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Anno XI N. 02 Inverno 2015 PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORI DELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE IN QUESTO NUMERO Alla scoperta 2 Conosciamo davvero i nostri bambini? 4 Genitori: un mestiere da imparare 8 Obbedienza e disobbedienza: la difficile strada verso la disciplina 10 Le conseguenze dei sistemi educativi sbagliati 14 I bambini e le regole sociali 16 I bambini timidi 18 I bambini aggressivi 20 Problemi in famiglia: bambini difficili 24 I bambini con bisogni speciali 26 Salute: controllare per prevenire 28 La normalità e l’utilità delle malattie nei bambini 30 Libri in vetrina dei nostri

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Anno XI N. 02

Inverno 2015

PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORIDELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE

IN QUESTO NUMERO

Alla scoperta

2 Conosciamo davvero i nostri bambini?4 Genitori: un mestiere da imparare8 Obbedienza e disobbedienza: la difficile strada

verso la disciplina

10 Le conseguenze dei sistemi educativi sbagliati14 I bambini e le regole sociali

16 I bambini timidi

18 I bambini aggressivi

20 Problemi in famiglia: bambini difficili

24 I bambini con bisogni speciali

26 Salute: controllare per prevenire

28 La normalità e l’utilità delle malattie nei bambini

30 Libri in vetrina

dei nostri

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Una delle ragioni per cui ci si interrogasulla natura della personalità dei bambi-ni e sui fattori che ne possono influenza-re lo sviluppo è sostenuta da preoccupa-zioni educative, specialmente in tempi incui i comportamenti appaiono più pro-blematici e più difficili da disciplinare.

Quanto sconosciuti

Nell’ambito della psicologia dell’età evo-lutiva, le risposte che gli studi e le ricer-che offrono sui comportamenti dei bam-bini e sui tratti della loro personalità so-no numerose, mai definitive, spesso fra lo-ro contraddittorie e troppo spesso lonta-ne dalle persone che quotidianamente sioccupano della loro crescita: i genitori inprimo luogo.

Il risultato è che, pur non mancando il nu-trimento affettivo, il bambino il più dellevolte rimane uno sconosciuto per quan-to riguarda aspetti che sono fondamen-tali come la comparsa e lo sviluppo dellacoscienza, dei pensieri, delle emozioni; lacostruzione dell’immagine di sé, del sen-so morale; l’identificazione sessuale; i mec-canismi di insorgenza dell’aggressività edel suo autocontrollo; i fattori che pos-sono contribuire a favorirne le capacità diapprendimento, la graduale conquista del-l’autonomia; la creatività; lo sviluppo dellinguaggio e della memoria; il consegui-mento della capacità di vivere nel mon-do, di rapportarsi agli altri.

A ragione si potrebbe adattare al bambi-no il titolo di un libro che ebbe un gran-de successo negli anni 30-40 del secoloscorso, scritto da Alexis Carrel (1873-1944) scienziato e scrittore, premio No-bel per la medicina nel 1912: L’uomo,questo sconosciuto.

Quanto conoscibili

Quanto sconosciuti, quanto conoscibili?Il filosofo inglese John Locke (1632-1704),proveniente da una famiglia della bor-ghesia puritana, consultato da molti ge-nitori in difficoltà nell’educare i propri fi-gli, riunì i suoi consigli in un libro, uno deiprimi sulla mente dei bambini a uso di pa-dri e madri: Pensieri sull’educazione(1693). Secondo il pensatore inglese,quando un bambino nasce la sua menteinizialmente è una tabula rasa: arricchir-la di contenuti spetta soprattutto ai ge-nitori mediante la trasmissione di abitu-dini e comandamenti. Le esperienze in-dividuali apprese, come tanti elementi co-struttivi, costituiscono le fondamentadella personalità del bambino.

Il ruolo dei genitori

Con un salto di qualche secolo, l’idea cheè l’ambiente a determinare il comporta-mento e che quindi il bambino, a parti-re dalla nascita, può essere modificato co-me e quanto si vuole è stata radicalmenteaccolta e sviluppata da uno psicologo sta-tunitense, John B. Watson (1878-1958)il quale scrisse (Behaviourism, 1930): “Da-temi una dozzina di bambini in buona sa-lute, ben formati, e il mio modo specia-le nel quale crescerli e vi garantirò di po-terne prendere uno a caso e addestrar-lo a divenire qualsiasi specialista a mia

scelta – medico, avvocato, artista, mer-cante e, sì, persino mendicante e ladro– indipendentemente dai suoi talenti, in-clinazioni, tendenze, abilità, vocazione erazza dei suoi antenati”. Partendo daquesto punto di vista, Watson attribui-va una grande responsabilità ai genito-ri la cui azione formatrice, per esseremassimamente efficace, dovrebbe ri-nunciare a ogni forma di affetto mani-festo (baci, coccole ecc.).

Il modello proposto da Watson non po-teva non essere criticato per il suo ca-rattere meccanicistico e per l’unidirezio-nalità del rapporto tra il bambino e chilo accudisce, ignorando il fatto che i bam-bini si dimostrano agenti attivi della lorocrescita, e non mere vuote comparse daammaestrare, così come ignorati risulta-no in Watson i loro aspetti emotivi e il lo-ro inconscio.

Stati emotivi e inconscio trovano in Sig-mund Freud (1856-1939), il fondatoredella psicanalisi, un profondo indagato-re che rappresenta il bambino come unacreatura alla ricerca di sé, guidata da im-pulsi primitivi che inizialmente cerca disoddisfare a ogni costo (principio di pia-cere), ma che alla fine rinvia o inibisce,adeguandosi alle esigenze della società(principio di realtà), aiutato dai genitorie da chi si occupa di lui nella valutazio-ne del mondo e dei modi di viverci.

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

Conosciamo davvero i nostri

Nel corso del suo sviluppo psicologico e af-

fettivo è importante che il bambino impari

che cosa fare, ma anche perché deve farlo.

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Il bambino partecipaal proprio sviluppo

Il modello del bambino passivo, di unacreta informe modellabile da qualsiasiesperienza, è stato avversato in partico-lare dallo psicologo e pedagogista sviz-zero Jean Piaget (1896-1980) che inve-ce introduce il concetto di bambino findall’inizio partecipe al proprio sviluppo,per cui educarlo significa creare un rap-porto con un soggetto che ha delle“idee” sul proprio io, in parte innate, inparte risultanti dalle esperienze cui vie-ne esposto nel corso del suo sviluppo. Suquest’ultima componente pesa la re-sponsabilità degli educatori, impegnatinel favorire le esperienze più adatte albambino nei suoi vari stadi di sviluppo.

Quanto sia istintivo nel comportamentodel bambino e quanto sia dovuto alleesperienze fatte sembra una distinzioneartificiosa, soprattutto agli occhi degli stu-diosi dei comportamenti degli animali, glietologi, secondo i quali ciò che è innatoè la predisposizione, le strutture predi-sposte ad accogliere le esperienze. È dun-que la ricchezza del contesto in cui il bam-bino viene allevato che valorizza le suepredisposizioni innate.

Le considerazioni sulle conseguenze del-le pratiche educative sullo sviluppo dellapersonalità dei bambini possono condurrea una sopravvalutazione delle responsa-bilità genitoriali, soprattutto della madre.La natura degli interventi educativi dei ge-nitori è indubbiamente rilevante, ma nonè esaustiva. Non è affatto detto, peresempio, che individualità aggressivesiano sempre il risultato di una educa-zione particolarmente severa, tale da ge-

nerare frustrazione nel bambino e rea-zioni aggressive in risposta a richieste ec-cessivamente punitive da parte dei ge-nitori.

I “comportamenti modello”

Una parte importante, nello sviluppo psi-cologico del bambino, è attribuita alla pos-sibilità di imparare da altri semplicemen-te osservandone, valutandone e riprodu-cendone i comportamenti. È quello cheviene definito “apprendimento sociale”che può essere rafforzato mediante in-terventi educativi esterni, eventualmentebasati su meccanismi di ricompensa o dipunizione. Di qui l’importanza educativadi “comportamenti modello” da parte de-gli adulti, specialmente dei genitori: l’e-sempio è più importante delle esortazio-ni e delle promesse. Una volta di più è op-portuno attirare l’attenzione sull’impor-tanza della partecipazione attiva del

bambino allo sviluppo della propria per-sonalità.

I diversi modelli di sviluppo psicologicodel bambino, pur diversi fra loro, pre-sentano meno contraddizioni di quelloche sembra. Infatti, partendo da diffe-renti presupposti e accentuando l’at-tenzione su aspetti differenti della psi-cologia infantile, i vari modelli alla finepervengono a illuminare percorsi assaiutili per arrivare a che il bambino risultimeno sconosciuto e degno di essere con-siderato non come un “essere di cui cisi aspetta soltanto che cresca”, bensìun’individualità da trattare alla pari. Trat-tare alla pari è un’espressione che puòavere vari significati, ma uno prevale sututti: nella relazione adulto-bambino lacentralità è rappresentata dal bambinocui l’adulto deve adeguarsi, pur mante-nendo il proprio protettivo ruolo di gui-da, senza mai considerare il bambino alpiù come una semplice appendice dellapropria esistenza. ■

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“I bambini partecipano

attivamente al proprio

sviluppo che non dipende

esclusivamente dall’azione

educativa unidirezionale

degli adulti.”

Conosciamo davvero i nostri

BAMBINI?

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“Esiste una diffusa convinzione che le

azioni dei genitori influenzino lo sviluppo

dei bambini. Nei fatti la natura di questa

influenza non è stata chiaramente dimo-

strata; i modelli, per mezzo dei quali un

tempo si riteneva che i genitori plasmas-

sero dei bambini passivi e fossero quindi

interamente responsabili dell’esito finale

dello sviluppo, vengono ora considerati

semplicistici. Quali che siano gli effetti pro-

dotti dai genitori, essi sono mediati da al-

tri aspetti, in particolare dalle caratteristi-

che del bambino e da quelle del conte-

sto sociale e ambientale, nei quali ha luo-

go lo sviluppo. Ciò nonostante il contri-

buto dei genitori è chiaramente cruciale”1.

La funzione genitoriale

Il fatto che la maggior parte degli studiosi

che si occupano dello sviluppo del bam-

bino considerino necessaria la funzione

genitoriale (convinzione ben condivisa an-

che dalla comune opinione pubblica), ca-

rica madri e padri di grandi responsabi-

lità non sempre facilmente definibili e in-

terpretabili, particolarmente ai nostri

giorni. Infatti, le rapide e spesso intrica-

te vicende delle famiglie moderne e dei

loro componenti (lavoro, separazioni, di-

vorzi, ricomposizioni e così via), unita-

mente ai cambiamenti e alle precarietà

sociali, rendono difficile stabilire che co-

sa si dovrebbe fare, come e con quali

obiettivi per essere dei buoni genitori.

Sempre più appare evidente che fare il ge-

nitore non è affatto una capacità innata,

tanto più efficace quanto più è sostenu-

ta dall’amore, bensì un vero e proprio

“mestiere”, per praticare il quale nel mi-

glior modo possibile l’amore non basta.

Due sono le fondamentali funzioni geni-

toriali: garantire la sopravvivenza e la sa-

lute dei figli e assicurare un certo benes-

sere economico fino a quando essi non

siano diventati capaci di autonomia e di

indipendenza. Accanto a queste due es-

senziali funzioni, i genitori sono impegnati

su un terzo fronte, il più carico di re-

sponsabilità: mediante una costante ope-

ra educativa, infondere nel bambino i va-

lori sociali, morali, spirituali e culturali sui

quali poter fondare una propria salda per-

sonalità, presupposto indispensabile (an-

che se non sempre sufficiente) per la rea-

lizzazione di ogni accettabile esistenza.

La definizione delle funzioni educative ge-

nitoriali, tenendo conto delle priorità de-

gli obiettivi da raggiungere e della diver-

sità dei mezzi materiali e culturali dispo-

nibili, non è riducibile a una semplice li-

sta di compiti da assolvere, soprattutto

perché non tutti i genitori sono uguali, co-

sì come non lo sono tutti i bambini. Tut-

ti i genitori imprimono al loro compito cer-

te qualità che, insieme alle caratteristiche

del bambino e dell’ambiente, determi-

nano il loro comportamento educativo nei

confronti del figlio. Possiamo operare

un’utile distinzione tra:

■ qualità universali, cioè quelle comuni

a tutti i genitori e che possono essere

considerate come parte del patrimonio

ereditario della nostra specie;

■ qualità specifiche del tipo di cul-

tura, segnatamente quelle specifiche

di particolari società e che pertanto di-

stinguono un gruppo di genitori da un

altro;

■ qualità individuali, che differenzia-

no un genitore da un altro nell’ambi-

to di determinati gruppi culturali e

perciò possono essere considerate

come un’espressione della personalità

individuale.

Premesso tutto questo, si può comunque

prospettare quali dovrebbero essere le mo-

dalità secondo le quali madri e padri pos-

sono svolgere il loro ruolo di genitori, li-

mitandoci ai primi anni di vita del bam-

bino.

Il ruolo della madre

Quale donna può essere oggi anche ma-

dre quando lavora, e per farlo deve la-

sciare il proprio piccolo alle cure di altre

persone per gran parte della giornata? I

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

IMPARARE

Genitori:UN MESTIEREDA

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compiti essenziali attribuibili alle madri nei

primi 12-15 mesi di vita del bambino e,

secondo molti studiosi, almeno fino ai tre

anni (dalla nutrizione all’accudimento ma-

teriale) devono essere svolti in un conte-

sto caratterizzato da attenzione, solleci-

tudine, protezione e costante senso di re-

sponsabilità, alimentati dalla preoccupa-

zione che l’interruzione del rapporto ma-

dre-figlio possa deprimere il bambino, in-

durre reazioni d’ansia e, alla fine, in qual-

che modo rallentare il suo sviluppo psi-

coaffettivo.

Riuscire a soddisfare sempre e totalmen-

te i bisogni fisici e affettivi del proprio bam-

bino farebbe di una donna una madre

perfetta, oggi impossibile per la donna che

lavora. Fortunatamente, il bambino per

crescere bene non ha bisogno di una ma-

dre perfetta, ma soltanto di una “madre

sufficientemente buona”.

Il concetto di “madre sufficientemente

buona” è stato formulato dallo psicoa-

nalista inglese Donald W. Winnicott

(1896-1971) in contrasto con quello del-

la “madre perfetta”. Sulla base di una

pluridecennale esperienza clinica, egli

giunse alla conclusione che la madre dis-

ponibile in ogni momento a soddisfare

le necessità e le richieste del proprio

bambino in realtà finisce per limitarne lo

sviluppo.

Al contrario la madre che, pur provve-

dendo ai bisogni del proprio bambino, la-

scia uno spazio di tempo crescente fra le

sue richieste e la loro soddisfazione lo aiu-

ta meglio a crescere. Il mancato soddi-

sfacimento immediato delle richieste del

bambino lo induce a compensare la tem-

poranea deprivazione con una maggio-

re attività mentale e un accrescimento del-

le capacità di capire.

Il ruolo del padre

Un tempo il padre era considerato pre-

valentemente come la figura centrale de-

dita a procacciare alla famiglia i beni ma-

teriali necessari alla sua esistenza, svin-

colato da obblighi di accudimento, men-

tre quelli educativi erano per lo più con-

finati ai provvedimenti disciplinari a im-

pronta punitiva.

Oggi ci si aspetta da lui anche altro: di es-

sere coinvolto in ogni evento che riguar-

da l’esistenza del proprio bambino, ancor

prima che nasca, quando già percepisce

e distingue le voci: parlargli in modo gen-

tile e affettuoso lo familiarizzerà con la fi-

gura che incontrerà quando sarà nato,

stabilendo una vicinanza fisica ed emoti-

va che si consoliderà provvedendo ad ac-

cudirlo: facendogli il bagnetto, dandogli

il biberon, cullandolo, sussurrandogli

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Fare il genitore non è una capacità innata, ma un vero e

proprio mestiere per praticare il quale l’amore non basta.

Svolgere la funzione genitoriale in modo adeguato può es-

sere soltanto il frutto di una reale conoscenza del bambi-

no e di una continua maturazione dei ruoli che madri e pa-

dri sono chiamati a svolgere nei rapporti con i loro figli. IMPARARE

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amorevoli parole, cantandogli ninna nan-

ne; soprattutto, prestando attenzione al-

le sue esigenze, che si esprimono princi-

palmente con le variazioni dei ritmi del

sonno, con il sorriso o con il pianto.

Ci si attende che egli sia veramente dis-

ponibile ad ascoltare il suo piccolo quan-

do, di solito a partire dalla fine del primo

anno, il bambino comincerà a dire le pri-

me parole significanti. Ascoltare significa

dedicare tempo e attenzione, consentire

al bambino di sentirsi libero di esprimer-

si, elemento importante per acquisire fi-

ducia, senza tuttavia venir meno alla re-

sponsabilità di svolgere il ruolo di eroga-

tore di disciplina, che il padre dovrebbe

sempre assolvere. Infatti il bambino, per

crescere bene, ha bisogno di sentirsi ama-

to, compreso e libero, ma anche di esse-

re reso consapevole che vi sono dei limi-

ti nel proprio agire che vanno rispettati.

Una componente di grande responsabi-

lità nel ruolo di entrambi i genitori è quel-

la rappresentata dall’esempio. Quando co-

minciano, fra i 4 e 5 anni, ad affermarsi

nel bambino i principi del bene e del ma-

le, del giusto e dell’ingiusto, del buono e

del cattivo comportamento, è decisivo che

egli non riscontri differenze fra quello che

gli viene detto, in termini di buona edu-

cazione o di valori morali, e quello che egli

verifica quotidianamente nel comporta-

mento dei propri genitori.

Gli effetti dell’operaeducativa

Se definire le funzioni genitoriali utili al-

lo sviluppo del bambino è possibile sol-

tanto per grandi linee, altrettanto avvie-

ne quando si voglia prendere in conside-

razione la qualità e gli effetti delle azioni

e dei comportamenti di madri e padri nel-

l’ambito dell’educazione dei figli. Si può

cercare di farlo scegliendo alcune di-

mensioni fra le numerose su cui valutare

l’operato dei genitori (sensibilità, affetti-

vità, permissività, autoritarismo, punitivi-

tà ecc.). Numerose ricerche scientifiche

portano a concludere che le dimensioni

più significative sono due: permissività/se-

verità, sollecitudine/ostilità. Queste di-

mensioni genitoriali hanno tuttavia poco

significato se considerate isolatamente per

cui, se si è interessati al loro impatto sul

bambino, devono essere esaminate in

combinazione anche con altre dimensio-

ni. Una madre molto permissiva, per

esempio, influenzerà il bambino in modo

diverso a seconda che la sua permissività

venga espressa in un contesto relaziona-

le ostile o affettuoso.

Se la permissività del genitore è dovuta al

fatto che il bambino gli è d’impaccio e “se

ne vuole liberare”, questi ne soffrirà per-

ché percepirà la libertà concessa come una

mancanza d’amore. Se la permissività è

frutto di una pur affettuosa debolezza del

genitore, il bambino la percepirà rica-

vandone un sentimento di incertezza sul-

la capacità della madre o del padre di ga-

rantirgli la sicurezza di cui ha bisogno.

I migliori risultati, in termini di sviluppo psi-

cologico, affettivo e di socializzazione del

bambino, vengono ottenuti quando le

funzioni genitoriali vengono messe in at-

to in modo autorevole che naturalmente

è cosa diversa dall’autoritarismo. Infatti,

mentre il genitore autoritario pretende ob-

bedienza senza dare spiegazioni, senza

considerare i pareri e i punti di vista del

bambino, raramente dimostrando ap-

prezzamento per quanto il bambino riesce

a fare, con un atteggiamento complessi-

vamente punitivo, il genitore autorevole

dirige e controlla il proprio bambino di-

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

IMPARARE

Genitori:UN MESTIEREDA

H. Rudolph Schaffer

Lo sviLuppo sociaLe deL bambinomilano: Raffaello cortina editore,1998. € 34,00

“Questo libro rappresenta la

riflessione sulle vicende dello svi-

luppo di uno dei più seri ricerca-

tori in questo campo, punto di

riferimento fra i più autorevoli

per tutti coloro che studiano lo

sviluppo sociale umano.

schaffer possiede, molto più di

altri, la capacità di collegare la

ricerca con i problemi quotidiani

dello sviluppo, così come si mani-

festano nella famiglia, nel gruppo

dei compagni e nei contesti isti-

tuzionali, offrendo informazioni

di carattere scientifico utili per

affrontare più adeguatamente

questi problemi”.

daRio vaRin

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mostrando affettuosa sollecitudine, in un

rapporto non punitivo, gratificatorio per

ogni progresso compiuto, rispettoso dei

desideri del piccolo, soprattutto con

grande disponibilità al dialogo.

I bambini figli di genitori autorevoli risul-

tano i più capaci: essi tendono a essere

più fiduciosi nelle proprie possibilità, in-

teressati ai risultati, socialmente respon-

sabili, contenti, dotati di autocontrollo e

cooperativi nei confronti sia degli adulti

sia dei compagni.

I bambini di genitori permissivi sono più

spesso privi di obiettivi, poco assertivi e ge-

neralmente non interessati ai risultati. I

bambini di genitori autoritari tendono a

essere sgarbati, insolenti, dipendenti e so-

cialmente incompetenti (specialmente

nel caso dei maschi), mentre i figli di ge-

nitori che rifiutano o trascurano le proprie

responsabilità tendono a essere i meno

maturi di tutti per quanto concerne sia la

sfera cognitiva sia la sfera sociale. Que-

ste differenze sono evidenti nel corso di

tutta l’infanzia: anche nell’adolescenza è

stato riscontrato che i giovani che risul-

tano più capaci, dotati di autocontrollo e

meno inclini a sperimentare sostanze stu-

pefacenti tendono ad avere dei genitori

autorevoli.

Le pratiche e le modalità educative dei ge-

nitori sono dunque di fondamentale im-

portanza per lo sviluppo del bambino, ma

anche questi, nelle sue caratteristiche di

personalità, vi ha una parte importante,

per cui il rapporto è positivo quando si

svolge nella duplice direzione genitori-fi-

gli, figli-genitori. ■

1. Schaffer HR. Lo sviluppo sociale del

bambino. Milano: Raffaello Cortina Edi-

tore, 1998.

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IMPARARE

Genitori:UN MESTIEREDA

benjamin spock, pediatra americano, famoso negli anni 50 e 60 del

secolo scorso per il suo libro Il bambino. come si cura e come si alleva,

rivolgendosi alle mamme ha scritto: “Rimarrete sorprese al sentire che

tutti coloro che hanno studiato i diversi metodi per allevare i bambini

hanno dovuto concludere che tutto ciò che i bravi genitori ritengono per

istinto di dover fare per i loro figli, alla fine si rivela la soluzione miglio-

re. inoltre, tutti i genitori assolvono meglio il loro compito quando

hanno una fiducia naturale e spontanea in se stessi. meglio fare qualche

errore comportandosi con naturalezza, che fare tutto alla perfezione, ma

preoccupati”.

molto sommessamente, si può o forse si deve non condividere l’opinio-

ne di un pur così autorevole personaggio.

che cos’è un bambino? come ci si deve comportare per accudirlo il

meglio possibile? per favorire le sue esigenze? per promuovere il suo

sviluppo?” Queste domande rimarrebbero in gran parte senza adeguata

risposta se si facesse conto sull’istinto o soltanto su questo, mentre

risposte, sia pure ancora parziali, sono progressivamente sempre più

proponibili a mano a mano che le conoscenze aumentano e con esse la

sensibilità verso i problemi che nello stesso tempo sollevano e in parte

risolvono.

BENJAMIN SPOCK (1903 – 1998)

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Obbedienza&disobbedienza:&

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Nello sviluppo del bambino, è di fon-

damentale importanza guidarlo, dall’età

in cui i suoi comportamenti e le sue atti-

vità devono essere controllati da chi si oc-

cupa di lui, a quella della capacità di au-

tocontrollo, di armonizzarsi all’ambiente

familiare e sociale al quale appartiene. In

parole semplici, si tratta di insegnare al

bambino a fare e a comportarsi come gli

viene richiesto, di ottenere obbedienza.

Quando inizia la capacità di obbedire

La capacità di obbedire di un bambino

può essere riscontrata a partire della fine

del primo anno di vita quando comincia

ad agire con intenzionalità; tuttavia, fin dai

primi giorni dopo la nascita è opportuno

e possibile, da parte dei genitori, fare in

modo che il piccolo pervenga a un equi-

librio fra i suoi bisogni e le necessità di chi

lo accudisce e le condizioni dell’ambien-

te in cui vive, soprattutto per quanto ri-

guarda il sonno e l’allattamento. Il biso-

gno di disciplina si accentua verso i set-

te-otto mesi, quando, cominciando a

muoversi a carponi, deve essere messo al

riparo dal rischio di incidenti cui è espo-

sto per il fatto stesso di muoversi per ca-

sa. In questo periodo, il bambino non ub-

bidisce ancora, ma è capace di riconoscere

gli avvertimenti dei genitori e di provo-

carne le reazioni di protezione.

Dai nove ai dodici mesi il bambino co-

mincia a comprendere i sì e i no dei ge-

nitori,mentre dai dodici ai quattordici me-

si è in grado di compiere delle scelte.

Questi brevi cenni sul percorso che il bam-

bino compie verso l’autocontrollo, attra-

verso la disciplina proposta dai genitori,

fanno comprendere come gli interventi

educativi debbano essere costanti,ma ca-

librati sulle reali capacità di essere capiti.

La pretesa che un bambino di cinque-sei

mesi obbedisca a una proibizione espres-

sa verbalmente dalla madre o dal padre

è destinata al fallimento dal momento che

il piccolo non è ancora fisiologicamente

capace di ubbidire.

Gli interventi disciplinari devono essere graduali

La gradualità degli interventi educativi

orientati alla disciplina rappresenta dun-

que un elemento importante per assicu-

rarne l’efficacia; ma ancora più importante

è riconoscere al bambino la qualità di per-

sona indipendente e non di soggetto pas-

sivo cui è possibile imporre autoritaria-

mente rigide regole, spesso a lui incom-

prensibili. Si deve tener conto che l’ope-

ra educativa veramente efficace non è

tanto quella rivolta a ottenere qui e su-

bito una ubbidiente risposta a una ri-

chiesta del genitore, bensì quella finaliz-

zata a far sì che il bambino faccia propri,

interiorizzi, i valori che sono il fondamento

di una personalità disciplinata.

Non è importante, per esempio, inter-

rompere con minaccia di punizione un

comportamento aggressivo nei confron-

ti di un coetaneo; quello che conta, per-

ché rimarrà nella coscienza del bambino,

è far comprendere la sofferenza dell’ag-

gredito, dell’ingiustizia perpetrata ai suoi

danni.

Nei processi educativi non sono i risulta-

ti immediati, o non sono soltanto questi,

quelli che contano, ma quelli proiettati

nell’adolescenza e nell’età adulta. Questo

non significa trascurare nell’immediato i

controlli anche sulle piccole disobbe-

dienze; anzi, queste vanno tenute sotto

costante, paziente controllo. Una consi-

derevole quantità di prove suggeriscono

che sono proprio le minute, quotidiane

misure di controllo dei genitori che non

solo producono ubbidienza immedia-

ta,ma influenzano anche i successivi pro-

cessi di interiorizzazione e di autocontrollo.

Le virtù della disciplina e dell’ubbidienza,

riassunte nella tabella a fianco, non de-

vono far trascurare il fatto che anche la

disobbedienza può avere valori positivi.

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

La capacità di dire “no” che compare nel bambino intorno ai dueanni rappresenta una forma di disobbedienza positiva, in quan-to pone le basi per il conseguimento dell’indipendenza rispet-to ai genitori nella ricerca della propria autonomia.

la difficile strada verso ladisciplina

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Uno psicanalista statunitense, di origine

austriaca, René A. Spitz (1887-1974), im-

portante per le sue ricerche sullo svilup-

po infantile, riteneva che la capacità di di-

re “no”, che compare verso i due anni,

rappresenti la tappa più spettacolare rag-

giunta nella prima infanzia. Il “no” è il mo-

do con cui il bambino conquista ed espri-

me la propria autonomia, la volontà e la

capacità di autoaffermarsi. In questo sen-

so, la disobbedienza è positiva in quanto

pone le basi per il conseguimento, sul me-

dio e lungo periodo, dell’indipendenza ri-

spetto ai genitori e l’acquisizione della ca-

pacità di interagire con il mondo in mo-

do creativo e originale. Come l’obbe-

dienza, anche la disobbedienza presenta

manifestazioni diversificate a seconda del-

l’età.

Nei primi anni, la disobbedienza si mani-

festa come semplice e spesso ostinata ne-

gazione, successivamente le modalità si

fanno più articolate, più sofisticate.

Obbedienza e disobbedienza, nello svi-

luppo del bambino, non sono variabili in-

dipendenti, bensì funzioni tanto più con-

trollabili quanto più se ne riconosce l’u-

tilità e si adeguano le condizioni che le

possono meglio orientare verso la for-

mazione di personalità individualmente e

socialmente equilibrate

Promuovere l’obbe-dienza e controllare ladisobbedienza

Le condizioni più favorevoli alla promo-

zione dell’obbedienza e al controllo del-

la disobbedienza si sono dimostrate quel-

le che, ovviamente, garantiscono un con-

testo familiare e sociale ragionevolmen-

te scevro di conflittualità: nel merito, è

di fondamentale importanza l’accordo

dei genitori e la consonanza del loro agi-

re educativo. Non meno fruttuosa è la

condizione in cui l’azione educativa è as-

sociata a manifestazioni di affetto e di

comprensione. Del tutto controprodu-

centi sono le coercizioni e le punizioni

sproporzionate e soprattutto tardive,

causa frequente di bambini difficili e ag-

gressivi. Infine, i risultati migliori vengo-

no ottenuti quando il rapporto genito-

ri-bambini è diretto, chiaro e onesto.

Richieste di obbedienza non precise, non

ragionevoli, non rispettose della perso-

nalità del bambino e delle sue esigen-

ze, non coinvolgenti la sua possibilità di

dire la sua, anche da parte dei più pic-

coli, sono controproducenti per otte-

nerla e per tenere sotto controllo le dis-

obbedienze. Anche per quanto riguar-

da l’obbedienza e la disobbedienza, è

necessario che vi sia il convinto ricono-

scimento che il bambino, a tutte le età,

non è un soggetto passivo da coercire,

bensì una persona attiva e competente

da coinvolgere attivamente nell’azione

educativa. ■

9

Gli effetti dellaDISCIPLINA

La disciplina si impara. Nei primi sei anni di vita vi sono straordinarie opportunità di apprendimento.Successivamente è ancora possibile imparare alcune di queste lezioni, ma spesso ciò diventa più difficile e dolo-roso per il bambino. Ecco alcune delle prime conquiste in cui la disciplina ha un ruolo chiave:• l’autocontrollo: riconoscere i propri impulsi, ciò che li scatena e come possono ferire gli altri, e imparare a trattenersi dall’agire in base a essi;

• riconoscere i propri sentimenti e come nascono, dar loro un nome, esprimerli o, se necessario, tenerli riservati;• immaginare i sentimenti degli altri, capire da che cosa hanno origine e dare loro importanza, riconoscendo l’effetto che il proprio comportamento ha sugli altri;

• sviluppare un senso di equità e la motivazione a comportarsi in modo equo;• l’altruismo: scoprire la gioia di dare, al punto di sacrificarsi per un altro essere umano.Ciascuna di queste capacità di vitale importanza servirà durante l’adolescenza e per tutto il resto della vita. Ma impa-rarle successivamente ai primi anni è più difficile, senza di esse, ben più arduo sono le sfide degli anni a venire.

Brazelton TB., Sparrow JD. Il tuo bambino e la disciplina. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2003.

“La disciplina è il frutto

di un costante, paziente ap-

prendimento, impostato su

richieste chiare, ragionevoli

e comprensibili.”

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Nelle pagine precedenti di questo nu-

mero sono state discusse le principali mo-

dalità secondo le quali l’educazione può

venire impartita ai bambini: permissiva, au-

torevole, disimpegnata, indicando in

quella autorevole la più efficace per lo svi-

luppo positivo del bambino. Ora è il ca-

so di approfondire quelle diffuse forme er-

rate di educazione che generalmente han-

no conseguenze dannose sia individuali,

a carico dei bambini, sia sociali, a carico

della famiglia e della società.

L’educazione troppo permissiva

Vi sono genitori che ritengono che i bam-

bini siano in grado di comprendere gran

parte di quello che capiscono gli adulti,

per cui pensano che basti spiegare con

garbo come sia meglio comportarsi in una

certa situazione per ottenere obbedien-

za: secondo loro, l’imperativo “devi”, se

è insopportabile per un adulto, lo è an-

che per un bambino. Questo tipo di ge-

nitori tendono spesso a giustificare la lo-

ro permissività adducendo la spiegazione

di non voler far soffrire il bambino, come

un atto d’amore verso di lui. In realtà, co-

sì facendo, essi non consentono al bam-

bino di appropriarsi di norme chiaramente

e fermamente espresse, impedendogli o

rallentandogli la maturazione di una

propria capacità di autoregolarsi, di svi-

luppare una propria coscienza di che co-

sa è giusto e possibile fare e di quello che

non lo è. Infine, l’eccessiva permissività

può venire percepita dal bambino non co-

me manifestazione d’amore, bensì come

un segnale di indifferenza, di scarsa o as-

sente disponibilità a occuparsi di lui, men-

tre egli ha bisogno di sentire di essere pro-

tetto e guidato anche con la fermezza di

“no” giusti e pertanto non negoziabili.

I suoi stessi capricci rappresentano una ri-

cerca dei limiti, dei punti di riferimento,

delle regole entro le quali egli trova o ri-

trova la sicurezza di essere protetto e,

quindi, amato.

L’educazione troppo autoritaria

Vi sono genitori che esercitano una pres-

sione dispotica sui loro bambini. All’inse-

gna dell’“io ho sempre ragione”. Questi

genitori non lasciano spazio alle spinte del

bambino verso l’autonomia e l’indipen-

denza, non solo in termini di limitazioni

nell’agire, ma anche nel pensare e nel vi-

vere liberamente le proprie emozioni e i

propri sentimenti. Il risultato di questo ti-

po di educazione, che compromette l’af-

fettività del bambino, consiste spesso nel-

lo sviluppo di una personalità ribelle e vio-

lenta; oppure può verificarsi un cedimento

nelle capacità di resistenza del bambino

verso le imposizioni dei genitori, con il ri-

sultato di ottenere una personalità che ri-

nuncia a sviluppare le proprie autentiche

potenzialità per diventare un altro indivi-

duo privo di personalità pronto soltanto

ad obbedire.

Molto spesso i genitori autoritari giustifi-

cano i loro metodi coercitivi e spesso umi-

lianti con la pretesa di metterli in atto per

“il bene del bambino”. Questo fine non

li rende accettabili, ma soprattutto non ne

attenua le conseguenze. Fra queste, vi è

quella di far diventare quei bambini, una

volta cresciuti, genitori autoritari e violenti,

non in grado di giudicare negativamen-

te i propri padri e madri. L’odio e il ran-

core che tuttavia si generano nel loro in-

timo, per gli eccessi genitoriali di cui so-

no stati vittime, diventano allora parte del-

la loro personalità, ingredienti dei loro

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

Forme errate di educazione hanno conseguenze dannose oltreche sui bambini stessi, anche sulla famiglia e sulla società.

LE CONSEGUENZEDEI SISTEMIEDUCATIVI

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comportamenti verso gli altri e, in parti-

colare, verso i propri figli. L’incondiziona-

ta sottomissione di un bambino alla di-

spotica imposizione di obbedienza di un

genitore può essere ottenuta in vari mo-

di: la coercizione fisica o il ricatto psico-

logico, soprattutto la minaccia della sot-

trazione dell’amore genitoriale.

Si legge in una enciclopedia tedesca del

1887: “Ancor prima di divenirne co-

sciente, bisogna che il bambino avverta

l’ordine e la disciplina acciocché passi al-

lo stadio della coscienza vigile dopo aver

acquisito buone abitudini e aver messo un

freno alla prepotenza dell’egoismo dei

sensi. […] L’educatore deve quindi instil-

lare obbedienza esercitando il suo pote-

re mediante sguardi severi, parole decise,

eventuale costrizione fisica che, se non

producono del bene, almeno impedisco-

no di fare il male, e per mezzo di puni-

zioni. Non è tuttavia necessario che que-

ste ultime facciano principalmente leva sul

dolore fisico, dato che possono basarsi,

a seconda del tipo o della frequenza del-

la disobbedienza, sulla privazione di be-

nefici e sulla riduzione delle dimostrazio-

ni di amore. Per esempio, nel caso di un

bambino sensibile, il quale voglia mette-

re in discussione l’autorità dei genitori,

può rivelarsi efficace allontanarlo dal

grembo materno, il rifiuto da parte del pa-

dre di dargli la mano o il ricusargli il ba-

cio della buona notte e così via. Mentre

con le dimostrazioni d’amore si conqui-

sta l’affetto del bambino, [il timore di per-

dere] questo stesso affetto servirà a ren-

derlo più ricettivo alla disciplina.”1

L’educazione frustrante

L’obiettivo di ogni processo educativo è

principalmente rivolto a far comprende-

re al bambino che i suoi desideri non so-

no sovrani e pertanto tali da dover esse-

re sempre e immediatamente soddisfat-

ti. In altre parole, si può dire che lo svi-

luppo della personalità di un bambino e

il suo adattamento sociale sono favoriti

da un contenimento dei suoi desideri, pas-

sando attraverso una successione di si-

tuazioni frustranti. Il problema educativo

dei genitori consiste essenzialmente nel

distinguere fra frustrazioni tollerabili, uti-

li allo sviluppo, e frustrazioni eccessiva-

mente intense che possono produrre nel

bambino conseguenze anche molto ne-

gative. Non soddisfare il desiderio di un

bambino di possedere un giocattolo, per

esempio, può produrre, come effetto del-

la frustrazione subita, uno scoppio di col-

lera, di furia, di disperazione oppure di to-

tale indifferenza.

In tema di frustrazioni educative, è op-

portuno, perché non siano controprodu-

centi, tener conto delle capacità del bam-

bino di tollerarle sia in termini di intensi-

tà sia di frequenza. Vi sono bambini ai

quali risulta insopportabile ogni differi-

mento o limitazione del soddisfacimento

dei loro desideri e lo dimostrano con ma-

nifestazioni di rabbia, di impazienza, ma

spesso anche di infelicità, comunque sem-

pre con l’ostinata pretesa dell’appaga-

mento del loro desiderio, opponendosi ad

ogni tentativo di compromesso.

Vi sono invece bambini che tollerano la

stessa dose di frustrazione con relativa se-

renità e sono disposti ad accettare grati-

ficazioni sostitutive. In ogni caso, è ne-

cessario prestare molta attenzione nel pra-

ticare azioni educative a contenuto fru-

strante per non ostacolare o deviare lo svi-

luppo del bambino: “Le frustrazioni e le

proibizioni, fra l’altro spesso inevitabili, co-

stituiscono un’utile esperienza, ma se un

11

“L’eccesso di permissività

può essere percepito dal

bambino come disinteresse

o noncuranza da parte del

genitore.”

LE CONSEGUENZEDEI SISTEMIEDUCATIVISBAGLIATI

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ragazzino subisce decine di proibizioni al

giorno, se si sente dire di non fare que-

sto e quello ogni volta che si muove, se

è costantemente bersagliato da una

pioggia di ‘no’, allora delle due l’una: o

si rassegna a subire tutto, a rinunciare a

tutto, a sottomettersi a tutto, e andrà in-

contro ad una vita grama di gregario, di

suddito, di servo oppure di padrone e di

‘caporale’, che è la stessa cosa; oppure de-

ciderà che i divieti non hanno alcun va-

lore e rappresentano soltanto una fasti-

diosa e molesta intrusione, in presenza

della quale è meglio far finta di niente e

comportarsi da ciechi e sordi.”2 Nell’uno

e nell’altro caso, il risultato è quello di fa-

vorire personalità o svantaggiate o poco

socialmente produttive.

L’educazione costellata di bugie

L’abitudine di non dire la verità ai bam-

bini, da parte degli adulti in generale e dei

genitori in particolare, è tanto diffusa da

essere considerata del tutto normale, pri-

va di ogni motivo di sanzione sociale. Le

ragioni per cui i genitori mentono ai loro

bambini sono innumerevoli, spesso del

tutto innocenti se non fosse che posso-

no essere comunque negative per i pic-

coli.

Si mente sui propri ricordi, per “infiorar-

li” e accrescere il proprio prestigio agli oc-

chi ingenui dei propri bambini.

Si mente perché non si ha il coraggio di

dire quel che si pensa, spesso perché non

lo si ritiene adatto per ragioni sociali.

Si mente per tagliar corto, perché non si

ha il tempo o la voglia di spiegare so-

prattutto in tema di denaro, di politica, di

religione, di sesso.

Si mente per tenere lontano i bambini da

esperienze di violenza.

Tutte ragioni apparentemente buone, o

per lo meno accettabili, ma non per que-

sto da accogliere in blocco senza le ne-

cessarie distinzioni.

Innanzitutto una cosa è non dire la veri-

tà, altra cosa sostituire la verità con la

menzogna: questo mina, compromette,

a partire all’incirca dal primo anno di vi-

ta, lo sviluppo della fiducia, ingrediente

fondamentale per impostare il rapporto

del bambino con il mondo.

Cinicamente si potrebbe dire che del

mondo e verso il mondo la fiducia, ac-

quisita e data, può essere addirittura con-

troproducente, mentre più utile sarebbe

conoscere e praticare menzogne e in-

ganni, a proprio esclusivo interesse.

Ma così è bene che non sia, a maggior

vantaggio della qualità della vita del sin-

golo e della società, perché non c’è vera

vita nella falsa: i genitori che non hanno

consapevolezza, o ignorano il peso che la

verità può avere nello sviluppo del loro

bambino verso una personalità in armo-

nia con se stesso e con gli altri, gli rendono

difficile il cammino in tale direzione.

Perché genitori che non praticano una

educazione improntata alla verità, a par-

tire dalle piccole cose di ogni giorno, dif-

ficilmente avranno figli sinceri, capaci di

capire i pensieri e gli stati d’animo del

prossimo, anche delle persone più vicine

con le quali condividono l’esistenza. Nel-

l’educazione alla sincerità, l’obiettivo è

quello di evitare che la rappresentazione

di se stessi e della realtà si realizzi in una

visione basata sulla menzogna.

I bambini piccoli confondono desideri e

realtà per cui sono portati, del tutto in-

nocentemente, a percepirli e o rappre-

sentarli al di fuori della sincerità, tesi alla

gratificazione immediata, immaginando

come reali cose e circostanze che tali non

sono. Quando il bambino, nel suo svi-

luppo, giunge a ragionare e a controllar-

si, allora è capace di distinguere ciò che

è reale da ciò che non lo è, per cui le sue

enunciazioni possono essere consapevol-

mente vere o false (bugie). Alcuni bam-

bini impiegano più tempo per passare dal-

la prima alla seconda situazione, per cui

le loro “bugie” non sono da considerare

più tali perché conservano la primitiva in-

nocenza. Altri, pur avendo portato nor-

malmente a termine il proprio sviluppo,

se esposti a frustrazioni eccessive, af-

frontano le realtà per loro insostenibili ri-

fugiandosi nelle menzogne “di fantasia”,

popolate di forme infantili di gratificazione

del desiderio.

Particolari situazioni di deprivazione af-

fettiva, di disagiate condizioni socioeco-

nomiche possono spingere il bambino pri-

ma, l’adolescente e l’adulto poi, a ricor-

rere ad una cortina di invenzioni destina-

te, nelle intenzioni, a compensare caren-

ze che non si riescono a sopportare. Ti-

pico è il caso dell’orfano che nega la mor-

te della madre contro ogni evidenza, ne-

gazione che esprime una intensa esigen-

za d’amore e l’incapacità di elaborare una

perdita. Di fronte a questo tipo di bugie

è opportuno indagarne a fondo le cause

e affrontarle adeguatamente sul piano psi-

cologico perché persistendo non com-

promettano lo sviluppo psicoaffettivo del

bambino.

Per evitare tutte le altre forme di bugia,

fondamentale è l’atteggiamento dei ge-

nitori: i figli saranno sinceri se potranno

constatare che i genitori lo sono sempre.

Le inevitabili piccole bugie, rese necessa-

rie dalle convenienze sociali, vanno sem-

pre tempestivamente spiegate.

Naturalmente, l’azione educativa o dis-

educativa dei genitori va inquadrata nel

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

LE CONSEGUENZEDEI SISTEMIEDUCATIVISBAGLIATI

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complesso della famiglia e del suo fun-

zionamento, delle interazioni fra i suoi

componenti, spesso caratterizzate da vi-

stose confusioni di ruoli anche rispetto ai

processi educativi. I vari membri della fa-

miglia, magari convinti di agire per il me-

glio, si intromettono eccessivamente nei

pensieri, nelle emozioni, nelle azioni gli uni

degli altri, per cui il bambino finisce per

non capire più con chi ha a che fare, per-

dendo così precisi punti di riferimento

educativi (vedi riquadro).

Due altri fattori, infine, devono essere con-

siderati come causa di comportamenti

educativi controproducenti: l’iperprotet-

tività e la tendenza a evitare situazioni di

conflittualità intrafamiliari.

L’iperprotettività può rappresentare un fat-

tore diseducativo non da trascurare, spe-

cialmente quando è eccessiva e coinvol-

ge reciprocamente tutti i membri della fa-

miglia; l’iperprotettività infatti può com-

promettere lo sviluppo delle capacità del

bambino di rapportarsi al mondo ester-

no, di diventare un normale soggetto so-

ciale, e lo stesso può dirsi dell’evitamen-

to dei conflitti.

Bisogna prendere atto del fatto che non

sempre una famiglia equilibrata è una fa-

miglia che non manifesta conflitti. Eludere

i dissensi, il confronto, può non infre-

quentemente rappresentare l’incapacità di

affrontarli, lasciandoli sedimentati, ma non

resi inerti, nel fondo delle coscienze che

vengono impedite nello sviluppo della lo-

ro identità e della loro autonomia e quin-

di meno capaci di entrare e vivere “edu-

catamente” nel mondo. ■

1. Passaggio riportato in: Miller A. La per-

secuzione del bambino. Torino: Bollati Bo-

ringhieri Editori, 1980.

2. Bernardi M. L’avventura di crescere. Mi-

lano: Fabbri Editori, 1995.

13

I principali tipi di FAMIGLIA

La famiglia chiusa. Questo tipo di famiglia è caratterizzato da modali-

tà organizzative e relazionali tendenzialmente rigide, con una netta

distinzione tra ruolo paterno, più normativo, e ruolo materno, più orien-

tato all’accudimento. Il funzionamento è caratterizzato da aspetti di con-

trollo e di minore flessibilità rispetto alle dinamiche psicologiche interne

e agli scambi con il contesto ambientale circostante. Gli aspetti di ordi-

ne e di disciplina possono portare ad una situazione di stabilità e chia-

rezza normativa e comportamentale, anche se sono poco in grado di

promuovere le naturali tendenze verso uno sviluppo delle personalità

individuali.

La famiglia aperta. Questo tipo di famiglia non ha al suo interno una

precisa predominante figura di riferimento. I componenti intrattengono

rapporti su un piano paritario, con larghi margini di autonomia e auto-

gestione di ciascun componente, sia all’interno sia verso l’esterno, con

ampia apertura alle relazioni sociali. Le decisioni importanti vengono

abitualmente concordate o, talvolta, prese in termini eccessivamente

semplificanti. L’elasticità dei ruoli e delle relazioni può creare le premes-

se per aspetti di promozione delle risorse autonome, ma può anche crea-

re un contesto di insufficiente accudimento e sostegno ambientale, favo-

rendo un funzionamento egocentrico e orientato alla primaria soddisfa-

zione dei bisogni.

La famiglia vuota. Questo tipo di famiglia è caratterizzato dalla man-

canza di precise figure di riferimento e da rapporti interpersonali in cui

predominano gli aspetti formali e comportamentali, a discapito dei pro-

cessi di identificazione e personalizzazione di ciascun componente del

gruppo familiare. Prevalgono gli aspetti concreti, in cui vengono mini-

mizzate le reciproche richieste relazionali, vissute come “disturbo”, a

favore di una gestione individualistica dei bisogni e delle risposte perso-

nali, che trovano una qualche forma di soddisfazione esclusivamente al

di fuori del contesto familiare.

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L’apprendimento delle regole di com-

portamento socialmente condivise, la ca-

pacità di vivere nel mondo in rapporto con

gli altri, è frutto di un lungo processo di

maturazione che impegna il bambino e

chi lo deve educare a partire dai due an-

ni di età del piccolo. Per lungo tempo, nel-

l’ambito della psicologia dell’età evoluti-

va, è prevalsa una visione del bambino so-

stanzialmente negativa, dovuta princi-

palmente a due studiosi che pure hanno

dato contributi fondamentali alla com-

prensione sia dello sviluppo emotivo-af-

fettivo del bambino (Sigmund Freud,

1856-1939) sia di quello cognitivo, delle

capacità di conoscenza e di comprensio-

ne (Jean Piaget, 1896-1980).

Nell’epoca loro, e di numerosi altri psico-

logi, il bambino veniva rappresentato, al-

meno fino ai tre anni, come un essere

egoista, centrato su se stesso, ben poco

disponibile alla cooperazione, tenden-

zialmente aggressivo. Tutte cose parzial-

mente vere, ma che non giustificano la

convinzione di Piaget secondo la quale i

bambini sarebbero incapaci di cooperare

con gli altri o di interessarsi ai loro pro-

blemi fino all’età di 6 anni. Numerose os-

servazioni e ricerche sperimentali succes-

sive ai suoi studi hanno invece dimostra-

to che i bambini già intorno ai due anni

non solo dimostrano di comprendere le

regole dei comportamenti sociali di base,

ma sono anche in grado di interpretare

il senso degli insegnamenti impartiti da-

gli adulti. In sostanza, a 2 anni i bambi-

ni non si limitano solo a obbedire mec-

canicamente ai desideri-ordini dei genitori,

ma cercano di dare un senso a ciò che vie-

ne loro richiesto, manifestando persino i

primi segni di una capacità di darsi regole

proprie. Questo implica ancora una vol-

ta che i genitori si devono porre verso i

bambini con un vero rispetto della loro

personalità, badando a guidarli bene e a

non pretendere di dirigerli in modo irra-

zionale e autoritario.

La comprensione delle regole socialiAll’inizio la capacità di comprensione del

bambino è soltanto parziale e intuitiva

piuttosto che completa ed esplicita; dal

terzo anno di vita, essi divengono sem-

pre più capaci di verbalizzare le regole e

di insistere sulla loro applicazione (alme-

no quando il bambino è interessato!). Fra-

si del tipo: “Tocca a me” e “Non è tuo”

mostrano che il bambino ha compreso, a

livello pratico, che il comportamento so-

ciale è ordinato in determinati modi che

devono essere rispettati da tutti i mem-

bri del gruppo, e che il non rispettarli com-

porta conseguenze prevedibili e solita-

mente spiacevoli. Essi possono discutere

le regole, scherzarci sopra o piuttosto in-

frangerle deliberatamente, ma l’idea fon-

damentale di regola è stata ormai fer-

mamente inculcata nelle loro menti.

L’importanza del gioco e dell’amicizia

Nell’età prescolare, il terreno su cui si rea-

lizza il processo di socializzazione è rap-

presentato essenzialmente dal gioco e dal-

la ricerca del soddisfacimento di un fon-

damentale bisogno del bambino: quello

di stabilire rapporti di amicizia con i pro-

pri simili. Questo bisogno può essere ri-

levato fin dai primi anni, quando il bam-

bino, soprattutto verso i 3-4 anni, co-

mincia a passare dal gioco solitario, an-

che se in presenza di altri bambini, ai gio-

chi condivisi, in cui è possibile riconosce-

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

A partire dai due anni di età ibambini cominciano a capire ilsignificato di ciò che viene lo-ro richiesto di fare o di non fa-re ed è perciò possibile ini-ziare a far acquisire le regoleche permetteranno loro di vi-vere in armonia con gli altri.

E LE REGOLE OCIALI

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re preferenze, gelosie ecc. In questi anni

l’amicizia diventa lo spazio psicoaffettivo

in cui il bambino ricerca e condivide la sua

vita interiore (pensieri, sentimenti, emo-

zioni) e in cui mette alla prova la reale pos-

sibilità di essere amato, di essere consi-

derato anche al di fuori della famiglia e

su tale considerazione costruire e/o raf-

forzare la propria autostima.

Questa età ha una forte connotazione “al-

truistica” e pertanto costituisce un cruciale

passaggio di emancipazione del bambi-

no dall’egocentrismo della prima infan-

zia, maturandolo verso la capacità di com-

prendere gli altri e quindi di vivere nel

mondo. È questo anche il periodo in cui

maggiormente le figure genitoriali do-

vrebbero impegnarsi nel favorire il pro-

cesso di socializzazione del bambino, sia

ampliando le sue possibilità di frequen-

tare compagni della sua età anche al di

fuori dell’Asilo nido e della Scuola del-

l’infanzia sia consentendogli di parteci-

pare alla vita degli adulti non familiari, in

modo da abituarlo a riconoscere con-

cretamente l’esistenza di una realtà al di

fuori degli abituali rapporti con i genito-

ri e i fratelli. Infatti “è nella famiglia, nel

rapporto con i genitori, che il bambino

costruisce quella base sicura da cui sca-

turisce la stima di sé e la fiducia nelle pro-

prie capacità. Ma è nel confronto con i

coetanei che questa fiducia trova una ve-

ra conferma sociale”1.

La socializzazione inizia in famiglia

Detto questo, è tuttavia opportuno ri-

cordare che se l’Asilo nido e la Scuola

dell’infanzia, così come le esperienze al

di fuori delle mura domestiche, hanno

un ruolo importante nei processi di so-

cializzazione, la propria casa, i propri fa-

miliari costituiscono l’ambiente più ef-

ficace per acquisire consapevole cono-

scenza del mondo e delle regole per vi-

verci in proficua armonia con gli altri. Gli

elementi promotori della socializzazione

in ambito familiare sono tanto ad alto

rendimento quanto semplici: partecipa-

re ai lavori domestici, dialogare con i ge-

nitori e i fratelli, mangiare insieme, an-

dare insieme a fare la spesa e così via.

Nella promozione della socializzazione

non è solo importante che i genitori vi

prendano parte in modo costantemente

attivo, ma che lo facciano secondo mo-

dalità che l’esperienza, le osservazioni e

le ricerche degli psicologi hanno dimo-

strato essere le più efficaci.

■ I principi, le regole, le conseguenze

del loro mancato rispetto devono

essere fatti capire al bambino in

modo breve e chiaro.

■ Gli insegnamenti e le spiegazioni non

devono essere impartiti in modo dis-

taccato e freddo, bensì accompagna-

ti da una calda partecipazione emoti-

va che farà meglio comprendere al

bambino l’importanza di quanto gli

viene raccomandato.

■ I comportamenti corretti vanno sem-

pre adeguatamente apprezzati in

modo che il bambino sviluppi da se

stesso un’immagine positiva che non

vorrà compromettere con successivi

atti riprovevoli.

■ Nell’educazione del bambino al

rispetto delle regole sociali, l’esempio

degli adulti è più efficace di qualsiasi

sermone.

■ L’attività educativa deve essere sem-

pre connotata da una relazione di

forte affettuosità fra adulti, special-

mente i genitori, e il bambino. ■

1. Vegetti Finzi S., Battistin AM. I bambini

sono cambiati. La psicologia dei bambini

dai 5 ai 10 anni. Milano: Mondadori, 1996.

15

E LE REGOLE OCIALI

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S

Silvia Vegetti Finzi, Anna Maria BattistinI BAMBINI SONOCAMBIATILa psicologia dei bambinidai 5 ai 10 anni

Milano: Mondadori, 1996.

€ 11,00

i bambini di oggi sono cambiati.crescono sempre più in fretta. a sette, otto anni sono già infor-mati, riflessivi, attenti alle novità,ma anche esigenti e caparbi, spes-so soli e privi di vere risposte. come vivono veramente gli annibrevi e sfuggenti che li separanodall’adolescenza, e soprattutto co-me possono essere aiutati ad af-frontare la vita che si apre loro da-vanti? Gli adulti, che vorrebberocapirli meglio e aiutarli di più,spesso si trovano disorientati e nonriescono a comprendere non soloche cosa ma anche come pensano.

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Il bambino timido è subito riconoscibi-

le: a scuola, fra gli altri coetanei quasi non

ci si accorge di lui, perché non dà fasti-

dio a nessuno; gli insegnanti non si la-

mentano di lui perché, non facendosi sen-

tire, passa inosservato. Il suo disagio di

fronte a estranei si manifesta con com-

portamenti esitanti, impacciati: arrossisce,

ha difficoltà a iniziare un discorso, spes-

so si autoesclude dai rapporti sociali. Tal-

volta, il bambino timido esercita su se stes-

so un autocontrollo che si traduce in un

aumento della tensione muscolare che

conferisce all’andatura del corpo e ai ge-

sti uno stile goffo, esitante; tuttavia, su-

perato il momento iniziale di difficoltà, i

comportamenti tornano del tutto normali.

I diversi tipi di timidezza

La timidezza può avere carattere occa-

sionale, quando fa la sua comparsa in si-

tuazioni inconsuete o comunque insoli-

te, oppure può essere un elemento tipi-

co del bambino. In generale, si può di-

re che vi sono due tipi di bambino timi-

do. Il primo tipo di bambino timido pre-

senta un’inibizione dovuta, in gran par-

te, a un’educazione eccessivamente re-

pressiva, che ha tarpato le ali alla sua

spontaneità, sulla base di valori psicolo-

gici e morali che non hanno tenuto suf-

ficientemente conto delle sue necessità.

Si crea così un conflitto tra bisogni e di-

vieti; prevalendo questi nell’anima del

bambino si giunge a una rinuncia, a una

autocensura nei confronti di ciò che egli

vorrebbe fare, dire, pensare.

Il secondo tipo di bambino timido può svi-

luppare questa sua caratteristica in con-

seguenza di alcuni problemi legati alle sue

condizioni fisiche e psichiche. Si tratta di

soggetti che presentano delle irregolari-

tà dello sviluppo, come ritardi motori an-

che semplici, ritardi del linguaggio, lievi

deficienze intellettive che agiscono ne-

gativamente sulla fiducia in sé. In questi

casi, l’atteggiamento inibito e rinuncia-

tario del bambino esprime il timore di

“non essere all’altezza”, di fare brutta fi-

gura, di vedersi confermata una volta di

più la propria inadeguatezza. Di fronte a

questi problemi, si corre spesso il rischio

di travisare la natura dei comportamenti

inibiti del bambino, attribuendone la cau-

sa a fattori psicologici che invece ne so-

no l’effetto: il bambino non è impaccia-

to e maldestro perché è timido, bensì è

timido perché impedimenti di ordine fisi-

co lo costringono a comportamenti im-

pacciati e maldestri di cui teme le even-

tuali conseguenze mortificanti. È chiaro

che in questi casi sarà necessario valuta-

re i limiti funzionali del bambino e su que-

sti agire perché non diventino causa per-

manente di scarsa confidenza in se stes-

so, di senso di inferiorità, di compromis-

sione del sentimento del proprio valore e

delle proprie capacità (autostima).

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

La timidezza può essere la conseguenza di un senso di ina-deguata considerazione delle proprie capacità e del proprio va-lore dovuto a un’educazione improntata alla negatività che nonha permesso di raggiungere una sufficiente autostima.

timidi

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Come si costruiscel’autostima

La conseguenza più importante di un’au-

tostima soddisfacente è costituita dall’in-

fluenza esercitata sullo stato emotivo ge-

nerale di una persona, che a sua volta in-

fluenza il grado di motivazione e di inte-

resse per le attività proprie di ogni età.

I giovani con elevata stima di se stessi ri-

sultano, da numerose indagini, più crea-

tivi, meno conformisti, più aperti alle re-

lazioni sociali, più dotati nelle prestazio-

ni scolastiche, più sicuri di sé e con una

percezione più sviluppata del proprio ren-

dimento1.

I fattori che concorrono a sviluppare l’au-

tostima in una persona sono numerosi e

di vario ordine (genetici, familiari, sociali),

ma principale, o per le meno assai im-

portante, appare essere l’azione educati-

va nell’infanzia soprattutto da parte dei ge-

nitori. Questi ultimi incorrono spesso in er-

rori non solo nei modi di educare all’au-

tostima i loro bambini, ma anche nei tem-

pi. Non si tiene nel dovuto conto che i

bambini già dai 2-3 anni sono capaci di

autovalutazione, cioè di autostima, men-

tre la tendenza è di focalizzare l’attenzio-

ne (quando ciò avviene, nei genitori più

accorti) principalmente nel corso dell’a-

dolescenza. Questa tendenza è spesso ali-

mentata dal fatto che, nel passaggio dal-

l’infanzia all’età adulta, il consolidamen-

to dell’autostima può venire compromes-

so per quella crisi di identità cui vanno in-

contro molti adolescenti, per l’incertezza

del presente e ancor più del futuro.

Nel considerare la maturazione dell’au-

tostima, dei modi e dei tempi per favo-

rirla, è utile tener conto che nei primi an-

ni di vita il bambino non possiede anco-

ra la capacità di stimare il proprio valore

in termini globali: egli è in grado di valu-

tare i propri comportamenti in modo se-

parato e differente: l’interesse può esse-

re rivolto all’aspetto fisico, alle prestazio-

ni scolastiche, alle attività sportive, al suc-

cesso nelle relazioni sociali. Un’autovalu-

tazione globale, invece, non emerge fi-

no all’età dei 7-8 anni: soltanto allora i

bambini riescono a valutare se stessi in-

dipendentemente dalle prestazioni in

particolari situazioni.

La gradualità dei processi di maturazio-

ne dell’autostima impongono altrettan-

ta gradualità nelle attenzioni che so-

prattutto i genitori sono tenuti a prestare

per sostenerla, basandole su alcuni

principi generali assai semplici. Nell’e-

ducazione del bambino, l’incoraggia-

mento può produrre risultati migliori del-

le punizioni e dei rimproveri. Incoraggiare

un bambino significa:

■ accettare e valorizzare senza condi-

zioni la sua persona, il suo pensiero, i

suoi sentimenti;

■ dimostrargli fiducia;

■ mettere in evidenza gli aspetti positi-

vi delle sue azioni e dei suoi compor-

tamenti;

■ riconoscere i suoi sforzi per migliorar-

si, piuttosto che proporgli o imporgli

sempre nuovi obiettivi da conseguire.

Naturalmente, l’azione dei genitori non

è l’unico fattore promotore dello svilup-

po dell’autostima nel bambino; una par-

te importante è sostenuta dai rapporti so-

ciali. “I compagni di classe, in particola-

re, hanno un ruolo importante nella me-

dia infanzia e nella prima adolescenza,

sebbene sia risultato che l’influenza dei

genitori è ben lontana dall’essere sop-

piantata da quella dei coetanei, come è

stato qualche volta affermato. Comun-

que, qualsiasi persona che in un partico-

lare momento risulti importante nella vi-

ta di un bambino influisce sull’eventuale

aumento o diminuzione della sua fiducia

in se stesso. Le influenze esterne non so-

no tuttavia totalmente responsabili del-

l’autostima; i modelli che s’instaurano, ciò

che provano i bambini se li raggiungono

o meno e le precise implicazioni che que-

sto comporta per l’autostima dipendono

in larga misura dai bambini stessi. La per-

cezione del proprio valore può dipende-

re (anche) da influenze ereditarie”1.

Il rapportocon i genitoriNello sviluppo dell’autostima, le differenze

maggiori possono essere attribuite al rap-

porto che il bambino ha con i propri ge-

nitori. In una ricerca rimasta classica sul-

l’autostima nei ragazzi in età compresa tra

i 10 e gli 11 anni2 è risultato che “i ra-

gazzi con molta stima di sé avevano dei

genitori che li accettavano totalmente e

che, nonostante ponessero delle restrizioni

ben definite al loro comportamento, per-

mettevano ai figli una notevole libertà”.

Senza generalizzare, si può concludere af-

fermando che, in una gran parte dei ca-

si, timidi non si nasce ma lo si può di-

ventare quando i rapporti familiari e so-

ciali non favoriscono o addirittura impe-

discono nel bambino lo sviluppo di una

sufficiente stima del proprio valore e del-

la propria capacità di agire positivamen-

te nel mondo. ■

1.Varie fonti riportate in: Schaffer HR. Lo

sviluppo sociale. Milano: Raffaello Corti-

na Editore, 1998.

2.Coopersmith S. The antecedent of self

esteem. Freeman, 1967. In: Schaffer HR.

op.cit.

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“Il bimbo di un anno talvolta dà schiaffi

sulla faccia della mamma quando si sen-

te di cattivo umore. A un anno e mezzo,

se è stato trattato gentilmente, è più fa-

cile che si trattenga dall’aggredire, ma sfo-

ga la sua stizza dando calci al pavimen-

to. A due anni e mezzo, quando qualcu-

no gli porta via il suo giocattolo, può pic-

chiare l’aggressore sulla testa con un pa-

letto, senza un attimo di esitazione. Mol-

to più incivilito è il bambino di quattro an-

ni. È probabile che discuta con l’altro pre-

potente, almeno per un po’ di tempo. In

altre parole, quando il vostro bimbo, a due

anni picchia la testa di un altro oppure a

quattro anni gioca col fucile e a nove gli

piacciono i fumetti pieni di avventure

cruente, attraversa semplicemente le fa-

si necessarie per domare i suoi istinti ag-

gressivi, per cui diventerà un rispettabile

cittadino. Lasciatelo sempre agire secon-

do la sua età”1.

L’aggressività “normale”

Questa è la descrizione di un bambino

normalmente, anzi provvidenzialmente

aggressivo. Infatti, l’aggressività è una

componente naturale di ogni personali-

tà, un ingrediente necessario per affron-

tare la vita: non per nulla il termine, che

deriva dal latino aggredior, significa

“cammino in avanti”. Il bambino vera-

mente aggressivo è un bambino che lo è

troppo, che aggredisce troppo spesso, con

l’intenzione di recare danno o quanto me-

no con atti tali da arrecarne in modo con-

sistente, accompagnati con espressioni del

viso che dimostrano ostilità. Il bambino ve-

ramente aggressivo non accetta di non ve-

dere soddisfatti i propri desideri, patisce

eccessivamente la frustrazione di non po-

ter conseguire i propri scopi, di non pri-

meggiare, non riesce a sopportare posi-

zioni di subalternità.

Diversamente da quello normalmente ag-

gressivo e turbolento, di solito benevol-

mente tollerato, il bambino troppo ag-

gressivo viene continuamente rimprove-

rato, spesso punito, emarginato dai suoi

compagni e dalle loro famiglie, impedi-

to, dai suoi stessi comportamenti, ad ave-

re un rapporto equilibrato con la realtà.

È un bambino generalmente considera-

to “cattivo”. Nel sistema bambino ag-

gressivo-genitori-mondo, la ricerca del-

le cause dell’aggressività ben difficil-

mente può giungere a una conclusione

diversa da quella di riconoscere che il

bambino aggressivo è sostanzialmente

una vittima, un po’ di se stesso, senza

colpa, ma soprattutto degli altri. In so-

stanza, il vero aggressivo è spesso un

bambino che soffre, è un bambino in-

felice, è un bambino che ha particolar-

mente bisogno di essere capito e aiuta-

to. E la comprensione e l’aiuto sono tan-

to più efficaci quanto più ci si rende con-

to degli effetti che possono avere i com-

portamenti dei genitori su quelli ecces-

sivamente aggressivi dei loro bambini.

Come aiutare un bambino aggressivo

Numerose ricerche hanno consentito di in-

dividuare alcuni comportamenti genitoriali

che maggiormente possono pesare fra le

cause dell’aggressività del bambino (Ta-

bella a lato). I risultati raggiunti non fan-

no che confermare le comuni esperienze

che, tuttavia, molto spesso non sono ade-

guatamente esaminate e, soprattutto, fat-

te oggetto di autocritica da parte degli in-

teressati. Naturalmente, non si tratta di in-

dividuare nei genitori dei “colpevoli”. Mol-

to spesso essi stessi sono delle vittime, per-

ché a loro volta sono stati allevati nell’in-

comprensione e nella coercizione da par-

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

iaggressivi

I bambini aggressivi non sono capaci di sopportare le nor-mali frustrazioni: spesso sono bambini infelici che hannoparticolare bisogno di essere capiti e aiutati.

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te dei loro genitori; perché sono cresciu-

ti in ambienti ostili; perché non è stato lo-

ro concesso di imparare adeguatamente

il mestiere di genitori; perché le difficol-

tà della vita riducono le possibilità di ade-

guata attenzione ai bisogni affettivi e spi-

rituali dei loro bambini. Tanti perché che

limitano le loro capacità di capire e di fron-

teggiare l’aggressività dei loro figli, dive-

nendone appunto anch’essi vittime. È

questa la condizione più sfavorevole per

educare il bambino all’equilibrata accet-

tazione delle regole entro le quali conte-

nere la propria aggressività.

Una ricetta unica per far fronte a tutti i

tipi e tutti i livelli di aggressività ovviamente

non esiste: ogni problema ha una sua spe-

cificità individuale, familiare, ambientale,

sociale; tuttavia, un suggerimento viene

generalmente proposto dagli esperti:

ogni tentativo di sviluppare nel bambino

la capacità di autocontrollare l’eccesso di

aggressività ha buone possibilità di riuscita

se, da parte degli adulti, viene basato sul-

l’impegno e sulla capacità di immedesi-

marsi e di far propri i problemi del bam-

bino fino a coglierne i pensieri, le emo-

zioni, gli stati d’animo: risultato conse-

guibile soprattutto dedicando tempo e at-

tenzione a un vero ascolto delle sue esi-

genze. Questo contribuirà a calmarlo e a

rassicurarlo che il suo disagio è preso dav-

vero in considerazione con partecipazio-

ne e affetto, che non è solo, abbandonato

nella riprovazione. ■

1. Spock B. Il bambino, come si cura e co-

me si alleva. Milano: Longanesi & C., 1954.

19

Comportamenti genitoriali maggiormente associatiall’AGGRESSIVITÀ DEL BAMBINO

L’aggressività di un bambino spesso riflette l’aggressività di genitori troppo proiettatinell’affermazione economica e sociale.

Permissività. L’eccessiva permissività dei genitori può venire interpretata dal bambino come approvazione deisuoi atti aggressivi, fisici e verbali, e come una licenza a esprimerli senza limiti.

Punitività. Punizioni frequenti, sproporzionate, non spiegate, incoerenti, impartite in tempi lontani dagli avveni-menti castigabili, possono essere vissute come atti ingiusti e alimentare ulteriori sviluppi dell’aggressività.

Rifiuto. Quando il bambino non è accettato, viene allevato nell’indifferenza, specialmente da parte della madre,non riceve riconoscimenti e ricompense per gli sforzi di controllo dei propri impulsi aggressivi, egli, frustrato nellesue attese, non avrà sufficienti motivazioni a frenarli.

Esempio. Molto spesso, bambini aggressivi sono figli di genitori aggressivi, proiettati all’affermazione individua-lista prevalentemente orientata al successo economico e sociale.

Rinforzo. Se quando il bambino compie un’azione aggressiva, il genitore risponde con malevola ostilità, il bam-bino risponderà accentuando il suo comportamento aggressivo, il genitore a questo punto aggraverà la sua rea-zione di punitiva ostilità rendendo più difficile o impossibile la ricomposizione del conflitto e il bambino aggres-sivo lo diventerà ancora di più.

iaggressivi

“Il bambino aggressivonon è capace

di sopportare frustrazioni, cerca il suo posto nel mondo senza

trovarlo”

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Nonostante tutte le connotazioni di

crisi e di instabilità che si possono ravvi-

sare in un gran numero di famiglie nel-

l’esperienza di ogni giorno, la famiglia

continua a essere l’istituzione centrale

della società, non solo per la perduran-

te capacità di provvedere alla sussisten-

za dei suoi piccoli componenti, ma an-

che per il suo ancora insostituibile ruo-

lo nella promozione del loro sviluppo psi-

coemotivo e morale. Il riconoscimento di

tale centralità non deve tuttavia ma-

scherare il fatto che assai spesso la fa-

miglia può essere il luogo in cui, con

maggiore frequenza e intensità, avven-

gono scambi interpersonali che sono por-

tatori di sofferenze psichiche e affettive.

Questa è fondamentalmente la ragione

per cui, di fronte ad una sofferenza o ad

anomalie comportamentali, l’attenzione

deve essere rivolta non solo al bambino,

ma anche all’insieme delle figure che ani-

mano la vita di relazione dell’intera fa-

miglia.

Che cos’è una “famiglia normale”?

Innanzitutto è necessario porsi una que-

stione essenziale: a fronte dei bisogni

dei bambini (Tabella 1) quale risposta la

famiglia di oggi è capace di dare e qua-

le famiglia invece è essa stessa causa di

disagio?

Molti studiosi hanno documentato che,

accanto ad alcuni dei principali bisogni

espressi dai bambini (bisogno di relazio-

ne, di amore e rispetto, di protezione e

incoraggiamento, di accudimento e so-

stegno, di ascolto e sicurezza), riconosciuti

come diritti dalla normativa vigente in-

ternazionale e nazionale, sono emersi con

chiarezza anche altri bisogni, per così di-

re, contemporanei, quali il bisogno di pro-

gettualità, di futuro, di ricomposizione (in-

terpretazione) delle varie e diverse espe-

rienze cui sono esposti.

Si può cominciare con il tentativo di de-

finire la famiglia normale, tentativo per-

ché questa istituzione è estremamente

complessa nella sua struttura e nelle sue

funzioni, a seconda di dove e come vie-

ne considerata nel tempo storico, nei luo-

ghi e nelle relative culture. Basandosi sem-

plicemente su criteri occidentali attuali e

intendendo per normale una struttura ab-

bastanza ben funzionante, la famiglia di

riferimento può essere definita come una

organizzazione di persone caratterizzata

dalla chiara distinzione dei ruoli, tuttavia

sufficientemente flessibili per evitare rigi-

dità autoritarie che renderebbero diffici-

li o impossibili contatti autentici fra i suoi

componenti. Chiarezza e distinzione dei

ruoli significano accettazione di una ge-

rarchia al cui vertice sono situati i genitori,

i quali, pur portatori di valori e metodi

educativi del passato, devono essere

aperti ai cambiamenti prodotti dallo svi-

luppo sociale. Portatori comunque posi-

tivi nella misura in cui sono stati capaci di

liberarsi dal vissuto di una eventuale pro-

pria infanzia infelice. Infatti, metaforica-

mente, nella stanza di ogni bambino ci so-

no spesso dei fantasmi: “sono i visitato-

ri del passato non ricordato dei genitori…

Nelle situazioni migliori questi visitatori,

ostili e non invitati, vengono cacciati dal-

la stanza e ritornano alla loro dimora sot-

terranea. Il bambino fa la sua imperativa

richiesta di amore al genitore e, proprio

come nelle fiabe, i legami d’amore pro-

teggono il bambino e i suoi genitori da-

gli intrusi, i fantasmi maligni.”1

Ma non sempre questo accade: i fanta-

smi maligni del passato dei genitori si in-

sediano nella stanza dei bambini impe-

dendo l’instaurarsi di un vero rapporto

d’amore, fondamento di uno sviluppo ar-

monico. I fantasmi nella stanza dei bam-

bini non sono sempre visitatori facilmen-

te sospettabili, anche quando i compor-

tamenti genitoriali sono vistosamente ge-

neratori di sofferenza. Ve ne sono di par-

ticolarmente subdoli, spesso paludati di

buone intenzioni e di finto amore, tali da

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

Una famiglia serena, sia pure con qualche contrasto rapidamente risolvibile, e ricca di costantiscambi affettivi, è la migliore garanzia per un armonico sviluppo della personalità del bambino.

Problemi in famiglia:

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confondere il giudizio sulla natura delle

famiglie anche le più apparentemente

normali. Al di fuori della cerchia della “fa-

miglia ideale” sono riscontrabili diversi al-

tri tipi di famiglie: la rigida famiglia chiu-

sa; la famiglia aperta in cui non si sa chi

sia il riferimento principale; la famiglia vuo-

ta in cui non esistono relazioni interper-

sonali improntate ad autenticità Oltre a

questi tipi di famiglie, se ne possono sin-

tetizzare altri due che non sono capaci di

provvedere alla crescita dei propri figli, tan-

to da dover essere considerate causa di

veri e propri disturbi psichici: sono le co-

siddette “famiglie disfunzionali patoge-

ne”, classificabili in disimpegnate e invi-

schiate.2

■ Le famiglie disimpegnate. In queste

famiglie i contatti sono scarsi, c’è

poca attenzione reciproca e i com-

portamenti dei membri della famiglia

non coinvolgono gli altri membri. Gli

individui appaiono scollegati, con

legami eccessivamente lassi e confini

eccessivamente rigidi; queste famiglie

falliscono nel mobilitare il sostegno

reciproco, non soddisfano le esigenze

di protezione dei loro membri e pre-

sentano una eccessiva tolleranza per

le deviazioni.

■ Le famiglie “invischiate”. In queste

famiglie i confini sono troppo per-

meabili e scarsamente delimitati; c’è

eccessiva prossimità tra i membri e un

basso livello di differenziazione e

autonomia; sono caratterizzate da

eccesso di preoccupazione reciproca

e iperprotettività; presentano scarsa

flessibilità e capacità di cambiamento.

Le due tipologie delineate costituiscono

due modelli tipologici ideali: le famiglie

reali comprendono aree di transizione sia

21

Tabella 1 I diritti dei bambini e i loro bisogni

I diritti dei bambini nella normativa internazionale

e italiana

Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (1989)■ Diritto di assistenza■ Diritto di protezione■ Diritto all’espressione e all’ascolto■ Diritto all’educazione■ Diritto al tempo libero e al gioco■ Diritto alla libertà di pensiero e di coscienza

Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo(1996)■ Diritto a essere ascoltato nei procedimenti il cui esito può

incidere sulla sua vita e sulla sua crescita

Legge 149/01 (adozione e affidamento)■ Diritto di crescere ed essere educato nella propria famiglia.■ Diritto di crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia.■ Diritto all’adozione in caso di abbandono.

I bisogni dei bambini nelle parole degli educatori■ Bisogno di relazione■ Bisogno di relazione con i coetanei■ Bisogno di contenimento■ Bisogno di sicurezza■ Bisogno di continuità■ Bisogno di futuro■ Bisogno di vicinanza■ Bisogno di ascolto■ Bisogno di progettualità■ Bisogno di fiducia nelle proprie competenze■ Bisogno di figure adulte di riferimento■ Bisogno di ricomposizione

Rielaborazione da. Accettulli A., Onofrio L., Taccani P. La comunicazione scritta tra

servizi sociali e autorità giudiziaria”. Roma. Carocci, 2004. In: Fondazione Paideia.

La quotidiana relazione con bambini in difficoltà. Supplemento al numero 10/2009

di Animazione sociale.

Problemi in famiglia:

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invischiate sia disimpegnate e si colloca-

no in un punto intermedio fra le due ti-

pologie estreme. Le strutture disfunzionali

familiari sono spesso il risultato dell’inca-

pacità della famiglia nel far fronte a ele-

menti stressanti esterni (problemi econo-

mici e sociali, eventi catastrofici) o inter-

ni (cambiamenti imposti dall’evoluzione

del ciclo vitale).

La struttura disimpegnata è di solito in re-

lazione con famiglie con gravi problemi

economici, con madri sovraccariche, au-

tosvalutanti, depresse, che si sentono

sfruttate, sole o scarsamente supportate

dal coniuge, incapaci di esercitare la fun-

zione di controllo e guida dei figli; la strut-

tura invischiata è caratterizzata da mec-

canismi di evitamento dei conflitti attra-

verso l’occultamento delle differenze e la

negazione del disaccordo.

Quando il problema è la famiglia

Nelle situazioni in cui il problema è la fa-

miglia, (mentre il bambino “difficile” è so-

stanzialmente una vittima) una delle

principali necessità da superare per riac-

quistare un sufficiente equilibrio nel rap-

porto educativo consiste nel rendersi con-

to, da parte degli adulti, dei propri moti-

vi di crisi in funzione delle conseguenze

che possono avere sui figli, non limitan-

do l’autoesame al solo proprio disagio, al

solo proprio dolore. L’impresa non è sem-

plice e tanto più difficile da affrontare

quanto più, ovviamente, la crisi familiare

è complessa e tendenzialmente insolubi-

le, tanto da rendere inevitabile una de-

strutturazione di questa mediante il ri-

corso alla separazione e al divorzio.

In questo quadro, ogni suggerimento, ri-

volto a salvaguardare i bambini delle fa-

miglie problematiche almeno dai maggiori

disagi e sofferenze, rischia di essere vel-

leitario e pertanto inutile. Infatti, nella

maggioranza dei casi, le crisi familiari so-

no adultocentriche: i conflitti, le loro ra-

gioni, riguardano (ma soltanto apparen-

temente) gli adulti: il padre o la madre;

l’asprezza dei loro rapporti può essere ta-

le da offuscare, impedire la visione delle

ripercussioni che può avere sui figli e le

loro difficoltà: in primo luogo l’isolamento,

la solitudine affettiva ed educativa quan-

do le sofferenze dei genitori, tramutate

in collera incontrollata, non si ripercuo-

tono sui figli sotto forma di maltrattamenti

e ingiusti, spesso violenti, atti punitivi.

Quello che molto spesso scompare nelle

famiglie problematiche è la disponibilità,

la capacità di ascoltare soprattutto i bam-

bini, mentre emerge la tendenza a negare

le loro sofferenze, il loro dolore. Presi dai

propri disagi, gli adulti insofferenti impe-

discono ai bambini della famiglia di ma-

nifestare i loro sentimenti di insoddisfa-

zione, di irritazione, di collera, di dispia-

cere, venendo meno a uno dei principa-

li doveri educativi: dare la libertà di espri-

mersi. Le condizioni peggiorano quando,

pur nel dissenso sulle questioni che li ri-

guardano direttamente, gli adulti in crisi

si alleano fra loro condividendo “coeren-

ti” atteggiamenti educativi-punitivi nei

confronti dei figli che rimangono così an-

cor più vittime perché senza difensori.

Nelle famiglie problematiche il più delle

volte vengono del tutto meno genitori ca-

paci di condividere emozioni e sentimen-

ti con i loro figli in modo trasparente, equi-

librato, teso a favorire lo sviluppo delle lo-

ro potenzialità cognitive, affettive, emo-

zionali. A questi genitori, più che impra-

ticabili suggerimenti, si può rivolgere una

invocazione: dedichino le residue risorse,

salvate o salvabili dal naufragio delle lo-

ro esperienze familiari (coniugali in primo

luogo) a persistere nell’assicurare ai loro

bambini l’attenzione di cui hanno bisogno,

nel rispetto dei loro diritti come persone,

nella comprensione dei loro pensieri e sen-

timenti. ■

1. Freiberg S. Il sostegno allo sviluppo. Mi-

lano: Raffaello Cortina Editore, 1999.

2. Contini A. I modelli relazionali.

In: AA.VV. Professione Medico. Vol. 8. Pa-

tologia della psiche e del comportamen-

to. Torino: Utet, 1999.

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

Problemi in famiglia:

D I F F I C I L I

“In caso di conflitti famigliari,

il bambino teme di doversi schierare

con una parte o con l’altra

e di essere obbligato a scegliere

fra due oggetti di amore per lui

ugualmente importanti. ”

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LA MIA FAMIGLIA FUNZIONA?

La famiglia assolve a due compiti fondamentali: provvedere al sostentamento dei suoi membri e contribuireallo sviluppo della loro personalità. Questi compiti possono essere assolti, nei confronti dei bambini, tanto

meglio quanto più la famiglia funziona con soddisfazione da parte loro. Quando ci si accorge che qualche cosanon va, è bene correre ai ripari. purtroppo non sempre si riesce a riconoscere per tempo le piccole, e spessoanche grandi, disfunzioni che possono mettere in crisi il rapporto fra adulti e bambini. per questo è utile dis-porre di un semplice indicatore che consente di scorgere eventuali problemi nelle strutture e nel funzionamen-to dei rapporti con i propri bambini, come quello che proponiamo in questa pagina.

Valutazione del rapporto con i figli

SEMPRE QUALCHE VOLTA QUASI MAI

A Quando il tuo bambino dimostra diavere un problema, ti dedichi a capirlo e ad aiutarlo? 2 1 0

B Quando nella tua famiglia insorgonodei problemi che coinvolgono i tuoibambini e ne parli con loro,ti sembra che dimostrinoapprezzamento del fatto che si è tenutoconto del loro punto di vista? 2 1 0

C Tu e la tua famiglia condividetei desideri di cambiamentodel tuo bambino anche se differisconodalle vostre abitudini e/o aspettative? 2 1 0

D Ti sembra che il tuo bambinorimanga soddisfatto del modocon cui tu e la tua famigliareagite ai suoi sentimenti di amore, di rabbia o di dolore? 2 1 0

E È soddisfacente il tempo che tudedichi ai tuoi bambini? 2 1 0

Risultati Sommare i punti ottenuti. Un totale da 7 a 10 indica una famiglia molto ben funzionante; da 4 a 6 punti indica una situazione

familiare con disfunzioni che richiedono moderate correzioni; da 0 a 3 la famiglia non funziona e la convivenza sembra in serio

pericolo, tanto che appare consigliabile un esame approfondito del rapporto fra i membri che la compongono.

Problemi in famiglia:

D I F F I C I L I

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I bambini con bisogni speciali sono

quelli che presentano una limitazione glo-

bale o parziale, congenita o subentrata

dopo la nascita, nelle proprie capacità fun-

zionali. Un tempo venivano definiti han-

dicappati, o disabili. La dizione più ap-

propriata è bambini con bisogni speciali

che hanno il diritto a interventi specifici

atti a promuoverne lo sviluppo umano e

a migliorarne la qualità della vita.

L’arricchimento sociale della disabilitàI bambini con bisogni speciali non sono

numericamente trascurabili: nell’anno

scolastico 2007/2008 risultavano inseriti

nelle Scuole dell’infanzia 161.686 soggetti

con una qualche forma di handicap, ma

i numeri sono certamente maggiori: ba-

sti pensare che la cosiddetta sindrome di

Down (dal nome del medico inglese John

Langdon Down che per primo la descris-

se nel 1866 denominandola, in modo

piuttosto impreciso, mongolismo) può col-

pire mediamente 1 bambino ogni 700 na-

ti vivi. Si comprende così che, anche se le

famiglie con un bambino con bisogni spe-

ciali sono relativamente rare, la possibili-

tà di un genitore di condividerne l’espe-

rienza nell’ambito degli Asili nido e delle

scuole in generale sono di non trascura-

bile frequenza. E questo è molto impor-

tante, perché il superamento delle dis-

abilità e degli handicap che ne possono

derivare, la valorizzazione delle risorse re-

sidue su cui puntare, sono affidate a un’al-

leanza fra più soggetti, sia professionali

(specialisti, insegnanti di sostegno e or-

dinari ecc.) sia comuni (familiari, vicini di

casa ecc.), la cui partecipazione è indi-

spensabile per la creazione della neces-

saria atmosfera di accettazione e di inte-

grazione sociale. Se i vantaggi di una ta-

le alleanza per i bambini con bisogni spe-

ciali, le loro famiglie e le strutture edu-

cative cui vengono affidati è di tutta evi-

denza, non minori vantaggi sono quelli

che derivano a quanti vi contribuiscono:

l’assimilazione del concetto che le diver-

sità non solo hanno il diritto di essere ac-

cettate ma che costituiscono un arricchi-

mento intellettuale, morale e spirituale di

chi ne condivide e ne sostiene l’esperienza

esistenziale. Senza trascurare il fatto che,

in fondo, ogni bambino va considerato

come speciale, perché speciali sono l’in-

dividualità, la personalità e la storia di ogni

essere umano.

Il riconoscimento precoceLa conoscenza, almeno approssimativa,

delle peculiarità delle varie forme di dis-

abilità è necessaria per prendersi carico di

un bambino diversamente abile e quindi

con bisogni speciali. È opportuno dedicare

un’attenzione particolare ai tempi di

emergenza dei problemi connessi con i va-

ri tipi di handicap e alla loro evoluzione

per adattarvi tempestivamente appropriati

progetti riabilitativi ed educativi.

Le disabilità fisiche generalmente sono dia-

gnosticate fin dal primo anno di vita e pre-

se in carico terapeutico nei primi tre.

Più complesso appare il problema del ri-

conoscimento delle disabilità psichiche che

tendono a essere riconosciute con ritar-

do e seguite con molte incertezze. Infat-

ti, se è vero che i deficit neuropsichiatri-

ci, affettivi e relazionali emergono di so-

lito nei primi tre anni di vita, è anche ve-

ro che la diagnosi e la valutazione della

loro gravità funzionale e la conseguente

presa in carico terapeutica avvengono

spesso molto più tardi; in molti casi i pro-

blemi vengono presi in seria considera-

zione addirittura verso i 10-11 anni, spe-

cialmente per quanto riguarda i disturbi

del comportamento e dell’apprendimen-

to. Non ultimo è il problema della non in-

frequente confusione fra handicap psi-

chico vero e proprio e deficit funzionali at-

tribuibili a situazioni di svantaggio so-

cioeconomico, socioculturale, ambienta-

le.

Le risorse riabilitative

Il raffronto e la valutazione fra le princi-

pali esigenze del bambino disabile e le ri-

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

Riconoscimento precoce della disabilità e tempesti-vità di intervento permettono di affrontare e spessodi risolvere i problemi di questi bambini a lungo in-giustamente emarginati.

con bisogni speciali

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sorse realmente disponibili per farvi fron-

te devono essere improntati alla massima

cautela, specialmente nell’indicare obiet-

tivi perseguibili in modo da non indurre

a coltivare illusioni destinate a risolversi in

delusioni catastrofiche, senza tuttavia mi-

nimizzare il fatto che diagnosi precoce,

tempestività di intervento e continuo ade-

guamento dei piani di ricupero all’evolversi

delle condizioni menomanti rappresen-

tano non trascurabili risorse riabilitative.

Il delicato rapportocon le famiglieMolto delicato è il rapporto fra gli ope-

ratori professionali e le famiglie dei bam-

bini disabili che a loro si affidano. Per-

ché il rapporto sia fruttuoso alcuni fe-

nomeni che si presentano nelle famiglie

con bambini disabili vanno esplorati in

modo adeguato. Valga qualche esempio:

la frequente destabilizzazione del nucleo

familiare o, al contrario, il suo rafforza-

mento; l’iperprotettività dei genitori e il

conseguente maggiore isolamento del

bambino disabile oppure i sentimenti di

ostilità che possono insorgere e radica-

lizzarsi nei suoi confronti; l’effetto delle

alterate dinamiche familiari sui fratelli del

disabile; le difficoltà di natura sociocul-

turale che spesso complicano il rappor-

to familiari-operatori ecc.

Infine, la presa in carico di un bambino

disabile, soprattutto nell’ambito degli

Asili nido e delle Scuole dell’infanzia, de-

ve essere improntata all’osservanza di un

codice deontologico basato sul ricono-

scimento dei suoi diritti. Di questi dirit-

ti e delle leggi che li difendono è bene

che genitori, educatrici e insegnanti sia-

no edotti.

Nei confronti dei disabili è ancora fre-

quentemente in atto un processo di

emarginazione che spesso comporta ne-

gli stessi portatori di handicap un’iden-

tificazione con le proprie limitazioni e una

subalterna risposta al mondo come ac-

cade per la maggior parte delle mino-

ranze deboli. ■

25

L’handicap secondo la legge1

“È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progres-

siva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un

processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.

Il legislatore mette in evidenza il fatto che si è in presenza di handicap quando la minorazione (fisica, psichica e

sensoriale) si configura come causa di difficoltà sul piano degli apprendimenti ecc. L’handicap, quindi, è dato dalle

difficoltà che il soggetto incontra nel raggiungere quegli obiettivi di sviluppo umano che sono coerenti con l’età

del soggetto. Ne consegue che l’azione a favore del bambino con handicap è quella che va nella direzione di

rimuovere (o bypassare) le difficoltà che impediscono uno sviluppo globale ed equilibrato della persona, concen-

trando gli sforzi sullo sviluppo delle capacità residue così da migliorare i suoi livelli di funzionamento. Bisogni spe-

ciali possono essere dovuti a cause le più diverse:

■ una malattia che impedisce al bambino la frequentazione della scuola;

■ menomazioni sensoriali, motorie, cognitive ecc.;

■ deficit di apprendimento, comunicazione, linguaggio, autonomia, interazione ecc.;

■ difficoltà nel rivestire il ruolo di alunno e seguire il curricolo e le attività della classe;

■ difficoltà di partecipazione ad attività sociali (per esempio gite o altre occasioni informali);

■ barriere architettoniche, pregiudizi, famiglia iperprotettiva, contesti sociali devianti ecc.;

■ bassa autostima, scarse motivazioni, problemi di comportamento ecc.

1. Legge-quadro n. 104/1992 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

con bisogni speciali

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Negli anni 40 e 50 del secolo scorso, e

ancor più nei decenni precedenti, la più

frequente minaccia per i bambini era rap-

presentata dalle malattie infettive. Le ma-

lattie infettive, naturalmente, non sono

scomparse ma, grazie alle risorse della me-

dicina moderna, sono in larga misura e in

modo molto efficace tenute sotto con-

trollo da parte dei pediatri. La situazione

generale, ai nostri giorni, può pertanto es-

sere così riassunta:

■ i bambini molto malati sono pochi,

■ i bambini poco malati sono numerosi,

ma non moltissimi,

■ i bambini da non far ammalare sono

tutti.

Il terzo punto pone evidentemente l’ac-

cento sulla prevenzione, cioè sulla pre-

disposizione di tutte le misure utili a evi-

tare eventi dannosi. Questo significa

provvedere a una corretta alimentazio-

ne, garantire i naturali ritmi del sonno,

fare le vaccinazioni obbligatorie e non,

secondo il consiglio del pediatra, con-

trollare lo sviluppo fisico e mentale, pre-

venire gli incidenti; evitare i fattori di ri-

schio quali l’esposizione al fumo passi-

vo, i rumori eccessivi, le condizioni am-

bientali sfavorevoli in termini di tempe-

ratura, ventilazione, umidità.

I bilanci di salute

Strumenti fondamentali per tenere sotto

controllo lo sviluppo del bambino e met-

tere eventualmente in atto le misure più

opportune per salvaguardarne la salute

sono rappresentati dai bilanci di salute. I

bilanci di salute consistono nella valuta-

zione, da parte del pediatra, dell’anda-

mento dello sviluppo fisico e neuropsi-

chico del bambino a scadenze regolari, se-

condo un calendario prefissato, anche se

non rigidissimo. I pediatri generalmente

raccomandano visite di controllo nel pri-

mo anno di vita alle seguenti scadenze:

alla fine del primo mese, a 2 mesi, a 3, a

4, a 6, a 8 mesi, a 12 mesi.

In occasione di ogni visita di controllo il

pediatra farà un bilancio delle condizio-

ni del bambino e lo scriverà in un libret-

tino (il Diario sanitario) che i genitori de-

vono conservare con cura perché serve a

ricordare i dati più importanti che ri-

guardano lo sviluppo e la salute del loro

bambino nel corso dei mesi e degli anni.

A ogni scadenza, vengono effettuati i se-

guenti controlli:

■ A 1 mese dalla nascita vengono con-

trollati: il peso, la lunghezza, la vista,

l’udito, il ritmo sonno-veglia, il sorri-

so, il pianto e altri indicatori che

riguardano fra gli altri la posizione e

la mobilità degli arti inferiori. In que-

sta occasione, il pediatra raccoglierà

informazioni sull’allattamento e darà

suggerimenti per migliorarlo se sarà il

caso e non mancherà di raccomanda-

re le misure igieniche più appropriate

nell’interesse del bambino.

■ Nel secondo mese, oltre agli stessi

controlli effettuati nel primo mese, il

pediatra provvederà a spiegare l’im-

portanza delle vaccinazioni ed even-

tualmente a eseguirle. A partire dal

secondo mese il bambino può essere

vaccinato; un secondo appuntamen-

to vaccinale è a 5 mesi e i successivi a

12, 13 e 14 mesi. Vi sono vaccinazio-

ni obbligatorie che proteggono dalla

difterite, dal tetano, dalla poliomielite

e dall’epatite B: vaccinazioni racco-

mandabili contro la pertosse, il mor-

billo, la parotite e la rosolia.

■ Al terzo e al quarto mese, il pediatra

rivolgerà la sua attenzione anche allo

sviluppo della capacità di muoversi e

di afferrare gli oggetti e di passare dai

vagiti e dai gridolini del primo mese

all’inizio dello sviluppo del linguaggio

con i primi balbettii-gorgoglii. Le vac-

cinazioni saranno ancora un argo-

mento di queste visite, così come lo

saranno a 6 mesi.

■ Al sesto mese, accanto a tutti i con-

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

SALUTE:I bambini, anche se nei primi anni di vita crescono fisicamente, mentalmente edemotivamente in modo normale, vanno comunque periodicamente controllati nelloro sviluppo.

controllareper prevenire

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trolli di sempre, un tema importante

sarà rappresentato dallo svezzamento

e dall’impostazione del nuovo modo

di alimentare il bambino che a poco a

poco abbandona la dieta prevalente-

mente lattea, così come sarà all’otta-

vo mese.

■ Al dodicesimo mese, il pediatra (oltre

a misurare peso, altezza, vista, udito

e a valutare ed eventualmente cor-

reggere l’alimentazione) porrà sotto

particolare esame lo sviluppo psico-

motorio (camminare e parlare); sarà

inoltre sua preoccupazione rafforza-

re la raccomandazione di avere cura

dei denti, abituando i genitori a

usare lo spazzolino dopo ogni pasto

del bambino o, almeno, alla sera,

abitudine che dovrebbe essere

impostata fin dalla comparsa dei

primi denti da latte.

La Società Italiana di Pediatria consiglia un

bilancio di salute anche al secondo anno

di vita. Un esaustivo bilancio di salute è

raccomandabile anche a 3 anni. A tutte

le età, i bilanci di salute servono anche per

rendersi conto, discutendone con il pe-

diatra, se l’ambiente, i rapporti all’inter-

no o anche al di fuori della famiglia so-

no adeguati alle necessità del bambino.

Sotto questo aspetto, la responsabilità

dei genitori è grande perché una parte

importante del lavoro del pediatra è ba-

sata su quanto essi sono in grado, o vo-

gliono, raccontare sui particolari della vi-

ta e dei comportamenti giorno per gior-

no del bambino. In questo modo essi

vengono coinvolti profondamente nel va-

lutare l’andamento della crescita, della

salute e del benessere del proprio bam-

bino, ma anche di quello che fanno o

non fanno abbastanza bene nell’alle-

varlo. Per questa ragione, i bilanci di sa-

lute sono sì importanti per il bambino,

ma lo sono anche per migliorare il me-

stiere di genitori. ■

27ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

Dal dottore senza tensioni

Le visite di controllo di un bambino sano fra l’anno e i tre anni di età devono essere affrontate nel maggior

rispetto possibile del bambino, così come, a maggior ragione, deve essere quando le visite si rendono neces-

sarie per una situazione di malattia.

Il bambino infatti, in questo periodo della sua vita, non ha ancora ben maturato la rappresentazione del proprio

corpo e teme ogni inconsueta intrusione nei propri spazi; se a questo si aggiunge l’emergente negativismo che

accompagna ed esprime il suo percorso verso l’autonomia, si comprende come la visita medica presenti in que-

sto periodo difficoltà che sono assenti o attenuate prima e dopo questa età.

Per questi motivi, è opportuno che la visita avvenga in un clima disteso, evitando ogni frettolosità: entro limiti

ragionevoli, il tempo della visita dovrebbe essere misurato sulle esigenze del bambino, non su quelle del pedia-

tra e ancor meno su quelle dei genitori che lo accompagnano. Tanto più che numerose e importanti informazio-

ni sullo stato di salute e di benessere del bambino, e del suo sviluppo fisico e psicomotorio, possono essere acqui-

site nella prima parte della visita durante la quale al bambino viene lasciato il tempo di ambientarsi.

Un altro accorgimento importante, per alleggerire la tensione cui può andare incontro un bambino sottoposto a

una visita medica, ma anche per il rispetto che gli si deve, consiste nel rivolgere direttamente al piccolo le prime

domande, in un linguaggio che egli possa capire, ma tuttavia chiaro e preciso.

Solo successivamente il dialogo si può spostare coinvolgendo direttamente il genitore, di solito la madre, che

accompagna il piccolo, che a ogni modo deve essere mantenuto “dentro la conversazione” per la maggior parte

del tempo della visita.

SALUTE: controllareper prevenire

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Molto spesso si incontrano mamme ap-

prensive che pensano che il loro bambi-

no si ammali “troppo spesso”, soprattutto

durante i mesi dell’autunno e dell’inver-

no, quando più frequentemente si verifi-

cano ricorrenti episodi di infezione delle

vie respiratorie, oppure quando, anche in

altri periodi dell’anno, compaiono distur-

bi intestinali caratterizzati da diarrea e feb-

bre. In realtà, la preoccupazione il più del-

le volte è fuori luogo e bisogna convin-

cersi che per un bambino ammalarsi è una

cosa naturale e, in una certa misura, co-

me si dirà più avanti, persino utile. Ve-

diamo perché.

La provvisoria immaturità difensiva

Il bambino, venendo al mondo, deve af-

frontare una realtà in cui, accanto a con-

dizioni favorevoli al suo sviluppo (nutri-

zione, igiene, affetti ecc.), sono presenti

fattori potenzialmente nocivi (virus, bat-

teri, inquinamento ambientale, sbalzi di

temperatura ecc.), di fronte ai quali le sue

difese possono essere inadeguate per pa-

recchi anni.

Per limitarci agli agenti infettivi (virus e bat-

teri), un bambino quando nasce porta

con sé un certo numero di elementi di-

fensivi (anticorpi) presi, per così dire, a pre-

stito dalla mamma. Questi anticorpi ga-

rantiscono una certa immunità rispetto

agli agenti infettivi anche se, natural-

mente, non per tutti. L’immunità di ori-

gine materna dura soltanto qualche me-

se, ma intanto il bambino a poco a po-

co costruisce il proprio sistema difensivo.

Per arrivare a una sufficiente maturità di-

fensiva impiegherà una decina di anni, an-

che se la sua personale immunità conti-

nuerà poi a evolversi per tutto il corso del-

l’esistenza.

Nei primi anni di vita il bambino “soffre”

dunque di una immaturità difensiva, pro-

prio quando comincia il proprio proces-

so di socializzazione frequentando l’Asi-

lo nido, la Scuola dell’infanzia, la Scuola

primaria o comunque luoghi in cui viene

in contatto con altri bambini, altrettanto

fragili e altrettanto portatori di agenti in-

fettivi che vengono scambiati fra loro in

continuazione.

L’utilità delle infezioni

Le vaccinazioni e le buone misure igie-

niche provvedono a proteggere i bam-

bini dalle infezioni più gravi. Essi resta-

no, tuttavia, esposti a un certo numero

di disturbi e malattie che possono esse-

re considerate sostanzialmente banali:

raffreddori, influenza ecc., accompagnati

dai ben noti sintomi, quali febbre, tos-

se, prostrazione, diarrea. La banalità di

queste infezioni consiste nel fatto che ge-

neralmente guariscono in pochi giorni e

senza impegnativi interventi terapeutici.

Niente affatto banale è invece il loro ef-

fetto benefico, che consiste nel fatto che

le infezioni, stimolando lo sviluppo del

sistema immunitario, facilitano la for-

mazione di un duraturo patrimonio di-

fensivo.

La distinzione trabambini sani e bambini malati

I bambini nei primi 5-6 anni di vita van-

no incontro, in media, a 5-6 episodi in-

fettivi all’anno, una normalità che giu-

stifica il fatto che essi non possono e non

devono essere considerati bambini che

si ammalano troppo spesso. Anche se si

ammalano con una frequenza maggio-

re di infezioni banali, rimangono sempre

ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

La normalità e l’utilità delle malattie

nei

Le condizioni che favoriscono disturbi e malattie nell’infanzia sono

costituite dall’incontro fra elementi nocivi ambientali e immaturità del-

le difese organiche dei bambini.

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bambini sostanzialmente sani. Non lo so-

no, invece, quando le infezioni non so-

no banali, ma gravi, a prescindere dalla

loro frequenza: polmoniti, otiti che con-

tinuano a produrre pus, tossi persisten-

ti, diarree profuse e continue. È il bam-

bino che tarda a guarire che deve preoc-

cupare, non quello che si ammala spes-

so di infezioni che guariscono in fretta.

Naturalmente, non è che questi bambi-

ni possano essere trascurati. Infatti,

ogni malattia, anche quella non grave,

è causa di un impegno delle difese or-

ganiche che, anche se breve e di mode-

sta entità, può avviare il bambino verso

un circolo vizioso in cui a ogni episodio

infettivo ne segue un altro che, a sua vol-

ta, favorisce un’infezione successiva.

I bambini che presentano più di un epi-

sodio infettivo al mese nel periodo di più

alto rischio, cioè da ottobre a febbraio, de-

vono essere considerati “bambini vulne-

rabili”, da tenere sotto prudente osser-

vazione e da assistere con cura partico-

lare. Così come non si deve trascurare la

possibilità che frequenti infezioni delle vie

respiratorie siano accompagnate da sin-

tomi interpretabili come espressione di

una ipersensibilità di tipo allergico.

I possibili interventi

Una volta impostato il quadro del bam-

bino che sembra ammalarsi troppo spes-

so, resta da rispondere all’ovvia doman-

da su che cosa si possa e si debba fare

per fronteggiare queste malattie che, pur

non gravi, qualche problema lo creano co-

munque, non solo al bambino, ma anche

ai suoi genitori in termini di preoccupa-

zioni, spese, ore sottratte al lavoro e al

sonno e così via. In realtà si può fare po-

co, ma qualcosa si deve fare, perché il fre-

quente ripetersi di episodi infettivi può

condizionare negativamente la vita del

bambino, sia determinando una situa-

zione di inappetenza e quindi influendo

sulla crescita, sia ostacolandone la socia-

lizzazione, riducendo la possibilità di fre-

quentare l’asilo o la scuola, oppure ren-

dendolo vittima della eccessiva appren-

sione dei genitori che diventano spesso

iperprotettivi.

Va comunque tenuto sempre presente il

fatto che la maggior parte degli episodi

infettivi ricorrenti dei primi anni di vita ten-

de a risolversi spontaneamente, proprio

in coincidenza con l’aumento della pro-

duzione di anticorpi e con la stimolazio-

ne delle altre difese organiche in conse-

guenza dei recidivanti episodi infettivi.

Fra le cose che si possono fare, è bene

distinguere ciò che è alla portata delle ri-

sorse dei genitori, che sostanzialmente ri-

entrano nell’ambito dell’automedicazio-

ne, in cui è tuttavia prudente farsi guidare

dal farmacista, e ciò che è bene venga de-

ciso dal pediatra.

Durante l’episodio acuto, gli interventi ge-

nitoriali possono consistere nel provvedere

a che il bambino non soffra la sete, nel

controllare la febbre eccessivamente alta

e la tosse quando sia troppo fastidiosa,

nell’allontanare i fattori nocivi ambienta-

li, nel decidere la sospensione della fre-

quentazione dell’Asilo nido o della Scuo-

la dell’infanzia per un periodo anche suc-

cessivo alla guarigione. Quando, invece,

appare opportuno ricorrere a terapie far-

macologiche, allora è necessario inter-

pellare il pediatra che potrà decidere se

somministrare antibiotici o stimolanti

delle difese immunitarie o altri farmaci che

possano servire ad alleviare gli effetti del-

la malattia e, soprattutto, suggerirà che

cosa fare per evitare che gli episodi in-

fettivi si ripetano troppo spesso. ■

29ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI

La normalità e l’utilità delle malattie

nei

Andrea Di ChiaraIL GIUSTO RESPIROProteggere i bambini da adenoidi ingrossate,allergie, infezioni respiratorie ricorrenti e altre patologie

Torino: Il Leone Verde

€ 18,00

Respirare è una funzione vitale, dicui non ci accorgiamo nel ritmotranquillo della vita, dove essa rap-presenta un vero e proprio auto-matismo. Eppure, quando il respi-ro si fa corto, perché siamo coltidalla paura, dall'affanno, dallafatica di uno sforzo prolungato, odall'angoscia, ecco che in modonaturale la bocca si apre e rispon-de alla situazione di emergenza,sostenendo il bisogno aumentatodi aria.In base a statistiche recenti unbambino su tre respira male, spes-so con la bocca anziché con il naso.L'aumento del fenomeno in que-sti ultimi anni è stato addiritturadel 50%.Respirare con la bocca è la cifra diun profondo disagio sofferto dalbambino,che coinvolge la sferapsichica, neurologica, endocrina,digestiva e immunitaria.

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E•INVERNO 2015

A cura di WALTER FOCHESATO

Libri in vetrina30

Per i piccoli lettori

SIMON JAMES

RexZOOlibri, 2015. Pagg. 32, euro 16,00

Rex è un cucciolo di dinosauro, un uovo abbando-

nato in una grotta e che una notte si schiude pro-

prio mentre l’enorme Tirannosauro –dopo aver ter-

rorizzato per tutto il giorno gli altri animali- sta

schiacciando un sonno meritato.

Rex lo sveglia dicendo la sua prima parola; “PA!”

e si appiccica letteralmente al bestione, cominciando

ad imitarlo: ruggendo, sbriciolando massi, sradicando

alberi, ovviamente il piccolo. Tirannosauro dappri-

ma ne è contrariato e poi lusingato (“Impari alla

svelta, Rex!”). Quest’ultimo, poi, vorrebbe sapere

se un giorno, crescendo, potrà diventare terrifican-

te come il babbo. Allora il grande dinosauro gli con-

fessa che lui non è il suo vero padre. Turbato e cu-

rioso, Rex decide allora di uscire dalla grotta per an-

dare a cercare la sua vera famiglia. Ma mal gliene

incoglie, giacché -solo e indifeso- viene subito in-

seguito da una torma di altri sauri che vorrebbero

divorarselo in un boccone. Esausto e impaurito ri-

esce a malapena a sfuggire alle loro grinfie, rifu-

giandosi in un bosco. Qui lo trova, il giorno dopo,

Tirannosauro. Vediamo le battute finali: “Da gran-

de spero di essere terrificante come te, Papà” dis-

se Rex. “TE LO GARANTISCO IO!” disse il grande

dinosauro. “E’ a questo che serve un papà”. Il sen-

so mi sembra chiaro ed è una bella e fresca ri-

flessione sul ruolo genitoriale, sull’adozione e, ag-

giungiamoci pure, il superamento delle paure e del-

le prove, la crescita della sicurezza in sé stessi. Sen-

za dimenticarsi delle frizzanti e incisive illustrazioni

di James che ricordano non poco il segno del gran-

de Quentin Blake.

SATOI TONI

MokaKite Edizioni, 2015. Pagg. 26, euro 16,00

Una piccola storia lieve e ricca di poesia, rassere-

nante e con un pizzico ben dosato di malinconia.

Accompagnata da tavole delicate e sospese fra rap-

presentazione del reale e invenzione fantastica. Per-

fette, nel loro essenziale candore, per dar conto di

una narrazione sì onirica ma che mette al centro il

tema dei nostri ricordi infantili e della formazione

dell’immaginario. Un albo in gran formato sempli-

ce all’apparenza ma che, di fatto, propone diverse

possibilità di lettura e di approfondimento. Esem-

plare per una lettura comune adulto-bambino. Sa-

toe Toni è una giovane artista giapponese che con

le edizioni Kite ha già pubblicato altri sei libri e tut-

ti si connotano per quel senso di sorpresa e di ca-

pacità di vedere le cosa da punti di visti inaspet-

tati e imprevisti, favorendo con ciò, nel piccolo let-

tore, preziosi processi di decentramento. Qui vi è

al centro un ineffabile e paziente coniglio bianco

comparso in sogno all’autrice che, stanca, si è ad-

dormentata al tavolo di lavoro. Il roditore –facen-

do comparire dal nulla chicchi, zucchero e quan-

t’altro- si propone per prepararle una buona taz-

za di caffè ristoratore. Ma lei, sulle prime, resiste e

tutto gli sembra assurdo. Al tempo stesso si inter-

roga su dove abbia già visto il coniglio, da dove pro-

venga quella buffa, gentile e sorridente creatura.

Fino alla sorpresa finale.

Per i genitori

SYLVIE BOURCIER

Capricci, collera, aggressività. Come affrontare le situazioni difficili

Red! Pagg. 160, euro 14,00

Questo bel manuale, semplice e comprensibile, ric-

co di utili osservazioni e di sensate proposte si ri-

volge sia ai genitori, sovente incerti e indecisi din-

nanzi ai comportamenti più o meno aggressivi del

proprio figlio, sia agli insegnanti. Non si tratta pe-

rò di un mero “ricettario”, dalle facili e sovente fal-

laci soluzioni, ambisce piuttosto, pur nel tono affa-

bile e divulgativo, a offrire un insieme organico di

elementi di approfondimento e riflessione. L’autri-

ce distingue intanto fra un aggressività “normale”,

che può e deve essere incanalata permettendo co-

sì di migliorare le proprie competenze e raggiun-

gere obiettivi più alti, e una violenza distruttiva

che nuoce talora fortemente alla crescita del bam-

bino. Fra gli argomenti affrontati: lo sviluppo del-

l’aggressività e gli antidoti (quali un efficace stile

educativo, l’esercizio della disciplina l’attenzione po-

sitiva, il favorire dell’espressione verbale, il propor-

re attività fisiche). E, ancora: Il bambino in collera,

le opposizioni, conflitto e dispute tra fratelli, la ne-

cessità del calmarsi. L’autrice sottolinea nelle con-

clusioni come l’aggressività possa mutarsi in crea-

tività, al contrario il mancato superamento di que-

ste difficoltà può portare all’isolamento e all’ostili-

tà, al sentirsi “dominati da una rabbia profonda e

da una tristezza devastante”. Mentre i “bambini più

socievoli non solo hanno maggiori probabilità di ave-

re un elevato rendimento scolastico e di vivere re-

lazioni armoniose, ma sono anche i più dotati di re-

silienza psicologica”.

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SABRINA GIARRATANA

Illustrazioni di SONIA MARIA LUCE POSSENTINI

Canti dell’attesaIl leone verde, 2015. Pagg. 56, euro 16,00

Canto del primo battito, Canto del divenire, Canto

della meraviglia, Canto della pazienza, Canto del-

le domande, Canto a testa in giù, Canto dell’at-

traversamento, Canto della contemplazione: sono

questi alcuni dei titoli che compongono questa in-

tensa e preziosa raccolta di versi. Ventun composi-

zioni o, a dir meglio, stazioni, tappe che segnano

e seguono il percorso di una nascita, lungo i nove

mesi dell’attesa di una creatura. Le paure, le in-

certezze, le speranze, i piccoli segni, i punti di do-

manda, le gioie ora grandi e ora lievi qui tutto vie-

ne registrato e reso con un respiro profondo e in-

timo. Un libro di ampia e raffinata tessitura lirica,

con bellissime metafore, in una lingua “alta” ma

–al tempo stesso- senza alcun compiacimento for-

male e adatta ad essere letto da tutti, ragazzi e non,

mamme in attesa (perché non leggerselo a voce al-

ta?) e fratelli più grandi. Sabrina e Sonia assieme

avevano già pubblicato un’altra fortunata raccolta:

Poesie di luce edito da Motta junior e vincitore que-

st’anno della 1°edizione del Premio Gianni Roda-

ri ad Omegna, città natale del grande scrittore. Le

illustrazioni della Possentini che costantemente si

articolano sul registro della doppia pagina, s’im-

pongono, fin dalla copertina, per una calibratissi-

ma misura che giustappone particolari più intensi

e decisi a elementi appena accennati mentre sul fon-

do della pagina si afferma un bianco morbido, lu-

minoso e intensamente evocativo. Da “Canto del

guardiano della spugna. Sono il guardiano della tua

acqua/ Sono il guardiano della tua riva/ Mentre tu

cresci e stai sottacqua/ Mentre tu bevi quello che

arriva/ Mentre ti imbevi di questo nulla/ Sono il guar-

diano della tua culla/ Piccola spugna che stai sul

fondo/ Che con fiducia ti bevi il mondo”.

Per gli educatori

ALESSANDRO SANNA

Pinocchio prima di PinocchioOrecchio Acerbo, 2015. Pagg. 64, euro

17,50

Si sa, di edizioni illustrate de Le avventure di Pi-

nocchio, da quel lontano 1883, ne sono uscite a

migliaia e migliaia, decretandone in tutto il mon-

do un intramontabile successo. Lo stesso si può per

quelle che si è soliti chiamare le “pinocchiate”: con-

tinuazioni, pretesti, parodie, citazioni, omaggi, ver-

sioni ridotte (magari a pop-up), rivisitazioni e tan-

to altro ancora. Di certo però mai nessuno si era

spinto ad immaginare quel che era il burattino, pri-

ma ancora di diventare un ciocco di legno (di quel-

li “da catasta”, come scrive Collodi). Adesso ci ha

pensato Alessandro Sanna, ancor giovane illustra-

tore italiano, di straordinario talento. Il suo è un con-

certo fatto di sole immagini, un libro senza parole

dove le radici del protagonista sono rese attraver-

so decine e decine di disegni, morbidissime ecoli-

ne, qui la matita par scomparire per lasciar posto

ad un colore fuso e pastoso, dalle mille, intensissi-

me vibrazioni. Un’opera per più versi stupefacen-

te e da guardare e riguardare con la dovuta len-

tezza, da scoprire e assaporare pian piano. La crea-

tura collodiana, anche qui rivela da subito le sue

caratteristiche: un essere in fuga e alla inesausta

ricerca della libertà e di una sua identità. Un ramo

secco e flessibile, poco più di un fuscello staccato-

si dall’albero della vita che, in un incorrotto pae-

saggio naturale, incontra via via quelli che saran-

no i futuri personaggi del libro. Al tempo stesso Pi-

nocchio si tempra e si forgia al contatto con acqua,

aria, terra e fuoco. Una genesi, non si sembri en-

fatico il termine, di straordinaria suggestione e mi-

rabile forza evocativa.

FRANCO LORENZONI

I bambini pensano grande. Crona-ca di una avventura pedagogicaSellerio editore. Pagg.268, euro 14,00

Lorenzoni è da anni insegnante elementare in quel

di Giove, un piccolo paese dell’Umbria, in provin-

cia di Terni. E’ stato altresì fra i fondatori, nel 1980,

della Casa-laboratorio di Cenci ad Amelia. Si ag-

giunga, infine, una fertile attività di scrittore, atti-

vo nel campo pedagogico e didattico. Non ho pe-

rò dubbi nel dire che quest’ultimo resoconto edito

pochi mesi or sono nella bella e prestigiosa colla-

na Sellerio de La memoria sia un lavoro per più ver-

si affascinante e di godibilissima lettura. Un esem-

pio –mi si passi la battuta- non di “buona scuola”

ma di scuola buona, fondata sulle competenze, la

passione lucida per il proprio lavoro, l’impegno ci-

vile. Ma in queste cronache limpide e avvincenti,

in questo parco e serrato narrare un anno di vita

scolastica di una quinta elementare una cosa emer-

ge con forza e ci attrae e consola. Il dar costante-

mente la parola ai bambini –impagabili sono le re-

gistrazioni dei loro confronti- significa cose ben pre-

cise: l’attenzione, il rispetto, la fiducia. Cose che na-

scono e poi crescono, in un processo che si affer-

ma giorno dopo giorno, anno dopo anno. Con na-

turalezza e rigore, con improvvise e illuminanti sco-

perte, con riflessioni che possono stupire soltanto

chi non conosce il mondo dell’infanzia, i bambini

–assieme al loro maestro- parlano di storia e di ma-

tematica, di filosofia e arte, di musica e disegno, ri-

flettono sulla vita e la morte, la conoscenza e la sco-

perta del teatro. Scrive Lorenzoni nelle primissime

righe: “I pensieri infantili sono sottili. A volte sono

così affilati da penetrare nei territori più impervi ar-

rivando a cogliere, in un istante, l’essenza di cose

e relazioni. Ma sono fragili e volatili, si perdono già

nel loro farsi e non tornano mai indietro. Così alla

maggior parte delle bambine e dei bambini non è

concesso il diritto di riconoscere la qualità dei pro-

pri pensieri e rendersi conto della loro profondità”.

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