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Anno XI N. 02
Inverno 2015
PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORIDELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE
IN QUESTO NUMERO
Alla scoperta
2 Conosciamo davvero i nostri bambini?4 Genitori: un mestiere da imparare8 Obbedienza e disobbedienza: la difficile strada
verso la disciplina
10 Le conseguenze dei sistemi educativi sbagliati14 I bambini e le regole sociali
16 I bambini timidi
18 I bambini aggressivi
20 Problemi in famiglia: bambini difficili
24 I bambini con bisogni speciali
26 Salute: controllare per prevenire
28 La normalità e l’utilità delle malattie nei bambini
30 Libri in vetrina
dei nostri
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Una delle ragioni per cui ci si interrogasulla natura della personalità dei bambi-ni e sui fattori che ne possono influenza-re lo sviluppo è sostenuta da preoccupa-zioni educative, specialmente in tempi incui i comportamenti appaiono più pro-blematici e più difficili da disciplinare.
Quanto sconosciuti
Nell’ambito della psicologia dell’età evo-lutiva, le risposte che gli studi e le ricer-che offrono sui comportamenti dei bam-bini e sui tratti della loro personalità so-no numerose, mai definitive, spesso fra lo-ro contraddittorie e troppo spesso lonta-ne dalle persone che quotidianamente sioccupano della loro crescita: i genitori inprimo luogo.
Il risultato è che, pur non mancando il nu-trimento affettivo, il bambino il più dellevolte rimane uno sconosciuto per quan-to riguarda aspetti che sono fondamen-tali come la comparsa e lo sviluppo dellacoscienza, dei pensieri, delle emozioni; lacostruzione dell’immagine di sé, del sen-so morale; l’identificazione sessuale; i mec-canismi di insorgenza dell’aggressività edel suo autocontrollo; i fattori che pos-sono contribuire a favorirne le capacità diapprendimento, la graduale conquista del-l’autonomia; la creatività; lo sviluppo dellinguaggio e della memoria; il consegui-mento della capacità di vivere nel mon-do, di rapportarsi agli altri.
A ragione si potrebbe adattare al bambi-no il titolo di un libro che ebbe un gran-de successo negli anni 30-40 del secoloscorso, scritto da Alexis Carrel (1873-1944) scienziato e scrittore, premio No-bel per la medicina nel 1912: L’uomo,questo sconosciuto.
Quanto conoscibili
Quanto sconosciuti, quanto conoscibili?Il filosofo inglese John Locke (1632-1704),proveniente da una famiglia della bor-ghesia puritana, consultato da molti ge-nitori in difficoltà nell’educare i propri fi-gli, riunì i suoi consigli in un libro, uno deiprimi sulla mente dei bambini a uso di pa-dri e madri: Pensieri sull’educazione(1693). Secondo il pensatore inglese,quando un bambino nasce la sua menteinizialmente è una tabula rasa: arricchir-la di contenuti spetta soprattutto ai ge-nitori mediante la trasmissione di abitu-dini e comandamenti. Le esperienze in-dividuali apprese, come tanti elementi co-struttivi, costituiscono le fondamentadella personalità del bambino.
Il ruolo dei genitori
Con un salto di qualche secolo, l’idea cheè l’ambiente a determinare il comporta-mento e che quindi il bambino, a parti-re dalla nascita, può essere modificato co-me e quanto si vuole è stata radicalmenteaccolta e sviluppata da uno psicologo sta-tunitense, John B. Watson (1878-1958)il quale scrisse (Behaviourism, 1930): “Da-temi una dozzina di bambini in buona sa-lute, ben formati, e il mio modo specia-le nel quale crescerli e vi garantirò di po-terne prendere uno a caso e addestrar-lo a divenire qualsiasi specialista a mia
scelta – medico, avvocato, artista, mer-cante e, sì, persino mendicante e ladro– indipendentemente dai suoi talenti, in-clinazioni, tendenze, abilità, vocazione erazza dei suoi antenati”. Partendo daquesto punto di vista, Watson attribui-va una grande responsabilità ai genito-ri la cui azione formatrice, per esseremassimamente efficace, dovrebbe ri-nunciare a ogni forma di affetto mani-festo (baci, coccole ecc.).
Il modello proposto da Watson non po-teva non essere criticato per il suo ca-rattere meccanicistico e per l’unidirezio-nalità del rapporto tra il bambino e chilo accudisce, ignorando il fatto che i bam-bini si dimostrano agenti attivi della lorocrescita, e non mere vuote comparse daammaestrare, così come ignorati risulta-no in Watson i loro aspetti emotivi e il lo-ro inconscio.
Stati emotivi e inconscio trovano in Sig-mund Freud (1856-1939), il fondatoredella psicanalisi, un profondo indagato-re che rappresenta il bambino come unacreatura alla ricerca di sé, guidata da im-pulsi primitivi che inizialmente cerca disoddisfare a ogni costo (principio di pia-cere), ma che alla fine rinvia o inibisce,adeguandosi alle esigenze della società(principio di realtà), aiutato dai genitorie da chi si occupa di lui nella valutazio-ne del mondo e dei modi di viverci.
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
Conosciamo davvero i nostri
Nel corso del suo sviluppo psicologico e af-
fettivo è importante che il bambino impari
che cosa fare, ma anche perché deve farlo.
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Il bambino partecipaal proprio sviluppo
Il modello del bambino passivo, di unacreta informe modellabile da qualsiasiesperienza, è stato avversato in partico-lare dallo psicologo e pedagogista sviz-zero Jean Piaget (1896-1980) che inve-ce introduce il concetto di bambino findall’inizio partecipe al proprio sviluppo,per cui educarlo significa creare un rap-porto con un soggetto che ha delle“idee” sul proprio io, in parte innate, inparte risultanti dalle esperienze cui vie-ne esposto nel corso del suo sviluppo. Suquest’ultima componente pesa la re-sponsabilità degli educatori, impegnatinel favorire le esperienze più adatte albambino nei suoi vari stadi di sviluppo.
Quanto sia istintivo nel comportamentodel bambino e quanto sia dovuto alleesperienze fatte sembra una distinzioneartificiosa, soprattutto agli occhi degli stu-diosi dei comportamenti degli animali, glietologi, secondo i quali ciò che è innatoè la predisposizione, le strutture predi-sposte ad accogliere le esperienze. È dun-que la ricchezza del contesto in cui il bam-bino viene allevato che valorizza le suepredisposizioni innate.
Le considerazioni sulle conseguenze del-le pratiche educative sullo sviluppo dellapersonalità dei bambini possono condurrea una sopravvalutazione delle responsa-bilità genitoriali, soprattutto della madre.La natura degli interventi educativi dei ge-nitori è indubbiamente rilevante, ma nonè esaustiva. Non è affatto detto, peresempio, che individualità aggressivesiano sempre il risultato di una educa-zione particolarmente severa, tale da ge-
nerare frustrazione nel bambino e rea-zioni aggressive in risposta a richieste ec-cessivamente punitive da parte dei ge-nitori.
I “comportamenti modello”
Una parte importante, nello sviluppo psi-cologico del bambino, è attribuita alla pos-sibilità di imparare da altri semplicemen-te osservandone, valutandone e riprodu-cendone i comportamenti. È quello cheviene definito “apprendimento sociale”che può essere rafforzato mediante in-terventi educativi esterni, eventualmentebasati su meccanismi di ricompensa o dipunizione. Di qui l’importanza educativadi “comportamenti modello” da parte de-gli adulti, specialmente dei genitori: l’e-sempio è più importante delle esortazio-ni e delle promesse. Una volta di più è op-portuno attirare l’attenzione sull’impor-tanza della partecipazione attiva del
bambino allo sviluppo della propria per-sonalità.
I diversi modelli di sviluppo psicologicodel bambino, pur diversi fra loro, pre-sentano meno contraddizioni di quelloche sembra. Infatti, partendo da diffe-renti presupposti e accentuando l’at-tenzione su aspetti differenti della psi-cologia infantile, i vari modelli alla finepervengono a illuminare percorsi assaiutili per arrivare a che il bambino risultimeno sconosciuto e degno di essere con-siderato non come un “essere di cui cisi aspetta soltanto che cresca”, bensìun’individualità da trattare alla pari. Trat-tare alla pari è un’espressione che puòavere vari significati, ma uno prevale sututti: nella relazione adulto-bambino lacentralità è rappresentata dal bambinocui l’adulto deve adeguarsi, pur mante-nendo il proprio protettivo ruolo di gui-da, senza mai considerare il bambino alpiù come una semplice appendice dellapropria esistenza. ■
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“I bambini partecipano
attivamente al proprio
sviluppo che non dipende
esclusivamente dall’azione
educativa unidirezionale
degli adulti.”
Conosciamo davvero i nostri
BAMBINI?
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“Esiste una diffusa convinzione che le
azioni dei genitori influenzino lo sviluppo
dei bambini. Nei fatti la natura di questa
influenza non è stata chiaramente dimo-
strata; i modelli, per mezzo dei quali un
tempo si riteneva che i genitori plasmas-
sero dei bambini passivi e fossero quindi
interamente responsabili dell’esito finale
dello sviluppo, vengono ora considerati
semplicistici. Quali che siano gli effetti pro-
dotti dai genitori, essi sono mediati da al-
tri aspetti, in particolare dalle caratteristi-
che del bambino e da quelle del conte-
sto sociale e ambientale, nei quali ha luo-
go lo sviluppo. Ciò nonostante il contri-
buto dei genitori è chiaramente cruciale”1.
La funzione genitoriale
Il fatto che la maggior parte degli studiosi
che si occupano dello sviluppo del bam-
bino considerino necessaria la funzione
genitoriale (convinzione ben condivisa an-
che dalla comune opinione pubblica), ca-
rica madri e padri di grandi responsabi-
lità non sempre facilmente definibili e in-
terpretabili, particolarmente ai nostri
giorni. Infatti, le rapide e spesso intrica-
te vicende delle famiglie moderne e dei
loro componenti (lavoro, separazioni, di-
vorzi, ricomposizioni e così via), unita-
mente ai cambiamenti e alle precarietà
sociali, rendono difficile stabilire che co-
sa si dovrebbe fare, come e con quali
obiettivi per essere dei buoni genitori.
Sempre più appare evidente che fare il ge-
nitore non è affatto una capacità innata,
tanto più efficace quanto più è sostenu-
ta dall’amore, bensì un vero e proprio
“mestiere”, per praticare il quale nel mi-
glior modo possibile l’amore non basta.
Due sono le fondamentali funzioni geni-
toriali: garantire la sopravvivenza e la sa-
lute dei figli e assicurare un certo benes-
sere economico fino a quando essi non
siano diventati capaci di autonomia e di
indipendenza. Accanto a queste due es-
senziali funzioni, i genitori sono impegnati
su un terzo fronte, il più carico di re-
sponsabilità: mediante una costante ope-
ra educativa, infondere nel bambino i va-
lori sociali, morali, spirituali e culturali sui
quali poter fondare una propria salda per-
sonalità, presupposto indispensabile (an-
che se non sempre sufficiente) per la rea-
lizzazione di ogni accettabile esistenza.
La definizione delle funzioni educative ge-
nitoriali, tenendo conto delle priorità de-
gli obiettivi da raggiungere e della diver-
sità dei mezzi materiali e culturali dispo-
nibili, non è riducibile a una semplice li-
sta di compiti da assolvere, soprattutto
perché non tutti i genitori sono uguali, co-
sì come non lo sono tutti i bambini. Tut-
ti i genitori imprimono al loro compito cer-
te qualità che, insieme alle caratteristiche
del bambino e dell’ambiente, determi-
nano il loro comportamento educativo nei
confronti del figlio. Possiamo operare
un’utile distinzione tra:
■ qualità universali, cioè quelle comuni
a tutti i genitori e che possono essere
considerate come parte del patrimonio
ereditario della nostra specie;
■ qualità specifiche del tipo di cul-
tura, segnatamente quelle specifiche
di particolari società e che pertanto di-
stinguono un gruppo di genitori da un
altro;
■ qualità individuali, che differenzia-
no un genitore da un altro nell’ambi-
to di determinati gruppi culturali e
perciò possono essere considerate
come un’espressione della personalità
individuale.
Premesso tutto questo, si può comunque
prospettare quali dovrebbero essere le mo-
dalità secondo le quali madri e padri pos-
sono svolgere il loro ruolo di genitori, li-
mitandoci ai primi anni di vita del bam-
bino.
Il ruolo della madre
Quale donna può essere oggi anche ma-
dre quando lavora, e per farlo deve la-
sciare il proprio piccolo alle cure di altre
persone per gran parte della giornata? I
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compiti essenziali attribuibili alle madri nei
primi 12-15 mesi di vita del bambino e,
secondo molti studiosi, almeno fino ai tre
anni (dalla nutrizione all’accudimento ma-
teriale) devono essere svolti in un conte-
sto caratterizzato da attenzione, solleci-
tudine, protezione e costante senso di re-
sponsabilità, alimentati dalla preoccupa-
zione che l’interruzione del rapporto ma-
dre-figlio possa deprimere il bambino, in-
durre reazioni d’ansia e, alla fine, in qual-
che modo rallentare il suo sviluppo psi-
coaffettivo.
Riuscire a soddisfare sempre e totalmen-
te i bisogni fisici e affettivi del proprio bam-
bino farebbe di una donna una madre
perfetta, oggi impossibile per la donna che
lavora. Fortunatamente, il bambino per
crescere bene non ha bisogno di una ma-
dre perfetta, ma soltanto di una “madre
sufficientemente buona”.
Il concetto di “madre sufficientemente
buona” è stato formulato dallo psicoa-
nalista inglese Donald W. Winnicott
(1896-1971) in contrasto con quello del-
la “madre perfetta”. Sulla base di una
pluridecennale esperienza clinica, egli
giunse alla conclusione che la madre dis-
ponibile in ogni momento a soddisfare
le necessità e le richieste del proprio
bambino in realtà finisce per limitarne lo
sviluppo.
Al contrario la madre che, pur provve-
dendo ai bisogni del proprio bambino, la-
scia uno spazio di tempo crescente fra le
sue richieste e la loro soddisfazione lo aiu-
ta meglio a crescere. Il mancato soddi-
sfacimento immediato delle richieste del
bambino lo induce a compensare la tem-
poranea deprivazione con una maggio-
re attività mentale e un accrescimento del-
le capacità di capire.
Il ruolo del padre
Un tempo il padre era considerato pre-
valentemente come la figura centrale de-
dita a procacciare alla famiglia i beni ma-
teriali necessari alla sua esistenza, svin-
colato da obblighi di accudimento, men-
tre quelli educativi erano per lo più con-
finati ai provvedimenti disciplinari a im-
pronta punitiva.
Oggi ci si aspetta da lui anche altro: di es-
sere coinvolto in ogni evento che riguar-
da l’esistenza del proprio bambino, ancor
prima che nasca, quando già percepisce
e distingue le voci: parlargli in modo gen-
tile e affettuoso lo familiarizzerà con la fi-
gura che incontrerà quando sarà nato,
stabilendo una vicinanza fisica ed emoti-
va che si consoliderà provvedendo ad ac-
cudirlo: facendogli il bagnetto, dandogli
il biberon, cullandolo, sussurrandogli
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Fare il genitore non è una capacità innata, ma un vero e
proprio mestiere per praticare il quale l’amore non basta.
Svolgere la funzione genitoriale in modo adeguato può es-
sere soltanto il frutto di una reale conoscenza del bambi-
no e di una continua maturazione dei ruoli che madri e pa-
dri sono chiamati a svolgere nei rapporti con i loro figli. IMPARARE
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amorevoli parole, cantandogli ninna nan-
ne; soprattutto, prestando attenzione al-
le sue esigenze, che si esprimono princi-
palmente con le variazioni dei ritmi del
sonno, con il sorriso o con il pianto.
Ci si attende che egli sia veramente dis-
ponibile ad ascoltare il suo piccolo quan-
do, di solito a partire dalla fine del primo
anno, il bambino comincerà a dire le pri-
me parole significanti. Ascoltare significa
dedicare tempo e attenzione, consentire
al bambino di sentirsi libero di esprimer-
si, elemento importante per acquisire fi-
ducia, senza tuttavia venir meno alla re-
sponsabilità di svolgere il ruolo di eroga-
tore di disciplina, che il padre dovrebbe
sempre assolvere. Infatti il bambino, per
crescere bene, ha bisogno di sentirsi ama-
to, compreso e libero, ma anche di esse-
re reso consapevole che vi sono dei limi-
ti nel proprio agire che vanno rispettati.
Una componente di grande responsabi-
lità nel ruolo di entrambi i genitori è quel-
la rappresentata dall’esempio. Quando co-
minciano, fra i 4 e 5 anni, ad affermarsi
nel bambino i principi del bene e del ma-
le, del giusto e dell’ingiusto, del buono e
del cattivo comportamento, è decisivo che
egli non riscontri differenze fra quello che
gli viene detto, in termini di buona edu-
cazione o di valori morali, e quello che egli
verifica quotidianamente nel comporta-
mento dei propri genitori.
Gli effetti dell’operaeducativa
Se definire le funzioni genitoriali utili al-
lo sviluppo del bambino è possibile sol-
tanto per grandi linee, altrettanto avvie-
ne quando si voglia prendere in conside-
razione la qualità e gli effetti delle azioni
e dei comportamenti di madri e padri nel-
l’ambito dell’educazione dei figli. Si può
cercare di farlo scegliendo alcune di-
mensioni fra le numerose su cui valutare
l’operato dei genitori (sensibilità, affetti-
vità, permissività, autoritarismo, punitivi-
tà ecc.). Numerose ricerche scientifiche
portano a concludere che le dimensioni
più significative sono due: permissività/se-
verità, sollecitudine/ostilità. Queste di-
mensioni genitoriali hanno tuttavia poco
significato se considerate isolatamente per
cui, se si è interessati al loro impatto sul
bambino, devono essere esaminate in
combinazione anche con altre dimensio-
ni. Una madre molto permissiva, per
esempio, influenzerà il bambino in modo
diverso a seconda che la sua permissività
venga espressa in un contesto relaziona-
le ostile o affettuoso.
Se la permissività del genitore è dovuta al
fatto che il bambino gli è d’impaccio e “se
ne vuole liberare”, questi ne soffrirà per-
ché percepirà la libertà concessa come una
mancanza d’amore. Se la permissività è
frutto di una pur affettuosa debolezza del
genitore, il bambino la percepirà rica-
vandone un sentimento di incertezza sul-
la capacità della madre o del padre di ga-
rantirgli la sicurezza di cui ha bisogno.
I migliori risultati, in termini di sviluppo psi-
cologico, affettivo e di socializzazione del
bambino, vengono ottenuti quando le
funzioni genitoriali vengono messe in at-
to in modo autorevole che naturalmente
è cosa diversa dall’autoritarismo. Infatti,
mentre il genitore autoritario pretende ob-
bedienza senza dare spiegazioni, senza
considerare i pareri e i punti di vista del
bambino, raramente dimostrando ap-
prezzamento per quanto il bambino riesce
a fare, con un atteggiamento complessi-
vamente punitivo, il genitore autorevole
dirige e controlla il proprio bambino di-
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
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Genitori:UN MESTIEREDA
H. Rudolph Schaffer
Lo sviLuppo sociaLe deL bambinomilano: Raffaello cortina editore,1998. € 34,00
“Questo libro rappresenta la
riflessione sulle vicende dello svi-
luppo di uno dei più seri ricerca-
tori in questo campo, punto di
riferimento fra i più autorevoli
per tutti coloro che studiano lo
sviluppo sociale umano.
schaffer possiede, molto più di
altri, la capacità di collegare la
ricerca con i problemi quotidiani
dello sviluppo, così come si mani-
festano nella famiglia, nel gruppo
dei compagni e nei contesti isti-
tuzionali, offrendo informazioni
di carattere scientifico utili per
affrontare più adeguatamente
questi problemi”.
daRio vaRin
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mostrando affettuosa sollecitudine, in un
rapporto non punitivo, gratificatorio per
ogni progresso compiuto, rispettoso dei
desideri del piccolo, soprattutto con
grande disponibilità al dialogo.
I bambini figli di genitori autorevoli risul-
tano i più capaci: essi tendono a essere
più fiduciosi nelle proprie possibilità, in-
teressati ai risultati, socialmente respon-
sabili, contenti, dotati di autocontrollo e
cooperativi nei confronti sia degli adulti
sia dei compagni.
I bambini di genitori permissivi sono più
spesso privi di obiettivi, poco assertivi e ge-
neralmente non interessati ai risultati. I
bambini di genitori autoritari tendono a
essere sgarbati, insolenti, dipendenti e so-
cialmente incompetenti (specialmente
nel caso dei maschi), mentre i figli di ge-
nitori che rifiutano o trascurano le proprie
responsabilità tendono a essere i meno
maturi di tutti per quanto concerne sia la
sfera cognitiva sia la sfera sociale. Que-
ste differenze sono evidenti nel corso di
tutta l’infanzia: anche nell’adolescenza è
stato riscontrato che i giovani che risul-
tano più capaci, dotati di autocontrollo e
meno inclini a sperimentare sostanze stu-
pefacenti tendono ad avere dei genitori
autorevoli.
Le pratiche e le modalità educative dei ge-
nitori sono dunque di fondamentale im-
portanza per lo sviluppo del bambino, ma
anche questi, nelle sue caratteristiche di
personalità, vi ha una parte importante,
per cui il rapporto è positivo quando si
svolge nella duplice direzione genitori-fi-
gli, figli-genitori. ■
1. Schaffer HR. Lo sviluppo sociale del
bambino. Milano: Raffaello Cortina Edi-
tore, 1998.
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IMPARARE
Genitori:UN MESTIEREDA
benjamin spock, pediatra americano, famoso negli anni 50 e 60 del
secolo scorso per il suo libro Il bambino. come si cura e come si alleva,
rivolgendosi alle mamme ha scritto: “Rimarrete sorprese al sentire che
tutti coloro che hanno studiato i diversi metodi per allevare i bambini
hanno dovuto concludere che tutto ciò che i bravi genitori ritengono per
istinto di dover fare per i loro figli, alla fine si rivela la soluzione miglio-
re. inoltre, tutti i genitori assolvono meglio il loro compito quando
hanno una fiducia naturale e spontanea in se stessi. meglio fare qualche
errore comportandosi con naturalezza, che fare tutto alla perfezione, ma
preoccupati”.
molto sommessamente, si può o forse si deve non condividere l’opinio-
ne di un pur così autorevole personaggio.
che cos’è un bambino? come ci si deve comportare per accudirlo il
meglio possibile? per favorire le sue esigenze? per promuovere il suo
sviluppo?” Queste domande rimarrebbero in gran parte senza adeguata
risposta se si facesse conto sull’istinto o soltanto su questo, mentre
risposte, sia pure ancora parziali, sono progressivamente sempre più
proponibili a mano a mano che le conoscenze aumentano e con esse la
sensibilità verso i problemi che nello stesso tempo sollevano e in parte
risolvono.
BENJAMIN SPOCK (1903 – 1998)
Obbedienza&disobbedienza:&
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Nello sviluppo del bambino, è di fon-
damentale importanza guidarlo, dall’età
in cui i suoi comportamenti e le sue atti-
vità devono essere controllati da chi si oc-
cupa di lui, a quella della capacità di au-
tocontrollo, di armonizzarsi all’ambiente
familiare e sociale al quale appartiene. In
parole semplici, si tratta di insegnare al
bambino a fare e a comportarsi come gli
viene richiesto, di ottenere obbedienza.
Quando inizia la capacità di obbedire
La capacità di obbedire di un bambino
può essere riscontrata a partire della fine
del primo anno di vita quando comincia
ad agire con intenzionalità; tuttavia, fin dai
primi giorni dopo la nascita è opportuno
e possibile, da parte dei genitori, fare in
modo che il piccolo pervenga a un equi-
librio fra i suoi bisogni e le necessità di chi
lo accudisce e le condizioni dell’ambien-
te in cui vive, soprattutto per quanto ri-
guarda il sonno e l’allattamento. Il biso-
gno di disciplina si accentua verso i set-
te-otto mesi, quando, cominciando a
muoversi a carponi, deve essere messo al
riparo dal rischio di incidenti cui è espo-
sto per il fatto stesso di muoversi per ca-
sa. In questo periodo, il bambino non ub-
bidisce ancora, ma è capace di riconoscere
gli avvertimenti dei genitori e di provo-
carne le reazioni di protezione.
Dai nove ai dodici mesi il bambino co-
mincia a comprendere i sì e i no dei ge-
nitori,mentre dai dodici ai quattordici me-
si è in grado di compiere delle scelte.
Questi brevi cenni sul percorso che il bam-
bino compie verso l’autocontrollo, attra-
verso la disciplina proposta dai genitori,
fanno comprendere come gli interventi
educativi debbano essere costanti,ma ca-
librati sulle reali capacità di essere capiti.
La pretesa che un bambino di cinque-sei
mesi obbedisca a una proibizione espres-
sa verbalmente dalla madre o dal padre
è destinata al fallimento dal momento che
il piccolo non è ancora fisiologicamente
capace di ubbidire.
Gli interventi disciplinari devono essere graduali
La gradualità degli interventi educativi
orientati alla disciplina rappresenta dun-
que un elemento importante per assicu-
rarne l’efficacia; ma ancora più importante
è riconoscere al bambino la qualità di per-
sona indipendente e non di soggetto pas-
sivo cui è possibile imporre autoritaria-
mente rigide regole, spesso a lui incom-
prensibili. Si deve tener conto che l’ope-
ra educativa veramente efficace non è
tanto quella rivolta a ottenere qui e su-
bito una ubbidiente risposta a una ri-
chiesta del genitore, bensì quella finaliz-
zata a far sì che il bambino faccia propri,
interiorizzi, i valori che sono il fondamento
di una personalità disciplinata.
Non è importante, per esempio, inter-
rompere con minaccia di punizione un
comportamento aggressivo nei confron-
ti di un coetaneo; quello che conta, per-
ché rimarrà nella coscienza del bambino,
è far comprendere la sofferenza dell’ag-
gredito, dell’ingiustizia perpetrata ai suoi
danni.
Nei processi educativi non sono i risulta-
ti immediati, o non sono soltanto questi,
quelli che contano, ma quelli proiettati
nell’adolescenza e nell’età adulta. Questo
non significa trascurare nell’immediato i
controlli anche sulle piccole disobbe-
dienze; anzi, queste vanno tenute sotto
costante, paziente controllo. Una consi-
derevole quantità di prove suggeriscono
che sono proprio le minute, quotidiane
misure di controllo dei genitori che non
solo producono ubbidienza immedia-
ta,ma influenzano anche i successivi pro-
cessi di interiorizzazione e di autocontrollo.
Le virtù della disciplina e dell’ubbidienza,
riassunte nella tabella a fianco, non de-
vono far trascurare il fatto che anche la
disobbedienza può avere valori positivi.
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
La capacità di dire “no” che compare nel bambino intorno ai dueanni rappresenta una forma di disobbedienza positiva, in quan-to pone le basi per il conseguimento dell’indipendenza rispet-to ai genitori nella ricerca della propria autonomia.
la difficile strada verso ladisciplina
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Uno psicanalista statunitense, di origine
austriaca, René A. Spitz (1887-1974), im-
portante per le sue ricerche sullo svilup-
po infantile, riteneva che la capacità di di-
re “no”, che compare verso i due anni,
rappresenti la tappa più spettacolare rag-
giunta nella prima infanzia. Il “no” è il mo-
do con cui il bambino conquista ed espri-
me la propria autonomia, la volontà e la
capacità di autoaffermarsi. In questo sen-
so, la disobbedienza è positiva in quanto
pone le basi per il conseguimento, sul me-
dio e lungo periodo, dell’indipendenza ri-
spetto ai genitori e l’acquisizione della ca-
pacità di interagire con il mondo in mo-
do creativo e originale. Come l’obbe-
dienza, anche la disobbedienza presenta
manifestazioni diversificate a seconda del-
l’età.
Nei primi anni, la disobbedienza si mani-
festa come semplice e spesso ostinata ne-
gazione, successivamente le modalità si
fanno più articolate, più sofisticate.
Obbedienza e disobbedienza, nello svi-
luppo del bambino, non sono variabili in-
dipendenti, bensì funzioni tanto più con-
trollabili quanto più se ne riconosce l’u-
tilità e si adeguano le condizioni che le
possono meglio orientare verso la for-
mazione di personalità individualmente e
socialmente equilibrate
Promuovere l’obbe-dienza e controllare ladisobbedienza
Le condizioni più favorevoli alla promo-
zione dell’obbedienza e al controllo del-
la disobbedienza si sono dimostrate quel-
le che, ovviamente, garantiscono un con-
testo familiare e sociale ragionevolmen-
te scevro di conflittualità: nel merito, è
di fondamentale importanza l’accordo
dei genitori e la consonanza del loro agi-
re educativo. Non meno fruttuosa è la
condizione in cui l’azione educativa è as-
sociata a manifestazioni di affetto e di
comprensione. Del tutto controprodu-
centi sono le coercizioni e le punizioni
sproporzionate e soprattutto tardive,
causa frequente di bambini difficili e ag-
gressivi. Infine, i risultati migliori vengo-
no ottenuti quando il rapporto genito-
ri-bambini è diretto, chiaro e onesto.
Richieste di obbedienza non precise, non
ragionevoli, non rispettose della perso-
nalità del bambino e delle sue esigen-
ze, non coinvolgenti la sua possibilità di
dire la sua, anche da parte dei più pic-
coli, sono controproducenti per otte-
nerla e per tenere sotto controllo le dis-
obbedienze. Anche per quanto riguar-
da l’obbedienza e la disobbedienza, è
necessario che vi sia il convinto ricono-
scimento che il bambino, a tutte le età,
non è un soggetto passivo da coercire,
bensì una persona attiva e competente
da coinvolgere attivamente nell’azione
educativa. ■
9
Gli effetti dellaDISCIPLINA
La disciplina si impara. Nei primi sei anni di vita vi sono straordinarie opportunità di apprendimento.Successivamente è ancora possibile imparare alcune di queste lezioni, ma spesso ciò diventa più difficile e dolo-roso per il bambino. Ecco alcune delle prime conquiste in cui la disciplina ha un ruolo chiave:• l’autocontrollo: riconoscere i propri impulsi, ciò che li scatena e come possono ferire gli altri, e imparare a trattenersi dall’agire in base a essi;
• riconoscere i propri sentimenti e come nascono, dar loro un nome, esprimerli o, se necessario, tenerli riservati;• immaginare i sentimenti degli altri, capire da che cosa hanno origine e dare loro importanza, riconoscendo l’effetto che il proprio comportamento ha sugli altri;
• sviluppare un senso di equità e la motivazione a comportarsi in modo equo;• l’altruismo: scoprire la gioia di dare, al punto di sacrificarsi per un altro essere umano.Ciascuna di queste capacità di vitale importanza servirà durante l’adolescenza e per tutto il resto della vita. Ma impa-rarle successivamente ai primi anni è più difficile, senza di esse, ben più arduo sono le sfide degli anni a venire.
Brazelton TB., Sparrow JD. Il tuo bambino e la disciplina. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2003.
“La disciplina è il frutto
di un costante, paziente ap-
prendimento, impostato su
richieste chiare, ragionevoli
e comprensibili.”
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Nelle pagine precedenti di questo nu-
mero sono state discusse le principali mo-
dalità secondo le quali l’educazione può
venire impartita ai bambini: permissiva, au-
torevole, disimpegnata, indicando in
quella autorevole la più efficace per lo svi-
luppo positivo del bambino. Ora è il ca-
so di approfondire quelle diffuse forme er-
rate di educazione che generalmente han-
no conseguenze dannose sia individuali,
a carico dei bambini, sia sociali, a carico
della famiglia e della società.
L’educazione troppo permissiva
Vi sono genitori che ritengono che i bam-
bini siano in grado di comprendere gran
parte di quello che capiscono gli adulti,
per cui pensano che basti spiegare con
garbo come sia meglio comportarsi in una
certa situazione per ottenere obbedien-
za: secondo loro, l’imperativo “devi”, se
è insopportabile per un adulto, lo è an-
che per un bambino. Questo tipo di ge-
nitori tendono spesso a giustificare la lo-
ro permissività adducendo la spiegazione
di non voler far soffrire il bambino, come
un atto d’amore verso di lui. In realtà, co-
sì facendo, essi non consentono al bam-
bino di appropriarsi di norme chiaramente
e fermamente espresse, impedendogli o
rallentandogli la maturazione di una
propria capacità di autoregolarsi, di svi-
luppare una propria coscienza di che co-
sa è giusto e possibile fare e di quello che
non lo è. Infine, l’eccessiva permissività
può venire percepita dal bambino non co-
me manifestazione d’amore, bensì come
un segnale di indifferenza, di scarsa o as-
sente disponibilità a occuparsi di lui, men-
tre egli ha bisogno di sentire di essere pro-
tetto e guidato anche con la fermezza di
“no” giusti e pertanto non negoziabili.
I suoi stessi capricci rappresentano una ri-
cerca dei limiti, dei punti di riferimento,
delle regole entro le quali egli trova o ri-
trova la sicurezza di essere protetto e,
quindi, amato.
L’educazione troppo autoritaria
Vi sono genitori che esercitano una pres-
sione dispotica sui loro bambini. All’inse-
gna dell’“io ho sempre ragione”. Questi
genitori non lasciano spazio alle spinte del
bambino verso l’autonomia e l’indipen-
denza, non solo in termini di limitazioni
nell’agire, ma anche nel pensare e nel vi-
vere liberamente le proprie emozioni e i
propri sentimenti. Il risultato di questo ti-
po di educazione, che compromette l’af-
fettività del bambino, consiste spesso nel-
lo sviluppo di una personalità ribelle e vio-
lenta; oppure può verificarsi un cedimento
nelle capacità di resistenza del bambino
verso le imposizioni dei genitori, con il ri-
sultato di ottenere una personalità che ri-
nuncia a sviluppare le proprie autentiche
potenzialità per diventare un altro indivi-
duo privo di personalità pronto soltanto
ad obbedire.
Molto spesso i genitori autoritari giustifi-
cano i loro metodi coercitivi e spesso umi-
lianti con la pretesa di metterli in atto per
“il bene del bambino”. Questo fine non
li rende accettabili, ma soprattutto non ne
attenua le conseguenze. Fra queste, vi è
quella di far diventare quei bambini, una
volta cresciuti, genitori autoritari e violenti,
non in grado di giudicare negativamen-
te i propri padri e madri. L’odio e il ran-
core che tuttavia si generano nel loro in-
timo, per gli eccessi genitoriali di cui so-
no stati vittime, diventano allora parte del-
la loro personalità, ingredienti dei loro
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
Forme errate di educazione hanno conseguenze dannose oltreche sui bambini stessi, anche sulla famiglia e sulla società.
LE CONSEGUENZEDEI SISTEMIEDUCATIVI
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comportamenti verso gli altri e, in parti-
colare, verso i propri figli. L’incondiziona-
ta sottomissione di un bambino alla di-
spotica imposizione di obbedienza di un
genitore può essere ottenuta in vari mo-
di: la coercizione fisica o il ricatto psico-
logico, soprattutto la minaccia della sot-
trazione dell’amore genitoriale.
Si legge in una enciclopedia tedesca del
1887: “Ancor prima di divenirne co-
sciente, bisogna che il bambino avverta
l’ordine e la disciplina acciocché passi al-
lo stadio della coscienza vigile dopo aver
acquisito buone abitudini e aver messo un
freno alla prepotenza dell’egoismo dei
sensi. […] L’educatore deve quindi instil-
lare obbedienza esercitando il suo pote-
re mediante sguardi severi, parole decise,
eventuale costrizione fisica che, se non
producono del bene, almeno impedisco-
no di fare il male, e per mezzo di puni-
zioni. Non è tuttavia necessario che que-
ste ultime facciano principalmente leva sul
dolore fisico, dato che possono basarsi,
a seconda del tipo o della frequenza del-
la disobbedienza, sulla privazione di be-
nefici e sulla riduzione delle dimostrazio-
ni di amore. Per esempio, nel caso di un
bambino sensibile, il quale voglia mette-
re in discussione l’autorità dei genitori,
può rivelarsi efficace allontanarlo dal
grembo materno, il rifiuto da parte del pa-
dre di dargli la mano o il ricusargli il ba-
cio della buona notte e così via. Mentre
con le dimostrazioni d’amore si conqui-
sta l’affetto del bambino, [il timore di per-
dere] questo stesso affetto servirà a ren-
derlo più ricettivo alla disciplina.”1
L’educazione frustrante
L’obiettivo di ogni processo educativo è
principalmente rivolto a far comprende-
re al bambino che i suoi desideri non so-
no sovrani e pertanto tali da dover esse-
re sempre e immediatamente soddisfat-
ti. In altre parole, si può dire che lo svi-
luppo della personalità di un bambino e
il suo adattamento sociale sono favoriti
da un contenimento dei suoi desideri, pas-
sando attraverso una successione di si-
tuazioni frustranti. Il problema educativo
dei genitori consiste essenzialmente nel
distinguere fra frustrazioni tollerabili, uti-
li allo sviluppo, e frustrazioni eccessiva-
mente intense che possono produrre nel
bambino conseguenze anche molto ne-
gative. Non soddisfare il desiderio di un
bambino di possedere un giocattolo, per
esempio, può produrre, come effetto del-
la frustrazione subita, uno scoppio di col-
lera, di furia, di disperazione oppure di to-
tale indifferenza.
In tema di frustrazioni educative, è op-
portuno, perché non siano controprodu-
centi, tener conto delle capacità del bam-
bino di tollerarle sia in termini di intensi-
tà sia di frequenza. Vi sono bambini ai
quali risulta insopportabile ogni differi-
mento o limitazione del soddisfacimento
dei loro desideri e lo dimostrano con ma-
nifestazioni di rabbia, di impazienza, ma
spesso anche di infelicità, comunque sem-
pre con l’ostinata pretesa dell’appaga-
mento del loro desiderio, opponendosi ad
ogni tentativo di compromesso.
Vi sono invece bambini che tollerano la
stessa dose di frustrazione con relativa se-
renità e sono disposti ad accettare grati-
ficazioni sostitutive. In ogni caso, è ne-
cessario prestare molta attenzione nel pra-
ticare azioni educative a contenuto fru-
strante per non ostacolare o deviare lo svi-
luppo del bambino: “Le frustrazioni e le
proibizioni, fra l’altro spesso inevitabili, co-
stituiscono un’utile esperienza, ma se un
11
“L’eccesso di permissività
può essere percepito dal
bambino come disinteresse
o noncuranza da parte del
genitore.”
LE CONSEGUENZEDEI SISTEMIEDUCATIVISBAGLIATI
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ragazzino subisce decine di proibizioni al
giorno, se si sente dire di non fare que-
sto e quello ogni volta che si muove, se
è costantemente bersagliato da una
pioggia di ‘no’, allora delle due l’una: o
si rassegna a subire tutto, a rinunciare a
tutto, a sottomettersi a tutto, e andrà in-
contro ad una vita grama di gregario, di
suddito, di servo oppure di padrone e di
‘caporale’, che è la stessa cosa; oppure de-
ciderà che i divieti non hanno alcun va-
lore e rappresentano soltanto una fasti-
diosa e molesta intrusione, in presenza
della quale è meglio far finta di niente e
comportarsi da ciechi e sordi.”2 Nell’uno
e nell’altro caso, il risultato è quello di fa-
vorire personalità o svantaggiate o poco
socialmente produttive.
L’educazione costellata di bugie
L’abitudine di non dire la verità ai bam-
bini, da parte degli adulti in generale e dei
genitori in particolare, è tanto diffusa da
essere considerata del tutto normale, pri-
va di ogni motivo di sanzione sociale. Le
ragioni per cui i genitori mentono ai loro
bambini sono innumerevoli, spesso del
tutto innocenti se non fosse che posso-
no essere comunque negative per i pic-
coli.
Si mente sui propri ricordi, per “infiorar-
li” e accrescere il proprio prestigio agli oc-
chi ingenui dei propri bambini.
Si mente perché non si ha il coraggio di
dire quel che si pensa, spesso perché non
lo si ritiene adatto per ragioni sociali.
Si mente per tagliar corto, perché non si
ha il tempo o la voglia di spiegare so-
prattutto in tema di denaro, di politica, di
religione, di sesso.
Si mente per tenere lontano i bambini da
esperienze di violenza.
Tutte ragioni apparentemente buone, o
per lo meno accettabili, ma non per que-
sto da accogliere in blocco senza le ne-
cessarie distinzioni.
Innanzitutto una cosa è non dire la veri-
tà, altra cosa sostituire la verità con la
menzogna: questo mina, compromette,
a partire all’incirca dal primo anno di vi-
ta, lo sviluppo della fiducia, ingrediente
fondamentale per impostare il rapporto
del bambino con il mondo.
Cinicamente si potrebbe dire che del
mondo e verso il mondo la fiducia, ac-
quisita e data, può essere addirittura con-
troproducente, mentre più utile sarebbe
conoscere e praticare menzogne e in-
ganni, a proprio esclusivo interesse.
Ma così è bene che non sia, a maggior
vantaggio della qualità della vita del sin-
golo e della società, perché non c’è vera
vita nella falsa: i genitori che non hanno
consapevolezza, o ignorano il peso che la
verità può avere nello sviluppo del loro
bambino verso una personalità in armo-
nia con se stesso e con gli altri, gli rendono
difficile il cammino in tale direzione.
Perché genitori che non praticano una
educazione improntata alla verità, a par-
tire dalle piccole cose di ogni giorno, dif-
ficilmente avranno figli sinceri, capaci di
capire i pensieri e gli stati d’animo del
prossimo, anche delle persone più vicine
con le quali condividono l’esistenza. Nel-
l’educazione alla sincerità, l’obiettivo è
quello di evitare che la rappresentazione
di se stessi e della realtà si realizzi in una
visione basata sulla menzogna.
I bambini piccoli confondono desideri e
realtà per cui sono portati, del tutto in-
nocentemente, a percepirli e o rappre-
sentarli al di fuori della sincerità, tesi alla
gratificazione immediata, immaginando
come reali cose e circostanze che tali non
sono. Quando il bambino, nel suo svi-
luppo, giunge a ragionare e a controllar-
si, allora è capace di distinguere ciò che
è reale da ciò che non lo è, per cui le sue
enunciazioni possono essere consapevol-
mente vere o false (bugie). Alcuni bam-
bini impiegano più tempo per passare dal-
la prima alla seconda situazione, per cui
le loro “bugie” non sono da considerare
più tali perché conservano la primitiva in-
nocenza. Altri, pur avendo portato nor-
malmente a termine il proprio sviluppo,
se esposti a frustrazioni eccessive, af-
frontano le realtà per loro insostenibili ri-
fugiandosi nelle menzogne “di fantasia”,
popolate di forme infantili di gratificazione
del desiderio.
Particolari situazioni di deprivazione af-
fettiva, di disagiate condizioni socioeco-
nomiche possono spingere il bambino pri-
ma, l’adolescente e l’adulto poi, a ricor-
rere ad una cortina di invenzioni destina-
te, nelle intenzioni, a compensare caren-
ze che non si riescono a sopportare. Ti-
pico è il caso dell’orfano che nega la mor-
te della madre contro ogni evidenza, ne-
gazione che esprime una intensa esigen-
za d’amore e l’incapacità di elaborare una
perdita. Di fronte a questo tipo di bugie
è opportuno indagarne a fondo le cause
e affrontarle adeguatamente sul piano psi-
cologico perché persistendo non com-
promettano lo sviluppo psicoaffettivo del
bambino.
Per evitare tutte le altre forme di bugia,
fondamentale è l’atteggiamento dei ge-
nitori: i figli saranno sinceri se potranno
constatare che i genitori lo sono sempre.
Le inevitabili piccole bugie, rese necessa-
rie dalle convenienze sociali, vanno sem-
pre tempestivamente spiegate.
Naturalmente, l’azione educativa o dis-
educativa dei genitori va inquadrata nel
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
LE CONSEGUENZEDEI SISTEMIEDUCATIVISBAGLIATI
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complesso della famiglia e del suo fun-
zionamento, delle interazioni fra i suoi
componenti, spesso caratterizzate da vi-
stose confusioni di ruoli anche rispetto ai
processi educativi. I vari membri della fa-
miglia, magari convinti di agire per il me-
glio, si intromettono eccessivamente nei
pensieri, nelle emozioni, nelle azioni gli uni
degli altri, per cui il bambino finisce per
non capire più con chi ha a che fare, per-
dendo così precisi punti di riferimento
educativi (vedi riquadro).
Due altri fattori, infine, devono essere con-
siderati come causa di comportamenti
educativi controproducenti: l’iperprotet-
tività e la tendenza a evitare situazioni di
conflittualità intrafamiliari.
L’iperprotettività può rappresentare un fat-
tore diseducativo non da trascurare, spe-
cialmente quando è eccessiva e coinvol-
ge reciprocamente tutti i membri della fa-
miglia; l’iperprotettività infatti può com-
promettere lo sviluppo delle capacità del
bambino di rapportarsi al mondo ester-
no, di diventare un normale soggetto so-
ciale, e lo stesso può dirsi dell’evitamen-
to dei conflitti.
Bisogna prendere atto del fatto che non
sempre una famiglia equilibrata è una fa-
miglia che non manifesta conflitti. Eludere
i dissensi, il confronto, può non infre-
quentemente rappresentare l’incapacità di
affrontarli, lasciandoli sedimentati, ma non
resi inerti, nel fondo delle coscienze che
vengono impedite nello sviluppo della lo-
ro identità e della loro autonomia e quin-
di meno capaci di entrare e vivere “edu-
catamente” nel mondo. ■
1. Passaggio riportato in: Miller A. La per-
secuzione del bambino. Torino: Bollati Bo-
ringhieri Editori, 1980.
2. Bernardi M. L’avventura di crescere. Mi-
lano: Fabbri Editori, 1995.
13
I principali tipi di FAMIGLIA
La famiglia chiusa. Questo tipo di famiglia è caratterizzato da modali-
tà organizzative e relazionali tendenzialmente rigide, con una netta
distinzione tra ruolo paterno, più normativo, e ruolo materno, più orien-
tato all’accudimento. Il funzionamento è caratterizzato da aspetti di con-
trollo e di minore flessibilità rispetto alle dinamiche psicologiche interne
e agli scambi con il contesto ambientale circostante. Gli aspetti di ordi-
ne e di disciplina possono portare ad una situazione di stabilità e chia-
rezza normativa e comportamentale, anche se sono poco in grado di
promuovere le naturali tendenze verso uno sviluppo delle personalità
individuali.
La famiglia aperta. Questo tipo di famiglia non ha al suo interno una
precisa predominante figura di riferimento. I componenti intrattengono
rapporti su un piano paritario, con larghi margini di autonomia e auto-
gestione di ciascun componente, sia all’interno sia verso l’esterno, con
ampia apertura alle relazioni sociali. Le decisioni importanti vengono
abitualmente concordate o, talvolta, prese in termini eccessivamente
semplificanti. L’elasticità dei ruoli e delle relazioni può creare le premes-
se per aspetti di promozione delle risorse autonome, ma può anche crea-
re un contesto di insufficiente accudimento e sostegno ambientale, favo-
rendo un funzionamento egocentrico e orientato alla primaria soddisfa-
zione dei bisogni.
La famiglia vuota. Questo tipo di famiglia è caratterizzato dalla man-
canza di precise figure di riferimento e da rapporti interpersonali in cui
predominano gli aspetti formali e comportamentali, a discapito dei pro-
cessi di identificazione e personalizzazione di ciascun componente del
gruppo familiare. Prevalgono gli aspetti concreti, in cui vengono mini-
mizzate le reciproche richieste relazionali, vissute come “disturbo”, a
favore di una gestione individualistica dei bisogni e delle risposte perso-
nali, che trovano una qualche forma di soddisfazione esclusivamente al
di fuori del contesto familiare.
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L’apprendimento delle regole di com-
portamento socialmente condivise, la ca-
pacità di vivere nel mondo in rapporto con
gli altri, è frutto di un lungo processo di
maturazione che impegna il bambino e
chi lo deve educare a partire dai due an-
ni di età del piccolo. Per lungo tempo, nel-
l’ambito della psicologia dell’età evoluti-
va, è prevalsa una visione del bambino so-
stanzialmente negativa, dovuta princi-
palmente a due studiosi che pure hanno
dato contributi fondamentali alla com-
prensione sia dello sviluppo emotivo-af-
fettivo del bambino (Sigmund Freud,
1856-1939) sia di quello cognitivo, delle
capacità di conoscenza e di comprensio-
ne (Jean Piaget, 1896-1980).
Nell’epoca loro, e di numerosi altri psico-
logi, il bambino veniva rappresentato, al-
meno fino ai tre anni, come un essere
egoista, centrato su se stesso, ben poco
disponibile alla cooperazione, tenden-
zialmente aggressivo. Tutte cose parzial-
mente vere, ma che non giustificano la
convinzione di Piaget secondo la quale i
bambini sarebbero incapaci di cooperare
con gli altri o di interessarsi ai loro pro-
blemi fino all’età di 6 anni. Numerose os-
servazioni e ricerche sperimentali succes-
sive ai suoi studi hanno invece dimostra-
to che i bambini già intorno ai due anni
non solo dimostrano di comprendere le
regole dei comportamenti sociali di base,
ma sono anche in grado di interpretare
il senso degli insegnamenti impartiti da-
gli adulti. In sostanza, a 2 anni i bambi-
ni non si limitano solo a obbedire mec-
canicamente ai desideri-ordini dei genitori,
ma cercano di dare un senso a ciò che vie-
ne loro richiesto, manifestando persino i
primi segni di una capacità di darsi regole
proprie. Questo implica ancora una vol-
ta che i genitori si devono porre verso i
bambini con un vero rispetto della loro
personalità, badando a guidarli bene e a
non pretendere di dirigerli in modo irra-
zionale e autoritario.
La comprensione delle regole socialiAll’inizio la capacità di comprensione del
bambino è soltanto parziale e intuitiva
piuttosto che completa ed esplicita; dal
terzo anno di vita, essi divengono sem-
pre più capaci di verbalizzare le regole e
di insistere sulla loro applicazione (alme-
no quando il bambino è interessato!). Fra-
si del tipo: “Tocca a me” e “Non è tuo”
mostrano che il bambino ha compreso, a
livello pratico, che il comportamento so-
ciale è ordinato in determinati modi che
devono essere rispettati da tutti i mem-
bri del gruppo, e che il non rispettarli com-
porta conseguenze prevedibili e solita-
mente spiacevoli. Essi possono discutere
le regole, scherzarci sopra o piuttosto in-
frangerle deliberatamente, ma l’idea fon-
damentale di regola è stata ormai fer-
mamente inculcata nelle loro menti.
L’importanza del gioco e dell’amicizia
Nell’età prescolare, il terreno su cui si rea-
lizza il processo di socializzazione è rap-
presentato essenzialmente dal gioco e dal-
la ricerca del soddisfacimento di un fon-
damentale bisogno del bambino: quello
di stabilire rapporti di amicizia con i pro-
pri simili. Questo bisogno può essere ri-
levato fin dai primi anni, quando il bam-
bino, soprattutto verso i 3-4 anni, co-
mincia a passare dal gioco solitario, an-
che se in presenza di altri bambini, ai gio-
chi condivisi, in cui è possibile riconosce-
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
A partire dai due anni di età ibambini cominciano a capire ilsignificato di ciò che viene lo-ro richiesto di fare o di non fa-re ed è perciò possibile ini-ziare a far acquisire le regoleche permetteranno loro di vi-vere in armonia con gli altri.
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re preferenze, gelosie ecc. In questi anni
l’amicizia diventa lo spazio psicoaffettivo
in cui il bambino ricerca e condivide la sua
vita interiore (pensieri, sentimenti, emo-
zioni) e in cui mette alla prova la reale pos-
sibilità di essere amato, di essere consi-
derato anche al di fuori della famiglia e
su tale considerazione costruire e/o raf-
forzare la propria autostima.
Questa età ha una forte connotazione “al-
truistica” e pertanto costituisce un cruciale
passaggio di emancipazione del bambi-
no dall’egocentrismo della prima infan-
zia, maturandolo verso la capacità di com-
prendere gli altri e quindi di vivere nel
mondo. È questo anche il periodo in cui
maggiormente le figure genitoriali do-
vrebbero impegnarsi nel favorire il pro-
cesso di socializzazione del bambino, sia
ampliando le sue possibilità di frequen-
tare compagni della sua età anche al di
fuori dell’Asilo nido e della Scuola del-
l’infanzia sia consentendogli di parteci-
pare alla vita degli adulti non familiari, in
modo da abituarlo a riconoscere con-
cretamente l’esistenza di una realtà al di
fuori degli abituali rapporti con i genito-
ri e i fratelli. Infatti “è nella famiglia, nel
rapporto con i genitori, che il bambino
costruisce quella base sicura da cui sca-
turisce la stima di sé e la fiducia nelle pro-
prie capacità. Ma è nel confronto con i
coetanei che questa fiducia trova una ve-
ra conferma sociale”1.
La socializzazione inizia in famiglia
Detto questo, è tuttavia opportuno ri-
cordare che se l’Asilo nido e la Scuola
dell’infanzia, così come le esperienze al
di fuori delle mura domestiche, hanno
un ruolo importante nei processi di so-
cializzazione, la propria casa, i propri fa-
miliari costituiscono l’ambiente più ef-
ficace per acquisire consapevole cono-
scenza del mondo e delle regole per vi-
verci in proficua armonia con gli altri. Gli
elementi promotori della socializzazione
in ambito familiare sono tanto ad alto
rendimento quanto semplici: partecipa-
re ai lavori domestici, dialogare con i ge-
nitori e i fratelli, mangiare insieme, an-
dare insieme a fare la spesa e così via.
Nella promozione della socializzazione
non è solo importante che i genitori vi
prendano parte in modo costantemente
attivo, ma che lo facciano secondo mo-
dalità che l’esperienza, le osservazioni e
le ricerche degli psicologi hanno dimo-
strato essere le più efficaci.
■ I principi, le regole, le conseguenze
del loro mancato rispetto devono
essere fatti capire al bambino in
modo breve e chiaro.
■ Gli insegnamenti e le spiegazioni non
devono essere impartiti in modo dis-
taccato e freddo, bensì accompagna-
ti da una calda partecipazione emoti-
va che farà meglio comprendere al
bambino l’importanza di quanto gli
viene raccomandato.
■ I comportamenti corretti vanno sem-
pre adeguatamente apprezzati in
modo che il bambino sviluppi da se
stesso un’immagine positiva che non
vorrà compromettere con successivi
atti riprovevoli.
■ Nell’educazione del bambino al
rispetto delle regole sociali, l’esempio
degli adulti è più efficace di qualsiasi
sermone.
■ L’attività educativa deve essere sem-
pre connotata da una relazione di
forte affettuosità fra adulti, special-
mente i genitori, e il bambino. ■
1. Vegetti Finzi S., Battistin AM. I bambini
sono cambiati. La psicologia dei bambini
dai 5 ai 10 anni. Milano: Mondadori, 1996.
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E LE REGOLE OCIALI
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S
Silvia Vegetti Finzi, Anna Maria BattistinI BAMBINI SONOCAMBIATILa psicologia dei bambinidai 5 ai 10 anni
Milano: Mondadori, 1996.
€ 11,00
i bambini di oggi sono cambiati.crescono sempre più in fretta. a sette, otto anni sono già infor-mati, riflessivi, attenti alle novità,ma anche esigenti e caparbi, spes-so soli e privi di vere risposte. come vivono veramente gli annibrevi e sfuggenti che li separanodall’adolescenza, e soprattutto co-me possono essere aiutati ad af-frontare la vita che si apre loro da-vanti? Gli adulti, che vorrebberocapirli meglio e aiutarli di più,spesso si trovano disorientati e nonriescono a comprendere non soloche cosa ma anche come pensano.
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Il bambino timido è subito riconoscibi-
le: a scuola, fra gli altri coetanei quasi non
ci si accorge di lui, perché non dà fasti-
dio a nessuno; gli insegnanti non si la-
mentano di lui perché, non facendosi sen-
tire, passa inosservato. Il suo disagio di
fronte a estranei si manifesta con com-
portamenti esitanti, impacciati: arrossisce,
ha difficoltà a iniziare un discorso, spes-
so si autoesclude dai rapporti sociali. Tal-
volta, il bambino timido esercita su se stes-
so un autocontrollo che si traduce in un
aumento della tensione muscolare che
conferisce all’andatura del corpo e ai ge-
sti uno stile goffo, esitante; tuttavia, su-
perato il momento iniziale di difficoltà, i
comportamenti tornano del tutto normali.
I diversi tipi di timidezza
La timidezza può avere carattere occa-
sionale, quando fa la sua comparsa in si-
tuazioni inconsuete o comunque insoli-
te, oppure può essere un elemento tipi-
co del bambino. In generale, si può di-
re che vi sono due tipi di bambino timi-
do. Il primo tipo di bambino timido pre-
senta un’inibizione dovuta, in gran par-
te, a un’educazione eccessivamente re-
pressiva, che ha tarpato le ali alla sua
spontaneità, sulla base di valori psicolo-
gici e morali che non hanno tenuto suf-
ficientemente conto delle sue necessità.
Si crea così un conflitto tra bisogni e di-
vieti; prevalendo questi nell’anima del
bambino si giunge a una rinuncia, a una
autocensura nei confronti di ciò che egli
vorrebbe fare, dire, pensare.
Il secondo tipo di bambino timido può svi-
luppare questa sua caratteristica in con-
seguenza di alcuni problemi legati alle sue
condizioni fisiche e psichiche. Si tratta di
soggetti che presentano delle irregolari-
tà dello sviluppo, come ritardi motori an-
che semplici, ritardi del linguaggio, lievi
deficienze intellettive che agiscono ne-
gativamente sulla fiducia in sé. In questi
casi, l’atteggiamento inibito e rinuncia-
tario del bambino esprime il timore di
“non essere all’altezza”, di fare brutta fi-
gura, di vedersi confermata una volta di
più la propria inadeguatezza. Di fronte a
questi problemi, si corre spesso il rischio
di travisare la natura dei comportamenti
inibiti del bambino, attribuendone la cau-
sa a fattori psicologici che invece ne so-
no l’effetto: il bambino non è impaccia-
to e maldestro perché è timido, bensì è
timido perché impedimenti di ordine fisi-
co lo costringono a comportamenti im-
pacciati e maldestri di cui teme le even-
tuali conseguenze mortificanti. È chiaro
che in questi casi sarà necessario valuta-
re i limiti funzionali del bambino e su que-
sti agire perché non diventino causa per-
manente di scarsa confidenza in se stes-
so, di senso di inferiorità, di compromis-
sione del sentimento del proprio valore e
delle proprie capacità (autostima).
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
La timidezza può essere la conseguenza di un senso di ina-deguata considerazione delle proprie capacità e del proprio va-lore dovuto a un’educazione improntata alla negatività che nonha permesso di raggiungere una sufficiente autostima.
timidi
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Come si costruiscel’autostima
La conseguenza più importante di un’au-
tostima soddisfacente è costituita dall’in-
fluenza esercitata sullo stato emotivo ge-
nerale di una persona, che a sua volta in-
fluenza il grado di motivazione e di inte-
resse per le attività proprie di ogni età.
I giovani con elevata stima di se stessi ri-
sultano, da numerose indagini, più crea-
tivi, meno conformisti, più aperti alle re-
lazioni sociali, più dotati nelle prestazio-
ni scolastiche, più sicuri di sé e con una
percezione più sviluppata del proprio ren-
dimento1.
I fattori che concorrono a sviluppare l’au-
tostima in una persona sono numerosi e
di vario ordine (genetici, familiari, sociali),
ma principale, o per le meno assai im-
portante, appare essere l’azione educati-
va nell’infanzia soprattutto da parte dei ge-
nitori. Questi ultimi incorrono spesso in er-
rori non solo nei modi di educare all’au-
tostima i loro bambini, ma anche nei tem-
pi. Non si tiene nel dovuto conto che i
bambini già dai 2-3 anni sono capaci di
autovalutazione, cioè di autostima, men-
tre la tendenza è di focalizzare l’attenzio-
ne (quando ciò avviene, nei genitori più
accorti) principalmente nel corso dell’a-
dolescenza. Questa tendenza è spesso ali-
mentata dal fatto che, nel passaggio dal-
l’infanzia all’età adulta, il consolidamen-
to dell’autostima può venire compromes-
so per quella crisi di identità cui vanno in-
contro molti adolescenti, per l’incertezza
del presente e ancor più del futuro.
Nel considerare la maturazione dell’au-
tostima, dei modi e dei tempi per favo-
rirla, è utile tener conto che nei primi an-
ni di vita il bambino non possiede anco-
ra la capacità di stimare il proprio valore
in termini globali: egli è in grado di valu-
tare i propri comportamenti in modo se-
parato e differente: l’interesse può esse-
re rivolto all’aspetto fisico, alle prestazio-
ni scolastiche, alle attività sportive, al suc-
cesso nelle relazioni sociali. Un’autovalu-
tazione globale, invece, non emerge fi-
no all’età dei 7-8 anni: soltanto allora i
bambini riescono a valutare se stessi in-
dipendentemente dalle prestazioni in
particolari situazioni.
La gradualità dei processi di maturazio-
ne dell’autostima impongono altrettan-
ta gradualità nelle attenzioni che so-
prattutto i genitori sono tenuti a prestare
per sostenerla, basandole su alcuni
principi generali assai semplici. Nell’e-
ducazione del bambino, l’incoraggia-
mento può produrre risultati migliori del-
le punizioni e dei rimproveri. Incoraggiare
un bambino significa:
■ accettare e valorizzare senza condi-
zioni la sua persona, il suo pensiero, i
suoi sentimenti;
■ dimostrargli fiducia;
■ mettere in evidenza gli aspetti positi-
vi delle sue azioni e dei suoi compor-
tamenti;
■ riconoscere i suoi sforzi per migliorar-
si, piuttosto che proporgli o imporgli
sempre nuovi obiettivi da conseguire.
Naturalmente, l’azione dei genitori non
è l’unico fattore promotore dello svilup-
po dell’autostima nel bambino; una par-
te importante è sostenuta dai rapporti so-
ciali. “I compagni di classe, in particola-
re, hanno un ruolo importante nella me-
dia infanzia e nella prima adolescenza,
sebbene sia risultato che l’influenza dei
genitori è ben lontana dall’essere sop-
piantata da quella dei coetanei, come è
stato qualche volta affermato. Comun-
que, qualsiasi persona che in un partico-
lare momento risulti importante nella vi-
ta di un bambino influisce sull’eventuale
aumento o diminuzione della sua fiducia
in se stesso. Le influenze esterne non so-
no tuttavia totalmente responsabili del-
l’autostima; i modelli che s’instaurano, ciò
che provano i bambini se li raggiungono
o meno e le precise implicazioni che que-
sto comporta per l’autostima dipendono
in larga misura dai bambini stessi. La per-
cezione del proprio valore può dipende-
re (anche) da influenze ereditarie”1.
Il rapportocon i genitoriNello sviluppo dell’autostima, le differenze
maggiori possono essere attribuite al rap-
porto che il bambino ha con i propri ge-
nitori. In una ricerca rimasta classica sul-
l’autostima nei ragazzi in età compresa tra
i 10 e gli 11 anni2 è risultato che “i ra-
gazzi con molta stima di sé avevano dei
genitori che li accettavano totalmente e
che, nonostante ponessero delle restrizioni
ben definite al loro comportamento, per-
mettevano ai figli una notevole libertà”.
Senza generalizzare, si può concludere af-
fermando che, in una gran parte dei ca-
si, timidi non si nasce ma lo si può di-
ventare quando i rapporti familiari e so-
ciali non favoriscono o addirittura impe-
discono nel bambino lo sviluppo di una
sufficiente stima del proprio valore e del-
la propria capacità di agire positivamen-
te nel mondo. ■
1.Varie fonti riportate in: Schaffer HR. Lo
sviluppo sociale. Milano: Raffaello Corti-
na Editore, 1998.
2.Coopersmith S. The antecedent of self
esteem. Freeman, 1967. In: Schaffer HR.
op.cit.
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itimidi
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“Il bimbo di un anno talvolta dà schiaffi
sulla faccia della mamma quando si sen-
te di cattivo umore. A un anno e mezzo,
se è stato trattato gentilmente, è più fa-
cile che si trattenga dall’aggredire, ma sfo-
ga la sua stizza dando calci al pavimen-
to. A due anni e mezzo, quando qualcu-
no gli porta via il suo giocattolo, può pic-
chiare l’aggressore sulla testa con un pa-
letto, senza un attimo di esitazione. Mol-
to più incivilito è il bambino di quattro an-
ni. È probabile che discuta con l’altro pre-
potente, almeno per un po’ di tempo. In
altre parole, quando il vostro bimbo, a due
anni picchia la testa di un altro oppure a
quattro anni gioca col fucile e a nove gli
piacciono i fumetti pieni di avventure
cruente, attraversa semplicemente le fa-
si necessarie per domare i suoi istinti ag-
gressivi, per cui diventerà un rispettabile
cittadino. Lasciatelo sempre agire secon-
do la sua età”1.
L’aggressività “normale”
Questa è la descrizione di un bambino
normalmente, anzi provvidenzialmente
aggressivo. Infatti, l’aggressività è una
componente naturale di ogni personali-
tà, un ingrediente necessario per affron-
tare la vita: non per nulla il termine, che
deriva dal latino aggredior, significa
“cammino in avanti”. Il bambino vera-
mente aggressivo è un bambino che lo è
troppo, che aggredisce troppo spesso, con
l’intenzione di recare danno o quanto me-
no con atti tali da arrecarne in modo con-
sistente, accompagnati con espressioni del
viso che dimostrano ostilità. Il bambino ve-
ramente aggressivo non accetta di non ve-
dere soddisfatti i propri desideri, patisce
eccessivamente la frustrazione di non po-
ter conseguire i propri scopi, di non pri-
meggiare, non riesce a sopportare posi-
zioni di subalternità.
Diversamente da quello normalmente ag-
gressivo e turbolento, di solito benevol-
mente tollerato, il bambino troppo ag-
gressivo viene continuamente rimprove-
rato, spesso punito, emarginato dai suoi
compagni e dalle loro famiglie, impedi-
to, dai suoi stessi comportamenti, ad ave-
re un rapporto equilibrato con la realtà.
È un bambino generalmente considera-
to “cattivo”. Nel sistema bambino ag-
gressivo-genitori-mondo, la ricerca del-
le cause dell’aggressività ben difficil-
mente può giungere a una conclusione
diversa da quella di riconoscere che il
bambino aggressivo è sostanzialmente
una vittima, un po’ di se stesso, senza
colpa, ma soprattutto degli altri. In so-
stanza, il vero aggressivo è spesso un
bambino che soffre, è un bambino in-
felice, è un bambino che ha particolar-
mente bisogno di essere capito e aiuta-
to. E la comprensione e l’aiuto sono tan-
to più efficaci quanto più ci si rende con-
to degli effetti che possono avere i com-
portamenti dei genitori su quelli ecces-
sivamente aggressivi dei loro bambini.
Come aiutare un bambino aggressivo
Numerose ricerche hanno consentito di in-
dividuare alcuni comportamenti genitoriali
che maggiormente possono pesare fra le
cause dell’aggressività del bambino (Ta-
bella a lato). I risultati raggiunti non fan-
no che confermare le comuni esperienze
che, tuttavia, molto spesso non sono ade-
guatamente esaminate e, soprattutto, fat-
te oggetto di autocritica da parte degli in-
teressati. Naturalmente, non si tratta di in-
dividuare nei genitori dei “colpevoli”. Mol-
to spesso essi stessi sono delle vittime, per-
ché a loro volta sono stati allevati nell’in-
comprensione e nella coercizione da par-
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
iaggressivi
I bambini aggressivi non sono capaci di sopportare le nor-mali frustrazioni: spesso sono bambini infelici che hannoparticolare bisogno di essere capiti e aiutati.
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te dei loro genitori; perché sono cresciu-
ti in ambienti ostili; perché non è stato lo-
ro concesso di imparare adeguatamente
il mestiere di genitori; perché le difficol-
tà della vita riducono le possibilità di ade-
guata attenzione ai bisogni affettivi e spi-
rituali dei loro bambini. Tanti perché che
limitano le loro capacità di capire e di fron-
teggiare l’aggressività dei loro figli, dive-
nendone appunto anch’essi vittime. È
questa la condizione più sfavorevole per
educare il bambino all’equilibrata accet-
tazione delle regole entro le quali conte-
nere la propria aggressività.
Una ricetta unica per far fronte a tutti i
tipi e tutti i livelli di aggressività ovviamente
non esiste: ogni problema ha una sua spe-
cificità individuale, familiare, ambientale,
sociale; tuttavia, un suggerimento viene
generalmente proposto dagli esperti:
ogni tentativo di sviluppare nel bambino
la capacità di autocontrollare l’eccesso di
aggressività ha buone possibilità di riuscita
se, da parte degli adulti, viene basato sul-
l’impegno e sulla capacità di immedesi-
marsi e di far propri i problemi del bam-
bino fino a coglierne i pensieri, le emo-
zioni, gli stati d’animo: risultato conse-
guibile soprattutto dedicando tempo e at-
tenzione a un vero ascolto delle sue esi-
genze. Questo contribuirà a calmarlo e a
rassicurarlo che il suo disagio è preso dav-
vero in considerazione con partecipazio-
ne e affetto, che non è solo, abbandonato
nella riprovazione. ■
1. Spock B. Il bambino, come si cura e co-
me si alleva. Milano: Longanesi & C., 1954.
19
Comportamenti genitoriali maggiormente associatiall’AGGRESSIVITÀ DEL BAMBINO
L’aggressività di un bambino spesso riflette l’aggressività di genitori troppo proiettatinell’affermazione economica e sociale.
Permissività. L’eccessiva permissività dei genitori può venire interpretata dal bambino come approvazione deisuoi atti aggressivi, fisici e verbali, e come una licenza a esprimerli senza limiti.
Punitività. Punizioni frequenti, sproporzionate, non spiegate, incoerenti, impartite in tempi lontani dagli avveni-menti castigabili, possono essere vissute come atti ingiusti e alimentare ulteriori sviluppi dell’aggressività.
Rifiuto. Quando il bambino non è accettato, viene allevato nell’indifferenza, specialmente da parte della madre,non riceve riconoscimenti e ricompense per gli sforzi di controllo dei propri impulsi aggressivi, egli, frustrato nellesue attese, non avrà sufficienti motivazioni a frenarli.
Esempio. Molto spesso, bambini aggressivi sono figli di genitori aggressivi, proiettati all’affermazione individua-lista prevalentemente orientata al successo economico e sociale.
Rinforzo. Se quando il bambino compie un’azione aggressiva, il genitore risponde con malevola ostilità, il bam-bino risponderà accentuando il suo comportamento aggressivo, il genitore a questo punto aggraverà la sua rea-zione di punitiva ostilità rendendo più difficile o impossibile la ricomposizione del conflitto e il bambino aggres-sivo lo diventerà ancora di più.
iaggressivi
“Il bambino aggressivonon è capace
di sopportare frustrazioni, cerca il suo posto nel mondo senza
trovarlo”
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Nonostante tutte le connotazioni di
crisi e di instabilità che si possono ravvi-
sare in un gran numero di famiglie nel-
l’esperienza di ogni giorno, la famiglia
continua a essere l’istituzione centrale
della società, non solo per la perduran-
te capacità di provvedere alla sussisten-
za dei suoi piccoli componenti, ma an-
che per il suo ancora insostituibile ruo-
lo nella promozione del loro sviluppo psi-
coemotivo e morale. Il riconoscimento di
tale centralità non deve tuttavia ma-
scherare il fatto che assai spesso la fa-
miglia può essere il luogo in cui, con
maggiore frequenza e intensità, avven-
gono scambi interpersonali che sono por-
tatori di sofferenze psichiche e affettive.
Questa è fondamentalmente la ragione
per cui, di fronte ad una sofferenza o ad
anomalie comportamentali, l’attenzione
deve essere rivolta non solo al bambino,
ma anche all’insieme delle figure che ani-
mano la vita di relazione dell’intera fa-
miglia.
Che cos’è una “famiglia normale”?
Innanzitutto è necessario porsi una que-
stione essenziale: a fronte dei bisogni
dei bambini (Tabella 1) quale risposta la
famiglia di oggi è capace di dare e qua-
le famiglia invece è essa stessa causa di
disagio?
Molti studiosi hanno documentato che,
accanto ad alcuni dei principali bisogni
espressi dai bambini (bisogno di relazio-
ne, di amore e rispetto, di protezione e
incoraggiamento, di accudimento e so-
stegno, di ascolto e sicurezza), riconosciuti
come diritti dalla normativa vigente in-
ternazionale e nazionale, sono emersi con
chiarezza anche altri bisogni, per così di-
re, contemporanei, quali il bisogno di pro-
gettualità, di futuro, di ricomposizione (in-
terpretazione) delle varie e diverse espe-
rienze cui sono esposti.
Si può cominciare con il tentativo di de-
finire la famiglia normale, tentativo per-
ché questa istituzione è estremamente
complessa nella sua struttura e nelle sue
funzioni, a seconda di dove e come vie-
ne considerata nel tempo storico, nei luo-
ghi e nelle relative culture. Basandosi sem-
plicemente su criteri occidentali attuali e
intendendo per normale una struttura ab-
bastanza ben funzionante, la famiglia di
riferimento può essere definita come una
organizzazione di persone caratterizzata
dalla chiara distinzione dei ruoli, tuttavia
sufficientemente flessibili per evitare rigi-
dità autoritarie che renderebbero diffici-
li o impossibili contatti autentici fra i suoi
componenti. Chiarezza e distinzione dei
ruoli significano accettazione di una ge-
rarchia al cui vertice sono situati i genitori,
i quali, pur portatori di valori e metodi
educativi del passato, devono essere
aperti ai cambiamenti prodotti dallo svi-
luppo sociale. Portatori comunque posi-
tivi nella misura in cui sono stati capaci di
liberarsi dal vissuto di una eventuale pro-
pria infanzia infelice. Infatti, metaforica-
mente, nella stanza di ogni bambino ci so-
no spesso dei fantasmi: “sono i visitato-
ri del passato non ricordato dei genitori…
Nelle situazioni migliori questi visitatori,
ostili e non invitati, vengono cacciati dal-
la stanza e ritornano alla loro dimora sot-
terranea. Il bambino fa la sua imperativa
richiesta di amore al genitore e, proprio
come nelle fiabe, i legami d’amore pro-
teggono il bambino e i suoi genitori da-
gli intrusi, i fantasmi maligni.”1
Ma non sempre questo accade: i fanta-
smi maligni del passato dei genitori si in-
sediano nella stanza dei bambini impe-
dendo l’instaurarsi di un vero rapporto
d’amore, fondamento di uno sviluppo ar-
monico. I fantasmi nella stanza dei bam-
bini non sono sempre visitatori facilmen-
te sospettabili, anche quando i compor-
tamenti genitoriali sono vistosamente ge-
neratori di sofferenza. Ve ne sono di par-
ticolarmente subdoli, spesso paludati di
buone intenzioni e di finto amore, tali da
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
Una famiglia serena, sia pure con qualche contrasto rapidamente risolvibile, e ricca di costantiscambi affettivi, è la migliore garanzia per un armonico sviluppo della personalità del bambino.
Problemi in famiglia:
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confondere il giudizio sulla natura delle
famiglie anche le più apparentemente
normali. Al di fuori della cerchia della “fa-
miglia ideale” sono riscontrabili diversi al-
tri tipi di famiglie: la rigida famiglia chiu-
sa; la famiglia aperta in cui non si sa chi
sia il riferimento principale; la famiglia vuo-
ta in cui non esistono relazioni interper-
sonali improntate ad autenticità Oltre a
questi tipi di famiglie, se ne possono sin-
tetizzare altri due che non sono capaci di
provvedere alla crescita dei propri figli, tan-
to da dover essere considerate causa di
veri e propri disturbi psichici: sono le co-
siddette “famiglie disfunzionali patoge-
ne”, classificabili in disimpegnate e invi-
schiate.2
■ Le famiglie disimpegnate. In queste
famiglie i contatti sono scarsi, c’è
poca attenzione reciproca e i com-
portamenti dei membri della famiglia
non coinvolgono gli altri membri. Gli
individui appaiono scollegati, con
legami eccessivamente lassi e confini
eccessivamente rigidi; queste famiglie
falliscono nel mobilitare il sostegno
reciproco, non soddisfano le esigenze
di protezione dei loro membri e pre-
sentano una eccessiva tolleranza per
le deviazioni.
■ Le famiglie “invischiate”. In queste
famiglie i confini sono troppo per-
meabili e scarsamente delimitati; c’è
eccessiva prossimità tra i membri e un
basso livello di differenziazione e
autonomia; sono caratterizzate da
eccesso di preoccupazione reciproca
e iperprotettività; presentano scarsa
flessibilità e capacità di cambiamento.
Le due tipologie delineate costituiscono
due modelli tipologici ideali: le famiglie
reali comprendono aree di transizione sia
21
Tabella 1 I diritti dei bambini e i loro bisogni
I diritti dei bambini nella normativa internazionale
e italiana
Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (1989)■ Diritto di assistenza■ Diritto di protezione■ Diritto all’espressione e all’ascolto■ Diritto all’educazione■ Diritto al tempo libero e al gioco■ Diritto alla libertà di pensiero e di coscienza
Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo(1996)■ Diritto a essere ascoltato nei procedimenti il cui esito può
incidere sulla sua vita e sulla sua crescita
Legge 149/01 (adozione e affidamento)■ Diritto di crescere ed essere educato nella propria famiglia.■ Diritto di crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia.■ Diritto all’adozione in caso di abbandono.
I bisogni dei bambini nelle parole degli educatori■ Bisogno di relazione■ Bisogno di relazione con i coetanei■ Bisogno di contenimento■ Bisogno di sicurezza■ Bisogno di continuità■ Bisogno di futuro■ Bisogno di vicinanza■ Bisogno di ascolto■ Bisogno di progettualità■ Bisogno di fiducia nelle proprie competenze■ Bisogno di figure adulte di riferimento■ Bisogno di ricomposizione
Rielaborazione da. Accettulli A., Onofrio L., Taccani P. La comunicazione scritta tra
servizi sociali e autorità giudiziaria”. Roma. Carocci, 2004. In: Fondazione Paideia.
La quotidiana relazione con bambini in difficoltà. Supplemento al numero 10/2009
di Animazione sociale.
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invischiate sia disimpegnate e si colloca-
no in un punto intermedio fra le due ti-
pologie estreme. Le strutture disfunzionali
familiari sono spesso il risultato dell’inca-
pacità della famiglia nel far fronte a ele-
menti stressanti esterni (problemi econo-
mici e sociali, eventi catastrofici) o inter-
ni (cambiamenti imposti dall’evoluzione
del ciclo vitale).
La struttura disimpegnata è di solito in re-
lazione con famiglie con gravi problemi
economici, con madri sovraccariche, au-
tosvalutanti, depresse, che si sentono
sfruttate, sole o scarsamente supportate
dal coniuge, incapaci di esercitare la fun-
zione di controllo e guida dei figli; la strut-
tura invischiata è caratterizzata da mec-
canismi di evitamento dei conflitti attra-
verso l’occultamento delle differenze e la
negazione del disaccordo.
Quando il problema è la famiglia
Nelle situazioni in cui il problema è la fa-
miglia, (mentre il bambino “difficile” è so-
stanzialmente una vittima) una delle
principali necessità da superare per riac-
quistare un sufficiente equilibrio nel rap-
porto educativo consiste nel rendersi con-
to, da parte degli adulti, dei propri moti-
vi di crisi in funzione delle conseguenze
che possono avere sui figli, non limitan-
do l’autoesame al solo proprio disagio, al
solo proprio dolore. L’impresa non è sem-
plice e tanto più difficile da affrontare
quanto più, ovviamente, la crisi familiare
è complessa e tendenzialmente insolubi-
le, tanto da rendere inevitabile una de-
strutturazione di questa mediante il ri-
corso alla separazione e al divorzio.
In questo quadro, ogni suggerimento, ri-
volto a salvaguardare i bambini delle fa-
miglie problematiche almeno dai maggiori
disagi e sofferenze, rischia di essere vel-
leitario e pertanto inutile. Infatti, nella
maggioranza dei casi, le crisi familiari so-
no adultocentriche: i conflitti, le loro ra-
gioni, riguardano (ma soltanto apparen-
temente) gli adulti: il padre o la madre;
l’asprezza dei loro rapporti può essere ta-
le da offuscare, impedire la visione delle
ripercussioni che può avere sui figli e le
loro difficoltà: in primo luogo l’isolamento,
la solitudine affettiva ed educativa quan-
do le sofferenze dei genitori, tramutate
in collera incontrollata, non si ripercuo-
tono sui figli sotto forma di maltrattamenti
e ingiusti, spesso violenti, atti punitivi.
Quello che molto spesso scompare nelle
famiglie problematiche è la disponibilità,
la capacità di ascoltare soprattutto i bam-
bini, mentre emerge la tendenza a negare
le loro sofferenze, il loro dolore. Presi dai
propri disagi, gli adulti insofferenti impe-
discono ai bambini della famiglia di ma-
nifestare i loro sentimenti di insoddisfa-
zione, di irritazione, di collera, di dispia-
cere, venendo meno a uno dei principa-
li doveri educativi: dare la libertà di espri-
mersi. Le condizioni peggiorano quando,
pur nel dissenso sulle questioni che li ri-
guardano direttamente, gli adulti in crisi
si alleano fra loro condividendo “coeren-
ti” atteggiamenti educativi-punitivi nei
confronti dei figli che rimangono così an-
cor più vittime perché senza difensori.
Nelle famiglie problematiche il più delle
volte vengono del tutto meno genitori ca-
paci di condividere emozioni e sentimen-
ti con i loro figli in modo trasparente, equi-
librato, teso a favorire lo sviluppo delle lo-
ro potenzialità cognitive, affettive, emo-
zionali. A questi genitori, più che impra-
ticabili suggerimenti, si può rivolgere una
invocazione: dedichino le residue risorse,
salvate o salvabili dal naufragio delle lo-
ro esperienze familiari (coniugali in primo
luogo) a persistere nell’assicurare ai loro
bambini l’attenzione di cui hanno bisogno,
nel rispetto dei loro diritti come persone,
nella comprensione dei loro pensieri e sen-
timenti. ■
1. Freiberg S. Il sostegno allo sviluppo. Mi-
lano: Raffaello Cortina Editore, 1999.
2. Contini A. I modelli relazionali.
In: AA.VV. Professione Medico. Vol. 8. Pa-
tologia della psiche e del comportamen-
to. Torino: Utet, 1999.
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
Problemi in famiglia:
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“In caso di conflitti famigliari,
il bambino teme di doversi schierare
con una parte o con l’altra
e di essere obbligato a scegliere
fra due oggetti di amore per lui
ugualmente importanti. ”
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LA MIA FAMIGLIA FUNZIONA?
La famiglia assolve a due compiti fondamentali: provvedere al sostentamento dei suoi membri e contribuireallo sviluppo della loro personalità. Questi compiti possono essere assolti, nei confronti dei bambini, tanto
meglio quanto più la famiglia funziona con soddisfazione da parte loro. Quando ci si accorge che qualche cosanon va, è bene correre ai ripari. purtroppo non sempre si riesce a riconoscere per tempo le piccole, e spessoanche grandi, disfunzioni che possono mettere in crisi il rapporto fra adulti e bambini. per questo è utile dis-porre di un semplice indicatore che consente di scorgere eventuali problemi nelle strutture e nel funzionamen-to dei rapporti con i propri bambini, come quello che proponiamo in questa pagina.
Valutazione del rapporto con i figli
SEMPRE QUALCHE VOLTA QUASI MAI
A Quando il tuo bambino dimostra diavere un problema, ti dedichi a capirlo e ad aiutarlo? 2 1 0
B Quando nella tua famiglia insorgonodei problemi che coinvolgono i tuoibambini e ne parli con loro,ti sembra che dimostrinoapprezzamento del fatto che si è tenutoconto del loro punto di vista? 2 1 0
C Tu e la tua famiglia condividetei desideri di cambiamentodel tuo bambino anche se differisconodalle vostre abitudini e/o aspettative? 2 1 0
D Ti sembra che il tuo bambinorimanga soddisfatto del modocon cui tu e la tua famigliareagite ai suoi sentimenti di amore, di rabbia o di dolore? 2 1 0
E È soddisfacente il tempo che tudedichi ai tuoi bambini? 2 1 0
Risultati Sommare i punti ottenuti. Un totale da 7 a 10 indica una famiglia molto ben funzionante; da 4 a 6 punti indica una situazione
familiare con disfunzioni che richiedono moderate correzioni; da 0 a 3 la famiglia non funziona e la convivenza sembra in serio
pericolo, tanto che appare consigliabile un esame approfondito del rapporto fra i membri che la compongono.
Problemi in famiglia:
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I bambini con bisogni speciali sono
quelli che presentano una limitazione glo-
bale o parziale, congenita o subentrata
dopo la nascita, nelle proprie capacità fun-
zionali. Un tempo venivano definiti han-
dicappati, o disabili. La dizione più ap-
propriata è bambini con bisogni speciali
che hanno il diritto a interventi specifici
atti a promuoverne lo sviluppo umano e
a migliorarne la qualità della vita.
L’arricchimento sociale della disabilitàI bambini con bisogni speciali non sono
numericamente trascurabili: nell’anno
scolastico 2007/2008 risultavano inseriti
nelle Scuole dell’infanzia 161.686 soggetti
con una qualche forma di handicap, ma
i numeri sono certamente maggiori: ba-
sti pensare che la cosiddetta sindrome di
Down (dal nome del medico inglese John
Langdon Down che per primo la descris-
se nel 1866 denominandola, in modo
piuttosto impreciso, mongolismo) può col-
pire mediamente 1 bambino ogni 700 na-
ti vivi. Si comprende così che, anche se le
famiglie con un bambino con bisogni spe-
ciali sono relativamente rare, la possibili-
tà di un genitore di condividerne l’espe-
rienza nell’ambito degli Asili nido e delle
scuole in generale sono di non trascura-
bile frequenza. E questo è molto impor-
tante, perché il superamento delle dis-
abilità e degli handicap che ne possono
derivare, la valorizzazione delle risorse re-
sidue su cui puntare, sono affidate a un’al-
leanza fra più soggetti, sia professionali
(specialisti, insegnanti di sostegno e or-
dinari ecc.) sia comuni (familiari, vicini di
casa ecc.), la cui partecipazione è indi-
spensabile per la creazione della neces-
saria atmosfera di accettazione e di inte-
grazione sociale. Se i vantaggi di una ta-
le alleanza per i bambini con bisogni spe-
ciali, le loro famiglie e le strutture edu-
cative cui vengono affidati è di tutta evi-
denza, non minori vantaggi sono quelli
che derivano a quanti vi contribuiscono:
l’assimilazione del concetto che le diver-
sità non solo hanno il diritto di essere ac-
cettate ma che costituiscono un arricchi-
mento intellettuale, morale e spirituale di
chi ne condivide e ne sostiene l’esperienza
esistenziale. Senza trascurare il fatto che,
in fondo, ogni bambino va considerato
come speciale, perché speciali sono l’in-
dividualità, la personalità e la storia di ogni
essere umano.
Il riconoscimento precoceLa conoscenza, almeno approssimativa,
delle peculiarità delle varie forme di dis-
abilità è necessaria per prendersi carico di
un bambino diversamente abile e quindi
con bisogni speciali. È opportuno dedicare
un’attenzione particolare ai tempi di
emergenza dei problemi connessi con i va-
ri tipi di handicap e alla loro evoluzione
per adattarvi tempestivamente appropriati
progetti riabilitativi ed educativi.
Le disabilità fisiche generalmente sono dia-
gnosticate fin dal primo anno di vita e pre-
se in carico terapeutico nei primi tre.
Più complesso appare il problema del ri-
conoscimento delle disabilità psichiche che
tendono a essere riconosciute con ritar-
do e seguite con molte incertezze. Infat-
ti, se è vero che i deficit neuropsichiatri-
ci, affettivi e relazionali emergono di so-
lito nei primi tre anni di vita, è anche ve-
ro che la diagnosi e la valutazione della
loro gravità funzionale e la conseguente
presa in carico terapeutica avvengono
spesso molto più tardi; in molti casi i pro-
blemi vengono presi in seria considera-
zione addirittura verso i 10-11 anni, spe-
cialmente per quanto riguarda i disturbi
del comportamento e dell’apprendimen-
to. Non ultimo è il problema della non in-
frequente confusione fra handicap psi-
chico vero e proprio e deficit funzionali at-
tribuibili a situazioni di svantaggio so-
cioeconomico, socioculturale, ambienta-
le.
Le risorse riabilitative
Il raffronto e la valutazione fra le princi-
pali esigenze del bambino disabile e le ri-
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
Riconoscimento precoce della disabilità e tempesti-vità di intervento permettono di affrontare e spessodi risolvere i problemi di questi bambini a lungo in-giustamente emarginati.
con bisogni speciali
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sorse realmente disponibili per farvi fron-
te devono essere improntati alla massima
cautela, specialmente nell’indicare obiet-
tivi perseguibili in modo da non indurre
a coltivare illusioni destinate a risolversi in
delusioni catastrofiche, senza tuttavia mi-
nimizzare il fatto che diagnosi precoce,
tempestività di intervento e continuo ade-
guamento dei piani di ricupero all’evolversi
delle condizioni menomanti rappresen-
tano non trascurabili risorse riabilitative.
Il delicato rapportocon le famiglieMolto delicato è il rapporto fra gli ope-
ratori professionali e le famiglie dei bam-
bini disabili che a loro si affidano. Per-
ché il rapporto sia fruttuoso alcuni fe-
nomeni che si presentano nelle famiglie
con bambini disabili vanno esplorati in
modo adeguato. Valga qualche esempio:
la frequente destabilizzazione del nucleo
familiare o, al contrario, il suo rafforza-
mento; l’iperprotettività dei genitori e il
conseguente maggiore isolamento del
bambino disabile oppure i sentimenti di
ostilità che possono insorgere e radica-
lizzarsi nei suoi confronti; l’effetto delle
alterate dinamiche familiari sui fratelli del
disabile; le difficoltà di natura sociocul-
turale che spesso complicano il rappor-
to familiari-operatori ecc.
Infine, la presa in carico di un bambino
disabile, soprattutto nell’ambito degli
Asili nido e delle Scuole dell’infanzia, de-
ve essere improntata all’osservanza di un
codice deontologico basato sul ricono-
scimento dei suoi diritti. Di questi dirit-
ti e delle leggi che li difendono è bene
che genitori, educatrici e insegnanti sia-
no edotti.
Nei confronti dei disabili è ancora fre-
quentemente in atto un processo di
emarginazione che spesso comporta ne-
gli stessi portatori di handicap un’iden-
tificazione con le proprie limitazioni e una
subalterna risposta al mondo come ac-
cade per la maggior parte delle mino-
ranze deboli. ■
25
L’handicap secondo la legge1
“È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progres-
siva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un
processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Il legislatore mette in evidenza il fatto che si è in presenza di handicap quando la minorazione (fisica, psichica e
sensoriale) si configura come causa di difficoltà sul piano degli apprendimenti ecc. L’handicap, quindi, è dato dalle
difficoltà che il soggetto incontra nel raggiungere quegli obiettivi di sviluppo umano che sono coerenti con l’età
del soggetto. Ne consegue che l’azione a favore del bambino con handicap è quella che va nella direzione di
rimuovere (o bypassare) le difficoltà che impediscono uno sviluppo globale ed equilibrato della persona, concen-
trando gli sforzi sullo sviluppo delle capacità residue così da migliorare i suoi livelli di funzionamento. Bisogni spe-
ciali possono essere dovuti a cause le più diverse:
■ una malattia che impedisce al bambino la frequentazione della scuola;
■ menomazioni sensoriali, motorie, cognitive ecc.;
■ deficit di apprendimento, comunicazione, linguaggio, autonomia, interazione ecc.;
■ difficoltà nel rivestire il ruolo di alunno e seguire il curricolo e le attività della classe;
■ difficoltà di partecipazione ad attività sociali (per esempio gite o altre occasioni informali);
■ barriere architettoniche, pregiudizi, famiglia iperprotettiva, contesti sociali devianti ecc.;
■ bassa autostima, scarse motivazioni, problemi di comportamento ecc.
1. Legge-quadro n. 104/1992 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.
con bisogni speciali
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Negli anni 40 e 50 del secolo scorso, e
ancor più nei decenni precedenti, la più
frequente minaccia per i bambini era rap-
presentata dalle malattie infettive. Le ma-
lattie infettive, naturalmente, non sono
scomparse ma, grazie alle risorse della me-
dicina moderna, sono in larga misura e in
modo molto efficace tenute sotto con-
trollo da parte dei pediatri. La situazione
generale, ai nostri giorni, può pertanto es-
sere così riassunta:
■ i bambini molto malati sono pochi,
■ i bambini poco malati sono numerosi,
ma non moltissimi,
■ i bambini da non far ammalare sono
tutti.
Il terzo punto pone evidentemente l’ac-
cento sulla prevenzione, cioè sulla pre-
disposizione di tutte le misure utili a evi-
tare eventi dannosi. Questo significa
provvedere a una corretta alimentazio-
ne, garantire i naturali ritmi del sonno,
fare le vaccinazioni obbligatorie e non,
secondo il consiglio del pediatra, con-
trollare lo sviluppo fisico e mentale, pre-
venire gli incidenti; evitare i fattori di ri-
schio quali l’esposizione al fumo passi-
vo, i rumori eccessivi, le condizioni am-
bientali sfavorevoli in termini di tempe-
ratura, ventilazione, umidità.
I bilanci di salute
Strumenti fondamentali per tenere sotto
controllo lo sviluppo del bambino e met-
tere eventualmente in atto le misure più
opportune per salvaguardarne la salute
sono rappresentati dai bilanci di salute. I
bilanci di salute consistono nella valuta-
zione, da parte del pediatra, dell’anda-
mento dello sviluppo fisico e neuropsi-
chico del bambino a scadenze regolari, se-
condo un calendario prefissato, anche se
non rigidissimo. I pediatri generalmente
raccomandano visite di controllo nel pri-
mo anno di vita alle seguenti scadenze:
alla fine del primo mese, a 2 mesi, a 3, a
4, a 6, a 8 mesi, a 12 mesi.
In occasione di ogni visita di controllo il
pediatra farà un bilancio delle condizio-
ni del bambino e lo scriverà in un libret-
tino (il Diario sanitario) che i genitori de-
vono conservare con cura perché serve a
ricordare i dati più importanti che ri-
guardano lo sviluppo e la salute del loro
bambino nel corso dei mesi e degli anni.
A ogni scadenza, vengono effettuati i se-
guenti controlli:
■ A 1 mese dalla nascita vengono con-
trollati: il peso, la lunghezza, la vista,
l’udito, il ritmo sonno-veglia, il sorri-
so, il pianto e altri indicatori che
riguardano fra gli altri la posizione e
la mobilità degli arti inferiori. In que-
sta occasione, il pediatra raccoglierà
informazioni sull’allattamento e darà
suggerimenti per migliorarlo se sarà il
caso e non mancherà di raccomanda-
re le misure igieniche più appropriate
nell’interesse del bambino.
■ Nel secondo mese, oltre agli stessi
controlli effettuati nel primo mese, il
pediatra provvederà a spiegare l’im-
portanza delle vaccinazioni ed even-
tualmente a eseguirle. A partire dal
secondo mese il bambino può essere
vaccinato; un secondo appuntamen-
to vaccinale è a 5 mesi e i successivi a
12, 13 e 14 mesi. Vi sono vaccinazio-
ni obbligatorie che proteggono dalla
difterite, dal tetano, dalla poliomielite
e dall’epatite B: vaccinazioni racco-
mandabili contro la pertosse, il mor-
billo, la parotite e la rosolia.
■ Al terzo e al quarto mese, il pediatra
rivolgerà la sua attenzione anche allo
sviluppo della capacità di muoversi e
di afferrare gli oggetti e di passare dai
vagiti e dai gridolini del primo mese
all’inizio dello sviluppo del linguaggio
con i primi balbettii-gorgoglii. Le vac-
cinazioni saranno ancora un argo-
mento di queste visite, così come lo
saranno a 6 mesi.
■ Al sesto mese, accanto a tutti i con-
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
SALUTE:I bambini, anche se nei primi anni di vita crescono fisicamente, mentalmente edemotivamente in modo normale, vanno comunque periodicamente controllati nelloro sviluppo.
controllareper prevenire
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trolli di sempre, un tema importante
sarà rappresentato dallo svezzamento
e dall’impostazione del nuovo modo
di alimentare il bambino che a poco a
poco abbandona la dieta prevalente-
mente lattea, così come sarà all’otta-
vo mese.
■ Al dodicesimo mese, il pediatra (oltre
a misurare peso, altezza, vista, udito
e a valutare ed eventualmente cor-
reggere l’alimentazione) porrà sotto
particolare esame lo sviluppo psico-
motorio (camminare e parlare); sarà
inoltre sua preoccupazione rafforza-
re la raccomandazione di avere cura
dei denti, abituando i genitori a
usare lo spazzolino dopo ogni pasto
del bambino o, almeno, alla sera,
abitudine che dovrebbe essere
impostata fin dalla comparsa dei
primi denti da latte.
La Società Italiana di Pediatria consiglia un
bilancio di salute anche al secondo anno
di vita. Un esaustivo bilancio di salute è
raccomandabile anche a 3 anni. A tutte
le età, i bilanci di salute servono anche per
rendersi conto, discutendone con il pe-
diatra, se l’ambiente, i rapporti all’inter-
no o anche al di fuori della famiglia so-
no adeguati alle necessità del bambino.
Sotto questo aspetto, la responsabilità
dei genitori è grande perché una parte
importante del lavoro del pediatra è ba-
sata su quanto essi sono in grado, o vo-
gliono, raccontare sui particolari della vi-
ta e dei comportamenti giorno per gior-
no del bambino. In questo modo essi
vengono coinvolti profondamente nel va-
lutare l’andamento della crescita, della
salute e del benessere del proprio bam-
bino, ma anche di quello che fanno o
non fanno abbastanza bene nell’alle-
varlo. Per questa ragione, i bilanci di sa-
lute sono sì importanti per il bambino,
ma lo sono anche per migliorare il me-
stiere di genitori. ■
27ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
Dal dottore senza tensioni
Le visite di controllo di un bambino sano fra l’anno e i tre anni di età devono essere affrontate nel maggior
rispetto possibile del bambino, così come, a maggior ragione, deve essere quando le visite si rendono neces-
sarie per una situazione di malattia.
Il bambino infatti, in questo periodo della sua vita, non ha ancora ben maturato la rappresentazione del proprio
corpo e teme ogni inconsueta intrusione nei propri spazi; se a questo si aggiunge l’emergente negativismo che
accompagna ed esprime il suo percorso verso l’autonomia, si comprende come la visita medica presenti in que-
sto periodo difficoltà che sono assenti o attenuate prima e dopo questa età.
Per questi motivi, è opportuno che la visita avvenga in un clima disteso, evitando ogni frettolosità: entro limiti
ragionevoli, il tempo della visita dovrebbe essere misurato sulle esigenze del bambino, non su quelle del pedia-
tra e ancor meno su quelle dei genitori che lo accompagnano. Tanto più che numerose e importanti informazio-
ni sullo stato di salute e di benessere del bambino, e del suo sviluppo fisico e psicomotorio, possono essere acqui-
site nella prima parte della visita durante la quale al bambino viene lasciato il tempo di ambientarsi.
Un altro accorgimento importante, per alleggerire la tensione cui può andare incontro un bambino sottoposto a
una visita medica, ma anche per il rispetto che gli si deve, consiste nel rivolgere direttamente al piccolo le prime
domande, in un linguaggio che egli possa capire, ma tuttavia chiaro e preciso.
Solo successivamente il dialogo si può spostare coinvolgendo direttamente il genitore, di solito la madre, che
accompagna il piccolo, che a ogni modo deve essere mantenuto “dentro la conversazione” per la maggior parte
del tempo della visita.
SALUTE: controllareper prevenire
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Molto spesso si incontrano mamme ap-
prensive che pensano che il loro bambi-
no si ammali “troppo spesso”, soprattutto
durante i mesi dell’autunno e dell’inver-
no, quando più frequentemente si verifi-
cano ricorrenti episodi di infezione delle
vie respiratorie, oppure quando, anche in
altri periodi dell’anno, compaiono distur-
bi intestinali caratterizzati da diarrea e feb-
bre. In realtà, la preoccupazione il più del-
le volte è fuori luogo e bisogna convin-
cersi che per un bambino ammalarsi è una
cosa naturale e, in una certa misura, co-
me si dirà più avanti, persino utile. Ve-
diamo perché.
La provvisoria immaturità difensiva
Il bambino, venendo al mondo, deve af-
frontare una realtà in cui, accanto a con-
dizioni favorevoli al suo sviluppo (nutri-
zione, igiene, affetti ecc.), sono presenti
fattori potenzialmente nocivi (virus, bat-
teri, inquinamento ambientale, sbalzi di
temperatura ecc.), di fronte ai quali le sue
difese possono essere inadeguate per pa-
recchi anni.
Per limitarci agli agenti infettivi (virus e bat-
teri), un bambino quando nasce porta
con sé un certo numero di elementi di-
fensivi (anticorpi) presi, per così dire, a pre-
stito dalla mamma. Questi anticorpi ga-
rantiscono una certa immunità rispetto
agli agenti infettivi anche se, natural-
mente, non per tutti. L’immunità di ori-
gine materna dura soltanto qualche me-
se, ma intanto il bambino a poco a po-
co costruisce il proprio sistema difensivo.
Per arrivare a una sufficiente maturità di-
fensiva impiegherà una decina di anni, an-
che se la sua personale immunità conti-
nuerà poi a evolversi per tutto il corso del-
l’esistenza.
Nei primi anni di vita il bambino “soffre”
dunque di una immaturità difensiva, pro-
prio quando comincia il proprio proces-
so di socializzazione frequentando l’Asi-
lo nido, la Scuola dell’infanzia, la Scuola
primaria o comunque luoghi in cui viene
in contatto con altri bambini, altrettanto
fragili e altrettanto portatori di agenti in-
fettivi che vengono scambiati fra loro in
continuazione.
L’utilità delle infezioni
Le vaccinazioni e le buone misure igie-
niche provvedono a proteggere i bam-
bini dalle infezioni più gravi. Essi resta-
no, tuttavia, esposti a un certo numero
di disturbi e malattie che possono esse-
re considerate sostanzialmente banali:
raffreddori, influenza ecc., accompagnati
dai ben noti sintomi, quali febbre, tos-
se, prostrazione, diarrea. La banalità di
queste infezioni consiste nel fatto che ge-
neralmente guariscono in pochi giorni e
senza impegnativi interventi terapeutici.
Niente affatto banale è invece il loro ef-
fetto benefico, che consiste nel fatto che
le infezioni, stimolando lo sviluppo del
sistema immunitario, facilitano la for-
mazione di un duraturo patrimonio di-
fensivo.
La distinzione trabambini sani e bambini malati
I bambini nei primi 5-6 anni di vita van-
no incontro, in media, a 5-6 episodi in-
fettivi all’anno, una normalità che giu-
stifica il fatto che essi non possono e non
devono essere considerati bambini che
si ammalano troppo spesso. Anche se si
ammalano con una frequenza maggio-
re di infezioni banali, rimangono sempre
ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
La normalità e l’utilità delle malattie
nei
Le condizioni che favoriscono disturbi e malattie nell’infanzia sono
costituite dall’incontro fra elementi nocivi ambientali e immaturità del-
le difese organiche dei bambini.
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bambini sostanzialmente sani. Non lo so-
no, invece, quando le infezioni non so-
no banali, ma gravi, a prescindere dalla
loro frequenza: polmoniti, otiti che con-
tinuano a produrre pus, tossi persisten-
ti, diarree profuse e continue. È il bam-
bino che tarda a guarire che deve preoc-
cupare, non quello che si ammala spes-
so di infezioni che guariscono in fretta.
Naturalmente, non è che questi bambi-
ni possano essere trascurati. Infatti,
ogni malattia, anche quella non grave,
è causa di un impegno delle difese or-
ganiche che, anche se breve e di mode-
sta entità, può avviare il bambino verso
un circolo vizioso in cui a ogni episodio
infettivo ne segue un altro che, a sua vol-
ta, favorisce un’infezione successiva.
I bambini che presentano più di un epi-
sodio infettivo al mese nel periodo di più
alto rischio, cioè da ottobre a febbraio, de-
vono essere considerati “bambini vulne-
rabili”, da tenere sotto prudente osser-
vazione e da assistere con cura partico-
lare. Così come non si deve trascurare la
possibilità che frequenti infezioni delle vie
respiratorie siano accompagnate da sin-
tomi interpretabili come espressione di
una ipersensibilità di tipo allergico.
I possibili interventi
Una volta impostato il quadro del bam-
bino che sembra ammalarsi troppo spes-
so, resta da rispondere all’ovvia doman-
da su che cosa si possa e si debba fare
per fronteggiare queste malattie che, pur
non gravi, qualche problema lo creano co-
munque, non solo al bambino, ma anche
ai suoi genitori in termini di preoccupa-
zioni, spese, ore sottratte al lavoro e al
sonno e così via. In realtà si può fare po-
co, ma qualcosa si deve fare, perché il fre-
quente ripetersi di episodi infettivi può
condizionare negativamente la vita del
bambino, sia determinando una situa-
zione di inappetenza e quindi influendo
sulla crescita, sia ostacolandone la socia-
lizzazione, riducendo la possibilità di fre-
quentare l’asilo o la scuola, oppure ren-
dendolo vittima della eccessiva appren-
sione dei genitori che diventano spesso
iperprotettivi.
Va comunque tenuto sempre presente il
fatto che la maggior parte degli episodi
infettivi ricorrenti dei primi anni di vita ten-
de a risolversi spontaneamente, proprio
in coincidenza con l’aumento della pro-
duzione di anticorpi e con la stimolazio-
ne delle altre difese organiche in conse-
guenza dei recidivanti episodi infettivi.
Fra le cose che si possono fare, è bene
distinguere ciò che è alla portata delle ri-
sorse dei genitori, che sostanzialmente ri-
entrano nell’ambito dell’automedicazio-
ne, in cui è tuttavia prudente farsi guidare
dal farmacista, e ciò che è bene venga de-
ciso dal pediatra.
Durante l’episodio acuto, gli interventi ge-
nitoriali possono consistere nel provvedere
a che il bambino non soffra la sete, nel
controllare la febbre eccessivamente alta
e la tosse quando sia troppo fastidiosa,
nell’allontanare i fattori nocivi ambienta-
li, nel decidere la sospensione della fre-
quentazione dell’Asilo nido o della Scuo-
la dell’infanzia per un periodo anche suc-
cessivo alla guarigione. Quando, invece,
appare opportuno ricorrere a terapie far-
macologiche, allora è necessario inter-
pellare il pediatra che potrà decidere se
somministrare antibiotici o stimolanti
delle difese immunitarie o altri farmaci che
possano servire ad alleviare gli effetti del-
la malattia e, soprattutto, suggerirà che
cosa fare per evitare che gli episodi in-
fettivi si ripetano troppo spesso. ■
29ALLA SCOPERTA DEI NOSTRI BAMBINI
La normalità e l’utilità delle malattie
nei
Andrea Di ChiaraIL GIUSTO RESPIROProteggere i bambini da adenoidi ingrossate,allergie, infezioni respiratorie ricorrenti e altre patologie
Torino: Il Leone Verde
€ 18,00
Respirare è una funzione vitale, dicui non ci accorgiamo nel ritmotranquillo della vita, dove essa rap-presenta un vero e proprio auto-matismo. Eppure, quando il respi-ro si fa corto, perché siamo coltidalla paura, dall'affanno, dallafatica di uno sforzo prolungato, odall'angoscia, ecco che in modonaturale la bocca si apre e rispon-de alla situazione di emergenza,sostenendo il bisogno aumentatodi aria.In base a statistiche recenti unbambino su tre respira male, spes-so con la bocca anziché con il naso.L'aumento del fenomeno in que-sti ultimi anni è stato addiritturadel 50%.Respirare con la bocca è la cifra diun profondo disagio sofferto dalbambino,che coinvolge la sferapsichica, neurologica, endocrina,digestiva e immunitaria.
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A cura di WALTER FOCHESATO
Libri in vetrina30
Per i piccoli lettori
SIMON JAMES
RexZOOlibri, 2015. Pagg. 32, euro 16,00
Rex è un cucciolo di dinosauro, un uovo abbando-
nato in una grotta e che una notte si schiude pro-
prio mentre l’enorme Tirannosauro –dopo aver ter-
rorizzato per tutto il giorno gli altri animali- sta
schiacciando un sonno meritato.
Rex lo sveglia dicendo la sua prima parola; “PA!”
e si appiccica letteralmente al bestione, cominciando
ad imitarlo: ruggendo, sbriciolando massi, sradicando
alberi, ovviamente il piccolo. Tirannosauro dappri-
ma ne è contrariato e poi lusingato (“Impari alla
svelta, Rex!”). Quest’ultimo, poi, vorrebbe sapere
se un giorno, crescendo, potrà diventare terrifican-
te come il babbo. Allora il grande dinosauro gli con-
fessa che lui non è il suo vero padre. Turbato e cu-
rioso, Rex decide allora di uscire dalla grotta per an-
dare a cercare la sua vera famiglia. Ma mal gliene
incoglie, giacché -solo e indifeso- viene subito in-
seguito da una torma di altri sauri che vorrebbero
divorarselo in un boccone. Esausto e impaurito ri-
esce a malapena a sfuggire alle loro grinfie, rifu-
giandosi in un bosco. Qui lo trova, il giorno dopo,
Tirannosauro. Vediamo le battute finali: “Da gran-
de spero di essere terrificante come te, Papà” dis-
se Rex. “TE LO GARANTISCO IO!” disse il grande
dinosauro. “E’ a questo che serve un papà”. Il sen-
so mi sembra chiaro ed è una bella e fresca ri-
flessione sul ruolo genitoriale, sull’adozione e, ag-
giungiamoci pure, il superamento delle paure e del-
le prove, la crescita della sicurezza in sé stessi. Sen-
za dimenticarsi delle frizzanti e incisive illustrazioni
di James che ricordano non poco il segno del gran-
de Quentin Blake.
SATOI TONI
MokaKite Edizioni, 2015. Pagg. 26, euro 16,00
Una piccola storia lieve e ricca di poesia, rassere-
nante e con un pizzico ben dosato di malinconia.
Accompagnata da tavole delicate e sospese fra rap-
presentazione del reale e invenzione fantastica. Per-
fette, nel loro essenziale candore, per dar conto di
una narrazione sì onirica ma che mette al centro il
tema dei nostri ricordi infantili e della formazione
dell’immaginario. Un albo in gran formato sempli-
ce all’apparenza ma che, di fatto, propone diverse
possibilità di lettura e di approfondimento. Esem-
plare per una lettura comune adulto-bambino. Sa-
toe Toni è una giovane artista giapponese che con
le edizioni Kite ha già pubblicato altri sei libri e tut-
ti si connotano per quel senso di sorpresa e di ca-
pacità di vedere le cosa da punti di visti inaspet-
tati e imprevisti, favorendo con ciò, nel piccolo let-
tore, preziosi processi di decentramento. Qui vi è
al centro un ineffabile e paziente coniglio bianco
comparso in sogno all’autrice che, stanca, si è ad-
dormentata al tavolo di lavoro. Il roditore –facen-
do comparire dal nulla chicchi, zucchero e quan-
t’altro- si propone per prepararle una buona taz-
za di caffè ristoratore. Ma lei, sulle prime, resiste e
tutto gli sembra assurdo. Al tempo stesso si inter-
roga su dove abbia già visto il coniglio, da dove pro-
venga quella buffa, gentile e sorridente creatura.
Fino alla sorpresa finale.
Per i genitori
SYLVIE BOURCIER
Capricci, collera, aggressività. Come affrontare le situazioni difficili
Red! Pagg. 160, euro 14,00
Questo bel manuale, semplice e comprensibile, ric-
co di utili osservazioni e di sensate proposte si ri-
volge sia ai genitori, sovente incerti e indecisi din-
nanzi ai comportamenti più o meno aggressivi del
proprio figlio, sia agli insegnanti. Non si tratta pe-
rò di un mero “ricettario”, dalle facili e sovente fal-
laci soluzioni, ambisce piuttosto, pur nel tono affa-
bile e divulgativo, a offrire un insieme organico di
elementi di approfondimento e riflessione. L’autri-
ce distingue intanto fra un aggressività “normale”,
che può e deve essere incanalata permettendo co-
sì di migliorare le proprie competenze e raggiun-
gere obiettivi più alti, e una violenza distruttiva
che nuoce talora fortemente alla crescita del bam-
bino. Fra gli argomenti affrontati: lo sviluppo del-
l’aggressività e gli antidoti (quali un efficace stile
educativo, l’esercizio della disciplina l’attenzione po-
sitiva, il favorire dell’espressione verbale, il propor-
re attività fisiche). E, ancora: Il bambino in collera,
le opposizioni, conflitto e dispute tra fratelli, la ne-
cessità del calmarsi. L’autrice sottolinea nelle con-
clusioni come l’aggressività possa mutarsi in crea-
tività, al contrario il mancato superamento di que-
ste difficoltà può portare all’isolamento e all’ostili-
tà, al sentirsi “dominati da una rabbia profonda e
da una tristezza devastante”. Mentre i “bambini più
socievoli non solo hanno maggiori probabilità di ave-
re un elevato rendimento scolastico e di vivere re-
lazioni armoniose, ma sono anche i più dotati di re-
silienza psicologica”.
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SABRINA GIARRATANA
Illustrazioni di SONIA MARIA LUCE POSSENTINI
Canti dell’attesaIl leone verde, 2015. Pagg. 56, euro 16,00
Canto del primo battito, Canto del divenire, Canto
della meraviglia, Canto della pazienza, Canto del-
le domande, Canto a testa in giù, Canto dell’at-
traversamento, Canto della contemplazione: sono
questi alcuni dei titoli che compongono questa in-
tensa e preziosa raccolta di versi. Ventun composi-
zioni o, a dir meglio, stazioni, tappe che segnano
e seguono il percorso di una nascita, lungo i nove
mesi dell’attesa di una creatura. Le paure, le in-
certezze, le speranze, i piccoli segni, i punti di do-
manda, le gioie ora grandi e ora lievi qui tutto vie-
ne registrato e reso con un respiro profondo e in-
timo. Un libro di ampia e raffinata tessitura lirica,
con bellissime metafore, in una lingua “alta” ma
–al tempo stesso- senza alcun compiacimento for-
male e adatta ad essere letto da tutti, ragazzi e non,
mamme in attesa (perché non leggerselo a voce al-
ta?) e fratelli più grandi. Sabrina e Sonia assieme
avevano già pubblicato un’altra fortunata raccolta:
Poesie di luce edito da Motta junior e vincitore que-
st’anno della 1°edizione del Premio Gianni Roda-
ri ad Omegna, città natale del grande scrittore. Le
illustrazioni della Possentini che costantemente si
articolano sul registro della doppia pagina, s’im-
pongono, fin dalla copertina, per una calibratissi-
ma misura che giustappone particolari più intensi
e decisi a elementi appena accennati mentre sul fon-
do della pagina si afferma un bianco morbido, lu-
minoso e intensamente evocativo. Da “Canto del
guardiano della spugna. Sono il guardiano della tua
acqua/ Sono il guardiano della tua riva/ Mentre tu
cresci e stai sottacqua/ Mentre tu bevi quello che
arriva/ Mentre ti imbevi di questo nulla/ Sono il guar-
diano della tua culla/ Piccola spugna che stai sul
fondo/ Che con fiducia ti bevi il mondo”.
Per gli educatori
ALESSANDRO SANNA
Pinocchio prima di PinocchioOrecchio Acerbo, 2015. Pagg. 64, euro
17,50
Si sa, di edizioni illustrate de Le avventure di Pi-
nocchio, da quel lontano 1883, ne sono uscite a
migliaia e migliaia, decretandone in tutto il mon-
do un intramontabile successo. Lo stesso si può per
quelle che si è soliti chiamare le “pinocchiate”: con-
tinuazioni, pretesti, parodie, citazioni, omaggi, ver-
sioni ridotte (magari a pop-up), rivisitazioni e tan-
to altro ancora. Di certo però mai nessuno si era
spinto ad immaginare quel che era il burattino, pri-
ma ancora di diventare un ciocco di legno (di quel-
li “da catasta”, come scrive Collodi). Adesso ci ha
pensato Alessandro Sanna, ancor giovane illustra-
tore italiano, di straordinario talento. Il suo è un con-
certo fatto di sole immagini, un libro senza parole
dove le radici del protagonista sono rese attraver-
so decine e decine di disegni, morbidissime ecoli-
ne, qui la matita par scomparire per lasciar posto
ad un colore fuso e pastoso, dalle mille, intensissi-
me vibrazioni. Un’opera per più versi stupefacen-
te e da guardare e riguardare con la dovuta len-
tezza, da scoprire e assaporare pian piano. La crea-
tura collodiana, anche qui rivela da subito le sue
caratteristiche: un essere in fuga e alla inesausta
ricerca della libertà e di una sua identità. Un ramo
secco e flessibile, poco più di un fuscello staccato-
si dall’albero della vita che, in un incorrotto pae-
saggio naturale, incontra via via quelli che saran-
no i futuri personaggi del libro. Al tempo stesso Pi-
nocchio si tempra e si forgia al contatto con acqua,
aria, terra e fuoco. Una genesi, non si sembri en-
fatico il termine, di straordinaria suggestione e mi-
rabile forza evocativa.
FRANCO LORENZONI
I bambini pensano grande. Crona-ca di una avventura pedagogicaSellerio editore. Pagg.268, euro 14,00
Lorenzoni è da anni insegnante elementare in quel
di Giove, un piccolo paese dell’Umbria, in provin-
cia di Terni. E’ stato altresì fra i fondatori, nel 1980,
della Casa-laboratorio di Cenci ad Amelia. Si ag-
giunga, infine, una fertile attività di scrittore, atti-
vo nel campo pedagogico e didattico. Non ho pe-
rò dubbi nel dire che quest’ultimo resoconto edito
pochi mesi or sono nella bella e prestigiosa colla-
na Sellerio de La memoria sia un lavoro per più ver-
si affascinante e di godibilissima lettura. Un esem-
pio –mi si passi la battuta- non di “buona scuola”
ma di scuola buona, fondata sulle competenze, la
passione lucida per il proprio lavoro, l’impegno ci-
vile. Ma in queste cronache limpide e avvincenti,
in questo parco e serrato narrare un anno di vita
scolastica di una quinta elementare una cosa emer-
ge con forza e ci attrae e consola. Il dar costante-
mente la parola ai bambini –impagabili sono le re-
gistrazioni dei loro confronti- significa cose ben pre-
cise: l’attenzione, il rispetto, la fiducia. Cose che na-
scono e poi crescono, in un processo che si affer-
ma giorno dopo giorno, anno dopo anno. Con na-
turalezza e rigore, con improvvise e illuminanti sco-
perte, con riflessioni che possono stupire soltanto
chi non conosce il mondo dell’infanzia, i bambini
–assieme al loro maestro- parlano di storia e di ma-
tematica, di filosofia e arte, di musica e disegno, ri-
flettono sulla vita e la morte, la conoscenza e la sco-
perta del teatro. Scrive Lorenzoni nelle primissime
righe: “I pensieri infantili sono sottili. A volte sono
così affilati da penetrare nei territori più impervi ar-
rivando a cogliere, in un istante, l’essenza di cose
e relazioni. Ma sono fragili e volatili, si perdono già
nel loro farsi e non tornano mai indietro. Così alla
maggior parte delle bambine e dei bambini non è
concesso il diritto di riconoscere la qualità dei pro-
pri pensieri e rendersi conto della loro profondità”.
LEG
GER
E P
ER
CR
ESC
ER
E•INVERNO 2015
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