ALIMENTAZIONE,CLIMA ED EVOLUZIONEDELL’UOMO

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Mattioli 1885 E X P L O R A ALIMENTAZIONE, CLIMA ED EVOLUZIONE DELL’UOMO Leone Arsenio

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Lo scopo di questo nuovo libro sull’alimentazione è quello di dimostrare che per milioni di anni la ricerca del cibo ha condizionato l’evoluzione, il benessere e la crescita delle popolazioni, ha contribuito a plasmare lo sviluppo sociale, ha ispirato scontri e guerre, ha affrettato la scoperta di nuovi territori e di nuovi mondi, e tutto questo si è intrecciato con le variazioni del clima, che hanno svolto un ruolo fondamentale nel modificare l’ambiente e quindi l’alimentazione e la storia dell’umanità.

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Per milioni di anni la ricerca del cibo ha condizionato l’evoluzione,il benessere e la crescita delle popolazioni, ha contribuito a plasmare

lo sviluppo sociale, ha ispirato scontri e guerre, ha affrettato la scopertadi nuovi territori e di nuovi mondi, e tutto questo si è intrecciato conle variazioni del clima, che hanno svolto un ruolo fondamentale nel

modificare l’ambiente e quindi l’alimentazione e la storia dell’umanità.

Immagine di copertina:Andries Benedetti, Natura morta con crostaceo,Roma, Galleria Nazionale d’Arte antica di Palazzo Corsini© Foto Scala, Firenze

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Note Biografiche

Leone Arsenio è nato a Lecce il 9/7/1946. Si è laureato in Medicinae Chirurgia con il massimo dei voti e lode presso l’Università diNapoli nel 1970 e da quell’anno si è trasferito a Parma, dove ha con-seguito i Diplomi di Specializzazione in Endocrinologia e Malattiedel Ricambio, in Medicina Interna e, infine, in Biochimica eChimica Clinica; dal 2004 è Responsabile della SSD di Malattie delRicambio e Diabetologia. Svolge inoltre le funzioni di Professore aContratto presso le Scuole di Specializzazione in Endocrinologia eMalattie del Ricambio dell'Università di Parma, presso Alma la“Scuola Internazionale di Cucina Italiana” di Colorno e in alcuniMaster post-laurea. È membro del Comitato Scientifico di“Progress in Nutrition”, Giornale Italiano del Metabolismo e dellaNutrizione.Ha già pubblicato due libri “Alimentazione ed esercizio fisico” ed“Alimentazione, Colesterolo e Aterosclerosi”.

ISBN 978-88-89397-62-6

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Alimentazione, climaed evoluzione dell’uomo

Autore:Leone Arsenio

Disegni al tratto:Valeria Ferti

Illustrazioni tecniche:Rodolfo Carlos Pazos

Isbn: 978-88-89397-62-62007, Mattioli 1885 spawww.mattioli1885.com

Questo libro non può essere riprodotto,interamente o in parte, incluse le illustrazioni,

in alcuna forma senza il permesso scrittodell’Editore e dell’Autore.

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È un dovere ed un piacere per me ricordare tutticoloro che hanno contribuito alla nascita diquesto libro, sia che siano viventi, sia che nonappartengano più a questo mondo:i miei Maestri Luigi Cucurachi eAndrea Strata, che mi hanno introdottoalla Scienza dell’Alimentazione, i miei Genitori,che mi hanno educato e mi hanno guidato,la mia Famiglia (Amata, Vincenzo e Silvia),che mi ha aiutato, sostenuto e sopportato.

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Hieronymus BoschLa gola dalla Tavola I sette peccati mortali, 480/ca, olio su tavola, Madrid, Museo del Prado

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Lo scopo di questo nuovo libro sull’alimen-tazione è quello di dimostrare che per milionidi anni la ricerca del cibo ha condizionato l’e-voluzione, il benessere e la crescita delle popo-lazioni, ha contribuito a plasmare lo svilupposociale, ha ispirato scontri e guerre, ha affretta-to la scoperta di nuovi territori e di nuovimondi, e tutto questo si è intrecciato con levariazioni del clima, che hanno svolto un ruolofondamentale nel modificare l’ambiente equindi l’alimentazione e la storia dell’umanità.

Il cibo, con i suoi nutrienti, in particolareproteine, omega 3 e colesterolo, ha contribuitoalle variazioni del genoma e quindi alla sele-zione naturale, modificando la struttura corpo-rea degli ominidi, rispetto ai Primati, fino allacomparsa dell’Homo sapiens: in particolarehanno contribuito all’andatura verticale (bipe-dismo) e all’aumento di volume del cervello.

È impressionante verificare come le princi-pali tappe della storia dell’uomo siano, in qual-che modo, collegate alle condizioni ambienta-

li. Durante una glaciazione (una ogni 22milaanni circa), il freddo sottrae acqua e il livellodei mari si abbassa, mentre, durante la faseinterglaciale, al contrario, lo scioglimento deighiacci solleva il livello dei mari, si innalzano leacque sotterranee, compaiono nuove fonti, èfavorito lo sviluppo della vegetazione ed arre-trano paludi e foreste. L’ultima glaciazione èfinita circa 12-13mila anni fa e si è instaurato,tra 7500 e 4500 anni fa, il clima attuale, con lefamiliari quattro stagioni, anche se sono conti-nuate periodiche e contenute oscillazioni ter-miche. L’uomo ha abbandonato il foraggia-mento tradizionale (caccia e raccolta di vegeta-li spontanei), a causa della rarefazione deglianimali da cacciare, ed è passato alla fase agri-cola (coltivazione dei campi e allevamentodegli animali) più conveniente nella resa ener-getica. L’agricoltura è iniziata in Medio Orien-te, nel periodo più caldo: l’uomo ha abbando-nato il nomadismo ed è diventato stanziale;sono stati fondati i villaggi e poi le città, sono

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PrefazioneChi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?

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nati i mestieri specializzati (contadino, soldato,sacerdote, scriba, artigiano, ecc.) e si sono for-mate le classi sociali, sono stati inventati lascrittura, il commercio, il denaro, sono statevarate le leggi per disciplinare la convivenza, inaltre parole il branco si è trasformato in stato.Gli uomini consumavano come base nutrizio-nale i cereali, ma li integravano sempre inmodelli alimentari più completi (“pacchetti ali-mentari” secondo Diamond): in Europa cerea-li, legumi e bestiame, in America mais, fagiolie cucurbitacee. È aumentata la quantità, ma èpeggiorata la qualità del cibo e sono comparsenuove malattie da carenza nutrizionale e dainfezioni, anche per la convivenza e la promi-scuità con altri uomini e animali; la statura si èabbassata. Tra il 900 ed il 300 a.C. era presen-te un clima particolarmente fresco ed umido,con temperature mediamente inferiori di oltre1 grado rispetto ad oggi; successivamente latemperatura è aumentata di nuovo fino a rag-giungere il massimo nel momento del maggio-re fulgore di Roma (periodo augusteo); quindinuova progressiva riduzione con decadenzadell’impero romano; dal 200 al 400 d.C. ilfreddo ha provocato una fase arida nelle regio-ni dell’Eurasia centro-occidentale, che ha spin-to alla migrazione verso occidente i popolidelle steppe, che hanno premuto sulle popola-zioni germaniche, che, a catena, hanno invasol’impero; tra il 400 e l’800 d.C. si è instauratauna fase particolarmente fredda, che corri-sponde all’Alto Medio Evo, con il susseguirsidi carestie; tra 800 e 1300 d.C. è iniziata unanuova fase calda con almeno 1 grado più dioggi (è il periodo delle Crociate e del Rinasci-mento). Tra il 1550 ed il 1850 si è verificato unnuovo peggioramento generale del clima inEuropa, chiamato “piccola era glaciale”, con2,5-3 gradi meno di oggi e si è assistito ad unforte aumento dei ghiacciai sulle Alpi; negliultimi 130 anni la temperatura è aumentatameno di 1 grado.

Durante tutto questo tempo, in Europa sono

stati introdotti nuovi alimenti che hanno per-messo di integrare la dieta, superando situazio-ni particolarmente difficili: dopo il passaggioall’agricoltura, sono stati accettati il latte deiruminanti, i derivati del latte e le bevande alco-liche; dopo la scoperta dell’America, numerosialimenti hanno arricchito la scelta alimentare,ma soprattutto il mais, la patata, il tacchino,alcuni legumi, il pomodoro e il cioccolato.Paradossalmente il grande successo di alcunicibi ha comportato l’insorgenza di nuovi pro-blemi, quali l’affermarsi della monocoltura,con gravi ripercussioni negative in caso di cat-tivo raccolto per avverse condizioni climaticheo malattie parassitarie. A metà Ottocento unamalattia della patata provocò una grave care-stia, che costrinse ad emigrazioni di massa dal-l’Europa verso altri continenti, dando un forteimpulso allo sviluppo di questi Paesi. L’altroaspetto negativo di queste diete monotone èstato il grande numero di patologie infettive eda carenza di nutrienti, come la pellagra ed ilrachitismo in Italia ed il beri-beri in Asia.

Dall’Ottocento, grazie alla scoperta delvapore, è iniziata l’era industriale, con un forteincremento della disponibilità di cibo per ilmiglioramento delle tecniche di coltivazione,conservazione e trasporto, superando l’econo-mia su base locale. La moderna agricoltura,figlia delle scoperte scientifiche del Novecento,nasce dall’uso coordinato della chimica, dallaselezione genetica di nuove varietà e dalla mec-canizzazione. Tutto questo determina inevita-bilmente vantaggi e svantaggi, quali: da un latoaumento straordinario delle rese, diminuzionedei prezzi al consumo dei prodotti agricoli,diminuzione della manodopera nelle campa-gne, diminuzione della superficie agricola col-tivata; dall’altro, conseguenze negative sono:inquinamento dell’aria e dell’acqua (aumentodei nitriti nei vegetali, dei metalli pesanti nel-l’acqua di irrigazione e nei concimi, l’uso dipesticidi), le catene alimentari, le lunghe con-servazioni, l’abuso di sostanze conservanti, la

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presenza di contaminanti ed infine la perditadi colture tradizionali, con il fenomeno dell’e-rosione genetica e riduzione della biodiversità.

Due secoli sono un periodo troppo breve pervariazioni del genoma, per cui l’improntagenetica dell’uomo moderno rimane, comun-que, quella dei nostri antichi antenati: il nostrometabolismo funziona ancora per favorire ilrisparmio energetico (“fenotipo risparmiato-re”). Tutte le principali patologie degenerative,dal diabete all’ipercolesterolemia, dall’iperten-sione alle malattie cardiovascolari, dalle malat-tie reumatiche ai tumori, dalle malattie dentalialle demenze, ma prima di tutto l’obesità,drammatica “epidemia” della nostra società,trovano le loro radici nel contrasto tra l’ali-mentazione ricca ed abbondante di oggirispetto al mangiare poco e “magro” del passa-to. D’altra parte, mai come adesso, la societàassicura un elevato tenore di vita, un incredibi-le allungamento della vita media, l’aumentodella statura media, che ci ha riportato ai livel-li dell’uomo cacciatore-raccoglitore, la drasticariduzione di tradizionali flagelli, come la fame,le carestie, le malattie infettive e carenziali, ilavori massacranti.

Gli uomini non hanno mai subito passiva-mente le condizioni ambientali, ma hannosvolto, nel bene e nel male, un ruolo attivo edimportante nel determinismo delle loro vicen-de storiche (evoluzione culturale). Il pensiero,la “divina scintilla”, ha permesso di incideresulla realtà e sull’ambiente e di costruire il pro-prio futuro (“homo faber fortunae suae”).

Anche nelle situazioni più difficili l’uomo nonsi è appiattito nella semplice ricerca dellasopravvivenza e non ha mai rinunciato al bello,ad onorare i morti, a dedicarsi all’arte, alla filo-sofia, alla religione, in una parola alla cultura:persino nel grande freddo dell’ultima glacia-zione, il maddaleniano* si è dedicato alle bel-lissime pitture nelle grotte.

L’evoluzione culturale, a differenza di quellabiologica, non è casuale, ma si trasmette con le“idee”, con il bagaglio di informazioni comuni-cate da famiglia e società. Le “mutazioni” cul-turali possono avere velocità estremamentevariabili, da molto lente a rapidissime, al con-trario di quelle genetiche, che sono sempremolto lente, soprattutto nell’uomo che siriproduce con grande lentezza. Il singolo indi-viduo, geneticamente molto predisposto all’ap-prendimento e alla comunicazione, può, a suavolta, influenzare la selezione biologica, agen-do sull’ambiente.

Un’ultima considerazione riguarda il futuro:l’enorme consumo di combustibili fossili, ilriscaldamento del pianeta, il “buco” nell’ozono,le catastrofi climatiche, la desertificazione, ladrastica riduzione della diversità biologicasono problemi strettamente collegati al clima,all’alimentazione ed all’azione dell’uomo.

La scommessa, che deve assolutamente esse-re vinta, è riuscire a evitare i lati negativi, l’e-splosione delle patologie degenerative ed ildisastro ambientale, senza sacrificare i vantag-gi sociali ed economici delle società industria-lizzate.

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*Homo sapiens vissuto presso il villaggio di La Madelaine, vicino a Sarlat, nel Perigord (Francia).

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Giuseppe Arcimboldi,L’estate,Parigi, Museo del Louvre

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Parte Prima: Il cibo 18-33Il cibo e la forza 19-20Il cibo e l’uomo 21-27Il cibo e l’energia 28-33

Parte Seconda: I nutrienti 34-67Le proteine 35-42I grassi o lipidi 43-55

- Aspetti generali: gli acidi grassi- La cellula adiposa e la regolazione dell’appetito e della sazietà

I carboidrati 56-62L’uomo è onnivoro? 63-66

- Le alimentazioni alternative

Parte Terza: L’uomo cacciatore-raccoglitore 68-103Origine della vita 69-72Origine dell’uomo 73-78Rivoluzione proteica o prima tappa della storia 79-86dell’alimentazione

- La caccia e la raccolta- Le modificazioni corporee - L’ovulazione nascosta

Addomesticamento del fuoco o seconda tappa 87-89della storia dell’alimentazione

- La dieta del PaleoliticoIl fenotipo risparmiatore 90-96

- La selezione genetica- Il gene del risparmio e l ’obesità- La malnutrizione prenatale- La magrezza costituzionale- Il sale

L’uomo preistorico e l’arte: i Maddaleniani 97-103

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Tiziano Vecellio,Baccanale,Madrid, Museo del Prado

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Parte Quarta: L’uomo agricoltore-allevatore 104-183Le glaciazioni 105-110L’uomo agricoltore e allevatore 111-119Il Neolitico e le principali innovazioni alimentari 120-146

- Latte- Latti fermentati e yogurt - Prodotti caseari- Alcolici

L’alimentazione nel periodo storico 147-159Il Settecento e le principali innovazioni alimentari 160-183

- Patata - pomodoro - melanzana- Riso- Granoturco o mais- Grano saraceno- Caffè - tè- Saccarosio e dolcificanti- Cioccolato

Parte Quinta: L’uomo industriale 184-233Ottocento e Novecento 185-213

- Statura- Longevità- Quale alimentazione?- Scheda: le piramidi alimentari- Obesità- Diabete di tipo 2- Malattie cardiovascolari- Tumori- Malattie dentali- Osteoporosi - Demenze

Il terzo millennio 214-233- Agricoltura biologica o tradizionale?- La sicurezza alimentare- Il futuro- Scheda: edilizia compatibile- Scheda: mobilità sostenibile

Bibliografia e testi consigliati 234-244

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Parte Prima | Il cibo

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Non deve meravigliare se, fin dall’antichità,l’uomo si è posto il problema di una correttaed adeguata alimentazione, in quanto i rifles-si del cibo sulle capacità e sulle potenzialitàdell’individuo sono stati sempre consideratideterminanti, tanto da poter condizionare l’e-voluzione della specie umana.

Nell’antica Grecia si diceva che “i mangia-tori di zuppa e d’orzo” (in altre parole conta-dini e schiavi) non potessero avere le capacitàdi coloro che si nutrivano di carne (le classiguerriere) (Braudel G, 1977). Già durante igiochi olimpici antichi gli atleti cercavano dimigliorare le proprie prestazioni con manipo-lazioni dietetiche: Milone di Crotone, vinci-tore per sei volte alle olimpiadi nella lotta, eranutrito con 6 kg di carne ogni giorno. Ai par-tecipanti ai giochi olimpici, nell’884 a.C., erasuggerito l’utilizzo di carne di toro permigliorare le prestazioni dei corridori, l’uso

della carne di maiale per i lottatori e gladiato-ri ed ancora l’uso della carne di capra ai salta-tori, perseguendo lo scopo evidente di trasfe-rire direttamente le caratteristiche biotipolo-giche di questi animali all’uomo. In realtà lamaggior parte degli atleti olimpici era vegeta-riana: si nutriva con cereali, gallette di fru-mento, miele, fichi secchi, frutta cotta e for-maggi; era proibito il vino.

Filosofi e medici illustri dell’antichità sonointervenuti sul problema dell’alimentazione:Pitagora era sostenitore di un’alimentazionequasi esclusivamente vegetariana; Galeno,medico della scuola dei gladiatori di Pergamo,raccomandava di bere poco nel periodo d’al-lenamento e di non mangiare molta carne;Ippocrate introdusse il concetto di varietànella qualità e quantità e di temperanza senzaeccessi; Epicuro raccomandava la semplicità(“i cibi semplici ci procurano altrettanto pia-

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Il cibo e la forza

Fate combattere gli scozzesi, mentre hanno la lororazione di carne nello stomaco!

Il Duca di Wellington a Waterloo

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cere delle tavole sontuose”). Platone nella“Repubblica” così tratteggia l’alimentazioneideale: “È evidente che avranno sale, olive,formaggio, cipolle e verdura che sono il cibodei campagnoli; per concludere il pranzo gliserviremo fichi, ceci e fave e arrostiranno sullabrace bacche di mirto e ghiande che sgranoc-chieranno bevendo con moderazione”. Ari-stofane, peraltro, negli “Acarnesi”, ribatte:“Fate bollire, arrostite al punto giusto, rime-state, togliete la lepre dal fuoco, in fretta” enella “Pace” il soldato stanco della guerraesclama: “Mi si portino da casa un tordo e duefringuelli! A casa mia c’era anche del latticel-lo e quattro pezzi di lepre” (Revel JF, 1979).

Anche nel Medioevo era diffusa l’opinionedell’importanza della carne per primeggiare:alla figura del monaco, che abitualmente cuci-nava “di magro”, si contrapponeva l’immaginedel nobile guerriero, combattivo e feroce, granmangiatore di carne (Lorcin MT, 1984).Nell’888, secondo quanto riferisce Liutpran-do di Cremona, il Duca di Spoleto Guido furifiutato come re dei Franchi, perché mangia-va e beveva poco in confronto ad Eudo,Conte di Parigi. Nella Chanson de Guillamesi fa una diretta corrispondenza tra le straor-dinarie virtù militari dell’eroe e la sua capacitàd’inghiottire, in un batter d’occhio, uncosciotto di porco con abbondanza di vino.

Nelle società antiche la divisione delle carni

è il momento critico del banchetto, quello cheserve a segnalare i rapporti di forza, a ribadi-re (o eventualmente ribaltare) le posizioni dipotere. Il capo, l’eroe che si è mostrato piùaudace e coraggioso di tutti, merita il tagliomigliore, e attorno a questa assegnazione puòesservi concordanza d’intenti, se l’autorità delcapo non viene messa in discussione; altri-menti si scatenano tensioni e lotte. In ognicaso la sala del banchetto è il teatro in cui sirappresentano gli scontri e le alleanze, in cuisi consolida o si perde il potere (MontanariM, 1989).

La velocità degli Eruli, la forza al giavellot-to degli Unni, le capacità nautiche dei Fran-chi erano attribuite alle caratteristiche dellerispettive alimentazioni: vegetariani gli Eruli,prevalentemente carnivori Unni e Franchi. Ilottatori Bretoni di Francesco I ritenevanoche la loro invincibilità fosse legata ad un’ali-mentazione a base di carne e verdure. Il Rina-scimento e il Barocco hanno visto il tramon-to dei grandi arrosti (i buoi interi allo spiedo)e l’affermazione della carne tritata. Il mito delgrosso pezzo di carne è stato ripreso ed esal-tato nell’800: il “roasted beef ” in Gran Breta-gna, il “pot-au-feu” in Francia, il “tafelspitz”nell’Impero Austro-Ungarico e, in Italia, ilragù napoletano (Alberini M, 1990), da nonconfondere con il ragù bolognese, che preve-de, invece, la carne tritata.

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Il rapporto dell’uomo con il cibo è un feno-meno molto complesso: fino a poco tempo fal’attenzione dei nutrizionisti era concentrataesclusivamente sui problemi legati al riforni-mento energetico, indispensabile per lasopravvivenza dell’individuo (il cibo comeforza vitale) e sulle patologie legate a carenzeo eccessi di singoli nutrienti, anche se presen-ti in piccole quantità, ma in grado lo stesso disvolgere effetti positivi su una o più specifichefunzioni dell’organismo, contribuendo almantenimento di un buono stato di salute,cioè di un benessere fisico e psichico; negliultimi anni, l’analisi si è estesa agli aspetti sen-soriali, sociali e culturali dell’alimentazione,sicuramente non meno importanti.

Il mangiare è un atto quotidiano, obbligato-rio, ripetitivo, come il respirare, ma, a diffe-renza di quest’ultimo, cosciente e volontario,potendo addirittura diventare ossessivo; deter-

mina inevitabilmente sensazioni di piacere edi godimento o, all’opposto, di fastidio o disofferenza, raramente d’indifferenza. L’assun-zione del cibo è fortemente condizionata damolteplici fattori, perché, prima di tutto, l’uo-mo è un animale intelligente, l’unico in gradodi mangiare anche quando è sazio e di nonmangiare anche quando ha fame, sulla base distimoli ed inibizioni provenienti dalla cortec-cia cerebrale, e l’unico capace di cucinare ilcibo e di accumulare conoscenze fino a giun-gere alla gastronomia. La cucina è un perfe-zionamento dell’alimentazione e la gastrono-mia è un perfezionamento della cucina. Lacucina deriva da due fonti: una popolare, con-tadina o marinara, e l’altra professionista,dotta, di corte, eseguita da cuochi, dedicatiinteramente a questa attività. La prima ha lacaratteristica di sfruttare i prodotti locali e sta-gionali, in stretto contatto con la natura, di

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Il cibo e l’uomo

Il nostro cibo dovrebbe essere la nostra medicina.La nostra medicina dovrebbe essere il nostro cibo.

Ippocrate

Gli animali si nutrono,l’uomo mangia,solo l’uomo intelligente sa mangiare.

Brillant-Savarin

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basarsi su un’abilità ancestrale trasmessa per levie inconsce dell’imitazione e dell’abitudine,di applicare procedimenti di cottura paziente-mente sperimentati e associati a certi stru-menti e recipienti di cucina ben fissati dallatradizione; la seconda si basa invece sull’in-venzione, sul rinnovamento, sulla sperimenta-zione, con il rischio di un pericoloso barocchi-smo. In definitiva la storia della gastronomia èuna serie di scambi, di conflitti, di bisticci e diriconciliazioni tra cucina popolare e dotta(Revel JF, 1979). Una curiosità è il ruolo, spes-so misconosciuto, svolto dai conventi di clau-sura, dove il refettorio era un punto d’aggrega-zione e dove sono stati elaborati i primi ricet-tari culinari. La cucina di ciascun popolo è unpunto nodale della sua cultura ed il cibo evi-denzia e sottolinea un’identità personale o digruppo, tanto che l’aroma che esala da unpiatto e da un ambiente rappresenta il puntod’incontro tra la tradizione e la realtà contem-poranea, esprimendosi in esperienze e riticomuni. Il primo atto d’ospitalità e di cortesiaverso l’ospite forestiero, presente nella tradi-zione di tutti i popoli, è l’offerta di cibo. Que-sto atto è una presentazione, quasi una ban-diera o più semplicemente un biglietto da visi-ta, di quella famiglia e della sua cultura, perchéla preparazione della tavola si basa su un patri-monio di memorie familiari e di tradizionietniche e rispecchia lo status sociale e psicolo-gico dell’individuo. È stato giustamente osser-vato che “gli odori distinguono una cultura eun Paese da un altro molto più direttamenteed effettivamente che nessuna altra caratteri-stica, ma i musei, con rare eccezioni, non sioccupano degli odori” (Hudson K, 1991).

Il mangiare cosa e con chi può rappresenta-re un elemento d’appartenenza o, viceversa,d’esclusione, in quanto è spesso tipico di unafascia d’età, di valori condivisi come l’amicizia,di mode sociali e filosofiche o è espressione diprincipi religiosi o laici, come l’agnello dellaPasqua Ebraica e Cristiana, il montone del

Ramadan Islamico, il tacchino del Giorno delRingraziamento americano, i tanti prodottitipici italiani nell’occasione delle ricorrenzereligiose (Giorno dei Morti, del Patrono,ecc.). In quest’epoca di profonde trasforma-zioni e d’importanti spostamenti di grandimasse di persone da un Paese ad un altro oaddirittura da un continente ad un altro, consalti culturali, economici e sociali vertiginosi,la cucina mantiene vivo il senso d’appartenen-za, perché cerca di ricreare e di preservareattraverso sapori ed odori un’eredità, che legal’individuo alla terra d’origine lontana neltempo o nello spazio. Studi effettuati sucomunità d’immigrati (i coreani in USA e ivietnamiti in Veneto) hanno dimostrato chel’identità alimentare è l’ultima prerogativa adessere sacrificata sulla strada della gradualeintegrazione (La Rochefoucauld: “il nostroamor proprio sopporta con più insofferenza lacondanna dei nostri gusti, che quella dellenostre opinioni”). L’accettazione del modelloalimentare occidentale è completo nei giornilavorativi, perché più pratico e di facile esecu-zione, mentre di sera e nei giorni festivi il cibotradizionale rappresenta l’occasione ed ilmezzo per ribadire la propria identità ed inalcuni casi, rispetta addirittura rituali tradizio-nali come l’offerta di cibo sull’altare degli avi(Bernardi U, 2001).

Un piatto, un profumo, racchiudono fre-quentemente significati simbolici e psicologi-ci per precedenti esperienze personali (memo-ria del cibo), che condizionano il suo consu-mo. L’alimentazione inoltre determina costan-temente, anche se spesso inconsciamente, uncollegamento ed un raffronto con l’immaginedi se stessi e con i modelli vincenti dellasocietà, che esaltano l’immagine della personamagra, considerata attiva e di successo, men-tre, al contrario, l’obeso risulta spesso discri-minato sul luogo di lavoro.

Le attuali abitudini alimentari, tipiche dellesocietà industrializzate, che hanno sostituito

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le diete tradizionali, ricche in vegetali, si sonoaccompagnate ad un forte aumento dellepatologie cronico-degenerative, quali obesità,diabete, ipercolesterolemia, iperuricemia,ipertensione arteriosa, che a loro volta, sonoalla base dell’aterosclerosi e delle sue compli-canze cardiovascolari (prima causa di mortenei Paesi industrializzati) (Yan LL, 2006).Perfino nei Paesi in via di sviluppo, la preva-lenza d’obesità è raddoppiata o triplicata e nel2025 i soggetti affetti da diabete aumenteran-no di più di 2,5 volte, da 84 milioni nel 1995a 228 milioni (Aboderin I, 2001). È stato cal-colato che nel 2020 le malattie croniche saran-no la causa di almeno i tre quarti di tutti idecessi nel mondo e che il 71% dei decessi saràdovuto a cardiopatia ischemica, il 75% ad ictuse il 70% di quelli dovuti a diabete si verificherànei Paesi in via di sviluppo (World HealthOrganization, 1998). Le diffusissime patolo-gie reumatiche e l’osteoporosi, la nefrolitiasied infine le malattie dentali, che non incidonomolto, dal punto di vista statistico, sulla mor-talità, ma hanno un forte impatto sulla qualitàdi vita dei pazienti, sono anch’esse collegatecon l’alimentazione e lo stile di vita. Recente-mente numerose ricerche hanno dimostratoche anche i tumori (seconda causa di mortenei Paesi industrializzati) sono in parte corre-lati all’alimentazione.

Si calcola che oltre il 35% dei tumori nel-l’uomo e tra il 40 ed il 50% nella donna siacollegato al regime dietetico: l’eliminazionedel tabacco, la riduzione dell’alcol e l’aumen-to di frutta e verdura potrebbero diminuiredel 90% i tumori della faringe, della laringe edell’esofago; l’eliminazione del tabacco, lariduzione dei grassi e l’aumento dei cibi vege-tali potrebbero ridurre dell’80% i tumori pol-monari; la riduzione dei nitriti, della carneconservata e dei cibi sotto sale, oltre l’aumen-to di frutta e verdura, potrebbero ridurre del70% i tumori dello stomaco; l’eliminazionedel tabacco, la riduzione del colesterolo, l’au-

mento di cibi vegetali potrebbero ridurre del60% i tumori della vescica; la riduzione deigrassi e l’aumento dei cibi vegetali potrebbe-ro ridurre del 50% i tumori del colon-retto;l’eliminazione del tabacco, la riduzione dellecalorie e del colesterolo, l’aumento dei cibivegetali potrebbero ridurre del 50% i tumoridel pancreas; la riduzione dei grassi, l’aumen-to dei cibi vegetali, la riduzione dell’obesitàpotrebbero ridurre del 40% i tumori dellamammella; la riduzione dell’obesità potrebberidurre del 30% i tumori dell’endometrio; lariduzione dell’alcol potrebbe ridurre del 30%i tumori del fegato; l’eliminazione del tabac-co e la riduzione dei grassi potrebbero ridur-re del 30% i tumori del rene (Grandi M,2004).

L’assunzione di cibo è anche influenzata dauna ricca offerta di consumi, in continua evo-luzione, con l’introduzione di sempre nuovialimenti, provenienti da tutto il mondo. Dal1956 al 2006 i Mc Donald’s sono passati da12 a 36.000 in 110 Paesi, e quattro su cinquedei nuovi ristoranti, che la catena apre ognigiorno nel mondo, si trovano fuori dagli USA(in Cina ha appena concluso un accordo peraprire oltre 3.000 ristoranti nelle stazioni dibenzina), tanto che l’Economist esprime ilpotere d’acquisto delle diverse monete in baseal costo del panino Big Mac (il Big MacIndex). La mondializzazione dell’alimenta-zione si sta scontrando con la persistenza edil ritorno delle cucine regionali, che convivo-no accanto ai sempre più diffusi ristorantietnici (cinesi, indiani, giapponesi, arabi, ecc.)con il risultato sia di evitare un’omologazioneuniforme e senza identità, sia di permettere laconoscenza di più culture gastronomiche conarricchimento reciproco. Del resto già oggialcuni piatti e bevande hanno superato i con-fini nazionali e sono diventati patrimoniocomune dell’umanità, come la pizza, la pasta,l’hamburger, il sushi, il couscous, il chili concarne, il cioccolato, il caffè, il tè, le cole (il

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Messico ha appena superato gli USA nelconsumo pro-capite di Coca-Cola).

Nei Paesi industrializzati, peraltro, l’aumen-to della quantità d’alimenti disponibili si asso-cia ad una drastica riduzione della loro varietàe, soprattutto, ad una modificazione della qua-lità. Il cibo è fonte di un numero impressio-nante di molecole bioattive d’origine animalee vegetale, in grado di soddisfare diverse esi-genze extranutrizionali dell’organismo. Que-sta ricchezza dipende soprattutto dalle parti-colarità nella composizione di ciascun alimen-to, grazie alle differenze biologiche esistentifra i vari gruppi d’alimenti e nell’ambito dellostesso gruppo ed, in definitiva, alla diversitàbiologica. La diversità biologica, definita dallaCommissione Europea Direzione GeneraleAgricoltura (Agri DG, 1999) come “… lavariabilità della vita e dei suoi processi inclu-dente tutte le forme di vita, dalla singola cel-lula agli organismi più complessi, a tutti i pro-cessi, ai percorsi e ai cicli che collegano gliorganismi viventi alle popolazioni, agli ecosi-stemi e ai paesaggi”, è la condizione indispen-sabile per conservare questo patrimonio, e laricerca deve garantire la qualità anche extra-nutrizionale dell’alimento, nell’arco dell’interafiliera produttiva. Soltanto un apporto variatopuò permettere all’organismo di rispondere aicambiamenti ambientali, odierni e futuri, inmodo da favorire la capacità d’adattamento edi soddisfare diverse esigenze nutrizionali edextranutrizionali. In altre parole la biodiversitàdeve essere considerata una “banca genica”, unpatrimonio prezioso dell’umanità da difende-re e da trasmettere alle generazioni future.Questo moderno concetto ha, in realtà, origi-ni antiche, se si considera che già CarloMagno impose per legge agli agricoltori l’ob-bligo di coltivare 90 specie di piante in via d’e-stinzione (Matassino D, 2001).

Comportamenti sociali nuovi irromponosullo scenario, tanto che oggi si parla d’ali-mentazione post-moderna, cioè del depreca-

bile, a mio parere, tramonto del pasto tradi-zionale, seduti attorno ad un tavolo, in com-pagnia di familiari o amici, ad orari fissi, edella sua sostituzione con pasti solitari e velo-ci, con orari variabili e saltuari e con cibi giàpronti, spesso surgelati e riscaldati, o, addirit-tura, con piccoli spuntini sparsi nella giornata(qualcuno ha detto: “mangiare è una pessimaabitudine, che l’uomo moderno, obbligato adessere lucido e dinamico per tutta la giornata,deve assolutamente perdere”).

Nel 2001 circa il 70% della popolazione ita-liana continuava a considerare il pranzo comepasto principale e, di questi, il 75% lo consu-mava a casa (in calo rispetto all’85% del 1993).Al Centro-Nord mangiava in casa il 35,4%degli occupati, mentre il rimanente si distri-buiva soprattutto tra la mensa aziendale ed ilbar (entrambi per 14,8%), mentre al Sud con-sumava il pranzo a casa il 73% degli occupati(Bernardi R, 2001).

Secondo stime 2004 della Federalimentare,i prodotti “non tradizionali” rappresentano il35% del fatturato del settore alimentare, con lacrescita soprattutto dei prodotti “a più altocontenuto tecnologico”. La tendenza è unincremento del “fast-food”, che ha visto unprogressivo ampliamento delle scelte a favoredi prodotti più variati, ossia dal panino con lamortadella si è passati a piatti di insalate, dipasta o riso, di yogurt, di cibi integrali edanche esotici, ma anche al diffondersidell’“instant-food”, alimenti già pronti da pre-levare dagli appositi distributori. Accanto aquesti, è in forte sviluppo il cibo tecnologico,cioè modificato con apposite supplementazio-ni o integrazioni per renderlo più salutare, finoad arrivare ai “nutraceutici”, che sono una viadi mezzo tra alimenti e farmaci. In contrappo-sizione avanza spedito anche lo “slow-food”,che esalta il cibo “vero”, in sintonia con unritrovato equilibrio tra pasti, lavoro e tempolibero. Francesco Alberoni, in un recente edi-toriale sul Corriere della Sera, ha così riassun-

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to “l’etica del cibo contro la barbarie del pen-siero frantumato”:... “Il processo incomincia dal-l’agricoltura, dalla preparazione del terreno,dalla scelta del seme, delle piante, l’innesto, lalotta ai parassiti, la raccolta corretta del frutto. Epoi il cucinare: scegliere gli ingredienti, sentirne laconsistenza, la freschezza, il sapore, poi tagliarlinel modo giusto. Dopo, il rito della cottura: alcu-ni ingredienti devono essere posti prima, altridopo, altri vanno cucinati a parte e aggiunti almomento opportuno. E poi l’olio, il burro, il sale,le spezie, tutte nella quantità e nel momentoopportuno e il fuoco alto o basso, l’uso o il non usodel coperchio. Basta uno sbaglio e il cibo è rovina-to come in una composizione musicale quandosbagli una nota. E poi il tavolo, le stoviglie, lezuppiere, i piatti di portata, i bicchieri, le posateciascuna per una sua funzione. Il cibo, dalla pre-parazione al consumo, è perciò sempre scelta, vigi-lanza, attenzione, misura, equilibrio. Incorporaun’etica…”. Io aggiungerei: i commensali.Anche senza scomodare Socrate e Platone, ilpasto è sempre stato un momento di socializ-zazione e di educazione, di controllo e di auto-controllo, di dialogo, di confronto e, in con-clusione, di crescita culturale.

Alimentazione e genoma

L’alimentazione e l’attività fisica hannoinfluenzato l’espressione genetica e hannocontribuito a modellare il genoma umano. Lavita è la capacità di riprodursi, cioè di genera-re figli identici o quasi a se stessi; nell’uomoche si riproduce per via sessuata, ognuno deidue genitori contribuisce con un patrimonioereditario completo, detto “genoma”, costitui-to nell’uomo da circa 3,15 miliardi d’elementidetti “basi”, per cui l’uomo ha un doppiogenoma, per metà paterno e per metà mater-no. L’insorgenza di ogni cambiamento, dettomutazione, evento casuale, raro e trasmissibiledel patrimonio genetico, produce individuidiversi. Il doppio genoma ha il vantaggio che,

se uno dei due contiene una mutazione dan-nosa, l’altro potrebbe compensare oppure lamutazione tenderebbe a ridurre le probabilitàdi sopravvivenza dell’individuo. L’evoluzione,quindi, è un meccanismo di “prova ed errore”(“trial and error”), cioè la mutazione genera lavariazione ereditaria, che è selezionata auto-maticamente in modo da aumentare in medial’adattamento all’ambiente (Cavalli-SforzaLL, 2004). Il genotipo è nascosto nel DNA,mentre il fenotipo è ciò che la selezione gene-tica rende visibile; il fenotipo è il risultato del-l’interazione dei geni e dell’ambiente, di cui ilcibo è parte importante (“nature e nurture”, initaliano “natura e nutrizione”) (Cavalli SforzaLL, 2004). Uno stesso fenotipo può addirit-tura essere espressione di genotipi differenti(Manzi G, 2006). L’adattamento all’ambienteper via genetica è molto lento, specialmenteper l’uomo, che si riproduce con grande len-tezza, per cui è necessario attendere moltissi-me generazioni affinché avvengano cambia-menti desiderabili. Una recente ricerca, peral-tro, studiando i mutamenti in tre popolazioni(una africana, una asiatica e una europea), hascoperto 700 regioni del genoma che recanotraccia di selezioni naturali risalenti ad unperiodo relativamente recente, compreso fra15mila e 5mila anni fa, interessanti i sensi delgusto e dell’olfatto, della digestione, dellastruttura ossea, del colore della pelle e dellefunzioni cerebrali (Voight BF, 2006). Altristudi hanno esplorato diversi aspetti: unaricerca condotta presso l’Università diStanford e coordinata da Marcus Feldman,facente parte del cosiddetto Human GenomeDiversity Project, ha esaminato frammenti diDNA di 1056 persone appartenenti a 52 dif-ferenti popolazioni, e ha dimostrato che esi-stono cinque gruppi diversi, corrispondentialle cinque maggiori aree geografiche (Africa,Europa, Asia, Oceania e Americhe), ed essihanno in comune almeno il 95% della variabi-lità genetica; un altro studio, condotto nel

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2000 da un gruppo di genetisti dell’Universitàdi New York, ha analizzato le caratteristichegenetiche del cromosoma Y, presente soltantonei maschi, ed ha concluso che ebrei, siriani,libanesi e palestinesi sono fratelli genetici; unaltro, condotto su DNA dei mitocondri, orga-nelli cellulari trasmessi soltanto dalla madre,ha dimostrato che gli europei discenderebberosoltanto da sette “madri” originarie (AltichieriA, 2000).

In estrema sintesi è così possibile riassume-re l’informazione genetica: nel DNA delnucleo cellulare è contenuta, in codice, tuttal’informazione genetica richiesta per la costru-zione cellulare. Gli acidi nucleici sono di duetipi, il DNA e l’RNA, costituiti dall’unione dimonomeri, detti nucleotidi, a sua volta forma-to da uno zucchero (ribosio nell’RNA e deos-siribosio nel DNA), da un gruppo fosfato e dauna base azotata (adenina, timina, guanina,citosina, uracile), complementari tra loro a duea due. Le molecole del DNA sono formate dadue filamenti di nucleotidi avvolti a elica,quasi sempre associati a proteine (istoni); i duefilamenti possono separarsi e ciascuna delledue catene serve da stampo per la sintesi didue nuovi filamenti con la formazione di duemolecole di DNA identiche (replicazione cel-lulare). In questo modo è garantita la trasmis-sione e l’ereditarietà dei caratteri nelle cellulefiglie. La sequenza dei nucleotidi codifica laposizione degli aminoacidi nella catena poli-peptidica e quindi la sintesi proteica: ad ognitripletta di nucleotidi corrisponde un soloaminoacido. Il trasferimento dell’informazio-ne genetica è mediato da un meccanismocomplesso che coinvolge l’RNA messaggero(mRNA), l’RNA di trasporto, i ribosomi e unnumero elevato di enzimi. L’informazionegenetica contenuta nel DNA è dapprima tra-sferita nell’RNA (trascrizione) e realizzatanella sintesi di proteine specifiche (traduzio-ne), seguendo il codice determinato dallasequenza dei nucleotidi. RNA cortissimi

(microRNA) si legherebbero saldamente aDNA o mRNA e ne regolerebbero l’attivitàfavorendola o impedendola, fungendo daregolatori dell’accensione e del funzionamen-to di altri geni. Esistono proteine che, a lorovolta, possono svolgere funzioni regolatrici sulDNA e quindi sull’espressione genica. Un’i-potesi ammette che le regioni del DNA cheinfluenzano la trascrizione abbiano spesso unastruttura “a moduli” costituita da brevisequenze di DNA (6-15 nucleotidi), che lega-no un corrispondente numero di proteineregolatrici, alcune delle quali sono ubiquitarie,mentre altre sono presenti in particolari cellu-le o in determinati momenti; alcune proteineregolatrici attiverebbero la trascrizione, altre lapotrebbero reprimere; gli stessi moduli e lestesse proteine regolatrici possono influenzarel’espressione di molti geni, suggerendo che lacombinazione differenziale di un numerolimitato di elementi a funzione regolativapossa determinare il controllo dell’espressionedi un elevato numero di geni e tutto ciòpotrebbe essere estremamente rilevante da unpunto di vista evolutivo. Peter e RosemaryGrant, sulla scia di Darwin, hanno studiato 14specie di fringuelli delle isole Galapagos ehanno dimostrato che i semi, di cui essi sinutrono, variano a seconda delle condizioniclimatiche, e che, quelli con il becco più adat-to alle dimensioni e durezza del seme di quel-l’anno, hanno maggiori probabilità di soprav-vivere. Le femmine inoltre scelgono i maschiin base al loro canto, che è tramandato ai pic-coli, favorendo un isolamento riproduttivo tragruppi, precondizione essenziale per la forma-zione di una specie. L’isolamento riproduttivo,però, non è completo e gli ibridi, in caso divantaggio della sopravvivenza, aumentano ladiversità genetica dei fringuelli (Grant PR,1989).

Un altro esempio di questo intreccio trageni, alimentazione, attività fisica ed evoluzio-ne è rappresentato dal colore della pelle. Nella

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Preistoria gli antropoidi, durante la quotidianaricerca del cibo (foraggiamento), andavanoincontro ad un grande consumo energeticoper le elevate prestazioni muscolari: lunghemarce (gli spostamenti, circa 40 km giornalie-ri) intervallate da improvvise corse nell’am-biente della savana. Tutto questo fu reso pos-sibile dalla perdita del mantello peloso, perchéin questo modo l’ominide riuscì a termodi-sperdere meglio il calore durante la corsa,divenendo però più esposto agli effetti danno-si dei raggi solari. È verosimile quindi che ilcolore nero della pelle, dovuto alla presenza dimelanina, abbia svolto un ruolo di salvaguar-dia, perché proteggeva dagli effetti dannosidegli ultravioletti e permetteva di sfruttarnegli effetti benefici, quali la sintesi della vitami-na D. La migrazione dall’Africa verso le altreregioni del globo ed in particolare quelle set-tentrionali, dove l’irradiazione solare eraminore ed il freddo induceva a coprirsi condegli indumenti, esponendo meno la pelle allaluce, ha portato ad una riduzione della mela-nina con un progressivo schiarimento delcolore cutaneo ( Jablonski NG, 2000). Tuttoquesto è stato compensato da una modifica-zione delle abitudini alimentari: le popolazio-ni più settentrionali, gli esquimesi, sonosopravvissuti solo perché hanno mangiatoprevalentemente cibi animali, ricchi in grassi evitamina D. È interessante rilevare che la sin-tesi della melanina nella cute è regolata dal-l’ormone melanocitostimolante (MSH), che alivello ipotalamico svolge un ruolo importan-te nel controllo dell’alimentazione. La donnapotrebbe avere comunemente la pelle piùchiara dell’uomo per una maggiore necessitàdi vitamina D per la gravidanza e l’allatta-mento ( Jablonski NG, 2002). Anche l’attivitàfisica può influenzare il fenotipo: un recente

studio ha dimostrato un aumento delledimensioni cerebrali (40% di cellule dell’ippo-campo in più) nei cuccioli delle cavie chehanno praticato attività fisica durante la gravi-danza (Bick-Sander A, 2006).

Accanto alla selezione genetica, l’evoluzionedell’uomo è stata influenzata dalla selezioneculturale, ossia dall’intervento della trasmis-sione di fattori quali il linguaggio e il compor-tamento “rituale”, ripetitivo, caratteristico diun gruppo sociale (Cavalli Sforza LL, 2004),in grado di fare la differenza in situazioni cri-tiche. Nell’uomo il comportamento è larga-mente appreso per insegnamento diretto e perl’esempio fornito dalla società. La trasmissio-ne culturale può essere verticale ed orizzonta-le. La prima è legata soprattutto all’influenzadella famiglia ed è lenta e conservativa, tendecioè a “formare” il comportamento del figliosecondo il modello dei genitori ed anche del-l’ambiente sociale. La trasmissione orizzonta-le è innovativa, può essere lenta, ma ancherapidissima, è trasmessa da uno a molti indivi-dui, come ad esempio nella scuola, o da moltiad un solo individuo, ad esempio nelle regoledel “conformismo” sociale. La cultura è stataun meccanismo di adattamento rapido, toti-potente, dotato di grande flessibilità, in gradodi diffondersi rapidamente a tutta la popola-zione e di influenzare il futuro degli uomini.

A partire dal Sapiens, l’evoluzione culturalesembra dominare su quella biologica. Duran-te gli ultimi 10mila anni non si sono manife-state modificazioni sostanziali del patrimoniogenetico, mentre, soprattutto negli ultimisecoli, si è assistito ad un’esplosione culturale.Non per niente, soltanto l’Homo Sapiens èstato capace di sopravvivere nel difficile perio-do della glaciazione di Wurm.

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L’energia meccanica “bruciata” durantel’attività fisica deriva dagli alimenti (il “car-burante” della macchina umana), in grado difornire energia meccanica o termica per tra-sformazione dell’energia chimica. Le nostrefonti energetiche sono i lipidi, che fornisco-no 9,46 Kcal/g, le proteine 4,32 Kcal/g e iglucidi che assicurano 4,18 Kcal/g, valoriclassici di riferimento ottenuti misurando laquantità d’energia calorica prodotta ossidan-do completamente tali nutrienti in un appo-sito strumento (bomba calorimetrica adiaba-tica di Berthelot). Il fabbisogno energetico èstato definito dalla Commissione Scientificadella Comunità Europea (1993) come “l’ap-porto d’energia d’origine alimentare destina-to a compensare la spesa energetica d’indivi-dui che mantengano un livello d’attività fisi-ca economicamente necessaria e socialmentedesiderabile e che abbiano dimensioni e

composizione corporea compatibili con unbuono stato di salute a lungo termine”. Laporzione maggiore delle necessità energeti-che di un individuo è generalmente rappre-sentata dal metabolismo basale, cioè dall’e-nergia necessaria per il mantenimento dellefunzioni vitali dell’organismo in condizionibasali, vale a dire in completo riposo ed inequilibrio termico con l’ambiente. Questoconsumo energetico comprende il lavorosvolto per tutti i processi d’accrescimento emoltiplicazione cellulare, il lavoro osmoticoper assorbire e accumulare sostanze e il lavo-ro meccanico e funzionale dei vari organi,legati alle funzioni fisiologiche sostenute ariposo, come la circolazione sanguigna, larespirazione, la digestione e il tono muscola-re involontario. Il metabolismo basale in unindividuo sedentario rappresenta circa il 65-75% della spesa energetica giornaliera ed è

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Il cibo e l’energia

La dieta non fa vincere una gara,ma una dieta sbagliata la può far perdere.

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soprattutto una funzione del metabolismoepatico (con un peso di 1,6 kg raggiunge unaspesa energetica del 27%), cerebrale (peso1,4 kg, spesa energetica del 19%), cardiaco(peso 0,32 kg, spesa del 7%), renale (peso0,29 kg, spesa del 10%) e degli altri muscoli(peso 30 kg, spesa 18%).

L’energia chimica contenuta negli alimen-ti non è direttamente utilizzabile, ma deveessere in un primo tempo trasferita a parti-colari mediatori chimici, i quali assumono ilruolo di trasportatori e accumulatori d’ener-gia; fra questi il più importante è l’adenosin-trifosfato o ATP che fornisce l’energia allafibra muscolare (Fig. 1). A sua volta l’ATPviene rapidamente ricostituito a partire daadenosindifosfato (ADP) e dai legami fosfo-rici ad alta energia del creatinfosfato (CP).La disponibilità di ATP e CP è assicuratadalla fosforilazione ossidativa delle molecole

originate dai nutrienti energetici (soprattut-to lipidi e glucidi), attuate nei mitocondridelle cellule muscolari. Il primo processo sisvolge in anaerobiosi, senza produzione diacido lattico ed è di breve durata (da zero a20 secondi). In questo periodo di tempo lacapacità, cioè la quantità globale d’energiaprodotta, è estremamente limitata ma è svi-luppata molto rapidamente e quindi conpotenza, cioè con quantità d’energia fornitanell’unità di tempo, elevatissima. Un secon-do meccanismo di produzione di ATP inter-viene nella demolizione del glucosio, prove-niente dal glicogeno muscolare: comincia 20secondi dopo l’inizio dell’esercizio e duraalmeno due minuti. Questo processo, medio,si svolge in anaerobiosi lattica per trasforma-zione del piruvato in lattato ed ha una capa-cità maggiore, ma una potenza minorerispetto al primo sistema. Un terzo processo

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FIGURA 1L’energia necessaria per la vita deriva dai processi ossidativi a carico dei nutrienti. L’ossigeno deriva dall’aria inspirata ed ilmediatore chimico prodotto è l’ATP

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si svolge in aerobiosi alla fine della contra-zione muscolare e sfrutta la combustionecompleta del glucosio attraverso il ciclo diKrebs fino a formare acqua e anidride carbo-nica, con ricostituzione delle riserve di ATP.In questa fase si ha un’utilizzazione prefe-renziale degli acidi grassi attraverso l’acetil-CoA, quale fonte di energia da parte delmuscolo. Questo terzo sistema presenta unacapacità elevata ma una potenza modesta.Dal metabolismo aerobico risultano 36molecole di ATP per molecola di glucosioossidata; da quello anaerobico solo due. Incondizioni di buona ossigenazione l’acetil-CoA entra nel ciclo degli acidi tricarbossili-ci o di Krebs, combinandosi con l’ossalaceta-to per formare citrato e, quindi in successio-ne, isocitrato, ketoglutarato, succinato,fumarato, malato ed, infine, nuovamente

ossalacetato, con ripresa del ciclo. In questociclo possono confluire acidi grassi ed ami-noacidi, confermando il ruolo centrale deicarboidrati nel metabolismo energetico (“igrassi bruciano al fuoco dei carboidrati”)(Fig. 2) (cfr. capitolo “I carboidrati”). Adogni tappa del ciclo è rimosso un atomo diidrogeno e quindi un paio di elettroni. Indefinitiva sono ottenute per ogni ciclo 3molecole di NADH+H, 1 FADH

2e 1 GTP.

Queste molecole trasferiscono tramite lacatena respiratoria (coenzima Q

10, citocro-

mi) l’idrogeno fino a formare acqua con l’os-sigeno, e liberando energia con produzionedi ATP (Fig. 1). A livello del sistema cito-cromo ossidasi mitocondriale, 1 molecola diossigeno è ridotta mediante 4 elettroni conformazione di 2 molecole di acqua e congenerazione di 3 molecole di ATP. Proprio a

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GLUCOSIO (Glicogeno)

PIRUVATO LATTATO

H+

CO2

Ac. - CoA ACIDI GRASSI, AMINOACIDI, CHETONI

OSSALACETATO ACIDO CITRICO

AMINOACIDI

AMINOACIDIACIDI GRASSI

CICLO DIKREBS

FIGURA 2Nel ciclo di Krebs confluiscono le vie ossidative del glucosio, degli acidi grassi, degli aminoacidi e dei chetoni tramite l’acetil-CoA. Per ogni ciclo, si liberano molecole ridotte, che, tramite la catena respiratoria, cedono l’idrogeno all’ossigeno, formandoacqua e CO

2e liberando energia

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livello del CoQ10

possono avvenire delle“trasmissioni” di elettroni (“leakage”) diret-tamente all’ossigeno con formazione dianione superossido, acqua ossigenata e radi-cali idrossilici. Tale processo è incrementatoda disaccoppiamenti della fosforilazioneossidativa, da trattamenti con ossigeno iper-barico, dall’invecchiamento, dalle fasi diischemia-iperossia, da alterazioni dei lipidimitocondriali per deficit di acidi grassipolinsaturi o per eccesso di acidi grassi satu-ri o per perossidazione lipidica. Nelle mole-cole normali gli elettroni orbitanti attornoall’atomo sono in numero pari, dato che siaccoppiano a due a due per dare luogo ad unsistema normalmente privo di attività elet-tromagnetica. Un sistema di atomi che pos-siede un solo elettrone (“elettrone spaiato”) èfortemente magnetico. I radicali liberi sonosostanze, atomi o frammenti di molecole,fortemente reattive, caratterizzate da unosquilibrio di elettroni nell’orbita esterna, percui tendono ad accettare o donare singolielettroni per acquistare stabilità, con tuttequelle sostanze con cui è possibile formareorbitali molecolari costituiti da coppie dielettroni (idrogeno, metalli, ecc.). I radicaliliberi si formano tutte le volte che, conferen-do energia a molecole ordinarie attraversoradiazioni, reazioni di ossido-riduzione, altetemperature, si rompono gli usuali accoppia-menti di due elettroni in un orbitale moleco-lare. La stabilità può essere raggiunta oaccettando (quindi ossidazione) o donando(quindi riduzione). Queste sostanze vivonofrazioni di secondo e sono continuamenteformate e continuamente neutralizzate dallesostanze antiossidanti. L’ossigeno molecola-re (O

2) ha due elettroni spaiati nell’orbita

esterna ed è tecnicamente un diradicale.L’aggiunta di un singolo elettrone all’O

2

genera il radicale anione superossido O.2,

l’aggiunta del secondo elettrone forma ilperossido d’idrogeno (H

2O

2). La successiva

reazione con il radicale anione superossido

O.2, genera il radicale libero idrossilico

(OH.), che rappresenta la forma di granlunga più reattiva, che deve essere subitobloccata dalle cellule. Altre sostanze reattivesono l’ozono (O

3) e il radicale derivato dal

diossido di azoto (NO.). Le principali fontiinterne di sostanze ossidanti sono rappre-sentate dalle catene mitocondriali e micro-somiali, dagli enzimi ossidanti (ciclossigena-si, xantina-ossidasi, monoamino-ossidasi,urato-ossidasi, aldeide-ossidasi, ecc.), dalsistema del citocromo P450 del reticoloendoplasmico, dalle cellule immunitarie. Unantiossidante è una sostanza capace di ritar-dare o prevenire l’ossidazione di un substra-to, che può essere proteico, lipidico, glucidi-co o nucleico (DNA). Le sostanze che neu-tralizzano i radicali liberi possono essereraggruppate in due categorie: preventivi edattivi. I primi prevengono l’inizio della rea-zione a catena, che genera radicali liberi,(radical quenching) e comprendono princi-palmente ceruloplasmina, transferrina ealbumina (capacità di legare i metalli). Isecondi interrompono il processo ossidativo(chain breaking) perché reagiscono conintermediari della reazione a catena, for-mando prodotti stabili e comprendono prin-cipalmente le vitamine C ed E, l’urato e pro-teine con gruppi SH. Gli antiossidanti sisuddividono in lipofili (vitamina E), idrofili(vitamina C) e anfifilici, in parte lipofili e inparte idrofili (flavonoidi e fenoli). Il piùimportante scavenger o spazzino intracellu-lare dei radicali liberi è il glutatione (GSH),tripeptide in grado di passare dalla formaridotta alla ossidata e viceversa. Importanteè anche il ruolo svolto dalle vitamine C, Aed E, con azione di scavenger. Nella faselipidica della cellula, i più importanti antios-sidanti sembrano essere la vitamina E (alfa-tocoferolo), il beta-carotene e il coenzimaQ

10, conosciuti come efficaci sostanze in

grado di bloccare i radicali liberi. Esistonosostanze denominate “proossidanti”, che

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possono stimolare il danno dei radicali libe-ri nei componenti non lipidici. Quando ilbilancio tra antiossidanti e proossidanti sialtera e si incrementa la produzione di radi-cali liberi o le difese immunitarie totali siabbassano, si può produrre una situazione distress ossidativo. Qualora non siano pronta-mente inattivati, i radicali liberi danneggia-no le molecole, che costituiscono le mem-brane cellulari, con vari meccanismi: a) ilipidi, che vanno incontro a perossidazione;b) le proteine con ossidazione degli enzimicontenenti gruppi sulfidrilici, con formazio-ne di legami covalenti con altre macromole-cole e con distruzione di coenzimi; c) i glu-cidi con depolimerizzazione; d) gli acidinucleici con idrossilazione delle basi conpossibile comparsa di mutazioni.

I fenomeni di ossidazione e lo stato diossido-riduzione hanno certamente influen-zato l’evoluzione della vita.

L’ATP è sintetizzato durante la catenarespiratoria tramite fosforilazione ossidativa,che si svolge a livello della membrana mito-condriale interna dei tessuti. Per consentireuna maggiore produzione di ATP è attiva,nel muscolo, anche una sua resintesi a parti-re da due molecole di ADP con formazionedi 1 molecola di adenosinmonofosfato(AMP) e di una molecola di ATP. In condi-zioni di riposo sono consumati 1,6 kg/h diATP, mentre in condizioni di strenuo eserci-zio si arriva fino a 30 kg/h di ATP. L’ossige-no necessario alla ossidazione proviene dal-l’aria che respiriamo, mentre il prodottofinale delle ossidazioni dei nutrienti è l’ani-dride carbonica. La quantità di ossigenovaria inoltre in relazione al grado di attivitàfisica. Il consumo di O

2e l’accumulo di CO

2

comportano l’intervento di meccanismi direcupero da parte dell’organismo. I duesistemi, che svolgono questo compito, sonoil sistema respiratorio e il sistema cardiocir-colatorio. Il sistema respiratorio provvedeattraverso l’inspirazione ad assorbire l’O

2

necessario ad ossigenare il sangue, che circo-la a livello polmonare, e, contemporanea-mente, attraverso l’espirazione, ad eliminarel’eccesso di CO

2, presente nel sangue. Il

sistema cardiovascolare provvede a smistareil sangue ossigenato, proveniente dai polmo-ni, dal cuore alla periferia, attraverso le arte-rie fino ai capillari, e a ricondurre il sangueperiferico dai capillari venosi fino al polmo-ne per effettuare nuovamente gli scambirespiratori. Il trasporto avviene tramite l’e-moglobina contenuta negli eritrociti ed èdirettamente proporzionale al contenuto diemoglobina ematica (ogni grammo di emo-globina può trasportare 1,34 ml di ossigeno).

Il tessuto muscolare è costituito da protei-ne contrattili, che, eccitandosi, sono in gradodi muovere le leve ossee, alle quali è collega-to tramite inserzioni tendinee, o di aumen-tare la pressione in organi cavi (cuore, ecc.),con il conseguente spostamento di gas oliquidi. Dal punto di vista anatomico, ilmuscolo scheletrico è racchiuso in una lami-na connettivale (epimisio), formata princi-palmente da collagene, che rappresenta unasuperficie di scorrimento per i muscoli circo-stanti; a sua volta, il muscolo è formato dafasci grossolani, rivestiti da una guaina con-nettivale (perimisio); a loro volta, i fascimuscolari sono composti da fibre, rivestitedall’endomisio; ogni fibra è costituita da unacellula muscolare, che rappresenta il matto-ne costruttivo del muscolo; le fibre, quindi,sono costituite da fibrille ed, infine, questeultime sono formate da filamenti, dati daproteine contrattili. Le proteine, che com-pongono i filamenti, sono miosina, actina,tropomiosina e troponina. Il muscolo si con-trae per scorrimento dei filamenti di actinasu quelli di miosina, che avviene con uncomplesso meccanismo di rottura e ricostru-zione di legami chimici fra le due compo-nenti. Il processo attraverso il quale l’impul-so nervoso trasmette alla fibra muscolare ilmessaggio contrattile è detto accoppiamento

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“eccitazione-contrazione” e prevede l’inter-vento di vari ioni, soprattutto calcio, e dimolecole in grado di fornire energia (ATP).Un ruolo importante è svolto dal sistemacreatina-creatinfosfato (CP), che intervienerapidamente per la resintesi delle molecoledi ATP e rappresenta quindi una forma diriserva energetica rapidamente utilizzabile efunge da trasportatore di energia dai mito-condri a diversi siti dotati di attività ATPa-

sica nel citoplasma; il declino della forza svi-luppata durante una contrazione muscolareintensa potrebbe essere collegato al depau-peramento delle riserve di CP, con conse-guente rallentamento della velocità di rige-nerazione dell’ATP.

Il rendimento del “motore umano” è pari acirca il 20-25%, cioè su 4 calorie introdotteuna si trasforma in lavoro e 3 in calore.

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Parte Seconda | I nutrienti

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Le proteine sono sostanze quaternariecostituite da carbonio, idrogeno, ossigeno,azoto, con l’aggiunta talvolta di zolfo o fosfo-ro o ferro o rame, ecc. e rappresentano la basedella struttura plastica dell’organismo: senzaproteine saremmo una massa informe.

L’elemento proteico più semplice è rappre-sentato dagli aminoacidi (AA) (Fig. 3), checostituiscono i “mattoni” per la costruzionedelle proteine. In realtà soltanto 20 dei possi-bili AA sono coinvolti nella sintesi proteica edalle varie combinazioni di questi, analoga-mente alle lettere dell’alfabeto, derivano innu-merevoli combinazioni proteiche; una protei-na può contenere da 100 fino a 1000 AA,legati tra loro con legami peptidici fra ungruppo carbossilico di un aminoacido e ungruppo aminico di un altro aminoacido.

Tra gli aminoacidi presenti in natura, alcunisono definiti essenziali (AAE) per l’uomo,

perché il nostro organismo non è in grado disintetizzarli, e devono essere perciò introdottipreformati in quantità adeguate dall’esternocon gli alimenti (valina, leucina, isoleucina,treonina, fenilalanina, triptofano, lisina, istidi-na, metionina) (Tab. 1), mentre sono conside-rati semiessenziali cisteina e tirosina, perché in

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Le proteine

FIGURA 3Struttura base di un aminoacido

NH2

C

H

COOHR

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grado di risparmiare rispettivamente metioni-na e fenilalanina. Fra gli aminoacidi essenzialisi distinguono quelli a catena ramificata(Branched Chain AminoAcids o BCAA) ecioè la valina, la leucina e l’isoleucina, che nonsono, come tutti gli altri, metabolizzati nelfegato, ma in altri tessuti (rene, tessuto adipo-so, cervello) e soprattutto nel tessuto muscola-re.

Tutti gli altri “non essenziali” sono sintetiz-zati direttamente e in modo autonomo dal-l’organismo. Alcuni AA, glicina, prolina, argi-nina, glutamina e taurina (derivato dellacisteina), sono definiti “condizionatamenteessenziali”, perché in alcune condizioni fisio-logiche non sono sintetizzati dall’organismo avelocità sufficiente.

Le proteine animali hanno un valore biolo-gico maggiore rispetto alle proteine vegetali,in quanto hanno uno spettro aminoacidico piùcompleto, il che ne permette una migliore uti-lizzazione. Infatti, la sintesi proteica dipendedalla contemporanea presenza di tutti i diver-si aminoacidi partecipanti alla struttura pro-teica ed è sufficiente la mancanza di un soloaminoacido per bloccare l’assemblaggio anchedi centinaia d’aminoacidi, coinvolti nella sin-tesi di una proteina. Un eventuale eccessod’altri aminoacidi non supplisce quello caren-

te, per cui il frammento meno presente rap-presenta il fattore limitante la sintesi delleproteine (legge del minimo). Le proteine d’o-rigine vegetale sono in genere carenti di uno opiù aminoacidi essenziali: ad esempio il gra-noturco è povero di triptofano, il frumento dilisina ed i fagioli di metionina. La diversitàdegli aminoacidi carenti (o limitanti) permet-te di superare questo problema attraverso l’as-sociazione di diversi alimenti vegetali e, ancormeglio, animali.

Ogni giorno esiste un turnover di circa 250-300 g di proteine, contro un apporto giorna-liero di 70-100 g: una quota elevata, quindi,degli aminoacidi, proveniente dalla proteolisiendogena, è riutilizzabile e soltanto una quotad’aminoacidi (circa 30-40 g/die) è degradatain maniera tale da non poter più essere riuti-lizzata e deve essere rimpiazzata (Fig. 4). L’e-mivita delle proteine è differente nei variorgani e nelle varie strutture endocellulari e sibasa su un controllo estremamente selettivo estrettamente regolato per evitare di danneg-giare gravemente la funzione cellulare.

La sintesi proteica provvede alle sintesiprioritarie (anticorpi, ormoni, enzimi, ecc.) eal rimpiazzo delle proteine demolite sulla basedi informazioni provenienti dai geni: un genecodifica la struttura di una o più proteine. Larealizzazione delle diverse attività vitali richie-de la partecipazione di proteine variabili nelnumero, nella qualità e nella quantità combi-natoria tra loro. Elemento essenziale è che sistabiliscano delle interazioni fisiche e funzio-nali, in modo che si formi una rete funziona-le. La struttura primaria di una proteina,costituita dalla semplice sequenza aminoacidi-ca, rappresenta il primo passo dell’organizza-zione. I ripiegamenti per tratti più o menolunghi in strutture regolari, dette alfa-eliche efoglietti beta, costituiscono la struttura secon-daria. Il ripiegamento su se stessa della lungacatena polipeptidica fino a formare strutturespaziali tridimensionali complesse, ad esem-

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Aminoacido mg/kg peso corporeo

Lisina 42Leucina 39Fenilalanina + Tirosina 39Valina 24Isoleucina 23Treonina 21Metionina - Cisteina 16Triptofano 6

TABELLA 1Apporti giornalieri obbligatori di aminoacidi essenziali

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pio gomitoli, costituisce la struttura terziaria.Infine la struttura quaternaria è data dallacombinazione o aggregazione di due o piùmolecole proteiche, a cui si può legare ungruppo prostetico non proteico. Il passaggiodallo stato di filamento alla struttura solidatridimensionale rende possibile l’interazionetemporanea o permanente con altre proteine ocon gli altri tipi di macromolecole (ad esempioacidi nucleici). Altre modifiche sono di tipochimico, come ad esempio l’attacco di ungruppo fosfato, che permette il passaggio dallostato inattivo a quello attivo, innescando unacatena di reazioni, in cui la proteina inizialecomunica con altre proteine o altre molecole,cambiando struttura per breve tempo per poiritornare allo stato iniziale, mentre il segnaleavanza a catena. Altro aspetto è la possibilità

di riarrangiamenti strutturali, che trasformanouna singola proteina in un mosaico di seg-menti con proprietà diverse, che conferisconoalla proteina la capacità di interagire conmolecole differenti per uno scopo comune (adesempio un segmento si lega ad un ormone edun altro segmento, dopo questo legame,diventa capace di legarsi al DNA, attivandouno o più geni).

In definitiva è evidente il fondamentaleruolo che le proteine svolgono sulla stessa tra-smissione dell’informazione genetica, cioè sututte le informazioni necessarie alla conserva-zione, alla trasmissione e all’espressione deicaratteri ereditari degli organismi viventi.

La proteolisi ha il compito di individuare edeliminare selettivamente le proteine che sisono avvolte in maniera anomala a causa d’er-

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Proteine totalicorporee

10 kg

Proteine dieta100 g

INTESTINO

Azoto fecale10 g eq.proteico

TURNOVER TOTALEDELLE PROTEINE

250 g

Secretiintestinali

70 g

Muscoli50 g

Assorbiti160 g

Aminoacidi liberi100 g

Fegato25 g

Leucociti20 g

Hb8 g

Pelle2 g

Secreti20 g

Ritenuti5 g

FIGURA 4Turnover giornaliero di proteine dell’intero organismo e di alcuni organi nell’uomo di 70 kg

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rori genetici o di mutazioni o di danni peros-sidativi, di rifornire d’aminoacidi essenziali lesintesi prioritarie, quali la produzione d’anti-corpi o d’ormoni o d’enzimi, e di mettere adisposizione materiale energetico, soprattuttoa spese dei muscoli, in condizioni di gravecarenza nutritiva o di cachessia neoplastica odi altre malattie. Questo processo avvienesoprattutto tramite tre vie: la via autofagociti-ca-lisosomiale è presente nel fegato, muscolo,cuore; la via ATP-ubiquitina-proteosoma; laproteasi calcio-dipendente, che probabilmen-te inizia la degradazione delle miofibrilleintatte.

La degradazione delle proteine ad opera diun proteosoma (grande complesso per ladegradazione delle proteine citosoliche) avvie-ne in due stadi: la proteina è prima marcata equindi demolita. La marcatura (targeting)avviene legando covalentemente un piccolopolipeptide di 76 AA, detto ubiquitina. Il pro-cesso di marcatura richiede una serie di com-plicati passaggi che si concludono con il lega-me di diverse molecole di ubiquitina al grup-po NH

2di vari residui di lisina della proteina

substrato. Le proteine attivate sono allorariconosciute e degradate da enzimi proteoliti-ci (protesomi). Questo sistema è attivato oinibito da vari fattori tossici, infiammatori oormonali.

La perdita di oltre il 30% del patrimonioproteico comporta inizialmente riduzionedella forza muscolare, della forza respiratoria,della funzione di tutti gli organi ed infine lamorte. Una carenza proteica, inoltre, riduce ledifese immunitarie contro le infezioni, in par-ticolare l’immunità cellulare, la produzione dicitochine, la funzione fagocitaria; una malattiarespiratoria o intestinale, a sua volta, diminui-va le probabilità di sopravvivenza dell’uomoprimitivo.

In definitiva è evidente che: le proteine rap-presentino la struttura plastica dell’organismo;siano indispensabili per produrre ormoni,

anticorpi, enzimi; siano precursori di neuro-mediatori e di importanti molecole (vitaminaPP, glutatione, ecc.); l’intero sistema funziona-le delle proteine sia significativamenteinfluenzato dall’alimentazione. Resta da sot-tolineare adeguatamente il fatto che le protei-ne svolgano un ruolo fondamentale nella con-trazione muscolare e quindi nella raccolta enella caccia dell’uomo primitivo (BrambleDM, 2004). Gli aminoacidi introdotti ineccesso sono catabolizzati a scopo energetico,previo distacco del gruppo aminico per dea-minazione o transaminazione, mediante lasuccessiva utilizzazione dello scheletro carbo-nioso nelle vie metaboliche dei glucidi o deilipidi (aminoacidi glicogenetici e chetogeneti-ci). I primi sono soprattutto quelli non essen-ziali e producono glucosio; i secondi, corri-spondenti in parte agli aminoacidi essenziali,producono prevalentemente corpi chetonici.La velocità, con cui gli aminoacidi in eccessosono avviati alla conversione e demolizione, èsuperiore rispetto, nell’ordine, a quella dei glu-cidi e dei lipidi, in rapporto alla facilità cre-scente di deposito, come riserva energetica, diquesti nutrienti. Il nostro organismo, infatti,non dispone di riserve proteiche, cioè tutte leproteine presenti nel corpo sono proteine fun-zionali e non esistono proteine superflue. Sol-tanto i grassi hanno una potenzialità di depo-sito quasi senza limite, mentre i glucidi nonpossono accrescere, oltre determinati livelli, laquantità di deposito nel fegato e nei muscolianche per il forte richiamo di acqua. In altreparole sembra che, in condizioni di surplusenergetico, la “macchina umana” bruci piùrapidamente i nutrienti che ha crescenti diffi-coltà a depositare come riserva. Per inciso,esclusivamente l’alcol etilico, che non è corret-to considerare un nutriente energetico e chenon può depositarsi nell’organismo, ha unavelocità catabolica maggiore rispetto agli ami-noacidi.

Fino a pochi anni fa si riteneva che le pro-

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teine non fossero in alcun modo utilizzate nel-l’esercizio muscolare, a condizione che il rifor-nimento calorico in lipidi e glucidi fosse ade-guato. Attualmente le opinioni sono discor-danti: per alcuni l’ossidazione degli aminoaci-di è da considerarsi trascurabile in condizionidi base (Cerretelli P, 1993) e per un eserciziosottomassimale (di durata inferiore ad 1 ora),mentre durante un esercizio prolungato leproteine fornirebbero dal 3 al 15-18% dell’e-nergia richiesta (Dohm GL, 1985; LemonPWR, 1980; Siliprandi N, 1989); secondoaltri Autori, già a riposo le proteine contribui-scono per un 17% ai consumi energetici(Cipolla M, 1990). Mediante la tecnica dellamarcatura degli aminoacidi, sperimentata inattività di endurance (soprattutto corsa e cicli-smo), si è dimostrato che l’ossidazione degliaminoacidi si verifica anche nelle prime fasidell’esercizio ed acquisisce importanza sempremaggiore con il perdurare e l’intensificarsidello stesso. La disponibilità di glucidiinfluenza molto l’utilizzazione delle proteinecome combustibile, con evidente effetto pro-

teino-risparmiatore (Kreider RB, 1993). L’in-cremento dell’utilizzo di proteine quale fonteenergetica è tanto più elevato quanto più èlimitata la quota di carboidrati disponibileall’inizio dell’esercizio (Felig PL, 1987; Ren-nie MJ, 1981). L’attività muscolare è perciòcaratterizzata da una marcata riduzione oanche inibizione della sintesi proteica, a causadi una messa a disposizione di importantiquantità di aminoacidi, quali substrati energe-tici per l’attività contrattile (Rennie MJ,1981). A questa condizione si associa unaumento della degradazione delle proteine tis-sutali allo scopo di incrementare la disponibi-lità di aminoacidi liberi (Rennie MJ, 1981)(Fig. 5).

Nello sforzo muscolare protratto, la norma-le sintesi delle proteine è ridotta del 10-12%in rapporto alla durata dello sforzo. Le ragio-ni di questa riduzione sarebbero dovute: a) aduna carenza d’aminoacidi liberi, in quanto uti-lizzati come fonte d’energia dal muscolo; b) aduna diminuzione dell’ATP, necessario per iprocessi di sintesi proteica; c) ad una libera-

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FIGURA 5Transaminazione degli aminoacidi ramificati nel muscolo con formazione di alanina e glutammina

AMINOACIDI RAMIFICATI CHETOANALOGHI

ALFA-CHETOGLUTARATO GLUTAMMATO

NH3

PIRUVATO

ALANINA

GLUTAMMINA

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zione di enzimi proteolitici dai lisosomi. Que-sta prevalenza della degradazione proteica siprolungherebbe anche durante la prima fasedel recupero (Dohm GL, 1985), probabil-mente allo scopo di fornire aminoacidi neces-sari per riparare fibre muscolari danneggiate.Nel periodo successivo l’attività muscolaredetermina invece un incremento della sintesiproteica oltre i valori basali e una riduzionedella degradazione.

Il protrarsi dell’attività fisica porta ad unprocesso d’ipertrofia muscolare, a condizioneche sia presente una notevole disponibilitàd’aminoacidi, utilizzati nella sintesi di protei-ne muscolari, sotto il controllo degli ormonianabolizzanti. La somministrazione di BCAA(10 g) durante e dopo esercizi prolungatiaumenterebbe i livelli d’insulina e testosteroneed il rapporto testosterone/cortisolo. L’azionedegli ormoni sarebbe dovuta all’inibizionedegli enzimi proteolitici lisosomiali. Effettosimile avrebbero le vitamine A, E, C e alcuniminerali quali selenio, manganese, molibdeno,rame e zinco. Nell’animale digiunante l’eserci-zio intenso determina ugualmente un aumen-to delle masse muscolari impegnate, a detri-mento delle masse non impegnate, ove siaccentuano invece i processi di proteolisi.Tutti questi fenomeni plastici sono proporzio-nali all’intensità e alla durata dell’attività. L’al-lenamento induce un più intenso utilizzo degliaminoacidi, soprattutto ramificati che sonoossidati direttamente dal muscolo con produ-zione d’energia, mediante intervento di L-car-nitina (Van Hinsberg VWM, 1978).

Durante l’attività fisica si ha inoltre unaumento della sintesi di alanina, per una mag-giore disponibilità di piruvato e di gruppi ami-nici provenienti dai BCAA (Bernardi R,1989). L’alanina ha il compito di trasportaregruppi aminici dal muscolo al fegato conun’attivazione dei processi di detossicazione,particolarmente importante in chi praticamolta attività muscolare a causa del forte

aumento della produzione d’ammoniaca, evi-denziato da un’elevazione dell’urea plasmati-ca. Un altro processo di detossicazione a par-tire dai BCAA si esplica attraverso la forma-zione di glutammina, che svolge un ruolo fon-damentale nel trasporto d’ammoniaca al fega-to per la formazione d’urea e al rene per la suaescrezione (Fig. 5). L’aumentata produzione dialanina, aminoacido glicogenico, permetteinoltre un incremento della neoglucogenesiepatica.

Un aspetto particolare del metabolismo dialcuni aminoacidi è la loro possibilità di modi-ficare i livelli dei neurotrasmettitori nel siste-ma nervoso centrale. Infatti, l’attività fisicaprovoca un aumento dell’ossidazione a livellomuscolare dei BCAA, che determina unadiminuzione dei loro livelli plasmatici (Blom-strand E, 1988). Si verifica inoltre un aumen-to dei livelli ematici del triptofano libero, nonlegato all’albumina, e pertanto in grado didiffondere, mediante un “carrier” comune,attraverso le barriere biologiche (BlomstrandE, 1988). Infine si osserva un aumento del-l’ammoniemia che può raggiungere notevolilivelli per un’attività fisica rilevante (BernardiR, 1989). Tutti i tre fenomeni considerati con-corrono nel facilitare il trasferimento oltre labarriera ematoencefalica di più elevate quan-tità di triptofano, che, quale precursore dellasua sintesi, induce un aumento della serotoni-na. La maggiore concentrazione di serotoninanelle strutture cerebrali (Bernardi R, 1989)determina interferenze sul tono dell’umore,una riduzione della capacità di concentrazionee sonnolenza. Il fenomeno è legato all’esisten-za di uno stesso “carrier” (sistema di trasportoL, leucina-preferring) per il triptofano e pergli aminoacidi a catena ramificata per supera-re la barriera ematoencefalica, fatto che deter-mina una situazione di competitività, per cui,durante l’esercizio, il flusso della molecola ditriptofano, a concentrazione più elevata, pre-vale su quella dei BCAA, che sono invece in

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fase riduttiva (Bernardi R, 1989). Inoltre l’au-mentata concentrazione ematica di ammonia-ca, presente anche nel liquor e nelle strutturecerebrali, induce un aumento di glutammina,che rappresenta la risorsa mobile e non tossi-ca dei radicali ammoniacali; la glutammina sitrasferisce peraltro in senso opposto, dal liquoral sangue circolante, mediante un “carrier”analogo a quello degli aminoacidi ramificati; iltriptofano circolante trova perciò ancora livel-li più elevati di carrier disponibili per il tra-sporto inverso (Bernardi R, 1989). In definiti-va l’aumentato flusso di triptofano determinauna maggiore produzione di serotonina, a cuiconsegue una precoce comparsa di affatica-mento. Al contrario un apporto di notevoliquantità di aminoacidi ramificati, assunti pervia orale, ridurrebbe l’innalzamento dell’am-moniaca plasmatica, contrasterebbe il passag-gio di triptofano ed in definitiva l’eccessivaproduzione di serotonina e quindi ridurrebbee ritarderebbe la comparsa della sensazione difatica e migliorerebbe la performance menta-le, prevenendo i sintomi di sovrallenamento(Newsholme EA, 1992; Parravicini R, 1991;Wilson WM, 1992).

Un aspetto particolare del metabolismoaminoacidico riguarda infine quello degli ami-noacidi solforati (cisteina e metionina), che,quando usati a scopo energetico, formano unresiduo acido. Lo zolfo residuo, infatti, è tra-sformato in solfato di calcio, magnesio e sodio.Normalmente le capacità di regolazione del-l’organismo compensano anche un consumodi notevoli quantità di aminoacidi solforati,senza sviluppo di acidosi. I cataboliti acidi, incaso di grosse quantità, potrebbero però osta-colare l’evacuazione dei lattati dai muscoli conprolungamento della fase di recupero. Perquesto motivo è opportuna un’alimentazionecon prevalenza di cibi alcalinizzanti (Tab. 2).La differenziazione degli alimenti in acidoge-ni e alcalogeni si basa sulla caratteristica diprodurre nell’organismo acidi oppure basi.

Elementi acidificanti sono cloro, fosforo ezolfo, mentre sono alcalinizzanti calcio, sodio,potassio e magnesio. I cibi possono essereclassificati come acidificanti, alcalinizzanti eneutri in rapporto al loro contenuto di mine-rali, che contribuiscono all’acidità, alcalinità oneutralità dei fluidi corporei e delle urine. Iminerali acidificanti predominano nei cibiprevalentemente proteici, con l’eccezione dellatte e degli alimenti ricchi in calcio. A questaregola sfuggono il grano, che è acidificantenonostante un modesto contenuto proteico,per la presenza di fosforo sotto forma di fitati.Frutta e verdura sono generalmente alcaliniz-zanti, compresi alcuni dal sapore acidulo,come agrumi, pomodori e rabarbaro, perchécontengono alcuni acidi organici, come il tar-tarico, il citrico, il malico, i quali intervengononelle regolazione dell’equilibrio acido-basedell’organismo, aumentando la riserva alcalinadel sangue, producendo CO

2, che con l’acqua

forma acido carbonico, e tamponando nel san-gue gli acidi che si formano dopo uno sforzomuscolare intenso o in seguito ad un regimealimentare iperproteico. Susine, prugne e mir-tilli sono invece acidificanti, perché contengo-no acidi organici, che non sono metabolizzatie passano immodificati nelle urine. Mandorle,castagne e cocco sono alcalinizzanti, mentrenoci e arachidi sono acidificanti. La presenzadi emulsionanti, di fitati e di grandi quantitàdi fibre possono modificare le caratteristichedegli alimenti, ad esempio legando il calcio eimpedendone l’assorbimento.

Recentemente è stata sottolineata l’impor-tanza dell’apporto di arginina ed ornitina, alloscopo di incrementare la massa muscolare.L’arginina favorirebbe la secrezione dell’ormo-ne ipofisario GH, che accresce la massamuscolare; l’ornitina stimolerebbe la produ-zione di creatina e di fosfocreatina e, in siner-gia con l’arginina, favorirebbe la miogenesi.

Da tutte queste considerazioni risulta, quin-di, evidente l’importanza dell’integrazione

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della carne nell’alimentazione degli antropoi-di. L’uomo primitivo, costretto ad elevate pre-stazioni muscolari (nomadismo, raccolta ecaccia), aveva, indubbiamente, un importantefabbisogno di aminoacidi, soprattutto essen-

ziali, e l’abbondanza di proteine animali hafornito una “marcia in più”, ritornando alparagone motoristico iniziale, rispetto ai Pri-mati.

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Acidificanti Alcalinizzanti

Tuorlo d’uovo 26.6 Fichi 100.9Ostriche 15.2 Albicocche secche 31.3Coniglio 14.8 Spinaci 27.0Prosciutto affumicato 12.5 Datteri 11.0Carne magra di bue 11.8 Barbabietole 10.9Uovo intero 11.1 Carote 10.8Pollo 10.7 Sedano 7.9Spaghetti 10.5 Lattuga 7.4Maccheroni 10.5 Succo di ananas 7.0Farina 9.6 Patate 7.0Sgombro 9.3 Albicocche 6.8Cuore di bue 9.1 Ananas intero 6.8Rognone di vitello 8.4 Fragole 6.6Fegato di bue 8.2 Succo di pomodoro 6.2Riso 8.1 Ciliegie 6.1Oca 7.7 Banane 5.6Rognone di bue 7.6 Arance 5.6Pane completo 7.3 Pomodoro 5.6Pane bianco 7.1 Cavolfiore 5.3Cioccolato 6.8 Pesche 5.0Formaggi 5.5 Cavolo 4.5Merluzzo fresco 5.5 Pompelmo 4.2Albume d’uovo 5.2 Succo di limone 4.1

Funghi 4.0Mela 3.7Pera 3.6Uva 3.1Ananas in conserva 2.9Ravanelli 2.9Latte fresco 2.4Cipolle 1.5Piselli freschi 1.3

TABELLA 2Cibi acidificanti e alcalinizzanti (espressi in ml di un acido o di un alcale forte) corrispondenti a 100 g di ogni singolo alimentocrudo. Un valore più alto indica un più elevato potere acidificante o alcalinizzante di quell’elemento (Tomasi, 1982)

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Aspetti generali: gli acidi grassi

Se le proteine garantiscono qualità, i grassisono la più grande e duratura fonte energeti-ca per l’organismo. Il tessuto adiposo rappre-senta di gran lunga il maggior deposito diriserva energetica (in un uomo-tipo di 70 kg,normopeso, sono presenti in media 15 kg,circa 140.000 Kcal!) con una disponibilità dirifornimento molto prolungata nel tempo,raggiungendo teoricamente le 70 ore nel casodi prestazioni di moderata intensità (Tab. 3).

L’utilizzo preferenziale dei grassi comedeposito energetico si spiega anche per il con-temporaneo deposito intracellulare di acqua: itrigliceridi, infatti, richiamano nella cellulauna modesta quantità di acqua (10%), mentreil glicogeno e le proteine, rispettivamente, 2-3 g e 3-4 g di acqua per ogni grammo. Perquesto motivo il nostro cervello, che è rac-

chiuso in una scatola ossea rigida, pur avendoun metabolismo energetico quasi totalmentedipendente dal glucosio, non ha depositi diglicogeno.

Dal punto di vista quantitativo, il carburan-te per il “motore muscolare” è rappresentatoprincipalmente da glucidi e lipidi (Arrigo L,1985; Fink WJ, 1982; Siliprandi N, 1982);tale utilizzo varia però in rapporto alla duratae all’intensità dell’esercizio, che il “motore”deve compiere. In condizione di riposo inostri muscoli deriverebbero l’energia di cuiabbisognano per l’87% degli acidi grassi esolo per il 13% dalla utilizzazione dei glucidi.Per un lavoro di intensità lieve o per una pre-stazione di breve durata, le necessità energeti-che sono coperte per il 50% dalla combustio-ne dei grassi e per il 50% degli zuccheri. Perun lavoro molto intenso e per una duratabreve il rifornimento è fornito prevalente-

I grassi o lipidi

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mente dai carboidrati; per un lavoro intenso,per un tempo uguale e/o superiore alle 3 ore,di nuovo sono prevalentemente i grassi adessere utilizzati ed in ragione del 70% perrifornire di energia il “motore muscolare”,mentre solo del 30% è l’utilizzo dei glucidi(Bergstrom J, 1966; Bergstrom J, 1967; Bjon-trop P, 1991; Costill DL, 1988; Coyle EF,1991; Fink WJ, 1982; Hargreaves M, 1991;Hultman E, 1974; Maughan RJ, 1990; ProiaM, 1982; Ticca M, 1982).

Oltre alla funzione energetica i lipidi sonoindispensabili all’organismo perché: a) sonocomponenti fondamentali delle membranecellulari di tutti i tessuti; b) sono precursori diormoni, vitamina D e prostaglandine; c) ren-dono gli alimenti più appetibili; d) veicolanole vitamine liposolubili e ne permettono l’as-sorbimento intestinale; e) contribuisconoall’isolamento termico del corpo.

I lipidi sono formati da carbonio, idrogenoe ossigeno e rappresentano un gruppo etero-geneo di sostanze che hanno in comune traloro una bassa solubilità nell’acqua, mentresono rapidamente solubili in alcuni solventi.Sono principalmente costituiti da trigliceridi,cere, fosfolipidi e steroli.

I trigliceridi risultano dall’unione di glice-rolo e di acidi grassi (AG), che, a loro volta,sono formati da una catena di atomi di carbo-nio (C) sempre in numero pari. La lunghezza

della catena varia da 4-6C (AG a catenacorta), a 8-12 C (AG a catena media) e 14-18C (AG a catena lunga) e 20 e più C (AG acatena molto lunga). Sono uniti da legamisemplici (AG saturi) o doppi (AG insaturi)con un gruppo carbossilico all’estremità dellacatena. Se è presente un solo doppio legame sichiamano AG monoinsaturi (ad esempio acidooleico); se più di un doppio legame, AG polin-saturi (ad esempio acidi linoleico, alfa-linoleni-co, arachidonico, eicosopentanoico, ecc.) edhanno un numero di 18 o più C (Tab. 4) (Fig.6).

Tra gli acidi grassi polinsaturi sono presen-ti quelli essenziali (AGE o vitamina F), cioèquelli che non possono essere sintetizzati dalfegato e che sono indispensabili nelle mem-brane (biosintesi fosfolipidica della retina, delsistema nervoso centrale, del fegato, dellegonadi e della neurotrasmissione). In realtà iveri AGE sono due: l’acido linoleico (omega6) e l’alfa-linolenico (omega 3). Con la dizio-ne “omega” o “n” seguita da un numero siindica la posizione del primo doppio legamea partire dal gruppo metilico (CH

3) termina-

le della molecola. È possibile un intervento diallungamento degli AGE nell’organismo,mediante l’azione di enzimi come la delta-6-desaturasi, sufficientemente presente solonella prima parte della vita dell’uomo (fino acirca 35 anni). Le due famiglie di polinsaturiutilizzano e, quindi, competono per gli stessienzimi, trasformando l’acido cis-linoleico inacido gamma-linoleico e l’acido alfa-linoleni-co in acido stearidonico (C18:4 n-3), tenendopresente che l’acido linoleico ha un’affinitàmolto maggiore per la delta-6-desaturasirispetto all’acido alfa-linolenico e rappresen-tano quindi la via preferenziale. L’attivitàcatalitica dell’enzima è inibita o bloccata da:grassi saturi, acidi grassi trans, iperglicemia,alcol, invecchiamento, adrenalina, glucocorti-coidi, dieta ipoproteica, virus oncogeni, radia-zioni ionizzanti.

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Deposito energetico g kcal

Tessuto adiposo 9000 80543Glicogeno (fegato) 90 360Glicogeno (muscolo) 350 1434Trigliceridi (muscolo) 400 3597Glucosio (sangue) 20 76Proteine 8800 2103

TABELLA 3Depositi energetici approssimati nell’uomo [adattata daNewsholme e Leech 1983; da Miller SL, Wolfe RR. Eur J ClinNutr 1999; 53 (suppl 1), S112]

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I principali acidi grassi saturi della dietasono il laurico (12:0), il miristico (14:0), ilpalmitico (16:0) e lo stearico (18:0), presentisoprattutto nei prodotti animali, quali le carnibovine, suine ed ovine, nel latte e latticini edin alcuni oli tropicali, quali quelli di palma edi cocco. Se si esclude l’acido stearico, che sitrasforma in oleico nell’organismo umano, igrassi saturi rappresentano il maggiore fatto-re ipercolesterolemizzante della dieta.

L’acido oleico (18:1) rappresenta il piùimportante acido grasso monoinsaturo dellafamiglia degli omega 9. Si ritrova soprattuttoin oli vegetali, come quello d’oliva, ma undiscreto contenuto è presente anche nei gras-si delle carni bovine e suine. Un’alimentazio-ne ricca in acido oleico ha dimostrato posse-dere un’azione ipocolesterolemizzante.

L’acido linoleico (18:2) è il maggiore rap-presentante dei polinsaturi della serie omega

6. Le maggiori fonti dietetiche sono oli vege-tali del tipo semi di soia, di mais, di girasole,di vinacciolo e di cartamo e, in misura mino-re, in alcuni prodotti animali, carne di maialee di pollame, e nel latte materno. Anche lasomministrazione di acido linoleico, al postodegli acidi grassi saturi, nella dieta induce unariduzione della colesterolemia totale.L’acido alfa-linolenico e inoltre l’acido eico-sopentanoico (EPA) (20:5), docosapentanoi-co (DPA) (22:5) e il docosaexaenoico (DHA)(22:6), di cui sono ricchi gli estratti dellacarne dei pesci, soprattutto di acque fredde(rispettivamente, sgombro 1,4 g, salmone,aringa e pesce azzurro 1,2 g, tonno e trota dimare 0,5 g, merluzzo e pesce spada 0,2 g per100 g) sono i principali polinsaturi della serieomega 3.

L’acido α-linolenico è anche presente inalcuni oli vegetali (colza, soia, germi di grano,

Acido grasso Struttura Origine Punto di fusione (°C)

SaturiAcido laurico C12:0 Grasso di cocco 44

Acido palmitico C16:0 Olio di palma, latte, burro, 63formaggio, cacao, carni bovine,

Acido stearico C18:0 suine e ovine 69

Acido beenico C22:0 Alcuni oli di semi, 80Acido lignocerico C24:0 soprattutto arachidi 84

InsaturiAcido oleico C18:1 Olio d’oliva, l’acido grasso più frequente 11

Acido linoleico C18:2 Olio di mais, olio di semi di soia, -5olio di girasole, olio di semi di girasole

Acido linolenico C18:3 Olio di semi di lino -11

Acido arachidonico C20:4 Oli di pesce -50

Acido eicosopentaenoico C20:5 Merluzzo, salmone, sardine, -54Acido decosoesaenoico C24:6 cozze, ostriche

TABELLA 4Acidi grassi: struttura, origine e punto di fusione

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noce, lino), in alcune carni (cavallo, selvaggi-na), nel burro, nel latte materno. È statodimostrato che il consumo di pesce una voltala settimana può ridurre il rischio di corona-ropatie fatali di oltre il 40% rispetto a sogget-ti che non consumano pesce (Ascherio A,1995; Burr ML, 1989; Daviglus ML, 1997;Gillum RF, 1996; Mozaffarian D, 2003; Sin-ger P, 2004), mentre apporti più elevati nonmiglioravano la protezione (Lapidus L, 1986;Morris MC, 1995). I componenti del pesceresponsabile di questo effetto protettivo sonogli acidi grassi polinsaturi omega 3 (Burr ML,1989; Siskovick DS, 1995; Singh RB, 1997),sempre che il loro apporto sia accompagnatoda adeguate quantità di antiossidanti comel’alfa-tocoferolo e il coenzima Q

10, per evitare

la perossidazione delle LDL. L’arricchimentodella dieta con questi acidi grassi porta ad uncalo dei livelli ematici della trigliceridemiasoprattutto nei soggetti ipertrigliceridemici.Gli acidi grassi polinsaturi omega 3, attraver-so interferenze con il metabolismo delle pro-staglandine, determinerebbero inoltre unadiminuzione dell’aggregabilità piastrinica eun allungamento del tempo di emorragia conun effetto antitrombotico e protettivo delsistema cardiovascolare. Altri importantieffetti si ipotizzano sul sistema immunitario(riduzione della sintomatologia dell’artritereumatoide), sullo sviluppo del sistema ner-voso e sui tumori (colorettali) per la localizza-zione nelle membrane biologiche specializza-te. Non è ancora stato chiarito il meccanismoattraverso il quale gli AG omega 3 riducano illivello di trigliceridi. È abitualmente accetta-ta l’ipotesi di una riduzione della sintesi epa-tica, con una ridotta secrezione in circolo dilipoproteine ad alto contenuto di trigliceridi,mentre meno probabile sarebbe l’aumentatocatabolismo (Nenseter MS, 1992). L’EPA edil DHA stimolano la beta-ossidazione peros-sisomiale (Gronn M, 1992; Willumsen N,1993), mediante l’attivazione dei Recettori

nucleari per i PPARs (Attivatori della Proli-ferazione dei Perossisomi), stimolando il geneche codifica per l’acil-CoA deidrogenasi,enzima chiave che regola la velocità del pro-cesso ossidativo (Forman BM, 1997; KliewerSA, 1997). I risultati degli studi clinici per-mettono di ipotizzare che il contenuto diEPA+DHA nelle membrane dei globuli rossi,espresso come percentuale sul totale degliacidi grassi (Indice Omega 3), potrebbe esse-re considerato un nuovo fattore di rischio dimortalità da cardiopatia ischemica e special-mente di morte improvvisa cardiaca (HarrisWS, 2004). Un deficit di omega 3 interferiscecon il comportamento umano, favorendo ledepressioni maggiori (Maes M, 1996), ed unbasso livello sierico di acido docosaesaenoicoed un elevato rapporto omega6/omega3 pre-dicono la comparsa di comportamento suici-da nei pazienti con depressione maggiore(Sublette ME, 2006). L’acido linoleico è il piùabbondante acido grasso polinsaturo presentenell’epidermide (Chapking RS, 1986), ed èl’unico tessuto umano dove è metabolizzatoad acido 13-idrossioctadienoico (13-IODE),che gioca un ruolo fondamentale nel modula-re l’iperproliferazione cutanea e migliorare diconseguenza la capacità di resistenza dellapelle alla disidratazione.

Fra gli acidi grassi insaturi ha importanza laconfigurazione strutturale, in quanto le fra-zioni della molecola possono essere dispostedallo stesso lato rispetto al doppio legame(forma cis) oppure sui due lati spaziali (formatrans). La forma cis prende generalmente unaforma ripiegata su se stessa, mentre più rara-mente, in natura, si dispiega e si stende inlunghezza (forma trans). Si ottengono cosìdegli isomeri geometrici, chimicamente simi-li, ma dotati di proprietà diverse. L’acido gras-so trans più comune è l’elaidinico, isomerodell’acido oleico. Industrialmente le formetrans sono prodotte quando i grassi insaturisono idrogenati per innalzare il loro punto di

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fusione rendendoli solidi a temperaturaambiente, come ad esempio le margarine ealtri grassi da spalmare. In tal modo fino al30-50% dei grassi vegetali possono trasfor-marsi in trans, con possibili e forse probabiliripercussioni negative sull’organismo. Secon-do l’INRAN in Italia l’apporto medio gior-naliero è di 1,6 g di trans, pari allo 0,5% del-l’energia totale. Dal 1991 è in vigore unalegge comunitaria per cui il contenuto ditrans in alcuni prodotti per l’infanzia nondeve eccedere il 4% del totale dei grassi. Nel2003 la Food and Drug Administration(FDA) ha formulato una proposta che èentrata in vigore dal 2006, in cui la dizione:“Trans Fat Free” è utilizzabile solo per gli ali-menti che contengono meno di 0,5 g di trans.La più grande fonte dietetica di trans non èpiù rappresentata dalla margarina ma dai“grassi di pasticceria” (prodotti da forno,dolci, oli per le fritture delle industrie alimen-tari contenenti dell’11 al 34% di trans): unaporzione media di patatine fritte contiene 5-6 g di trans, una frittella dolce 2 g (KatanMB, 2002). Questi alimenti, inoltre, sono inrapida ascesa per il diffondersi del mangiarefuori casa, soprattutto nelle classi più giovani.È quindi auspicabile la sostituzione dei grassiparzialmente idrogenati con grassi non idro-genati, vincendo le resistenze dei produttoriperché questa sostituzione può diminuirel’appetibilità e la conservabilità dei prodotti(Katan MB, 2002).

Come spesso succede, però, la natura è piùcomplicata delle schematizzazioni, fatte dal-l’uomo. Sono stati evidenziati acidi grassitrans che sembrano esplicare effetti utili perl’organismo e spiegare perché alcuni alimentianimali, come latte e latticini, hanno rappre-sentato e rappresentino tuttora delle buonesoluzioni nutritive. Con il termine CLA(Conjugated Linoleic Acid) si intende l’insie-me degli isomeri geometrici e di strutturadell’acido linoleico, che possiedono due doppi

legami coniugati, cioè separati da un sololegame singolo, detti dieni coniugati (nelcomune acido linoleico i doppi legami sonoseparati da due legami semplici). Questidoppi legami coniugati di configurazionecis/trans, trans/trans, trans/cis, cis/cis posso-no situarsi in posizioni differenti sulla catenadell’acido grasso, identificando fino a novedifferenti isomeri del CLA nel latte bovino,nei latticini e nelle carni dei ruminanti,soprattutto l’acido rumenico 9cis-11trans,che rappresenta l’80-95% dei CLA totali. Glioli vegetali, le carni di animali non ruminantied i pesci contengono quantità molto basse diCLA. Nell’uomo sono presenti nel tessutoadiposo e nei fluidi biologici; nel plasma ilvalore medio è di 7-9 micromol/l e derivanodagli alimenti. Nel latte umano sono presenti2,23-5,43 mg/g di materia grassa, che tradot-te in peso significano da 0,02 a 0,30 mg/g dilatte, mentre nei latti alternativi in commer-cio mediamente si aggirano intorno a 1,35mg/g di materia grassa (Bracco U, 2002). Nellatte vaccino la concentrazione di CLAaumenta se l’alimentazione della vacca èbasata sul pascolo estivo e sul fieno in inver-no (0,8% sul grasso), mentre le diete “indoor”(insilaggio e ricche in cereali) la riducono(0,34% sul grasso). Una possibile spiegazioneè che le diete “ecologiche” aumentano la con-centrazione di acido linoleico con possibileconversione in CLA. Gli effetti fisiologici deiCLA si esplicherebbero nella prevenzione deitumori, dell’aterosclerosi e sulla composizio-ne corporea. Diete con 0,5-1-1,5% di CLAridurrebbero l’incidenza dei tumori, rispetti-vamente del 17-42-50% nel colon e nello sto-maco e del 32-56-60% nella mammella(Bracco U, 2002). Un recente studio confer-ma che i latticini ad alto contenuto di grassied acido linoleico coniugato (CLA) (formag-gi) possono ridurre il rischio di tumore colo-rettale (Larsson SC, 2005). Il meccanismod’azione ipotizzato sarebbe legato alla ridu-

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zione della massa dell’epitelio mammario perinibizione della proliferazione, soprattuttodurante l’adolescenza e la pubertà. In vitrosono state descritte inibizioni significativedella proliferazione delle cellule tumorali dimelanomi M21-HPB, colorettale HT-29,mammella MCF-7, ADK polmonare A 427,glioblastoma A172, per inibizione della sinte-si di proteine e nucleotidi, dell’attività dellalipossigenasi e quindi della formazione dieicosanoidi (leucotrieni), per incremento deiCLA intracellulari, che rende la cellula tumo-rale più sensibile allo stress ossidativo (Brac-co U, 2002). Sul sistema immunitario i risul-tati sono discordanti. Nel metabolismo lipidi-co i CLA inibirebbero l’attività dell’ACAT(acil-coenzima A trasferasi), responsabile del-l’esterificazione del colesterolo, aumentandol’escrezione fecale degli steroli neutri. L’atti-vità anti-obesità sarebbe dovuta alla riduzio-ne del rapporto massa grassa/massa proteicaper inibizione dell’attività della lipoproteinli-pasi, per stimolazione della carnitin-palmi-toil-trasferasi con aumento della beta-ossida-zione lipidica, per inibizione della prolifera-zione e dell’accumulazione dei pre-adipociti eper diminuzione della leptina negli adipociti(Bracco U, 2002). Eventuali effetti tossici nonsono stati evidenziati a dosi di 5 g/die, tantoche sono stati immessi in commercio in USAed in Europa come “food supplement”, con ilmessaggio “stimola il sistema immunitario”.Secondo recenti ricerche alcuni risultati con-trastanti registrati, sarebbero dovuti al fattoche gli isomeri CLA modulano in modo dif-ferente lo sviluppo dell’aterosclerosi: c9,t11-CLA impedisce, mentre t10,c12-CLA pro-muove l’aterosclerosi (Arbones-Mainar JM,2006).

Nei primi periodi di vita l’uomo assumesoltanto grassi animali attraverso il latte; suc-cessivamente l’alimentazione diviene mistacon presenza di cibi animali e vegetali in pro-porzione variabile secondo le tradizioni, la

disponibilità e le latitudini. Nei popoli nordi-ci prevalgono i lipidi animali, nei popolimediterranei quelli vegetali.

Generalmente si consiglia un apporto pari-tario (10% ciascuno) fra AG saturi, monoin-saturi e polinsaturi (linoleico 7-8% e alfa-linolenico 2-3%). Nel caso di soggetti arischio è preferibile ridurre al 7% la quota deisaturi e dei polinsaturi e contemporaneamen-te aumentare quella dei monoinsaturi.

La differenza tra un olio e un grasso èdeterminata dal punto di fusione, cioè dallatemperatura alla quale esso passa da una con-sistenza solida ad una consistenza liquida.Essa dipende dalla lunghezza della catenacarboniosa, dal numero di doppi legami edalla disposizione spaziale. In altre paroleaumenta con la lunghezza (laurico-C1244°C, stearico-C18 70°C), diminuisce con ilnumero di doppi legami (oleico-C18:1cis13°C, gamma-linolenico-C18:3cis 11°C),aumenta negli isomeri trans (oleico-C18:1cis13°C, elaidico-C18:1 trans 44°C). In definiti-va, sulla tavola, il burro, che fonde a circa32°C è solido, mentre l’olio è liquido (Tab. 4).

Le cere derivano dalla combinazione di unalcol con un acido grasso, con formule piùcomplesse dei trigliceridi e sono usate daalcuni animali e dalle piante per rendereimpermeabili i propri rivestimenti.

Il colesterolo (Fig. 7) è lo sterolo predomi-nante negli animali vertebrati ed è un deriva-to del ciclo-pentano-peridrofenantrene; puòessere libero o esterificato con un acido gras-so legato al radicale idrossile in posizione 3della molecola. Nella forma libera è alla basedella sintesi degli acidi biliari, della vitaminaD, degli ormoni steroidei e dei mediatorimetabolici come oxisterolo; interviene nellosviluppo dei neuroni cerebrali, nel processo diapprendimento e nella memoria; è parte inte-grale delle membrane cellulari e influenza ilcontenuto di altri lipidi dentro le membrane,specialmente sfingomielina, rendendo il cole-

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FIGURA 7Struttura del colesterolo e di alcuni fitosteroli

sterolo un fondamentale mediatore metaboli-co per l’attivazione e per la propagazione deisegnali a cascata, tra i quali i segnali hed-gehog: i “sonic hedgehog” sono responsabilidel differenziamento e sviluppo del sistemanervoso centrale. Durante lo sviluppoembrionale iniziale, infatti, le cellule nonsono differenziate e la grande maggioranzadelle cellule neurali è pluripotente; il neuroec-toderma primario si suddivide, si originanotelencefalo, diencefalo, mesencefalo e rom-boencefalo: i fattori di trascrizione del DNAe le molecole segnale (morfogene), tra cui ilcolesterolo, sono indispensabili per “informa-re” sul posizionamento e il differenziamentoneuronale. Durante la gravidanza la placentarifornisce di colesterolo il feto, sommandosi alcolesterolo endogeno ed assicurando una

quantità di circa 8 grammi durante il periodofetale. Molti bambini con disordini nellospettro dell’autismo (ASD) presentano livellianormalmente bassi di colesterolo, e ciòpotrebbe svolgere un ruolo nella patogenesidell’ASD. Secondo uno studio dell’Am JMed Genet del 2006, questo deficit derivaapparentemente dall’incapacità di produrrecolesterolo, e non da un apporto dieteticoinadeguato o da problemi dell’assorbimentointestinale. Un’ulteriore conferma del ruolodel colesterolo ci viene dalla zoologia: la tra-sformazione del bruco in farfalla avviene sol-tanto dopo la trasformazione degli steroli incolesterolo.

Il colesterolo presente nell’intestino originao dalla bile (nell’adulto abitualmente 600-1000 mg/die) o dagli alimenti (250-500

OH

OH OHβ-Sitosterolo Campesterolo

Colesterolo

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mg/die nella dieta occidentale). Il fegatocostituisce la principale sede di sintesi delcolesterolo a partire dall’acido acetico, con trepossibili destini metabolici: ingresso nel san-gue; sintesi degli acidi biliari; secrezione nellabile e quindi nell’intestino. Circa il 50% delcolesterolo biliare è riassorbito e ritorna alfegato (circolo entero-epatico), controllandomediante un meccanismo di feedback laquantità di nuovo colesterolo sintetizzato. Irecettori LDL portano il colesterolo dentrol’epatocita e riempiono il pool regolatorio delcolesterolo nel reticolo endoplasmico. Quan-do il pool è depleto come risultato di un bassoapporto di grassi saturi e colesterolo o inrisposta all’azione inibitoria delle statine, ilprocesso delle SREBP (Sterol Regulated Ele-ment Binding Protein), che sono il fattorechiave di trascrizione, è attivato aumentandoRNA messaggero e accrescendo la sintesi deirecettori LDL e di PCSK9 (proteasi propro-tein convertase subtilisin/kexin type 9). Datoche l’attività della proteasi PCSK9 porta alladegradazione dei recettori LDL, l’azione èprobabilmente controregolatoria e previeneun eccessivo uptake di colesterolo dentro lacellula (Tall AR, 2006). Contemporaneamen-te anche gli acidi biliari (97%) seguono uncircolo entero-epatico circa sei volte al gior-no, cioè due volte per pasto. Questo spiegaperché soltanto il 30-60%, in media il 50%,del colesterolo presente nel lume intestinale,con ampia variabilità individuale, può supera-re la barriera intestinale ed essere assorbito,mentre il rimanente 50% è eliminato comesteroidi fecali neutri e perché il colesteroloalimentare aumenta i livelli di colesterolemiasoltanto in circa un terzo dei soggetti (Arse-nio L, 1995; McNamara DJ, 1990; McNama-ra DJ 2000) e non ha un significativo impat-to sul rischio cardiovascolare (Lee A, 2006).L’assorbimento del colesterolo è un processofacilitato da proteine trasportatrici presentisulla superficie luminale degli enterociti,

molto selettivo, con grande variabilità inte-rindividuale. Un’ipotesi verosimile è che esi-stano portatori eterozigoti, apparentementesani, di mutazioni di questo gene, in grado diprovocare un aumento dell’assorbimentodegli steroli (soggetti “iperresponders” o “ipe-rassorbenti” al colesterolo della dieta). Accan-to all’assorbimento di colesterolo, gli entero-citi dispongono di un sistema che controlla ilprocesso inverso, cioè l’escrezione di coleste-rolo dalla membrana cellulare verso il lumeintestinale, tramite una proteina di trasportodenominata ABCA1, la cui concentrazionesarebbe aumentata dalla somministrazione dialcuni derivati dell’acido retinoico, che stimo-lano l’espressione del gene ABCA1 (Repa JJ,2000). Due gruppi di ricercatori (Berge KE,2000; Lee MH, 2001) hanno individuatomutazioni genetiche che codificano due pro-teine appartenenti alla classe dei trasportato-ri ABC, denominate ABCG5 e ABCG8;queste due proteine agirebbero a livello inte-stinale secernendo nel lume intestinale unaparte del colesterolo dietetico e degli altri ste-roli vegetali, assorbiti dall’enterocita e a livel-lo dell’epatocita secernendo il colesteroloepatico nella bile. Di recente è stata identifi-cata una proteina Niemann-Pick C1 Like1(NPC1L1), che possiede probabilmente unruolo importante nell’assorbimento del cole-sterolo per endocitosi dal lume intestinale,visto che in topi geneticamente modificatiche non producono questa proteina l’assorbi-mento è ridotto del 70% senza che il ciclodegli acidi biliari sia coinvolto (Altmann,2004; Garcia-Calvo M, 2005; Yu L, 2006).La complessità dei sistemi di regolazione delmetabolismo del colesterolo e la mancanza diuna via demolitiva dello stesso rendonoconto dell’importanza di questa sostanza perlo sviluppo e il funzionamento dell’organi-smo umano. Un recente studio ha addiritturaevidenziato che gli ultrasettantenni con valo-ri elevati di colesterolemia sono meno colpi-

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ti da demenza (Mielke MM, 2005).Gli analoghi del colesterolo nel mondo

vegetale sono rappresentati dai fitosteroli(Fig. 7); nell’uomo arrivano solo dalla dietatramite l’assorbimento intestinale, perchésono componenti minori presenti negli oli egrassi vegetali a livello 0,3-0,5%, nei cereali,nei semi e foglie di legumi e vegetali (spinaci,meloni, bietole, zucche). L’assunzione mediagiornaliera da queste fonti é di circa 250-300mg, con valori che raddoppiano nelle dietevegetariane. Strutturalmente sono simili alcolesterolo per quel che concerne l’anello ste-roide centrale, con la classica idrossilazione inC-3 ed insaturazione in C5-C6, ma ne diffe-riscono per la configurazione della catenalaterale dove sul C24 sono presenti rispettiva-mente un gruppo etile ed un gruppo metilesui due fitosteroli più rappresentativi, il sito-sterolo e il campesterolo: il sitosterolo rappre-senta circa il 95% degli steroli totali dell’oliod’oliva. Queste piccole differenze di strutturahanno un importante impatto sul comporta-mento di questi composti nel tratto intestina-le. Nell’individuo sano solo il 5% dei fitoste-roli della dieta è assorbito, mentre per il cole-sterolo si hanno valori medi intorno al 50%:sono stati riportati livelli plasmatici di fitoste-roli di 0,3-1,7 mg/dl nell’uomo con dietegiornaliere di 160-360 mg di fitosteroli.

I fosfolipidi sono costituiti da un polialcoolesterificato con uno o con altri acidi grassi, ol’acido fosforico ed una base azotata. Fra que-sti la fosfatidil-colina o lecitina, costituita daglicerolo esterificato dell’acido fosforico edalla colina (fosforilcolina) e da due acidigrassi, rappresenta il 70% dei fosfolipidi ema-tici. Sono costituenti indispensabili dellemembrane cellulari, perché posseggono siagruppi idrofili sia catene idrofobiche. Questadoppia polarità permette di disporsi a pontenelle membrane, con la testa polare verso l’e-sterno e le due code idrofobe verso l’interno,del tessuto nervoso, dei muscoli, del fegato;

hanno la capacità di regolare l’assorbimentodei grassi. Un adeguato apporto dietetico siaggira sui 3 g/die.

La cellula adiposa e la regolazionedell’appetito e della sazietà

Nel nostro organismo sono presenti duetessuti adiposi, bianco e bruno. Un ruolo cen-trale nel metabolismo lipidico è svolto dallacellula adiposa bianca, che è il luogo di depo-sito dell’energia sotto forma di trigliceridi,che si accumulano nei periodi di bilanciopositivo e che sono scissi in acidi grassi e gli-cerolo e immessi in circolo nei periodi dibilancio negativo tra entrate ed uscite energe-tiche. A questo scopo gli adipociti si riempio-no di trigliceridi sotto forma di gocce lipidi-che e sono capaci di aumentare il proprio dia-metro fino a dieci volte e il proprio volumefino a mille volte.

Accanto all’attività di deposito, esiste unaproduzione di numerosi mediatori metabolici(“adipochine”), prodotti dal tessuto adiposo,soprattutto quando infiltrato da macrofagi,come si verifica nel caso dell’obesità, caratte-rizzata da uno stato infiammatorio subacutoo cronico. In primo luogo la leptina, citochi-na (proteina di 167 aminoacidi), prodotta dalgene Ob, prodotta in misura proporzionalealla quantità di trigliceridi presenti nell’adi-pocita, attraversa la barriera emato-encefalicae segnala al cervello la quantità di tessuto adi-poso corporeo, bloccando l’assunzione dicibo. In caso di carenza di leptina, l’organi-smo riduce la spesa energetica, la crescita e lafunzione riproduttiva, mentre la spinta amangiare diventa irresistibile. Nel topo gene-ticamente obeso, per alterazione del gene Ob,l’adipocita non riesce a produrre leptina e ilsuo livello ematico è molto basso, mentre nel-l’uomo obeso, invece, i livelli di leptinarimangono elevati, ma non bloccano l’assun-zione di cibo, probabilmente per un difetto di

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trasporto della leptina attraverso la barrieraematoencefalica verso i centri ipotalamici(obesità leptino-resistente). L’adiponectina, ilcui gene è codificato dal cromosoma 3q27, èespressa esclusivamente nel tessuto adiposobianco e bruno; è un’altra proteina adipocita-ria, citochina, i cui livelli circolanti sonoridotti nell’obesità, soprattutto viscerale, e cheagirebbe, tramite due recettori (AdipoR1/2) alivello epatico e muscolare, attivando l’enzimaAMPkinasi e inibendo la produzione di glu-cosio e riducendo i livelli di trigliceridi; gliormoni sessuali maschili, una dieta ipergluci-dica, lo stress ossidativo riducono i livelli diadiponectinemia, mentre aumentati livellisono associati con la riduzione del sovrappe-so, con gli oli di pesce e con le proteine disoia; un basso livello di adiponectina è un fat-tore di rischio indipendente per lo sviluppo didiabete e aterosclerosi coronarica. La resistinaè un’altra proteina adipocitaria aumentatanell’obesità e che potrebbe avere un ruolonell’insulinoresistenza della stessa obesità,con un meccanismo non chiaro; anche l’inter-leuchina 6 (IL-6) e il tumor necrosis factor-α(TNF-α) sono citochine proinfiammatorieespresse dall’adipocita ed aumentate nell’obe-sità. In definitiva nell’obesità conclamata l’ec-cessiva produzione di citochine proinfiamma-torie può favorire l’insulinoresistenza e l’ate-rosclerosi. Altre citochine, come l’interleuchi-na-1 (IL-1) potrebbero, al contrario, essereefficaci, soprattutto in uno stadio precoce, perprevenire lo sviluppo di obesità, probabil-mente tramite un’aumentata sensibilità allaleptina (Freychet P, 2006). L’adipocita bianco,inoltre, interferisce sull’azione degli ormonisteroidei (cortisolo, androstendione).

Oltre i segnali di origine adipocitaria, aicentri del sistema nervoso centrale giungonosegnali nervosi ed endocrini originati dall’ap-parato digerente. Due aree cerebrali control-lano il comportamento alimentare: il meso-limbico, dove è controllata la gratificazione ed

il piacere del cibo, e l’ipotalamo, dove sonolocalizzati i neuroni che producono neuro-peptidi inibenti l’appetito (anoressizzanti) estimolanti l’appetito (oressizzanti). Ruoliimportanti sono svolti dal sistema mesolimbi-co dopaminergico e da quello degli endocan-nabinoidi, che partecipano ai cosiddetti cir-cuiti del piacere. L’abbondanza e la sovrappo-nibilità dei segnali nella stimolazione dell’ap-petito è comprensibile alla luce dell’impor-tanza della nutrizione per la sopravvivenza(Flier JS, 2004). In condizioni di peso stabile,infatti, i cambiamenti dovuti a iperalimenta-zione o digiuno determinano modifiche fisio-logiche a cui l’organismo si oppone: con laperdita di peso aumenta l’appetito e si riduceil dispendio energetico; con l’iperalimenta-zione, invece, si riduce l’appetito e aumenta ildispendio energetico. Questo ultimo mecca-nismo è, in realtà meno efficiente, permetten-do facilmente l’insorgenza di obesità.

L’ingestione di nutrienti determina nume-rosi stimoli neuroendocrini ed ormonali. Lastimolazione neuronale avviene principal-mente attraverso la stimolazione del nervovago attraverso la via cefalica o gastro-pan-creatica e attraverso il riflesso enteropancrea-tico vago-vagale. Gli ormoni secreti dallemucose duodeno-digiunali, definiti “increti-ne”, sono rilasciati in risposta a nutrienti edincludono colecistochinina (CCK), gastrina,somatostatina, GIP e GLP-1 (glucagon-likepeptide-1).

La CCK è stimolata soprattutto da acidigrassi e proteine ed in minore misura dal glu-cosio; la gastrina dalle proteine; la somatosta-tina, rilasciata dalle cellule D della beta-cellu-la pancreatica, da un pasto misto, da aminoa-cidi, ed in risposta a GIP, CCK e VIP, men-tre la motilità gastro-intestinale è inibita dallasecrezione di insulina, glucagone, GIP, VIP,CCK, gastrina. Il GIP, secreto dalle cellule Kdel duodeno e del digiuno prossimale, appar-tiene alla famiglia del glucagone, ed è stimo-

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lata dai monosaccaridi. Il GLP-1, secretodalle cellule L del basso intestino stimola lasecrezione insulinica in presenza di iperglice-mia, sopprime la secrezione di glucagone, sti-mola la biosintesi di insulina e riduce la velo-cità di svuotamento gastrico; inoltre riducel’assunzione di cibo.

Un altro ormone prodotto dallo stomaco èla grelina, peptide di 28 aminoacidi, derivatoda prepropeptide di 117 aminoacidi (prepro-grelina), con azione stimolante l’assunzione dicibo tramite un’azione sul nucleo arcuato,favorente l’aumento di peso corporeo e rego-lante l’attività gastrointestinale.

Nell’adipocita bianco la grelina promuovela sintesi e deprime l’ossidazione lipidica,mentre nell’adipocita bruno riduce la termo-genesi (Theander-Carrillo C, 2006). I livelliematici di grelina sono influenzati dai pasti,con un incremento 1-2 ore prima e una ridu-zione dopo 1 ora dall’ingestione di cibo;anche la composizione in macronutrienti delpasto modifica la risposta della grelina: unpasto iperglucidico determina un picco mag-giore di soppressione, mentre un pasto iper-proteico provoca una riduzione nettamentepiù prolungata, raggiungendo i 180 minuti(Tannous dit El Khoury D, 2006). Dalla pre-progrelina origina un altro peptide, l’obeste-tatina, che sopprime l’assunzione di cibo e losvuotamento gastrico, con effetto antigrelina.L’obestatina non influenza i livelli ematici dileptina o di GH e la sua concentrazione noncambia durante l’alternanza digiuno-alimen-tazione (Zhang JV, 2005). Quindi sono pre-senti due ormoni con effetti opposti, unooressizzante e l’altro anoressizzante, cheprendono origine dallo stesso precursore, aconferma dell’estrema complessità del siste-ma di controllo di appetito e sazietà.

In definitiva l’ipotalamo è il luogo di incon-tro e di integrazione di vari segnali, neurali,ormonali e metabolici, che influenzano ilbilancio energetico. Gli stimoli neurali vagali

trasportano informazioni sulla distensioneviscerale. Gli stimoli ormonali comprendonosegnali afferenti a lungo termine dal tessutoadiposo (leptina) e dal pancreas (insulina),oltre al cortisolo, e a breve termine, segnaliafferenti dall’intestino, includenti inibitoridell’appetito (peptide YY-PYY, GLP, CCK)e stimolanti l’appetito (grelina) e segnali effe-renti (neuro peptide Y-NPY, peptide Agouti-correlato-AgRP, ormone α-melanocitostimo-lante-α-MSH e melanin-concentrating hor-mone-MCH) in periferia, che regolano appe-tito, spesa energetica, equilibrio ormonale,suddivisione energetica, riproduzione e accre-scimento e promuovono un inconscio mante-nimento di adeguati depositi energetici.

Un ulteriore fattore può interferire: i segnaliprovenienti dalla corteccia cerebrale legati afattori culturali o religiosi o sensoriali (sensa-zioni di piacere o di fastidio).

Un altro aspetto del comportamento ali-mentare è legato all’influenza genetica: unrecente studio (Breen FM, 2006) ha esamina-to l’ereditarietà della preferenza di quattrogruppi di cibi (verdura, frutta, dolci, carne epesce) in un campione di 214 coppie di gemel-li di cui 103 monozigoti e 111 dizigoti; l’eredi-tarietà della preferenza per la carne ed i pesciricchi in proteine sarebbe alta, con un effettogenetico cumulativo calcolato di 0.78, con-frontato all’ereditarietà bassa dei dessert (0.2) edelle verdure (0.37), per i quali i fattoriambientali sarebbero molto più determinanti.

Il tessuto adiposo bruno (brown adipose tis-sue, BAT) svolge un ruolo completamente dif-ferente rispetto al tessuto adiposo bianco, per-ché tende a disperdere l’energia depositataattraverso la termogenesi. L’attività metabolicaè stimolata dalla leptina tramite il sistema ner-voso simpatico. Nell’uomo il tessuto adiposobruno regredisce rapidamente dopo la nascita,ad eccezione della sede perirenale ed omenta-le; è fornito di un grande corredo mitocondria-le, in cui è presente una proteina disaccoppian-

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te (UCP-1), di circa 3100 dalton, localizzatasulla membrana interna, che agisce come cana-le protonico alternativo e dissipa il gradiente diidrogenioni nella catena ossidativa respiratoria.Mentre abitualmente il rientro dei protoni neimitocondri attraverso il canale dell’ATPasi,trasforma l’energia liberata in energia legata adATP, l’utilizzo di questo canale alternativodisperde tutta l’energia sotto forma di calore.In questo modo possono disaccoppiare l’ossi-dazione degli acidi grassi dalla produzione diATP e dissipare come calore l’energia prodot-ta. Un altro sistema utilizzato dal BAT è ilciclo futile esterificazione-idrolisi degli acidigrassi, in seguito alla stimolazione noradrener-gica indotta dal freddo e dalla sovralimentazio-ne, e dalla pompa Na+/K+.

Una recente ipotesi sostiene che tutti i depo-siti adiposi possono contenere adipociti siabianchi sia bruni in percentuali diverse e lapredominanza relativa può dipendere da mol-teplici fattori, quali sesso, età, temperaturaambientale ed equilibrio ormonale. In definiti-va l’organo adiposo ripartirebbe l’energia, indi-rizzandola, alternativamente, tramite la com-ponente cellulare bianca verso l’accumulo

energetico e la ridistribuzione agli altri organi,indipendentemente dai pasti, e tramite la com-ponente bruna verso la termogenesi. La com-ponente facoltativa della risposta termogeneti-ca può essere ridotta nei soggetti obesi (GarrelDR, 1994). Gli AG polinsaturi, soprattuttoomega 3, possono modulare il bilancio energe-tico indirizzando il glucosio verso il depositocome glicogeno e gli acidi grassi verso l’ossida-zione. Inoltre gli AG polinsaturi sembranoavere la capacità unica di innalzare la termoge-nesi: 1) aumentando la trascrizione della pro-teina-3 disaccoppiante i mitocondri; 2) indu-cendo i geni codificanti le proteine coinvoltenell’ossidazione degli acidi grassi (carnitinapalmitoiltrasferasi e acil-CoA ossidasi) esimultaneamente 3) riducendo la trascrizionedi geni coinvolti nella sintesi lipidica (acidigrassi sintasi), riducendo la deposizione digrassi corporei (Clarke SD, 2000). Sono stateidentificate nei roditori e nell’uomo due pro-teine, omologhe della proteina disaccoppiantedel BAT, chiamate UCP-2 e UCP-3: la primaè espressa ampiamente nei tessuti, mentre laseconda è espressa prevalentemente nelmuscolo scheletrico.

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Se l’organismo utilizzasse solo carboidraticome fonte energetica, le riserve glucidiche sisvuoterebbero in circa due ore (ShermanWM, 1995). Questo peraltro non significauna loro minore importanza rispetto ai gras-si. Questi ultimi, nonostante siano nettamen-te prevalenti da un punto di vista quantitati-vo, necessitano di un livello minimo di ossi-dazione glucidica per essere utilizzati comefonte energetica (“i grassi bruciano al fuocodei carboidrati”) (cfr. capitolo “Il cibo e l’e-nergia”).

Sono stati ipotizzati vari meccanismi perspiegare il motivo della limitata capacità delmuscolo di ossidare grassi e della sua dipen-denza dai glucidi.

Uno dei più accettati si riferisce alla parzia-le inibizione del trasporto degli acidi grassiattraverso la membrana mitocondriale, condi-zionato dall’attività dell’enzima carnitin-pal-

mitoiltransferasi (Elayn IM, 1991) (Fig. 8).Ad elevati livelli di prestazione muscolare,

inoltre, l’utilizzazione dei grassi non è conve-niente, perché la lipolisi è un processo lento enon apporta ATP in modo sufficientementeveloce e perché il consumo di ossigeno è piùvantaggioso per i carboidrati. Infatti, il gluco-sio fornisce 5,10 kcal per litro di ossigeno,mentre i grassi 4,62 kcal per litro di ossigeno(Gollnick PD, 1989). Il glucosio (6 atomi dicarbonio) produce 36 ATP, mentre l’acidostearico (18 atomi di carbonio) 147 ATP, conun rapporto apparentemente favorevole all’a-cido grasso (1,3 volte maggiore). Tuttavia perossidare la molecola di glucosio sono necessa-rie 6 molecole di ossigeno contro le 26 per l’a-cido stearico, quindi la richiesta di ossigenoper il glucosio è del 77% inferiore rispetto aquella dell’acido stearico (Sherman WM,1995). È ovvio che, durante prestazioni

I carboidrati(o zuccheri, o glucidi o saccaridi)

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intense, come la corsa, in cui l’ossigeno scar-seggia, l’utilizzazione del glucosio risulta piùconveniente per il muscolo.

I carboidrati, sono composti ternari, solu-bili in acqua, costituiti, come i grassi, da car-bonio, idrogeno ed ossigeno. Sulla base dellastruttura biochimica si suddividono in glucidisemplici e complessi. Gli zuccheri alimenta-ri possono essere suddivisi in monosaccaridi edisaccaridi (per convenzione definiti zucche-ri), oligosaccaridi (grado di polimerizzazionepari a 3-9 residui monosaccaridici) e polisac-caridi (≥ 10 residui monosaccaridici). I prin-cipali monosaccaridi sono glucosio, fruttosioe galattosio (proveniente dal lattosio), mentrei disaccaridi comprendono saccarosio, lattosioe maltosio. Fra i monosaccaridi alcuni inclu-

dono gli zuccheri alcolici (sorbitolo, maltito-lo, ecc.), presenti in alcuni frutti e, soprattut-to, nell’industria alimentare. Gli oligosaccari-di comprendono soprattutto raffinosio e sta-chiosio (legumi), scarsamente digeribili nelpiccolo intestino e attaccati dai batteri colicicon produzione di gas, fruttoligosaccaridi(aglio, cipolla, cicoria) in grado di fermentaree favorire lo sviluppo dei bifido-batteri colici,e le destrine derivate dall’amido. I polisacca-ridi comprendono il glicogeno, unico polisac-caride del mondo animale, e gli amidi, che nelmondo vegetale sono costituiti da amilopecti-na (grandi molecole fatte da oltre diecimilaresidui di glucosio con legami α-1-4 e α-1-6glicosidici) (70-80% del totale) e da amilosio(molecola più piccola con solo legami α-1-4

Citrato TCA

CO2

Acetil CoACorpi

chetonici

Piruvato

Acetil CoA

CarnitinaCarnitina CoA

Acil carnitina

CAT

Malonil CoA

Acetil CoA

Citrato

Acetil CoA

Glicerolo—3—P

TrigliceridiFosfolipidi

Lip

ogen

esi β-

ossid

azio

ne

CITOSOLMEMBRANA

MITOCONDRIALEINTERNA

MITOCONDRIO

FIGURA 8Trasporto intramitocondriale degli acidi grassi (da Shafrir E, 1991)

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glicosidici) (20-30% del totale) (CummingsJH, 1995). Una quantità variabile sfugge alladigestione a causa dell’intervento di fattoriintrinseci ed estrinseci: quelli intrinsecidipendono o dalla presenza di una parete cel-lulare rigida (legumi), o di una struttura gra-nulare (cereali), o dalla preparazione indu-striale (spaghetti); quelli estrinseci sono lamasticazione, il tempo di transito, la concen-trazione di amilasi, la quantità di amido e lapresenza di altri cibi. L’amido non digeritoraggiunge il grosso intestino, dove è fermen-tato e in parte passa nelle feci.

La struttura parzialmente cristallina dell’a-mido, dovuta soprattutto all’amilopectina,determina la suddivisione in tre tipi: l’amido“A” è termodinamicamente molto stabile e sitrova nei cereali, il tipo “B” è caratteristico dibanane, patate e altri tuberi, il tipo “C” è pre-sente nei legumi (Cummings JH, 1995). Lataglia e la natura cristallina dei granuli diamido influenzano la loro suscettibilità aglienzimi digestivi. In generale i tipi B e C ten-dono ad essere più resistenti all’amilasi pan-creatica (Cummings JH, 1995). Gli amidisono insolubili in acqua fredda, ma con la cot-tura si rigonfiano, si rompono e perdono laloro cristallinità, diventando rapidamenteattaccabili dagli enzimi. Questo processo,legato alla cottura, è conosciuto come gelati-nizzazione; con il raffreddamento l’amidogelatinizzato ricristallizza (retrogradazione)(Cummings JH, 1995). L’amido retrogradato,particolarmente l’amilosio, è più resistenteall’attacco enzimatico nell’intestino umano,per cui si comporta come i polisaccaridi non-amido o gli oligosaccaridi non digeribili. Ladigeribilità influenza l’indice glicemico (GI),che è definito come l’area di incremento dellacurva glicemica di una porzione di 50 g dicarboidrati di un alimento in confronto ad uncibo standard (abitualmente il glucosio)assunto dallo stesso soggetto. Sono definiti abasso GI gli alimenti con un valore ≤55

(pasta, latticini, legumi e la maggioranza dellafrutta), ad elevato GI quelli con ≥70 (panebianco, riso, cornflakes, biscotti, alcunebevande dolci), intermedio GI tra 55 e 70.

In definitiva si osserva la presenza di unamido rapidamente digeribile (pane, patate ecornflakes), di uno lentamente digeribile(spaghetti e legumi) e di uno resistente (legu-mi e patate raffreddate). La diversa digeribi-lità dell’amido sembra altamente correlatacon l’indice glicemico degli alimenti.

I polisaccaridi non-amido comprendenticellulosa, emicellulosa, pectine, gomme(gomma arabica), mucillagini (ispagula), poli-saccaridi batterici (xantani) e composti sinte-tici (polidestrosio) sfuggono in gran parte alladigestione nel piccolo intestino e sono attac-cati nel colon dalla flora anaerobica, fermen-tando e producendo acidi grassi a corta cate-na (Cummings JH, 1995).

La prima digestione dei carboidrati inizianella bocca grazie alla triturazione degli ali-menti durante la masticazione e all’azionedella α-amilasi salivare (ptialina). Nello sto-maco i movimenti peristaltici mescolano glialimenti e tendono a portare i componentiliquidi verso il piloro, in modo che passino nelduodeno prima dei componenti solidi. Lavelocità di svuotamento dello stomaco è rego-lata dal grado di riempimento, dall’osmola-rità, dall’acidità, dalla presenza di grassi. Lavelocità di svuotamento può essere mediatada ormoni pancreatici ed intestinali: coleci-stochinina, secretina, insulina, amilina eGLP-1. Gli ultimi due sono potenti inibitoridello svuotamento gastrico. L’amilina, insie-me al suo analogo pramlintide, è immagazzi-nata e co-secreta con l’insulina nei granulisecretori della beta-cellula, riducendo la gli-cemia ed inibendo la secrezione di glucagone.Anche l’iperglicemia ridurrebbe la velocità disvuotamento gastrico. La digestione per viaidrolitica è necessaria per l’assorbimento nelpiccolo intestino e la successiva utilizzazione

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dei monosaccaridi (in gran parte glucosioproveniente da amido e saccarosio).

L’amido è idrolizzato prima dall’α-amilasisalivare (ptialina) e poi da quella pancreatica,che può rompere i legami α-1-4 glicosidici,presenti nell’amilosio e parzialmente nell’a-milopectina, ma non le ramificazioni α-1-6glucosidiche dell’amilopectina, residuando ilmaltosio dall’amilosio e una miscela di malto-sio, isomaltosio e destrine dall’amilopectina.Le destrine sono successivamente idrolizzatedall’enzima saccarosio-isomaltasi. I disaccari-di (lattosio, maltosio e soprattutto saccarosio)sono rapidamente idrolizzati, ad eccezionedel lattosio, ed assorbiti più velocemente delsolo glucosio (Figg. 9, 10)

La membrana cellulare è quasi impermea-bile alla molecola del glucosio, che non è ingrado di attraversarla, se non attraverso l’in-tervento di proteine “effettrici”, specifici tra-sportatori di membrana o GLUT, che agisco-no mediante un meccanismo di diffusionefacilitata, superando un gradiente di concen-trazione tra l’esterno e l’interno della cellula.

Questi trasportatori sono una famiglia diproteine, che risiedono nelle membrane e

legano in modo specifico e reversibile lemolecole di glucosio. Sono state identificatenumerose isoforme di GLUT, con diversaaffinità per il glucosio; gli organi presentanospecifici recettori a seconda delle caratteristi-che dell’organo di captare il glucosio a livelliglicemici elevati (bassa affinità, come adesempio GLUT 2 nelle beta-cellule pancrea-tiche) oppure bassi oppure molto bassi (altaaffinità, come, ad esempio, GLUT 3 per ilsistema nervoso centrale). GLUT 1, GLUT 2e GLUT 4 sono i trasportatori più importan-ti per il metabolismo del glucosio nell’organi-smo. Il GLUT 1 è un trasportatore ubiquita-rio presente in quasi tutti i tessuti, soprattut-to negli eritrociti e nelle cellule endotelialedei vasi cerebrali, e facilita il trasporto basaledel glucosio, anche in assenza di insulina. IlGLUT 2 consente il flusso bidirezionale delglucosio nel fegato, verso l’epatocita e dall’e-patocita nel sangue a seguito della neogluco-genesi. Il GLUT 2 si trova anche nelle beta-cellule pancreatiche: è un costituente dell’ap-parato sensore del glucosio che consente allabeta-cellula di secernere insulina in relazioneai livelli glicemici. Il GLUT 3 è espresso nei

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Sintesi Demolizione

FIGURA 9Ramificazione e deramificazione nel glicogeno (sintesi edemolizione)

FIGURA 10Digestione dell’amido per opera della alfa-amilasi. I cerchiaperti rappresentano unità di glucosio

AMIDO LEGAMI - 1,4

LEGAMI α - 1,6

ATTIVITÀ α AMILASICA

MALTOSIO MALTOTRIOSO DESTRINE

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neuroni e insieme al GLUT 1 nella barrieraemato-encefalica e cellule gliali, permette alglucosio di entrare nel cervello. Il GLUT 4aumenta il trasporto del glucosio in rispostaall’insulina ed alla concentrazione ed è il tra-sportatore più importante per gli effetti del-l’insulina, perché è selettivamente espressonei tessuti insulino-sensibili (tessuto musco-lare scheletrico, miocardio e tessuto adiposo)e il suo funzionamento è legato all’insulina. Inpresenza di insulina legata al suo recettorecellulare, il GLUT 4 muove verso la membra-na cellulare e si fonde con essa (traslocazionedel GLUT 4) con aumento della velocità ditrasporto del glucosio. Sarebbe presente unariduzione dell’espressione di GLUT 4 nellefibre di tipo 1 a contrazione lenta di pazienticon diabete di tipo 2 rispetto a soggetti obesie degli obesi rispetto ai magri, ipotizzandoche questa riduzione possa contribuire alridotto uptake del glucosio stimolato dall’in-sulina nel muscolo scheletrico del diabetico ditipo 2 (Gaster M, 2001).

Il fruttosio utilizza il trasportatore GLUT5 e il meccanismo del suo assorbimento non èdel tutto chiaro, è più lento ed irregolare esembra influenzato dal glucosio e dall’ami-noacido glicina, dal galattosio, dal saccarosio,dall’amido, mentre sorbitolo e destrine nonhanno nessun effetto. Il GLUT 8 sembraessere importante nello sviluppo della blasto-cisti, mediata da insulina e IGF-1; è stato tro-vato dentro i neuroni cerebrali, testicolo eghiandole adrenergiche. Il GLUT 9 è presen-te in cervello e tessuti linfatici, mentre ilGLUT 10 è stato trovato nel fegato e nelpancreas.

È opportuno ricordare che il muscolo sche-letrico umano è composto da fibre ossidative acontrazione lenta e da fibre glicolitiche a con-trazione rapida; le fibre muscolari a contrazio-ne lenta sono più sensibili e reattive nei con-fronti dell’insulina rispetto a quelle veloci(Kriketos AD, 1996; Zierath JR, 1996) e sono

caratterizzate da una capacità ossidativa eleva-ta e glicolitica scarsa e da un aumento dell’os-sidazione degli acidi grassi e dall’accumulo ditrigliceridi rispetto alle fibre veloci (KriketosAD, 1995; Nolte LA, 1994). La distribuzionedei tipi di fibre muscolari è notevolmentevariabile, potendo oscillare da >65% o <35% difibre lente nel muscolo vasto laterale di cauca-sici, dovuta per il 45% a fattori genetici e peril 40% a fattori ambientali (Simoneau JA,1995). È stato riportato che la frazione di fibremuscolari lente è inversamente correlata all’a-diposità e significativamente inferiore nei dia-betici di tipo 2 rispetto ai soggetti obesi o con-trollo (Kriketos AD, 1995).

I principali tessuti bersaglio dell’insulinasono il muscolo scheletrico, il tessuto adiposoe il fegato. Nel muscolo l’insulina attiva sia lacaptazione sia il metabolismo intracellularedel glucosio; nel tessuto adiposo, oltre a sti-molare la captazione del glucosio, esercita unaforte attività antilipolitica; a livello epaticol’insulina inibisce la produzione di glucosio.

Il legame dell’insulina sulla subunità αrecettore innesca una serie di reazioni a casca-ta; questi è attivato e si comporta come unvero enzima, subisce dei cambiamenti diconformazione, lega ATP, si autofosforila efosforila in tirosina una serie di proteine, dellequali la più importante è l’insulin receptorsubstrate 1 (IRS-1), che a sua volta agganciae fosforila altre proteine cellulari. Negli ulti-mi anni sono state individuate proteine “ini-bitrici”, che regolano l’azione dell’insulinamediante inibizione di diverse molecole coin-volte nella cascata di eventi che trasmettonoed attuano gli effetti biologici dell’insulina. Isegnali attivati sulla superficie cellulareamplificano e regolano gli effetti biologicidell’ormone (ingresso ed utilizzazione delglucosio).

Il recettore insulinico, capostipite dellafamiglia di proteine “traduttrici”, il cui com-pito è quello di portare il segnale insulinico

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dall’esterno della cellula agli effettori finali, èuna glicoproteina tetramerica composta dadue subunità alfa e da due beta, unite tra loroda ponti disolfuro. Le subunità alfa sono inte-ramente extracellulari, mentre le subunitàbeta sono costituite da una porzione extracel-lulare ed una intracellulare. Tra i fattori cheregolano l’attività del recettore sono statidescritti il TNF-α (Tumor Necrosis Factorα) e la proteinochinasi C (PC), che agirebbeattraverso il fosfolipide componente dellamembrana cellulare, fosfatidilinositolo-4,5-difosfato (PIP

2).

Il glucosio, una volta captato, segue duediverse vie o destini metabolici:

1) la via della glicogenosintesi, che si incre-menta con l’aumento dei livelli insulinemicipostprandiali e che è attiva soprattutto nelfegato e nel muscolo (ma anche nel rene),organi che assorbono la maggior parte delglucosio;

2) la via degradativa glicolitica, presente intutti i tessuti, massimamente attiva a digiunoe che porta alla formazione del piruvato-lat-tato (Fig. 2), i quali sono in parte ossidati nelciclo di Krebs (con liberazione di energia“chimica di legame”) e in parte liberati in cir-colo. La piruvato deidrogenasi e la glicogenosintetasi sono i due enzimi-chiave, con azionelimitante, che controllano rispettivamente laglicolisi e la glicogenosintesi. La glicogenosintetasi passa dalla forma inattiva, defosfori-lata, a quella attiva, fosforilata, alternativa-mente. Il complesso multienzimatico dellapiruvato deidrogenasi permette l’ingresso delpiruvato, prodotto finale della glicolisi anae-robia, nel ciclo di Krebs, per essere ossidatoall’interno del mitocondrio e produrre NADridotto per la sintesi di ATP nella catenarespiratoria.

In realtà esistono altre vie metaboliche, checomprendono lo shunt dei pentosi o via ossi-dativa diretta, che attraverso la conversione agluconolattone porta alla formazione di frut-

tosio-6-P e gliceraldeide, e la via dell’acidoglucuronico, che attraverso l’uridintrifosfatoporta alla formazione di altri zuccheri, comeil mannosio e la galattosamina. Infine il glu-cosio-6-P può essere defosforilato e riconver-tito in glucosio, soprattutto nel fegato e nelrene, e rimesso in circolo.

Dopo un pasto ricco in carboidrati l’au-mento della concentrazione di glucosio einsulina nella vena porta, insieme alla ridu-zione della concentrazione di glucagone, sop-prime la produzione epatica di glucosio edincrementa la captazione epatica di glucosio ela glicogenosintesi, limitandone l’immissionenel circolo sistemico e minimizzando leescursioni della glicemia per assicurare unflusso di glucosio costante al sistema nervosocentrale, che è dipendente dal glucosio circo-lante. Lontano dai pasti, con un picco a mez-zanotte, la glicogenolisi e la neoglucogenesiepatica e, in minore misura, renale fornisconoil glucosio al cervello ed agli altri tessuti, chene hanno bisogno durante il sonno.

La glicogenolisi procede alla velocità dicirca 100 mg/min e, considerato che il conte-nuto di glicogeno epatico non supera 60-80 g,in 10 ore di digiuno notturno si avrebbe unacompleta demolizione, se la produzione diglucosio non fosse sostenuta anche dalla neo-glucogenesi per circa il 30%. Gli stessi livellidi glicemia sono in grado di modulare la pro-duzione epatica di glucosio, risentendo dellostato metabolico prevalente. L’acetil-CoA,prodotto dalla beta-ossidazione degli acidigrassi, svolge un ruolo regolatore tramite l’at-tivazione allosterica della piruvato-carbossi-lasi e fosfoenol-piruvato-carbossichinasi. Lalipolisi fornisce glicerolo, substrato neogluco-genetico, mentre il processo beta-ossidativoproduce le molecole di ATP necessarie allaspesa energetica della sintesi del glucosio. Laglicogenosintesi, oltre che dal glucosio, puòessere indirettamente favorita dalle unità tri-carboniose (lattato, alanina, glicerolo, piruva-

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to) mediante formazione di glucosio, a segui-to di pasti poveri in carboidrati. Nello statopost-assorbitivo, quando le concentrazioniplasmatiche di insulina sono basse, la massadi tessuto muscolare e di tessuto adiposo(circa il 60% del peso corporeo) consumanonon più del 20% del glucosio dell’organismo,probabilmente attraverso l’azione dei traspor-tatori di membrana insulino-indipendentiGLUT1. La maggior parte del consumobasale di glucosio avviene nei tessuti non-insulino dipendenti: sistema nervoso centrale,globuli rossi e midollare renale; di questa ossi-dazione basale del glucosio ben il 70-80% siverifica nel sistema nervoso centrale. Nel frat-tempo nel muscolo scheletrico la produzionedi energia è largamente dipendente dall’ossi-dazione degli acidi grassi liberi, con un mini-mo contributo del glucosio intracellulare.

Oltre che essere convertito in glicogenooppure ossidato, il glucosio può essere utilizza-to per la sintesi degli acidi grassi (lipogenesi),sotto lo stimolo dell’insulina, che regola l’atti-vità della lipoprotein-lipasi e della lipasi ormo-no-sensibile, tramite la formazione di alfa-gli-cero-fosfato, metabolita-chiave per la riesteri-ficazione degli acidi grassi nell’adipocita. Ilcosto energetico della conversione del glucosioin glicogeno è pari a circa il 5% del contenutoenergetico dello stesso glucosio, mentre la con-versione a grasso incrementa il costo energeti-co dell’operazione a circa il 24%.

Una parte del piruvato-lattato prodotto daitessuti intestinale, nervoso, muscolare e daiglobuli rossi, è liberata nel sangue (insieme conalanina, prodotta per aminazione del piruvato)e quindi captata dal fegato e convertita primain glucosio e quindi in glicogeno (Fig. 9). Lacapacità del fegato di accumulare glicogenopuò raggiungere circa 60-80 g, mentre la quan-tità che può essere immagazzinata nei muscoliè dell’ordine di 150-300 g.

In sintesi il fegato opera in due direzioniopposte in funzione dello stato nutrizionale.

In fasi lontane dall’assorbimento (bassa insu-linemia) garantisce un flusso di glucosio suf-ficiente a garantire la richiesta dei tessutistrettamente glucosio-dipendenti, soprattuttoil SNC; nelle fasi assorbitive (elevata insuli-nemia) diviene sede di utilizzazione del glu-cosio con aumento del deposito di glicogeno.

Un breve cenno merita il metabolismo delmuscolo cardiaco, che si differenzia notevol-mente rispetto agli altri muscoli. Il cuore èuna pompa incredibile, che lavora incessante-mente per tutta la vita, senza potersi fermaremai, contraendosi e rilassandosi, in media,circa trentasei milioni di volte in un soloanno. Tuttavia la quantità di ATP e di CPpresenti nel muscolo cardiaco è estremamen-te bassa (circa 3 mg/g di miocardio), suffi-ciente soltanto per 80-90 battiti, poco più di1 minuto, rendendo indispensabile il conti-nuo rifornimento di substrati energetici e diossigeno, necessario per la loro ossidazione,attraverso la circolazione coronarica. Il flussocoronarico è in grado di adeguarsi con granderapidità, in assenza di stenosi vasali, allesituazioni di aumentata richiesta energetica(riserva coronarica) per effetto della libera-zione di nitrossido di azoto (NO) e diaumento dell’adenosina. Il combustibile pre-ferito dal miocardio è costituito dagli acidigrassi liberi, soprattutto in condizioni di ripo-so; in caso di maggiore attività, invece,aumenta l’importanza dei lattati, quale fonteenergetica (fino al 50% del totale), parallela-mente all’incremento della concentrazionedella lattacidemia, ad eccezione del cuoreischemico. Infine la via metabolica glicolitica,anaerobia, è abitualmente utilizzata dal cuore,anche se è di importanza secondaria, per cui ilmiocardio è un tessuto strettamente aerobio.In definitiva le diverse vie metaboliche (beta-ossidazione degli acidi grassi, glicolisi, shuntdei pentosi, ciclo di Krebs) sono tutte presen-ti ed utilizzabili secondo le necessità e i sub-strati.

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Il cervello è apparentemente formato sem-pre dagli identici elementi: neuroni, sinapsi ecellule gliari. Nei vertebrati, uccelli compresi,i gangli della base (struttura sottocorticale)costituiscono la maggior parte del cervello,mentre nei mammiferi la corteccia cerebraleacquista grande prevalenza. Dal punto divista evolutivo, la funzione olfattiva si esplicaper prima: in tutti i vertebrati non mammife-ri la corteccia cerebrale è rimasta ad un livel-lo evolutivo basso (archipallio) e svolge fun-zioni prevalentemente olfattive, collegateverosimilmente alle attività fondamentali perla sopravvivenza dell’individuo e della specie,la riproduzione e la nutrizione. Soltanto apartire dai mammiferi la corteccia cerebrale sisviluppa tanto da regolare in modo più ampiola condotta ed il comportamento, dato che leattività intellettive sono strettamente correla-te con il grado di sviluppo della stessa cortec-

cia, la quale raggiunge un livello sempre cre-scente dai carnivori, ai primati e infine all’uo-mo.

La neocorteccia, l’involucro più esterno chericopre il cervello, nell’uomo è più grande, piùspessa e più estesa di quella di tutti gli altriesseri viventi. La maggiore estensione è dovu-ta alla presenza di un numero considerevoledi solchi e pieghe, che circoscrivono dei rilie-vi, dette circonvoluzioni, e che dividono ilcervello in lobi. Nell’uomo questi lobi sonodenominati frontali, parietali, temporali edoccipitali. L’impressione è che la crescita delcervello sia stata più grande e più veloce diquella del volume del cranio, costringendo lacorteccia a ripiegarsi su se stessa, formandosolchi e pieghe (Rossi A, 2003).

Considerato che il cervello umano utilizzaben il 20-25% del totale energetico a riposocontro l’8-10% dei primati e il 5% negli altri

L’uomo è onnivoro?

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animali, alcuni ricercatori americani(Leonard WR, 2003; Leonard WR, 1994)hanno sostenuto che l’aumento del cervellonell’uomo è potuto avvenire soltanto perchéera stata adottata una dieta ricca in calorie ela carne, soprattutto se grassa, è una fontecalorica molto maggiore rispetto ai vegetali,che allora erano selvatici, poco digeribili espesso tossici. La carne era, inoltre, la fonteprincipale di proteine, l’unica in grado direndere possibile un apporto proteicogiornaliero di circa 150 grammi, pari a circa 2grammi pro kg di peso corporeo (Patou-Mathias M, 1997); secondo altri autori glialimenti d’origine animale coprivano dal 45 al65% dell’energia con un apporto proteico parial 19-35% (Cordain L, 2000). Da sottolineareche si trattava comunque di carne derivata daanimali selvatici, povera di grassi saturi e riccadi polinsaturi, di colesterolo (il cervello èricchissimo di colesterolo!), di aminoacidiessenziali, di vitamina B12 e di oligoelementi(ferro, zinco, cromo, selenio). Un ruolo dirilievo aveva anche il pesce, che, tra l’altro, èmolto ricco di acidi grassi polinsaturi dellaserie omega 3 e 6, che sono importantissimiper lo sviluppo ed il funzionamento cerebrale.Il salto nello sviluppo del cervello avviene conla comparsa dell’Homo Erectus cheabbandona le savane e raggiunge ambientimisti (terra-acqua), dove erano presentisituazioni nutrizionali più favorevoli per unulteriore sviluppo del cervello. Vicinoall’acqua l’uomo si riforniva, tramite i pesci,soprattutto molluschi e crostacei, dicolesterolo e di AG polinsaturi omega 3, inparticolare di acido decosaesanoico, che èessenziale per la funzione e la crescita deineuroni cerebrali. Oltre la modificazionequantitativa, è avvenuta una modificazionequalitativa: i neuroni sono costituiti per oltreil 60% di lipidi, in particolare colesterolo,glicolipidi e fosfolipidi. Tra questi ultimi iglicerofosfolipidi sono ricchi in AG

polinsaturi a lunga catena, formati da 20 o piùatomi di carbonio e 4 o più doppi legami, ederivanti soprattutto dall’acido decosaesanoico,attraverso processi di elongazione edenaturazione, processi lenti e variabili conl’età. La prevalenza di decosaesanoicomantiene le membrane neuronali benfunzionanti; il decosaesanoico è anche unagente antinfiammatorio naturale e proteggele membrane cellulari dal danno ossidativo,contribuendo a mantenerle fluide efunzionanti (Weber PC, 1988; Packer L,1995).

I nostri antenati hanno iniziato a utilizzarele tecniche di conservazione della carne (sala-tura ed affumicatura) già decine di migliaia dianni fa ma soltanto dal V secolo a.C. sonopresenti testimonianze specifiche (Aristofaneparla di salsicce in una sua commedia). Anchein Italia, l’uso delle carni di maiale, soprattut-to salate e trasformate in salumi, ha radiciantiche. Inizialmente il bestiame veniva alle-vato unicamente per soddisfare le necessitàdella famiglia o del villaggio. Solo in epocaetrusca iniziano a prendere vita le primeforme di allevamento stabile, specializzato efinalizzato anche al commercio. Una fortetestimonianza arriva dagli scavi di Forcello (Vsecolo a.C.), nel mantovano, dove furonoritrovati 50.000 resti di ossa animali, di cui il60% di suini. Nasce forse allora il concetto disalume. In epoca romana l’interesse si con-centra progressivamente sulla coscia di suino;il prosciutto diventa l’elemento di maggiorpregio ricavato dal suino. Con le successiveinvasioni barbariche il suino diventa una dellerisorse più importanti del villaggio e dellecampagne sotto forma di insaccati e di carniconservate; prosciutti, spalle e pancette,diventano addirittura moneta corrente. NelMedio Evo il pascolo del suino ha un rilievoparticolare al punto che i boschi sono misura-ti in base alla loro capacità di nutrire suini,più che in base alla loro superficie. In Italia,

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tra il XII e il XVII secolo si osserva un fortesviluppo dei mestieri legati alla trasformazio-ne delle carni del maiale. In quel periodo siaffaccia la figura del “norcino” che, grazie allasua abilità, dà vita alla creazione di nuovi pro-dotti di salumeria. Tali figure professionaliiniziano a organizzarsi in corporazioni o inconfraternite e ad assumere importanti ruoliall’interno della società. A Bologna sorge laCorporazione dei Salaroli, a Firenze, all’epo-ca dei Medici, sorge la Confraternita dei fac-chini di San Giovanni decollato della nazionenorcina, dedita anche al mecenatismo e all’ar-te. Il Papa Paolo V, nel 1615, riconosce laConfraternita norcina dedicata ai Santi Bene-detto e Scolastica e, più tardi, il suo successo-re Gregorio XV la elevò ad Arciconfraternitaalla quale, nel 1677, aderì anche l’Universitàdei pizzicaroli norcini e casciani e dei mediciempirici norcini. Laureati, benedetti e paten-tati, i norcini accrebbero la loro fama anche aldi fuori dello Stato pontificio.

Una serie di dati legati sia a ritrovamentiarcheologici sia ad osservazioni biologichepermettono, comunque, di concludere chel’uomo rimane un animale onnivoro, in quan-to è provvisto di caratteristiche tipiche deglierbivori, quali la dentatura posteriore, ilsecondo tratto dell’apparato digerente, men-tre la dentatura anteriore (incisivi e canini) eil primo tratto dell’apparato digerente pre-sentano caratteristiche proprie dei carnivori.Nella vista la preferenza è per i colori più cheper il movimento, come negli erbivori. Anchela distribuzione e gli orari dei pasti differisco-no notevolmente rispetto a quelli dei carnivo-ri e degli erbivori: l’uomo non è, infatti, un“mangiatore occasionale”, come i grandi feli-ni, e neanche un “mangiatore continuo”, comead esempio gli equini o i bovini o gli ovini, maal contrario consuma regolarmente dei pasti,che, con il passare degli anni, diventano menonumerosi e più distanziati nell’arco della gior-nata. L’uomo è l’unico essere vivente che

mangia abitualmente sia vegetali, sia animalierbivori, sia animali carnivori, e non fa partedi catene alimentari naturali.

Le alimentazioni alternative

In contrapposizione ai precetti dell’alimen-tazione tradizionale onnivora, esistono altrealimentazioni, basate su orientamenti cultu-rali o filosofici (Pitagora, Platone, Diogene) oreligiosi (Certosini e Minimi tra i cattolici,Quaccheri, Avventisti del 7° giorno e Mor-moni tra i protestanti, Sufi tra i mussulmani esettori delle religioni orientali, Induisti, Jaini-sti, Buddisti, Zoroastriani, Hare Krishna),che comportano importanti riflessi sullo stiledi vita e sull’alimentazione degli adepti. Ilnumero di adepti a queste alimentazioni ènotevolmente cresciuto e si calcola che siano2,5 milioni in Italia, di cui 1,5-1,8 milionilatto-ovo-vegetariani, 1 milione in Francia, 4milioni nel Regno Unito, 48 milioni negliUSA. Alimentazione macrobiotica: consistein dieci stadi di apprendimento, sempre piùrestrittivi e privilegia gli alimenti di tipo inte-grale, di stagione e adatti al clima locale, inparticolare cereali integrali, legumi e derivati,verdure cotte e crude, noci e frutta secca, frut-ta di stagione, piccole quantità di cibo anima-le, come pesce e molluschi, alghe marine e ali-menti fermentati; assenti latte, uova, formag-gi e frutta; si basa su principi filosofici cinesi(taoismo) secondo i quali anche il manteni-mento della salute è legato all’equilibrio tra ledue forze fondamentali yin (femminile) eyang (maschile): sono cibi yang il sale, lacarne, le uova, il pollo, il pesce, il formaggiostagionato; sono yin zucchero, miele, tè, caffè,alcol, spezie, succhi di frutta, latte, yogurt,panna; sono neutri cereali, legumi, semi oleo-si, frutta; sono comunque sconsigliati zucche-ro, caffè, droghe ed alcolici. Alimentazionevegetariana (il gruppo più numeroso, a suavolta suddiviso in latto-ovo-vegetariani, ovo-

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vegetariani, latto-vegetariani): si basa sull’eli-minazione della carne e del pesce, che sonosostituiti con vegetali crudi e cotti, frutta fre-sca e secca, legumi, cereali e, a seconda deicasi, da derivati animali come uova, latte, for-maggi e yogurt. Alimentazione secondo ilmovimento “Vegano” (Vegani): sono i vegeta-riani più rigidi; sono consigliati esclusiva-mente alimenti vegetali, escludendo qualsiasiprodotto animale e derivato. Semivegetariani:riducono notevolmente la carne, specialmen-te quella rossa, ma assumono saltuariamentepollo e pesce. Alimentazione secondo ilmovimento igienista (Crudisti): si basa sulconcetto che il cibo vegetale crudo è un ali-mento vivente, facilmente digeribile e moltonutritivo. Preferisce, quindi, frutta e verdurarigorosamente crude, cereali e legumi germi-nati, noci e mandorle, latte crudo fresco emiele. Alimentazione secondo i “fruttariani”:basata sulla filosofia ayurvedica, originariadell’India, consiglia prevalentemente fruttafresca e secca (esisterebbero tre tipi costitu-zionali di base, che sono Vata, Pitta e Kaphaed alcuni cibi sarebbero efficaci per la diversacostituzione individuale, utilizzando partico-lari spezie, oli e metodi di cottura). Alimenta-zione dissociata: consiste nel separare carboi-drati e proteine durante lo stesso pasto. Il pre-supposto alla base è che, separando gli ali-menti del gruppo “carboidrati” dagli alimentidel gruppo “proteine”, si ottengono risultatimigliori; al termine della giornata, comunque,il consumo complessivo sarebbe lo stesso. Sela dissociazione di proteine e carboidrati nonè rispettata, le conseguenze sarebbero unsenso di pesantezza, flatulenze e acidità distomaco, dato che la digestione degli amida-cei inizia nella bocca, mentre la digestionedelle proteine inizia nello stomaco. Se consu-mati assieme, deriverebbe un’insufficiente

digestione degli amidacei, che poi fermente-rebbero nell’intestino per effetto del calore edell’umidità. Sarebbe, quindi, opportuno con-sumare le proteine con le verdure a mezzo-giorno e gli amidacei con le verdure la sera. Inrealtà, non esistono in natura alimenti con unsolo tipo di nutrienti.

Una ricerca sui regimi alimentari vegetaria-ni ha comunque dimostrato che nei bambinipossono provocare deficit delle funzionicognitive anche a distanza di anni, da mette-re in relazione verosimilmente a minori livel-li plasmatici di cobalamina e di metilmaloni-co (Louwman MWJ, 2000). D’altronde, deveessere ricordato che la percentuale di sovrap-peso e obesità tra le donne onnivore è mag-giore (40%) rispetto alle semivegetariane ealle vegane (29%) e alle lattovegetariane(25%) e che in definitiva un consumo abbon-dante di vegetali e una moderata riduzione dicarne e prodotti animali può aiutare nel con-trollo del peso corporeo (Newby PK, 2005), eche l’apporto di proteine vegetali è inversa-mente associato all’ipertensione, mentre nonvi è alcuna associazione con l’apporto di pro-teine animali (Elliot P, 2006).

Un breve cenno anche a regimi dieteticifantasiosi, proposti come salutari e capaci diprevenire o addirittura curare i tumori, senzaavere alcuna validazione scientifica: Dieta diBristol, basata su cibi integrali, frutta e verdu-ra crude, cereali grezzi, pesce, pollo e uova,con divieto per latticini, carni rosse, sale, zuc-chero e bevande nervine; Dieta di Gerson,basata su frutta e verdure organiche, sottoforma di succhi, proteine da animali di picco-la taglia, estratti di fegato; Dieta di Manner,basata su cibi naturali e megadosi di vitamine;Ampeloterapia, basata sull’assunzione digrandi quantità di cibo ad alto tenore diacqua, soprattutto uva.

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MIOCENEDA 25 A 13 MILIONI DI ANNI

PLIOCENEDA 13 A 3 MILIONI DI ANNI

PLESTIOCENEDA 3 MILIONI A 10.000

PLESTIOCENEDA 10.000 ANNI FA

PROCONSUL

RAMAPITHECUS

AUSTRALOPITHECUS

HOMO HABILIS

HOMO SAPIENS

UR

Parte Terza | L’uomo cacciatore-raccoglitore

Percorso evolutivo della specie umana, schematizzato e semplificato

HOMO ERECTUS

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Secondo le più recenti ipotesi scientifiche,circa 13-14mila milioni di anni fa è nato l’U-niverso e circa 4600 milioni di anni fa si è for-mata la Terra; l’atmosfera primitiva era essen-zialmente composta da idrogeno ed elio,come la nebulosa da cui derivava, perdendoalcuni elementi più volatili come idrogeno,argon, azoto, neon, elio. Una “seconda atmo-sfera”, composta da azoto (N

2), ammoniaca

(NH3), anidride carbonica (CO

2), idrogeno

solforoso (H2S), gas solforoso (SO

2) e vapore

acqueo (H2O), fu costituita per emissioni

provenienti dal mantello e da sorgenti diacqua calda. Originariamente l’irradiazionesolare era meno intensa di ora, ma la tempe-ratura terrestre era più alta (60°C) per unmaggiore effetto serra, per la prevalenza diCO

2, H

2O, metano, ossido nitrosi, per cui i

raggi infrarossi solari arrivavano mentre gliinfrarossi terrestri, con una diversa lunghezza

d’onda, erano trattenuti (“weak Sun paradox”o paradosso del Sole debole).

Con il progressivo raffreddamento dellacrosta terrestre il vapore acqueo si condensò,provocando intense piogge, che riempironod’acqua grandi zone del nostro pianeta. L’at-mosfera si è raffreddata per una forte riduzio-ne del CO

2, dovuta probabilmente a piogge

molto acide, che hanno eroso i silicati dellacrosta, con la formazione di bicarbonati,depositati come calcare e silicati, e susseguen-te formazione delle immense formazioni sco-gliere della Pangea, che raggruppava tutte leterre emerse.

Secondo la teoria dell’evoluzione biologica,l’azione combinata dei raggi solari, del caloreprodotto dall’attività vulcanica e dai fulminiavrebbe fornito l’energia sufficiente per laformazione delle prime molecole organiche(evoluzione chimica). Questi composti pre-

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Origine della vita

Non è il più intelligente né il più forteche soppravviverà ma il più pronto ed abilead adattarsi

C. Darwin. L’origine della specie, 1859

In principio Dio creò il cielo e la terra..... Dio disse: “Sia la luce”. E luce fu..... Dio disse: “La terra produca germogli..... Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo leloro specie...

Genesi 1,22

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senti negli oceani avrebbero costituito ilbrodo primordiale, da cui avrebbe avuto ori-gine la seconda fase, cioè la formazione digrosse molecole organiche, come proteine eacidi nucleici, essenziali per la costituzione diun essere vivente. Nella terza fase (evoluzionebiologica) i composti organici si sarebberouniti formando strutture sferiche microscopi-che capaci di accrescersi e riprodursi; da que-sti si sarebbero poi evolute le prime cellule.Alla teoria evoluzionista, basata sul concettodi caso e di evento casuale, si contrappone lacosiddetta teoria del Progetto Intelligente,che ammette, invece, la presenza di una causae di una finalità, sulla base di un progettomesso in atto da un agente animato. Circa3800 milioni di anni fa sarebbero comparse leprime forme di vita, i “procarioti”, che sinutrivano di carbonio per fotosintesi, senzarilascio di ossigeno; circa 2000 milioni di annifa comparvero cellule eucariote, fotosinteti-che, monocellulari, da cui si originarono alghemulticellulari, all’origine sia dei vegetali siadegli animali, che fissavano CO

2e liberavano

ossigeno. La conseguente riduzione del CO2

abbassò ulteriormente l’effetto serra e la tem-peratura media del pianeta, portando allaprima glaciazione (2300 miliardi di anni fa),con un abbassamento del livello dei mari,giunto fino a 600 metri.

Circa 600 milioni di anni fa (periodo cam-briano) il mare è essenzialmente popolato dainvertebrati; nell’ordoviciano (da 500 a 435milioni di anni fa) la fauna marina ha conti-nuato a diversificarsi e a colonizzare le terreemerse, in seguito alla regressione del livellomarino. Circa 450 milioni di anni fa sono natii primi pesci corazzati, dotati di uno scheletrocartilagineo, cioè i primi vertebrati. Il riscalda-mento porta ad uno sconvolgimento globale;nel siluriano e nel successivo devoniano (da408 a 360 milioni di anni fa) la fauna marinaè ricchissima e sono comparsi i primi verte-brati terrestri. Dopo l’intuizione nel 1915 di

A. Wegener sulla “deriva dei continenti” si èchiarito che circa 320 milioni di anni fa laPangea si è fratturata e le terre emerse sonoraggruppate in due supercontinenti, la Laura-sia, comprendente Groenlandia, Nord Ameri-ca, Scandinavia e Russia, e il Gondwana, sepa-rati dalla Tetide. Circa 385 milioni di anni fa èsopraggiunta una nuova catastrofe biologicacon estinzione del 75% delle specie. Nel car-bonifero (tra 345 e 280 milioni di anni fa) si èavuto lo sviluppo di grandi foreste e la diffu-sione di anfibi e insetti e sono comparsi iprimi rettili; nel permiano (280-230 milioni dianni fa) si sono sviluppati anfibi di grandidimensioni ed i rettili hanno conquistato ampispazi. Con il mesozoico sono finite le grandimodificazioni della crosta terrestre e si èinstaurato un clima caldo-umido che ha favo-rito lo sviluppo dei vegetali. Nel triassico (tra230-195 milioni di anni fa) si sono diffusianfibi di grandi dimensioni, rettili e sonocomparsi i primi piccoli mammiferi; nel giu-rassico (tra 195 e 140 milioni di anni fa) si èavuta la grande diffusione dei dinosauri e neicieli degli pterosauri, rettili volanti, i più gran-di animali che abbiano mai volato, dotati di aliformate da una membrana attaccata ai lati delcorpo, che era mantenuta in estensione dagliarti superiori, in particolare dal IV dito, estre-mamente allungato e robusto, e con ossa cave,separate in cellette; nel cretaceo (tra 140 e 65milioni di anni fa) si sono formate masse con-tinentali separate e sono comparse le piantecon i fiori (angiosperme). Alla fine del triassi-co (da 250 a 203 milioni di anni fa) una nuovaestinzione di massa colpì il mondo vivente.

Tra 203 e 65 milioni di anni fa il mondo èdominato dai dinosauri (circa 600 specie),fino a quando per il raffreddamento climati-co, causato dalla caduta di un asteroide o pergigantesche effusioni di lava, scomparverotutti i rettili terrestri, ad eccezione di cocco-drilli, tartarughe, lucertole e serpenti. È vero-simile che abbia contribuito il fatto che depo-

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nessero le uova senza covarle, come è invecetipico degli uccelli. Con il cenozoico (tra 65 e2 milioni di anni fa), durato circa 63 milionidi anni, le terre emerse hanno assunto unaconformazione simile all’attuale ed il clima hacominciato a differenziarsi nelle stagioni.

I mammiferi, comparsi già 195 milioni dianni fa, sono animali a sangue caldo, megliotermoregolati rispetto ai rettili, ed hanno resi-stito alla catastrofe che chiude l’era dei dino-sauri, occupando gli spazi lasciati liberi e svi-luppando oltre 4050 specie differenti. Secon-do alcune teorie i piccoli mammiferi predato-ri avrebbero favorito l’estinzione dei dinosau-ri depredando i nidi e mangiando i cuccioli equindi spinto l’evoluzione dei dinosauri adinosauri piumati e volanti (Pterosauri),come dimostrato dal ritrovamento di un fos-sile di 130 milioni di anni fa, nel settore nordorientale della Cina, di un mammifero, ante-nato del gatto (Rapenomamus Robustus),lungo circa 60 cm e del peso di circa 7 kg, cheaveva mangiato un piccolo cucciolo di dino-sauro erbivoro (Psittacosaurus o dinosauropappagallo), lungo 13 cm.

L’affermarsi dei mammiferi è stato aiutatodalla presenza della placenta, che offre moltivantaggi rispetto all’uovo per lo sviluppo feta-le del cervello: con la placenta si ha un appor-to più costante di principi nutritivi speciedurante i periodi critici di sviluppo (CrawfordMA, 1992). La placenta separa il sanguematerno da quello fetale, permettendo loscambio di prodotti metabolici e gassosi tramadre e figlio e viceversa. Durante l’ultimotrimestre di gravidanza nella specie umanaavviene un selettivo e progressivo passaggiodalla placenta al feto di acido arachidonico edecosaesanoico, acidi grassi polinsaturi alunga catena, per soddisfare le necessità diaccrescimento dell’encefalo. La presenza diuna temperatura globale molto più alta dioggi, ha portato alla scomparsa delle forestedi cacadacee e delle felci giganti, contenenti

AG della serie omega 3, e alla contemporaneacomparsa delle piante a fiore, produttrici disemi contenenti molti AG omega 6, precur-sori dell’acido arachidonico, il composto piùimportante della placenta; il prevalere fra ivegetali degli omega 6 rispetto agli omega 3ha agevolato sicuramente lo sviluppo deimammiferi (Crawford MA, 1992; Innis SM,1991; Sinclair AJ, 1978). Da notare che leleggi darwiniane evoluzioniste non sembranovalere per le blatte, che sono rimaste invaria-te da 320 milioni di anni.

In questo periodo si sono sviluppati ecosi-stemi complessi: crescevano palme alle latitu-dini di Alaska e di Gran Bretagna e le sco-gliere coralline erano presenti in Europa,mentre nei sedimenti marini si formavanodepositi di oli pesanti (la metà dei depositipetroliferi conosciuti si sono formati in roccecenozoiche) ed il cielo si è popolato di uccel-li, derivati dai rettili.

Intanto è proseguito il posizionamento deicontinenti: circa 50 milioni di anni fa (Eoce-ne) l’India è entrata in collisione con il Tibet,sollevando l’Himalaia e contemporaneamen-te si sono formate Alpi, Ande e Pirenei; circa23 milioni di anni fa (Miocene) la Tetide hacominciato a chiudersi ad est ed ovest con l’u-nione Europa-Africa, con la possibilità dimigrazione di animali africani e asiatici versol’Europa (mastodonti, ippopotami e rinoce-ronti); circa 5,3 milioni di anni fa (Pliocene),lo stretto di Gibilterra si è fratturato, permet-tendo l’afflusso di acqua dall’Atlantico, che hariempito il Mediterraneo in secca, mentre 2,5milioni di anni fa l’istmo di Panama ha colle-gato le due Americhe.

Circa 37 milioni di anni fa (Oligocene)sono comparse le piante a foglia caduca. Circa35 milioni di anni fa il clima è diventatomolto più freddo, con l’Antartico circondatodai ghiacci, ma con un clima all’emisferoNord piuttosto mite.

Sono comparsi ghiacciai continentali alla

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fine del cenozoico (3 milioni di anni fa) conun abbassamento del livello dei mari, che allafine del Pliocene (1,75 milioni di anni fa) haraggiunto il livello attuale. Inizia il neozoico oquaternario (Pleistocene ed Olocene) e conesso il fenomeno delle glaciazioni. Durantequesta fase le flore hanno assunto fisionomieattuali, anche se distribuite in modo differen-te, e la fauna africana classica si è diffusa intutto il continente (rinoceronti, elefanti,ippopotami, giraffe, ecc.); coesistevano equi-di, scimmie, tigri dai denti a sciabola.

In estrema sintesi ho riassunto uno spazio

temporale di enorme durata, che spesso èraffontrato con un anno solare (dall’ora 0 del1 gennaio alla mezzanotte del 31 dicembre).

I primi esseri viventi sarebbero comparsi(3800 milioni di anni fa) nel mese di maggio,i Primati il 25 dicembre, l’Homo sapiens nelleultime 10-12 ore del 31 dicembre, il paleoli-tico superiore corrisponderebbe a 6 minuti e30 secondi prima della mezzanotte e la nostraera cristiana comincerebbe venti secondiprima di mezzanotte, Leonardo dipingerebbela Gioconda a meno di 4 secondi dal tocco.

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Prima di parlare dell’origine dell’uomo ènecessario prendere in considerazione i Pri-mati, che sono comparsi circa 65-75 milionidi anni fa, con un patrimonio genetico diffe-rente soltanto per il 2-4% da quello umano(addirittura 1,6% nel caso dei bonobi o scim-panzé nani) e con caratteristiche che preludo-no a quelle umane: flessibilità degli arti, chesono ben articolati rispetto al tronco; mante-nimento di cinque dita in mani e piedi; maniprensili (opposizione del pollice) in grado dimanipolare; occhi posti frontalmente convisione cromatica, binoculare e quindi tridi-mensionale e colorata, indispensabile perindividuare il cibo colorato tra le foglie, conpredominio della vista sugli altri sensi; pro-gressiva perdita della sensibilità olfattiva,importante anche per il controllo della ses-sualità, con riduzione del prognatismo faccia-le. Queste caratteristiche anatomiche correla-

no molto bene con un habitat arboricolo(grandi foreste pluviali, ricche di frutti e difoglie, quasi impenetrabili per i predatori).Inoltre sono già presenti cure parentali moltoattente e prolungate nel tempo: i piccoli sonoaccuditi a lungo.

Alla fine del Miocene e inizio del Pliocene(tra 8 e 5 milioni di anni fa) inizia la separa-zione evolutiva tra uomo e scimmia, che,peraltro, non è possibile dimostrare per l’asso-luta mancanza di fossili di esseri intermedi(“buco nero dei fossili”). Il motivo di questacompleta assenza non è chiaro, anche se siipotizza che non si siano formati probabil-mente per difficoltà ambientali (foreste, piog-ge acide, ecc.) oppure che semplicemente nonsia mai esistito un individuo metà uomo-metàscimmia. La ricerca dell’“anello mancante” fral’uomo e la scimmia ha portato anche allacostruzione di falsi, di cui l’esempio più

Origine dell’uomo

E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immaginee somiglianza”

Genesi 1,22

Noi, gli ominidi, non siamo altro che scimmie checamminano su due zampe

Richard Leakey

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famoso è l’“uomo di Piltdown” (Sussex) (cra-nio umano con mandibola di scimmia), accet-tato come vero all’inizio del novecento e sma-scherato nel 1953.

La maggior parte degli studiosi ritiene chel’origine dell’umanità sia in Africa, lungo laRift Valley, la grande frattura geologica chetaglia il continente da Sud a Nord passandoper il Sudafrica, la Tanzania, l’Etiopia, il MarRosso e termina ai piedi del Caucaso. Questafrattura si è prodotta per imponenti eruzionivulcaniche, tra circa 8 e 10 milioni di anni fa,

con sprofondamento della superficie di 7 kme successiva formazione di un invaso ricoper-to da materiali portati dalle piogge acide finoa raggiungere un dislivello di 1,2 km. Allafine rimase un imbuto, in cui si incanalaronoi venti secchi del Nord: la zona ad Ovest con-tinuò ad essere attraversata da venti domi-nanti umidi provenienti da Ovest, mentre laforesta dell’Africa orientale, meno irrigata, siframmentò in piccole macchie arboricole efece lentamente spazio alla savana. Le picco-le scimmie, che l’abitavano, non poteronospostarsi ad Ovest, bloccate dalla faglia,dovettero scendere dagli alberi, ormai assolu-tamente insufficienti per sfamarle, e quindiabituarsi alla vegetazione alta della savana,caratterizzata da un clima con piogge stagio-nali (grandi piogge e piccole piogge) e convariazioni cicliche (circa decennali) (le “vac-che grasse e le vacche magre” della Bibbia?).Allo scopo di procacciarsi il cibo eranocostrette a fare lunghe migrazioni (circa 40km giornalieri) per seguire il ciclo delle risor-se alimentari: durante la stagione delle pioggediventavano abbondanti le piante con fiori efrutti; alla fine delle piogge il clima comincia-va a farsi arido e la principale fonte di cibo eracostituita dai semi delle graminacee (frumen-to, ecc.) e poi dai rizomi sepolti delle erbe,estratti dapprima con semplici pezzi di legnoche in seguito diventarono “bastoni da scavo”,tagliati da una parte e induriti con il fuocodall’altra. Considerato che il cibo era poconutriente ma molto diffuso, era necessariomuoversi in continuazione. La traccia biolo-gica di questo comportamento è rappresenta-ta dalla raccolta odierna di vegetali (funghi oasprelle) in particolari mesi dell’anno. Lescimmie si spostavano camminando diritte,per guardarsi meglio attorno, al di sopra dellavegetazione della savana, per sfuggire all’as-salto dei predatori. Tutto questo ha modifica-to il piede, facendogli assumere caratteristi-che intermedie tra quelle umane e quelle dei

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FIGURA 1L’evoluzione del piede. Dall’alto:- Piede di scimpanzé: l’alluce sporge lateralmente e può

afferrare.- Piede di Australopithecus afarensis: l’alluce si è allungato e

rafforzato per permettere di camminare eretti su due piedi.- Piede di Homo sapiens moderno: l’alluce è perfettamente

allineato alle altre dita e ha solo funzioni di stabilità, leossa della caviglia si sono allargate.

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primati, umane per la parte posteriore e scim-miesche per l’alluce, che rimaneva prensileper arrampicarsi sugli alberi al bisogno (Fig.11). Contemporaneamente ha liberato gli artisuperiori dalla locomozione con il progressivosviluppo delle interrelazioni mano-cervello(Fig. 12).

Così è iniziato il cammino verso la compar-sa dei primi Ominidi, tra i quali deve esserericercato l’antenato comune degli Australopi-techi (ominidi poi estinti) e dell’Uomo. Ècomunque doveroso ricordare che la teoriadell’origine nella Rift Valley è stata recente-mente rimessa in discussione dal ritrovamen-to in Ciad, a 2500 km ad ovest della Rift Val-ley, di due fossili di Australopiteco.

Per la specie umana attualmente si ammet-te una precisa sequenza evolutiva, anche senon esiste un’unica linea, ma più diramazioni

con la possibilità di parziali sovrapposizionitemporali, con specie differenti e relazioni traesse tutte da indagare. In definitiva ci sarebbestato uno sviluppo a cespugli, favorito dallabreve vita media (18-20 anni) degli ominidi edalla dispersione dei piccoli gruppi in grandispazi, riassumibile come segue (Fig. 13).

Pre-Australopitechi comparsi tra 5 e 8milioni di anni fa, comprendenti l’Ardipithe-cus ramidus, scoperto nel 2000 e sopranno-minato “Uomo del millennio”, comparso circa6 milioni di anni fa con separazione tra omi-nidi e scimmie e l’Ardipithecus ramiduskababba, i cui resti fossili di ossa e denti,ritrovati nel sito di Middle Awash in Etiopia,appartenenti a 5 individui, indicano che l’o-minide era senz’altro bipede e che aveva unadieta diversificata rispetto a quella delle scim-mie.

FIGURA 12Liberazione degli arti superiori dalla locomozione con il progressivo sviluppo delle interrelazioni mano-cervello

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Australopitechi (da 3,6 a 2,6 milioni dianni fa) comparsi in Africa orientale e meri-dionale, con una capacità cranica tra i 350 e i600 cc ed una statura tra 120-150 cm, e rite-nuti a lungo come i primi ominidi a cammi-nare eretti, anche se probabilmente conserva-rono a lungo abitudini arboricole, e produce-vano semplici utensili di pietra scheggiata; inquesto gruppo sono compresi almeno quattrodifferenti esemplari: l’Australopiteco Afaren-sis, con una statura di circa 1 metro e un pesodi circa 30 kg, che si alimentava attraverso laraccolta e, nonostante il perfetto bipedismo,possedeva ancora braccia e piedi che conser-vavano la capacità di arrampicarsi sugli alberidella foresta; nelle savane semiaride l’Austra-lopiteco Africanus (statura 120 cm, peso 45kg, capacità del cranio 500 cc), che si nutrivasoprattutto di carne e di bacche; l’Australopi-

teco Robustus (peso 40-90 kg, statura inde-terminata) mangiava foglie e frutti della fore-sta; l’Australopiteco Boisei (peso 50-100 kg,statura 148-168 cm), dotato di enormi mola-ri, che basava la sua alimentazione su germo-gli e duri semi delle erbe; in definitiva l’ali-mentazione era prevalentemente vegetariana,ricca di AG omega 6, utili alla maturazionedel cervello.

Homo Abilis (da 2,4 a 1,4 milioni di annifa), che presentava un incremento nel volumecerebrale (600-750 cc), una statura di 150 cm,e realizzava utensili di pietra scheggiata concaratteristiche costanti, utilizzando primaciottoli di roccia e poi la selce, le cui scaglie sisfaldano regolarmente; in tal modo ottenevauna notevole varietà di forme e dimensionicon un filo tagliente. L’alimentazione eraonnivora con maggiore apporto di carne, fatto

FIGURA 13“Albero” evolutivo dell’umanità caratterizzato da più diramazioni con parziali sovrapposizioni temporali fino al Sapiens

H. neanderthalensis

H. heidelbergensis

Homosapiens

Gorilla

Scimpanzè

A. robustus

A. boisel

A. africanus

A. afarensis

A. garhi

A. aethipicusHomo rudolfensis

H. abilisH. ergaster

H. erectus

H. antecessor

3 milioni di anni fa 2 milioni di anni fa 1 milione di anni fa Oggi

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che permette un salto evolutivo, caratterizza-to dall’aumento di volume del cervello.

Homo Erectus (da 1,8 milioni a 200 milaanni fa), che è migrato dalle savane versoambienti misti (terra-acqua), con un nuovo,ancora più marcato, salto del cervello (1000-1100 cc), e produceva utensili evoluti, bifac-ciali, a forma di mandorla, utilizzava il fuoco,ha popolato alcuni continenti (Africa, Asia edEuropa), mentre Australia ed Americhe sonorimaste spopolate fino alla comparsa deiSapiens.

Homo Sapiens comparso circa 150 milaanni fa, con una capacità cranica di 1450 cced una statura di 170 cm. Il processo evoluti-vo cerebrale ha compiuto l’ultimo e piùimportante salto: il numero dei neuroni cere-brali è aumentato fino a circa 14 miliardi,contro i 3 miliardi dello scimpanzé ed i 3,5miliardi del gorilla (il topo ha solo 30 milionidi neuroni). Il coefficiente volumetrico cellu-lare, che esprime il rapporto fra la quantitàtotale della sostanza grigia e la quantità dineuroni, è nell’uomo molto piccolo. Questosignifica che, oltre al numero di neuroni, sonoaumentate soprattutto la quantità delle rami-ficazioni dei neuroni corticali e il numero disinapsi, cioè di legami, che ogni neurone pos-siede: si ipotizza un milione di miliardi dicontatti sinaptici. Le sinapsi sono molto pla-stiche e continuano a formarsi e rinnovarsinel corso della vita, migliorando i collega-menti e le associazioni tra i neuroni, permet-tendo al cervello di funzionare attraverso uncostante flusso di ioni e di informazioni elet-triche (Crawford MA, 1992). Anche i vasisanguigni nell’uomo sono più sviluppati eramificati con un maggiore apporto di ossige-no. Il cervello del Sapiens è più grande, piùsviluppato e più associato e permette maggio-ri possibilità di apprendimento e comunica-zione: la sua organizzazione funzionaleaumenta il numero di contatti e struttura areefunzionali specifiche e aree associative sempre

più ampie ed efficienti. L’aumento della cor-teccia cerebrale ha permesso anche unaridondanza funzionale e quindi la possibilitàdi compensi funzionali molto efficienti (RossiA, 2003). In definitiva sono enormementeaumentate le potenzialità, la plasticità e l’ela-sticità funzionale del cervello umano, ingrado di essere plasmato attraverso gli stimo-li sensoriali, il linguaggio, la gestualità, in unaparola l’educazione, ma anche aiutato nellosviluppo da una adeguata e completa alimen-tazione, come dimostrato da recenti studi,effettuati con nuove metodiche diagnostichecome la tomografia ad emissione di positroni(PET), sui rapporti tra funzionalità cognitivaed efficienza cerebrale e alimentazione (SmallGW, 2006). La carne di animali terrestri emarini ha permesso l’apporto di grassi anima-li importanti, ma anche di ferro, di zinco, diretinolo, calciferolo, vitamina B12, calcio,fosforo, selenio e aminoacidi essenziali.

Il primo ingresso del sapiens in Europa èavvenuto circa 42mila anni fa, provenientedall’Asia, probabilmente per la via dell’Ucrai-na; fra i suoi discendenti gli scheletri trovati aCro Magnon, datati 24mila anni fa. L’HomoNeanderthalensis (300 mila anni fa) vivevagià in Europa ed in Asia e poi si è estinto. Glischeletri di Neanderthal si differenziano daquelli di Sapiens perché il primo ha una strut-tura ossea più robusta con statura più bassa edun cranio con arcate sopracciliari più marcateed un naso più grosso (verosimilmente perriscaldare l’aria molto fredda inspirata), fron-te più bassa e sfuggente e contenuto cerebra-le minore rispetto al Sapiens. La tecnica diamplificazione genetica PCR (PolimeraseChain Reaction), applicata su uno scheletrofossile, ha permesso di escludere che i Nean-derthal siano discendenti dal Sapiens e indi-cano una separazione tra le due linee evoluti-ve stimata a circa 600mila anni fa (Manzi G,2006).

Secondo Richards M. (rif. da Bignami L,

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Corriere della Sera 27/5/01), che si è basatosul confronto tra le caratteristiche ottenuteper mezzo di un’analisi delle proteine delleossa fossilizzate di Homo sapiens rinvenutenel Regno Unito, Repubblica Ceca e Russia,confrontate con fossili di uomini di Nean-derthal, che popolavano sino a circa 35 milaanni fa varie regioni europee, l’Homo sapienssi procurava metà delle proteine da pesci euccelli acquatici, come le anatre, mentre iNeanderthal si cibavano quasi esclusivamentedi erbivori di taglia medio-grande, soprattut-to bovini, mammuth, cervi, rinoceronte lano-so. La capacità di nutrirsi anche di pesci eforse di conoscere delle tecniche per la con-

servazione, al fine di costituire riserve alimen-tari, ha permesso all’Homo sapiens di avereuna dieta più differenziata e di sopraffare iNeanderthal, provocandone l’estinzione. Ladurata dell’infanzia è determinante per lo svi-luppo del cervello, sia nelle dimensioni sianelle capacità. Sulla base di un’analisi dellelinee microscopiche, presenti in 350 campio-ni di denti di 30-50mila anni fa, comparatecon quelli di tre attuali popolazioni umane, siè concluso che la durata dell’infanzia dell’uo-mo di Neanderthal era uguale alla nostra enon inferiore del 15%, come ritenuto prece-dentemente (Guatelli-Steinberg D, 2005).

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Tutti i reperti fossili confermano che gliominidi vivevano in Africa, in zone tropicali,in ambienti ricchi di acqua e vegetazione. Laloro alimentazione si è progressivamentemodificata, integrando i tradizionali cibi vege-tali delle scimmie con quelli carnei, inizial-mente utilizzando le carcasse (sciacallaggio) dianimali morti naturalmente o abbattuti daigrandi carnivori della savana (in particolare letigri dai denti a sciabola, che per la particolareconformazione dei denti potevano infliggereprofonde ferite alle loro prede, ma avevanosuccessivamente grosse difficoltà a spolparle)e, contemporaneamente, consumando ciboanimale del terreno, quali vermi, insetti, luma-che, rane e uova d’uccelli (la cosiddetta “rivolu-zione proteica” o I tappa della storia dell’ali-mentazione). I predatori cacciavano solita-mente al tramonto o di notte, mentre gli omi-nidi erano diurni e di notte si rifugiavano sugli

alberi. In definitiva gli erbivori (zebre, gnù,ecc.) si avvicinavano attirati dalla vegetazione edall’acqua, i predatori cacciavano gli erbivori egli ominidi al risveglio erano i primi a scorge-re le carcasse. Gli ominidi avevano grosse dif-ficoltà a incidere la pelle elastica e resistentedegli animali perché non possedevano canini,artigli o i rostri degli uccelli, ma impararonopresto ad utilizzare pietre taglienti e bastoni,che permettevano di frantumare le ossa permangiare cervello e midollo e strappare particonsistenti della carcassa per portarle in salvorapidamente sugli alberi. In epoca molto piùrecente gli antropoidi si riunirono in gruppipiù numerosi per procedere alla caccia grossa egli animali cacciati furono i grandi mammiferi,tra cui elefanti, rinoceronti, cervidi, felini, orsie anche mammiferi di taglia inferiore (mar-motte, caprioli, camosci, ghiottoni, castori,lepri), come attestano gli affreschi rupestri.

Rivoluzione proteica o prima tappadella storia dell’alimentazione

Dio non fa le cose, ma fa in modo che si facciano

Teilhard De Chardin

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La capacità di utilizzare la carne nella pro-pria alimentazione stabilì rapporti profonda-mente nuovi tra gli ominidi e i Primati, con-sentendo una grande varietà di scelta degli ali-menti con un apporto di nutrienti più com-pleto, in modo da superare i momenti difficili(occasionali banchetti intervallati da frequentidigiuni di durata imprevedibile). L’importanzadella carne, senza dubbio la più completafonte proteica, è sottolineata dal fatto chetutte le proteine nelle cellule dei mammiferi e,quindi, dell’uomo sono continuamente degra-date e rimpiazzate.

La caccia e la raccolta

La caccia è un modo di vita, non una mera tecni-ca di sussistenza

William Laughlin

Il passaggio dal semplice sciacallaggio allacaccia ebbe probabilmente un periodo inter-medio in cui gli ominidi attuarono una strate-gia per competere e scacciare i predatori dallapreda, contando sul numero, sul lancio di sassie sulla capacità di infastidire con gesti e urla,tanto che è stata avanzata l’ipotesi che il lin-guaggio parlato sia iniziato con queste azionidi disturbo. Un importante passo in avantinella caccia fu l’uso della pietra, come arma dilancio e offesa, dapprima casuale (ciottoli difiume), poi sgrezzata ed elaborata, in modo dapermettere una più facile caccia all’animale dipiccola-media taglia. Pareri discordanti sonostati espressi sull’importanza nell’alimentazio-ne della caccia grossa, che sicuramente è statapraticata, come attestano le pitture rupestri.Secondo alcuni studiosi il ruolo della cacciaera addirittura predominante: circa 140.000anni fa i nostri progenitori africani, che si dif-ferenziavano dall’uomo moderno soltanto perlo 0,003% del patrimonio genetico, vivevanosoprattutto di battute di caccia ad animali sel-vatici e la raccolta dei vegetali rimaneva una

fonte energetica complementare ed alternativanei momenti di difficoltà di reperimento diselvaggina (se gli antropoidi si fossero cibatisoltanto di vegetali, avrebbero dovuto consu-marne più di 10 kg/die) (Mann FD, 1998).Secondo altri studiosi, invece, esistono troppielementi contrari: gli antropoidi disponevanodi armi assolutamente primordiali, almenofino alla costruzione di archi e frecce; era ine-vitabile un rischio elevato nell’affrontare ani-mali di grossa taglia; infine era necessario riu-nire un numero elevato di antropoidi e quindiindispensabile una cooperazione tra più grup-pi. Tutto questo depone contro l’ipotesi chequesto tipo di caccia potesse costituire la basedell’alimentazione quotidiana.

Risulta più plausibile che la battuta di cac-cia rappresentasse un avvenimento saltuariocon risvolti sociali e culturali e che ribadissegerarchie interne ed esterne. Una confermaindiretta viene da recenti scoperte archeologi-che che hanno dimostrato che proprio il mad-daleniano, che conosceva il giavellotto ma nonarco e frecce e che ci ha lasciato le più bellepitture rupestri relative alla caccia, era in realtàun grande mangiatore di lumache. Il fatto chela caccia sia stata celebrata e immortalata nellepitture in grotte nascoste sottolinea la grandeimportanza attribuita al fenomeno caccia, per-ché l’uomo ha utilizzato le espressioni artisti-che (archi, colonne, statue, pitture, ecc.) perricordare episodi importanti. La caccia grossa,oltre ad un approvvigionamento spesso impo-nente di carne (pensiamo ai problemi checomportava conservare le tonnellate di carnedi un mammuth), ha permesso, comunque diprocurarsi pelli per il vestiario, tendini per gliarchi, corde per le trappole, ossa per gli uten-sili; infine poteva assicurare la cattura di cuc-cioli di animali, che erano affidati ai bambiniperché osservassero ed imparassero il compor-tamento degli animali da predare. La cacciaprevedeva inoltre l’addestramento tramiteosservazione, informazione e interpretazione

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dei dati e cioè esplorazione del territorio econoscenza del comportamento dell’animale,e l’apprendimento delle tecniche per insegui-re, immobilizzare e utilizzare le prede; hafavorito la nascita dello spirito di collaborazio-ne tra i membri dello stesso branco, la sparti-zione volontaria del cibo e la specializzazionenelle funzioni. Al maschio era riservata la cac-cia, alla femmina lo scuoiamento delle pelli, laparziale raccolta e la cottura del cibo.

Tutto questo fu possibile perché l’ominideaveva imparato non solo a memorizzare esseried ambienti favorevoli o pericolosi, incontratisul suo cammino, ma anche a riprodurremimicamente agli altri membri del suo grup-po tutto ciò che aveva memorizzato. Era,quindi, l’unico animale che riuscisse a trasfor-mare la memoria individuale in patrimoniocollettivo, cioè nasceva la cultura, che potreb-be essere definita l’accumulo globale di cono-scenze e di innovazioni, derivante dallasomma di contributi individuali trasmessiattraverso le generazioni e diffusi al nostrogruppo sociale, che influenza e cambia conti-nuamente la nostra vita (Cavalli Sforza LL,2004). Il grande salto rispetto agli altri anima-li è stato reso possibile dal linguaggio, cioèdalla sua capacità di combinare in modo infi-nito dei simboli finiti. Il linguaggio, imparatonei primi tre-quattro anni di vita, è una pro-prietà veramente unica dell’Homo sapiens,dato che persino il Neanderthal sembra fosseprivo di questa capacità o almeno non sapesseusarne allo stesso grado. Le regole di tipo sin-tattico che determinano l’ordine delle parolesarebbero controllate da una rete neuronaleche coinvolgerebbe in modo preferenziale l’a-rea di Broca nell’emisfero sinistro. La struttu-ra del linguaggio non sarebbe lineare e non siorganizzerebbe con posizioni fisse di parole,ma con aggregazioni di parole, secondo guidedeterminate fisiologicamente, che farebberocapo all’area di Broca. Studi effettuati con larisonanza magnetica dimostrerebbero che

tutte le lingue e i dialetti seguirebbero questaimpostazione, per cui un insieme di parole,ordinate in modo differente secondo una“grammatica impossibile”, non farebbero piùcapo all’area di Broca, ma sarebbero deviateall’emisfero destro. Studi recenti avrebberoevidenziato che nel Sapiens entrambe leregioni temporali erano originariamente dedi-cate all’orientamento ed erano più sviluppatenel maschio per sviluppare una mappa cere-brale precisa dei territori di caccia. Con l’arri-vo del linguaggio, l’area temporale sinistra haassunto mansioni verbali, più sviluppate nelledonne, tanto che solitamente le bambineimparano prima a parlare. Attualmente l’areadestra resterebbe fondamentale per orientarsinei grandi spazi aperti, mentre quella sinistraper permetterci di esprimere la rappresenta-zione linguistica dello spazio, oltre ad unacerta capacità di orientamento nei piccolispazi chiusi: persone gravemente lese in que-sta area hanno gravi disturbi della parola e siperdono in casa propria mentre si orientano inuna foresta sconosciuta.

Accanto agli alimenti ottenuti per mezzodella caccia e della pesca, continuarono adessere mangiati prodotti vegetali spontanei,soprattutto frutti selvatici, bacche, tuberi,rizomi, bulbi, radici, germogli. Un prodottoparticolare, in realtà di origine animale, fu ilmiele selvatico, come illustrato da una pitturarupestre di Cueva de la Arana (Spagna).

Questo stile di vita parassitario, in cui l’an-tropoide si limitava a sfruttare le risorse pre-senti nell’ambiente, presupponeva una bassadensità di popolazione: meno di un individuoper km2, con gruppi non superiori a 25 indi-vidui. La varietà alimentare rappresentò laprincipale e decisiva innovazione rispetto agliorientamenti dietetici delle specie più vicineall’uomo nella scala zoologica, cioè le scim-mie.

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Le modificazioni corporee

Le innovazioni nutritive hanno favoritonegli ominidi alcuni importanti cambiamenti,indispensabili per la sopravvivenza e il miglio-ramento delle condizioni di vita.

La prima, grande modificazione è stata l’au-mento della capacità cranica con una cortecciacerebrale composta da 14 miliardi di neuronicontro i 3,5-3 miliardi del gorilla e dello scim-panzé (Rossi A, 2003). Questo aumento si èrealizzato anche per il miglioramento dellaqualità del cibo, perché la carne ha aiutato asviluppare un grande cervello (il cervello è ric-chissimo di AG polinsaturi omega 3 e di cole-sterolo), ed è stato accompagnato dalla ridu-zione delle necessità olfattive e dal decremen-to del prognatismo facciale. La conseguenzaanatomica è stata la modificazione dei denticanini, che hanno ridotto la loro sporgenza,con accorciamento delle mascelle, mentre neiPrimati i canini rappresentano fondamental-mente dei segnali di minaccia. I molari riman-gono molto sviluppati per la necessità di unaprolungata masticazione del cibo crudo e sonoscomparsi gli spazi interdentali (nel gorilla icanini sono separati dagli incisivi per alloggia-re i canini dell’arcata opposta) (Fig. 15). Ilforo occipitale del cranio è situato in basso, inmodo che il cranio poggi sulla colonna verte-brale. Il grande aumento della capacità cere-brale nell’uomo è stato permesso anche dalfatto che la testa in un bipede è allineata con ilbaricentro del corpo, mentre in un quadrupe-de è fuori asse e pende in avanti, sostenuta sol-tanto dai muscoli del collo (Figg. 14, 16).

L’altra grande modificazione è stata la tra-sformazione in bipedi o bipedismo (deambu-lazione in posizione eretta), con la colonnavertebrale sagomata a S. L’anatomia dei piediè profondamente cambiata con l’alluce perfet-tamente allineato alle altre dita, in modo dadare maggiore stabilità al cammino. Nono-stante questo, la posizione eretta è rimasta

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FIGURA 14Tipologie dei crani (di fronte e di profilo) della specie diHomo diffusesi nel mondo, dall’alto:- Homo erectus evoluto (Arago, Francia, 400.000 anni fa);- Homo sapiens arcaico (Petralona, Grecia, 250.000 anni fa);- Homo neanderthalensis (La Ferrassie, Francia, 50.000 anni

fa);- Homo sapiens (Cro-Magnon, Francia, 28.000 anni fa).La disposizione non implica relazioni filogenetiche e seguesolamente criteri temporali dal più antico reperto (in alto) alpiù recente (in basso)

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sostanzialmente poco stabile, come è dimo-strato dal fatto che lo stare diritti in piedi(sull’attenti) costringe a fare un considerevolesforzo coinvolgendo anche i muscoli dellaschiena, rimanendo comunque molto instabi-li. La nostra camminata è caratterizzata da unmovimento a pendolo, cioè dallo spostare unarto in avanti verso quello controlaterale,sostanzialmente per evitare la caduta in avan-ti, per cui in definitiva possiamo definirci deibipedi barcollanti. Gli arti inferiori si sonoaccresciuti, invertendo il rapporto di forzarispetto a quelli superiori, tipico dei Primati.La corsa inoltre è stata favorita dalla perditadel pelo (“la scimmia nuda” di D. Morris), cheha consentito una migliore termodispersionedel calore. Il camminare ha esposto i piedi aduna serie di aggressioni (pietre aguzze, fango,insetti, ecc.) (Fig. 16). Una delle prime preoc-cupazioni fu di proteggerli mediante scarperudimentali, inizialmente paglia o foglie esuccessivamente suole di cuoio ovale con una

rete di corde vegetali, imbottita di fieno, comedimostrano reperti di 9mila anni fa inCalifornia e dell’Uomo di Similaun in SudTirolo (Erik Trinkaus, Washington Univer-sity di SaintLouis) e quindi veri sandali dicuoio. Dopo di allora le scarpe si sono evolu-te fino agli stivali di pelle, acquisendo anchefunzioni e usi differenti per sesso e per età,per casa e per strada, per tipo di terreno e dilavoro, per il quotidiano e per l’occasione, uti-lizzando vari materiali, colori e fogge.

Il bipedismo ha favorito la liberazione degliarti superiori, che si sono sviluppati, divenen-do formidabili strumenti per la presa, inmodo da migliorare la raccolta del cibo e l’u-tilizzo ed il lancio di oggetti, ed anche la tra-smissione di informazioni al cervello (svilup-po del senso del tatto); la mano è dotata di unpollice molto più articolabile e completamen-te opponibile. La rappresentazione della mano(e anche del piede) a livello cerebrale risultamolto più grande delle dimensioni morfologi-

FIGURA 15Confronto tra l’arcata dentaria dell’uomo (sopra) e del gorilla (sotto). Si nota la grande differenza del canino

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che effettive (Homunculus) (Fig. 12).Altre condizioni indispensabili alla trasfor-

mazione in bipedi (Fig. 16) sono state la rota-zione e l’allargamento del bacino, che hannocomportato: 1) il raggiungimento di una ver-ticale che va dai talloni all’estremità cefalica,passando per l’articolazione coxo-femorale edil rachide a S; 2) la parallela riduzione dellemasse muscolari degli arti inferiori ed il mag-giore sviluppo dei muscoli glutei, che assicura-no una maggiore stabilità; 3) lo spostamentodella regione genitale in posizione inferiorenelle donne, in modo che l’uomo si trasformònell’unica specie, capace di avere rapporti ses-suali preferenzialmente in posizione frontale;4) il formarsi, al momento della nascita, di uncanale del parto stretto ed orientato in avanti;5) il nascondersi alla vista della regione vulva-re delle donne, che ha creato una discontinuitàcon le scimmie, che spesso utilizzano proprioquesta regione durante il periodo fertile del-l’ovulazione per lanciare segnali visivi aimaschi e stimolare l’accoppiamento.

L’ovulazione nascosta

Il ciclo femminile è rimasto incredibilmen-te un mistero anche per la scienza medica finoal 1930 circa. La stessa donna non è consape-vole del momento dell’ovulazione e, a compli-care le cose, la durata del ciclo mestruale spes-so varia da una donna all’altra, e da un cicloall’altro nella stessa donna. La gravidanza,quindi, è rimasta a lungo un fatto incompren-sibile per gli uomini, tanto da fare ipotizzareun intervento divino. Certo l’accoppiamentoera evidentemente necessario ed anche piace-vole, ma non spiegava perché soltanto alcunevolte era seguito da un successo. La “teoriadell’ovulazione nascosta” spiega perché da unlato la donna, a differenza di tutte le altre spe-cie di mammiferi, con l’eccezione forse deibonobi e dei delfini, doveva essere continua-mente recettiva all’accoppiamento e perché

dall’altro lato l’uomo è stato costretto adaccoppiamenti frequenti nella ricerca dellaprocreazione. Il sesso ha stabilito, quindi, rap-porti duraturi tra uomo e donna, che, in cam-bio della disponibilità sessuale, avrebbe rice-vuto aiuto per le necessità quotidiane e prote-zione per i piccoli, creandosi in tal modo lebasi della futura famiglia. Gravidanza e partorappresentavano per la donna, anche se incon-sciamente, un momento di eccezionale gravitàperché non sapevano se la gravidanza sarebbeiniziata e se sarebbe arrivata a concludersi feli-cemente, se il neonato sarebbe nato sano evitale, se la stessa donna sarebbe sopravvissuta(“… lei che affronta i tormenti della morte inogni vita nascosta nel suo grembo…” R.Kipling - La femmina della specie).

Il sesso per i Primati, invece, è limitato albreve periodo dell’ovulazione ed è un lussopericoloso, perché durante l’accoppiamentosono più facilmente esposti a predatori o riva-li, tanto che l’atto sessuale nella maggior partedei Primati è molto breve: nel gorilla 1 minu-to, nei bonobi 15 secondi, nello scimpanzé 7secondi e soltanto nell’orango arriva a 15minuti. Rapporti frequenti e monogamihanno obbligato gli esseri umani a stimolare lafantasia per ravvivare l’attrazione sessuale. Indefinitiva si è passati dal fulmineo accoppia-mento dello scimpanzé alla sessualità ed all’e-rotismo dell’uomo, come dal pasto crudo si èarrivati alla cottura del cibo ed alla gastrono-mia. Una conferma indiretta ci viene dal fattoche siamo dotati di organi sessuali vistosi,come le mammelle nella donna, che rimango-no sempre grandi, indipendentemente dall’al-lattamento (cfr. le “veneri” preistoriche), a dif-ferenza di tutti gli altri mammiferi, e il grandepene dell’uomo, nettamente più sviluppatorispetto ai Primati: nell’uomo mediamentecirca 12-13 cm contro 3 cm del gorilla, 4 cmdell’orango, 7-8 cm dello scimpanzé, tanto chegli antropologi parlano di “organi da parata”,analogamente alla coda del pavone o alla cri-

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FIGURA 16Confronto fra l’apparato muscolo-scheletrico del gorilla (sopra) e dell’uomo (sotto). Il bipedismo dell’uomo si caratterizzasoprattutto per la stazione eretta verticale con testa appoggiata sul collo, la rotazione del bacino, l’allungamento degli artiinferiori rispetto a quelli superiori, il rafforzamento dei muscoli glutei e la riduzione dei muscoli di coscia e gambe, ilrafforzamento dei muscoli del dorso, la presenza dell’arco plantare

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niera del leone. Un’altra differenza importanteè data dal fatto che l’uomo è l’unico mammife-ro che si apparti per l’accoppiamento (il sessoè un fatto privato), verosimilmente perché essoera diventato un’importante fonte di piacere; lasua visione avrebbe potuto creare tensioni erivalità nell’ambito del gruppo (l’uomo è sem-pre stato un animale sociale). Da tutto questosarebbe originato da un lato il “comune sensodel pudore” e dall’altro la notevole frequenzadel sesso extraconiugale, da parte maschile peraccrescere il numero di figli e da parte femmi-nile per migliorare la “qualità” dei figli, intro-ducendo elementi di varietà genetica (i geneti-sti considerano l’adulterio un “vantaggio” per laselezione naturale). Anche nell’adulterio ilcomportamento si differenzia nei due sessi: ladonna adultera tende, infatti, ad essere piùselettiva degli uomini adulteri (Diamond J,2006). In definitiva, il sesso ha rappresentatoun ulteriore elemento di differenziazionerispetto ai Primati e agli altri mammiferi, conimportanti risvolti personali e sociali.

L’enorme aumento dell’encefalo ha verosi-milmente comportato la nascita dei bambiniin epoca molto immatura, nonostante l’allun-gamento delle gravidanze, perché il parto inun periodo di sviluppo cerebrale analogo aquello dei Primati avrebbe comportato unapelvi ed un canale del parto irrealisticamentegrandi. La particolare immaturità del cervellodel neonato ha costretto i genitori a curare alungo la crescita e l’educazione dei loro figli:l’allattamento si protraeva per 3-4 anni e lecure parentali fino all’adolescenza. Unamemoria genetica di questo periodo è la par-ticolare sensibilità delle donne verso i sapori,soprattutto l’amaro, i cui geni sarebbero loca-lizzati nel cromosoma 5, allo scopo di proteg-gere il feto da quantità anche piccole disostanze tossiche alimentari, che frequente-mente hanno cattivo sapore, mentre la selezio-ne ha favorito gli uomini che si nutrivano difrutta dolce e di vegetali ad elevato valoreenergetico (frutta secca).

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Il pieno controllo del fuoco (II tappa dellastoria dell’alimentazione), avvenuto ad operadell’Homo Erectus circa 400 mila anni fa, harappresentato un enorme passo in avanti perché:a) ha permesso di sterilizzare con la cottura glialimenti, soprattutto la carne, allungandoneanche il tempo di conservazione;b) ha reso più masticabili e digeribili i vegetali(cereali e legumi);c) ha messo a disposizione una potente armaper cacciare e, contemporaneamente, per pro-teggersi dagli animali selvatici;d) ha permesso la vita in climi più freddi diquelli africani;e) ha combattuto il buio, causa di terrore per ilpericolo dei predatori notturni;f ) ha favorito il progresso tecnologico, parten-do dal bastone indurito e arrivando alla fusionedei metalli;

g) nel periodo agricolo, infine, il fuoco hamesso in condizione di praticare il disbosca-mento e la concimazione col sistema del“taglia-brucia”.

L’importanza maggiore del fuoco è stata,però, a mio avviso, legata alla possibilità di riu-nire insieme, attorno ad esso, i membri delgruppo, in modo da favorire la comunicazionetra loro (sviluppo del linguaggio articolato), loscambio di informazioni e l’acquisizione dinuovi dati, la produzione di nuovi strumenti (imaddaleniani hanno costruito l’ago con lacruna con uno spessore di un decimo di milli-metro, il che permetteva loro di cucire vestiariodi pelle e di pelliccia, sempre meglio isolanti epesanti rispetto a quelli dei neanderthaliani).La sacralità del fuoco è verosimilmente legataanche ad un altro aspetto controverso e dibat-tuto, cioè di permettere l’inalazione attraverso il

Addomesticamento del fuocoo seconda tappa della storiadell’alimentazione

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fumo di sostanze con effetti eccitanti. Secondonumerosi antropologi, l’uomo ha, fin dall’anti-chità, ricercato ed utilizzato sostanze psicoatti-ve, differenti a seconda della distribuzione geo-grafica e l’ambiente: nelle zone agricole si è dif-fuso l’uso di bevande alcoliche, nel Nord fogliedi semi di piante annue (papavero, hashish,tabacco, stramonio) mediante il fumo, al Suddelle zone agricole foglie e frutti stimolanti diarbusti perenni (cola, qat, caffè, te, betel, coca,ecc.) mediante masticazione (Sherrat A, 1995).Erodoto riferisce che gli Sciiti inalavano fumoprodotto da semi di hashish e di altri vegetaligettati su pietre roventi. In area europea era uti-lizzato papavero da oppio (Goodman J, 1995).Gli sciamani utilizzavano preferibilmente la viainalatoria, che è anche la più rapida ed efficace,essendo la superficie alveolare polmonare moltoestesa. L’utilizzo della marijuana a scopi medi-cali e ricreativi è riportato in diverse epoche sto-riche ed in differenti culture (Peters H, 1999).

La scoperta delle metodiche atte a conserva-re e ricreare il fuoco, strofinando l’una control’altra pietre di selce, fu vissuta dagli uominiquasi come un furto agli Dei di un loro segretoprezioso (mito di Prometeo). Platone nel Pro-tagora fornisce una suggestiva spiegazione aquesto mito: dopo avere plasmato gli animali“facendo una mescolanza di terra e di fuoco”, glidei affidarono al fratello di Prometeo, Epime-teo, il compito di distribuire loro le varie facoltànaturali. Questi assegnò ad alcune specie laforza senza velocità, ad altre la velocità senzaforza, ad altre diede le ali, ad altre peli folti epelli spesse; assegnò differenti cibi (erbe dellaterra, frutti degli alberi) e concesse ad alcune dipredare altre specie animali, stabilendo che ipredatori fossero poco prolifici e gli altri molto.Arrivato all’uomo, si accorse di avere esauritotutte le doti essenziali per la sopravvivenza,“mentre l’uomo era nudo, scalzo, scoperto einerme”. Prometeo ebbe pietà e pensò, allora, dioffrire all’uomo la sapienza tecnica, attraverso ilfuoco e le tecnologie ad esso associate, ed andò

a trafugarlo dalla dimora di Atena ed Efesto.“In tal modo l’uomo ebbe la sapienza tecnicanecessaria per la vita”, ma non ebbe la sapienzapolitica, perché questa era in mano a Zeus ePrometeo trovò sbarrate le porte dell’acropolidi Zeus.

L’importanza del fuoco era tale da sceglierealcune donne per dare loro l’incarico sacro diconservarlo (ad esempio le Vergini Vestali nel-l’antica Roma). Da allora il fuoco ha accompa-gnato sempre l’uomo, tanto che tuttora neimonumenti, sacrari, chiese o cerimonie solenni(ad esempio durante le Olimpiadi) sono accesefiamme perenni.

La dieta del Paleolitico

Sulla base dei reperti ossei e delle feci fossili(coproliti) e delle ricerche eseguite sugli uomi-ni preistorici, è ipotizzata un’alimentazionemista, comprendente numerosi cibi d’originevegetale ed animale, che cambiavano in base alterritorio e nel corso delle stagioni; recente-mente è stato riconosciuto un importante ruoloal pesce. La grande varietà dei cibi è sicura-mente molto vantaggiosa, perché permette disostituire facilmente gli alimenti carenti conaltri e poi sfrutta le diverse caratteristiche ali-mentari per completare l’assunzione deinutrienti, anche di quelli presenti in piccolequantità. Gli esempi più citati sono la supple-mentazione di aminoacidi essenziali negli ali-menti vegetali (ad esempio tra cereali e legumi)o tra cereali e cibi animali e il ruolo svolto davitamine (A, B

6, C, E) e da alcuni minerali

(ferro, zinco, selenio) nelle difese immunitariecontro le infezioni. Un altro aspetto spesso tra-scurato è rappresentato dal fatto che la varietàpermetteva la diluizione delle sostanze tossichee dannose, che rimaneva bassa in un mondo incui gli alimenti non erano stati sensibilmentemodificati dall’uomo. Sebbene la dieta nonfosse universalmente omogenea, essa in mediaconteneva un’alta quota di proteine, la maggior

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parte delle quali da carni rosse con soltanto il4% di grasso rispetto al 7-19% delle carniattuali. I grassi fornivano il 20-25% dell’interoapporto energetico con un’elevata quota di acidigrassi polinsaturi (28%) ed un rapporto trapolinsaturi e saturi di 1,41, rispetto allo 0,44presente oggi negli USA (Eaton SB, 1997;Eaton SB, 1985). I carboidrati assicuravano il50% delle calorie, delle quali il 20-25% deriva-va da frutta e vegetali crudi con grande appor-to di fibre (Fig. 17). Questo tipo di alimenta-zione è stata per lungo tempo predominante eha indubbiamente influenzato le caratteristiche

genetiche umane (impronta genetica), indiriz-zando e condizionando il nostro metabolismoverso questi consumi alimentari. Il confrontotra l’alimentazione del Paleolitico in America equella attuale evidenzia grandi differenze nel-l’apporto giornaliero anche di vitamine e mine-rali: rispettivamente, proteine 33 vs 12-14%;grassi 20-25 vs >30%; grassi saturi 6 vs 14%;folato 300-400 mcg vs 150-200 mcg; vit. B6 3mg vs 1,5 mg; vit. B12 15 mcg vs 9 mcg; vit. C600 mg vs 77-109 mg; fibre 100 g vs 10-20 g;sodio 0,7 g vs >6 g (McKully KS, 2001).

FIGURA 17Apporto di cereali e di fibre (su scala logaritmica), nel corso del tempo, in Europa e Medio Oriente, nella dieta partendo dalcacciatore-raccoglitore ad oggi

2

4

6

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106 105 104 103 102 10 0

%C

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UTO

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OSO

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EALI

CACCIATORI - RACCOGLITORI

AGRICOLTURA NEOLITICA

DIFFUSIONE COLTIVI DEL NUOVO MONDO

RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

AFFERMAZIONE COLTIVI DEL NUOVO MONDO

MACINAZIONE CON RULLI DI ACCIAIO

ESTRAZIONE E DEPURAZIONE

SetariaBrassicaAmaranthusChenopodiumRumexPanicumPolygonumPlantago

Farro piccolo

Farro grande

MiglioGranoOrzo

Patate - Patate dolci

Zea - mais (3,1-4,0)

Pane di segale (0,5)Pane bianco (0,15-0,24)

ANNI DA OGGI

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La selezione genetica

Durante il processo evolutivo l’alimentazione el’attività fisica hanno indubbiamente influen-zato l’espressione genetica e hanno contribuitoa modellare il genoma umano (cfr. PartePrima). È stato dimostrato che molti nutrien-ti, come vitamine ed antiossidanti, possonoinfluire sull’attività di specifici geni, con mec-canismi diversi, agganciandosi a determinateproteine. Gli acidi grassi omega 3 sopprimonoo fanno diminuire l’mRNA di un’interleuchi-na, che è elevata nell’aterosclerosi, nell’artrite ein altre malattie autoimmuni, mentre gli acidigrassi omega 6 non svolgono questa azione(Simopoulos AP, 2001). Un altro esempio è ilrapporto tra i folati e le malattie cardiovascola-ri: una singola mutazione genica riduce l’atti-vità di un enzima implicato nel metabolismodei folati (MTHFR), associato con un mode-

rato aumento (20%) dell’omocisteina sierica econ un elevato rischio sia di cardiopatia ische-mica sia di trombosi venosa profonda (WaldDS, 2002). Infine è stato recentemente scoper-to che il CoQ

10influenza l’espressione dei geni

coinvolti in funzioni di segnale a livello di varietappe del metabolismo (Groneberg DA,2005). I geni definiscono la predisposizionealle malattie, mentre i fattori ambientali deter-minano quali individui suscettibili sviluppe-ranno la malattia. Secondo la teoria detta“Common Disease/Common Variant”, la basegenetica di determinati comportamenti sareb-be costituita da un numero relativamente limi-tato di mutazioni a bassa penetranza; ognunadi queste varianti sarebbe abbastanza frequen-te nella popolazione normale ed il combinarsidi più forme alle eliche “negative” sarebbe labase della suscettibilità ad una condizionepatologica. Gli alleli responsabili si sarebbero

Il fenotipo risparmiatore(thrifty phenotype)

Non credo che l’uomo abbia grandi capacità dievolversi.Ha fatto quel che ha potuto, e non è stato granchè.

Oscar Wilde

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generati prima della dispersione degli uomini epotrebbero essere stati selezionati positiva-mente in ambiente antico (Cocozza S, 2005).Nell’arco di tempo durato milioni di anni,caratterizzato da frequenti periodi di “digiu-no”, intervallati da saltuarie “abbuffate”, gliantropoidi, prima, e l’Homo sapiens, poi,hanno sviluppato una straordinaria capacità diadattamento fisiologico e selezionato moltepli-ci meccanismi genetici indirizzati alla capacitàdi immagazzinare energia sotto forma di gras-so (gene “del risparmio” o “thrifty phenotype”),favorendo la sopravvivenza e l’affermarsi deisoggetti più dotati di questa capacità, in gradoquindi di sopportare meglio i periodi di care-stia (Hill JO, 2003; Neel JV, 1962).

Il gene del risparmio e l’obesità

Risulta evidente, quindi, che se cambiano lecondizioni socioeconomiche di una popolazio-ne, soprattutto dei Paesi in via di sviluppo, èpossibile l’improvvisa esposizione di un corre-do genetico predisponente alle malattie croni-che. La teoria del gene del risparmio è statasviluppata sulla base di numerosi studi sullemigrazioni e sull’occidentalizzazione dello stiledi vita nei Paesi in via di sviluppo. In Micro-nesia (isole Nauru) e in Polinesia (WesternSamoa) la prevalenza di obesità ha superatol’80% della popolazione in stretto collegamen-to con il cambiamento dello stile di vita (Sei-dell JC, 2002). Gli indiani Pima, una tribù ori-ginaria del Canada, trasferitesi nel XVIII seco-lo a Sud, stabilendosi in una regione che suc-cessivamente è stata separata dal confineUSA-Messico, hanno assistito ad un destinoprofondamente differente. I Pima residenti inArizona (USA) hanno da alcuni decenni adot-tato uno stile di vita simile agli altri statuniten-si, caratterizzato dal consumo prevalente di ali-menti ad alta densità energetica, ricchi in gras-si saturi e zuccheri semplici, e dalla ridotta atti-vità fisica, mentre i loro parenti, residenti in

Messico sulle rive del fiume Maycoba, hannoconservato abitudini tradizionali. Gli ultimidati rivelano che il 75% dei Pima “statuniten-si” è obeso e il 50% diabetico con una preva-lenza molto più elevata rispetto ai loro parenti“messicani” ed anche rispetto al resto dellapopolazione generale statunitense (Fig. 18). InNigeria i valori medi di BMI (Body MassIndex) per gli uomini e per le donne sono 21,7e 22,6; i nigeriani trasferiti negli USA hannovalori medi di BMI pari a 27,1 per gli uominie 30,8 per le donne (Seidell JC, 2002). Simil-mente negli aborigeni canadesi Oji Cree, resi-denti nel Sandy Lake Reserve, nel ventennio1980-2000 si è verificato un aumento di trevolte della patologia coronarica, a seguito delprofondo cambiamento dello stile di vita tradi-zionale. L’esplosione di queste patologie sareb-be verosimilmente legata proprio alla presenzadi un’impronta (imprinting) genetica, selezio-nata nei millenni per le difficili condizioni divita e svelata recentemente dal rapido e radica-le mutamento delle condizioni ambientali.Accanto alle variazioni dietetiche, la sedenta-rietà ha forse la parte più importante. All’ini-zio del Novecento il 50% della popolazionedegli USA e l’80% di quella italiana lavorava-no in agricoltura, mentre oggi le percentualisono scese al 5%. Il fattore etnico, su basegenetica, incide notevolmente (dal 30 al 70%)(Bouchard C, 1988; Rankinen T, 2002; DoveA, 2001) sulla prevalenza di obesità: negli Usail 22% delle donne di ceppo europeo sonoobese contro il 30% delle donne afro-america-ne e il 34% delle donne messico-americane.Anche l’aspetto sociale riveste grande impor-tanza, perché l’idea che mangiare poco fa bene,può essere compresa soltanto da chi mangiamolto: nei Paesi industrializzati sovrappeso edobesità sono più diffusi tra le classi menoistruite e con minori entrate economiche; inGran Bretagna l’obesità colpisce il 10,7% delledonne nelle classi sociali più elevate e il 25% inquelle più basse (Seidell JC, 2002). Negli USA

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FIGURA 18Confronto tra lo stile di vita degli Indiani Pima del ramo “statunitense” e di quello “messicano” e relative conseguenzemetaboliche: i Pima “statunitensi” sono, in media, nettamente più obesi e più diabetici rispetto ai loro parenti, che vivono inMessico e che hanno conservato abitudini e stili di vita tradizionali, ed anche rispetto al resto della popolazione statunitense

Prevalenza didiabete di Tipo 2 (%)

50% effetti da diabete di tipo 2

75% sovrappesoo obesi

Età (anni)

Donne Pima

Uomini Pima

Donne Usa

Uomini Usa

Indiani Pima

Cibi ricchi di grassianimali e glucidi

Vita sedentaria

Numero esiguodi persone affetteda diabete di Tipo

2 o obese

Stile di vita tradizionale

Dieta poveradi grassi animali

Attivita fisica

100

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60

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020-44 45-54 55-64 65-74

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il fenomeno raggiunge livelli eclatanti: a NewYork la 96a strada rappresenta l’invisibile barrie-ra di due mondi, con i bianchi che costituisco-no l’84% degli abitanti e con soltanto il 6,2% diindigenti nella zona a Sud e con neri e ispaniciche rappresentano 88% degli abitanti e con38% di indigenti nella zona a Nord; a Sud gliobesi hanno una prevalenza del 7% e i diabeti-ci dell’1%, mentre a Nord sono obesi 31% ediabetici 16% degli abitanti (Gaggi M, 2006).L’eccesso di queste patologie negli afro-caraibi-ci non dovrebbe, quindi, essere visto come ere-ditario ed inevitabile, ma dovrebbe essere trat-tato come modificabile e prevenibile medianteinterventi sullo stile di vita, l’esercizio fisico,l’assunzione di sale e la prevenzione dell’obesità(Kalra L, 2006).

La malnutrizione prenatale

Una preoccupante ipotesi suggerisce che lamalnutrizione prenatale per denutrizione dellemadri potrebbe predisporre all’obesità ed apatologie metaboliche. Secondo un rapportodell’ONU del 1999, ogni anno, 20 milioni dineonati (16% dei nati vivi) sono sottopeso allanascita e questi bambini, che nascono affama-ti, possono sfuggire alle malattie della povertàper morire di una malattia dell’abbondanza(Barker DJ, 1998; Barker DJ, 2002; ErikssonJG, 2003; Rosenboom TJ, 2000). Questa ipo-tesi mette in evidenza l’abilità degli organismiin fase di sviluppo di rispondere ai cambi dicondizioni ambientali modificando la tagliadel corpo, la struttura ed i processi di control-lo omeostatico. Dato che l’embrione ed il fetonon possono avvertire direttamente l’ambienteesterno, i meccanismi di trasmissione sono tra-smessi dalla madre, via placenta, e comprendo-no ormoni, come i glucocorticoidi, e gli stessinutrienti come glucosio ed ossigeno. Le rispo-ste evocate in questo concetto sono parte diuno spettro di risposte predittive adattative(PARs). Se la predizione è corretta, PARs

dovrebbero conferire un vantaggio di maggio-re sopravvivenza. Se la predizione è inappro-priata, il rischio postnatale di patologie è mag-giore. L’esempio più chiaro di risposta di PARsè proprio il fenotipo risparmiatore, basso pesoalla nascita con ridotta massa muscolare sche-letrica e bassa densità capillare nei muscoli eobesità viscerale e tendenza alla resistenzainsulinica. Quando questi individui si ritrova-no in un ambiente ipercalorico/ ridotto consu-mo energetico, è facile che s’instauri l’obesitànell’infanzia-adolescenza. I processi sottostan-ti PARs forzerebbero il normale contenimentomaterno della crescita fetale: abitualmente glialleli materni avrebbero un’azione di conteni-mento nella curva di crescita fetale, in contrap-posizione agli alleli paterni. Il contenimentodella crescita interverrebbe sempre nella nor-male gravidanza, sebbene sia accentuato nelleprimipare, nei gemelli e nella gravidanza ado-lescenziale. L’ipotesi è che tutto questo derividalla stazione eretta: una volta adottato il bipe-dismo, la rotazione del bacino porterebbe adun contenimento della crescita intrauterina,per evitare rischi di morte della madre, almomento del parto. Una seconda ipotesi è cheil contenimento dello sviluppo intrauterino e laPARs preparerebbero alla difficile situazioneambientale del cacciatore-raccoglitore edindurrebbero un deposito preferenziale digrasso addominale in risposta al pasto. Ricer-che su ratti rivelano che una restrizione diete-tica durante la gravidanza porta ad un quadrosimile all’uomo (ipertensione, disfunzioneendoteliale, ridotta tolleranza glucidica), maanche preferenza per la dieta cosiddetta “caf-fetteria” (hamburger, patatine fritte, salsine,cole, ecc.), obesità, ridotta attività fisica. Indefinitiva il grasso addominale, riserva energe-tica umana, somiglierebbe alla gobba del cam-mello, piazzata in modo da non impedire ilmovimento e non interferire con la termorego-lazione (Hanson M, 2003).

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La magrezza costituzionale

Questione speculare è la magrezza costitu-zionale o resistenza all’obesità, che può esseredefinita come il non diventare obesi anche seesposti sperimentalmente a diete ipercalorichee iperlipidiche (Levin B, 1989). Nessun magrocostituzionale diventa obeso neanche in lunghiperiodi di osservazione (Nakatsuka H et al,1989). I fattori chiamati in causa sono molte-plici, ma comunque la magrezza non è correla-ta con l’attività sportiva o il fitness, mentre, alcontrario, lo è con il fidgeting (elevata attivitàfisica involontaria) (Levine JA et al, 2000).Questa, definita anche come “termogenesi nonda esercizio fisico” (nonexercise activity ther-mogenesis, NEAT), esprime tutte quelle atti-vità fisiche, che si praticano nel corso dellagiornata, come il muoversi continuamente, lecontrazioni muscolari spontanee e il mantene-re la postura e potrebbe spiegare il non ingras-sare di alcuni soggetti, considerato che l’ipera-limentazione è compensata dall’aumentatodispendio energetico quotidiano. Altri fattorisono stati considerati: rapporto favorevolemassa magra-massa grassa, efficaci processi disaziamento-sazietà (satiation-satiety, la satia-tion determina la fine del singolo pasto, lasatiety regola la frequenza dei pasti), elevatometabolismo basale, ridotta preferenza per cibiad alta densità energetica. In realtà tutti questielementi possono a loro volta ricollegarsi aiprocessi di regolazione dell’apporto calorico alivello mesencefalico-ipotalamico del SNC(cfr. capitolo “I grassi”).

Il sale

“Il sale della tua alleanza con Dio;con ogni tua offerta dovrai portare sale”

Levitico, 2:13

Un altro aspetto dello stile di vita dell’uomopreistorico che ci condiziona ancora oggi è

quello collegato al consumo di cloruro di sodio(il comune sale da cucina). Il sodio è il piùimportante soluto extracellulare, per cui un suoaumento determina un aumento conseguentedell’acqua trattenuta nell’organismo per man-tenere costante la sua concentrazione; abitual-mente l’organismo di un uomo medio contie-ne da 60 a 80 g di sodio. Il sodio, sebbene inpercentuali diverse, è contenuto in quasi tuttigli alimenti, indipendentemente dal fatto cheabbiano o meno un gusto salato, ed è facil-mente assorbito dall’intestino per l’azione con-temporanea di sistemi di cotrasporto che coin-volgono altre molecole e per l’azione combina-ta della sodiopotassio-ATPasi, enzima abbon-dantemente rappresentato sulle membranebasocellulari degli enterociti. L’escrezioneavviene con le feci, il sudore, la saliva, il lattematerno e soprattutto le urine. L’eliminazionedel sodio con le urine è regolato da un com-plesso sistema: il sodio è filtrato liberamentedal glomerulo e riassorbito a livello del tubulo;tutto questo regolato dal sistema renina-angio-tensina-aldosterone e dal peptide natriureticoatriale. Contribuisce all’osmolarità del plasmae del liquido intracellulare, influenza la pres-sione arteriosa, forma gradienti elettrochimicia livello delle membrane cellulari.

La necessità del foraggiamento costringeva icacciatori-raccoglitori ad essere grandi cammi-natori e corridori. Queste elevate prestazionimuscolari sono state favorite dalla perdita delpelo (la “scimmia nuda” di D. Morris), che haconsentito una migliore termodispersione delcalore a spese di una maggiore e più diffusasudorazione rispetto ai Primati e agli altrimammiferi. La conseguente ed inevitabile per-dita con il sudore di quantità abbondanti diminerali, in particolare di sodio, hanno selezio-nato linee genetiche che più erano capaci di“risparmiare” il sodio e hanno spinto l’ominidea ricercare il sale negli alimenti (è evidente lasimilitudine tra le parole sale e salute). L’appe-tito per il sodio divenne importante per la

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sopravvivenza. Una traccia genetica è rappre-sentata dal fatto che il gusto salato è tutt’orauno dei quattro gusti fondamentali ed è ilmaggior stimolatore dell’appetito. Tra i mam-miferi, gli erbivori posseggono abilità innate eacquisite nel cercare, trovare e ricordare i depo-siti naturali di sale, come rocce salate, che lec-cano avidamente; i carnivori si radunavano neimedesimi luoghi per attaccare gli erbivori e gliuomini allevatori si stabilirono vicino ai luoghigraditi alle greggi. Anche nel periodo successi-vo (uomo agricoltore-allevatore) il lavoro deicampi ha comportato profuse sudorazioni,spingendo le popolazioni non solo a cercarema anche a “produrre” sale, con la costruzionedelle saline, anche per la necessità di conserva-re gli alimenti. Molte città sorsero vicino adelle saline o miniere di salgemma. Il sale eraraccolto tramite evaporazione solare o bollitu-ra: i Maya usavano l’evaporazione 2mila annifa; i Celti avevano una fiorente industria delsale 3mila anni fa. Il commercio del sale èmolto antico: Gerico era un sito di commerciodel sale già 10mila anni fa. Le vie del traspor-to erano i fiumi ed anche strade costruiteappositamente come la via Salaria dei Romani.Gli stati hanno spesso imposto un monopoliodel sale, già dimostrato 2mila anni fa in Cina ehanno tratto notevoli fondi da queste gabelle.Nei secoli si sono susseguite rivolte contro letasse sul sale, di cui la più famosa è quella dellamarcia del sale di Gandhi, in India, nel 1930.Soltanto da alcuni decenni il sale è disponibilea prezzi irrisori (salario è tuttora il termine perindicare la ricompensa per il lavoro prestato),ed è stato utilizzato dalla ristorazione e dall’in-dustria agro-alimentare, per la preparazione sularga scala di prodotti alimentari “salati”, tra-scurando altri mezzi, quali erbe e spezie, utiliz-zati tradizionalmente per insaporire i cibi.Oltre tutto, si manifesta spesso un’assuefazioneal sapore salato per cui c’è la tendenza adaumentare progressivamente le dosi.

In realtà oggi c’è un abuso del comune sale

da cucina. In condizioni normali il nostroorganismo elimina giornalmente da 0,1 a 0,6 gdi sodio ed ogni giorno l’adulto italiano inge-risce in media circa 10 g di sale (cioè 4 g disodio), quindi molto più (quasi dieci volte) diquello fisiologicamente necessario. Il processodi urbanizzazione porta ad un progressivoabbandono delle abitudini alimentari contadi-ne, caratterizzate da poco sodio e molto potas-sio, verso diete di tipo industriale con moltosodio e poco potassio. Un consumo eccessivodi sale può favorire l’instaurarsi dell’ipertensio-ne arteriosa, soprattutto nelle persone predi-sposte (soggetti sale-sensibili), ed elevatiapporti di sodio aumentano il rischio per alcu-ne malattie del cuore, dei vasi sanguigni e deireni, sia attraverso l’aumento della pressionearteriosa sia indipendentemente da questomeccanismo. Un elevato consumo di sodio èinoltre associato ad un rischio più elevato ditumori dello stomaco, a maggiori perdite uri-narie di calcio e quindi, probabilmente, ad unmaggiore rischio di osteoporosi. All’oppostouna carenza prolungata e marcata di sodio puòcomportare gravi rischi per la salute. D’altron-de, ridurre troppo l’apporto di sale può favori-re una condizione d’inappetenza, capace dicreare un rischio di malnutrizione, ad esempionel soggetto anziano. Studi recenti hanno con-fermato che un consumo medio di sale al disotto di 6 g al giorno, corrispondente ad un’as-sunzione di circa 2,4 g di sodio, rappresenta unbuon compromesso tra il soddisfacimento delgusto e la prevenzione dei rischi legati al sodio.Le fonti di sodio nell’alimentazione sono divaria natura: il sodio contenuto allo stato natu-rale negli alimenti (acqua, frutta, verdura,carne, ecc.); il sodio contenuto nel sale aggiun-to nella cucina casalinga o a tavola; il sodiocontenuto nei prodotti trasformati (artigianalie industriali). Tra i prodotti trasformati, anchese la principale fonte di sale nella nostra ali-mentazione abituale è rappresentata dal pane edai prodotti da forno (biscotti, crackers, grissi-

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ni, ma anche merendine, cornetti e cereali daprima colazione), perché sono consumati tuttii giorni e in quantità elevate, la quota più“incriminata” è rappresentata dagli insaccati,dai formaggi, dalle conserve di pesce o dallepatatine fritte, che sono consumati in quantitàminori ma in assoluto contengono maggiori

quantità di sale. Un’altra importante fontederiva dai condimenti aggiunti ai piatti, siadirettamente, per esempio con l’aggiunta disale su una bistecca o sull’insalata, sia, semprepiù spesso, a causa del sodio contenuto in salsecome la senape o il ketchup o nei dadi perbrodo.

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All’improvviso, circa 30mila anni fa, duran-te l’ultima glaciazione, sono comparse leprime creazioni artistiche che possiamo divi-dere in due forme diverse: piccole sculture oincisioni raffiguranti animali o donne e vivacipitture di animali.

Nella prima fase (30-27mila a.C.) si trattadi incisioni schematiche; tra 25 e 18mila a.C.sono comparse figure animali tracciate inmodo schematico (la Dama del Corno, riparodi Laussel) e le impronte negative delle mani(grotta di Gargas). Numerosi oggetti in ossodel Paleolitico superiore presentano incisioni eserie di tacche, che sono state dapprima inter-pretate quasi come un registro di caccia, mache analizzati al microscopio hanno mostratouna singolare complessità. La sequenza coin-cide con le fasi e con i mesi lunari e rappre-sentano verosimilmente dei calendari lunari,indispensabili per conoscere il passare delle

stagioni e prevedere il passaggio migratoriodelle mandrie di animali selvatici. L’industrialitica maddaleniana è assai ricca come lamesottili e ritoccate; sono presenti strumenti inosso di corna di cervidi e più raramente inavorio, spesso decorati di belle incisioni e scul-ture. Le figure antropomorfe sono rare, men-tre i maddaleniani preferivano le riproduzionid’animali (teste di cavallo del Mas d’Azil,bisonti d’argilla del Tuc d’Audubert, la testad’orso in pietra d’Isturitz, le due renne d’avo-rio di Bruniquel, lo stambecco d’avorio delMas d’Azil). Le “veneri” sono piccole statuet-te in pietra, osso o avorio, di altezza fino a 20-22 cm, rappresentanti figure femminili inposizione eretta; caratteristica comune è l’esa-gerazione delle zone sessuali, mammelle ebacino. L’ipotesi più accreditata è che si trattidi amuleti a carattere propiziatorio della pro-creazione. Esemplare è la venere di Willen-

L’uomo preistorico e l’arte:i Maddaleniani

Respice finem (rifletti sulla fine)

Solone

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La venere di Svignano

Bastone forato del Maddaleniano

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dorf (23mila a.C., Vienna, NaturhistorischesMuseum). Accanto a queste, esistono statuinecome la Dama di Brassempouy (23mila a.C.,Saint-Germain-en-Laye, Musee des Antiqui-tees Nationales), che per la precisione dei par-ticolari del viso deve essere considerata unvero ritratto.

I maddaleniani hanno utilizzato il colore incaverne e ripari sottoroccia in una area geo-grafica ben delimitata, il Perigord e i Pireneidel Sud-Ovest della Francia e la regione can-tabrica nel Nord della Spagna: grotta diLascaux in Dordogna Francia, 15-14milaa.C., grotta di Niaux, Ariege Francia, 21-15mila a.C., riparo di Laussel, Dordogna,Francia, 20mila a.C., grotta di Gargas,Haute-Pyrenees, Francia, grotta di Pech-Merle, Lot, Francia, grotta di Altamira, Spa-gna, 13-11 a.C. Appendici di pitture rupestrisi ritrovano nel Sahara (Tassili-n-Ajjer), nel

Tibesti (Ciad) ed in alcune località italiane.Le pitture sono monocrome o policrome e

rappresentano animali e scene di caccia. Sonoraffigurati prevalentemente animali comemammut, bisonti, renne, cavalli, cervidi, cheda soli rappresentano la maggioranza dellefigure. Le pitture e le incisioni non sono maistate eseguite nelle caverne abitate dall’uomo,ma dentro grotte profondissime, nelle qualinon giungeva mai la luce, raggiungibili soloattraverso gallerie strettissime, corridoi imper-vi, strisciando e sorpassando veri baratri. L’i-potesi più probabile è che fossero dei luoghisacri, in cui si svolgessero riti propiziatori allaluce di fumose lampade di pietra a scopo pro-piziatorio per la caccia. Secondo alcune teorie,si tratta di raffigurazioni sotto l’influenza didroghe ad attività psicotropa (in Europa l’A-manita Muscari, in Africa la Cannabis Indi-ca), per cui le pitture sarebbero narrazioni di

Venere di Lespugue alt. 10-12 cm. 20.000 a.C. Grotta “Trois Freres”

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Due pitture parietali della celebre grotta spagnola di Altamira

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viaggi sciamanici nel mondo dello spirito.Altri autori hanno proposto la copiatura delleombre proiettate sulle pareti rocciose, soprat-tutto mani, come origine dell’arte rupestre.

Nella grotta di Lascaux, lungo 250 metricon un dislivello di 30 metri, strutturata conuna serie di gallerie e di ambienti, sono raffi-gurate bellissime immagini di tori, cavalli,cervi e raramente uomini. I colori adoperatierano il nero per delineare i contorni e ocra,rosso e giallo con varie tonalità per le figure.Le scene mostrano animali feriti ed impres-sionano per la precisione anatomica, la curadei dettagli, l’esattezza della prospettiva. Letecniche differivano, partendo dal sempliceuso del dito, di un aculeo o di una punta dilegno. I pigmenti usati erano il carbone, lapolvere di argilla, coloranti vegetali e mineralicon l’uso di materiali come leganti (urina, san-gue, grassi animali, latte, succhi di piante). Lagrotta di Chauvet, dal nome dello scopritore,rappresenta l’ultimo grande ciclo di pitturerupestri, scoperto nella regione del fiume Are-che (Francia meridionale). I dipinti, risalential 20.000-17.500 a.C., rappresentano variescene o cicli (dei cavalli, dei leoni), con teste dicavalli, di uri, di leoni, di rinoceronti lanosi,tracciati con la successione di più profili, quasi

Bastone forato del Maddaleniano

Incisioni su osso di età maddaleniana (grotta di La Mairie).Corno di stambecco scolpito

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con l’intenzione di dare una visione spaziale.Con la fine del Paleolitico la civiltà madda-

leniana, con le sue bellissime pitture, scompa-re. Con il Neolitico le espressioni artistichesono rappresentate da statuette in argilla opietra o rilievi rappresentanti divinità femmi-nili e maschili a carattere religioso. Tra 5 e2mila anni a.C. è comparso il Megalitismo,cioè strutture composte da grandi blocchi dipietra: singoli blocchi allungati conficcati nelterreno (menhir), camere composte da dueblocchi verticali e un architrave di copertura(dolmen), che a loro volta possono articolarsiin strutture più complesse, di cui l’esempio piùnoto è Stonehenge. Il significato può essere

differente: pratiche religiose, sepolture, osser-vazioni astrologiche e astronomiche, fino araggiungere funzioni abitative e di difesacome nei nuraghi sardi.

Comunque rimane il mistero su come e per-ché i maddaleniani raggiunsero così elevatilivelli artistici, una meteora che ricorda altriillustri periodi storici di eccezionale fulgore,come Atene classica, Firenze rinascimentale,Parigi ottocentesca.

Un altro interessante aspetto della psicolo-gia del maddaleniano è la pietà per i defunti.Le pratiche funerarie, che sono già comparseprecedentemente, assumono particolare evo-luzione: le sepolture sono curate, i cadaveri

Dama del Corno (20mila a.C.).Riparo di Laussel, Dordogna, Francia

Arte Paleolitica “Venere di Willersdorf”.10.000 a.C.

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dipinti in rosso e provvisti di un rudimentalecorredo funebre.

La preoccupazione di rifornire i defunti ditutto il necessario, per affrontare nel miglioredei modi la vita ultraterrena, dimostra chequesti nostri antenati avevano paura dellamorte, credevano nell’Aldilà e si ponevano

umanamente il problema del senso dell’esi-stenza: chi siamo, dove andiamo. In definitival’uomo è l’unica forma di materia vivente cheriesca a concepire il Divino, mentre nessunaspecie animale sente l’esigenza di capire leLeggi Fondamentali della Natura.

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