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Almanacco Pontremolese 2016 - Anno XXXVIII

Edito e curato da: Centro Lunigianese di Studi Giuridici

Stampa: Tipografia Artigianelli Pontremoli

Il grazie di sempre va a chi ha tracciato e sta tracciando la bella storia di vita dell’AlmanaccoPontremolese: Enrico Ferri, Laura Bertolini, Giuseppe Michelotti, Manuel Buttini, Lucia Boggi,Marino Trivelloni, Antonio Lombatti, Cosimo e Jacopo Ferri.

Le foto del nuovo allestimento sono di Angelo Ghiretti - Museo delle Statue Stele Lunigianesi.

Si ringrazia, in particolare, Giulio Cesare Cipollettae, con lui, tutti gli autori e gli amici che hanno collaborato attivamente e direttamente:

Alma Ambrosi, Andrea Baldini, Giuseppe Benelli, Luciano Bertocchi, Roberto Bertolini, Germano Cavalli, Arianna Accorsi, Angelo Ghiretti, Mauro Lombardi, Cristiana Maucci,

Giovanni Menchini, Giuseppe Michelotti, Caterina Rapetti.

Il perché sia stato scelto un temagià presentato nel passato si spiegafacilmente partendo dal 27 giugno2015, giorno dell’inaugurazione delnuovo allestimento del Museo delleStatue Stele del Castello del Piagnarodi Pontremoli.

Dopo un’epoca caratterizzata dallavisione del fondatore Cesare AugustoAmbrosi si apre oggi una nuova lettu-ra del popolo di pietra, così caro a tantipontremolesi e all’intera Lunigiana.

Il recupero della ‘manica’ delcastello ha permesso di utilizzarlo sudue livelli e consente al visitatore divivere una suggestione più ampia,ricca di angoli particolari e di giochi diombre e di luce, tutti tesi a favorire ilsilente dialogo che, in una sorta didimensione magica, avvolge il visita-tore nel suo incontro con le Statue

Stele. La forza della pietra si manife-sta in tutta la sua capacità di superare iconfini del tempo e dello spazio,ponendosi, ancora una volta, a dispo-sizione di noi tutti, nello stimolarciinterpretazioni e significati, destinifuturi e storie passate.

Questo è il senso che le ammini-strazioni comunali che si sono avvi-cendate a Pontremoli hanno condivisocon le Soprintendenze di Firenze, diPisa e di Lucca, con il Dottor. AngeloGhiretti e con l’architetto Guido Cana-li per la definizione del percorso divisita che, nel pieno rispetto del rigorescientifico, fosse anche esso stessouna scenografia suggestiva e amma-liante, in linea con la magia delle sta-tue. Oltre a quelli già citati tanti sono iprotagonisti del lungo percorso, dagliuffici del Comune a quelli della regio-

ne Toscana, passando anche per laProvincia grazie alla quale, con il pro-getto Accessit, è stato possibile realiz-zare il necessario abbattimento dellebarriere architettoniche per agevolarel’accessibilità di tutti, oltre alla instal-lazione di sussidi multimediali, fina-lizzati a sostenere sia la lettura del per-corso da parte di persone con difficol-tà sensoriali che a fornire supporti ditipo più prettamente storico per appro-fondimenti di vari livelli.

L’augurio è che ognuno di Voi, gen-tili lettori, possa trovare interessante estimolante il dialogo con quel popoloche, da millenni, vive la nostra terra,continuando così ad essere testimonedella propria identità.

Lucia Baracchini

Introduzione

Con questa edizione dell’Almanacco Pon-tremolese il Centro Lunigianese di Studi Giu-ridici vuole ricordare con grande affetto i sociMauro Arrighi e Primo Bertocchi, scomparsinel corso del 2015. Il tratto di percorso di vitafatto con loro ha dato lustro e forza alla nostraassociazione e ci ha legati per sempre nelvalore straordinario della vera amicizia.

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Almanacco 2016

Il Castello del PiagnaroIl castello ha sempre evocato, nei

sogni dei bambini, qualcosa di magico,il luogo di incanti e incantesimi, dispade e fate, di principi azzurri e cava-lieri, il re Artù e Lancillotto, la fataMorgana e il drago.

Il luogo ideale per far vivere le pro-prie emozioni, i propri sogni e le avven-ture, tra le torrette merlate e i ponti leva-toi, gli elmi e gli abiti sfarzosi.

Crescendo, poi, questa sensazione diun mondo fatato non ti abbandona, per-mane e si rinnova ogni volta che si visi-ta o si pensa ad un castello, tanto forte èl’imprinting che si riceve sin dalla gio-vanissima età.

Il castello di Pontremoli non sfugge aquesta regola, nel suo splendore di pie-tra, arroccato in cima alla città, con losguardo che vaga nella vallata delMagra, una ben articolata struttura forti-ficata, di sorveglianza sulla grande viadi comunicazione Francigena ma anchedi riparo e tutela.

Fin dall’XI secolo, epoca della suacostruzione originaria, il castello diPontremoli ha assolto a queste due fun-zioni fondamentali, assicurando la pos-sibilità di controllo e, nel contempo, diprotezione, in piena coerenza con il suoimpianto medievale.

Al tempo, difatti, la stessa strutturadella città – modellata verso l’alto conrapide stradine e tortuose ascese – siconformava ad esigenze difensive, ren-dendo più impervio e difficoltoso l’e-ventuale assalto e la conquista delcastello, cuore e simbolo di Pontremoli.

Ecco, dunque, che i recenti interven-ti di ristrutturazione negli ultimi 40 annihanno consentito il recupero di unamemoria storica ancora attuale, di unpatrimonio immobiliare, culturale, sto-rico immenso.

L’embricare del passato recentissimoe recente con un passato arcaico, dallaunicità assoluta, rappresentato dalle sta-tue stele della Lunigiana.

Proprio questa rinnovata funzione ditutela (artistica e storica) di una fragileeredità, di una testimonianza viva e visi-va del tentativo dell’uomo, in tutte leepoche, di elevarsi nella creazione arti-stica, di creare modelli forti di riferi-mento, è esplicitata dalla grande intui-zione di accogliere le statue stele all’in-terno del castello, conferendo loro unasede consona, adeguata sia all’impor-tanza del contenuto che del contenitore.

Uno sforzo ed un impegno notevoli,che ci consegnano la storia di questoterritorio in una rinnovata veste.

L’Almanacco del 2016 ci raccontaquesta storia, di trasformazione e pre-servazione, servendosi di diverse auto-revoli voci.

Come sempre, buona lettura e unfelice anno.

Giulio Cesare Cipolletta

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Negli ultimi 12 anni, tornando a Pon-tremoli, ho sempre provato un misto diprofonde emozioni che iniziano nellalunga salita che si percorre per arrivare alcastello ed esplodono in una miriade diricordi quando se ne varca l’accesso. Diquesto posto conosco ogni angolo, ogniscorcio di panorama. Il castello, con il suomuseo delle statue stele, hanno accompa-gnato quasi trent’anni della mia vita. E’per me un luogo familiare a cui sono affe-zionata e nel quale ritorna vivo il ricordodi mio padre.

Mio padre era nato a Casola in Luni-giana nel 1919. Ultimo di tre figli trascor-se la sua infanzia e giovinezza fra La Spe-zia, dove lavorava mio nonno, e Casola inLunigiana, dove la famiglia trascorrevatutto il periodo estivo, e successivamentea Firenze per gli studi in Lettere. I luoghidelle sua giovinezza gli saranno semprecari e caratterizzeranno tutta la sua instan-cabile vita di storico e studioso.

Alla passione per le Lettere si affian-cava il suo profondo amore per la monta-gna. Abile alpinista, conosceva ogniangolo delle Alpi Apuane. La sua indolecuriosa, lo aveva portato ad interessarsianche alla speleologia. In quest’ambito, sidedicò al censimento di numerose grottee caverne del territorio, intuendo il com-plesso carsico di Equi Terme. In una grot-ta sopra le 5 Terre, la sua attenzione fuattirata da un piccolo anfibio che decise diportare con sé a Firenze allafacoltà di biologia: era unaspecie ancora sconosciutaalla quale, in qualità di sco-pritore, venne dato il suonome “SpeleomantesAmbrosii”.

Proprio in un borgo checonduce alle sue amatemontagne, un incontrocasuale gli permise di entra-re in contatto con il Prof.Rohlfs, professore di filolo-gia romanza dell’universitàdi Tubinga, in Germania,che stava pubblicando lagrammatica storica della lin-

gua italiana e dei suoi dialetti. Questoincontro diede inizio alla sua attività distudio delle parlate dialettali, della lingui-stica e della toponomastica che lo portòpoi a contribuire alla redazione dellaCarta dei dialetti d’Italia e di numerosealtre pubblicazioni.

Agli stessi anni risale l’incontro condue persone fondamentali per la sua vita:Ubaldo Formentini, profondo studiosodella storia locale e direttore dei museicivici della Spezia, dal quale aveva appre-so una linea di studio per la moderna sto-riografia, e Nino Lamboglia, creatore del-l’Istituto Internazionale di Studi Liguri eaffermato archeologo, che lo aveva trasci-nato nel vasto campo dell’indaginearcheologica. Proprio da questa amicizianacque la sezione lunense del prestigiosoIstituto Internazionale di Studi Liguri che,in questo modo, si estese dalla Spagnafino al territorio anticamente popolato dailiguri apuani. Seguì la pubblicazione delGiornale Storico della Lunigiana delquale, dopo una prima collaborazione conil comitato di redazione fino dagli anni’50, mio padre divenne direttore nel1983. Per tutta la vita citerà Formentinie Lamboglia come i “suoi maestri” .

Dagli anni ’70 dedicò gran parte delsuo impegno all’archeologia lunigianesee al fenomeno delle statue stele. Moltissi-mi reperti iniziarono ad affiorare dal pas-sato. Un fenomeno molto vasto, per un

territorio in fondo piccolo qual è la Luni-giana. Quasi obbligato a cercare di dareun ordine scientifico a tutto il materialerinvenuto, si dedicò alla raccolta di mate-riale, mettendo insieme schede, fotografiee tante ore alla macchina da scrivere. Dal-l’intenso lavoro nacque il corpus delleStatue Stele Lunigianesi, la prima fonda-mentale pubblicazione che ha legato ilsuo nome, a livello internazionale, a que-sto fenomeno locale. Fu nominato ispet-tore onorario dalle soprintendenze alleantichità della Toscana e poi della Ligu-ria. Negli anni ’60 aveva accettato, inol-tre, con entusiasmo la candidatura e l’ele-zione a sindaco a Casola, lo rimase per 20anni. Si impegnò a rendere più modernoil comprensorio, realizzando strade, scuo-le e altre infrastrutture: lì fu anche apertoil primo deposito archeologico per custo-dire le stele, successivamente trasferite aPontremoli.

Sapeva che era fondamentale valoriz-zare quanto è riuscito ad arrivare fino anoi, in una stretta collaborazione fra orga-nismi culturali e istituzioni, come baseper lo sviluppo di un’area che, come dice-va lui stesso “non ha grandi risorse ma èricca del suo passato”. Al suo interesse distudioso, si affiancava il senso pratico divalorizzare e promuovere questi beni,perché potessero portare dei benefici alterritorio. Allo stesso tempo, comprende-va la necessità di diffondere fra gli abitan-

ti della Lunigiana una cultu-ra del territorio e un senso diappartenenza che affondavale radici proprio nelle suastoria.

Questi obiettivi sarannoalla base delle attività chediedero vita ai “i suoimusei”- quello presso ilcastello Malaspina di Massanel 1973 e quello delle sta-tue stele lunigianesi qui aPontremoli, inaugurato nel1975 dall’allora ministro deibeni culturali Spadolini,della sua collaborazione conl’Istituto Italiano dei Castelli,

Ambrosi, mio padredi Alma Ambrosi

Augusto Ambrosi (a destra) sul luogo di rinvenimento della stele di Biglio-lo (maggio 1975), assieme al rinvenitore Armando Ravani (al centro) e aGiulivo Ricci (a sinistra).

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di cui fu vicepresidente della sezione toscanaper quasi vent’anni fino al 1994. Diede vitainoltre all’Istituto Lunigianese dei Castelli conl’obiettivo di valorizzare vecchie rocche, castel-li e altri beni culturali dimenticati con un’attivi-tà “promozionale” a favore della conoscenza diquesti monumenti e del loro inserimento nellavita del territorio, integrata a visite guidate,mostre fotografiche itineranti in Italia e all’este-ro, corsi di formazione per insegnanti e attivitàper i ragazzi. Ideatore instancabile di eventi cul-turali, vi prendeva parte come attore principalee con le più disparate attività. A volte molto pra-ticamente caricando, con la massima cura, nellanostra station wagon grandi pannelli fotograficiper l’allestimento di una mostra. Lo ricordo neisuoi spostamenti sempre con la sua inseparabi-le macchina da scrivere portatile Olivetti ed unacapiente borsa con le sue due macchine fotogra-fiche. Nella sua vita avevano trovato spazioanche alcuni anni di insegnamento presso lescuole medie. Aveva abbandonato questo inca-rico solo in seguito all’entrata nell’organicodella Biblioteca Civica Mazzini alla, dove rico-prì poi il ruolo di vicedirettore fino alla pensio-ne del 1987. Il suo ufficio era meta di cittadiniche gli chiedevano informazioni di ambito cul-turale ma anche di tanti giovani, per esempio,per la redazione di tesi in ambito archeologicoo storico. Al continuo lavoro tra Massa e Pon-tremoli, per non trascurare l’Istituto dei Castel-li e le varie strutture culturali sul territorio chestavano nascendo, affiancava il grande impegnoa La Spezia, in qualità di presidente della sezio-ne locale dell’Istituto Internazionale di StudiLiguri e, a partire dagli anni ’80, alla guida del-l’Accademia di Scienze Capellini de La Spezia.Fino agli anni 2000 è impossibile contare glieventi di carattere storico, archeologico, lingui-stico o culturale in generale che ha organizzato

o a cui ha preso parte. Il suo livello di approfon-dimento della statuaria megalitica lunigianeseha permesso di far conoscere questo fenomenonon solo in Italia ma anche all’estero.

Pontremoli e La Spezia, in un’unica regionestorica, divennero sede di congressi internazio-nali per studiosi di tutta Europa. Autore di oltre100 pubblicazioni scientifiche, all’attività distudio e ricerca affiancò sempre la comunica-zione al grande pubblico per la diffusione dellaconoscenza del territorio, mostrandosi disponi-bile con i media che lo cercavano per intervistee servizi sia locali sia nazionali.

Una vita, la sua, dedicata interamente, conentusiasmo e passione, allo studio e valorizza-zione della sua amata terra, all’impegno attivoin numerose associazioni locali e internaziona-li, e alla collaborazione con numerosi giornali eriviste. Ha ricevuto prestigiosi attestati onorifi-ci: Cavaliere Ufficiale della Repubblica, la cit-tadinanza onoraria di Pontremoli e Aulla, emolti i premi e riconoscimenti alla sua instanca-bile attività in favore della cultura da ammini-strazioni pubbliche e enti privati- quali il pre-mio De Martini di Genova e La Gerla d’oro deiLibrai Pontremolesi.

Si è spento a Firenze nel 2003. Dopo la suamorte gli sono stati intitolati il Museo delle Sta-tue Stele di Pontremoli, una strada centrale deLa Spezia, il museo delle grotte di Equi Termee, sul fronte naturalistico, un sentiero CAI soprale 5 terre. Ormai adulta, quando ho conosciutomeglio il suo lato pubblico, mi ha sempre affa-scinato il modo in cui le persone che entravanoin contatto con lui restavano colpite dalla capa-cità di relazionarsi con qualsiasi interlocutore,fosse uno studente o una figura istituzionale, dalsuo entusiasmo e passione, che attiravano eaffascinavano i giovani in cui convogliavamolte delle sue energie, e dalla grande umanitàe umiltà. Per me e mia sorella è stato un papàaffettuoso che ci ha insegnato a dare un sensoalla nostra vita.

La stele di Casola appenarecuperata dal MaestroMartini (21 dicembre1964) e da lui portata, infiocchettata come regalo natalizio, davanti alla casa di Ambrosi.

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Maria madre di Dio

S. Basilio

S. Genoveffa

S. Ermete

S. Amelia

Epifania del Signore

S. Luciano

Battesimo di Gesù

S. Giuliano

S. Aldo

S. Igino

S. Modesto

S. Ilario

S. Felice

S. Mauro

S. Marcello

S. Antonio A.

S. Liberata

S. Mario

S. Sebastiano

S. Agnese

S. Vincenzo

S. Emerenziana

S. Francesco di Sales

Conv. di S. Paolo

SS. Tito e Timoteo

S. Angela

S. Tommaso

S. Costanzo

S. Martina

S. Geminiano Patrono di Pontremoli

Gennaio

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All’inizio, in realtà, non sembravaproprio possibile!

L’idea di Augusto Cesare Ambrosi didare corpo, finalmente, a una strutturamuseale dove potere concentrare l’ormaiconsiderevole patrimonio archeologico distatuaria antropomorfa rinvenuto in Luni-giana, soprattutto negli anni del secondodopoguerra, non poteva avere senso. Nonsi poteva comprendere, infatti, perchédovesse essere proprio il Castello del Pia-gnaro di Pontremoli a diventarne la sede,quando altri luoghi, specie quelli nei qualiera stato rivenuto il maggior numero direperti, sembravano averne ben più dirit-to!

In tutti, però, era chiaro che, ormai,occorreva fare qualcosa di concreto, perimpedire che altre statue stele, altre testi-monianze così preziose del nostro lonta-no passato, potessero finire in altri luoghiche non fossero la terra che le aveva pro-dotte.

Inoltre, in Lunigiana, stava accadendoqualcosa che non succedeva dall’iniziodel secolo, si era venuto ricreando un tes-suto culturale che andava diffondendosi amacchia d’olio, coinvolgendo tutto e tutti,e sebbene ognuno cercasse di valorizzarela propria realtà, appariva sempre più evi-dente che non era possibile che singoliterritori potessero fare affidamento alleproprie sole risorse, ma era indispensabi-le un’azione comune per realizzare un’u-nità di intenti che non tenesse conto delleorigini.

Certo, non si poteva prescindere dal-l’esistente, ma era proprio lì che stavanolievitando le nuove forze, nella sezione diPontremoli della Deputazione di StoriaPatria per le Province Parmensi, nell’Ac-cademia degli Imperfetti di Fivizzano,nell’Accademia lunigianese di scienze“G. Cappellini” della Spezia, nell’IstitutoInternazionale di Studi Liguri, nell’ambi-to dei preziosi contenitori di cultura comela Biblioteca del Seminario o la Bibliote-ca “Cimati” di Pontremoli, dove l’esem-pio di quanto dato nel passato non piùrecente si faceva riferimento per iniziareun nuovo percorso.

Così erano nati, nel 1970, l’Associa-zione “Manfredo Giuliani” per le ricerchestoriche ed etnografiche della Lunigiana aVillafranca, nel 1972, il Centro aullese diricerche e studi lunigianesi, nel1975,l’Associazione Culturale Pontremo-lese, ognuno impegnato in un’azionecapillare di coinvolgimento e con l’espli-cito intento di condividere l’impegno divalorizzare la Lunigiana nella grandediversità delle sue eccellenze.

Che l’intenzione fosse delle migliori sipoteva comprendere dal fatto che le per-sonalità più importanti collaboravanoapertamente con le singole istituzioni, inun’omogeneità di intenti che non potevamancare di stupire in una terra da semprenota per i suoi campanilismi.

L’intuizione geniale di Augusto Cesa-re Ambrosi, dettata dalla sua volontà diessere comunque parte dell’azione diognuno e forte dell’esempio omogeneiz-zante di personaggi come Ubaldo Mazzi-ni, Romolo Formentini, Manfredo Giulia-

ni, Pietro Ferrari, Mario Niccolò Conti,per citare solo i più noti, e del sostegno dipersonalità come Gian Carlo Dosi Delfi-ni, Giulivo Ricci, Nicola Zucchi Castelli-ni, Loris Jacopo Bononi e tanti altri, fuquella di intuire che era giunto il momen-to di azzardare una proposta che sullacarta sembrava improponibile, ma chetrovava un suo fondamento nei fatti pro-prio nell’azione corale che andavanocompiendo le varie Associazioni cultura-li.

Trovata la totale disponibilità del-l’Amministrazione Comunale di Pontre-moli, che aveva messo a disposizione ilocali in via di sistemazione del Castellodel Piagnaro, con la collaborazione con-vinta dell’Istituto Lunigianese dei Castel-li, sorto proprio in quegli anni per valoriz-zare l’enorme patrimonio storico edarchitettonico conservato nella vallata,Ambrosi lanciò la sua idea, consapevoleche le reazioni sarebbero state in alcunicasi decise, soprattutto nella sua Casola,

40 anni fa, fu inaugurato il Museo delle Statue stele del Piagnaro

Un segnale importante alla ricerca dell’unità di intenti di un intero territoriodi Luciano Bertocchi

9 novembre 1975 - Il Ministro ai Beni Culturali ed Ambientali On. Giovanni Spadolini,affiancato dal Sen. Alberto Del Nero e da Marcellino Mauri, segretario del PRI di Pontre-moli, si appresta ad affrontare la via del Piagnaro che porta al Castello, dove è posta lasede del Museo delle Statue Stele della Lunigiana, per la cerimonia dell’inaugurazione.

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S. Verdiana

S. Sabatino

S. Biagio

S. Gilberto

S. Agata

S. Paolo

S. Teodoro

S. Girolamo

S. Apollonia

Le Ceneri

S. Dante

S. Eulalia

S. Maura

I di Quar. S. Valentino

S. Faustino

S. Giuliana

S. Donato

S. Simone

S. Mansueto

S. Silvano

II di Quar. S. Pier Damiani

Bea. Isabella

S. Renzo

S. Modesto

S. Cesario

S. Paola

S. Leandro

III di Quar. S. Romano

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dove aveva raccolto fino a quel momento i tantireperti rinvenuti in Lunigiana negli ultimi anni.

Aveva dalla sua, poi, un incredibile carismache non gli derivava solo dall’essere Sindacodel piccolo comune della Lunigiana orientale,ma da una disponibilità a tutto campo, sostenu-ta da una preparazione culturale eterogenea maminuziosa e concreta, e da un carattere solare difronte al quale qualsiasi intenzione negativa sismorzava grazie a quel sorriso bonario chedava un senso ancora più completo alle giusti-ficazioni comunque fondate. Dalla sua, inoltre,aveva proprio il mondo della cultura operativa,in primis quel Germano Cavalli che, insiemealla truppa dei suoi “ragazzi”, aveva dato uncontributo fondamentale per la scoperta disempre nuovi reperti e che aveva intuito ilsignificato della scelta di Ambrosi, non unagratifica a qualcuno o qualcosa in particolare,ma la realizzazione di un centro museale chefosse il punto di incontro e di sintesi dei tantistimoli che stavano lievitando in Lunigiana eche avevano ormai bisogno di un luogo di rife-rimento significativo.

Anche per chi non era del tutto convinto,comunque, bastava proprio la solarità diAmbrosi, la sua energia inesauribile, quella chelo portava continuamente a salire l’erta del Pia-gnaro con la sua utilitaria, ogni volta appesan-tita da presenze indefinite che imponevano alpovero motore sforzi indicibili.

Tutto fu pronto, tra mugugni e consensi, nel-l’estate del 1975 e lo stesso Ambrosi fu ingrado di scrivere sul Corriere Apuano che ilnuovo museo sarebbe stato inaugurato alla finedi settembre, come concordato con il Soprin-tendente alle Antichità dell’Etruria, Dr.Guglielmo Maetzke e la direzione dell’IstitutoLunigianese dei Castelli, alla presenza delMinistro dei Beni Culturali ed Ambientali, On.

Prof. Giovanni Spadolini.Sarebbero, però, trascorsi altri due mesi,

perché la cerimonia ufficiale di inaugurazionedel Museo delle Statue stele del castello delPiagnaro si tenne il 9 novembre del 1975, pre-senti appunto l’on. Spadolini, il sottosegretarioSen. Alberto Del Nero, i deputati, Mignani eNegrari, Il Vescovo della Diocesi di Pontremo-li, Mons. Giuseppe Fenocchio, e una nutritissi-ma rappresentanza di autorità civili e militaridelle Province di Massa Carrara e La Spezia. Ilsaluto ufficiale fu dato dal nuovo sindaco diPontremoli, Geom. Marino Bertocchi chemanifestò tutta la soddisfazione sua e della cit-tadinanza che fosse “toccato a Pontremoli ilprivilegio di conservare una tradizione di cul-tura per la quale la nostra città fu nobile edistinta”.

Seguirono le allocuzioni dell’Assessoreregionale Luigi Tassinari, del Presidente dell’I-stituto Lunigianese dei Castelli Giancarlo Fan-fani, del Soprintendente Maetzke, del ministroSpadolini che si disse, tra l’altro “lieto di pren-dere parte a una manifestazione spontaneasorta dal concorso delle forze locali”, masoprattutto, del Prof. Ambrosi cui toccò il com-pito di presentare per la prima volta il Museonella sua organizzazione, ma per il quale l’af-fermazione del ministro valse come imprima-tur per una scelta di cui il tempo avrebbe dimo-strato il valore.

Finalmente, le grandi sale del primo pianodel Castello ospitavano la maggioranza dellequarantanove statue stele rinvenute fino a quelmomento, la maggior parte in originale, altre incalco, proposte secondo uno schema temporaleelaborato dallo stesso Ambrosi, cui andavaanche il merito di avere ideato un impianto diilluminazione capace di esaltare la forza comu-nicativa delle immagini di pietra.

Iniziava così una storiasempre aperta, perché fortuna-tamente, negli anni, le statuestele non hanno cessato diriemergere dalle nostre con-valli e il Castello del Piagnaroha potuto assumere una vestesempre più idonea a dare ladovuta importanza a un patri-monio unico al mondo perquantità di esemplari, pronto alanciare la sfida al futuro nellacertezza che il suo messaggionon verrà mai meno fino a chenell’uomo resterà il desideriodi conoscere sempre meglio ilproprio passato per capire ilpresente.

Il Ministro Giovanni Spadolini, sempre affiancato da MarcellinoMauri all’inizio del tratto più faticoso della salita che porta alCastello del Piagnaro. Alle loro spalle si riconoscono, Mario Bezzi,il Prof. Angelo Bianchi e Ottorino Ferrari

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Il mio rapporto con le statue steledella Lunigiana, dal quale sono tuttoraaffascinato, è il frutto di una serie disituazioni e di circostanze favorevoliche, unitamente all’ansia rigeneratricedell’immediato “dopoguerra”, si eranoverificate in Lunigiana, fin dagli inizidella seconda metà del secolo scorso.Sembrava ormai superato il momentocritico del “rifiuto del passato” e siavvertiva sempre più la consistente pre-senza di fermenti che, nel tentativo diricostruire un futuro, tendevano anche arecuperare l’identità sociale e culturaledella popolazione, compromessa daglieventi e rimasta sepolta sotto cumuli dimacerie.

Coordinavo a quel tempo, le aspira-zioni, le speranze e i progetti di ungruppo di giovani sensibili, inquieti edintelligenti (stava nascendo l’Associa-zione “Manfredo Giuliani”) che sierano posti il problema della salvaguar-dia della propria cultura d’origine,custode di un patrimonio storico,ambientale ed antropologico messo arischio dall’incuria e pertanto destinatoa rapida dissoluzione.

In questo nostro sogno che si ispira-va agli studi e agli insegnamenti che ciprovenivano dagli eminenti storici dellaLunigiana del passato, avevamo attintoforza e vigore soprattutto dalle atten-zioni che ci erano state rivolte dal pro-fessor Augusto Cesare Ambrosi, fonda-tore e direttore dell’Istituto Lunigianesedei Castelli e dall’ingegnere Mario Nic-colò Conti, presidente dell’AccademiaLunigianese di Scienze “GiovanniCapellini” della Spezia, due studiosiche certamente propiziarono in Luni-giana il sorgere di importanti iniziative,prime fra tutte, quella della istituzionedei musei del territorio (fino ad alloradel tutto sconosciuti) e quella del soste-gno e del riconoscimento delle associa-zioni culturali di volontariato nel frat-tempo sorte e subito coinvolte a fiancodelle prestigiose istituzioni (Deputazio-ni, Accademie, Università, Istituti dicultura, Sovrintendenze) a diffondere la

conoscenza del territorio tra stati sem-pre più vasti della nostra popolazione inquell’operazione che in seguito fu defi-nita “democratizzazione della cultura”.

E’ in questo contesto, siamo agliinizi degli anni Sessanta del secoloscorso, che si verifica, in Lunigiana,anche con riverberi nazionali, un mar-cato interesse ed una crescente curiosi-tà nei confronti delle statue stele, “quel-le misteriose sculture di pietra, vecchiedi 5000 anni, che ogni tanto riaffioranodai terreni della Val di Magra”.

La stampa, soprattutto per merito diAugusto Cesare Ambrosi e di RomoloFormentini, dà ampio risalto ad ogniritrovamento, e il fatto è di per se stes-so rilevante, poiché argomenti dappri-ma riservati soltanto alla ristretta cer-chia degli esperti e degli addetti ai lavo-ri, si stanno ora diffondendo nelle scuo-le e tra la gente comune che collabora,nell’operazione definita “esplorazionedi superficie”, nel segnalare e censireframmenti di statue stele reimpiegatinelle costruzioni, in vista e sotto gliocchi di tutti, ma prima non tenuti nelladovuta considerazione.

Vengono così recuperati reperti uti-lizzati come pietre d’angolo, davanzalidi finestre, mensole di camino o fastigidi fontane (con tanto di data incisa) iquali, dopo le opportune segnalazioni,vengono provvisoriamente raccoltipresso il Deposito archeologico diCasola in attesa della definitiva siste-mazione presso il castello del Piagnarodi Pontremoli (scelta fortemente soste-nuta dalla nostra Associazione) destina-to ad ospitare il costituendo Museodelle statue stele della Lunigiana.

Per quanto più da vicino ci riguarda,questo fu il momento nel quale il grup-po di lavoro dell’Associazione “Man-fredo Giuliani”, impegnato nella ricer-ca degli oggetti e degli strumenti dilavoro da esporre nel costituendoMuseo Etnografico della Lunigiana,interruppe temporaneamente la propriaattività per potersi dedicare interamentealla archeologia del territorio e il grup-po di ricerca etnografica, di fatto si tra-sformò in un gruppo di ricerca archeo-logica.

In un avvio migliore non avremmopotuto sperare poiché fummo artefici di

Il cacciatore di statue steledi Germano Cavalli

Germano Cavalli e l’impresario Manganelli con la stele Treschietto appena recu-perata, luglio 1969.

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S. Albino

S. Basileo

S. Cunegonda

S. Casimiro

S. Adriano

IV di Quar. S. Colletta

S. Felicita

S. Giovanni

S. Francesca

S. Simplicio

S. Costantino

S. Massimiliano

V di Quar. S. Arrigo

S. Matilde

S. Longino

S. Eriberto

S. Patrizio

S. Cirillo

S. Giuseppe

di Passione - Le Palme

Santo

Santo

Santo

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Santo

Santo

PASQUA di Risurrezione

Dell’Angelo

S. Secondo

S. Amedeo

S. Beniamino

due consecutivi importanti ritrovamenti:quello della statua stele femminile di Tre-schietto, con tanto di seni e di collana (fudefinita la Venere della Lunigiana) e quellamaschile di Canossa ( la parità di genere erastata rispettata) munita di pugnale contenutoin un insolito fodero rettangolare. Riteniamoche la storia di questi due ritrovamenti meritidi essere raccontata.

Intorno alla metà del secolo scorso la Valdi Magra era stata contemporaneamente inte-ressata dall’allestimento di cantieri impegna-ti in opere di scavo per la costruzione dimetanodotti, acquedotti ed elettrodotti cheprevedevano l’impiego di ruspe e di escava-tori.

Venendo a conoscenza che nella Selva diFiletto (il sito che ha restituito finora il mag-gior numero di reperti) erano in corso lavoridi scavo, mi premurai di distribuire ai ruspi-sti fotografie di statue stele da appendere suicruscotti dei mezzi meccanici, pregandolialtresì di avvertirmi immediatamente qualorasi fossero imbattuti in qualche “pietra stra-na”.

Nel caldo pomeriggio di un giorno diluglio del 1969, mi arrivò una telefonata dalruspista Silvio Bazzali, non dalla Selva diFiletto, ma dalla frazione di Treschietto, nelComune di Bagnone, dove era stato richiestol’impiego del mezzo meccanico per eseguirelavori di sbancamento in un terreno attiguo alcimitero.

La benna della ruspa aveva da poco rimos-so dal terreno una pietra squadrata “che asso-migliava tanto a quella della fotografia”. Eraappoggiata su un fianco ed in parte ancorainterrata.

Dopo un sonno durato qualche millenniola stele di Treschietto era tornata a vedere laluce del sole.

La Stele di CanossaNon si trattò di un rinvenimento fortuito o

casuale, ma il frutto di una accurata e siste-matica ricerca effettuata in una località(Canossa in Comune di Mulazzo) nella quale,nel secolo scorso, era stato casualmenteriportato alla luce un deposito sepolcraleligure.

Nel corso di una ricerca fatta dal socioUgo Folloni presso l’Archivio di Stato diMassa (fascicolo: Lunigiana Parmense. Anno1856) eravamo venuti a conoscenza che:“Alla sommità di un colle, nelle adiacenze diCanossa, in prossimità di una pubblica strada,ora abbandonata, da un certo Giuseppe Baie-

lini, in un terreno di sua proprietà, fu rinvenu-to un antico deposito sepolcrale di figura qua-drilatera, formato con quattro pietre naturali euna sopra”.

Forti di queste conoscenze, ci eravamomessi subito alla ricerca del sito, ma il com-pito si rivelò non di facile soluzione poichétrovandosi Canossa in zona collinare, le som-mità sono molte e il cognome Baielini legatoalle proprietà dei terreni è molto diffuso inloco. Tuttavia, ci fu di grande aiuto la notiziadella strada “ora abbandonata, individuatanel sentiero che un tempo univa Canossa aCampoli” e che ci permise dopo non pochitentativi, di individuare, anche se con unacerta approssimazione, la posizione del sito.

Il pomeriggio del 27 marzo 1972, il Grup-po archeologico dell’Associazione formatodal professor Romolo Formentini, MaraCavalli, Aronne Zazzali, Stefano Milano,Roberto Bernardini, Pietro Rosi, Mario Gua-stalli, Riccardo Boggi (alla sua prima uscita)Ugo Folloni e dallo scrivente, si riversò inforze a Canossa e più precisamente sulla“sommità della collina” sulla quale si trova ilcimitero del paese nei pressi del quale, dalfianco di uno sbancamento del terreno, emer-geva lo spigolo di una pietra squadrata.

Avevamo trovato “la pietra di sopra” dellatomba a cassetta descritta nella relazione.Scavata a mano ed estratta dal terreno, fuperò indicibile lo stupore e indescrivibili leemozioni che provammo allorché, nel rivol-tarla, ci rendemmo conto di trovarci di frontead una statua stele.

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Il rinvenimento della statua stele diCanossa fu considerato uno tra i piùimportanti. Furono dissipati alcunidubbi e confermate alcune certezze.

Al di là della forma insolita del fode-ro del pugnale, cosi inquietantementesimile ad una statua stele e della suacollocazione sul ventre della statuastessa (al momento del rinvenimentopensammo di trovarci di fronte ad unastatua stele incinta) e della sorprenden-te continuità sacrale del sito (da statuastele a coperchio di tomba, a cimitero),il fatto saliente che emerse da questoritrovamento fu la conferma che, duran-te la romanizzazione del territorio, lestatue stele della Lunigiana, qualunquefosse stata, avevano esaurita la lorofunzione.

Erano uscite dalla storia per entrarenella leggenda.

Erano poi seguiti, sempre da partedell’Associazione, i riconoscimenti ed irecuperi nella Selva di Filetto e nelleattigue piane di Malgrate e di Mocrone,e poi ancora, quelli di Venelia, di Mon-tecurto, di Caprio e delle prime due sta-tue stele di Groppoli rinvenute rocam-bolescamente in una discarica.

Nel frattempo aveva preso semprepiù consistenza il dibattito culturalerelativo al megalitismo in Val di Magra,

dibattito al quale stava portando il suocontributo anche la componente scien-tifica (classificazioni, cronologie, tipo-logie, significati, siti di giacenza epaleo-suoli) che, a fianco delle altrediscipline, offriva occasioni e spunti diriflessione nel tentativo di diradare ilmistero che avvolgeva e che tuttoraavvolge l’affascinante mondo delle sta-tue stele della Lunigiana “mute poichénelle loro sembianze mai è stata rappre-sentata la bocca”.

Certo, molta strada è stata percorsada quando, durante un convegno allaSpezia tenutosi nei primi anni Sessantadel secolo scorso, provocatoriamenteaffermammo che da quando era statoscoperto l’allineamento di Ponte Vec-chio (1905), fino a quel momento, nonsi contavano, in Lunigiana, più di 50persone che fossero a conoscenza del-l’esistenza delle statue stele. A distanzadi qualche decennio siamo oggi ingrado di prendere atto, con soddisfazio-ne, del crescente interesse che la popo-lazione della Lunigiana nutre nei con-fronti di questo singolare aspetto dellanostra cultura di origine.

Ciò è stato possibile grazie anche adeffetti mediatici (indicazioni autostrada-li, copertine di guide telefoniche, inse-gne di negozi, di laboratori e di agenzie),

all’opera svolta dal direttore del Museodelle statue stele lunigianesi AngeloGhiretti, agli esperti del settore e all’en-comiabile impegno dimostrato dagliamministratori e dai funzionari che con iprimi hanno condiviso iniziative e pro-getti, e soprattutto per merito dei docen-ti che ai loro allievi hanno insegnato cheal tempo dei Faraoni, dei Greci e degliEtruschi, in Lunigiana, sotto i nostripiedi, si potevano trovare testimonianzedi una nostra antica civiltà.

A tutt’oggi siamo ancora impegnatia chiederci perché i ritrovamenti piùimportanti siano avvenuti in radureprossime alla confluenza dei fiumi(incroci di fiumi = incroci di strade?)Ed è ancora aperta la controversa que-stione del significato delle statue steledella Lunigiana a proposito del qualemolte ipotesi sono state formulate.Monumenti segnalatori di percorsi, diconfini, di stanziamenti, culto degliantenati, idoli infranti, oppure monu-menti funerari? È vero, in prossimitàdelle statue stele non sono stati rinve-nuti finora depositi sepolcrali o corredifunerari. (Ma se anziché quello dellaconservazione delle ceneri fosse statoprofessato il rito della loro dispersio-ne?) e poi ancora, perché il popolo diquesti nostri antenati di pietra ha sceltosoltanto la Val di Magra ed il suo baci-no orografico per lasciare testimonian-ze della propria presenza dal momentoche nessuna statua stele è stata rinvenu-ta a Nord di Pontremoli o a Sud di Sar-zana oppure, in territorio emiliano, al dilà della cresta dell’Appennino parmen-se-modenese?

E’ un percorso che ormai ha attraver-sato alcuni decenni e che ha trovato ilsuo tempio nel Museo di Pontremoliintitolato ad Augusto Cesare Ambrosi,lo studioso che più di tutti l’ha voluto ediretto.

Dal Castello del Piagnaro, il Museodelle statue stele della Lunigiana,recentemente restituito al pubbliconella nuova ed apprezzata propostaespositiva, con immutate suggestioni,sono partiti i messaggi che hanno dila-tato conoscenze e stimolato nuovericerche ma, soprattutto, hanno contri-buito a rinvigorire il senso di apparte-nenza ad un territorio e il legame tra lepopolazioni della Lunigiana e la lorocultura di origine.

Casola Lunigiana – estate 1972

Il “Gruppo Archeologico” dell’Associazione “Manfredo Giuliani” alla cerimoniadella consegna al Professor Augusto Cesare Ambrosi delle statue stele di Treschiet-to e di Canossa.

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S. Isidoro

S. Vincenzo

S. Guglielmo

S. Ermanno

S. Amanzio

S. Demetrio

S. Terenzio

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S. Martino

S. Abbondio

S. Annibale

S. Lamberto

S. Aniceto

S. Galdino

S. Ermogene

S. Adalgisa

S. Anselmo

S. Caio

S. Giorgio

S. Fedele

S. Marco

S. Cleto

S. Zita

S. Valeria

S. Caterina

S. Pio V

AprileStoria del Castello dalle origini ad oggiIl Castello del Piagnaro è nella tradizione

locale l’opera castrense che, nelle sue succes-sive trasformazioni, occupò la sommità delcolle omonimo a difesa del borgo e a control-lo delle importanti vie di collegamento che daqui si snodavano per valicare gli Appennini.

Il particolare toponimo, che si attribuisceanche al sottostante abitato, deriva dal mate-riale utilizzato nella copertura “planele” (pia-gne) citato in un documento del 1262 e comesostenuto dallo storico Manfredo Giuliani.

Il primo incastellamento del colle del Pia-gnaro avvenne probabilmente a metà del sec.X dopo le devastazioni subite nel corso diun’incursione Ungara.

La fortificazione venne realizzata a prote-zione del borgo sottostante, formatosi allaconfluenza del Magra-Verde ove erano pre-senti facili guadi, in funzione del sistema via-rio già presente in epoca romana e rafforzatodall’avvio sulla strada di Monte Bardone, sindal secolo VIII di un traffico a raggio euro-peo, principalmente alimentato da mercanti,eserciti e pellegrini che dall’Europa Nord-Occidentale scendevano a Roma e da Romarisalivano.

Per la protezione che subito prestò, ilcastello, forse una torre ed una cinta, divennepoi il polo di sviluppo del borgo murato cheprese il nome di Pontremoli. Autori dell’inca-stellamento del colle furono probabilmentegli Adalberti: di origine longobarda, vassalli

di Mauro Lombardi

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dei marchesi della Tuscia, consanguineisecondo alcuni autori degli Obertenghi;sono gli stessi, questi Adalberti, cheriunitisi in consorzio gentilizio darannoluogo nel secolo XII, al primo ComunePontremolese, subendo tuttavia leinfluenze dei Malaspina e dei maggioricomuni limitrofi di Piacenza e Parma.

Nel dicembre 1110 Pontremoli rifiu-ta il passo dell’esercito dell’imperatoreEnrico V che attraversato l’Appenninoscende in Toscana per la Val di Magra.Il Borgo viene assalito e presto sopraf-fatto nonostante la strenua resistenza deidifensori protetti da forti mura e danumerose torri ricordate le une e le altredai cronisti di quel secolo.

A diroccare il castello del Piagnarosaranno, nel 1329, gli stessi Pontremo-lesi, guelfi e ghibellini concordi, in odioal vicario di Ludovico il Bavaro che da

qualche mese aveva lasciato a reggerePontremoli.

Due anni dopo verrà tuttavia rico-struito per iniziativa di Manfredi Filippicapo dei ghibellini pontremolesi, fedeleai Rossi di Parma ai quali Pontremoli siè intanto data.

La prima notizia sulla consistenzadel presidio del castello del Piagnaro, lasi può ricavare dai capitoli che nel 1431Filippo Maria Visconti accorda ai pon-tremolesi appena tornati sotto il control-lo allo stato visconteo.

Pontremoli era stata riconquistata perFilippo Maria da un suo condottiero, ilPiccinino, che entrava di forza nel borgoil marzo di quell’anno, avendo avuto daiFieschi, per resa il castello del Piagnaro,sebbene, lamentassero i Fiorentinisostenitori dei Fieschi, fosse stato benmunito e messo in condizione di resiste-re a lungo.

A tal periodo alcuni storici fannoriferire la costruzione del mastio aventestruttura analoga a quello di VareseLigure; nelle cronache di Antonio Cese-na del 1558, sulla costruzione delmastio di Varese, riferisce che la costru-zione avvenne per opera del Piccinino ilquale convocò a Varese le maestranzeche avevano realizzato il mastio di Pon-tremoli.

Il modello strutturale che accomunale due opere di Pontremoli e Varesetrova ampi riferimenti nell’edilizia for-tificata europea della prima metà delsec. XV.

Tra il 1525 ed il 1527, sebbene sianoben poche le speranze degli Sforza dimantenere il dominio su Pontremoli, unpresidio sforzesco resiste nel castellodel Piagnaro; non cede né per trattative,né per attacchi. Non cede al commissa-rio di Fabrizio Maramaldo nei mesi del1526 durante i quali il condottiero napo-letano al servizio di Carlo V ha la signo-ria di Pontremoli.

Non sarà travolto dagli scontri cheseguiranno tra partigiani e soldateschedi Sinibaldo Fieschi per una parte e perl’altra parte, partigiani dei Noceti omilizie sforzesche venute d’oltreAppennino. Nel luglio del 1527 ilcastello a seguito di trattative passerà inmano al Fieschi rimasto vincitore.

Il trasferimento nel centro d’Europadei principali campi di battaglia suiquali le potenze europee cercarono lasoluzione dei loro contrasti, svuoteràd’ogni importanza il nodo strategico diPontremoli, lo sviluppo delle armi dafuoco e soprattutto le artiglierie, incide-rà sulla capacità difensiva del castellodel Piagnaro troppo esposto ai tiri d’ar-tiglieria da posizioni dominanti.

L’avverte la Spagna nel 1636 quandosi teme un attacco a Pontremoli da partedelle truppe di Odoardo Farnese alleato-si con la Francia contro la Spagna: perordini avuti da Milano, il governatorespagnolo di Pontremoli non si trinceraentro la città cercando protezione dallafortezza ma mobilita la milizia pontre-molese e la fa schierare alla Bastia diMontelungo pronta a rintuzzare ognimossa offensiva sulla strada della Cisa.

Nell’importante mole del castelloche dal colle del Piagnaro domina anco-ra la città, è facile riscontrare i segnidelle originarie strutture; vi si puòdistinguere un nucleo più antico raccol-

Borgo e castello im una riproduzione del1253.

Planimetria del castello e sottostante borgo.

Il mastio o dongione.

Il castello su cui svetta il “mastio”.

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S. Cesare

S. Filippo

SS. Silvano e Nereo

S. Pellegrino

S. Giuditta

S. Flavia

Ascensione

S. Gregorio

S. Alfio,

S. Fabio

S. Rossana

B.V.M. Fatima

S. Mattia

Pentecoste

S. Ubaldo

S. Pasquale

S. Giovanni I

S. Pietro di Morrone

S. Bernardino

S. Vittorio

S. Rita da Cascia

S. Desiderio

B. Vergine Maria aus.

S. Beda

S. Filippo

S. Eutropio

S. Emilio

Corpus Domini

S. Felice

S.Angela

Maggioto attorno alla corte superiore, dominata dalcaratteristico mastio a pianta semiellitticacostruito nel periodo in cui Pontremoli eragovernata dal Piccinino.

Sottostante il mastio si sviluppa una picco-la corte quadrilatera, delimitata a ovest dallacortina con torre di fiancheggiamento cilin-drica, a sud ed a est da un grosso edificio ad“elle” risultato di accorpamenti di varie fasicostruttive. Le caratteristiche dei locali inter-ni fanno pensare ad un uso originario di tipocasermistico ove veniva alloggiata la guarni-gione citata in un documento del 1431 ecostituita da 25 uomini tra balestrieri e porta-tori di scudi. Un’altra corte più ampia si svi-luppa più in basso, delimitata a sud da unacortina con scarpa con sovrastante cammina-mento più volte rimaneggiato, la tecnicamuraria di tale cortina è simile a quellaimpiegata nella costruzione del mastio, riferi-bile al periodo del Piccinino. La cortina sud ècollegata ad una porta rinvenuta recentemen-te sul lato est che fa pensare ad un’uscita late-rale per il controllo della via francigena che siimbocca nella sottostante porta Parma diaccesso alla città. La grande corte ha al cen-tro un pozzo e opposta alla cortina la cappel-la, che presenta rifacimenti settecenteschi, edè addossata al corpo occidentale che si svi-luppa su due livelli e rappresenta una dellestrutture più antiche del castello, evidenziatoda un’apertura tamponata con arco gotico; sutale corpo si inserisce l’ingresso principale alcastello che attraverso un androne e un corri-doio voltato da accesso alla corte principale.

Nei secoli XVII e XVIII le difese delcastello vengono riorganizzate per resistereagli assalti nelle varie direzioni, e per consen-tire il posizionamento dei cannoni, come sievince da una pianta conservata all’Archiviodi Stato di Firenze. Sulla parte alta dellacorte grande, viene realizzata una rampa sel-ciata che da accesso al “bastione di San Cosi-mo” con un’ampia terrazza ove era posizio-nata una batteria con tiro quasi esclusivamen-te verso l’abitato.

Sul fronte occidentale viene realizzato ilcomplesso fortificato “L’Opera di San Giovan-ni” a protezione dell’ingresso principale, e“l’Opera di San Giuseppe” attigua al mastionella parte nord/est.

Residenza di governatori spagnoli per circaun secolo, dopo l’annessione di Pontremoli algranducato di Toscana del 1650, il castello fusempre munito di artiglierie ma, di fatto, fusolo una caserma alla quale si affiancò nelsecolo XVIII un ricovero per militari invalidi.

Uno scoppio della santabarbara del castello,provocato da un fulmine nel penultimo decen-nio del secolo XVII, mise in pericolo le casedel quartiere del Piagnaro ed alcune case dellacontrada di S. Geminiano. Un secolo dopo ungesto di Pietro Leopoldo di Toscana, notoria-mente propenso a trascurare i problemi militaridel granducato, fu come suggello alla fine delcastello come arnese di guerra: nel 1790 ilgranduca donò ai pontremolesi uno dei canno-ni che ancora munivano il castello, perché netraessero il bronzo necessario alla fusione diuna campana mancante al concerto della TorreCivica. Il castello resistette ancora come caser-ma nel XIX secolo sia con la Toscana che, tra il1849 ed il 1859, con il ducato di Parma (lavoridi restauro delle caserme vi furono fatti esegui-re nel regno di Carlo III) e successivamentesede di un comando di piazza nei primi anni delRegno d’Italia. Abbandonata la funzione mili-tare fu sede di scuola elementare, abitazioneper famiglie non abbienti e lasciato in abbando-no fino alla sua riapertura nel 1975 come sededel Museo delle Statue Stele per iniziativa del-l’Istituto Lunigianese dei Castelli e del suodirettore Augusto Cesare Ambrosi.

Planimetria del castello nel 1749.

Disegno del castello del 1777.

Cartolina del castello del secolo scorso.

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Restauro del Castello del Piagnaro“40 anni di interventi”

di Mauro Lombardi e Roberto Bertolini

Dopo i primi interventi realizzati perrendere possibile l’apertura e l’allesti-mento del Museo delle Statue Stele nel1975, per il Castello del Piagnaro, non-ostante il grande richiamo che l’apertu-ra del Museo aveva creato, seguironoanni di assenza di risorse, in quanto ilcomplesso monumentale richiedeva unosforzo economico enorme per prosegui-re con il suo recupero.

E’ con i finanziamenti FIO (FondoInvestimento e Occupazione) stanziatinegli anni ‘80 che fu avviato l’ambizio-so progetto “Luni e Castelli di Luni-giana: completamento dei restauri evalorizzazione del sistema Museale”(che coinvolgeva la Toscana e la Ligu-ria) e vennero realizzati importanti lavo-ri di restauro su alcune emergenze della

Lunigiana Storica, tra cui l’AreaArcheologica di Luni, il Castello diMassa, il Castello di Terrarossa, ilCastello di Villafranca, il Castello diLusuolo, la fortezza della Brunella adAulla ed il Castello del Piagnaro. Gliinterventi vennero coordinati diretta-mente dalla Soprintendenza ai BeniCulturali di Pisa Lucca Livorno e MassaCarrara (destinataria delle risorse finan-ziarie nonostante la proprietà dell’im-mobile sia il Comune di Pontremoli,aspetto che lo differenzia tra tutti glialtri castelli). Con tali lavori venneeffettuato il recupero delle strutturedella corte superiore, del “mastio o don-gione” con la sua particolare strutturasemiellittica e del corpo sottostante a“L”, con il rifacimento dei manti di

copertura utilizzando le tradizionali“piagne” (che danno il nome al castelloed al sottostante borgo). Tali interventiconsentirono un parziale recupero dellacorte superiore, mettendo in evidenza lapotenzialità architettonica dell’interocomplesso e la necessità di proseguireper dare completezza al recupero anchedella corte inferiore e delle strutturearchitettoniche collegate al Museo delleStatue Stele, che nel frattempo eradiventato motore di turismo culturaleper Pontremoli e tutta la Lunigiana.Bisognerà aspettare gli anni novanta perla ripresa dei lavori, grazie all’intensaattività dell’allora Sindaco ed eurodepu-tato On. le Enrico Ferri che nella valo-rizzazione del complesso monumentaleha sempre creduto e operato, vengono

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S. Quirino

S. Bonifacio

S. Norberto

S. Roberto

S. Medardo

S. Primo

S. Landerico

S. Barnaba

S. Guido

S. Antonio da Padova

S. Eliseo

S. Germana

S. Aureliano

S. Gregorio

S. Marina

S. Gervasio

S. Silverio

S. Luigi

S. Paolino

S. Lanfranco

Natività S. Giovanni Bat.

S. Guglielmo

Ss. Giov. e Paolo

S. Cirillo

S. Attilio

SS. Pietro e Paolo

SS. Primi Martiri

Giugnointercettati i Fondi strutturali che l’UnioneEuropea assegna con il Regolamento 2081/93sugli Obiettivi 2 e 5b, e con apposito Accordodi Programma viene finanziato un progetto di£. 958.317.000.

Il cortile del pozzo prima dei lavori

Il cortile del pozzo dopo i lavori

Al fine di rendere utilizzabile e visitabilefinalmente l’intero complesso monumentale,gli interventi vengono localizzati sulle areedel castello non occupate dagli spazi espositi-vi del Museo, rendendo possibile la riaperturaal pubblico dell’intero castello nei suoi varisuggestivi percorsi.

L’intervento iniziato nell’aprile 1996 veni-va completato nel marzo 1997 e comprende-va:

Opere di consolidamento delle muraturedel bastone di sud.est (San Cosimo),

Risanamento delle murature sul cortileinferiore e paramenti del lato sud della corti-na muraria con recupero del bastionesud/ovest (Opera di San Giovanni) ove èorganizzato l’ingresso principale;

Sistemazione delle aree scoperte, conricollocazione della pavimentazione in pietradel cortile inferiore e superiore, della scalaselciata, e recupero della grande terrazzalastricata.

Recupero dei vani medievali che si affac-ciano sul primo cortile e sistemazione della“stanza del pilastro” con rifacimento dellapavimentazione in cotto, recupero dei para-

menti murari, restauro della scala in pietra chedà accesso al “mastio”, realizzazione di nuoviservizi igienici e restauro del bastione fortifi-cato nord/est (Opera di San Giuseppe).

Pavimentazione e infissi dei locali del cor-tile superiore e di quelli del “mastio”.

Messa in sicurezza di tutti i percorsimediante il rialzamento dei parapetti in mura-tura e/o la realizzazione di nuovi in metallo;

Svuotamento e rimozione detriti dell’aladestra “manica” del cortile inferiore, ripor-tando alla luce l’antico camminamento sullacortina sud con l’originaria porta di accessolaterale al castello.

Tale ultimo intervento sarà fondamentaleper l’attuale nuovo allestimento del Museodelle Statue Stele dove vede in tale “ manica”collocarsi le “stele” in un connubio con lestrutture architettoniche di notevole effetto.

Prospetto sud

Pianta Castello del Piagnaro

Contemporaneamente a tale progetto vienecantierato un primo intervento di migliora-mento dell’allestimento museale (completatonel marzo 1999) dell’importo di £165.000.000 con il quale si procede ad unammodernando e migliorando dell’allesti-mento originario del 1975 consistente nellarevisione dell’impianto elettrico di illumina-zione e allarme, fornitura di arredo, allesti-mento scenografico con pannelli e ricostru-zioni delle varie sale espositive e della saladidattica e ristrutturazione della biglietteria.

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Con l’avvicinarsi del Giubileo 2000,il Comune di Pontremoli, sempre sottola guida di Enrico Ferri, riuscì ad inseri-re nel piano nazionale degli interventiGiubilari, la realizzazione della “fore-steria” nel complesso monumentale delCastello.

L’intuizione di realizzare un compar-to destinato alla ricettività fu un’innova-zione che consentirà negli anni futuri dipotenziare la fruizione turistica connotevole incremento dei visitatori alCastello e Museo stesso. Vengono inter-cettate risorse pari a £.665.840.000, ilavori iniziati il 13 ottobre 1998 sarannoterminati il 9 agosto 1999 in tempo perospitare i pellegrini del Giubileo. L’in-tervento si sviluppa nell’edificio chesepara i due cortili, e i posti letto creatisono sessanta. Si procede al recuperodelle antiche strutture tra cui la torresemicircolare sul lato ovest ripristinan-done la tradizionale copertura in “pia-gne”.

La foresteria ed il recupero dell’alanord aprono ancora di più il castello alterritorio: ogni iniziativa trova nel Pia-gnaro la sua collazione, inizia una sta-gione di fervore con manifestazioni cul-turali, matrimoni, convegni, mostre espettacoli musicali.

Pavimentazione cortile superiore

La Foresteria

Scavo galleria ascensore.

Terminata la foresteria, nel 2001viene affrontato e risolto un altro pro-blema: la difficile accessibilità al castel-lo. Viene realizzata una viabilità chedalla chiesa di S.Ilario conduce nell’a-rea sottostante il “mastio” dove vienecreato un parcheggio e tramite una pas-serella si arriva all’interno del cortileinferiore. Fino a questa data l’accessoera solo pedonale.

L’opera viene realizzata interamentecon fondi europei (Reg.to C.E.2081/93DOCUP Obiettivo 5b) per un importo diEuro 152.800,00.

Nel 2001 si riapre un altro cantiere aseguito dell’Accordo di ProgrammaQuadro in materia di Beni e attività cul-turali sottoscritto nel 1999 tra la Regio-ne Toscana ed il Ministero.

Con un progetto di 800 milioni dilire di Fondi CIPE, FESR e del Ministe-ro vengono recuperati gli spazi dellamanica sul cortile inferiore (che sarannodestinati successivamente a spazimuseali), e vengono rifatte le coperturein “piagne” delle zone sovrastanti glispazi museali.

Nel settembre 2003 i lavori sono ulti-mati, e verranno ripresi a inizio 2005con un ulteriore lotto inserito in un II°Accordo di programma per un importodi Euro 231.397,50 con interventi acompletamento della copertura delmuseo con opere interne di migliora-mento all’allestimento museale.

Cinque anni dopo inizierà il cantieredel nuovo allestimento museale da pocoinaugurato, che utilizzerà risorse perEuro 1.250.000,00 andando a riallestirecompletamente il Museo.

Nel marzo 2014 attraverso un finan-ziamento del GAL Lunigiana vieneaperto e reso visitabile anche il pianoseminterrato del “mastio”; nello stessoanno si procede con la realizzazionedell’ascensore che condurrà i visitatorida Porta Parma al parcheggio retrostan-te il castello a fronte di un finanziamen-to pari a Euro 1.500.000,00, con la pre-visione di apertura nel 2016.Scavo galleria ascensore

Veduta castello tra i due cortili

Il Castello continua ad essere un can-tiere aperto per la sua valorizzazione,dimostrando come la sua potenzialità èfondamentale per il turismo e la cono-scenza culturale di tutta la Lunigiana.

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S. Teobaldo

Madonna del Popolo

S. Tommaso

S. Elisabetta

S. Antonio

S. Maria

S. Edda

S. Adriano

S. Armando

S. Felicita

S. Benedetto

S. Fortunato

S. Enrico

S. Camillo

S. Bonaventura

N. S. del Monte Carmelo

S. Alessio

S. Calogero

S. Giusta

S. Elia

S. Lorenzo

S. Maria Maddalena

S. Brigida

S. Cristina

S. Giacomo

SS. Anna e Gioacchino

S. Liliana

S. Nazario

S. Marta

S. Pietro

S. Ignazio

LuglioAi i miei nipotini

Giulia, Christian, Nicolò

Molto, molto tempo fa stavo sonnecchiandobeata in riva ad un ruscello dalle acque chiare,con tante pietre ben levigate tutto attorno. Conla mente vedevo farfalle volare sui fiori e rin-correre silenziose i raggi di luce in un giocosenza fine.

All’improvviso sento rumori diversi e quat-tro braccia forti mi sollevano di peso ma conmolta attenzione perché per loro io ero specialee dovevo essere perfetta per la cerimonia. Dopoun lungo cammino per boschi impervi e ripidisentieri mi lasciano in una radura da dove pote-vo vedere un villaggio di capanne curiose inparte di pietra e in parte di legno quasi circola-ri. Non ero spaventata, ora potrei dire curiosaanche se, sul momento, a dire il vero un pochi-no preoccupata la ero. Soprattutto quando conla coda dell’occhio –si fa per dire- vedo avvici-narsi un uomo più imponente degli altri con lun-ghi capelli e barba folta. Al suo apparire tutti glialtri gli cedevano il passo e si ritiravano in timo-roso silenzio. Beh, quasi silenzio perché io sen-tivo benissimo i loro cuori battere forte e trepi-dare per quello che sarebbe accaduto.

Questo gigante dagli occhi intelligenti miguarda fisso, mi accarezza con una mano enor-me e delicata e sussurra in una lingua fatta distrani suoni “è Lei”! allora il silenzio si romped’incanto, le donne ballano e gli uomini danza-no tutto attorno al suono ritmato dei bastoni chebattono su legni cavi mentre gli aiutanti delgigante –quelli che mi hanno trasportato finoquassù- gli portano degli strumenti di pietra e diuno strano metallo rossiccio che avrebbero poichiamato rame.

Adesso, a dire il vero, ero davvero preoccu-pata ma quei suoni e le danze erano entratianche dentro di me, quasi a risvegliare un sognolontano e come tale adesso mi appariva tuttoquello che mi stava attorno, alimentato anche dauna strana e ipnotica nenia sussurrata senzaposa da quello straordinario personaggio chestava chino su di me con un atteggiamentopieno di ammirazione e di speranze non espres-se.

Così, quando con fare lento e sicuro prese inmano lo scalpello ed un rudimentale mazzuolo

sentii solo un gradevole solletico mentre pianopiano, con mani esperte, mi incideva una speciedi volto e mi armava con ascia e pugnale. Sareistata lì per anni ad assaporare questa nuova sen-sazione di forza e di potere che sentivo nasceredentro di me e diventare sempre più forte. Sen-tivo che per tutti loro sarei diventata una speran-za anzi sarei stata la loro Speranza, la loroForza, la Vegliante.

Io non potevo camminare, non ero capace aspostarmi da sola e così mi posero diritta, unpoco piantata nel terreno proprio a fianco delsentiero che poco dopo avrebbe portato al lorovillaggio, sul valico da dove potevo vedere tuttoe i bambini venivano ad accarezzarmi e prende-vano da me forza e fiducia e i guerrieri mi veni-vano a salutare al tramonto ed all’alba mentre ledonne non mi facevano mai mancare niente.Insomma ero il loro Protettore, loro credevanoche io li potessi difendere dai nemici e dalleavversità forse perché pensavano che il giganteavesse trasferito dentro di me lo spirito del loroguerriero più forte vissuto molti anni prima oforse addirittura che io fossi un Dio a cui tutto èpermesso. Così ho fatto del mio meglio permolti e molti anni. Ho visto gli uomini cresceresempre di più, i bambini inventare sempre gio-chi nuovi, ho visto nascere il bronzo, il ferro,guerre nuove ma sempre uguali e periodi dipace e di geniali invenzioni. Anche se, devodire, ho passato anch’io dei brutti momenti,come ad esempio quando altre braccia, manda-te da uomini invidiosi e stolti mi hanno solleva-to dal terreno dove mi trovavo e con mazze fer-rate mi hanno spezzato in due disperdendo poile mia parti come già era successo nel lontanoEgitto al povero Osiride.

Ma c’è stato anche un momento bellissimo,lo ricordo perfettamente non tanto perché siarecente, ma perché la mia memoria è quasi eter-na: il tempo per me corre mille e mille volte piùlento di una lumaca! Io ricordo tutto quello cheè successo attorno a me, fin da quando gli atomidi cui sono composta danzando e ballando sisono aggregati e sono nata.

Ma ti dicevo di un momento molto bello:pochi anni fa, mi sembra che fosse la primave-ra del 1965 secondo il calendario umano, c’erauna ruspa rossa che stava lavorando per fare unastrada e nel togliere la terra dalla scarpata unapiccola parte della mia testa –si fa per dire- ha

Minucciano (il ritrovamento)di Giovanni Menchini

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visto la luce. Già perché ero sepolta dallaterra che nel tempo si era accumulatasopra di me facendomi sparire alla vista ditutti.

Ad un certo punto sento dei passi evedo due giovani passare nel sentieropoco sotto e uno dei due, che si chiamaGiovanni1, dice alla sua amica Gabriella:”guarda quella pietra che spunta dallascarpata, non sembra anche a te un cap-pello di gendarme?” “si” rispondeGabriella “pare anche a me”. Dai allorascaviamo, dice Giovanni, se ha gli incavisotto il “cappello” allora si tratta propriodi una Stele!

Hanno scavato piano piano aiutati daun legnetto appuntito ed hanno rimossotutta la terra che mi teneva imprigionatada poco meno di 2000 anni –non sapreiessere più precisa perché, come ti ho giàdetto, per me il tempo è un solo un simpa-tico e piacevole compagno. Mi divertivatantissimo vedere la meraviglia e la gioiadipinta sui loro volti quando mi hannofinalmente vista tutta intera! Beh non pro-prio intera, mi mancava la metà dalla cin-tura in giù come già ti ho raccontato. Nelfrattempo erano arrivati altre due persone,il fratello Fabio ed il papà2 di Gabriella–anche lui di nome Giovanni- che giàaveva riconosciuto da poco una mia

amica, venuta alla luce poco lontano dadove ero io. Lui era davvero speciale pernoi come lo era per i giovani amici che miavevano appena ritrovata. Aveva trasmes-so anche a loro questa sua grande passio-ne che lo spingeva a cercarci senza sosta enoi, non ci crederai, ne eravamo lusingatee mandavamo muti richiami come se cipotesse sentire. Lo so, ê impossibile mapensa che da lì a poco avrebbe ritrovatoaltre due mie compagne!!

“Aiutami a metterla sulle spalle”, diceGiovanni al papà di Gabriella, “la portia-mo alla macchina”. Non ero spaventata,ma, il pensiero di essere in bilico sullespalle di quel giovanotto robusto maanche un poco impulsivo e traballantesotto il mio peso mi faceva venire la tre-marella! “Dai ora la porto un po’ io” diceil papà di Gabriella e così scendo con luilungo il sentiero ma dopo pochi metri losento ansimare e stravolto esclama“…basta, la butto qui vicino all’altropezzo”. Non ci crederai ma io sapevo chel’altra mia metà era davvero lì vicina!

Per fortuna Giovanni crede che neimomenti in cui la fatica ti stravolge i sensipossa apparire una verità nascosta e pro-pone di cercare tutto attorno l’altra partedi me. Non ricordo chi fu o forse non cifeci caso -io naturalmente già sapevo

dov’era- perché mi divertivo tantissimo avedere questi quattro amici che saltellava-no di qua e di là tra rovi e cespugli comelucciole d’estate. Fu così che uno di loro,guardando dentro ad un fitto cespugliogridò “è qui!”

Non ti dico la mia gioia, pari di certo aquella che provavano loro, nel rivederedopo tanto tempo l’altro mio pezzo! Erodi nuovo io, tutta intera: se avessi potutoavrei saltato e ballato come stavano facen-do i miei nuovi amici.

Così adesso eccomi qua -mi chiamanoMinucciano II-, finalmente riunita ed incompagnia di tantissime altre Statue Stelenel Museo del Castello del Piagnaro aPontremoli. Adesso posso continuare,assieme alle mie compagne, a far nascerepensieri e a parlare senza suoni, a raccon-tare di me, di noi, a tutti quegli umani chevengono a trovarci, a dare di nuovo turba-mento ad alcuni, meraviglia ad altri e, achi lo crede, speranza e protezione.

1 Giovanni Menchini, Gabriella e Fabio Martini,

all’epoca giovani studenti incuriositi e appassio-

nati da quanto di insolito li circondava.

2 Giovanni Martini di Pieve San Lorenzo, Mae-

stro di Scuola e di vita, ricercatore instancabile

delle antiche civiltà della nostra terra.

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S. Alfonso

S. Eusebio

S. Lidia

S. Nicodemo

S. Giovanni

S. Osvaldo

Trasfiguraz. N. S.

S. Gaetano

S. Domenico

S. Romano

S. Lorenzo

S. Chiara

S. Giuliano

S. Massimiliano

Ass.e Maria Vergine

S. Rocco

S. Giacinto

S. Elena

S. Ludovico

S. Bernardo

S. Pio X

S. Maria regina

S. Rosa

S. Bartolomeo

S. Ludovico

S. Alessandro

S. Monica

S. Agostino

S. Faustina

S. Aristide

S. Alfredo

AgostoIl Museo delle Statue Stele Lunigianesi(1975 - 2015)

Un duplice obiettivo, agli inizi degli anniSettanta del secolo scorso, vedeva impegnatiil Comune di Pontremoli e l’Istituto Lunigia-nese dei Castelli, quello di dare avvìo ad unprogetto di restauro del castello del Piagnaro,in condizioni assai precarie di conservazione,e contemporaneamente motivare questa ini-ziativa pensando di collocarvi le statue-stele.

Ci stiamo riferendo ai reperti archeologicipiù significativi della Lunigiana, allora distri-buiti in modo incongruo tra biblioteche, depo-siti comunali, addirittura abitazioni private, aquel tempo conosciuti solo a pochi studiosi edappassionati.

L’obiettivo lungimirante di riunirle in ununico contenitore ricco di storia si deve alprof. Augusto C. Ambrosi (1919-2003), Sin-daco di Càsola Lunigiana ed insigne studiosodelle stele, al quale oggi il museo è dedicato;in quell’operazione va segnalato il fondamen-tale appoggio ricevuto dal Soprintendente alleAntichità dell’Etruria, dott. Gugliemo Maetz-ke, che impedì così la dispersione delle steletra i diversi istituti che se le contendevano.

I lavori al Piagnaro ebbero quindi inizio e,nonostante i restauri al castello fossero termi-nati solo in una prima parte, il museo aprìegualmente i battenti il 9 novembre 1975, alla

presenza del Ministroper i Beni Culturalisenatore GiovanniSpadolini.

Già da allora ilmuseo ha mostratod’aver còlto quei crite-ri espositivi che nehanno decretato il suc-cesso: la sapiente luceradente sulle stele, ilfascino di vederleassieme in un ambien-te di grande suggestio-ne, nel quale voluta-mente gli apparatidivulgativi sono statitenuti a distanza pernon compromettere l’atmosfera “esostorica”del loro messaggio,sconosciuto nei conte-nuti quanto efficacenella comunicazione.

Il prof. TizianoMannoni mi riferivache, standosene indisparte, aveva osser-vato le reazioni deivisitatori in arrivonella bellissima “salaAmbrosi” documen-tando come l’impattodiretto con lo sguardodelle stele risultassetalmente pregnante dalasciarli tutti, per qual-

di Angelo Ghiretti - Direttore del Museo delle Statue Stele Lunigianesi

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che istante, in un’afasia da raccogli-mento contemplativo.

Nel 1999 il percorso è stato parzial-mente rinnovato dalla collaborazionetra Università di Genova (prof. TizianoMannoni) e Soprintendenza Archeolo-gica della Toscana (dott.ssa PaolaPerazzi), e così si è giunti fino al 2007quando, dall’incontro tra lo stesso Man-noni e la prof. Caterina Rapetti (vicesin-daco di Pontremoli e Assessore alla Cul-tura), è sorta l’idea di un rinnovo totaledel museo, idea sostenuta poi dallaRegione Toscana che voleva investire inuno dei suoi “musei virtuosi”, quelli chenegli anni mai hanno abbassato il nume-ro dei visitatori.

La scelta d’affidamento del nuovoprogetto - insidiosa in quanto si sareb-be dovuto far meglio di altro che avevafunzionato brillantemente – è caduta sulprestigioso Studio Canali Associati di

Parma, noto per le sue premiate realiz-zazioni museali (Siena S. Maria dellaScala, 1998-2000; Palazzo Reale eMuseo del Duomo di Milano, 2013).

Dal 2009 al 2015 si è dunque lavora-to alacremente per aggiornare il vecchioapparato espositivo, mantenendone lescelte di successo ed impiegando, peruna fruizione ancor più efficace, l’usodegli strumenti multimediali.

La preoccupazione dell’architettoGuido Canali, ben raccontata nel videosul nostro sito www.statuestele.org, eradi costruire un percorso fascinatore chesapesse allontanare sia le atmosfere tri-sti come i percorsi oziosi avvalendosi,quando possibile, di ambienti antichidel castello, mai manomessi da inter-venti recenti.

Il risultato sorprendente di quest’in-contro sta soprattutto nelle stele a dimo-ra nella manica medievale del piano

terra, ma grande suggestione restituisceanche l’allineamento delle stele diGroppoli, ove all’assenza del paramen-to murario antico supplisce un nuovomodo di esporre questi monumenti,espressione autentica del talento dell’ar-chitetto, in grado di rapire piacevol-mente quando improvvisamente li siincontra.

Il museo è rimasto sostanzialmentemonotematico, e il fenomeno delle sta-tue-stele della Lunigiana viene affronta-to lungo il percorso seguendone tutti itemi principali: cosa sono, chi le ha rea-lizzate, a che periodo appartengono,cosa significavano allora e cosa rappre-sentano oggi per la comunità che abitaquesto territorio, racchiuso tra mar Tir-reno, Alpi Apuane ed Appennini, comu-nità che le ha elette a proprio simbolodefinendosi Terra dei Malaspina e delleStatue Stele.

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S. Egidio

S. Elpidio

S. Gregorio

S. Rosalia

S. Vittorino

S. Petronio

S. Regina

Madonna della Villa

S. Sergio

S. Nicola

S. Diomede

SS Nome di Maria

S. Maurilio

Esaltazione S. Croce

B. V.. Maria Addolorata

S. Cornelio

S. Roberto

S. Sofia

S. Gennaro

S. Eustachio

S. Matteo

S. Maurizio

S. Pio da Pietrelcina

S. Pacifico

S. Aurelia

SS. Cosimo e Damiano

S. Vincenzo de' Paoli

S. Venceslao

S. Michele

S. Girolamo

SettembreIn dialetto pontremolese la parola lüpoma-

nàio è lo stesso che l’italiano lupo mannaro elicantropo. Il primo termine è dal tardo latinol?pus homin?rius, l’altro è dal greco lúcos,lupo e ánthropos, uomo. La leggenda è già dif-fusa nel mondo greco, in quello latino e pressovari altri popoli e culture. Probabilmente risaleall’età preistorica quando gli uomini, riuniti intribù di cacciatori e raccoglitori di erbe e frutti,vedevano nei branchi di lupi i loro avversaripiù temibili. E l’orrore più sconvolgente ema-nava dal fatto che un membro della tribù potes-se trasformarsi nel peggior nemico, spezzandola solidarietà del gruppo.

Con l’avvento del cristianesimo si diffondela fama che diventi lupo mannaro, colui cheprofana con la sua nascita la Santa Notte delNatale. La data del concepimento di questoindividuo risale al 21 marzo, festa dell’Annun-ciazione. Ed ecco entra in scena Pontremoli ein particolare il sobborgo della SS Annunziataperché proprio in quel giorno si celebra la festanel grande santuario, eretto nella seconda metàdel XV secolo a perpetua memoria di un’appa-rizione della S. Vergine e dei miracoli che que-sta produsse. Può capitare che, dopo le imban-digioni e le bevute conseguenti la sagra, uomi-ni e donne, resi incoscienti dalla crapula, si uni-scano carnalmente, rischiando di mettere almondo dei lupi mannari. Ed è forse questo ilmotivo per cui gli abitanti della SS Annunziatavengono chiamati lüvèti, cioè lupetti, e del per-ché, sopra un margine della facciata del santua-rio, ci sia una testa di lupo con le fauci spalan-cate, bassorilievo scolpito nella pietra e monitolanciato contro quella lussuria che può scatena-re la nascita del mostro.

Ma se quella della SS Annunziata è storiache comincia dopo il XV secolo, ben più anti-co è il rapporto del lüpomanàio con il castellodel Piagnaro. Si può correttamente dire che ilcastello sta al lüpomanàio come il conte Dra-cula sta al suo mitico maniero in Transilvania.Simile il destino dei due luoghi condannati allapresenza dell’essere soprannaturale contro ilquale è vano ogni umano tentativo di annienta-mento e distruzione: spento un vampiro, unaltro vampiro sorge, spento un lüpomanàio,ecco spuntarne un altro. Uomini rassegnatiall’ineluttabilità del potere delle tenebre devo-no difendersi con gli stratagemmi che la tradi-

zione insegna. Nella notte ci si chiude in casae i due mostri sono liberi di vagare per le stra-de. Ma insieme alle analogie appaiono anchele differenze. Mentre il vampiro ha la necessitàdi trovare vittime per nutrirsi e succhiare daesse il sangue, dopo avere inciso le vene con icanini acuminati, il lüpomanàio scatena la suafuria verso un essere umano solo in determina-te condizioni. Contro il vampiro case e perso-ne sono protette da trecce d’aglio, crocefissi e

acqua benedetta. Le case di Pontremoli devonoavere più di tre scalini perché, per magicapotenza, il licantropo non può salire oltre ilquarto. Il vampiro esercita il suo potere su lupi,topi e pipistrelli. Allo stesso modo i cani randa-gi che fiutano la presenza del lüpomanàio gli siraccolgono attorno e, per virtù d’incantesimo,diventano una muta e lo eleggono capobranco.Mentre il vampiro può trasformarsi in lupo,topo e pipistrello e il licantropo, in altri luoghidove la leggenda è diffusa assume le sembian-ze dell’animale, al contrario quello di Pontre-moli mantiene fattezze umane anche se altera-te dallo stato malefico. Ha i capelli dritti sullatesta, l’occhio acceso come di brace, si liberadei vestiti e vaga seminudo, privo di calzoni econ indosso solo una camicia quando il male locoglie e lo trascina fuori di casa. Ha la smisu-rata forza di Sansone, è rabbioso come unatigre, nervoso come un leone e lancia urla tali

Al Lüpomanàiodi Andrea Baldini

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da far stramazzare a terra un uomo perarresto cardiaco.

Al malcapitato, che per caso lo incon-tra, viene dato il consiglio di fuggireanche se fosse armato di pistola o dibastone, scantonando dietro i muri anchein gattoni. La raccomandazione è di pre-stare la massima attenzione a non guar-darlo in faccia e scoprire, aldilà dei trattialterati del volto, l’identità della personache di notte è belva, ma che durante ilgiorno riacquista la sua figura di uomonormale: abitante del luogo che svolgeattività innocue e benevole in netto con-trasto con la sua contronatura. Ecco lacondizione che scatena la furia: se sivede scoperto, il mostro fa scempio dellavittima, balzandole addosso con tutti icani della muta.

Luigi Campolonghi (1876-1944) nelromanzo dedicato a Pontremoli, Una cit-tadina italiana fra l’80 e il ‘900, descri-ve i suoni che dall’esterno raggiungono

la camera nella quale dorme con il fratel-lo e lo zio: «Non di rado, quando il cam-panone si svegliava nell’alta torre perannunciare con uno sbadiglio le nove o ledieci di sera, il lastricato ci inviava l’ecodi passi petulanti o cadenzati; e, se eranotte di lunedì, noi vedevamo in nostrafantasia (e con l’aiuto dello zio Bernardo,che – nella stessa stanza – aveva il lettofra i nostri due lettini) passare un squadrafestiva di calzolai brilli; mentre, se era lanotte di un altro giorno qualunque, lo zioBernardo mormorava: - i carabinieri! - E,poiché da quel momento la strada appar-teneva ai fantasmi, ritiravam la testasotto le coltri.

Chi sa che ai carabinieri non tenessedietro il lupo mannaro, misteriosomostro indigeno che i più creduli giura-vano ai più increduli di aver incontrato

mentre precipitava a capriole giù dal Pia-gnaro...»

La stessa atmosfera si respira nellapoesia in dialetto pontremolese che LuigiPoletti (1864-1967) dedica alla creatura,descrivendone tutti i caratteri. Il campa-none ha scandito l’una di notte! Una per-sona ancora sveglia in una stanza di casaascolta in lontananza lamenti dove uomoe cane si mescolano insieme. Brividi dipaura e di mistero. Si dipana il raccontodelle attività della fiera percepite piùattraverso suoni e strepiti che viste congli occhi. Si muove argürlùn, rotolando-si con il rumore e la velocità di un rodé?,la macina di pietra di un mulino. Viaggiaper i surchëti, le strade piccole come sol-chi che percorrono l’erta del Piagnaro epoi giù nella Biédla, la contrada sortaattorno al bedàle, corso d’acqua checorre parallelo al torrente Verde e che, untempo, azionava le pale di un mulino.Rovista negli stanab i, anfratti e ambiti

che separano le muradelle case, dove disolito viene ammuc-chiata la sporcizia.Soprattutto ama rin-tanarsi nei fossi e neiletamai situati nellazona di campagnalimitrofa alla città, gliantichi donnicàti,dove i contadiniarano la terra e rac-colgono lo stramedelle stalle per conci-mare i terreni. Il sag-

gio consiglio è quello di ritirarsi in casa edare il catenaccio alla porta, quando dallacontrada di S. Geminiano si sente prove-nire quell’abbaiare di bestia che simescola al pianto dell’uomo. Bruno Nec-chi (1913-1977), sotto lo pseudonimo diPasquìn, nel 1957 pubblica una raccoltadi racconti nel volume La Crësa. Pas-quìn è un uomo nato e cresciuto nel dia-letto pontremolese, la lingua del cuore, eora è costretto dai tempi e dalla scuola apiegarsi all’incalzante dominio della lin-gua italiana. Si adegua e tenta di parlaree scrivere in italiano, ma i termini, leforme, la sintassi e lo spirito restanoquelli del dialetto: nasce un ibrido dovela comicità è intrinseca all’operazionestessa. Bruno Necchi non inventa, maregistra con originalità quello che avve-niva nella realtà, non solo a Pontremoli,

ma in tutta Italia: il goffo tentativo dellepersone di adattarsi all’italiano e l’irri-mediabile perdita del dialetto. Di suoaggiunge una travolgente ironia e unacommovente vena lirica. Uno dei raccon-ti è intitolato Incontro con il lupo manna-ro: «Ai miei tempi i lupi mannari a Pon-tremoli c’erano a branchi. Se uno li vole-va incontrare, bastava che faceva ungiretto fino al votone della Bietola, poimontava su per il Piagnaro e i Sorcheti ealmeno un paio li trovava di sicuro.Quando c’era la luna piena, là nei ardamidi Sucarelo, ce n’erano sempre tre oquattro che si armusnavano in gatone ebaiavano insieme agli altri cani e si dava-no delle bocate a tutto spiano e si senti-vano degli urli meso cristiano e mesobestia […]

Me, che allora stavo proprio nellaBietola e dormivo sopra la strada, quan-do sentivo quegli urli, mi infilavo tuttosotto i lensuoli e delle volte fena sotto lamatarassa per non sentirli. Quando pro-prio non ce la facevo più dalla paura,andavo di corsa in camera dei miei, e pernon fare una brutta figura dicevo che cer-cavo un bicchiere d’acqua e poi taccavobottone fena che i miei grodavano giù dalsonno. Quando sentivo che ronfiavanobene, allora chiudevo a chiave la portadella camera e mi mettevo in una vecchiapoltrona rembata al letto del babbo e cistavo fena che veniva giorno chiaro e michiappava il freddo. Allora in punta dipiedi tornavo nel mio letto, e, pieno dicoraggio dormivo fena che mi chiamava-no a mangiare a mesogiorno». L’incontroannunciato nel titolo e descritto nel rac-conto rivela che il presunto lupo manna-ro è il cane dei vicini di casa.

Da ultimo un incontro che risale aglianni Sessanta del secolo scorso. Un fer-roviere, che sta recandosi al lavoro inpiena notte, avverte un’oscura presenzache lo insegue. Mentre corre all’impaz-zata, intravede la luce accesa di una bot-tega di fornaio. Urlando, bussa alla porta,gli viene aperto, terrorizzato si accasciasui sacchi di farina e piange “Ohimè!Ohimè! Il lüpomanàio!». Il fornaio, men-tre con calma introduce nella bocca delforno la pala con il pane da cuocere,risponde con tono rassegnato: «Sta sito.L’è tüta la nota c’al sënt!». (cfr. A. Bal-dini, G. Benelli, Descrizione della nobilecittà di Pontremoli, Luna Editore, LaSpezia 2001).

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S. Teresa

SS. Angeli Custodi

S. Gerardo abate

S. Francesco d'Assisi

S. Placido martire

S. Bruno abate

B. V. del Rosario

S. Pelagia

S. Dionigi

S. Daniele

S. Firmino

S. Serafino

S. Edoardo

S. Callisto I

S. Teresa

S. Edvige

S. Ignazio

S. Luca

S. Isacco

S. Irene

S. Orsola

S. Donato

S. Giovanni

S. Antonio M. Claret

S. Crispino

S. Evaristo

S. Fiorenzo

S. Simone

S. Ermelinda

S. Germano

S. Lucilla

OttobreLa Lunigiana storica comprende l’antica

diocesi di Luni che s’identifica con i territoriposti al confine di Liguria e Toscana, accen-trati attorno al bacino del fiume Magra e deli-mitati dal mare, dal gruppo delle Alpi Apua-ne, dalla dorsale appenninica e dalle monta-gne che formano la testata alla valle dellaVara. In questa area le antiche popolazioniliguri hanno espresso un originale culto dellestatue stele che, per singolari condizioniambientali, si è mantenuto vivo attraverso idifferenti influssi etnici e culturali. Si tratta difigure scolpite nell’arenaria locale e innalzatenel lungo spazio dei tre millenni che hannopreceduto l’arrivo degli antichi Romani.

Queste stele sono formate da tre partidistinte: la testa, il busto e la parte inferiore.La testa è ellittica o circolare e la sua partesuperiore è sempre rotondeggiante, è separatadal busto secondo i casi da una linea profon-da, dal rilievo della fascia clavicolare o dalcollo. Il busto è rettangolare, ha in alto lafascia clavicolare, ai lati le braccia rotondeg-gianti. Nelle statue femminili vi sono i seni, inquelle maschili generalmente vi sono figuredi armi, l’ascia e il pugnale, nelle immaginipiù tarde si aggiunge anche una coppia didardi. La parte inferiore sovente ha una formaappuntita e meno lavorata, talvolta è separatadal busto da una cintura, che può essere sopra,sotto o parallela al pugnale. Solo nelle stelepiù tarde si hanno raffigurazioni degli artiinferiori.

Alcune caratteristiche, che si ripetono intutta l’area della loro diffusione, ci fanno rite-nere questi monumenti accomunati da unastessa origine. Quasi ovunque troviamo statuefemminili insieme a statue maschili, nelle

quali le armi sembrano rappresentare gli attri-buti della virilità. L’essere femminile è gene-ralmente considerato come la rappresentazio-ne della Dea Mater, simbolo di fertilità e dellavita, che protegge le messi nelle campagneinsieme ad una immagine maschile provvistadi ascia e di pugnale. È probabile, quindi, chele statue stele, almeno le più antiche, si erges-sero nei boschi o nei campi quali divinità tute-lari, dato che nessun indizio dell’esistenza disepolture è stato finora trovato in relazione adesse, a provarci la loro eventuale destinazionefuneraria.

Le statue stele sono state rinvenute, isolateo in varia concentrazione, nella pianura del-l’ager Lunensis, nei prati alluvionali delmedio e alto corso della Magra, nelle zonecollinari, vicino alle cime più alte delle AlpiApuane. Alcune sono state scoperte muratenelle case, altre sotto le fondamenta di antichechiese, altre ancora scavando sulla cima diuna collina o nelle grandi terrazze fluviali. Laprima statua-stele ad essere riconosciuta furinvenuta nel 1827 a Zignago, in provinciadella Spezia, ed è tra le più enigmatiche delcomplesso statuario della Lunigiana, in quan-to di difficile interpretazione e collocazionestilistica. Nel 1886 vennero alla luce nel golfodella Spezia, a circa dodici metri sotto il livel-lo marino, due stele di struttura molto sempli-ce ed essenziale che sono andate perdute e dicui conserviamo il disegno e le misure fatteall’epoca della scoperta. Si tratta di una sem-plice lastra rettangolare con gli angoli smus-sati, con una semplice U in rilievo ad indica-re il volto. Le ultime ad essere rinvenute inordine di tempo sono quelle di Venelia II tro-vata nel 1984 da Giuseppe Baldi, Venelia III

Il magico fascino delle Statue Steledella Lunigiana di Giuseppe Benelli

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nel 1995, Aulla nel 1996 e quelle diGroppoli dal 2000 al 2005, Venelia Vnel 2012.

Anche se in alcune località si sonotrovate in forti concentrazioni, come lenove di Pontevecchio, le diciotto (11Filetto + 6 Malgrate + 1 Mocrone) tro-vate tra Filetto e Magrate, le tre diMinucciano, le sette di Groppoli scoper-te tra lo scavo Enel e quello scientificocondotto dalla Soprintendenza, non visono precisi elementi per parlare di par-ticolari orientamenti o vocazioni. Le piùantiche risalgono all’Età del Rame,dalla metà del IV alla fine del III mil-lennio a.C., le più recenti alla piena Etàdel Ferro, tra il VII e il VI secolo a.C.Tra integre e in frammenti ne sonosopravvissute ottantadue, in un susse-guirsi di ritrovamenti fortuiti, talchénessuna, con l’eccezione della Minuc-ciano III, è stata scavata stratigrafica-mente nel contesto originario.

Augusto Ambrosi, partendo da unostudio di Ubaldo Formentini del 1948,le ha classificate in tre tipi, in base atipologia e figurazioni che permettonodi datarle: i primi due (A - B) all’età delrame, il terzo (C) alla piena età delferro. Alla fase più antica (gruppo A),che nella Liguria preistorica dovetteaccompagnarsi al diffondersi delleprime attività metallurgiche, apparten-gono le sculture con la testa incorporataal tronco. Sono caratterizzate da un’ela-borazione molto stilizzata, ancora piùsimili alla stele che non alla statua: latesta è appena abbozzata e non si staccadal corpo; il volto è stilizzato, con latipica forma a U e gli occhi sbozzati apastiglia; attributi e ornamenti sonoassai schematici. Tali caratteristichesono ben visibili nella stele Casola incui l’unica distinzione tra il corpo e latesta è una linea clavicolare, da cuiscendono verso il basso, leggermentecurvate, le braccia. La stele presenta inbasso un pugnale a lama convessa con ilpomo dell’impugnatura a semidisco.

Al gruppo B appartengono quellecon la testa separata e impostata su collorobusto. È il gruppo più numeroso, conun’elaborazione stilistica più curata. Latesta si stacca dal corpo e assume lacaratteristica forma a mezzaluna, proba-bilmente ispirata all’impugnatura semi-lunata del pugnale. Le donne hanno iseni in rilievo e indossano collane e

monili. Gli uomini sono armati conpugnali e con asce. Il volto è ancora adU o è delimitato da un cerchio. La steleCanossa presenta ad esempio un pugna-le rettangolare, inserito nel suo fodero,decorato con tre cuspidi; mentre laMinucciano III associa alla presenzadel pugnale un’ascia di tipo Similaun.Anche gli esemplari femminili hannoparticolari più curati. La stele Treschiet-to è decorata sul collo da una serie dilinee curve parallele, che raffiguranouna goliera, un ornamento usato nell’e-tà del Bronzo. Ad attirare però l’atten-zione in questa statua è la definizionedel seno, particolarmente evidente con

la presenza dei capezzoli. Molte statuedi questo gruppo presentano inoltresegni inequivocabili del loro riutilizzonel corso dei secoli come materiali dicostruzione.

L’ultimo gruppo (C) è rappresentatoda vere e proprie statue antropomorfe emostra il chiaro influsso dei contatti conle popolazioni etrusche e celtiche. Com-prende le stele più recenti, databili all’e-tà del Ferro, che si distinguono dalleprecedenti per un ulteriore variazione

sia delle forme anatomiche che degliornamenti. Sono lavorate “a tuttotondo” e concepite come statue, per unavisione globale e non più solo frontale.I dettagli del volto, delle braccia, dellearmi e degli ornamenti cambiano, men-tre compaiono alcune iscrizioni. La sta-tua stele Bigliolo racchiude in sé tutte lecaratteristiche del gruppo C: scolpita atutto tondo con le spalle non più squa-drate, ha il volto definito nei suoi parti-colari e le armi; sul petto reca l’iscrizio-ne onomastica in caratteri etruschinemetuvis.

Anche se oggi il quadro appare piùchiaro grazie al progresso degli studi, anuove scoperte e ai confronti fra le rap-presentazioni degli oggetti raffigurati equelli reali rinvenuti nei corredi funera-ri o abitativi dell’età del rame, perman-gono ancora tante difficoltà e notevolidubbi interpretativi, soprattutto in ordi-ne alla loro funzione. Difficile, ad esem-pio, evidenziare con una qualche chia-rezza i rapporti tra le stele e le popola-zioni che tali monumenti hanno scolpitoe innalzato. Anche se dagli studi emergein modo uniforme che la rottura inten-zionale, avvenuta in tutta Europa e nonsoltanto in Lunigiana, indica la perditadi un’identità locale sostituita da nuovecredenze.

Ma le statue stele perché sono statefatte? Che cosa facevano di esse o conesse gli uomini che le hanno prodotte?Quali funzioni avevano? Avevano fun-zioni di carattere religioso, di caratteresociale, di carattere mitologico o misti-co? Cosa rappresentavano nella culturadel loro tempo? Queste domande, mal-grado più di cento anni di ricerche,mancano ancora di risposte. Il dibattitosulle interpretazioni connesse al diffon-dersi del megalitismo e del fenomenodelle statue stele in ambito europeo apartire dalla fine del Neolitico è ancoramolto aperto. Le ipotesi sulle idee reli-giose alla base della diffusione del feno-meno e le considerazioni sulla diffusio-ne di idee e concetti nell’Europa prei-storica sono motivi di confronto. Qualiche siano le personali convinzioni diciascuno studioso sul significato dellefigurazioni rappresentate, defunti divi-nizzati o divinità antropomorfizzate, lestatue stele continuano a porre interro-gativi e a non trovare risposte chiare edesaustive.

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Tutti i santi

Comm. dei Defunti

S. Martino

S. Carlo Borromeo

S. Zaccaria

S. Teobaldo

S. Ernesto

S. Goffredo

S. Oreste

S. Leone Magno

S. Martino di Tours

S. Renato

S. Diego

S. Giocondo

S. Alberto

S. Margherita

S. Elisabetta

S. Oddone

S. Fausto

Cristo Re

Pres. B. V. Maria

S. Cecilia

S. Clemente

Cristo re

S. Caterina

S. Corrado

I di Avvento

S. Giacomo della Marca

S. Saturnino

S. Andrea

NovembreNel corso della sua lunga storia Pontremo-

li è stato talvolta la “capitale” della Lunigia-na. È forse per questo suo antico ruolo cheall’inizio degli anni Settanta del Novecentoamministratori e studiosi del territorio, traquesti Augusto Cesare Ambrosi, hanno scel-to di collocare nel castello del Piagnaro ilMuseo delle Statue stele lunigianesi, quellacollezione cioè di stele che era andata costi-tuendosi ad opera dello stesso Ambrosi aCasola, in quella Lunigiana orientale dove piùnumerosi erano stati i ritrovamenti dei repertiarcheologici. Pontremoli - anche se non erastata luogo di significativi ritrovamenti se siesclude la stele rinvenuta a S. Cristoforo diGordana - divenne da allora la sede di uno deipiù significativi musei archeologici dellaToscana.

Un museo che, segnalato in tutte le princi-pali guide turistiche, ha continuato per decen-ni ad attrarre visitatori, oltre che per l’impor-tanza dei manufatti conservati, anche graziead un allestimento che se da un lato non man-cava di conferire fascino alla collezione, dal-l’altro si era arricchito nel corso del tempo diun apparato didattico che ne illustrava i con-tenuti, risultato di indagini e approfondimentimessi in atto da vari studiosi.

Quando tuttavia nel 2007 ho assunto l’in-carico di assessore alla cultura nell’ammini-strazione Gussoni, il museo mostrava ormai isegni del tempo e di scelte, a mio avvisodiscutibili, nel frattempo messe in atto. Miriferisco ad esempio ad aver privato, in nome

di un mal inteso rigore scientifico, il museodella parte riservata ai calchi che illustravanoalcune delle stele più significative, soprattuttodel gruppo C, lì non esposte in originale, fattoche aveva impoverito la collezione impeden-do al visitatore di cogliere la complessità delfenomeno. Nel contempo la mancanza di rife-rimenti alle conoscenze nel frattempo acquisi-te sulla preistoria nel nostro territorio, nonconsentiva un’adeguata contestualizzazionedei reperti; a questo si aggiungeva la consape-volezza di quanto l’utilizzo degli strumentimultimediali, ormai largamente in uso negliallestimenti museali, potesse risultare utile aifini della comprensione.

Alla luce di queste considerazioni e dellaconvinzione che il museo rappresentasseun’importante istituzione cittadina, abbiamoscelto di concentrare su questo ogni sforzo eper aumentarne la fruizione da parte del pub-blico, e per avviare un percorso di riallesti-mento che portasse ad un’ulteriore valorizza-zione dello stesso. Attraverso una ripetutapromozione su stampa e TV e con l’avvio diun progetto di educazione al patrimonio checoinvolgeva le scuole, che negli ultimi annierano divenute quasi inesistenti tra i fruitoridel museo, si raggiunsero nel corso di quell’e-sperienza i 12 mila visitatori paganti, unacifra importante che in una classifica regiona-le ci poneva tra i primi musei della Toscana,ovviamente dopo quelli fiorentini, ma ampia-mente prima di altri quali ad esempio ilMuseo di S. Matteo nella frequentatissima

Piazza dei Miracolidi Pisa.

Con la convinzio-ne, confermata comesi è visto già nelcorso del mandato,delle alte potenzialitàdi attrazione delnostro museo, si èiniziato il percorsodel riallestimento nelquale, per la valenzasovra comunale dellostesso e per l’impe-gno economico chesi prevedeva avrebbecomportato vennero

Il Museo del Piagnaro

Storia di un riallestimentodi Caterina Rapetti

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coinvolti da subito i vari enti territoriali.Prima di tutto l’allora Comunità Monta-na all’epoca presieduta da Paolo Bisso-li; con lui già nel luglio del 2007 in unincontro a Genova con il prof. TizianoMannoni, coinvolto dall’inizio nel pro-getto, si delinearono le prime linee delnuovo allestimento. Formulata unaprima ipotesi, venne sottoposta allaRegione Toscana nella persona del diri-

gente del settore istruzione, dott. Giam-bruno Ravenni che fin da subito accolsee sostenne l’ambizioso progetto di rial-lestimento, riconoscendo al Museo delPiagnaro il ruolo di prima istituzionedella Provincia e tra le più significativedella Regione; da lui venne anche l’in-vito ad affidarne la cura ad un professio-nista di livello nazionale.

Scelta questa relativamente facileavendo avuto modo apprezzare fin dailontani tempi degli studi universitari lasensibilità dell’arch. Guido Canali diParma, curatore - per citare solo alcunidei suoi prestigiosi lavori - del riallesti-mento del museo della Pilotta a Parma edi quello del Museo dell’Ospedale di S.Maria della Scala a Siena. Non senzaun qualche timore da parte mia, andam-mo già nell’estate insieme a Bissoli achiedere la sua collaborazione. L’archi-tetto si mostrò interessato al progetto e

non mancò di sorprendermi quando, alprimo sopralluogo effettuato al castello,di fronte alla richiesta da parte mia diindividuare nuovi spazi per ampliarel’esposizione, propose di utilizzarequella che definì “la manica”,cioè laparte più meridionale a ridosso delprimo cortile, all’epoca divenuta unmagazzino e completamente occupatada materiali di risulta di vecchi cantieri,

da mobili accatastati, da materiali rima-sti lì dalle feste estive e da quant’altro,così che appariva subito problematicoanche solo svuotarla, mentre tutta larimanente parte del castello era libera!Una scelta felice possiamo dire ora chene ammiriamo il fascino di luogo nonmanomesso nel tempo, come mi fecenotare allora l’architetto quando glimanifestai qualche perplessità.

Iniziava così un’avventura impegna-tiva e affascinante nel medesimo tempo.Da un lato procedevano le ipotesi sul-l’allestimento, nella predisposizionedelle quali emerse ben presto un’intesatra il prof. Mannoni e l’arch. Canali,entrambi peraltro consapevoli che unavolta intervenuti sulle strutture, si sareb-bero valutati i più validi supporti multi-mediali, da affidare ad esperti del setto-re. Dall’altro lato, in accordo con laSoprintendenza ai Beni Culturali, avvia-

vo i primi approcci con le istituzioniecclesiastiche, con privati cittadini,nonché con altre amministrazioni perarrivare ad ampliare la raccolta di stele,pensavo al recupero di alcuni originali,oltre quelli di Groppoli, ancora espostinel territorio al di fuori del museo, inqualche caso nemmeno adeguatamenteprotetti, approcci che riservavano ladefinizione delle modalità di acquisizio-

ne ad un momento successi-vo, quando il cantiere fossestato avviato.

Inizialmente era peraltroforte la preoccupazione peril costo previsto, una sommache s’annunciava importan-te. Appariva del tutto impro-ponibile pensare ad un taleimpegno per un’amministra-zione comunale che, nondisponendo di risorse pro-prie, non era in grado di met-tere in atto i cofinanziamentirichiesti per poter attingereai fondi europei. Avvertivoche pochi, anche tra i colle-ghi di giunta, pensavano chel’iniziativa potesse andare abuon fine. La determinazio-ne messa in atto nel perse-guire l’obiettivo si basava daparte mia anzitutto sulla con-sapevolezza, condivisaperaltro anche fuori dell’am-bito comunale, che ci si

stava impegnando per una realizzazioneil cui significato andava al di là di Pon-tremoli stessa, che si sarebbe valorizza-to un museo il cui patrimonio è di valen-za sia nazionale che sovranazionale eche il risultato avrebbe dato nuovo slan-cio al flusso turistico con una ricadutaanche sull’economia cittadina, cometestimoniavano le varie migliaia di per-sone che ogni anno attraversavano ilcentro storico per salire al castello avisitare il museo. Da qui la convinzio-ne con cui si sono coinvolti, non senzaincontrare difficoltà, tutti gli enti chepotevano condividere la scelta attraver-so un loro contributo, dalla già ricorda-ta Comunità Montana, alla Provincia,alla Regione e poiché non bastava,anche l’Ente Cassa di Risparmio diFirenze, nel quale la presenza di pon-tremolesi negli organismi dirigenti ren-deva in certo qual modo più facile illu-

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S. Ansano

S. Bibiana

S. Francesco

II di Avvento S. Barbara

S. Giulio

S. Nicola

S. Ambrogio

Immacolata Concezione

S. Siro

B. V. Maria di Loreto

III di Avvento S. Damaso

S. Giovanna

S. Lucia

S. Giovanni della Croce

S. Valeriano

S. Adelaide

S. Lazzaro

IV di Avvento S. Graziano

S. Fausta

S. Liberato

S. Pietro

S. Francesca Cabrini

S. Giovanni C.

S. Delfino

Natale del Signore

S. Stefano

S. Giovanni

SS. Innocenti Martiri

S. Tommaso Becket

S. Eugenio

S. Silvestro

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strare il significato dell’operazione che siandava proponendo. Per un impegno di spesaprevisto di un milione e 250 mila euro, allafine la parte a carico delle casse comunali erarisultata soltanto di 150 mila, una sommatutto sommato modesta, con la quale è vero,come si sentiva ripetere talvolta, si sarebbepotuto sistemare qualche tratto dei marciapie-di cittadini, sempre in condizioni precarie, maevidentemente con esiti ben diversi. La con-temporanea realizzazione di un ascensore cheda Porta Parma avrebbe portato direttamenteal castello, avrebbe dato al museo la massimaaccessibilità, consentendone la fruizione atutti i cittadini come previsto dalle normativevigenti.

All’impegno economico già ricordato siaggiunse la richiesta di un ulteriore finanzia-mento europeo (175.000 euro), ProgettoAccessit, necessario peraltro per consentirela realizzazione di un ascensore interno oltreche dei supporti multimediali; quando lasomma venne assegnata tuttavia, l’esperienzaamministrativa della giunta Gussoni doposoli tre anni si era interrotta e il cantiere delPiagnaro, già avviato da qualche mese, fuaffidato alla cura di altri.

Nel frattempo era anche venuto a mancareimprovvisamente il prof. Mannoni, privando-ci oltre che della sua amicizia e disponibilitàanche della sua grande competenza in mate-ria. Il suo posto era stato assunto dal dott.Angelo Ghiretti che, in qualità di direttore delmuseo, fin dal 2010 aveva sempre condivisocon l’amministrazione e con il prof. Mannonil’idea di un nuovo museo ampliato nel quale

il rigore scientifico potesse tradursi in un alle-stimento che ne rendesse facilmente accessi-bili i contenuti.

Non nascondo che quando all’inaugura-zione del giugno 2015 ho potuto visitare ilnuovo museo, l’impatto è stato emotivamenteforte. L’allestimento messo in atto dalla sen-sibilità dell’arch. Canali, come è stato osser-vato da molti, appare di grande suggestione;il sapiente impiego delle luci dà forma e vitaalle statue stele e la nuova collocazione che lemostra per la prima volta nella loro interezzanon le priva di quell’aura di mistero che costi-tuisce il fascino maggiore di questi repertiper la maggioranza del pubblico, inevitabil-mente costituito da non esperti. Anche la col-locazione entro la manica consente di valoriz-zare nello stesso tempo sia le stele che lastruttura del castello del quale qui è ancoravisibile un’antica porta di accesso. Rimaneincompleta o comunque lontana da come siera prevista, la parte multimediale/didattica,ma su questa, per l’importanza che ricopreper un’adeguata fruizione, volendo si potràancora intervenire. Ora comunque Pontremo-li dispone di un significativo e importantemuseo e il gran numero di visitatori che sonosaliti al castello nei mesi estivi è testimonedella sua attrattiva e di come, se adeguata-mente promosso, possa raggiungere l’obbiet-tivo auspicato di un ulteriore aumento di pub-blico.

Ripercorrendo ora per l’Almanacco levicende del museo, insieme alla gratitudineverso tutti quelli che hanno condiviso questopercorso, mi viene da considerare come,

anche se accade diessere amministra-tori in tempi diffi-cili, si può perse-guire qualche pro-getto ambizioso,qualche sogno, conla consapevolezzache sia possibilepoi anche realiz-zarlo. E aggiungoche il castello delPiagnaro disponeancora di ampispazi adatti anuovi allestimentiper i quali nonmanche rebbe ronuove proposte,ma questa potràdiventare un’altrastoria.