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ANALISI DI FOURIER A.Fig`aTalamanca 1 giugno 2011

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ANALISI DI FOURIER

A. Figa Talamanca

1 giugno 2011

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0.1 PRIMA LEZIONE

Definizione 1 Una funzione f definita sull’insieme R dei numeri reali e avalori nei numeri complessi si dice periodica di periodo T 6= 0, se per ogninumero reale x ∈ R risulta

f(x + T ) = f(x).

Il numero T si dice periodo della funzione f .

Come e noto le funzioni cos x e sin x, e con esse, la funzione a valoricomplessi, eix = cos x + i sin x, sono periodiche di periodo 2π. Sono ancheperiodiche le funzioni composte f(cos x) ed f(sin x) dove f e una qualsiasifunzione definita sull’intervallo [−1, 1]. Non sono pero necessariamente peri-odiche le funzioni composte cos(f(x)) e sin(f(x)), se f e una funzione definitasu R. Ad esempio le funzioni sin x2 e cos x2 non sono periodiche.

Esercizio 1 Se f e una funzione continua e periodica, allora f e uniforme-mente continua.

Osserviamo che se T e un periodo per f lo e anche kT per ogni k ∈ Z,ed inoltre f(T ) = f(kT ). Infatti l’insieme dei periodi di una funzione peri-odica costituisce, assieme allo zero, un sottogruppo del gruppo addittivo deinumeri reali.(Un sottoinsieme di R e un ”sottogruppo del gruppo addittivodei numeri reali” se contiene lo zero e comunque presi due elementi a e b delsottoinsieme l’elemento a− b appartiene pure al sottoinsieme).

Esercizio 2 Sia f una funzione definita su R e a valori complessi e siaP = {T : f(x + T ) = f(x),∀x ∈ R}. Dimostrare che P e un sottogruppodi R (cioe dimostrare che P contiene lo zero, e che dati due elementi S e Tappartenenti a P , l’elemento S − T appartiene a P ).

Se f e una funzione periodica allora il sottogruppo P come definito nell’E-sercizio 2, non e banale, contiene cioe almeno un elemento T diverso da zero,passando eventualmente a −T possiamo supporre che T > 0. A questo puntopossiamo chiederci se esiste sempre un periodo positivo minimo. La risposta,in generale e no. Ad esempio se f e la funzione caratteristica dell’insiemedei numeri razionali, cioe la funzione che vale uno sui numeri razionali e zerosui numeri irrazionali, allora ogni numero razionale positivo e un periodo dif . Naturalmente la funzione caratteristica dei razionali non e continua. Edinfatti possiamo dimostrare il seguente esercizio.

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0.1. PRIMA LEZIONE 3

Esercizio 3 Se f e una funzione continua, non costante e periodica, alloraf ammette un periodo positivo minimo.

Per dimostrare l’enunciato dell’Esercizio 3 supponiamo per assurdo che fnon abbia un periodo positivo minimo. In questo caso l’estremo inferiore deiperiodi positivi non puo che essere zero, (perche un tale estremo inferiore, sediverso da zero, sarebbe un periodo, perche il limite diverso da zero di unasuccessione convergente di periodi di una funzione continua e un periodo).Osserviamo allora che, in questo caso, per ogni δ > 0 si puo trovare un periodopositivo Tδ < δ. Questo significa che f(kTδ) = f(hTδ), per tutti gli interik, h ∈ Z. Se f non e costante esistono punti a e b tali che f(a)−f(b) = ε > 0.Usando l’uniforme continuita di f (Esercizio 1) si puo trovare δ > 0 tale che|f(x) − f(y)| < ε/2, se |x − y| < δ. Ma per qualche intero h e per qualcheintero k, |a− hTδ| ≤ Tδ < δ, e |b− kTδ| ≤ Tδ < δ, pertanto

ε = f(a)− f(b) ≤ |f(a)− f(hTδ|+ |f(kTδ)− f(b)| < ε,

che e una contraddizione (abbiamo usato il fatto che f(hTδ) = f(kTδ) se h ek sono due interi).

Una proprieta importante delle funzioni periodiche che sono integrabilisu qualsiasi intervallo chiuso e limitato, e che (se T > 0 e il periodo),

∫ a+T

a

f(x)dx =

∫ T

0

f(x)dx.

In altre parole

Esercizio 4 Se f e periodica ed integrabile, l’integrale risulta lo stesso suqualsiasi intervallo di lunghezza uguale al periodo (positivo).

Per svolgere il precedente esercizio si puo partire dall’osservazione che

∫ a+T

0

f(x)dx =

∫ a

0

f(x)dx +

∫ a+T

a

f(x)dx.

Ma la periodicita di f ci permette di affermare che:

∫ a

0

f(x)dx =

∫ a+T

T

f(x)dx,

ne segue che

∫ a+T

a

f(x)dx =

∫ a+T

0

f(x)dx−∫ a+T

T

f(x)dx =

∫ T

0

f(x)dx.

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Una conseguenza naturale di questa osservazione e che se f e una funzioneperiodica di periodo T ed y e un numero reale

∫ T

0

f(x + y) dx =

∫ T

0

f(x) dx. (1)

Infatti un semplice cambiamento di variabile ci dice che

∫ T

0

f(x + y) dx =

∫ T+y

y

f(t) dt =

∫ T

0

f(t) dt

La proprieta descritta dalla (1) e nota come la ”invarianza per traslazionedell’integrale di una funzione periodica”.

Supponiamo ora che f sia una funzione periodica di periodo T > 0, e siaS > 0 un altro numero. Con un semplice cambiamento di variabile possiamotrasformare f in una funzione periodica di periodo S. Infatti, come e subitovisto,

f(T

Sx),

e una funzione periodica di periodo S. Conviene quindi anziche considerarefunzioni periodiche di periodo generico T , funzioni periodiche di un conve-niente periodo prefissato. E’ naturale, a questo punto, considerare funzioniperiodiche di periodo 2π, come appunto le funzioni trigonometriche.

Osserviamo che se f e una funzione definita sull’intervallo [0, 2π] che as-sume valori uguali agli estremi dell’intervallo e cioe f(0) = f(2π) allora f puoessere prolungata su tutto R come funzione periodica. Infatti ogni numeroreale x apparterra ad un intervallo [2kπ, 2(k + 1)π] con k ∈ Z. Ne segue chex − 2kπ ∈ [0, 2π]. Pertanto si potra definire f(x) = f(x − 2kπ) ed ottenerecosı una funzione periodica di periodo 2π, definita per tutti i reali. Vicever-sa ogni funzione periodica di periodo 2π corrisponde univocamente ad unafunzione definita sull’intervallo [0, 2π] che assume valori uguali agli estremi.Questo significa che data una qualsiasi funzione definita sull’intervallo [0, 2π],basta cambiarne il valore in uno degli estremi, imponendo che f(0) = f(2π)per trasformarla nella restrizione di una funzione periodica. Naturalmentecambiare il valore di una funzione anche in un punto solo ne cambia la natu-ra. Una funzione continua come ad esempio la funzione f(x) = x divienediscontinua se si impone che f(2π) = 0. E infatti la funzione periodica as-sociata alla funzione f(x) = x nell’intervallo [0, 2π] e una funzione ”a sega”che si guarda bene dall’essere continua.

Ricordiamo tuttavia che molto spesso noi non parliamo veramente difunzioni, ma piuttosto di classi di equivalenza di funzioni, dove due funzionisono equivalenti quando differiscono in un insieme di misura nulla. Questo

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0.1. PRIMA LEZIONE 5

e il caso quando consideriamo elementi degli spazi Lp, 1 ≤ p ≤ ∞, che conun piccolo abuso di linguaggio sono spesso indicati come ”funzioni in Lp”.Cambiare il valore di una funzione in un punto non ne cambia la classe diequivalenza, dal momento che i punti hanno misura nulla.

Possiamo quindi liberamente identificare le funzioni periodiche con fun-zioni definite nell’intervallo [0, 2π] quando trattiamo di ”funzioni” (o meglio,classi di equivalenza di funzioni) in Lp, mentre le funzioni continue e pe-riodiche si identificano solo con le funzioni continue definite sull’intervallo[0, 2π] che hanno valori uguali agli estremi dell’intervallo.

Osserviamo infine che l’intervallo [0, 2π] e stato scelto per convenienza,perche la restrizione a qualsiasi intervallo di lunghezza 2π determina univo-camente una funzione periodica di periodo 2π. Un’altra scelta frequente neilibri di testo e l’intervallo [−π, π].

L’osservazione che segue non fa parte del programma del corso e puo(e forse deve) essere omessa. Serve a dar conto di un possibile approccioalternativo all’analisi di Fourier, che puo ben trovarsi in alcuni testi classici,ad esempio la monografia di Y. Katznelson ”An introduction to harmonicanalysis”.

Osservazione 1 Ci si potrebbe chiedere: perche mai insistiamo tanto sullefunzioni periodiche, quando poi, in effetti, siamo prevalentmente interessatia funzioni appartenenti agli spazi di Lebesgue Lp([0, 2π]), (0 ≤ p ≤ ∞ edefinite a meno di insiemi di misura di Lebesgue nulla. Tutti gli elementi diLp, infatti, possono essere ridefiniti in uno degli estremi dell’intervallo [0, 2π]in modo da risultare restrizioni a questo intervallo di funzioni periodiche diperiodo 2π. Abbiamo osservato che questa ridefinizione potrebbe trasformarefunzioni continue in funzioni con una discontinuita di prima specie. Ma,senza parlare di funzioni periodiche, basterebbe limitare la nostra trattazionealle funzioni in Lp, e alle funzioni continue che assumono lo stesso valoreagli estremi dell’intervallo [0, 2π]. In realta il ricorso alla ”periodicizzazione”delle funzioni definite su [0, 2π] si rende utile, se non necessario per definiresu questo intervallo una somma per la quale valga la (1). Infatti se la funzioneintegrata nella (1) e periodica ha senso considerare f(x + y), anche se x +y /∈ [0, 2π]. Un modo alternativo per arrivare alla (1) consiste nel partiredall’intervallo semiaperto [0, 2π), definire su questo intervallo una somma”modulo 2π”, che potremmo indicare con x+y, in modo che x+y coincidacon x + y se quest’ultimo punto cade nell’intervallo [0, 2π], mentre x+y =x+y−2π se x+y cade fuori dello stesso intervallo. Anche la distanza di duepunti x, y ∈ [0, 2π) puo essere a questo punto ridefinita in modo che risulti,ad esempio, d(x, y) = |eix − eiy|. Rispetto a questa distanza una successionedi punti xn converge ad un x 6=, 0, 2π se e solo se converge rispetto alla

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ordinaria distanza in [0, 2π), mentre converge a 0 se e solo se eixn convergead uno. L’intervallo [0, 2π), dotato di questa somma e di questa distanza sichiama toro unidimensionale e si indica spesso con T.

Ricordiamo ora che lo spazio L2 = L2([0, 2π]) e uno spazio di Hilbertrispetto al prodotto interno

(f, g) =1

∫ 2π

0

f(g) g(x) dx.

Dimostriamo ora che le funzioni {einx : n ∈ Z} formano un sistema ortonor-male. E’ sufficiente osservare che

1

∫ 2π

0

eikx dx =1

∫ 2π

0

cos kx dx + i1

∫ 2π

0

sin kx dx = 0,

se k 6= 0, mentre, ovviamente, l’integrale vale uno se k = 0.In altre parole

1

∫ 2π

0

einxe−imxdx = 0,

se n 6= m, mentre questo stesso integrale vale uno se n = m.Dimostreremo in queste lezioni che questo sistema e completo.Per una funzione f ∈ L2 (o anche appartenente ad L1) conviene introdurre

la notazione

f(n) =1

∫ 2π

0

f(x) e−inx dx. (2)

I numeri f(n) si chiamano coefficienti di Fourier della funzione f .Dimostrare che il sistema ortonormale {einx} e completo significa allora

dimostrare che, nella norma di L2, risulta

limn→∞

n∑

k=−n

f(k)eikx = f.

La teoria degli spazi di Hilbert ci permette di affermare che perche questaaffermazione sia vera e sufficiente che dimostrare che un elemento f ∈ L2,tale che

f(n) = (f, einx) = 0,

e necessariamente zero quasi ovunque.Prima di affrontare questa dimostrazione possiamo considerare in generale

le somme del tipo,n∑

k=−n

ckeikx. (3)

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0.1. PRIMA LEZIONE 7

Osserviamo che se f =∑n

k=−n ckeikx, allora f(k) = ck.

Osserviamo anche che se

ck =1

∫ 2π

0

f(x)e−ikx dx,

ed f assume valori reali, allora ck = c−k, per cui sono a valori reali le stessesomme (2). Infatti risulta, per k ≥ 0,

ckeikx + c−ke

−ikx = ak cos kx + bk sin kx,

dove

ck =1

2(ak − ibk),

e

ak =1

π

∫ 2π

0

f(x) cos kx dx,

e

bk =1

π

∫ 2π

0

f(x) sin kx dx.

Pertanton∑

k=−n

ckeikx =

a0

2+

n∑

k=1

ak cos kx + bk sin kx. (4)

Quando si trattano funzioni a valori reali si utilizzano spesso le somme a sec-ondo membro della (4), anziche quelle a primo membro. In questo contesto,anche i numeri ak e bk si chiamano coefficienti di Fourier della funzione (reale)f . Sempre nel contesto di funzioni a valori reali puo essere conveniente utliz-zare anche il sistema ortogonale costituito dalla funzione identicamente unoe le funzioni sin kx e cos kx, con k intero positivo. Dobbiamo pero ricordareche cos2 kx e sin2 kx hanno integrale π su ogni intervallo di lunghezza 2π. Se,come abbiamo indicato prima, il nostro prodotto interno e

(f, g) =1

∫ 2π

0

f(x)g(x)dx,

le norme di cos kx e sin kx nello spazio di Hilbert L2 risulteranno 1/√

2.Ritorniamo ora al sistema ortonormale {einx : n ∈ Z} e allo spazio L2 a

valori complessi. Supponiamo quindi che f ∈ L2 = L2(0, 2π).La serie

+∞∑n=−∞

f(n)einx, (5)

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o, per funzioni a valori reali e con i coefficienti ak e bk definiti come sopra, laserie

a0

2+

∞∑

k=1

ak cos kx + bk sin kx, (6)

si chiamano serie di Fourier della funzione f .E’ naturale chiedersi sotto quali condizioni queste serie convergono e se

convergono alla funzione f . Stiamo parlando, naturalmente, della conver-genza, sperabilmente ad f delle somme parziali

Sn(f) =n∑

k=−n

f(k)eikx,

La risposta piu soddisfacente in merito alla convergenza di queste sommela si ottiene nel contesto dello spazio L2. In questo contesto, cioe rispettoalla norma di L2 la successione Sn converge sempre ad f . Come abbiamogia osservato questo risultato si ottiene ”gratis” dalla teoria degli spazi diHilbert, non appena si dimostra che il sistema ortonormale eikx e completo. E’pero interessante osservare che ipotesi non troppo restrittive su f implicanola convergenza punto per punto o addirittura uniforme della successione difunzioni Sn(f), come verra accennato nella prossima sezione. Vale anche lapena di ricordare che per poter definire la serie di Fourier di una funzionef e sufficiente che la funzione sia integrabile (anche se in generale le sommeparziali non convergono nella norma L1.) Non si richiedono quindi condizionistringenti di regolarita, come avviene invece quando si definisce la serie diTayor di una funzione.

Infine osserveremo che nel caso delle serie di Fourier (ed altre serie basatesu un sistema ortonormale completo) non si richiede la convergenza uniformeper integrare la serie ”termine a termine”.

0.2 SECONDA LEZIONE

Supponiamo che f e g siano due funzioni integrabili sull’intervallo [0, 2π].Come al solito le consideriamo prolungate a funzioni periodiche di periodo2π definite su tutta la retta reale. In tal modo possiamo, per ogni y ∈ Rconsiderare f(x−y) o g(x−y). Puo aver senso quindi considerare l’integrale

f ∗ g(x) =1

∫ 2π

0

f(x− y)g(y)dy. (7)

Ho detto ”puo aver senso” perche non e detto che per ogni x la funzionef(x − y)g(y) risulti integrabile rispetto ad y. In effetti non e vero che il

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0.2. SECONDA LEZIONE 9

prodotto punto per punto di due funzioni di L1 sia ancora in L1. Un con-troesempio e fornito, sull’intervallo [0, 1] dalla funzione f(x) = x−1/2 il cuiquadrato non ha integrale finito.

In effetti e possibile (ma non facilissimo) dimostrare che se f e g sonoelementi di L1, la funzione f(x − y)g(y) e integrabile (rispetto ad y) per”quasi ogni x” cioe per tutti gli x che non appartengono ad un insieme dimisura di Lebesgue nulla e che la funzione f ∗ g(x) (definita quasi ovunque)che ne risulta e integrabile, cioe appartiene ancora ad L1.

La funzione f ∗ g definita dalla (7) si chiama allora convoluzione di f e g.Affrontiamo nel seguente esercizio (che non e obbligatorio svolgere ora, ma

che sara svolto quando ci servira utilizzarlo) il problema della convoluzionedi due funzioni in L1. Poi passeremo al caso, molto piu semplice, dellaconvoluzione di due funzioni in L2.

Esercizio 5 Dimostrare che se f, g ∈ L1, allora per quasi ogni x esistel’integrale

f ∗ g(x) =1

∫ 2π

0

f(x− y)g(y)dy,

e la funzione f ∗ g cosı definita quasi ovunque appartiene ad L1.

L’esercizio puo essere facilmente svolto applicando il teorema di Fubini nellaforma di Tonelli alla funzione di due variabili |f(x − y)g(y)|, e invertendol’ordine dell’integrazione. L’unica difficolta (ignorata dalla maggior parte deilibri di testo) e quella di dimostare che la funzione di due variabili f(x −y) e misurabile nell’ipotesi che sia misurabile la funzione f(x) di una solavariabile. In altre parole bisogna dimostrare che se E e un sottoinsiememisurabile di R l’insieme E2 = {(x, y) : x − y ∈ E} e misurabile in R2.L’insieme E2 e l’immagine inversa di un insieme misurabile E rispetto allatrasformazione continua (x, y) 7→ x − y ma non e vero in generale che laimmagine inversa di un misurabile rispetto ad una trasformazione continuasia misurabile. In questo caso e proprio cosı. Basta infatti dimostrare che seE ⊂ R e di misura nulla (cioe contenuto in aperti di misura arbitrariamentepiccola) anche E2 ha misura nulla. Ritorneremo sullo svolgimento di questoesercizio quando ci servira.

Non e difficile dimostrare che l’operazione ∗ e commutativa ed as-sociativa e che gode della proprieta distributiva rispetto alla somma di duefunzioni.

Una volta dimostrato che la convoluzione di due funzioni in L1 e ancorauna funzione in L1 avremo che questo spazio diviene un’algebra di Banachcommutativa, cioe uno spazio di Banach nel quale e definito un prodotto cherisulta associativo, commutativo e distributivo rispetto alla somma.

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Sospendiamo per il momento l’analisi del caso L1 e torniamo al caso moltopiu semplice che veramente ci interessa in questo momento, cioe il caso incui f, g ∈ L2. In questo caso la convoluzione f ∗ g e addirittura una funzionecontinua, come asserito nel teorema che segue.

Teorema 1 Se f e g sono due funzioni di quadrato sommabile allora, perogni x ∈ R la funzione f(x − y)g(y) risulta integrabile rispetto ad y e lafunzione f ∗ g(x) definita dalla (7) risulta continua.

Per dimostrare il teorema utilizzeremo (dopo averlo dimostrato) un lemmaimportante che ci sara utile anche nel seguito.

Lemma 1 . Se f ∈ L2, la trasformazione s 7→ fs e continua da R a L2.

dimostrazione del lemma. Osserviamo che se f e continua e quindiuniformemente continua, la trasformazione s 7→ fs e uniformemente contin-ua da R allo spazio C delle funzioni continue e periodiche, con la normadell’estremo superiore. Ricordiamo infatti che in virtu dell’uniforme conti-nuita, per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che se |s − t| < δ risulta per ognix, |fs(x) − ft(x)| < ε. Osserviamo ora che le funzioni continue e periodichesono dense in L2, pertanto, se f ∈ L2 e ε > 0 possiamo trovare una funzioneg ∈ C, tale che ‖f − g‖2 < ε/3. Scegliamo poi δ > 0 tale che |s − t| < δimplichi maxx |gt(x)− gs(x)| < ε/3. Ne segue allora che

‖ft − fs‖2 ≤ ‖ft − gt‖2 + ‖gt − gs‖2 + ‖gs − fs‖2 < ε.

Abbiamo usato l’invarianza per traslazione dell’integrale che ci assicurache ‖ft − gt‖2 = ‖fs − gs‖2 = ‖f − g‖2, ed il fatto che per una funzionecontinua la norma dell’estremo superiore e maggiore o uguale alla normadello spazio L2.

dimostrazione del teorema. Osserviamo che

|f(x− y)g(y)| ≤ 1

2(|f(x− y)|2 + |g(y)|2).

Quindi, per ogni x, il prodotto f(x− y)g(y) e integrabile, ed e ben definita,per ogni x, la funzione f ∗ g(x). Per dimostrare che si tratta di una funzionecontinua, introduciamo la notazione f(x) = f(−x) e osserviamo che f ∈ L2

se e solo se f ∈ L2, con la stessa norma. Allora,

|f ∗ g(x)− f ∗ g(z)| ≤ 1

∫ 2π

0

|fx(y)− fz(y)||g(y)|dy ≤ ‖fx − fz‖2‖g‖2.

Se ε > 0, in virtu del Lemma precedente, possiamo trovare δ > 0 tale che‖fz − fx‖ < ε. Questo conclude la dimostrazione del teorema.

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0.2. SECONDA LEZIONE 11

Osservazione 2 Osserviamo che la continuita della trasformazione s 7→ fs

si riscontra anche quando f appartiene ad uno spazio Lp con 1 ≤ p < ∞.Si applica la stessa dimostrazione del Lemma 1, tenuto conto del fatto chelo spazio delle funzioni continue e periodiche e denso in Lp. Se f ∈ L∞

invece non e vero in generale che la trasformazione s 7→ fs sia continua. Sipuo dimostrare che questa trasformazione e continua se e solo se f e quasiovunque uguale ad una funzione continua cioe la classe di equivalenza f nellospazio L∞ contiene una (e necessariamente una sola) funzione continua.

Esercizio 6 Dimostrare che la classe di equivalenza di una funzione f ∈L∞ non puo contenere piu di una funzione continua, e che se contiene unafunzione continua, il massimo del modulo di questa funzione continua e lanorma ‖f‖∞

Le funzioni einx godono di una importante proprieta con riferimento allaconvoluzione. Risulta infatti che:

1

∫ 2π

0

ein(x−y)f(y) dy = f(n)einx. (8)

In altre parole la convoluzione di einx con qualsiasi funzione f integrabile daluogo ad un multiplo di einx e la costante che moltiplica einx e proprio f(n).Ne segue che se

h(x) =n∑

k=−n

ckeikx,

e f euna funzione integrabile, allora,

h ∗ f(x) =n∑

k=−n

ckf(k)eikx,

Risulta allora che anche una somma parziale della serie di Fourier di una fun-zione integrabile puo essere espressa come una convoluzione. Introduciamoa questo scopo una funzione speciale denominata ”nucleo di Dirichlet”.

Definizione 2 La funzione

Dn(x) =n∑

k=−n

eikx,

si chiama nucleo di Dirichlet di ordine n.

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Risulta alloran∑

k=−n

f(k)eikx = Dn ∗ f(x).

Osserviamo a questo punto che, se x 6= 0

Dn(x) =∑

|k|≤n

eikx = e−inx

2n∑

k=0

eikx = e−inx e(2n+1)ix − 1

eix − 1=

e−ix/2e−inx e(2n+1)ix − 1

eix/2 − e−ix/2=

e(n+1/2)ix − e−(n+1/2)ix

eix/2 − e−ix/2=

sin(n + 1/2)x

sin(x/2)(9)

Per x = 0 ricordiamo che Dn(0) = 2n + 1. E giustamente risulta che

limx→0sin(n+1/2)x

sin(x/2)= 2n + 1.

Anche se alla fine dimostreremo che limn Dn ∗ f = f se f ∈ L2 ed illimite e inteso nella norma di L2, lo stesso non si puo dire quando f ∈ L1

ed il limite e inteso nella norma di L1, ne vale la stessa convergenza per lefunzioni continue (e periodiche) nella norma dell’estremo superiore. Esistepero un modo alternativo di ”sommare” la serie di Fourier che da buonirisultati anche per L1 e per lo spazio delle funzioni continue (ma non, comevedremo per L∞.)

Definizione 3 La funzione

Kn(x) =1

n(D0 + D1 + · · ·+ Dn−1) =

1

n

n−1∑

k=0

sin(k + 1/2)x

sin(x/2),

Si chiama nucleo di Fejer.

Lemma 2

Kn(x) =1

n

sin2(nx/2)

sin2(x/2).

dimostrazione. Osserviamo che

sin(k + 1/2)x = =(ei(k+1/2)x.)

Pertanto

Kn(x) =1

n

=(eix/2∑n−1

k=0 eikx)

sin(x/2).

Sommando la serie geometrica si ottiene:

eix/2

n−1∑

k=0

eikx =einx − 1

eix/2 − e−ix/2.

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0.2. SECONDA LEZIONE 13

Ne segue, utilizzando la ”formula di bisezione” (1− cos nx)/2 = sin2(nx/2),che

=(einx − 1

eix/2 − e−ix/2) =

sin2(nx/2)

sin(x/2),

che fornisce direttamente il risultato.Osserviamo ora che dalla definizione segue che i coefficienti di Fourier

Dn(k) del nucleo di Dirichlet assumono il valore 1 se |k| ≤ n ed il valore0, altrimenti. Nella sostanza la funzione Dn(k) come funzione definita sugliinteri e la funzione caratteristica dell’intervallo [−n, n].

Come saranno invece i coefficienti di Fourier del nucleo di Fejer Kn?Saranno certamente zero per |k| ≥ n, perche tutti gli addendi nella sommache definisce Kn hanno coefficienti di Fourier nulli per |k| ≥ n. Ma all’internodell’intervallo [−k, k] la funzione Kn(k) avra un grafico ”triangolare”, cioeKn(k) = (1− |k|/n), in altre parole

Kn(x) =n∑

k=−n

(1− |k|n

)eikx.

Osserviamo ora che

Kn ∗ f(x) =n∑

k=−n

(1− |k|n

)f(n).

Pertanto,

‖Kn ∗ f‖22 =

n∑

k=−n

(1− |k|n

)2|f(k)|2 ≤n∑

k=−n

|f(k)|2 ≤ ‖f‖2. (10)

Un risultato analogo vale per lo spazio L1:

‖Kn ∗ f‖1 =1

∫ 2π

0

|Kn ∗ f(x)|dx ≤ 1

∫ 2π

0

1

∫ 2π

0

|Kn(x− y)f(y)|dydx.

e percio

‖Kn ∗ f‖1 ≤ 1

∫ 2π

0

1

∫ 2π

0

Kn(x− y)|f(y)|dxdy = ‖f‖1. (11)

Il nucleo di Fejer ha due proprieta importanti. La prima e che e unafunzione non negativa, cioe non assume mai valori negativi. Questo implicatra l’altro che il suo integrale e anche la sua norma in L1. L’altra proprietaimportante e la seguente:

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14

Per ogni δ > 0lim

n→∞max

δ≤x≤2π−δKn(x) = 0.

Queste due proprieta si deducono dall’espressione del nucleo di Fejerindicata nel Lemma, dal momento che per 0 < δ ≤ x ≤ 2π − δ, risulta

Kn.(x) ≤ 1

n

1

sin2 δ/2.

Vediamo ora come sono proprio queste due proprieta che forniscono ladimostrazione del prossimo lemma.

Lemma 3 . Se f e una funzione continua a periodica, allora

limn

Kn ∗ f(x) = f(x),

uniformemente.

dimostrazione. Sia ε > 0 dobbiamo mostrare che esiste un indice N, taleche per n > N risulta per tutti gli x,

|f(x)− 1

∫ 2π

0

Kn(y)f(x− y) dx| < ε, (12)

Utilizzando il fatto che l’integrale di Kn vale uno possiamo scrivere

f(x) =1

∫ 2π

0

f(x)Kn(y)dy.

Ne segue che il primo membro della (12) si puo scrivere come,

| 1

∫ 2π

0

Kn(y)(f(x)− f(x− y))dy|. (13)

Sia ora ε > 0. Poiche f e uniformemente continua esiste δ > 0 tale che se|y| < δ, allora |f(x) − f(x − y)| < ε/2. Il termine che compare nella (13) emaggiorato allora da

1

∫ 2π−δ

δ

Kn(x)|f(x)−f(x−y)|dy +1

Kn(x)|f(x)−f(x−y)|dy, (14)

Dove Iδ = [0, δ] ∪ [2π − δ, 2π]. Il secondo itegrale che compare nella (14) emaggiorato da ε/2, perche l’integrale di Kn e uno su tutto l’intervallo, e non

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0.2. SECONDA LEZIONE 15

puo essere maggiore di uno su Iδ. La seconda proprieta del nucleo di Fejer cipermette di trovare un indice N tale che per n > N , risulti

maxx/∈Iδ

Kn(x) <ε

4 maxt |f(t)| .

Per n > N risulta quindi che il primo integrale che compare nella (14) emaggiorato da ε/2. Concludiamo che per n > N si ha, per ogni x,

|Kn ∗ f(x)− f(x)| < ε/2.

Corollario 2 Se f ∈ L2, allora, nella norma di L2,

limn

Kn ∗ f = f.

dimostrazione. Abbiamo osservato che ‖Kn∗u‖2 ≤ ‖u‖2, per ogni u ∈ L2.Usiamo il fatto che le funzioni continue costituiscono un sottospazio densodi L2 e che la norma dell’estremo superiore maggiora la norma di L2. Siaf ∈ L2 e ε > 0, scegliamo g continua tale che ‖f − g‖2 < ε/3. Sia N taleche n > N implica che supx |g(x)−Kn ∗ g(x)| < ε/3. Dal fatto che la normadell’estermo superiore maggiora la norma di L2, segue allora che

‖Kn ∗ f − f‖2 ≤ ‖Kn ∗ (f − g)‖2 + ‖Kn ∗ g− g‖2 + ‖g− f‖2 ≤ 3‖f − g‖2 < ε.

Corollario 3 Se f ∈ L1, allora nella norma di L1,

limn

Kn ∗ f = f.

dimostrazione. Il Corollario si dimostra come il precedente utilizzando ladensita delle funzioni continue in L1, ed il fatto che ‖Kn ∗ u‖1 ≤ ‖u‖1, perogni u ∈ L1‖1.

Corollario 4 Il sistema {einx} e completo in L2.

dimostrazione. Basta dimostrare che un elemento di L2 che e ortogonalea tutti gli elementi einx e necessariamente zero. In altre parole se f ∈ L2, ef(n) = 0, allora f e l’elemento nullo. Ma se f(n) = 0 per tutti gli n, risultaanche Kn ∗ f = 0, per ogni n. Poiche Kn ∗ f converge ad f , in norma, deveessere f = 0.

Osservazione 3 Bisogna osservare che anche per f ∈ Lp e 1 ≤ p < ∞ lasuccessione Kn ∗ f converge ad f nella norma di Lp. Per la dimostrazione,nel caso p = 1 e p = 2 abbiamo usato la densita delle funzioni continue in L1

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16

e in L2, ed inoltre le disuguaglianze ‖Kn ∗ f‖1 ≤ ‖f‖1 e ‖Kn ∗ f‖2 ≤ ‖f‖2.In effetti questi ingredienti sono disponibili anche nel caso di 1 ≤ p < ∞. Ineffetti, se 1 ≤ p < ∞, f ∈ Lp, e k ∈ L1 vale la disuguglianza

‖k ∗ f‖p ≤ ‖k‖1‖f‖p.

Un modo per dimostrare questa disuguaglianza e quello di considerare

k ∗ f(x) =1

∫ 2π

0

fy(x) k(y)dy.

come un integrale (di Riemann-Stjelties) della funzione uniformementecontinua y 7→ fy rispetto alla misura k(y)dy. Infatti la dimostrazione classicadell’esistenza dell’integrale delle funzioni uniformemente continue a valorireali, puo essere adattata al caso di funzioni uniformemente continue a valoriin uno spazio di Banach, come Lp.

Esercizio 7 . Dimostrare che se f ∈ L∞, ha la proprieta che la funzioney 7→ fy e continua, allora la classe di equivalenza di f contiene una funzionecontinua. (Suggerimento: dimostrare che l’ipotesi implica che limn→∞ Kn ∗f = f , nella norma di L∞, e utilizzare l’esercizio precedente per osservareche Kn ∗ f e una successione di Cauchy nello spazio delle funzioni continuecon la norma dell’estremo superiore.)

0.3 TERZA LEZIONE

Una conseguenza importante della convergenza in norma della successioneKn ∗ f(x) per f ∈ L1, e il cosiddetto teorema di unicita:

Teorema 5 Se f ∈ L1 e, per tutti gli n ∈ Z, f(n) = 0, allora f = 0.

dimostrazione. L’ipotesi implica che

Kn ∗ f(x) =n∑

k=−n

(1− |k|n

)f(k) = 0.

Ne segue che f = limn Kn ∗ f = 0.Ricordiamo che per le funzioni continue (e periodiche) f la convergenza

uniformelim

n→∞Kn ∗ f = f,

si dimostra utilizzando le seguenti importanti proprieta di Kn:

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0.3. TERZA LEZIONE 17

1. Kn(x) ≥ 0, e l’integrale (normalizzato) di Kn su un intervallo di lunghez-za 2π e uguale ad uno

2. per ogni δ > 0, limn supδ≤x≤2π−δ Kn(x) = 0.

Dalla convergenza uniforme segue anche la convergenza in norma neglispazi Lp, con 1 ≤ p < ∞, in virtu del fatto che in questi spazi le funzionicontinue sono dense. In effetti, non e dfficile svolgere il seguente esercizio.

Esercizio 8 . Sia un una successione di funzioni continue e periodiche conle seguenti proprieta:

1. un(x) ≥ 0 e l’integrale (normalizzato) di un su un intervallo di lunghez-za 2π e uguale ad uno.

2. per ogni δ > 0, limn supδ≤x≤2π−δ un(x) = 0.

Allora limn un ∗f = f uniformemente se f e continua e limn un ∗f = f nellanorma di Lp se f ∈ Lp, con ≤ p < ∞.

Applicheremo il precedente esercizio ad un caso un po’ diverso, cioe alcaso in cui anziche avere una successione Pn abbiamo una famglia di funzioniassociate ad un indice continuo Pr con 0 ≤ r < 1 e si considera limr→1 Pr ∗f .Prima di introdurre Pr dimostriamo il seguente lemma.

Lemma 4 Siano f e g due elementi di L1 allora

f ∗ g(n) = f(n)g(n). (15)

dimostrazione.

f ∗ g(n) =1

1

∫ 2π

0

∫ 2π

0

f(x− y)g(y)e−inxdydx =

1

1

∫ 2π

0

∫ 2π

0

f(x− y)e−in(x−yg(y)e−inydxdy = f(n)g(n).

Oltre ad invertire l’ordine di integrazione, abbiamo utilizzato l’invarianzaper traslazione dell’integrale, ponendo nell’integrare rispetto alla variabile x,t = x− y con dt = dx, pur mantenendo lo stesso intervallo di integrazione.

Definizione 4 Per 0 ≤ r < 1, la funzione

Pr(x) =∞∑

n=−∞r|n|einx,

si chiama nucleo di Poisson.

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18

Lemma 5 .

Pr(x) =1− r2

(1− r cos x)2 + r2 sin2 x=

1− r2

1 + r2 − 2r cos x. (16)

Pertanto il nucleo di Poisson e non negativo, di integrale (normalizzato) uno,e se 0 < δ ≤ x ≤ 2π − δ,

Pr(x) ≤ 1− r2

(1− r cos δ)2 + r2 sin2 δ.

dimostrazione. Basta sommare le due serie geometriche per ottenere,

Pr(x) =1

1− reix+

re−ix

1− re−ix=

1− r2

(1− r cos x)2 + r2 sin2 x=, (17)

1− r2

1 + r2 − 2r cos x.

Segue allora direttamente l’enunciato del Lemma.Abbiamo quindi che Pr soddisfa le ipotesi dell’esercizio e

limr→1

Pr ∗ f(x) = limr→1

1

∫ 2π

0

1− r2

1 + r2 − 2r cos(x− y)f(y)dy =

limr→1

∞∑n=−∞

f(n)r|n|einx = f(x), (18)

uniformemente se f e continua e nella norma di Lp se f ∈ Lp.Si osservi che la funzione Pr ∗ f(x), puo essere interpretata come una

funzione della variabile z = reix appartenente al disco di centro l’origine e dimodulo uno. Il limite espresso dalla (18) puo essere interpretato come limiteper z che si avvicina radialmente alla frontiera del disco.

Un caso particolare importante e quello delle funzioni f che hanno co-efficienti di Fourier zero per valori negativi dell’intero n. In questo caso lafunzione di z = reix definita da Pr ∗f , risulta analitica nel disco e la funzionef rappresenta i suoi valori al bordo.

Torniamo ora al problema dela convergenza di

Dn ∗ f(x) =n∑

k=−n

f(neinx.

La completezza in L2 del sistema ortonormale {einx} ci garantisce che sef ∈ L2, Dn∗f converge in norma ad f . Quello che rende il caso L2 veramente

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0.3. TERZA LEZIONE 19

speciale e che la stessa norma in L2 di una funzione puo essere espressa intermini dei coefficienti di Fourier. Vale cioe, in virtu sempre della completezzadel sistema, l’uguaglianza di Plancherel:

∞∑n=−∞

|f(n)|2 =1

∫ 2π

0

|f(x)|2dx. (19)

E’ anche vero (ma non sara dimostrato in queste lezioni) che Dn ∗ fconverge in norma ad f , se f ∈ Lp con 1 < p < ∞. Ma nel caso di p 6= 2non esiste un modo semplice e chiaro di esprimere la norma in Lp attraversoi coefficienti di Fourier. Lo spazio L2 sembra proprio lo spazio giusto perstudiare e specialmente per applicare a problemi concreti le serie di Fourier.

Questo non significa che lo studio della convergenza della serie di Fourierin altri spazi non abbia interesse.

Cominciamo a dire che per p = 1 e p = ∞, esistono funzioni funzionirispettivamente in L1 ed in L∞, la cui serie di Fourier non converge nellanorma dello spazio cui appartiene la funzione. Anche questo importanterisultato non sara dimostrato in questi appunti.

Infine esistono anche funzioni continue e periodiche la cui serie di Fouriernon converge in tutti i punti, e meno che mai converge uniformemente.

Non tratteremo di questi risultati negativi. Cercheremo invece di fornirealcuni risultati positivi. Per trattare la convergenza uniforme ci serve unaltro risultato.

Lemma 6 Sia f una funzione periodica di periodo 2π. Supponiamo che laderivata Df di f esista in ogni punto ed appartenga a L1, allora

Df(n) = inf(n) (20)

dimostrazione. Integrando per parti e sfruttando la periodicita dellafunzione f(x)einx si ottiene:

1

∫ π

−π

Df(x)e−inxdx =f(x)e−inx

∣∣∣π

−π− −in

∫ π

−π

f(x)e−inxdx = inf(n).

Osservazione 4 Abbiamo tacitamente supposto che la integrazione per partisia possibile anche quando la derivata di una delle due funzioni non e contin-ua o quantomeno integrabile secondo Riemann (esistono funzioni derivabiliin ogni punto, ma la cui derivata non e integrabile secondo Riemann.) Inaltre parole abbiamo supposto che il teorema fondamentale del calcolo con-tinui a valere per funzioni la cui derivata e in L1 ma non e necessariamentecontinua, o integrabile secondo Riemann. Questo e vero ma potrebbe nonessere stato approfondito nella prima parte del corso di Analisi di Fourier.

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20

Introduciamo ora un importante sottospazio delle funzioni continue eperiodiche.

Definizione 5 Si indica con A lo spazio delle funzioni in f ∈ L1 i cuicoefficienti di Fourier soddisfano alla condizione:

∞∑n=−∞

|f(n)| < ∞. (21)

Osserviamo subito che l’appartenenza ad A implica che la serie di Fourier

∞∑n=−∞

f(n)einx,

converge uniformemente. Converge quindi ad una funzione continua g. Possi-amo considerare allora la funzione f−g che appartiene a L1 ed ha coefficientidi Fourier tutti zero. Questa funzione non po essere che zero. In altre parolef − g = 0 quasi ovunque. Con un lieve abuso di linguaggio possiamo direche f e continua. In altre parole lo spazio A consiste di funzioni continue lacui serie di Fourier converge uniformemente. Una condizione sufficiente perl’appartenenza a A, e quella indicata nel seguente lemma.

Lemma 7 Se f e una funzione continua la cui derivata esiste ovunque eappartiene ad L2, allora f ∈ A.

dimostrazione. Basta dimostrare che∑∞

n=−∞ |f(n)| < ∞. Osserviamoperaltro che

0 6=n∈Z|f(n)| =

06=n∈Z

|inf(n)||n| ≤ (

06=n∈Z(1/n)2)1/2(

n∈Z|Df(n)|2)1/2 < ∞.

Abbiamo utilizzato la disuguglianza di Bessel applicata alla funzione Df ∈L2, ed il fatto che la somma sugli interi diversi da zero di 1/n2 e finita.

0.4 QUARTA LEZIONE

C’e un’altra conseguenza della convergenza in norma della successione Kn∗f ,per f ∈ L1 che conviene sottolineare. E’ il cosiddetto teorema (o lemma) diRiemann-Lebesgue.

Teorema 6 Se f ∈ L1, allora lim|n|→∞ f(n) = 0.

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0.4. QUARTA LEZIONE 21

dimostrazione. Se ε > 0, esiste N tale che per n > N risulta ‖Kn ∗ f −f‖1 < ε. Ne segue che per n > N risulta

|f(n)| = |f(n)− f(n)Kn(n)|+ |f(n)Kn(n)| < ε,

dal momento che Kn(n) = 0 e |f(n)− f(n)Kn(n)| ≤ ‖f −Kn ∗ f‖1.Il teorema di Riemann-Lebesgue e l’ingrediente principale per la dimostrazione

del seguente risultato sulla convergenza delle serie di Fourier.

Teorema 7 Sia f ∈ L1 e supponiamo che, per x fissato, la funzione (di y),

f(x + y)− f(x)

y,

appartenga a L1, allora

∞∑

k=−∞f(k)eikx = lim

n→∞

n∑

k=−n

f(k)eikx = f(x). (22)

dimostrazione. Per x fissato consideriamo la funzione

g(x, y) =f(x + y)− f(x)

eiy − 1.

Osserviamo che, sempre per x fissato, e rispetto alla variabile y, questafunzione appartiene a L1, per ipotesi, dal momento che

g(x, y) =f(x + y)− f(x)

y

y

eiy − 1,

e la funzioney

eiy − 1,

e limitata nell’intervallo [−π, π]. D’altra parte

f(x + y) = f(x) + eiyg(x, y)− g(x, y). (23)

Sempre per x fissato, calcoliamo ora i coefficienti di Fourier di ambo i lati dellaeguaglianza (23) ricordando che f(x + y) = f−x(y) e che f−x(k) = f(k)eikx.Otteniamo allora:

f(k)eikx = f(x)1

∫ π

−π

e−ikydy + g(x, k − 1)− g(x, k), (24)

dove g(x, k) e, per x fissato, il coefficiente di Fourier di ordine k della funzionedi y, g(x, y).

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22

Sommando ambo i lati della (24) da −n ad n, e ricordando che l’integraledi eikx e zero se k 6= 0, si ottiene

n∑

k=−n

f(k)eikx = f(x)+n∑

k=−n

g(x, k−1)−g(x, k) = f(x)+g(x,−n−1)−g(x, n).

(25)Poiche g(x, y) ∈ L1 come funzione della sola y i coeffcienti g(x,−n − 1) eg(x, n) tendono a zero per il Teorema di Riemann-Lebesgue. La dimostrazionee cosı conclusa.

Corollario 8 . Se f e una funzione continua e derivabile in un punto x,allora la sere di Fourier di f converge in x.

dimostrazione. E’ una conseguenza immediata del teorema.Il Corollario che segue afferma la convergenza della serie di Fourier anche

per funzioni che non sono necessariamente derivabili. Ad esempio le funzionilineari a tratti soddisfano l’ipotesi del corollario, con α = 1.

Corollario 9 Supponiamo che per α > 0 e M > 0 la funzione periodica fsoddisfi, per tutti ix1 ed x2, la condizione:

|f(x1)− f(x2)| ≤ M |x1 − x2|α, (26)

allora la serie di Fourier di f converge ad f .

dimostrazione. La condizione implica che, per ogni x,

|f(x + y)− f(x)

y| ≤ M |y|α−1,

che a sua volta implica l’ipotesi del teorema poiche la funzione |y|α−1 eintegrabile nell’intervallo [−π, π].

La condizione indicata nel corollario si chiama ”condizione di Holder diordine α. Quando α = 1 si parla di ”Condizione di Lipschtiz”. Per α > 1la condizione implica che la derivata di f si annulla in ogni punto ed f edunque costante.

Un’altra conseguenza importante del teorema di Riemann-Lebesgue e laseguente.

Teorema 10 . Se f ∈ L1 si annulla in un intorno di un punto x0, allorala sua serie di Fourier converge uniformemente a zero in un intorno dellostesso punto.

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0.4. QUARTA LEZIONE 23

dimostrazione. Supponiamo prima di tutto che x0 = 0, e che f(y) = 0, per|y| < δ. Le somme parziali della serie di Fourier di f si esprimono attraversoil nucleo di Dirichlet:

Sn(x) = Dn ∗ f(x) =1

∫ π

−π

f(x + y)sin(n + 1/2)y

sin(y/2)dy.

Siccome f(x + y) = 0 se |x| < δ e |y| < δ, le funzioni:

f1(y) =f(x + y)eiy/2

2i sin(y/2)

e

f2(y) =f(x + y)e−iy/2

2i sin(y/2),

appartengono ad L1. Pertanto

Sn(x) = 1/2π

∫ π

−π

f(x + y)

sin(y/2)

eiπ/2einy − e−iπ/2e−iny

2i= f1(−n)− f2(n).

Il Teorema 7 ci dice che i coefficienti di Fourier di f1 ed f2 tendono a ze-ro, pertanto Sn(x) converge a zero per n → ∞, se |x| < δ/2. Resta dadimostrare che la convergenza e uniforme. Osserviamo ora che le funzioniSn(x), sono non solo continue, ma, nell’intervallo |x| < δ/2, ”uniformementeequicontinue” al variare di n. In altre parole dato ε > 0 esiste η > 0, taleche se x1, x2 ∈ (−δ/2, δ/2) e |x1 − x2| < η allora |Sn(x1) − Sn(x2)| < ε, pertutti gli n. Infatti

|Sn(x1)− Sn(x2)| ≤ 1

π≥|y|≥δ/2

|f(x1 + y)− f(x2 + y)||sin(n + 1/2)y

sin y/2|dy

≤ ‖f−x1 − f−x2‖1(sin(δ)−1.

La funzione x 7→ fx e uniformente continua. Basta quindi scegliere η tale che|x1 − x2| < η implichi

‖f−x1 − fx2‖1 < ε sin δ,

per ottenere |Sn(x1)−Sn(x2)| < ε, per tutti gli n. E’ facile adesso dimostrareche la convergenza di Sn a zero nell’intervallo (−δ/2, δ/2) e uniforme. Datoε > 0, si ricopre l’intervallo con un numero finito di intervalli di lunghezza< η tale che se due punti |x1 − x2| < η risulta |Sn(x1) − Sn(x2)| < ε/2,per tutti gli n. Si sceglie poi N in modo che su ciascuno dei centri degliintervalli predetti risulti |Sn(x)| < ε/2, quando n > N . Risulta allora cheogni x ∈ (−δ, δ) ha distanza da un centro degli intervalli predetti minore di

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24

η. Da questo segue che |Sn(x)| < ε, per n > N ed ogni x(−δ/2, δ/2). Il casoin cui x0 6= 0 si tratta applicando il regionamento che precede alla funzionef−x0 = f(x + x0).

Nell’ultima parte della dimostrazione abbiamo utilizzato un argomentoche conviene esplicitare nella seguente osservazione.

Osservazione 5 Sia Sn(x) una successione di funzioni continue definite suun intervallo [a, b], che converge punto per punto a zero, supponiamo che perogni ε > 0 esista η > 0 tale che, per ogni n, la condizione |x1 − x2| < ηimplica che per ogni n, |Sn(x1)− Sn(x2)| < ε, allora la convergenza di Sn azero e uniforme.

dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni ε > 0, esiste un interopositivo N tale che, se n > N , risulta |Sn(x)| < ε. Possiamo scegliere η > 0tale che, per ogni n, |x1−x2| < ε implichi |Sn(x1)−Sn(x2)| < ε/2. Scegliamopoi una partizione a = a0 < a1 < . . . ak = b dell’intervallo [a, b] in modo chetutti gli intervalli [ai, ai+1] della partizione abbiano lunghezza minore di η.Poiche per ogni x, Sn(x) tende a zero, possiamo scegliere N in modo chen > N implichi |Sn(aj)| < ε/2, per tutti i j da 0 a k. Ne segue che sea ≤ x ≤ b, il punto x appartiene ad uno degli intervalli [aj, aj+1] ed haquindi distanza minore di η da uno dei punti aj. Pertanto, se n > N , allora|Sn(x)| ≤ |Sn(x)− Sn(aj)|+ |Sn(aj)| < ε/2 + ε/2 = ε.

0.5 QUINTA LEZIONE

In questa lezione ci proponiamo di studiare il comportamento della serie diFourier di una funzione in un punto di discontinuita. Dimostreremo cioe ilseguente teorema:

Teorema 11 Sia f una funzione periodica derivabile in tutti i punti dell’in-tervallo [−π, π) eccetto che nel punto y, dove la funzione ha una discontinuitadi prima specie. Supponiamo che esistano i limiti:

limx→y+

f(x) = f+(y),

limx→y−

f(x) = f−(y),

limx→y+

f(x)− f+(y)

x− y

limx→y−

f(x)− f−(y)

x− y.

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0.5. QUINTA LEZIONE 25

Allora ∞∑n=−∞

f(n)einy =f+(y) + f−(y)

2.

Premettiamo alla dimostrazione del teorema un lemma elementare, chene e un caso particolare.

Lemma 8 Siano a e b due numeri reali e sia f(a,b) la funzione che vale anell’intervallo (−π, 0) e vale b nell’intervallo (0, π) (il valore in zero puoessere fissato arbitrariamente). Allora

∞∑n=−∞

f(a,b)(n) =a + b

2.

dimostrazione del lemma. Consideriamo la funzione h(x) = f(a,b)− a+b2

.Osserviamo che h(−x) = f(b,a) − a+b

2, dove f(b,a) e la funzione che si ottiene

invertendo il ruolo di a e b. Ma

a− a + b

2= −(b− a + b

2).

Ne segue che h(−x) = −h(x) ed h e una funzione dispari. Questo significache nella serie di Fourier reale di f compaiono solo seni e che le sommeparziali della serie di Fourier di h si annullano in zero. In altre parole,

0 =n∑

k=−n

h(k) =n∑

k=−n

f(a,b)(n)− a + b

2.

Basta fare il limite per n →∞ per provare la tesi.dimostrazione del teorema. Supponiamo prima che y = 0. Poniamo

a = f−(0) e b = f+(0). Consideriamo la funzione f(a,b) definita nell’enunciatodel lemma che precede. Osserviamo che la funzione

g(x) = f(x)− f(a,b)(x), per x 6= 0, e g(0) = 0,

e continua, perche limx→0+ g(x) = limx→0− = 0. Inoltre la funzione

g(x)− g(0)

x=

g(x)

x,

e integrabile.Ne segue che per il Teorema 7 la serie di Fourier di g converge nel punto

0, e risulta∞∑

n=−∞g(n) = 0.

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26

D’altra partef = g + f(a,b).

Pertanto,

limn→∞

n∑

k=−n

f(n) = limn→∞

n∑

k=−n

g(n) + limn→∞

n∑

k=−n

f(a,b)(n) =f+(0) + f−(0)

2.

Questo completa la dimostrazione del teorema nel caso y = 0. Per il casoy 6= 0 basta considerare la funzione f−y(x) = f(x + y).

Abbiamo visto dunque che se la funzione f soddisfa alle ipotesi del Teore-ma precedente, le somme parziali Sn(x) della serie di Fourier di f convergonoper ogni x. Convergono cioe ad f(x) se x non e un punto di discontinuitadella funzione, e convergono alla media dei limiti a destra e sinistra, se y e ilpunto di discontinuita di prima specie. Ovviamente la convergenza non puoessere uniforme, perche se lo fosse Sn convergerebbe ad una funzione contin-ua. La mancata uniformita della convergenza puo essere in qualche modomisurata dando luogo ad un fenomeno che prende il nome di ”fenomeno diGibbs”. Questo ”fenomeno” puo essere descritto come segue:

Supponiamo che f+(y) > f−(y) e sia 0 < a = f+(y)−f−(y), allora esisteuna successione di punti xn < y che tende ad y, tale che Sn(xn) tende a βa,dove β e un numero che vale poco meno di 0, 09 .

Prima di lasciare le serie di Fourier vogliamo dare un’applicazione dellaformula di Plancherel.

Sia f la funzione periodica di periodo 2π che coincide con x sull’inter-vallo [0, 2π) (e pertanto f(2π) = 0). La uguaglianza di Bessel o formula diPlancherel ci dice che

(2π)2

3=

1

∫ 2π

0

x2dx =∞∑

n=−∞|f(n)|2. (27)

D’altra parte se n 6= 0,f(n) = i/n,

mentre f(0) = π. Ne segue che

(2π)2

3= π2 + 2

∞∑n=1

1

n2,

che fornisceπ2

6=

∞∑n=1

1

n2. (28)

Da questa formula e possibile, tra l’altro, ricavare valori approssimati diπ2.

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0.6. SESTA LEZIONE 27

0.6 SESTA LEZIONE

D’ora in avanti, per 1 ≤ p < ∞, lo spazio Lp sara lo spazio Lp(R) dellefunzioni misurabili definite, a meno di insiemi di misura nulla, su R e avalori complessi la cui potenza p-esima e integrabile. In altre parole,

R|f |pdx < ∞.

Lo spazio L∞ sara lo spazio delle funzioni definite a meno di misura nulla suR il cui estremo superiore essenziale e finito.

Ci interessera per il momento sopratutto lo spazio L1. Ricordiamo che,per funzioni appartenenti a L1 si usano indifferentemente le notazione

∫ +∞

−∞f(x)dx,

e ∫

Rf(x)dx.

La prima notazione ci ricorda che l’integrale di una funzione in L1 si puocalcolare come

limn→∞

∫ bn

an

f(x)dx,

se an e bn sono successioni di numeri reali tali che limn an = −∞ e limn bn =+∞. Questo fatto elementare si dimostra applicando il teorema di convergen-za dominata di Lebesgue alle funzioni fn(x) = χ[an,bn](x)f(x), che convergonopuntualmente ad f e sono dominate da |f |.

Una osservazione elementare e che l’integrale e invariante per traslazione:∫

Rf(x + y)dx =

Rf(x)dx. (29)

Infatti∫

Rf(x + y)dx = lim

n→+∞

∫ n

−n

f(x + y)dx = limn→+∞

∫ n+y

−n+y

f(t)dt =

Rf(t)dt.

L’integrale e anche invariante rispetto alla trasformazione x 7→ −x,∫

Rf(x)dx =

Rf(−x)dx. (30)

Anche in questo caso basta osservare che per∫ n

−n

f(−x)dx = −∫ −n

n

f(x)dx =

∫ n

−n

f(x)dx,

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28

e passare al limite, per n → +∞.Prima di iniziare con la trattazione della trasformata di Fourier vogliamo

rivedere (o, per alcuni, vedere per la prima volta) una proprieta importantedello spazio L1, e cioe che il sottospazio di L1 che consiste di tutte le funzionicontinue che si annullano fuori di un intervallo (che dipende dalla funzioneconsiderata) e che sono differenziabili infinite volte, e un sottospazio densodi L1.

Bisognera tra l’altro dimostrare che questo spazio che possiamo indicatecon il simbolo C∞00 = C∞00(R), non si riduce alla funzione identicamente nul-la, bisognera cioe dimostrare che esistono funzioni non identicamente nulle,infinitamente differenziabili che sono zero fuori di un intervallo [a, b].

Occupiamoci pero prima di tutto delle funzioni continue a supporto com-patto che non sono necessariamente differenziabili. La notazione per questospazio sara C00(R) = C00. Di queste funzioni ce ne sono a bizzeffe. Un es-empio importante sono le funzioni ”triangolari” che sono zero fuori di unintervallo (a, b) assumono un valore reale f(c) 6= 0 in un punto interno delmedesimo intervallo e sono lineari nei tratti [a, c] e [c, b].

In generale se f e una funzione continua che assume valori uguali a zeronegli estremi di un intervallo [a, b], possiamo definire una funzione g continuaa supporto compatto, stipulando che la funzione g sia nulla fuori di (a, b) ecoincida con f all’interno del medesimo intervallo.

Dimostriamo ora che lo spazio C00 e denso in L1.

Lemma 9 . Lo spazio C00 delle funzioni continue a supporto compatto edenso in L1.

dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che ogni elemento di L1 puo es-sere approssimato in norma con funzioni continue a supporto compatto.Procediamo attraverso diversi passi.

Primo passo. Ogni elemento di L1 puo essere approssimato in norma daelementi di L1 che sono nulli fuori di un intervallo. Basta osservare che sef ∈ L1, la successione di funzioni fn che coincidono con f nell’intervallo[−n, n] e sono zero fuori di questo intervallo, converge ad f , per il teorema diconvergenza dominata di Lebesgue, in quanto la successione |f − fn|, tendea zero quasi ovunque ed e dominata dalla funzione integrabile 2|f |.

Secondo passo. Ogni elemento di L1 che si annulla fuori di un intervallo[a, b] puo essere approssimato in norma da elementi di L1 che sono nulli fuoridi un intervallo e tali che |f(x)| ≤ M per qualche M > 0. Infatti se f eun elemento di L1 nullo fuori di [a, b] possiamo considerare per ogni n lafunzione fn, tale che fn(x) = f(x) se |f(x)| ≤ n e f(x) = n se |f(x)| > n. Lasuccessione fn tende in norma a f , per il teorema di convergenza dominata

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0.6. SESTA LEZIONE 29

di Lebesgue, in quanto la successione |f − fn| tende a zero quasi ovunque ede dominata da dalla funzione integrabile 2|f |. (Per dimostrare che |f − fn|tende a zero quasi ovunque, osservare che se cosı non fosse esisterebbe uninsieme di misura positiva E sul quale |f | ≥ n per ogni n.)

Terzo passo. Osservare che un elemento di L1 che e limitato e zero fuoridi un intervallo, puo essere approssimato in norma da combinazioni lineari difunzioni caratteristiche di insiemi misurabili e limitati. Per la dimostrazionepossiamo supporre che f assma valori reali ed applicare il ragionamento allaparte reale e la parte immaginaria di f . Supponiamo quindi che f sia realee −M ≤ f(x) ≤ M . Dato ε > 0 possiamo dividere l’intervallo [−M,M ]in sottointervalli semiaperti di lunghezza minore di ε/2M e considerare perognuno di questi intervalli [ak, bk) l’insieme misurabile Ek = f−1([ak, bk]). Lafunzione h(x) che vale f(ak) sull’insieme Ek e una combinazione lineare difunzioni caratteristiche di insiemi misurabili e limitati. Poiche |f(x)−h(x)| ≤ε/2M , risulta ‖f − h‖1 ≤ ε.

Quarto passo. Ogni funzione caratteristica di un insieme misurabile elimitato puo essere approssimata nella norma L1 dalla funzione caratteristicadi un insieme chiuso e limitato. Per questo passo basta osservare che seE e misurabile e limitato, e ε > 0 esiste un compatto K ⊂ E, tale chem(E)−m(K) < ε.

Quinto passo. Se K e un insieme chiuso e limitato e f(x) = χK(x) lasua funzione caratteristica, esiste una successione di funzioni continue fn

che approssima f nella norma di L1. Si osservi che la funzione d(x,K) =inf{|x − y| : y ∈ K} e una funzione continua che vale zero esattamente suK. Pertanto la funzione u(x) = max{0, 1 − d(x,K)} e continua minore ouguale ad uno e vale uno esattamente su K. Finalmente definiamo fn(x) =(u(x))n. Osserviamo che la successione |fn(x) − f(x)| tende a zero ovunqueed e dominato dalla funzione integrabile 2|f(x)|. Ne segue che ‖fn − f‖1

tende a zero.

Esercizio 9 Dimostrare che se K ⊂ R e chiuso, la funzione d(x,K) =inf{|x− y| : y ∈ K} e continua.

Passiamo ora a trattare il caso delle funzioni continue a supporto com-patto che risultano anche infinitamente differenziabili. Dobbiamo innanziut-to dimostrare che queste funzioni esistono. O meglio che ne esistono di nonidenticamente nulle

Ecco come provare a costruirne una.Primo passo: si considera la funzione f(x) = e−1/x2

, per x > 0 e f(x) = 0per x ≤ 0. Si osserva che f e differenziabile in zero, con derivata zero.Pertanto e ben definita la derivata Df(x) per ogni x reale.

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30

Secondo passo: si dimostra per induzione che la funzione f e derivabileinfinite volte e che tutte le derivate sono zero per x ≤ 0.

Terzo passo. Si considera la funzione h(x) = f(x + 1) e si osserva che he infinitamente derivabile ed e zero assieme a tutte le sue derivate nei puntiminori o uguali a −1.

Quarto passo. Si considera la funzione g(x) = h(−x) e si osserva che ge infinitamente differenziabile ed e zero assieme a tutte le sue derivate neipunti maggiori o uguali a 1.

Quinto passo. Si considera la funzione u(x) = f(x + 1/2)g(x + 1/2) esi osserva che u e infinitamente differenziabile ed e zero fuori dell’intervallo(−1/2, 1/2), mentre in questo intervallo e positiva.

Osserviamo che la funzione un(x) = u(nx) e non nulla (e positiva) solo se|nx| < 1/2, cioe se |x| < 1

2n.

A questo punto disponiamo di una successione un di funzioni infinitamentedifferenziabili che sono positive solo in un intorno di 0 di lunghezza 1/n.

Consideriamo ora la successione vn(x) = cnun(x), dove

c−1n =

Run(x) dx.

La successione vn gode allora delle seguenti proprieta

1. vn e infinitamente differenziabile,

2. vn e non negativa e si annulla per |x| ≥ 1/2n,

3. l’integrale di vn vale uno.

Per ottenere, a partire da questa successione vn, funzioni infinitamente dif-ferenziabili che approssimano arbitrarie funzioni continue a supporto compat-to, abbiamo bisogno di introdurre la convoluzione di due funzioni e stabilirnealcune proprieta.

Definizione 6 . Siano f, g ∈ L1, allora la funzione

f ∗ g(x) =

Rf(x− y)g(y)dy,

si chiama convoluzione di f e g.

.Come nel caso delle funzioni periodiche non e affatto detto che f ∗ g(x)

esista per tutti gli x. Infatti, per x fissato, le funzioni f(x − y) e g(y)appartengono ad L1, ma non e vero affatto che il prodotto punto per punto

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0.6. SESTA LEZIONE 31

di due funzioni in L1 sia ancora in L1. Abbiamo gia visto ad esempio che lafunzione che vale zero fuori dell’intervallo (0, 1) e vale 1√

xin questo intervallo

e in L1 ma il suo quadrato non lo e. Per definire quindi la convoluzione sideve ricorrere al teorema di Fubini applicato alla funzione di due variabili

f(x− y)g(y).

La parte piu delicata dell’applicazione del teorema di Fubini consiste nel-la dimostrazione che f(x − y) e misurabile come funzione di due variabili.Con questa premessa si osserva che scegliendo l’ordine di integrazione piuconveniente

R|f ∗ g(x)|dx

R

R|f(x− y)||g(y)|dxdy = ‖f‖1‖g‖1.

Questa disuguaglianza dimostra tra l’altro che f ∗ g ∈ L1.Dimostriamo ora due proprieta importanti della convoluzione.

Lemma 10 . Supponiamo che f e g siano elementi di L1. Supponiamo fe g si annullino, rispettivamente fuori dei compatti K1 e K2, allora f ∗ g siannulla fuori del compatto K1 + K2.

dimostrazione. Osserviamo che

f ∗ g(x) =

Rf(x− y)g(y)dy 6= 0,

solo se x − y ∈ K1 e y ∈ K2, cioe solo se x ∈ K1 + y e y ∈ K2, cioe solo sex ∈ K1 + K2.

Lemma 11 Supponiamo che u sia una funzione continua e derivabile. Sup-poniamo che u e la sua derivata Du siano assolutamente integrabili (cioeu,Du ∈ L1) e che Du sia anche limitata, e sia f ∈ L1. Allora u ∗ f(x) ederivabile e

D(u ∗ f)(x) = Du ∗ f(x), (31)

dimostrazione. Le ipotesi ci consentono di applicare il teorema di conver-genza dominata di Lebesgue per derivare sotto il segno di integrale, rispettoalla variabile x la funzione

u ∗ f(x) =

Ru(x− y)f(y) dy.

A partire dalla successione vn definita sopra, e utilizzando le proprietadella convoluzione siamo in grado di esibire una grandissima quantita difunzioni infinitamente differenziabili che si annullano fuori di un compatto.

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32

Osserviamo che se f e un elemento di L1 che si annulla fuori di un inter-vallo chiuso e limitato [a, b], la funzione vn ∗ f sara in virtu della (31) infini-tamente differenziabile e, in virtu del Lemma 10 sara zero fuori dell’insieme[a− 1/2n, b + 1/2n]. Vale anche la proposizione seguente.

Proposizione 1 Se f e una funzione continua a supporto compatto alloraf puo essere approssimata uniformemente da funzioni continue a supportocompatto infinitamente differenziabili. In particolare

limn

vn ∗ f(x) = f(x),

uniformemente in x.

dimostrazione. Osserviamo che f e uniformemente continua e pertantoassegnato ε > 0 esiste n tale che, se |y| < 1/2n risulta, per ogni x,

|f(x− y)− f(x)| < ε.

Approfittando del fatto che l’integrale di vn e uno, scriviamo

|vn ∗ f(x)− f(x)| =

|∫

R[f(x− y)− f(x)]vn(y) dy| ≤

∫ 1/2n

−1/2n

|f(x− y)− f(x)|vn(y)dy < ε.

Corollario 12 Lo spazio delle funzioni continue ed infinitamente differenzi-abili a supporto compatto, e denso nello spazio L1.

Siamo pronti ora a definire la trasformata di Fourier di una funzionef ∈ L1.

Definizione 7 Per f ∈ L1, la trasformata di Fourier di f e la funzione,

Ff(λ) = f(λ) =

Rf(x) e−2πiλydx.

Passiamo ora alle proprieta elementari della trasformata di Fourier.

Lemma 12 Se f, g ∈ L1(R), e α e β sono numeri complessi allora:

1.F(αf + βf) = αF(f) + βF(g).

2. Ff(λ) e una funzione continua di λ

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0.6. SESTA LEZIONE 33

3. f e limitata ed infatti|f(λ)| ≤ ‖f‖1.

4. Se f ∈ L1, ed fy(x) = f(x− y), allora

fy(λ) = f(λ)e−2πiλy.

5. se f e la sua derivata Df appartengono a L1 allora

Df(λ) = 2πiλf(λ).

dimostrazione. La prima proprieta segue dalla linearita dell’integrale.Per dimostrare la seconda supponiamo che λn sia una successione reale checonverge a λ. Dobbiamo far vedere che f(λn) converge a f(λ). Ma

f(λn) =

Rf(x)e−2πiλnxdx.

La successione di funzioni fn(x) = f(x)e−2πiλnx converge puntualmente af(x)e−2πiλx, e inoltre la successione e dominata dalla funzione integrabile|f(x)|. Il teorema di convergenza dominata di Lebesgue implica allora chelimn f(λn) = f(λ). La terza proprieta segue immediatamente dal fatto che|f(x)e−2πiλx| = |f(x)|. Per dimostrare la quarta proprieta calcoliamo latrasformata di Fourier di f utilizzando l’invarianza per traslazione dell’inte-grale.

fy(λ) =

Rf(x− y)e−2πiλxdx =

Rf(t)e−2πiλ(t+y)dt = f(λ)e−2πiλy.

Infine per dimostrare la quinta proprieta scegliamo due successioni di nu-meri reali an e bn tali che limn an = −∞, limn bn = +∞ e limn f(an) =limn f(bn) = 0. L’esistenza di tali successioni sara discussa in seguito. Alloral’integrazione per parti fornisce:

Df(λ) =

RDf(x)e−2πiλxdx = lim

n

∫ bn

an

Df(x)e−2πiλxdx =

limn

((f(bn)e−2πiλbn − f(an)e−2πiλan) +

∫ bn

an

f(x) 2πiλe−2πiλxdx.) = 2πiλf(λ).

Resta da osservare che se f e una funzione continua appartenente a L1

esistono successioni an e bn che tendono rispettivamente a −∞ e ad ∞, taliche limn f(an) = limn f(bn) = 0. E’ opportuno prima di tutto osservare che

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non e detto che una funzione continua che appartiene a L1 sia necessariamentenulla all’infinito. Ad esempio se un e una funzione lineare a tratti che vale zerofuori dell’intervallo (n−1/2n, n+1/2n) vale uno in n ed e lineare tra n−1/2n

ed n e tra n e n+1/2n, allora la funzione v =∑

n un e continua, non negativaha integrale uno e non tende a zero all’infinito. Tuttavia, se supponiamo chef sia continua e appartenga a L1, l’integrale di |f | e finito, non puo quindisuccedere che esistano numeri positivi δ ed M tali che |f(x)| ≥ δ per x ≥ M ,ovvero per x ≤ −M . Questo significa che e possibile trovare, numeri bn > ne an < −n tali che |f(an)| ≤ 1/n e |f(bn)| ≤ 1/n.

Un’altra proprieta importante della trasformata di Fourier e quella ditrasformare la convoluzione in un prodotto punto per punto.

Lemma 13 . Se f, g ∈ L1, allora

F(f ∗ g)(λ) = Ff(λ)Fg(λ).

dimostrazione. Osserviamo che:∫

Rf ∗ g(x) e−2πiλxdx =

R

Rf(x− y)g(y) e−2πiλxdydx

R

Rf(x− y)g(y) e−2πiλ(x−y)e−2πiλydydx = Ff(λ)Fg(λ).

Anche in questo caso abbiamo utilizzato l’invarianza per traslazione dell’in-tegrale dopo che il teorema di Fubini ci ha consentito di scegliere l’ordine diintegrazione piu conveniente.

0.7 SETTIMA LEZIONE

Ci proponiamo, in queste lezioni di dimostrare che la trasformata di Fourierdi una funzione in L1 determina univocamente la funzione stessa. In altreparole se f(λ) = 0 per tutti i numeri reali λ allora deve essere f identicamentenulla. In effetti per le funzioni che oltre ad essere in L1 godono della proprietache Ff ∈ L1, si puo fornire un modo di ricostruire f a partire da Ff . Valecioe la cosiddetta formula di inversione:

f(x) =

RFf(λ) e2πiλx dx. (32)

Si osservi che a destra dell’uguale nella (32), non c’e propriamente la trasfor-mata di Fourier di Ff , ma una simile trasformata che si chiama ”trasformatadi Fourier inversa” e spesso si indica con F∗f . Infatti, al posto delle funzioni

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0.7. SETTIMA LEZIONE 35

e−2πiλx sotto l’integrale ci sono le funzioni ad esse coniugate e2πiλx. La (32)puo quindi essere scritta come

f = F∗(Ff).

Dimostreremo prima di tutto la (32) per funzioni che appartengono aduna classe speciale detta spesso classe di Schwarz o classe delle funzionirapidamente decrescenti, secondo la definizione che segue.

Definizione 8 . Una funzione f di variabile reale e a valori complessi sidice rapidamente decrescente se e derivabile infinite volte e per ogni polinomiop(x) e limitato li prodotto

p(x)f(x).

L’insieme delle funzioni rapidamente decrescenti si chiama anche classe diSchwarz e verra indicato con il simbolo S = S(R).

Osserviamo prima di tutto che le funzioni infinitamente differnziabili asupporto compatto sono certamente rapidamente decrescenti. Infatti se p(x)e un polinomio ed f ha supporto compatto, la funzione p(x)f(x) ha supportocompatto ed e quindi limitata. Segue da questa osservazione che lo spaziodelle funzioni rapidamente decrescenti e denso in L1.

Tuttavia non tutte le funzioni rapidamente decrescenti sono a supportocompatto. Un esempio importante e fornito dalla funzione

e−x2

,

che e infinitamente differenziabile e che e rapidamente decrescente perche perqualsiasi potenza n risulta

limx→∞

xn

ex2 = 0.

Osserviamo che le funzioni rapidamente decrescenti appartengono tutte a L1.Infatti se f ∈ S e limitato il prodotto

f(x)(1 + x2).

Ne segue che ∫

R|f(x)| dx ≤ M

R

1

1 + x2dx = Mπ.

Si deve anche osservare che la derivata di una funzione di S appartieneancora ad S e che il prodotto di una potenza di x (o un polinomio) per unafunzione di S appartiene ancora ad S. Cioe

S e invariante per la derivazione e per la moltiplicazione per un polinomio

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36

Lemma 14 Se f e una funzione rapidamente decrescente allora

1.Df(λ) = 2πiλf(λ)

2.

Df(λ) =

R(−2πix)f(x)e−2πiλx dx.

dimostrazione. La prima formula e gia stata dimostrata in condizioni piugenerali. Per dimostrare la seconda affermazione si considera il rapportoincrementale

h−1(Ff(λ + h)− Ff(λ) =

Rf(x) h−1(e−2πi(λ+h)x − e−2πiλx) dx.

Il teorema del valor medio per le derivate ci fornisce

|(e−2πi(λ+h)x − e−2πiλx)| ≤ 2π|h||x|.Ne segue che il modulo dell’espressione sotto il segno di integrale e maggio-rato da |2πxf(x)|. Poiche f ∈ S anche 2πxf(x) appartiene ad S ed e quindiintegrabile. Percio possiamo applicare all’integrando il teorema di conver-genza dominata di Lebesgue e passare al limite per h → 0 sotto il segno diintegrale.

Corollario 13 La trasformata di Fourier F manda elementi di S in elementidi S. In altre parole se f ∈ S allora Ff ∈ S.

dimostrazione Se f ∈ S allora (2πix)nf(x) e un elemento di S ed equindi integrabile. Ne segue che Ff e derivabile n volte. Ma anche la derivatan-esima di f appartiene ad S pertanto (−2πiλ)nFf(λ) e limitato per ogni n.Ne segue che f ∈ S.

Osservazione 6 La derivazione puo essere considerata come una trasfor-mazione D che manda un elemento f di S in un elemento Df pure ap-partenente a S. In altre parole D puo essere considerata come una trasfor-mazione di S in se. Accanto alla trasformazione D possiamo consider-are anche la trasformazione M che manda l’elelento f ∈ S nell’elementoMf(x) = 2πixf(x). Il Lemma che abbiamo appena dimostrato stabilisce leregole di composizione tra queste trasformazioni e la trasformata di Fourier,che possiamo riassumere come segue, per un generico elemento f ∈ S:

F(Df) = M(Ff),

eDF(f) = −F(M(f)).

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0.7. SETTIMA LEZIONE 37

Conviene ora definire formalmente la trasformata di Fourier inversa cuiabbiamo accennato all’inizio di questa lezione.

Definizione 9 Sia ϕ ∈ L1, la trasformata di Fourier inversa F∗ϕ e definitacome

F∗ϕ(x) =

Rϕ(λ)e2πiλx dλ.

Ci proponiamo di dimostrare che se f ∈ S allora

f(x) =

RFf(λ)e2πiλx dλ.

In altre parole ci proponiamo di dimostrare che

F∗(Ff) = f.

Cominciamo da un lemma.

Lemma 15 . Siano f e g due funzioni rapidamente decrescenti, allora

RFf(λ) g(λ) dλ =

Rf(x) F∗g(x) dx.

dimostrazione. Una applicazione del teorema di Fubini fornisce:

RFf(λ) g(λ) dλ =

R

Rf(x)e−2πiλx g(λ)dxdλ =

Rf(x)

Rg(λ)e2πiλx dλ dx =

Rf(x)F∗g(x) dx.

Fine della dimostrazione.

Introduciamo ora una famiglia di funzioni di S indicizzata dai reali posi-tivi. Si tratta per t > 0 delle funzioni

ut(x) = (2πt)−1/2e−x2/2t.

Di queste funzioni si puo calcolare prima di tutto la trasformata di Fourier.

Lemma 16

Fut(λ) = e−2π2λ2t.

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38

. dimostrazione. Fissato t > 0 sia

φ(λ) = (2πt)1/2Fut(λ) =

Re−x2/2te−2πiλx dx.

La derivata e

Dφ(λ) = −2πi

Rxe−x2/2te−2πiλx dx.

Ma la derivata rispetto ad x di e−x2/2t e proprio (−x/t)e−x2/2t. Perciopossiamo riscrivere la derivata di φ come

Dφ(λ) = 2πit

RD[e−x2/2t] e−2πiλx dx.

Integrando per parti, tenuto conto che l’integrando si annulla all’infinito siottiene:

Dφ(λ) = 2πit

Re−x2/2t(−2πiλ)e−2πiλx dx = −4π2λt

Re−x2/2te−2πiλx dx =

−4π2λtφ(λ).

In altre parole φ(λ) soddisfa la equazione differenziale:

Dφ(λ) + 4π2λtφ(λ).

La formula risolutiva delle equazioni lineari del primo ordine (vedi APPEN-DICE) ci fornisce allora:

φ(λ) = φ(0)e−π2λ2t.

Resta da calcolare

φ(0) =

Rex2/2t dx =

√t

Re−x2/2 dx =

√2πt.

Questo conclude la dimostrazione del Lemma.

APPENDICEQuesta appendice e dedicata a dimostrare che se una funzione di variabile

reale φ(λ), e derivabile e soddisfa alla condizione che

Dφ(λ) + a(λ)φ(λ) = 0,

dove a(λ) e una funzione continua, allora

φ(λ) = φ(0) e−A(λ),

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0.8. OTTAVA LEZIONE 39

dove A(λ) e una primitiva di a(λ) che si annulla in zero. Infatti sup-poniamo che A(λ) sia una primitiva di a(λ) che si annulla in zero, cioe sup-

poniamo che A(λ) =∫ λ

0a(ξ)dξ, e moltiplichiamo ambo i lati della equazione

per la funzione eA(λ), che non si annulla mai. Otteniamo cosı l’equazioneequivalente:

eA(λ)Dφ(λ) + a(λ)eA(λ)φ(λ) = D(eA(λ)φ)(λ) = 0.

Questo significa che e costante la funzione eA(λ)φ(λ) = k da cui si ricava

φ(λ) = ke−A(λ).

Per calcolare k basta sostituire 0 a λ nell’ultima equazione. Si ottiene k =φ(0) tenuto conto che A(0) = 0.

0.8 OTTAVA LEZIONE

Nella lezione precedente abbiamo introdotto le funzioni

ut(x) = (2πt)−1/2e−x2/2t.

e le loro trasformate di Fourier

Fut(λ) = e−2π2λ2t.

Osserviamo che queste funzioni godono di due importanti proprieta che lerendono una ”identita approssimata” quando operano per convoluzione nellospazio delle funzioni uniformemente continue e limitate o nello spazio L1.

1. ut(x) ≥ 0, e∫R ut(x)dx = 1.

2. per ogni δ > 0, limt→0

∫|x|≥δ

ut(x) dx = 0.

Ecco le conseguenze di queste proprieta:

Lemma 17 Se f e una funzione limitata e uniformemente continua, allora

limt→0

f ∗ ut(x) = f(x),

uniformemente in x.

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40

dimostrazione. Utilizzando il fatto che l’integrale di ut vale uno possiamoscrivere

|f(x)−f∗ut(x)| = |∫

R(f(x−y)−f(x)) ut(y) dy| ≤

R|f(x−y)−f(x)|ut(y) dy =

|x|<δ

|f(x− y)− f(x)|ut(y) dx +

|x|≥δ

|f(x− y)− f(x)|ut(y) dy.

Assegnato ε > 0 possiamo scegliere δ > 0 tale che, se |y| < δ si abbia|f(x)−f(x−y)| < ε/2 per tutti gli x. Sia M = sup |f(x)| e scegliamo t0 > 0in modo che la condizione t > t0 implichi

|x|≥δ

ut(x)dx ≤ ε

4M.

Ne segue che per t > t0, e tutti gli x risulta

|f(x)− f ∗ ut(x)| < ε.

Per l’analogo risultato sulla convoluzione di ut con una funzione di L1 abbi-amo bisogno di una osservazione preliminare.

Osservazione 7 Se f ∈ L1 e fy(x) = f(x − y), la tasformazione y 7→ fy euna funzione uniformemente continua definita su R e a valori in L1.

dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che dato ε > 0 esiste δ > 0 taleche se |y1 − y2| < δ allora ‖fy1 − fy2‖1 < ε. Poiche l’integrale e quindi lanorma di L1 e invariante per traslazione e quindi ‖fy1−fy2‖1 = ‖fy1−y2−f‖1,basta dimostrare che la trasformazione y 7→ fy e continua in zero. Dato ε > 0dobbiamo quindi trovare un δ > 0 tale che se |y| < δ < 1 allora ‖fy−f‖1 < ε.Scegliamo g continua a supporto compatto tale che ‖f − g‖ < ε/3. Sia [a, b]un intervallo fuori del quale si annulla per ogni |y| < 1 la funzione g(x− y).Sia M = sup |g(x)|. E infine sia 1 < δ < 0 tale che se |y| < δ allora, per ognix, |g(x− y)− g(x)‖ < ε/3M . Allora per |y| < δ risulta ‖g− gy‖1 ≤ ε/3 and,

‖fy − f‖ ≤ ‖f − g‖1 + ‖g − gy‖1 + ‖gy − fy‖1 < ε.

Possiamo enunciare adesso il secondo lemma che e una conseguenza delleproprieta di ut.

Lemma 18 Se f ∈ L1 allora limt→0 ut ∗ f = f nella norma of L1.

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0.8. OTTAVA LEZIONE 41

dimostrazione. Poiche l’integrale di ut vale uno possiamo scrivere comenella dimostrazione del Lemma 17

|ut ∗ f(x)− f(x)| = |∫

B(f(x)− f(x− y))ut(y) dy|.

Percio:

‖ut ∗ f − f‖1 ≤∫

R

R|f(x− y)− f(x)|ut(y)dydx. (33)

Sia ε > 0 e sia δ > 0 tale che per |y| < δ risulti ‖fy − f‖1 < ε/2. Allora la(33) implica

‖ut ∗ f − f‖1 ≤∫

R‖f − fy‖ut(y) dy =

∫ δ

−δ

‖fy − f‖1 ut(y)dy +

|y|≥δ

‖fy − f‖1ut(y) dy.

Il primo integrale a desta dell’uguale e certamente minore di ε/2, mentre ilsecondo integrale tende a zero per t → 0, in quanto e maggiorato da

2‖f‖1

|y|≥δ

ut(y) dy,

che tende a zero per il solito teorema di convergenza dominata di Lebesgue.Questo completa la dimostrazione Ora, per dimostrare il teorema di inver-sione per le funzioni rapidamente decrescenti, cominciamo dalla verifica cheil teorema vale per la famiglia di funzioni

ut(x) =1√2πt

e−x2/2t,

delle quali abbiamo calcolato la trasformata di Fourier che e

F(ut)(λ) = e−2π2λ2t.

Lemma 19F∗(Fut)(x) = ut(x). (34)

dimostrazione In virtu del Lemma 15, e ponendo t = 1/τ ,

F∗Fut(x) =

Re−4π2λ2/2τe2πiλxdλ.

Se si pone γ = 2πλ, l’integrale diviene.

√2πτ

Ruτ (γ) eiγx(2π)−1dγ =

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42

√τ√2π

F(uτ )(x

2π) =

1√2πt

e−x2

2t = ut(x).

Possiamo ora dimostrare il teorema di inversione per tutte le funzionirapidamente decrescenti.

Teorema 14 Se f ∈ S e una funzione rapidamente decrescente, allora

F∗Ff = f

dimostrazione. Applichiamo il Lemma 15 ricordando che ut e la suatrasformata di Fourier sono funzioni reali e pari.

RFf(λ)F(ut)(λ)dλ =

Rf(x)F∗Fut(x)dx =

Rf(x)ut(x)dx.

Pertanto, in applicazione del teorema della convergenza dominata di Lebesgue,∫

RFf(λ) dλ = lim

t→0

RFf(λ)e−2π2λ2tdλ =

limt→0

Rf(x)ut(x)dx = lim

t→0f ∗ ut(0) = f(0).

Per ottenere l’enunciato del teorema basta ora considerare la funzione f−y(x) =f(x + y), e ricordare che Ff−y(λ) = Ff(λ)e2πiλy. Si ottiene allora

RFf(λ) e2πiλy = f(y).

Corollario 15 . Se f ∈ S e una funzione rapidamente decrescente, allora∫

R|f(x)|2dx =

R|Ff(λ)|2dλ. (35)

dimostrazione. Consideriamo la funzione

g(x) =

Rf(x + y) f(y) dy.

Derivando sotto il segno di integrale si dimostra che g e infinitamente deriv-abile. Un’applicazione del Teorema di Fubini mostra anche che g e integra-bile. Infine, applicando sempre il teorema di Fubini possiamo dimostrare cheFg(λ) = |Ff(λ)|2. Poiche f ∈ S anche Ff ∈ S, e quindi dal momento che ilprodotto di due funzioni di S e in S appartiene ad S anche la funzione |Ff |2.Ne segue che g ∈ S e vale per g il teorema di inversione. Pertanto

R|f(y)|2 dy = g(0) =

R|Ff(λ)|2 dλ.

Infine ecco il teorema di inversione nella sua forma generale.

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0.9. NONA LEZIONE 43

Teorema 16 Sia f ∈ L1 e supponiamo che Ff ∈ L1. Allora

f(x) =

RFf(λ) e2πiλx dx.

dimostrazione Osserviamo che la funzione∫

RFf(λ) e2πiλx dλ,

e continua. Pertanto basta dimostrare che questa funzione e uguale quasiovunque ad f(x). D’altra parte la convergenza di ut∗f ad f nella norma di L1,implica che esiste una successione tn → 0 tale che limn utn ∗f(x) = f(x) quasiovunque. Scriviamo per semplicita utn = un e, ricordando che un = F∗Fun,osserviamo che, per quasi tutti gli x,

f(x) = limn

f ∗ un(x) = limn

Rf(x− y)un(y)dy =

limn

R

Rf(x− y)e−2π2λ2tne2πiλydλdy =

limn

R

Rf(x− y) e−2πiλ(x−y)e−2π2λ2tne2πiλx dydλ =

limn

RF(f)(λ)e2πiλxe−2π2λ2tndλ.

Poiche e−2π2λ2tn → 1 dal momento che tn → 0, un’applicazione del teoremadella convergenza dominata di Lebesgue, fornisce, per quasi ogni x,

f(x) =

RFf(λ)e2πλxdλ.

Come abbiamo visto la funzione a destra dell’uguale e continua, pertanto f equasi ovunque uguale ad una funzione continua, che coincide con la funzionea destra dell’uguale.

0.9 NONA LEZIONE

Possiamo riassumere le proprieta della trasformata di Fourier per le funzionidi L1 nel seguente teorema.

Teorema 17 Per f ∈ L1, sia

f(λ) = Ff(λ) =

Rf(λ)e−2πiλx.

Allora

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44

1. F(αf + βg) = αFf + βFg

2. |Ff(λ)| ≤ ‖f‖1

3. Ff e una funzione continua che si annulla all’infinito.

4. F(f ∗ g) = Ff(λ)Fg(λ).

5. fy(λ) = e2πiλyf(λ).

6. se Ff ∈ L1, allora

f(x) =

RFf(λ) e2πiλx dλ.

Tutte queste proprieta sono state dimostrate eccetto il fatto che Ff tendea zero all’infinito, ma questo discende dal fatto che ogni elemento di f ∈L1 puo essere approssimato da una successione fn di elementi di S. Latrasformata di Fourier di un elemento di S appartiene ad S e pertanto tendea zero all’infinito. La disuguglianza

sup |fn(λ)− f(λ)| ≤ ‖fn − f‖1 → 0,

ci assicura che anche f(λ) tende a zero all’infinito.Vale anche la pena di osservare che c’e una operazione su L1 che cor-

risponde alla coniugazione della trasformata di Fourier. Infatti se definiamo

f ∗(x) = f(−x),

risulta

Ff(λ) =

Rf(−x)e−2πix dx =

Rf(x)e−2πix dx = Ff(λ),

dal momento che l’integrale e invariante per la trasformazione x 7→ −x.Utilizzando, appunto, la funzione f ∗ f ∗ abbiamo anche dimostrato, per

le funzioni di S l’importante uguaglianza∫

R|f(x)|2 dx =

R|Ff(λ)|2 dλ. (36)

Questa uguaglianza ci permette di estendere la trasformata di Fourier allospazio L2 dove non e direttamente definita. Infatti se f ∈ L2 consideriamouna successione fn di funzioni di S che converge, in norma L2, ad f . Nat-uralmente la successione fn e di Cauchy in L2, e in virtu della (36) sara di

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0.9. NONA LEZIONE 45

Cauchy in L2 anche la successione fn. Poiche L2 e completo come spaziometrico esistera un elemento che possiamo chiamare f che e il limite delle fn.E’ facile osservare che questo elemento e unicamente determinato da f (segn fosse un’altra successione che converge ad f , risulterebbe ‖fn− gn‖ → 0).Inoltre f coincide con l’ordinaria trasformata di Fourier se f ∈ L1 ∩ L2.

Possiamo riassumere questo importante risultato in un teorema

Teorema 18 La trasformata di Fourier definita sullo spazio S delle funzionirapidamente decrescenti si estende per continuita ad una isometria di L2(R suL2(R. L’estensione coincide sullo spazio L1 ∩L2 con l’ordinaria trasformatadi Fourier definita su L1.

Ci proponiamo ora di studiare un po’ piu da vicino lo spazio delle funzioniinfinitamente differenziabili e rapidamente decrescenti che abbiamo indica-to con S e che ci e stato cosı utile per introdurre e studiare le proprietadella trasformata di Fourier. Ricordiamo che S e un sottospazio di L1 chee denso nella norma di L1. Su questo spazio sono definiti due importantitrasformazioni: la derivata che manda f in Df e la trasformazione M dimoltiplicazione di una funzione per il polinomio di primo grado 2πix.

La trasformata di Fourier crea un collegamento naturale tra questi oper-atori. Abbiamo infatti dimostrato che

F(Df) = M(Ff), (37)

eDF(f) = −F(M(f)). (38)

Da queste formule si deduce che la trasformata di Fourier manda elementi diS in elementi di S.

Vorremmo poter dire qualcosa di piu: la trasformata di Fourier e unatrasformazione iniettiva e surgettiva di S in se, che e anche continua rispettoad una naturale nozione di convergenza. In altre parole vorremmo almenopoter dire che se fn e na successione di elementi di S che converge ad unelemento f di S, allora fn converge ad f .

Ma quale e la naturale nozione di convergenza? Certamente S non e unospazio di Banach, e nemmeno uno spazio normato. Sembra pero naturale as-serire che fn converge ad f quando le derivate di qualsiasi ordine Djfn conver-gono uniformemente alla corrispondente derivata Djf , ed inoltre convergonouniformemente per ogni k le funzioni MkDjfn alla funzione MkDjf .

Per ottenere una formulazione piu chiara di questa nozione di convergenzaconviene introdurre una famiglia di seminorme, cosı definite:

pjk(f) = supx∈R

|(1 + x2k)Djf(x)|.

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46

Si dira allora che la successione fn ∈ S converge ad f ∈ S se per ognicoppia (j, k) di interi non negativi pjk(fn − f) tende a zero.

E’ anche possibile definire la nozione di successione di Cauchy per unasuccessione di fn ∈ S, prescrivendo che la successione sia di Cauchy rispetto atutte le seminorme. Non e difficile dimostrare che ogni successione di Cauchyconverge, e che lo spazio e quindi completo.

Questa nozione di completezza dello spazio coincide con quella nota rel-ativa a spazi metrici non appena ci si convince che S pur non possedendoun’unica norma che dia conto della nozione di convergenza che abbiamo in-trodotto, risulta pero uno spazio metrico rispetto ad una distanza che daluogo alla stessa nozione di convergenza. Una tale possibile distanza puoessere definita ad esempio come:

d(f, g) =∞∑

j,k=0

2−j−k pjk(f − g)

1 + pjk(f − g).

La dimostrazione che d e una distanza si basa sull’osservazione che lafunzione u(t) = t

1+t, e una funzione crescente e concava per t > 0 e soddisfa

quindi alla condizione u(t1 + t2) ≤ u(t1) + u(t2).Questa distanza soddisfa tra l’altro alla proprieta di invarianza per traslazione,

e cioe d(f − h, g − h) = d(f, g).

0.10 DECIMA LEZIONE

Abbiamo introdotto la nozione di convergenza di una successione nello spazioS senza definire una distanza (anche se poi abbiamo dato un esempio di dis-tanza che da luogo alla stessa nozione di convergenza di una successione).Anche senza far intervenire una distanza, a partire dalla nozione di conver-genza di una successione e possibile definire una ”topologia” cioe una famigliadi insiemi, che sono detti insiemi aperti, che soddisfa alla condizione che l’u-nione arbitraria di insiemi aperti e aperta e l’intersezione di un numero finitodi aperti e aperta, essendo aperti anche l’intero spazio e l’insieme vuoto.Basta stabilire che un un sottoinsieme e aperto se ogni successione che con-verge ad un punto dell’insieme appartiene definitivamente all’insieme. None difficile verificare che in questo modo si definisce una topologia.

Questo ci fornisce un altro modo di definire che cosa si intende per con-tinuita di una trasformazione di S in S (o in un altro spazio topologico).Una trasformazione e continua se l’immagine inversa di un insieme aperto eaperta.

Sono naturalmente continue le trasformazioni

(f, g) 7→ f + g,

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0.10. DECIMA LEZIONE 47

da S × S a S e(α, f) 7→ αf,

da C× S a S.Questo significa che lo spazio vettoriale S e uno spazio vettoriale topo-

logico, ovvero S e uno spazio vettoriale dove e definita una topologia cherende continue le operazioni di somma e moltiplicazione per uno scalare.

In effetti S ha l’ulteriore proprieta di essere uno spazio localmente con-vesso (ogni intorno di un punto contiene un intorno convesso), ed inoltre lasua topologia puo essere descritta da una metrica invariante per traslazioneche da luogo ad uno spazio metrico completo. Nella terminologia correntequeste sono le proprieta caratteristiche di uno spazio di Frechet, dal nomedel matematico francese Maurice Frechet. Naturalmente tutti gli spazi diBanach (spazi normati completi) sono spazi di Frechet, ma non e vero ilviceversa come dimostra appunto l’esempio di S.

Passiamo ora a considerare lo spazio S ′ dei funzionali lineari e continuidefiniti su S. Un elemento di S ′ e appunto una trasformazione F di S in Cche soddisfa alla condizione di linearita

F (αf + βg) = αF (f) + βF (g),

e tale che se limn fn = f nella topologia di S, allora limn F (fn) = F (f). Inaltre parole se, per tutte le seminorme pjk, risulta limn pjk(f − fn) = 0 deverisultare anche limn F (fn) = F (f).

Veiamo ora qualche esempio di funzionale continuo. Prendiamo ad esem-pio un elemento φ ∈ L1 e definiamo,

F (f) =

Rf(x)φ(x) dx.

Risulta evidente che F e lineare e continuo, perche la convergenza di fn adf implica che fn converge ad f uniformemente. Un altro diverso funzionalepuo essere definito come

F ′(f) = −∫

RDf(x)φ(x) dx.

C’e da chiedersi perche mai abbia premesso un segno − all’integrale diquest’ultima formula. La ragione e che se φ ∈ L1 e anche derivabile concontinuita allora l’integrazione per parti (ed il fatto che gli elementi di S siannullano all’nfinito) ci porta a conludere che il funzionale F ′ definito soprapuo scriversi anche come ∫

Rf(x)Dφ(x) dx.

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48

Possiamo introdurre quindi la derivazione di qualsiasi ordine j di unfunzionale F ∈ S ′ stipulando che,

DjF (f) = (−1)jF (Djf)(x).

Definizione 10 Lo spazio S ′ dei funzionali lineari e continui definiti sul-lo spazio delle funzioni rapidamente decrescenti si chiama spazio delle dis-tribuzioni temperate. In questi appunti sara indicato come spazio delle dis-tribuzioni.

Ogni elemento di S ′ risulta quindi infinitamente differenziabile, come dis-tribuzione. In particolare poiche ogni funzione integrabile definisce una dis-tribuzione c’e da chiedersi se per una funzione derivabile la derivata in sensoclassico coincide con quella nel senso delle distribuzioni. La risposta e sı,come dimostrato dall’integrazione per parti, se se la funzione e derivabile econ derivata continua. Possono pero sorgere problemi per funzioni che sonoderivabili quasi ovunque. Un esempio illuminante e il seguente. Sia h(x) lafunzione che vale zero per x negativo e vale uno per x ≥ 0. Questa funzionedefinisce una distribuzione H che possiamo scrivere come,

H(f) =

∫ ∞

0

f(x)dx.

La sua derivata, nel senso delle distribuzioni e la distribuzione

DH(f) = −∫ ∞

0

Df(x)dx = − limn

∫ n

0

f ′(x) dx = − limn

[f(n)− f(0)] = f(0).

Ovviamente la derivata in senso classico della funzione h e zero quasi ovunque.Ricordiamo che la funzione h si chiama funzione di Heavyside, e la sua

derivata nel senso delle distribuzioni si chiama misura di Dirac. Heavy-side e Dirac erano rispettivamente un ingegnere ed un fisico che utilizzavanoampiamente il formalismo del calcolo differenziale prima che fosse sviluppatala teoria delle distribuzioni.

Siamo cosı arrivati indirettamente a definire la distribuzione, detta misuradi Dirac, che fa corrispondere ad ogni funzione in S il valore della funzionestessa in 0. In simboli si scrive spesso

δ0(f) = f(0),

o anche altrettanto spesso,∫

Rf(x) dδ0(x) = f(0).

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0.10. DECIMA LEZIONE 49

In questa seconda notazione si tratta δ0 come la misura (infinitamente addi-tiva, definita per tutti i sottoinsiemi di R) che attribuisce il valore 1 ad ogniinsieme che contiene 0 ed il valore zero ad ogni insieme che non contiene lozero. La distribuzione associata ad una misura (definita almeno sui boreliani)e naturalmente l’integrale rispetto alla misura stessa.

Accanto alla misura di Dirac relativa al numero reale 0 possiamo definireuna misura di Dirac δx relativamente al numero deale x. Basta ovviamentestipulare che

δx(f) = f(x).

L’esempio fornito dalla funzione di Heavyside non e isolato. Supponiamodi avere una funzione u(x) non decrescente e limitata definita su tutto R(come era appunto la funzione di heavyside). Non si fa qui alcuna ipotesisulla continuita di u anche se sappiamo dalla teoria della misura che u eintegrabile secondo Riemann e pertanto u e continua quasi ovunque. Lafunzione u puo essere utilizzata per definire in modo diverso dal solito lanozione di lunghezza di un intervallo. Basta stipulare che la lunghezza diun intervallo [a, b) altro non e che u(b) − u(a). A partire da questa nuovanozione di lunghezza si possono seguire tutti i passi utilizzati per definire lamisura e l’integrale di Lebesgue. Arriveremo cosı ad una nuova misura e adun nuovo integrale che e naturale indicare con

Rf(x)du. (39)

Se u e una funzione con derivata continua u′(x) allora questo integrale siriduce a: ∫

Rf(x) u′(x), dx. (40)

Ma la costruzione a partire dalla nuova nozione di lunghezza da luogo ad unamisura e ad un integrale anche nel caso in cui u e in piu punti discontinua. Inquesti casi la ordinaria derivata di u potrebbe essere addirittura zero mentrenon e sero la derivata nel senso delle distribuzioni perche fornisce appuntola formula (39). Resta da chiederci quali sono le condizioni che consentanodi riscrivere la (39) come la (40). Non basta certo che u sia derivabile quasiovunque, perche in effetti una funzione non decrescente e sempre derivabilequasi ovunque. La condizione e piu stringente: la funzione u deve essereassolutamente continua. E’ una nozione questa sulla quale non interverremoulteriolmente.

Nello spazio delle distribuzioni possiamo definire una nozione di conver-genza. E’ la convergenza debole del duale qui appresso definita:

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50

Definizione 11 Una successione Fn di distribuzioni converge ad una dis-tribuzione F , se per ogni elemento f ∈ S risulta limn Fn(f) = F (f).

Osservazione 8 . Bisognerebbe aggiungere che se Fn e una successione didistribuzioni tale che limn Fn(f) esiste per ogni f ∈ S, allora posto F (f) =limn Fn(f) risulta che F e un funzionale lineare e continuo. Questo dipendeda un importante risultato sugli spazi di Frechet che viene spesso chiamato ilprincipio della uniforme limitatezza, e che e una conseguenza di un teoremaattribuito a Rene Baire sugli spazi metrici completi.

Abbiamo ora l’opportunita di studiare un esempiodi limite di successionedi distribuzioni. Consideriamo infatti:

limn

n∑

k=−n

δk =∞∑

k=−∞δk.

Esiste questo limite? Secondo le nostre definizioni dobbiamo verificare cheper ogni f ∈ S converga la serie

F (f) =∞∑

k=−∞f(k). (41)

Ma questo e sicuramente vero perche

|f(x)| ≤ M

1 + x2.

Sulla base della Osservazione 8 possiamo affermare che, il funzionale definitodalla (55) e continuo ed e quindi una distribuzione. la distribuzione e notacon il nome di ”treno di impulsi”.

In realta e possibile dimostrare la continuita di questo funzionale senzaricorrere alla proprieta degli spazi di Frechet ed in particolare al ”principiodella uniforme limitatezza”. Basta far vedere che per un numero finito diseminorme pjk ed ogni f ∈ S, risulta |F (f)| ≤ Mjkpjk(f).

Proposizione 2 Il funzionale

F (f) =∞∑

n=−∞f(n),

e continuo per f ∈ S e definisce pertanto una distribuzione.

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0.11. UNDICESIMA LEZIONE 51

dimostrazione. Osserviamo innanzitutto che l’integrale di |f(x)| tra n en + 1 e un numero compreso tra il massimo ed il minimo di |f(x)| nell’in-tervallo [n, n + 1], e che questo numero corrisponde ad un valore |f(ξn)| perqualche ξn ∈ [n, n + 1]. Pertanto

R|f(x)| dx =

∞∑n=−∞

∫ n+1

n

|f(x)| dx =∞∑

n=−∞|f(ξn)|.

D’altra parte,

f(n) = f(ξn)−∫ ξn

n

Df(x) dx,

e quindi

|f(n)| ≤ |f(ξn)|+∫ ξn

n

Df(x) dx ≤ |f(ξn)|+∫ n+1

n

Df(x) dx.

Ne segue che

|F (f)| ≤∞∑

n=−∞|f(n)| ≤

∞∑n=−∞

|f(ξn)|+∫

R|Df(x)| dx ≤ ‖f‖1 + ‖Df‖1.

A questo unto basta osservare che

‖f‖1 =

R

|f(x)|1 + x2

(1 + x2) dx ≤ πp01(f),

e che, analogamente,‖Df‖1 ≤ πp11(f).

0.11 UNDICESIMA LEZIONE

Ricordiamo che sullo spazio delle funzioni rapidamente decrescenti S e bendefinita la trasformata di Fourier che risulta iniettiva e surgettiva. A partiredalla trasformata di Fourier su S non dovrebbe essere difficile definire anchela trasformata di Fourier di un elemento di S ′ cioe di un funzionale lineare econtinuo definito su S. Se F ∈ S ′ possiamo definire

(FF )(f) = F (Ff).

In questo modo si definisce certamente un funzionale lineare su S, ma none affatto chiaro che si tratti di un funzionale continuo. Per completare ladefinizione e necessario mostrare che la trasformata di Fourier F e una trasfor-mazione continua da S in S. Cominciamo con una definizione ed un risultatopreliminare.

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52

Definizione 12 Una funzione h si dice a crescita polinomiale se e infinita-mente differenziabile e per ogni intero non negativo j esiste un intero nonnegativo k(j) tale che

Djh(x)

1 + x2k(j),

sia limitata.

In pratica una funzione infinitamente differenziabile e a crescita polinomi-ale se tutte le sue derivate crescono all’infinito piu lentamente di una potenzadi x. Naturalmente la potenza puo essere diversa per derivate di ordine di-verso, come e indicato nella definizione formale dalla dipendenza dall’ordinedella derivata, del grado 2k(j) del polinomio (1+x2k(j)) In particolare sono acrescita polinomiale le funzioni infinitamente differenziabili limitate assiemealle loro derivate di qualsiasi ordine e le funzioni polinomiali. Non e, ad es-empio, a crescita polinomiale la funzione ex2

e nemmeno la funzione ex chepure sono infinitamente differenziabili.

Prima di enunciare il prossimo lemma ricordiamo che il prodotto di duefunzioni infinitamente differenziabili e infinitamente differenziabile, come sideduce facilmente dalla formula:

Dn(fh)(x) =n∑

k=0

n!

k!(n− k)!Dkf(x)Dn−kh(x). (42)

Questa formula puo essere dimostrata per induzione su n.

Lemma 20 Sia h una funzione infinitamente differenziabile a crescita poli-nomiale. Allora per ogni f ∈ S la funzione h(x)f(x) appartiene ad S e latrasformazione f 7→ hf e una trasformazione lineare e continua.

dimostrazione. Dalla definizione di funzione a crescita polinomiale siricava che

|Djh(x)| ≤ Cj(1 + x2k(j)) (43)

Osserviamo che dalla formula (42) e dalla (43) si ricava che

|Dl(fh)(x)| ≤ B

l∑j=0

|Djh(x)||Dl−jf(x)| ≤

B

l∑j=0

|Djh(x)|1 + x2k(j)

(1 + x2k(j))|Dl−jf(x)| ≤ B

l∑j=0

Cj(1 + x2k(j))|Dl−jf(x)|.

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0.11. UNDICESIMA LEZIONE 53

Osserviamo ora che

(1 + x2n)(1 + x2m) ≤ M(1 + x2(n+m)).

Da cui si ricava che per k fissato

(1 + x2k)(1 + x2k(j)) ≤ Mj(1 + x2(k+k(j)))

Pertanto posto C = maxj Cj ed M = maxj Mj,

(1 + x2k)|Dl(fh)(x)| ≤ BC

l∑j=0

(1 + x2k)(1 + x2k(j)|Dl−j(f)(x)| ≤

MBC

l∑j=0

(1 + x2(k+k(j)))|Dl−j(f)(x)|,

da cui segue

pkl(hf) ≤ MBC

l∑j=0

supx

(1 + x2(k+k(j)))|Dl−j(f)(x)|.

I termini dell’ultima somma altro non sono che le seminorme relative agliindici k + k(j) e l − j. Ne segue che la trasformazione f 7→ hf e continua.

Ricordiamo una osservazione fatta nelle precedenti lezioni:

Osservazione 9 La derivazione puo essere considerata come una trasfor-mazione D che manda un elemento f di S in un elemento Df pure ap-partenente a S. In altre parole D puo essere considerata come una trasfor-mazione di S in se. Accanto alla trasformazione D possiamo consider-are anche la trasformazione M che manda l’elemento f ∈ S nell’elementoMf(x) = 2πixf(x). Abbiamo dimostrato regole di composizione tra questetrasformazioni e la trasformata di Fourier, che possiamo riassumere comesegue, per un generico elemento f ∈ S:

F(Df) = M(Ff),

eDF(f) = −F(M(f)).

E’ facile dimostrare che le trasformazioni D e M sono continue. Infatti,

pjk(Df) ≤ p(j+1)k(f)

epjk(M(f)) ≤ 2πpj(k+1)(f).

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54

Procediamo con due lemmi che discendono immediatamente da questaosservazione. Introduciamo prima di tutto la notazione Al = (−M)l.

Lemma 21 Se f ∈ S e per ogni intero non negativo l ≥ 0 si pone

Alf(x) = (−2πix)lf = (−M)lf,

allora l’operatore Al e continuo su S e

Dl(f)(λ) =

RAlf(x)e−2πiλx dx.

La dimostrazione di questo lemma segue dalla osservazione precedente.

Lemma 22 Se f ∈ S e k, l sono interi non negativi

(2πiλ)kDlf(λ) =

RDk(Alf)(x)e−2πixλ dx.

Anche questo lemma si deduce dal lemma precedente e dall’osservazione cheprecede.

Il prossimo Lemma concerne la trasformata di Fourier.

Lemma 23 . Se f ∈ S, e k, lsono interi non negativi,

pkl(f) ≤ π(p2k(Alf) + p20(Alf).

dimostrazione. Osserviamo che dal Lemma 22 e dalla integrabilita dellafunzione (1 + x2)−1, si deduce, per k ed l fissati, la disuguaglianza

|λk||Dlf(λ)| ≤ 1

(2π)k

R|Dk(Alf)(x)| dx ≤

R

|Dk(Alf)(x)|1 + x2

(1 + x2) dx ≤

supx∈R

|(1 + x2)Dk(Alf)(x)| 1

(2π)k

R

1

1 + x2dx =

π

(2π)kp1k(Alf) ≤ πp1k(Alf).

Il caso k = 0 fornisce in particolare

|Dlf(λ)| ≤ πp10(Alf).

Percio,

pkl(f) = supλ∈R

(1 + λ2k)|Dlf(λ)| ≤ π(p10(Alf) + p2k(A1f)).

Non e difficile ora concludere dimostrando la continuita della trasformatadi Fourier.

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0.12. DODICESIMA LEZIONE 55

Corollario 19 La trasformata di Fourier e continua da S in S.

dimostrazione. Supponiamo che fn sia una successione che converge ad fnella metrica di S. Senza mancare di generalita possiamo supporre che fn

tenda a zero (possiamo infatti passare alla successione f − fn.) Allora perogni intero non negativo l tendera a zero Alfn. Per il Lemma 23 tende alloraa zero pkl(fn) per ogni k ed ogni l.

Come si e detto all’inizio di questa lezione la continuita della trasfor-mata di Fourier ci permette di definire la trasformata di Fourier di unadistribuzione temperata F . Bastera definire F (f) = F (f).

Il prossimo argomento ci condurra ad utilizzare proprio la trasformata diFourier delle distribuzioni.

0.12 DODICESIMA LEZIONE

Definizione 13 . Sia f ∈ L1. La periodicizzazione di f di passo uno edefinito come

Pf(x) =∞∑

n=−∞f(x + n).

In maniera analoga si definisce la periodicizzazione di passo T > 0 come

PT f(x) =∞∑

n=−∞f(x + nT ).

Osserviamo che la prima serie della Definizione 13 converge assolutamentequasi ovunque. Infatti

∫ 1

0

|f(x + n)| dx =

∫ n+1

n

|f(x)| dx,

e pertanto ∫ 1

0

∞∑n=−∞

|f(x + n)| dx =

R|f(x)| dx < ∞.

Questa stessa formula dimostra che P(f) e una funzione che appartienead L1 dell’intervallo [0, 1] ed e prolungata periodicamente su tutto R. Si puoparlare dunque dei coefficienti di Fourier di Pf , definiti come

P(f)(n) =

∫ 1

0

P(f)(x) e−2πinx dx. (44)

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56

Nel seguito ci sara necessario ricorrere piu volte alle traslate fy(x) =f(x − y) di una funzione. Per questo converra introdurre gli operatori ditraslazione τyf(x) = f(x− y), ricordando che questi operatori sono, in virtudell’invarianza per traslazioni dell’integrale, isometrie in tutti gli spaziLp eche vale la formula

Fτy(f)(λ) = e−2πiλyF(f)(λ). (45)

Ecco un risultato inaspettato sulle funzioni periodicizzate:

Proposizione 3 . Se f ∈ L1(R) e φ = P(f) e la sua periodicizzata, alloraper ogni intero n,

f(n) = φ(n) = P(f)(n).

dimostrazione. Osserviamo che per ogni intero n converge assolutamentequasi ovunque la serie

∞∑

k=−∞f(x + k)e−2πinx.

In effetti la serie converge assolutamente, e quindi semplicemente, nella nor-ma di L1([0, 1)) in quanto, posto en(x) = e−2πinx

∞∑

k=−∞‖f−ken‖1 =

∞∑

k=−∞

∫ 1

0

|f(x + k)| dx =

R|f(x)| dx,

Poiche l’integrale e un funzionale continuo su L1([0, 1)) possiamo scambiarela somma con l’integrale e scrivere (tenuto conto del fatto che e2πink = 1 perogni k ed n):

φ(n) =

∫ 1

0

∞∑

k=−∞f(x + k)e−2πinx =

∞∑

k=−∞

∫ 1

0

f(x + k)e−2πinx dx =

∞∑

k=−∞

∫ 1

0

f(x + k)e−2πin(x+k) dx =

Rf(x)e−2πinx dx = f(n).

Questa importante uguaglianza tra i coefficienti di Fourier del periodiciz-zato di una funzione integrabile ed i valori sugli interi della trasformata diFourier della stessa funzione, ci conduce alla cosiddetta formula di somma diPoisson:

Proposizione 4 Sia f ∈ S, allora

∞∑n=−∞

f(n) =∞∑−∞

f(n).

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0.12. DODICESIMA LEZIONE 57

dimostrazione. Sia

φ(x) =∞∑

k=−∞f(x + k),

il periodicizzato di f . La Proposizione 3 ci fornisce lo sviluppo in serie diFourier (assolutamente convergente per l’ipotesi su f)

φ(x) =∞∑

n=−∞f(n)e2πinx.

Ponendo x = 0 si ottiene allora il risultato enunciato.

Corollario 20 . Se f ∈ S allora

∞∑

k=−∞f(k) e−2πikx =

∞∑

k=−∞f(x + k).

dimostrazione.Basta applicare la proposizione precedente alla funzionef−x(y) = f(y + x).

Bisogna osservare che l’ipotesi che f ∈ S e eccessiva. In realta, per laProposizione ed il suo Corollario, basta supporre che φ(0) risulti ben definitae che la serie di Fourier di φ converga in zero.

Definizione 14 . Se c > 0 indichiamo con Bc lo spazio

{f ∈ L1(R) : f(λ) = 0, per|λ| > c}.Lo spazio Bc si chiama anche classe di Paley-Wiener con frequenza di taglioc.

.Un esempio di funzione appartenente a B1 e la funzione

(sin(πx)

πx)2,

dove il valore della funzione in zero e ovviamente uno. Si tratta, come esubito visto di una funzione in L1, la cui trasformata di Fourier e la funzionetriangolare con base l’intervallo [−1, 1] e altezza uno. Osserviamo che, ingenerale, Bc consiste di funzioni di L1 la cui trasformata di Fourier e unafunzione continua che si annulla fuori di un compatto. Pertanto anche latrasformata di Fourier di un elemento di Bc e in L1 ed e applicabile il teoremadi inversione. Inoltre gli elementi di Bc sono infinitamente differenziabiliperche Df = F∗(Mf) ed Mf ∈ L1.

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58

Lemma 24 Se f ∈ Bc allora il periodicizzato Pf(x) =∑

k f(x + k) e unpolinomio trigonometrico. Cioe per qualche intero non negativo n, Pf(x) =∑n

k=−n cke2πikx.

dimostrazione. Sappiamo dalla Proposizione 3 che Pf(k) = f(k). Poiche

f ∈ Bc, risulta f(λ) = 0 per |λ| > c. Ne segue che Pf(k) = 0 per |k| > c.

Corollario 21 Se f ∈ Bc allora

∞∑

k=−∞f(k) =

∞∑

k=−∞f(k),

e ∞∑

k=−∞f(k) e−2πikx =

∞∑

k=−∞f(x + k).

dimostrazione. La funzione f e continua quindi per ogni x e ben definitoil valore f(x). Inoltre

Pf(x) =∞∑

k=−∞f(x + k),

e un polinomio trigonometrico e cioe per qualche intero non negativo n,

Pf(x) =n∑

k=−n

f(k)e2πikx.

Questo significa che la serie di Fourier di Pf ha un numero finito di addendie quindi converge in tutti i possibili sensi. Vale quindi la formula di Poisson

∞∑

k=−∞f(k) = Pf(0) =

k

f(k),

analogamente vale la formula di Poisson per la funzione traslata fx(y) =f(x + y) che ci fornisce la seconda identita.

Introduciamo ora una funzione importante:

Definizione 15 . La funzione che vale uno in zero e vale

sin πs

πx,

se x 6= 0 si chiama ”seno cardinale di x” e si indica con sinc x.

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0.12. DODICESIMA LEZIONE 59

In realta abbiamo gia visto il quadrato di questa funzione, che e unafunzione integrabile, mentre sinc x non lo e.

Lemma 25 . La funzione sinc λ e la trasformata di Fourier della funzionecaratteristica χ[− 1

2, 12](x) dell’intervallo [−1/2, 1/2].

.dimostrazione E’ sufficiente calcolare direttamente:∫ 1/2

−1/2

e−2πiλx dx =sin πx

πλ.

Per convenienza tipografica indicheremo nel seguito la funzione caratter-istica dell’intervallo [−1/2, 1/2] con χ 1

2.

Teorema 22 . Se f ∈ B1/2 e sinc t = sin πtπt

, allora

f(x) =∞∑

k=−∞f(k) sinc(x− k). (46)

dimostrazione. Prima di trattare la dimostrazione formale di questo teo-rema, e per capirne la portata ed il significato, proviamo ad applicare latrasformata di Fourier ai due lati della (46) scambiando anche la trasformatacon la somma. Il risultato e:

f(λ) =∞∑

k=−∞f(k)F(τk sinc)(λ) =

∞∑

k=−∞f(k)e−2πikλχ 1

2. (47)

Osserviamo che f(λ) puo essere sviluppata in serie di Fourier come fun-zione definita sull’intervallo [−1/2, 1/2] che assume valori uguali agli estremi(possiamo pensare ad un suo prolungamento periodico su R come funzionecontinua.)

Questo sviluppo ha come coefficienti F(f))(k) = f(−k). La serie di Fouri-er di f periodicizzata, che certamente converge in L2([0, 1]) ( e quindi in L2

di qualsiasi compatto), sarebbe quindi:

∞∑

k=−∞f(−k)e2πikλ =

∞∑

k=−∞f(k)e−2πikλ.

Questo sivluppo, naturalmente concerne la periodicizzazione di f ed evalido solo se |λ| ≤ 1/2. Per renderlo valido su tutto R bisogna moltiplicareambo i lati per la funzione caratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si ottienecosı esattamente la (47).

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Questo significa che se si applica la trasformata di Fourier ai due lati della(46) per ottenere la (47), si ottiene una identita valida almeno nel senso diL2 (poiche a destra e sinistra dell’uguale ci sono funzioni che sono zero per|λ| > 0, l’identita in L2 dell’intervallo implica la stessa identita in L2(R.)Per concludere la dimostrazione basta dimostrare che e lecito passare allatrasformata di Fourier e che la (46) si verifica punto per punto.

0.13 TREDICESIMA LEZIONE

Ricordiamo che dobbiamo dimostrare, per ogni funzione f ∈ B1/2 lo sviluppoin serie di Whittaker

f(x) =∞∑

k=−∞f(k) sinc(x− k). (48)

Ci servira il seguente Lemma

Lemma 26 . Esiste un numero M > 0 tale che per ogni x ∈ R

ψ(x) =∞∑

k=−∞(sinc(x− k))2 ≤ M.

dimostrazione. Osserviamo che la serie converge per ogni x. Infatti se x /∈Z la serie converge perche il termine k-esimo e asintoticamente confrontabilecon 1/k2. Se invece x = n ∈ Z per qualche n allora,

ψ(n) =∞∑

k=−∞(sinc(n− k))2 = 1 +

k 6=n

(sinc(n− k))2 = 1,

dal momento che sinc(x) si annulla su tutti gli interi diversi da zero. Osservi-amo che (sinc x)2 appartiene a L1 e la sua trasformata di Fourier χ 1

2∗ χ 1

2e

una funzione triangolare che ha supporto in [−1, 1] (per non appesantire lanotazione abbiamo indicato con χ 1

2la funzione caratteristica dell’intervallo

[−1/2, 1/2]). Pertanto (sinc x)2 ∈ B1 e ψ che e la periodicizzata di (sinc(x))2

e un polinomio trigonometrico. Ne segue che ψ e limitata in quanto funzionecontinua e periodica.

Esercizio 10 . Dimostrare che

ψ(x) =∞∑

k=−∞(sinc(x− k))2,

e la funzione indenticamente uno.

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0.13. TREDICESIMA LEZIONE 61

dimostrazione della formula (48)Consideriamo prima di tutto la funzione f(λ) che e una funzione continua

che si annulla fuori dell’intervallo [−1/2, 1/2]. La funzione che si ottieneperiodicizzando f(λ) e:

φ(λ) =∞∑

k=−∞f(λ + k),

che, naturalmente e periodica di periodo uno e coincide con f(λ) nell’inter-vallo [−1/2, 1/2]. Si noti che poiche f si annulla fuori di questo intervallo,per ogni λ solo un termine della somma e diverso da zero: quello per il qualeλ ∈ [k − 1/2, k + 1/2]. In altre parole la ”periodicizzazione” della funzionef(λ) e semplicemente la estensione periodica della funzione stessa.

Possiamo esprimere φ attraverso la sua serie di Fourier (che convergerain L2 dal momento che φ e continua). Possiamo quindi scrivere

φ(λ) =∞∑

k=−∞φ(k)e2πikλ,

dove

φ(k) =

∫ 1/2

−1/2

f(ω)e−2πkωdω.

Osserviamo che φ(k) =ˆf(k) = f(−k). Pertanto la successione f(k) risulta

di quadrato sommabile, e, rispetto alla convergenza in L2([−1/2, 1/2)), e per|λ| ≤ 1/2 si ha

f(λ) =∞∑

k=−∞f(−k)e2πikλ =

∞∑

k=−∞f(k)e−2πikλ.

Questa identita vale solo per |λ| ≤ 1/2. Tuttavia la possiamo trasformarein una identita che vale per ogni λ moltiplicando ambo i lati per la funzionecaratteristica dell’intervallo [−1/2, 1/2]. Si ottiene allora,

f(λ) =∞∑

k=−∞f(k)e−2πikλχ 1

2(λ). (49)

Ricordiamo che χ 12

= F−1(sinc), e che, essendo la funzione χ 12

pari, Fχ 12

=

F−1χ 12. Introduciamo anche gli operatori di traslazione τyf(x) = f(x − y).

Ricordiamo a questo punto che Fτku(λ) = e−2πikλFu. Pertanto

e−2πikλχ 12(λ) = F−1(τk sinc)(−λ) = F(τk sinc(λ).

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Pertanto la (49) diviene

f(λ) =∞∑

k=−∞f(k)F−1(τk sinc(−λ)

La serie converge in L2 perche l’identita (49) vale in L2. La trasformata diFourier e una isometria in L2(R) e pertanto, passando alla trasformata diFourier si ottiene:

f(−x) =∞∑

k=−∞f(k)τk sinc(−x) =

∞∑

k=−∞f(k) sinc(−x− k).

Da cui, come identita in L2 si ottiene,

f(x) =∞∑

k=−∞f(k) sinc(x− k).

Resta da dimostrare che questa identita vale punto per punto. Basta a questoproposito dimostrare che la serie

∞∑

k=−∞f(k) sinc(x− k),

converge uniformemente in x. Osserviamo che la successione f(k) e diquadrato sommabile, pertanto facendo uso del Lemma 26,

|k|≥n

|f(k)|| sinc(x− k)| ≤ (∑

|k|≥n

(f(k))2)1/2(∑

|k|≥n

(sinc(x− k))2))1/2 ≤

M1/2(∑

|k|≥n

(f(k))2)1/2,

che tende a zero dal momento che la successione f(k) e di quadrato somma-bile.

Per dimostrare il prossimo risultato ci servira il lemma seguente.

Lemma 27 . Se f ∈ L1(R) e α > 0 e g(x) = f(αx), allora

g(λ) =1

αf(

λ

α).

. dimostrazione La dimostrazione e immediata valutando l’integrale dopoil cambiamento di variabile t = αx.

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0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE 63

Corollario 23 . Per ogni ω0 > 0, f ∈ Bωo e x ∈ R, vale la seguente formuladi ricostruzione dei dati, a partire dai valori campionati {f( k

2ω0) : k ∈ Z}:

f(x) =∞∑

k=−∞f(

k

2ω0

) sinc(2ω0x− k) (50)

dimostrazione. Posto g(x) = f( x2ω0

), risulta che g ∈ B1/2. Si applicapertanto a g la formula (48), pertanto:

g(x) =∞∑

k=−∞g(k) sinc(x− k),

che, in virtu del Lemma 27, equivale alla formula

f(x

2ω0

) =∞∑

k=−∞f(

k

2ω0

) sinc(x− k).

Posto y = x2ω0

, e quindi x = 2ω0y, si ottiene quindi

f(y) =∞∑

k=−∞f(

k

2ω0

) sinc(2ω0y − k),

che e esattamente la (50), con y al posto di x.

0.14 QUATTORDICESIMA LEZIONE

In questa lezione vogliamo tornare su esempi importanti di distribuzionitemperate, cioe di elementi di S ′.

Ricordiamo che gli elementi di S ′ sono chiamati distribuzioni temperateo, per noi, semplicemente distribuzioni, dal momento che in questo corsoverranno trattate solo distribuzioni temperate.

Osserviamo innanzitutto che lo spazio S e immerso con continuita neglispazi Lp con 1 ≤ p ≤ ∞. Questo significa non solo che S ⊂ Lp, ma chel’immersione e continua: se fn converge ad f in S allora fn converge ad f inLp. Ne segue l’importante conseguenza che ogni funzionale lineare definito econtinuo su Lp (nella norma di Lp) da luogo ad un elemento di S ′. Per il casop = ∞ possiamo dire qualcosa di piu. Infatti S e immerso con continuitanello spazio C0 delle funzioni continue che si annullano all’infinito, che siidentifica con un sottospazio chiuso di L∞. Il duale di C0 e lo spazio dellemisure complesse limitate, e pertanto anche queste misure danno luogo ad

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elementi di S ′. Tra queste misure ci sono anche le misure definite da unelemento di L1. E’ per questo che tutti gli elementi di Lp possono essereassociati ad elementi di S ′.

I funzionali ereditati dagli spazi Lp e dallo spazio C0 non esauriscono S ′,come prova l’importante esempio che abbiamo trattato nella decima lezionee cioe il cosiddetto treno di impulsi, cioe il funzionale che associa ad unelemento f ∈ S il numero complesso

F (f) =∞∑

n=−∞f(n),

Abbiamo dimostrato che si tratta di un funzionale continuo e cioe che sefn ∈ S converge ad f nella metrica di S, allora F (fn) converge ad F (f). Inaltre parole abbiamo dimostrato che F ∈ S ′ lo spazio di tutti i funzionalilineari e continui definiti su S.

Il treno di impulsi puo essere visto come una misura, che tuttavia siguarda bene dall’essere limitata. E’ la misura che associa ad un sottoinsiemedella retta reale il numero degli interi in esso contenuto (ed infinito, se talenumero e infinito).

Nello spazio S ′ delle distribuzioni temperate e possibile e naturale definireuna nozione di convergenza (e quindi una topologia), secondo la seguentedefinizione.

Definizione 16 Si dice che una successione di distribuzioni Fn ∈ S ′ con-verge, nel senso delle distribuzioni, ad una distribuzione F ∈ S ′ se per ognif ∈ S risulta limn F (fn) = F (f).

Ad esempio, come abbiamo visto nella decima lezione, la successione

FN(f) =N∑

n=−N

f(n),

converge, nel senso delle distribuzioni al treno di impulsi richiamato sopra.A questo proposito e pero opportuno richiamare un risultato sugli spazi

di Frechet che si applica ad S che e uno spazio di Frechet.

Proposizione 5 Sia Fn una successione di distribuzioni, appartenenti adS ′, e supponiamo che per ogni f ∈ S esista il limite limn Fn(f) = F (f),allora F e un funzionale lineare e continuo, cioe un elemento di S ′.

Non daremo la dimostrazione di questa proposizione nota come ”principiodi uniforme limitatezza”. Osserviamo che la proposizione e valida per tutti

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0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE 65

gli spazi di Frechet cioe gli spazi vettoriali topologici localmente convessi lacui topologia puo essere descritta attraverso una metrica invariante completa.

E’ opportuno fornire altri importanti esempi di distribuzioni temperate.Osserviamo che possono essere identificate con distribuzioni temperate

tutte le funzioni localmente integrabili (cioe integrabili su ogni compatto)che abbiano una crescita polinomiale.

In altre parole:

Osservazione 10 Se h e una funzione integrabile su ogni sottoinsieme com-patto e se esiste un intero positivo k ed un numero B tali che |h(x)| ≤B(1 + |x|k, allora

Th(f) =

Rh(x)f(x)dx,

definisce una distribuzione temperata.

Per convincersi che l’osservazione precedente e vera, basta rendersi contoche l’integrale che definisce Th(f) converge assolutamente in quanto

|h(x)f(x)| ≤ B(1 + |x|k)C(1 + |x|)−k−2 ≤ B′(1 + |x|)−2,

dove abbiamo usato il fatto che f va a zero piu velocemente di (1 + |x|)−k−2.Per mostrare la continita di Th si utilizza il teorema di convergenza

dominata di Lebesgue.Un altro esempio di elemento di S ′ e fornito, come abbiamo gia visto,

dall’integrale

Th(f) =

Rh(x)f(x)dx,

dove h e un elemento di L1. Questo non e un caso particolare del precedenteesempio perche non tutte le funzioni di L1 sono a crescita polinomiale, esistead esempio una funzione integrabile su tutta la retta, continua e non negativache vale 2|n| sugli interi.

Un altro esempio importante e fornito dal valore principale di un integralesingolare. L’esempio canonico parte dalla funzione 1/x che, come e noto non eintegrabile su tutta la retta ne in senso improprio, ne rispetto all’integrazionesecondo Lebesgue. Se f ∈ S ha senso pero considerare il limite

PV (f) = limε→0+

∫ −ε

−∞

f(x)

xdx+

∫ ∞

ε

f(x)

xdx = lim

ε→0

∫ ∞

ε

f(x)− f(−x)

xdx. (51)

L’ultimo limite esiste perche, per qualche ξ ∈ (−x, x)

|f(x)− f(−x)

2x| = |f ′(ξ)| ≤ B, (52)

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dove B e un maggiorante (su tutto R) della derivata prima di f .E’ facile vedere che la (51) defnisce un funzionale lineare su S. Per di-

mostrare che si tratta di un funzionale continuo e quindi di un elemento diS ′ ci si puo appellare alla Proposizione 5 ponendo, ad esempio ε = 1/n. E’possibile anche dimostrare direttamente la continuita del funzionale definitodalla (51), considerando separatamente i funzionali:

PV1(f) = limε→0

∫ 1

ε

f(x)− f(−x)

xdx,

e

PV2(f) =

∫ ∞

1

f(x)− f(−x)

xdx,

la cui somma ci fornisce il funzionale definito da (51).Osserviamo che, per f ∈ S, |PV1(f)|, in virtu della (52), e maggiorato da

una costante che moltiplica il massimo del modulo della derivata di f , cioe|PV1(f)| ≤ B1 maxξ |f ′(ξ)|. Questo basta per dimostrare la continuita diPV1, in quanto il massimo del modulo della derivata e una delle seminormeche definiscono la convergenza in S. Per dimostrare la continuita di PV2,riscriviamolo come

PV2(f) =

∫ ∞

1

x(f(x)− f(−x))

x2dx.

Risulta a questo punto evidente che |PV2(f)| e maggiorato da una costanteche moltiplca il massimo di |xf(x)|, cioe |PV2(f)| ≤ B2 maxx |xf(x)|. Maanche maxx |xf(x)| e una delle seminorme che definiscono la convergenza inS. Ne segue che anche PV2 e continuo e che PV che e la somma di PV1 ePV2 e pure continuo.

Nella decima lezione abbiamo gia definito attraverso la (55) il funzionaleche abbiamo chiamato treno di impulsi dimostrandone direttamente la conti-nuita. Ricordiamo che questo funzionale e definito, per f ∈ S dalla formula:

∞∑n=−∞

f(n).

La serie converge perche |f(n)| ≤ B(1 + n2)−1. Come abbiamo gia visto alladecima lezione, questo elemento di S ′ puo essere visto come la serie

∞∑n=−∞

δn,

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0.14. QUATTORDICESIMA LEZIONE 67

dove δn(f) = f(n). E’ possibile considerare serie analoghe dove al posto di δn

si hanno altre misure? Un esempio importante a questo proposito e il trenod’onde quadre, che ci accingiamo a trattare.

Introduciamo prima di tutto, per 1 < α, l’operatore di dilatazione Λαf(x) =f(αx) Si tratta ovviamoente di un operatore invertibile che agisce sullo spazioL1. Risulta anche ∫

Rf(αx)dx =

1

α

Rf(x)dx.

Pertanto l’operatore f 7→ αf(αx) risulta isometrico in L1.Per semplicita tipografica indiciamo con χ la funzione caratteristica χ[0,1]

dell’intervallo chiuso [0, 1]. Per α > 1 consideriamo la funzione χα(x) = Λαχ.Si tratta di una funzione non negativa di integrale 1/α, che ha supportonell’intervallo [0, 1/α]. Il treno d’onde quadre di durata α, e la serie deitraslati

∞∑n=−∞

τnχα,

che agisce su un elemento f ∈ S come

∞∑n=−∞

Rf(x)χα(x + n)dx. (53)

Perche questa formula abbia senso dobbiamo osservare che le funzioni hannosupporto disgiunto. Pertanto la serie

∞∑n=−∞

χα(x + n),

converge puntualmene(ma non uniformemente!). Infatti le somme parziali diquesta serie soddisfano alla condizione

N∑n=−N

χα(x + n) ≤N+1∑−N−1

χα(x + n).

La decrescenza rapida di f ci consente di commutare la somma con l’integrale.Ne risulta l’integrale di f moltiplicato per una funzione misurabile e limitata.Resta da dimostrare che il funzionale cosı definito e continuo. Per questoosserviamo che se fn converge nella metrica di S ad f , allora converge anchenella norma L1. Il funzionale, essendo degerminato da una funzione limitatae continuo in L1 e pertanto il suo valore su fn converge al suo valore su f .

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68

Un altro esempio si ottiene considerando il treno di onde quadre normal-izzate, che sarebbe il funzionale determinato dalla funzione

Ξα = α

∞∑n=−∞

τnχα.

Anche questa si riduce ad una funzione in L∞ e pertanto definisce unelemento di S ′.

Un altro elemento da considerare e quello associato alle traslate dellagaussiana ϕ(x) = e−πx2

, o meglio alle traslate della dilatata ϕα(x) dellagaussiana, dove α > 1 e ϕα(x) = ϕ(αx).

Consideriamo quindi la serie di funzioni

∞∑n=−∞

τnϕα(x) =∞∑

n=−∞ϕα(x + n) =

∞∑n=−∞

e−πα2(x−n)2 , (54)

e dimostriamo che le somme parziali convergono come elementi di S ′.L’azione di questa serie sul generico elemento f ∈ S e data da

F (f) =∞∑

n=−∞

Rf(x)ϕα(x + n)dx.

che possiamo riscrivere come

F (f) =∞∑

n=−∞

Rf(x + n)ϕα(x)dx.

Per dimostrare che il funzionale F e ben definito e continuo bastera far vedereche la serie (54) converge uniformemente sui compatti e definisce quindi unafunzione continua e limitata (e periodica di periodo uno).

Fissiamo un intero positivo N e consideriamo, nell’intervallo chiuso [−N.N ]il termine generale della serie,

e−πα2(x−n)2 .

Osserviamo che se |n| > N il massimo (su tutta la retta reale) di questotermine, e raggiunto fuori dell’intervallo [−N, N ], e quindi il massimo sull’in-tervallo e raggiunto in uno degli estremi, e precisamente in N se n > N e in−N se n < N . Pertanto se |n| > N il valore massimo del termine generale e

e−πα2(N−n)2 .

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0.15. QUINDICESIMA LEZIONE 69

La serie numerica ∑

|n|>N

e−πα2(N−n)2 ,

converge e pertanto converge uniformemente su [−N,N ], la serie

|n|>N

e−πα2(x−n)2 .

Ne segue che converge uniformemente su [−N.N ] anche la serie (54).Vale forse la pena di osservare che la convergenza della serie (54) non e

uniforme su tutta la retta reale: se lo fosse convergerebbe ad una funzioneche si annulla all’infinito, mentre e evidente che converge ad una funzioneperiodica di periodo uno.

0.15 QUINDICESIMA LEZIONE

Abbiamo visto che ogni funzione h localmente integrabile (cioe integrabilesu ogni insieme compatto) e a crescita polinomiale (cioe |h(x)| ≤ B(1 + x2k)per qualche intero posirivo k) definisce attraverso la formula

Th(f) =

Rf(x)h(x)dx,

un elemento di S ′. Lo spazio S ′ ”contiene” quindi tutte le funzioni a crescitapolinomiale, ma, ovviamente contiene anche molto di piu.

Con ”abuso di linguaggio”, identificheremo spesso la distribuzione Th conla funzione h.

Abbiamo anche visto che nello spazio S ′ delle distribuzioni sono definitigli operatori lineari e continui di

1. derivazione:

DF (f) = −F (Df),

2. moltiplicazione per una funzione h infinitalmente differenziabile a cresci-ta polinomiale

(MhF )(f) = F (hf),

3. trasformata di Fourier

FF (f) = F (F(f).

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70

E’ importante osservare che la trasformata di Fourier su S ′ risulta unisomorfismo (iniettivo e surgettivo) continuo. La continuita discende natu-ralmente dalla continuita della trasformata di Fourier su S. Ma anche lasurgettivita si puo provare allo stesso modo. Si osserva infatti che se F ∈ S ′,allora F (F−1f) definisce un elemento di S ′, il cui trasformato di Fourier eesattamente F . Similmente si prova l’iniettivita, a partire dalla surgettivitadella trasformata di Fourier su S: se FF = 0, allora per tutti gli f ∈ S,risulterebbe F (Ff) = 0, che per la surgettivita di F in S significa F = 0.

Come esempio calcoliamo ora la trasformata di Fourier della misura diDirac δ0, osservando che

δ0(f) = δ0(f) = f(0) =

Rf(x)dx,

In altre parole l’azione di δ0 su S ′ si riduce alla moltiplicazione per la funzioneidenticamente uno seguita dall’integrazione. Possiamo pertanto identificareδ0 con la distribuzione

T1 =

Rf(x)dx.

Analogamente l’azione di δx si riduce alla moltiplicazione per la funzione (diλ, per x fissato) e−2πiλx seguita dalla integrazione:

δx(f) = δx(f) = f(x) =

Rf(λ)e−2πiλxdλ

Risulta quindi naturale che la distribuzione

∞∑n=−∞

δn,

abbia trasformata di Fourier

∞∑n=−∞

e−2πinλ

Ricordiamo che nella Nona Lezione abbiamo osservato che se M e l’op-eratore (definito e a valori in S) di moltiplicazione per il polinomio di primogrado 2πix e D e l’operatore di derivazione, sussistono le seguenti importantiformule (37) e (38) di commutazione con la trasformata di Fourier F:

F(Df) = M(Ff),

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0.15. QUINDICESIMA LEZIONE 71

eDF(f) = −F(M(f)).

Queste formule si trasferiscono automaticamente su S ′, dove sono bendefiniti gli operatori M, F e D. Basta osservare, ad esempio, che se F ∈ S ′,ed f e un generico elemento di S ′,

F (F(Df)) = F (M(Ff)),

che, essendo questa formula valida per ogni f , equivale a dire che

F(DF ) = M(FF ).

Analogamente possiamo stabilire che, se F ∈ S ′,

DF(F ) = −F(M(F )

Forti di queste formule calcoliamo ora la trasformata di Fourier della derivatadi δ0. Vediamo che

FD(δ0) = M1,

dove 1 e la funzione identicamente uno. In altre parole

FD(δ0)f =

R2πixf(x)dx.

Allo stesso modo si dimostra che

FD(δy) = Me−2πixy,

e cioe

FD(δy)f =

R2πixe−2πixyf(x)dx.

Introduciamo ora la nozione di supporto di una distribuzione.

Definizione 17 . Il supporto di un elemento F ∈ S ′ e il complemento delpiu grande insieme aperto U tale che se l’insieme {x : f(x) 6= 0} ⊂ U , nesegue che F (f) = 0.

Per capire la definizione, dato F ∈ S ′, bisogna considerare la famigliadei sottoinsiemi aperti U di R che soddisfano alla condizione: ”Se f ∈ S enulla fuori di U allora F (f) = 0”. Questa famiglia non e vuota perche viappartiene almeno l’insieme vuoto. L’unione di tutti gli insiemi appartenentia questa famiglia e un insieme aperto. Il suo complemento e il supporto diF .

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E’ evidente che il supporto di una distribuzione e un insieme chiuso.E’l’insieme vuoto se solo se F e la distribuzione nulla.

Non bisogna dimenticare che il supporto di una distribuzione e chiuso,anche se la distribuzione e in realta una misura ”portata” da un insieme piupiccolo.

Ecco un esempio illuminante. Sia {rn} una numerazione dei razionali.Definiamo la distribuzione:

F (f) =∞∑

n=1

f(rn)

2n.

Allora il supporto di F e tutta la retta reale. Per dimostrare che questaformula definisce in effetti una distribuzione temperata (cioe un funzionalelineare e continuo definito su S si puo ricorrere al principio di uniformelimitatezza o oppure fornire una dimostrazione diretta.

Ci sono molti casi in cui il supporto di una distribuzione si riduce ad unsolo punto. Introduciamo a questo proposito il sottospazio lineare generatodalle derivate di δ0, cioe lo spazio di tutte le combinazioni lineari

n∑

k=1

ckDkδ0.

E’ chiaro che queste disrribuzioni hanno supporto nel punto 0. Infatti seun elemento di S Infatti se U e un aperto non contente lo zero ed f si annullafuori di U risulteranno zero tutte le derivate di f nel punto zero. L’unionedi tutti gli aperti non contenenti lo zero e il complemento del singoletto {0}e pertanto il supporto di queste distribuzioni e lo stesso singoletto.

Osserviamo che a trasformata di Fourier applicata agli elementi di questospazio fornisce lo spazio di tutti i polinomi su R. L’omomorfismo e dato dallacorrispondenza

n∑

k=1

ckDkδ0 7→

n∑

k=1

(2πi)kckxk.

Sussiste un risultato piu generale sulle distribuzioni che hanno supporto inun punto:

Proposizione 6 Le distribuzioni con supporto sull’unico punto x0 ∈ R sonotutte e solo le serie ∞∑

k=1

ckDkδx0 ,

convergenti nel senso delle distribuzioni.

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0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE 73

Introduciamo ora la nozione di convoluzione di distribuzioni temperate.

Definizione 18 La covoluzione di un elemento f ∈ S ed un elemento G ∈ S ′e definita come la trasformata inversa del prodotto MfG. Scriviamo quindi:

f ∗G = F−1(f G)

Osserviamo che f ∗ δx = τxf . Infatti δx = e−2πxy, mentre τxf(y) =e−2πixyf(y).

Vale la pena di osservare che la convoluzione di un elemento di f ∈ S edun elemento G ∈ S ′ puo essere definita in altro modo e cioe come

G ∗ f(x) = G(τxf),

dove f(x) = f(−x), per definizione. Ci riserviamo di dimostrare successi-vamene che le due definizioni sono equivalenti. Per ora facciamo riferimentoa libro di W. Rudin, ”Functional Analysis” (prima edizione 1973) Definition7.18, pag. 178. Certamente le due definizioni coincidono quando G = δx.

0.16 SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA

LEZIONE

Prima di trattare ancora il treno di impulsi e la sua trasformata di Fourier,vogliamo ritornare sul trasferimento ad S ′ di alcuni operatori che abbiamodefinito su S.

L’operatore Λα, con α > 0, e definito su S ′ come

Λαf(x) = f(αx).

Pertanto∫

Rf(x)Λαg(x)dx =

Rf(x)g(αx)dx =

1

α

Rf(x/α)g(x)dx.

In coerenza con questa definizione per un elemento F ∈ S ′ definiamo

ΛαF (f) =1

αF (Λ1/αf).

Ricordiamo anche che

F(Λαf) =1

αΛ1/αFf,

come si ricava subito dalla definizione di trasformata di Fourier, con unsemplice cambiamento di variabile.

Vogliamo ora estendere quest’ultimo risultato ad S ′.Vogliamo cioe dimostrare il seguente risultato

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Teorema 24 . Se α > 0 e F ∈ S ′,

F(ΛαF ) =1

αΛ1/αFF.

dimostrazione.

(FΛαF )(f) = (ΛαF )(Ff) =1

αF (Λ1/αFf) = F (F(Λαf) =

F(F )(Λαf) =1

αΛ1/α(FF )(f).

Ricordiamo anche che FτxF = e−2πyxFF .A questo proposito ricordiamo che la moltiplicazione di una distribuzione

F per una funzione infinitamente differenziabile a crescita polinomiale ( comee ad esempio la funzione della variabile y definita da e−2πixy) e definita comeh(x)F (f) = F (hf). In particolare se F = δt per qualche reale t si ottieneche hδt(f) = h(t)f(t).

Ci proponiamo ora di studiare la trasformata di Fourier di una importantedistribuzione che abbiamo gia visto nelle lezioni precedenti, e cioe il ”trenodi impulsi”. Partiamo quindi dalla distribuzione:

K =∞∑

n=−∞δn (55)

che agisce sugli elementi di S come

K(f) =∞∑

n=−∞f(n).

Secondo le nostre definizioni la trasformata di Fourier di K e la dis-tribuzione K, definita dalla relazione

K(f) = K(f).

In altre parole si ottiene:

K(f) =∞∑

n=−∞f(n).

Ma per gli elementi di S vale la formula di Poisson dimostrata nella Propo-sizione 4, si ha quindi per ogni f ∈ S l’eguaglianza

∞∑n=−∞

f(n) =∞∑

n=−∞f(n).

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0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE 75

Questo significa che K = K.

Vale la pena di esaminare piu da vicino questo risultato. Siamo abituatiad identificate una funzione h con la distribuzione cui da luogo, cioe con ladistribuzione

Th(f) =

Rf(x)h(x)dx.

Da questo punto di vista e lecito identificare δn con la funzione e−2πinx. Siamoquindi condotti a identificare la trasformata di Fourier del treno di impulsicon la serie:

∞∑n=−∞

e−2πinx.

Questa serie, ovviamente si guarda bene dal convergere puntualmente, maconverge nel senso delle distribuzioni, converge cioe per ogni f ∈ S la serie

K(f) =∞∑

n=−∞

Rf(x)e−2πinx =

∞∑n=−∞

f(n).

La formula di somma di Poisson ha cosı una interpretazione nel sensodelle distribuzioni, che si puo riassumete nel seguente risultato.

Teorema 25 Nel senso dele distribuzioni vale l’uguaglianza

∞∑n=−∞

δn =∞∑

n=−∞δn.

.

Possiamo dedurre dal precedente teorema un altro risultato:

Lemma 28 Sia f una funzione integrabile con supporto in [−1/2, 1/2] e sia

h(x) =∞∑

n=−∞f(x + n),

la funzione periodica di periodo uno ottenuta periodicizzando la f . Allora ladistribuzione associata a h e discreta e precisamente:

Th =∞∑

n=−∞f(n)δn.

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76

dimostrazione. Osserviamo che f(x− n) = τnf(x) = δn ∗ f(x). Percio

h(x) =∞∑

n=−∞f(x + n) =

∞∑n=−∞

δn ∗ f(x).

Pertanto, con la convergenza nel senso delle distribuzioni,

Th =∞∑

n=−∞δnf =

∞∑n=−∞

δnf =∞∑

n=−∞f(n)δn.

Corollario 26 . Se f e una funzione integrabile con supporto nell’intervallo[−τ/2, τ/2] ed

h(x) =∞∑−∞

f(x + nτ),

e la funzione periodica di periodo τ ottenuta periodicizzando la f , allora

Th =∞∑−∞

f(n/τ)δn/τ .

dimostrazione. Osserviamo che se l’operatore di dilatazione su S definitoda Λαf(x) = f(αx), viene esteso a S ′ dalla formula

ΛαF (f) =1

|α|F (Λ1/αf),

risulta allora

ΛαF =1

|α|Λ1/αF .

In particolare per ogni τ > 0, si verifica che

F(Λ1/τK) = τΛτFK.

Queste formule ci consentono automaticamente di estendere il risultatodel Lemma al caso in cui il periodo sia τ 6= 1.

Per α > 1 abbiamo anche considerato il treno di onde quadre normalizzate

Ξα =∞∑

n=−∞ατnχα, (56)

dove χα(x) = χ(x) e χ = χ[−1/2,1/2] e la funzione caratteristica dell’intervallo[−1/2, 1/2].

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0.16. SEDICESIMA E DICIASSETTESIMA LEZIONE 77

Osserviamo che le funzioni αχα per α → +∞ formano una identita ap-prossimata, cioe convergono, nel senso delle distribuzioni, alla distribuzioneδ0. Ne segue che le funzioni ατnχα convergono nel senso delle distribuzionia δ−n. E’ plausibile quindi che per α → ∞ il treno di onde quadre (56)converga al treno di impulsi.

In effetti, se f ∈ S, allora

Ξα(f) =∞∑

n=−∞α

∫ n+1/2α

n−1/2α

f(x)dx,

La media

α

∫ n+1/2α

n−1/2α

f(x)dx,

e un valore compreso tra il massimo ed il minimo della funzione continua fnell’intervallo [n − 1/2α, n + 1/2α]. Pertanto esiste un punto ξα,n in questointervallo, tale che

f(ξα,n) = α

∫ n+1/2α

n−1/2α

f(x)dx.

Possiamo quindi scrivere

Ξα(f) =∞∑

n=−∞f(ξα,n).

Osserviamo che al tendere di α all’infinito, ξα,n → n. Possiamo quindiapplicare il teorema della convergenza dominata di Lebesgue per le serie,a condizione di trovare una successsione sommabile che ”domina” tutte lesuccessioni f(ξα,n). Tale e la successione dei massimi

an = max{|f(x)| : |x− n| ≤ 1/2}.

Osserviamo che an e sommabile a causa della decrescenza rapida di f , infatti,an = |f(cn)|, per qualche n− 1/2 ≤ cn ≤ n + 1/2, per cui, per qualche B, invirtu della decrescenza rapida di f

an = |f(cn)| ≤ B

1 + c2n

≤ B

1 + (n− 1/2)2.

In conclusione

limα→∞

Ξα(f) =∞∑

n=−∞f(n) = K(f).

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0.17 DICIOTTESIMA LEZIONE

In questa lezione vogliamo rivisitare il teorema del campionamento di Shan-non il quale assrisce che se f ∈ L1, e la sua trasformata di Fourier f e zerofuori dell’intervallo [−T/2, T/2], allora (formula di Shannon ( 50))

f(x) =∞∑

k=−∞f(kT ) sinc(x/T − k). (57)

In particolare per T = 1 si ha la formula di Whittaker (46.

f(x) =∞∑

k=−∞f(k) sinc(x− k), (58)

Naturalmente queste due formule restano vere quando il supporto di f e piupiccolo di quello indicato nelle ipotesi. Tutto cambia invece se il supporto dif deborda dall’intervallo di riferimento che e [−T/2, T/2] per la formula diShannon con il caso particolare T = 1 per la formula di Whittaker.

Per capire, almeno qualitativamente, che cosa succede se il passo di ri-costruzione del dato f(kT ) non e sufficientemente fitto cioe se T non eabbastanza grande perche [−T/2, T/2] contenga il supporto di f , convienerivedere la dimostrazione, ad esempio, della formula di Whittaker, utilizzan-do, anziche la trasformata di Fourier in L2, la trasformata di Fourier delledistribuzioni.

Rivediamo prima di tutto a grandi linee la dimostrazione della formula diWhittaker che utilizza la trasformata di Fourier in L2 (che e una isometriaed e quindi invertibile).

1. Si osserva che f e una funzione continua a supporto in un intervallo dilunghezza uno di centro l’origine. Pertanto puo essere prolungata aduna funzione periodica di periodo uno, attraverso la somma (dove perogni λ c’e un solo addendo):

Pf(λ) =∑

n∈Zf(λ + n)

.

2. Si osserva che Pf e una funzione continua e periodica e che pertantoammette una serie di Fourier che converge nella norma di L2([−1/2, 1/2]).

3. Si osserva che i coefficienti di Fourier Pf(n) sono esattamente i valorif(−n) e che pertanto per |λ| ≤ T/2 vale l’uguaglianza (in L2([−1/2, 1/2])):

f(λ) =∑

n∈Zf(−n)e2πinλ =

n∈Zf(n)e−2πinλ

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0.17. DICIOTTESIMA LEZIONE 79

4. Si osserva che questa uguglianza vale per tutti i λ reali se si molti-plicano ambo i lati dell’uguaglianza per la funzione charatteristica χdell’intervallo [−1/2, 1/2], e che la moltiplicazione di P f per questafunzione, ci restituisce esattamente f e quindi dalla precedente formulasi ottiene (nel senso della uguaglianza come elementi di L2(R),

f(λ) =∑

n∈Zf(n)e2πinλχ[−1

2, 12]

5. Si osserva che e2πnλχ[−12

, 12] e la trasformata di Fourier inversa in L2(R

di sinc(x− n) e applicando la trasformata di Fourier inversa all’ultimaeguaglianza si ottiene:

f(x) =∑

n∈Zf(n) sinc(x− n).

6. Infine si dimostra che questa uguaglianza vale punto per punto perchela serie converge uniformemente. (Si applica la disguaglianza di CauchySchwarz, la convergenza della serie

∑n∈Z |f(n)|2, ed il fatto che risulta

identicamente uno la somma∑

n∈Z(sinc(x− n))2.

Per capire le distorsioni che intervengono nella formula di Whittaker o inquella di Shannon quando il supporto di f deborda dall’intervallo di period-icita, conviene analizzare questa dimostrazione da un altro punto di vista,cercando cioe di arrivare allo stesso risultato attraverso la trasformata diFourier delle distribuzioni anziche attraverso la trasformata di Fourier nellospazio L2.

Partiamo ansiche dalla funzione f dal dato ottenuto calcolando f in unagriglia di passo T . Possiamo per semplicita prendere T = 1 e considerare ladistribuzione

fK =∑

n∈Zf(n)δn,

dove K e il treno di impulsi. Ricordando che il treno di impulsi e la suastessa trasformata di Fourier, possiamo considerare la trasformata di Fourierdi fK che sara

fK = f ∗ K =∑

n∈Zf ∗ δn = f ∗K.

Osserviamo che f ∗K e esattamente la periodicizzazione di f , cioe la funzioneperiodica i cui coefficienti di Fourier sono f(−n). Questa funzione periodicacoincide esattamente con f non appena la si moltiplica per la funzione carat-teristica di [−1/2, 1/2]. L’applicazione della trasformata di Fourier inversa aquesto prodotto, ci restituira quindi i valori di f .

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80

Che succede, invece, se invece il supporto di f non e contenuto nell’in-tervallo di periodicita? Succede che f ∗K non e piu la periodicizzazione dif , perche i traslati secondo τn di f , cioe le funzioni f ∗ δn si sovrappongonoalmeno parzialmente.

Dobbiamo ricordare che nelle applicazioni spesso l’unico dato disponibilee proprio il camionamento {f(n)} e non sappiamo, a priori, se questo datocorrisponde ad una funzione di Bc con c sufficientemente piccolo.

faremo qui una osservazione che valorizza il significato della teoria delledistribuzioni, cosı apparentemente astratta.

Tradizionalmente la teoria delle serie di Fourier e la teoria dell’integraledi Fourier hanno sviluppi separati. La prima tratta le funzioni definite suun intervallo limitato [−T/2, T/2], che per convenienza vengono estese comefunzioni periodiche di periodo T a tutta la retta reale. Un modo alterna-tivo di definire le funzioni considerate ai fini della espansione in serie diFourier e quello di dotare l’intervallo [−T/2, T/2) (o qualsiasi altro inter-vallo semiaperto e di uguale lunghezza) di una operazione di somma che lorenda un gruppo compatto commutativo isomorfo (ed omeomorfo) attraver-so la trasformazione t 7→ e2πix/T al gruppo dei numeri complessi di modulouno. Queto aproccio ci porta naturalmente ad estendere la teoria delle seriedi Fourier ai gruppi compatti commutativi ed anche non commutativi. Inquesto contesto, invece la teoria degli integrali di Fourier riguarda funzionidefinite su un gruppo localmente compatto e commutativo, ma decisamentenon compatto, quale e il gruppo addittivo di R. La naturale estensione diquesta teoria ci porta a considerare funzioni definite su gruppi localmentecompatti, abeliani e non abeliani.

All’interno della teoria delle distribuzioni siamo invece condotti su unastrada diversa. Una funzione definita su tutto R e periodica di periodo Tnon e certo integrabile su tutto R (a meno che non sia identicamente nul-la), non avrebbe senso quindi considerarne la trasformata classica di Fouriercome si applica alle funzioni integrabili. Tuttavia una funzione periodica suf-ficientemente regolare (ad esempio localmente integrabile) definisce una dis-tribuzione temperata per la quale ha senso parlare di trasformata di Fourier,nel senso delle distribuzioni. Naturalmente in questo senso la trasformatadi Fourier di una funzione periodica e una distribuzione, ed e in effetti unadistribuzione del tipo: fK1/T , dove K1/T e un treno di impulsi

K1/T =∑

n∈Zδn/T .

In altre parole la trasformata di Fourier di una funzione periodica local-

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0.18. DICIANNOVESIMA LEZIONE 81

mente integrabile, altro non e che

n∈Zf(n/T ) δn/T .

0.18 DICIANNOVESIMA LEZIONE

Abbiamo visto che le funzioni periodiche possono essere trattate all’internodella teoria delle distribuzioni. E’ possibile cioe definirne la trasformata diFourie, che risultera una distribuzione discreta equispaziata. In particolarese il periodo e uno la trasformata di Fourier di una funzione periodica e unadistribuzione del tipo:

fK =∞∑

n=−∞f(n)δn.

Viceversa ad una distribuzione discreta equispaziata del tipo

∞∑n=−∞

cnδn,

corrisponde, nell’ipotesi che la successione cn sia di quadrato sommabile, unafunzione periodica di periodo uno in L2 di un intervallo di periodicita.

C’e un altro argomento che potrebbe essere similmente trattato all’inter-no della teoria delle distribuzioni e cioe quello delle successioni periodiche,cioe delle successioni {cn}n∈Z per le quali esiste un intero positivo N taleche cn+N = cn. Tuttavia queste successioni, intese cone funzioni periodichesu Z possono essere trattate direttamente in un contesto che valorizza lasomiglianza con le serie di Fourier classiche, e lascia anche intravedere altregeneralizzazioni.

Per affrontare lo studio di queste successioni premettiamo qualche elemen-to di teoria dei gruppi commutativi, limitandoci a considerare quasi soltantogruppi con i quali siamo famigliari e cioe i gruppi (rispetto alla somma) R eZ ed i loro sottogruppi e gruppi quozienti.

Definizione 19 Un gruppo commutativo e un insieme sul quale e definitauna operazione generalmente (ma non sempre) indicata con + che e associa-tiva (x + (y + z) = (y + x) + z), commutativa (x + y = y + x), per la qualeesiste un elemento neutro 0 con la proprieta che x + 0 = x, e tale che perogni elemento x esista l’opposto −x con la proprieta che x + (−x) = 0.

E’ naturale porre x + (−y) = x − y, dopo di che si vede subito che leproprieta che richiediamo sono godute dalla operazione di somma nel nostro

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esempio canonico che e il gruppo Z. Ma anche R e un gruppo commuta-tivo rispetto alla somma, ed in effetti tutti gli spazi vettoriali sono gruppicommutativi rispetto alla somma.

Non e difficile definire che cosa e un sottogruppo H di un gruppo G. E’un sottoinsieme che risulta un gruppo rispetto alla stessa operazione di G inaltre parole e un sottoinsieme che contiene lo 0 e tale che e x, y ∈ H allorax− y ∈ H.

Tra i sottogruppi di un gruppo commutativo G si devono anche an-noverare il sottogruppo banale H = {0} ed il sottogruppo totale H =G.

Si vede subito che Z e un sottogruppo di R e che tutti i sottogruppi di Zsono semplicemente i multipli di un intero. Cioe se H e un sottogruppo di Zallora esiste un intero n ∈ Z, tale che H = {kn : k ∈ Z}.

Un po’ piu difficile e svolgere il seguente esercizio

Esercizio 11 . Se H e un sottogruppo chiuso di R ed e H 6= R allora esisteun numero reale non negativo κ tale che H = {nκ : n ∈ Z}.

A partire da un sottogruppo H di un gruppo commutativo G e possibiledefinire un altro gruppo che si chiama gruppo quoziente e si indica in generalecon G/H.

Si osserva prima di tutto che il sottogruppo H da luogo ad una relazionedi equivalenza tra gli elementi di G e cioe la relazione

x− y ∈ H,

che e, come e subito visto, riflessiva (x−x = 0 ∈ H) simmetrica (se x−y ∈ Hallora y − x ∈ H) e transitiva ( se x − y ∈ H e y − z ∈ H allora x − z =(x− y) + (y − z) ∈ H.

Gli elementi del gruppo G/H sono le classi di equivalenza di questa re-lazione. Ogni classe di equivalenza puo scriversi come x+H = {x+y : y ∈ H}e la somma di due classi di equivalenza x + H e y + H e semplicemente laclasse x + y + H.

Lasciamo al lettore la verifica che in questo modo si definisce una strutturadi gruppo in G/H. Guardiamo invece piuttosto ad un caso concreto.

Consideriamo il gruppo Z ed un suo sottogruppo H = {nk : k ∈ Z} = nZ,dove n e un intero positivo. La relazione di equivalenza definita da questosottogruppo e semplicemente:

h = k mod n,

che da luogo ad n classi di equivalenza: quella dei multipli interi di n, quelladei multipli interi di n piu uno, quella dei multipli interi di n piu due, e cosı

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0.18. DICIANNOVESIMA LEZIONE 83

via fino a quella dei multipli interi di n piu n−1. Il gruppo cosı ottenuto chesi indica spesso con Zn, e un gruppo di n elementi, che si puo identificare congli elementi dell’insieme {0, 1, . . . n − 1} dotato della operazione di somma”modulo n”. Gli elementi da 0 a n−1 possono essere intesi come ”rappresen-tanti” delle classi di equivalenza, ma al loro posto possono essere scelti comerappresentanti delle classi di equivalenza anche altri n interi consecutivi.

E’ da notare che ogni funzione definita su Zn, che corrisponde ovviamentead una successione finita, puo essere estesa periodicamente a tutto Z. Bastadichiararla costante su ognuna delle classi di equivalenza. Si otterra a questopunto una funzione periodica, di periodo n, definita su Z cioe una successioneperiodica di periodo n.

I gruppi Zn si chiamano anche gruppi ciclici di ordine n.Un esempio profondamente analogo a quello appena esposto e fornito dal

gruppo R in relazione ad un suo sottogruppo chiuso. Abbiamo detto, anchese la dimostrazione e stata lasciata ad un esercizio, che un sottogruppo chiusodi R che non sia tutto R e non si riduca allo zero e costituito da tutti i multipliinteri di un numero reale κ. Per semplicita possiamo supporre che κ = 1 nelqual caso il sottogruppo chiuso e proprio Z (un’altra scelta molto comune eκ = 2π). Il gruppo R/Z consiste delle classi di equivalenza x+Z. E’ evidenteche possiamo scegliere il rappresentante x della classe di equivalenza x + Znell’intervallo (−1/2, 1/2] ovvero nell’intervallo (0, 1] o in qualsiasi intervallosemiaperto di lunghezza uno. Ogni funzione definita sul gruppo quozienteR/Z puo essere estesa a tutto R dichiarandola costante su ognuna delle classidi equivalenza x+Z. Si otterra allora una funzione periodica di periodo unodefinita su tutto R. Viceversa una funzione costante sulle classi di equivalenzae ovviamente periodica di periodo uno.

In altre parole la teoria delle serie di Fourier per funzioni periodiche diperiodo κ altro non e che lo studio delle funzioni definite sul gruppo R/κZ.

Dobbiamo introdurre un altro concetto importante, quello di omomorfis-mo ed isomorfismo tra gruppi commutativi.

Definizione 20 . Se G1 e G2 sono due gruppi commutativi si chiama omo-morfismo di G1 in G2 una trasformazione φ di G1 in G2 che soddisfa allacondizione:

φ(x− y) = φ(x)− φ(y).

Si chiama nucleo dell’omomorfismo il sottogruppo {x ∈ G1 : φ(x) = 0}.Un omomorfismo si dice isomorfismo se e iniettivo e surgettivo, o, equiv-

alentemente se e surgettivo ed il suo nucleo si riduce allo zero.

Osserviamo che secondo la definizione che abbiamo dato un omomorfis-mo potrebbe non essere surgettivo, mentre un isomorfismo e per definizione

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iniettivo e surgettivo. Tuttavia se l’omomorfismo tra G1 e G2 e iniettivo manon surgettivo, l’immagine di G1 sara un sottogruppo H di G2 e ne risulteraun isomorfismo tra G1 e H.

Lasciamo al lettore di verificare che se H e un sottogruppo di G la ras-formazione x 7→ x + H e un omomorfismo di G su G/H il cui nucleo eH.

Pure di facile verifica e che la composizione di due omomorfismi e unomomorfismo e che l’inverso di un isomorfismo e un isomorfismo.

Vediamo alcuni importanti esempi di isomorfismi. L’insieme dei numerireali positivi R+ e un gruppo rispetto alla moltiplicazione. La funzione log x eun isomorfismo continuo di questo gruppo sul gruppo (rispetto alla somma)R. Viceversa la funzione exp x e un isomorfismo continuo del gruppo R(rispetto alla somma) sul gruppo R+ (rispetto alla moltiplicazione).

A questo punto vale la pena di considerare il gruppo T = {z ∈ C : |z| = 1}dei numeri complessi di modulo uno. Si tratta di un gruppo commutativo,rispetto alla moltiplicazione dei numeri complessi.

La trasformazione x 7→ e2πix e un omomorfismo continuo di R su T, il cuinucleo e esattamente Z.

Analogamente la trasformazione x 7→ e2πix/T e un omomorfismo di R suT il cui nucleo e esattamente TZ, cioe il gruppo dei multipli interi di T .

Osserviamo infine che tutti i sottogruppi chiusi non banali e non totalidi R sono isomorfi al gruppo degli interi Z e che sono pure isomorfi tutti igruppi quozienti R/TZ. Per convincersi di quest’ultima osservazione bastaosservare che se T > 0 la trasformazione e2πix 7→ e2πix/T e un isomorfismo diT su T. Equivalentemente si puo verificate che la trasformazione x 7→ x/Te un isomorfismo di R su R che induce l’isomorfismo x + Z 7→ x/T + TZ diR/Z su R/TZ.

La situazione e solo parzialmente analoga se si parte dal gruppo Z perchee ben vero che i sottogruppi non banali di Z sono tutti isomorfi, ma e anchevero che i gruppi quozienti Zn = Z/nZ non sono affatto isomorfi perche sonogruppi finiti di cardinalita diversa.

Introduciamo ora le ”radici dell’unita”, come sottogruppi di T.Supponiamo che n sia un intero positivo. Ci proponiamo di trovare tutti

i numeri complessi z tali che zn = 1. Osserviamo che se si scrive z in formapolare z = ρeiθ l’equazione zn = 1 diventa ρn = 1, ed nθ = 2kπ, cioe θ = 2kπ

n,

con k ∈ Z. L’unico numero positivo rho che soddisfi a ρn = 1 e proprio ρ = 1.Gli infiniti k possibili, forniscono solo n valori distinti, per eiθ. Questi valorisono assunti per k = 0, 1, . . . n − 1, o qualsiasi altra successione di n interipositivi. Ne segue che le n radici dell’unita sono:

1, ei 2πn , ei 4π

n . . . ei2(n−1)π

n .

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0.19. VENTESIMA LEZIONE 85

Sul piano complesso questi n numeri corrispondono ai vertici di un poligonoregolare di n lati iscritto nella circonferenza di centro l’origine e raggio uno,quando uno dei vertici corrisponde al numero uno (cioe al punto (1, 0)).

Osserviamo che le radici n-esime dell’unita formano un sottogruppo di T.Non e difficile osservare che questo sottogruppo e isomorfo a Zn.

Abbiamo a questo punto concluso i nostri richiami alla teoria dei gruppi.Ricodiamo tuttavia che noi ci siamo limitati a considerare gruppi commuta-tivi. Molte delle cose che abbiamo detto si applicano anche ai gruppi noncommutativi. Tuttavia mentre anche nel caso non commutativo ha sensoconsiderare lo spazio quoziente G/H di un gruppo G rispetto ad un sot-togruppo H, non sempre e possibile dare a questo quoziente una struttura digruppo. Ricordiamo anche che per gruppi non commutativi e usuale indicarel’operazione di gruppo come un prodotto anziche come una somma.

0.19 VENTESIMA LEZIONE

Torniamo ora ai gruppi che ben conosciamo R, Z, T e ai loro sottogruppi,per utilizzare, con riferimento a questi gruppi, la seguente definizione.

Definizione 21 Un omomorfismo di un gruppo commutativo G a valori nelgruppo T dei numeri complessi di modulo uno si e detto carattere del gruppoG. Nel caso in cui G sia un gruppo topologico si richiede che un caratteresia continuo.

Enunciamo qui dei fatti che non saranno tutti dimostrati. Ci limiteremoa dimostrarli solo nei casi discreti.

1. i caratteri di R sono gli omomorfismi x 7→ eλ(x) = e2πiλx, al variare diλ ∈ R

2. i caratteri di Z sono gli omomorfismi n 7→ ex(n) = e2πinx al variare dix ∈ [0, 1).

3. i caratteri di T sono gli omomorfismi z 7→ zn al variare di n ∈ Z.

4. i caratteri di R/Z sono gli omomorfismi x 7→ en(x) = e2πinx al variaredi n ∈ Z.

5. i caratteri di Zn sono gli omomorfismi h 7→ e2πikh/n al variare di k =0, 1, . . . n − 1. O, equivalentemente, al variare di k in un insieme di ninteri consecutivi.

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86

Poiche i gruppi T e R/Z sono isomorfi attraverso l’isomorfismo x 7→ e2πix

i corrispondenti caratteri risultano gli stessi, a meno di questo isomorfismo.Questo significa, nella sostanza che l’enunciato 3 e l’enunciato 4 sono la stessacosa.

Si osservi pure che i caratteri di Zn possono anche essere espressi comeh 7→ (e2πih/n)k. In altre parole una volta identificato l’elemento h ∈ Zn conla sua immagine come radice n-esima dell’unita, l’applicazione del carattereconsiste semplicemente nell’elevare alla potenza k questa immagine.

Infine osserviamo che l’insieme dei caratteri di un gruppo commutativoha sempre una naturale struttura di gruppo commutativo con l’operazione(γ + γ′)(g) = γ(g)γ′(g). Questo gruppo si chiama gruppo dei caratteri.Dimostreremo tra poco che il gruppo dei caratteri di Zn e isomorfo al gruppodelle radici n-esime dell’unita e cioe allo stesso Zn. Osserviamo anche che ilgruppo dei caratteri di R e isomorfo ad R. Infatti l’isomorfismo (continuo) edeterminato da λ 7→ e2πiλx.

Dimostriamo ora che i caratteri di Z sono quelli cosı specificati. Os-serviamo che se ϕ e un carattere, allora ϕ(1) ∈ T. Cioe ϕ(1) = e2πix

per qualche x ∈ [0, 1). La proprieta dell’omomorfismo ci fornisce alloraϕ(n) = (ϕ(1))n = e2πinx che e quello che si voleva dimostrare.

Una dimostrazione analoga vale per il gruppo Zn che e pure generatodall’elemento 1. Se ϕ e un carattere allora ϕ(1) = e2πix e ϕ(n) = 1. Pertanto2πnx = 2πk per qualche k. ne segue che x = k/n. Cioe ϕ(1) = e2πik/n. Alvariare di k si hanno solo n valori distinti di ϕ(1) che sono forniti prendendoi valori di k da 0 a n − 1. Infine ϕ(h) = ϕ(1)h = e2πihk/n, che e quanto sivoleva dimostrare.

Osserviamo che la corrispondenza γ 7→ γ(1) stabilisce un isomorfismo tra

il gruppo Zn dei caratteri di Zn ed il gruppo delle radici n-esime dell’unitacioe Zn stesso. Infatti γ1(1)γ2(1) = (γ1 − γ2)(1).

Rinviamo per ora la dimostrazione dei casi non discreti e cioe quellielencati ai numeri 1, 3 e 4.

Vogliamo invece discutere il parallelismo tra l’analisi armonica sul gruppoZn, sul quale si trattano le successioni periodiche di periodo n ed il gruppoR/Z sul quale si trattano le funzioni periodiche di periodo uno.

Ricordiamo che le funzioni definite sul gruppo finito Zn possono essereconsiderate come elementi (vettori) di uno spazio vettoriale complesso didimensione n cioe Cn. Definiamo in questo spazio il prodotto interno (nor-malizzato)

(f, g) =1

n

n−1∑

k=0

f(k)g(k).

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0.19. VENTESIMA LEZIONE 87

Per le funzioni definite sul gruppo infinito (ma compatto) R/Z il prodottointerno e definito invece come

(f, g) =

∫ 1/2

−1/2

f(x)g(x) dx,

Nel caso appunto delle serie di Fourier il primo passo consisteva nel di-mostrare che i caratteri, cioe le funzioni e2πinx cotituivano un sistema ortonor-male. Faremo lo stesso per il caso del gruppo Zn. Dobbiamo dimostrare chese γ1 e γ2 sono caratteri distinti del gruppo, allora (γ1, γ2) = 0 mentre invecese coincidono il prodotto interno e uguale ad uno. Osserviamo che per ognik ∈ {0, 1, . . . k − 1} considerato come elemento di Zn, esiste un ”opposto”k′ tale che k + k′ = 0 mod n. Un rappresentante di questo ”opposto” enaturalmente fornito da k′ = n − k. Se applichiamo a k un carattere peravere γ(k) ne risultera 1 = γ(k)γ(k′) e pertanto γ(k′) = γ(k). Consideriamoora due caratteri γ1 e γ2. Allora, tenuto conto che la somma e invariante perla traslazione in Zn,

γ1(k)(γ1, γ2) =1

n

n−1∑j=0

γ1(k + j)γ2(j) =1

n

n−1∑j=0

γ1(j)γ2(k′ + j) =

1

n

n−1∑j=0

γ1(j)γ2(k′)γ2(j) =1

nγ2(k)

n−1∑j=0

γ1(j)γ2(j) = γ2(k)(γ1, γ2).

Questo vale per ogni elemento k ∈ Zn. ne segue che se γ1 non e identico a γ2

deve essere (γ1, γ2) = 0. Il fatto che un carattere abbia norma uno discendedal fatto che il modulo di un carattere e uno e che il prodotto interno e statonormalizzato in modo che la norma di un vettore costante uguale ad uno siauno.

La dimostrazione che abbiamo dato si applica anche a gruppi abelianifiniti diversi dai gruppi Zn. Nel caso dei gruppi Zn c’e un altro modo didimostrare che i caratteri di Zn sono ortogonali tra loro, che e forse piu vicinoal modo in cui abbiamo dimostrato che i caratteri di R/Z sono ortogonali.

Ricordiamo, appunto, che per dimostrare che le funzioni e2πikx e e2πihx

sono ortogonali tra loro nello spazio L2([−1/2, 1/2)) abbiamo semplicementeosservato che se 0 6= h−k la funzione e2πi(h−k)x ha integrale zero. Nello stessospirito per dimostrare che i caratteri di Zn sono ortogonali basta mostrareche se γ e un carattere di Zn che non e identicamente uguale ad uno, allora

1

n

n−1∑

k=0

γ(k) = 0.

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88

In altre parole basta mostrare che la somma delle n radici n-esime dell’unitae sempre zero. Questo e vero per ”ragioni di simmetria”. Infatti, postoz =

∑n−1k=0 γ(k) risulta

γ(1)z = e2πin z =

n∑

k=1

γ(k) = z.

Poiche γ(1) 6= 1, questo significa che z = 0.Abbiamo ora che gli n caratteri del gruppo Zn sono un sistema ortonor-

male. Poiche la dimensione dello spazio vettoriale delle funzioni definite suZn e proprio n, i caratteri formano una base ortonormale. Se f e una funzionedefinita su Zn possiamo definire il coefficiente di Fourier relativo al carattereγ come

f(γ) =1

n

k∈Zn

f(k)γ(k),

e dedurne il teorema di inversione

f(k) =∑

γ∈cZn

f(γ)γ(k),

dove abbiamo indicato con Zn l’insieme dei caratteri.Vale anche la formula di Plancherel

‖f‖2 =1

n

k∈Zn

|f(k)|2 =∑

γ∈cZn

|f(γ)|2.

Questa formula si deduce immediatamente dal fatto che i vettori f(γ)γ sonoortogonali e che, in uno spazio di Hilbert, la norma al quadrato della sommadi vettori ortogonali e la somma delle norme al quadrato dei vettori. Infatti,come si puo immediatamente verificare se u⊥v, allora ‖u+v‖2 = ‖u‖2+‖v‖2.

0.20 VENTUNESIMA LEZIONE

Nel contesto dei gruppi finiti ed in particolare Zn e possibile anche definire laconvoluzione tra due funzioni. Se f e g sono funzioni definite su Zn definiamola convoluzione come:

f ∗ g(k) =1

n

n−1∑j=0

f(k − j)g(j).

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0.20. VENTUNESIMA LEZIONE 89

Risulta allora che

f ∗ g(γ) = f(γ)g(γ).

Infatti

f ∗ g(γ) =1

n

n−1∑

k=0

1

n

n−1∑j=0

f(k − j)g(j)γ(k) =

1

n

n−1∑

k=0

1

n

n−1∑j=0

f(k − j)g(j)γ(k − j)γ(j) =

1

n

n−1∑j=0

1

n

n−1∑

k=0

f(k − j)γ(k − j)g(j)γ(j).

Ma

1

n

n−1∑

k=0

f(k − j)γ(k − j)g(j) = f(γ),

per l’invarianza della somma rispetto alla traslazione. Concludiamo quindiche

f ∗ g(γ) = f(γ)g(γ).

Abbiamo visto che le funzioni a valori complessi definite su Zn altro nonsono che gli elementi di Cn cioe dello spazio lineare complesso di dimensionen. Sugli elementi f di questo spazio possiamo definire gli operatori Lu diconvoluzione come Luf = u ∗ f dove u e un altro elemento di Zn e la con-voluzione e quella definita su Zn. Il risultato che abbiamo appena stabilito cidice che tutti gli operatori Lu sono simultaneamente diagonizzabili rispettoalla base che e costituita dai caratteri di Zn.

Puo essere interessante osservare anche che gli operatori di convoluzionesono tutti e solo gli operatori che commutano con le traslazioni. Che unaconvoluzione commuti con le traslazioni si puo direttamente verificare, valeinoltre la seguente proposizione.

Proposizione 7 Sia L una trasformazione lineare di Cn in se che soddisfaalla condizione

Lτk = τkL,

per ogni k ∈ Zn, dove τkf(h) = f(h− k). Allora esiste u ∈ Cn tale che, perogni f ,

Lf = u ∗ f.

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dimostrazione. Osserviamo che se γ e un carattere, allora τkγ = γ(k)γ.Percio se L commuta con gli operatori τk deve risultare Lγ(k+h) = γ(k)Lγ(h).Per h = 0 si ha dunque Lγ(k) = γ(k)Lγ(0). Sia cγ = Lγ(0), risulta alloraLγ = cγγ. Poniamo

u =∑

γ

cγγ.

In altre parole sia u la trasformata di Fourier inversa della funzione γ 7→ cγ.Allora, se f ∈ Cn,

u ∗ f =∑

γ

cγ f(γ)γ = Lf.

Abbiamo ora due basi diverse per lo spazio Cn. La prima e la cosiddettabase canonica che possiamo indicare con {δk : k = 0, . . . n − 1}. La secondae costituita dai caratteri γ1, . . . γn, dove γk(h) = γk(1)h e γk(1) = e2πik/n. Unelemento di una base puo esprimersi come combinazione lineare di elementidell’altra base. Si applica cioe la trasformata di Fourier a δk e la trasformatadi Fourier inversa a γk. Cosı δ0 e il vettore le cui componenti sono tutte unoe, in generale:

δk(γh) = γh(1)k = e2πihk/n.

Questo significa che posto w = e2πi/n, la matrice della trasformata di Fouriere la matrice, simmetrica, la cui prima colonna ha componenti tutte ugualiad uno e la cui colonna k-esima e costituita dalle potenze da 0 a n− 1 di wk.

Ricordiamo ora la formula di Plancherel, dandole una forma piu concreta.

‖f‖2 =1

n

k∈Zn

|f(k)|2 =∑

γ∈cZn

|f(γ)|2 =n−1∑

k=0

|f(γk)|2.

Come abbiamo gia visto questa formula e semplicemente una conseguenzadella ortogonalita della base {γk = k = 0, . . . n− 1}.

Ricordiamo a questo proposito che abbiamo definito il prodotto interno(f, g) in Cn, come

(f, g) =1

n

n−1∑

k=0

f(k)g(k).

La divisione per n prima della somma ci serve per ottenere che i caratteriγk risultino ortonormali, cioe di norma uno anziche di norma n. Anche laconvoluzione di due funzioni definite su Zn e definita con una somma normal-izzata. Puo succedere pero che sia conveniente definire una convoluzione non

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0.20. VENTUNESIMA LEZIONE 91

normalizzata, cioe una operazione ∗ tra due funzioni definita semplicementecome:

f ∗g(k) =n−1∑j=0

f(k − j)g(j) = n(f ∗ g)(k).

In effetti vale, ad esempio la formula

f g(γ) = f ∗g(γ).

L’aver identificato lo spazio Cn con lo spazio delle funzioni definite sulgruppo Zn, ci consente di definire in questo spazio la nozione di ”parita”.

Facciamo naturalmente riferimento alla operazione di somma (e quindi diopposto e di differenza) nel gruppo Zn. Diciamo allora che una funzione fdefinita in questo gruppo e ”pari” se f(k) = f(−k). (Possiamo naturalmenteidentificare −k con n− k.) Diremo inece che f e dispari se f(−k) = −f(k).

La nozione di parita si applica alle funzioni definite su qualsiasi gruppocommutativo, in particolare, si applica al gruppo dei caratteri di Zn (che eisomorfo a Zn). Possiamo quindi chiederci quando si verifica che la trasfor-mata di Fourier f di una funzione e pari. Poiche l’operazione di gruppo trai caratteri corrisponde alla moltiplicazione dei numeri complessi di modulouno dove il coniugato corrisponde all’inverso, questa domanda si riduce achiederci quando e che

f(γ) =1

n

n−1∑

k=1

f(k)γ(k) =1

n

n−1∑

k=0

f(k)γ(k) = f(γ).

Poiche γ(k) = γ(−k), e evidente che questo avviene, per tutti i γ se e solo sef e pari. Vale quindi la seguente osservazione.

Osservazione 11 . Se f e pari allora f e pari e viceversa. Se f e dispari,allora f e dispari e viceversa.