Alloggio e Casermaggio Napoli

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Da V. Ilari, P. Crociani e G. C. Boeri, Storia militare del regno murattiano 1806-15, Widerholdt Frères, Invorio, 2007, tomo I, pp. 408-424 (cap. 8, §. B). B. Alloggio, casermaggio e accampamento Gli alloggi militari nella città di Napoli (17 marzo–26 ottobre 1806) L’occupazione francese provocò un forte incremento della presenza militare nella capitale, in parte per il rafforzamento della guarnigione determinato dalla minaccia anglo- siciliana sul Golfo e dalla difficoltà di alloggiare le truppe in provincia, in parte per l’espansione della burocrazia militare, l’aumento di ufficiali e impiegati non residenti e la prassi di postulare di persona incarichi e carriere presso i centri decisionali. Resa insalubre dalle dune che bloccavano lo scolo delle acque putride e lesionata dal terremoto del 1805, la moderna caserma dei Granili, costruita nel 1779-92 dall’architetto Fuga, era in parte inagibile, ma 4 castelli, 3 fortini e 22 quartieri vecchi e nuovi erano comunque sufficienti per le truppe. Secondo il medico Savaresi, le caserme di Napoli erano”generalmente ben situate sotto il profilo della salubrità. Quella di fanteria di Pizzofalcone e(ra) la più sana, la più bella e la più grande di Napoli. La caserma di cavalleria, situata presso il ponte della Maddalena, riuni(va) molti vantaggi e comodità, ma e(ra) troppo vicina al Sebeto e alle sue paludi e ad una quantità di prostitute, voisinage

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Da V. Ilari, P. Crociani e G. C. Boeri, Storia militare del regno murattiano 1806-15, Widerholdt Frères, Invorio, 2007, tomo I, pp. 408-424 (cap. 8, §. B).

B. Alloggio, casermaggioe accampamento

Gli alloggi militari nella città di Napoli (17 marzo–26 ottobre 1806)

L’occupazione francese provocò un forte incremento della presenza militare nella capitale, in parte per il rafforzamento della guarnigione determinato dalla minaccia anglo-siciliana sul Golfo e dalla difficoltà di alloggiare le truppe in provincia, in parte per l’espansione della burocrazia militare, l’aumento di ufficiali e impiegati non residenti e la prassi di postulare di persona incarichi e carriere presso i centri decisionali. Resa insalubre dalle dune che bloccavano lo scolo delle acque putride e lesionata dal terremoto del 1805, la moderna caserma dei Granili, costruita nel 1779-92 dall’architetto Fuga, era in parte inagibile, ma 4 castelli, 3 fortini e 22 quartieri vecchi e nuovi erano comunque sufficienti per le truppe. Secondo il medico Savaresi, le caserme di Napoli erano”generalmente ben situate sotto il profilo della salubrità. Quella di fanteria di Pizzofalcone e(ra) la più sana, la più bella e la più grande di Napoli. La caserma di cavalleria, situata presso il ponte della Maddalena, riuni(va) molti vantaggi e comodità, ma e(ra) troppo vicina al Sebeto e alle sue paludi e ad una quantità di prostitute, voisinage ancor peggiore e che ben equivale(va) agli effetti di un’aria mefitica”.

Gli ufficiali, i funzionari militari e i privati arrivati al seguito dell’Armée de Naples dovettero invece essere alloggiati “presso l’abitante”. Gli alloggi erano in genere offerti spontaneamente dai proprietari, allettati dai rimborsi e dall’opportunità di acquisire aderenze presso i francesi, ma i rimborsi gravavano sull’intera città, la coabitazione con i civili dava luogo a continui problemi e litigi (anche per motivi di gelosia) e gli alloggi individuali attenuavano il controllo sulla disciplina e l’impiego dei quadri. Secondo il diarista De Nicola, il 17 febbraio era stato vietato ai francesi di pretendere anche la “tavola” dalle famiglie presso cui erano alloggiati, e il 27 gli alloggi furono ridistribuiti in modo da tenere gli ufficiali il più vicino possibile ai loro reparti.

I primi provvedimenti d’emergenza, presi con determinazioni N. 32, 45 e 55 del 17, 27 e 31 marzo 1806, riguardarono l’appalto di 6.500 forniture di casermaggio (3.000 posti letto doppi per la truppa, 500 singoli per ufficiali e impiegati militari e 3.000 per gli ospedali sedentari), l’aumento delle risorse destinate ai rimborsi e regole meno

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vaghe per la concessione degli alloggi individuali. In particolare fu imposto un supplemento addizionale (da 8 a 200 ducati) alla decima straordinaria sulle pigioni della capitale stabilita il 6 dicembre 1805 dal governo borbonico per rimborsare gli alloggi concessi ai quadri del corpo di spedizione anglo-russo, che era pagata per metà dal proprietario e per metà dall’affittuario. Inoltre si prescrisse al senato civico di rilasciare biglietti d’alloggio esclusivamente su domanda scritta con l’indicazione del grado e dell’incarico del beneficiario, il quale decadeva dal diritto all’alloggio col cessare dell’incarico che vi aveva dato luogo. Il controllo era attribuito al ministro della polizia generale, sullo stato degli aventi diritto e sugli stati giornalieri degli alloggi concessi, redatti rispettivamente dal capo di SMG e dal senato civico.

Il decreto N. 191 del 2 ottobre limitò l’alloggio in case private ai soli generali in servizio nella capitale (SMG dell’armata, gendarmeria e comandanti in capo del genio e dell’artiglieria); gli altri ufficiali della guarnigione dovevano essere alloggiati (col trattamento stabilito per il loro grado dalle norme francesi) nei quartieri militari e di preferenza in 10 conventi da destinarsi a padiglioni ufficiali, riparati, mantenuti e ammobiliati a cura e spese del corpo civico. De Nicola annotava il 6 novembre che agli ufficiali francesi era stata destinata la casa dei Pii Operari di San Nicolò. Con decreto N. 219 del 25 ottobre da Portici furono messi a disposizione del corpo di città, per alloggio dei militari francesi, i quartieri di Ferrandina, delle case annesse a Pizzofalcone e del ponte della Maddalena, il collegio Macedonio, l’ex-fabbrica di pietre dure di San Carlo a Mortella e 10 monasteri soppressi [della Stella, S. Maria del Parto della SS. Vergine a Mergellina, S. Maria in Portico, S. Teresa a Chiaia, S. Carlo a Mortella, Montecalvario, S. Caterina a Formello, S. Teresa degli Spagnoli, S. Pietro a Maiella e S. Domenico Soriano: con decreto del 21 febbraio 1807 gli ultimi due furono sostituiti da quelli del S. Severo e dell’Ascensione a Chiaia]. Con decreto N. 270 del 28 gennaio 1809 fu stabilita a Napoli, “nei granili del ponte della Maddalena”, una caserma di mille letti destinata alle truppe in transito, finanziata da un’una tantum dell’un per cento della rendita di tutte le case della capitale, con franchigia per le pigioni inferiori ai 20 ducati.

Il regolamento sul fuoco e lume (25 giugno 1807)

Il regolamento sulle somministrazioni di fuoco e lume, emanato con decreto N. 170 del 25 giugno 1807, comprendeva 6 titoli e 54 articoli. Nei luoghi di guarnigione erano previsti magazzini di legna, carbone, olio e candele, stabiliti, con l’approvazione del comandante della piazza e l’intelligenza del partitario, a scelta degli ufficiali del genio e dei

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sottointendenti militari, rispettivamente incaricati della manutenzione degli edifici e dell’approvvigionamento, mantenimento e distribuzione dei generi. All’inizio dell’autunno si faceva anche un “approvvigionamento di precauzione” pari al fabbisogno medio di tre mesi. Le razioni spettavano solo ai sottufficiali e soldati, ma gli ufficiali, su ordine del generale e dell’intendente militare, potevano acquistare dal partitario, a seconda del loro grado, da 5 a 15 razioni giornaliere (e il doppio in inverno).

La razione di legna da cucina per i graduati e soldati in guarnigione era di 30 once (806 grammi), e il doppio per i sottufficiali. Nei mesi invernali [da dicembre a febbraio a Napoli, Terra di Lavoro e Puglia, da dicembre a marzo nel Principato C. e in Basilicata e Calabrie e dal 15 novembre al 15 aprile negli Abruzzi e nel Molise e Principato U.] ne spettava una seconda per il riscaldamento, aumentata a 42 once e prolungata di due mesi se le truppe erano in campagna, computando anche i soldati dei posti avanzati e delle guardie del campo. Alle truppe in movimento o azione di guerra si provvedeva mediante taglio degli alberi di bosco o, in mancanza, dei meno fruttiferi. I comuni anticipavano le razioni alle truppe distaccate o in accantonamento temporaneo a distanze superiori a 2 miglia dal magazzino più vicino, ed erano poi rimborsati dal partitario. Costui somministrava le razioni ogni 5 giorni, in ragione e sullo stato dei presenti effettivi vistato dal sottointendente, il quale verificava i consumi sugli stati trasmessi ogni decade dai corpi, imputando a loro carico le razioni eccedenti il dovuto, e formava lo stato mensile delle somme dovute al partitario.

Ai corpi di guardia erano distribuite solo le razioni di riscaldamento invernale, in ragione della loro forza (I classe oltre 16 uomini, II da 8 a 16, III meno di 8) e con un mese aggiuntivo. La razione quotidiana era di 15, 12 e 8 rotola (kg 14:24, 10:68 e 7:12) di carbone ovvero di 54, 48 e 36 razioni di legna (kg 43:52, 38:69 e 29:01), diminuite di un terzo nel primo e nell’ultimo mese del periodo. Una razione di III classe era attribuita anche alla camera dell’ufficiale, restando costui arbitro di scegliere tra il carbone e la legna. Ogni giorno la segreteria di piazza distribuiva ad ogni corpo di guardia una tavoletta metallica col numero della classe, usata come ricevuta delle razioni prelevate al magazzino dai soldati di corvée.

L’illuminazione dei quartieri di guarnigione era calcolata in ragione di una lampada con lucignolo per 25 uomini e per ogni locale di stalla, con un consumo quotidiano di 2 once e mezza (66 grammi) da maggio ad agosto, 3 (80 gr.) in marzo-aprile e settembre-ottobre e 4 (107 gr.) negli altri mesi. La razione d’olio per i corpi di guardia di I e II classe era il

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doppio, per quelli di III classe di 3 e mezzo, 4 e mezzo e 6 once, e poteva essere sostituita da 2, 3 o 4 candele di sego del peso di 3 once.

Il regolamento sugli alloggi e il casermaggio (30 giugno 1807)

Il regolamento sugli alloggi delle truppe in guarnigione e in marcia, emanato con decreto N. 175 del 30 giugno 1807, era composto da 14 titoli e 254 articoli. Rinviamo al capoverso seguente l’esame dei primi due titoli, relativi alle competenze del genio. Il titolo III (art. 11-41) regolava il materiale di casermaggio, infissi, mobili e letti. I letti da ufficiale – che spettavano anche agli aiutanti sottufficiali, sergenti maggiori, portastendardi e marescialli d’alloggio capi – erano composti da una lettiera di legno rialzata, un saccone di paglia, un materasso di lana (2 per gli ufficiali superiori), 2 cuscini con federa di lino, 2 lenzuola di lino, una coperta di lana bianca e una di cotone. La camera da letto individuale degli ufficiali era corredata da tavola, 4 sedie, comò, guardaroba, vaso da notte, bacinella e 2 asciugamani. Le altre camere spettanti a seconda del grado erano corredate di tavole, sedie, candelieri e altri utensili, mentre la camera per i domestici aveva lo stesso corredo della camera per soldati, ossia tavolo per il pane, tavolino, panche, attaccapanni e rastrelliera per le armi. I letti da soldato erano a 2 piazze, senza lenzuola e coperta di cotone, e un semplice guanciale invece dei cuscini. Ai forieri, tamburi e trombette maggiori e capibanda spettava un letto a una piazza. Le camere e prigioni di disciplina erano differenziate per rango e con le stesse dotazioni, mentre le prigioni per militari di qualunque grado deferiti al consiglio di guerra erano fornite solo di paglia, un vaso da notte e una tinozza. Il corredo dei corpi di guardia militari (tra i quali erano compresi anche quelli guarniti dalle guardie provinciali) era differenziato a seconda delle tre classi di forza, mentre la camera per l’ufficiale era la stessa spettante in quartiere. Gli utensili da cucina erano provvisti a spese dei corpi o requisiti dai civili: solo i vasi di creta erano acquistati (al prezzo di mercato), mentre rami, ferri e stoviglie erano noleggiati a tariffa (1 grana e mezzo al giorno per una marmitta da 16 porzioni di zuppa e 3 cavalli per le relative stoviglie). I magazzinieri del casermaggio rimettevano lo stato mensile del materiale al sottointendente, al quale i corpi indirizzavano i reclami. Il servizio era assicurato mediante appalto, sotto un ispettore generale del ministero (Cossé nel 1809-10).

Il titolo IV (artt. 42-94) regolava la distribuzione degli alloggi nelle fabbriche militari. Il criterio generale era di dare priorità all’alloggio dei militari di grado inferiore, a cominciare da comuni e graduati, alloggiati insieme e per squadre. Ai sergenti della compagnia spettava una camera

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separata, ai sottufficiali di grado superiore una camera singola e in quella del foriere erano custoditi vestiti e armi dei degenti in ospedale. Ai musicanti e alle maestranze (artista veterinario, sarto, calzolaio, armaiolo, sellaro) spettavano 2 stanze, una per alloggio e una per studio, laboratorio o fucina; alle lavandaie, alloggiate (per precauzione) al pianterreno, spettavano 2 stanze per battaglione e 3 per reggimento di cavalleria. Ai reggimenti spettavano inoltre camere speciali per gli ammogliati, infermerie da 30 letti per la fanteria e 20 per la cavalleria, sale d’armi e da ginnastica e locali per i magazzini d’armi, vestiario e piccolo equipaggio. Le stalle dovevano essere possibilmente prossime agli alloggi, con separazioni tra i cavalli (inclusi quelli degli ufficiali) delle varie compagnie, un locale isolato per gli animali infermi, un magazzino con foraggio per 4 giorni e uno di selle e briglie, con abbeveratoi e corti per il deposito di letame nel recinto della caserma. Norme particolari disciplinavano gli alloggi degli ufficiali di linea (possibilmente in caserma o in edifici vicini), dei comandi di divisione militare e di provincia, degli SM di piazza e stabilimenti militari, del personale degli ospedali e magazzini e delle scuole militari (questi ultimi, come gli allievi, sempre alloggiati nella scuola).

L’alloggio spettava esclusivamente ai militari ed impiegati presenti nel luogo destinato all’esercizio delle funzioni: gli ufficiali del genio e dell’artiglieria, i comandanti d’armi e loro aiutanti e gli intendenti e sottointendenti militari lo conservavano anche in assenza. Gli ufficiali scontenti dell’alloggio assegnato e che volevano provvedersi di un altro a proprie spese, potevano ottenere un biglietto di alloggio temporaneo per un massimo di 3 giorni. Le autorità locali dovevano impedire abusi dei civili negli affitti richiesti agli ufficiali. Ai generali non comandanti di divisione e agli ufficiali del genio e dell’artiglieria isolati competeva in tempo di pace solo l’indennità d’alloggio. Le indennità agli ufficiali cui non poteva essere assegnato l’alloggio in natura erano stabilite nel titolo VI (artt. 115-124): agli ufficiali e impiegati residenti nella capitale era accordato un aumento del 50 per cento. L’indennità per mancanza di mobilio era pari alla metà di quella di alloggio per gli ufficiali inferiori e ad 1/3 per i superiori (e pagata su certificato dell’appaltatore dei letti).

Il titolo V (artt. 95-114) regolava l’alloggio presso l’abitante. Si dovevano destinare le case con abbondanza di camere non occupate in rapporto al numero dei componenti della famiglia, escluse quelle abitate da vedove o fanciulle, e comprese quelle di ufficiali e pubblici funzionari. L’abitante doveva fornire lo stesso numero di camere e gli stessi tipi di mobili, letti e stalle spettanti agli ufficiali e alle truppe, ma i locali per i magazzini dovevano essere provveduti dal comune. Gli alloggi per periodi inferiori a 15 giorni non davano luogo ad alcun

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indennizzo. La tariffa giornaliera pro capite era di 1 grana e mezzo per sergenti, graduati e comuni, il doppio per i sottufficiali superiori, di 2 e mezzo per il letto da ufficiale e 1 per i cavalli. All’abitante che alloggiava un ufficiale spettava l’affitto medio corrente nel luogo, fino al totale dell’indennità d’alloggio spettante all’ufficiale, al quale toccava la parte eccedente. L’indennizzo era anticipato dal comune, e rimborsato sugli stati trimestrali trasmessi al sottointendente e sui fondi del casermaggio.

Il titolo VII (artt. 125-144) disciplinava il servizio dei casermieri e custodi temporanei del genio. I casermieri rispondevano della tenuta dei locali e assicuravano il rispetto delle destinazioni d’uso stabilite dall’ufficiale del genio, al quale rimettevano lo stato quindicinale dei movimenti. I titoli VIII (artt. 145-161), IX (162-175) e X (176-193) regolavano la consegna e riconsegna degli alloggi alle truppe e la reintegrazione dei danni e dispersioni, i titoli XI (194-231) e XII (232-243) la pulizia interna ed esterna degli alloggi militari, e gli ultimi due (artt. 244-54) contenevano disposizioni generali e sulla pubblicazione del decreto. La pulizia interna era attribuita a soldati di comandata (“quartiglieri”), quella esterna ai detenuti, e al casermiere o custode quando la caserma era vuota. Ai cambi di guarnigione e di guardia la pulizia dei locali incombeva alle truppe in partenza e alla guardia smontante. Tra le varie prescrizioni igieniche, c’erano il divieto di mangiare o pulire le armi sul letto e di salirvi con le scarpe e di orinare e defecare fuori dei cessi, l’obbligo di scoprire e disfare i letti e arrotolare i materassi dopo la sveglia, di aerare le camerate e purificarle con fumi di aceto e ginepro, pulire le fogne con getti d’acqua nel condotto principale e in quello dell’orina, controllare la stagnatura dei vasi di rame, spolverare e lavare le panche e battere abiti e coperte ogni sabato all’aperto, lavare le finestre una volta al mese, cambiare lenzuola e federe ogni 15 giorni e la paglia dei sacconi ogni sei mesi, lavare le tele dei materassi e guanciali e battere la lana ogni anno a giugno, sterilizzare gli effetti dei malati contagiosi, nettare gli zoccoli dei cavalli da letame ed orina, tenere sempre aperte porte e finestre delle stalle, tranne nei giorni di gran freddo o gran caldo ed evacuare il letame ogni tre giorni.

Le attribuzioni degli ufficiali del genio (D. 30.6.1807 e 22.6.1810)

Il titolo I del decreto 30 giugno 1807 ripartiva gli edifici militari in “fabbriche militari addette all’alloggio” (caserme, prigioni, corpi di guardia, stalle, ospedali e magazzini) e stabilimenti d’artiglieria (arsenali, sale e manifatture d’armi, fonderie), posti rispettivamente sotto la direzione degli ufficiali del genio e dell’artiglieria. I primi erano

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inoltre incaricati – sotto la propria responsabilità e alle dirette dipendenze del ministro – della costruzione e del mantenimento di tutti gli edifici militari, inclusi gli stabilimenti d’artiglieria, con le stesse regole e procedure stabilite dal regolamento del genio per le fortificazioni; nonché del “notamento” delle fabbriche militari esistenti e delle successive variazioni. La destinazione d’uso era determinata dal ministro su progetto dell’ufficiale del genio corredato dall’estimo dei costi e pareri conformi del direttore del genio e dell’intendente divisionale. Analoghe disposizioni erano stabilite dal titolo II per le proposte di costruzione e manutenzione, con facoltà d’impiegare lavoratori civili militarizzati e retribuiti secondo gli usi locali.

Queste norme furono modificate con decreto N. 842 del 22 giugno 1810, per chiarire le incertezze circa le rispettive attribuzioni delle due armi e le procedure per l’approvazione dei lavori proposti dagli ufficiali del genio. Si precisava infatti che gli ufficiali d’artiglieria erano incaricati della conservazione e tenuta degli edifici addetti agli stabilimenti dell’arma, “e quindi di tutte le ordinarie rifazioni, oltre che dei lavori che riguardano i forni di fusione, di forge e cose di simil natura”. Tuttavia i progetti di nuova costruzione e i lavori che potessero alternare la stabilità di tali edifici erano sotto la responsabilità di un ingegnere militare. L’approvazione delle proposte di nuovi lavori o prima costruzione di qualsiasi edificio militare era riservata al ministro. La proposta doveva essere corredata dal progetto e da un verbale con le motivazioni di utilità e vantaggio e il parere favorevole del capo del genio e, per quelli relativi a caserme, ospedali, prigioni e magazzini logistici, anche del commissario di guerra. Se i lavori erano proposti come necessari, i pareri erano riservati al direttore del genio e all’ordinatore, e, anche in caso di divergenza, trasmessi senza dilazione al ministro col disegno dell’opera e il preventivo di spesa. In caso d’urgenza, riconosciuta dal capo del genio e dal commissario di guerra (e, in caso di divergenza, dal direttore del genio), i lavori potevano essere cominciati senza attendere l’approvazione del ministro.

Alloggio e casermaggio nelle province (1806-1809)

Diversamente dall’esercito borbonico, concentrato in massima parte a Napoli e nelle piazzeforti di Capua, Gaeta e Pescara, le armate francese e napoletana dovettero mantenere robuste guarnigioni anche nelle province minacciate dall’insurrezione interna e dagli sbarchi nemici, in particolare al confine romano, in Abruzzo, nei Principati e in Calabria. Durante le due occupazioni della Puglia (1801-02 e 1803-05) i francesi vi avevano stabilito parecchie caserme, di cui sette solo a Taranto, ma

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con l’occupazione francese delle Ionie le basi pugliesi avevano perso molta della loro importanza, e il grosso delle forze era dislocato in province quasi del tutto prive di infrastrutture. Secondo la prassi dell’epoca, i comuni che non erano in grado di alloggiare le truppe in transito erano tenuti a indennizzarle con una razione doppia di vino o l’equivalente in denaro: il 24 settembre 1806, ad esempio, il colonnello Soffietti, dei cacciatori a cavallo italiani, intimò a tal titolo al comune di Sulmona un indennizzo di 2 grana a notte pro capite. La stessa Pescara, divenuta punto di transito delle forze in arrivo o in partenza da o per l’Alta Italia, non aveva caserme sufficienti: il 19 maggio 1807, approfittando della prossima visita del re, i decurioni gli rivolsero la supplica di esentare la città dalle prestazioni alle truppe in transito, e il 2 dicembre proposero di requisire i conventi di S. Francesco e S. Agostino, destinati ad essere soppressi per l’età avanzata dei pochi frati rimasti, per alloggiarvi gli ufficiali superiori di passaggio [la richiesta fu reiterata il 3 giugno 1811, aggiungendo ai due “conventini” anche quello delle monache, destinato a caserma per le truppe di passaggio, e nel gennaio 1812 i comandanti della piazza e del genio dettero parere favorevole; ma la pretesa dei pescaresi di distribuire le spese di restauro e riattamento – 22.000 lire – fra tutti i comuni limitrofi fece definitivamente archiviare il progetto].

Il casermaggio borbonico, commisurato ad un esercito di 20.000 uomini, ed in parte distrutto o disperso al ritiro delle forze anglo-russe o durante la breve campagna del febbraio-marzo 1806, era del tutto insufficiente, e la maggior parte dei soldati era costretta a dormire per terra o su paglia infettata dai rognosi [v. lettera di Frégéville del 10 marzo 1807, da Barletta, a Lamarque]. Gli appalti del casermaggio furono aggiudicati all’impresa Davin, poi sostituita da Liberati, ma il riattamento e mantenimento delle caserme restava a cura e spese dei comuni. A Sulmona ad aggiustare il quartiere provvedeva un caporale dei “frati giurati” con 5 compagni, con carreggio della paglia e altro materiale fornito dal comune. Per la sola Armata napoletana occorrevano 15.000 letti (doppi), e il doppio per l’Armata francese (69.500 uomini). Solo alla fine del 1807 l’Armata napoletana raggiunse una disponibilità di 11.000 letti, pari al 73 per cento del fabbisogno. Una circolare ministeriale del 12 dicembre ridistribuì le forze sul territorio in rapporto alle risorse, e il 26 settembre 1808 Murat incaricò Saliceti di preparare un progetto di decreto per cedere alle intendenze provinciali la gestione dei letti e destinare edifici ad uso di caserma in tutti i luoghi di guarnigione e transito, in modo da poter ridurre l’alloggio presso l’abitante ai soli casi eccezionali. Ma il 27 dicembre il re trasmetteva al ministro le proteste di Partouneaux per le pessime condizioni delle

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caserme calabresi, dove nevicava sui letti, oltretutto privi di coperte. Il 23 marzo 1809 Murat chiedeva al ministro Reynier di controllare l’appalto dei letti, pagato per 15.000 mentre erano in realtà molti di meno. Con circolare del 26 agosto il ministro richiese alle intendenze provinciali l’elenco dei danni provocati agli edifici pubblici dalle truppe francesi; con altra del 28 novembre prescrisse di fornire di letti le batterie costiere, se necessario a cura e spese dei comuni. Con dispaccio del 15 novembre il ministro dell’interno chiarì alle intendenze che la fornitura gratuita di letto, fuoco, cucina e biancheria da parte dei comuni agli ufficiali in transito era limitata a 3 soli giorni.

I provvedimenti del 1810-12 sul casermaggio

Con decreto N. 737 del 22 settembre 1810 dal campo di Piale (che si stava ormai smobilitando), i consigli reggimentali furono incaricati di provvedere all’acquisto, mantenimento e rimpiazzo degli utensili e ordigni di accampamento, a carico delle masse generale (acquisto) e di vitto ordinario (mantenimento e rimpiazzo). Il primo acquisto doveva essere autorizzato dal ministro. Il decreto N. 890 del 7 febbraio 1811 destinò alle compagnie provinciali tutti gli edifici militari disponibili esistenti nei luoghi di residenza, e, in mancanza, le case demaniali più idonee. La fornitura dei letti a tali compagnie era stata inizialmente attribuita (art. 17 del decreto 4 maggio 1810) all’impresario del casermaggio, senza considerare che l’appalto non prevedeva la fornitura, ma solo il mantenimento: l’errore fu emendato con decreto N. 934 del 14 marzo 1811, che incaricava gl’intendenti di stipulare contratti provinciali (con riserva di approvazione da parte del ministro della guerra) per il mantenimento, la conservazione e il rimpiazzo dei letti, sui fondi della massa d’alloggio di tali compagnie.

Con decreto N. 940 del 21 marzo fu abrogato l’art. 121 del decreto del 30 giugno 1807 che prevedeva la facoltà degli abitanti di esentarsi dall’alloggio militare in natura dietro pagamento della corrispondente indennità. Con circolare del 10 aprile alle intendenze il ministro dell’interno comunicò la forza ordinaria delle guarnigioni (in Terra di Lavoro, erano previsti 3.390 uomini a Capua, 3.300 a Gaeta, 440 ad Aversa e 330 a Nola), dispose il censimento dei fornitori di mobilio e delle case idonee per alloggio ufficiali e comunicò la creazione (con atto che non abbiamo rintracciato) di una cassa d’alloggio, finanziata dai proprietari di case idonee ad alloggio militare con un’imposta pari ad 1/3 della rendita o della pigione. La cassa era destinata a riattare e ammobiliare le caserme addette all’eccedenza della guarnigione e alle

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truppe di passaggio, a stabilire padiglioni demaniali per ufficiali ed a soccorrere le famiglie bisognose gravate da alloggio militare.

Con decreto del 29 settembre 1808 fu soppresso l’ospedale militare dei rognosi al III piano dei Granili e con decreto del 15 luglio 1809 furono determinate le parti del fabbricato da lasciarsi alla R. Marina per il bagno dei forzati, il deposito legnami e la corderia (già situata al III piano); il resto dell’edificio fu suddiviso tra il genio militare (per una caserma di guarnigione) e il municipio di Napoli (per la caserma delle truppe di passaggio).

Come abbiamo già accennato nel capitolo precedente, con decreto N. 1077 del 25 settembre 1811, a partire dal 1812 i servizi del casermaggio, dell’illuminazione dei padiglioni e caserme e del fuoco e lume dei corpi di guardia, furono trasferiti alla regia militare, mettendo a carico degli appaltatori il rinnovo degli effetti dichiarati fuori uso o trovati mancanti per colpa loro. Il conto presentato alla fine del 1811 dai commissari liquidatori del casermaggio (consiglieri Luigi Savarese e Nicola Maria Seniso) registrava un esito di 25.025 ducati a fronte di un introito di 24.062, con un deficit di 1.037. Il consiglio di regìa fu integrato da un terzo amministratore (Guillaume) per il casermaggio e gli ospedali, da cui dipendevano amministratori di piazza [Comte per Capua, Nola e S. Maria di Capua: a Gaeta, nel maggio 1815, era conservatore del casermaggio Antonio d’Auxonne, con 3 impiegati e 7 lavandaie].

Con decreto N. 1183 del 31 dicembre le tariffe in “antichi pesi” del carbone e dell’olio furono ragguagliate ai “nuovi pesi” [arrotondando le ultime a 66, 90, 120, 130, 160 e 200 grammi], ma con decreto N. 1312 del 9 aprile 1812 fu abrogato l’art. 8 del decreto del 25 giugno 1807, disponendo la cessazione, a partire dal mese seguente, delle forniture di lumi per le caserme.

Trasferimenti di edifici pubblici al demanio militare (1812-14)

Nel 1811-14 vari edifici demaniali o comunali da tempo destinati ad uso militare furono definitivamente trasferiti all’amministrazione della guerra. Così, con decreto N. 965 dell’11 maggio 1811, per quello di San Lorenzo della Padula adibito a ospedale e caserma, e, con decreto N. 1412 del 16 luglio 1812, per gli otto ex-conventi di Taranto occupati dai francesi nel 1801 e adibiti a comando presidio (Celestini), padiglione ufficiali (Monteoliveto), ospedale militare (Teresiano), uffici del genio (San Giovanni di Dio, di fronte all’Episcopio), arsenale d’artiglieria e caserma dei cannonieri litorali (Carmine), magazzino d’artiglieria e genio (chiesa attigua alla caserma S. Francesco) e caserme per 400 fanti

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(S. Francesco) e 300 cavalieri (S. Domenico, con magazzino foraggio) e della gendarmeria (S. Agostino, comunale). Furono inoltre trasferiti al demanio militare anche 2 masserie (dei Carmelitani e dei Francescani), una vigna con casino, il giardino sotto il castello e un terreno, affittati a privati per una rendita complessiva di 768:50 ducati (= lire 3.381:40).

Con decreto della reggente N. 1498 del 17 settembre 1812 furono soppressi 5 monasteri femminili di Capua; tre (S. Giovanni, Gesù grande e S. Gabriello) furono messi a disposizione del ministero della guerra per gli alloggi della guarnigione, mentre quelli di S. Girolamo e S. Maria furono concessi alla città per l’alloggio delle truppe di passaggio e l’accasermamento della compagnia scelta. Con decreto N. 1554 del 3 dicembre fu posto definitivamente a disposizione della guarnigione di Napoli l’intero convento di S. M. degli Angeli alle croci (tranne la chiesa). Il decreto N. 1605 del 27 gennaio 1813 dispose analogo trasferimento per 4 edifici di Capri appartenenti al patrimonio della corona e già in uso militare (la Certosa, la Torre di Matarita, l’ospizio coi magazzini e l’oliveto siti nella marina, l’ex convento delle religiose di Anacapri), compensati con beni dello stato a richiesta dell’intendente di casa reale. Con decreto N. 1699 del 21 aprile 1813 la città di Lecce fu dichiarata piazza di guarnigione fissa e gli ex-conventi degli Agostiniani (S. Angelo e degli Alcantarini) furono trasferiti all’amministrazione militare per essere destinati a caserme con capienza di 1.200 uomini. Con altro del 28 aprile vari edifici demaniali furono ceduti a comuni della Capitanata per le caserme di passaggio e di gendarmeria. Con decreto N. 2205 del 28 luglio 1814 furono definitivamente trasferiti all’amministrazione militare gli ex-conventi di S. Domenico e S. Antonio di Foggia, già adibiti a caserme di cavalleria, e la parte dell’ex-convento di Gesù e Maria già adibita a infermeria quadrupedi. Con decreto del 6 maggio 1813 era stato destinato come sede della Scuola di Marte il seminario di Nola, spostando l’istituto vescovile nell’ex-collegio dei gesuiti adibito a caserma di cavalleria e truppe di passaggio: lo scambio fu però revocato con decreto N. 2233 del 24 agosto 1814, a seguito della decisione di impiantare la scuola di Marte a Napoli.

I padiglioni per gli Ufficiali e le indennità d’alloggio

Oltre agli ufficiali di guarnigione (che godevano di una addizionale all’indennità d’alloggio in ragione degli affitti più alti), Napoli – come Milano – pullulava di altri ufficiali che sotto vari pretesti si trattenevano nella capitale anche per postulare promozioni e incarichi. Il 21 novembre 1809 Murat scriveva al ministro Daure di rispedire indietro, sotto minaccia di destituzione, tutti gli ufficiali che venivano perfino dalla

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Spagna a raccomandarsi. Con circolare del 31 marzo 1810 agl’ispettori alle riviste, il ministro stigmatizzò che i militari dei vari corpi di stanza vicino Napoli, e precisamente quelli con incarichi amministrativi, si permettevano di soggiornare nella capitale sotto vani pretesti e con la compiacenza dei loro superiori, inceppando l’amministrazione dei reggimenti. Dispose pertanto la sospensione del pagamento del soldo agli ufficiali che si fossero allontanati dal loro posto senza foglio di congedo rilasciato dal ministro e vistato dal sottoispettore.

Nel 1810 c’erano a Napoli solo 313 alberghi e 32 maisons garnies: la maggior parte degli ufficiali senza truppe alloggiava perciò presso l’abitante. Con decreto N. 1361 del 26 aprile 1812 furono stabilite nuove tariffe delle indennità d’alloggio e mobilio [le abbiamo già riportate nella tab. 302, allegata al cap. 6].

Con decreto N. 2022 del 13 gennaio 1814 le caserme e i padiglioni militari, tanto demaniali che comunali, furono posti sotto l’immediata polizia dei commissari di guerra, limitando le competenze dei comandanti di piazza alla vigilanza del servizio, al buon ordine e alla notifica dei movimenti di truppe. Gli ufficiali del genio erano incaricati di notificare al comandante e al commissario lo stato trimestrale degli edifici destinati ad alloggio degli ufficiali, inclusi i padiglioni comunali, disponendo le riparazioni necessarie di concerto con gl’ingegneri civili. I commissari di guerra erano incaricati di ripartire gli alloggi, dandone conto trimestrale all’ordinatore, che ne inviava al ministro il riassunto generale. Gli ufficiali che accettavano volontariamente di occupare alloggi di un grado inferiore al loro non avevano diritto ad alcuna indennità.

Le indennità d’alloggio e mobilio erano liquidate dai sottoispettori sui certificati di mancanza d’alloggio o mobilio rilasciati mensilmente dai commissari di guerra, e pagata su ordine del ministro previo riscontro sugli stati trimestrali dei certificati rilasciati dai commissari e degli alloggi effettivamente occupati, rispettivamente trasmessi dagli ordinatori e dai direttori delle fortificazioni, in modo da poter accertare e far giudicare le eventuali frodi. La conservazione delle indennità anche in caso di assenza temporanea dal luogo d’impiego era estesa anche agl’ispettori generali d’arma e loro aiutanti di campo, agli ispettori alle riviste e commissari di guerra e ai membri dei consigli di guerra. L’indennità non competeva agli ufficiali di gendarmeria, i quali dovevano provvedersi di alloggio mediante il soldo maggiore di cui godevano, ma il decreto la concedeva per il tempo in cui fossero impiegati fuori sede per servizi straordinari. In compenso stabiliva la decadenza dal diritto all’indennità in caso di rifiuto dell’alloggio in natura, e, fino a nuovo ordine, limitava le indennità alle sole piazze di

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Napoli e Capri, mentre nelle altre l’alloggio in natura era posto a carico dei comuni.

Con o. d. g. del 2 giugno 1814 il ministro della guerra notificava che il re voleva essere informato dell’arrivo a Napoli di tutti gli ufficiali, i quali dovevano immediatamente presentarsi di persona al comandante della piazza: i soli tenenti generali potevano farsi rappresentare da un aiutante di campo. Con circolare del 26 settembre si chiarì che l’alloggio in natura competeva anche agli ufficiali delle compagnie provinciali.

Gli alloggi militari ad Ancona dal dicembre 1813 al maggio 1815

Il 3 dicembre 1813, in vista dell’arrivo delle truppe napoletane, il podestà di Ancona invitò i commissari di polizia a vigilare sul buon ordine e far tenere aperte fino a notte avanzata le bettole e botteghe di alimentari. Alcuni parroci e il rettore del seminario furono avvisati di tenere pronte le chiese per ospitare le truppe. La prima colonna, giunta la stessa notte, fu alloggiata nella chiesa di S. Agostino. Il 4 (sabato) furono requisite le due sinagoghe, ma la seconda colonna, arrivata il 5, fu alloggiata in realtà nella sede della comunità ebraica e nelle case più comode del ghetto. La terza colonna, giunta l’8, fu alloggiata nella chiesa di S. Domenico e, dal 9, nel ginnasio. Sempre per contrappasso, l’11 le truppe italiane furono accasermate nella scuola ebraica. Il 17 tutte le coperte e i paglioni del conventino delle Esposte furono requisiti per le truppe napoletane; il giorno seguente il generale d’Ambrosio e il commissario Pepe intimarono l’alloggio per 3.800 uomini, o, in mancanza, il raddoppio della razione di vino. Il 19 la commissione municipale degli alloggi militari ordinò di predisporre stalle, paglioni e coperte per l’arrivo della cavalleria e del treno e il 21 requisì le chiese dell’Annunziata e del Carmine come deposito della paglia. Il 26 fu posto a carico del comune un terzo del conto di lire 1.848:15 per i pranzi offerti il 3 e l’8 agli ufficiali napoletani. Il 31 il municipio ed i locali adiacenti furono adibiti ad ospedale militare. Intanto i napoletani avevano insediato il loro comando piazza in casa Candelori, sulla strada del Porto, e il 13 gennaio 1814 occuparono il forte dei Cappuccini. Il 20 gennaio il comando piazza napoletano ordinò l’evacuazione delle case fuori Porta Esina, poste sotto il tiro della cittadella occupata dai franco-italiani. Una commissione incaricata di accertare i danni del bombardamento del 13 febbraio liquidò in luglio appena 1.000 lire. Il 1° marzo i militari restituirono le chiese di S. Domenico e S. Ugo. Il 31 si prescrisse ai cittadini che alloggiavano militari di comunicare al comando militare lo stato di situazione. In maggio il municipio requisì 622 lenzuola e 29 paglioni (più l’equivalente in denaro di altri 2.224 e

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168) per il 9° di linea destinato di guarnigione in città. Il 16 maggio il comandante d’armi ribadì il divieto ai sottufficiali di alloggiare in case private, e il 16 esentò dagli alloggi militari il palazzo Trionfi, per aver ospitato il re nella visita del 30 gennaio. Il magazzino casermaggio dava lavoro anche a 3 lavandaie anconetane. Nel marzo 1815 il sottotenente De Marco del 7° di linea, che aveva maltrattato un delegato all’alloggio, fu posto agli arresti con sentinella alla porta, e con obbligo di “marciare giornalmente prigioniero con la guardia del campo”. Con manifesto del 22 aprile il municipio prescrisse ai padroni di casa di notificare immediatamente al burò degli alloggi la partenza degli ufficiali ospitati.

Le modifiche del 1815-18

Alla restaurazione, a seguito della soppressione della regìa militare, il servizio del casermaggio, dell’illuminazione degli edifici militari e del riscaldamento dei corpi di guardia fu attribuito – con decreto dell’11 settembre 1815 e a partire dal nuovo anno – alla commissione del vestiario, che vi provvedeva mediante appalti di gestione separati per provincia o per piazza. Fu inoltre approvato, con o. d. g. dell’11 dicembre 1817, un modello di contratto. Con decreto del 18 dicembre 1818 l’acquisto e manutenzione dei generi di casermaggio e la fornitura di paglia, fuoco e lume fu attribuita ad una autonoma commissione di casermaggio, presieduta da un ufficiale superiore e composta da due membri, ufficiali o impiegati, e da un segretario, la quale controllava il servizio tramite i commissari di guerra. Il regolamento di servizio, sostitutivo di quello del 30 giugno 1807, fu emanato soltanto il 16 ottobre 1821.

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Ex-Conventi adibiti ad uso militare a Napoli e dintorni (1816)Quartiere Convento Destinazione militareAvvocata S. Domenico Soriano

Sacramento Polizia – Alloggio di un gen.Ospedale Militare

Montecalvario S. Nicola alla Carità – strada ToledoMontecalvario – Salita Porta CarreseTrinità accosto Chiesa Sette DoloriS. Martino – Largo S. Martino

Direzione del Corpo del GenioPadiglione militareOspedale MilitareCasa e Ospedale Invalidi

Chiaia S. Orsola – strada di ChiaiaS. Caterina fuori Porta ChiaiaAscensione – Ascensione a ChiaiaS. Maria in Portico – strada omonimaPiedigrotta – strada omonimaS. Maria del Parto – Str. MergellinaS. Carlo alle Mortelle – Salita S. Car

Archivio Ministero GuerraAlabardieri della Guardia R.Padiglione e cas. GendarmeriaPadiglione militareCommissariato di poliziaPadiglione MilitarePadiglione Vedove Militari

S. Carlo Arena S. Carlo all’Arena CasermaPendino Crocifere ai Mannesi

S. Severo MaggioreOrfanotrofio militareFamiglie e Vedove militari

Vicaria SS. Apostoli (D. 7.8.1809)S. Giovanni a Carbonara (1801)S. Caterina a FormelloAvvocata (Borgo S. Antonio Abate)

CasermaOspedale MilitarePadiglione MilitareVedove militari

S. Lorenzo S. Maria Maggiore (o Pietra Santa) I e II consiglio di guerraS. Ferdinando S. Maria Angeli – Pizzofalcone

S. Teresella e Trinità degli SpagnoliDir. Dazi – Regia dei viveriVedove militari

Porto San Gerolamo Famiglie di militari defuntiMercato S. Agostino Maggiore CasermaS. Giuseppe Gesù Nuovo

San Francesco delle Monache Padiglione MilitareCaserma

Stella Monastero della StellaSanta Teresa degli Scalzi

Comm. di polizia e GISAmm. Polveri e Salnitri

Castellammare S. Maria di Pozzano (Paolotti)S. Croce (Domenicani)

Caserma del GenioOspedale Militare e Caserma

Capri S. Giacomo, S. Salvatore, S. Michele GenioMassa Lubrense Benedettini della Trappa GenioT. Annunziata SS. Annunziata (Celestini)

S. Teresa (Olivetani)Caserma della Gendarmeria Caserma degli armieri

Pozzuoli Padri Domenicani (D. 29.12.1814) Padiglione MilitareProcida Padri Domenicani GenioFonte: ASN, Intendenza Borbonica – Serie Culti, F 807, f. 2955 inventario N. 500. (Elaborazione di Cinzia Tempone).

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Da V. Ilari, P. Crociani e G. C. Boeri, Storia militare del regno murattiano 1806-15, Widerholdt Frères, Invorio, 2007, tomo I, pp. 513-514 (cap. 10, §. C).

Le guarnigioni a domicilio a carico delle famiglie dei refrattari (1811)

Con decreti N. 1131 e 1132 del 25 ottobre 1811 furono emanate le norme e le istruzioni ministeriali (in 6 titoli e 43 articoli) sulle “guarnigioni a domicilio a carico delle famiglie de’ coscritti refrattari”. L’invio dei militari a domicilio era ordinato dall’intendente, che ne stabiliva il numero (fino ad un massimo di 4), ma il ritiro poteva essere ordinato anche dal sottointendente ed era riservato al direttore generale della coscrizione autorizzare la permanenza oltre un mese. L’invio doveva essere preceduto da misure di persuasione e dalla pubblicazione nel comune interessato, con 8 giorni di anticipo, della lista dei morosi. Era obbligatorio se il numero dei morosi del comune superava 1/8 del contingente, oppure se il comune dava ricetto a refrattari o disertori, se aveva avuto difficoltà a fornire la quota nelle leve precedenti o se si fossero verificati tumulti durante le operazioni di leva. L’intendente poteva invece dispensarne i comuni in regola con le leve precedenti e con basso numero di refrattari e le famiglie che non avevano in alcun modo favorito “la disubbidienza de’ loro figli”.

Le famiglie erano tenute a fornire l’alloggio militare in natura e pagare il soldo commisurato al grado (soldato 34 grana, caporale 39, sottufficiale 50, ufficiale 78) nonché, trattandosi di truppa montata (da inviarsi “in casa di quegl’individui la di cui disubbidienza sarà più manifesta”), un’indennità di 44 grani per il mantenimento del cavallo. Il soldo includeva una ritenuta di 11 grana per un fondo comune a disposizione del direttore generale della coscrizione, impiegabile per coprire il deficit provocato da famiglie in tutto o in parte insolventi. I piantoni non potevano, sotto pena di concussione, esigere nient’altro dalle famiglie ospitanti. All’arrivo del distaccamento, e in seguito ogni 5 giorni, si doveva intimare alla famiglia di depositare entro tre ore nelle mani del sindaco l’importo del soldo e indennità anticipato per 5 giorni. In caso di rifiuto l’usciere delegato dall’intendente provvedeva al sequestro e alla vendita dei mobili ed effetti, con spese a carico della famiglia. Durante la permanenza il distaccamento (di gendarmeria, linea o guardie civiche) era impiegato alla ricerca dei refrattari e disertori. I reclami di privati dovevamo essere indirizzati al sindaco e da questi trasmessi al comandante del distaccamento per la soppressione degli abusi e le eventuali punizioni. Il sindaco aveva il diritto di rifiutare il rilascio del certificato di buona condotta, senza obbligo di informare il comandante dei motivi, rendendone conto al sottointendente.

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