampi o spasmi e di eliminare

la flatulenza.

Per tale scopo, la fitoterapia prevede l’impiego di due grandi gruppi di

piante:quelle contenenti principi amari e quelle caratterizzate da piccole

sostanze mucillaginose in grado di formare una barriera protettiva sulla

membrana della mucosa e di favorire la risoluzione della infiammazione.

Come già detto in una precedente sezione, numerose piante contengono

sostanze amare e vengono impiegate nella medicina tradizionale per

la loro capacità di stimolare la secrezione gastrica e per la loro azione

tonica.

Junkmann dimostrò che questi composti aumentano la eccitabilità del

sistema nervoso simpatico. Ancora più interessante fu l’esperimento

messo in pratica da Weger in cui veniva dimostrato, sullo stomaco

isolato di rana, che alcune sostanze amare, tra cui l’estratto di Gentiana e

il decotto di Cardo mariano, miglioravano la funzionalità dello stomaco.

Questi studi farmacologici risultarono piacevolmente interessanti in

quanto ampliavano gli orizzonti di concetti conosciuti sin dai tempi più

antichi, ma che mai nessun abile osservatore di scienza aveva fino ad

allora confermato.

E’ bene ,comunque, sottolineare che, esatti esperimenti clinici per

determinare le azioni terapeutiche delle erbe amare , sono difficili perché

l’effetto pieno si manifesta solo dopo un uso ripetuto.

In questi ultimi anni l’aumento dell’interesse nei confronti della

fitoterapia ha permesso di dimostrare, al di là dei pregiudizi, che queste

erbe svolgono un ruolo importante in campo biomedico.

Anche il mercato si è adattato, tanto che offre ormai da tempo ottime

formulazioni e preparati ampiamente richiesti.

Inoltre la grande varietà dei prodotti amari ha reso necessario una sottile

classificazione da un punto di vista della pratica clinica.

Sostanze amaro-toniche, in cui il composto amaro è capace di tonicizzare

la muscolatura degli organi addominali.

Sostanze amaro-aromatiche, ottenute da piante che, oltre ad essere

costituite da sostanze amare, sono caratterizzate da olii volatili, che

conferiscono alla pianta stessa una particolare fragranza aromatica.

Sostanze pungenti (hot-bitters), sono tutte quelle droghe come il ginger

usate come spezie e più raramente in medicina.

AMARO-TONICI AMARO-AROMATICI AMARO-PUNGENTI

Erythraea centaurium Acorus calamus Zingiber officinaleCentaurium pulchellum Angelica archangelica Centaurium littoralis Artemisia absinthium Gentiana lutea Carduus benedictus Gentiana pannonicus Gentiana purpurea Gentiana punctata Gonolobus condurango Swertia perennis Vincetoxicum officinalis Menyanthes trifoliata

Tabella 14 Sostanze amare

Tabella 15 Usi fitoterapici della Gentiana

… Questa parte riguarda la biogenesi dei monoterpeni metil-ciclopentanoidici ed è stata omessa… CONCLUSIONI

Anzitutto è importante mettere in evidenza che fino ad oggi non erano

mai state svolte ricerche mirate alla identificazione dei componenti

molecolari delle piante presenti nel Parco Nazionale della Majella.

PATOLOGIA RIMEDIO FORMULAZIONE

Itterizia Radici di Rabarbaro, radice secca polverizzata di Gentiana lutea L., decotto alcolico corteccia polverizzata di Cascara

Vomito gravidico intera pianta di Gentiana amarella L. infuso al 4 %Idropsia atonica radice del secondo anno di Gentiana lutea L. infuso al 2%

Inappetenza radice essiccata e sminuzzata di Gentiana lutea L. decottoDepurativo del sangue Rradice di Gentiana lutea L. del secondo anno infuso al 3%

Alitosi rizoma frantumato di Calamo, polvere di Gentiana lutea L., decotto polvere di Liquirizia

Scrofolosi radice del secondo anno di Gentiana lutea L., infusoGastrite radice grattugiata di Gentiana lutea L., bacche di Ginepro,

scorza di Arancio amaro, Menta, semi di Finocchio, Salvia Sedativo del SNC radice contusa di Valeriana, fiori di Camomilla, infuso

radice di Gentiana lutea L. Stitichezza Timo, Melissa, radice di Gentiana lutea L., rizoma di Rabarbaro, decotto

corteccia di Frangola Ansia radice di Gentiana lutea L., radice spezzettata di Valeriana, infuso

fiori di Camomilla Digestione difficile semi di Anice, semi di Finocchio, foglie di Menta, infuso

radice di Rabarbaro, radice di Gentiana lutea L.

Nell’ambito di un protocollo di intesa stipulato fra la Scuola di

Specializzazione in Chimica e Tecnologia delle Sostanze Organiche

Naturali dell’Università di Roma “La Sapienza”, il Comune di Pratola

Peligna con la partecipazione dell’Ente Parco della Majella, è stato

intrapreso un programma di ricerca volto alla determinazione dei principi

attivi presenti nelle piante tipiche del Parco.

Si è deciso di iniziare lo studio della Gentiana lutea che costituisce una

delle piante caratteristiche della flora officinale del Parco. Lo studio

della composizione molecolare della G. lutea della Majella ha portato

a risultati che, ad un primo esame, indicano certamente una differenza

significativa fra i dati riportati in letteratura, riguardanti i secoiridoidi

della G. lutea, rispetto ai risultati sperimentali ottenuti. Infatti nella G.

lutea che cresce nel Parco della Majhella risulta presente un componente

secoiridoide, il trifloroside, che fino ad oggi sembrava presente solo in

una specie orientale, la G. triflora.

Il trifloroside appare presente come componente principale nei

semi e nelle capsule, mentre risulta assente nelle foglie. Inoltre il

gentiopicroside e lo sweroside, che sono i secoiridoidi indicati come

caratterizzanti del genere gentiana, sono presenti entrambi nei semi e

nelle capsule, mentre nelle foglie risulta presente il solo gentiopicroside.

Questi dati, secondo la nostra opinione, potrebbero esser indicativi di

diverse problematiche.

La prima, e più semplice ipotesi che si può fare, è che la G. lutea

della Majella costituisca una specie endemica e quindi, come tale,

caratterizzata da una composizione molecolare che si discosta, anche

in modo significativo, da quello descritto per la G. lutea. D’altra parte

è noto che gli studi riportati finora in letteratura, sono stati condotti su

piante caratteristiche della zona alpina. Questa ipotesi si basa anche

su alcuni dati botanici che hanno individuato nella Majella la presenza

di una specie caratteristica che è stata denominata “magellense”.

Naturalmente questa possibilità va verificata con un approfondito studio

botanico della pianta

La seconda ipotesi è che la composizione molecolare che noi abbiamo

individuato possa essere legata al periodo in cui è stata effettuata

la raccolta della pianta. Questa è stata effettuata tra luglio e agosto,

ovverosia nel periodo conclusivo della maturazione della pianta.

Potrebbe essere che in questo periodo si verifichi una modificazione nei

rapporti quantitativi fra i principi attivi, con accumulo di trifloroside

nei semi e capsule e una diminuzione di sweroside nelle foglie. Questa

seconda ipotesi naturalmente va controllata effettuando raccolte

in diversi periodi dell’anno e determinando per ogni campione la

composizione molecolare.

Una terza ipotesi potrebbe essere quella che il metabolismo della

G. lutea sia fortemente influenzato dalle condizioni pedoclimatiche

(composizione del terreno, altitudine, condizioni di esposizione alla

luce, etc.). Questa terza ipotesi sarebbe d’altra parte in accordo con le

osservazioni fatte anche in altri casi che hanno mostrato significative

variazioni nella presenza di composti naturali, in relazione a variazioni di

parametri ambientali come la composizione del terreno e l’altitudine.

Il naturale sviluppo di questo lavoro di tesi sarà quello di procedere alla

verifica di queste ipotesi nel caso della G. lutea e procedere con lo studio

di altre specie caratteristiche del territorio magellense.

BIBLIOGRAFIA

1. Piano esecutivo del Parco Nazionale della Majella 2002.

2. F. Tammaro, Documenti per la conoscenza naturalistica della

Majella. Repertorio sistematico della flora, Regione Abruzzo

Chieti.1986.

3. F. Tammaro, Flora officinale d’Abruzzo, 1986, Regione Abruzzo

L’Aquila.

4. G. Marcantonio, Contributo alla flora della Majella, 1998, Archivio

Geobot., vol. 4, 291-298.

5. F. Tammaro, G. Pirone, Il Parco Nazionale della Majella, Natura e

Montagna, 1995,vol. 3-4, 45-64.

6. Feoli, Chiapella, Contributo alla conoscenza della flora della Majella

Delpinoa vol.21-22, 97-133.

7. F. Conti, Contributo alla flora della Majella, Archivio botanico e

biogeografico italiano, 1987, n.63 fasc..1-2, 70-99.

8. M. Nicoletti, A. Bruni, Lezioni di botanica farmaceutica, 1997 194-

195.

9. M. Grieve, A Modern Herbal, 1971, vol. 1, Dover publications, N.Y.,

347-349.

10. Anzalone, Botanica farmaceutica, 395-397.

11. Serafini 1

12.G. Fassina, E. Ragazzi, Lezioni di farmacognosia-droghe vegetali,

1995, 357-360.

13. R. Della Loggia, Piante officinali per infusi e tisane, 1993, 233-235.

14. F. Chielva, C. Frattini, A. Martelli, Z. Lebeusm.Unters.Forsch.,

1986, 182-212.

15. Serafini 2

16. A. Bianco, The Chemistry of iridoids, in Atta-ur-Rahman Ed.,

Studies in Natural Products Chemistry, Elsevier, 1990, vol 7

17.S. R. Jensen , Gentianaceae, Systematics and Natural History, L.

Struwe and V. A. Albert Ed., Cambridge University Press 2002

18. M. Wichte, Teedrogen, Scientific Publishers, Stuttgart, 1994, 233-

235.

19. K. Hostettmann, G. Bellmann, R. Tabacci, A. Jacot-Guillarnic, Helv.

Chim. Acta, 1973, vol.56, 3050-3055.

20. O. Suzuki, Y. Katsumata, M. Oya, Biochemical Pharmacology,

1978, vol.27, 2075-2078.

21. M. Born, P.A. Carrupt, R. Zini, F.Bree, J.P.Tillement, K.

Hostettmann, B. Testa, Helv. Chim. Acta, 1996, vol. 79, 1147-1158.

22. D.J. Mc Kenna, G.H. Towers, F. Abbott, J. Ethnopharmacol., 1984

vol.10, 195-223.

23. T. Noro, A. Ueno, M. Muzutani, T. Hashimoto, T. Miyase, M.

Kuroyanagi, F. Fukushima, Chem. Pharm. Bull., 1983, vol.31, 2708-

2711.

24. A. Shurr, B.M. Rigor, Gen. Pharmacol., 1984, vol.15, 171-174.

25. O. Suzuki, Y. Katsumata, M. Oya, S. Blandt, M. Wagner, Planta

Med, 1984, 50, 272-274;

26. O. Suzuki, Y. Katsumata, M. Oya, V.M. Chiari, B. Vermes, M.

Wagner, K. Hostettmann, Planta Med, 1984, 50, 272-274;

27. N. Menkovic, K. Savikin-Fodulovic, K. Savina, Planta Med., 2000,

28. 66,178-180;

29.28. A.Y. Leung, S. Foster, Enciclopedia delle piante Medicinali, pp.

266 267;

30. C. Franz, D. Fritz, Planta Med., 1975, 28, 289;

31.M. Nicoletti , A. Bruni, Lez. Bot. Farm., (Principi amari), 1997, pp.

192-193;

32. W. Schmidt, Planta Med., 1966, 14, Suppl., 34;

33. A. Fidanza, G. La Grutta, Fisiologia, 1973, 184-185;

34. C. G. Guyton, Trattato di Fisiologia Medica, 1983, 855;

35. C. Franz, D. Fritz, Planta Medica, 1975, vol.28, 289;

36. V. Rossetti et al., Q. J. Crude. Drug. Res., 1981 19 (1), 37;

37. R.F. Weiss’s, Herbal Medicine, 2001,

38. Bergeron et al., Phitochemistry, 1997

39. A. Bianco, M. Serafini, J. Ethnobot., in visione, 2002;

40.R.X. Tan, L.D. Kong, H.X. Wei, Phytochemistry, 1998, vol.47, n.7,

1223-1226;

41.L. Rahalison, K. Hostettmann, M. Hamburger, M. Monod, E. Frenk,

Phytochem. Anal., 1991, vol.2, 199;

42.W.F. Zheng, R.X. Tan, L. Yang, Z.L. Lin, Planta Med., 1996, vol.62,

160;

43. Y. Kondo, F. Takono, H. Hojo, Planta Med., 1994, vol.60, 414;

44.K. Yoshikazu, T. Fumihide, H. Hiroshi, Planta Med.,1994, vol.60,

414;

45.T.F. Suter, R.G. Hoffman, Proc. Soc. Exp. Biol. Med., 1958, vol.99,

167-169;

46.Y. Mizoguchi, N. Kawada, Y. Ichikawa, H. Tsutsen, Planta Med.,

1991, vol.57, 320-324;

47.B.Beutler, I.W. Milsark, A.C. Cerami, Science, 1985, fasc.229, 869-

871;

48.G.Tiegs, M. Walter, A. Wendel, Biochem. Pharmacol., 1989, vol.38,

627-631;

49.Y. Kondo, F. Takano, H. Hojo, Biochem. Pharmacol., 1993, vol.46,

1861-1863;

50.Casarett & Doull’s, Tossicologia i fondamenti dell’azione delle

sostanze tossiche, V Ed., 991-993;

51. R.O. Recknegel, Pharmacol. Rev., 1967, (4), 145-208;

52. R.F. Weiss’s, Herbal Medicine, 2001, 1-10;

53. Z.F. Angew, Phytoter., 1981, vol.2, 9-13;

54. R.F. Weiss’s, Herbal Medicine, 2001, 17-43;

55. M.J. Holtzman, Annu. Rev. Physiol., 1992, vol.54, 303;

56. B.G. Katzung, Farmacologia generale e clinica, IV Ed., 325-340;

57. C. Harvey, Farmacologia, cap.38, 363;