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STUDI MEDIOLATINI E VOLGARI fondati da SILVIO PELLEGRINI Volume LVIII Pacini Editore

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Alla ricerca della storia nella poesia trobadorica, il caso del sirventese di Genim d’Urre de Valentines

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STUDI MEDIOLATINIE VOLGARI

fondati da SILVIO PELLEGRINI

Volume LVIII

PaciniE d i t o r e

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IndIce

Saggi e articoli

Gerardo LarGhi, Alla ricerca della storia nella poesia trobadorica: il caso del sirventese di Genim d’Urre de Valentines . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1

CLaudio LaGomarsini, Rustichello da Pisa ed il Tristan en prose: un esercizio di stemmatica arturiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49

nazarena zanGLa, Iniziali e partizioni del testo nei manoscritti del Floire et Blancheflor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 79

Recensioni e segnalazioni

Corrado BoLoGna e marCo Bernardi (a cura di), Angelo Colocci e gli studiromanzi marCo Bernardi, Lo zibaldone colocciano Vat. Lat. 4831 (Valeria Bertolucci) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161

ruth harvey and Linda Paterson, The Troubadour Tensos and Partimens . A critical Edition (Maria Grazia capusso) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 171

madeLeine tyssens et rené raeLet, La version liégeoise du Livre de Mandeville (Alvise Andreose) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 174

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ALLA RIceRcA deLLA SToRIA neLLA PoeSIA TRoBAdoRIcA: IL cASo deL SIRVenTeSe dI GenIM d’URRe de VALenTIneS 1

Historia vero testi temporumPer Raffaele

Fin dalle sue origini la filologia provenzale ha evidenziato lo stret-to rapporto intercorrente tra il vocabolario trobadorico e l’universo simbolico, ideologico, linguistico del feudalesimo: senhor, ma domna, tecnicismi (veri o presunti) come de genolhos, baizar, servir, mas jontas e altre espressioni consimili sono state invariabilmente e inesorabil-mente citate come prove testimoniali della dipendenza del codice liri-co dal contesto giuridico e politico feudale . In effetti, anche solo una corsiva lettura di una qualunque antologia trobadorica palesa quanto nei verseggiatori in lingua d’oc sia stato decisivo lo schema concettua-le e comunicativo derivante dal sistema di relazioni che si stabilì tra il dominus e il vassallo 2 . La sovrapposizione tra vocabolario feudale e linguaggio cortese è però sovente avvenuta senza che i moderni ricercatori considerassero che il complesso dominicale-vassallatico fu articolato e multiforme, e che fu adattato dai soggetti agenti al muta-re delle condizioni, ai differenti ambienti giuridico-istituzionali, alle diverse esigenze amministrative regionali o addirittura locali 3 .

È vero, infatti, che il codice della fin’amor fu tendenzialmente unico, ma poiché «o sistema feudale de finais do século XII […] tem pouco que ver co que, case un século antes, dera lugar á aparición da lírica trobadoresca na rexión do Poitou» 4, appare lecito chiedersi se gli indiscutibili mutamenti storici non lasciarono impronte di sé nella lirica trobadorica . Se poi, come anche a noi pare incontroverti-bile, «the often-quoted “feudal elements” in troubadour poetry were subject to change during the two and a half centuries of the trouba-dours’ activity, and that, furthermore, this change itself was subject

1 Ringrazio Sven Björkman per la squisita cortesia con cui ha messo a mia disposizione alcuni contributi di difficile reperimento e la sua competenza filologica .

2 Si vedano almeno i risultati delle indagini di G .M . CroPP, Le Vocabulaire courtois des troubadours de l’époque classique, Genève-Paris 1975; A . PiCheL, Ficción poética e vocabulario feudal na lírica trobadoresca galego-portuguesa, La coruña 1987 .

3 J .P .PoLy e e . BournazeL, Les féodalités, Paris 1998, hanno individuato forme feudali in epoche storiche e contesti geografici anche assai distanti dal Medioevo euro-peo .

4 Vd . M . Brea, O vocabulario como fío de cohesión na tradicíon trobadoresca, in Aproximacíons ao estudo do vocabulario trobadoresco, a cura di M . Brea, S . LóPez martínez-morás, Santiago de compostela 2010, pp . 9-19, a p . 13 .

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2 Gerardo LarGhi

to historical changes in occitan society»  5, appare urgente che l’indagine sulla poesia trobadorica si fondi sulla panoramica della feudalità meridionale francese sempre meglio definita e sempre più ricca di sfumature che la ricerca storica ci viene consegnando .

L’importanza dell’analisi terminologica e dei linguaggi politici in uso in una determinata epokhé  6 è stata sottolineata in numerosi contributi critici nati proprio in ambito medievistico e specifica-mente della storia del Meridione della Francia  7 . Sviscerare un vocabolario specializzato – e il lessico feudale tale è – implica però non solo il confronto con oggetti, strutture, relazioni che non ci sono direttamente riconoscibili, ma anche con il diverso uso che dei medesimi vocaboli fu fatto a seconda dei luoghi e dei momenti  8 .

5 cfr . A . rieGer, Troubadours and Law: Legal Metaphors in the Autumn of Troubadour Poetry, in «Tenso», 26 (2011), pp . 75-87, a p . 77 .

6 cfr . su questo tema la bella ricerca di B. Grévin, Rhétorique du pouvoir médiéval. Les Lettres de Pierre de la Vigne et la formation du langage politique européen (XIIIe-XVe siècle), Roma 2008 e le analisi di a.  mairey, Les langages politiques au Moyen Âge (xiie-xve siècle), in «Médiévales», 2 (2009), pp . 5-14 . Si rinvia inoltre, entro una bibliografia abbondantissima, almeno a H .  White, Retorica e storia, napoli 1978; R .  KoseLLeCK, Futuro passato: per una semantica dei tempi storici, Genova 1986; J .  PoCoCK, Politica, linguaggio e storia. Scritti scelti, a cura di e .A . Albertoni, Milano 1990, in particolare il saggio Il concetto di linguaggio e il «métier d’historien»: alcune considerazioni sulla pratica, pp .  187-212; H .e . BödeKer, Begriffsgeschichte, Diskursgeschichte, Metapherngeschichte, Gottingen 2002; e le sagge considerazioni di A . momiGLiano, La retorica della storia e la storia della retorica: sui tropi di Hayden White, in id ., Sui fondamenti della storia antica, Torino 1984, pp . 465-476 .

7 cfr . ad esempio K .J . hoLLyman, Le développement du vocabulaire féodal en France pendant le Haut Moyen-Age (étude sémantique), Genève-Paris 1957; GroPP, Le vocabulaire courtois des troubadours de l’epoque classique cit .; J . Batany, Vocabulaire et structures sociales, in id ., Approches langagières de la societé médiévale, caen 1992, pp . 115-206; c . roBinson, In Praise of Song. The Making of courtly Culture in Al-Andalus and Provence, 1005-1134 A .d ., Leiden 2002, pp . 261-352; H . déBax, La Féodalité languedocienne (XIe-XIIe siècles) . Serments, hommages et fieps dans le Languedoc des Trencavel, Toulouse 2003; M . aureLL, Fin’Amor, wadd et féodalité dans la lyrique méditerranéen au moyen âge: nouvelles approches, a cura di d . BiLLy, F . CLément, A . CómBes, Toulouse 2006, pp . 77-89 .

8 Su questo è particolarmente significativo quanto emerge da a.L.  Budriesi tromBetti, Prime ricerche sul vocabolario feudale italiano, in «Atti della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Rendiconti», 62 (1973-1974), pp .  1-125 dell’estratto da cui si cita, nonché dalle riflessioni che su questa indagine approntò J . FLori, rec. di Budriesi Trombetti, Prime ricerche sul vocabolario feudale italiano, in «Le Moyen Âge», 83 (1977), pp .  562-564, nonché a.L.  Budriesi tromBetti, Per uno studio del lessico feudale in Italia, in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles) . Actes du colloque de Rome (10-13 octobre 1978), Roma 1980, pp . 327-344 .

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3aLLa riCerCa deLLa storia neLLa Poesia troBadoriCa

A ciò si aggiunga che ogni espressione si definisce solo entro un sistema di rapporti con altri termini 9, e che ogni individuo, nell’espri-mersi, mescola intenzionalità ed incoscienza, improvvisazione e consapevolezza, convenzioni e originalità: un’opera d’arte, fosse pure solo un sirventese trobadorico, non presenta da tale punto di vista caratteristiche diverse rispetto ad ogni altra comunicazione 10 .

Un prezioso esempio di utilizzo del linguaggio feudale nella poesia trobadorica ci è offerto dal sirventese Pois pretz s’en fui, que no troba guirensa (Frank, 548,1, 4 u 7), registrato nella BdT sotto il numero 137,1 11, e unica opera pervenutaci di en Genim d’Urre de Valentines, uno tra i poeti occitanici classificati come minori .

Lo scarso (eufemisticamente parlando) interesse suscitato dal nostro verseggiatore ha fatto sì che i (rari) filologi che se ne sono occupati abbiano avanzato dubbi perfino sulla grafia del suo nome, che nella rubrica del codice a2 è trascritto Engenim: chabaneau ipo-tizzò che la lezione andasse sciolta in en Genim (ma si chiese se il nome non dovesse essere corretto in Gerin, o Garin); Schultz-Gora si domandò invece se vi si dovesse individuare l’esito romanzo di < InGenInUS, InGenUInUS, diminutivi dell’assai diffuso nome cri-

9 Budriesi tromBetti, Per uno studio del lessico feudale in Italia cit . , a p . 327, e che a p . 340 si chiede se sia esistito un unico lessico feudale o invece se si debba discorrere di più lessici feudali, concludendo in favore della « seconda ipotesi, che tende a considerare ciascun contesto ed il lessico ad esso relativo come sistema defi-nibile al proprio interno, anche se certamente non chiuso» .

10 nella sovrabbondante bibliografia sorta intorno al genere del sirventese si vedano almeno J . storost, Ursprung und Entwicklung des altprovenzalischen silventes bis auf Bertran de Born, Halle a . S . 1931; d . rieGer, Gattungen und Gattungsbezeichnunger der Trobadolyrik, Tübinger 1976; e . Miruna-Ghil, L’Age de Parage: Essai sur la poétique et la politique en Occitanie au XIIIe siècle, new York 1989; S . thioLier-méjean, Les poésies satiriques et morales des troubadours du XIIe à la fin du XIIIe siècle cit .; ead ., La poétique des troubadours. Trois études sur le sirventes, Paris 1994 .

11 cfr . J .c . rixte, Anthologie de l’écrit drômois de langue d’oc, vol. 1: Les trouba-dours drômois et du Viennois. Textes et documents, des origines à l’époque moderne, Montélimar-Toulouse 2002; all’interno della antologia il testo fu edito per cura di S . Björkman, che al trovatore dedicò anche il contributo S . BjörKman, Pois pres s’en fui qe non troba guirensa: un sirventés du troubadour Engenim d’Urre de Valentinès in Mélanges publiés en hommage à Gunnel Engwall, a cura di I . Bartning, Stockholm 2002, pp . 35-41 . oltre a questi recenti studi, si vedano le ricerche, più datate, di G . Bertoni, Rime provenzali inedite, in «Studi di filologia romanza», 8 (1899-1901), pp .  421-484; c . de LoLLis, Proposte di correzioni ed osservazioni ai testi provenzali del manoscritto Campori, in «Studi di filologia romanza» 9 (1903), pp . 153-170; o . sChuLtz Gora, Zwei unica aus dem Codex Campori, in «Zeitschrift für romanische Philologie», 60 (1940), pp . 68-78 .

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stiano Ingenuus, ovvero se si dovesse secare il nome in due elementi distinti (En Genim), interpretando il primo di essi nel suo senso più comune (En = «signore, nobile») . Björkman, dopo aver brevemente analizzato il problema, optò per la seconda soluzione . Se sul nome si sono accumulati i dubbi dei ricercatori, maggiori certezze non vi sono in merito all’identità sociale dell’autore di BdT 137,1: secondo Schultz-Gora egli fu «ein Hintersasse», mentre a giudizio di Asperti egli appartenne «probabilmente alla piccola nobiltà» 12 .

Molti sono quindi i punti controversi circa questo poeta ed è perciò urgente affrontarli e risolverli .

Il suo nome è il ben attestato esito romanzo del latino Genesius, appellativo che ha dato origine alla forma onomastica Guinisius, da cui sono discesi Genis, Ginis, Genès, Geniès 13, ampiamente cer-tificati nei cartulari meridionali 14, e specificamente in quelli delfi-nati 15 . Possiamo a questo punto anche ammettere che la particella onorifica En manifesti, come di consueto, l’appartenenza del poeta alla classe cavalleresca o a quella nobiliare . Un ulteriore dato ci è offerto dalle rubriche del canzoniere a2, le quali ci informano della provenienza di Genim dal villaggio di eurre, località sita sulla riva sinistra della drôme, a valle di crest . considerando la correttezza con cui in genere queste informazioni sono veicolate nei codici e nelle vidas possiamo consentire provvisoriamente su di esse e assu-merle come ipotesi di lavoro .

Il sirventese di Genim non contiene precisi rimandi storici e riprende lo schema metrico della canzone di Arnaut de Maruelh BdT 30,5 16, coincidendo invece le rime con la cobla di Sordello BdT

12 c . ChaBaneau, Les biographies des troubadours en langue provençale: publ. intégralement pour la première fois avec une introd. et des notes, Toulouse 1885, s .v .; sChuLtz-Gora, Zwei unica aus dem Codex Campori cit ., S . asPerti, Bibliografia elettronica dei trovatori, consultabile all’indirizzo internet http://w3 .uniroma1 .it/bedt/BedT_03_20/index .aspx; m. GrimaLdi, Svevi e angioini nel canzoniere di Bernart Amoros, in «Medioevo Romanzo», 35 (2011), pp . 315-343, a p . 338 definisce Genim «altrimenti ignoto» .

13 sChuLtz Gora, Zwei unica aus dem Codex Campori cit . 14 cf R . sindou, Formes populaires des noms de saints Genesius et Genius,

in «Bulletin philologique et historique du comité des Travaux Historiques et Scientifiques», 1955-1956 (ma 1957), pp . 9-21 .

15 cfr . ad esempio le carte raccolte in U . ChevaLier, Cartulaire de l’abbaye de Notre Dame de Léoncel au diocèse de Die, ordre de Citeaux, Montélimar 1869; id ., Cartulaire de l’abbaye de N. D. de Bonnevaux au diocèse de Vienne, ordre de Citeaux, Grenoble 1889 .

16 ed . R .c . johnston, Les poésies lyriques du troubadour Arnaut de Mareuil, Paris 1935, p . 9 .

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437,19 inviata a Peire Guilhem 17 (entrambi i componimenti presen-tano uscite in ensa, es, or, e mostrano prossimità anche con la strofa di Pons Santolh de Tholoza BdT 380,2 che ha rime ensa, is, or 18) .

Per conoscere meglio Genim non vi è dunque altro materiale che il testo stesso della sua poesia: è indubbio che il ricorso ad un com-ponimento letterario come fonte storica e biografica possa prestarsi a confusioni e malcomprensioni, ma è altresì inoppugnabile che i trovatori sono per noi indispensabili testimoni dell’articolato mondo ideologico e culturale nel quale essi erano immersi  19 . Fondandoci sull’opinione di chi sostiene che «la proximité entre la littérature et l’histoire était beaucoup plus marquée et assumée aux XIe et XIIe siècles qu’aujourd’hui» 20, si è dunque ricorsi al sirventese come, per usare una felice espressione di Gérard Gouiran, ad un «lieu où se rejoignent l’histoire et la littérature» 21, facendolo reagire al contatto con i documenti coevi, interpretando l’elaborato alla luce delle carte del XIII secolo .

anaLisi deL testo PoetiCo

Tema della poesia di Genim è la critica ai grandi signori, indegni del loro status e affossatori delle virtù che ne dovrebbero caratteriz-zare il ceto, nonché l’incitamento rivolto ai feudatari di più basso

17 M . Boni, Sordello. Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario, Bologna 1954, p . 191 .

18 ed . R . riChter, Die Troubadourzitate im Breviari d’Amor: kritische Ausgabe der provenzalischen Überlieferung, Modena 1976, p . 381 .

19 come hanno dimostrato gli studi di m. aureLL, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989, e in tempi più recenti id ., Le che-valier lettré: savoir et conduite de l’aristocratie aux XIIe et XIIIe siècles, Paris 2011 . Utili considerazioni sul rapporto tra storia e letteratura occitana si rinvengono in Ph . marteL, Les historiens et le texte occitan, in Contacts de langues, de civilisations et intertextualité, in Actes du IIIe Congrès International de l’Association Internationale d’études occitanes (Montpellier, 20-26 septembre 1990), a cura di M . Rouquette e G . Gouiran, Montpellier 1992, pp . 7-13, e negli studi di Linda Paterson ora raccolti in ead ., Culture and Society in Medieval Occitania, Farnham-Burlington 2011 .

20 X . storeLLi, Le chevalier et la mort dans l’historiographie anglo-normande, Th . de doctorat, Université de Poitiers 2009, p . 32 ma stimolanti considerazioni sul nostro tema si rinvengono soprattutto in id ., Quelques remarques sur l’étude de l’historio-graphie anglo-normande: entre littérature et histoire, disponibile su Internet nel sito https://docs .google .com/ (cons . il 18/12/2011) .

21 G . Gouiran, A la frontière de l’histoire et de la littérature: le sirventés, in «Boletin de la real academia de Buenas letras de Barcelona», 41 (1987), pp . 213-225, a p . 224 .

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rango ad opporsi a tale stato delle cose . da questo punto di vista essa si inserisce nel ben noto e studiato filone artistico-sentenzioso che ha attraversato gran parte della poesia occitanica medievale 22 .

costruite sulla personificazione di Vizi e Virtù, le prime due strofe di BdT 137,1 riecheggiano la linea poetica che discende da Marcabru per li rami della letteratura moralistica trobadorica: Avarizia, Inganno e Malafede sono all’origine del decadimento di Pretz e Pudore, il mondo precipita verso la rovina e la colpa di tutto è dei ricchi signori che invece di distribuire i loro beni, li nascondono e anzi generano successori i quali ne moltiplicano i difetti .

Il largo uso che da Marcabru in poi si fece di personificazioni quali Proeza, Avoleza, Malvestat, Valor, Enjan, si ritrova nell’epigono valentinese che inscena nei suoi versi una lotta tra bene e male, tra Pretz e Malvestatz, tra gli ortodossi valori cortesi e l’illegittima autocrazia dei rics hom (i quali, infatti, regnon a recrezenza [v . 8]) . Si noti comunque che il lamento sulla decadenza dei costumi non attribuisce alla fuga di Pretz e Vergoigna il declino dell’intera società bensì unicamente quello di un gruppo sociale, i valvassor .

I padri, poi, si dedicano all’accaparramento in nome dei diritti dei loro eredi e, dopo aver rimarcato che i malvagi signori regnano ognuno nascondendo «i propri guadagni e il proprio patrimonio», Genim stabilisce amaramente che «da una cattiva semenza non nascerà mai un buon frutto: se questi aristocratici valgono poco i loro discendenti saranno anche peggio»: per i loro figli sono dive-nuti esattori, che dio non faccia mai credito ai loro malvagi eredi (crois ers) . Il biasimo riversato sugli aristocratici indegni e degeneri attraversa così le generazioni che da essi discendono, e la disappro-vazione si converte in invettiva .

Lasciata la memoria poetica di Marcabru, Genim nelle ultime coblas si accosta alla lezione di un altro grande polemista come Bertran de Born, del quale segue le orme elogiando la guerra, tempo che susciterebbe cortesia nei ricchi, al contrario di quanto avverrebbe mentre regna la pace, allorché i rapporti che dovrebbero instaurarsi tra soggetti naturalmente solidali sono sostituiti da vio-lenza e soprusi . Il combattimento quindi corrisponde, nella visione dell’artista, al momento nel quale i legami feudali sono rinsaldati da una solidarietà che si sostanzia di obblighi reciproci tra il signore

22 S . thioLier-méjean, Les poésies satiriques et morales des troubadours du XIIe à la fin du XIIIe siècle, Paris 1978, passim .

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e il vassallo . Per contro, in tempo di pace (v . 17) viene meno ogni vincolo sociale ed i ric home chiedono a chi possiede un bon laor di renderglielo o di fargliene reconoissensa . Per sottrarsi a questa pre-tesa, termina l’artista, non rimane che auspicare il mutuo impegno di aiuto tra i valvassori affinché si oppongano ai crois barons che si caratterizzano per malafes, enjan, avoleza, difetti (si noti), propri tanto dei moilleratz come dei ric hom .

oltre al debito poetico contratto verso due tra i maggiori espo-nenti della classicità trobadorica, colpisce in Pois pretz s’en fui il ricorso ad un vocabolario «specialistico» come quello feudale; l’utilizzo di lemmi tecnici è sicuro rivelatore del complesso di nessi, immagini e segni che gli stichi dovevano immediatamente richiama-re negli astanti e nel pubblico cui erano indirizzati: proprio questi indizi inducono anzi a riportare il testo dal piano lirico a quello della storia .

L’indicatore più persuasivo, da questo punto di vista, è il verso 21, laddove l’artista fece meditato impiego della formula faire conoissenza, che gli editori hanno reso in modo diverso  23 ma che riecheggia visibilmente, compendiandolo, il sintagma “recognoscere hominium seu homagium” ben noto agli storici e ampiamente atte-stato nelle carte duecentesche e che ha il valore di «riconoscere di tenere in feudo da qualcuno qualche bene» .

nel XII e XIII secolo le recognitiones furono atti con i quali un tenancier elencava, su richiesta di un signore, i diritti di cui costui godeva su alcuni beni e per i quali il vassallo era tenuto a versare un censo al dominus . Siffatta ammissione poteva prendere forme diverse secondo una tipologia documentale piuttosto ampia: dalla dichiarazione in una inchiesta domaniale, al rogito, all’atto cata-stale, all’omaggio . Attraverso le recognitiones non si instaurava di necessità un legame vassallatico, per quanto nella maggioranza dei casi esse siano state accompagnate anche da una dichiarazione di fede e di omaggio .

diversa da loro certo, ma vincolante e solenne tanto quanto l’hommagium o il giuramento di fidelitas, la recognitio aveva una

23 Secondo sChuLtz Gora, Zwei unica aus dem Codex Campori cit ., p . 77 esso sarebbe da intendersi «oder erkenne (wenigstens) an, dass ich Ansprüche auf dieses (Stück) Land habe»; anche secondo BjörKman, Pois pres s’en fui qe non troba guirensa cit ., il verso andrebbe tradotto «ou reconnais la pour nienne» . Tale interpretazione si fonda, come asserisce lo studioso scandinavo, sulla considerazione che fu già di Schultz-Gora, che «puisque conoisser peut aussi vouloir dire ‘reconnaître’ (à côté de ‘connaître’), conoissensa a bien pu signifier ‘reconnaissance’» .

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forte valenza sociale e simbolica, imponendo al sottoposto di rico-noscere (recognosco) di tenere questo o quel patrimonio da un signore: al valore economico di tale gesto si aggiungeva perciò il suo indubbio riflesso pubblico, giacché una siffatta ammissione definiva con precisione legami e gerarchie collettive . Grazie alla loro natura giuridico-economica, le recognitiones  divennero dunque dei veri e propri rituali che davano forma e struttura ad un ordine sociale fon-dato sulla proprietà fondiaria ma che supponevano anche un potere sugli uomini e perciò diritti di natura bannale 24 . Per il vassallo faire conoissensa non comportava di necessità la perdita del patrimonio giacché in occitania fin dalle primissime donazioni feudali «conser-vées, la concession n’est absolument pas précaire, mais au contraire héréditaire» 25 .

nel caso evocato dai versi di Genim, nulla peraltro lascia inten-dere che fosse in gioco la piena proprietà del bene né alcun indi-zio suggerisce che nei versi si alluda a una disputa tra un signore allodiero e un nobile che gli contende i diritti sulle terre . Piuttosto l’accenno alle ben note nozioni feudali di auxilium et consilium nei vv . 17 e 18 esclude che le parti in causa fossero estranee l’una all’al-tra: la promessa di sostenere il signore con la parola e con gli atti era, infatti, parte integrante ed ineludibile del rapporto feudale . Le espressioni dous respos, ben-fag e valenza nonché appartenere alla terminologia trobadorica sono, infatti, riconducibili anche ad alcuni tra i doveri discendenti dall’instaurazione di un obbligo sinallag-matico: dalla concessione di un beneficium (ben-fag, don) nasceva infatti la coercizione a prestare adjutorium/auxilium (cioè secors, valenza) e consilium (dous respos) 26 .

24 Per una prima analisi cfr . th. PéCout, Les actes de reconnaissances provençaux des XIIIe-XIVe siècles: une source pour l’histoire du pouvoir seigneurial, in Le médiévi-ste devant ses sources. Questions et méthodes, a cura di H . Taviani e c . carozzi, Aix-en-Provence 2004, pp . 271-312; id ., Confessus fuit et in veritate recognovit se tenere. L’aveu et ses enjeux dans les reconnaissances de tenanciers en Provence, XIIIe-XIVe siècle, in Quête de vérité, quête de soi. Moyen Age et temps modernes, a cura di L . Faggion e L . Verdon, Aix-en-Provence 2007, pp . 173-205, a p . 174 .

25 H . déBax, L’aristocratie languedocienne et la société féodale: le témoignage des sources (Midi de la France, XIe et XIIe siècles), all’indirizzo internet http://halshs .archives-ouvertes .fr/halshs-00498863_v1/, p . 10 (cons . il 5/01/2012); posizione più problematica in G . GiordanenGo, Le vassal est celui qui a un fief. Entre la diversité des apparences et la complexité des evidences, in Señores, siervos, vassalos en la Alta Edad Media, Pamplona 2002, pp . 75-126, alle pp . 102-103 .

26 Riguardo a valenza si veda e . rodón Binué, El lenguaje tecnico del feudalismo en el siglo XI en Cataluña (Contribución al estudio del latín medieval), Barcelona 1957, p . 253 . L’uso di questo termine è attestato nelle carte che ci trasmettono la memoria

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Alla luce di quanto evidenziato, si può concludere che l’allusione alla sussistenza di un vincolo evochi la richiesta rivolta dal dòmino a Genim affinché costui ammettesse un suo diritto di revocabilità del bene; nei versi il poeta riferirebbe perciò della pretesa del signo-re feudale di conservare la più completa libertà di disposizione su proprietà oggetto di una sua precedente largizione, per farne even-tualmente argomento di nuova donazione beneficiale:

de telles reprises en fief successives pourraient paraître absurdes si l’on considérait la cession de l’alleu comme une transaction foncière dans la tradition romaine . on ne pourrait pas donner à nouveau ce que l’on n’a plus, ce qui a déjà été donné à la génération antérieure . cependant, les textes ne disent pas que les seigneurs châtelains donnent l’alleu, mais qu’ils donnent en alleu . ce n’est pas le contenu de la donation qui est qualifié d’alleu, mais la modalité de celle-ci: donner en alleu semble vouloir dire entièrement, com-plètement, avec tous les droits et tout le pouvoir . Une reprise en fief ne se distingue finalement d’un simple serment que par une sorte de solennité particulière; la reprise en fief n’est qu’une façon particu-lièrement solennelle de reconnaître l’autorité du seigneur supérieur . elle peut être renouvelée à chaque génération 27 .

Se la nostra interpretazione dei versi «vos diram, si·us sabon bon laor:/ «Aqist terra fon de mon ancessor,/ rende la me, o fai m’en conoiscenza» è esatta, in essi Genim raccontò perciò di una riven-dicazione patrimoniale avanzata da taluni personaggi (innominati e per ora non identificabili) su beni che erano già in possesso del verseggiatore .

Faire conoissensa potrebbe dunque essere il riflesso testuale di una concreta vicenda storica: in BdT 137,1 il verso dell’artista allu-derebbe, così, a una istanza di «riconoscersi uomo» (ligio?), cioè di legarsi ad un signore 28, rivolta certo all’io lirico ma che, in ragione della natura stessa del genere-sirventese, di quella «base reale» di cui tali composizioni erano sempre impastate 29, e del loro radica-

di accordi e giuramenti: cfr . ad esempio quanto si legge nel testamento di Raimon Trencavel: «far segis et valenssa lialments de plag et de guerra» citato da H . déBax, Le conseil dans les cours seigneuriales du Languedoc et de la Catalogne (XIe-XIIe siècles), all’indirizzo http://halshs .archives-ouvertes .fr/halshs-00498212_v1/, p . 4, n . 13 .

27 cfr . déBax, L’aristocratie languedocienne et la société féodale cit ., p . 12 . 28 Per una analisi più approfondita si veda cfr . déBax, La Féodalité languedocien-

ne (XIe-XIIe siècles) cit., in particolare alle pp . 182 sgg .29 cfr . su questo le pagine metodologicamente illuminanti di S . asPerti, «Miei-

sirventes vueilh far dels reis amdos (BdT 80,25)», in «cultura neolatina», 58, (1999),

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mento nella effettività storica  30, non poté che riguardare diretta-mente il trovatore .

Questa spia testuale ci suggerisce di verificare se nel resto del componimento, nelle rimostranze dell’artista per il decadimento di Pretz, nelle sue proteste per il comportamento in tempo di pace dei ric home, e nella stessa lagnanza per la richiesta di recognitio, siano riscontrabili non soltanto ricordi poetici o astratti ragionamenti ide-ali quanto anche ulteriori concreti riferimenti alla vicenda umana dell’autore .

Un’attenta lettura di BdT 137,1 palesa, in effetti, che il componi-mento va ben oltre la sola riflessione etica e pare invece narrare una sorta di scontro feudo-vassallatico .

In questo senso non si deve sottovalutare il fatto che Pois Prez s’en fui faccia largo l’uso di lemmi di impronta cortese la cui origine affonda però nel linguaggio vassallatico: non solo plivenza, fianza ni amor, sono a pieno titolo locuzioni feudali, ma anche ers, vavassors, colledor, sagramen, ancessors riecheggiano manifestamente nelle scripta dei rogiti medievali 31 .

Un termine che appartiene inequivocabilmente al glossario tec-nico feudale è aboinador, un hàpax che è stato variamente interpe-tato dai filologi .

Il manoscritto a2 conserva la lezione ca ric home mal ni abon aidor nella quale Schultz-Gora e Björkman hanno individuato il lemma abonaidor, derivato dall’a . fr . aboner e da mettere in rela-zione a boina, borna cioè «borne, frontière»  32 . Il filologo svedese ha tradotto il verso «qu’envers les puissants mauvais et ceux qui fixent les bornes», che però non risolve i dubbi in quanto, anche

pp . 165-323; id ., Sul sirventese Qi qe s’esmai ni·s desconort di Bertran d’Alamanon e su altri testi lirici ispirati dalle guerre di Provenza, in Cantarem d’aquestz trobadors. Studi occitanici in onore di Giuseppe Tavani, a cura di L . Rossi, Alessandria 1995, pp . 169-234; id ., L’eredità lirica di Bertran de Born, in «cultura neolatina» 64 (2004), pp .  476-525 . Utili considerazioni si rinvengono anche in K .W . KLein, The Partisan Voice; a Study of the Political Lyric in France and Germany, 1180-1230, Mouton 1971; M . de riquer, Il significato politico del sirventese provenzale, in Concetto, storia, miti e immagini del Medioevo, Firenze 1973, pp . 287-310 .

30 cfr . al proposito quanto dice asPerti, «Miei-sirventes vueilh far cit ., p . 182: «è nella stessa ragion d’essere del sirventese d’attualità, d’argomento politico come di satira personale, l’allusione sfuggente agli avvenimenti cui è dedicato e che si suppo-ne ben noti al pubblico» .

31 Un opportuno richiamo ad evitare di sovrastimare il ruolo del lessico feudale nella poesia trobadorica è però in GiordanenGo, Le vassal est celui qui a un fief cit ., alle pp . 93-98 .

32 cfr . e . Levi, Petit dictionnaire provençal-français, Heidelberg 1973, s .v .

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accogliendo tale proposta, rimane assai complesso indicare con sicurezza a quali figure storiche corrispondano tali «fissatori di limiti territoriali»: si tratta di agrimensori? di esperti di diritto? di personaggi inviati a condurre un’inchiesta dominicale o degli attori di una rodalia 33? ovvero ancora di quei proshomes di cui ha discor-so Mireille Mousnier 34? Poter rispondere a tali domande ci sarebbe di prezioso aiuto per inquadrare la vicenda umana del trovatore, ma le recognitiones, dalle quali pur dipendeva una proprietà fondiaria, definivano la natura “giuridica” del bene e non la sua estensione o le sue caratteristiche morfologiche e ciò induce a lasciar cadere la proposta di Björkman .

Una differente congettura è stata avanzata dagli autori del doM, i quali hanno conservato la lezione del codice facendola discendere da un sostantivo maschile aidor «complice, suppôt», a sua volta da connettere al meglio attestato sostantivo aitori «aide, secours, soutien» . Il verso dovrebbe essere ricostruito così: c’a ric home mal ni a bon aidor 35, e andrebbe tradotto «ché ad un ricco signore o ad un (suo) valido aiutante» . Anche questo suggerimento, però, non convince appieno in quanto non si vede perché il poeta dovrebbe definire bon l’aiutante di colui contro il quale scaglia insulti e pesan-ti accuse .

A nostro avviso invece la soluzione va cercata altrove . Il latino medievale conosceva, infatti, il vocabolo ABonARe:

ABonARe, et Abonnare, Gall . Abonner, et Abourner, clientelaria jura vendere, redimere, aut etiam commutare, et abalienare . Item Abonare seu Abornare est servitium moderari et de eo convenire . […] . Vox conficta ex Bonna, terminus, limes; nam ut agri certis limitibus definiuntur, ita ejusmodi Abonnatorum præstationes suis finibus, limitibus, ac conditionibus constant, quas domini servare tenentur . Hinc passim in consuetudinibus nostris municipalibus hommes et serfs Abonnez, musniers Abonnez, taille Abonnée, loyaux aides, devoirs, roncins de services Abonnez, etc . charta

33 cfr . A . CataFau, Le vocabulaire du territoire dans les comtés catalans nord-pyrénéens (IXe-XIIe siècles) in Les territoires du médiéviste, a cura di B . cursente e M . Mousnier, Rennes 2006, pp . 129-149, alle pp . 146-147; B. Cursente, Autour de Lézat: emboîtements, cospatialités, territoires (milieu Xe - milieu XIIIe siècle), in Les territoires du médiéviste cit ., pp . 151-167, alle pp . 163-164 .

34 Vd . M . mousnier, Mesurer les terres au Moyen Âge: le cas de la France méridio-nale, in «Histoire et sociétés rurales», 22 (2004), pp . 29-64, alle pp . 39-40 .

35 cfr . W .d . stemPeL, Dictionnaire de l’occitan médiéval (DOM), Tübingen 1996, Fascicolo 1: A - AccePTAR, s . v . aidor, e la versione elettronica dello stesso all’indi-rizzo internet http://www .dom .badw-muenchen .de/fr/fasc005/kontxt .htm .

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ann . 1298  : Ipsum Hugonem et Benevenutam de Tiseio ejus uxo-rem Abonnamus, et liberos esse volumus . . . ab omni tallia, corveia, questa, et ab omni alio genere et onere servitutis, . . . pro 4 libris ceræ dicto Priori . . . in festo S . Remigii annis singulis persolvendis . Arestum anni 1310 : In modum qui sequitur extitit ordinatum . Videlicet quod homines Abonnati de S . desiderio et de aliis locis pertinentibus ad dictum dominum de S . desiderio, commorantes apud catalaunum, qui non sunt de tallia, nec de manu mortua, etc . charta Savarici Vicecomitis Thoarcensis ann . 1269 : cest establis-sement est entendu des rachats qui estoient à mercy  : car cil qui sont Aboni, demeurent en leur estat . charta Libertatis incolarum crevenni ann . 1280 . ex Archivo capituli Autissiodorensis  : Item tailliam quam habebamus super homi .

oppure con il significato di

clientelam profiteri, Gall . Rendre aveu, faire hommage  ; utique pro Advoare perperam scriptum videtur . Hominium præstitum a Bernardo comite convenarum Abbati Bonifontis an . 1313 . inter Instrumenta tom . 1 . novæ Galliæ christ . pag . 181  : Ipse dominus comes fuit et esse consuevit feudatarius et vassallus Monasterii prælibati, sui etiam antecessores esse consueverunt recognoscen-do, et Abonando dicto domino Abbati nomine quo supra castrum prædictum cum suis terris et territoriis, et pertinentibus domina-tionibus se habere et tenere ad feudum militare, etc . Vel Prædes professæ clientelæ ministrare, quo sensu Abonar dicunt Hispani  ; nihil ergo emendatione hic opus est 36 .

A questo predicato si collega il sostantivo abonnati:

abonnati dicuntur dominorum feudalium subditi, quorum præsta-tiones ex condicto, pacto, vel privilegio moderatæ aut ad certam ac definitam pecuniæ, aut alterius rei solutionem sunt limitatæ, ita ut talliis, ac ceteris servitiis non sint obnoxii; quemadmodum sunt homines de corpore, vel servi, quibus pro libito tallias ac onera domini imponunt 37 .

Altro lemma apparentato ai precedenti è «Abonagium et Abonnagium . Gall . Abonnage, et Abournage» con il quale si indicava

36 cfr . c . du Fresne du CanGe, Glossarium mediae et infimae latinitatis conditum, Lugduni 1688, t . 1, col . 27b, voce consultabile anche all’indirizzo http://ducange .enc .sorbonne .fr/ABonARe2 .

37 Ibid.

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la «feudalium jurium venditio, redemtio, abalienatio, aut commu-tatio» 38 .

nel recente Dictionnaire d’ancien occitan auvergnat di Philippe olivier si rinviene una voce abonar con valore di «déterminer, fixer le montant» e di abonat come «personne payant une redevance regulière», mentre il Mediae Aetatis Lexicon Minus di niermeyer per abonnare (< BodInA) suggerisce il significato di «fixer les redevan-ces dues à un seigneur» 39 .

Aboinador dunque parrebbe essere stato un deverbale da abonar modificato per mezzo del suffisso –ador, con il quale, come noto, si indicava «the agent of the action expressed by the verb-stem to which the suffixes are attached» 40 . Questo suggerimento ha ai nostri occhi l’indubbio merito di essere perfettamente congruente con il linguag-gio tecnico adottato dal poeta . chi furono dunque gli aboinadors? In Pois pretz s’en fui, l’attenzione dell’autore si concentra sul problema della proprietà terriera e della trasmissione dei beni, e Genim lancia pesanti accuse verso i rics malvatz che contestano ai legittimi eredi il diritto al possesso (Per lor enfanz son tornat colledor dei beni del prossimo [vv . 13-14]), e che sulla base di pretesti (vv . 20-21) si fanno infeudare ciò che appartiene legalmente ad altri . A costoro sono accostati anche gli aboinador i quali vanno dunque rintracciati entro il medesimo campo semantico; compulsando i riscontri addotti dal vocabolario medievale, il significato più adeguato pare essere quello di «coloro i quali hanno fatto compravendita di privilegi feudali»: il vocabolo rimanda ad una dimensione giuridica, essendo gli aboi-nadors coloro i quali hanno fatto un negotium dei propri diritti feu-dali, con il loro comportamento hanno disciolto quella solidarietà sociale che il verseggiatore invece invoca nei versi successivi, e che dunque si sono assogettati alle pretese altrui accettando di prestare omaggio . Il distico nel quale la forma hapastica è così inserita andrà tradotto: «di non cedere mai né fare accordi con quei ricchi malvagi i quali hanno fatto commercio dei loro diritti» .

Gli elementi testuali che compongono BdT 137,1 segnalano dun-que che Genim fu un feudatario, legato a un ric home da una pro-

38 Ibid.39 F. niermeyer - C. van de KieFt, Mediae Latinitatis lexicon minus, Leyden 1976,

s .v .; Ph. oLivier, Dictionnaire d’ancien occitan auvergnat: Mauriacois et Sanflorain (1340-1540), Berlin-new York 2009, s .v .

40 e .L . adams, Word-formation in Provençal, new York 1913, p . 37 .

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messa di auxilium et consilium e dalla concessione di un beneficium territoriale; in seguito costui avrebbe rivolta al lirico una richiesta di recognitio e di mutare il legame instaurato 41 .

Andiamo oltre . Alla luce di quanto abbiamo detto è lecito, infatti, chiedersi se anche il significato attribuito da Genim al termine guer-ra non sia meno scontato e generico di quanto non sembri a prima vista: nella coscienza linguistica degli occitani del XII-XIII secolo, il derivato di *WeRRA, poteva designare tanto l’azione militare di forze ben organizzate quanto la legittima violenza esercitata da singoli individui, famiglie, città o signori, e che noi oggi chiamiamo faida 42 . Questo significato ben si attaglierebbe alla disputa, presu-mibilmente non solo giuridico-verbale, che di norma seguiva alla richiesta di sottostare a una recognitionem . Alcuni indizi conferma-no, a nostro avviso, tale congettura .

La procedura giuridica in vigore tra cento e duecento, prevede-va che ad ogni mutamento nella titolarità del patrimonio, il benefi-cium venisse nuovamente infeudato  43: sovente era proprio questa l’occasione per lo scatenarsi di contese, contrasti e diatribe che sfociavano in vertenze nelle quali ovviamente il vassallo sosteneva che il feudo era nella propria libera disponibilità, mentre il signore rivendicava la anteriorità del dominio, e dunque il controllo sulla trasmissione dei beni . La preesistenza di un beneficio familiare non era perciò tanto l’oggetto quanto lo strumento della disputa: in ogni recognitio (e sovente anche nelle reprises en fief), era implicata

41 così ad esempio fu per la diatriba che nel 1193 vide coinvolto Ademaro di Poitiers a proposito di un feudum che «Ademarus asserebat a patre suo accepisse, epi-scopus vero dicebat quod pro ecclesia sua acceperat et juraverat alodium suum esse et a nemine possidere» (U . ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis, Grenoble 1868, p . 38 atto n . 15) . esemplare, per il nostro caso, appare la motivazione addotta nel placito dal conte di Valence .

42 Un esame del vocabolario della violenza e di ciò che storici e sociologi chia-mano “faida” si rinviene in S .d . White, Feuding and Peace Making in the Touraine around the year 1100, in «Traditio», 4 (1986), pp . 195-263, alle pp . 196-199, e n . 4 (poi ristampato nel volume id ., Feuding and Peace Making in Eleventh-Century France, Aldershot 2005 da cui si cita e nel quale lo storico di Atlanta ha raccolto una parte delle sue ricerche su questo tema) .

43 cfr . per esempio l’atto del 1254 citato in M .P . estienne, Les reseaux castraux et l’évolution de l’architecture castrale dans les baronnies de Mevouillon et de Montauban de la fin du Xe siècle à 1317, Thèse de doct ., Univ . de Marseille - Aix en Provence 1999, t . 1, p . 196 n . 785: «et facit recognitionem in mutatione domini seu vassali et quod in predictum mutatione dicti domini vel vassali dictus dominus Bertrandus et ejus heredes et sucessores baneriam suam et vexillum ponere possint in fortalitia» .

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la anteriorità di un possesso 44 . A questo punto è perciò indicativo quanto si evince dal sintagma fon de mon ancessor: di fronte ad una domanda di recognitio la disputa non poteva ovviamente che riguardare la precedenza di una o l’altra delle parti nel dominio sulle proprietà disputate e non è pertanto difficile discernere nella evocazione degli ancessors (gli antenati), il riflesso testuale di uno degli argomenti portati dalla controparte per sottrarre le proprietà a Genim, e nella contestazione elevata dal poeta contro la avidità dei ricchi signori, desiderosi di assicurare beni ai propri eredi (gli ers, i discendenti), il rimando poetico al mutamento generazionale che precedette la richiesta . Questi dati sembrano suggerire perciò che la controversia cui accenna l’autore sia insorta al momento del passag-gio dei poteri sul dominatus loci e, se anche non siamo in grado di precisare con certezza se questo cambio abbia riguardato la famiglia del concedente ovvero quella del concessionario Genim, a noi pare più probabile la prima ipotesi, se non altro perché l’allusione agli eredi sembrerebbe più logicamente dipendere dalla necessità per il lignaggio dei toparchi di riaffermare i propri diritti in un momento in cui la memoria di questi poteva andare dispersa .

Secondo la linea interpretativa qui adottata, Genim denuncian-do nei suoi versi i soprusi cui era sottoposto, avrebbe affermato il suo desiderio di mantenere i beni all’interno del proprio lignaggio e di evitare che il dominium (fondiario o bannale che fosse), tornasse tra le risorse del concedente; egli avrebbe così contestato l’esistenza di un legame feudale, cioè di una forma di detenzione mediata di un bene sul quale egli comunque esercitava già un diritto reale 45, uno jus in re aliena .

Sarebbe certo per noi assai interessante poter disporre di ulte-riori informazioni circa il tipo di beneficium 46 di cui il verseggiatore godeva, e comprendere se nel sirventese si discorra di una tenure aristocratica o servile, ma allo stato attuale delle nostre conoscen-

44 cfr . ad esempio i casi citati in G . GiordanenGo, Le droit féodal dans le pays du droit écrit, Roma 1988, pp . 87 e 119 .

45 Assumo qui la definizione di diritto reale in quanto diritto che ha per oggetto una res e che attribuisce al soggetto una potestà sulla cosa, sia esso diritto su cosa propria, su cosa altrui o un diritto reale di garanzia . Genim, insomma, poteva godere (e per noi appare difficile oggi definirlo con precisione) del diritto di proprietà, ovve-ro dell’uso, dell’enfiteusi, del pegno o dell’ipoteca .

46 Ricorro a questo termine per comodità, benché esso per il Medioevo abbia rappresentato, almeno in origine, una res ben diversa da quello che oggi designiamo come feudo (ma per le regioni del Sud-est francese cfr . GiordanenGo, Le droit féodal dans le pays du droit écrit cit ., pp . 7-12) .

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ze tale desiderio appare destinato a rimanere insoddisfatto, anche perché nel Midi occitano il termine stesso fevum, con i suoi derivati mediolatini e le sue traduzioni in volgare, designava sia la proprie-tà aristocratica sia quella paesana (il «fief roturier» dei giuristi 47): l’allusione al profitto che al trovatore proveniva da una tenuta par-ticolarmente remunerativa, ed il riferimento del v .  19 alle rendite assicurate dalle terre (cfr . vos diram, si·us sabon bon laor), parrebbe-ro però sottintendere che le provvidenze economiche derivavano a Genim in massima parte dai diritti sui prodotti agricoli, sulle tallias, le questas e le altre (numerose) imposte .

Si aggiunga che molteplici carte delfinati testimoniano dell’ampia diffusione nella regione, accanto ai feudi, di beni allodiali 48 .

Più complesso appare spostare il focus dell’analisi sulla natura del legame che si stabilì tra il poeta e il suo dòmino, ma anche su questo punto possiamo formulare qualche ipotesi: siamo consapevo-li di quanto delicato sia fondare un’argomentazione sul silenzio delle fonti, ma considerando la precisione terminologica con cui Genim evoca il contesto socio-giuridico nel quale era implicato, è credibile individuare nell’assenza di ogni indicazione relativa all’homagium una spia del fatto che il poeta fu compromesso in una commendatio simmetrica, nella quale cioè l’obbligazione era reciproca . Questo dato rivelerebbe la pari dignità (pur all’interno di una struttura sociale fortemente gerarchizzata) dei contraenti il negotium, e ci direbbe che il verseggiatore fu vincolato solo da promessa di prote-zione e aiuto: se così fosse l’artista non era cioè tenuto a fornire un servitium in cambio dei diritti su un bene allodiero o su un feudo, bensì era assoggettato ad un’intesa di natura personale . L’insieme degli elementi suggerirebbe in tal caso che il verseggiatore benefi-ciasse di un feudo francum, cioè libero da vincoli, che per questo motivo egli non si ritenesse sottoposto a coercizioni contrattuali, e che si considerasse, inoltre, affrancato dalla imposizione militare, solutum dunque dalla necessità di fornire assistenza al signore e di restituirgli il bene in occasione di uno scontro armato . conferma di ciò si ha laddove Genim stesso, dichiarando che in caso di guerra il

47 H . riChardot, Le fief roturier à Toulouse aux XIe et XIIIe siècles, in «Revue historique de droit français et étranger», s . 4, 14 (1935), pp . 307-359, 495-569 .

48 cfr . ad esempio la charte ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., pp . 35-36 (testi di questo documento furono anche Gentio d’Urre e oisels d’Urre sui quali cfr . ultra); ibid., pp . 38-41 .

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signore non poteva pretendere nulla da lui (cfr . i vv . 15-16 Ades mi plaz de guerra qan comenza,/ qe·il ric home en son truep plus cortes), esclude di essere obbligato a coartazioni dipendenti da patti giuridi-ci, così convalidando che la sua era appunto una di quelle proprietà per le quali al limite era previsto il solo dovere di inalberare la ban-diera del feudatario sulla torre una volta all’anno o in determinate occasioni senza altri impegni quali alberga o tallias .

L’origine del feudum francum è stata al centro di rilevanti discus-sioni tra gli storici e gli studiosi del diritto medievale 49, ma grazie alle indagini di Henri Vidal e Gérard Giordanengo sappiamo ora che tale figura giuridica fu utilizzata dalle grandi famiglie del Sud est occitano per stringere la propria rete di alleanze: essa si diffuse nelle aree in cui il feudo fu a lungo nient’altro che un diritto reale, privo di altre imposizioni o servizi che non fossero quelli milita-ri  50 . Talora confuso con l’allodio, l’Ehrenlehn fu poco corrente in Provenza mentre nel delfinato esso fece le sue prime apparizioni intorno al 1220 51 per poi avere una rapida diffusione; l’obbligo di assistenza fu sovente commutato nel versamento di somme di dena-ro in favore del superiore .

Appare a questo punto piuttosto improbabile che l’evocazione della guerra come momento felice della vita sociale sia unicamente il tributo del sirventese alla tradizione letteraria o alla ideologia ari-stocratica; essa è, invece, più credibilmente da mettere in relazione con quanto affermato da Genim nell’ultima parte del suo componi-mento, vale a dire l’urgenza che i valvassors si unissero contro i «ric home mal», cioè i malvagi potenti (o anche i «baroni») e «aboina-dor», e che questa condizione era necessaria affinché essi potessero mantenere il libero possesso dei propri beni:

[…] qe ja l’um de l’autre no.s partes,/ […] que fessen sagramen e plivenza/[…]/ c’a ric home mal ni abonaidor/ non aguessen fianza ni amor .

49 Un’ottima, per quanto datata, messa a punto in H . riChardot, Francs-fiefs: essai sur l’exemption totale ou partielle des services de fief, in «Revue historique de droit français et étranger», 27 (1949), pp . 28-63, 229-273 .

50 H . vidaL, Le feudum honoratum dans les cartulaires d’Agde et de Béziers, in Hommage a André Dupon. Études médiévales languédociennes, Montpellier 1974, pp . 291-299; GiordanenGo, Le droit féodal dans le pays du droit écrit cit ., pp . 112-122 .

51 Ibid., p . 115 .

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Tali versi non sono di agevole interpretazione, ma la realtà storica medievale esclude quel che ai moderni parrebbe invece evi-dente, e cioè che nel distico 26-27 sia da ravvisare un riflesso del desiderio di Genim di mantenersi libero e indipendente, aspirazione incomprensibile per l’uomo medievale che si concepiva invece come naturalmente inserito in una rete sociale, in una comunitas, nella comunalha di cui discorrono, forse non a caso, anche Marcabru e Bertran de Born . certo, nei secoli centrali del Medioevo non manca-rono i casi di rivolte di milites minores 52, e basti per questo pensare alle esplosioni di violenza che si registrarono in Italia nel 1035 e nel 1040 e in Guascogna alcuni decenni più tardi 53, ma in nessun modo la situazione evocata dal verseggiatore è assimilabile ai moti che obbligarono l’imperatore corrado II ad emanare il famoso Edictus de beneficiis; e se assai più diffuse furono le rivolte rurali o cittadi-ne  54, la loro natura ne fece fenomeni dal profilo storico e sociale altro rispetto a quello tracciabile attraverso gli stichi di Genim . nelle cronache delfinali non vi è segno, inoltre, di rivolgimenti sociali assimilabili a un conflitto fiscale tra valvassori e signori feudali come quello disegnato in Pois Pretz s’en fui . A cosa alluse dunque Genim quando auspicò che valvassor fossen de ma parvensa/ si qe ia l’um de l’autre no·s partes?

Un aiuto per sciogliere tale enigma ci viene dal ripensamento che la storiografia, sotto l’impulso della antropologia giuridica, ha

52 cioè di quei valvassor di cui l’artista parla a v . 22 .53 cfr . P. BranCoLi BusdraGhi, La formazione storica del feudo lombardo come

diritto reale, 2a ed ., Spoleto (1999), pp .  75-76 n . 110 . Ma si vedano anche i casi evocati in x. ravier, Une révolte dans les Pyrénées gasconnes: les chartes des otages de Barèges dans le Cartulaire de Bigorre, in «Lavedan et Pays toy, Société d’études des sept vallées», 38 (2007), pp .  49-58, e H . CouderC-Barraud, Résistances anti-seigneuriales en Gascogne: pactes et affrontements (XIIe-début du XIIIe siècle), in Les luttes anti-seigneuriales dans l’Europe médiévale et moderne; Actes des XXIXes Journées Internationales d’Histoire de l’Abbaye de Flaran 5 et 6 octobre 2007, a cura di G . Brunel, S . Brunet, Toulouse 2009, pp . 111-122, la quale evidenzia peraltro la scarsità di rivolte anti-nobiliari di cui ci è rimasta memoria (p . 114) . diverso il caso delle ribellioni urbane in Provenza analizzate da F . mazeL, L’anticléricalisme aristo-cratique en Provence (fin XIe-début XIVe siècle), in «cahiers de Fanjeaux», 38 (2003), pp . 201-238, ovvero la vicenda evocata da L . verdon, Contester les droits seigneuriaux en justice. L’exemple de la région arlésienne entre XIIe et XIIIe siècles, in Les luttes anti-seigneuriales dans l’Europe médiévale et moderne cit ., pp . 123-136 .

54 Quanto alle prime è inutile anche solo accennare qui alla sterminata biblio-grafia che su di esse si è nel tempo accumulata, mentre per le seconde cfr . B . GaLLand, Deux archevechés entre la France et l’Empire. Les archeveques de Lyon et les archeveques de Vienne du milieu du XIIe siècle au milieu du XIVe siècle, Roma 1994, pp . 178 sgg .

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19aLLa riCerCa deLLa storia neLLa Poesia troBadoriCa

compiuto negli ultimi anni sul ruolo e il significato della violenza nel Medioevo  55: gli approfondimenti ed i risultati cui queste ricerche sono approdate ci hanno consentito di intravedere nell’età di Mezzo non più i lineamenti di una società preda di una violenza disordina-ta e generalizzata, ove la legge della forza stabiliva diritto e giustizia, bensì quelli di una collettività che aveva generato al suo interno raf-finati strumenti giuridici di pacificazione e di equità 56 . come hanno mostrato tra gli altri studiosi del calibro di Stephen White, Patrick Geary o dominique Barthélemy 57, la aggressività era anzitutto un ingranaggio del normale funzionamento di una società «imprégnée d’une culture du pacte» 58 . La guerra, ben lungi dall’essere meramen-te lo strumento con cui proseguiva la lotta politica, rappresentava invece una tappa fondamentale di un complesso rituale aristocratico che aveva il compito di ricondurre i conflitti verso un’intesa la più possibile giusta e attenta a suum cuique tribuere 59, secondo quella visione che faceva discendere la pace da una ben ordinata ed equili-brata disposizione delle cose 60 .

55 cfr . d . BarthéLemy, La théorie féodale à l’épreuve de l’anthropologie (note criti-que), in «Annales . Histoire, Sciences Sociales», 52 (1997), pp . 321-341; J . BerLioz - J . Le GoFF - A . Guerreau-jaLaBert, Anthropologie et histoire, in Actes des congrès de la Société des historiens médiévistes de l’enseignement supérieur public. 20e congrès, Paris 1989, pp . 269-304 .

56 Sulla nozione di equità, oggetto di continue e profonde riflessioni lungo i secoli dell’età di Mezzo, cfr . almeno P . Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari 1995, alle pp . 175-182 .

57 S .d . White, «Pactum … legem vincit et Amor judicium». The Settlement of disputes by compromise in Eleventh-Century Western France, in «The American Journal of Legal History», 22 (1978), pp . 281-308; id., Feuding and Peace Making in the Touraine around the year 1100 cit ., passim; id., Feuding and Peace Making in Eleventh-Century France, passim cit .; d . BarthéLemy, La société dans le comté de Vendôme, de l’an mil au XIVe siècle, Paris 1993, pp .  625-681; B . LemesLe, La raison des moines. Règlement en justice des conflits ruraux dans le Haut-Maine au XIe siècle, in «etudes Rurales», 149-150 (1999), pp .  15-38 . Più in generale si legga su questo argomento P .J . Geary, Vivre en conflit dans une France sans État: typologie des mécanismes de règlement des conflits (1050-1200), in «Annales . Économies, Sociétés, civilisations», 41 (1986), pp . 1107-1133, mentre in ambito occitanico si vedano le suggestive analisi di déBax, La Féodalité languedocienne (XIe-XIIe siècles) cit ., pp . 233-267 .

58 d . BarthéLemy, La vengeance, le jugement et le compromis, in Le Règlement des conflits au Moyen Âge, Actes du XXXIe Congrès de la SHMES (Angers, juin 2000), Paris 2001, pp . 11-20, a p . 12 .

59 F . Cheyette, Suum cuique tribuere, in «French Historical Studies», 6 (1970), pp . 287-299 .

60 o per usare parole ben note ai medievali «Pax civitatis: ordinata imperandi atque obediendi concordia civium … Pax omnium rerum, tranquilitas ordinis . ordo est parium dispariumque rerum sua cuique loca tribuens dispositio» (B . domBart

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due furono i mezzi messi in campo per addivenire a questo risul-tato, ed entrambi furono assai diffusi nel delfinato, regione, non lo si dimentichi, nella quale abbiamo ipoteticamente situato l’origine di Genim . Il primo fu lo strumento dell’arbitrato, il quale presuppo-neva l’esistenza di una procedura codificata, poiché puntava a rag-giungere un compromesso attraverso l’identificazione di un arbitro, del quale le parti si impegnavano a rispettare le decisioni, fornendo al riguardo anche adeguate garanzie (giuramenti, ostaggi, pegni, o anche la malleveria di un signore)  61 . Alternativa all’arbitraggio fu la mediazione, per la quale non erano previste procedure né regole predefinite, e che ci appare come una composizione amabile o ami-chevole, sovente definita come «amor» nelle carte 62, meno formale dell’arbitrato e nella quale i conciliatori dovevano trovare una solu-zione secondo equanimità e buon senso 63 . Il compito di costoro era anzitutto un appianamento del conflitto: tant’è che più che l’appli-cazione di norme giudiriche precise, obiettivo di tali collegi arbitrali era di avvicinare i contendenti fino a comporre il dissidio, rinsaldare i rapporti sociali e consolidare il tessuto connettivo della comunità nella quale convivevano i protagonisti della disputa 64 .

-A . KaLB, S. AGOSTINO, De civitate Dei, Leipzig 1981, 19 .13 .1; su questo passo cfr . e . GiLson, Introduction a l’étude de Saint Augustin, Paris 1948, p . 228 n . 2, e le anno-tazioni di d . Burt, Friendship & Society. An Introduction to Augustine’s Practical Philosophy, Grand Rapids 1999, p . 133 n . 26) . Le riflessioni di S . Tommaso d’Aquino favoriranno il venir meno dell’aspirazione ad una societas fondata sulla volontà e sul patto, in favore invece del diritto .

61 H . janeau, L’arbitrage en Dauphiné au Moyen Age, contribution à l’histoire des institutions de paix, in «Revue historique de droit français et étranger», 24 (1947), pp .  229-271; G . GiordanenGo, Consultations juridiques de la région dauphinoise (XIIIe-XIVe siècles), in «Bibliothèque de l’ecole des chartes», 129 (1971), pp . 49-81, a p . 54, n . 1 .

62 White, «Pactum ... legem vincit et Amor judicium» cit ., passim; H . LeGros, Le vocabulaire de l’amitié, son évolution sémantique au cours du XIIe siècle, in «cahiers de civilisation Médiévale», 23 (1980), pp . 131-139; W . Cotton, Par amur et par feid: Keeping Faith and the Varieties of Feudalism in La Chanson de Roland in The Rusted hauberk: feudal ideals of order and their decline, Gainesville 1994, pp .  163-200, alle pp .  165-166; déBax, La Féodalité languedocienne (XIe-XIIe siècles) cit ., p . 126 e n . 152; K . van eiCKeLs, Kuss und Kinngriff, Umarmung und verschränkte Hände. Zeichen personaler Bindung und ihre Funktion in der symbolischen Kommunikation in Geschichtswissenschaft und performative Turn: Ritual, Inszenierung und Performanz vom Mittelalter bis zur Neuzeit, Koln 2003, pp . 133-159, a p . 136 .

63 n . oFFenstadt, Interaction et régulation des conflits. Les gestes de l’arbitrage et de la conciliation au Moyen Âge (XIIIe-XVe siècles), in Les rites de la justice. Gestes et rituels judiciaires au Moyen-Âge occidental, a cura di c . Gauvard e R . Jacob, Paris 2000, pp . 201-228, alle pp . 202, 203, 205 .

64 Cheyette, Suum cuique tribuere cit ., pp . 291-293; White, «Pactum ... legem

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La legittimità di questi processi non riposava tanto su norme consuetudinarie o su leggi scritte quanto sulla volontà delle parti che, aderendo alla procedura, si vincolavano contrattualmente .

L’esercizio della giustizia era così governato da una liturgia imperniata sull’alternanza tra momenti di conflitto e altri nei quali – grazie soprattutto alla mediazione di amici e parenti – si tentava la ricomposizione tra le parti, prima di procedere a una intesa finale . Sia nel caso che si optasse per la procedura giudiziaria sia che si preferisse la mediazione extra-giudiziaria 65, passaggio decisivo era la scelta degli arbitri o dei conciliatori . Parentele, vicini, vassalli ma anche domini, erano, infatti, inevitabilmente implicati nella querela: così come il cerchio del conflitto si allargava ben oltre i contendenti, includendo l’intera collettività ed agendo come un potente magne-te sociale, anche i metodi pacificatori imponevano che giudici e pacieri fossero scelti dalle parti tra amici e consiglieri . Le dispute erano pertanto anche l’occasione con la quale si precisavano e si esibivano i rapporti di forza entro un gruppo sociale, si rimettevano in questione gerarchie consolidate, si scuotevano alleanze storiche e si rinsaldavano (o si rompevano, o si mutavano) legami vassallatici: sovente l’intera comunità doveva ridefinirsi in funzione della risul-tanza del conflitto . È per questo motivo che le intese feudali non rispecchiarono tanto l’esistenza di diritti perenni, quanto soprattut-to le condizioni di potere presenti in quel dato momento storico e in quella certa regione 66 .

La stessa relazione feudale non era un legame immutabile quanto piuttosto uno status legato al perdurare di alcune condizioni (il vin-colo vassallatico, la promessa di consilium et adjutorium, ecc .) . La vassallità poi, in quanto nesso personale, era istituita solo a partire dal momento in cui era stabilito il rapporto che la costituiva con i diritti e doveri che ne scaturivano: essa non fu una condizione sociale assoluta ma sempre relativa ad un bene o ad un diritto .

vincit et Amor judicium» cit ., p . 308; S . WeinBerGer, Les conflits entre clercs et laics dans la Provence du XIe siècle, in «Annales du Midi», 92 (1980), pp .  269-277; id ., Cours judiciaires, justice et responsabilité sociale dans la Provence médiévale, in «Revue Historique», 267 (1982), pp . 273-288 .

65 cfr . su questo argomento le considerazioni di verdon, Contester les droits seigneuriaux en justice cit ., pp . 124-126; S . BaLossino, Justice ecclésiatiques et justices laïques dans les communes de la basse vallée du Rhône (XIIe-milieu XIIIe siècles), in «cahiers de Fanjeaux», 42, (2007), pp . 47-82 invita alla cautela nel sostenere la pre-ponderanza dell’arbitrato su altre forme di giudizio .

66 Un esempio di ciò si ha nell’atto edito in c . deviC et J . vaissete, Histoire générale du Languedoc, Paris 1730, t . 8, c . 1383 .

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È ormai convinzione diffusa tra gli studiosi che il feudo, inteso come vincolo sinallagmatico tra due persone, di cui l’una promette-va fedeltà e l’altra ricompensava tale omaggio con un beneficio, sia entrato lentamente nelle regioni in lingua d’oc, sovente mescolan-dosi con altre forme di regolazione della vita sociale (desunte que-ste dal diritto romano o dalle consuetudini locali) 67 . Le indagini condotte attorno alle forme che il fevum assunse nei differenti terri-tori portano a sfumare la visione compatta, monolitica, piramidale, che si aveva di tale istituto il quale invece ai nostri occhi sempre più si rivela, almeno in occitania, un agile strumento di regolazio-ne dei rapporti di potere, un dispositivo tanto duttile e flessibile da assumere di volta in volta forme sempre nuove e meglio adeguate alle necessità del momento e del luogo nel quale esso era adottato . Perfino all’interno di margini e frontiere regionali o nazionali 68 il feudo si plasmò secondo fisionomie diverse quando non sorpren-dentemente contrastanti  69 .

67 Su tale argomento la bibliografia è immensa . Per quanto attiene il tema che ci occupa, si rinvia al volume collettivo Fiefs et féodalité dans l’Europe méridionale (Italie, France du Midi, Péninsule Ibérique): du Xe au XIIIe siècle, colloque International orga-nisé par le centre européen d’Art et civilisation médiévale de conques et l’Université de Toulouse - le - Mirail (conques, 6-8 juillet 1998), Toulouse 2002, nel quale trovano espressione le diverse convinzioni degli studiosi circa la natura e la diffusione del feudalesimo in occitania, oltre che essere sottolineate le differenze tra i diversi «feu-dalesimi regionali» presenti nel Sud della Francia .

68 cfr . J .F . LemariGnier, Recherches sur l’hommage en Marche et les frontières féodales, Lille 1945, pp . 23, 70 sgg ., 177 sgg .; P . PeyveL, Structures féodales et fron-tières médiévales: l’exemple de la zone de contact entre Forez et Bourbonnais aux XIIIe et XIVe siècle, in «Le Moyen Âge», 92 (1986), pp . 51-83 ; P . Grossi, Un diritto senza Stato. La nozione di autonomia come fondamento della costituzione giuridica medieva-le, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 25 (1996), pp . 267-284 .

69 Sulla concezione assai fluida che il Medioevo ebbe della nozione di confine si vedano i contributi raccolti nel volume 15 (2002) della rivista Siècles monografi-camente dedicato al tema Marges et marches médiévales, in particolare M .  saudan, L’Auvergne médiévale en cartes: entre Orient et Occident, entre nord et sud, (pp . 7-12); J .L . Fray, Auvergne, Velay et royaume d’Arles: éléments pour une révision de la géogra-phie relationnelle auvergnate au Moyen Âge, (pp . 75-87); J . teyssot, La frontière occi-dentale de l’Auvergne du XIIe au XVe siècle, (pp . 89-96); utili sono anche B . Guenée, Espace et État en France au Bas-Moyen Age, in «Annales . Histoire, Sciences Sociales», 23 (1968), pp . 744-758; id ., Les limites de la France, in La France et les Français, a cura di M . François, Paris 1972, pp . 50-69 (poi riedito in id ., Politique et histoire au Moyen-Age. Recueil d’articles sur l’histoire politique et l’historiographie médiévale 1956-1981, Paris 1981, pp . 73-92) . Più in generale cfr . G . duPont-Ferrier, L’incertitude des limites territoriales en France du XIIIe siècle au XVIe, in «comptes-rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres», 1942, pp . 62-77; B . GuiLLemain, De la dynamique des systèmes aux frontières linéaires, in Confini e Regioni. Il potenziale di sviluppo e di pace delle periferie, Atti del convegno «Problemi e prospettive delle regioni di frontiera»

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Anche quando, a partire dalla metà del XII  secolo, accanto ai compromessi si fece strada una magistratura “laica”, e jurisperiti e causidici introdussero procedure e tecniche derivate dal diritto romano, quali più approfondite indagini conoscitive, audizioni di più numerosi testimoni, una maggiore precisione nel vocabolario, un più intenso ricorso alla manualistica corrente 70, il ruolo svolto dai meccanismi della giustizia più tradizionali, come appunto le transazioni e le strutture sociali e morali che esse presupponeva-no  71, rimase comunque considerevole .

Tenendo presente quanto fin qui detto, è agevole individuare negli amores, pacta e placita evocati nel sirventese di Genim altret-tanti riferimenti alle intese pacificatorie, cenni espliciti ad una procedura extragiudiziaria (o come si dice con un neologismo, infragiudiziaria 72): gli appelli affinché sagramen e plivenza trovasse-ro spazio tra i valvassor, e perché, di contro, costoro rifiutassero di fare fianza ni amor con i ric home mal ni abonaidor (vv . 26-27), e che l’um de l’autre no.s partes (v . 23) risultano perfettamente congruenti con le procedure formali e i contesti sociali propri delle mediazioni

(Trieste, 23-27/3/1972), Trieste 1973, pp .  259-264; F .  Benvenuti, Evoluzione storica del concetto di confine, in Confini e Regioni cit ., pp . 15-20 a p . 16; P . GuiChonnet - c . raFFestin, Géographie des frontières, Paris 1974, a p . 18 .

70 cfr . G . duBy, Recherches sur l’évolution des institutions judiciaires pendant le Xe et le XIe siècle dans le Sud de la Bourgogne, in «Le Moyen Age», 52 (1946), pp . 149-195; 53 (1947), pp . 15-38 .

71 Per il ricorso ad una procedura derivata dalla Summa Trecensis di Gerardo Provenzale, cfr . A . Gouron, Dilectus Henricus, archevêque d’Aix et juriste, in «Provence Historique», 34 (1984), pp . 97-101, ma si veda anche Th . PéCout, Seigneurie épisco-pale, aristocratie laïque et structures féodo-vassaliques en Provence au XIIe siècle, in «Rives méditerranéennes», 7 (2001), all’indirizzo http://rives .revues .org/58 .

72 nozione che si impose tra gli storici a partire dal convegno L’infrajudiciaire du Moyen Age à l’époque contemporaine: actes du colloque de Dijon, 5-6 octobre 1995, a cura di B. Garnot, dijon 1996 ma che non ha mancato di suscitare discussioni e contrasti tra i giusperiti (cfr . ad esempio in S . daChy - S . demars-sion - A . dePerChin et T . Le marC’hadour, La résolution des conflits. Justice publique et justice privée, une frontière mouvante: rapport de recherche, Lille 2008, i contributi di J . cl . FarChy, Justice privee et justice publique. Approches de l’historiographie (France, XVIIIe-XXe siecles), pp . 23-33, alle pp . 24 e 29; R . eCKert, La transaction devant la chambre cri-minelle du Parlement de Paris au début du XVe siècle: l’exemple de l’affaire Broquel, pp .  55-63, a p . 56 n . 6; e .  WenzeL, Une autre justice? Les voies «alternatives» dans l’ancienne procédure criminelle, pp .  74-78, a p . 75 n . 6 oltre a L . de CarBonnières, Conclusions, pp . 112-114 . Si vedano inoltre numerose tra le ricerche raccolte negli atti congressuali Résolution des conflits: jalons pour une anthropologie historique du droit, a cura di J . hoareau-dodinau - P . texier, Limoges 2003; nonché gli atti già citati della assise scientifica Le Règlement des conflits au Moyen Âge, Actes du XXXIe Congrès de la SHMES cit .

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e degli arbitraggi . nella ideologia di Genim solo nel momento in cui l’equilibrio fosse stato ristabilito in tutte le sue forme, solo allorché l’ordine fosse stato ripristinato, Pretz e Vergoigna avrebbero riavuto il loro posto e ogni cosa sarebbe tornata nella propria sede naturale: o per usare parole di Sant’Agostino «ubi nulla est contradictio, ubi nihil resistit, nihil adversum est» 73 si sarebbe registrato il ritorno della concordia e della pace 74, e dunque ciò si sarebbe verificato solo con l’intesa tra i valvassor che formavano la rete sociale che attor-niava l’artista . La ricomposizione affidata a una giuria di pares scelti dai contendenti, rende ragione della invocazione di Genim all’unio-ne dei valvassor: l’artista non mirava alla azione politica unisona di una determinata classe sociale (attribuendo a questo termine il valore che gli assegnano la storiografia otto-novecentesca, gli studi di impronta marxista o la sociologia), ma assai più credibilmente nei suoi versi sollecitò l’intervento dei suoi pari nella procedura giudiziale che avrebbe fatto seguito al suo rifiuto di adempiere alla recognitio, caldeggiando perciò il sostegno della sua comunitas, chiedendo l’intervento dei suoi uguali, di coloro che come lui erano interessati a respingere la richiesta di sottomissione o di vincolare in feudo un bene . La loro mediazione avrebbe consentito al verseg-giatore di prevalere sui rics malvatz, facendo primeggiare il diritto del quale l’artista si sentiva portatore .

Proviamo a questo punto a trarre un bilancio di quanto il sir-ventese ci insegna su Genim . egli fu coinvolto in una contesa giu-ridica, fu un possidente che appartenne a una famiglia in grado di sostenere uno scontro con altri lignaggi dotati di forza (economica e presumibilmente anche sociale) non indifferente, poteva intervenire in scontri armati (cfr . i vv . 15-17 Ades mi plaz de guerra qan comen-za,/ qe·il ric home en son truep plus cortes:/ ja cant an patz, dous respos no ‘n aures), i beni di cui disponeva gli consentivano di fare fronte a importanti spese, e infine la contrastata sussistenza di una relazione di dipendenza fece avanzare contro di lui una richiesta di recognitio  75 .

73 s. aGostino, Enarrationes in Psalmos, a cura di e . dekkers, I . Fraipont, Turnhout 1954, c . LXXXIV, 10 .

74 Su questo argomento si vedano ora le innovative considerazioni di L . verdon, La paix du prince. Droit savant et pratiques féodales dans la construction de l’État en Provence (1250-1309), in «Revue historique», 654-2 (2010), pp .  291-300, a p . 291, e ead., Violence, norme et régulation sociale au Moyen Âge, in «Rives méditerranéennes», 40 (2011), all’indirizzo http://rives .revues .org/4060 (consultato il 2 gennaio 2012) .

75 cfr . GiordanenGo, Le vassal est celui qui a un fief cit ., pp . 113-114 .

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Pois Pres s’en fui, ci offre dunque il ritratto di un trovatore inse-rito in una rete di alleanze, proprietario di beni che gli garantivano benefici e ricchezze e che egli considerava liberi da vincoli feudali troppo stringenti, cui fu richiesto di entrare in una rete vassallatica, e che viveva in una regione nella quale le relazioni tra soggetti diver-si erano regolate attraverso forme giuridiche articolate, come era specifico del delfinato, terra nella quale gli storici hanno da tempo individuato la pervasiva presenza di beni allodiali intrecciati però in un ragguardevole ordito con diritti e poteri signorili 76 . I dati evinti dalla lirica ne rimarcano inoltre l’intelaiatura storica e propongono piste di ricerca sugli usi, le disposizioni, le consuetudini che erano propri del contesto sociale e giuridico in cui il verseggiatore era immerso: è, infatti, ragionevole ritenere che al pubblico cui si rivol-se fossero ben note procedure feudali come il legame vassallatico, le recognitiones, il feudo come contratto che regolava i rapporti tra le persone e le cose, gli iter arbitrali, la giustizia affidata alle corti di pares . L’insieme di queste condizioni, pur proprio di numerose regioni del Sud della Francia, consuona con quanto è arguibile dal nome del trovatore, vale a dire che egli fosse originario del valentinois, una plaga nella quale nel XII e XIII secolo dominava pienamente questo tipo di feudalità (al contrario ad esempio della sottostante Provenza che sviluppò condizioni politiche, giuridiche e sociali in buona parte differenti)  77 .

Questi argomenti da soli non sono dirimenti per l’identificazione del nostro trovatore, giacché la territorialità delle organizzazioni politiche medievali fu percorsa da una trama assai articolata di confini interni, ognuno dei quali si organizzò intorno alla nozione di privilegium cioè di una pluralità di ordinamenti giuridici: com-plessi normativi differenti si dispiegarono sui corpi sociali, sulle cose, sulle persone, sui territori e ne disciplinarono l’esistenza attraverso una moltiplicazione delle istanze di decisione . I confini, i limina, non possedevano sempre una precisa proiezione territoria-

76 M . de Pisançon, L’allodialité dans la Drôme de 1000 a 1400, Valence 1874, passim; GiordanenGo, Le droit féodal dans le pays du droit écrit o . c ., passim; id ., La littérature juridique féodale in Le vassal, le fief et l’écrit. Pratiques d’écriture et enjeux documentaires dans le champ de la féodalité (XIe-XVe s.). Actes de la journée d’étude (Louvain-la-neuve, 15 Avril 2005), a cura di J .-F . nieus, Turnhout 2008, pp . 11-34, spec . a p . 21, ha dimostrato che diritto feudale e diritto romano non erano percepiti come realtà opposte e contrastanti dai giuristi medievali, i quali anzi sovente all’in-terno di un medesimo atto ricorrevano ad una pluralità di fonti giurisprudenziali .

77 cfr . id., Le droit féodal dans le pays du droit écrit cit ., p . 109 .

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le, diremmo geografica, ma si può piuttosto parlare di frontiere tra ordinamenti normativi, di una netta differenza tra una entità poli-tica che in quanto tale era chiaramente circoscritta nei suoi limiti e il territorio del vivere quotidiano, cangiante e impreciso nelle sue dimensioni giuridiche e dunque sociali  78 .

Precisati alcuni fondamenti circa l’autore di BdT 137,1, al suo riguardo restano però ancora irrisolti altri quesiti: chi e quanti furono i valvassores coinvolti nella richiesta di riconoscimento? dove vivevano e in che epoca? chi erano coloro i quali pretesero di imporre il loro dominio sulle loro terre? Sulla base di quali diritti essi agirono? A quale gruppo sociale il poeta alluse quanto parlò di valvassors? Quali realtà giuridiche aveva davanti a sé nell’evocare la recognitio feudorum e il legame feudale? Quali furono i diritti che poté contrattare con il suo dominus? Quali i doveri cui era eventualmente sottoposto? chi furono, storicamente, i ric malvat aboinador che accettarono di sottomettersi a tale vincolo vassalla-tico?

Per rispondere a queste domande conviene muovere alla ricerca di più precise tracce documentarie del verseggiatore, indagine cui a questo punto ci si può apprestare con una salmeria meno sgombra di quanto ci si poteva attendere ad una prima corsiva lettura del componimento di Genim .

I trovatori minimi o minori rappresentano sovente una miniera di informazioni: ciò dovrebbe convincere gli specialisti a non per-correre scorciatoie, a non rinunciare alla ricerca di testimonianze che facciano luce sui troppi angoli bui che ancora ci impediscono di comporre un panorama completo sulla prima schola poetica europea in lingua volgare . Simili inchieste sono certo malagevoli e sovente noiose, ma le difficoltà non possono legittimare l’abiura al dovere ineludibile di scavare tra archivi, polverose carte e vecchie riviste alla ricerca di indizi che illustrino la rete di rapporti che consentì ai trovatori di sviluppare la loro arte 79 .

78 cfr . su ciò, ad esempio, F . hauteFeuiLLe, Espace juridique, espace réel: l’exem-ple de la châtellenie de Castelnau-Montratier (Lot) aux XIII e et XIV e siècles, in Habitats et territoires du sud, 126e congrès national des sociétés historiques et scientifiques (Toulouse 2001), a cura di B . cursente, Paris 2005, pp . 179-200 .

79 Posizione questa assunta invece, ad esempio, da F . Benozzo, Cartografie occitaniche. Approssimazione alla poesia dei trovatori, napoli 2008 in un saggio che nel momento stesso in cui fonda la sua provocatoria analisi su fascinose teorie cul-turali, prescinde proprio da quelle “tracce” della storia che l’autore afferma di andar cercando (per un giudizio più complessivo, ma egualmente critico, sul volume dello

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27aLLa riCerCa deLLa storia neLLa Poesia troBadoriCa

identiFiCazione deL trovatore

Sul conto di Genim a oggi, come già detto, i ricercatori si sono limitati a comunicare quanto desumibile dalla sola fonte reperita, vale a dire il suo stesso nome: egli sarebbe perciò stato un proprie-tario terriero, o un cavaliere, o forse un piccolo nobile originario del Valentinese e le sue proprietà si sarebbero estese su eurre, nella drôme, cantone di crest, nei pressi di die    80 . conferma di questo parrebbe giungere dalla constatazione che in quel piccolo villaggio era presente un lignaggio aristocratico, un esponente del quale nel 1266 concesse una carta di libertà agli abitanti: segno evidente che in quel momento la famiglia disponeva dei diritti sul pagus  81 .

La notizia più antica relativa a eurre risale al 928 allorché abbiamo testimonianza che lì era sito un priorato cluniacense e che in suo favore fu effettuata la donazione di un mulino  82; nei secoli succes-sivi sulla regione si allungarono le ombre delle signorie dei delfini, dei conti di Valence e degli Ademar, lignaggi in diversi modi legati al mondo trobadorico .

eppure i filologi provenzalisti avrebbero potuto desumere scarni (ma preziosi) ragguagli già dalla compulsazione del repertorio gene-alogico compilato da Pithon-curt, storico settecentesco della nobiltà

studioso bolognese cfr . ora P .G . BeLtrami, Lirons-nous encore les troubadours et com-ment?, in L’Occitanie invitée de l’Euregio. Liège 1981 - Aix-la-Chapelle 2008: Bilan et perspectives, Actes du Neuvième Congrès International de l’Association Internationale d’Études Occitanes (Aix-la-chapelle, 24-31 août 2008), a cura di A . Rieger - d . Sumien, Aachen 2011, pp . 101-120, alle pp . 106-107) .

80 A . jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, Toulouse 1934, p . 343, il quale peraltro arrivò ad ipotizzare che il nome del verseggiatore non corrisponda ad alcun trovatore realmente vissuto e che si tratti di un errore di trascrizione nel codice che ci conserva copia della sua poesia .

81 notizia riportata in J . Brun-durand, Dictionnaire topographique du départe-ment de la Drôme comprenant les noms de lieu anciens et modernes, rédigé sous les auspices de la Société d’archéologie et de statistique de la Drôme, Valence 1891, t . 1, pp . 135-136 s .v .

82 cfr . A . Bernard - A . BrueL, Recueil des chartes de l’abbaye de Cluny, Paris 1880, t . 1, pp . 345-346, n . 367; e . maGnani, De l’articulation des réseaux monastiques en Provence: Saint-Eusèbe, Saint-Gilles et Cluny (XIe-XIIe s.), in Colloque L’abbaye de Saint-Eusèbe de Saignon et ses dépendances (Saignon, 21-23 mai 2004), a cura di G . Barruol - Y . codou, Forcalquier 2005, pp . 149-157; d . riChe, L’ordre de Cluny à la fin du moyen âge, Saint-etienne 2000, p . 137 .

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provenzale 83: fondandosi su quei volumi, all’inizio del XX secolo, il marchese Boisgelin segnalò, infatti, che attorno al 1200 sul villaggio di eurre avrebbe dominato «Guy ou Guyon d’Urre» il quale sareb-be stato il padre di «Guinis» e «Gention, tige des sgrs . du Puy-St .-Martin» . Guinis «passa transaction, le 7 Sept . 1253, avec Gention d’Urre, aussi csgr . d’eurre, qui lui prêta hommage pour lui et ses successeurs . Il parait être mort avant le 17 des calendes de déc . (15 nov .) 1266» 84, pur aggiungendo prudentemente in una nota che

aucun acte ne dit expressément ce Gention frère de Guinis et fils de Guy; mais on peut le supposer en voyant que tous deux, c .sgrs d’eurre, paraissent à l’acte du 7 sept . 1253, et stipulent comme sgrs in totum dudit lieu . S’ils n’étaient pas frères, ils seraient donc cousins et en tous les cas descendraient d’un premier d’Urre, sgr . d’eurre en totalité  85 .

Già solo queste imprecise e incomplete informazioni inducono a meditare sull’ipotesi che il poeta e il nobile siano da riunire in un solo personaggio . Tale congettura riceve però importanti conferme proprio dai repertori e dalle raccolte documentarie della regione . ecco un regesto delle testimonianze finora reperite  86:

a) 1182 . Robertus episcopus cum suis canonicis fundos quosdam partitur . Tra i presenti vi furono Aimone et Petro Durre: i loro nomi compaiono ben in vista nell’escatocollo, a sottolineare la loro appartenenza agli strati medio alti della società diense ed al gruppo di clerici et optimates che circondavano il vescovo di die  87 . I loro nomi si rinvengono anche

83 F .A . Pithon-Curt, Histoire de la noblesse du Comté Venaissin, d’Avignon et de la principauté d’Orange, Paris 1743, vol . 3, pp . 574-622 .

84 Ch .- j.- e. BoisGeLin, Adhémar, généalogie. 1ère partie, draguignan-Aix-en-Provence 1900, pp . 262-336 e spec . alle pp . 264 e 278 .

85 Ibid., p . 278 n . 2 .86 Vista la carenza di studi specifici su eurre (il solo che abbiamo potuto reper-

toriare è quello di U . ChevaLier, Recherches et notes pour servir à l’histoire généalo-gique de la famille d’Eurre, in «Journal de die» dal 05/05/1868 al 19/07/1868, ormai irraggiungibile e comunque di scarsa utilità per la nostra indagine), abbiamo incluso nel regesto anche quei diplomi che potevano aiutarci a meglio conoscere il lignaggio delfinate, la sua evoluzione nel tempo, le sue acquisizioni territoriali e sociali . Una raccolta di documenti si trova nelle carte assemblate dal notaio Morin-Pons, il quale a suo tempo le comunicò a Ulysse chevalier e che sono oggi conservate presso la Bibliothèque Municipale di Lyon (Ms MP dauph . 1-401; Ms MP Lyon 1-94, Fonds Morin-Pons) .

87 d . sammarthan - P . PioLin, Gallia Christiana in provincias ecclesiastica distribu-ta, Parisii 1717, vol . 16/1, p . 522, Instrumenta coll . 191-192 .

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in rogiti dell’1 febbraio 1183  88, del 1191  89, del 1194  90, del giugno 1199  91 .

b) crest 1192 . Ademaro di Poitiers, conte del Valentinois, confermò a notre dame, all’abate Pietro e ai fratelli di Léoncel ogni donazione in elemosina passata e futura nei suoi domini . L’atto fu redatto apud Cristam . Testimoni furono anche Gencione de divajeu e Gencion d’Eu-rre, cavalieri  92 .

c) 1 giugno 1193 . De divisione parcium castri et mandamenti Aurello . nell’atto si ricordò che Ademarus de Pictavis movit controversiam super feudum Arberti de Monte Claro . Secondo il conte valentinese suo padre avrebbe avuto in proprietà i diritti contesi; mentre l’episcopo di die juraverat alodium suum esse et a nemine possidere . Tra i numerosi mal-levadori spiccano i nomi di Gentio d’Urre, Oisels d’Urre, Lantelmus de Guigorz, Odo de Valserra 93 .

d) 16 agosto 1200 . In un «dono Petri de Lers apud Aurellum» tra i malle-vadori vi era P. d’Urre  94 . Forse è lo stesso che figura in una permutatio locorum inter episcopum Diensem et capitulum ejusdem ecclesiae del 3 novembre 1203  95 .

e) 1202 . Pietro, abate di Léoncel, ricevette in dono da Peire Berenguer d’Eu-rre alcuni benefici promettendogli in cambio una parte nelle preghiere della sua comunità religiosa e dell’ordine cistercense  96 .

f) 27 gennaio 1205 . Spira . L’imperatore Filippo, confermò al vescovo di Valence i regalia concessi nel 1157 da Federico I, aggiungendovi i domi-ni su eurre e sui castra di cope e Barbières  97 .

88 ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., p . 36 .89 J . ChevaLier, Mémoires pour servir à l’histoire des comtés de Valentinois et de

Diois, Paris 1897, pp . 47-48 .90 sammarthan - PioLin, Gallia Christiana in provincias ecclesiastica distributa cit .,

t . 16, Instrumenta, coll . 194-195; ChevaLier, Essai historique sur l’Eglise et la ville de Die, Montélimar 1888, p . 25 .

91 ChevaLier., Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., c . 18 .92 id ., Regeste Dauphinois ou repertoire chronologique des documents imprimés

et manuscrits relatifs à l’histoire du Dauphiné, des origines chretiennes à l’an 1349, Valence 1913, t . I, n . 5252 .

93 id., Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., c . 20; j. ChevaLier, Essai histori-que sur l’Eglise et la ville de Die, cit ., pp . 225, 248 sgg .

94 ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., p . c . 27 .95 sammarthan - PioLin, Gallia Christiana in provincias ecclesiastica distributa cit ., t .

16, Instrumenta, coll . 197-198; ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., c . 16 .96 id, Cartulaire de l’abbaye de Notre Dame de Léoncel cit ., cc . 67, 68; Brun-

durand, Notes pour l’histoire du diocèse de Die cit .97 K .F . stumPs-Brentano, Acta Imperii inde ab Heinrico I ad Heinricum VI usque

adhuc inedita, Innsbruck 1865, c . 7; J .F . Böhmer, Regesta Imperii V. Jüngere Staufer 1198-1272. Die Regesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV, Friedrich II, Heinrich (VII), Conrad IV, Heinrich Raspe, Wilhelm und Richard. 1198-1272, Innsbruck 1881, t . 5, c . 96 .

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g) crest 7 novembre 1222 . Ponse Jenso d’Urre, donò e vendette all’ospeda-le di Gerusalemme di crest i suoi diritti sul mulino deus Galatieus nel mandamento d’eurre . Si costituirono dei garanti a eurre a una confer-ma di Poncio  98 .

h) Giugno 1227 . Flotta, madre di Ademaro III di Poitiers, per difendere l’eredità del figlio dalle pretese di Ademaro II, strinse un’intesa con il vescovo di Valence . I suoi due inviati, Ademaro di Brissieu ed eracle di Montlaur, consentirono ad infeudare alcuni castelli al prelato in cambio della sua alleanza . nel trattato figurò due volte tra i testi G. d’Urre, il quale fu presente alla stesura in estris episcopalibus Valent. respicienti-bus Rodanum, e assistette alla controfirma del documento da parte di Flotta, alcuni giorni più tardi, apud Cristam in domo A. Pictavensis  99 .

i) Susa 20 novembre 1228 . I beni donati alla abbazia di Léoncel da Saramando oliviero, dipendendo dal feudo di Guinisius de Urra, costui dichiarò di abbandonarli  100: «cumque res predicte, que in hac donatio-ne habentur, essent de feudo Guinisii de Urra, prefatus G . pro remedio anime sue et omnium antecessorum suorum, concessit res predictas, pratum scil . et dominium rerum predict ., pro quibus prestabantur XXti d(enarii) cum censu predicto, deo et domui Lioncelli habere et possidere in perpetuum pacifice et quiete sine omni contradictione, prout melius et sanius intellegi posset, et hanc cartam in rei memoriam communivit» .

j) 2 aprile 1229, Roanac . Silvione di crest aveva promesso a Ugo Ademaro, figlio di Lamberto Ademaro, signore di Montélimar, di donargli i suoi beni, cioè il castello di crest, Aoste, St . Médard, divajeu e la Rochette, mantenendone l’usufrutto; da parte sua Lambert aveva promesso in cam-bio la mano della figlia . Silvione, sul punto di intraprendere un viaggio in Inghilterra confermò la sua promessa e mise la sua terra sotto la prote-zione di Lambert ad esclusione di «illo quod dono post decessum meum G. de Urre et filio suo, scilicet filiolo meo, et retentis LX solidis, quos dono eisdem in pedagio de Lambres et si forte conteingeret quod dicti LX solidi non possent recipi in dicto pedagio, volo quod Hugo Ademaris vel heres suis teneatur esidem relaxare de aliis redditibus . […]» . Silvione pretese poi che Lambertus gestisse sotto la propria responsabilità le sue terre, «cum consilio G . de Urre et Hugonis de Aosta alium de hominibus meis, quod fideliorem et meliorem elegerit» . Aggiunse che «volo vos dominum dalphinum, tanquam dominum meum, ut vos ab Ugonis Ademario filio

98 ChevaLier, Regeste Dauphinois cit ., n . 6665 .99 J . ChevaLier, Quarante années de l’histoire des évèques de Valence au moyen-âge

(1226 à 1266), in «Bulletin d’histoire ecclésiastique et d’archéologie réligieuse des dio-cèses de Valence, Gap, Grenoble et Viviers», 8 (1888), pp . 129-140, 169-184; 9 (1889), pp . 5-15, 49-60, 89-100, 129-142, 194-201, 209-234, alle pp . 138-140 .

100 ChevaLier, Cartulaire de l’abbaye de Notre Dame de Léoncel cit ., c .  103 ; id., Regeste Dauphinois cit ., t . 2, n . 6971 .

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domini Lamberti, cui totam terram meam dedi, fidelitatem recipiatis, tanquam ab homine vestro, de castro cresti, de castro Aoste, de castro Sancti Medardi, de castro de devaiua, de castro Rochete» . Tra i testi comparve lo stesso G. de Urre  101 .

k) 4 marzo 1230 . De laudamento Rostagni de Sabrano super eisdem castris . A die e alla presenza di Guinis de Urre è confermato l’acquisto del 10 giugno 1227 castrorum de Genciaco et de Barnava, e la vendita da parte di Almodia, sorella di Raimondo di Mevouillon e moglie di Rostagno di Sabran, dei castelli al vescovo di die  102 .

l) novembre 1238, cremona . Federico II rinnovò i precedenti riconosci-menti dei diritti esercitati dal vescovo su Valence e altre località tra le quali anche eurre  103 .

m) Soyons, 13 settembre 1242 . Ademaro, signore di Bressieux, fu interces-sore e arbitro nella lunga guerra tra Ademaro conte di Valentinois da una parte, e Arberto, decano di Valence e Lamberto signori di chableuil e Gerardo Bastet dall’altra . Il documento fu steso sulla riva del Rodano, sotto la casa della mote Subdionis; testimoni furono: Ruggero di clérieu, Guglielmo di Montmeyran, Hu . de Balasta, Ar . di Pouzin, Guglielmo Armando il giovane, Guiniz d’Eurre, Guilhem Malet, Rostagno Bru, Pietro Rainerii, Ar . di castro Bucco, Guglielmo Lamberto, Gauceranno de la Motte, cavalieri  104 .

n) 1242 . Sigillo di Pietro signore d’eurre  105 .o) Romans 16 febbraio 1244/1245 . Filippo di Savoia, eletto e procu-

ratore di Valence, con il consenso del capitolo di St .-Apollinaire, e Ademaro di Poitiers promisero di affidarsi per le loro liti all’arbitrato di Giovanni, arcivescovo di Vienne, e Barrallo di Baux . L’eletto recla-mava da Ademaro gli 8000 marchi che Ademaro il vecchio era stato condannato dall’imperatore a pagare a Guglielmo, eletto di Valence; i castelli di Montoison, Upie, Vaunaveys e Gigors; il borgo di crest e i suoi due castelli, il superiore donato alla chiesa di Valence da Silvione di crest e l’inferiore ingaggiato a Guglielmo; il castello di Montlégér;

101 Archives départementales de l’Isère B 3519; estratto da un Vidimus del 1289; ChevaLier, Essai historique sur l’Eglise et la ville de Die cit ., p . 479 .

102 ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., pp . 67, c . 32 .103 J . CoLumBi, Opuscula varia, Lyon 1668, p . 268; sammarthan - PioLin, Gallia

Christiana in provincias ecclesiastica distributa c ., vol . 16, Instrumenta, col . 113; Böhmer, Regesta Imperii V. Jüngere Staufer 1198-1272 cit ., t . V, n . 2404; J .L .A . huiLLard-BréhoLLes, Historia diplomatica Friderici II sive constitutiones, privilegia, mandata, instrumenta quae supersunt istius imperatoris et filiorum eius, Paris 1852, t . V, pp . 261-265 .

104 AdIsère, Valentin B 3520; ChevaLier, Mémoires pour servir à l’histoire des comtés de Valentinois et de Diois cit ., t . I, pp . 217-218; ChevaLier, Regeste Dauphinois cit ., t . 2, n . 7944 .

105 Addrôme; cfr . J . roman, Déscription des sceaux des familles seigneuriales de Dauphiné, Paris 1906, pp . 349-350, n . 908 .

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chateaudouble, feudo della chiesa di Valence, caduta in commise, così come quelli di Gloyran, Beauchastel e St .-Marcel; infine quello di chalançon . da parte sua Ademaro domandò un’indennità per le perdite subite ad opera di Silvione di crest, di cui la chiesa di Valence possedeva i beni: con il suo aiuto infatti il conte Simone di Montfort era entrato nella sue terre ed aveva distrutto il borgo di crest, i castelli di Rochefort, St .-Bonnet, Sauzet, Autichamp, la Roche, la Baume, la Rochette, Grane, Upie, Montmeyran, Vaunaveys, Montoison, Bibie, Mirmande, chabrillan . Ai giudici fu chiesto di dirimere anche le que-stioni che avrebbero potuto insorgere tra Ademaro e il delfino Guigo circa le pretese di quest’ultimo sui castelli di etoile, crest (per la parte di Silvione), Aouste, divajeu . Tra i garanti designati dall’eletto figurò Franciscus d’Urre  106 .

p) 1250 . Il miles Franciscus Duire (cioè d’eurre), prestò omaggio a Ademaro III di Poitiers, signore di Valence . In quel riconoscimento il nobile delfinate affermò che il suo era un «feudum francum» . La convenzione stabilì che – secondo il costume delfinate – il «vexillum» di Ademaro avrebbe sventolato sul castello «ad hora tercie usque ad nonam»  107 .

q) Valence 14 settembre 1251 . donazione tra viventi da parte di Ruggero di la Vouta a Ruggero di clérieu e a suo figlio Silvione, della sua parte del castello di clérieu . Promessa di aiuto in guerra e in placitum contro Ademaro di Poitiers e i suoi amici . Tra i testimoni Franciscus d’Eur-re  108 .

r) 7 settembre 1253 . Transazione tra Gencione d’Urre, cosignore di eurre, secondo figlio di Guido (o Guyon), e Guinisio d’Urre, cosignore d’eur-re, e omaggio; Gencione è designato cosignore di eurre in un atto di vendita di Gontardo di Montelier a Saint-Ruf, nell’aprile 1259, e in un

106 Arch . dep . drôme, eveché, orig .; ne esiste anche un vidimus (AdIsère B 3521); cfr . A . LaCroix, Essai historique sur la tour de Crest, in «Bulletin de la Société d’Ar-chéologie et de Statistiques de la drôme», 15, 16, 17 (1882), pp . 257-264; pp . 1-26, 97-119, 257-280, 409-437; pp . 78-92, 194-211; ChevaLier, Quarante années de l’histoire des évèques de Valence cit ., pp . 90-96; ChevaLier, Mémoires pour servir à l’histoire des comtés de Valentinois et de Diois cit ., t . I, pp .  218-221; d . Carutti, Supplemento ai Regesta Comitum Sabaudiae in coll . «Miscellanea Storica Italiana» (1904), vol . 9, p . 47; ChevaLier, Regeste Dauphinois cit ., t . 2, n . 8129 .

107 Il doc . è edito in G . GiordanenGo, Documents sur l’hommage en Dauphiné et en Provence (1157-1270), in «Mélanges de l’ecole française de Rome . Moyen-Age, Temps modernes», 92 (1980), pp . 183-204, alle pp . 197-198 .

108 A . de GaLLier, Essai historique sur la baronnie de Clérieu et sur les fiefs qui en ont dépendu, in «Bulletin d’archéologie et de statistique de la drôme», t . 1 (1866) pp .  273-286; 2 (1867), pp .  16-28, 253-271; 3 (1868), pp .  56-68, 405-429; 4 (1869), 39-58, 127-138, 269-275, 361-371; 5 (1870), pp .  59-83, 306-334, 410-428; 6 (1872), pp .  217-254, 337-353 1866 ., al t . 4, p . 51 (poi in vol . unico edito a Lyon 1873); ChevaLier, Regeste Dauphinois cit ., t . 2, n . 8787 .

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secondo rogito del 6 delle calende di giugno del 1273; il 15 gennaio 1279 investì alcuni personaggi dei diritti sulle terre di eurre confinanti con il bosco del fu Burgundione d’Urre  109 .

s) Baix, 30 dicembre 1253 . decano, signore d’eurre (Uzès), ricevette in feudo da Ademaro di Poitiers, conte di Valentinois e diois, suo cugi-no, la quarta parte del castello di Pierrelatte, con i suoi diritti e le sue appartenenze 110 . Lo stesso giorno decano prestò omaggio e ricevette in feudo da Ademaro di Poitiers, conte di Valentinois et diois, suo cugino, tutta la terra appartenente a decan, la metà del castello di Vallaurie, ciò che possedeva del castello di Roussas, il castello e i relativi diritti della città di Ancone (Béconne), tutto ciò che possedeva di là dal Rodano, ad eccezione dei suoi beni a Mornas, Mondragon e la Palud; al conte fu riservato il majus dominium diretto  111 .

t) 1256 . Vendita da parte di Guy d’Eurre, figlio di Guglielmo, a Poncio, priore di St .-Felix a Valence, delle tascas che suo padre percepiva sulle terre e i prati del priorato nel mandamento di Montélier: Guido d’Urre aveva venduto lo stesso anno al priorato di Saint-Félix le taschas che percepiva sulle terre di questa fondazione e a Montélier  112 .

u) Laterano 13 aprile 1256: «Alexandri IV papae commissio de causa inter capitulum Burgi et alios . commissio per Alexandrum papam IIII direc-ta officiali dyensis, quatenus audiret causam et appellatione remota sine debito decederet, per capitulum Burgi movendam contra priorem Sancti Felicis Valentiae, rectorem ecclesiae de Tornone, Genesium de Urro, Arnaudum de castro Buco, milites, et quosdam alios Viennensis, Valentinensis et dyensis civitatum et dioeceseon, quia injuriabantur eisdem super quibusdam decimis, pecuniis, redditibus, terris, posses-sionibus et aliis rebus»  113 .

v) Valence dicembre 1256 . Filippo eletto della chiesa primaziale di Lyon e procuratore della chiesa di Valence, insieme, tra gli altri a odilone, Pietro, Poncio e Amedeo Montilisio e Franciscus de Urro, cavalieri, ven-dette alcuni beni a Ruppiero, priore di Val St .-Marie nel mandamento di Montélier . Sigillo di Francisci Durre  114 .

w) Valence 1257 . Franciscus d’Eurre cavaliere, a suo nome ed a nome di suo padre Guenis, vendette a Stefano Bruscheti, converso della casa religiosa di Val St .-Marie, una condamina nel luogo detto al Tronchet, nel mandamento di Montélier, contigua alla terre di St-Pierre du Bourg

109 BoisGeLin, Adhémar, généalogie cit ., p . 278, n . 2 .110 Ibid., n . 9005 . 111 ChevaLier, Regeste Dauphinois cit ., n . 9004 .112 id., Codex Diplomaticus Ordinis Sancti Rufi Valentiae, Valence 1891, p . 78 c .

40; id., Regeste Dauphinois cit ., n . 9208 .113 Ibid., n . 9225; id ., Chartularium Ecclesiae Sancti Petri de Burgo Valentiae

Ordinis Sancti Augustini, Paris 1875, p . 33, doc . n . 40 . 114 ChevaLier, Quarante années de l’histoire des évèques de Valence cit ., pp . 218-

219; ChevaLier, Regeste Dauphinois cit ., n . 9279 .

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e altre terre a Bramalier . Queste terre erano franche e libere da ogni censo, uso e servitù . Approvazione di Guenis, signore d’Eurre  115 .

x) 1257 . Vendita di Franciscus d’Eurre, cavaliere, in favore della casa di Bouvantes di alcuni appezzamenti di terra a Montélier, in Truchet  116 .

y) 1257 . Silvione di clérieu acquisì da Poncio di Brion il feudo e il domi-nium su colombier-le-Jeune . Tra i presenti, Franciscus de Urre 117 .

z) 15 giugno 1261 . citazione di Franciscus d’Eurre in una transazione  118 .aa) Pisançon 18 gennaio 1261/1262 . Silvione, signore di crest, approvò la

decisione di Guglielmo, signore di clérieu, che aveva donato al conven-to di Léoncel e alla casa di Part-dieu la metà del manso di chopis e del bosco di Sizeranne e di chaivet, e quella di Ruggero che aveva esentato i religiosi da ogni diritto di pedaggio . Tra i testi: Bergovion de Urrio, damicello 119 .

bb) eurre 15 novembre 1266 . Franciscus d’Eurre cavaliere, considerando la fedeltà degli uomini del castello e del mandamento di eurre nei suoi confronti e nei confronti di suo padre Gueynis, accordò loro franchigia, immunità e libertà dalle taglie, tolte e ustici e dal lavoro agricolo delle vigne e dei prati . Lui e suo figlio Arberto promisero di osservare questi accordi . Act. ap. Urrum nella chiesa di St .-Apollinaire  120 .

cc) 1277/1281 . Item factum Alberti de Urro qui percipit circa VII sest. frumen-ti XXXIX sol. pensionales et de aliis censibus minutiis; secondo l’editore si tratta di «Albert d’Urre, qui, le 15 novembre 1266, intervint dans un octroi de libertés et de franchises fait aux habitants de la paroisse de son nom par François, son père, et mourut avant 1283»  121 .

nessun elemento conferma l’appartenenza a un medesimo lignaggio di tutti i testimoni presenti nelle carte succitate desi-gnati con il patronimico di origine toponomastica eurre/Urre, e anzi sarebbe forse più appropriato assegnarne l’origine a differenti gruppi familiari o ad una iperfamiglia  122 . Una analisi dei rogiti ci consente comunque di individuare tra loro la sussistenza di alcune parentele .

115 Ibid., n . 9323 .116 Ibid., n . 1159 .117 de GaLLier, Essai historique sur la baronnie de Clérieu cit ., p . 310 . 118 ChevaLier, Regeste Dauphinois cit ., n . 9725 .119 id., Cartulaire de l’abbaye de Notre Dame de Léoncel cit ., n . 205 .120 id., Regeste Dauphinois cit ., n . 10480 .121 j. Brun-durand, Le fieus de Mons, Levesque et conte al chastel de Crest: docu-

ment du XIIIe siècle, Valence 1878, p . 26 n . 4 . 122 nella accezione, ad esempio, che a questo termine assegna J .-P . deLumeau,

Société, cadres de pouvoir et règlements de conflits en Italie du Xe siècle à l’émergence des juridictions communales in Le réglement des conflits au Moyen Age, Roma 2000, p . 169 n . 2 .

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Argomenti onomastici suggeriscono che Gencio d’eurre e Poncio Gencio d’eurre, attivi tra la fine del XII secolo e i primissimi decenni del XIII (docc. b, c, g), fossero padre e figlio . essi potreb-bero inoltre essere stati signori del piccolo villaggio drômois come suggerisce il fatto che entrambi furono sottoscrittori della Divisione parcium castri et mandamenti de Aurello (doc. c), con cui fu posto termine alle dispute tra Ademaro di Poitiers e un gruppo di feudatari del distretto diense .

I nomi degli altri testes, tra i quali spiccano quelli Arnaldo di crest, odone di Valserra e Lantelmo di Gigorz, e la presenza di Gencio tra i primi firmatari della suddetta compositio inducono a sospettare che egli fosse un personaggio di rilievo sulla scena poli-tica e sociale locale, e manifestano che i feudatari di eurre intrec-ciarono relazioni di potere con signori della media aristocrazia distrettuale, le cui famiglie furono peraltro implicate in rapporti con altri trovatori  123 .

non è dato invece di conoscere, allo stato delle indagini, quali fossero i rapporti tra Gencio, Poncio Gencio da un lato e Aimone e Pietro d’eurre (doc. a), due canonici della chiesa di die . Indizio non trascurabile dell’elevato status sociale di questi ultimi potrebbe però essere proprio la loro canorguia, circostanza che in qualche modo potrebbe accostarli al lignaggio dei Gencio .

La donazione di cui si ha memoria attraverso i rogiti del 1202 raf-forza l’ipotesi che Pietro d’eurre possa essere stato parente di Pietro Berengario d’eurre . non è escluso, sempre però fondandosi solo sulla fragile base del criterio onomastico, che a questo ramo della famiglia appartenesse anche l’omonimo che appose il suo sigillo ad un atto del 1242 (doc. n) .

A partire dalla terza decade del duecento (doc. i), sul villaggio di eurre dominò un miles di nome Guinis in occitanico Genim . Il silenzio delle fonti e la novità del suo nome, ci impedisce di sapere se egli fosse consanguineo di qualcuno dei personaggi finora indivi-duati, né siamo in grado di avere cognizione se fu di stirpe nobile, data la solo parziale coincidenza nel XIII  secolo tra cavalleria e aristocrazia .

nel giugno 1227 fu tra i testimoni che assistettero alla con-clusione delle trattative in cui furono coinvolti Flotta, madre di

123 cfr . di chi scrive, Raimbaut de Beljoc tra poesia e politica, in «cultura neolatina», 66 (2006), pp . 213-310 alle pp . 282-283 e 288 .

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Ademaro III di Poitiers, e il vescovo di Valence, ed il cui obiettivo era contrastare le pretese di Ademaro II di Poitiers . I due inviati della nobildonna, Ademaro di Brissieu ed eracle di Montlaur, consenti-rono ad infeudare alcuni castelli al prelato in cambio della sua alle-anza . Genim fu presente alla stesura in estris episcopalibus Valent. respicientibus Rodanum e nella intesa potrebbe aver svolto il ruolo di consigliere della nobildonna, come confermerebbe il fatto che egli assistette anche alla controfirma del documento da parte di Flotta, alcuni giorni più tardi, apud Cristam in domo A. Pictavensis  124, cioè nel castrum che il signore valentinese possedeva nella città .

Su die esercitava allora la sua giurisdizione Ademaro II, che lì aveva fatto costruire un importante castello  125, ma che doveva spartire i diritti sulla città con Silvione di crest  126, un feudatario del vescovo  127 . Inevitabili e lunghissimi furono perciò i conflitti tra i due lignaggi . Sottosposti a una martellante politica di annessioni territoriali da parte del conte di Valence, i signori suoi vicini, troppo deboli per opporsi singolarmente alle sue pretese, cercarono l’ap-poggio del vescovo diense . così il lignaggio dei feudatari di crest nel 1229 strinsero una intesa con i signori di Montélimar: Silvione chiese in moglie la figlia di Lamberto di Monteil e si impegnò a donare al figlio di Lamberto, Ugo Ademaro, il castrum di crest non-ché le terre di Aouste e di divajeu . Questa promessa fu rinnovata il 2 aprile 1229 a Roynac (doc. j) . È ragionevole identificare il feudatario

124 ChevaLier, Quarante années de l’histoire des évèques de Valence cit ., pp . 137-140 .125 cfr . id., Essai historique sur l’Eglise et la ville de Die cit ., p . 289 .126 Brun-durand, Le fieus de Mons, Levesque et conte al chastel de Crest, cit ., p .

7, n . 1 cita al riguardo la sintesi di un documento oggi disperso ma di cui conoscia-mo il tenore grazie allo storico seicentesco Johannes Columbi: «episcopus partem eam cristae habebat, quae fuerat Silvionis cristensis; alteram tenebat Aimarus sed tanta non erat tum crista, ut una satis ad dominium esset ad duobus potentissimis viris, iisque non omnino amicis . Philippus constituit ut cives quidem essent in illius potestate in cujus parte habitarent, neque ulli ab altera in alteram migrare liceret; in advenas vero ei jus esset,in cujus ditione hospitarentur; in quo peccaret quis loco, reus sisteretur domino loci: fructus et terrae proventus quisque peteret ab ea regione, quam coleret» (cfr . J . CoLumBi, De Rebus gestis Valentinorum et Diensium episcoporum libri quatuor, Lyon 1638, p . 58) .

127 come emerge dalle bullae imperiali rilasciate da Federico I Hohenstaufen nel 1157 e ne1 1178, confermate nel 1214 da Federico II, e come si evince dal rogito dell’ot-tobre 1201 con il quale il prelato diense Umberto cedette a Beatrice d’Albion e a suo figlio Guigo-Andrea i diritti sul feudo posseduto da Silvione dopo essersi fatto prestare da costei omaggio ligio e promessa di fedeltà: su tutto ciò cfr . ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., pp . 24-27; ChevaLier, Essai historique sur l’Eglise et la ville de Die cit ., pp . 257-260; GaLLand, Deux archevechés entre la France et l’Empire cit .

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di eurre con il Genim fideiussore che partecipò alla redazione del patto: argomentazioni di fedeltà feudale ne giustificano la presenza tra i mallevadori, e ne fanno uno tra i più stretti collaboratori di Lamberto Ademaro, uno dei companh che componevano il ristretto cerchio dei consiglieri del signore di Montélimar . L’espressione cum consilio impiegata nell’atto per definirne il ruolo attivo, ne conferma l’elevato status sociale, l’appartenenza al ristretto cerchio degli amici del potente nobile, la prossimità politica a Silvione di crest e allo stesso delfino 128 . non è da sminuire, al fine di tracciare un profilo del signore eurrois, neppure la circostanza per cui Silvione nominò Genim proprio erede, escludendo esplicitamente dalle terre poste sotto la protezione di Lamberto «illo quod dono post decessum meum G. de Urre et filio suo, scilicet filiolo meo, et retentis LX soli-dis, quos dono eisdem in pedagio de Lambres et si forte contingeret quod dicti LX solidi non possent recipi in dicto pedagio, volo quod Hugo Ademaris vel heres suis teneatur eisdem relaxare de aliis red-ditibus . […]» . La scarsità delle fonti ci impedisce di ulteriormente precisare le circostanze in cui furono assunte tali decisioni ma si trattò certamente di un frangente particolare, almeno a giudicar dal fatto che poco tempo dopo aver steso questo testamento Silvione rinunciò definitivamente allo stato laicale ed a tutti i propri domini divenendo decano della chiesa di Valence  129 .

Ulteriori apporti informativi ci sono forniti da due pergamene che confermano l’attivo inserimento di Genim nelle complesse dinamiche politiche locali . La prima di esse (doc. h) porta memo-ria della approvazione da parte di Rostagno di Sabran  130 di una vendita avvenuta il 10 giugno 1227 castrorum de Genciaco et de

128 cfr . su questo particolare F. BoutouLLe, Le consilium des cartulaires. «Sans conseil ne fais rien et tun ne te repentiras pas de tes actes», in Consulter, Déliberer, Décider: Donner son avis au Moyen Age (France-Espagne, VII-XVIe siècle), a cura di M . charageat - c . Leveleux-Teixeira, Toulouse 2010, pp . 94-108 .

129 CoLumBi, De rebus gestis Valentinorum et Diensium episcoporum libri quatuor cit ., citato da ChevaLier, Quarante années de l’histoire des éveques de Valence cit ., pp . 133-134 .

130 Su questa famiglia si vedano H .J .T .S . du roure de Beaujeu, Notice histori-que sur une branche de la maison de Sabran, Marseille 1888; F . de riPert-montCLar, Cartulaire de la Commanderie de Richerenches de l’Ordre du Temple, Avignon 1907, pp . cXVII sgg .; F . mazeL, La noblesse et l’Eglise en Provence, fin Xe- début XIVe siècle. L’exemple des familles d’Agoult-Simiane, de Baux et de Marseille, Paris 2002, passim (a p . 648 per l’albero genealogico); L . maCé, Les comtes de Toulouse et leur entourage. XIIe-XIIIe siècles, Toulouse 2000, passim; S . BaLossino, Forme del potere nei comuni della bassa valle del Rodano (secoli XII-metà XIII): l’esempio di Arles e Avignone, Tesi di dottorato, Univ . di Firenze 2007, pp . 65-68 .

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Barnava, e della cessione al vescovo di die dei castelli da parte di Almodia, sorella di Raimondo di Mevouillon e moglie dello stesso Rostagno  131 . Il testo di questo contratto si caratterizza per una forte impronta giuridica, e in particolare per l’esplicito riferimento ad alcuni istituti propri del diritto romano: segno evidentemente che i contraenti si affidarono a qualche giusperito per la stesura dell’atto  132 . Il secondo attestato (doc. m), fu redatto il 13 settem-bre 1242 ed è relativo alla lunga faida che oppose Ademaro III conte di Valentinois ad Arberto, decano di Valence e Lamberto, signori di chableuil, e Gerardo Bastet: l’arbitraggio di Ademaro di Bressieux consentì in quel caso di risolvere il problema e certifica che il Genim feudatario conosceva, per essere stato direttamente implicato in una di esse, le procedure infragiudiziarie di cui BdT 137,1 parrebbe conservare traccia .

Particolarmente utile per tracciare il profilo del signore di eurre è il diploma del 20 novembre 1228 (doc. i), grazie al quale sappiamo che egli fu tra i possidenti che sostennero lo sviluppo del monastero cistercense di Léoncel  133: esso conferma che Genim fu un feudatario, dal quale dipendevano terre e benefici su cui eserci-tava il proprio potere e che fu un cavaliere che disponeva di beni e mezzi fondiari . non è escluso che il rapporto tra il signore di eurre e la fondazione dei “figli di san Bernardo” sia da ricondurre al ben documentato vincolo che la famiglia degli Ademar di Montélimar intrattenne fin dal 1120 con il monastero impiantato tra le aspre montagne del Vercors  134 .

L’insieme della documentazione fin qui raccolta e analizzata situa inequivocabilmente il signore di eurre al centro di una intri-cata rete feudo-vassallatica ed una ricognizione tra i possedimenti del cavaliere delfinate condotta sulla base delle scarne fonti in nostro possesso, ci consente di includere nel suo patrimonio terreni liberi da ogni censo, uso e servitù (doc. p), nonché di feudi e diritti

131 ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., p . 67 c . 32 . Sul decisivo ruolo storico di questa famiglia nelle Baronnies cfr . estienne, Les reseaux castraux cit ., passim .

132 ChevaLier, Tituli ecclesiae beatae Mariae Diensis cit ., pp . 65-67 .133 Sulla fondazione religiosa cfr . H . toutant, La vie économique dans le Vercors

méridional et ses abords, d’après le cartulaire de l’abbaye de Léoncel (1137-1790), in «Revue de géographie alpine», 10 (1922), pp . 549-607; A . moreL, L’évolution récente de trois communes du Vercors occidental: Léoncel, Le Chaffal et Plan-de-Baix, in «Revue de géographie alpine», 62 (1974), pp . 293-314 .

134 cfr . G . tisserand, L’implantation castrale en Viennois d’après les cartulaires de l’abbaye de Bonnevaux, Mémoire de Master, Univ . de Grenoble 2009, p . 78 .

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di riscossione di imposte e tasse (docc. i, w, bb) e di concludere che Genim fu un signore feudale dotato di una fortuna consistente per quanto focalizzata soprattutto nella zona del castrum famigliare .

Tra il 1244/1245 e il 1253 il suo nome scompare dai documen-ti, pur essendo il miles sicuramente ancora in vita . Alcuni dettagli impediscono di imputare il silenzio delle fonti solo al naufragio delle testimonianze operato dal tempo ma resta che per ragioni che oggi ci sfuggono egli lasciò il governo dei propri domini al figlio Francesco, pur mantenendo ancora il diritto di intervenire sulle scelte compiute dal suo erede .

Incuriosisce l’imposizione del nome Franciscus al discendente di Genim . Tale appellativo, infatti, innova completamente il sistema patronimico della famiglia . Sicuramente molti legami ci sfuggono ma, considerando l’importanza che ricopriva il nomen nella cultura medie-vale, possiamo avanzare l’ipotesi che la scelta sia dipesa da qualche rapporto tra i valvassors del piccolo villaggio e la potente schiatta dei Berenguer che dominava su ampi territori del Valentines e presso la quale il nome di Franciscus era attestato fin dall’XI secolo  135 .

Per quanto la carenza di documentazione ci freni dal conoscere nel dettaglio gli avvenimenti che si succedettero in quel decennio, è presumibile che in tale arco cronologico si siano registrati mutamenti nei diritti sul mandamentum di eurre . Quando, infatti, il 7 settembre 1253, Genim tornò a dichiararsi signore di eurre (doc. r), insieme a lui sottoscrissero il documento anche Gencione d’eurre (che sap-piamo dai documenti essere il figlio di un Guido [presumibilmente anch’egli di eurre]), il quale a sua volta dichiarò di essere dominus di eurre pur prestando omaggio allo stesso Genim . non possiamo scartare l’ipotesi che i due toparchi fossero consanguinei ed apparte-nessero a rami diversi della famiglia e che entrambi vantassero diritti indivisi sul mandamento delfinate: così parrebbe peraltro suggerire il nome stesso di Gencio che lo collega ai due omonimi che abbiamo visto agire all’inizio del XIII secolo .

Forse appartenne al ceppo familiare di Gencione anche quel Guy d’Eurre, figlio di Guglielmo di cui nelle carte è stato possibile repe-rire la memoria (doc. t) ma del quale non sappiamo altro se non che anch’egli presumibilmente fu un vassallo di Genim .

135 cfr . P .-e . Giraud, Essai historique sur l’abbaye de S. Barnard et sur la ville de Romans, Lyon 1856, c . 161 e passim; de Pisançon, L’allodialité dans la Drôme de 1000 a 1400 cit ., pp . 103 sgg .

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Il ruolo non secondario che Genim continuò a svolgere nella vita pubblica e nella gestione del patrimonio familiare – affiancato però ormai dal figlio Francesco – è confermato dalla bolla papale con la quale il 13 aprile 1256 (doc. u) il Pontefice Alessandro  IV intimò al priore di Saint-Felix de Valence e ad un gruppo di milites, tra cui appunto il nostro feudatario delfinate, di porre termine alle diatribe con il Capitulum Burgi di Valence: poiché forse, secondo la consuetudine, il giudizio era stato in precedenza sottoposto alle autorità locali (sia civili sia, assai più probabil-mente, quelle religiose) in vista di un possibile accomodamento, il diploma pontificio potrebbe rappresentare la prova che il signore di eurre in quegli anni fu costantemente coinvolto nella gestione degli affari familiari . A dirci della posizione di rilievo che Genim mantenne è, però, soprattutto il rogito con cui il 15 novembre 1266 il suo discendente Francesco accordò le libertà fiscali agli abitanti di eurre (doc. bb) .

entrato, dopo la recognitio del 1250, nell’orbita d’influenza dei conti di Valence, è credibile che le franchigie siano state concesse da Francesco soprattutto in ottemperanza alla politica generale perseguita da Ademaro III, il quale sostenne attivamente le riven-dicazioni degli abitanti delle città, ravvisando nel movimento delle libertà urbane uno strumento utile alla propria lotta contro il potere vescovile  136 .

Francesco elargì queste franchigie in premio della fedeltà dimo-strata dai cittadini verso lui stesso e verso suo padre, ma non è detto esplicitamente se al momento del rilascio del diploma il genitore fosse ancora in vita o meno . Questa è l’ultima notizia che abbiamo di Genim .

Il feudatario di eurre fu dunque un cavaliere appartenente alla media aristocrazia delfinate: la sua progenie è detta filiolum del sire di clérieu (doc. j), il quale a sua volta era vassallo, almeno dal 1191, della stirpe dei conti di Albion 137 . Genim fu un prossimo di Lamberto Ademaro di Montélimar e perciò come lui politicamente affine al vescovo di die  138, il che spiega perché il signore di eurre

136 cfr . su questo argomento P . vaiLLant, Le consulat et ses origines dans les Alpes françaises, in Actes des congrès de la Société des historiens médiévistes de l’enseigne-ment supérieur public, Paris 1988, pp . 311-324; id ., L’émancipation des villes épiscopa-les en Dauphiné au Moyen-Age, in «cahiers d’histoire», 6 (1961), pp . 165-180 .

137 cfr . n . Chorier, Histoire générale du Dauphiné, Valence 1661, vol . 2, p . 77 .138 ChevaLier, Essai historique sur l’Eglise et la ville de Die cit ., pp . 289-290 .

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tra gli anni Venti e Quaranta del XIII secolo si sia trovato a fronteg-giare le aggressive figure di Ademaro II di Poitiers e di suo nipote Ademaro III  139 .

Genim fu inoltre diretto e attivo testimone delle contese terri-toriali che nella prima metà del XIII secolo videro contrapposti i principali poteri regionali  140 . Miles, allodiere, feudatario francum, fu coinvolto in importanti accordi con funzioni di consigliere dei potenti lignaggi della regione, ma nel 1250 fu anche costretto a inte-grare il proprio dominium familiare in una rete feudale pur senza caricarlo di oneri finanziari e di obblighi di servizio .

È del tutto agevole rilevare le importanti coincidenze tra le informazioni desumibili dal sirventese di Genim e il ritratto che le carte ci forniscono dell’omonimo fevalis: l’insieme degli elementi insomma induce a far coincidere i due personaggi e perciò ad assi-milare il trovatore al feudatario valentines, assegnando in definitiva al cavaliere eurrois la paternità di BdT 137,1 .

ProPosta di datazione

Quando furono stesi i versi di Pois Pretz s’en fui? Per rispondere a tale interrogativo dobbiamo rivolgerci ai documenti che abbiamo rinvenuto, i quali ci hanno informato del persistere delle contrastan-ti relazioni intercorse tra gli eurre, i clérieu e i Poitiers durante la signoria esercitata da Genim e più tardi all’epoca del dominium di suo figlio Francesco .

139 Il dettaglio di queste vicende è ricostruibile grazie alle ricerche di L . Chantereau-LeFeBvre, Traité des fiefs et de leur origine, avec les preuves tirées de divers auteurs anciens et modernes, Paris 1662, p . 174; CoLumBi, De rebus gestis Valentinorum et Diensium cit ., p . 30; id., Opuscula cit ., p . 267; G .M . de Fontanieu, Cartulaire général de Dauphiné (483-1719), (Paris Bn ms . Lat . 10954-10965), t . 1, ff . 198b; J .P . vaLBonnays, Histoire de Dauphiné et des princes qui ont porté le nom de Dauphins, Genève 1721, p . 125; anseLme de saint-maur, Histoire généalogique et chronologique de la maison royale de France, des pairs, grands officiers de la Couronne, de la Maison du Roy et des anciens barons du royaume, Paris 1726, t . 3, p . 762; ChevaLier, Essai historique sur l’Eglise et la ville de Die cit ., pp . 138-140; id., Mémoires pour servir à l’hi-stoire des comtés de Valentinois et de Diois cit ., pp . 207-208 e 217, e al diploma inedito conservato nelle AdIsère B 2632 .

140 Una moderna storia del valentinese restando ancora da scrivere, si deve ricorrere alle cronache redatte dagli eruditi dei secoli XVII e XIX oltre che alla bella e già citata ricerca di Bruno Galland, tanto minuziosa quanto solo tangen-zialmente interessante per una ricostruzione delle vicende del territorio che qui ci occupa .

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Guinis, come si è visto, fu implicato nelle contese relative alla eredità di Ademaro II di Potiers, dispute che videro contrapposti il vecchio signore di Valence alla nuora e, poi, al suo stesso nipote . Questi scontri originarono dal problema della tutela del giovanis-simo Ademaro  III e quindi dal contrastato controllo dei feudi che erano stati concessi a Guglielmo di Poitiers al momento delle sue nozze con Flotta di Royans .

Una prima ipotesi potrebbe quindi riscontrare nel sirventese di Genim riferimenti a tali vicende, ma non vi sono elementi che la confermino .

Una diversa congettura è quella che collega il sirventese trobado-rico agli avvenimenti che si registrarono nel 1250, allorché il lignag-gio degli eurre, a lungo fedele di Silvione di clérieu e del partito episcopale, mutò campo e in un atto riconobbe di essere vassallo di Ademaro III: alcuni particolari di questo rogito lo hanno già segna-lato alla attenzione degli storici del delfinato e del diritto medievale, e proprio tali dettagli potrebbero aiutarci a gettare ulteriore luce sul sirventese di Genim, suggerendone anche la data di stesura . Il rogito del 1250 è, a tutti gli effetti, una recognitio, e chi lo stese ebbe ricorso a ben definite clausole giuridiche che ne denunciano una origine dotta e, presumibilmente, la redazione ad opera di un giurisperito . nel caso che questa tesi trovasse conferma, il trovatore avrebbe scritto i propri versi lagnandosi dei ripetuti tentativi di Ademaro  III di ingrandire il proprio comitatus, manovre che contrassegnarono la vita politica della regione per tutti gli anni Quaranta del XIII secolo e che coinvol-sero direttamente anche il feudatario di eurre (docc. m, o) .

Principale obiettivo dell’aggressività dell’esponente dei Poitiers fu proprio quel partito episcopale nelle cui fila Genim militava, insie-me a Silvione di crest e Silvione di clérieux  141 .

nel testo del rogito Francesco d’eurre ammise («confitemur et recognoscimus») che il suo feudum francum di La Rochete dipendeva da Ademaro III di Poitiers, al quale «in mutatione domini et feudatarii nos in signum dominii dicti castri» avrebbe accordato («nos prestare patientiam») «ut unicus solus homo ascendat turrim dicti castri cum vexillo vestro vel successorum vestrorum» . Qualora «dictum A . […]

141 Su questa famiglia si vedano de GaLLier, Essai historique sur la baronnie de Clérieu cit ., passim; J .Y . mariotte, Du bon usage des faux in Des archives à la mémoire. Mélanges d’histoire politique, religieuse et sociale offerts à Louis Binz, Genève 1995, pp . 345-359 .

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habere talem guerram quod esset […] necessarium dictum castrum» Francesco «ratione feudi» si impegnava a «juvare de feudo, non personaliter» Ademaro III . costui, da parte sua, oltre a riconoscere l’antecedenza dei diritti feudali vantati su terzi soggetti da Francesco («recognoscimus quod omnes illi qui habent feudum in dicto castro et in mandamentis et in mandamento de La Blacha habent a vobis et vos a nobis») ribadì che le uniche condizioni di infeudazione erano quelle previste dalla carta: «vos non tenemini nobis ratione fidelitatis nobis prestite, nisi ut conditiones super feudo superius nominate a vobis fideliter attendatur» e duqnue «honus fidelitatis feudo inhereat, non persone» . Quanto al castrum, esso sarebbe stato reso al conte di Valence «propter guiram quam nos vel successores nostri habemus in episcopatu diensi vel Valentinensi» e solo se in tale circostanza «vos noletis de feudo nobis consilium et auxilium inpartiri» .

È evidente che i contraenti stipularono un negozio giuridico nel quale le parti, pur utilizzando un vocabolario ancora ampiamente feudo-vassallatico (si veda ad esempio la formula «dictus Ay . eri-mus vobis dicto F . et vestris successoribus fidelis defensor in dicto feudo et quod non petemus alia nisi superius nominata pro quibus nobis fidelitatem promisistis et jurastis»), spostarono i vincoli dalle persone ai beni . Il riferimento alle diffuse clausole che formano una renunciationem («renunciantes omni beneficio juris canonici vel civilis per quod possent infrangi aliqua de predictis»), avvicina questo atto ad altri rogiti coevi fatti redigere da Ademaro III nella sua incessante azione di accrescimento fondiario: egli, infatti, sole-va includere queste riserve, ben note ai giuristi del duecento, nelle chartes de libértés da lui ispirate  142 .

L’intesa raggiunta nel 1250 da Francesco e Ademaro III s’in-quadra perciò compiutamente tra gli strumenti utilizzati dal comes valentinensis per consolidare la propria rete di alleanze e rafforzare il proprio potere: al contrario dei delfini che ricorsero prevalente-mente alle inchieste e dell’arcivescovo di Vienne che si premurò di attuare una vera e propria politica feudo-vassallatica attraverso le

142 cfr . ad esempio il documento edito in M .G . Pérossier, Recueil des inscriptions chrétiennes du diocèse de Valence, in «Bulletin d’histoire ecclésiastique et d’archéolo-gie religieuse des diocèses de Valence, Gap, Grenoble et Viviers», 7 (1887), pp . 200-208 . Sulle renunciationes, formule di diritto romano introdotte negli atti della pratica notarile, cfr . almeno m.L. CarLin, La pénétration du droit romain dans les actes de la pratique provençale (XI-XIIIe siècles), Paris 1967, pp . 124-160, alle pp . 155 sgg ., ed e. meyniaL, Des renonciations au Moyen âge et dans notre ancien droit, in «nouvelle Revue histoire de droit français et étranger», 24 (1900), pp .  108-142; 25 (1901), pp . 241-277, 657-697; 26 (1902), pp . 49-78, 649-710; 28 (1904), pp . 698-732 .

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recognitiones, i Poitiers si avvalsero delle chartes de libértés e della figura giuridica dei feudi franchi 143 .

Il Valentines faceva parte del dauphiné, sia pur godendo di una notevole autonomia 144, e rientrava perciò a pieno titolo in un conte-sto socio-giuridico che aveva nel giuramento il proprio fondamento, e che sovente accompagnava la promessa con una convenzione che definiva gli obblighi reciprocamente contratti dalle parti, e talora rinforzava queste alleanze con l’omaggio  145 . nel XIII  secolo si impose progressivamente nel delfinato un diritto feudale largamen-te ispirato dalle dottrine dei giuristi italiani: i documenti scritti in quell’area portano certo memoria delle cerimonie di omaggio, di gesti quali la giunzione delle mani, o di giuramenti di fedeltà, ma in essi si rinviene soprattutto traccia del contratto vassallatico fondato sull’idea dell’aiuto reciproco tra le parti, con particolare riguardo al periodo di guerra . Si comprende così perché in numerose carte il tradizionale verbo servire sia sostituito da juvare, che introduce nel negozio una nozione di reciprocità tra il nuovo signore e i suoi uomini, diversa da quella esistente con un vassallo . Sovente l’omag-gio era anche l’occasione per suggellare una vera e propria alleanza, soprattutto laddove esso non prevedesse alcuna riserva di fedeltà nei confronti di qualche sovrano o potente barone . Tale fu sicura-mente la situazione delle Baronnies nel Sud-est della Francia, e fu presumibilmente anche la condizione in cui si trovavano i piccoli e medi nobili del Valentinois, una regione teoricamente sottoposta al dominio tolosano, al cui controllo fu però ufficialmente sottratta con il trattato di Meaux-Paris del 1229, senza che il potere cape-tingio o quello dei delfini (che mancavano dei mezzi per imporre forti vincoli vassallatici), riuscissero ad avere il sopravvento sulla riottosa nobiltà locale . In definitiva la presenza di numerosi signori allodiali e la corrispondente scarsità di mezzi finanziari, costrinsero le famiglie più potenti della regione a costruire un sistema socio-

143 J . de Font-réauLx, Le «Livre vert» de l’évêché de Valence, in «Bulletin philo-logique et historique du comité des travaux historiques et scientifiques», 42 (1925), pp . 47-69; ChevaLier, Mémoires pour servir à l’histoire des comtés de Valentinois et de Diois cit .; vaiLLant, L’émancipation des villes épiscopales en Dauphiné au Moyen-Age cit .; id ., Le consulat et ses origines dans les Alpes françaises cit ., pp . 320-321 .

144 Su questo tema cfr . e . Baratier - G . duBy - e . hiLdesheimer, Atlas historique de Provence, Paris 1969 .

145 G . GiordanenGo, Vocabulaire et formulaires féodaux en Provence et en Dauphiné (XIIe-XIIIe siècles), in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles). Actes du colloque de Rome (10-13 octobre 1978), Roma 1980, pp . 85-107, alle pp . 85-86 .

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giuridico che si può certamente definire feudale ma che non fu mai solidamente strutturato  146 . L’attuale delfinato nel XII e XIII secolo era cioè ben lontano dal presentare una situazione politica coesa e la stessa autorità del princeps era contestata da un folto gruppo di signori intenzionati a mantenere la propria autonomia: tra essi i maggiori e i più decisi furono proprio i conti di Valence, insieme all’aristocrazia del diois, ai baroni di Mevouillon e a quelli di Montauban, alle signorie ecclesiastiche di Vienne e di embrun, di Gap e di die 147 . La regione era insomma un mosaico di domìni indipendenti, costantemente impegnati a respingere le pretese ege-moniche dei conti di Vienne . Su di essi poi incombeva sempre la presenza dell’imperatore, giacché egli, almeno formalmente, poteva rivendicarne la supremazia .

Si spiega così, nel documento del 1250 relativo a La Rochete, l’esistenza di clausole contrattuali assai blande e di obblighi feudali piuttosto deboli, come la sola messa a disposizione del signore del castello del vassallo in caso di guerra: tali vincoli per di più costrin-gevano il feudatario a versare una somma di denaro ed a risarcire il suo uomo in caso di danni . La natura politica dell’atto, congruen-temente con quanto emerso dall’analisi del sirventese di Genim, è confermata dall’assenza di eurre dall’elenco dei possedimenti conservato nel testamento di Ademaro  III 148: la convenientia con cui Francesco e Genim si obbligarono verso il conte di Valence non introduceva il bene infeudato nella proprietà del feudatario, bensì gli metteva a disposizione il castrum in caso di necessità 149 .

Il patto del 1250 sembra dunque corrispondere con quanto ci dicono i versi del trovatore . La aggressiva politica della famiglia comitale nei territori dell’attuale cantone di crest-nord, i ripetuti scontri che nacquero dalle pretese egemoniche del lignaggio dei Poitiers, e soprattutto i contenuti e la forma dell’atto stipulato nel 1250 (ma anche quelli dell’arbitraggio del 1242 tra Ademaro  III e i piccoli feudatari del valentines), rendono ampiamente credibile l’ipotesi che Genim abbia tratto ispirazione per il suo canto dai ten-tativi del conte di Valence di imporre la propria autorità sui piccoli e medi casati della regione e che perciò nei suoi stichi il poeta si

146 Ibid .147 Baratier - duBy - hiLdesheimer, Atlas historique de Provence cit .148 de Pisançon, L’allodialité cit ., pp . 171-174 e la cartina ivi .149 Per un quadro generale cf . J .P . Boyer, L’éphémère paix du prince, in La

Provence au Moyen Âge, a cura di M . Aurell - J .-P . Boyer - n . coulet, Aix-en-Provence 2005, pp . 143-280 a p . 204 .

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riferisca, senza nominarlo, all’ingombrante vicino e ad avvenimenti i cui dettagli sono purtroppo per noi ancora irraggiungibili .

In conclusione le carte portano a ritenere che la famiglia di Genim fosse in origine proprietaria di allodi rurali, che dominasse cioè su terre libere da ogni carica feudale, e che dal 1157, a segui-to del diploma imperiale di Federico  I, sia stata sottoposta solo a un generico vincolo nei confronti del vescovo di Valence . entrato, forse grazie alle ricchezze o alla particolare abilità di qualche suo esponente, a far parte della vita pubblica della regione, dal 1200 circa stabilì relazioni sempre più strette con i signori di clérieu e poi con i circoli episcopali e signorili di Valence e die; dal 1227 il lignaggio degli eurre, guidato dal trovatore Genim, si trovò a con-frontarsi con la feudalizzazione del territorio . Il casato del trovatore si oppose alle aspirazioni dominicali dei signori di Valence e tale conflitto segnò largamente la vita pubblica (almeno per la parte che ci è possibile ricostruire) del poeta il quale si schierò dapprima contro le pretese del vecchio Ademaro II e, poi, contro quelle di suo nipote Ademaro III, il quale, teso a costruire un proprio principatus, pretese che i piccoli signori della regione, tra i quali anche gli eurre, si integrassero in una più stringente rete feudo-vassallatica . Genim di ciò si lagnò nel suo sirventese ideato attorno al 1250 (o meno credibilmente tra 1240 e 1250) . dopo questi eventi il poeta continuò a occuparsi della gestione delle proprietà familiari svolgendo anco-ra qualche ruolo pubblico . Scomparve dopo il 1257 o forse dopo il 1266 .

con la sua poesia egli tentò di controbattere al grande movimen-to di sistemazione degli equilibri regionali che era allora in atto, cercando di contrapporsi al processo di centralizzazione del potere: il suo sirventese fu dunque uno strumento di lotta e propaganda, per noi prezioso testimone delle fortissime tensioni sociali, economiche, politiche che nel XIII secolo attraversarono le plaghe che si disten-dono tra le rive dell’Isère, del Rodano e della drôme, ed esempio evidente di quanto l’interazione nella letteratura occitana tra lin-guaggio cortese, interessi politici e strutture socio-economiche sia stata stretta e feconda .

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aPPendiCe

edizione del testo 150

Pois Pres s’en fui qe non troba guirenza,Avoleza destruira tot cant es,car de chai creis enjanz e Mala Fes,e Vergoigna petit sai se bistenza;car amdui son tornat en tal error, 5Vergogn’e Pretz, qe non trobam segnior,qe chascus met los seuz a gran temensa .

Los crois baros regnon a recrezenza,chascuns rescon sas rendas e sos bes,mais q’il poschan no metran tres poies . 10A tart veires bon frug d’avol semenza:si valon pauc, molt valran meinz los lor .Per lor enfanz son tornat colledor;a lor crois ers don dieus mala crezenza .

Ades mi plaz de guerra qan comenza, 15qe .il ric home en son truep plus cortes:ia cant an patz douz respos no ‘n aures,don, ni ben-fag, ni socors ni valenza,anz vos diram, si .us sabon bon laor:«Aqist terra fon de mon ancessor, 20rende la me, o fai m’en conoiscenza» .

Se valvassor fossen de ma parvensasi qe ia l’um de l’autre no·s partes,q’il, qe pogran, tenguessam lur arnese que fessen sagramen e plivenza 25c’a ric home mal ni abonaidornon aguessen fianza ni amor –aissi pogran retener lur taignienza .

Gerardo LarGhi

150 Propongo qui un’edizione del sirventese dopo averne rivisto il testo sulle foto-grafie del manoscritto . Su tale base ho avanzato soluzioni testuali che ho ritenuto migliorative rispetto alle edizioni precedenti . Mi riservo di stampare in altra sede il testo corredato dall’apparato critico, dalla traduzione e da un adeguato commento storico e filologico .

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