Amarcord shopping e boom a Livorno

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chiuso!”. Aggiungendo sotto pe- rò un messaggio tranquillizante ai clienti: “Per fortuna chiudo non per la crisi, ma per rinnovo locali per offrirvi più spazio in- terno”. E forse anche per rispon- dere alla grande allo sbarco del- la concorrenza. ©RIPRODUZIONE RISERVATA C’era una volta la strada dei balocchi illuminata dal boom Le tartine da Torricelli e i giocattoli da Formichini, le file davanti ai cinema, i bar eleganti e quelli malfamati, il primo supermercato La prima via Grande negli anni Sessanta e in basso immagini degli anni Sessanta e del primo ’900 di CRISTIANA GRASSO Q uanto è lungo un chilo- metro? Come via Gran- de rispondevano i non- ni, approssimando un po’, ma- gari mettendoci dentro, nel con- to, anche piazza della Repubbli- ca che per andare da Calamari a vedere il presepe gigante o a comprare la carta crespa per le recite bisognava pur attraversar- la. La risposta si scolpiva nella memoria dei bambini degli an- ni Sessanta come quel chilome- tro di luci, colori, vetrine, di emozioni e sapori. Trenta piccoli passi coi cap- pottini dal collo di velluto e le scarpine di vernice, con i calzet- toni e i pantaloni al ginocchio, al trotto per mano ai genitori per ogni tappa della spettacolare corsa del boom economico for- mato provincia. E poi fermi in- cantati davanti alle vetrine giu- ste, quelle dove la sosta era ob- bligatoria per limitare capricci e ammutinamenti. Infantili ribel- lioni da addolcire magari con il cono invernale di Torricelli, all’angolo con piazza Guerrazzi: c’era la grande bilancia a colon- na per pesarsi, il bancone sem- brava altissimo, i grandi prende- vano la tartina con l’aperitivo, i piccini appunto il cono inverna- le, una cialda a forma di cono con dentro la pasta di cioccola- to al gianduia. Quel gusto lì non si dimentica nemmeno dopo mezzo secolo, prepotente torna in bocca ma- gari passando davanti allo scaf- fale dei profumi che è proprio lì, dove prima c’erano le paste, i pasticcini e le piramidi di coni invernali. Da Ughi invece, qual- che decina di metri più in là, ge- lato Carpigiani a tre gusti o cioc- colata calda con la panna, di- pendeva dalle stagioni che allo- ra erano una cosa seria, altri sa- pori incisi nella memoria, 50 li- re, 100 lire per strafare. La mèta obbligata però era un’altra, il negozio di giocattoli che ha popolato i sogni di gene- razioni di ragazzini, Formichini. Quello storico, nella prima via Grande, vicino alla libreria Bel- forte (l’altro più moderno, nel tratto della strada che va al por- to): macchinine a pedali e bam- bole Furga, fortini con i soldati- ni, l’odore di gomma e di gioco che faceva perdere il senso del tempo. Ci sarebbero stati tutto il po- meriggio i bambini davanti alle vetrine e nei corridoi di Formi- chini ma la passeggiata doveva continuare e c’erano ancora tante cose da fare e vedere. Per esempio gli abiti da sposa e da comunione. Sullo stesso lato della strada, sullo stesso marcia- piede, i manichini sembravano statute e sfoggiavano nuvole bianche, mamme e figlie ci fini- vano sempre a dare uno sguar- do. I salotti buoni e un tinello da fare invidia ai vicini si potevano invece sognare davanti al mobi- lificio Gigante Pini che quando era Natale faceva un’albero che andava su verso il cielo e sem- brava infinito. Sul marciapiede di fronte l’Upim con la scala mobile era già di per sé un lunapark, il pri- mo grande magazzino della cit- tà: sembrava grande davvero, i bimbi si perdevano e si ritrova- vano piangenti alla cassa centra- le, “il piccolo Giovanni aspetta la mamma...” implorava l’alto- parlante ed era un evento, un brivido di paura e di celebrità, a volte di vergogna. Accanto, all’angolo con via della Madon- na, il trionfo del decoro piccolo borghese, gli abiti di Vittadello. E sotto il vestito, qualche nego- zio a ovest, c’era Tofani: bian- cheria che cercava di elevarsi a “intimo”, i casti busti tagliati a metà coscia in mutande appe- na sexy e reggiseno. All’angolo con via del Giglio invece ecco La Comba e il brivido dell’elettro- domestico che diventa indi- spensabile. Ma la prima via Grande era soprattutto terra di cinema. Il Moderno, il Grande ma soprat- tutto la Gran Guardia. Arrivò dal cielo Mary Poppins, nel 1964, e la fila di adulti e bambini occu- pavatutto il marciapiede, na- scondeva la vetrina di Talmone, piccolo negozio di dolciumi, av- volgeva il carrettino dell’omino delle seme e dei chicchi. Accade- va ogni volta che c’è un film del- la Disney, poi con il passare de- gli anni è accaduto sempre più raramente. Fino alla chiusura del cinema (di tutti quei cinema), all’arrivo di H&M e a quella fila per l’inau- gurazione che neanche pallida- mente ricordava quelle per le av- venture della baby sitter volan- te, per la carica dei dalmata, per il povero Bambi. Piazza Grande, pietra miliare della metà di quel quasi-chilo- metro. Era il paradiso dei bar e degli aperitivi. Un bar per ogni angolo, il bellissimo Gambrinus dove ora c’è la gioielleria Galle- ni, le Giubbe Rosse al di là della piazza, il bar Sole il Dolly che so- no incredibilmente ancora al lo- ro posto e con il loro nome di sempre. Qui ci si poteva fermare per una spuma, per un occhio di bue e per la pizza c’era e c’è sempre Lilli. Bisognava invece tirar dritto e resistere alla tenta- zione di sbirciare dentro davan- ti ai “barracci” della seconda via Grande. Vetri oscurati, nomi di città americane, New York Bar, San Francisco oppure Trokade- ro. Se i bambini chiedevano per- ché lì non si poteva entrare per la spuma o l’occhio di bue i geni- tori facevano finta di non senti- re o mormoravano una frase con la parola “donnacce” mime- tizzata dentro. Ma, anche se in quei bar in pochi mettevano piede, nella se- conda via Grande si sentiva co- munque più aria di porto, di fu- turo, di modernità. Certo, resi- stevano le montagne di rotoli di tessuti e quell’odore di stoffa su due piani da Kotzian (Benetton ha preso il suo posto...), resiste- vano le vetrine eleganti di Tanzi- ni, ma spingeva l’era della gran- de distribuizione. Nei palazzi più nuovi, quelli costruiti sulle macerie nei pri- missimi anni Sessanta, arrivò il primo supermercato. Si chiama- va Smec e c’erano i carrelli e le casse in fondo. Cioè niente salu- miere che ti vendeva il prosciut- to e la carta al prezzo del pro- sciutto ma buste confezionate, niente “cosa ti do bella?” ma tut- to già impacchettato. Eravamo verso la metà dei Sessanta, la prima banderilla era stata conficcata nella schie- na del piccolo commercio ma nessuno lo sapeva e l’euforia era troppo grande, si correva con quei carrelli con il seggiolino per i bambini che credevano di essere sulle giostre. Un altro lunapark per i picco- li, un altro passo verso la certez- za di far parte dell’Occidente ric- co e americano per glia dulti. Lungo i marciapiedi la confer- ma che il futuro sorrideva anche alla provincia italiana: le auto- mobili. Fiat, Alfa Romeo, Lan- cia. Pochi modelli stranieri, tan- te utilitarie, e un traffico che og- gi appare inesistente ma che al- lora sembrava già caotico men- tre le insegne al neon moltiplica- vano l’effetto metropoli. Una fe- sta di promesse, di luci. E nessu- no poteva immaginare che pia- no piano si sarebbero spente quasi tutte, insieme al sapore del cono invernale, all’odore dei tessuti di Kotizan a quello di fu- mo, noccioline e acqua di colo- nia che aleggiava nel cinema im- menso dove ogni volta che si spegneva la luce si accendeva un’emozione. @crigrasso ©RIPRODUZIONE RISERVATA da gran guardia ad h&m ❙❙ L’apertura di H&M al posto della Gran Guardia è stata il simbolo, 3 anni fa, della fine di un’era. Anche se la metamorfosi di via Grande era iniziata da tempo. ❙❙ L’Upim di via Grande (così come la Standa sull’altro lato) ha accom- pagnato le passeggiate sotto i por- tici di intere generazioni prima di chiudere e trasformarsi in Zara. una vita al dolly tra la upim e la standa Quel chilometro di vetrine e insegne al neon che racchiudeva le promesse degli anni ’60 tra le scale mobili dell’Upim e il gelato a 50 lire ❙❙ Un simbolo: il bar Dolly sotto il palazzo Grande, luogo cult per co- lazioni e pomeriggi di tè. C’era 50 fa e c’è ancora, anche se sono cam- biate le gestioni (e le abitudini). DOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 IL TIRRENO Livorno III

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Cristiana Grasso racconta sul Tirreno miti e riti di via Grande negli anni dell'euforia dei consumi

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  • di Giulio Corsiw LIVORNO

    Nel risiko della via Grande sbar-ca un altro colosso dellabbiglia-mento: Tally Weijl, brand sviz-zero con 3200 dipendenti e 800punti vendita sparsi in tutto ilmondo, di cui 160 in Italia.

    Apre Tally Weijl, ed la con-ferma che le grandi catene conti-nuano a puntare su Livorno e inparticolare su quella che ormai diventata la strada dei crocieristi(magari nella speranza che ilcrollo che ha caratterizzato gliattracchi delle love boat si inter-rompa dopo due anni disastrosiin cui da un milione di viaggiato-ri siamo arrivati a poco pi di600mila).

    Ma nessun silluda: perchper un colosso che arriva, comesempre c qualcun altro chechiude. Anzi ha gi chiuso. Sonotre negozi piccoli, che negli ulti-mi due mesi hanno alzato unodopo laltro bandiera bianca:Anni Verdi, storico rivenditorelivornese dellabbigliamentoper bambini, Thun, marchio al-toatesino specializzato in ogget-tistica da regalo griffata, e un ne-gozio di borse gestito da una fa-miglia cinese. Tre attivit diver-sissime tra loro, per storia im-prenditoriale, segmento di mer-cato e anche per futuro (AnniVerdi continua lattivit nellout-let di largo Fratelli Rosselli, men-tre Thun ha ancora la sua bellavetrina alle Fonti del Corallo),con una caratteristica comune:che si trovavano uno accantoallaltro nella prima via Grandea poche decine di metri dalle

    fontane del Tacca, quasi in boc-ca al porto. E unendo i loro fon-di e le loro tre vetrine, di proprie-t della Alassandra Nuova Srl diGiuseppe Tavani, che TallyWeijl ha trovato lo spazio giustoper aprire finalmente anche incitt il suo punto vendita, dopoaver gi aperto, con successo ne-

    gli ultimi anni a Pisa e Pontede-ra.

    I lavori di fusione e collega-mento sono iniziati il 23 genna-io. Lapertura prevista a mar-zo, conferma Romolo Miscia-gna dal quartier generale di Tal-ly Weijl Italia a Milano. A diffe-renza del negozio di Pisa, in que-

    sto caso il marchio sar gestitoin franchising.

    Ma lo sbarco (in affiliazione)del colosso svizzero non luni-ca novit della via Grande conti-nuamente cangiante: come anti-cipato dal Tirreno, in settimanaha alzato le saracinesche il nego-zio monomarca di gioielli Re-

    becca (al posto dello storico ne-gozio Perugina).

    A breve poi sotto i portici com-parir anche la statuetta di Pol-do Sbaffini, il mitico personag-gio dei fumetti amico di Bracciodi Ferro. E in arrivo infatti unanuova catena di fast food madein Italy, anzi per esser pi preci-si, made in Tuscany: il nome tutto un programma, la Taver-na di Poldo, quattro ristorantigi avviatissimi a Empoli, Signa,Bientina e Viareggio e due ban-dierine pronte per essere pianta-te a Lucca e Livorno. Incentratosu un nuovo concetto di fast fo-od, attento alla convivialit ed alpiacere del cibo (del territorio),il brand stato lanciato da Stefa-no Viviani, titolare del colossoempolese della tecnologia Ca-bel. Nonostante le selezioni sia-no aperte da tempo, sul sitodellazienda (www.latavernadi-poldo.it) si cerca ancora perso-nale per il ristorante di Livorno.La Taverna di Poldo aprir lad-dove fino al maggio dellanno

    scorso cera lOttica Frezzato(trasferitasi in piazza Grande).Non sar un caso, forse, che adue metri di distanza un altro lo-cale giovane ma ormai storico (efrequentatissimo) come la pizze-ria Il Ventaglio abbia chiuso leporte e affisso un grande cartel-lo con su scritto: Boia D,

    chiuso!. Aggiungendo sotto pe-r un messaggio tranquillizanteai clienti: Per fortuna chiudonon per la crisi, ma per rinnovolocali per offrirvi pi spazio in-terno. E forse anche per rispon-dere alla grande allo sbarco del-la concorrenza.

    RIPRODUZIONERISERVATA

    Cera una voltala strada dei balocchiilluminata dal boomLe tartine da Torricelli e i giocattoli da Formichini, le file davantiai cinema, i bar eleganti e quelli malfamati, il primo supermercato

    La prima via Grande negli anni Sessanta e in basso immagini degli anni Sessanta e del primo 900

    di CRISTIANA GRASSO

    Q uanto lungo un chilo-metro? Come via Gran-de rispondevano i non-ni, approssimando un po, ma-gari mettendoci dentro, nelcon-to, anche piazza della Repubbli-ca che per andare da Calamari avedere il presepe gigante o acomprare la carta crespa per lerecite bisognava purattraversar-la. La risposta si scolpiva nellamemoria dei bambini degli an-ni Sessanta come quel chilome-tro di luci, colori, vetrine, diemozioniesapori.

    Trenta piccoli passi coi cap-pottini dal collo di velluto e lescarpine di vernice, con i calzet-tonieipantalonialginocchio,altrotto per mano ai genitori perogni tappa della spettacolarecorsa del boom economico for-mato provincia. E poi fermi in-cantati davanti alle vetrine giu-ste, quelle dove la sosta era ob-bligatoria per limitare capricci eammutinamenti. Infantili ribel-lioni da addolcire magari con ilcono invernale di Torricelli,allangoloconpiazzaGuerrazzi:cera la grande bilancia a colon-na per pesarsi, il bancone sem-brava altissimo, i grandi prende-vano la tartina con laperitivo, ipiccini appunto il cono inverna-le, una cialda a forma di conocon dentro la pasta di cioccola-toalgianduia.

    Quelgustolnonsidimenticanemmeno dopo mezzo secolo,prepotente torna in bocca ma-gari passando davanti allo scaf-fale dei profumi che proprio l,dove prima cerano le paste, ipasticcini e le piramidi di coniinvernali. Da Ughi invece, qual-che decina di metri pi in l, ge-lato Carpigiani a tre gusti o cioc-colata calda con la panna, di-pendeva dalle stagioni che allo-ra erano una cosa seria, altri sa-pori incisi nella memoria, 50 li-re,100lireperstrafare.

    La mta obbligata per eraunaltra, il negozio di giocattoliche ha popolato i sogni di gene-razioni di ragazzini, Formichini.Quello storico, nella prima viaGrande, vicino alla libreria Bel-forte (laltro pi moderno, neltratto della strada che va al por-to): macchinine a pedali e bam-bole Furga, fortini con i soldati-ni, lodore di gomma e di giocoche faceva perdere il senso deltempo.

    Ci sarebbero stati tutto il po-meriggio i bambini davanti allevetrine e nei corridoi di Formi-chini ma la passeggiata dovevacontinuare e cerano ancoratante cose da fare e vedere. Peresempio gli abiti da sposa e dacomunione. Sullo stesso latodella strada, sullo stesso marcia-piede, i manichini sembravanostatute e sfoggiavano nuvolebianche, mamme e figlie ci fini-vano sempre a dare uno sguar-do. I salotti buoni e un tinello dafare invidia ai vicini si potevanoinvece sognare davanti al mobi-lificio Gigante Pini che quandoera Natale faceva unalbero cheandava su verso il cielo e sem-bravainfinito.

    Sul marciapiede di frontelUpim con la scala mobile eragi di per s un lunapark, il pri-mo grande magazzino della cit-t: sembrava grande davvero, i

    bimbi si perdevano e si ritrova-vanopiangenti alla cassa centra-le, il piccolo Giovanni aspettala mamma... implorava lalto-parlante ed era un evento, unbrivido di paura e di celebrit, avolte di vergogna. Accanto,allangolo con via della Madon-na, il trionfo del decoro piccoloborghese, gli abiti di Vittadello.E sotto il vestito, qualche nego-zio a ovest, cera Tofani: bian-cheria che cercava di elevarsi aintimo, i casti busti tagliati amet coscia in mutande appe-na sexy e reggiseno. Allangolo

    conviadelGiglioinveceeccoLaComba e il brivido dellelettro-domestico che diventa indi-spensabile.

    Ma la prima via Grande erasoprattutto terra di cinema. IlModerno, il Grande ma soprat-tuttolaGranGuardia.Arrivdalcielo Mary Poppins, nel 1964, ela fila di adulti e bambini occu-pavatutto il marciapiede, na-scondeva la vetrina di Talmone,piccolo negozio di dolciumi, av-volgeva il carrettino dellominodelleseme edei chicchi. Accade-va ogni volta che c un film del-

    la Disney, poi con il passare de-gli anni accaduto sempre piraramente.

    Fino alla chiusura del cinema(di tutti quei cinema), allarrivodi H&M e a quella fila per linau-gurazione che neanche pallida-mentericordavaquelleper le av-venture della baby sitter volan-te, per la carica dei dalmata, perilpoveroBambi.

    Piazza Grande, pietra miliaredella met di quel quasi-chilo-metro. Era il paradiso dei bar edegli aperitivi. Un bar per ogniangolo, il bellissimo Gambrinus

    dove ora c la gioielleria Galle-ni, le Giubbe Rosse al di l dellapiazza, il bar Sole il Dolly che so-no incredibilmente ancora al lo-ro posto e con il loro nome disempre.Quicisipotevafermareper una spuma, per un occhiodi bue e per la pizza cera e csempre Lilli. Bisognava invecetirar dritto e resistere alla tenta-zione di sbirciare dentro davan-ti ai barracci della seconda viaGrande. Vetri oscurati, nomi dicitt americane, New York Bar,San Francisco oppure Trokade-ro. Se i bambinichiedevano per-ch l non si poteva entrare perlaspuma olocchiodi bue igeni-tori facevano finta di non senti-re o mormoravano una fraseconla paroladonnaccemime-tizzatadentro.

    Ma, anche se in quei bar inpochi mettevanopiede, nellase-conda via Grande si sentiva co-munque pi aria di porto, di fu-turo, di modernit. Certo, resi-stevano le montagne di rotoli ditessuti e quellodore di stoffa sudue piani da Kotzian (Benettonha preso il suo posto...), resiste-vanole vetrine eleganti di Tanzi-ni, ma spingeva lera della gran-dedistribuizione.

    Nei palazzi pi nuovi, quellicostruiti sulle macerie nei pri-missimi anni Sessanta, arriv ilprimo supermercato.Sichiama-va Smec e cerano i carrelli e lecasse in fondo. Cio niente salu-miere che ti vendeva il prosciut-to e la carta al prezzo del pro-sciutto ma buste confezionate,niente cosa ti do bella? ma tut-togiimpacchettato.

    Eravamo verso la met deiSessanta, la prima banderillaera stata conficcata nella schie-na del piccolo commercio manessunolosapevaeleuforiaeratroppo grande, si correva conquei carrelli con il seggiolinoper i bambini che credevano diesseresullegiostre.

    Un altro lunapark per i picco-li, un altro passo verso la certez-zadi far parte dellOccidente ric-co e americano per glia dulti.Lungo i marciapiedi la confer-macheil futurosorridevaanchealla provincia italiana: le auto-mobili. Fiat, Alfa Romeo, Lan-cia. Pochi modelli stranieri, tan-te utilitarie, e un traffico che og-gi appare inesistente ma che al-lora sembrava gi caotico men-tre le insegne al neon moltiplica-vano leffetto metropoli. Una fe-sta di promesse, di luci. E nessu-no poteva immaginare che pia-no piano si sarebbero spentequasi tutte, insieme al saporedelconoinvernale,allodoredeitessuti di Kotizan a quello di fu-mo, noccioline e acqua di colo-niache aleggiavanel cinema im-menso dove ogni volta che sispegneva la luce si accendevaunemozione.

    @crigrassoRIPRODUZIONERISERVATA

    da gran guardia ad h&m

    yy Lapertura di H&M al posto dellaGran Guardia stata il simbolo, 3anni fa, della fine di unera. Anchese la metamorfosi di via Grandeera iniziata da tempo.

    yy LUpim di via Grande (cos comela Standa sullaltro lato) ha accom-pagnato le passeggiate sotto i por-tici di intere generazioni prima dichiudere e trasformarsi in Zara.

    una vita al dolly

    tra la upim e la standa

    Quel chilometrodi vetrinee insegne al neonche racchiudevale promessedegli anni 60tra le scale mobilidellUpime il gelato a 50 lire

    Tally Weijl, sotto i porticiun altro colosso della modaIl brand svizzero inaugurer a marzo dove cerano Anni Verdi, Thun e un negozio cinesePronta ad aprire anche la catena di fast food La Taverna di Poldo (che cerca personale)

    Scomparse le insegne di Anni Verdi, Thun e di un negozio cinese: nei tre fondi uniti aprir Tally Weijl (Repetti/Penta)

    yy Un simbolo: il bar Dolly sotto ilpalazzo Grande, luogo cult per co-lazioni e pomeriggi di t. Cera 50fa e c ancora, anche se sono cam-biate le gestioni (e le abitudini).

    VIA GRANDE IL COMMERCIO CHE CAMBIA

    DOMENICA 8 FEBBRAIO 2015 IL TIRRENO Livorno III