American Nightmare

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Sbancor American Nightmare Incubo americano Prefazione di Valerio Evangelisti

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Sbancor

American Nightmare

Incubo americano

Prefazione di Valerio Evangelisti

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Prima edizione: Maggio 2003© 2003 Nuovi Mondi Media srl, e-mail: [email protected] Internet: www.nuovimondimedia.it

Tutti i diritti riservatiTitolo: American Nightmare - Incubo AmericanoAutore: SbancorPrefazione: Valerio EvangelistiRedazione: Gabriella Canova, Antonio Imparato, Laura Malucelli,Roberto VignoliCopertina: Nuovi Mondi MediaGrafica e impaginazione: Gabriella Canova, Laura Malucelli

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Prefazione

Sbancor, o dello stimolo al ragionamentoSbancor, rispetto ad altri uomini del mondo finanziariodivenuti noti sotto pseudonimo, ha una caratteristica: sascrivere. I suoi interventi, ormai notissimi a chi frequen-ta i siti di Internet “alternativi”, “antagonisti” e di con-troinformazione, non sono mai fredde rassegne di dati edi interpretazioni. In essi, alla lettura critica degli eventieconomici e all’esposizione delle connessioni che per-mettono di intenderne il significato, si sommano riferi-menti alla storia, all’esperienza personale, a fatti di cro-naca trascurati o non valorizzati il giusto. Sbancor è, in questo senso, una straordinaria macchinaper la conservazione della memoria o, se vogliamo usareun esempio più pittoresco, il guardiano di uno di queipannelli su cui, negli uffici o in qualche scuola, vengonofissati gli appunti con puntine da disegno. Normalmente,dei più ingialliti tra quegli appunti ci si scorda. Sbancorinvece li ha tutti presenti e, quando occorre, interviene aillustrarcene una possibile coerenza. Più suggerendola,però, che cercando di renderla totalmente visibile.Il margine di autonomia lasciato al fruitore è ciò che,oltre alla competenza, distingue Sbancor dalla specie increscita anche in Europa dei cultori di teorie cospirative.Laddove questi ultimi accordano pari dignità a un artico-lo di giornale, a una foto appannata e a una comparazio-ne statistica, per poi correre immediatamente alle con-clusioni, Sbancor privilegia le fonti solide e le espone inordine apparentemente casuale, limitandosi a lasciareintuire il quadro capace di dimostrarne l’organicità. Il metodo dei primi (i Maurizio Blondet, i ThierryMeyssan ecc.) deve molto al cosiddetto “negazionismo”

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dell’Olocausto, con la sua puntigliosità resa inane dal-l’assenza di uno sfondo credibile. Al contrario, il metododi Sbancor non dimentica mai la cornice di verità, stori-ca e umana, che sola può dare rilievo al particolare; tantoche ogni volta che può ricorre all’espediente narrativo,capace di riportare in primo piano, sia pur sommessa-mente, valori, scelte di campo e contraddizioni.Contrariamente al vocabolario usuale, la metodologia dei“cospirazionisti” è induttiva (dal particolare al generale),mentre quella di Sbancor è deduttiva (il contrario), ciòche è molto raro quando si parla di economia. E di impostazione deduttiva è questo libro, che, confor-mandosi allo stile dell’autore, miscela materiali apparen-temente incompatibili: riflessioni di ampia portata ericordi individuali, analisi rigorose e brandelli pudica-mente accennati di storie d’amore, fino a concludersi colsaluto a pugno chiuso a un amico ex partigiano appenamorto, e con il ritorno, subito dopo, in quell’Americaadorata e detestata in egual misura (a seconda che si parlidella vita delle persone o del sistema politico ed econo-mico che la governa).Il libro esce a ridosso della conclusione apparente diun’ennesima avventura coloniale statunitense: la conqui-sta di un Iraq semi-distrutto a furia di bombe, per impian-tarvi qualcosa di ancora imprecisato, ma utile ai fini diuna marcia di terra verso il nemico del futuro: la Cina.Sbancor prende ovviamente ispirazione dall’evento, mafa molto di più. Con l’aria disinvolta di chi getti sul tavo-lo da gioco le carte che ha in mano in un ordine che sem-bra casuale, fornisce strumenti utili alla lettura sia delconflitto in corso, sia di quelli pregressi, sia di quelliverosimilmente ipotizzabili per l’avvenire. In pratica smonta pezzo per pezzo, con perfida lentezza,le logiche e le strutture dell’apparato militare, politico ed

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economico statunitense. Fino a disseppellirne, semprecon esibita svagatezza, le origini più remote, iscritte nelcodice genetico di un apparato di Stato solo in parte giu-stapposto alla nazione (e qui sarebbe utile confrontarecerte ipotesi di Sbancor con il libro, appena tradotto inItalia, di Francis Jennings La creazione dell’America,Einaudi, 2003, che data certe tendenze addirittura allaRivoluzione Americana).Personalmente, da lettore casuale e dilettante di questitemi, sono convinto che chiave fondamentale per capireil presente sia, oltre agli eventi politici, il silenzioso spo-stamento d’accento, nel corso degli anni Ottanta e soprat-tutto durante la presidenza Reagan, dall’economia pro-duttiva all’economia finanziaria. Fu il periodo in cui ilvolume degli scambi di borsa crebbe fino a equivalere,quotidianamente, al bilancio annuale di uno Stato dimedie dimensioni; in cui banchieri o personaggi legatialla finanza assunsero in tutto l’Occidente funzioni diret-tamente politiche; in cui si cominciò a concepire l’unio-ne europea in chiave esclusivamente monetaria, con igovernatori usciti dalla dissoluzione delle banche nazio-nali in posizione di leadership assoluta, sottratta a ognicontrollo; in cui si ridisegnò la mappa del mondo cancel-landone le porzioni divenute poco interessanti, al di là delpossesso o meno di materie prime: quasi tutta l’Africa,parte dell’Asia, una larga porzione dell’America Latina.Era il compimento del processo che il bistrattato Marx, edopo di lui l’ancor più bistrattato Kautsky, avevano pre-visto: l’astrazione assoluta della moneta, ormai svincola-ta da ogni processo concreto di produzione e scambio.Ideale per un connubio con la circolazione di beni imma-teriali quali la comunicazione, l’informazione, l’ “idea”di merce senza riferimento al valore d’uso. Era logico, a quel punto, che il comando passasse a chi

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creava moneta virtuale a suo arbitrio (gli Stati Uniti) e,pur non producendo praticamente nulla, era padroneincontrastato del mercato immateriale; e ciò ancor primadella caduta del muro di Berlino.Dopo si trattava solo di distruggere, senza pretese dicolonizzazione reale, oasi di resistenza al dominio del-l’economia astratta. La Jugoslavia, per esempio, attarda-ta su un modello inutile di economia parzialmente socia-lista. Diveniva d’obbligo favorirne la scissione, poidistruggerne le schegge troppo grosse. La Somalia, attestata su una posizione geografica in cuil’economia materiale aveva troppo peso. L’Afghanistan, possibile passaggio per oleodotti cheforse non saranno mai realizzati, ma la cui potenzialità,reale o virtuale, incide sugli equilibri finanziari. L’Iraq, che pompi o non pompi petrolio, lo mandi o menonegli Stati Uniti, è del petrolio la raff i g u r a z i o n e .L’importante non è disegnare una carta geografica dellostesso colore: ciò che conta è farvi dei buchi dove esiste-vano sfumature cromatiche troppo intense. Di ostacolo aun Occidente che ha ormai affidato il potere politico,proprio e sul mondo, a quello economico, e in primoluogo a quello finanziario.Quella che avanzo è naturalmente una mera ipotesi, daprendere con le molle. Ma se anche una minima porzio-ne di essa trovasse rispondenza nei dati della realtà,sarebbe da salutare con entusiasmo il fatto che un uomocome Sbancor stia dalla parte di chi il sistema non loaccetta. E che, con la sua cultura e le sue conoscenze, for-nisca alimento a riflessioni forti in un periodo in cuianche il pensiero antagonista sembra tendere all’immate-rialità, tanto è esangue.

Valerio Evangelisti

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Quello che stiamo vivendo è l’ultimo atto di una storiamaledetta iniziata circa cinquant’anni fa. È la storia dellamia generazione. Quella che nessuno ti racconterà maiper intero. Quella che nessuno vuole ascoltare. Quellache neanche io sono pronto a scrivere…

AMERICAN NIGHTMARE INCUBO AMERICANO

11 settembre 2001. Telefono privato.Numero non nell’elenco.

Prima telefonata: New York 8.30(EDT)«Hello.»«Hello.»«Ted, ben svegliato… che cazzo vuoi a quest’ora?»«Youssuf dice di accendere il televisore.» «Sì, e...?»«Dice di accenderlo fra un quarto d’ora.»«E che altro cazzo dice Youssuf?»«Niente. Non dice un cazzo di niente, per ora.Richiamami dopo.»«Ok.»

Seconda telefonata: New York 9.07(EDT)«Ted, Ted mi senti, Ted ce n’è… Dio… Ce n’è un secon-do. Un secondo fottuto aereo… da dove sbuca questo fot-tutissimo secondo aereo… Cristo ce n’è un altro… Dio,cazzo Ted, da dove escono quest’altri fottutissimi aerei!Ted…Ted.»«Cazzo!»

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Rumori sulla linea.«Ted, cazzo… cosa succede eh? Dimmelo testa di cazzo!Cos’è questo altro aereo di merda, eh!?! Chi aveva par-lato di un secondo fottutissimo aereo?… Ted…Ted!Dio… Ted, di’ qualcosa Ted, ci sei?»«Merda!»«Ted! Oddio dimmi qualcosa, Ted che succede?»«Fottutissima merda islamica!»

Fine della comunicazione.

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Buenos Aires, dicembre 2002

“Il bastimento avanzava lentamentenel grigio del mattino tra la nebbia

Sull’acqua gialla di un mare fluviale.Appare la città grigia e velata.

Si entra in un porto strano. Gli emigrantiImpazzano e inferocian accalcandosi

Nell’aspra ebbrezza di una imminente lotta.Da un gruppo d’italiani che è vestito

in un modo ridicolo alla modaBonearense si gettano arance

Ai passanti stralunati e urlanti.Un ragazzo del porto leggerissimo

Prole di libertà, pronto allo slancioLi guarda colle mani nella fascia

Variopinta ed accenna ad un saluto.Ma ringhiano feroci gli italiani.”

Dino Campana1

Dormire. Riposare e dormire sotto un lenzuolo bianco,mentre le gocce della flebo scendono piano nel braccio.Aria calda e una pala che la agita, stanca. Buenos Aires a dicembre. Un posto del cazzo per unaconvalescenza. Riposare e dormire. Ormai non c’è altro da fare. Forsenon c’è mai stato niente da fare.Se provo a ricordare, la realtà prende i colori dell’incubo.American Nightmare, l’incubo americano. Sorrido, con aria deficiente, all’infermiera che mi cambial’ago. Mi sorprendo a sognare che la flebo sia piena divodka. Bianca. Absolut. Vodka svedese. Quella russa èimbevibile dopo il crollo del Muro. Vodka bianca. Indistinguibile dal liquido che mi scorre nelle vene.

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(1) Buenos Aires, Inediti, Vallecchi, 1942

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American Nightmare. Mi ha perseguitato per un anno.Ora voglio solo riposare e dormire. Non c’è più niente dafare. Non c’è mai stato niente da fare. Eppure quelle vociche provengono dalla storia continuano a martellarmi ilcervello. Riappaiono crudeli, spietate, ogni volta checerco di non ascoltare.No. Sono ancora dentro la storia, e non c’è tempo perriposare e dormire. Allungo una mano sul comodino. Piledi carta. I miei appunti. Ne tiro fuori uno a caso.

La fine del pensiero unico: dalla crisi del neo-liberi-smo ai nuovi scenari geo-politici di Sbancor (28 agosto 2001)Warfare against Welfare: la posta in gioco.La posta in gioco è alta. Per l’establishment imperialesi tratta di restituire al capitalismo internazionale l'ulti-ma chiave per poter uscire da un ciclo recessivo chesi annuncia lungo. Questa chiave si chiama Warfare.Il Warfare non necessariamente è guerra, anche seogni tanto qualche guerra è pur necessaria per smal-tire le scorte d'armi e giustificare i nuovi investimenti.Il Warfare è un complesso militare industriale e diintelligence e insieme una politica economica. La pos-sibilità di iniettare liquidità nel sistema mirata diretta-mente a investimenti in tecnologia che possono per-petuare la supremazia imperiale. Da un punto di vistaeconomico il Warfare è molto più efficace del Welfare.È più selettivo, permette di distribuire i soldi fra gliamici, stimola l'innovazione tecnologica, evita politi-che sociali imbarazzanti, ha minor impatto sull'infla-zione e indirizza la domanda del Terzo mondo versoun prodotto, come le armi, che assicura la sopravvi-venza agli wasp (white anglosaxon protestant), dimo-strando inoltre l'inutilità delle politiche di aiuto a unterzo mondo barbaro e crudele.

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Il Warfare va continuamente alimentato da visionigeopolitiche.È questo il “grande gioco”, la scacchiera, come diceB r z e z i n s k y, dove giocare lo scontro fra le civilizzazioni.2

E che sulla scacchiera sia tornato un "old fellow"come Henry Kissinger rende il gioco particolarmentepericoloso.L'America, almeno dal tempo di Bush senior, sta cer-cando di superare un ostacolo psicologico: la sindro-me del Vietnam che gli impedisce di far funzionare sulserio il Warfare. Ci è quasi riuscita con la guerra delGolfo e con il Kossovo. Dove potrà provare una pros-sima “guerra”?La Palestina è la miccia. Sempre accesa. Chi ha pro-vato a spegnerla ha fatto una brutta fine, come Rabin.Quanto è lunga la miccia e fino a dove può bruciare?La polveriera non è in Medioriente.Il Medioriente al massimo è la seconda parte dellamiccia. La polveriera è in un punto imprecisato dellefrontiere della cosiddetta area “turanica” (Iran,Afghanistan, Tagikistan, Khirghisistan, A z e r b a i j a n ,Uzbekistan, Pakistan).Da secoli è il ventre molle della Russia, ma (attenzio-ne) è il ventre molle anche della Cina. Dalle etnieUigure (turche) si risale verso lo Xin Xiang (Cina): ilpiù grande bacino minerario e petrolifero del mondo. Da lì si controlla tutta l'Eurasia. Si controllano le “pipelines” del terzo millennio. Da lì passano le vie delladroga. Da lì passano i mercanti di schiavi che riforni-scono le industrie e i commerci di tutto il mondo.La “Via della Seta”. La Via della Seta però incomincia a Gerusalemme.È qui che i “fondamentalisti” di tutte le religioni da mil-lenni hanno segnato il luogo della battaglia fra le “civi-

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(2) S.Huntington: “The Clash of Civilisation and the Remaking of WorldOrder”, 1998.

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lizzazioni”: la piana di Armageddon.Sì, lo so: può sembrare follia. Che c'entrano gli inte-ressi economici con le antiche leggende? C'entrano.Il denaro è il terreno del simbolico. Quando non puònutrirsi di numeri deve nutrirsi di sangue.Oggi il dibattito alla corte imperiale è se consentireArmageddon e accendere la miccia che brucerà finoal centro dell'Eurasia, oppure no. A favore ci sono fon-damentalisti ebraici e gli ultraprotestanti millenaristi.C'è Richard Armitage e i vecchi delinquenti della CIA,gli ultimi di Phoenix, quelli dello scandalo Watergate eIran-Contras (vedi schede a pagina 13) quelli chehanno armato i talebani. Contro ci sono gli ebreidemocratici, che hanno il terrore che Israele vengasacrificata sull'altare dell'"Impero", i cattolici, i pacifisti,i leftist americani.I democratici di Clinton avevano preferito la più notavia dei Balcani. Puntavano anche loro verso il centrodell'Eurasia, ma volevano arrivarci con le bandieredella “democrazia”, la Nato, gli Europei.E, soprattutto, non volevano problemi con la Cina.Anzi, volevano pacificare tutto il Pacifico. Bush no. Habloccato qualsiasi accordo sulla riunificazione delleCoree, ha ripreso le “guerre stellari” e, soprattutto,odia gli ebrei.Finora ha trattenuto Sharon, che voleva attaccaredurante il G8. Poi i russi sono entrati anche loro nellapartita e per la seconda volta in un mese (agosto2001) si è evitata la guerra in Cisgiordania. Per quanto a lungo reggerà? Può sembrare incredibi-le: ma gli unici che possono fermare il prossimo car-naio siamo noi, la moltitudine in marcia da Seattle.Per questo devono eliminarci prima. E soprattuttorompere la miracolosa unità fra le diverse anime delmovimento. Ancora una volta “si può quello che si fa”.

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LO SCANDALO WATERGATELa notte del 17 giugno 1972 cinque uomini furono sorpresi nellasede del comitato elettorale del partito Democratico (in un edifi-cio denominato Watergate) dove avevano messo a punto un pianosegreto finalizzato all’intimidazione e allo spionaggio a dannodegli avversari politici. I cinque uomini erano: Bernard Baker,Virgilio Gonzalez, Eugenio Martinez, James W. McCord Jr eFrank Sturgis. Uno di questi uomini, McCord, ammise subito dilavorare per la CIA. La questione venne resa pubblica dal quoti-diano Washington Post.Il Presidente Nixon si dichiarò estraneo ai fatti ma risultò cheaveva ordinato all’Fbi di interrompere le indagini sul caso, cer-cando in ogni modo di insabbiare lo scandalo. A questo punto sivide costretto a dimettersi. Il suo successore, Gerald Ford, gli con-donò tutti i crimini e lo rese immune all’azione delle autorità giu-diziarie federali. Questo permise a Nixon di continuare a lavoraredietro le quinte della Casa Bianca, nel ruolo di consigliere politi-co, per altri 15 anni.

L’AFFARE IRAN-CONTRASL’amministrazione del Presidente degli Stati Uniti, RonaldReagan, fu scoperta a vendere segretamente armi all’Iran, coin-volto in una guerra sanguinosa con il vicino Iraq tra il 1980 e il1988. Il ricavato dalla vendita veniva poi deviato ai “Contra”,ribelli che combattevano per abbattere il governo Sandinista delNicaragua.Il movimento Sandinista aveva ottenuto il massimo dei voti alleelezioni, convalidate da osservatori internazionali indipendenti,ma l’amministrazione Reagan, che non vedeva di buon occhio unpartito che considerava vicino all’Unione Sovietica e a Cuba,definiva “fraudolente” le elezioni nicaraguensi. Sia la vendita diarmi all’Iran che il finanziamento ai ribelli del Nicaragua eranocontrari agli atti del Congresso e in contrasto con le decisionidell’ONU. L’operazione segreta venne scoperta quando un aereopieno di armi destinate ai Contra cadde in Nicaragua. Reagan dichiarò di non essere a conoscenza di questa operazionee non si poté accertare il grado di coinvolgimento del Presidentestatunitense perché i documenti relativi al traffico risultaronointrovabili o vennero preventivamente distrutti. Il Presidentevenne comunque accusato di non aver saputo controllare gli

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Mi viene da ridere. Questo testo andò sulla Rete.Qualcuno disse allora che ero un profeta. Solo perchéavevo messo un dito su una carta geografica e avevodetto: qui. E in quel dannato posto scoppiò la terza guer-ra mondiale. La guerra infinita.Un profeta è qualcuno che sa come la storia finisce. Io almassimo conosco com’è iniziata. E già questo è inverosi-milmente troppo… E poi… e poi so di essere stato usato,di essere stato solo una pedina, di aver provato a giocare,senza avere le carte. E qualcuno per questa, come dire,leggerezza, ora sta sotto qualche metro di terra. Qualcunomolto diverso da me, qualcuno che rispettavo. Quello cheper gioco chiamavo “l’ultimo americano”, o come dicevalo pseudonimo: il Gen. Sherman.La pala del ventilatore batte l’aria calda. La “vodka”della flebo continua a fluire. Ora non ho più sogni, nonho più visioni. Ora non so più dove andrà la storia. E, seve lo devo dire con franchezza, non mi interessa più.Guardo la flebo e penso che sarà così, quando me neandrò sul serio. Sarò più vecchio, forse, sicuramente nonsarò poi molto più saggio di adesso. Starò a guardare la

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uomini a lui più vicini e vennero alla luce prove del fatto che laCIA si trovava coinvolta anche in un traffico di droga per ottene-re fondi da destinare ai Contra.

IL PROGRAMMA “PHOENIX”Il Programma “Phoenix”, diretto da Ted Shackley, fu condotto nelVietnam del Sud a partire dal 1968. L’intento era quello di ucci-dere o catturare i membri civili del Fronte di LiberazioneNazionale. A tal fine la CIA reclutò e organizzò squadre di mili-tari e paramilitari sudvietnamiti con il compito di eliminare i civi-li che appoggiavano i Vietcong. Una quota di civili, sospettati diessere sovversivi, da uccidere e torturare veniva assegnata ognianno agli alleati sudvietnamiti riluttanti: per il 1969 dovevanoessere 1800 al mese.

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flebo scorrere come la vita. La mia. Troppo lunga o trop-po breve, non so. Certo forse non è proprio come l’ave-vo sognata. Ma non è stata neanche troppo diversa. Oraricordo solo visi di donne. Alcune me le porterò dentroper sempre. Come André Breton ripenserò a tutte ledonne che ho amato e mi accorgerò che si raccolgonotutte in unico viso: l’ultima. Come mio padre lascerò degli scritti, appunti ingialliti,tracce per cercare di decifrare una storia, ormai dimenti-cata… Forse li guarderanno incuriositi i miei nipoti. Poipiù nessuno. E allora sarà veramente finita per sempre. Ma per adesso vivo ancora, e ciò mi impone, come dire,degli obblighi sociali. Fra cui quello di continuare questa“ s t o r i a ” .Guardo la data sul calendario vicino. È passato tantotempo da Genova G8. Sembrano almeno dieci anni. Che c’entra con Genova un banchiere di mezza età?Perché detto banchiere sta in un letto di una clinica pri-vata a Buenos Aires per una ferita d’arma da fuoco?Perché l’ultimo legame con il mondo sono migliaia dimessaggi firmati Sbancor sulla rete? E pensare che nonsono neanche stato a Genova, colpito da sciatalgia e dal-l’idea di dover dormire in tenda.

Ma ho visto abbastanza per capire. Come al solito troppo tardi.

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“Poi che la nube si fermò nei cieli,Lontano sulla tacita infinita

Marina Chiusa nei lontani veli,E ritornava l’anima partita

Che tutto a lei era già arcanamente illustrato del giardino il verde

Sogno dell’apparenza sovrumanaDe le corrusche sue statue superbe:

E udiì canto udiì voce di poeti…”Dino Campana3

Genova era una trappola. Una trappola preparata damesi. Inutile chiedersi chi ha preparato la trappola, quan-do ci sei con i coglioni dentro. Può valere la pena diricordare che c’era uno stesso capo della polizia prima edopo Genova, con due governi diversi? Che i poliziottiitaliani erano stati addestrati all’antisommossa dallaL.A.P.D., la polizia di Los Angeles, quei bravi giovanot-toni americani che da Watts4 in poi sanno trattare i riots5

e i negri? Guardavo la televisione italiana, le facce san-guinanti dei manifestanti e in realtà stavo guardandol’America di trenta anni fa: “Fragole e Sangue”. L’incuboamericano. Lo stesso incubo che l’11 settembre trasfor-merà d’improvviso il mondo in un inferno.

C’erano piccole tracce lasciate sulle strade insanguinatedi Genova. Tracce che portavano lontano, ma che nessu-no degli inquirenti e tantomeno dei giornalisti si era pro-vato a seguire: furono i ragazzi di Indymedia a trovarle.Era un’indagine a più mani che per giorni rimbalzò suIndy. Eccone una sintesi. Praticamente i ragazzi avevano ricostruito la catena di

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(3) Genova, 1942.(4) Quartiere di Los Angeles a predominanza nera. Nel 1992, dopo l’aggressionedel nero Rodney King i poliziotti bianchi uccisero 51 dimostranti neri. (5) Scontri di quartiere.

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comando dei carabinieri quando venne ucciso CarloGiuliani. Si era sempre parlato di “inesperti”. E invecechi trovavamo? Il Ten. Col. Truglio. E chi cazzo èTruglio? Era uno del Tuscania che stava in Somalia. Già,uno di quelli di cui si dice che si divertivano a collegarei cavi delle batterie ai genitali dei “terroristi” somali. E insieme a lui c’era il Capitano Cappello, anche lui delle“brigate somale”. Coincidenza? Erano loro i diretticomandanti di Placanica, il presunto killer di Giuliani.Dico presunto perché una foto dimostrerebbe chePlacanica era già fuori combattimento, sanguinante dallatesta e sul fondo della jeep, quando qualcuno sparò aCarlo. Legittima Difesa. Eh già, ma difesa di chi? Non diPlacanica che forse non ha sparato. Comunque il fatto èche a capo degli “inesperti”, dei “ragazzini” in balia deipericolosi sovversivi, stava il gotha del Tuscania. GliImperiali. Quelli che si son fatti il Kossovo, la Bosnia,l’Albania e la Somalia. Somale comprese. Altro che inesperti: quella è la Legione Straniera!La cosa che mi colpì di più, nel dopo-Genova, fu che nes-suno tirò in mezzo il capo della polizia: De Gennaro.

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Placanica Mano con pistola

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L’uomo che aveva organizzato il tutto sotto il governoAmato (centrosinistra) e lo aveva realizzato in quello dicentrodestra (Berlusconi). Quando una scelta è così bi-partisan c’è da sospettare che il potere dell’uomo sia al disopra delle parti. Che appartenga cioè a una parte “terza”.Trovo una scheda, pubblicata su una rivista, Scirocco.

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L'AMERIKANOÈ Giovanni De Gennaro, il capo della polizia che piace tanto agliamericani. Dopo Genova, il principale indiziato a sloggiare dalViminale. E invece, è proprio il suo potere ad uscire nettamenterafforzato dal tourbillon di nomine, spostamenti e defenestrazioniche ha scosso la PS.È un vero paradosso ma -contrariamente a quanto sostiene qual-che osservatore poco addentro alle cose del Viminale- ad avvan-taggiarsi del disastro tecnico, politico, e militare di Genova è stato-ancora una volta- proprio lui, il responsabile numero uno dell'or-dine pubblico in Italia, il capo della Polizia, “il poliziotto che tuttoil mondo ci invidia” (per ricordare solo un'avventata, o forse inge-nua, definizione di Luciano Violante). Gianni De Gennaro è -almeno per il momento- il "grande vincitore" della battaglia diGenova. Se riuscirà a resistere alle pressioni che -in seno allamaggioranza- vengono da settori di Alleanza nazionale e che vor-rebbero le sue dimissioni, De Gennaro non solo sarà restato insella dopo la mattanza del G8 -cosa inimmaginabile in qualsiasialtro paese europeo- ma con un colpo solo si sarà liberato di duestretti collaboratori che non gli sono mai piaciuti e che gli eranostati messi al fianco -imposti si può dire- nonostante le sue resi-stenze: il suo vice Ansoino Andreassi e il capo dell'UcigosArnaldo La Barbera. Infatti, contrariamente alla retorica in vogain questi giorni sulla stampa nazionale che dipinge l'"eroica squa-dra antimafia" -composta da De Gennaro, la Barbera e Gratteri,con l'aggiunta "ad honorem" di Andreassi- unita dalle medaglieguadagnate sul campo e da un inscindibile patto di intenti, la real-tà è ben altra. In realtà sia Andreassi che La Barbera non hannomai avuto un grande feeling con De Gennaro e la loro defenestra-zione è un piccolo successo del capo della polizia. AnsoinoAndreassi -che nei corridoi del Viminale viene chiamato "il comu-nista" perché ha sempre avuto ottimi rapporti con uomini politici

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del PCI prima e dei DS dopo (e questo spiega anche la rapiditàdella sua rimozione)- fu nominato per diretto intervento della sini-stra. E De Gennaro non ha mai gradito i canali privilegiati cheAndreassi aveva a livello governativo.

Su Arnaldo La Barbera il discorso è più complesso. Con DeGennaro le cose non sono mai andate bene: tutto cominciò nellontano maggio del 1989 quando, nei sobborghi di Palermo, l'al-lora capo della squadra mobile del capoluogo siciliano La Barberaarrestò Totuccio Contorno, assieme a Tommaso Buscetta, il piùimportante dei "pentiti" dell'epoca. Giunto in Sicilia con il bene-stare di De Gennaro, allora tra gli uomini al vertice dellaCriminalpol, Contorno -a rischio della propria vita- si trovava aPalermo da almeno un mese, all'insaputa dei magistrati, ma non siè mai saputo a fare cosa. La Barbera lo ammanettò mentre eraospite della famiglia mafiosa dei Grado, in una zona in cui era incorso una guerra all'ultimo sangue con i corleonesi che avevanolasciato sul terreno una decina di loro affiliati. Il sospetto avanza-to in una serie di lettere anonime ("le lettere del corvo diPalermo") fu che Contorno fosse stato spedito in Sicilia da DeGennaro -fin da allora ritenuto un poliziotto piuttosto spregiudi-cato- con la licenza di uccidere, allo scopo di eliminare i più peri-colosi latitanti di Cosa nostra. Le "lettere del corvo", erroneamen-te attribuite al sostituto procuratore di Palermo Alberto Di Pisa,gettarono brutte ombre su De Gennaro, anche perché in sede pro-cessuale saltò fuori che esistevano oltre novemila pagine di inter-cettazioni telefoniche intercorse fra De Gennaro e il "pentito" intrasferta in Sicilia. Quelle migliaia di pagine sono tuttora copertedal più rigoroso riserbo.Un'operazione, quella dell'arresto di Contorno da parte di LaBarbera, mai chiarita, e che spinse De Gennaro ad accusare LaBarbera di aver messo in difficoltà tutta la Criminalpol. Vaaggiunto che La Barbera -questore a Palermo, Napoli e Roma-proprio nella capitale, a causa del suo brutto carattere (è uno chenon guarda in faccia a nessuno), si era fatto diversi nemici fra ifunzionari più vicini a De Gennaro. Sono proprio di Andreassi, "il comunista" e di La Barbera -assie-me a quella decisamente meno importante del questore di GenovaFrancesco Colucci- le prime teste cadute al termine dell'inchiestaamministrativa avviata dal ministro dell'Interno Scajola.

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Dalla strada di Buenos Aires giungono le grida dei cace -rolados. Que se vajan todos!Le signore della media borghesia distruggono metodica-mente i bancomat con i tacchi a spillo e le scarpe impu-gnate come un martello. Que se vajan todos!Le vetrate delle banche cadono in frantumi, ancora unavolta. Que se vajan todos!Guardo di nuovo le pale battere. Come nella prima scenadi Apocalypse Now. Guardo le pale e sento il richiamodella “strada” e della “giungla metropolitana”. Guardo laflebo. Prendo in mano gli appunti e una penna… rico-mincio a scrivere… Que se vajan todos!

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A condurre quell'inchiesta, De Gennaro aveva incaricato tre ispet-tori, guarda caso, tre suoi fedelissimi, che non lo hanno per nien-te deluso: Pippo Micalizio, Salvatore Montanaro e LorenzoCernetig. Il risultato finale è che il capo della Polizia Gianni DeGennaro, nominato dal Governo di centro-sinistra con il pienoavallo dell'opposizione di centro-destra e, soprattutto, molto spon-sorizzato dagli americani, dopo Genova -smarcatosi da Andreassie La Barbera- vede aumentare a dismisura il suo potere, specie seriuscirà a portare in porto altre due operazioni: la prima è la nomi-na a suo vicario di Antonio Manganelli (come avvenuto, ndr.), giàvice capo della polizia, a lui legatissimo proprio a partire dai ter-ribili giorni del "corvo di Palermo". De Gennaro potrà parlare dien plein se il posto di La Barbera dovesse andare ad AlessandroPansa (capo delle polizie specializzate) altro suo fedelissimo,anche lui fin dai giorni dell'affare Contorno. De Gennaro hacomunque tempo fino all'autunno per far dimenticare Genova ericollocarsi a dovere. L'importante è riuscire a superare la pausaestiva del Parlamento. Altrimenti per lui -male che vada e soprat-tutto altri governi europei permettendo- è già pronta una poltrona:quella di capo dell'Europol, la nascente polizia dell'UnioneEuropea. (…)

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“…dai segreti dedali uscii….Come un ignoto turbine di suono

Tra le vele di spuma udivo il suono. Pieno era il sole dei Maggio”

Dino Campana

Arcipelago Toscano: “Bagno delle Donne”. 11/9/2001ItaliaPortai alle labbra il boccale di birra. Bevvi un sorso,gustando prima la schiuma leggera. Continuai finché illiquido freddo non cominciò a togliermi la sete. Guardaiquella linea sfocata che divideva cielo e mare. Un legge-ro vento piegava dolcemente verso Sud, fra la puntadell’Argentario e l’Isola del Giglio. Montecristo ora erasolo un’ombra lontana. Più in là Corsica e l’Elba.Invisibili, ma sicuramente al loro posto. Sono al sicuro suquesto scoglio. Lo chiamano il “Bagno delle Donne”,nome che riporta a quei pruriti del tardo cattolicesimoottocentesco, dove l’erotismo si concentrava al massimosu una caviglia, e uomini e donne non potevano, insieme,godere del mare. Altri, e meno casti, godimenti avveni-vano, come sempre stato e sarà, nel privato. Le nuvoleall’orizzonte minacciavano pioggia. Domani. Prima devegirare a Scirocco. Mi piaceva questo mare ottocentesco, dove Dumas aspet-tò Garibaldi con il carico di fucili che sarebbero serviti aCalatafimi. Qui nell’Ottocento c’erano paludi selvaggepiene d’uccelli e di malaria. Bastava andare un po’ versol’interno e si ritrovava quella Maremma amara di brigan-ti, anarchici e contadini, secchi come scheletri, che tre-mavano di febbre. Su una montagna, che si vedeva brunain lontananza, era morto Davide Lazzaretti, “il Cristodell’Amiata”. Fondatore del movimento giurisdavidico,forse l’ultimo di quegli eretici contadini che per quattro-cento anni avevano corso l’Europa rimandando di caso-

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lare in casolare il verbo “anabattista”. Omnia sunt com -munia! Mistici comunisti, assai diversi dagli odierniD’Alema, Veltroni, Folena e giù, giù degenerando.Lazzaretti scendeva la montagna con i capelli lunghi, unaveste bianca, salmodiando, mentre i bersaglieri di SuaMaestà il Re d’Italia sparavano. Sembrava non sentire icolpi e il rosso sangue che scendeva sulla sua veste. Ibersaglieri sparavano ma avevano paura. Poi cadde aterra, morto. Ma per un istante sembrò che il miracolo sicompisse e lui continuasse a scendere predicando dallamontagna la rivolta delle plebi. Vecchi tempi. L’occhiutaToscana vota quasi compatta Forza Italia, e quel bische-ro del Lazzaretti se lo ricordano solo a Santa Fiora.Eppure qui si possono ancora respirare i secoli passati.Come la leggenda di quella castellana bella e dai capellirossi rapita dai Saraceni e divenuta sposa del sultano.Quello stesso sultano, Solimano II, che a Lepanto vide lasua flotta andare a fondo, schiantata dai cannoni delColonna.Ma c’era qualcosa di strano nell’aria… Sì, la radio… nonstava trasmettendo la solita musica cialtrona, anzi parlavain inglese… Mi alzai, una delle mie solite vertigini… lapressione alta, per dio… “Attack on A m e r i c a” ma di checavolo stavano parlando? Voci concitate, dal tipico accen-to yankee. Poi un urlo! “Goood! Oh my Gooood!…” La gente si guardava inorridita cercando di decifrare que-sta radio, questo insolito giornale… in diretta dall’Ame-rica… “The second tower is crashing...”Intorno a me stavano tutti in piedi... guardai sbalorditouna signora elegante con la radio in mano... La signoraaveva le lacrime agli occhi... «Le Torri Gemelle, dice aNew York… dio mio è una strage…» e continuava a pian-gere guardando il mare. Cortese, le offrii un cordiale.Più tardi, la voce di mia figlia…

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«Papò, Meggy dice che è stato Osama.»«Allora sarà senz’altro vero.»«Chi è Osama?»«Un fanatico islamico. Uno che prima ammazzava irussi, e ora ammazza gli americani.»«Perché?»«Non lo so.»«Non ci credo. Tu sai tutto, ma non vuoi mai dirmelo!»Se ne andò arrabbiata, come solo i bambini sanno esser-lo quando li deludi.

Questa volta ero sull’orlo di una crisi di nervi. Tremavo,avevo le vertigini, la bocca secca. A volte mi succede. Ècome se la terra si mettesse a muoversi sotto i miei piedi.È come se il cervello cessasse di coordinare i movimen-ti. Le chiamano crisi di panico. Ma il cervello resta luci-do. E mi guarda, disapprovando. In questi casi incomin-cio a pensare che sono di circa trenta chili in sovrappeso,che fumo troppo, che dovrei smettere di bere. E la crisi,immediatamente, si aggrava. Mi consolo pensando cheMontagu Norman, il luciferino Governatore della Bankof England degli anni del Golden Standard, soffriva diattacchi peggiori. Visitato da Carl Gustav Jung fu consi-derato un caso senza speranza prossimo alla morte. Pocodopo fu fatto Governatore della Banca d’Inghilterra egovernò la Sterlina per quasi mezzo secolo. Mai fidarsidegli psichiatri. E mai fidarsi dei banchieri centrali. Mi telefonò Paolo, pittore multimediale, mezzo napole-tano e mezzo americano.«Che succede in Europa?»«Niente.»«Che ne pensi?»«Niente, non riesco a pensare…che notizie dagli States?»«Il Presidente non si sa dove sia, Cheney nemmeno, non

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si sa se avremo altri attentati… c’è chi parla di colpo diStato…»«E il quarto aereo?»«È caduto o l’hanno abbattuto… chissà.»«Povera gente. Com’è il clima politico?»«Brutto. Chillu Bush è nu’ sfaccimm’, sai quanto cicampa su ‘sta storia, chill e chillu fetentone do padre…» «Tu che fai?»«Torno in Italia, appena c’è un volo disponibile.»«Vabbuò. Statte accuorto, come dite voi…»«Figurati. A presto Sbancòr…»

Ancora vertigini. L’emozione però in questo caso erareale: le due torri mi piacevano e forse avevo anche degliamici che ci lavoravano. “L’orrore non si ferma e forseormai sarà impossibile fermarlo” pensavo. “È perché noisiamo cretini” ripetei, afflitto da una sindrome di Voltaire“tutto è calcolabile, tutto è deducibile, ma noi ci faccia-mo sempre guidare dalle emozioni. Non riusciamo a leg-gere neanche ciò che è scritto sui giornali, sulla rete, peg-gio, non riusciamo a capire neanche ciò che stiamovivendo!” Il sonno della ragione genera mostri, aveva scritto unfilosofo che non mi è particolarmente caro. Ma ormai cisono solo mostri che abitano questo pianeta. Mostri eimbecilli. C’è da farsi un’overdose di Prozac a pensarci.

Ci misi qualche giorno a tornare a Roma. Volevo che ilmare lavasse tutto, che entrasse nel mio cervello, che mitogliesse le immagini della televisione. Appena entrato accesi il computer. Guardai Indymedia.Commenti. L’estrema sinistra balbettava le solite idiozie.Giustificando i morti con altri morti. Come se si trattas-se di un’equazione a sommatoria: chi ha più morti vince!

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Imbecilli di destra e di sinistra. I primi parlano di “guer-ra fra le civiltà”, i secondi di “guerra” fra Nord e Sud delMondo. Ma Osama è uno sceicco miliardario che fino aieri, e forse anche dopo, stava trafficando con gli USA, oalmeno con pezzi importanti del loro governo. Imbecilli!Ecco cosa odio nella Sinistra Buonista e Terzomondista.Odio la doppia morale, i “sì… ma”, gli “è vero… ma nonbisogna dimenticare che…”, i “purtuttavia”. Odio laragioneria dei morti, l’amministrazione dei cimiteri, lanecrofilia delle ragioni basate su cadaveri. E allora devo dirla tutta e fuori dai denti! Punto primo: i morti sono tutti uguali. L’amministrazionemediatica dei morti no, ma per fortuna non sono un gior-nalista. I morti vanno aggiunti e non sottratti alla maca-bra contabilità del “secolo”… Come le mama-san di MyLay6, come i ragazzi messicani della piazza delle Tre cul-ture, come i cileni, gli argentini, i disgraziati abitanti delNicaragua e di El Salvador, come i bambini iracheni,afghani… come quei poveri panamensi schiacciati sottole bombe che dovevano regolare un conto fra due bandedi gangster, quella di Noriega e quella di Bush senior.Come i ragazzi di Tienanmen. Sono loro, i morti pernulla, l’orrore negli ultimi anni del XX secolo… sonoloro che continuano a morire nel XXI. Incomincio ainvecchiare e non ricordo più tutte le immagini di occhisbarrati, di sangue, di orrore di membra sparse, tagliate,bruciate che hanno fatto da sfondo alla mia generazione.Ricordo pochi nomi, pochi visi… so che tutto si sta cor-rompendo lì sotto terra, da qualche parte. So che lì, sot-toterra, sono tutti uguali.

Improvvisamente mi bloccai. Avevo visto su Internetqualcosa che non dovevo vedere: il timing dell’attacco.

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(6) 1968. Gli statunitensi compiono in Vietman il massacro del villaggio di MyLay ucidendo donne, bambini e vecchi indifesi.

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C’era qualcosa che non funzionava. Troppo tempo per lareazione: circa 75 minuti dal primo attacco al primo cac-cia che si è alzato in cielo. Non è possibile. Non è possi-bile attaccare il Pentagono e avere ancora mezz’ora ditempo prima della reazione.

Ma c’era di più. Secondo la pur sommaria cronologiadegli eventi ci furono 50 minuti fra il primo dirottamen-to a quando il Presidente venne informato. Comunque,fino alle 9.30 nessun aereo americano decollò per inter-cettare gli attaccanti... Gli aerei vennero dirottati intornoalle 8.15. Fino alle 9.30 non vi fu reazione delle forzeaeree americane. Conoscevo una persona a cui fare unadomanda. È Jack, un professore che insegna geopoliticaagli alti gradi dell’Esercito. Jack porta delle strane cra-vatte a farfalla e un basco alla francese, inclinato da unlato, come i “parà” francesi nella guerra d’Algeria.

«Jack, sono io»«Non mi chiedere nulla, nulla…»«Jack, c’è qualcosa che non mi torna.»«Solo qualcosa? Ho sempre pensato che manchi di fan-tasia…»«Jack, gli aerei…»«Sì…»«I caccia americani quando si sono alzati in volo e dadove?»«Bella domanda, davvero una bella domanda, il che con-tribuisce a rialzare le tue quotazioni che erano depreca-bilmente basse.» «Qual era la base più vicina al Pentagono?»«Andrews.»«C’erano aerei in grado di prendere immediatamente ilvolo?»

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«Sì.»«Lo hanno fatto?» «No, gli aerei che sono arrivati su Washington venivanoda Langley, Virginia, 129 miglia a sud.»«Rifacciamo i conti: a che ora c’è l’esatta cognizione diun attacco in corso?»«Dunque, il primo sospetto è alle 8.20. È il volo 11 daBoston, quello che colpirà il World Trade Center intornoalle 8.45.»«Il volo n.77, quello che colpisce il Pentagono, a che oraarriva sull’obiettivo?»«Alle 9.45. In realtà era andato verso l’Ohio, poi ha vira-to intorno alle 8.55 in direzione di Washington, ora in cuile Forze Aeree Americane hanno dato l’ordine di chiusu-ra del corridoio aereo da Cleveland a Washington.»«Cioè, mi stai dicendo che dal primo impatto al WTCall’attacco al Pentagono a Washington passa praticamen-te un’ora, e che dalla virata dell’aereo che colpirà ilPentagono al suoarrivo sull’obiettivooltre 50 minuti?»«Sì, è stato stimatoun tempo di reazionedi 75 minuti per iprimi decolli.»«Non è possibile! In75 minuti il tempo diprima reazione… Osono matti o…»«O…»«Non lo dire…»«Dillo tu allora…»«Passo…»«Passo e chiudo.»

Gen. Myers

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Il cervello mi andava a duemila. Non si può pensare l’i-potesi che… che qualcuno sapesse… che qualcuno aves-se consentito l’attacco… Quell’ipotesi, che qualche mese dopo sarebbe rimbalza-ta ovunque sulla Rete, adesso era solo uno di quei male-detti tarli che ti rodono da dietro. Riguardavo i dati: sìc’era qualcosa che non tornava.Nella mattinata dell’11 settembre il Gen. Richard B.Myers ebbe un incontro di routine a Capitol Hill. Quandouscì, fu informato dell’attacco al Pentagono. Myers diceche nessuno lo aveva informato dell’attacco alle duetorri. Il 13 settembre Myers sostenne, di fronte al Senato, chenessun caccia era decollato prima dell’attacco alPentagono.Ma il 14 Myers venne smentito: la CBS rivelò che leForze Armate Americane avevano allertato la difesaaerea alle 8.38, e che cinque minuti dopo (8.56) si eranoalzati gli F.15. Sfortunatamente, erano circa a 70 migliadall’obiettivo quando il secondo aereo colpì la Torre Sud.Alle 9.30 sarebbero decollati gli F.16 da Langley,Virginia, troppo tardi per intercettare il terzo aereo che sischiantò sul Pentagono alle 9.37. Gli F.16 arrivarono aWashington intorno alle 10.Questa divenne la versione ufficiale. Inorridito calcolai le velocità degli aerei. I Boeing hannouna velocità massima di 530 miglia/ora. I caccia F.15volano a 1.875 miglia. Gli F.16 a 1.500. Perché la rico-struzione ufficiale fosse realistica, sia gli F.15 che gliF.16 avrebbero dovuto volare a 300 miglia l’ora: il 20%della loro capacità. E poi, perché i decolli avvennero da Langley, e da CapeCode, e non dalla base più vicina di Andrews?

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Mi accesi un sigaro, un Lusitania Partagas. Un “puros”che poteva reggere anche due ore. Già, il Lusitania.Affondato all’inizio della Prima guerra mondiale da silu-ri tedeschi… contribuì a far entrare l’America in guerra.Nella Seconda ci volle Pearl Harbour… Questa storia è come Pearl Harbour… Sorrisi triste…Già. Vallo a spiegare ai 1.200 marinai che rimasero sottolo scafo dell’Arizona… Da quel momento in poi fu guerra. Tutto il resto noncontò più. Non contò che Hitler e il suo partito di necro-fili fosse stato finanziato da Montagu Norman, semprelui, più lunatico che mai, dalla Banca d’Inghilterra, dallaMorgan, oltre che da Warburg, e dalla Schroder, venalibanche ebraiche. La guerra cancella. La guerra assolve.Con la guerra si fondano i miti dell’Impero…e ogni voltala storia si riscrive… Se provi a ricordare ti guardano confastidio. “Guerra. Siamo di nuovo in guerra… Sono di nuovo inguerra.” Bestemmiai. “Succederà anche stavolta. Cancelleranno le tracce, can-celleranno tutto sotto una pioggia di bombe. Stanno giàmuovendosi, ne sono sicuro. E allora bisogna sbrigarsi aricordare. Fare presto. Perché qualcuno dovrà raccontar-la pure questa maledetta storia.”

La Storia di Ted (1)Era vecchio. Era stanco. Era depresso. Quanto tempo èche stai sull’onda Ted? L’onda è lunga. L’onda è cattiva. L’onda a volte uccide.Ted stava di fronte alla televisione. Aveva staccato tutti itelefoni. Non voleva domande cretine. C’erano già trop-pi cretini in questa storia. Per questo aveva staccato l’au-dio. Gli bastavano le immagini. Le immagini delle TwinTowers che crollavano. Le immagini dell’orrore. Ted le

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aveva già viste. Nel Laos, in Vietnam, nel Sud America,a Beirut, a Baghdad, a Kabul. Già, ma adesso la diffe-renza era che l’orrore stava a New York City.Ted guardava il fumo e la polvere che si alzava dalletorri. Ted guardava la gente scappare. C’era uno con unastampella che correva. A sbalzi. C’era da morire dal ride-re… C’era una negra grassa, c’erano i telecronisti.Troppi. Ted aveva 75 anni suonati. Ted si ricordava laBerlino del dopoguerra. Non erano in molti ormai aricordarsela. Anche lì c’era polvere e macerie. Tantemacerie. Ma pochi telecronisti. Ted pensava al Generale.Cosa avrebbe detto il Generale di questo casino? IlGenerale era morto tanti anni fa. Ma era da lui che Tedaveva imparato il mestiere. Il Generale si chiamavaGhelen. Il Generale sapeva il fatto suo. Aveva combattu-to “i rossi” sotto Hitler. Aveva continuato a combatterlisotto gli americani. Il Generale stava sempre sotto qual-cuno. Era per questo che aveva sempre comandato. Ted adesso stava da solo. Beh, proprio da solo no, c’erasempre il “team”, la squadra, e c’erano i “ragazzi”. I“ragazzi” ci sarebbero sempre stati. Con quel loro male-detto accento italiano, anche alla terza generazione. Maogni anno moriva qualcuno. Moriva di infarto o di untumore, oppure si rincoglioniva con l’Alzheimer. No,non era come ai vecchi tempi, quando si moriva per unaindigestione di piombo. Ted faceva parte di un vecchiomondo. Ma questo mondo non voleva finire. Era il 2001.Il maledetto settembre del 2001 e il mondo era semprequello che Ted aveva conosciuto. Sempre uguale. Di que-sto lui era sicuro. Lui sarebbe morto, ma quel mondo no. Eccolo lì davanti a lui, nella televisione. Macerie, polve-re e sangue. E tanti cretini in giro che non si sapevanospiegare il perché. Ted invece lo sapeva perché. E questo,solo questo, lo faceva sentire vivo. Ted alzò il telefono…

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Telefonata privata da cellulare a lineacoperta su Airforce One.«Ciao Rich, sono io.»«Io chi?»«Senti Rich non rompere le palle, ho già abbastanza guaioggi!»«Tu hai guai, oggi: TU? Ma allora sei proprio malato dimente. Tu te ne stai davanti alla tua cazzo di televisionee io sto qui a girare tutta l’America con quel pazzo diDoppia V!»«Che dice?»«Chi?»«Doppia V.»«Doppia V non dice un cazzo. È nel pallone… Doppia Vè pallido… credo che abbia anche ricominciato a bere.Guarda il cielo come se gli dovesse cascare qualcosa intesta… Sai che gran danno!» Ride.«Sì, ma giù nei sotterranei della Casa chi c’è a dirigere ilballo?»«Condoleeza.»«Dio santo! Siamo nelle mani di una negra! È propriocambiato tutto Rich!»«Sì, e non sai ancora a che velocità…»«Cioè?»«Cioè, stavolta si fa sul serio… guerra, Cristo, siamo inGuerra!»«Lo siamo da anni Rich, almeno tu e io, vuoi dire chenon lo copriamo più?»«Coprirlo! Ti sei bevuto il cervello? Questa non èOklahoma City, questa non è l’Egypt Air! Questa è lamaledetta New York City e ci sono cascate le Due Torrisulla testa!» «Ok! Allora si sbaracca! Lo sappiamo fare Rich, non tipreoccupare!»«Io non mi preoccupo. Tu ti devi preoccupare!»

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«Ok, ok, Rich… messaggio ricevuto! Roger.»«Roger ‘sto cazzo! Il Capo vuole sapere quanti ce neabbiamo ancora sul libro paga!»«Chi lo vuol sapere? Doppia V?»«Doppia V non sa neanche come cazzo si chiama! No, lovuol sapere Senior! Ho detto il Capo! Cazzo!»«Ok Rich, dunque abbiamo una società giù in Florida, pergli elicotteri in Colombia, poi abbiamo un’altra societàper gli albanesi in Macedonia, poi c’è Wackenut, e poi c’èquell’altra fottuta società che conosci…»«Io non conosco nessuna cazzo di fottuta società. Quellanon esiste. Non è mai esistita!»«Ok Rich, come vuoi… sei tu il capo adesso… se diciche non esiste vuol dire che non esiste!»«Mi sembra chiaro.»«Lo è. Senti Rich, e con Laili come ci mettiamo?»«Chi cazzo è Laili?»«La moglie del nipote di Richard Helms7, ha sposatoRoger.»«E a me che me ne frega?»«Rich, non ti incazzare, credevo che lo sapessi. È di ori-gine afghana e…»«E...?»«Fa le pubbliche relazioni per i Talebani. Sai un po’ dilobby, l’anno scorso ha ospitato Rahmatullah Hashemi,una specie di ambasciatore. Hanno fatto un convegnoalla John Hopkins University.» «Cristo! Fatela sparire e che non parli con i giornalisti ostacco le palle a morsi a quel fottuto di Helms!»«Ciao Rich.»«Ciao stronzo.»

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(7) Ex capo della CIA ed ex ambasciatore in Iran, coinvolto nell’omicidio di JohnFitzgerald Kennedy.

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Roma. Italia. Pianeta Terra. Il mio Sogno A m e r i c a n o …Guardavo le immagini di fuoco e di morte sul telescher-mo del bar. Seguivo la traiettoria dei corpi che si lancia-vano nel vuoto. Sentivo i commenti. Ma era come se unrumore di fondo coprisse tutto. I pensieri facevano faticaa liberarsi delle immagini. Cercavo di ricordare. Di dareun senso a quello che vedevo. Non ci riuscivo ancora.Avevo bisogno di sentire una voce americana. Dopo diversi tentativi raggiunsi Midnight 68. Chi èMidnight direte voi? Midnight è Midnight. Punto.Midnight 68 è una sigla su una hot line americana. Ciavevo “chattato” per ore. Poi mi aveva dato il suo nume-ro di telefono. Poi ci eravamo visti, all’ultima assembleadel Fondo Monetario Internazionale. Poi avevamo fattol’amore. Midnight è la più grande e bella “squillo” ame-ricana che io conosca. Midnight ha i capelli rossi.Autentici. E delle gambe lunghe quanto la Fifth Avenue.Midnight è il mio sogno americano.

«Cosa cazzo stai dicendo che ce li siamo tirati in testa dasoli, gli aerei, maledetto stronzo?»La voce di Midnight era alterata. E quando Midnight eraalterata si sentiva di più il suo strascicato accento delSouth Carolina. «Honey, non sto dicendo questo…»«E cosa stai dicendo allora, maledetto italiano testa dicazzo? Ma ti rendi conto di cosa è successo qui, di cosasta succedendo ora? Stanno scavando da giorni e trovanosolo una maledetta marmellata di carne e ossa! C’è unbuco nero come il carbone al centro di Manhattan! Egiuro che in questo buco nero ci butteremo tutti gli isla-mici del cazzo che riusciremo a trovare sulla terra!»Singhiozzi. «Fuck you, italiano di merda... tu e le tue sto-rie di spie!»«Honey…»

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«E non chiamarmi Honey! Qui stiamo tutti impazzendo,scenderemo in piazza con le bandierine a stelle e strisce,diventeremo tutti marines finché non avremo sfondatol’ass-hole a quei maledetti terroristi… non li avremo fattia pezzi!»«Darling, aspetta, non sto dicendo che vi siete tirati gliaerei in testa solo per gioco...! Quello che è successo èorrendo, non c’è nessuna giustificazione. Non ci puòessere. Sto male anch’io, darling, la televisione la vedopure qui! Voglio solo dirti che c’è qualcosa che non miconvince in questa storia, qualcosa di ancora più orrendodi quello che è successo!»«Cosa ci può essere di peggio di un disgraziato che sibutta dal 60° piano per non arrostire vivo, eh? Cosa cipuò essere?» «Di peggio ci può essere solo quello che ci fa i soldi epotere, sulla sua cazzo di pelle bruciata. Immaginatiqualcuno talmente cattivo da farlo. Qualcuno che sapevaed è stato zitto, qualcuno che mentre guarda la televisio-ne sa tutto quello che è successo, l’unica persona che nonsi fa domande…»«E chi è questo, il diavolo?»«Qualcosa di molto simile, darling» «E tu dici che è un americano?»«Io dico che oggi ci sono milioni di americani che pian-gono e che ce n’è qualche decina che ride. Poi ce nesaranno un centinaio a cui brucia il culo…»«Ma come cazzo ti vengono in mente queste cose? Comefai a pensare a questo mentre qui c’è la guerra, dico laguerra vera, quella con i morti… i soldi, sempre i soldi…sono la tua fissazione da fottuto banchiere!»«Darling... non litighiamo su questo. Io faccio il ban-chiere tu fai la squillo e siamo sempre stati bene così.Scusami… volevo dire… A te sembra normale quello

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che è successo?»«Come normale?»«Sì, dico, ti sembra normale che un gruppo di merdosiislamici si fregano almeno quattro aerei, due li buttanocontro le torri e uno sul Pentagono? Dico sul fottutoPentagono! E l’FBI? E la CIA e tutte quelle agenzie checampano sulle vostre tasse? E se quattro islamici fannotutto questo casino, perché non ci sono riusciti i russivent’anni fa?»«Beh, in effetti questo è strano… ma no… non è possi-bile, che cazzo stai cercando di dirmi?» «Senti, quando sono venuto negli USA ho passato ore dicontrolli negli aeroporti... e questi invece entrano edescono come se fossero a casa loro… su, devi ammetter-lo. Non possono aver fatto tutto da soli. Dovevano averedegli “insider” nei servizi, oppure qualcuno che questiservizi li conosceva bene…»«Questa tua dei servizi incomincia ad essere una fissa-zione…«Senti, è solo una ipotesi.. ma ci sono troppe cose stra-ne… Qui siamo tutti incollati alla televisione ma la sen-sazione è di trovarsi di fronte a un film. I morti sono veri,ma è tutto il contesto che è falso: perché Bush non ha rea-gito subito e ha continuato a parlare con i ragazzi nellascuola? Dov’era l’aviazione? Cristo, 75 minuti, sonopassati 75 minuti prima che il primo aereo si alzasse involo…»«Che vuoi dire?» Era meno aggressiva, adesso, Midnight.«Non voglio dire niente, cerco solo di mettere in fila deifatti. Ma penso che dovrebbero essere le Autorità a dirciqualcosa e invece fanno solo propaganda...»«E quindi…»«Quindi c’è una parte della storia che deve rimaneresegreta. Qualcuno vuole che resti segreta. Alla faccia dei

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morti e dei diritti degli americani...»«Ok, non dico che mi hai convinto… certo che voi ita-liani di servizi segreti ve ne intendete…»«Sì, ogni volta che salivo su un treno fra gli anni ’70 e glianni ’80 mi facevo il segno della croce…»«Tu ti facevi il segno della croce… allora siamo propriomessi bene.» Rise.«Ok darling, io provo ad andare un po’ avanti in questamaledetta storia. Tu vedi se trovi qualcosa di interessan-te in giro e...»«E…»«Vengo a trovarti presto negli States…»«Mhmm… ci devo credere?»«Sì.»«Forse, ma solo forse, hai ragione.»«Comunque ci vediamo presto?»«Perché?»«Primo perché ho voglia di vederti poi perché il casino èda voi, in America. E io dal casino non riesco a stare lon-tano.»«Quando?»«Il tempo di organizzarmi… dopo Natale.»«Beh, come diceva mia nonna durante la GrandeDepressione, anche dal male può venire qualcosa dibuono!»«Come finì tua nonna?»«In un bordello di New Orleans.»«Finché c’è vita c’è speranza, darling.»«Non capisco come faccio a sopportarti!»Era il massimo che potevo aspettarmi da Midnight.Riagganciai contento.

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TELEGUERRA!Decine di ore di televisione. Immagini di catastrofe ripe-tute ossessivamente. New York ridotta come West Beirut.Storie infinite di uomini macinati dalla storia. Per chi credeva fosse possibile convivere con la barbarie.Per chi credeva che la barbarie si potesse usare. Il con-senso monta. L’ignoranza che diventa cultura. E ancheora all’orrore seguirà altro orrore, alla guerra altra guer-ra. La barbarie occidentale, dai tempi di Alessandro ilGrande, ha saputo con esattezza come si sciolgono inodi: con la spada. La sinistra affranta, divisa, biascicante. Esibisce conta-bilità mortuarie insignificanti: i bambini dell’Iraq con-tro i morti delle Twin Towers. Raccomandandosi di noncolpire i civili. Come se, dalla guerra di Troia in poi, cifossero stati altri motivi a spingere l’uomo alla battagliadiversi dall’eccitazione del massacro, dal saccheggio,dallo stupro. La Sinistra promette sottomissione alNuovo Ordine Mondiale. La Sinistra è definitivamentefinita. Meglio così.Diceva Mao Tse Tung: “Ci sono morti pesanti comemontagne ed altre leggere come una piuma”. Mao TseTung dovrebbe appartenere alla cultura orientale. Maquesta frase sembra uscire da un copione di un film diJohn Wayne. Mao era probabilmente un gerontocrateafflitto da demenza senile. Mao era un sadico. A Maopiacevano le ragazzine. Mao aveva studiato in seminario. Oriente ed Occidente sono la stessa cosa. I “SetteSamurai” diventano “I Magnifici Sette”. Kurosawa puòessere tradotto da Yul Brinner.Oriente e Occidente sono la stessa cosa. La stessa male-detta truffa. Nel gracidare insensato dei telecronisti diguerra, dei giornalisti addomesticati, dei commentatori agettoni, degli esperti di niente risuona un grido di donna

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disperata: Oriana. Il grido di Ecuba sulle rovine di Ilio.Per favore non chiedete mai a Ecuba di essere razionalee politically correct. Oriana, per di più, è una ragazzacciatoscana, una di quelle che se ci fossero ancora Guelfi eGhibellini starebbe per le strade a far cagnara. Oriana-Ecuba dice ciò che non si può dire e non va detto.Troppo fragili ancora sono le nuove alleanze tessutedagli americani nel mondo islamico. Troppo lontane lebasi degli aerei. Troppo forte il rischio della prima guer-ra totale islamica. Meglio fingere che il Presidente delPakistan sia un lord di campagna inglese, meglio corteg-giare i criminali dell’Alleanza del Nord, meglio credereancora una volta ai contorsionismi politici di Arafat. Cisono mille buone ragioni per far tacere Oriana. Ma ilgrido è alto e doloroso. È il grido di una donna occidentale contro la barbariedelle teocrazie. È un grido che nessuno vuol udire,soprattutto i preti, di ogni religione. E Oriana viene stru-mentalizzata da destra, si fa strumentalizzare da destra,insomma la dà, la sua intelligenza, al primo che capita.Oriana ha capito che “the clash of civilisation” è iniziatoe si schiera. Perché sa che gli islamici si stanno già schie-rando. Non capisce la trappola, l’orrore delle due Torri laabbacina. Eppure dice ciò che la gente pensa. E ciò chela gente pensa è spesso crudele, cattivo, ingiusto. La sinistra “sdegnosa” rigetta la provocazione. E ancorauna volta si condanna a non capire. Oriana-Ecuba havisto il mondo dalla prospettiva dell’orrore. E ha reagitoper quello che è sempre stata: una liberale borghese. È importante capire come reagisce. Perché come lei rea-giranno milioni di persone. Milioni di persone che pen-seranno alla vendetta, certo, ma soprattutto a chiudere leporte a tutto ciò che è diverso da loro. Milioni inOccidente che si rifiuteranno di capire, che non vorranno

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ascoltare, che rifiuteranno la realtà. E c’è un miliardo emezzo di mussulmani che non aspetta altro che di vederconfermati i propri pregiudizi sull’Occidente laico e ateo.Un miliardo e mezzo che può diventare un miliardo emezzo di barbuti sessuofobici e di donne in Burka. E lamacchina del conflitto allora diventerà reale. Tanto realeda stritolare qualsiasi obiezione.

Perché non dire subito che Osama, un rottame della guer-ra fredda, l’ex alleato, l’anticomunista-Osama, è scappa-to di mano a chi l’aveva creato? Perché non buttareacqua, invece di benzina, sul fuoco, e ridurre la questio-ne a quella che appare la soluzione più verosimile, un’a-zione di “intelligence” per neutralizzare al Qaeda?Ma è proprio quello che non si fa.

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Osama bin Laden

Oriana Fallaci

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E iniziava la guerra AfghanaL’unico che ha capito qualcosa di ciò che ci aspetta è ilvecchio Guy Debord, nei Commentari alla società dellospettacolo: “L’imbecillità crede che tutto sia chiaro,quando la televisione ha mostrato una bella immagine, el’ha commentata con una generosa menzogna. La semi-élite si accontenta di sapere che quasi tutto è oscuro,ambivalente, montato in funzione di codici sconosciuti.Un’élite più chiusa vorrebbe sapere il vero, difficilissimoda distinguere chiaramente in ogni singolo caso, non -ostante tutti i dati riservati e le confidenze di cui può di-sporre. Per questo amerebbe possedere il metodo dellaverità, ma si tratta quasi sempre di un amore infelice.”Mi sarebbe piaciuto fosse ancora vivo a guardare lo spet-tacolo mediatico delle due torri. Ma lui non c’era più. Siera fatto saltare le cervella qualche hanno prima, dopoaver scritto due libri inimitabili e aver giocato memora-bili partite a poker.Fra qualche anno o qualche decina d’anni saremo tuttiscomparsi, quelli della nostra dannata generazione, la“storia” non la racconterà più nessuno.

Chi conosce la “storia”, questa “storia”, non può fare ameno di provare a raccontarla. Anche se il suo desideriopiù profondo sarebbe dimenticarla. A volte ti sembra chesia possibile. Scorri i giornali e non trovi più nessun rife-rimento alla “storia”. Ti senti normale, anche il mondo tisembra normale. Poi compare un nome, un fatto, unattentato o un colpo di stato in qualche cazzo di paesenascosto nel buco di culo del mondo.E la “storia” ricomincia a mangiarti il cervello. I fatti siricollegano ai nomi. Sempre gli stessi nomi. E alloraricominci a cercare. E trovi sempre la stessa roba, sem-pre nuova. Sempre lo stesso odore di morte. Ma tutto

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ricomincia a scapparti di nuovo dalle mani. “Il vero è ilfalso, il falso è il vero, il bello è brutto, il brutto èbello…” Macbeth: Le streghe.La “storia” è una droga dura. Dopo un po’ che la maneg-gi si ha la sensazione che l’orrore non finisca più, ma cheaumenti, si diffonda, corrompa l’aria e il sangue si insinuinel sonno, come un incubo, fino a sognare a occhi aperti. Ora l’incubo si è materializzato. Ce l’abbiamo davantiper ore e ore di televisione. Entra nelle case dalle finestreelettroniche. Lo spettacolo del secolo: il cuore della finan-za internazionale che si sgretola seppellendo migliaia dipersone. E si apre un altro capitolo della “storia”. La “sto-ria” è una malattia da cui devi guarire, se vuoi sopravvi-verle. Ma la “storia” ricomincia. E tu ormai ci sei dentro,fai parte di essa.

Nel 1963 avevo solo dieci anni. La televisione finiva pre-sto. Spesso andavo a dormire dopo Carosello. Quellasera no. Interruppero le trasmissioni per una notizia fuoriprogramma. Allora non sapevo ancora che quella notiziaavrebbe segnato il mio ingresso nella “storia”. JFK erastato assassinato a Dallas. “Qui Dallas… vi parlaRuggiero Orlando.” Un uomo vestito di bianco, sudato.La bocca impastata dal whisky. Le braccia lunghe, trop-po lunghe, che si agitavano irrequiete. Dopo un po’ erasemisdraiato sulla scrivania. In bianco e nero. Ogni tantola trasmissione tornava in Italia per i commenti.Aspettavo come in trance quella voce ubriaca. Quegliocchi semichiusi che recitavano la diretta più incredibiledel secolo. In bianco e nero. Il più grande spettacolo cheavessi mai visto… letteralmente inchiodato di fronte aquella faccia devastata dal sonno e dall’alcool… Alloranon sapevo che stavo assistendo solo al prologo di unospettacolo che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita.

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Allora non sapevo che sarei entrato anch’io nella “sto-ria”. Le Twin Towers furono costruite solo tre anni dopo.Nel 1966.

Scenari, geopolitici scenariAvevo aspettato che fosse passata mezzanotte per com-piere il rito. Mi ero preparato come un antico astrologo.Avevo selezionato le carte, i documenti e ora li avevotutti d’avanti. Dovevo montare lo scenario di quello cheaccadeva. Ho sempre considerato ogni scenario simile aun rito. Dagli scenari derivavano le previsioni. Anchedopo anni di lavoro su modelli matematici e su statisticheeconomico-finanziarie, ritengo la costruzione di uno sce-nario una funzione essenzialmente “mantica”. Le cifre ei modelli potevano servire, certo, ma prima dovevo sen-tire la voce. La voce della storia. Poi per analogie, meta-fore, sineddoche e metonimie sarei arrivato a “vedere” ilfuturo, o, come si dice in gergo economico, a giungere auna realistica “proxy”. Con la memoria, la storia prendeva la sua forma.

Adesso riuscivo a vedere dall’alto l’area che mi interes-sava: il Centro Asia. Terra favolosa di viaggi. La “Viadella Seta”. Le orde di Gengis Khan e Tamerlano. Le piledi teste decapitate fuori Samarcanda. Gli afghani. Ilpasso Kyber e i Dragoni Leggeri della cavalleria di SuaMaestà Britannica fatti a pezzi a Kabul. Il “GrandeGioco” sui confini fra Russia e Impero Britannico. E orale ex Repubbliche sovietiche: il Kazakistan, ilTurkmenistan, il Kyrghyzstan, l’Uzbekistan, ilTajikistan. Campi di cotone che si trasformano in campidi oppio, petrolio e gas. Tanto petrolio e tanto gas manessuna “pipe line” per trasportarlo verso il Golfo. Si poteva cominciare: le linee dello “scenario” man

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mano venivano fuori. I dati. Eccoli.Nel 1999 il Pentagono ha spostato la competenza milita-re sul Centro Asia dal Comando del Pacifico al ComandoCentrale. Chiaro. È cambiato tutto lo scenario del fiancosud della Nato. I Balcani sono definitivamente destabi-lizzati. La Russia è ridotta a un paese di mendicanti,mafiosi e puttane. Il comando del Pacifico ha un sologrosso problema, la Cina. Le truppe americane staziona-no nel Golfo Persico.Tutto il fianco sud della Nato si è spostato a Sud-Est e oraprova a risalire a Nord, verso l’Asia Centrale. La Natonon è il termine adatto: qui ci sono solo americani edinglesi. Wasp, white anglosaxon and protestant. Questisono gli unici veri “players” nel Grande Gioco.Ma cosa significa questo decentramento geopolitico?Significa, per esempio, che la Turchia se ne può andare afarsi fottere, così diventa un’altra mina vagante al suddell’Europa. E così i tedeschi imparano a volersi costrui-re la loro area monetaria, l’Euro. La strategia americana dopo la Guerra Fredda è chiara. Sitratta di evitare che si crei quella cosa che loro chiamanoEurasia. Per chi vive in mezzo a due oceani è possibilevedere Europa ed Asia come un unico continente.Dall’Atlantico a Vladivostok. Nello stesso tempo si passa dalle alleanze stabili adalleanze a “geometria variabile”, secondo gli interessidell’America. C’è qualcosa di perverso però. Qualcosache rimanda verso “l’orrore”, perché resuscita e usa qual-cosa che proviene dalla parte non umana dell’uomo.Qualcosa di arcaico e di terribile. Qualcosa che la nostra“civilizzazione” ha tentato da sempre di segregare.Questo “lato nero” della geopolitica proviene in direttadalle scuole di etnologia della CIA. Sono le identità disangue, le etnie, che marchiano la terra di confini labili,

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ma pericolosi. Sono le religioni che devono distruggerel’infedele, in un delirio storico e geopolitico senza spe-ranza. Sono la negazione dell’Occidente illuminista ecosmopolita effettuata attraverso l’evocazione dello spi-rito delle origini. È necromanzia. Come quella degli“Skull & Bones8”.

Le divisione funzionali alla “geometria variabile” devo-no essere riorganizzate secondo linee di appartenenzaetnico-religiosa. È un vecchio schema delle operazioni didestabilizzazione. Lo provarono in Vietnam usando iHmong in funzione antivietnamita. Lo hanno usato neiBalcani, in Pakistan, in India. Forse anche in Italia con laLega Nord. L’area che si vuole sottoporre a controllo vaprima divisa secondo linee che demarcano le “civilizza-zioni”. Quelle linee diventeranno linee di guerra e forni-ranno, nel caso, pretesti per intervenire militarmente. Il centro della scacchiera si è dunque spostato a Est. Nelcuore dell’Eurasia. Proprio lì dove l’aveva collocato Zbignew Brzezinski inUzbekistan. Avrà avuto i suoi motivi, nella “GrandeScacchiera” parlava addirittura di Tamerlano e di unaidentità etnica uzbeka.

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(8) Società segreta studentesca dell’Università di Yale di cui faceva parte GeorgeBush Senior e, pare, anche il figlio.

Immagine da www.whitehouse.org

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Ero ancora convinto che fossero effetti dell’eccesso dialcool. Eppure il delirio geopolitico stava avverandosi…Controllare il Centro Asia attraverso il regime “crimina-le” di Karimov e dei generali di etnia uzbeka inAfghanistan e altrove. Una specie di “Orda d’oro” sulla “Via della Seta”, chechissà poi perché tutti continuano a chiamare così: quel-la è la via del petrolio, del gas e forse dell’oppio, sicura-mente degli uomini e donne cinesi, che cercano fortunanell’emigrazione: trattati come schiavi.

Dunque l’importanza geopolitica del Centro Asia è chia-ra. E in particolare è importante l’Uzbekistan e il suo“democraticissimo” presidente Karimov. Uno che vincele elezioni al 91% di consensi: lo vota anche il suo prin-cipale oppositore. Uno che ha fatto minare tutto il confi-ne con il Tajikistan, provocando la morte di 89 persone edi un numero imprecisato di cammelli e capre. Si diceche però rendite cospicue siano assicurate ai militari chetrafficano con le mappe dei campi minati: sono in vendi-ta. Karimov finora è l’unico leader delle ex repubblichesovietiche che abbia consentito a truppe USA di instal-larsi sul suo territorio. È l’ultima fase della guerra fredda: creare nei resti del-l’impero sovietico dei centri “filoamericani”. Come laGeorgia di Shevarnadze. E insieme spingere sui conflittietnico religiosi, come in Cecenia. Usando gli eretici “wahabiti” provenienti dall’ArabiaSaudita. Gli uomini di Osama bin Laden.Durante gli anni cupi della dittatura comunista, i sovieti-ci avevano trasformato l’Uzbekistan in un grande campocoltivato di “oro bianco” (cotone).È facile previsione che, visto le caratteristiche simili dellepiantagioni, i prossimi raccolti siano di “poppy flowers”.

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Oppio. Da qualche parte la droga dell’Afghanistan devepure essere ripiantata, no?

Arabi e caucasici. Epiche battaglie medioevali fra etnieorientali. Basta ricostruire la storia per poterla riprodurree governare. Proviamo a ragionare. Ci sono due areeimportanti: l’area del Golfo Persico e quella del Caspio.Due aree instabili politicamente, ma ricche di petrolio.Prima si usano gli arabi contro l’Unione Sovietica e sientra in Centroasia dalla porta di servizio. Si lascia chel’alleato Pakistano crei i “Talebani”. Chi ha progettatol’oleodotto afghano? Americani e Sauditi, Unocal e DeltaOil, la compagnia di famiglia dei Saud. Masud9 e gliuzbeki però resistono nel Nord. I Talebani non riesconoad unificare l’Afghanistan. Gli oleodotti non si fanno. ITalebani hanno fallito e devono essere eliminati. Poioccorre mettere ordine, democrazia, legalità. L’Impero richiede la produzione di conflitti, per poter poiesercitare la funzione imperiale dell’ordinatore.L’Impero non ha nemici, se non quelli che crea apposita-mente. L’Impero fa solo guerre umanitarie per riportarela “legge e l’ordine” presso i barbari che ha preventiva-mente aizzato. Se è vero questo scenario, allora cambiaanche la geoeconomia del petrolio, si torna allo schema:Caspio versus Arabia. I numeri sorreggono molto a fati-ca l’ipotesi. Sostituire le riserve saudite è impresa imma-ne, e non certa di successo. Arabi nel Caucaso, dallaCecenia all'Afghanistan. Sotto le bandiera di al Qaeda odella Delta Oil. Poco importa. E al centro del problemala dinastia saudita e la sua controversa successione. Ilvecchio e corrotto Fahad sta morendo. Dalla dinastia diAbd-Al-Aziz-Al Saud, morto nel 1953 provengono 44figli. Fra questi i “sette” di una stessa madre, gli “al

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(9) Leader della resistenza afgana contro i talebani.

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Sudari”. Questi sono i filo-occidentali, il Ministro dellaDifesa Sultan e quello dell’Interno Nayef. Ma il designa-to è Abdullah, più tradizionalista ma irrimediabilmentevecchio: 78 anni. E come al solito i servizi segreti saudi-ti non nascondono più di tanto qualche simpatia per binLaden. Bell’imbroglio. Infine l’Arabia Saudita non è più quella di una volta,dove il consenso si pagava. Il reddito pro capite annuo èsceso da 24.000 dollari a 8.000 in trent’anni. E l’arabo èvenale, semiticamente venale.Bel casino. In più gli americani vogliono andare nel Caspio a cerca-re altro petrolio per svincolarsi dai sauditi. Improvvisamente nella mia visione storica si inserì unlampo: le armate di Hitler che puntano sul Caucaso a cer-care anche loro il petrolio nella Seconda guerra mondia-le, dopo che la manovra di Rommel in Africa settentrio-nale è fallita. Il Generale Von Paulus. Era lui che dovevasfondare. Finì a Stalingrado la sua corsa in un inferno dighiaccio e di fuoco. Un’intera armata tedesca annientata.I russi combattevano casa per casa e quando arrivavanosul tetto facevano saltare tutto, compresi i tedeschi che sierano asserragliati ai piani inferiori. Le mitragliatricidell’NKVD, la polizia militare di Stalin, sparavano allespalle dei russi che si ritiravano. Stalingrado. Atrocità esangue, pezzi di filo spinato che spuntavano dall’anoghiacciato dei prigionieri. Da una parte e dall’altra.Colonne di civili russi mitragliate e buttate nei fiumighiacciati. Carri “Tigre” contro “T35”. Carri sepolti nellaneve che aspettavano di essere superati per sparare allespalle. Cariche di Cosacchi. Bandiere Rosse con Falci eMartello e bandiere Rosse con la Svastica Nera. L’iniziodella fine del Terzo Reich. Il comunismo era già finito daun pezzo. A Kronstadt nel 1923. Morti, troppi morti per

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il petrolio del Caspio. Ed ora ricominciava la danza… ladanza macabra del denaro, del potere e della morte…Per quella sera bastava. Le sedute psico-geopolitiche misnervano. Aprii il frigo. Vidi una bottiglia ghiacciata diVodka. Procedetti. E andai a dormire sereno.

Mi svegliò la mattina presto una telefonata del mio capo(ebbene sì, anche noi banchieri abbiamo un capo, qualcu-no che comunque è alla testa della cordata di cui fai parte).Il mio capo è abilissimo. Pur non sapendo quasi nulla nédi economia, né di storia, né, credo, di qualsiasi altramateria dello scibile umano, capisce tutto di tutto. Comeun uccello razziatore vola su concetti che non gli appar-tengono, ma che è pronto ad acciuffare.«Allora siamo alla guerra fra religioni?»«No» risposi addormentato «non mi sembra ancora.»«E Huntington?» Chiese lui implacabile.«Huntington è come Umberto Eco da noi. Un’opinioneche conta, ma a cui non si dà quasi mai retta.»«Quindi non c’è una “guerra fra religioni”?» chiese ilcapo con apprensione. Una sua figlia adottiva, infatti,non era bianca.«No, ancora no» risposi «certo che se continuano cosìpotrebbe anche scoppiare. I mussulmani sono 1,5 miliar-di. Dall’Atlantico all’Indonesia, più quelli che stanno acasa nostra…»«E allora?»«E allora ho l’impressione che siamo sul filo di un rasoio,e che dobbiamo essere molto cauti, nei prossimi mesi.»«Come se comandassimo noi» fece lui sconfortato.«Esatto» gli risposi «come se comandassimo noi. Ed èora di farlo se vogliamo evitare il peggio!»«Sei il solito estremista utopico.» Ribatté lui chiudendola conversazione.

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Della Cultura, dell’Islam, e dell’ignoranza…La cartina di HuntingtonKultur und Zivilisation. Così dicevano austeri profes-sori tedeschi due secoli orsono. Nell’epoca modernasospetto non esserci più Kultur ma solo forme diversedi una stessa Civilisation, e la traduzione inglese deltermine non è per nulla innocente. Definire la culturaoccidentale è arduo. Quando poi lo fanno gli studiosianglosassoni si rischia l’involontario umorismo dell’i-gnoranza. Ad esempio Samuel Huntington è fin troppo citato.Sembra infatti che l’avere il suo “Clash of civilisation”in salotto, possibilmente in inglese, oggi faccia la dif-ferenza fra un cretino qualsiasi e un cretino colto.Proprio Huntington in quel saggio propone una carti-na della “Western civilisation”. La guardai e inarcai un sopracciglio: la Grecia, consi-derata per secoli culla della civiltà occidentale, stadall’altra parte! Irrimediabilmente esclusa dalla civiltàoccidentale. A cosa si deve questa stravaganza? Laspiegazione la trovai in un esilarante articolo diTimothy Garton Ash: “Is Britain Europe?” Su“International Affairs”, n.77, gennaio 2001. La cartainfatti era stata redatta dai cartografi del RoyalInstitute of International Affairs per una pubblicazionedi William Fallace che riguardava la linea di confinefra cristianità occidentale e cristianità orientale.Dunque fra cattolicesimo e chiese di rito ortodosso. L’incidente non è però scevro da inquietanti significa-ti. Quella cartina, infatti, si ritrova in diverse mappeche disegnano i più recenti conflitti dei Balcani, in cuila Serbia sta fuori dalla “western civilisation”, mentrela Croazia è dentro. E, d’altra parte, quella cartaacquista un significato simbolicamente forte per lechiese ortodosse, che si considerano le uniche eredidella cultura cristiana, mentre a ovest sono situati i

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traditori della fede, coloro che per venali interessicommerciali consegnarono Bisanzio ai mussulmaniottomani.Il “lapsus” geografico di Huntington svela la sua veravisione geopolitica, che colloca, verosimilmente, ilcentro dell’Occidente in un punto imprecisatodell’Atlantico, forse equidistante fra la costa dellaCornovaglia e l’isola di Manhattan.

Buenos AiresSono guarito ma mantengo la stanza in ospedale. Glialberghi non sono più gli stessi a Buenos Aires, dopo lacatastrofe economica. Giro un po’ divertito questa cittàdistrutta dal debito estero e dalla stupida convinzione,avallata dal Fondo Monetario Internazionale, che un pesovalesse un dollaro. La più elevata follia delle grandi banche internazionalidivenuta realtà. Vedendo cose mirabili: l’autogestionedella vita sociale organizzata dai Comitati di Quartiere,spesso guidata dalle madri di Piazza di Maggio. Eroine nerovestite cui tocca ora prendersi cura del futurodi un paese che ha ucciso il loro personale futuro, privan-dole dei figli e delle figlie, torturati, lanciati dagli aereicome pezzi di carne, “desaparecidos”. Guardo il denaroscomparire ed essere sostituito da unità di conto di ore dilavoro, rilasciate dai Comitati di quartiere. Guardo iragazzi di Indymedia costruire reti di computer. Guardorealizzata l’Utopia di Gesell e Landauer nella Repubblicadei Consigli di Baviera, nel 1919. Torna tutto nella storia,sempre diverso. È il “grado zero” del comunismo: l’uto-pia libertaria divenuta realtà. Non sarebbe durata molto alungo, certo. Eppure, finché c’è, è un altro mondo possi-bile e qualcuno, tanti, l’hanno vissuto e ricordato. Da fuori dell’Argentina mi giungono notizie confuse. Ilresto del mondo è “normale”. Guerre, attentati, leggi spe-

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ciali. La Costituzione Americana calpestata. Meglio qui,in questa “sospensione” della storia. Qui il mondo è tor-nato incredibilmente vero. Come se le “casseruole” aves-sero svegliato la popolazione dal sonno del capitale. Quelsonno che genera mostri.I mostri sono fuori. E abitano il loro territorio preferito: l’economia.

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FranciscoGoya, Il sonno dellaragione generamostri,acquaforte eacquatinta,Madrid, Museo delPrado.

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ECONOMICS.DOCIl pensiero economico angloamericano durante la GreatDepression aveva in John Maynard Keynes, un economi-sta vanesio, moralmente discutibile, ma indiscutibilmen-te colto, il suo principale esponente. Noi abbiamo PaulKrugman. Sic transit gloria mundi. Comunque, ecco cosaha da dirci: “…fra un anno ci renderemo conto che i ter -roristi hanno provocato indirettamente un rilancio del -l’economia. I fatti dell’11 settembre hanno prodotto poli -tiche più espansionistiche dal punto di vista fiscale. LaFederal Reserve ha tagliato i tassi di un altro punto. Perquanto sia sgradevole ammetterlo, quell’atrocità le hadato l’opportunità di agire con più prontezza e forza diquanto osava pensare. In secondo luogo l’attacco haaperto le porte a un forte aumento della spesa pubblica,proprio la politica invocata da tanti economisti, ma chesembrava politicamente impossibile (…) Vale la penaricordare che le guerre stimolano le economie più chedeprimerle: non siamo in guerra nel senso tradizionale,ma non sarebbe così strano se l’attacco alle Torri si tra -sformasse in un beneficio per l’economia.”Beh, se l’avessi detto io, così chiaramente, sarei finito sulrogo! Questa è la differenza fra abitare al Centrodell’Impero e l’abitare in periferia! Proseguivo, inesausto, le minute contabilità della crisi ele ragioni meno evidenti della guerra. Dunque: la crisieconomica americana è iniziata nel marzo 2001. È daquel momento che è cominciato il rallentamento. È possibile individuare il primo picco della crisi framarzo e aprile 2001 e il secondo in settembre. La crisi,negli studi del National Bureau of Economic Research,precede e non segue l’11 settembre.E, proprio prima dell’11 settembre, si raggiunse il puntopiù alto del grafico che permette di misurare gli investi-

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menti esteri in America, cioè la capacità americana diimportare capitali che pareggia il suo cronico deficit dibilancia commerciale.

Ma quando mai s'è visto un Impero che attira i capitali dapaesi meno industrializzati per finanziare le proprieimprese e la propria innovazione tecnologica?Roba da satrapi persiani o da bolscevichi russi.Gli imperi, quelli di razza, quelli veri, esportano i capita-

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li dal centro alla periferia e campano sulle rendite finan-ziarie di questi capitali. Ma il mondo si è “arrovuotato”, come direbbe il Principedi Salina. E oggi i ricchi chiedono ai poveri i capitali cheservono allo sviluppo dei ricchi. Sviluppo che poiandrebbe analizzato caso per caso, vista la quantità dicarta straccia spacciata per azioni e bonds, che circola sulmercato statunitense.Stavo ancora osservando l’andamento del Dow Jones acavallo dell’11 settembre. C’era qualcosa che non convinceva. Quella picchiata cheportava da oltre 10.000 punti a poco sopra i 9.500 imme-diatamente prima dell’11. È come se qualcuno avessesaputo e fosse stato preso dalla febbre del ribasso, chepuntualmente è arrivata dopo l’11.Guardai il grafico e sbiancai. Dunque dall’11 al 17 settembre la Borsa era chiusa, ed èrappresentata da una diagonale che man mano diventapiù ripida, fino ad arrivare ai minimi.Fin qui, tutto bene, si fa per dire. Il reale era ancora razio-nale. Ma quella repentina caduta, che da sopra i 10.000porta il Dow Jones a poco più di 9.500 in meno di duegiorni, cos’era?Qualcuno che aveva cominciato a speculare l’8 e avevasmesso prima del 10 settembre. Chi? Perché? Il più gran-de caso di insider trading della storia!Un’anticipazione del crollo successivo?E se così, vuol dire che qualcuno sapeva in anticipo cosasarebbe accaduto!Decisi di telefonare a Parvus, nome in codice di un mioamico banchiere. A d i fferenza di Sbancor, Parvus è unmaledetto stalinista. Acuto analista di performance bor-sistiche, esperto di crisi e soprattutto critico-critico del-l’economia americana. Parvus usa una tecnologia sofi-

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sticata, quando funziona. Piccole web-cam che permet-tono di fare una videoconferenza in diretta e di trasmet-tersi testi. È il suo giocattolo preferito. Dopo una buonamezz’ora di tentativi infruttuosi finalmente in linea.«Ciao, vecchio porco stalinista»«Ciao, anarchico fottuto!»«Allora, a che punto sono arrivate le tue paranoie tardo-l e n i n i s t e ? »«Esattamente dove sono arrivate le tue. Puoi dire quelloche ti pare ma lo schema è chiaro: crisi da sovrapprodu-zione, guerra, fascismo.»«Sì, manca solo l’Armata Rossa che monta alla riscos-s a … »«Ah, non ci credi: guarda cosa c’era sul sito dellaM o rgan Stanley, una delle principali banche d’investi-mento americane, la mattina dell’11 settembre.» Inforcai gli occhiali, mi impiccai quasi con la We b - c a me guardai attonito lo schermo. Tr a d u c o :

Report caricato sul sito Internet di MorganStanley, martedì 11 settembre, 7.30-8.00[ora di New York]Che cosa può ridurre drasticamente il defi-cit delle partite correnti americane, e perquesta via eliminare i rischi più significa-tivi per l'economia degli Stati Uniti e peril dollaro? La risposta è: un atto di guer-ra. L'ultima volta che gli USA hanno regi-strato un surplus delle partite correnti èstato nel 1991, quando il concorso dei Paesiesteri ai costi sostenuti dall'America per laguerra del Golfo ha contribuito a generareun avanzo di 3,7 milioni di dollari.

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«Dai, Parvus, è uno scherzo!»Parvus (serio) «Purtroppo no, hai visto l’ora?»«Ma dico, stavano lì proprio nelle due torri a scriverequesto mezz’ora prima dell’attacco?»« E s a t t o . »«Beh… quando si dice che le banche angloamericanehanno dei grandi centri di ricerca e previsione economi-ca allora è vero…»«Direi di sì…»«E poi che altro hai?»«Beh, in realtà, per chi abbia letto i reports degli analistifinanziari usciti a caldo dopo gli attentati dell'11 settem-bre, non c'è nessuna sorpresa. Infatti questi reports siguardavano bene dal tracciare un quadro completamen-te negativo della situazione post-attentati. Al contrario,distinguevano con attenzione tra i settori destinati aessere colpiti e quelli favoriti dagli eventi dell'11 set-tembre (e quindi tra i titoli di borsa da cui stare alla larg ae quelli su cui speculare).» «E hanno guadagnato?»«Chi avesse seguito questi consigli (ad eccezione cheper il petrolio e per le costruzioni, colpite dalla crisi eco-nomica) si sarebbe trovato piuttosto bene. A un mesedall'attentato la Cisco System era cresciuta del 17%,Oracle del 30%, QLogic del 38%, Uniphase del 46%. Più in generale, l'indice delle società tecnologiche quo-tate a Wall Street (il DJ Stoxx Technology) era cresciu-to del 35% in un mese. Per non parlare della difesa. LaLockheed Martin (che produce aerei da guerra) allariapertura della Borsa di New York è cresciuta in un sologiorno del 19%. Ma anche altri titoli del settore si sonocomportati molto bene nel mese successivo all'attentato:Raytheon (che produce i missili Tomahawk) +43%;Northrop Corporation (che costruisce bombe per i bom-

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bardieri invisibili B-2 ed è leader nelle tecnologie di sor-veglianza elettronica) +33%. Ma anche la Boeing, che inteoria dovrebbe patire molto della crisi dell'aeronauticacivile, conta di rifarsi delle perdite previste in questo set-tore con la costruzione di aerei militari e di ordigni bel-lici (tra l'altro, sta lavorando a un prototipo di aereo daguerra completamente radiocomandato). Per avere un'idea dell'euforia che si respira in questomomento nel settore della difesa, pensa che la UnitedDefense (che produce armamenti per l'esercito statuni-tense) il 23 ottobre ha fatto richiesta di ammissione allaBorsa di New York: era da oltre tre anni che nessunanuova società del settore della difesa decideva di quo-tarsi in Borsa…»«Quando parti sei una mitragliatrice di dati… fermati unattimo... ma tu ci hai giocato su questi titoli…»«Beh, su qualcuno sì…»« M a i a l e ! »«Beh, sai, le contraddizioni in seno al popolo… e poidovevo rifarmi, avevo perso più del 40% dall’inizio del-l ’ a n n o ! »«Ok. E che altro hai?»«Quello che sanno tutti: che la crisi c'era già prima. Lasituazione, infatti, era questa: USA ormai in recessione,Giappone in stagnazione, Paesi del Sud Est asiatico giàcolpiti dal calo degli ordini americani, Europa anch'essain forte rallentamento. Proprio il giorno prima dell'attentato la Banca deiRegolamenti Internazionali aveva pubblicato il rapportorelativo al secondo trimestre del 2001. Un rapporto benpoco confortante. La BRI segnala una contrazione delleemissioni nette di bond nonostante gli spread creditizifavorevoli: chiaro segnale di un rallentamento delladomanda di prestiti per nuovi investimenti.

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«Questo ok, ma dopo?»«Questo è appena l'inizio. Appena tre giorni dopo l'at-tentato la Federal Reserve ha pubblicato alcuni dati rela-tivi alla produzione americana. Che in un solo colpo bat-tevano due record negativi: a) la produzione industriale americana nel mese di ago-sto segnava un calo dello 0,8% (calo tendenziale del4,8% su base annua). Era l'undicesimo calo consecutivo:un andamento così negativo non si registrava dal 1960. b) È in calo anche il tasso di utilizzo degli impianti, tor-nato ai minimi del 1983 (in pratica la capacità produtti-va inutilizzata è ormai superiore al 25% del totale). La conclusione è obbligata: eravamo, siamo, in presen-za di una classica crisi da sovrapproduzione. Per di più,con l'aggravante di essere sincronizzata tra le principalieconomie mondiali.» «Questa tua idea di “sovrapproduzione” è un’ideafissa.» dissi, cercando di decifrare linee e istogrammi.«Ah sì? Allora guarda queste cifre, è un “report” che stopreparando… Io ti saluto, vado a dare un’occhiata all i s t i n o . »«Ciao maiale!»Scaricai dal computer il lavoro di Parvus. Testo, graficie tabelle si componevano lentamente, mentre sorridevo,idiota, alla We b - c a m .

Warfare di Parvus C'è una costante nella storia economica degli StatiUniti da più di un secolo a questa parte. Ed è la stret-ta correlazione tra interventi militari e ripresa dell'eco-nomia. Questa correlazione è così stretta che chilegga la tabella dettagliata dei cicli economici ameri-cani che si trova sul sito di un istituto governativocome il National Bureau of Economic Research si

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imbatte in questa avvertenza: “I dati in grassetto siriferiscono all'espansione economica dei periodi diguerra [wartime expansions], alle contrazioni econo-miche postbelliche e all'intero ciclo che include leespansioni dei periodi bellici.” In altri termini: dallaguerra civile americana in poi, il nesso tra guerra edespansione economica è indiscutibilmente accertatoe assolutamente ricorrente. Ma vediamo più da vicinola questione, prendendo in esame le principali avven-ture belliche americane dagli anni Quaranta del seco-lo scorso ai nostri giorni.

a) La Seconda Guerra MondialeFu soltanto grazie all'ingresso nella Seconda GuerraMondiale e alla messa in opera della macchina belli-ca relativa, e non grazie agli investimenti di Rooseveltin opere pubbliche, che gli USA riuscirono a risolle-varsi dalla Grande Crisi degli anni Trenta. Lo ha ribadito non più tardi di qualche settimana fa ilpremio Nobel per l'economia Peter North, replicandoa un incauto giornalista che faceva presenti i meritidel keynesismo10 per l'uscita dalla crisi degli anniTrenta: “Non siamo usciti dalla depressione graziealla teoria economica, ne siamo venuti fuori graziealla Seconda guerra mondiale”.Le cifre, del resto, parlano da sole. Durante il NewDeal rooseveltiano la spesa pubblica civile era cre-sciuta dai 10,2 miliardi di dollari del 1929 ai 17,5 del1939. Ciò però non aveva potuto impedire che, nellostesso periodo, il PIL calasse da 104,4 a 91,1 miliardidi dollari, e che la disoccupazione invece salisse dal3,2% al 17,2% della forza lavoro complessiva. Dal 1939 lo scenario cambia. Il sistema economico èdapprima tonificato dalla vendita di armi agli Inglesi e

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(10) Keynes sosteneva che lo Stato, intervenendo sull’economia tramite la spesapubblica, può favorire l’uscita dalle crisi o evitarle (stato assistenziale, Welfare).

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ai Francesi (ma, come oggi sappiamo, le grandiimprese americane, dalla Ford alla IBM, non disde-gnarono di fare contemporaneamente affari anchecon i nazisti), e poi definitivamente rimesso in carreg-giata con l'ingresso diretto degli USA in guerra(dicembre 1941): il PIL riprende a crescere, la disoc-cupazione viene praticamente azzerata.

b) La guerra di CoreaSubito dopo la guerra torna la crisi economica, purmitigata dalla domanda differita di beni di consumoaccumulatasi durante il conflitto, e dall'avvio del PianoMarshall in Europa. Già nel 1949, comunque, gli USAsono nuovamente in recessione. Provvidenziale, nel-l'estate del 1950, scoppia la guerra di Corea. Il risul-tato è una fortissima spinta al riarmo. I Paesi dellaNATO triplicano in soli 3 anni le loro spese militari,che passano infatti dai 38 miliardi di dollari del 1949ai 108 miliardi del 1952. Ma la parte del leone la fannogli Stati Uniti, le cui spese militari nel 1952-3 giungo-no al 15% del PIL. Non a caso la guerra di Corea ètuttora considerata "un caso paradigmatico" di "forteincremento esogeno della spesa pubblica". Un incre-mento che durerà a lungo: anche dopo la fine dellaguerra, infatti, le spese militari, pur diminuendo, reste-ranno a lungo attestate su percentuali del PIL più chedoppie rispetto agli anni precedenti la guerra diCorea. Ma, ciò che più conta, all'enorme incrementodelle spese per gli armamenti corrisponde una nuovafase di espansione economica: definita, per l'appunto,il "boom coreano".

c) La guerra del VietnamNel 1961, quando John F. Kennedy raggiunge la pre-sidenza, gli USA sono da tempo in piena crisi econo-mica. La risposta è quella del Welfare e dell'aumento

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della spesa pubblica. Ma, ancora una volta, l'82% diquesto aumento è ascrivibile alle spese militari. Vieneinoltre potenziata la vendita delle armi ad altri Paesi(prima cedute per i nove decimi gratuitamente). I risul-tati non si fanno attendere: il valore delle armi vendu-te dagli USA aumenta in sei anni di ben sei volte. La guerra del Vietnam, e le relative spese militari, tor-nate a superare il 10% del PIL, ridanno slancio all'e-conomia americana. La quale, infatti, a partire dal1964, conoscerà una delle più lunghe fasi espansivedella sua storia (sfuggendo alle recessioni che in que-gli stessi anni attanagliano l'Europa). Anche in questo caso, il nesso tra impegno bellico edespansione dell'economia è chiaro come il sole. Cosìchiaro da essere entrato nel senso comune di chi sioccupa di economia. Tant'è vero che qualche tempofa un editorialista del Sole 24 ore si è potuto lasciarsfuggire, come se niente fosse, un'aff e r m a z i o n ecome questa: "La pur magra crescita del quarto tri-mestre del 2000 ha conferito a Bill Clinton l'alloro diessere stato l'unico presidente dai tempi di LyndonJohnson, ma quelli di Johnson erano tempi di guerra(del Vietnam), a non aver conosciuto neanche un tri-mestre di regressione del PIL".

d) Lo scudo stellare di ReaganGià sotto la presidenza Carter le spese militari rico-minciano ad accelerare il passo. L'occasione è off e r-ta dall'invasione sovietica dell'Afghanistan (24dicembre del 1979): già nel numero di BusinessWeek del 21 gennaio 1980 si parla esplicitamente diNew Cold War Economy e si ipotizza una sensibilecrescita della spesa per armamenti. Cosa che avvie-ne puntualmente. Ma l'accelerazione diviene frenetica con l'arrivo diReagan alla presidenza degli Stati Uniti, e con il lancio

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della sua creatura prediletta: lo "scudo stellare". Lespese per la difesa aumentano dal 1981 al 1985 del7% all'anno, mentre la quota delle spese militari all'in-terno del bilancio federale cresce dal 23% al 27%. Ancora una volta, le spese per gli armamenti vengo-no giocate in chiave recessiva dando luogo a uncurioso paradosso: mentre con una mano Reaganagita la bandiera del liberismo, con l'altra dà vita auno dei più giganteschi programmi "keynesiani" dispesa pubblica. Con il particolare non trascurabileche la spesa pubblica non viene impiegata per servi-zi sociali e di assistenza, ma adoperata per produrree comprare armi.

e) La guerra del GolfoCon il crollo del Muro di Berlino e l'agonia dell'UnioneSovietica, l'America si ritrova, di colpo, senza il"Nemico" per eccellenza: il regno del Male (secondola cortese definizione di Reagan, riecheggiata nellesettimane scorse nelle parole di Bush contro binLaden) sta uscendo ingloriosamente di scena. Perfortuna c'è Saddam Hussein, ex grande alleatodell'Occidente (nella guerra contro l'Iran), che nell'a-gosto del 1990 decide di invadere il Kuwait. La rispo-sta è una guerra, condotta con un enorme dispiega-mento di mezzi, dapprima attraverso bombardamenti,poi con un intervento terrestre diretto dell'esercitoamericano (16 gennaio-28 febbraio 1991). Dal punto di vista strategico si tratta di una vittoriaimportante per gli Stati Uniti, che consolidano la presasulle risorse petrolifere del Golfo Persico. Il politologo americano Samuel Huntington ha cosìsintetizzato la posta in gioco e i risultati della guerra:“La Guerra del Golfo è stata la prima guerra tra civiltàdell'epoca post-Guerra fredda. La posta in gioco erastabilire se il grosso delle maggiori riserve petrolifere

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del mondo sarebbe stato controllato dai governi sau-dita e degli emirati, la cui sicurezza era affidata allapotenza militare occidentale, oppure da regimi indi-pendenti antioccidentali in grado e forse decisi a uti-lizzare l'arma del petrolio contro l'Occidente. Il qualenon riuscì a spodestare Saddam Hussein, ma riportòuna vittoria in quanto ribadì la dipendenza della sicu-rezza degli Stati del Golfo dall'Occidente e si assicu-rò un'imponente presenza militare nel Golfo anche intempo di pace. Prima della guerra, Iran, Iraq, ilConsiglio per la cooperazione nel Golfo e gli StatiUniti competevano per l'acquisizione di influenza nelGolfo. Al termine del conflitto, il Golfo Persico eradiventato un lago americano." La guerra, già prima dell'attentato alle Twin Towers,era, per così dire, nell'aria.Lo era nella forma soft del progetto di difesa missili-stica (il cosiddetto "scudo stellare 2”), proposto giàsotto la presidenza Clinton e poi rilanciato con arro-ganza da Bush e dal ministro della Difesa Rumsfeld.Con il necessario corollario della ricerca di un"Nemico", che nel caso specifico veniva rinvenuto(ben poco plausibilmente) nei cosiddetti "stati cana-glia", ossia Iran, Iraq e Corea del Nord. E lo era - questo è l'importante - sotto forma di neces-sità economica.

Che la spesa militare e la guerra facciano bene all'e-conomia capitalistica è cosa che non riguarda soltan-to gli Stati Uniti, e che non riguarda solo il passato.Vediamo quindi, per concludere, i vantaggi del"Warfare" - con lo sguardo rivolto alla concreta formache esso sta assumendo in queste settimane. Le spese militari sono una forma di spesa pubblicaper il rilancio dell'economia. Esse rappresentano,cioè, una forma di deficit spending, ossia una delle

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forme attraverso cui lo Stato finanzia l'economia (se èil caso anche indebitandosi). Ma perché proprio que-sta forma viene preferita al "Welfare", nonostante chequest'ultimo rilanci direttamente i consumi individuali?Per numerosi motivi.

In primo luogo, perché le spese per il "Warfare" pos-sono essere facilmente sostenute e giustificate ancheda chi ha un approccio "liberista" in economia: in altritermini, anche chi rifiuti l'intervento attivo dello Statonell'economia (proponendo tagli alle spese per l'assi-stenza, la sanità, gli anziani, ecc.), e riceva il votodegli elettori su questa base, non avrà poi difficoltà aconvincerli che nel caso delle spese militari l'interven-to ci deve essere, eccome. Perché in questo caso è in gioco la "sicurezza nazio-nale", la "protezione delle frontiere", la "vittoria suinemici della Nazione", ecc.

In secondo luogo, le spese per gli armamenti sosten-gono una parte ragguardevole dell'industria degli StatiUniti. Le spese militari sostenute dagli Stati Uniti dallaSeconda Guerra Mondiale in poi hanno, in effetti,creato un "complesso militare-industriale" che non haconfronti al mondo. Da questo punto di vista, le speseper il "Warfare" impediscono agli Stati Uniti di doveraffrontare i costi (economici e sociali) di una gigante-sca ristrutturazione industriale. L'economia americana è drogata dall'industria bellica,ed è di vitale importanza risparmiarle crisi di astinenza...

In terzo luogo, le spese per gli armamenti vanno aimprese che, per definizione, operano in un regimeoligopolistico (quando non di monopolio puro e sem-plice) e protetto dalla concorrenza straniera. Da sempre le industrie belliche sono nazionali; questo

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è vero, anche oggi, per le imprese statunitensi, adispetto degli incroci azionari che pure vi sono traimprese americane e imprese europee. In ogni caso, è impensabile che forniture belliche perl'esercito degli Stati Uniti vengano direttamente appal-tate a imprese straniere. In tal modo i sussidi allaDifesa non devono fare i conti con la concorrenza(feticcio che in qualche caso può riservare sgraditesorprese) e i loro effetti si traducono invariabilmentein commesse per le imprese americane. L'esempio più recente (la notizia è del 26 ottobre)riguarda la gigantesca commessa per la fornitura delnuovo caccia militare "Joint Fight Striker". Si trattadella maggiore commessa militare mai effettuata dagliStati Uniti. Vincitrice dell'appalto è risultata laLockheed Martin, azienda che ancora pochi mesi faera in preda a una grave crisi, e che ora invece assu-merà 8.000/10.000 lavoratori. L'unico possibile con-corrente era un'altra azienda americana, la Boeing. La Lockheed, secondo gli esperti, è stata preferita"per il semplice fatto che ha maggiore bisogno di que-sto contratto rispetto alla Boeing". Del resto, la Boeingsta già lavorando (oltreché al nuovo F-22 coprodottocon la Lockheed, che sarà pronto nel 2005) a unanuova generazione di aerei radiocomandati in gradodi volare senza equipaggio e dovrebbe quindi vincereil prossimo appalto. E, inoltre, molto probabilmentegiocherà comunque un ruolo importante come subfor-nitrice, assieme a imprese europee (alle quali comun-que, ad eccezione forse della britannica BAE, tocche-ranno le briciole). Per avere un'idea delle cifre in gioco, basterà ricorda-re che il valore di questa fornitura è in partenza di 200miliardi di dollari, stanziati dal governo americano. Aessi però vanno subito aggiunti i 2 miliardi di dollaristanziati per la fase di sviluppo dalla Gran Bretagna.

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Gli aerei prenotati (da Stati Uniti e Gran Bretagna)sono 3.002 (di cui 150 per la Gran Bretagna). Si pre-vede che altri 3.000 aerei dovrebbero essere vendutiai Paesi Nato, portando così in cassa alla Lockheedaltri 200 miliardi di dollari. È appena il caso di dire che l'attentato dell'11 settem-bre ha accelerato i tempi per la chiusura del contrattoe la messa in produzione dei velivoli.

In quarto luogo, il perimetro delle aziende coinvoltedalla spesa bellica è molto più ampio di quello delleimprese che producono armi in senso stretto. Il primoesempio che viene in mente, a questo riguardo, èquello del cibo in scatola Campbell, che deve la suafortuna proprio alle commesse belliche. Ma questo esempio, per quanto significativo, puòrisultare fuorviante. Perché l'industria bellica ha primadi tutto a che fare con beni di investimento e con tec-nologie di avanguardia. E questo oggi significa inprimo luogo: il settore aerospaziale, l'industria dell'e-lettronica (hardware e software) e l'industria dei nuovimateriali. Non è un caso, quindi, che dopo l'attentato delle TwinTowers i titoli di molte società informatiche siano cre-sciuti anche del 30-40%. Del resto, è stato ricordato di recente che "l'alta tec-nologia americana ha un'origine militare": in particola-re, "la seconda guerra mondiale e la guerra di Coreafurono una manna dal cielo" per l'industria elettronica,in quanto "il Dipartimento della Difesa fu generoso difinanziamenti alle imprese locali per lo sviluppo deicircuiti integrati.” Non solo: "Ancora nel 1987 il princi-pale datore di lavoro della Silicon Valley era il colossoaerospaziale Lockheed." In definitiva: il settore bellico consente di effettuare acarico dello Stato enormi spese in beni di investimento,

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in ricerca e sviluppo, nelle tecnologie di punta.

In quinto luogo, le armi hanno un valore di scambio: sipossono vendere come ogni altra merce, realizzandoenormi profitti. In effetti, secondo l’IstitutoInternazionale di Studi Strategici, gli USA nel 1998hanno prodotto oltre il 40% delle armi vendute nelmondo. Nel caso, poi, che i Paesi compratori abbianobisogno di facilitazioni di pagamento, intervengono isussidi pubblici all'esportazione: a tale proposito, inun articolo pubblicato qualche anno fa sulle spesemilitari sostenute sotto la presidenza Clinton, si pote-va leggere che "i sussidi all'esportazione di armi sonocostati ai contribuenti americani 7,6 miliardi di dollarinel 1995".

In sesto luogo, si possono usare "per conto terzi". Èquello che è accaduto nel caso della Guerra delGolfo, per la quale gli alleati degli Americani (a comin-ciare dall'Arabia Saudita) hanno dovuto pagare, inqualità di "contributo alle spese", la bella cifra di 189mila miliardi di lire (non stupisce, quindi, che nel 1991la bilancia dei pagamenti americana, di solito cronica-mente in rosso, segnasse un attivo...).

In settimo luogo, le armi hanno un valore d'uso. Che,singolare caratteristica, si può esplicare anche senzadoverle usare: per esempio, come mezzo di pressio-ne politica, a scopo "dissuasivo" o “intimidatorio”, ecc.

Infine, hanno il valore d'uso che si esplica nell'usarle.E che consente di distruggere il capitale in eccesso(facendo ripartire così l'accumulazione) e/o di control-lare aree strategiche dal punto di vista geopolitico egeoeconomico. L'Afghanistan è una di queste aree.Perché si trova tra Cina e Russia. Perché è un punto

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di passaggio strategico tra Europa e Asia. E perchéobbligatoriamente sul suo territorio dovranno passaregli oleodotti in grado di sfruttare le risorse petroliferedelle repubbliche ex-sovietiche (a cominciare dalKazakhistan); risorse di tale entità (si parla di 40miliardi di barili) da consentire, a chi ne controllasse iflussi, di potere in prospettiva fare a meno anche delpetrolio saudita.

Quel Parvus sarà anche un fottuto stalinista, ma l’econo-mia l’ha studiata, Cristo!Dunque Parvus pensa la guerra come continuazione del-l’economia con altri mezzi o, per dirlo in gergo econo-mista, come l’unico moltiplicatore in grado di fare davolano a una ripresa di un’economia decotta. C’è del meccanicismo in tutto ciò, ma la verità non ètroppo lontana!

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Apocalypse Now! In diretta dalla Sala OvaleLa Sala Ovale era sempre quella. Quella delle decisioni.Sbagliate o giuste che fossero. Decisioni che lasciavano sempre qualche cadavere ditroppo in giro. Decisioni su cui si sarebbe dovuto tornare. Prima o poi.Decisioni che avrebbero reso ricco qualcuno e poveroqualcun altro. Tutto questo aveva un nome: politica. Se le stesse cosefossero state decise in un bar di periferia si sarebbe chia-mata criminalità organizzata. Ma il bar di periferia non aveva la sala ovale, non avevail proiettore e tutte quelle cartine colorate.«Signor Presidente?»«Sono pronto, cominciate pure.»«Bene signore, non voglio farle perdere tempo. So quanto lei sia sotto pressione in questi giorni. Ma la situazione, più o meno, è questa: abbiamo circa 60paesi che ospitano terroristi. In quasi tutti sappiamo chisono. Ora il problema è quanti attaccarne per volta e cheeffetto ha l’attacco su alcune variabili macro: il prezzodel petrolio, il consenso dell’opinione pubblica, l’impat-to della spesa militare sull’economia e su Wall Street. Poi ci sono le variabili micro.»«Per esempio?»«Quelle di cui possiamo anche fregarcene, per esempiocosa pensano gli europei, cosa dirà il Papa ecc, ecc.»«Giusto. Procediamo.»«Abbiamo disegnato i seguenti scenari.» Appare una prima cartina «Questo è lo scenario “Guerra Locale”: coinvolge soloAfghanistan e Pakistan. Effetti collaterali vicino alloZero. Rischi: un allargamento all’India o alle ex repub-bliche sovietiche del Centro Asia.»

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«Effetti sull’economia?»«Beh, secondo i nostri calcoli dovrebbe stabilizzare laBorsa a prima dell’11 Settembre.»«Solo? Ok, proseguiamo.»«Qui l’affare si allarga a tutto il subcontinente indiano.Gli effetti macro sono un po’ più forti. Prezzo del petro-lio stabile. Certo ci perdono un sacco di soldi quelli chehanno investito nella new economy in India.»«Andiamo avanti. Ho fretta.»«Sì signore: questo è il terzo. Qui salta gran parte dell’e-conomia del Golfo e il Sudan. Prezzo del Petrolio oltre i50 US$. Guerra comunque rapida. Gli economisti nonsanno decidere fra effetti positivi e negativi. Ripartirebbel’inflazione, ma le spese militari non sarebbero ancoraconsiderevoli, in fondo una guerra del genere l’abbiamogià fatta in Iraq. Signore, noterà che in questo caso ci con-centriamo solo sui “Sunniti” e non tocchiamo gli Sciiti.»«Da quando sei diventato un esperto di Religioni?»«Da quando ci servono nei conflitti signore.»«Ok, andiamo ancora avanti.»«Questo è lo scenario peggiore. Il conflitto si allargadall’Asia Centrale al Medio Oriente e al Nordafrica.Attentati terroristici bloccano le vie di comunicazione. Ipozzi di petrolio sono in fiamme ovunque, siamo costret-ti a intervenire massicciamente e a occupare militarmen-te i pozzi.Forse dovremo usare armi nucleari tattiche.Questo è lo scontro di civiltà signore.»«Quali civiltà, non sono tutti paesi islamici?«Sì, signore, ma potrebbero arrivare anche all’Indonesia,alla Malesia, nelle Filippine, nelle altre repubbliche exrusse.»«Qui che succede?»«Un bordel…. Mi scusi signore, questa è una guerra per-

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manente. Non si può pensare di chiuderla in un temporagionevole. Può durare da 50 a cinquecento anni. Effettisul prezzo del petrolio devastanti: dovremmo militariz-zare tutti i pozzi. L’Economia europea e giapponeseandrebbero in recessione per dieci anni. Le spese milita-ri che dovremmo affrontare potrebbero far decuplicare ildisavanzo di Bilancio. Signore questa è una GrandeGuerra! La Terza Guerra Mondiale!»«Suona bene! Effetti sul dollaro e Wall Street?» «Secondo alcuni economisti il Dow potrebbe superare i25.000 punti, Signore, il dollaro diverrebbe di fatto l’u-nica moneta. Gli effetti sull’industria si possono stimarein un incremento più o meno pari a quello della Secondaguerra mondiale.»«E cioè…»«35%»«Interessante!»«Signore?»«Niente… Niente. Beh, ragazzi tenetevi pronti e aggior-nate i conti. Questa guerra non sarà breve. Ma prima opoi la vinceremo. Lo dice anche Papà.»«Bene signore. Agli ordini, signore…»«Andiamo… Non voglio perdermi Rumsfeld che parla inTelevisione. Papà dice che è meglio di Groucho Marx. Aproposito…»«Sì signore?»«Che parentela aveva Groucho con Carlo Marx?»«Nessuna signore, credo sia solo una omonimia.»«Ah beh, meglio così… molto meglio così.»

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I danni dell’ignoranza: quando un polacco anglofilosi occupa di Islam!Che il signor B. fosse una mina vagante l’avevo giàampiamente sottolineato nel mio libro precedente sullaguerra in Yugoslavia. Gli avevo dato del paranoico alcolizzato. Ora mi accorgevo che ero stato troppo tenero. Nel suocaso andrebbe abolita la legge Basaglia, è un pazzo omi-cida scatenato! Fa più danni della grandine, di un torna-do, di un bisonte in un negozio di cristalli. Non pensate che abbia perso le staffe. Il mio è un giudi-zio equanime. Basta leggersi l’intervista seguente (dopoessersi assicurati di avere una solida poltrona) per ren-dersi conto con che razza di degenerato abbiamo a chefare. Uno che pensava che il fondamentalismo islamiconon fosse un problema. Uno che si incavolava pure se l’intervistatore dissentiva.E questo nel ‘98, quando già c’era stato il primo attaccoalle due torri e l’assalto ai marines in Somalia. Se potes-si dare un consiglio all’amministrazione Bush, all’FBIalla CIA, o anche al corpo dei pompieri direi: rinchiude-telo, prima che sia troppo tardi!

Intervista a Zbigniew Brzezinsky11

Domanda: Il precedente direttore della CIA, RobertGates, ha dichiarato nel suo libro di memorie che iservizi segreti americani hanno cominciato ad aiuta-re i Mujaheddin afghani sei mesi prima dell'interven-to sovietico in Afghanistan. In questo periodo lei erail consigliere per la sicurezza nazionale del presiden-te Carter. Lei ha quindi giocato una parte in tutto que-sto, vero? Brzezinsky: Sì. Secondo la versione ufficiale della fac-cenda, gli aiuti ai Mujaheddin da parte della CIA sono

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(11) Da Le Nouvel Observateur (Francia) 15 Gennaio 1998, pag. 76.

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iniziati durante il 1980, ovvero, dopo che l'armatarossa aveva cominciato l'invasione dell'Afghanistan il24 Dicembre 1979. La realtà, rimasta fino ad oggistrettamente celata, è completamente diversa: è statoil 3 luglio 1979 che il presidente Carter ha firmato laprima direttiva per aiutare segretamente gli opposito-ri del regime filo sovietico di Kabul. Quello stesso gior-no ho scritto una nota al presidente nella quale sispiegava che a mio parere quell'aiuto avrebbe deter-minato un intervento armato dell'Unione Sovietica inAfghanistan. D: Nonostante questo rischio lei ha sostenuto questaazione segreta. Ma lei stesso desiderava questointervento sovietico ed ha cercato di provocarlo?Brzezinsky: Non è proprio così. Non abbiamo spinto irussi ad intervenire, ma abbiamo consapevolmenteaumentato le probabilità di un loro intervento. D: Quando i sovietici hanno giustificato il loro inter-vento con la necessità di contrastare un coinvolgi-mento segreto degli Stati Uniti in Afghanistan, nessu-no li ha creduti. Invece c'era un fondamento di verità.Lei ha qualche rimorso, oggi? Brzezinsky: Rimorso di che tipo? Quell’operazionesegreta è stata un'ottima idea. Ha avuto l'effetto diattirare i Russi nella trappola afghana ed io dovreipentirmene? Il giorno che i sovietici hanno varcato ilconfine afgano ho scritto al presidente Carter chefinalmente avevamo l'opportunità di dare all'UnioneSovietica la sua guerra del Vietnam. Infatti per circadieci anni Mosca ha dovuto portare avanti una guerrainsostenibile da parte del governo, un conflitto che hademoralizzato ed infine sgretolato l'impero sovietico. D: E nessuno di voi è pentito di avere supportato l'in-tegralismo ed il terrorismo islamico con armi ed adde-stramento? Brzezinsky: Cosa è più importante per la storia del

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mondo? I talebani od il collasso dell’impero sovietico?Qualche musulmano esaltato o la liberazionedell'Europa Centrale e la fine della guerra fredda? D: Qualche esaltato musulmano? Ma e' stato detto eripetuto che il fondamentalismo islamico rappresentaoggi una minaccia mondiale. Brzezinsky: Balle. Si dice che l'occidente abbia unapolitica globale riguardo all'Islam. Ciò è stupido. Nonesiste un Islam globale. Prova a guardare all'Islam inmodo razionale e senza demagogia o emozione. È lareligione principale al mondo ed ha un miliardo emezzo di seguaci. Ma cosa lega il fondamentalismoSaudita, la moderazione di stati quali il Marocco, ilmilitarismo pakistano, il filo occidentalismo egiziano egli stati laici dell’Asia centrale? Nulla più di ciò cheunisce le nazioni cristiane.

...un consigliere così non si può augurare manco al tuopeggior nemico…

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Zbigniew Brzezinsky

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Gli USA e il petrolioEntrai nell’aula sbuffando e di malumore. Non si potevafumare: “Se non si può fumare, almeno sarà, almeno,permesso pensare? Ne dubito. Ne dubito fortemente.”Ero stato chiamato a tenere un seminario sul petrolio, daun mio amico docente, come “esperto della materia”. Mi guardai intorno sdegnato. Gli studenti erano tuttitroppo perbenino per i miei gusti. Comunque tirai unrespiro profondo e cominciai.«C’è chi crede che il prezzo del petrolio sia come il prez-zo di qualsiasi merce: determinato dall’offerta e dalladomanda. Bene, anzi male. Malissimo. Domanda e offer-ta al massimo spiegano un 20% del prezzo. Qualcuno divoi sa quale era il prezzo del petrolio nel 1950?»Silenzio.«Me lo immaginavo» dissi sconfortato «Era di 2 dollarial barile circa. E nel 1955, nel 1960, nel 1965?»Sguardi interrogativi.«Sempre di 2 dollari al barile.» «Testoni», bofonchiai fra me e me.Implacabile proseguii: «E la curva della domanda fra il1950 ed il 1965 cresceva o scendeva?»«Cresceva?» azzardò un occhialuto.«No, non cresceva: stracresceva, c’era il boom economi-co, la grande industrializzazione, c’erano i frigoriferi, leradio, le lavatrici, gli aspirapolveri, tutti quei maledettiaggeggi infernali che oltre a fare rumore d’inferno con-sumano energia. E poi c’erano le automobili. Un numeroche mai la terra aveva visto. E le automobili allora nonavevano neanche la quinta. Sapete con un pieno quantosi faceva su una BMW dell’epoca?» Silenzio.«Meno di 100 km! La domanda di energia cresceva e ilprezzo del petrolio rimaneva fermo. Perché?»

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Silenzio.«Perché se ne estraeva sempre di più, ma sempre allostesso prezzo: 2 dollari. E quanto andava agli arabi di“royalties”?» Silenzio. «Fra lo 0,2 e lo 0,5%. Poi venne Enrico Mattei e propo-se 50/50 purché si rompesse il “cartello delle 7 sorelle”.Mattei dirigeva l’ENI, una società di Stato. Che fine feceMattei?»«Incidente aereo?» azzardò l’occhialuto.«Sì, chiamiamolo incidente. E chiamiamo la bomba dipiazza Fontana una fuga di gas, e le due Torri un’eserci-tazione di un pilota ubriaco… Sì, sì… fu sicuramente unincidente!Comunque, se non è la domanda e l’offerta che determi-na il prezzo del Petrolio qual è, come la chiamate voi…ah sì, la “variabile esplicativa”?»Silenzio.«È la storia, teste di capra, la variabile esplicativa è lastoria. E adesso vi racconto come è iniziata.» Mi accomodai per quanto potevo sulla sedia, mi infilai inbocca un Montecristo “languito”, spento, formato nondisprezzabile e dal sapore vecchia Inghilterra, e iniziai: «C’era una volta un re. Il re voleva formare una dinastia.La dinastia saudita era stata fondata da Muhammad binSaud, Emiro della città di Najd, nell’altipiano dell’ArabiaCentrale, nel 1700.Qui il beduino si convertì alla predicazione diMuhammad bin Abdul Wahab. Un fanatico che avevafatto dell’Islam, che già era di suo religione, come dire,intollerante, un vero e proprio inferno puritano. Quelloche ci voleva, comunque, per un programma di conquista. I turchi se ne accorsero e nel 1818 dopo che i Saud ave-vano conquistato mezza Arabia, gli fecero guerra.

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Abdullah, l’allora capo saudita fu portato aCostantinopoli e decapitato. Ma a quell’epoca i turchierano già stirpe decaduta: permisero al figlio di Abdullahdi ristabilire il regno con capitale Riyadh. Varie lotte intestine alla famiglia regnante costrinsero ilnipote di Abdullah a fuggire in esilio presso l’emiro delKuwait Mubarak. L’emiro del Kuwait scelse il giovanissimo Ibn Saud,figlio del nipote di Abdullah, come leader, e lo addestròdi conseguenza. Gli insegnò, come lui stesso anni dopodisse, “a considerare il vantaggio e lo svantaggio”. IbnSaud fu messo alla prova presto. I turchi incitarono iRashid, una tribù nemica, a invadere il Kuwait, che erasotto protettorato britannico. Abd al Aziz ibn Saud fumandato dall’emiro kuwaitiano a conquistare Riyadh. Ilgiovanotto compì la missione affidatagli, uccise ilGovernatore dei Rashid e nel 1902 venne proclamatogovernatore del Najd e Imam dei wahabiti. A ventun annirestaurò la dinastia dei Saud. Durante la Prima Guerra Mondiale il Saud manovrò conmediorientale efficacia, evitando di mettersi contro i tur-chi, ma nello stesso tempo blandendo gli inglesi. IlColonnello Lawrence lo odiava. Probabilmente i Saudintascavano soldi sia dai turchi, sia dagli inglesi. Nel1925 le truppe dei Saud, gli Ikhwan, guerrieri di raraferocia conquistarono l’Hijaz. I vecchi alleati degli ingle-si, gli Haschemiti della rivolta del deserto contro i turchi,vennero sconfitti. Lawrence cercò di tornare in Arabiaper combattere al fianco dei vecchi alleati, ma il coman-do inglese glielo impedì. Mecca e Medina caddero sottoil controllo dei wahabiti. Ibn Saud dovette far fuori anchegli Ikhwan, troppo fondamentalisti, odiavano anche iltelegrafo, il telefono, la radio e le automobili. Nel 1930 isauditi erano i padroni dell’Arabia.

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Ma proprio allora sorse una nuova minaccia: i soldi scar-seggiavano. Chi conosce il mondo arabo, sa che potere emancanza di denaro difficilmente riescono a convivere alungo. Fu allora che il sovrano ricordò ciò che gli avevadetto un suo vecchio compagno di viaggio.Un inglese, commerciante a Gedda e convertitosiall’Islam con il nome di Abdullah. Il suo vero nome eraHarry St. John Bridger Philby. Jack per gli amici.Sarebbe divenuto famoso grazie a suo figlio: Kim Philbyil capo dei servizi segreti inglesi che passò ai sovietici.Comunque “l’amico inglese” gli aveva detto che nel sot-tosuolo dell’Arabia, forse, c’erano immense ricchezze.«Oh Philby» disse Saud, «se qualcuno mi offrisse unmilione di sterline gli darei tutte le concessioni che michiedesse.»12

Inizia qui una complicatissima storia di trattative in cuiPhilby gioca su almeno quattro tavoli diversi, anticipan-do così le poco eleganti virtù del figlio. Comunque, nel1933 la bozza di accordo con la Socal Americana erapronta. 35.000 sterline in oro, come anticipazioni e pre-stiti per il primo anno e altre 20.000 per il secondo. Infine un bonus di 100.000 sterline alla scoperta delpetrolio. La concessione si estendeva su 800.000 kmq diterritorio arabo. Ibn Saud disse al suo fidato ministrodelle finanze Abdullah Sulemain: «Confida in Allah efirma». Così iniziarono i rapporti fra i sauditi wahabiti egli wasp americani. Ma Roosevelt poco capì dell’impor-tanza dell’evento. Il primo ambasciatore americano inArabia Saudita arrivò solo nel 1939, e la prima legazio-ne fu istituita nel 1942.»Un occhialuto mi chiese ragguagli sulla crisi petrolifera.«Ora» dissi, con quell’aria di supponenza che mi avevarovinato molte amicizie «per chi non è della mia genera-

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(12) Daniel Yergan, Il Premio - L’epica storia della corsa al petrolio, Sperling &Kupfer Editori, 1991.

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zione è difficile capire tutti gli intrecci che stanno dietro lacosiddetta “truffa petrolifera” del 1973. E poi ci vorrebbeun uditorio preparato… comunque, visto che insistete…Correva l’anno di grazia 1973. Anno orribile per l’eco-nomia americana, e quindi per l’economia mondiale. Glistatunitensi stavano perdendo la guerra del Vietnam, mail pericolo maggiore non erano i viet.Era l’oro che per la prima volta nel “secolo Americano”cominciava a scarseggiare. Nel 1969 gli Yankees si eranoaccorti di avere i forzieri vuoti. Eh sì, a Fort Knox nonc’era oro sufficiente per, come dire, “onorare i bigliettiverdi”. Oggi che siete abituati a monete “pezzi di carta”e alle carte di credito di plastica potreste anche dire: «Echi se ne frega?» allora no. La gente pensava che portan-do alla Federal Reserve un mucchietto di dollari in carta-moneta avrebbe avuto in cambio dell’oro. Poi quello chefaceva con l’oro erano cazzi suoi, magari un “cadeau”alla moglie.Altri tempi, d’accordo, oggi anche le puttane le paghi conl’American Express, ma allora, come dire, insomma, ci siteneva a questa storia della parità aurea. E ammettere che si era battuta moneta senza copertura,allora era ancora “unfair”. È qui che gli statunitensi fon-dano il loro Impero: su una bancarotta. Non è il primocaso, non sarà neanche l’ultimo. Ma l’abilità nell’occasio-ne è superba. Non solo si convincono i paesi europei ed ilGiappone a continuare a usare il dollaro come se nullafosse avvenuto (solo De Gaulle protestò un po’) no, si fadi meglio. Si prende una merce denominata storicamentein dollari, il petrolio, e se ne fa crescere a dismisura il prez-zo. A guardarlo ora quel picco che porta da 2 $ a oltre 5 $il barile il prezzo del greggio, fa ancora paura! Qual è il vantaggio immediato della “truffa”? Innanzituttoi paesi industrializzati sono costretti a comprare dollari per

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pagare le importazioni di petrolio. Nonostante la bancarot-ta il dollaro inizia a crescere. Pochi ricordano che con laparità aurea un dollaro valeva 625 lire e la sterlina 1750.Gli americani, svincolati dalla parità aurea, potevanostampare quanti dollari volevano. Questi dollari avrebbe-ro avuto per molti anni l’odore del petrolio. Qualchebuontempone s'inventò il termine petrodollari. Non solo, gli USA sono sempre il terzo produttore mon-diale di petrolio, le loro riserve, anche se in gran partedestinate alla difesa strategica, le conservavano, rivaluta-te. Si dirà; ma come controllare tutti questi “petrodolla-ri” in circolazione? Semplice: gli arabi disponevano diuna sola “piazza finanziaria”: Beirut, la Svizzera delMedioriente, il rifugio di tutti i “peccatori”, il paese deiCedri, da cui proveniva una delle spose di Salomone,lodata anche dall’Ecclesiaste per la sua avvenenza. Nel 1975 scoppia una rissa a Beirut durante un matrimo-nio. I maroniti massacrano di botte dei palestinesi di fron-te a una chiesa. Roba da italietta di provincia, direte,certo, ma una fazione palestinese ritorna sul posto con imitra… e li scarica sulla folla… uccide dei ragazzi cri-stiano-maroniti dell’organizzazione falangista diGemayel che si erano rifugiati in una Chiesa. I maroniti,che non hanno mai avuto un buon carattere, si armano epreparano la vendetta. Cecchini maroniti sparanodall’Holiday Inn, nella zona degli A l b e rghi, i mussulma-ni si organizzano e contrattaccano. Scendono i Drusi dalle montagne dello Chouf. Il Presidente del Libano ordina all’esercito di intervenire.La brigata mussulmana si rifiuta e si schiera con i pale-stinesi. Beirut è in fiamme. A Tal al Zhatar i maronitiprima assediano e poi massacrano i rifugiati palestinesi diun campo profughi. Nei villaggi del Libano del Sud lemilizie sunnite e i palestinesi danno la caccia al cristiano.

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La Siria interviene a favore dei maroniti, (sì miei cari,proprio lui, Assad, il Leone di Damasco, che era un ala-wita, si schiera con i cristiani perché gli fa comodo…).La guerra del Libano è iniziata. Durerà oltre vent’anni. Icapitali arabi volano a Londra, Zurigo, New York. Ma torniamo alla “truffa del petrolio”. Uno degli arteficidella grande beffa fu l’allora ministro Saudita Yamani.Un articolo uscito sull’Observer un paio di anni fa rac-conta la storia vista da Yamani. “Sono sicuro al 100%che gli Americani erano dietro il rialzo del prezzo delpetrolio. Le compagnie petrolifere navigavano in cattiveacque, avevano un mucchio di soldi in debiti e necessita -vano di un alto prezzo del petrolio per salvarsi.” Sempresecondo l’Observer, Yamani fu convinto di questo inte-resse americano da un incontro con lo Shah dell’Iran.Yamani era preoccupato che un incremento dei prezziavrebbe potuto generare pericolose conseguenze perl’OPEC, perché gli avrebbe alienato le simpatie america-ne. Re Faisal gli consigliò di sentire il parere dello Shahdi Persia. “Perché sei contrario all’aumento del prezzodel petrolio”, gli disse lo Shah “Non è proprio quello chevogliono? Chiedi ad Henry Kissinger: è il primo a vole-re alti i prezzi del greggio!”.»Proseguii di fronte a occhi sbarrati dietro gli occhiali. «Non avevo mai dubitato delle caratteristiche di “Suk”del mercato petrolifero internazionale, ma quasi mi bru-ciai il naso con il sigaro, quando lessi le dichiarazioni diYamani all’Observer!Già, perché poi l’articolo proseguiva riferendo cheYamani era sicuro delle sue affermazioni anche perché leaveva ritrovate nelle ‘minute’ di un incontro segreto svol-tosi su un’isola svedese, dove inglesi e americani aveva-no deciso un rialzo del prezzo del greggio del 400%.Avevo già sentito parlare di quell’isola. Si chiama

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Saltsjoeband, c’è una meravigliosa residenza deiWallenmberg, i banchieri. Nel 1973 ci si tenne un incon-tro del Bilderberg Group13.Non ve la raccontano così la storia nelle facoltà di eco-nomia, eh? Neanche nei Master. E allora qualcuno di que-sti benedetti Professori mi spieghi per una volta almeno iprezzi del petrolio con la teoria dell’equilibrio generale.O l’andamento del dollaro con il monetarismo.»Uno studente con capelli lunghi e barba si alzò e disse:«Scusi professore, ma adesso tutti parlano del Petroliodel Caspio. Qualcuno afferma anche che sia la causadella guerra in Afghanistan…Lei che dice?»Sorrisi.«Quella del petrolio del Caspio è una sorta di “leggendapetrolifera” nata nel 199714. Ma nella storia del petroliole leggende sono sempre più vere della realtà. Prima odopo si avverano, ma spesso con alcune piccole differen-ze rispetto alla versione originale. Queste differenzefanno la ricchezza o la povertà di molte nazioni. Dunque,nel 1997 il Dipartimento di Stato Americano fa filtrare lanotizia che ci sarebbero 200 miliardi di barili/giorno diriserve nell’area del Caspio. Il Caspio avrebbe potuto quindi competere con i paesiOPEC. Stiamo attenti alle date però. Proprio nel 1997siamo al culmine del tentativo USA di isolare l’Iran.Immediatamente risuona il “mantra” della “Caspianpolicy”. Oleodotti e gasdotti che dal Sud dell’area del

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(13) Bilderberg. E’ una associazione nata nel 1954, a opera del Principe Bernardodi Olanda, ex ufficiale delle SS. Prende il nome dall’Albergo dove si tenne laprima riunione. Giocò un ruolo importante nella definizione del “Piano Marshall”.Il Principe ne fu presidente fino al 1976, anno in cui dovette dare le dimissioni, inquanto coinvolto nello scandalo Lockeed. Il Bilderberger riunisce annualmentepersonaggi scelti dell’oligarchia finanziaria e industriale Europea in meeting moltoriservati. Henry Kissinger è stato più volte invitato. Per notizie sui vari incontrivedi: www.bilderberg.org un sito estremamente informato su questa encomiabilecongrega di lestofanti. (14) The Middle Est Economic Survey. n. 38, 17 settembre 2001.

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Caspio portano il Petrolio via Turchia! È il sogno di quasi30 anni di politica energetica americana: un petrolio nonOPEC, non mediorientale e neppure russo, che passa aldi fuori dei confini dei paesi OPEC e della Russia.Qualche anno dopo lo scenario è mutato. Il petrolio delCaspio esiste, ma esiste molto più a nord: nelle piattafor-me offshore di Kashagan, nel nord del Kazakhstan.Secondo l’E.I.A., l’Agenzia Governativa Americana perl ’ E n e rgia, solo a Kanshan ci sarebbe un “campo” da 40miliardi di barili. A sfruttare Kanshan attualmente è unconsorzio: l’Offshore Kazakhstan International OperativeCompany (OKIOC). Dentro, dopo una lunga battaglia, è riuscito ad entrareanche l’ENI. La storia del petrolio del Caspio dunquenon è completamente falsa ma è anche molto diversa dacome fu raccontata nel 1997. Il vero problema è cometrasportare il petrolio e il gas Kazacho. Per ora la dire-zione è verso il Mar Nero. Sia l’oleodotto Tengiz-Aktau,che porta 160.000 barili/giorno, sia il nuovissimo Tengiz-Novorossik che nel 2015 raggiungerà la capacità di 1,34milioni di barili/giorno passano per la Russia. Non solo, il petrolio va poi imbarcato sul Mar Nero edeve traversare il Bosforo e i Dardanelli. La Turchia sioppone, si rischia il collasso delle vie commerciali marit-time. A metà degli anni ’90 si affaccia un progetto “inno-vativo”: una pipe line, o meglio due pipe line, che punta-no a Sud, traversano l’Afghanistan e sboccano inPakistan, a Muiltan sul Golfo. Petrolio e Gas non OPEC,non mediorientale che non passa per la Russia. Ecco di nuovo il sogno del 1997! Ma c’è un problema.Nel 1995-96 l’Afghanistan è un paese in piena guerracivile. Le varie fazioni dei Moujhaddin da Al Masud, aDostum, a Rabbani a Hekhmatjar si massacrano allegra-mente fra di loro. I “promoters” del progetto, l’america-

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na Unocal e la Delta Oil Company, di proprietà dellafamiglia Saud, decidono di giocare la carta dei Talebani.Il Pakistan non aspettava altro. Inizia così la “resistibile”ascesa degli “studenti di religione”. Fino a qualche mese prima dell’11 settembre c’era inAmerica una lobby fortissima a favore dei Talebani. Unalobby legata a Unocal. E sapete chi era il capo-lobbysta?»Sguardi interrogativi«Il vecchio Henry, sì proprio lui, Henry Kissinger!»Fortunatamente proprio allora suonò la campanella!

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Henry Kissinger, Nobel per la Pace

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Gli occhi di Tovarich (1)Tovarich aveva gli occhi azzurri. Tovarich non si chiamava così, ma a Kabul tutti lo chia-mavano da sempre con quel nome. Tovarich aveva 15anni. Di una cosa sola era sicuro, non era nato per unatto di amore. Era nato per un atto di guerra di un sol-dato dell’Unione Sovietica contro una ragazzina afgha-na. Tovarich la guerra la conosceva bene, anzi non conosce-va altro. Di sua madre ricordava solo le carezze e unapiccola nenia che gli cantava da bambino. Tovarich eracresciuto presto. Sua madre non era invecchiata. Gli uomini con la barba lunga l’avevano portata allo sta-dio, insieme ad altre. Gli avevano tirato pietre .Sembrava quasi un gioco, finché il Burka di sua madrenon aveva cominciato a cambiare colore. Prima eraazzurro scuro. Poi diventò rosso… infine aveva un colo-re marrone. Quasi si confondeva con la terra. Tovarich siera tappato le orecchie per non sentire le grida. Ma gli occhi non era riuscito a chiuderli. Non li avrebbepiù chiusi. Neanche la notte. Per questo non lo prende-vano. Per questo era ancora vivo. Quella strana insonniache lo teneva sveglio era il suo modo di vivere. La notteera libero e poteva pensare a tutto quello che voleva. Digiorno poteva agire senza pensare. Per questo era piùveloce degli altri. Per questo era più vivo degli altri.Quella sera Tovarich fu il primo ad accorgersi che qual-cosa non andava. Era finita da poco la preghiera delMuezzin “Allah akbar…”. La sera autunnale scendevasu Kabul. Tovarich aveva sentito qualcosa nell’aria chenon doveva esserci. Un attimo prima che scoppiasserole bombe… solo dopo era cominciata la contraerea equelle stelle filanti nel cielo. Il cielo era scuro. Da suscendevano quei grandi oggetti che lasciavano una stri-scia di fumo bianco prima di esplodere.

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Tovarich sapeva come si chiamavano. Cruise. Tovarichconosceva tutti i tipi di armi che esistevano al mondo.Prima o poi le avrebbe usate tutte, pensava. Tovarichadesso sapeva cos’era quella cosa in cielo che non dove-va esserci. Lo chiamavano Stealth. Aveva visto la foto suuna rivista americana a casa del Maggior Generale. Il Maggior Generale non stava più a Kabul da qualcheanno. Ma Tovarich aveva ereditato molti dei suoi ogget-ti. Glieli aveva lasciati il Maggior Generale. Insieme auno strano telefonino. Grossi così non li aveva mai visti.Il Maggiore gli aveva detto di usarlo quando avesseavuto qualcosa di importante da dirgli. Finora Tovarichnon aveva mai chiamato il Maggiore. Il Maggiore siscocciava se qualcuno lo chiamava per dirgli sciocchez-ze. Adesso aveva qualcosa di importante da dirgli.Tovarich era contento.Il satellitare tossì un po’ per trovare la linea. Ma ce lafece. La voce del Maggior Generale arrivava da lontano,ma non troppo. «Hello Sir, dove stai, sono Tovarich.»«Tovarich! Sto a Takeshent, Uzbekistan. Da dove chiamifiglio di puttana, eh?»«Kabul, Sir. Hanno cominciato! Cascano missili un po’dovunque!»«Lo so Tovarich, lo so… non ti far beccare, eh. Io non stotroppo lontano!»«Solo i fessi si fanno beccare Sir, me lo hai insegnato tu.Dimmi, che devo fare?»«Informazioni, Tovarich, informazioni. Come sempre.Dove stanno i capi, cosa pensano di fare, chi è dispostoa parlare con noi, chi è disposto a tradire, ecc, ecc.»«A tradire sono disposti tutti qui.»«Anche tu?»«Sir, io gioco solo per me stesso, come te.»«Ok» rise «Chiudi la linea adesso, la possono intercetta-

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re. Cerca di andare a Nord, verso Mazar i sharif.»«Dove c’è il vecchio maiale?»«Proprio lì, Dostum è il nostro uomo adesso.»«Quello è l’uomo di tutti.» Tovarich sputò per terra.Risate…«Vai su al Nord… ho bisogno di te da quelle parti.Richiamami quando sei arrivato.»«Ok Sir.»«Tovarich…»«Sì, Sir?»«Pensi ancora a tua madre?»«Qualche volta Sir.»«Ok, riguardati… chiudi, ciao!»«Ciao Sir!»

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Ciudad de l’EsteMiglioro. Adesso posso fare anche dei viaggi. Decido diandare a Iguatsù, lì dove il grande fiume Paranà si rompein cascate altissime, in forre e torrenti come la Garg a n t odo Diablo. Siamo al confine fra tre stati, il Brasile,l ’ A rgentina e il Paraguay. E proprio in Paraguay esisteuna città maledetta: Ciudad de l’Este. La Guida Eoutarddice che ci si può comprare “la felicità per cinque dolla-ri”. Mi sembra un buon prezzo. Ne ho bisogno. Supero ilponte che collega il Brasile al Paraguay ed entro in unacittà che è la più incredibile del mondo. Una città che vive di traffici: tutti scrupolosamente dis-onesti. Se si vuole vedere l’aspetto “hard” della globaliz-zazione, Ciudad de L’Este è il posto ideale. Prostituzione,droga, armi, Rolex falsi, la mercanzia è esposta e si trattasolo in dollari. I mercanti sono di tutte le razze, molti libanesi, ma anchegente dell’estremo oriente. Le baracche intervallano vec-chie case di legno di foggia tropicale. E il clima è tropicale. L’umido dell’aria si mischia alleimpalpabili goccioline provenienti dalle cascate. Si navi-ga in queste strade come se si fosse già sotto l’effetto diuna droga potente. E sono appena arrivato. Ragazzine indio invitanti sulle porte, cocaina ancorapurissima che viene dal Perù e dalla Colombia, sigaricubani “veri”. Sto in questo giardino delle delizie, cercando di deciderecosa sia più indicato per la mia convalescenza, il che pur-troppo esclude la coca ma lascia spazio alle ragazzine eai cubani, quando vedo un gruppo di uomini dalla barbalunga e la tipica acconciatura col turbante, che tutti ave-vamo notato nelle interviste a Osama. Mi blocco. Chiedo indiscreto al venditore di sigari chifossero “los turcos”, come in Sudamerica si chiamano

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tutti gli arabi. Come se fosse cosa risaputa mi risponde“al Qaeda”. Capisco, non è il caso di fare più domandecretine. Capisco. Se sono arrivati già qui, e ci sono arri-vati come testimonia l’attentato all’antica Sinagoga diqualche anno fa a Buones Aires, la situazione è assaigrave. Niente da fare. Ricomincia l’incubo. Prendo il pullman che mi riporta indietro, verso l’HotelInternational, lo stesso dove passarono la luna di mieleJohn Lennon e Yoko Ono. Mi ci vorrà una dose doppia dicaipirhinja per riprendermi. Al Continental la fanno deisimpatici ragazzi brasiliani. La sera sto da solo nella sala del restaurant. Un indianoGuaramì suona l’arpa del suo popolo, intervallando anti-che canzoni in Guaramì, una lingua ormai parlata dapochissimi, con successi internazionali. I Guaramì furo-no sterminati dai portoghesi, nonostante la resistenzaorganizzata dai gesuiti a Missiones. Ora ne resta qualchetribù in Paraguay. Religioni. Religione morte, religionivive, guerra fra religioni: islamici a Ciudad de L’Este,guaramì che suonano Imagine.Forse è questa la globalizzazione: una grandiosa guerrafra religioni e culture che attraversa tutto il pianeta…

L’Islam che non c’èEro immerso in riflessioni mistiche. Leggevo “Quando ilsole nascerà a occidente, bianco di accecante bagliore …”Così inizia un’opera esoterica islamica, l’Enciclopedia deifratelli della carità e della Pure z z a, testo introvabile manon per la biblioteca di Sbancor, redatto dalla setta degli“Ikwan-al-Safa” all’epoca del califf a t o.E di questi testi mistici, in cui parla il rinascimento arabo,ce ne sono migliaia non tradotti. Testi da cui si desume una civiltà altissima ma che, tra-gicamente, non esiste più. Questa civiltà finisce intorno

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al 1200-1300, distrutta dalle invasioni mongoliche e dalpredominio dei popoli di etnia turca.

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L’Islam anticoL’Islam antico era, come tutte le religioni, attraversato da eresieprofonde. E come per tutte le religioni sono i testi eretici gli uniciveramente interessanti. Ismaeliti, Drusi, Fatimidi del Cairo,Dervisci. Ai limiti del deserto o nelle oasi il continuo peregrinaredelle tribù bedù incontrava civiltà antichissime, come i nabatei, iseguaci di Sheitan in Iraq, i mandei della piana di Bassora, i sabeidi Harran. Religioni che, a volte, come nel caso degli harraniti, discendeva-no in linea diretta dal paganesimo accadico, su cui sincretismi ereinterpretazioni tarde avevano stratificato elementi diZoroastrismo, neo-platonismo, ebraismo, cristianesimo o addirit-tura le dottrine di Ermete Trimegisto. Inutile cercare l’origine, ogni religione si specchiava nell’altra inun gioco mirabile di equivoci e di comuni visioni esoteriche. Gliantichi dèi sumeri rivivevano in trasfigurazioni più tarde, Abramolottava con Nemrod, Gesù altri non era che il Gayomart, il bam-bino splendente di luce della leggenda zoroastriana. I Magi netestimoniavano l’autenticità. E i “magusens” pullulavano, insiemea teste parlanti tratte da uomini immersi per un anno in olio edestratti di fiori, vi erano pozzi talmente profondi che anche inpieno giorno si potevano contemplare le stelle, e vi era Jabir, l’al-chimista che contestava Democrito, sostenendo che l’atomo pote-va sì scindersi, ma ne sarebbe scaturita una energia tale da distrug-gere una città grande come Baghdad. C’era il Vecchio della Montagna e la sua setta di fumatori di has-hish. Si fumava molto, in quell’epoca, si assumevano sostanzeineffabili che aprivano lo spirito alla “visio smaragdina”. Si stu-diava Matematica e Astronomia ma per meglio costruire affasci-nanti Astrolabi e con questi Oroscopi proibiti. I Decani che vediamo raffigurati nella Cappella Schifanoja diFerrara, e che fecero vacillare la già non stabilissima mente diAby Warburg, erano gli oscuri tramiti fra la magia astrale e lanegromanzia. Da Harran veniva il “Ghayat al hakim”, il più gran-de manuale di magia medioevale, tradotto alla corte di Alfonso elSabio con il titolo di “Picatrix”. Le sue formule e le sue magiefurono l’ossessione della Santa Inquisizione per almeno quattro

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Gli americani che nulla sanno di tutto ciò si sono infilatiin una riprovevole vicenda. Hanno sovvenzionato i gruppi più fanatici e ignoranti,scegliendoli con la cura che mette solitamente l’imbecil-le a preparare la sua rovina. I Wahabiti. Sicuri che iSauditi sarebbero stati loro alleati. Hanno permesso chequesta marmaglia di mullah puzzolenti e misoginiammorbasse il Sudan, la Somalia, l’Algeria, la Cecenia,il Pakistan, l’Afghanistan. Li hanno sostenuti in Bosnia:Itzbegovic responsabile della distruzione di Sarajevoalmeno quanto Milosevic è un fondamentalista. Li hanno

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secoli. In mezzo a questo pullulare di Dei, splendeva ancora pal-lida la luce di Sin, il gran dio maschile della Luna, di origineSumera. Ma accanto, come nella teologia Drusa, si potevano tro-vare Omero, Socrate, Pitagora. Anime reincarnatesi più volte, finché sarebbe giunto il sestoImam, il Mahadi, l’Imam della Salvezza. Allora tutti i tabù religiosi sarebbero stati infranti, compreso l’usodegli alcolici, il sesso fra consanguinei e chi sa quali altre piace-voli perversioni che ci sarebbero state riservate. L’ultima religione, all’ultimo grado di iniziazione sarebbe stata laReligione della Libertà, la Religione dei filosofi. E mentre i “sufi”contemplavano la città santa, di Hurqaila, che non era di questaterra, i più concreti soldati turchi di Saladino provvedevano adecapitarli per manifesta eresia. Questo Islam, l’unico che valga ancor oggi la pena di studiare,non esiste più. L’Islam di oggi è come il cristianesimo dei “cap-pellani militari” durante le guerre europee. Dio è con Noi. “Gottmit uns“. Certo restano divisioni fra Sciiti e Sunniti, fra preti di untipo e preti di un altro. Che Allah, il potente e il misericordioso,possa perderli tutti! Ma l’Islam è finito, così come è finito il cristianesimo diFrancesco o di Gioacchino da Fiore, così come sono finiti i sognimillenaristi di Muntzer o le delicate visioni di Marsilio Ficino,Tommaso Campanella, e il grido chiuso in una mordacchia diferro dell’ultimo grande eresiarca: Giordano Bruno.

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scatenati in Albania con l’UCK e in Macedonia. Hanno invaso pure le Filippine e sicuramente deborde-ranno in Africa. Per anni hanno cercato di convincere ilmondo che il pericolo erano gli sciiti iraniani, che, inquanto sciiti e in quanto non arabi, pochissimo avrebbe-ro potuto fare fuori dal’Iran. E infatti si sono radicati soloin quel crogiuolo di religioni che è il Libano.L’Islam non esiste più. Mi dispiace per i solidali idiotidella nostra sinistra, mi dispiace per i “preti ecumenici”e tutti quei gruppi di avvelenatori delle anime e dellecoscienze che blaterano di Islam tollerante come il cri-stianesimo o l’ebraismo. Appunto, cristianesimo edebraismo non sono affatto tolleranti. Come non lo èl’Islam di oggi, l’unico che esiste.E questo Islam vuole la “Guerra Santa”.Alcuni dei suoi leader, fra cui bin Laden, aspirano adiventare i rappresentanti (per volontà di Allah) dellemoltitudini di poveri e diseredati che popolano il piane-ta. Questo potere li metterà in condizione di puntare allaleadership dei Paesi Arabi ricchi. Chiunque pensi che in tutto ciò vi sia un briciolo diautentica “lotta di liberazione” è o un ignorante o unpazzo scatenato. Per parafrasare Reagan, oggi la lotta èfra l’Impero del Male (gli USA) e l’Impero del Peggio(gli Integralisti). Nessuna mediazione possibile fra noi eloro. Ricordatevi i compagni del Tudeh, il PartitoComunista Iraniano, consegnati alle torture e alle esecu-zioni sommarie dei pasdaran di Komeini sulla base diuna lista gentilmente fornita dalla CIA. Ricordatevi lastessa operazione fatta nel 1953 in Iraq, lo sterminio di200.000 comunisti operato da Saddam Hussein e dal par-tito Bath. Ricordatevi i 500.000 morti comunisti e cinesidell’Indonesia di Suharto.Ma il peggio è il tentativo di accreditare questa religione

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come l’arma teorica dei diseredati, delle moltitudini dipoveri che soffrono sul pianeta. L’esercito che vive conmeno di due dollari al giorno. L’incubo dell’Occidentegrasso e opulento. È un’operazione sottile d’infiltrazio-ne. La sinistra, affascinata dal “diverso”, ci casca. E ilrisultato sarà una catastrofe umanitaria senza precedenti.Altro che “scontro fra civiltà”, altro che “guerra di reli-gione”. Questa è una “lotta di classe” a un tavolo dagioco truccato. Con miliardari sauditi travestiti da CheGuevara, trafficanti di eroina che imbracciano il mitradei rivoluzionari, organizzazioni di schiavisti che si pro-clamano antirazziste. Dio che casino planetario!

I Nazisti dell’IllinoisIncominciai a ridere. Improvvisamente mi ero accorto che non stavo di frontea una tragedia, ma a una farsa. La natura dello spettaco-lo conta molto, nella società dello spettacolo integrale.Cercai di mettere insieme le ultime notizie e i miei dubbiin materia. Conclusi che il quadro che ne usciva era di uncaos mondiale a cui avevano collaborato un numero rile-vante di teste di cazzo.Questo casino ha dei lati cupi e orrendi. Il massacro dicristiani nel Punjab, i bambini sotto le macerie, i mortidelle due torri, sempre rivisti al ribasso. Fossero anche200 comunque resta un massacro.Ma ciò non mi impedì di vedere il lato comico della fac-cenda. Procediamo con ordine. Qualche ignobile testa dimanzo aveva partecipato al gioco dell’aereo sulle torri.Questo idiota è sicuramente un americano. L’idiota avràpensato a un attentato un po’ più grande di OklahomaCity15. 500 morti? Mille? Insomma, una cosa del genere.

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(15) Il 19 aprile 1993, dopo un assedio da parte dell’FBI e altri enti federali dura-to 51 giorni, 76 persone, tra cui molte donne e bambini, bruciarono vive nel rogodella loro residenza.

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Costui fece passare gli islamici. I quali però si sono poifregati quattro aerei. Infedeli e bari. Poi le torri non sisono limitate a un incendio, no, le torri per qualche infer-nale equazione sbagliata nei calcoli di struttura hannoceduto. Il botto a questo punto è stato spaventoso. I testadi cazzo sono andati nel panico. La reazione poteva esse-re solo la “Guerra”. Come nel coro dell’Aida deputati,senatori, presidenti e vicepresidenti hanno intonato il fer-rigno canto: “Guerra! Guerra!”Sin qui tutto bene. Si fa per dire. Manca solo Bellini:“Suoni la tromba intrepida, io pugnerò da forte…” Maper fortuna Bellini non è nel repertorio di Bocelli. Il problema sarebbe incominciato dopo.

A tre settimane dall’inizio del conflittoafgano. E.I.R. Executive Intelligence Revue Anno 10 n. 44, 1 novembre 2001Quella guerra sconclusionataLa guerra in cui Stati Uniti e Inghilterrasi sono impegnati in Afghanistan è entratanella quarta settimana e non c'è niente dicui si possa dire che "procede come stabili-to". Osama bin Laden non è stato preso névivo né morto e il regime talebano non èstato scalzato via. Ma anche se questi obiet-tivi fossero stati raggiunti l'Afghanistanresterebbe la palude politica in cui gli USAsi sono andati a cacciare. L'opinione pub-blica è rimasta un tantino perplessa nel sen-tire l'ammiraglio John Stufflebeem, capo diStato Maggiore della Difesa, che il 25 otto-bre ha sentenziato dal Pentagono che iTalebani: "Si sono dimostrati dei duri a com-battere. Sono alquanto sorpreso dalla pervi-cacia con cui restano aggrappati al potere".Lo stesso giorno il quotidiano USA Today ha

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chiesto al ministro della Difesa se binLaden sarebbe stato preso "vivo o morto".Donald Rumsfeld ha risposto: "Ebbene, sitratta di una cosa davvero difficile. Ilmondo è grande e vi sono tanti paesi. Luiha tanti soldi e tanta gente lo sostiene enon so se ci riusciremo... Sono convinto chese anche lui non ci fosse più già domani,il problema resterebbe lo stesso", datal'ampiezza della sua rete. Gli hanno chie-sto se creda che dopo tre settimane di bom-bardamenti i talebani saranno estromessi.Rumsfeld ha risposto: "Sono già diverse set -timane? Davvero così tanto? Tre settimane,ma che diamine, sono davvero sorpreso.Pensavo 10 o 12 giorni, ma sono già tre set -timane. Sì, credo che vi sarà un Afghanistanpost Talebano. È più facile che scovare unapersona sola." Il giorno dopo Rumsfeld hacercato di relativizzare: "Di tanto in tantoho difficoltà ad esprimermi con chiarezza" .

Siamo all’afasia, alla paralisi dell’epiglottide, alla cata-strofe semantica! Dunque gli anglo-americani arrivano,pieni di buona volontà. Incominciano a bombardare coni Cruise. Primi due giorni, cifre ufficiali: costo: 2 milioni di dollari a missile;lanciati: 200 missili;uccisi: 35 afghani; costo unitario: 12,5 milioni di dollari ad afgano!Chissà, con 12 milioni di dollari quell’afgano avrebberovesciato almeno quindici regimi, venduto sua madre aun ruffiano di Las Vegas e scolato due casse diBudweiser! Ma si sa, i militari con i conti non eccellono.Seguono altre astutissime operazione militari supercom-mentate e illustrate da cartine multicolori. Risultato:

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quattro depositi della Croce Rossa centrati su cinque chece n’erano. Va bene i cosiddetti danni collaterali ma quiè il calcolo probabilistico che non torna. 4 su 5 fa pensa-re che l’unico errore sia stato quello di non centrareanche il quinto!Prosegue la farsa. Come in quelle commedie delD’Origlia - Palmi, (famoso teatrino di Roma degli anni’60 dove la rappresentazione, per lo più sacra, non si fer-mava neanche di fronte al crollo della scenografia, chepuntualmente insidiava lo spettacolo).Ecco l’eroe afgano lanciato in territorio nemico per sca-tenare la rivoluzione. Si chiama Abdul Haq. Gli mancaun piede. Ahimé, anche Garibaldi zoppicava! Il disgra-ziato viene individuato dai barbuti talebani dopo qualcheora che è in Afghanistan, catturato e ucciso. Nonostantel’intervento di inutilmente costosi elicotteri!Probabilmente tradito dall’ISI, il Servizio segreto paki-stano, come si suol dire, intimo, alla dirigenza talebana.Pare che lo Zoppo fosse anche un notevole trafficante didroga. Allah abbia pietà di lui.Il casino a questo punto è totale. Quelli del Nord, fra cuiquel seminarista di Dostum, non possono avanzare,primo perché non ne sono capaci, secondo perché appar-tengono a una minoranza etnica e al di fuori dei loro con-fini tribali farebbero solo casino.I bombardamenti si intensificano. E ammazzano unapovera ragazza in un villaggio dell’Alleanza del Nord!Cialtroni.Nel frattempo si scopre via via che i responsabili delladiffusione dell’antrace negli USA probabilmente sono i“ragazzi delle Milizie”. Come diceva il povero JohnBelushi: «Odio i nazisti dell’Illinois!»

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La Storia di Ted (2)Ted era disteso sul letto, il respiro lento e preoccupato deivecchi. Il respiro di chi sa che non ha molto tempo perrespirare davanti a sé.E assaporava ogni respiro, come una sorsata di whiskey.La mente si rilassava nel passato. Era giovane quandodirigeva la stazione CIA di Miami. Dio se era giovane. Esapeva anche il suo mestiere. I cubani lo avevano capitoa loro spese. Era divertente organizzare i raid sull’isola eportare indietro un po’ di scalpi di quei maledetti “rossi”. Il braccio di mare che separava la Florida da Cuba erabello. Tutto era bello a trent’anni. E lui era una giovanepromessa per quelli di Langley. Con quell’aria un po’ a l l aMichael Caine nella “Pratica Ipcress”. E quel sorriso geli-do. La “squadra” era nata allora con Felipe Rodriguez eChi Chi Quintero. Ora gli sembrava di leggere un rapporto.Un agente CIA e un gruppo di esuli cubani, in gran partedelinquenti comuni, si erano spostati, nel 1965, da Miami(Florida) nella jungla del Laos. Erano Theodor Shackley,ex capostazione CIA a Miami, che si guadagnerà il nomedi “Fantasma Biondo”, Felix Rodriguez, Josè Pasada eChi Chi Quintero. Nel Laos era in corso una “guerra sporca”. Ufficialmentegli americani non c’erano, in realtà c’erano le “ForzeSpeciali”. Elicotteri “Cobra” e aerei per inondare dinapalm il sentiero di Ho chi minh e la Piana delle Giare.Dall’altra parte c’era il Patet-Lao e truppe vietminh,anch’esse in incognito. La guerra si fece nella jungla, inmezzo a popolazioni semi-primitive: i Hmong che i viet-namiti chiamano con disprezzo “meo”: selvaggi. IHmong vennero guidati da alcuni “Signori della Guerra”che avevano come principale occupazione economica lepiantagioni di oppio e la raffinazione dell’eroina.

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Shackley capì subito la situazione. Incontrò Vang Pao, untrafficante di droga, capo dei Hmong. Gli promise che i campi dei suoi concorrenti sarebberostati bombardati. Vang Pao sarebbe stato il più grandetrafficante di eroina del sud est asiatico. Shackley gli pro-mise anche di farlo incontrare con la “Cosa Nostra”.Impegno mantenuto nel 1968: Vang Pao incontrò SamTraficante jr. a Saigon.Intanto gli uomini di Ted Shackley erano al lavoro. Lasquadra era così formata: Ted al comando, Tom Clinessecondo, un giovane maggiore dell’aeronautica RichardSecord a pianificare i voli. Il Gen. John Singlaub a orga-nizzare l’armata degli assassini.Ci volle poco a fare di Vang Pao il Signore dell’Eroina.Gli aerei, dopo aver spianato le piantagioni dei suoinemici, iniziarono a trasportare l’eroina fuori dalVietnam. E qui ci fu il vero colpo di genio. I soldi inco-minciarono a essere così tanti da poter giocare in proprio.Venne fondata una compagnia aerea “Air America”, chesostituì gli aerei prestati dal vecchio miliardario pazzoHoward Hughes. Il motto della compagnia era “We FlyRight”. Commovente. I soldi transitavano per una banca australiana: “TheNugun Hand Bank”. I soldi servivano a finanziare la piùgrande “operazione coperta” della CIA: l’Operazione“Phoenix”. “Phoenix” voleva combattere i Viet senza lepastoie burocratiche dell’esercito. Arresti di civili, tortu-re, esecuzioni. Si stima che circa 35.000 non combattenti siano passatinelle “fattorie” gestite da “Phoenix”. E da lì spariti nel nulla. Nell’ “Operazione Phoenix” si distinse un giovane uffi-ciale della marina: Richard Armitage. Ma come tutte lecose belle anche “Phoenix” finì. Nel 1972 la caduta di

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Saigon era prossima. I ragazzi smantellarono velocemen-te. I Signori della Droga restarono a presidiare i campi. I“Hmong” erano stati quasi tutti sterminati dai Vi e t c o n g .

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Il Tramonto dell’OccidenteDi nuovo in cattedra. Questa volta era una conferenza in unCentro sociale abbastanza sfigato. Da vero sadico, avevo scelto un titolo che mi sembrava indicatoall’occasione: “Il Tramonto dell’Occidente in Oswald Spengler ela teoria dell’imperialismo”. Traditi dalla seconda parte del tito-lo gli organizzatori, tutti marxisti-leninisti, avevano accettato,chiedendosi chi cazzo fosse Spengler. Nella sala, al freddo, imba-cuccato in un cappotto sedeva anche Parvus che mi guardavaa c c i g l i a t o .«Ricordo» dissi «che all’Università ebbi per le mani un testo diLukacs particolarmente voluminoso: La Distruzione dellaRagione.Inserito in un esame di Filosofia Teoretica, forse in omaggio aquell’hegelo-marxismo che nei primissimi anni ’70 disputavaprovincialmente fra l’essere il marxismo una scienza o meno, iltesto più lo leggevo più mi lasciava perplesso. Del filosofo unghe-rese, avevo già letto L’Anima e le Forme e Storia e coscienza diclasse. Al loro confronto la Distruzione sembrava un manualesusloviano: con puntualità stalino-gesuitica censiva gli autori col-pevoli di irrazionalismo. Nietzsche, Simmel, Spengler. Fra glialtri. Formatomi in solido ambiente razionalista e volterriano, equindi in grado di riconoscere in Nietzsche un “iperrazionalista”,piuttosto che un irrazionalista, mi rimase però sempre un dubbio:e se Lukacs avesse operato come un “nicodemista” del tardo‘500? Se avesse “criticato per poter parlare di autori vietati dal-l’ortodossia”?Se avesse voluto che leggessimo Nietzsche, Spengler, Simmel etutti gli altri?Il sospetto mi rimase a lungo. Poi non ci pensai più. Distratto daaltre teorie, dai movimenti degli anni ’70, dalla vita quotidiana.Finché nei primi mesi del 2000, bighellonando in una libreria, vidiuna traduzione de Il Tramonto dell’Occidente di OswaldSpengler. Sentii improvvisa l’emozione per un testo “proibito” einsieme i ricordi frammentari di antichi discussioni su “Kultur eCivilisation”. Non resistetti e lo comprai.

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Afferrai il voluminoso testo e minacciosamente lo aprii. Incipit. “In questo libro viene tentata per la prima volta una pro -gnosi della storia. Ci si è proposti di predire il destino di unaciviltà, e, propriamente, dell’unica civiltà che oggi stia realizzan -dosi sul nostro pianeta, la civiltà euro-occidentale e americananei suoi stadi futuri...” Guardate la copertina» mostrandola agliattoniti ascoltatori «una fronte ampia, un naso dritto, occhi cor-rucciati, folte sopracciglia, però curate. Si intravede un collettorigido ed una “white tie” da frac.» Lessi la data della prima edi-zione: 1923. «A quell’epoca in Germania era in corso l’Azione di Marzo.Ultimo serio e disperato tentativo dei comunisti di sinistra, quellibollati come estremisti da Lenin, per intenderci, di instaurare laRepubblica dei Consigli Operai in Germania. Le bande di disoccupati di Max Holtz attraversano la Germanialasciando una striscia di sangue e di fuoco. Rosa Luxemburg eKarl Liebenicht erano già stati assassinati dai Ferikorps, chiamatidal socialdemocratico Noske quasi quattro anni prima a Berlino. A Berlino Dada tedeschi e comunisti di sinistra scrivevano, con illoro sangue, alcune delle pagine più intense della storia del XXsecolo.Basta dare un’occhiata a Spengler per capire invece da quale partestesse. Eppure lui nel ‘23 dava già per scontata la vittoria dellaciviltà euro-americana: New York e Berlino saranno le città cheillumineranno il mondo. Sarà stato di destra. Però….»Parvus scosse nervosamente la testa…Ricomiciai a leggere: «La storia mondiale è l’immagine delmondo nostra, non quella dell’umanità in genere. Frase secca eben dotata di senso. Rottura con ogni “storicismo”, assunzioneche la storia è la storia del soggetto che la racconta. La storia deivincitori, assolutamente moderna, come teoria e colta. C’èSchopenhauer, c’è Nietzsche, ma c’è anche qualcosa di piùmoderno, che ha a che fare con le rivoluzione della fisica e dellamatematica degli anni 20-30.Continua parlando della storia come “acquisizione spirituale nonverificata” e sembra di sentire l’eco della logica del Circolo diVienna, o addirittura di ascoltare la musica atonale di Schonberg.» Gli uditori barcollarono, Parvus sembrò invece più interessato.

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«Ma ecco» dissi alzando stentorea la voce e rischiando di sve-gliare un comunista ottuagenario appisolato nell’ultima fila «Eccoimprovvisa l’illuminazione di un non illuminista: La storia è lamenzogna di una società la cui civilizzazione ha prevalso sullealtre.“Che alla civiltà occidentale l’esistenza di Atene, Firenze o Parigiabbia importato più di quella di Lo-Yang o Pataliputra lo si capi -sce da sé. Ma è lecito fare di questi giudizi di valore la base di unoschema di storia mondiale? Allora lo storico cinese avrebbe tuttoi diritto di tracciare una sua storia mondiale nel quale le Crociatee la rinascenza, Cesare e Federico il Grande siano passati sottosilenzio come dettagli irrilevanti.” (…)“E i complessi possenti costituiti dalla civiltà indù e da quellacinese non sono stati forse confinati per puro imbarazzo in qual -che nota a pie’ di pagina, e le grandi civiltà americane non sonostate addirittura ignorate col pretesto del loro essere ‘prive direlazioni’: prive di relazioni con che cosa?”Frasi piene di buon senso apparentemente innocue, ma al lorointerno si nasconde un dispositivo teorico micidiale.Appare chiaro dopo poche righe: “…nei confronti della storia del -l’umanità superiore, per quel che concerne il corso del futuro domi -na un ottimismo sfrenato, incurante di ogni dato dell’esperienza, siastorica che organica, per cui ognuno ritiene di poter individuarenella contingenza dell’oggi gli ‘inizi’ di una qualche ‘ulteriore evo -l u z i o n e ’ l i n e a re e meravigliosa, non perché essa sia provata scien -tificamente, ma solo perché corrisponde a ciò che si desidera”. Ed ecco l’assolo: “Ma l’umanità non ha alcun scopo, alcuna idea,alcun piano, così come non lo ha la specie delle farfalle o quelladelle orchidee. ‘Umanità’ è o un concetto zoologico o un vuotonome.”Potrebbe essere una caduta nel nichilismo così caro al pensiero sulmondo dopo Nietzsche. O c’è qualcosa di più “pericoloso”? Schematizzando le pagineprecedenti, in esse sostanzialmente si dice che:a) La civiltà così come la conosciamo è solo “una” civiltà. Lanostra. Esistono o sono esistite civiltà “altre” che pochissimohanno interagito con la nostra. Eventi mirabili, imperi gigante-schi, intere culture ridotte a un paragrafo di un libro di storia chededica invece dieci pagine a Federico II. Chissà quanti no-globalsottoscriverebbero questa prima tesi!

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b) Se non esiste “una civiltà” non esiste neppure una “Storia dellaCiviltà”.c) Tantomeno si può dunque parlare di evoluzione dell’umanità.d) L’umanità non esiste.A questo punto il pensiero potrebbe ritrarsi verso il “nulla” con-templando l’assenza o il disfacimento delle idee guida della“civiltà” moderna. Ma Spengler è un tedesco di razza, non unindù. Al posto del nulla, come nelle Tentazioni di S. Antonio diFlaubert ecco apparire il molteplice: il formicolare di vita, civiltàculture che si affrontano combattono muoiono in un caleidosco-pio di colori, razze, fedi. “…Civiltà, organismi viventi d’ordinesuperiore, crescono in una magnifica assenza di fini, come i fioridei campi”. La vita come pullulare di forme che si intrecciano, si combattonoe scompaiono senza alcuna giustificazione.Attenzione: questo è un pensiero pericoloso. Non che sia nocivo insé, tutt’altro, ma richiede un saldo autocontrollo. È come il pantei-smo. Può produrre le ineffabili geometrie di Spinoza o gli incubidi Brugel. Al suo limite estremo può produrre esiti sconcertanti,degenerazioni cognitive, visioni allarmanti. Si può finire a con-templare i vermi che si intrecciano su un pezzo di carne putrefattae dire che questa è vita! Qualcuno può addirittura porsi comeobiettivo quello di recuperare carne per i vermi. E questa è guerra!Si sono abbandonate le “idee universali”, si è ridotto Platone ad un“elleno”. Tutto si relativizza rispetto alla particolare “forma di vita”che attrae la nostra attenzione, che stimola i nostri sensi eccitati. Non so se Spengler abbia mai provato l’acido lisergico o la psi-cobilicina. Ma sono sicuro che non ne aveva bisogno: lui vedevagià nella luce dell’allucinazione paranoica, senza bisogno disostanze.Quando si arriva a questo stadio si entra in una morale “faustia-na” in cui la distinzione fra bene e male è relativa solo alla “par-ticolare forma di vita” che si sta provando in quel momento. Si ègiustificazionisti, culturalmente parlando. Si può apprezzare lanudità dell’aborigeno, fa parte della sua cultura e della sua civil-tà, ma si può apprezzare anche il “burka” che fa parte di un’altracultura e di un’altra civiltà. E passi finché si tratti di scelte individuali. Ma la cultura e la civil-tà possono imporre le proprie culture ad altri. Sicuramente ai mem-bri della propria comunità. E così si può giustificare l’infibulazio-ne o peggio.

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Alcune culture sono “naturalmente” predatorie. I Gentiluominidegli Stati del Sud degli Stati Uniti necessitavano di schiavi permantenere la “propria cultura”, imperniata sulla produzione delcotone. Le tribù nomadi del Sahara considerano il furto, l’abigeatoo la riduzione in schiavitù dei negri elementi fondamentali dellaloro “cultura”. Senza di ciò scompaiono.Ma torniamo a Spengler: “Così considerato il tramontodell’Occidente significa nulla di meno che il problema stesso dellacivilizzazione. Qui si pone una delle questioni fondamentali di ognistoria superiore. Che cos’è la civilizzazione intesa come conse -guenza logica e organica come compimento e sbocco di una datac i v i l t à ?… La civilizzazione è l’inevitabile destino di ogni civiltà.Il trapasso dallo stadio di civiltà a quello di civilizzazione si ècompiuto nel quarto secolo nel mondo antico, nel diciannovesimosecolo in quello moderno occidentale. (…) Invece di un mondouna città, un unico punto in cui si raccoglie l’intera vita di vasteregioni, mentre il resto isterilisce; invece di un popolo formato,legato alla sua terra, un nuovo nomade, un parassita, l’abitantedelle grandi città, il puro uomo pratico senza tradizione, ripresoin una massa informe e fluttuante, l’uomo irreligioso, intelligen -te, infecondo (…) rappresenta un passo gigantesco verso l’anor -ganico, verso la fine.”La città e i suoi abitanti parassiti, ma intelligenti…l’uomo anor-ganico. Sembra un incubo da fantascienza. Ma non era quella città di “irreligiosi” l’obiettivo della Jihad? C h ein Spengler vi sia più saggezza di quanta normalmente gli si attri-b u i s c a ?Ma eccolo di nuovo tedesco ed implacabile:“Imperialismo è pura civiltà. Ora proprio tale forma è l’inelutta -bile destino dell’Occidente. Nell’uomo di una civiltà la forza èrivolta all’interno, in quello di una civilizzazione è rivolta all’e -sterno. Perciò in Cecil Rhodes io vedo il primo uomo di unanuova era.”Cecil Rhodes, proprio lui! Già, perché Cecil Rhodes, il fondatoredel South Africa, della Rhodesia, lo scopritore di miniere di dia-manti, gli attuali De Beers, è la base di tutti i miti anglofili. Unaspecie di King Arthur rinato. È straordinario che sia l’ideale diSpengler. Spengler, uno che non si ritrasse neppure dal dubbiogusto di esporre la bandiera nazista al passaggio di Hitler. Rhodesera un imperialista, ma di un imperialismo che Lenin non sarebbemai riuscito a capire.

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Per Rhodes l’imperialismo è certo una visione politica ed econo-mica, ma è soprattutto un “common sentiment” che accomuna l’u-manità anglofona. L’Impero sognato da Sir Cecil-Rhodes è lariunificazione di tutte le popolazioni anglofone in un NuovoOrdine Mondiale. Americani, Inglesi, Australiani, Canadesi,Neozelandesi. Insomma le nazioni che attualmente fanno parte di“Echelon”. Non è un caso» soggiunsi sarcastico «che le borse distudio della “Rhodesian Foundation” siano riservate a studentianglofoni. La vinse pure Bill Clinton, ma si dice solo dopo averincontrato la Signora Harriman, a cui fu presentato da CarollQuigly, il grande storico, autore di Tragedy and Hope.Bene, bene, bene… dopo tanto parlare di “Civilisation” siamoarrivati alla più nobile massoneria anglo-americana: la massone-ria del denaro. Che Dio ci aiuti. Già perché Rhodes non è che l’al-tra faccia di Kurtz, l’indimenticabile protagonista di Cuore diTenebra di Joseph Conrad. Anche Kurt aveva delle idee… deiprogetti. Era animato da una visione, come Rhodes. La visione diRhodes era l’impero anglofono. L’ultima visione di Kurtz ful’Orrore.Ma qual è questa massoneria anglo-americana d’ispirazioneRhodesiana?Di questa massoneria abbiamo una sola vera traccia. Quigly scri-ve: “Esiste ed è esistito per generazioni un internationalAnglophile network... sono a conoscenza di questo network perc h élo ho studiato per vent’anni e per due anni nei primi anni sessan -ta mi è stato concesso di esaminare le sue carte, i suoi incart a -menti segreti... ma la mia principale differenza di opinione è cheesso desidera re s t a re sconosciuto, mentre io credo che il suo ru o l onella storia sia stato tale da dover essere conosciuto.”1 6

Se provate a digitare su un motore di ricerca Internet “New WorldOrder”, o le sigle che di volta in volta hanno interpretato questo“anglophile network” (“Round Table”, “Council On ForeignRelations”, “Royal Institute for Foreign Affaire”, “Trilateral”,“Bilderberg Group”) verrete aggrediti da migliaia di siti chedescrivono tutte le nefandezze del mondo e le congiure più segre-te. In gran parte sono siti delle Milizie e della Destra Americana.Troverete anche qualcosa di interessante. Ma l’essenziale sta nellascarna citazione di Quigley:

(16) Trad. it. in G. Alvi, Lo strano caso del Professor Quingley, S u r p l u s, n. 6, 2000.

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Dentro la rete del TerroreDi nuovo a casa, alla scrivania. Strinsi nervosamente ilsigaro fra i denti. Ripetei: “Non è possibile cazzo, questosta diventando un giallo di Agatha Christie.”Strinsi fra le mani una copia del Corriere della Sera del3 novembre. C’era la curiosa dichiarazione di bin Ladencontro l’Italia, citata prima di Gran Bretagna e Francia.Guardai il TG del giorno dopo, si parlava dei “mille” sol-dati italiani che sarebbero dovuti andare in Afghanistan.bin Laden aveva commentato ad Al Jazeerah la notiziadell’invio degli italiani un giorno prima. Almeno un gior-no prima, visto che la cassetta recapitata all’emittente delQatar era preregistrata.Qualcosa qui non funzionava.Qualche giorno prima Le Figaro aveva scritto un lungoarticolo su un misterioso incontro fra bin Laden e il capostazione CIA dell’Emirato a Dubai. Si sarebbe parlatoanche di attentati. Stesso giorno il Guardian rispondevasottolineando chi è il “proprietario” di Le Figaro: il grup-po Carlyle, che con bin Laden e i sauditi ha sempre avutorapporti, e il cui presidente è James Baker III. Messaggitrasversali, mafiosi. La stampa internazionale parlava con linguaggio propriodel Giornale di Sicilia. Dio santo, eccoci proprio inmezzo a una guerra di gangsters!

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1. Esiste ed è esistito per generazioni…2. Desidera restare sconosciuto…3. Io credo che il suo ruolo nella storia sia stato tale da doveressere conosciuto.Il dibattito è aperto.» Conclusi, poi, nell’incredulità generale.Mi alzai riposi il volume, indossai l’impermeabile e dissi a Parvus:«Su, vecchio mio, lasciamoli discutere, ne avranno per un belpezzo, noi andiamo a bere qualcosa, che qui fa un freddo!» Ce neandammo sottobraccio, inseguiti da sguardi stralunati.

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Il quadro andava acquisendo una sua nitidezza. Ma anco-ra era troppo debole per diventare una tesi politica. Il ter-reno era minato, pieno di trappole. Occorreva procederecon cautela. Ricontrollare tutte le informazioni, evitare lefalse piste, non cadere nella “disinformatia”. Io ho impa-rato l’arte della filologia leggendo Nietzsche. Ho lettoquasi tutti i grandi romanzi “noir” da Edgar Allan Poe aJames Ellroy. Io lavoro nell’ “intelligence” di una banca.E vi dico: eravamo arrivati al punto di sederci intorno aun tavolo e riepilogare prove e indizi. Questa volta si aveva a che fare con dei professionistiveri. I migliori sul mercato da cinquant’anni. Quelli cheda cinquant’anni hanno inquinato la storia mondiale,prendendola a calci nelle palle ogni volta che si allonta-nava dal binario prestabilito. La sfida mi eccitava. Masapevo che questa è la prima trappola: la presunzioneintellettuale. Quasi tutti i miei migliori compagni, nell’e-ra della “rivoluzione italiana” negli anni ’70, ci caddero. Uno dei miei pochi maestri, recentemente scomparso, e dicui sento ancora dolorosa l’assenza, mi ripeteva spessoche questo è il peccato maggiore, quello che danna gli“eroi greci”. Il peccato di “Hybris”. La smisuratezza nellaconoscenza, la non conoscenza del limite. Quanti giovanieroi del ’77 finirono in prigione o peggio ammazzaticome cani per la strada solo perché pensavano di potergovernare il “terrorismo” con l’intelligenza? Non c’eradubbio, la loro “intelligenza” e la loro “cultura” eranoassolutamente superiori a quella del “Geometra Moretti”. Improvvisamente ebbi un altro “flash”…La morte di Moro, come un mio amico, divenuto giorna-lista del F o g l i o, me l’aveva raccontata pochi giorni prima:“…Una beffa della storia, Moretti vinse, ma al momentostesso della sua vittoria fu sconfitto da una crisi di pani -co. Con una pistola in mano balbettava incoerente di fro n -

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te al suo “Nemico”. Incapace di finire Moro, quell’AldoM o ro che l’aveva già sconfitto negli interrogatori, quelpolitico di vecchia razza che lui non riusciva a capire enon avrebbe mai capito. E il lavoro sporco, l’ultima sca -rica nel corpo fragile di Aldo Moro dovette spararla un“ b o rg a t a ro”, Germano Massari. Uno che aveva votato“ c o n t ro” l’uccisione di Moro. Uno che aveva le pallepiene delle Direzioni Strategiche e dei capetti politici.Uno a cui il giorno dopo tutti i capelli divennero bianchi.Uno però che non si tirava indietro neanche di fronte aglie rrori. Quella raffica non uccise solo Moro. Uccise anchele B.R. e qualsiasi altra idiozia armata. Chiuse un’epoca.E distrusse anche la vita di Germano.”Hybris. Il peccato di Icaro. Evitiamo l’Hybris. Che lasola sapienza è il sapere di non sapere (Socrate) quel nonsapere che mette a nudo (Bataille). Poi feci un po’ d’ordine sulla scrivania ingombra di carte,ritagli di giornali e agenzie e cominciai a mettere ordinefra le prove. Selezionai solo quelle che avevano confer-ma su organi di stampa.

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Maggio 2001. Richard Armitage fa un lungoviaggio in India. Contemporaneamente GeorgeTenet, il capo della CIA, è in Pakistan.Cosa voleva dire? I due si controllavano a distanza?Facevano parte dello stesso gruppo? No, non credo. Bush voleva far fuori Tenet, sospettato di essere un uomodi Clinton. Armitage era un amico di vecchia data, uno diPhoenix e Iran Contras. Era il capo segreto dell’opera-zione “droga in Afghanistan”, probabilmente. Eppureviaggiavano nello stesso periodo su due frontiere diver-se, ma molto vicine17.Giugno 2001. Allarme terrorismo. La BNDtedesca avverte la CIA di un possibiledirottamento. L’aereo verrebbe usato come unarma contro importanti simboli americani e/oi s r a e l i a n i1 8. Luglio 2001. Tre funzionari americani(TomSimmons, ex ambasciatore in Pakistan, KarlInderfuth, ex Assistente Segretario di Statoper il Sud Asia, e Lee Coldren, ex espertodel Dipartimento di Stato per il Sud Asia)incontrano una rappresentanza di Taliban aBerlino. Gli annunciano che gli Usa stannopianificando un attacco all’Afghanistan perottobre. Sono presenti agenti russi e tede-schi che confermano la minaccia1 9.Estate 2001. Diverse notizie di esercitazio-ni congiunte fra americani, tagiki, uzbeki ek h i r g h i s i2 0. Estate 2001. Secondo fonti indiane il capodell’ISI (servizio segreto pakistano) fa tra-sferire 100.000 dollari a Mohammed Atta,quello che fino ad oggi è considerato il lea-

(17) The Indian, SAPRA, 22 maggio. (18) Frankfurter Allgemeine Zeitung, 14 settembre.(19) The Guardian, 22 settembre, BBC, 18 Settembre. (20) The Guardian, 26 settembre.

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der del commando suicida dell’11 settembre2 1.4/14 Luglio 2001. bin Laden riceve curenell’”American Hospital” di Dubai. Si incon-tra con un esponente della CIA. Il nome èLarry Mitchell2 2. Agosto 2001. L’FBI arresta un militante isla-mico a Boston. Fonti dell’intelligence fran-cese confermano che è un uomo di bin Laden.L’FBI scopre che l’uomo ha seguito lezionidi volo e che è in possesso di manuali diguida della Boeing2 3. Agosto 2001. Dopo ripetuti avvertimenti daparte dei servizi russi alla CIA, Putinordina di avvertire il governo statunitense“in the stronger possibile terms” di possi-bili attentati ad aeroporti e fabbricatig o v e r n a t i v i2 4. 1/10 Settembre 2001. 25.000 soldati britan-nici e una flotta superiore a quella cheintervenì alle Falkland si posizionano nelGolfo, in Oman, per l’operazione “EssentialHarvest”. Nello stesso tempo 17.000 soldatiamericani e 23.000 soldati Nato sono inEgitto per l’operazione “Bright Star”. Duegruppi navali da battaglia USA si posizio-nano di fronte alle coste pakistane. Tuttiquesti movimenti di truppe sono anterioriall’11 settembre!4 Settembre 2001. Arriva negli USA ilGenerale Mahamoud Ahmad, capo dei ServiziSegreti Pakistani.9 Settembre 2001. Il comandante Masud vieneassassinato da due “giornalisti” algerini.Comunicato dell’Alleanza del Nord sulla

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(21) The Times of India, 11 ottobre.(22) Le Figaro, 31 Ottobre, E.I.R. 2 novembre.(23) Reuters, 11 settembre.(24) MS-NBC, Intervista a Putin, 15 settembre.

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morte di Masud: “Noi crediamo che sia statoun triangolo fra Osama bin Laden, ISI, cheè l’intelligence dell’esercito pakistano, eT a l e b a n i . ”2 5

11 Settembre 2001. Fino alle 9.30 (ora diN.Y), circa 75 minuti dal primo allarme, nondecolla nessun caccia statunitense.

Riepilogandoa) Gli USA erano verosimilmente informati dell’attacco,anche se la data non era chiara. Nessuna misura d’emer-genza scattò agli aeroporti.b) Gli USA minacciavano un attacco all’Afghanistan perOttobre e qualche solerte funzionario aveva informatoOsama bin Laden.c) La CIA aveva avuto rapporti “informali” con binLaden almeno fino a luglio 2001.d) Uno dei principali “sponsor” di bin Laden, il capodell’ISI, era negli USA durante l’attentato. Di lui sisospettano rapporti con il leader del “commando suici-da”. Indicato dall’alleanza del Nord come un vertice del“triangolo” responsabile della morte di Masud. e) I caccia americani si alzarono in volo 75 minuti dopol’allarme!f) C’è stato un buco nella difesa. Un buco abbastanzagrande da far passare quattro aerei!g) Domanda n.1: il Presidente ne era informato? Presu-mibilmente no.h) Domanda n. 2: Qualcuno dell’entourage del Presiden-te era informato? Presumibilmente sì.i) Domanda n 3: Quando il Presidente capì (se mai quel-la testa di manzo capisce qualcosa) perché non reagì?Presumibilmente perché ebbe paura, non gli conveniva,

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(25) Il comunicato dell’Alleanza del Nord viene trasmesso dalla Reuters il 15 set-tembre 2001.

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meglio stare al gioco.j) Domanda da un milione di dollari: chi comanda ilPresidente degli Stati Uniti d’America?

Ripresi fiato. Pallido. La testa mi girava. Neanche ioriuscivo a credere a quello che le notizie sommate insie-me sembravano dire. Era troppo. Anche per Sbancor.Guardai le ultime agenzie per rilassarmi:

ATTACCO USA: GIALLO SU MORTE PRESUNTA SPIAAMERICANA = (AGI/EFE) - Islamabad, 5 nov. Un alone di mistero continua a circondare lavicenda del presunto agente segreto america-no catturato dai talebani e deceduto in uncarcere afghano.Gli integralisti afghani hanno assicuratoche l'uomo, conosciuto come maggiore JohnBolton o Mazhar Ayyub, non e' stato tortu-rato ed e' morto di malattia. Secondo leinformazioni riportate dai giornalisti paki-stani, il presunto agente della Cia avrebbepartecipato alla guerra in Vietnam e in pas-sato avrebbe lavorato per la CNN. La suacattura sarebbe avvenuta a Spin Boldak, uncentinaio di chilometri a sud di Kandahar,nell'Afghanistan meridionale. I talebani,che hanno espresso l'intenzione di consegna-re la salma al Comitato Internazionale dellaCroce Rossa, ne hanno attribuito la morte aproblemi epatici e polmonari, e al fatto chel'uomo non era abituato al cibo afghano. Neigiorni scorsi l'ambasciata dei talebani aIslamabad ha dato notizia della cattura dialtri tre presunti agenti segreti statuni-tensi in Afghanistan. (AGI)

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La Storia di Ted (3) Ted si accese una Pall Mall senza filtro. Anche se il medi-co glielo aveva proibito. “Povero Bolton” disse “È morto come un mercenario!”Già ma non erano tutti mercenari ormai? “Che Dio male-dica quel frocio di Carter” disse Ted fra sé e sé. La storiariprese a scorrere come un film. La sua mente non pote-va produrre più idee. Solo ricordi.1973. Ted, dopo qualche tempo passato in Europa,impiegato peraltro utilmente nel recuperare fondi per il“Golpe Cileno”, andò in Iran e lavorò insieme a RichardHelms. Helms, membro come Bush degli “Skull &Bones”, società segreta di Yale, iniziò la sua carrieranell’OSS, il servizio segreto americano durante laSeconda guerra mondiale. Lì conobbe, nell’immediatodopoguerra, diversi esponenti dell’ex gerarchia nazista,con cui, dobbiamo ritenere, sviluppò un “common senti-ment”. Implicato nelle indagini sull’omicidio Kennedy,Helms quando lasciò la CIA, nel 1979, distrusse circal’80% del materiale riguardante le “covert operations”. 1975. George Bush (senior) venne nominato capo dellaCIA. Ted Shackley venne promosso Deputy Director pertutte le “covert operation worldwide”. Teddy sarebbepotuto diventare un futuro capo della CIA ma il destino,baro e bugiardo, portò al potere il Presidente Carter. Lacarriera di Shackley si interruppe. L’ammiraglio Turnerincominciò a epurare la CIA dagli elementi troppo com-promessi. Il vecchio gruppo si ritrovò tutto alla cortedello Shah Reza Pahalevi. Addestrarono la Savak, lafamigerata polizia segreta dello Shah. Helms era amba-sciatore in Iran. I ragazzi lavoravano in privato comeconsulenti. La CIA li usava ancora ma, come dire, in“outsourcing”. “Quel frocio di Carter, lui e le sue maledette noccioline.”

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Pensò Ted “Ha tolto alla CIA la possibilità di svolgereoperazioni coperte con l’aiuto di assassini o delinquentiriconosciuti. Come se questo cazzo di lavoro si potessefare con gli impiegati. Idiota.” È l’Executive Order11905, da questo momento in poi la CIA ma anche l’FBIuseranno sempre più spesso “società private” per svolge-re incarichi imbarazzanti. In Colombia per esempio è unasocietà americana che provvede agli elicotteri per laguerra anti-Farc. Lo stesso avviene in Kossovo eMacedonia. Interi settori della difesa e della sicurezzavengono “privatizzati”, comprese le prigioni, dove operala Wackenut Corporation. “Già, il vecchio Wackenut” iricordi di Ted ormai sono come uno schedario della poli-zia “lui sì che c’ha saputo fare. Nessuno o quasi si ricor-da che era con noi in Florida. Quando Guy Bannister e iragazzi si addestravano per far fuori JFK.”Altri tempi. Lavorare nel privato non era come lavorareper l’Agenzia. Alcuni membri della squadra, EdwardWilson e Frank Terpil, vendevano esplosivo a Ghedaffi.La CIA andò su tutte le furie. Loro sputtanarono Cartermettendo in piazza i legami d’affari di suo fratello conGhedaffi. In compenso Ted Secord ed Eric Von Marbodacquisirono una succosa commessa dall’Egitto per il tra-sporto via mare degli equipaggiamenti militari, con unacompagnia chiamata Eatsco. “Ma per vedere dollari veri abbiamo dovuto aspettare il1979”. Epoca di grandi cambiamenti. Da un lato iniziò l’opera-zione Iran-Contras. I rapporti con i Contra li aveva quel-la vecchia volpe del “Phoenix”, Chi Chi Quintero. Nelgruppo c’era un vecchio pilota di Air America, BarrySeal (alias Adler Berriman). Dall’altro scoppiò la questione degli ostaggi in Iran. Tedtrattò con gli iraniani. Erano anni che lui e Helms stava-

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no organizzando la “via bulgara” per l’eroina: Iran,Kurdistan, Turchia, Bulgaria, Balcani. In ogni paese unpo’ di guerriglieri, come quegli idioti dei Curdi o quegliscemi dell’UCK. In ogni paese politici corrotti, e poi ivecchi “Lupi Grigi” quei fascisti turchi, teste di cazzocerto, ma con due palle così. C’entravano pure con l’at-tentato al “polacco”, ma di quella storia Ted non era mairiuscito a capirci nulla. Comunque, in Iran c’erano degliamici. E gli amici conoscevano pure quei corvacci diAyatollah, che quando si parla di dollari sono uguali atutti i preti del mondo. Gli ostaggi vennero rilasciati ilgiorno dell’insediamento di Ronald Reagan allaPresidenza degli Stati Uniti. Sarebbe passata alla storiacome “October Surprise”. La prima fase di Iran Contras fu finanziata però dallacocaina. Un aeroporto a Mena Arkansas era la base deivoli che portavano coca e rimandavano indietro armi. Era il vecchio schema del Laos rivitalizzato per l’occa-sione. Uno degli aerei usati era un vecchio C-123K usatoin Laos. Nel 1986 quest’areo, chiamato “Fat Lady”, precipitòabbattuto dalla contraerea sandinista. Ai comandi c’eraBuzz Sawyer, il secondo si chiamava Eugene Hasenfus.Fu fatto prigioniero dai Sandinisti e finì sulla CNN.Coglione.Ma gli affari veri erano in Iran. Ted fece incontrareRichard Secord con Albert Hakim, un trafficante medio-rientale. Insieme costituirono l’”Enterprise”. In meno didue anni “Enterprise” aveva cinque aeroplani, venti pilo-ti a contratto e due campi di atterraggio. Air Americavolava ancora. Il capo dell’operazione è sulla carta, solosulla carta, quel coglione del Colonnello Oliver North.“Quello sembrava sempre avere un palo di scopa nelculo”, pensò Ted. L’Enterprise realizzò 16,1 milioni di

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dollari nella vendita dei missili a Khomeini. “Neanche avevamo finito il lavoro in Iran ed ecco chequei cazzoni di “rossi” cascano nella Trappola del SignorB. in Afghanistan. Dio, quella sì che era un’operazione.Richard Armitage, il più giovane del vecchio gruppo, cisi buttò a pesce. Dunque, in Pakistan avevamo le basi,c’era l’ISI a coprirci. E poi c’era la nostra banca di fidu-cia, la BCCI Banca Pakistana fondata da Abedi, le cuifortune potrebbero riempire un libro.Per fortuna George Bush aveva risolto il casino dellaNugan Hand Bank nel 1982. Era volato in Australia,aveva parlato con un laburista testa di cazzo, Hayden, eaveva risolto tutto. Forte il capo. I fondi neri della CIAerano stati spostati sulla BCCI di Abedi. Afghan connec-tion.” Le collusioni dei servizi segreti americani con Osama binLaden sono impressionanti. Ted pensò che solo unmondo di teste di cazzo poteva continuare a evitare divedere ciò che era anche troppo chiaro. Uno di al Qaedafu arrestato per l’attentato alle Twin Towers del 1993. Sichiamava Alì Mohamed, egiziano. Era un ex sergente deiBerretti Verdi addestrato a Fort Bragg. Dal 1986 al 1989era in forza all’esercito americano. Aveva combattuto inAfghanistan contro i sovietici. Formalmente per gli USAera in licenza. Tornò, nessun provvedimento disciplinarevenne preso contro di lui. Si congedò, era in contatto siacon la CIA che con l’FBI. Per tutti gli anni ’80 e ’90 gliUSA “coprirono” l’organizzazione di Osama, nonostanteche almeno dal ’90 avesse iniziato attentati contro gliUSA. Certo: dietro Osama c’erano troppi interessi.L’eroina afghana, la possibilità di costruire gli oleodottiin Afghanistan. E poi questi fanatici vanno bene per tenerbuoni gli ebrei, incastrati in una guerra infinita.“Counterinsurgency” pensò Ted. Il titolo del suo libro,

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l’impegno di una vita. Creare casino per prevenire il casi-no. Usare il terrore per allontanare il terrore. I mezzi chegiustificano il fine. Perché è sui “mezzi” che si fanno idollari. “Cazzo” pensò Ted, “Sono troppo vecchio perfare il filosofo ma questo gioco è come la roulette, biso-gna alzare sempre la posta e vince sempre il banco!”Gli orizzonti si ampliarono. Le attività di al Qaeda eranoovunque, in Cecenia, in Bosnia, in Albania, inMacedonia. Le mafie aumentavano, le rotte della drogaaprirono quelli che dopo sarebbero diventati corridoieconomici. Di sicuro chi governava la storia adesso nonera più Ted, era Richard Armitage. Ted si ripassò la scheda in testa.

Richard Armitage: Deputy Secretary.Consigliere di George W. Bush per il Medio-riente, attuale numero due al Dipartimento diStato con Colin Powell. Classe 1945, nel 1967conseguì la laurea all’Accademia Navale.Combattè in Vietnam. Partecipò all’operazio-ne “Phoenix” diretta da Ted Schackley.Organizzò la ritirata da Saigon. Nel maggio 1975 Armitage fu assunto dalla DIA(Defence Intelligence Agency). L’ultimo suoincarico fu in Iran nel 1976, dopo lasciò ilservizio e passò al settore privato.È opinione comune che collaborò con la CIA,attraverso società private di consulenzaper molti anni a seguire. Alcuni suoi cri-tici sostengono che fu lui l’ideatore deltraffico di eroina nell’Afghanistan. Nel 1978 entrò nello staff del senatoreRobert Dole. Partecipò nella campagna pre-sidenziale del 1980 all’Interim ForeignPolicy Affaire Board. Dopo l’elezione di Reagan divenne Deputy

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Assistant Secretary of Defense for East Asiaand Pacific Affaires. Ebbe diversi altri incarichi pubblici finoal maggio 1993, quando dirigeva col grado diAmbasciatore gli aiuti alle repubblichedell’ex Unione Sovietica. È ritenuto uno dei più decorati funzionaridegli Stati uniti. È stato decorato fra l’altro da governiesteri, come la Repubblica di Corea, laThailandia, il Bahrein e il Pakistan.Attualmente la sua posizione è fra i falchidall’amministrazione Bush con uno specificoobiettivo: attaccare le basi degliHezbollah in Libano e attaccare in Siria.

Lo avevano scritto nel 1998 che bisognava far fuoril’Iraq. Una lettera a Clinton, firmata da tutta la banda:Perle, Wolfowitz, Abrams, Negroponte. Il “NewAmerican Century”. Il nuovo secolo americano. Unsecolo di Guerre e di Dollari! Degli altri “vecchi” solo diuno finora era trapelata una notizia: Richard Secord erastato avvistato a Taskhent, capitale dell’Uzbekistan, terradel “democraticissimo” presidente Karimov. Negli anni‘50 in Uzbekistan si coltivava “l’oro bianco”, il cotone.Terra ottima per i papaveri da oppio.Ma era Richard Armitage il vero uomo chiave di questavicenda. Lui che aveva i contatti con Ahmad (il capo delServizio segreto pakistano). Ted aveva visto Ahmadqualche giorno prima dell’11 settembre… Ted sapevache dopo si sarebbe dovuto vedere con Richard. “Forza Richard” pensò Ted “Questa è la più grande sto-ria di merda in cui tu sia mai finito. Ma se c’è uno chepuò farcela a governare questo casino sei proprio tu.Vecchia puttana.”

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AntraxI sospetti si appuntano su un intreccio di gruppi delladestra: milizie, fondamentalisti cristiani, survivalisti,formazioni di anti-abortisti fanatici, neo-nazisti e razzi-sti ariani. In diverse occasioni non ufficiali, funzionari della FBI edel Dipartimento della Giustizia hanno confermato dicercare in quella direzione, facendo anche notare chedal 1999 questi ambienti di estrema destra hannominacciato più di ottanta volte di usare l'antrace comearma biologica. Inoltre, esperti e addetti fanno capireche le spore di antrace in questione effettivamenteprovengono da laboratori americani. Fanno anche notare che le lettere con cui si diffondel'antrace, in cui si proclama "morte all'America" innome di Allah, non sono opera di mussulmani maespedienti pacchiani di depistaggio.Tra gli esperti spicca Gary Ackerman, direttore delProgetto contro la proliferazione delle armi chimichee biologiche dell'Istituto di Monterey di StudiInternazionali, il quale ha detto che sospettare i fon-damentalisti cristiani non è fuor di luogo giacché essisi dicono convinti che l'apocalisse sia cominciata l'11settembre. Ackerman ha fatto l'esempio del gruppo fondamenta-lista "Christian Identity", secondo cui il nuovo millen-nio vedrebbe lo scontro tra Dio e "i seguaci diSatana", tra cui si troverebbero "gli ebrei, i non bian-chi e il Governo degli USA". Queste organizzazioni "adesso cercano di terrorizza-re la gente". Ackerman ha spiegato che i gruppi fon-damentalisti pianificavano già negli anni Ottanta eNovanta di contaminare l'acqua potabile con l'antrace.Larry Wayne Harris, estremista impegnato in una cro-ciata contro il governo, fu arrestato a metà degli anniNovanta mentre era in possesso di antrace e poco

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tempo dopo furono arrestati esponenti del PatrioticCouncil del Minnesota e della Aryan Nation in Ohio,che erano in possesso di sostanze tossiche2 6.

Bestemmiai ad alta voce. «Ancora i Nazisti dell’Illinois!»

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(26) EIR n 45, 8 novembre 2001.

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Midnight 68

«Pronto, Sbancor?»«Honey! ...Cioè, Darling!! Come stai?»«Senti, ho trovato qualcosa. Ma non so, sembra unromanzo…»«Darling, ormai sono disposto a tutto.»«Si parla di un software, si chiama “Promis”… insommasembra che c’entri con l’attentato…»«Da dove vengono le notizie?»«Internet. Un sito di un ex agente della L.A.P.D., MikeRuppert, guardalo, l’indirizzo è www.copvcia.com»«Lo guardo subito. Hai trovato qualcos’altro?»«Sì, è una specie di romanzo anche questo, si chiama“Last Circle” te l’ho mandato via e-mail. E poi… nonso… ho parlato con qualcuno che sembra ne sappia dipiù. Vorrebbe incontrarti.»«Come si chiama?»«Te lo dico dopo…»«Come lo conosci?»«Come conosco te…»«Ma porca puttana…»«Sììììì?»«Ma almeno sono io o lui il cornuto?»«Sei il solito fottutissimo dago.»«Dove possiamo incontrarci io e Mr. Mammola?»«Non si chiama Mammola…»«Di bene in meglio! E dove lo vediamo, in un bagno pergay della metropolitana?»«Non sei proprio spiritoso, quando sei geloso. Lo vedia-mo qui. A Manhattan.»«Ok. Tanto ti avevo promesso che passavo prima diNatale. Possiamo organizzare un appuntamento.»«Sbancor… è che…»

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«Cosa, Darling?»«È che ho paura.»«Dai Darling, c’è tutta Internet a caccia di fantasmi.Siamo nella società dello spettacolo globale. E siamo indiretta. Di che hai paura?»«Non lo so. Ma ho paura.»«Darling, fattela passare. Consiglio un whiskey conghiaccio. Dai, prima di un mese sono da te.»«Ok, ma…»«Ma cosa?»«Stai attento...»«Sì, sì... non ti preoccupare... Un bacio.»«Baci, ti voglio bene vecchio pazzo anarchico.»«Anch’io, Luv. A presto.»

Mi accesi un “898” di Partagas e ricominciai a leggere lenotizie selezionate. Trovai un file interessante in un sitocanadese: www.globalresearch.ca. Era un articolo di un professore dell’Università diOttawa, Michel Chossudovsky, che aveva già pubblicatoun’interessante biografia di Osama bin Laden. Si intito-lava: The Role of Pakistan’s Military Intelligence (ISI) inthe September 11 Attacks”. Iniziai a leggere e dopo pochiistanti fui costretto a bestemmiare di nuovo «Armitage,porco... sempre in mezzo!»Ecco il testo: “La stampa conferma che il GeneraleMahmoud Ahmad ha avuto due meetings con il DeputySecretary of State Richard Armitage, rispettivamente il12 ed il 13 settembre. Dopo l’11 settembre ha incontratoanche il Senatore Joseph Biden presidente del potenteComitato sulle Relazioni Estere del Senato.”Che altro stava combinando l’infaticabile GeneraleAhmad? Trovai la risposta poco più avanti .“R i c h a rd Armitage consegna al Generale una lista di

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punti che Washington vuole che il Pakistan accetti. Dopouna telefonata fra Colin Powell e il Presidente PakistanoP e rvez Musharraf, il portavoce del Dipartimento di StatoR i c h a rd Boucher annuncia che il Pakistan è disposto ac o o p e r a re. (...) Il 13 Settembre il Presidente PakistanoP e rvez Musharraf conferma che manderà il GeneraleMahmoud Ahmad a incontrare i Talebani per negoziarel’estradizione di Osama bin Laden” .Il Generale Ahmad si recò a Kandahar, incontrò il mullahOmar, lo informò che in caso di diniego la guerra con gliUSA sarebbe stata inevitabile, incassò il rifiuto a conse-gnare Osama e ritornò in patria. Sarebbe ritornato in Afghanistan per un secondo tentativo.Anche questo fallimentare. Domenica 7 Ottobre, pocoprima dell’inizio dei “raid” americani sull’Afghanistan,Ahmad sarebbe stato silurato e sostituito da capo dell’ISI.

Questioni di soldiAvevo bisogno di rilassarmi. Telefonai a Parvus. Non a caso suo padre lo aveva chia-mato Vladimir Ilich. «Ciao Parvus»«Ciao bello, come stai?»«Male. Sono depresso. Ore che navigo nei siti più stranidi Internet a cercare una traccia. Ho bisogno di rilassar-mi, parliamo di soldi.» Sospettoso: «Quali soldi?»Risi. «Quelli che girano intorno a questa strana storia“afghana”, non dirmi che non hai fatto qualche indagi-ne…»«Sì che le ho fatte.»«E allora? Fuori le cifre.»« Va beh, se è per rilassarti… Dunque cominciamo da quel-li che qualcuno ha guadagnato prima dell’11 settembre. In

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borsa i soldi si guadagnano sempre prima che un fattoaccada, dopo si perdono solo.»«Giusto. Procedi.»«Dunque la prima voce è che su operazioni al ribassoeseguite verso le compagnie aeree coinvolte negli atten-tati qualcuno abbia guadagnato almeno 2,5 milioni didollari, ma…»«Ma?»«Secondo Herzliyah, un’agenzia israeliana esperta inantiterrorismo sono almeno 16 milioni di dollari.»«Però! Hai i dettagli?»«Sì. Fra il 6 ed il 7 settembre ci sono state 4.744 opera-zioni “put” riguardanti la United Airlines sul ChicagoBoard Options Exchange e soli 396 “calls”. Il 10 settem-bre 4.516 “put” sull’American Airlines e solo 748 “call”.Poi ci sono le operazioni sulla Morgan Stanley, che occu-pava 20 piani al WTC, poi ci sono quelle sulle borseeuropee, riguardano gli assicurativi, Axa e altre compa-gnie… in totale circa il 1.200% in tre giorni. Questi sonoi guadagni!»«Sei una miniera Parvus!»«È il mio lavoro. Sei più rilassato adesso?»«Beh, sapere che qualcuno c’ha guadagnato, rende alme-no un po’ più “umana” questa maledetta storia. Mainsomma, gli unici che non sapevano niente dell’attenta-to eravamo tu ed io?»Rise: «Ho proprio paura di sì. Bei banchieri di merda!»«E sai su quali banche hanno operato?»«Sì, pare che sia la Deutsche Bank-A.B.Brown. E sai lacosa più bella?»«No, quale?»«“Buzzy” Krongard, che oggi è un Executive Directordella CIA, nel 1998 era il presidente della A.B.Brown!»«Fanculo Parvus! Questo è troppo…»«Beh sì… belle facce di bronzo…»

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«Ciao… a presto.»Dunque qui il quadro si complicava. C’era una marea digente che su questa cazzo di storia ci stava facendo icazzi suoi. Non si capiva più qual era il filone principalee quali i secondari. Chi fosse il lupo e chi gli sciacalli.Proprio una bella e fottuta “guerra di gangster”! Facendo ordine:1. Gli Stati Uniti attraversavano una crisi economicasenza precedenti, che non fosse l’innominabile 1929. 2. C’era un forte interesse geopolitico americano sulCentro Asia, addirittura su un paese specifico:l’Uzbekistan.Tutto ciò non giustificava certo una guerra ma, comedire, ne costruiva lo scenario di base. Provai a ragionare.Qualcosa era accaduto in Afghanistan. Qualcosa cheaveva a che fare con la Droga o con il Petrolio. O contutte e due. Qualcuno ai vertici americani voleva aprireuna campagna contro l’Afghanistan: la programmava perottobre. Questo era un “gruppo”. Qualcun altro (ma nonè detto ancora che i due gruppi fossero antagonisti o inconcorrenza) avvertì gli afghani e Osama. La C.I.A. con-tinuò a tenere relazioni “amichevoli” con Osama fino aLuglio. 3. 11 settembre. L’attentato. Doveva essere un attentatospettacolare, ma forse nessuno si aspettava che le torricrollassero. Certamente nessuno poteva prevederlo. Laprima rivendicazione, poi smentita, fu del FrontePopolare di Liberazione della Palestina (FPLP). Strano.L’ F P L P stava buono da anni. Poi gli israeliani tirarono unmissile nella casa del capo e lo ammazzarono. L’ F P L P si rivide di nuovo. Ero perplesso: negli anni ’70 l’FPLP di George Habbashgestì un dirottamento di 6 aerei in contemporanea.Habbash non è mussulmano, e poi non era più operativoda anni. C’era una frazione FPLP, comando Unificato,

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che faceva capo a Jabril. Jabril era uno strano.Probabilmente manovrato dalla Siria. Comunque furonoloro che diedero il pretesto a Sharon di invadere iTerritori con l’assassinio del Ministro del Turismo israe-liano: uno di estrema destra.4. Nel gruppo che gestiva le prime mosse successivea l l ’ 11 Settembre c’era Richard Armitage, uno che eraquantomeno implicato nell’Afghan Connection.5. Ci fu uno spiraglio di trattativa sulla consegna diOsama bin Laden. Uno spiraglio che andava percorso eche invece venne abbandonato subito. Secondo K.P. S .Gill, il superpoliziotto indiano che aveva combattuto gliintegralisti in Kashmir, la consegna di bin Laden avrebbeprovocato la distruzione del mito talebano. C’era da cre-d e rgli. Ma la trattativa era condotta da un lato dal Capodei Servizi Segreti Pakistani e dall’altro da RichardArmitage. E la trattativa abortì.6. Armitage si schierò con i “falchi”, quelli che volevanoa tutti i costi tirare dentro la guerra anche l’Iraq, l’Iran ela Siria, provocando il cosiddetto scenario “clash of civi-l i z a t i o n ” .7. Colin Powell si oppose.Sì, adesso si incominciava a intravedere qualcosa. Tutti ivecchi sponsor dei Talebani, da Kissinger ad Armitage aNegroponte erano nel partito dei “falchi”. A n c h eCondooleeza, che è una creatura del signor B. e pagatadalla Chevron. Ma non sembravano forti. Forse perché sierano dovuti coprire. Colin Powell, che era in discesa, orasembrava interpretare la linea ufficiale. Mantenere buonerelazioni con il Pakistan, evitare l’allargamento del con-flitto. Come diceva Shakespeare: “C’è del marcio inDanimarca…” Intanto l’America stava perdendo le suelibertà. Se n’era accorto pure Gore Vi d a l2 7. Questo era il lato peggiore della faccenda. L’impero che

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(27) Gore Vidal, I Veleni d’America, Il manifesto, n. 280, 22 novembre 2001,

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diventava nazista al suo interno. La corruzione di unpugno di fanatici wasp che impestava un continente.Liberare l’America. Questo sarebbe dovuto essere lo slogan!

Manhattan DangerErano le 6 a.m., come le chiamano gli americani.Insomma era l’alba in una Manhattan fredda come unghiacciolo freddo. Midnight uscì di casa, girò l’angolo fra la 43esima e laFifth Avenue. A Midnight piace Manhattan all’alba,prima che si riempia di impiegati e impiegate dall’ariatroppo efficiente per essere vera. Le piacciono le catastedei rifiuti, gli ultimi barboni sfuggiti a Rudolph Giuliani,e alla sua “tolleranza zero”. A Midnight piacciono i caff èche aprono, i giornalai pakistani infreddoliti che battonoi piedi per terra per evitare il congelamento, i portierid ’ a l b e rgo che scopano solo davanti all’entrata. Midnight è fatta così. Una donna del Sud con un cervel-lo nordista. Sarebbe stato tutto bello. Tutto bello se nonfosse stato per quella nebbia gialla e puzzolente giùdalla parte dell’Hudson, proprio dove Manhattan diven-ta una striscia di terra circondata d’acqua. Quella nube che stava lì da mesi. La nube di GroundZero. E sarebbe stato ancora più bello senza quellaLincoln nera che costeggiava il marciapiede alla suastessa velocità. Midnight prese l’aria dura da puttana.Lei la puzza dei poliziotti la riconosceva a cinquecentoyarde. Poi si sentì gelare. Non erano poliziotti comuni.Non della buoncostume e nemmeno dell’omicidi.Sembravano “uomini in nero”, Men in black. “Goddamn” pensò Midnight. “Ma qui non siamo inA rgentina, qui gli squadroni della morte non ci sono, quisiamo nella cazzo fottuta di un cazzo Manhattan, la rotta

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in culo Fifth Avenue in fuckin’ Manhattan Slut!” La macchina continuò a marciare alla sua velocità. Gli Uomini in Nero la guardarono. Midnight sentì losguardo salirle sulle cosce come un ragno e provare ascostarle le mutandine. Poi la Lincoln diede gas e girò a destra. Finito. Cristo.Tutto finito. Midnight è una ragazza intelligente.Prenotò un volo per Los Angeles il giorno stesso.Telefonò a Sherman, gli fornì le e-mail di riferimento espostò l’appuntamento in California. Chissà, forse lacittà degli angeli le avrebbe portato fortuna.

Telefonata: NY-NY. Numeri non nell’elenco.«Si è spaventata la puttana?»«Sì, mi sa che aveva le mutandine bagnate»«E che succederà adesso?»« Telefonerà al Cretino, al Cretino Italiano, e lui arriveràcome Don Chischotte, e incontrerà Sherman.»«E noi?»«Noi facciamo fuori Sherman una volta per tutte.»«E l’Italiano e la Puttana?»«Forse anche loro. Sono solo pedine, ma incominciano asapere troppo»«Sherman ha combattuto bene in Vi e t - N a m … »«La vita non si è fermata con il Viet-Nam, e neppure las t o r i a »«La Vita è la Vi t a … »«E la Storia la Storia…»

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Gli occhi di Tovarich (2)Erano ormai quasi cinque giorni che Tovarich stavaviaggiando verso Nord. Ci aveva messo un bel po’ a uscire da Kabul. Quelli conla barba avevano posti di blocco ovunque. E facevanosul serio. Poi aveva incontrato una colonna di camion.Gente che si spostava per andare via dai bombarda-menti. Le povere cose in scatole di cartone, i bambinipiù piccoli appesi al collo. Se non altro il camion passa-va i posti di blocco. Avevano pagato in anticipo.Andavano avanti sbuffando lungo la strada. In nessunaltro posto del mondo l’avrebbero chiamata strada ma,in Afghanistan, era una strada. Tovarich non dormiva. Neanche la notte. Restava vicinoal fuoco. L’aria raffreddava presto. L’inverno si avvici-nava. Tovarich passava la notte così. Pensava a suamadre. Pensava a quando avrebbe potuto tagliare lagola a uno di quelli con la barba. Aveva studiato a lungola questione. Bisogna tagliare insieme la vena e le cordevocali. Così non gridava. Bisognava lasciarlo morirepiano, in silenzio, mentre si dissanguava. Il Maggior Generale gli aveva spiegato tutto. Il MaggiorGenerale se ne intendeva di queste cose. Lui non avreb-be sbagliato. Il coltello infilato sotto i vestiti aveva lalama fredda sulla pelle. Gli dava una sensazione di sicu-rezza. No, non avrebbe sbagliato.

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Roma 10 novembre 2001Era Sabato. La giornata iniziò male. La mattina dovevoandare a un funerale. Era morto un mio vecchio amico.Marcello. Partigiano combattente a La Spezia, nei GAP.Statistico, informatico. Diresse il centro calcolo dellaprima banca italiana. Informatizzò gli atti del primo maxiprocesso alla Mafia,lavorando con Borsellino. Viaggiò. Nel 1968 era aChicago. Ripeteva spesso uno slogan del “Movement”americano “Here and Now”. Qui ed Ora! Pensai “Dio,quanto mi manca… gli avrei fatto rileggere le bozze eavrei discusso con lui le mie ipotesi sulla guerra.” Marcello aveva discusso a lungo con me sul movimentoNo Global. Lui era contrario. Perché era unInternazionalista. Per lui il mondo era una meravigliosaavventura da viaggiare. A Cuba o in Piazza Tienanmen,dove con un gesto tipicamente italiano aveva dribblatol’ordinatissima fila cinese e si era intrufolato per vederela mummia di Mao. Con lui se ne andava una parte nonpiccola della mia vita. Tutti i sabati ci vedevamo inPiazza Santa Maria in Trastevere e poi andavamo a man-giare da Augusto in Piazza dei Renzi, l’ultima vera bet-tola di Trastevere. Era un rito che andava officiato conprecise e severe osservanze. La fine, ad esempio, preve-deva caffè e sambuca all’Antico Caffè del Vicolo delMoro. La lettura dell’Unità era un obbligo. Stavo nella Chiesa di Santa Maria in Tr a s t e v e r e .Marcello aveva rapporti con la Comunità di Sant’Egidio.Marcello conosceva tutto e tutti. Non credo che fossereligioso, ma i cattolici hanno una particolare abilità aimpadronirsi dei morti. E così eravamo in chiesa.Quando la bara fu sollevata sorrisi. Chissà cosa avrebbedetto il Parroco se avesse saputo che a portare la baraerano quasi tutti ex militanti del Circolo Anarchico Carlo

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Cafiero, della Garbatella. Uno dei più antichi di Roma. Quando la bara fu disposta sul furgone, mi trovai irrigi-dito nel vecchio saluto. Un pugno alzato verso il Cielo.Intorno una folla di pugni si alzarono a salutare il vecchiopartigiano. “Qui ed Ora, Marcello, Qui ed Ora!” In cielovolteggiavano come corvi gli elicotteri della polizia. Ilpomeriggio ci sarebbe stato l’U.S.A. Day di Berlusconi eil corteo dei No Global contro la guerra. “Qui ed Ora,Marcello, Qui ed Ora!”

Roma 10 novembre 2001Il corteo era grande, teso, militante. Sembrava di esseretornati agli anni ’70 a Piazza Esedra. Se non fosse statoper il Rap che usciva dagli altoparlanti. Mi aggiravo inuna piazza piena di visi conosciuti. Invecchiati ma sem-pre loro. I compagni. Vecchi operai in pensionedell’Alfa, della Sit Siemens, della Pirelli. Quellidell’Autonomia Operaia. Sorrisi. A faccia tirata. Sorrisiche dicono tutto. Che dicono che la vita non ha rispetta-to i sogni, ma alla fine fa lo stesso. L’importante è essere Qui. Qui ed Ora. In quei sorrisi nonc’era paura e non c’era rabbia. Eravamo solamente lì.C’eravamo ora. A Santa Maria Maggiore il corteo eraenorme. Un fiume di gente. 100, 150.000? Alla sera laquestura avrebbe detto “ufficiosamente” ai giornalistiche in Piazza del Popolo con Berlusconi c’erano 35.000persone, e al corteo No Global 70.000. 2 a 1. Avevamovinto, anche se nessuno sapeva che cosa significasse.

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Roma 10 novembre 200112 novembre: si schianta un aereodell’American Airlines sul popoloso quar-tiere di Queens, New York: attentato o inci-dente? Aspettiamo il prossimo per decidere.13-14 novembre: L’alleanza del Nord colpitada improvvisa febbre guerriera occupa MazarI Sharif, Herat e Kabul. I Talebani in rottaverso Kandahar.Si segnalano esecuzioni di massa, violenze,mutilazioni e saccheggi. Finalmente Dostumpuò sfogarsi! Come in Iraq e in Kossovo, tutti gli ‘ostag-gi’ o prigionieri di guerra occidentali sonostati rilasciati senza aver subito offese.In Afghanistan sono stati rilasciati: unagiornalista inglese e un giornalista fran-cese, entrati illegalmente nel paese e ottooccidentali accusati di proselitismo cri-stiano.

Che strane guerre!Mandai un breve testo a Rekombinant, uno dei migliorisiti del movimento, a Bologna.

UCCISA UNA GIORNALISTA ITALIANAScrivo di malavoglia questa piccola nota. Resto uno diquelli che pensano che di fronte alla morte il silenziosia l’unico comportamento decente. Odio quelli cheapplaudono ai funerali. Avrei sperato di leggere lecose che scriverò fra poco su qualche giornale. Cosìnon è stato. E probabilmente non sarà.Dunque, sono morti dei giornalisti. Una italiana. Unaragazza che dalle cose che scriveva, ho scaricato tuttii suoi articoli dall’archivio del Corriere della Sera,sembrava essere non solo una brava giornalista, maanche una ragazza di cuore. Una che quando vedeva

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le ingiustizie si incazzava, e lo scriveva. Una cherischiava la pelle per scrivere, mentre suoi colleghi piùfamosi e onerosi rischiano solo di farci addormentarein diretta. Forse sarà anche per questo che la cosa miha coinvolto, più di quanto, solitamente, non mi coin-volga la stampa.Il fatto, come si dice in gergo, è questo: il gruppo digiornalisti di cui fa parte Maria Grazia riescono avedere una base di al Qaeda intatta. L’articolo diMaria l’abbiamo letto tutti. Io ho letto anche quello diJulio Fuentes, il giornalista de El Mundo ucciso insie-me a Maria Grazia Cutuli. L’articolo di Fuentes è piùlungo, ma sostanzialmente racconta la stessa storia.Parla del ritrovamento delle ampolle di Sarin. Mariascrive “…E qui appare la scatola di cartone. Nonriusciamo a capire che cosa contiene. Il giornalista delMundo Julio Fuentes, la incide sul lato, tirando fuoriad una ad una le fialette di vetro bianco, ampolle sot-tili, come siringhe da insulina, strozzate alle estremi-tà, isolate una dall’altra dentro piccoli scomparti dicartone. Ne contiamo una ventina. È l’etichetta attac-cata alla confezione a rilevare il contenuto: gas sarin,scritto in russo, e sotto, l’indicazione dell’antidoto dausare, l’atropina… Tiriamo via l’etichetta e, per pre-cauzione, lasciamo le ampolle...” Fin qui Maria. JulioFuentes, che, ricordiamolo, anche a detta di Maria èquello che maneggia la confezione, parla anche luidella scritta in cirillico. " En la rustica caja de cartonfiguraba la inscripcion en ruso Sarin/V GAS. "Fuentas prosegue dicendo che, anche se non è uneroe, compie la coraggiosa ispezione alle ampolle.Poi prosegue la descrizione del materiale, in granparte di provenienza russa che sta nel deposito. Mapoi scrive: “Però la cosa più inquietante della base diFarm Hada sono circa 40 contenitori di grande dimen-sione, serrati con lucchetti di fabbricazione cinese. Le

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ampolle erano collegate a uno di quelli, l’unico con laporta semiaperta, ancorché chiusa con una catena.Alcuni dei contenitori ispezionati esibivano etichette dicompagnie degli Stati Uniti.Però quello che mi preoccupava di più, a parte leampolle di Sarin, era un recipiente più o meno gran-de quanto una cartuccia da caccia, di metallo opaco,tappato con una chiusura ermetica...”Il sospetto che abbiano visto più di quanto fosse con-sentito vedere è lecito. Non aggiungo altro. Tranneche uno sfogo del tutto personale. Assassini!

ANSA - 24 novembre 2001Intanto un'inviata americana, PamelaConstable, del Washington Post, è tornatanel campo di addestramento di Hadda, vicinoJalalabad, sul quale la Cutuli e il repor-ter spagnolo Julio Fuentes, realizzarono illoro ultimo servizio, scoprendo fiale di gasSarin di produzione russa. L'inviata del'P o s t' non ha trovato tracce del Sarin.C'erano però documenti su un agente chimicodi fabbricazione coreana e tracce del pas-saggio in tempi recenti di guerriglieriarabi. Il campo è da giorni nelle mani deglianti-Taleban ma nei dintorni restano attiviseguaci arabi di al Qaeda.

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«Pronto Sbanky?»«Sono io, darling»«Sono seguita.»«Ci credo…»«Smettila di fare il cretino, sono seguita da uomini innero.»«Preti?»«Idiota!»«Va bene, ma sei sicura di aver pagato le tasse?»«Stupido italiano idiota… per un’americana, anche sesudista, non è normale essere seguita da poliziotti vestitidi nero.»«Pensi che tutto ciò abbia a che fare con la nostra picco-la indagine?»«Sì.»«Uhm… ma non facciamo che ripetere quello che dicemezza Internet…»«C’è qualcosa che gli dà fastidio.»«E allora?»«Allora ho spostato l’appuntamento con il Generale aLos Angeles.»«Ok, ne approfitteremo per una vacanza.»«Se ce la lasciano fare.»«Dai, darling, non esagerare…»«Non esagero, pezzo di cretino! Bye. Take care!»«Bye…»Midnight era nervosa. Cominciavo a esserlo anch’io.

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Gli occhi di Tovarich (3)Il camion si fermò all’improvviso. Di fronte a loro lastrada era interrotta. C’era una colonna bombardata.Camion civili, carichi di luci, insegne, bandierine. Lasolita paccottaglia orientale. Camion militari, residuatibellici dell’Armata Rossa. Civili e militari mischiatiinsieme. Dai camion penzolavano pezzi di corpi umani bruciati.Neri, come se la carne fosse stata trasformata, per unamaledizione, in carbone. Ai lati della strada i sopravvis-suti. Alcuni bambini piangevano. Altri giocavano.“Inshallah” pensò Tovarich, i suoi occhi azzurri freddianalizzavano il paesaggio. “La vita è così. Meglio a teche a me!”. S a rebbe arrivato l’inverno. Av rebbe coperto quei corpi dineve e ghiaccio. Poi sarebbe tornata l’estate. Come sem-p re. Il tempo avrebbe fatto pulizia. Si fermò a parlare conun “uomo con la barba”. Gli disse che stava andando aMazar i Sharif per combattere i diavoli americani e queirinnegati dell’Alleanza. “L’uomo con la barba” sembra-va soddisfatto. Gli chiese di dov’era. «Sono di Kabul»rispose Tovarich e quello guardava gli occhi azzurri e icapelli biondi che uscivano dal turbante di Tovarich. «Circasso» spiegò Tovarich. L’uomo sorrise. Tovarichsorrise anche lui. Solo con la bocca. Conosceva quellosguardo. Sapeva cosa significava. Ero lo sguardo che tifaceva sentire una donna. Un oggetto di desiderio.Aveva sbagliato a dire “circasso”. Tovarich sorrise dinuovo, un altro sorriso, equivoco, e indicò un tuguriosemidiroccato poco più avanti. L’uomo con la barba simise il kalashnikov sulle spalle e cominciò a cammina-re. Passo veloce, eccitato.Tovarich adesso parlava spigliato, mentre scendevano ilsentiero. Entrò per primo l’uomo con la barba. Tovarichstava appoggiato a una trave annerita dal fumo. L’uomo

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con la barba si tolse il “kala” dalla spalla, lo appoggiò almuro. Tovarich si portò dietro di lui e incominciò a lec-cargli il collo. L’uomo con la barba si rilassò. Chiuse gliocchi, per assaporare il piacere. Fu allora che la lama diTovarich gli affondò nella gola. Tirò a sè con tutta la suaforza. Sentì la carotide cedere e rompersi. Uno scric-chiolio, come fanno le ossa dei polli. Il sangue uscì infretta rosso dall’arteria principale. Tovarich accompa-gnò il corpo a terra. L’uomo con la barba non avrebbepiù parlato. Non che avesse molto da dire, pensòTovarich. L’uomo stava soffocando in silenzio nel suostesso sangue.Tovarich si appoggiò al muro per guardare le ultimeconvulsioni. Si sentiva bene. Era stato facile. Sulla stra-da non c’era quasi più nessuno. I sopravvissuti eranosaliti sul tetto del camion di Tovarich che stava ripar-tendo. Tovarich si stese per terra. Al riparo di un muret-to. Vicino a lui il “kala” dell’uomo con la barba e il suozaino. C’erano un po’ di viveri, munizioni, una foto diun gruppo di barbuti, una copia del Corano. Tovarichiniziò a leggere. In lontananza si sentivano come deituoni. Bombardano Mazar i Sharif. Pensò Tovarich. Ci sarebbearrivato domani a piedi.

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Poppy Flowers!Via Veneto, Doney: Sbancor e Parvus.«Come api sul miele» dissi, chiudendo la Repubblica.«Anzi, sui “poppy flowers”, i papaveri da oppio. Pareinfatti che mentre i Talebani svendevano tutta la produ-zione, quelli dell’Alleanza del Nord ne erano pieni. Vuoivedere che la colpa della guerra è di quell’idiota di PinoArlacchi?» Parvus quasi mandò di traverso l’aperitivo:«Che vuoi dire, che c’entra Arlacchi?»«Vengo e mi spiego. Arlacchi, quello che crede cheabbiamo vinto la lotta alla Mafia, l’imbecille, inizia unprogramma per la distruzione dei campi da oppio inAfghanistan con l’ONU. Allora» dissi tirando fuori unacartellina «diamo un occhiata ai dati.»«Dove l’hai presa?» chiese Parvus guardando stupitol’intestazione: DEA. U.S. Drug Enforc e m e n tAdministration – Afghanistan Country Brief – DrugSituation September 01.«Da Internet» risposi candido. «Dunque: nel 2000l’Afghanistan aveva più del 70% della produzione mon-diale di oppio. 3.656 tonnellate. Campi coltivati 64.510ettari. Poi nel 2001 stimano 74 tonnellate per 1.685 ettari.Guarda il confronto con i dati ONU. C’è una forte diff e-renza nel 1999, di circa 1.800 tonnellate, che non è poco.Dicono che c’è una diversa metodologia. Procediamo. Il28 luglio 2000 il mullah Omar fa un decreto per bandirela produzione di oppio dall’Afghanistan. Poi il rapporto dice che ci sono laboratori per la produ-zione di morfina base, eroina bianca e per uno dei tregradi del Brown Sugar. Sono disseminati un po’ ovunque e secondo me sonorecenti. L’Afghanistan fino a pochi anni fa non aveva tec-

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nologie di produzione. Al massimo morfina base cheveniva esportata in Turchia. Allora il sospetto è cheabbiano usato i soldi di Arlacchi per ristrutturarsi: dallacoltivazione all’industria.»«Oh cazzo!»«Inoltre il programma di Arlacchi non riguarda i territoricontrollati dall’Alleanza del Nord, dove si producevano,sempre nel 2000, circa 300 tonnellate a Badakshan.Adesso sono loro ad avere in mano il commercio.»«Ah!»«Torniamo a noi. Arlacchi prova due volte a convincerei Talebani a spiantare l’oppio, la prima volta fallisce, laseconda ci riesce. Fra la prima e la seconda c’è il piùgrande raccolto d’oppio della storia: il 1999, 4.581 ton-nellate secondo l’ONU, 2.861 secondo gli americani.»«Quanto fa in soldi?»«Il calcolo non è semplicissimo. Da 100 kg di oppio sene ricavano 10 di eroina. Ora un chilo di eroina vale circa2.000 dollari sulla frontiera Tajika, può salire a 15.000 aDushanbè, arriva a 150.000 a Mosca.» «Cazzo! ci guadagna tutta la filiera distributiva.»«Esatto. Tanti interessi, interessi spesso diversi e in con-flitto. Per esempio, se abbasso la produzione chi guada-gna di più è la rete di vendita più lontana. E così via. Puoicostruirci un modello econometrico.»«E che ti dice il modello?»«Dice che li hanno fatti fessi. Hanno abbassato quasi azero la produzione 2001, perché avevano i magazzinipieni sia di grezzo che di prodotti raffinati. Fino a set-tembre hanno guadagnato come pazzi. Poi, dopo l’11 set-tembre, hanno svenduto tutto e fatto crollare i prezzi.»«Sì, ma chi?»«È questo il punto. Una rete del genere non può esseresolo afghana. Dentro ci saranno i turchi, gli iraniani, i

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russi, i cinesi e gli italo-americani. Poi ci sono le ultimeramificazioni, i balcanici, i nordafricani, i negri. Ma ilgruppo che decide deve essere molto stretto. Poi c’è alQaeda, certamente ma devono esserci rappresentanti diCosa Nostra e della Mafia Russa. E forse di altre mafiecentroasiatiche. E infine ci sono quelli di “Octopus”.»«E chi cazzo sono?»«Sembra che sia l’ultimo nome della squadra, insommaquelli che per primi hanno iniziato questo gioco di droga-armi-guerra. Gli ex di “Air America”. Quelli di IranContras, sempre loro.»«Oh, cristo! Questo vuol dire...»«Già, vuol dire che lo schema di gioco è sempre quello.Un paese di frontiera (come il Laos o il Nicaragua ol'Afghanistan), la necessità di organizzare azioni clande-stine, la necessità di finanziarle con fondi neri. Il trafficodi armi e droga per creare i fondi neri. E inzia il "ballo".Ciò che mi convince è che questo gruppo si muove comeun serial killer: effettua sempre le stesse mosse. Ha unmodus operandi attraverso cui è possibile riconoscerlo.Insomma, lascia una strada nella Storia. O sarebbemeglio dire una “pista”. Fatta di cocaina o di eroina.» «E adesso?»«E adesso si sbaracca l’Afghanistan per qualche anno.»«E dove vanno?»«Beh, i radicali nostrani hanno già incominciato a rom-pere i coglioni in Laos: ritorno alle origini.»«Cristo!»«Ma io credo che il grosso vada a nord»«Dove?»«Uzbekistan? Che dici?»

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Gli occhi di Tovarich (4)Fu il primo a sentirli. Erano camion e carri armati.Centinaia di camion e carri. Scappavano. Prese il “kala”si portò sul ciglio della strada. Gli “Uomini con labarba” scappavano a migliaia. «Mazar è caduta!Dostum. Una carneficina. Ci abbiamo lasciato i pakista-ni e gli arabi.» «Dove andate, a Kabul?» «No, no, via anche da Kabul» «E dove andate allora?» «A Kandhahar, a Sud e poi Inshallah. Ialla, Ialla!»Si riportò dietro la casa. Prese il Satellitare. Chiamò ilMaggiore.«Sir?»«Sì, Tovarich, dove sei?»«A sud di Mazar i Sharif, pochi chilometri. Dostum stavincendo»«Lo so Tovarich, io so sempre tutto. Adesso sbrigati.»«Che devo fare?»«Raggiungi le linee di Dostum, chiedi del GeneraleIsmail e digli il mio nome, digli che il Generale Secord tivuole al suo quartier generale a Tashkent.»«In Ukbekistan?»«E dove se no? Si ricomincia da qui Tovarich... si rico-mincia da qui... devi vedere che campi, che papaveri...molto più in grandi che in Afghanistan. Basta con lec a p re e i Burka! Qui ci sono donne! Donne vere ,Tovarich, russe, moldave, ucraine, circasse... e c’è lavodka, fiumi di vodka!»Tovarich rise.« Tovarich» disse il Generale «Pensi ancora a tuamadre?»«Di meno» rispose Tovarich.«Non ci pensare più, ti aspetto. Ciao.»

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Tovarich guardò il cadavere dell’uomo con la barba. Ilterreno era impregnato di sangue. Gli occhi ancora aper-ti. Il sangue era marrone, come quello di sua madre.Tovarich sputò su quegli occhi aperti. Mise il kala inspalla, guardò un attimo le stelle e comiciò a cammina-re verso nord. Quella notte si fermò a dormire sulla collina sopraMazar i Sharif. Qui una volta coltivavano il miglior has-hish afgano. Il Nero di Mazar. Altri tempi. Tovarich siaccorse con stupore che forse poteva dormire. Si avvol-se nella coperta. Sentiva lontana una nenia e una voce didonna, sua madre. Dormì e gli sembrò di volare nellanotte stellata e fredda dell’Afghanistan. Dormì dopoanni di insonnia. Dormì e sognò sua madre. Sognò alungo.

Mazar i Sharif era una città liberata. E come tutte le cittàliberate puzzava di cadavere. Gli Uzbeki di Dostumerano ovunque, c’erano anche gli Azeri, con gli occhiche brillavano di vendetta e i coltelli ancora insanguina-ti alla cintola. Erano stati gli Azeri a pagare il tributo disangue più alto all’occupazione talebana. Avevano resi-stito fino all’ultimo. E li avevano ammazzati fino all’ul-timo. Prima una pistolettata sui genitali, poi, qualchevolta, il colpo di grazia alla testa. Ora potevano pren-dersi la rivincita. Fuori dalle città divisioni tajike delPanshir, gli uomini che avevano combattuto con Masud.Anche loro avevano la luce della vendetta negli occhi. Appena fuori dalla città il carcere, con 800 prigionieri.Talebani e miliziani di al Qaeda. «Pronto, Maggior Generale, sono qui a Mazar i Sharif.»«Benvenuto nella Terra Promessa, Tovarich. Se vuoidivertirti stasera vai dalle parti del carcere. Attentoperò. Aspetta le esplosioni, e solo dopo unisciti allafesta!»

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«Che festa?»«Una bella festa Tovarich: “no prisoners”. Come dicevaquel frocio di Lawrence!»«Chi, Sir?»«Un inglese che tanti anni fa combatteva con voi bedènell’Hejiaz. Comunque ricordati. Dopo le esplosioni e...“no prisoners”!»«D’accordo, Sir... “no prisoners”.»

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Le notizie corrono velociIl massacro dei prigionieri a Mazar i Sharif era appenaterminato. Il messaggio era chiaro. I talebani lo capironoal volo. Iniziarono le defezioni di massa. Fu tutto il fron-te sud a mettersi in moto. I talebani sembravano dissol-versi nel nulla. Adesso erano i pashtun. Anche primaerano pashtun, ovviamente, solo che adesso erano passatidall’altra parte, in massa. Facevao a gara a consegnare gli“stranieri” e gli “arabi” di al Qaeda. Formarono un gover-no... si riunirono in Germania... cercavano di passare perpersone civili... Una dopo l’altra caddero Kabul,Jalalabad, Kandahar... Sui monti di Tora-Bora venneo rganizzato un poligono di tiro per i bombardieri. La cac-cia a bin Laden e a Omar continuava... inutilmente...Il nuovo Governo si insediò in pompa magna...«È come se in Italia avessero fatto Patrizio Peci presi-dente del consiglio!» commentò Parvus, disgustato.

America!Cosa cazzo stavo facendo a Roma? Qui non c’era piùnulla da fare. Qui bisognava andare negli USA. Se vole-vo davvero capire qualcosa. Mi ci vollero non più di dieci minuti per prenotare unvolo Roma-Los Angeles (crisi delle compagnie aree: chedelizia!). Poi telefonai a un piccolo albergo che conosce-vo vicino a Hollywood Boulevard, un posto da scrittorianni ’50, con una deliziosa piscina fra palme e banani permeno di 100$ a notte nella suite. Poi telefonai aMidnight.«Honey?»«Sono io, cretino.»

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«Perchè cretino?»«Sai che ore sono a Los Angeles?» Rabbrividii ed evitaidi lanciarmi in calcoli complicati. Ci voleva una battuta!«Non è mai troppo tardi per dirti che ti amo!»«Cosa vuoi, cretino?»«Dirti solo che sto arrivando.»«Quando?»«Dopodomani all’aeroporto.»«Vengo a prenderti. Buona notte.»«Goodnight darling.» Sudando, riattaccai. Feci i bagagli. Aprii il computer,guardai la posta. Trovai due lunghi file, quelli che miaveva mandato Midnight. Dissi: «Oh Cristo, per fortu-na... me li leggerò in aereo.» Li stampai.Salii sull’aereo semivuoto. A qualcosa Osama serve! Mi ero appena seduto che unavoce dalla carlinga disse che era un volo “no smoking”.Bestemmiai ad alta voce.E poi si lamentano che dirottano gli aerei, io questo lodirotterei a Cuba, giusto per farmi una scorta di sigari!Disperato aprii il fascicolo con le e-mail di Midnight 68.Dopo qualche ora che leggevo chiesi alla hostess un dop-pio whisky. La hostess gentilmente mi rispose che nonpoteva portare un doppio whisky.«Allora mi porti un whisky, poi prenda il bicchiere e infi-ne me ne porti un secondo in rapida successione...»“Osama...” pensai.Continuai a sfogliare le carte.Dunque, questa storia di Promis sembrava proprio unromanzo. Promis è un software prodotto dalla Inslaw. Caratteristicadi questo software è poter integrare fra di loro databasescritti in linguaggi e programmi diversi.

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Sarà stato vero? Vallo a sapè. Comunque visto che tutti ilinguaggi alla fine si riducono al binario 0/1 sarà statoanche possibile. Boh. 1. Questo software nella versione prodotta circa venticin-que anni fa piaceva molto al dipartimento di Giustizia. Inparticolare a un certo Ed Meeds. Fin qui nulla di strano.2. Però, a detta di Hamilton, il proprietario della Inslaw,incominciarono a succedere fatti strani. Ricevette richie-ste di assistenza da soggetti a cui lui non aveva mai ven-duto il software. Si insospettì. Iniziò una vicenda legaleinfinita. Fin qui tutto “normale”. La pirateria informaticaè un costume tollerato, anche se non ammesso, pure nellaPubblica Amministrazione.3. Poi incominciò una catena di morti. Questo era giàmeno normale. Sommando i vari testi ne contai almenododici. Meglio che in 10 piccoli Indiani!4. Il problema era che questo software aveva una “back-door”, non nella versione originale, ma in quelle “pirata”successive. Attraverso la “backdoor” era possibile entra-re in tutti i computer che avessero installato Promis.Gagliardo! 5. Ora sembrava che mentre Hamilton era impegnatonelle sue cause civili, qualcuno fosse riuscito a venderela versione modificata (con la backdoor) a molti servizisegreti. Compreso il Mossad e il Canada. I canadesi siincazzarono e aprirono un’inchiesta.6. Un giornalista, Danny Casolaro, venne trovato morto,nel 1991, in un hotel del West Virginia. Le vene dei polsierano tagliate. Nessun’idea di suicidio manifestata inprecedenza. Danny stava lavorando al caso Promis eaveva parlato con Hamilton poco prima: secondoHamilton era come il gatto che aveva visto il canarino. 7. Da quel momento le morti si susseguirono. Fra gli altricitati nei voluminosi rapporti anche Robert Maxwell (l’e-

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ditore) e Bill Mc Coy, un ex agente investigativodell’Esercito. Venne tirata in ballo anche la Wackenhut ealcune sue strane attività, fra cui la produzione di metan-fetamina nella riserva indiana di Cabazon. Tutto sembra-va girare intorno alle testimonianze di uno strano einquietante personaggio: Michael Riconosciuto.8. Diverse notizie davano Promis anche nelle mani di binLaden. Se ciò fosse stato vero e se fosse stata vera lacapacità di Promis di entrare via “backdoor” nei sistemidi sicurezza, forse molti misteri sull’estrema vulnerabili-tà del sistema di sicurezza americano l’11 settembresarebbero potuti essere spiegati. Ipotesi... Ipotesi. Mainessuno che mi desse uno straccio di prova!Proprio in quel momento la mia attenzione cadde su unaltro foglio che stava nella cartella. Si parlava di un altroconsigliere di W. Bush, uno che in El Salvador eraresponsabile della morte di almeno 35.000 persone:Elliot Abrams. Direttore dell’Ufficio per l’AmericaLatina del Dipartimento di Stato, fu costretto ad ammet-tere di aver mentito dalla commissione di inchiesta suIran-Contras. Ha precedenti agghiaccianti. Quando duegiornalisti americani provarono l’esistenza di un massa-cro di donne e bambini in El Salvador, perpetrato da mili-tari americani, Abrams operò per screditare i giornalisti.Ora fa parte del National Security Council, insieme aJohn Negroponte e Otto Reich. I “falchi” dell’ammini-strazione Bush.

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Los Angeles: ore 9.45 a.m., ora localeScesi dall’aereo dicendo: «Mai più, mai più... la prossi-ma volta vengo in nave. 20 ore senza fumare: 20 ore, diobono.»Sbrigate le formalità mi trovai in un bar all’aperto peraspettare Midnight. Il “nostro” bar. Accesi un Montecristo “A” che ero riuscito a nasconderealla dogana (i cubani negli USA stanno ancora sottoe m b a rgo). Il Montecristo A è un Grand Corona, il forma-to più grande dei sigari Cubani. Sentii su di me gli sguardi di disapprovazione della plebeigienista made in USA. Fumai sfrontatamente. Poi sentiiuno sguardo d’invidia. Un signore corpulento e benvestito seduto qualche tavolo vicino al mio. Nei suoiocchi si leggeva il dolore per un piacere smarrito damolti, troppi anni. Mi commossi e, generoso, tirai fuori il portasigari e neoffrii uno all’ammasso di carne parcheggiato più in là.Vidi circa 200 kg muoversi con una agilità straordinariae insospettabile. Sentii una voce ringraziarmi in un pre-zioso accento di Boston. «Hasta la victoria!» dissi«Siempre!» ribadì convinto il grassone.Pensai che i “puros” erano l’unica giustificazione perchéFidel rimanesse ancora al potere.

Midnight arrivò. Chissà perché non invecchiava mai. Era ancora più bella della foto di cui mi ero innamoratodieci anni fa su un sito “esclusivo a luci rosse”. Stranastoria. Comunque funzionava. Dio benedica Internet!Midnight si sedette vicino a me, ordinò un Manhattan,

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disapprovando con lo sguardo il litro e mezzo di birraBudweiser che avevo davanti, e disse:«Benvenuto in America, Ciccio, il paese dove cadono gliaerei come foglie in autunno ...» «Smettila di chiamarmi Ciccio se no incominciamo a liti-gare subito!» Imperturbabile Midnight con quel suo accento del Sud:«Ok, Ciccio, muovi le chiappone che la macchina è insosta vietata. Dobbiamo andare a Melrose.» «E chi c’è a Melrose?» dissi, trangugiando d’un colpol’ultimo mezzo litro di Bud. «C’è il Generale Sherman che ci aspetta.» Quasi mi soffocai con la Birra: «Chi?» «Non lo so, credo che sia il suo nome in codice... è unpezzo grosso del Dipartimento, è la “gola profonda” dicui ti avevo detto» «Strano.» «Strano cosa?» chiese Midnight. «Il soprannome, possibile che proprio tu che sei unasporca sudista non sappia chi era il Gen. Sherman?»Midnight fece una espressione di quelle che non glienepoteva fregare di meno. «Ma che vi insegnano a scuola, a masticare le gomme?»sbottai, non senza qualche ragione. «Insomma, chi cavolo era questo Sherman?»«Era un generale di cavalleria nella guerra di secessioneamericana. Combatteva sotto Ulysse Grant, un nordista.Un nordista che odiava i sudisti come pochi. Organizzòun’incursione di non ricordo più quanti reggimenti dicavalleria dietro le linee confederate. Passò per BatonRouge, raggiunse Atlanta e la bruciò» «Peggio di Osama!» disse Midnight«Molto peggio. Bruciò i campi di cotone, liberò gli schia-vi, distrusse le grandi ville coloniali dei piantatori sudi-

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sti, distrusse ponti e ferrovie. Mise il Sud in ginocchio!»«Vedi che bello sapere la storia» ribattè Midnight «Sairaccontarmi solo storie di guerra, noioso!»«Beh, i negri violentarono anche qualche signorina bian-ca della Carolina del Sud!»«Già questo è più interessante, dai andiamo Ciccio o fac-ciamo tardi!»Sherman ci aspettava in un bar molto elegante suMelrose. Era alto, molto alto. Capelli biondi corti, occhiblu. Avrà avuto sui settanta. Sembrava un vecchio soldato yankee, con il suo blazerblu e la cravatta che dava sul giallo. «Mr. Sbancor?» chiese serio.«Eccomi qui» dissi, tendendogli la mano. Una strettaforte, virile. “Sì” pensai “Questo era un soldato.” «Piacere.» disse «Cosa gradisce? Io propendo per un OldFashioned» «Anch’io» dissi pregustandomi il whiskey Four Roses,con ciliegina, angostura e una zolletta di zucchero.Midnight prese un altro Manhattan.«Perché ha deciso di parlare proprio con me?» chiesi.«Perché lei magari è così pazzo da scrivere quello che leracconterò.»Feci un brindisi: «Ai pazzi della Grande Te r r aAmericana!»«Questa non è più una grande terra» disse Sherman teso«questa è una maledetta palude piena di serpenti veleno-si e alligatori. Questa era una gran terra. Quando ci sonovenuti i miei bisavoli, subito dopo i Padri Pellegrini.Costruirono una casa nel New England, coltivavano icampi, sparavano ai tacchini e agli indiani.Benedicevano il Signore. Erano scappati dall’Europa edalle guerre di Religione. Questa era la “loro terra”. Quando ci fu la guerra con gli

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Inglesi il mio bisnonno combatté a Trenton insieme adHamilton. Passarono il fiume gelato la notte e attaccaro-no i mercenari tedeschi la mattina. Fu la prima vittoriadel Generale Washington.»«E ora?»«Ora non ci sono più mercenari tedeschi. Ora i mercena-ri siamo noi» disse Sherman triste «E questa è una male-detta e schifosa palude! Peggio del Vietnam.»«Lei c’è stato?»«Sì. Da-Nang fino a Saigon. Ero lì nell’offensiva del Tet.Ero nella fanteria. Niente corpi speciali. La buona e vec-chia fanteria americana, quella di Gettysburg!» «Allora conosceva molta della gente di Phoenix.»«Avrei preferito non conoscerli. Sì, li conoscevo tutti,quella banda di delinquenti. È lì che è cominciato quelcancro che non c’ha più lasciato. Quel cancro che oggiabbatte le torri, semina antrace e chissà quanti braviragazzi farà morire chissà dove. Lei conosce la StoriaAmericana?»«È uno dei massimi esperti» disse Midnight interrom-pendoci. «Non fa che parlare di J. P. Morgan, diRockfeller, di Carnegie, del Colonnello House...»«Quelli erano vecchi tempi, era il “Secolo Americano”.Non dico che non facessimo cazzate anche allora, ma,come dire, c’era una visione, almeno per qualcuno. Malei, è italiano, perché si occupa di queste cose?»«Perché da ragazzo andavo a una scuola cattolica dipreti irlandesi. I Christian Brothers. E avevo due miti.Martin Luther King e Bernadette Delvin. Poi ci sonostate Memphis e Londonderry. E non ho più miti, nonsono neanche più cattolico. Nel mio cuore ho solo l’odioper chi ha distrutto i miei miti di ragazzo. E se lo trovol ’ a m m a z z o ! »«Forse non siamo troppo diversi.»

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«E oggi, cosa succede oggi in America?»«Oggi niente più visioni. Solo dollari. Dollari e Potere.»«Ma qual è stato il punto di rottura?» chiesi.«Chi può dirlo. Forse l’omicidio Kennedy. Certo il padreJoseph era un vecchio contrabbandiere e con la Mafiatrafficava anche lui. I figli poi non erano quei santi checredevate voi Europei. O forse prima, durante il Maccartismo. Insomma primac’era una generazione fatta di Dashell Hammet, LilianHellmann, Tennessee Wlliam, Steinbeck, Faulkner,Hemingway. Ora ci stanno soltanto puttane e mafiosi,affaristi senza scrupoli, gente senza idee. Sono troppovecchio per fare l’hippy o il no global... La mia genera-zione è andata tutta...»«Ma l’11 Settembre?»«Se fossimo in Italia lo definirei un tentativo di colpo distato. Ma in America non si può. Volevano, e in parte vogliono ancora, la guerra totale aquante più nazioni è possibile, un sistema di sicurezzainterna di tipo imperiale, la fine della libertà, della nostralibertà. Hanno paura della crisi economica, hanno pauradi un altro 1929.» «È possibile... ma poi che è successo?»«Solo chi aveva messo la carne sul fuoco poteva cuci-narla: sono gli stessi che hanno deciso che per adessobasta la teoria del “colpevole unico” come con LeeOswald, come con Timothy Veight. Hanno creato ilMostro, Osama, e adesso lo devono distruggere. Come aHollywood.»«Ma allora anche Oklahoma City è... Gesù...»«Oklahoma City, l’Egyptair, il Twa, non è la prima voltache “gli islamici” ci provocano, ma finora siamo riuscitia coprire tutto.»«Ma a Oklahoma City non erano le milizie, quelli di

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Waco?»«Sì, anche adesso le milizie sono al lavoro con l’antrace.A Oklahoma City c’era Frank Terpil, le basta?»«No.»«E allora le racconto un aneddoto. A duemila miglia daOklahoma City, mentre la bomba esplodeva, adAlbuquerque era in corso una conversazione telefonicafra “Big Al” Carone, un ex agente CIA, implicato con laMafia e Ted Shackley. La telefonata fu casualmente inter-cettata dalla figlia di Carone su un'altra linea. Ted e BigAll stavano parlando del primo attentato al World Tr a d eC e n t e r. Carone disse “Stanno andando avanti!” si riferivaovviamente ai terroristi islamici. Ted invece disse “Nontroveresti interessante che si scoprisse che sono terroristidi qui?” Carone sbalordito chiese “Scusa!?” e Ted, secco:“Esattamente quello che ho detto”.»«Ted sapeva già qualche secondo dopo l’attentato dovesarebbero state indirizzate le indagini?»«Sì.»«Succede anche da noi» dissi triste, pensando a tutti imorti delle stragi italiane degli anni ’70 e ’80.«Qui invece abbiamo la teoria: ha mai letto The ThirdOption di Ted Shackley?»«No, per fortuna.»«Avrebbe dovuto farlo. La “Terza Opzione” non è quelladi arrivare alla pace dopo aver vinto una guerra. La“Terza Opzione” è la possibilità di mantenere un climapermanente di “Counterinsurgency Operations”.Compreso il “terrorismo domestico”. L’obiettivo in questo caso sono gli States: il loro sistemadi libertà.»«Siamo a questo punto?»«No, siamo già oltre. Non sa nemmeno quanto oltre. Già,dopo Oklahoma City Clinton promulgò the “Anti-

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Terrorism Bill”... acqua di rose rispetto al progetto Bush-Aschroft...»«Ma insomma, lei mi sta dicendo che c’è una Cia paralle-la che vuole un “colpo di stato” in America e che è dispo-sta a far crollare le torri, bombardare il Pentagono e faretutto questo casino?»«Sono capaci anche di peggio...»«Sì, ma chi sono?»«Un gruppo di ex agenti segreti, mafiosi, industriali delcomplesso militare industriale, banchieri mediorientali,come quelli della BCCI, petrolieri. Insomma la “feccia”che ha espresso il primo Presidente Americano ex Capodella CIA: George Bush. E Bush ha fondato una dina-stia. E questa dinastia ha i suoi boiardi che la dirigono,la sostengono la condizionano... siamo caduti molto inb a s s o . . . »«Sì, ma dove inizia l’autonomizzarsi di questo gruppo,dico la parte operativa, gli ex agenti?»«Tutto comincia con “Executive Order 12333” durante laPresidenza Ford. Vietano l’omicidio politico alleAgenzie di Stato. Ma non vietano al Presidente di ordi-narlo. Solo non può essere un funzionario pubblico a spa-rare. La distinzione è sottile. Lì si privatizzano l’intelli-gence e la sicurezza. Agenzie private sostanzialmenteautonome, e non sottoposte all’approvazione del con-gresso. EATSCO, Stanford Technologies, Intercontinen-tal Industries, E-Systems, Southern Air Transport, esoprattutto Wackenhut, quella banda di assassini. Sa chic’è nel loro “board”?»«No...»«Da William Casey in giù, tutti gli ex direttori CIA e FBI.Compreso Frank Carlucci.»«Ma Frank Carlucci non è il “mentor” di Armitage?» «Certo, e se cerchi nella merda in Medioriente lo trovi

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dovunque. Ma ce ne sono tanti ex di Phoenix. Basta cer-care nel giro di “Peregrine”, una società che affitta mer-cenari. Ci trovi le tracce di Hunt, l’organizzatore dellaBaia dei Porci e del golpe in Cile, come Robert “Stretch”Stevens, il capo delle operazioni marittime per conto diShackley, dalla Baia dei Porci all’Iran Contras...»«Cristo Santo! Ma c’è ancora qualcosa che mi sfugge.Voglio dire intorno a questa storia ci sono diversi inte-ressi, petrolio, droga, il complesso militare industriale.Poi c’è una economia, quella americana, che ha bisognodi una guerra ogni 10 anni per non andare in sovrappro-duzione. Ma come si compone il quadro? Insomma, sonomondi diversi, interessi contrastanti. Kissinger lavoravaper i talebani prima di diventare il paladino dello “scon-tro fra civiltà”.»«È mai stato a Las Vegas?»«Sì.»«Come è che si vince lì?»«Stando contemporaneamente dalle due parti del tavolo.»«Anche qui.»«Capisco.»«È la teoria della “Controinsurrezione”. Si devono pro-grammare attentati per far decollare progetti di repressio-ne sempre più spinti, rendendo sempre più labile il confi-ne della legalità. Ma questo crea dei “falsi amici” chesono anche “falsi nemici” che qualche volta diventanonemici veri. Come Noriega, Milosevic, Saddam, Osama.Solo che quando il gioco è iniziato nessuno controlla piùle mosse: solo le “contromosse” sono prevedibili.»«Ma questo non è un Impero: è un gran casino!»«Voi europei avete una strana concezione dell’Impero.Pensate a Cesare. Ma chi era Cesare senza Crasso? Sieteinguaribilmente romantici. Qui ci sono gli interessi eco-nomici. Generali e particolari. Poi ci sono i geopolitici

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che fanno i piani, da Kissinger, fino a Luttwak. Questi hanno obiettivi strategici: l’Eurasia, il Sud delMondo; a proposito, lo sa che siamo in guerra dagli anni‘70 contro il sud del mondo? Si legga la raccomandazio-ne NSSM200. E poi ci sono quelli che fanno il lavorosporco. I quali non sono stipendiati, no, sono imprendi-tori in proprio, privatizzati. E quando il lavoro non c’è selo creano. Noi il problema dei “reduci della guerra fred-da” lo abbiamo risolto così!» «Goddamn!»«La smetta di bestemmiare. E d’altra parte noi siamoprofondamente moralisti. È questo che ci frega. Nonsiamo capaci come voi Europei di dichiarare una sempli-ce guerra di potenza. Noi non abbiamo nel nostro DNAil “vostro” imperialismo. Noi veniamo dalla più granderivoluzione dell’era moderna. Si ricordi la nostra costitu-zione “We the people of America...!»«Beh, c’ha collaborato anche Filangeri...»«Sì ma il punto è un altro. Quando noi dobbiamo dichia-rare guerra occorre che sia il nemico ad attaccarci perprimo. È una tradizione e un obbligo morale. Da FortAlamo, all’autoaffondamento del Maine, da PearlHarbour al Golfo del Tonchino. Sarebbe stato così anchecon Cuba: si legga l’operazione “Northwood”, è statadeclassificata di recente.»«Sì, ma adesso?»«Dunque lei voleva nomi e cifre: eccoli...»Quando il Generale finì di parlare, riposi il taccuinopieno di appunti e di cifre. Ero pallido. Stavo per avereun’altra delle mie crisi. Mi accorsi che stavo salutando ilGenerale. Come se fosse un altro a salutarlo. L’altro siaccorse che stavo ordinando un altro drink. Si accorseche Midnight mi teneva la mano stretta e mi guardavacon paura. Anche con amore ma soprattutto con paura.

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«Andiamo» disse«Dove?» chiese Midnight. «In vacanza. Hai mai scalato il Mattehorn?» «No, dovè?» «Vicino a Yosemite, sulla Sierra.» «Andiamo» disse Midnight. E mi baciò.

This Land is your Land?Riflettevo mentre la macchina andava lungo la “One”quella strada meravigliosa che passa da Big Sur, aMonterey, su fino a San Francisco. L’Oceano sulla sini-stra e boschi meravigliosi pieni di cervi, di bluebird, discoiattoli. Pensavo all’America. A quando leggevoHemingway e Kerouac, pensavo a Dos Passos. Amavol’America, forse l’amavo quanto il Generale Sherman.Ma come erano potuti finire così?«This Land is your Land» canticchiavo «This Land is myLand,/ from California to the New York Island, /from thered wood forest to the gulf stream water/ this land wasmade for you and me...» Midnight mi guardava. Sapevache stavo pensando ad altro.Dunque avevano fondato un Impero, il più grandeImpero della Storia. Ma per farlo avevano dovuto bararecome ladri. Non solo sulla moneta, ma anche peggio.Avevano assoldato tutta la feccia della terra pur di com-battere i “rossi” e adesso erano talmente incastrati con lafeccia da non poterla più distinguere. La feccia si rivoltava. Voleva essere pagata. Ma adessoloro non potevano. E allora la feccia ricattava. Loroerano costretti a coprirla, come a Oklahoma City, comesull’Egypt Air, come sul TWA. Ma poi la feccia esagera-va e buttava giù le Torri. Ora avevano solo due scelte. Osmantellare tutto il sistema della “feccia”, tutto: droga,armi, capitali riciclati, paradisi fiscali, capi di stato cor-

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rotti, le grandi corporations, i consigli di amministrazio-ne delle banche d’affari ecc. ecc. Quanti soldi e quantimorti in questo scenario? Tanti. Troppi. E poi potevanofidarsi dell’Europa e del Giappone?Oppure... oppure continuare il gioco. Ma per continuarlodovevano essere sicuri che nessuno avrebbe parlato, e la“storia della feccia” in realtà ormai la sapevano in molti.E allora dovevano imbavagliare la stampa, chiudere leradio, mettere sotto controllo Internet, dare più poteriall’FBI e alla CIA, montare una campagna d’allarmesociale. Insomma il “terrorismo”. Il “terrorismo e ilfascismo”. Mi ricordai di un’agenzia: diceva che ilGuardasigilli Ashcroft faceva parte del Ku Klux Klan. Cimancavano solo gli “incappucciati” e le croci in fiamme! «This Land is your Land...» mi accorsi di avere gli occhirossi... colpa del vecchio “Woody”. Chiusi gli occhi, tiraifuori la bottiglia di Jack Daniels dal cruscotto. Diedi unalunga sorsata. Respirai l’aria fresca dell’Oceano. Bevvidi nuovo. “Per fortuna che guida Midnight” pensai. Ecominciai a dormire.

DiarioPassammo la notte a Bridgeport, una strana città sull’al-tipiano prima di arrivare alla Sierra. Una volta era unposto di cacciatori. Non era raro vedere cervi sanguinan-ti sul portapacchi delle macchine. Così la vide JackKerouac negli anni ’50.Adesso non c’erano più cacciatori, con buona pace degliambientalisti. Era un classico paese western, una cittàfantasma, rimasta intatta per il gusto dei pochi turisti.C’era una specie di saloon con una malfamata sala dabiliardo frequentata da camionisti autentici. C’era un pic-colo Museo del West, con una pistola che sembrava fosseappartenuta a Billy the Kid. Ma soprattutto c’era un

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incredibile “hotel”, o meglio ciò che una volta dovevaessere un bordello per cowboy e oggi per turisti. Tuttoricordava quelle case. Dalla pianola alle tende rosa broc-cato, al letto, fino al comodino con i pitali e la brocca perlavarsi. Io e Midnight ci accampammo lì per la notte. Fratravi scricchiolanti e il vento gelido della pianura. Ciòche accadde quella notte sono fatti nostri, e comunquenon mi pagate abbastanza per raccontarlo.

Partimmo la mattina all’alba, direzione Matthehorn. Unpiccolo viaggio in auto nella pianura... un cervo mortoall’angolo della strada... altri che sgambettavano davantialla macchina. Lasciammo l’auto e cominciammo a sali-re fra le rocce e la neve. Respiravamo l’aria gelida dellaSierra. Chiazze di neve, pietre e mughi. Man mano ilpaesaggio cambiava. La montagna era vicina, ancorainvisibile nella nebbia rosa, eppure si sentiva.Camminavamo piano, mano nella mano. Felici, stupida-mente felici.

La macchina uscì dalla nebbia. Una macchina nera... Ifari furono l’ultima cosa che vidi prima di cadere. Tenevoancora la mano di Midnight.Neanche oggi sarei salito sul Matthehorn.Per fortuna faceva freddo. Il dolore lo avrei sentito dopo.E anche il resto.

Sette ore ed eravamo a Tijuana e lì trovai la morfina.Midnight aprì un occhio. L’avevo riempita di Toradol, unantodolorifico forte, per la mia artrosi. La sua voce veni-va da un altro mondo. «Dove stiamo andando?» «Messico, darling, Messico. Ho giusto un amico ban-chiere da quelle parti che ha una casa fantastica e una

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piscina...» Mi interruppe. Non sono sicuro, ma mi sem-brò che dicesse: «Vaffanculo brutto stronzo!».Midnight si fermò a Città del Messico. Ultima fermata.Evidentemente aveva trovato qualche comune interessecon il mio amico banchiere. Io proseguii per BuenosAires seguendo il consiglio del banchiere: «Neanche uncretino si rifugia in un posto come l’Argentina ora!»Appunto.Intanto l’inferno proseguiva inesausto.

Ora c’è l’Iraq. Prevedibile. Saddam non era forse unagente CIA quando studiava al Cairo? La lista prosegue.Noriega, Saddam I, Milosevic, Osama, Saddam II.Qualcuno sta regolando i conti in famiglia. Qualcun altrosta sistemando i conti degli USA.

Lo sapete che un miserabile dollaro investito in warfare,cioè nell’improbabile risposta a un attacco all’America,e, più realisticamente nel complesso militare industriale,ha un ritorno sul moltiplicatore del PIL di 2,5 fottutissi-mi dollari?No?E allora studiate, ragazzi, studiate.

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“Ma io so, in qualche modo, che soltanto quando è abbastanza buio si riescono a vedere le stelle...

Qualcosa sta accadendo nel nostro mondo. Le masse dei popoli si stanno sollevando.

E dovunque esse siano radunate oggi, siano esse a Johannesburg in Sud Africa, a Nairobi in Kenia,

ad Accra in Ghana, nella città di New York, ad Atlanta in Georgia, a Jacksom, Mississipi

o a Memphis, Tenessee il grido è sempre lo stesso:Vogliamo essere liberi!”28

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(28) Marthin Luther King, Sono stato sulla Cima della montagna... discorso tenu-to a Memphis, Tenessee, il 3 aprile 1968, il giorno prima di essere ucciso.

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AbediBanchiere, fondatore dellaBCCI, finanziatore del pro-getto nucleare pakistano.

Angleton, James JesusCapo della CIA dal 1948.Silurato da William Colby.Responsabile della fuga deigerarchi nazisti. Amico esupporter di Pinochet, impli-cato nell’omicidio Kennedy.Ottimi rapporti con papaMontini. Un uomo moltotemuto. È morto l’11 maggiodel 1987.

Bush, GeorgeIl primo capo della CIAnominato Presidente degliStati Uniti d’America.

ALBUM DI FAMIGLIA

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Colby, WilliamCapo della CIA. In Italia,nell’immediato dopoguerracollaborò alla creazione dellaRat Line, la linea di fugadegli ex gerarchi nazisti.Implicato nello scandaloBCCI. Muore in uno strano inciden-te in canoa.

Dulles, AllenAl centro. Viene dall’OSS, èstato direttore della CIA esviluppò l’arruolamento dinazisti nell’Agenzia. Azioniin Indonesia, Vi e t n a m ,Gatemala, Cuba ecc. Fu silu-rato da Kennedy dopo il di-sastro della Baia dei Porci. Sisospetta un suo ruolo nell’o-micidio Kennedy.

Casey, WilliamCapo della CIA. Uomo diReagan per cui gestìl’October Surprise. Implicato nello scandalo IranContras. Muore di tumore alcervello poco prima di testi-moniare sull’Iran Contras.

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Giancana, SamCapo Mafia, killer, implica-to nell’omicidio Kennedy,implicato in tutte le opera-zioni CIA anticastriste. Fuucciso nel 1975. Non appena il direttore dellaCia, Colby, seppe dellamorte di Giancana dichiarò:“Noi non abbiamo nulla ache fare con questa storia”. Ma una delle sue figlie hadichiarato che gli USAavrebbero dovuto dare unamedaglia al padre per i servi-zi resi al governo.

Ghelen, gen. RichardCapo dei servizi segreti diHitler in Russia. Poi capodell’Organizzazione Ghelen,un gruppo di nazisti chedopo il 1945 agivano controla Germania Est. Infine,membro dell’OSS e quindidella CIA. Riorganizzò squa-dre di ex SS all’interno dellaCIA, collaborò all’espatrioin Sudamerica di molti exgerarchi nazisti. Deceduto.

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Helms, RichardMembro degli Skull &Bones all’Università di Yale.OSS e poi direttore dellaCIA. Sospettato di complici-tà nell’omicidio Kennedy.Quando lasciò la CIA d i -strusse l’80% dei documentiriguardanti covert operation.Ambasciatore in Iran, colla-borò con la Savak. Si sospet-ta un suo ruolo nell’Octobersurprise, quando gli ostaggiamericani in Iran furono rila-sciati il giorno dell’incorona-zione di Ronald Reagan.

Hunt, HowardNel 1961 viene ritenuto tra icomplici del presidente delCongo nell’omicidio diLumumba. Org a n i z z a t o r edel colpo di stato inGuatemala. Capo stazioneCIA in Uruguay e Messico.Implicato nell’omicidioK e n n e d y. Implicato nelWa t e rgate. Ora vive inFlorida. A lui è ispirato“l’uomo che fuma” dellaserie televisiva X-files.

Rapporti documentati con la BCCI e i Lupi Grigi Turchi. Lamoglie di suo nipote, Roger Helms, di nome Laila, è afganae curava le relazioni esterne dei Talebani in America, sinoall’incontro del 2001, da lei organizzato, tra il consigliere delMullah Omar e i più alti funzionari della CIA e delDipartimento di Stato.

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Seal, BarryStava con Shackley inVietnam e fu uno degli orga-nizzatori di Air America chetrasportava eroina negliUSA. Implicato nell’IranContras dirigeva i voli dal-l’aereoporto di Mena,Arkansas, scambiando armicontro cocaina. Fu uccisodavanti a un WC dell’Esercito della Salvezza dakiller del cartello di Medelin.

Rodiguez, FelixPartecipa alla Baia dei Porcie a varie azioni contro FidelCastro. Sospettato di compli-cità nell’omicidio Kennedy.Sta con Shackley in Vietname poi partecipa a Iran-Contras. Considerato daalcuni fra gli assassini di CheGuevara. Tornato negli USAnel 1979 decise di dedicarsial traffico d’armi avviandouna società con lo stessoShackley.Diventa poi consulente dellasocietà israeliana ISDS cheriforniva di armi parecchidittatori sudamericani.

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Shackley, TheodorDetto il Diavolo Biondo. È stato dentro tutte le operazionicoperte dalla CIA: Direttore della sede di Miami, Florida,durante la Baia dei Porci. Animatore dell’OperazioneMoongoose che aveva come obiettivo l’uccisione di FidelCastro. E in Laos dove tratta con Vang Pao l’appoggio deiHmong alla lotta contro i Vietcong. Traffica in eroina e armi.È l’animatore dell’operazione Phoenix dove oltre 30.000 noncombattenti vietnamiti furono rastrellati, torturati e uccisi.Nel 1979 in Iran con Hems.Implicato nell’October Surprise, ha un ruolo centrale nell’af-fare Iran Contras. Forse sa qualcosa anche di Oklahoma City.Muore il 18 dicembre 2002.

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Sturgis, FrankCombatte con Castro a Cuba,poi diventa anticastrista.Implicato in diversi attentatie tentativi di omidicio controFidel Castro. Fa parte proba-bilmente del gruppo di fuocoche assassina Kennedy.Secondo varie ricostruzionifu fotografato (insieme adHunt) mentre sparava al pre-sidente ma le foto sarebberopoi misteriosamente sparite.

Traficante, SantoCapomafia. Proprietariodell’Hotel National di Cubaprima della rivoluzione.Anticastrista, Baia dei Porci.Incontra Vang Pao e apre iltraffico d’eroina dal Laos edal Vietnam. Parte di questotraffico viene diretto perso-nalmente da T h e o d o r eShackley che utilizza i pro-venti per finanziare unaguerra segreta in Laos chedura dal 1965 al 1979.

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Wackenhut, GeorgeEx agente dell’FBI, proba-bilmente implicato nell’omi-cidio Kennedy. Ha creatoun’impresa che è quotata aWall Street e che si occupadi sicurezza, intermediazio-ne nella vendita di armi. Unramo della Wackenhut (laWackenhut Corrections Co.)è ora la seconda aziendanegli USA per quantoriguarda le prigioni privatiz-zate. La Wackenhut ha pro-babilmente venduto fornitu-re per realizzare armi chimi-che all’Iran nel 1990. G e o rge Wackenhut è unamico di lunga data diGeorge Bush e ha contribui-to alle campagne elettorali diBush Sr. e di George W.Bush.

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INDICE

PrefazioneSbancor, o dello stimolo al ragionamento pag. 3

American Nightmare Incubo Americano pag. 7Buenos Aires, dicembre 2002 pag. 9La fine del pensiero unico: dalla crisi del neo-liberismo ai nuovi scenari geo-politici pag. 10L’affare Iran-Contras pag. 13Lo scandalo Watergate pag. 13Il Programma “Phoenix” pag. 14L'Amerikano pag. 18Arcipelago Toscano: “Bagno delle Donne”. 11/9/2001 Italia pag. 21La Storia di Ted (1) pag. 29Roma. Italia. Pianeta Terra. Il mio Sogno A m e r i c a n o … pag. 33Teleguerra! pag. 37E iniziava la guerra Afghana pag. 40Scenari, geopolitici scenari pag. 42Della Cultura, dell’Islam, e dell’ignoranza…La cartina di Huntington pag. 49Buenos Aires pag. 50Economics.doc pag. 52Warfare di Parvus pag. 58Apocalypse Now! In diretta dalla Sala Ovale pag. 69I danni dell’ignoranza: quando un polacco anglofilo si occupa di Islam! pag. 72Intervista a Zbigniew Brzezinsky pag. 72Gli USA e il petrolio pag. 75Gli occhi di Tovarich (1) pag. 85Ciudad de l’Este pag. 88L’Islam che non c’è pag. 89L’Islam antico pag. 90I Nazisti dell’Illinois pag. 93

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Quella guerra sconclusionata pag. 94La Storia di Ted (2) pag. 97Il Tramonto dell’Occidente pag. 99Dentro la rete del Terrore pag. 105Riepilogando pag. 110Attacco USA: giallo su morte presunta spia americana pag. 111La Storia di Ted (3) pag. 112Antrax pag. 118Midnight 68 pag. 120Questioni di soldi pag. 122Manhattan Danger pag. 126Gli occhi di Tovarich (2) pag. 128Roma 10 novembre 2001 pag. 129Roma 10 novembre 2001 pag. 130Roma 10 novembre 2001 pag. 131Uccisa una giornalista italiana pag. 131A N S A - 24 novembre 2001 pag. 133Gli occhi di Tovarich (3) pag. 135Poppy Flowers! pag. 137Gli Occhi di Tovarich (4) pag. 140Le notizie corrono veloci pag. 143America! pag. 143Los Angeles: ore 9.45 a.m., ora locale pag. 147This Land is your Land? pag. 156Diario pag. 157

Album di Famiglia pag. 162

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I valori su cui possiamo metterci d’accordo non sonoquelli scritti nei libri, non appartengono a nessunabiblioteca, ma vivono nel cuore di ognuno. Sono i piùsemplici. Esiste forse una civiltà che odia i bambini? Ècomune fare i bambinie amarli. E allora mettiamocid’accordo: tu non ammazzi mio figlio, io non ammaz-zo il tuo. Se vogliamo scriviamolo pure, ma non ce nesarebbe neanche bisogno, questi sono valori di tutti.

dalla “Conversazione con Tiziano Terzani”

L’intero ricavato del libro è devoluto a Emergency

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TUTTO QUELLO CHE SAI È FALSOLa guida ai segreti e alle bugie dell’informazione

Un’antologia dei migliori scritti di informazione alternativa che negli Stati Uniti èdiventata un libro cult e di grande successo.

Giornalisti investigativi, ricercatori, commentatori e accademici (tra cui Naomi Klein,William Blum, Howard Zinn, Greg Palast, Howard Bloom, Noreena Hertz) fornisco-no prove documentate e rivelazioni mai pubblicate prima sulle vicende più scottantie sui temi più controversi: la globalizzazione, l’11 settembre, le industrie farmaceu-tiche, la mucca pazza, la strage di Waco, il nucleare, lo Ior, la psichiatria, il razzismo,il segreto bancario e il riciclaggio del denaro sporco, la prostituzione, la pornografia,la guerra alla droga, l’AIDS, le guerre segrete degli Usa in Sud America, i crimini Usain Vietnam e molto altro.

Alla fine di questo libro ti chiederai davvero se qualcosa di quello che ti hanno raccontato sia vero.

Di prossima pubblicazione l’edizione italiana di:

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"Noi siamo i figli di un mondo devastato che prova-no a rinascere in un mondo da creare. Imparare adiventare umani è la sola radicalità." Raoul Vaneigen

In tempi di monopolio dell´informazione, una voceindipendente, orgogliosa di esserlo.Con l´ambizione di voler proporre alternative.Quelle che noi stessi vorremmo leggere.Per cercare il non detto, oltre i condizionamentidell´industria dell´informazione, per mantenere lavicinanza a temi e a valori fondamentali, portandoin Italia il dibattito culturale internazionale. In un´inedita fusione tra libri e web, tra editoria erete. Per comunicare, in libertà, con ogni medianecessario.

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Sul sito nuovimondimedia.it articoli dalle più presti-giose voci dell’informazione mondiale, notizie,riflessioni e aggiornamenti.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2003

presso le Grafiche Zanini, Bologna