Le canzoni cabile - Università degli Studi di Milano-BicoccaLe canzoni cabile Lingue e letterature...

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Vermondo Brugnatelli Le canzoni cabile Lingue e letterature dell’Africa Corso 2006-2007 Università degli Studi di Milano-Bicocca Õas ad awáeÌ lqifar Dovessi finire in lande desolate Õas lek w aÌeá ad ssusmen Dovessero ammutolire le carte Õas q w e˜˜Äent-iyi tiÌemmar Dovessero attirarmi nei tranelli Õas ad kkawen idammen Dovesse il sangue seccarsi nelle vene Õas gmiÌ am yir sÌar Dovessi crescere come una mala pianta Õas m’ ur ze˜˜eÌ wid yessnen Dovessi non curarmi dei consigli dei saggi Õas ad zummgeÌ i lˆar Dovessi sorridere allo straniero Õas lÍiÌ d yir qáar Dovessi frequentare cattive compagnie Õas ma ÍemmleÌ idrimen Dovessi un giorno amare i soldi Õas izan ad fell-i nnáen Dovessi vivere in mezzo alle mosche Õas ˆˆiÌ yeffud uìa˜ Dovessi lasciare assetata la radice Õas snuseÌ inebgawen Dovessi accogliere il nemico Õas ma yexsi-yi waÄbar Dovessi fallire il colpo Õas lˆerra-w ad tekmen Dovesse sparire la mia orma Õas di ccetwa iäij yessÌar Dovesse il sole dardeggiare in pieno inverno Õas ma ulac w’ aa yeììiìnen Dovesse non esserci nessuno da scaldare Õas ad ttuÌ abiÒa˜ Dovessi dimenticare il gusto del minestrone Õas grarbeÌ-d seg wedrar Dovessi ruzzolare giù dal monte Ur tettuÌ tin i yi-d-yurwen Non dimenticherò colei che mi ha partorito D ucewwiq i yi-izzuznen Né il canto che mi ha cullato [Ben Mohamed]

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  • Vermondo Brugnatelli

    Le canzoni cabileLingue e letterature dell’Africa

    Corso 2006-2007

    Università degli Studi di Milano-Bicocca

    Õas ad awáeÌ lqifar Dovessi finire in lande desolateÕas lekwaÌeá ad ssusmen Dovessero ammutolire le carte

    Õas qwe˜˜Äent-iyi tiÌemmar Dovessero attirarmi nei tranelliÕas ad kkawen idammen Dovesse il sangue seccarsi nelle vene

    Õas gmiÌ am yir sÌar Dovessi crescere come una mala piantaÕas m’ ur ze˜˜eÌ wid yessnen Dovessi non curarmi dei consigli dei saggi

    Õas ad zummgeÌ i lˆar Dovessi sorridere allo stranieroÕas lÍiÌ d yir qáar Dovessi frequentare cattive compagnie

    Õas ma ÍemmleÌ idrimen Dovessi un giorno amare i soldiÕas izan ad fell-i nnáen Dovessi vivere in mezzo alle mosche

    Õas ˆˆiÌ yeffud uìa˜ Dovessi lasciare assetata la radiceÕas snuseÌ inebgawen Dovessi accogliere il nemico

    Õas ma yexsi-yi waÄbar Dovessi fallire il colpoÕas lˆerra-w ad tekmen Dovesse sparire la mia orma

    Õas di ccetwa iäij yessÌar Dovesse il sole dardeggiare in pieno invernoÕas ma ulac w’ aa yeììiìnen Dovesse non esserci nessuno da scaldare

    Õas ad ttuÌ abiÒa˜ Dovessi dimenticare il gusto del minestroneÕas grarbeÌ-d seg wedrar Dovessi ruzzolare giù dal monte

    Ur tettuÌ tin i yi-d-yurwen Non dimenticherò colei che mi ha partoritoD ucewwiq i yi-izzuznen Né il canto che mi ha cullato

    [Ben Mohamed]

  • © Vermondo BRUGNATELLI - 2006

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    1. Canti e cantanti prima del NovecentoNell’ambito di una cultura orale come quella tradizionale berbera una nettadistinzione tra “poesia” e “canto” non esiste, dal momento che la poesia, in linea diprincipio non scritta, vive in quanto recitata in modo armonioso, il che implica sempreuna certa “musicalità” di esecuzione, attenta a ritmi, inflessioni, toni di voce, anche làdove non sia presente un vero accompagnamento musicale con strumenti opercussioni.

    D’altra parte, sappiamo che i grandi poeti antichi, le cui opere ci sono in partetramandate da Mouloud Mammeri nella sua raccolta di Poesie Cabile Antiche (Parigi1980), erano contemporaneamente degli esecutori, degli ameddaÍ. Ecco alcuneosservazioni che, riguardo a questa poesia cantata, faceva nel 1867 il generalefrancese Hanoteau nell’introduzione alla sua raccolta di poesie popolari cabile (p. II,IV):

    « Se da una parte non possiedono una letteratura scritta, i Cabili hanno, in compenso, unaquantità di poesie popolari destinate per la maggior parte ad essere cantate, e che sitrasmettono per tradizione orale. (...)Queste poesie sono diffuse presso la popolazione ad opera di cantori di professione chevanno di villaggio in villaggio e vivono delle offerte del pubblico. Questa professione èdi solito ereditaria e si trasmette di padre in figlio, spesso nel corso di diverse generazioni.La maggior parte dei poeti sono al tempo stesso dei cantori e fanno conoscere di persona leproprie opere. Alcuni, tuttavia, vuoi perché non trovano di loro gusto una vita errabonda,vuoi perché privi di inclinazione per la musica, vivono ritirati nei loro villaggi. Ma non perquesto i loro versi restano nell’oblio. Appena essi hanno acquisito una certa reputazione, icantori che non hanno ricevuto il dono della poesia vengono, spesso da molto lontano, perarricchire il proprio repertorio presso di loro. Dietro un compenso abbastanza modesto, masempre proporzionale ai successi già ottenuti dall’autore, quest’ultimo ripete loro le suecanzoni fino a che queste si siano scolpite nella loro memoria. A questo punto essi sirecano a diffonderle presso il pubblico e le insegnano allo stesso modo ai loro colleghi,facendosi beninteso rimborsare una parte dei diritti d’autore che avevano dovuto pagare.»

    Queste interessanti osservazioni da una parte ci informano sul funzionamento del“mercato” della canzone nella società tradizionale, con i compositori-esecutori (oggidiremmo cantautori) e i poeti-compositori che “vendono” le proprie canzoni agliesecutori, e dall’altra confermano il fatto che tutto il patrimonio letterario antico, oggiin parte messo per iscritto in raccolte come quelle di Mammeri, dello stesso Hanoteau,di Nacib, ecc., era di fatto destinato ad essere “cantato”, anche se sulle musicheantiche sappiamo abbastanza poco (Si tratta soprattutto di notizie e di notazioni scritteda F. Salvador-Daniel nel 1863 e collocate in appendice all’opera di Hanoteau, pp.459-471, o delle osservazioni e notazioni su alcuni canti cabili ad opera del MaestroJanin, direttore di scuola in Cabilia, che Boulifa ha inserito nella sua raccolta di poesiedel 1904).

    Se proprio “tutta” la produzione poetica fosse destinata al canto, o se solo certigeneri venissero realmente cantati, non c’è unanimità di consensi. Secondo TassaditYacine, «un poeta come Yousef Ou-Qasi, che non cantava ma declamava i suoi versi,scandiva comunque la sua dizione con colpi dati alla tigdemt, il tamburello degli aediantichi. Gli isefra di Si Mohand erano fatti solo per la recitazione, ma si trattava dipezzi brevi, dei sonetti, che non avevano bisogno di un supporto particolare peresistere» (1990, p. 76). Questo sembrerebbe però una forzatura della dicotomia, su cuil’autrice ha spesso insistito, tra le poesie di genere “serio” (tiqsiáin) in cui il testo haun valore preponderante e quella degli izlan in cui invece la musica riveste un ruolo diprimo piano. Un testimone più anziano, Malek Ouary, nato nel 1916 (e morto nel

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    2001), che ha avuto modo di assistere alle ultime esibizioni di autori tradizionali, fapensare che anche nel caso delle poesie “serie” il ricorso alla canzone fosse qualcosadi più di un semplice ritmare i versi col tamburello. Riguardo ad una ben nota poesiadi tipo “serio” egli afferma infatti:

    «Non ho conosciuto personalmente Amar, il poeta cieco della tribù degli At Aydel; egli è l’autoredel celebre “arrivo della Morte” che mi è stato trasmesso dalla vecchia Esghira, nostra vicina: essame lo ha cantato con la sua voce rotta e sincopata di asmatica» (2002, p. 14), 1

    e che la melodia del canto fosse anch’essa opera dell’autore è quasi certo, dacché,come nota lo stesso Ouari:

    «...la tradizione orale raggiunge un grado di perfezione quasi elettronica nella fedeltà dellariproduzione. L’ho potuto io stesso constatare ascoltando la stessa storia raccontata da personediverse: il racconto era identico, le sue varianti, fino alle formule ermetiche che nessuno comprendepiù e che sarebbero potute scomparire nel corso della trasmissione per il fatto stesso della lorooscurità. E invece no! C’era tutto, fino alle intonazioni, le inflessioni; allo stesso tono musicale,poiché questa o quella melodia, modulata da un personaggio del racconto, è ripetuta nello stessomodo da recitatori che non si conoscono» (p. 17)

    E anche la stessa produzione poetica di Si Mohand (1848-1905), benché già moltosimile, per certi versi, alle poesie moderne, slegate dal canto, ha sicuramenteconosciuto tradizioni di “recitazione cantata”. Come ricorda Y. Adli (2000, p. 69):«Alcune delle persone anziane che abbiamo consultato ci hanno confidato che talvoltasi trovano a cantare dei versi di Si Mohand nei momenti di ispirazione o disolitudine». Probabilmente il modo in cui Slimane Azem ha cantato degli isefra di SiMohand (si veda più avanti il capitolo su S. Azem) non fa che riprodurre una manieratradizionale di “cantare” queste composizioni. D’altra parte, anche diverse canzonieseguite da Taos Amrouche (e prima di lei dalla madre Fadhma Aith Mansour) sonoisefra attribuiti allo stesso Si Mohand (si veda in proposito J. Amrouche 1988, p. 70,94, 100).

    Riguardo alla terminologia usata dagli stessi poeti antichi per riferirsi alla propriaattività, si trova spesso il verbo wet, il cui senso di base è “battere, percuotere”, equindi anche “suonare uno strumento” (non necessariamente a percussione), osemplicemente, “svolgere un’attività”. Cf. Youcef ou-Qasi (17°-18° sec.): kkateÌlmaÄni s rrzun che Mammeri traduce “compongo gli apologhi con arte” (p. 108-9).

    Il termine elogiativo usato più spesso per designare un poeta valente eraafÒiÍ (“eloquente”, dall’arabo), e tafÒiÍt era la sua poesia (p. 156): nek d afÒiÍ seg AtJennad cekkreÌ w’illan d lextyar « Io sono il poeta degli At Jennad e canto gli uominipiù distinti »; nek d lefÒiÍ nettmeggiz ncekker leˆwad ilaqen « Io sono un poeta chesoppesa il suo dire e canto i nobili che lo meritano » (Ali. Figlio di Yousef Ou-Kaci,p. 142-3; 148-9)

    Spesso tra poeti si instauravano vere e proprie tenzoni, a volte con lo scopo diottenere un migliore compenso dagli abitanti di un villaggio, ma per lo più perottenere la palma del miglior compositore. In alcuni testi composti in similioccasioni, non di rado viene usato ripetutamente un verbo che doveva quindi essereparticolarmente adatto ad esprimere la contesa: tegr (apparentemente una formafossilizzata del verbo ger “mettere, introdurre”, connesso con la preposizione ger/gar“tra, in mezzo a”) : Asif n Bubhir iwÄar, winna ur izegger uterras… ass-a tegr-as-dlÄinse˜ isseg d-ttag°ment tullas “Il fiume di Bubhir è così largo che nessuno lo puòattraversare a piedi… ed ecco che oggi gli contrappongono una piccola sorgente cui

    1 Questo stesso canto, d’altronde, è stato eseguito anche da Taos Amrouche, e dalle incisioni conservate(Le cheminement de la Mort, 12° brano del terzo CD del cofanetto Les chants de Taos Amrouche,2002) si può ben osservare che, pur essendo eseguito “a cappella”, senza accompagnamentostrumentale, è sicuramente “cantato” e non “recitato”.

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    vanno a attinger acqua le ragazze”; Nek am Lwad LÍe˜˜ac … tegr-as-d iÌzer lxecxac“Io sono il Oued El-Harrach… gli contrappongono un rivoletto che vien giù goccia agoccia”; azrem muhabet lÍa˜a-s si zik msedhir… ass-a tegr-as-d ibelÍekkac La tanadel serpente è temuta, da sempre lo si sa… oggi ad esso contrappongono dei girini”;Dadda-k d Aterk°i lgamus … tura tegr-as-d bu ttnus yebÌ’ ad yid-es yemyagar “il tuorivale, maggiore in età, è un Turco possente… e ora gli contrappongono unpresuntuoso che crede di potersi battere con lui” (pp. 126-ss.)

    I generi musicali tradizionali

    a. I generi “maggiori”Nella società tradizionale cabila, segmentata in maniera molto rigida, i canti e i loroesecutori erano classificati in maniera abbastanza netta: da una parte i generi“maggiori”, appannaggio di autori ed esecutori dotati di un ruolo di primo piano nellascala sociale (“poeti”, imusnawen...), e dall’altra i generi “minori”, lasciati a figure distatuto meno favorito: suonatori di professione, oppure donne e “pastori”.

    Ecco come Hanoteau (1867, pp. VII-IX) descrive la prima categoria di esecutori:«I poeti-cantori si dividono in due categorie distinte, che occupano, nella società cabila,posizioni assai diverse.

    I primi, conosciuti col nome di ameddaÍ o afÒiÍ, presentano molte analogie con gliantichi bardi. Come questi ultimi, anch’essi cantano le lodi di Dio, le imprese dei guerrieri,le lotte della tribù, la gloria o le sventure della patria. Sanno anche, all’occorrenza, bollaregli uomini che hanno mancato ai loro doveri verso il paese, e non lesinano i rimproveri e isarcasmi né alle persone, né agli stessi villaggi o tribù. (...) Questa categoria di poeti-cantori gode di una grande considerazione presso i Cabili. Coinvolti attivamente negliaffari del paese, essi hanno un posto nel consiglio e, ben accolti dovunque, vengono trattaticome ospiti di riguardo.. (...) Essi sono soliti percorrere il paese all’epoca dei raccolti. È lastagione delle collette abbondanti. I Cabili sono troppo poveri per dare dei soldi, ma siprivano volentieri di una parte dei prodotti dei loro campi in favore dei loro poeti favoriti.Molti villaggi, e perfino delle tribù intere, fanno loro dei doni doni annuali che, col tempo,prendono il carattere di vere pensioni, previste nel bilancio delle spese della comunità. (...)Questi cantori si servono, per accompagnare la voce, esclusivamente di un tamburello,con cui scandiscono da sé il ritmo. Talvolta essi sono seguiti da uno o più musici che, dopoogni strofa, suonano una specie di ritornello sul flauto di canna»

    Come emerge da questa descrizione, i generi letterari che fanno parte di questorepertorio “maggiore”, sono legati ai valori più alti della società cabila: innanzitutto,ovviamente, i valori religiosi («cantano le lodi di Dio») ma anche, in ambito“profano”, l’impegno civile, che si esprime sia nel nel celebrare la storia della tribù edel villaggio («le imprese dei guerrieri, le lotte della tribù, la gloria o le sventure dellapatria») sia nell’educazione morale dei singoli («sanno anche, all’occorrenza, bollaregli uomini che hanno mancato ai loro doveri verso il paese »).Tra i poeti più importanti, il più celebre, Youcef Ou Kaci (17°-18° sec.), della tribùdegli At Jennad, ha legato la propria fama alla celebrazione del valore della tribù degliAt Yenni. Altri invece, come Sidi Qala, sono celebri per le composizioni di tipognomico e sentenzioso.Per quanto riguarda, poi, la produzione orale di genere sacro, Mouloud Mammeri(1980) così descrive i diversi tipi di composizione:

    «Per comodità espositiva, possiamo distinguere tre generi di poesia religiosa:- il primo, mistico e personale, esprime, spesso in modo degno di nota, dei sentimentioriginali ed è il più raro;

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    - un altro, costituito da una sorta di piccoli poemi epici che tramandano le imprese militario i drammi degli eroi dell’islam, quelli della storia classica (Omar, Yaala, Alì e,soprattutto, il Profeta), oppure i santi locali: è il genere detto più particolarmente taqsiä;- per finire, un altro, quello dalla produzione più abbondante, e che si rinnova incontinuazione, è costituito da una massa di sestine di edificazione, cantate perlopiù (manon esclusivamente) in forma di litanie da gruppi di esecutori, in particolare leconfraternite religiose: è il genere detto dikr.» (p.23)

    Esponente privilegiato del primo genere deve essere considerato il pio CheikhMohand Ou Lhoucine (1838 ca.-1901), che Mammeri definisce dotato di un “lirismoprofetico”. Molte di queste sue composizioni sono state da lui stesso raccolte nelvolume Inna-yas Ccix Muhand (1989).Dei poemi epico-religiosi (le tiqsiáin) che spesso rielaborano materiale diffuso in tuttoil Nordafrica, alcuni sono stati inseriti nella raccolta di poesie cabile antiche diMouloud Mammeri (Il sacrificio di Abramo, La storia di Giuseppe, La morte di Mosè,La leggenda del cammello), altri invece sono tuttora inediti (Wad Sisban).Quanto al terzo genere, che sicuramente costituiva una grande parte delle produzionidi tipo religioso, si trattava probabilmente di quello più legato ad una tradizionecantata, essendo molto diffuso presso le confraternite mistiche, un tempo assai diffusein tutto il Nordafrica. Un buon numero di sestine dikr (il termine cabilo per questecomposizioni è adekker), tradizionali presso i membri della confraternita dello CheikhMohand, sono state raccolte da Henri Genevois (1967 e 1968) nei due fascicoli delFichier de Documentation Berbère dedicati al pio personaggio.Un esempio recente di adekker è stato riportato da J. E. Goodman (1998) nelcommento alla poesia Isiditen “I santi” di Ben Mohamed (riportata più avanti insiemealla canzone che ne ha tratto Idir):

    Sidi YaÍya LÄidali O Sidi Yahia LâidaliYemzel wezger yessekr-it che ha sgozzato un bue e lo ha resuscitato;Sidi Musa a t-nebder evochiamo Sidi Musa,yerran ÒÒeläan d tislit che ha trasformato il sultano in una donna;Sidi MÍend umalak O angelico Sidi Mohandyerran tigejdit d zzit che ha trasformato in olio una colonna!

    Ad ÍelleÌ bab Rebbi Imploro il signore Dioccedda ttebÄ-it talwit dopo la sofferenza viene la pace

    b. I generi “minori”Se le poesie di genere “serio” godono del maggiore prestigio sociale, ma in definitivahanno più importanza per il loro contenuto che per il modo della loro recitazione, tuttii generi “minori” sono invece quelli che legano in modo indissolubile testo e musica.

    Tra gli autori ed esecutori di canzoni di generi “minori” vi sono innanzitutto, icantori professionali, gli iáebbalen (per essi Jean Amrouche preferisce ladenominazione di iferraÍen “i dispensatori di gioia”).

    «I cantori della seconda categoria sono chiamati aáebbal (suonatori di tamburo). Questonome, derivato dall’arabo äebel (tamburello), è stato dato loro perché sono soliti viaggiarecon una piccola troupe di suonatori, che li accompagnano con tamburelli e oboi. Questisuonatori sono, talora, anche ballerini.Gli iáebbalen sono dei veri compagni delle ore liete. Lasciando da parte il genere serio,essi cantano l’amore e l’allegria.Non c’è festa di nozze che sia completa senza di loro. (...)Molto ricercati per il piacere che procurano, essi sono però lungi dall’avere la stessareputazione dei cantori seri. La frivolezza delle loro canzoni, le danze lascive cui si

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    abbandonano, forniscono il pretesto per far sì che la loro professione venga consideratacontraria alla morale. (...) Essi formano, dunque, in seno alla società, una classe a parte,esclusa dalla direzione degli affari pubblici e relegata allo stesso livello dei macellai, deimisuratori di grano e degli altri individui che praticano mestieri ritenuti vili.» (Hanoteau1867, pp. IX-X)Le canzoni di questo genere vengono normalmente denominate izlan (sing. izli),

    un termine molto diffuso in tutto il mondo berbero per indicare il canto in genere.L’argomento principale degli izlan è l’amore. Un argomento tabù nella società

    tradizionale, in cui matrimonio e procreazione sono rigidamente sottomessi a unsistema di alleanze tra famiglie e tribù, e in cui non trova posto la soggettivitàdell’individuo. Per questo, il discorso amoroso, represso a livello ufficiale, riemergein bocca a rappresentanti di categorie escluse dalle responsibilità pubbliche: le donne(nel corso delle feste a loro riservate: urar, lett. “gioco”), i cantori professionali(iáebbalen, iferraÍen), i “pastori” (imeksawen: più che a un mestiere la parola fariferimento a un’età della vita, l’adolescenza, prima di assumere le responsabilità dimembro della tajmaÄt, l’assemblea dei maschi adulti).

    Ma nonostante gli izlan affrontino argomenti scabrosi (l’amore anche carnale,l’impotenza, la sterilità, il malcontento per i matrimoni forzati, e via dicendo), èestremamente raro che il linguaggio scivoli nella scurrilità. Tutto viene espressoattraverso un linguaggio convenzionale, fatto di immagini per lo più codificate, comericorda Tassadit Yacine:

    «Per designare la bellezza femminile ci si serve di:- tasekkurt “la pernice”, termine che evoca al contempo la bellezza (del piumaggio), lagrazia dell’andatura, il volo leggiadro, le carni tenere, ecc.;- tanina “la fenice”, uccello mitico, sempre citata per la sua bellezza;- titbirt “la colomba”, uccello dolce, domestico; simbolo dell’amore;- ilili “il fiore dell’oleandro”, termine per la verità ambivalente, perché reca in sé duenozioni contrarie (la bellezza e l’amarezza), la bellezza della donna e il pericolodell’amore; un indovinello cabilo lo definisce così: “all’esterno è un giovane sposo (cioè èbello come un isli), all’interno un cristiano (arumi) cattivo (amaro)”- lo stesso vale per azezzu (la ginestra);- taneqlett “il fico” (frutto, di genere femminile) per la sua fragilità e i suoi morbidi frutti; iseni vengono spesso paragonati ai fichi o alle mele e alle pere; tutta una stagione (lexrif)designa simbolicamente i fichi, simbolo di prosperità e di fecondità;- tasedda “la leonessa”, per la sua bellezza altera e selvaggia;- tazdayt “la palma” per la sua finezza e alta statura;- tagmart “la giumenta” per la sua bellezza e la fecondità.La verginità e la virtù vengono associate:- al giardino lavorato (lejnan o tibÍirt), reso fertile dalla mano dell’uomo; lejnan è la piùaddomesticata, la più preservata delle proprietà (è in un certo senso l’interno dell’esterno)in opposizione a aÍriq (campo) o aÌegwad (prato), che invece è limitato solo da pietre diconfine (tilisa) e rappresenta l’esterno non sorvegliato, entrambi comunque incontrapposizione alla natura selvaggia, lontana ed estranea: tiìgi (la boscaglia) o lexla (ildeserto);- alla recinzione (afrag) ed alla siepe (zze˜b), che vengono a rafforzare il carattere quasisacro del giardino che è in qualche modo il prolungamento della casa (porta chiusa,chiavistello) ed ha dunque a che fare col recinto della dignità (lÍerma), sacro pereccellenza;- alla terra incolta (tiìgi), spazio selvatico che nessun aratro ha dissodato (lÌaba ur yekcimlmaÄun);- a un alto frassino (taslent, di genere femminile), la terra e il frassino vengono associati almondo selvatico, vergine, autentico..., che l’uomo deve addomesticare (fertilizzare)rispettando la natura e le sue leggi.

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    Allo stesso modo, per la virilità si usa:- il leone (izem), bellezza, potenza e autorità (i celebri baffi del leone, simbolo di virilità);- il falco (lbaz), potenza e rapacità;- il piccolo di pernice (iÍiqel), bellezza e gioventù;- il re (agellid, sseläan) potenza;- il bey, potenza, potere;- la trave portante (ajgu), potere;- il cavallo (aÄawdiw, lxil), potenza, bellezza, libertà, nobiltà.I simboli che abbiamo scelto sono i più frequenti» (T. Yacine 1988, pp. 50-51)

    Naturalmente, gli izlan amorosi non esauriscono tutto il panorama dei canti di genere“minore”. Molti sono anche quelli che accompagnano la vita domestica, le ninne-nanne dei bambini, i canti che ritmano diverse attività come la macinatura —amano— del grano o dell’orzo, oppure la preparazione del burro scuotendoritmicamente un otre di latte (asendu), i giochi infantili, e via discorrendo (un estesocampionario di questi campi è stato da poco raccolto e pubblicato da Mahfoufi 2005).

    Soprattutto in occasione di alcune cerimonie vi sono dei canti tradizionali checostituiscono l’essenza stessa della cerimonia. Per esempio i canti eseguiti durante la“vendita dell’henné” (azenzi n lÍenni), prima di applicare l’henné a un bambino dacirconcidere, oppure allo sposo prima delle nozze (v. Mezine-Announe 1975). I cantiche vengono eseguiti per l’applicazione dell’henné alla sposa sono invece di altro tipoe si chiamano tibuÌarin. Una forma particolare di canti semi-improvvisati si avevatradizionalmente nelle “tenzoni poetiche”, veri e propri duelli a colpi di parolecantate, tra poetesse di mestiere (dette taneÌrimt) assunte dal clan dello sposo e daquello della sposa, che venivano “combattuti” davanti alla casa della sposa, prima cheagli invitati della famiglia dello sposo fosse permesso accedervi (B. Rabia 1988).

    Molto di questo patrimonio tradizionale è andato perduto, molto si tramandaancora oralmente al giorno d’oggi. Una discreta panoramica di questi generi si trovasia nel volume di Jean Amrouche (1988), sia nel repertorio musicale di sua sorellaTaos Amrouche (su cui, v. più avanti).

    Una forma particolare di composizione, che verso la fine del 19° secolo tende adiffondersi in luogo dei più brevi izlan, di norma anonimi, è l’asefru, l’opera invecespesso legata ad un compositore: «il poeta è colui che ha il dono dell’asefru, vale adire di rendere chiaro, intelligibile, quello che non lo è». [Asefru è infatti l’infinito disefru, “esprimere, risolvere, specificare, ecc.”]

    La personalità che più di ogni altra ha legato il proprio nome all’asefru è anche ilprimo grande “poeta” in senso moderno della Cabilia: Si Mohand.

    Si Mohand ou Mhand (1848-1905)Mohand ou-Mhand Ait Hmadouch (cioè Mohand figlio di Mhand, della famiglia

    Ait Hmadouch) nacque intorno al 1848 a Icheraouien, un villaggio dellaconfederazione degli At Yiraten, nel cuore della Grande Cabilia. Il titolo “Si”preposto al suo nome sta ad indicare che egli aveva raggiunto un grado eccellentenegli studi religiosi tradizionali. Nato quando ancora la Cabilia era libera, sperimentòsulla propria pelle le conseguenze delle due occupazioni francesi. Già nel 1857,quando ancora era un ragazzino, la Cabilia, fino ad allora indipendente macompletamente accerchiata, fu finalmente conquistata dai Francesi e il suo villaggiovenne requisito per costruire al suo posto l’imponente “Fort Napoléon” (poi “FortNational”, oggi Larbaa n At Yiraten), destinato ad ospitare le truppe di occupazione,per cui la sua famiglia fu costretta a trasferirsi in un villaggio nei pressi di TiziRached.

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    Ma il vero dramma scoppiò nel 1871, quando una violenta rivolta dei Cabili vennedomata nel sangue e l’occupazione cominciò a farsi sentire nel modo più brutale. Ilpadre (Mhand Ameziane) venne giustiziato, e lo zio paterno Arezki, un religioso chelo aveva avviato agli studi islamici, venne esiliato con la sua famiglia in NuovaCaledonia. Quello che rimase della famiglia di Si Mohand lasciò il paese. Un altro ziopaterno, Said, si recò a Tunisi con Akli, fratello maggiore di Si Mohand, dove inseguito lo raggiunsero la madre, Fatima Ait Said, e l’altro fratello, Meziane. Le terredella famiglia, confiscate, finirono in mano agli antichi fittavoli. E lo stesso SiMohand corse il rischio di essere messo a morte come il padre.2

    La famiglia Ait Hmadouch, un tempo tra le più notabili, se non tra le più ricche,della Cabilia, venne così smembrata e privata di ogni avere.

    In questa tempesta, che si abbatte sulla sua famiglia e su tutto il suo paese, SiMohand decide di non abbandonare l’Algeria, e vi rimane adattandosi a fare i mestieripiù umili. Numerosi e non sempre sicuri i luoghi in cui trascorse il suo vagabondare:per diverso tempo fu a Bona (Annaba), dove uno zio materno lo tenne per un po’ alavorare come commesso di una piccola pasticceria, ma anche ad Algeri, Collo, AinRokham (a est di Skikda), perlopiù ai margini della Cabilia, con qualche puntata inTunisia.

    Ritrovandosi in questa sua nuova condizione, agli antipodi di quello che lasciavapresagire la sua formazione giovanile, Si Mohand non fece nulla per migliorare ilproprio stato, in un mondo così diverso dal suo, che premiava gli arroganti e i ruffianima si disinteressava dell’antica élite culturale. Rinnegando questa logica arrivista,prese a vivere da aÍcayci, un termine che vuol dire sia “fumatore di hascisc”, sia“bohémien nobile e disinteressato” (M. Mammeri). È quasi con compiacimento che,deciso a vivere fino in fondo la vita del reietto, sprofonda sempre più dandosi al vino(e all’assenzio, all’hascisc...), al gioco, agli amori mercenari. Analogamenteall’ovidiano video meliora proboque, deteriora sequor, anch’egli dirà in una suapoesia, ssneÌ abrid xáiÌ-as “conosco la strada diritta, ma la evito”.

    Tutto questo gli procurerà sofferenze. Sul piano pratico, tutti questi vizi sonocostosi, e per tutta la vita egli sarà sempre in pessime condizioni economiche. E suquello morale, la consapevolezza di essere lontano dal suo mondo, non sologeograficamente ma anche nel modo di vivere, si rispecchierà sempre in una fortenostalgia. Nostalgia che si fa più acuta in quei momenti, come le feste religioseislamiche, che tradizionalmente, al paese, cementano l’unione delle famiglie eripropongono i valori tradizionali della società. Ma Si Mohand è consapevole di nonpotere tornare più indietro: la potenza coloniale è destinata a durare, e così pure la suaprova.

    Col passare degli anni il suo fisico, minato anche dagli stravizi, lo fa soffrire.Intraprende un viaggio da Algeri a Tunisi, a piedi, vuoi per libera scelta,3 vuoi pernecessità economiche, e lungo il cammino comporrà una serie di 38 poesie, incorrispondenza di altrettante tappe. Lungo il tragitto, con una piccola deviazioneall’altezza di Michelet, si reca a trovare il santo Cheikh Mohand ou-Elhocine (ca.1838-1901), l’altra grande figura emblematica di questo periodo. In quest’occasionecomporrà una delle sue poesie più belle, in cui appare consapevole della fine propria edi tutta la sua generazione: «tamurt a tbeddel wiyiá “in questo paese altri verranno”».

    2 Una tradizione non priva di riscontri storici vuole che a salvarlo dall’esecuzione sia stato l’interventodella figlia del capitano Ravès, innamorata di lui (Adli 2000, p. 29).3 Si tramanda infatti che «Si Mohand non viaggiava mai in diligenza, treno o automobile, non pertimore ma per spirito d’indipendenza» (Adli 2000 p. 68).

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    La morte lo coglierà qualche anno più tardi, proprio vicino al territorio di AskifEttmana, in cui venne sepolto (nella località di Tikorabin) come egli stesso avevaauspicato.

    La poesia di Si MohandPer Si Mohand la poesia era un vero dono piovutogli dal cielo (una leggenda vuole

    che un angelo gli fosse comparso e lo avesse indirizzato su questa strada). I suoi versisono molto dolci, sciolti, efficaci. Quanto la sua vita fu tribolata e carica dipreoccupazioni altrettanto la sua poesia è nitida e spontanea. Già in vita era assaiconosciuto ed apprezzato, tant’è che Amar ben Said Boulifa, il primo cabilo autore diopere sulla propria lingua e cultura, nel comporre una “Raccolta di poesie cabile”(Recueil de poésies kabyles, 1904) dedicò quasi la metà dell’opera alle suecomposizioni (108 poesie).

    Benché Si Mohand fosse istruito e sia provato che di qualche poesia abbia eglistesso messo il testo per iscritto, quasi tutte le sue opere si sono tramandate nel tempocome patrimonio orale, il che ha reso difficile in molti casi distinguere le suecomposizione da quelle di altri contemporanei (già nella raccolta di Boulifa, granparte delle poesie di “autori diversi” sono anch’esse attribuite a Si Mohand, senzaperò la certezza che fossero sue).

    Dopo Boulifa, un altro grande autore cabilo, Mouloud Feraoun, pubblicò nel 1960una raccolta di una cinquantina di sue poesie (di cui 13 inedite), ma la raccolta piùcompleta e “filologicamente” accurata è quella, ad opera di Mouloud Mammeri, checomprende 286 poesie con tanto di varianti, indicazione della fonte da cui sono tratte,e, soprattutto, un ricchissimo commento che permette di apprezzare questo autore,così poco conosciuto in Europa quanto invece ancor oggi ricordato con venerazione inCabilia.4

    Come Petrarca ha legato il suo nome al sonetto, Si Mohand si è sempre identificatonell’asefru (pl. isefra), un breve componimento dal metro abbastanza semplice: treterzine di 7, 5 e 7 sillabe rimate AAB AAB AAB. Solo talvolta le sue composizionieccedono questo schema di una o più terzine.

    Non è facile spiegare il motivo per cui Si Mohand è da sempre così amato. A parteil suo fascino personale, che pare lo rendesse molto amato dalle donne (il tipo“irregolare” è sempre stato più “interessante” del ragazzo per bene...), è certo che tuttoil suo pubblico si identificava nelle sue tribolazioni, in anni in cui tutti indistintamentesubivano le conseguenze di un colonialismo sempre più oppressivo. E anche oggi, trai Cabili emigrati all’estero sono molto sentite le poesie che cantano la lontananza dacasa e dagli affetti, soprattutto in occasione delle feste che non si possono vivereinsieme ai propri cari. Ma, in generale, questa figura che osò sfidare tutto e tuttivivendo senza reticenze fino in fondo le esperienze più umilianti e facendosi caricodelle conseguenze di questa scelta di vita è sentita particolarmente vicina allo spiritodegli Imazighen, “uomini liberi”, che non si arrendono mai, anche quando lasituazione sembra disperata. Un suo celebre verso, «A ne˜˜eì wal’ a neknu “mi spezzoma non mi piego”», già ripreso negli anni ’40 dai primi canti berbero-nazionalisti(Kker a mmi-s UmaziÌ), è stato uno degli slogan della “primavera berbera” del 1980.Esso è stato poi ripreso anche dai ragazzi che, nella “primavera nera” del 2001 siopponevano a mani nude contro i gendarmi che sparavano e mietevano vittime, ma

    4 Interessanti complementi di informazione, che affrontano esplicitamente argomenti delicati dellapersonalità del poeta, si trovano anche nell’opera più recente di Adli (2000), che inoltre riportanumerose poesie inedite.

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    questa volta con una modifica che esprimeva la loro ferma decisione: wer nett˜uìuwer nkennu “non ci spezziamo né ci pieghiamo”.

    Il successo delle poesie di Si Mohand ha fatto sì che queste si sono diffusedovunque in Cabilia, e generazioni intere le hanno sentite ripetere e fatte proprietramandandole a loro volta senza interruzione. Anche molti cantautori del XX secolohanno attinto a questo patrimonio, integrando citazioni o intere poesie nelle lorocomposizioni. Nel corso del presente lavoro si vedranno esempi di Taos Amrouche,Slimane Azem, Zerrouki Allaoua e Malika Domrane.

    Alcuni isefra di Si MohandA ne˜˜eì wal’ a neknu (Mi spezzo ma non mi piego)

    GgulleÌ seg Tizi-wuzzu Giuro, da Tizi Ouzouarmi d Akfadu fino al colle dell’Akfadouur Íkimen dg’ akken llan nessuno di quelli mi comanderà

    A ne˜˜eì wal’ a neknu mi spezzo ma non mi piegoaxi˜ daÄwessu preferisco essere un maledettoanda ttqewwiden ccifan là dove governano i ruffiani

    LÌwerba tura deg uqerru L’emigrazione è il mio destinowelleh ard a nenfu per Dio, meglio l’esiliowala leÄquba Ìer yilfan che la legge dei porci.

    Zik … tura (“Un tempo … oggi”) I(In questa, come nella successiva poesia, il Poeta descrive l’abiezione in cui è caduto, da brillantestudioso di scienze religiose a emigrante disperato)

    Semman-i medden a lmetluf Me la gente ha chiamato lo smarrito,nek heˆˆaÌ leÍruf che lettere ho scanditoarmi ÌriÌ settin Íizeb fino a imparare tutto il Libro santo

    Ism-iw Ìer medden meĘuf era tra lor mio nome riveritotaìallit d ÒÒfuf pregavo in gruppo unito:deg zik wwáeÌ d ääaleb fui taleb in quei dì; oggi soltanto

    Tura mi tebÄeÌ sut llÍuf donne cercando vo dal bel vestitoikfa-yi umes˜uf il denaro è finitoÌliÌ di lka˜ta d cc˜eb. tra le carte ed il vino sono affranto.

    Zik … tura (“Un tempo … oggi”) 2A kra ittÄassan lefjer Voi che spiate l'ora dell’auroras tìallit d ddke˜ in preghiera ed invocando IddioÄayent-i abrid-a näe˜˜eÌ soccorretemi: adesso sono a terra

    Afwad-iw ittuÄemme˜ Il mio cuore è sovraccaricatos cc˜eb d lexme˜ di alcolici e di vinour ddireÌ ur mmuteÌ non so più se sono vivo o morto

    Win qesdeÌ ad iy’-isse˜ Quelli da cui speravo avere aiutoizga d iwexxe˜ si fermano e si tirano indietrotezwar si tagmatt-nneÌ e questo a cominciare dai fratelli

    Aäas aya ay neÒbe˜ È da tanto che vado pazientando˜ebÄa snin d akte˜ quattro anni e piùntebÄa lÌerba tfels-aÌ ho seguito la via dell'esilio, che mi ha rovinato

    Amalah a kra nke˜˜e˜ Ho avuto un bel ripetere lezioni:

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    i˜uÍ deg yeÌzer tutto quanto è finito nel torrente ula d LÍemd iÄerq-aÌ ho scordato persin la Sura Aprente.

    Tissit (il bere)L’ultima poesia qui riportata (Tissit, “Libations” da Younes Adli 2000, poesia n°44, p. 129) assomigliamolto all’introduzione di una canzone di Slimane Azem (Be˜ka-yi si cc˜ab, riportata più avanti), siaper la tematica che per lo stile.

    ÅuhdeÌ-k a cc˜ab ur k-swiÌ Giuro che non ti berrò più, o vinoim’akkag’i ì˜iÌ da quando mi sono reso contoula d iÌbab la sek˜en. che anche le beccacce si ubriacano

    Di äayfa-nnsen ay ddiÌ Anch’io ero in branco con lorodi ttbarn’ay ÌliÌ e son caduto nell’osterialaÍwayeˆ-iw me˜˜a umsen insozzandomi tutti i vestiti

    Ar kumiÒa˜ ay nsiÌ Ho passato la notte al commissariatolÍebs ur t-ì˜iÌ non ho neanche visto la prigionettaáÒan leÄbad i Ì-yessnen. tra le risate di quelli che mi conoscevano.

    2. “1900-2000: Un secolo di canzone cabila”5

    I primi luoghi di pratica del canto cabilo in FranciaI primi tempi della comunità cabila in Francia, costituita da operai che si stabilivanonei centri industriali, la musica, eseguita da artisti che avevano scoperto la lorovocazione in seno alla società in esilio, era confinata principalmente ai luoghi in cuiessi abitavano: nei caffé-alberghi tenuti da altri Cabili, o sui luoghi di lavoro. I primicantanti di cui si possa datare la presenza in Francia, grazie ad elementi biografici o aregistrazioni musicali, sono: Cheikh El Hasnaoui, Zerrouki Allaoua, Farid Ali,Slimane Azem, Moh Saïd Ou Belaïd, Cheikh Arab Bouyezgarene e altri ancora.Cheikh El Hasnaoui arriva in Francia nel 1932, Slimane Azem nel 1937, macomincerà a cantare, da dilettante, solo sette od otto anni più tardi. Ad eccezione diCheikh El Hasnaoui che aveva già una pratica musicale in Algeria, gli artistiimmigrati erano innanzitutto uomini venuti a lavorare come operai. È solo in unsecondo momento che essi si lanceranno nella musica, da dilettanti, con la speranza diuna possibile riconversione professionale. Molti di essi avevano talento. SlimaneAzem, ex operaio nelle officine siderurgiche di Longwy e nei tunnel dellametropolitana di Parigi, ha ottenuto il disco d’oro nel 1970 per l’insieme delle suecanzoni edite presso Pathé Marconi. Anche Noura ha ottenuto il premio lo stessoanno. I cantanti semi-professionisti facevano ogni settimana il giro dei caffé diconterranei e si esibivano in gruppi tra i lavoratori riuniti in gran numero, il venerdìsera, il sabato sera e la domenica pomeriggio fino alle 22. Fino alla fine degli anni’60, durante il periodo di digiuno del mese di ramadan, l’attività musicale più intensasi svolgeva spesso dal mercoledì sera fino alla domenica sera. Bisogna ricordare cheun gran numero dei caffé gestiti da magrebini in Francia appartenevano a Cabili.Anche il famoso cabaret El-Djazaïer, aperto in rue de la Hucette a Parigi negli anni’40, un ex-caffé trasformato in cabaret orientale da Mohand Seghir, un tassista cabilo.D’altra parte, a partire da quest’epoca, gli artisti hanno cominciato ad esibirsi neidiversi cabaret della capitale, accanto a cantanti arabofoni di ogni provenienza. A

    5 Questo capitolo è la traduzione quasi integrale di Mahfoufi 1994. L’ultimo paragrafo (Verso il 2000) èda Ferhat 1983.

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    partire dalla fine degli anni ’50 si registra un progressivo aumento dell’immigrazionedelle famiglie, e dalla metà degli anni ’60 gli artisti cabili cominciarono ad animarefeste famigliari. Parecchi cantanti cabili erano allora accompagnati da musicisti arabiper quegli strumenti che non padroneggiavano ancora bene (la cetra qanun, il liuto‘ud, il flauto nay e talvolta il violino e il banjo).

    La canzone cabila e la canzone arabaLa canzone cabila di Parigi si afferma come componente essenziale della canzonecosiddetta “araba” prodotta in Francia fin dagli inizi del secolo, grazie al talento deisuoi artisti, oltre che alla fedeltà del numeroso pubblico cui essa era destinata. Lacomunità cabila ha sempre rappresentato più di metà dell’emigrazione algerina inFrancia. Per molto tempo gli artisti cabili conservano un posto preponderante neicircuiti artistici: spettacoli, trasmissioni radio, case di produzione, ecc. La PathéMarconi aveva nel catalogo della sua produzione e distribuzione di musica “araba”artisti come Cherif Kheddam o Slimane Azem accanto a nomi come MohamedAbdelwahab o Farid El Atrache, due incomparabili artisti egiziani.

    Parlando degli artisti algerini provenienti da altre regioni, un cantante cabilo cheporta avanti una doppia carriera, in cabilo ed in arabo algerino, dice così: «È con noiche si guadagnano il pane (yid-naÌ i tetten aÌrum)», intendendo con ciò dire che, senon ci fosse stato il pubblico cabilo, gli artisti arabofoni d’Algeria in Francia nonavrebbero trovato modo di esibirsi presso la comunità immigrata. Tra gli altri,Dahmane El Harrachi, illustre rappresentante della musica algerina chaabi, ha svoltoquasi tutta la sua carriera parigina esibendosi per un pubblico cabilo. Si può dire chequesta fosse la regola, per quanto riguarda le composizioni e le produzioni degli anni’50 e ’60. Amraoui Missoum, algerino arabofono, aveva suonato molto insieme adartisti cabili (Allaoua Zerrouki, Oultache Arezki, Mohamed Said Ou Belaid, SlimaneAzem, Khedidja, ecc.). Mohamed Jamoussi, uno dei più grandi compositori tunisiniemigrati in Francia, aveva a lungo frequentato l’ambiente musicale cabilo, e direttoorchestre che accompagnavano cantanti cabili. Aveva anche introdotto alla musicamodale araba (suono del liuto, ‘ud, e rudimenti teorici dei modi, naghamat, e deiritmi, mawazin) alcuni cantanti come Amouche Mohand e Cherif Kheddam. Alcunecase di edizione, come La voix du globe o L'Oasis e, in seguito, il Club du disquearabe, si sono lanciate sulla musica berbera ed hanno prodotto le opere dei cantanticabili senza interruzione fino alla fine degli anni ’70. Mohamed El Kamel (aliasMohammed El Hamel), uomo di teatro e cantante algerino arabofono (allievo diRachid Ksentini), aveva ingaggiato nella sua troupe artistica Théâtre et musique, sindalla fine degli anni ’40, artisti cabili come Slimane Azem o Farid Ali. Quest’ultimosi era esibito con lui nello spettacolo organizzato da J. Yala (alias Mohand Saïd Yala),nel 1949 alla sala Pleyel. In questo modo la troupe dell’artista algerino poteva entrarein contatto, nelle sue tournées tra gli operai magrebini, tanto con il pubblico arabofonoche con quello berberofono. E viceversa, alcuni artisti cabili si sono messi a cantare inarabo algerino: Akli Yahyaten, Saadaoui Salah, Mustapha El Anka e altri hanno avutouna carriera “doppia”.

    Per il resto, questa sorta di preminenza della comunità operaia ed artistica cabila haampiamente rafforzato e giustificato la grande attività del dipartimento cabilo diRadio-Paris. Questo dipartimento, diretto e animato da un’équipe di giornalisti e dianimatori cabili produceva ogni genere di trasmissioni (informazione, teatro, poesia emusica). Il volume e la ricchezza di documentazione di questo dipartimento avevanoreso necessaria la creazione, nell’ambito della discoteca/sonoteca araba delle ELAB[Emissions en langue arabe et berbère], di una sezione riservata alle sole registrazioni

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    cabile. Questa radio aveva collaborato alla creazione di trasmissioni di propaganda econtroinformazione politica diretta agli Algerini di Cabilia durante la guerrad’Algeria. Uno studio specializzato nella registrazione di brani teatrali e di canzoni sitrovava dalle parti di Reims.

    La presenza e la fedeltà, ininterrottamente rinnovata, del pubblico cabilo immigratoè sempre stato un sostegno agli artisti. Dagli inizi dell’immigrazione fino ai giorninostri, qualunque sia il luogo in cui si allestiscono recital cabili, gli organizzatori sonosempre sicuri di fare il tutto esaurito. Ancor oggi l’Olympia, lo Zenith, il Palazzo deiCongressi, il Théâtre de la Ville, grandi sale parigine, non hanno praticamente maibiglietti invenduti per tutti gli spettacoli che vi si programmano. Resta comunque ilfatto che un gran numero di artisti si esibiscono ancora solo nei caffé-ristoranti deicompatrioti in cui nel fine-settimana si ritrovano gli operai, uomini soli, cui le sale daconcerto restano sempre inaccessibili.

    La produzione di canzone cabilaLa grande attività professionale degli artisti ha collocato la canzone cabila ai primi

    posti nei cataloghi dei produttori europei specializzati nell’edizione di musica araba eberbera fin dall’inizio del secolo. Grammophone, Voce del Padrone, Odéon, Pathé,Pacific, Teppaz, Philips, ecc., hanno prodotto centinaia di canzoni appartenenti adecine di cantanti cabili, sia uomini che donne. L’edizione di musica cabila in Franciaè oggi in buona parte in mano a editori cabili. Tuttavia, il grande dilettantismodimostrato da molti di essi impedisce loro di progredire al di fuori del circolo ristrettodel pubblico cabilo, mentre esiste un reale domanda di musica cabila al di fuori deiCabili. Una delle conseguenze immediate di questa situazione è il fatto che un buonnumero di cantanti, dal successo crescente, sfuggono ad essi e vengono prodotti daeditori stranieri meglio piazzati nei circuiti internazionali di produzione edistribuzione.

    Le prime registrazioni di musica cabila che si conoscano, sobo state prodotte inEuropa, in particolare in Francia, e risalgono al 1910. Ma già nel 1865 F. Salvador-Daniel, nell’ambito dei suoi studi complessivi sulla musica araba, faceva conoscere alpubblico francese alcuni aspetti della musica cabila in una conferenza tenuta allabiblioteca del Conservatorio di Parigi.

    Un po’ di storiaLa storia della canzone cabila prodotta nell’emigrazione si può dividere in tre

    grandi periodi. Il primo va dagli inizi della stessa emigrazione cabila fino alla finedegli anni ’40. Il secondo corrisponde all’epoca della scoperta, da parte del pubblicocabilo e dei suoi artisti, della musica mediorientale dei film egiziani e libanesi e delleorchestre dei cabaret orientali di Parigi. Il terzo vede l’arrivo dall’Algeria di artistivenuti a portare un certo rinnovamento nella canzone cabila, già iniziato in patria adopera di cantanti come Aït Menguellet, Idir, Meksa, Nouredine Chenoud, Ferhat (delgruppo Imazighen Imoula), seguiti più tardi da Matoub Lounès, Malika Domrane,Mennad e altri ancora. La canzone degli anni ’70 segnava una rottura nei confronti diquella della generazione precedente, che alcuni dei giovani artisti di quegli anniconsideravano «definitivamente sclerotizzata».

    La prima generazione di artisti cabili in FranciaA proposito della prima generazione di artisti installatisi in Francia dopo l’inizio

    dell’emigrazione algerina, solo uno studio specifico potrebbe portare alla luce i datinecessari per individuarli con precisione e per conoscere meglio le loro composizioni

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    e i luoghi dove si tenevano i loro spettacoli. Quello che oggi viene considerato ilprimo di questi cantanti è Cheikh Amar El Hasnaoui. Ma egli è arrivato a Parigi solonel 1937, mentre dischi cabili esistevano già fin dai primi del secolo. Yamina eHouria, Si Moh e Si Said (1910), Si Said Benahmed (1911), Said Ou Mohand (1924),Said Elghoundillot (1927), Fettouma Blidia (1927), Amar Chaqal (1929), Yasmina(1932) e altri ancora, avevano già inciso su disco in Europa le loro canzoni. Tra tuttiquesti nomi, solo quello di Amar Chaqal, conosciuto da tutti, è spesso citato daivecchi immigrati cabili.

    La seconda generazioneLa seconda generazione di artisti è quella che ha compiuto la prima tappa di

    modernizzazione della musica: rottura col tipo di orchestrazione precedente, in cuipredominava ancora l’accompagnamento strumentale di musicisti tradizionali (oboe etamburi: lÌiáa d eääbel). Slimane Azem, il cui debutto come musicista di professionerisale alla fine degli anni ’40, Cheikh El Hasnaoui, Zerrouki Allaoua, Farid Ali, MohSaid Ou Belaid, Arav Ouzellag, Arav Bouyezgarene, tra gli uomini, e H'nifa,Khadidja, tra le donne, costituiscono i primi veri elementi del pantheon degli artisticonsacrati dalla comunità degli immigrati. Al contempo, altri artisti emergevano aParigi. Mustapha El Anka, Hsissen, Amouche Mohand, Cherif Kheddam, KamalHamadi, Karim Tahar, Oultache Arezki, Youcef Abjaoui, Akli Yahyaten, SaadaouiSalah, Noura, Farida e altri ancora, hanno conferito un aspetto nuovo alla canzoned’emigrazione degli anni ’50 e ’60, allontanandola definitivamente da quella che siera prodotta fino ad allora. Così, non c’è più l’accompagnamento degli strumentritradizionali, come avveniva ancora negli anni ’40, per esempio, con Cheikh Boulaaba,Cheikh Nouredine in certe canzoni, Lla Zina n Ait Wertilane, ecc.: l’orchestracosiddetta “moderna”, composta di qanun, ‘ud, nay, violini, contrabbasso, clarinetto,banjo, fisarmonica, derbuka, tamburello, ecc., venne definitivamente adottata dallacanzone cabila. In realtà questo modello di orchestra corrispondeva a quello chefacevano scoprire i film egitto-libanesi, e poi la radio del Cairo.

    Uno degli artisti moderni più noti nell’ambito dell’orchestrazione dell’epoca(1956-1962), è Cherif Kheddam. La sua opera musicale si inscrive in quella chepossiamo chiamare la prima rivoluzione della canzone cabila: scrittura delle melodiein vista di un deposito alla SACEM [la SIAE francese] da parte di un cantante cabilo einizio di armonizzazione di alcune delle sue canzoni che, fino ad allora, erano stateomofoniche. Pur continuando a lavorare in fabbrica, Cherif Kheddam apprende in unprimo momento i rudimenti di formazione musicale che gli permettono di fare a menodegli scrivani francesi ed ebrei cui era normale rivolgersi, e che continuano a venireutili agli artisti arabi e cabili che non sanno scrivere da sé la musica. Il compositorecabilo, attratto dall’orchestrazione all’egiziana, si accosta, a Parigi, ad artisti arabofonicome Mohamed Jamoussi che lo inizia ai modi e alle improvvisazioni modali dellamusica colta araba. Registra con l’orchestra sinfonica di Radio-Paris, amministrata daJ. Buguard, numerose melodie armonizzate fin dalla fine degli anni ’50. Scrivere lamusica procura a Cherif Kheddam la possibilità nuova di anticipare la forma dellafrase melodica delle sue canzoni e di ridurre, o addirittura, qualche volta, di eliminarele improvvisazioni che fino ad allora erano lasciate all’estro del musicista. La finedelle frasi e le repliche strumentali vengono a questo punto fissate per iscritto nellecanzoni di questo cantante, mentre nel resto delle canzoni berbere della stessa epocatutto questo continua a dipendere dall’ispirazione spontanea del musicistaaccompagnatore. Altri tentativi di orchestrazione sinfonica erano stati abbozzati neglianni ’40. Molto probabilmente delle ricerche potrebbero permettere di individuare le

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    registrazioni di canzoni armonizzate da Cheikh El Hasnaoui risalenti all’epocadell’occupazione tedesca di Parigi, in cui veniva accompagnato dall’orchestrasinfonica Muscat.

    L’influsso esercitato direttamente da Mohamed Iguerbouchen sullo stile melodico-ritmico di alcuni artisti algerini, in particolare su Cheikh El Hasnaoui, si è fatto sentirenell’adozione, da parte di alcuni cantanti, dello stile proprio dell’epoca degli anni ’40e ’50. È lui che avrebbe inaugurato l’uso dei ritmi afro-cubani da cui sonocontraddistinte le sue composizioni e che si possono individuare in un certo numero dicanzoni cabile ed in alcuni ritmi delle canzoni chaabi di El Anka. MohamedIguerbouchen era un amico molto stimato dei fratelli Barreto. L’orchestra siarricchisce sempre più di strumenti nuovi grazie a musicisti magrebini (musulmani edebrei) installati in Francia. L’orchestra che li accompagnava era perlopiù diretta, perquanto riguarda la canzone cabila e araba di Parigi, da Amraoui Missoum, MohamedJamoussi, Kakino de Paz e Zaki Khreief (le registrazioni radiofoniche recano quasitutte i nomi di questi direttori).

    Nel corso degli anni ’50, a Parigi esisteva una trasmissione riservata ai cantantialgerini dilettanti, che venivano a presentare canzoni in cabilo e in araboaccompagnati da uno o due musicisti. Farid Ali si incaricava di reclutare gli amici, tracui Oukil Amar, da portare alla radio. Era questa l’epoca in cui, nella musica araba diParigi, la canzone egiziana aveva un ruolo importante. I film arabi proiettati nelle salespecializzate avevano molto successo presso il pubblico e presso una parte degli artistidella comunità, tra cui, insieme ad altri, Amouche Mohand, Cherif Kheddam, BrahimBellali, Kamal Hamadi, grandi amatori della musica orientale ed estimatori degliartisti egiziani.

    La terza generazioneIntorno al 1973, la rottura con la canzone cabila della generazione precedente,

    indotta e poi esaltata da giovani cantanti come Aït Menguellet, il fertile duo compostoda Idir (musica e canto) e Ben Mohamed (parole poetiche), e a modo suo Ferhat,rivoluzionerà le condizioni di produzione della canzone. Aït Menguellet lascia allorail paese per prodursi regolarmente in Francia, dove le sue canzoni rivelano un poetaipegnato a esporre, nelle sue canzoni, i problemi della vita sociale del suo popolo. Asua volta, Idir si installa a Parigi intorno al 1976. Nel 1978, sarà Ferhat a venire aParigi per cantare e registrare il suo primo album. Il lavoro di risveglio delle coscienzeeffettuato nel quadro dell’associazione dei Berberi di Francia fin dagli anni ’60 hasuscitato negli autori cabili di Parigi la determinazione a far conoscere al pubbliconazionale algerino ed internazionale che la cultura berbera è parte integrante dellacultura algerina.

    Slimane Azem, le cui canzoni non venivano più diffuse in Algeria dalla fine del1967, diceva ancora sul letto di morte nel dicembre del 1982: «Non è la mia persona ole mie canzoni che il potere algerino vieta, è la mia cultura, è la mia appartenenza allasocietà berbera». Questo artista ha partecipato a tutti i gala organizzatidall’Accademia Berbera di Parigi negli anni ’60 e ’70, mentre l’Associazione degliAlgerini in Europa, anticamera del potere algerino dell’epoca, lo programmavaanch’essa nelle sue feste sociali.

    Nell’intento di prendere le distanze dalla canzone cabila della vecchia generazione,ormai considerata col fiato grosso, ma anche per superare le difficoltà tecniche delleregistrazioni in Algeria (mancanza di studi privati di registrazione di qualità) el’assenza di libertà di creazione individuale, imposta alla radio dall’orchestra di Stato(un’orchestra unica per ogni tipo di canzone di varietà), i giovani cantanti cabili hanno

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    dovuto inventare altri stili ed altri mezzi di produzione. Emersero allora dei complessi(Ferhat del gruppo Imazighen Imula, il gruppo Abranis, il gruppo informale di Idir, gliIgudar, gli Yugurten, ecc.), i cui strumenti e il cui stile musicale non rientravano nelquadro di quelli dell’orchestra della radio. Vi fu allora l’opportunità di una rinascitaper la derbuka, il qanun, il liuto orientale (‘ud), il flauto nay ed i violini. In effetti, néIdir né gli Abranis né Ferhat né lo stesso Aït Menguellet (salvo qualche rara canzone)furono accompagnati dall’orchestra radiofonica, foss’anche “moderna” come quellaposta sotto la guida di Cherif Kheddam, e il loro canto fu per lunghi anniaccompagnato solo da uno strumento a corde a manico ricurvo (mandola) e unaderbuka. In questo modo, una nuova canzone si era liberata del giogo impostodall’orchestra di Stato. Ma il rifiuto dell’accompagnamento orientaleggiante,preconizzato dai nuovi cantanti, ha prodotto, presso Idir e altri che si sono ispirati alsuo stile di orchestrazione e di composizione, un’inevitabile occidentalizzazione dellacanzone. Questa occidentalizzazione, caratterizzata dall’uso di strumenti di origineesterna e dal nuovo tipo di accompagnamento polifonico, non era agli inizi unprogetto perseguito intenzionalmente. L’impronta occidentale che caratterizza lanuova canzone cabila risiede dunque nella sua strumentazione (batteria, piano,chitarra d’accompagnamento, organo elettronico e poi sintetizzatore, ecc.), nella suaorchestrazione polifonica (armonia non sempre ben padroneggiata dapprincipio) e,soprattutto, nei ritmi che sottostanno alla melodia. In effetti, le canzoni di Idir, che, inun primo momento, hanno avuto un successo solo relativo presso il grande pubblicocabilo, sono costruite su ritmi che non si prestano alla danza di villaggio. Ora, quelloche determina il successo di una nuova canzone presso il pubblico dei villaggi dellamadrepatria, anche quando essa viene da Parigi, è innanzitutto il suo carattere ritmico:i paesani danzano o non danzano a questo ritmo. Il successo delle canzoni dai teminuovi, costruite su ritmi estranei, è venuto in seguito ad una lunga e costantecostruzione di altissima qualità intrapresa con intelligenza soprattutto da Idir e dapochi altri cantanti che da una ventina d’anni sono attivi in Francia e nel mondo.D’altra parte, ogni volta che si pensa che questo tipo di canzone dia anch’esso segni diesaurimento, ecco farsi avanti nuovi talenti innovatori con nuovi stili che tornano arassicurare il pubblico e ad arricchire questo ambito d’espressione erede di un mododi creazione e di trasmissione orale forte. In questo ambito, tra gli altri, Takfarinas,sostenuto da una voce e da una musicalità eccezionali, è il principale artista algerinoattuale, che sviluppa, col suo arrangiatore, un linguaggio musicale nuovo, anche sequesto appare talvolta audace o sconcertante, come furono a suo tempo quelli diZerrouki Allaoua, Karim Tahar, Cherif Kheddam, Youcef Abdjaoui, o quello di Idir aisuoi inizi. Sul versante femminile, Malika Domrane è la cantante cabila attuale che halo stile più audace. Pur ispirandosi alla tradizione femminile che le si addiceperfettamente, Domrane, interprete tragica di vaglia, padroneggia a tal punto ifondamenti armonici delle sue melodie che riesce a preservare l’impronta originaledella musica cabila di villaggio da cui trae nutrimento grazie alle donne che nondisdegna mai di frequentare durante i suoi soggiorni in Cabilia. Al giorno d’oggi, lecanzoni di Ferhat, Idir, Rabah Asma, Karima, Takfarinas, Malika Domrane e altri,prodotte in emigrazione, fanno parte delle sonoteche private di tanti conterraneiarabofoni, come pure di quelle degli europei. Alcune canzoni cabile vengono perfinoadattate in arabo, ad opera di cantanti arabofoni (Khaled ha interpretato canzoni diIdir) o di interpreti del Medio Oriente, o in altre lingue ancora.

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    TematicheI temi della canzone cabila sono molteplici e ricoprono numerosi campi di

    evocazione, tra cui l’emigrazione. L’esilio degli uomini venuti a lavorare in Franciadagli inizi del secolo ha costituito l’oggetto di parecchie centinaia di canzoni cabile.Una delle più antiche canzoni del genere che si conoscano si trova tra le melodieriportate nel libro di Boulifa consacrato alla poesia di Si Mohand Ou Mhand (Recueilde poésies kabyles, 1904). Questa canzone illustra bene lo sbarco a Marsigliadell’emigrato strappato alle sue radici. Da allora, ogni cantante, uomo o donna, haconsacrato una o più canzoni al tema dell’esilio. La nostalgia del paese, la famiglialasciata al paese, la disoccupazione, le dure condizioni di vita nell’emigrazione, lasolitudine degli uomini soli, la xenofobia, l’alcool, ecc., sono stati altrettanti temicantati in centinaia di canzoni.

    Inoltre, numerose canzoni militanti furono composte contro il potere coloniale inAlgeria. Come continuazione di questo filone di cantanti impegnati del tempo diguerra, la generazione emergente negli anni ’70, nell’Algeria indipendente, affronta dinuovo temi non meno impegnativi: la democrazia e la richiesta di riconoscimento e diconsiderazione obiettiva della storia berbera dell’Algeria sono il nucleo di parecchiecentinaia di canzoni degli ultimi venticinque anni. Queste questioni vengono poste siain maniera esplicita sia per via indiretta, a seconda del maggiore o minore “impegno”dei cantanti riguardo alla forma di espressione della loro poesia.

    I paesi dell’emigrazione hanno sempre costituito uno spazio di espressione per gliAlgerini, tanto in ambito della politica quanto in quello della cultura, peraltro talvoltaconnesse in modo inscindibile.

    Verso il terzo millennioPer concludere questa panoramica della canzone cabila nell’ultimo secolo con unauspicio per il futuro, possiamo riportare le parole di Ferhat Mehenni:«La canzone cabila, canzone di lotta per la libertà, l’identità berbera, la democrazia, ilpluralismo, la giustizia sociale, comincia ad avere un suo posto nel concerto mondialedella musica. Censurata o disprezzata, essa continuerà la propria opera migliorandosisul piano strutturale. Già fin d’ora essa non ha nulla da invidiare a ben altre canzoni,se si eccettuano i mezzi finanziari, tecnologici e, soprattutto, politici.

    Essa ha la bellezza delle melodie dell’Oriente, la gioia dei ritmi dell’Africa e laprecisione armonica dell’Occidente. Essa ne è la sintesi: proprio come la sua terra cheha conosciuto tanti conflitti, come il suo popolo tante volte aggredito, ma che èsempre qui, a vivere e a lottare per il riconoscimento dei suoi valori. In virtù di tuttoquesto, la canzone cabila è una canzone dell’avvenire.»

    3. Tra tradizione e modernità: i primi cantautori

    3.1. Slimane Azem (1918-1983)Slimane Azem è nato il 19 settembre 1918 a Agouni-Gueghrane, all'interno di una

    famiglia numerosa (5 fratelli e due sorelle). Il padre, Lamara n At Wali (LamaraAzem allo stato civile) era un agricoltore di modeste condizioni. La madre, YaminaLhadj, è probabilmente colei da cui il dono della poesia si è trasmesso alla famiglia(oltre a Slimane, che avrà successo come cantante, una sorella, Ouardia saràconosciuta per le sue composizioni poetiche). Yamina conosceva a memoria erecitava spesso centinaia di composizioni di Si Mohand, ed è da lei che Slimaneimparò a conoscere e ad amare questo grande poeta.

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    Come per Si Mohand, anche per Slimane Azem la tradizione vuole che il donodella poesia gli sia giunto in occasione di un incontro con un essere soprannaturale.Ancora ragazzo, un giorno, di ritorno dai campi, gli si parò dinnanzi un vecchio dallabarba bianca, mai visto prima, che gli disse «avrai un grande avvenire. Ma deviscegliere oggi: õõa˜ lbaÒr-ik neÌ õõa˜ axxam-ik (“Riempi la tua sensibilità oppureriempi la tua casa”)». Slimane preferì la poesia, e questo spiegherebbe anche perchénon abbia avuto figli dal suo matrimonio con Lucienne-Malika, una franco-tunisinasposata nel 1957.

    Frequentò per pochi anni la scuola del villaggio, appassionandosi soprattutto allefiabe di La Fontaine (che riappariranno spesso nelle sue canzoni a sfondo gnomico).A 11 anni smise di studiare e si occupò soprattutto dell’attività di pastore, che glipermetteva di passare gran parte della giornata suonando il flauto di canna e cantandocanzoni in luoghi solitari e adatti alla meditazione. In seguito, per guadagnarsi il pane,Slimane deve rivolgersi all’emigrazione. Dapprima come bracciante presso un colonofrancese nella piana della Mitidja, e poi direttamente in Francia (1937), dove giàlavora il fratello maggiore Ouali, che lo accoglie e gli trova un lavoro comeelettricista. La guerra mondiale lo coglie a Parigi, e nel 1942 viene mandato nei campidi lavoro in Germania, dove resterà fino al 1945, quando verrà liberato dagliAmericani. Finita la guerra, torna a Parigi dove apre un caffé e comincia ad esibirsicantando nei caffé per il vasto pubblico dei connazionali emigrati. Nel 1948 incide ilsuo primo disco. Il grande successo che ottiene è legato anche al fatto che Slimane hasempre cantato con la sua poesia i dolori che affliggevano lui e la maggior parte diquanti, come lui, erano emigrati.

    Nel 1950, ormai celebre, fa ritorno al villaggio, dove lo coglierà lo scoppio dellaguerra di Algeria. Fervente nazionalista, compone due canzoni che verranno messe albando dai Francesi per il loro contenuto: una è EffeÌ ay ajrad tamurt-iw (“Cavalletta,fuori dalla mia terra”) in cui era evidente l’allusione all’occupante francese, mentrel’altra, Idehr-ed waggur “è sorta la luna”, rimanda palesemente alla mezzaluna dellebandiere del FLN. La situazione di Slimane Azem in quegli anni è però complicata: ilfratello maggiore (con cui ha sempre rapporti affettuosi e di rispetto) è infattischierato con i Francesi e otterrà addirittura un posto di deputato, mentre altri duefratelli sono harki, cioè combattono nell’esercito francese contro i ribelli del FLN.

    Dal 1962 si stabilisce in Francia senza fare più ritorno in patria.Le sue canzoni sono ricche di insegnamenti morali, spesso tratti dalla letteratura

    orale tradizionale, ma anche dal buon senso comune. In quanto canzoni che non silimitano a divertire ma invitano anche a riflettere (e per di più in berbero, una linguaproscritta dalla politica di arabizzazione), dopo il colpo di stato di Boumediene,intorno agli anni 1966-67, era proibito non solo vendere le canzoni di Slimane, maaddirittura ascoltarle. Ciononostante, il nostro Slimane ha sempre conservatoun’indipendenza di spirito che ne ha in un certo senso fatto un “prigioniero dellapropria coscienza”.

    Circa i motivi di questo ostracismo delle canzoni di Slimane Aze, vi sono diverse“voci” ma nessuna spiegazione ufficiale. C’è chi parla della situazione di harki dialcuni membri della sua famiglia e di suoi pretesi cedimenti al campo colonialista,dimenticando però le due canzoni che invece infiammarono i cuori dei resistenti. Altriaccennano a una sua firma in calce ad una petizione pro-Israele nel 1967, all’epocadella guerra dei sei giorni, ma anche di questo documento-fantasma non vi è alcunatraccia. Più realisticamente, lo stesso Slimane affermava, dopo anni di esilio, cheprobabilmente non era lui che veniva bandito dalle istanze ufficiali del paese, ma tuttaquanta la cultura berbera, da lui così degnamente rappresentata.

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    Probabilmente la sua prima canzone è stata A MuÍ a MuÍ che egli avrebbecomposto durante la seconda guerra Mondiale, e che si apre con un asefru di SiMohand. Il numero preciso delle sue composizioni in un quarantennio di carriera nonè sicuro. Alla SACEM (la SIAE francese) ne sono registrate 173; il volume di Y.Nacib (2001) contiene i testi di 151 canzoni/poesie, ma l’autore riconosce che moltielementi sono incerti e che probabilmente con ulteriori ricerche questo numero sipotrebbe ulteriormente incrementare. Aveva il dono di saper usare magistralmente leespressioni idiomatiche amazigh (cabile), e di conseguenza la sua conversazione eramolto vivace ed ironica.Slimane Azem è morto in esilio in Francia a Moissac (Tarn-et-Garonne) il 28 gennaio1983.

    A MuÍ a MuÍ[Testo riportato in Azem 1979, pp. 16-17 e in Nacib 2001, canzone n°12, p. 194-195]

    Ledzayer d tamdint yelhan Algeri è una bella città,teffÌ-ed di lˆernan ne parlano i giornalidi Lafrik mechu˜ yisem-is il suo nome è famoso in tutta l’Africa

    Llsas-is yezzi-d Ìef waman Le sue fondamenta sfiorano il mareyebna s lˆir d ssiman è costruita con calce e cementowehmen akw medden di zzin-is stupisce tutti per la sua bellezza.

    A Sidi Åabde˜˜eÍman O santo Abderrahmane6a mul n lbe˜han yeqwan dai grandi poteri miracolositerreá aÌrib s axxam-is fa’ tornare l’emigrato alla sua casa!

    A MuÍ a MuÍ O Mouh, o Mouh,kker ma ad tedduá a n˜uÍ dai, vieni insieme a noi!Asmi uqbel ad ˜uÍeÌ Ricordo che prima di partirezuxxeÌ-asen aäas i lwaldin ho fatto tante promesse ai mieinniÌ-asen a d-uÌaleÌ ho detto loro “Ritornerò.ma ÄeääleÌ aseggwas neÌ sin Al più tardi tra un anno o due...”ÌerqeÌ am targit ˜uÍeÌ sono partito sprofondando come in un sognotura kte˜ n Äac˜ snin e son già più di dieci anni!

    AnnaÌ a Sidi ™ebbi O Signore, mio Dio,ay AÍnin ay AmaÄzuz o Clemente e Caro,temì’-inu t˜uÍ d akwe˜fi la mia giovinezza se n’è andata in corvéedeg umit˜u daxel uderbuz nel métro, giù, dentro al tunnel7d Lpari tezzi fell-i è Parigi che mi ha avviluppatowaqila tesÄa leÍruz sembra quasi un incantesimo.Aql-i am win ihelken Sono come un ammalatottraˆuÌ ad teldi tebburt e aspetto che mi si “apra una porta”.di lÌwerba wulfeÌ d ayen È presto detto: mi sono abituato all’esilioma d ul-iw yebÌ a tamurt ma il mio cuore reclama la sua patria;ma ˜uÍeÌ ulac idrimen per partire mi mancano i soldima qqimeÌ ugwadeÌ lmut ma se resto temo di morire. 6 Si tratta di Sidi Abderrahmane Thaalibi, il santo protettore di Algeri. Nato nel 1384 a Oued Issers,morì nel 1497 a Algeri dove è sepolto nella moschea a lui dedicata.7 Negli anni Quaranta, Slimane Azem ha lavorato come aiuto elettricista presso la RATP, l’azienda ditrasporti urbani di Parigi.

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    ur i-iÌaá ur i-yerzi Nulla mi commuove, nulla mi toccasiwa dderya nni d-Ìu˜˜eÌ se non i miei figli, che ho deluso:kulyum ttraˆun-iyi loro mi aspettano semprema d nekk ugwiÌ ad ˜uÍeÌ ma io non mi decido a partire.lÌwerba tezzi yiss-is L’esilio mi cinge d’assedio,iÄe˜q-i webrid ttaÌeÌ ogni strada che imbocco va dalla parte sbagliata.

    Questa canzone sarebbe, secondo molti autori, la prima composta da Slimane Azem, aParigi negli anni Quaranta. L’attacco ricorda molto da vicino un asefru di Si Mohand,che iniziava con le identiche parole “Algeri è una bella città”. A Si Mohand piacevanole città moderne, che pur presentando rischi concreti di “perdizione”, avevano per luiun grande fascino. E Slimane Azem in questo suo testo mostra un analogoatteggiamento nei confronti della città di Parigi.

    Be˜ka-yi si cc˜ab (Preghiera dell’ubriaco)IruÍ leÄqel-iw iÌab La mia lucidità se n’è andata, è assenteyeˆˆa-iyi di leÄtab mi ha lasciato nell’affannoyennuÌ netta d rray-iw ha lottato con la mia volontà...

    ÄebdeÌ tissit n ccrab Sono diventato un adoratore del bereyeÄreq-iyi ula d ÒÒwab il mio stesso bene non mi interessa piùˆˆiÌ ula d ddin-iw ho fin abbandonato la mia vera religione

    ukwiÌ d ÒÒeÍÍa-w trab mi sono svegliato e la mia salute non c’era piùaqerru-w meskin icab il mio capo, poveretto, si è imbiancatoa ™ebbi ili-k di leÄwen-iw o Dio, vieni in mio soccorso

    A ™ebbi awi-yi af ÒÒwab O Dio, riportami sulla retta via,eÄfu-yi yir cceddat liberami dalle penose sofferenze!Ata uqerru-w icab, Ecco, il mio capo è imbiancatoÄyiÌ tura di lmehnat. ormai sono stanco di queste miserieBe˜ka-yi tissit n cc˜ab Basta col bere vinoala ayen iÄeddan ifat. il passato è passato.

    Be˜ka-yi tissit n cc˜ab, Basta col bere vino:yeˆˆa-d ul-iw d amejruÍ; ha lasciato una ferita nel mio cuoreyesse˜wa-yi di lÄetab e mi ha colmato di affanniseg wasmi lliÌ d amecäuÍ fin da quando ero giovane;ke˜hen-iyi me˜˜a leÍbab e ora anche gli amici mi respingonoula d leqde˜-iw i˜uÍ. ho perso fin la dignità.

    Be˜ka-yi tissit n ˜˜um Basta col bere rum:ye͘eq akw iìe˜man-iw mi brucia tutte le interiora,yetce˜˜iq-iyi deg ugerjum, mi va di traverso per la golaiteffeÌ-ed seg wanzaren-iw e mi esce dal naso.seg wasmi t-ÄebdeÌ d amcum, Da quando ho preso ad adorare quel maledettoyeqqu˜ ula d zzeh˜-iw. non ho più un futuro dinnanzi a me.

    Be˜ka-yi si lpiritif Basta con gli aperitivi:kulyum ixla-yi lˆib-iw le mie tasche son sempre più vuote,ke˜hen iyi medden si rrif da ogni parte c’è gente che mi odiayerna i áurreÌ d iman-iw E quel che è peggio è che sono io la causa di tutto:ttmenäa˜eg, ur sÄiÌ nnif, vado in giro ramingo, senza onore,d ttberna i d axxam-iw. e la mia casa è l’osteria

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    Come la precedente, anche questa canzone si richiama con evidenza alle poesie di SiMohand, il grande poeta cabilo che per primo cantò il malessere di un popolooppresso e costretto all’emigrazione, con tutti i pericoli che ad essa erano connessi,primo tra tutti quello di perdersi nel vizio. Molto spesso l’introduzione delle canzonidi Slimane Azem è costituito da un “asefru mohandiano”.La esplicita ammirazione per Si Mohand (che viene anche nominato in qualche suacanzone) si è espressa anche nell’interpretazione, da parte del cantante, di alcuniisefra del grande poeta (o a lui attribuiti). Il modo di recitare poesie cantando con unaccompagnamento minimo strumentale (soprattutto negli intervalli tra un asefru e unaltro) ricalca quello tradizionale.

    Si MuÍ yenna-d (I detti di Si Mohand)• Yeõõur wul armi yufes Ho il cuore colmo fino a scoppiareA leÍbab nuyes amici, non ho più speranzeYekfa äämeÄ di lmaái ogni illusione è finita nel passato

    G wefwad-iw tecÄel tmes nel mi petto arde un fuocoLa t˜eq kan weÍd-es che brilla da soloNett˜aˆu tugw’ a texsi io attendo pazientemente, ma rifiuta di spegnersi

    Ttxilek a Lleh a Lkayes ti prego, o Dio nella tua sapienzaIli-k d amwanes accompagnamiEfk-aÌ tafat a nwali e fammi luce perché possa vedere

    • Nekseb õina akw d llim Possedevo un giardino di aranci e di limoniD lwe˜d u lyasmin tutto rose e gelsominiYezga lex˜if anebdu l’abbondanza dell’autunno durava fino all’estate

    Nxeddem-it deg wass n nnsim l’ho lavorato anche nei giorni più freddiAbaden a neqqim senza mai fermarmiNÌil ad yebbw a nezzhu pensavo già alla gioia del raccolto

    Armi yebda la d-yettÄellim ma quando cominciavano i primi germogliYefka-d si mkul lÄin ogni gemma cominciava a produrreIhubb-ed iqelÄ-it waáu prese a soffiare con impeto il vento e se lo portò via

    • Asmi llan widak yecfan Quando la gente era dotata di memoriaD lfahmin yeÌran intelligente, istruita,Nelha-d d lwe˜d ntteììu-t ci piacevano le rose e le coltivavamo

    Nerra-yas targa n waman mettendo un canale di irrigazioneAr itess leˆnan per far bere le aiuoleYefreÍ wergaz d tmeääut uomini e donne erano felici

    Ma d tura d lxe˜ n zzman mentre adesso, in questi ultimi tempi,S yeÌwyal i t-ksan le lasciano brucare agli asiniÁesben akw bab-is yemmut come se il proprietario fosse morto.

    • Yelha lxi˜ deg watmaten Che bella cosa la concordia tra fratelliMa yella msefhamen quando si capiscono tra loroMebÄid i d-tezwar tissas chi vale farà molta strada

    Ma fkan leqder i yiwen se portano rispetto ad uno,I umeqwran deg-sen al primogenito,Jebril fell-asen d aÄessas l’angelo Gabriele veglia su di loro

    Ma ifat mxe˜waáen ma se perdono l’occasione e litiganoKecmen-ten yeÄdawen i nemici penetrano in mezzo a loroYekfa lxi˜ deg yiwen wass ed ogni bene svanisce in un momento.

    • A ÒÒalÍin adrar ssaÍel O santi dei monti e delle pianureA ssyadi newÍel ahimè, siamo in grandi difficoltà,

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    Dawit afwad-iw iÍus guarite il mio cuore provatoHelkeÌ Íedd m’ad i-yeÄqel sono malato, nessuno più mi riconosceÓÒura tbeddel il mio aspetto è cambiatoD lmenäeq seg imi umexÒuÒ e perfino la parola mi esce difettosa

    A ™ebbi keõõ d Lkamel o Dio, tu che sei perfettoÕur-ek ay nemmuqel a te volgo lo sguardoA Win ireffden yessrus o Tu che innalzi e confondi.

    • Si tmurt armi d Lpari Dal paese natio fino a ParigiE˜wiÌ imeääi ho esaurito le mie lacrimeãelbeÌ di ssadat ssmaÍ implorando il perdono dei santi

    Wehmen akw dg-i lÌaci Tutti si interrogano su di meE˜wan asteqsi non finiscono di chiedereDacu d ssebba-k n ˜˜waÍ “qual è il vero motivo della tua partenza?”

    Siwa yiwen am nekkini Ma solo a uno che, come me,I ceggbet lemÍani ha subito tante proveUmi mliÌ lexbar n ÒÒeÍ io ho detto la verità.

    Slimane Azem non si è limitato a cantare il malessere dell’emigrante. Ha ancheespresso pubblicamente il proprio impegno civile prima contro la colonizzazionefrancese e poi, dopo l’indipendenza, contro gli arrivisti che avevano preso il potere e,forti di questo, insuperbivano oltremisura.

    Le canzoni in cui più esplicitamente si è espresso contro il colonialismo francesesono FfeÌ ay ajrad tamurt-iw (“Cavalletta, via dal mio paese!”) e Idehr-ed wagur(“La luna è sorta”)

    FfeÌ ay ajrad tamurt-iw (Cavalletta, via dal mio paese!)

    Õur-i leˆnan d imÌelleq, Avevo uno splendido giardinoKulci deg-s yexleq, vi cresceva ogni ben di DioSi lxux armi d ˜˜emman. dalle pesche ai melograni

    XeddmeÌ-t deg uzal, ireq, lo avevo lavorato sotto il sole ardenteììiÌ-as ula d leÍbeq, avevo piantato perfino il basilicoIˆˆuˆeg-ed, mebÄid i d-itban. era tutto fiorito, si vedeva da lontano

    Yewweá-ed wej˜ad s leÍmeq, Arrivò di corsa una cavallettaYeõõa armi ifelleq, e mangiò fino a scoppiareYeámeÄ ula deg iìu˜an. se la prese fin con le radici

    FfeÌ ay aj˜ad tamurt-iw, Cavalletta, esci dal mio paeseD lxir d-tufiá zik yemÍa. il bene che vi hai trovato un tempo è ormai finitoMa d lqaái i k-yezzenzen, se qualche cadì te lo ha mai venduto,Awi-d lÄaqed ma iÒeÍÍa. porta i documenti, se sono regolari

    Ay aj˜ad teõõiá tamurt, Cavalletta, hai mangiato il paeseWehmeÌ d acu i d ssebba; Mi meraviglio: qual è la ragione?Teksiá-tt-id armi d tabburt, hai divorato l’erba fino alla soglia di casaTeõõiá i d-yeˆˆa baba; hai consumato quello che mi ha lasciato mio padreÕas uÌal-ed d tasekkurt, E adesso, anche se ti trasformassi in una perniceTekfa yid-ek lemÍibba. ogni rapporto di amore con te è finito.

    TeÌliá-d seg igenni am umeõõim Sei caduta dal cielo come una gran nevicataGer lmeÌreb d lÄica; tra il crepuscolo e la seraTeõõiá lÍebb, terniá alim, hai mangiato sia i chicchi che lo steloTettextiriá deg lemÄica; scegliendo per bene il tuo menùMa d nek teˆˆiá-iyi d aclim, A me hai lasciato solo un po’ di pagliaTeÍsebá-iyi am lhayca. manco fossi un somaro

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    Ay aj˜ad fhem iman-ik, Cavalletta, cerca di capirlo da te:Tissineá d acu teswiá. tu sai quello che valiÕas heggi deg iferrawen-ik, quindi prepara le aliAd tuÌaleá ansi d-tekkiá. per tornare da dove sei sei venuta.Mulac ddnub i yiri-k, Se no, i tuoi peccati ricadranno su di teA txellÒeá ayen teõõiá pagherai per quello che hai mangiato.

    Tehleká-iyi ay aj˜ad, Cavalletta, mi hai fatto ammalareTessufÌeá-d dg-i lÄella; mi hai fatto venire un bubboneTessef˜u˜uxeá amerrad, ti sei riprodotta a dismisuraTebÌiá a yi-d-teˆˆeá ccetla. volevi lasciarmi una discendenzaIfut lÍal, iÄedda ujerrad, ma ormai è tardi: lo scriba è già passatoYukwi-d zzeh˜-iw yeÍla. e la mia sorte è di nuovo in piedi, risanata.

    Taqsiä n wemqerqer (Il racconto del ranocchio)Taqsiä n wemqerqer, Il racconto del ranocchio,A ssamÄin Íacakum, o voi che ascoltate, con rispetto parlando,Mi d-ikka sennig yeÌze˜, quando andò sopra al ruscelloAr yessawal i lqum e convocò la popolazioneBac akken a ten-ixebbe˜ per renderla edottaBelli yessen ad iÄum. del fatto che lui sa nuotare

    Uzzlen d akw sya w sya, Accorsero tutti, da ogni doveD luluf, d lemlayen a migliaia, a milioniWa i˜uÍ-ed s nniyya, chi andò là ingenuamente,Wa yewhem d acu isa˜en; chi curioso di sapere che cosa accadevaWa si lxuf akw d leÍya chi infine per paura o solidarietàAlmend n yeÄdawen. contro un comune nemico

    Yebda d lxeäba s leÍce˜, Cominciò il discorso di furiaLqum-is la d-ismeÍsis; il suo popolo stava ad ascoltareMkul awal d aske˜ke˜, ma ogni parola era un borbottioUr ifhim Íed i ÒÒut-is. e nessuno capiva il suo dire:Wa ijelleb s amdun yeffer, chi va a nascondersi nello stagnoWa yerna-d deg wawal-is. chi ripete convinto quelle parole

    Ataya iÄedda-d wezger, Quand’ecco arrivare un bueS lqe˜b i t-imuqel; si avvicina a lo guarda dall’altoAr istaĈab di leqhe˜, lui è impressionato da quel fenomenoYewhem yeffeÌ-it leÄqel. lo stupore lo fa uscire di sennoIxemmem, yufa-d lefke˜ poi ci pensa su e trova il modoAmek ara t-id-imutel. per riuscire ad imitarlo

    Iddem-ed lpumpa s leÍmeq, in fretta prende una pompayerra-tt deg imi-s, yetsummu, se la mette in bocca e aspiraArmi qrib ad ifelleq fino a che sta per scoppiareMazal kan la yetcuffu. ma lui continua a pompareMi yeqqezbe˜, yette˜áeq, finché, smisurato, esplode con fragoreAgwlim-is yeddem-it waáu. e il vento porta via la sua pelle.

    3.2. H'nifa (1924-1981)Di vero nome Zoubida Ighil-Larbâa, è nata il 4 aprile 1924 a Ighil M’henni, nellaregione di Azeffoun (Cabilia marittima).I genitori e la sua numerosa famiglia (erano sette fratelli), si trasferiscono, in cerca dilavoro, dapprima nella Casbah di Algeri e poi a Bologhine. Nel 1939, all’inizio della

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    guerra, la famiglia ritorna al villaggio, dove Zoubida, ormai quindicenne, comincia afarsi notare per la bellezza del suo canto alle feste di matrimonio. A 18 anni vieneobbligata a sposare un amico del padre, molto più anziano di lei, che, geloso, lapicchia. Ben presto torna a casa dai suoi, ma il padre lascia la madre e si risposa.H'nifa si trasferisce di nuovo in città con la madre, e comincia così una vita errante.Risposatasi, anche questo matrimonio dura poco, ma, in più, H'nifa si trova anche adover mantenere una figlia, nata nel 1950.Analfabeta, si deve adattare a fare lavori come domestica per mantenere se stessa, lamadre e la figlia. In quegli anni divide un alloggio di fortuna con la cantante Cherifa,afflitta da identiche preoccupazioni finanziarie. Un terzo matrimonio potrebbeportarle un certo agio economico, ma dura anch’esso per poco.

    Costretta dal bisogno, comincia una carriera come cantante —un’occupazioneconsiderata all’epoca assai disdicevole, soprattutto per una donna. Gli esordi alla radiosono degli anni ’50, con Cheikh Nourdine. La sua prima canzone, Lqaa n tezdayt, èdel 1951. Conosce immediatamente un successo di pubblico e nel 1957 emigra aParigi, dove comporrà le sue migliori canzoni. Tra l’altro, Yid-em yid-em (“con te, conte”) in duo con Kamal Hemadi. Rientra nel 1962, con l’indipendenza, ma emigreràancora nel 1973. Interpreterà anche, come attrice, diversi film di Noureddine Meziane,e si esibirà più volte alla radio. L’ultima apparizione pubblica è del 2 aprile 1978 alThéâtre de la Mutualité. Precocemente invecchiata e con problemi di alcolismo,muore a Parigi il 23 settembre 1981. Per un mese rimane all’obitorio, dimenticata datutti. Alla fine troverà una sepoltura anonima a El-Alia (il cimitero di Algeri).Marginalizzata per tutta la vita e anche da morta, soltanto di recente, grazie all’operadi alcune associazioni culturali, il suo paese natale torna a riscoprire il suo valorecome cantante, abbandonando l’implacabile marchio d’infamia con cui le tradizioni eil conformismo l’avevano condannata per il solo fatto di avere scelto la carriera dicantante.

    Ma tebÌiá ad am-neggal (Se vuoi, te lo posso anche giurare)

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareA Íeqq Sidi Hlal su Sidi Hlal:Argaz-im deg Lpari tuo marito, a Parigi,IleÍÍu d m userwal frequenta una donna che porta i pantaloni.Taqbaylit acÍal teÒbe˜ La moglie cabila, che tanto ha pazientatoYerra-tt i lmal l’ha lasciata a curare il bestiame.

    Debber tura Pensaci su

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareA Íeqq Sidi Åic su Sidi Aich:Argaz-im deg Lpari tuo marito, a Parigi,A yettrebb’ aqcic alleva un figlio.Taqbaylit acÍal teÒbe˜ La moglie cabila, che tanto ha pazientatoYerra-tt i leÍcic l’ha lasciata a falciare il fieno.

    Debber tura Pensaci su

    TiÍdayin a yessetma O ragazze, o sorelle di sventuraAllah ya ™ebbi O Dio mio,Tin yumnen argaz texla chi presta fede all’uomo è una povera folleYessetma i ttaken iles o sorelle, come sanno prendere impegniLwaÄd-ik ya ’llah che Dio ti proteggaAy afus ixeddmen ssenÄa o mano operosa

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    A tigellilt a tin ufan d nniya o poveretta, che ti sei fatta pescare così ingenua

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareA Íeqq tiqwerrabin su Tikorrabine:Argaz-im deg Lpari tuo marito, a Parigi,La ileÍÍu d trumyin continua a frequentare le francesiTaqbaylit acÍal teÒbe˜ La moglie cabila, che tanto ha pazientatoYerra-tt i tzemrin l’ha lasciata a curare gli uliveti

    Debber tura Pensaci su

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareA Íeqq Bu-ìerìur su Bou ZerzourArgaz-im deg Lpari tuo marito, a Parigi,La ileÍÍu d m mmzur continua a frequentare la donna dai lunghi capelliTin ad yawi a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini i uzemmur e tu resterai a occuparti degli ulivi

    Debber neÌ ruÍ Pensaci su, oppure fa’ qualcosa

    Una caratteristica interessante di questa canzone è il fatto che essa riprende,riattualizzandola con contenuti del ventesimo secolo, antichi temi tradizionali, e inparticolare una antica composizione tradizionale, pubblicata nell’Ottocento daHanoteau. Per un utile confronto, si riporta qui di seguito il testo di tale canzone:

    Ma tebÌiá ad am-neggal (2)“Canto di Mohand-Ou-Zâich, del villaggio di Tizi-Halouan, presso gli At Abbas(Oued Sahel)”, Cabilia Orientale. Da Hanoteau 1867, pp. 405 ss.

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq Ibahalal sugli Ibahlal:Argaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiAd yawi m elehlal sposerà una donna bella come la luna.Nettat a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini i iÌyal e tu resterai a occuparti degli asini

    Rfed aáar-im Alza un piedeHuzz adaw-im scuoti il didietro

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq Bu Cefqa su Bou Chekfa:Argaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiAd yawi Crifa sposerà Cherifa.Nettat a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini i lÍelfa e tu resterai a intrecciare stuoie di alfa

    Rfed aáar-im Alza un piedeHuzz adaw-im scuoti il didietro

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq Sidi Åic su Sidi Aich:Argaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiAd yawi m weqcic sposerà una che gli darà un figlio.Nettat a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini i leÍcic e ti lascerà a falciare il fieno.

    Rfed aáar-im Alza un piedeHuzz adaw-im scuoti il didietro

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    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq eccerfa sugli chorfa (marabutti)Argaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiAd yawi Eáárifa sposerà Dhrifa.Nettat i teguni Lei a dormire,Kemmini i lexla e tu nei campi.

    Rfed aáar-im Alza la gambaHuzz adaw-im scuoti il didietro

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq tissegnit sull’ago da cucitoArgaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiAd yawi tislit si prenderà una bella sposina.Nettat a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini am teydit e tu sarai trattata come un cane.

    Rfed aáar-im Alza un piedeHuzz adaw-im scuoti il didietro

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq At Bubdir sugli At BoubedirArgaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiAd yawi m ezzerir sposerà quella dal diadema.Nettat a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini i mejjir e tu a raccogliere la malva.

    Rfed aáar-im Alza un piedeHuzz adaw-im scuoti il didietro

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq At Qeggar sugli At KeggarArgaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiAd yawi mm leÌyar si prenderà quella dalle splendide vesti.Nettat a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini i legbar e tu ti occuperai del letamaio.

    Rfed aáar-im Alza un piedeHuzz adaw-im scuoti il didietro

    Ma tebÌiá ad am-neggal Se vuoi, te lo posso giurareU Íeqq Taferquä su TaferkoutArgaz-im la ixeääeb tuo marito sta per (ri)sposarsiTucbiÍt n tÄebbuä una bella di ventre.Nettat a tt-yeÍjeb Lei, se la terrà da conto,Kemmini i taduä e tu filerai la lana.

    Rfed aáar-im Alza un piedeHuzz adaw-im scuoti il didietro

    La canzone antica, composta da un uomo e con stile di dileggio è evidentemente piùmonotona e meno elaborata del canto di H'nifa. Si tratta infatti di un “canto perdanza” molto ritmato, una cui versione è stata eseguita da Taos Amrouche nei suoiChants de l’Atlas (il testo si può trovare nei Chants berbères de Kabylie di JeanAmrouche, p. 214). È comunque interessante osservare come anch’esso facesseallusione ai timori delle donne nella società tradizionale: se ancora non c’era il timoredi essere abbandonata per una straniera, era sempre attuale il pericolo di essereripudiata o di vedersi portare in casa una takna, una seconda moglie, evidentemente

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    più giovane e bella, e magari anche in grado di dare figli maschi (anche la sterilità eraun altro degli incubi della donna nella società tradizionale).

    La canzone che segue, invece, ha un evidente carattere autobiografico: non èdifficile individuare aspetti della vita tribolata di H'nifa, costretta a guadagnare il paneper sé, la madre e la figlia, e in più disprezzata dalla società per la propria scelta difare la cantante.

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