Alfeev, I., La Forza Dell'Amore, Magnano, Qiqajon, 2003

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Nella stessa collana SPIRITUALITÀ ORIENTALE P. Deseille, Il vangelo nel deserto. Un itinerario di spiritualità G. Bunge, La paternità spirituale. Nel pensiero di Evagrio G. Bunge, Vino dei draghi e pane degli angeli. Dall'ira alla mitezza I. Hausherr, Philautia. Dall'amore di sé alla carità Ignazio e Teodosio di Manjava, Sottomessi all'evangelo. Vita di Iov di Maniava, Testamento di Teodosio, Regola dello skytyk Paisij Velickovskij, Autobiografia di uno starec S. Salvestroni, Dostoevskii e la Bibbia P. Evdokimov, Serafim di Samv, uomo dello Spirito N. Arseniev, V. Lossky, Padri nello Spirito. La paternità spirituale in Russia ]. B. Dunlop, Amvrosii di Optina P. A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro Matta el Meskin, L'esperienza di Dio nella preghiera Matta el Meskin, Comunione nell'amore AA.VV., Paisii, lo starec AA.VV., San Serafim: da Sarov a Diveevo AA.VV., Silvano dell'Athos Invieremo gratuitamente il nostro Catalogo generale e i successivi aggiornammti a quanti ce ne faranno richiesta. AUTORE: Ilario n Alfeev CURATORE: Riccardo Larini, monaco di Base TITOLO: La forza dell'amore SOTTOTITOLO: L'universo spirituale di !sacco il Siro COLLANA: Spiritualità orientale FORMATO: 20 cm PAGINE: 384 PREFAZIONE: Kallistos (Ware), vescovo di Diokleia TITOLO ORIG.: L'univers spirituel d'Isaac le Syrien, Abbaye de Bellefontaine, Bégrol- les-en-Mauges 2001 TRADUZIONE: dal francese a cura di Augusto De bave IN COPERTINA: !sacco il Sim, miniatura (1389), particolare, Codice Mosca, Biblioteca statale di Russia © 2003 EDIZIONI QIQAJON COMUNITÀ DI BOSE 13887 MAGNANO (BI) Te!. ors.679.264- Fax ors.679.290 ILARION ALFEEV LA FORZA DELL'AMORE L'universo spirituale di !sacco il Siro EDIZIONI QIQAJON COMUNITÀ DI BOSE

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Nella stessa collana SPIRITUALITÀ ORIENTALE

P. Deseille, Il vangelo nel deserto. Un itinerario di spiritualità G. Bunge, La paternità spirituale. Nel pensiero di Evagrio G. Bunge, Vino dei draghi e pane degli angeli. Dall'ira alla mitezza I. Hausherr, Philautia. Dall'amore di sé alla carità Ignazio e Teodosio di Manjava, Sottomessi all'evangelo. Vita di Iov di Maniava,

Testamento di Teodosio, Regola dello skytyk Paisij Velickovskij, Autobiografia di uno starec S. Salvestroni, Dostoevskii e la Bibbia P. Evdokimov, Serafim di Samv, uomo dello Spirito N. Arseniev, V. Lossky, Padri nello Spirito. La paternità spirituale in Russia ]. B. Dunlop, Amvrosii di Optina P. A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro Matta el Meskin, L'esperienza di Dio nella preghiera Matta el Meskin, Comunione nell'amore AA.VV., Paisii, lo starec AA.VV., San Serafim: da Sarov a Diveevo AA.VV., Silvano dell'Athos

Invieremo gratuitamente il nostro Catalogo generale e i successivi aggiornammti a quanti ce ne faranno richiesta.

AUTORE: Ilario n Alfeev CURATORE: Riccardo Larini, monaco di Base TITOLO: La forza dell'amore SOTTOTITOLO: L'universo spirituale di !sacco il Siro COLLANA: Spiritualità orientale FORMATO: 20 cm PAGINE: 384

PREFAZIONE: Kallistos (Ware), vescovo di Diokleia TITOLO ORIG.: L'univers spirituel d'Isaac le Syrien, Abbaye de Bellefontaine, Bégrol­

les-en-Mauges 2001

TRADUZIONE: dal francese a cura di Augusto De bave IN COPERTINA: !sacco il Sim, miniatura (1389), particolare, Codice Mosca, Biblioteca

statale di Russia

© 2003 EDIZIONI QIQAJON COMUNITÀ DI BOSE 13887 MAGNANO (BI)

Te!. ors.679.264- Fax ors.679.290

ILARION ALFEEV

LA FORZA DELL'AMORE

L'universo spirituale di !sacco il Siro

EDIZIONI QIQAJON COMUNITÀ DI BOSE

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PREFAZIONE

Ricordo peifettamente il giorno in cui mi imbattei per la prima volta nel nome di [sacco il Siro, circa quarant'anni fa. Scorrendo un'antologia divulgativa, in margine a una citazione di Spinoza les­si queste parole di Isacco: "Cbe cos'è un cuore misericordioso? ... È un cuore cbe arde per tutta la creazione, per gli uomini, gli uccelli, gli animali, i demoni e ogni creatura", e prosegue descrivendo le la­crime versate da un uomo misericordioso quando il suo cuore è pie­no di tristezza e compassione per tutte le creature viventi: "Grazie alla misericordia possente cbe gli stringe con forza il cuore e all'in­tensa compassione, la sua anima è umiliata e non sopporta di senti­re o vedere un'offesa qualsiasi o la minima afflizione patita dalle creature"1•

1 I, 71 (p. 344) = Touraille 81 (p. 395); PR 74 (pp. 507-508). I testi della prima parte dell'opera di Isacco sono stati tradotti a partire dal libro russo dell'autore, che a sua vol­ta ha adottato la traduzione russa corrente (Sergiev Posad 19rr); essi sono indicati nelle citazioni con la cifra iniziale romana I, seguita dal numero del discorso e tra parentesi dalla pagina della traduzione americana di Dana Miller; poiché la numerazione dei discorsi nella versione francese di Touraille e nell'edizione di Bedjan del 1909 non cor­risponde a quella di Miller, accanto alla prima numerazione sono indicate anche le nu­merazioni alternative e le pagine ad esse corrispondenti. I testi della seconda parte del­l' opera di Isacco (indicati nelle citazioni con la cifra iniziale romana II) sono stati tra­dotti dalla versione dello stesso Alfeev, basata sull'edizione critica siriaca di Sebastian Brock (Leuven 1995), pubblicata a Mosca nel 1998, con l'eccezione delle quattro Centu­rie di conoscenza, corrispondenti a Isacco II,3, tradotte a cura di André Louf in francese dal ms. Teheran, Issayi 4· L'edizione francese del presente libro è stata accresciuta rispet­to a quella russa (Mosca 1998) e inglese (Kalamazoo zooo), essendo l'autore venuto a co­noscenza di alcuni testi di Isacco rimasti fino a quel momento inaccessibili; di conse­guenza è su di essa che è stata condotta la presente traduzione italiana [N.d.T.].

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Allora mi chiesi: "Chi è questo Isacco che parla di compassione con un sentimento così forte dell'unità cosmica?". per lì la mia curiosità non fu soddisfatta, ma decisi di tenere presente il nome di Isacco il Siro nell'ambito delle mie indagini.

Non passò molto tempo prima che lo incontrassi di nuovo, citato più volte nel libro di Vladimir Lossky sulla teologia mistica della chiesa orientale. Mi colpirono soprattutto le parole riportate da Lossky sui tormenti dell'inferno: secondo Isacco, le anime che sof frano nell'inferno non sono castigate né dalla collera di Dio, né da un suo desiderio di vendetta -giacché in Dio non c'è posto per la crudeltà o per la rappresaglia ma dalla '1rusta dell'amore". "La sofferenza che colpisce il cuore a causa dei peccati contro l'amore è più terribile di qualsiasi altro castigo", scrive Isacco. "Sarebbe fumi luogo pensare che i peccatori nella geenna siano privati dell'amore di Dio ... Ma la forza dell'amore ha un duplice effetto: tormenta i peccatori ... e richiama a sé quelli che pagano il loro debito "2•

Commenta Lossky: "L'amore di Dio diventa una tortura intollera­bile per quelli che non lo possiedono dentro di sé"3•

Ancora una volta, come per la citazione del "cuore misericordio­so", si spalancava inaspettatamente una grande finestra nel mio ani­mo, e tutto il mio mondo interiore era inondato di luce. Sentivo che questa era l'unica spiegazione convincente del giudizio finale e dell'inferno. Dio è amore, e il suo amore è inesauribile; dunque il suo inesauribile amore non ha mai fine, nemmeno all'inferno. An-che se questo amore in due modi" ...

Il mio te1·zo incontro con Isacco il Siro fu dovuto a un m·ticolo dello studioso cattolico Irénée Hausherr circa l'insegnamento dì Isacco sull'incarnazione4. Isacco sostiene che la nascita di Cristo a

Touraille sur la de l'Eglise d'Orient, Aubier, Paris I944·

naucsneJ:r, "Un précurseur théologie scotiste sur la fin de l'Incarna-tion", in Recherches sciences religieuses 22 (1932), pp. 316-320, ripreso in Id., Étu-des de spiritua!ité orientale, Pro, Roma r969, pp. r-5.

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Betlemme fu l'evento più felice di tutta la storia del mondo. Ma non era assurdo che la cagione dell'avvenimento più gioioso fosse un fatto che non avrebbe assolutaniente potuto e, in fin dei conti, neppure dovuto verificarsi, cioè il peccato dell'uomo? No, il moti­vo principale dell'avvento del Salvatore fra noi non fu negativo ma positivo, non il peccato dell'uomo ma l'amore di Dio: "Dio ha fat­to tutto questo al solo scopo di mostrare al mondo il suo amore". Si è incarnato "non per riscattarci dal peccato né per altre ragioni, ma unicamente perché il mondo conoscesse l'amore che Dio porta alla sua creazione"5•

Ancora una volta fui colpito dalla profondità delle parole di Isacco. L'incarnazione non deve essere considerata unicamente un "progetto sub condicio ne", escogitato da Dio in risposta alla ca­duta; essa è invece espressione della natura eterna di Dio e del suo amore spinto fino al sacrificio. Nel pensiero di Isacco trovai ina­spettatamente conferma della dottrina di Duns Scoto sulla causa dell'incarnazioné. Compresi però che Isacco non si era chiesto se l'incarnazione avrebbe avuto luogo senza il peccato dell'uomo: è un problema irreale, perché il mondo esistente, che noi conoscia­mo per esperienza personale, è un mondo successivo alla caduta, rito dal peccato, nel quale i padri generalmente non si ponevano domande ir-reali. Non si chiedevano "che cosa sarebbe successo se ... ?", ma facevano teologia a partire da una realtà che è ancora la nostra. Con la discrezione caratteristica dei padri della chie­sa, Isacco si limita ad affermare che la causa dell'incarnazione fu l'amore di Dio.

Nei primi tre jncontri con Isacco fui colpito sempre dallo stesso tema: l'amore. E l'amore che spiega - nei limiti del possibile la

5 Centurie di conoscenza IV, 78. 6 La stessa conferma si trova presso un contemporaneo di Massimo il Con-

fessore. Cf. G. Florovskij, '"Cur Deus Homo?'. The Motive of Incarnation", in Tbe Co!!ected Works of Georges Florovsky III, Nordland, Belmont 1976, pp. r63-I70; 3 I0-3 14.

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creazione del mondo e l'incarnazione di Cristo. È sempre l'amore e nient'altro che ci rende capaci di abbracciare con la compassione i dolori del mondo e trasformar/i. Ed è ancora la logica dell'amore di Dio che ci offre una chiave di comprensione dell'oscuro mistero dell'inferno. Mi colpiva non solo il fatto che Isacco ponesse l'amore al centro del suo pensiero teologico, ma anche il suo modo diretto, semplice e vigoroso di parlare dell'ordine divino e dell'amore. Pri­ma di lui, escluse le sacre Scritture, non ho mai trovato nessuno capace di dire così tanto in così poche parole.

Non molto dopo i miei primi tre incontri con [sacco, mi imbattei nella traduzione inglese dei suoi discorsi ad opera di Arent fan Wensinck. Li leggevo saltuariamente, non senza difficoltà ma sem­pre con vivo interesse. Trascrivevo le citazioni su schede, fino a co­struirmi uno schedario completo. A lavoro quasi finito, e benché avessi già letto più di quattrocento pagine, mi restava una sete ine­stinguibile di saperne di più. Grazie alla prefazione di Wensinck e ad altre fonti appresi che [sacco era un monaco vissuto in Mesopo­tamia nell'viii secolo e che aveva occupato per breve tempo la sede episcopale di Ninive, per poi ritirarsi sui monti a vivere da eremita. Sapevo che era appartenuto alla chiesa d'oriente detta comunemen­te "nestoriana" ma, come appresi a poco a poco, ciò non significava che il suo insegnamento né quello della comunità ecclesiale di cui faceva parte potesse essere tacciato d'eresia.

Decenni più tardi, seguendo il percorso delle mie letture, raccolsi come tessere di mosaico tutto ciò che potei trovare di propedeutico alla lettura di [sacco. Ma oggi finalmente, con mia grande gioia, di­sponiamo di una monografia e di un'analisi equilibrata ed esaurien­te della vita e della dottrina di Isacco e del contesto storico e teolo­gico in cui egli visse7. Padre Ilarion Alfeev ha dato prova di saggia

7 Alla quale si è recentemente aggiunto il libro di S. Chialà, Dall'ascesi eremitica alla misericordia infinita. Ricerche su Isacco di Ninive e la sua fortuna Leo S. Olschki Firenze 2002 [N.d.T.]. ' '

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ispirazione dando sovente la parola a [sacco stesso. Il suo libro con­tiene una ricca silloge di citazioni scelte con cura, nelle quali pos­siamo ascoltare chiara e viva la voce di Isacco. Padre Ilarion ha avuto il grande vantaggio di potersi avvalere della seconda parte del­la sua opera, data a lungo per persa e solo recentemente scoperta e pubblicata da Sebastian Brock.

"Non voglio contare e ricontare le pietre miliari lungo il cammi­no, ma raggiungere la camera nuziale dello sposo", scriveva [sacco. "Per arrivarci più in fretta prendo tutte le scorciatoie "8

• Queste pa­role non sono prive di legame con la sua esperienza spirituale: egli non ci propone le pietre miliari o le mappe di una geografia spiri­tuale; questi scritti non costituiscono un itinerario dettagliato del percorso spirituale del cristiano tappa per tappa. [sacco è un intui­tivo, non sistematizza. La sua opera è piena di ripetizioni e digres­sioni inattese in cui i vari temi collidono, di aforismi e di pensieri talora oscuri. Ma dietro questa apparente mancanza di sistematicità si cela un ins~gnamento spirituale straordinario per armonia e logi­ca interiore. E proprio questo l'aspetto che viene più particolarmen­te evidenziato nel libro di padre Ilarion: raggruppando in un siste­ma saldamente articolato i punti fondamentali dell'insegnamento di Isacco sulla vita in Cristo, esso mostra con chiarezza l'unità e la coerenza che ne caratterizzano la visione spirituale.

Se [sacco fu un asceta e visse da eremita sui monti, non per que­sto la sua opera è priva di portata universale. Essa si rivolge non so­lo agli eremiti ma anche agli uomini delle città; non solo ai monaci ma a tutti coloro che credono in Cristo. Isacco parla in modo estre­mamente vivo di un punto essenziale per ogni cristiano: il penti­mento, l'umiltà, le diverse forme della preghiera orale e interiore, la vita solitaria e la vita in comune, il silenzio, il rapimento e l'estasi. Insiste poi sull'amore "illuminato", insieme al quale sviluppa altri due temi caratteristici della sua descrizione del percorso mistico del

8 I, 75 (p. 366) = Touraille 28 (p. r82); PR So (p. 548).

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cristiano: il senso di Dio come mistero vivente e la sua profonda de­vozione per il Cristo salvatore.

Quando nel XIV secolo Gregorio il Sinaita, monaco e autore spi­rituale, volle consigliare delle letture ai suoi discepoli, diede parti­colare rilievo a Isacco: "Leggi sempre ciò che riguarda il silenzio e la preghiera, in particolare san GùJVanni Climaco, sant'Isacco e san Massimo ... "9.

E quando nel XIX secolo il filosofo slavo/ilo Ivan Kireevskij vol­le individuare un autore in cui si incarnasse la spiritualità ortodossa nel suo complesso, scelse Isacco il Siro, i cui scritti, secondo lui, si distinguevano da quelli degli altri padri della chiesa per un'eccezio­nale profondità spirituale10 .

Chi leggerà il libro di padre Ilarion non stenterà a capire perché Gregorio il Sinaita e Ivan Kireevskij abbiano di Isacco il Siro una così alta stima.

fB Kallistos (Ware) vescovo di Diokleia

9 Gregorio il Sinaita, La quiete e i due modi della preghiera I I. 10 I. Kireevskij, Polnoe sobranie soCinenij II, Tip. imp. Mosk. Univers., Moskva

I9II, pp. II8·II9.

IO

Introduzione ISACCO DI NINIVE,

AUTORE SPIRITUALE DELLA CHIESA D'ORIENTE

Mar I sacco parla la lingua degli esseri celesti ... Giovanni Ibn N usai

La storia del cristianesimo di lingua siriaca si basa su tre prin­cipali tradizioni ecclesiastiche e teologiche risalenti all'epoca dei concili ecumenici (rv-vrr secolo )1. C'è in primo luogo la chiesa siro-ortodossa, nota anche come chiesa siro-occidentale o giacobita 2, che si considera erede della cristologia di Cirillo di Alessandria e Severo di Antiochia e rifiuta il concilio di Calce­donia (451). C'è poi la chiesa siro-orientale 3 che rifiuta il conci­lio di Efeso (431) e considera suo teologo e dottore principale Teodoro di Mopsuestia. Infine, bisogna citare alcune comunità di lingua sh·iaca in Siria e nel Libano, che accolsero la cristolo­gia di Calcedonia e si divisero poi in due gruppi: i melchiti, che accettarono il sesto concilio ecumenico ( 68o), e i maroni ti che lo rifiutarono.

1 Cf. S. Brock, "The Syriac Background", in Archbishop Theodore. Commemorati­ve Studies 011 Hù Life and Influence, ed. by M. Lapidge, Cambridge University Press, New York-Cambridge I995, pp. }O·} I.

2 Essa prende il nome da uno dei suoi capi più eminenti: Giacomo Baradeo (v se­colo). Dai suoi avversari teologici viene anche chiamata "monofisita".

1 Chiamata anche "nestoriana" dai suoi avversari.

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!sacco di Ninive o !sacco il Siro apparteneva alla chiesa si­ro-orientale, i cui confini allora coincidevano press'a poco con quelli dell'impero persiano dei Sassanidi (attuali Iraq e Iran). Questa chiesa era davvero nestoriana, come sostenevano i suoi nemici? Bisognerà rispondere alla domanda per accertare se !sacco fosse nestoriano o no.

In questo capitolo introduttivo ripercorreremo brevemente la storia della chiesa orientale e le principali correnti teologiche presenti in Siria nel corso del VII secolo. Analizzeremo quindi le informazioni in nostro possesso sulla vita e gli scritti di !sacco, per concludere con un richiamo alle fonti principali della sua teologia.

La chiesa d'oriente al tempo di Isacco

Comunità cristiane sono esistite in Persia fin dai primi seco­li della nostra era 4• Il cristianesimo vi si era diffuso in un pri­mo momento fra gli ebrei e successivamente fra gli originari della Persia che praticavano la religione di Zoroastro. Da par­te del clero di questa religione nel m e IV secolo i cristiani di Persia subirono crudeli persecuzioni; particolarmente dura fu quella che ebbe luogo verso la metà del IV secolo, sotto il regno di Shabur II.

Per molti secoli la chiesa persiana ebbe scarsi contatti con le chiese dell'impero romano. Nei primi tempi l'isolamento geo­grafico contribuì in buona parte a determinare il corso della sua storia, giacché proprio in tale ambiente si svilupparono le sue

' Il compendio storico della chiesa siriaca contenuto in questo capitolo è principal­mente ispirato al ricercatore ortodosso americano Dana Miller, nella postfazione della sua traduzione inglese della prima parte delle opere di Isacco.

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peculiari tradizioni liturgiche, furono fondate le sue scuole teo­logiche e venne elaborato un vocabolario teologico specifico.

Un altro fattore che contribuì ulteriormente alla specificità del cristianesimo persiano furono gli stretti legami tra chiesa e sinagoga, che si protrassero molto più a lungo che in occidente. Le radici semitiche di questo cristianesimo sono ancora molto evidenti in Afraat, per esempio, detto il "Saggio persiano", che scrisse in siriaco nella prima metà del IV secolo. Le ventiquattro Dimostrazioni che conosciamo come di suo pugno sono caratte­rizzate da "un'espressione della fede semplice e biblica, l'assen­za totale di qualsiasi influenza di formule derivate dal pensiero greco e un interesse costante per gli insegnamenti e i costumi ebraici" 5 .

È importante notare che il siriaco parlato allora in Persia ap­parteneva alla famiglia delle lingue semitiche, più precisamente era un dialetto dell'aramaico, la lingua di Gesù e degli apostoli. È per questo motivo che la traduzione dei vangeli in antico si­riaco, del II o m secolo, riflette le radici semitiche del cristiane­simo più fedelmente dell'originale greco. Pertanto, la tradizione teologica della lingua siriaca ha saputo conservare una stretta af­finità con la lingua della Bibbia, molto più a lungo - segnata­mente - della tradizione in lingua greca, che subì l'influenza del platonismo, del neo-platonismo e del pensiero filosofico greco in generale.

Per tutta la tradizione cristiana siro-orientale, quella che sarà chiamata "scuola dei persiani" (vale a dire dei rifugiati persiani) fu un centro teologico di grande importanza; venne fondata nel IV secolo a Edessa, e la sua influenza sullo sviluppo della teolo­gia siriaca non sarà mai abbastanza sottolineata. Oggetto princi­pale degli studi di questa scuola era la sacra Scrittura: i discepoli

' "Translator's Epilogue", in Tbe Ascetica! Homilies of Saint Isaac tbe Syrian, tr. by D. Miller, Holy Transfiguration Monastery, Boston 1984, p. 484.

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ascoltavano il maestro e prendevano nota delle sue interpretazio­ni6. La scuola era frequentata tanto dalla gioventù di lingua riaca, a Edessa e nei dintorni, quanto dagli immigrati provenien­ti dalla Persia 7 • I commenti biblici di sant'Efrem, che coprono solo una parte della Bibbia, sono stati utilizzati come modelli di esegesi per tutto il IV secolo e fino alla metà del v.

Tuttavia, dal momento che i commenti di non riguar-davano che una piccola parte delle sacre Scritture, si decise nel corso del v secolo di tradurre dal greco l'intero corpus dell' ope­ra esegetica di Teodoro di Mopsuestia. ragione principale fu che Teodoro aveva commentato uno dopo l'altro quasi tutti i li­bri della Bibbia, adottando il metodo dell'esegesi letterale allora diffuso ad Antiochia; lo scopo di questi commenti era di rende­re più chiaro il testo in sé e per sé, evitando con cura le interpre­tazioni allegoriche. Una volta portata a termine la traduzione delle sue opere, Teodoro di Mopsuestia divenne il commentatore biblico per eccellenza della tradizione siro-orientale: tutti gli au­tori spirituali facenti capo a questa tradizione, !sacco incluso, si riferivano a lui come al "beato Interprete".

La traduzione delle opere di Teodoro ebbe un'importanza cru­ciale il cristianesimo siriaco: insieme all'esegesi della Bib­bia, anche le sue concezioni teologiche furono incorporate nella tradizione siro-orientale, comprese le opinioni cristologiche. In particolare Teodoro afferma che il Verbo di Dio ha "assunto" l'uomo Gesù; che lui- che non ha principio- è venuto a risie­dere nell'uomo Gesù nato dalla Vergine; che abitava nel Cristo come in un tempio, ed era avvolto dalla natura umana come da una veste; che l'uomo Gesù era stato unito al Verbo e aveva rice­vuto la dignità di Dio grazie alla sua opera redentrice e alla mor­te sulla croce. In fondo, Teodoro parlava del Verbo e dell'uo-

6 Cf. G. Florovskij, Vizantijskie otcy \T·VIIIvekov, YMCA Press, Paris 1933, p. 227. 7 Cf. D. Miller, "1hnslator's Epilogue", p. 489.

mo Gesù come di due soggetti la cui unione nell'unica figura del Figlio di Dio incarnato non era né antologica né essenziale, ma solamente di ragione ed esistenziale in rapporto al nostro modo di comprendere: quando adoriamo il Cristo, siamo noi che fac­ciamo l'unione delle due nature, professando non già "due figli" ma un solo Cristo, Dio e uomo.

Negli anni 'zo del v secolo questo insegnamento divenne ele­mento fondante dell'insegnamento cristologico di Nestorio, pa­triarca di Costantinopoli, contro il quale si Cirillo di Ales­sandria. Il punto cruciale della sua polemica contro il nestoria­nesimo concerneva l'unità della persona divina: il Verbo eterno è identico alla persona di Gesù nato dalla Vergine. N o n si può dunque parlare del Verbo e di come se si trattasse di due soggetti differenti. La cristologia di Cirillo fu confermata dal terzo concilio ecumenico che condannò Nestorio. Più tardi, nel quinto concilio, fu condannato a sua volta Teodoro di Mopsue­stia in quanto "padre del nestorianesimo" 8. Ma agli occhi dei cristiani siro-orientali egli sarebbe rimasto per sempre un'autori­tà indiscussa in campo teologico. Questo spiega come la chiesa dei persiani, con tutta la tradizione teologica siro-orientale nel suo insieme, abbia finito con l'essere chiamata "nestoriana", ap­pellativo di cui essa stessa non si era mai servita, ben consapevo­le di non aver avuto alcun legame storico con Nestorio.

Nel489la "scuola persiana" fu chiusa per ordine dell'impera­tore Zenone. Alcuni anni prima il suo capo, Narsai, accompa­gnato dai propri discepoli, si era trasferito a Nisibe, avvenimen­to che si sarebbe rivelato di capitale importanza per gli sviluppi successivi della chiesa di Persia. Alla fine del v secolo la scuola

' I punti di vista dei patrologi moderni sul nestorianesimo di Teodoro di Mopsue-stia, come del resto su quello di Nestorio stesso, sono Una ricostruzione completa della cristologia dei due autori non sarebbe qui e inoltre esulerebbe dall'ambito della presente opera. Per la cristologia di Nestorio si soprattutto A. de Halleux, "Nestorius. Histoire et doctrine", in Irénikon 66 (r993l, pp. 38-5r; r63-I78.

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di Nisibe diventerà uno dei principali centri teologico-spirituali di tale chiesa.

Alla fine del VI secolo Henana, divenuto capo della scuola nel 572, tentò di sostituire i commenti biblici di Teodoro con i pro­pri, basati sul metodo allegorico di Origene. Il tentativo non eb­be successo, e il concilio locale del 585 confermò l'autorità in­contestabile di Teodoro, al punto da diffidare chicchessia dal "criticare in pubblico o segretamente questo dottore della chiesa o confutare i suoi santi libri". Poco più tardi, nel596 e nel 6os, altri due concili condannarono i commenti di Henana e rinno­varono gli anatemi contro coloro che "mettono in discussione i commenti, le esegesi e gli insegnamenti del 'dottore infallibile', il beato Teodoro l'Interprete, e cercano di introdurre esegesi nuove ed estranee, piene di sciocchezze e di bestemmie" 9 • La fede della chiesa di Persia era diventata "la fede di Teodoro", o quella di "Teodoro e Diodoro", giacché nella tradizione si­ro-orientale il nome di Diodoro di Tarso era circonfuso di un'e­guale aura di santità e di autorevolezza teologica.

La fine del VI secolo e l'inizio del VII furono segnati dall'atti­vità teologica di Babai il Grande, che scrisse a lungo su temi cri­stologici. La sua cristologia attua una sorta di sintesi tra quelle di Teodoro, di Diodoro e di Nestorio 10 • Essendo uno dei capi del partito conservatore che rivendicava rigorosa fedeltà agli in­segnamenti di Teodoro, Babai fu in prima linea nell'opposizione al concilio di Calcedonia. Egli insistette sulla teoria dei due qnome nel Cristo incarnato, utilizzando un temine - qnoma, che è maschile in siriaco - usato per rendere il greco hyp6stasis, ma che in lui acquistava un significato un po' diverso 11 . L'allusione

9 Ci t. in D. Miller, "Translator's Epilogue", p. 503. 10 Cf. G. Chediath, Tbe Cbristology of Mar Babai tbe Great, Pontificia Università

Lateranense, Roma 1982, p. 194. 11 Si veda la trattazione sulla terminologia cristologica siriaca nella sezione seguente

di questo capitolo.

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di Babai a due qnome aveva tutta l'apparenza di un conflitto frontale con la definizione di Calcedonia che era approdata alla formula "una hyp6stasis (qnoma in siriaco) in due nature". Nello sviluppare le concezioni cristologiche di Teodoro, Babai utilizzò in parte Nestorio, specialmente il suo Libro di Eraclide, un'apo­logia scritta dopo la condanna ad opera del concilio di Efeso e tradotta in siriaco verso la metà del VI secolo 12 • Cent'anni dopo i nomi dei "tre dottori", cioè Diodoro, Teodoro e Nestorio, furo­no inseriti nei dittici della chiesa d'oriente 13 , e da allora vi furo­no costantemente menzionati.

La cristologia della chiesa d'oriente

Si deve concludere che la chiesa cui Isacco apparteneva fosse nestoriana? Per rispondere, dobbiamo interrogarci sulle ragioni che spinsero questa chiesa a non accettare i concili di Efeso e di Calcedonia.

Si sa che le controversie cristologiche del v secolo portarono alla luce punti di vista diversi circa la relazione tra l'umanità e la divinità di Gesù Cristo. In particolare i rappresentanti della scuola di Antiochia, Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia e Nestorio di Costantinopoli, usavano per esprimere l'unità fra le due nature delle formule di questo tipo: Dio, il Verbo, "assun­se" l'uomo Gesù; il Verbo non generato di Dio "abitava" in co­lui che nacque da Maria; il Verbo dimorava in quest'uomo come nel suo "tempio"; il Verbo si rivestì della sua natura umana co­me di una "veste". L'uomo Gesù era unito al Verbo e aveva as-

12 Benché Babai non citi mai Nestorio, la sua conoscenza del Libro di Eraclide ap­pme evidente; cf. D. Miller, "Translator's Epilogue", p. 504.

13 Cf. D. Miller, "Translator's Epilogue", pp. 507·508.

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sunto la dignità di Dio. Se si fosse loro domandato: "Chi ha pa­tito sulla croce?", avrebbero risposto "la carne del Cristo", "l'u­manità di Cristo", la sua "natura umana" o "ciò che vi era in lui di umano" 14• Essi tracciavano in tal modo una linea nettissima tra le due nature, divina e umana. Nel corso della vita terrena di Gesù le due nature avevano conservato ciascuna le sue carat­teristiche proprie. Volendo dunque parlare oggi dell'unità delle due nature, essa sarebbe d'ordine piuttosto che an­tologico: essa esiste nel nostro modo di comprendere il Cristo, nel nostro modo di rivolgergli un culto, quando noi costituiamo l'unità delle due nature per venerare un solo Cristo, Dio e uomo nello stesso tempo.

La corrente alessandrina, entrò in conflitto con Nestorio nella persona di Cirillo di Alessandria, oppose allo schema an­tiocheno un altro modo di comprendere l'unità delle due nature: il Verbo nel farsi uomo qualcosa di più che semplicemente assumere la natura umana; il Verbo non-generato di Dio è la stes­sa persona di Gesù nato da Maria; così inteso è Dio il Verbo in persona che "ha sofferto nella carne" (épathen sarki) 15 . Pertanto c'è un solo Figlio, una sola ipostasi, "un'unica natura del Dio Verbo fatta carne" (mia physis tou theoù l6gou sesarkoméne). Quest'ultima frase, di Apollinare di Laodicea, valse a Cirillo dì Alessandria il sospetto di la "mescolanza" e la "confu-sione" delle due nature. cristologia di Cirillo fu confermata dal concilio di (43 r), ma rifiutata dalla tradizione teologi-ca siro-orientale, alla terminologia cristologica di Teodoro e Diodoro.

Il concilio di Calcedonia (451) tornò alla più rigorosa distin­zione antiochena tra le due nature, ma evitò i termini di "inabi­tazione" della divinità nell'umanità e di "assunzione" della na-

Unily and Cbl'istian Divìsions. Tbe Cburcb, 45o-68o AD,

Crestwood r989, p. 191. ruessaJtun.a, Lettera J a Nestorio.

tura umana da parte della natura divina. L'intento della defini­zione di Calcedonia era di riconciliare le due parti, alessandrina e antiochena, mettendo contemporaneamente l'accento sull'u-nità dell'ipostasi di e sull'esistenza delle due natme:

All'unanimità noi a confessare un solo e medesi-mo Figlio: il nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e sua umanità, vero Dio e vero uomo ... uno e Cristo Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inse­parabili, non venuta meno la distinzione delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguar­data la di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi 16•

Questa formulazione, approvata dallo stesso Nestorio 17, non ebbe successo siriaco. Gli autori del periodo imme-diatamente come Babai il Grande, la cui cristologia è affine a quella Isacco di Ninive, continuarono a parlare di "inabitazione" della divinità nell'umanità, come pure della na­tura umana come "tempio" o "veste" della divinità.

Perché la tradizione siro-orientale non accettò il concilio di Efeso? La risposta non va cercata nella personalità di Nestorio, di cui in fino al VI secolo si conosceva a mala pena il no­me. Se le conclusioni del concilio non furono adottate dalla chiesa persiana piuttosto dalla procedura da esso seguita. Tale procedura era stata stabilita da Cirillo di Alessandria e da quanti si riconoscevano nella sua dottrina, in assenza di Giovan­ni di Antiochia che, non appena arrivato a Efeso, scomunicò Ci-

16 Definizione della fede del concilio di Calcedonia, in Decisioni dei concili ecume­a cura dì G. Alberigo, UTET, Torino 1978, p. r64. Nel Nestorio, ancora in vita, diede la sua approvazione al Tomo a Flaviano di

che fu preso come punto di partenza per la definizione cristologi-

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rillo. La posizione cristologica del concilio di Efeso fu esclusiva­mente alessandrina e non tenne alcun conto di quella antioche­na. Ora, quest'ultima (e non, si badi bene, quella "nestoriana") era appunto la cristologia più comunemente diffusa nella chiesa d'oriente.

Più difficile è spiegare perché i siro-orientali non abbiano accettato il concilio di Calcedonia. La formula "una ipostasi in due nature" avrebbe dovuto riuscire gradita alle due fazio­ni opposte. In tale contesto la parola greca byp6stasis riguar­dava la persona specifica di Gesù Cristo, Dio il Verbo, mentre la parola phjsis (natura) si riferiva alla divinità e all'umanità di Cristo. Purtroppo nella traduzione siriaca la diversità dei due

non trovò corrispondenza adeguata, perché il siriaco qnoma (byp6stasis) rappresentava un'espressione concreta e indi­viduale della kymza (natura). Gli autori di lingua siriaca erano

indotti a parlare comunemente delle nature e dei loro qnome. Così, quando Severo di Alessandria, monofisita, pensa­va che una sola ipostasi dovesse implicare un'unica natura, gli autori sostenevano che due nature dovessero riflettersi in due ipostasi 18 .

la stessa logica il catholicos Isho'yahb II (6z8-646) modo seguente le ragioni per cui la chiesa d'oriente

non poteva accettare la definizione calcedonese della fede:

Coloro che si riunirono nel sinodo di. Calcedonia, benché avessero l'intenzione di restaurare la vera fede, tuttavia se ne allontanarono: la loro terminologia difettosa, avviluppata in significati oscuri, costituì uno scoglio per molti. Pur ritenen­do nell'animo di conservare la vera fede professando le "due nature", la loro formula di "un solo qnoma" sembra essere stata occasione di tentazione per le menti deboli. Alla fine si

18 S. Brock, "The 'Nestorian' Church. A Lamentable Misnomer", in Bulletin of the John Ryland's Library 78 (1996 [1997]), pp. 53-66.

20

trovarono di fronte a una contraddizione, perché con la for­mula "un solo qnoma" avevano corrotto la professione delle "due nature", e con quella delle "due nature" avevano to e confutato quella di "un solo qnoma". Trovandosi così a un bivio, esitarono e abbandonarono le schiere beate degli or­todossi, pur senza unirsi alle accolte degli eretici ... Non sa­prei proprio da che parte collocarli, giacché la loro terminolo­gia non sta in piedi, come testimoniano la natura e la Scrittu­ra, per le quali è possibile incontrare molti qnome in una sola "natura", ma non si è mai dato il caso che diverse "nature" possano sussistere in un unico qnoma, e nessuno ne ha mai sentito parlare19 •

Queste parole mostrano chiaramente perché la definizione calcedonese della fede fosse inaccettabile a orecchie siriache: es­sa aveva tutta l'apparenza dell'illogicità. È interessante notare come Isho'yahb non accusi di eresia i padri di Calcedonia: rico­nosce le loro buone intenzioni, ma sostiene che non sono riusci­ti a conciliare la tradizione di Antiochia con quella di Alessan­dria a causa di un compromesso terminologico che fa torto alla verità. Alla fine, il rifiuto di Isho'yahb a collocare i padri di Calcedonia o fra ortodossi o fra gli eretici mostra come quel concilio al quale la sua chiesa non aveva voluto partecipare -contasse ben poco agli occhi dei catholicos d'oriente. Quando parliamo di accettazione o non accettazione di certi concili ecu­menici da parte dell'oriente esterno all'Impero romano, bisogna rammentare dal IV al vn secolo, si tennero tutti all'in-terno imperiale, e pertanto non riguardavano di-rettamente le poste al di fuori di quei confini. La chiesa d'oriente, situata nell'Impero persiano, non aveva alcun legame diretto con i mondo bizantino. Se alcuni concili han-no finito con riconosciuti dall'oriente non bizantino, ciò

19 Ci r. in S. Brock, "The 'Nesrorìan' Church".

2!

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di solito è avvenuto molti anni dopo la loro celebrazione. Così, per esempio, il primo concilio ecumenico (Nicea, 325) fu rico­nosciuto dalla chiesa di Persia a non meno di ottantacinque anni dalla sua effettiva celebrazione20 .

Dopo questo necessariamente rapido excursus nella storia del-· le controversie cristologiche del v secolo, possiamo infine dare una risposta al problema del "nestorianesimo" della chiesa d'o­riente. Se per "nestorianesimo" si intende la dottrina combattu­ta da Cirillo di Alessandria, quella che predicava l'esistenza di due persone differenti nel Figlio di Dio e che si sarebbe spinta fino a riconoscere "due figli" 21, ebbene, tale dottrina era total­mente estranea alla tradizione siro-orientale. Tuttavia i teologi di questa tradizione, non avendo accettato l'insegnamento di Calcedonia su "una ipostasi in due nature", parlano sempre di due qnome-ipostasi nel Figlio di Dio incarnato. Essi si trovano pertanto in opposizione verbale con la chiesa di Bisanzio. Dal v all'viii secolo hanno continuato a usare il vocabolario teologico di Teodoro di Mopsuestia e di Diodoro, vocabolario che l'orien­te di lingua greca identificava generalmente con il nestorianesi­mo. La chiesa d'oriente continuava così a far menzione di Teo­doro e Diodoro dopo che essi erano stati scomunicati a Bisan­zio, e inseriva nei suoi dittici persino il nome di Nestorio molto tempo dopo la sua condanna. Tutto ciò dimostra che la chiesa di Persia, pur non essendo "nestoriana" nel senso stretto del ter­mine, aderiva alla stessa corrente di pensiero teologico e cristo­logico alla quale Nestorio era vicino.

Verso la fine del VII secolo gli avvenimenti politici avevano praticamente finito con il tagliar fuori la chiesa d'oriente dal mondo bizantino, al punto che quest'ultimo non sembrava più riguardarla. Bisogna però osservare che il crescente isolamento

2° Cf. S. Brock, "The 'Nestorian' Church". 21 Anche se N es torio stesso rifiutava nettamente l'idea dei "due figli", ritenendola

il risultato di una cattiva lettura della sua cristologia.

22

della chiesa d'oriente non condusse affatto a un declino teologi­co o spirituale. Al contrario, fu proprio nel VII e VIII secolo che essa conobbe la più bella fioritura della sua teologia. Fu il perio­do in cui autori come Martyrios Sahdona (sostenitore di Calce­donia), Dadisho', Simone di Taibuteh22 (il Misericordioso), Giuseppe Hazzaya (il Veggente) e Giovanni di Dalyata vissero e pubblicarono le loro opere. Essi erano tutti autori essenzialmen­te spirituali e non si occupavano di questioni cristologiche. Ben­ché poco conosciuti fuori della tradizione siro-orientale, sono stati i principali artefici di quella che può essere chiamata "l'età dell'oro della tradizione cristiano-siriaca". Di questa età dell'o­ro un solo rappresentante divenne conosciuto in tutto il mondo: !sacco di Ninive.

Vita di !sacco di Ninive

I dati biografici essenziali su Isacco si ricavano da due fonti siriache: il Liber castitatis - raccolta di brevi biografie di asceti persiani ad opera dello storico siro-orientale Isho'denah vescovo di Basra - e un documento siro-occidentale di datazione e origi­ne incerte.

Il capitolo r 24 del libro di Isho'denah si intitola: "Intorno al santo Mar !sacco, vescovo di Ninive, che lasciò l'episcopato e scrisse dei libri sulla disciplina della vita solitaria". Ecco in che termini si parla di lui:

22 Il possibile autore del Libro della grazia, che la tradizione manoscritta slavona attribuisce a Isacco. Per i dettagli del dibattito, si veda D. Miller, "Translator's In­troduction", in T be Ascetica! Homilies, pp. LXXXI-Lxxxv; d. anche A. Viiobus, "Eine neue Schrift von Ishaq von Ninive", in Ostkircblicbe Studien 21 (1972), pp. 309-312, e G. E unge, "Mar Isaac of Nineveh and His Relevance Nowadays", in Christian Oriettt 4 (1986), pp. 193-195·

2}

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È stato consacrato vescovo di Ninive dal catholicos Giorgio nel monastero di Bet 'Abe. Ma dopo aver ricoperto la cari­ca di pastore di Ninive per cinque mesi ... si dimise per una ragione che solo Dio sa, e andò ad abitare sulle montagne ... Salì al monte Matut, che è circondato dalla regione di Bet Huzaye, e lì visse nella solitudine presso alcuni eremiti che si trovavano nei dintorni. In seguito si recò al monastero di Rabban Shabur. Era straordinariamente versato nelle divine Scritture, al punto di perdere la vista a causa delle letture e dell'ascesi. Penetrò a fondo nei misteri divini e scrisse libri sulla disciplina divina della vita solitaria. Tuttavia, tre sue proposizioni da molti non furono accettate: Daniele Bar Tu­barrita, vescovo del Garmai, si oppose alle tre proposizioni in questione. Abbandonò questa vita temporale in età molto avanzata, e il suo corpo fu deposto nel monastero di Shabur. Isacco era nativo di Bet Qatraye, e credo fosse oggetto di ge­losia da parte di coloro che abitavano le regioni interne della Persia23 .

La fonte siro-occidentale contiene indicazioni analoghe. Essa non fa cenno delle controversie che hanno accompagnato le pro­posizioni teologiche di !sacco, ma ne completa il ritratto con al­cuni elementi nuovi. In particolare, segnala che furono i suoi di­scepoli a metterne gli insegnamenti per iscritto, dopo che !sacco fu diventato cieco:

Lo chiamavano un secondo Didimo. In effetti era sereno, amabile e umile, e le sue parole erano gentili. Non mangiava che tre pani alla settimana con un po' di verdura e si asteneva rigorosamente dai cibi cotti. Scrisse cinque volumi giunti fi­no ai giorni nostri, pieni di soavi insegnamenti 24

.

23 Isho'denah di Basra, Li ber castitatis 63-64. 24 Studia syriaca I, ed. L Rahmani, Seminarium Scharfense, Monte Libano 1904,

pp. }2-33·

La provincia del Qatar in cui !sacco vide la luce si trova sulla costa occidentale del Golfo persico (il Qatar fa oggi parte de­gli Emirati Arabi Uniti). I sacco passò dunque gli anni della sua giovinezza vicino al mare, e nei suoi scritti le immagini marine abbondano. Ama evocare navigli, capitani con le loro ciurme, tempeste, tuffatori e ostriche strappate agli abissi. Ecco uno di questi passi:

Quando vedi che la tua barca naviga felicemente verso il por­to, che una brezza deliziosa e piacevole spira costante, che nelle tue mani i commerci prosperano a meraviglia, è allora che ti devi preoccupare di più e gemere per paura di una fi­ne improvvisa della tua libertà 25 , che devi temere un rove­sciamento della situazione, facendo in modo che la vigilanza osservata durante tutto il viaggio non finisca con l'essere va­nificata dall'esserti abbandonato, per via delle circostanze, a un rilassamento della volontà 26

.

Ed ecco un altro testo analogo:

Se il tuffatore trovasse una perla in ogni ostrica, chiunque sa­rebbe subito ricco! E se appena tuffato ne riportasse una alla superficie, senza venire sbattuto qua e là dalle onde, senza in­contrare squali, senza dover trattenere il respiro fin quasi a soffocare, senza privarsi dell'aria fresca di cui tutti godono, senza dover scendere negli abissi del mare, se così fosse, le perle sarebbero numerose e frequenti come il lampeggiare di un temporale lontano 27

2 ' È possibile un'altra traduzione: "per paura che la tua libertà subisca un cambia­mento a causa della tua quiete"; la quiete infatti può "far addormentare" l'asceta.

26 Centurie di conoscenza II,96. 27 Il,34.4·

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Quest'ultima citazione mostra fino a punto Isacco avesse familiarità con il mestiere del tuffatore. Non è da escludere che lui stesso, da giovane, sia andato a pesca di

La chiesa cristiana del Qatar era allora sottoposta al catholi­cos d'oriente. Verso il 648 i vescovi del Q a tar si separarono dal catholicos di Persia, dando così origine a uno scisma che durò fino al 676, quando il catholicos Giorgio al Qatar e riconciliò i vescovi con la sua chiesa. Può darsi Isacco, noto per il rigore della sua vita ascetica, sia stato consacrato vescovo di Ninive in questa occasione.

Ebbe poco successo nell'incarico. Una leggenda .,.u·u-,_,~~'-u"''"''­conservata in traduzione araba fornisce qualche informazione sulle sue dimissioni. Il giorno successivo alla consacrazione Isac­co stava seduto in casa quando due litiganti entrarono nella sua stanza. Uno reclamava dall'altro il rimborso di un prestito: "Se costui rifiuta di restituirmi ciò che mi appartiene, sarò costretto a trascinarlo in giudizio". Isacco rispose: "Poiché il santo evan-gelo ci insegna a non riprendere ciò che è stato dato, si la-sciare a quest'uomo almeno un giorno di tempo per la restituzione". L'uomo gli rispose: "Lascia da parte, per ora, insegnamenti dell'evangelo", e Isacco di rimando: "Se qui vangelo non ha valore, che cosa ci sono venuto a fare?", e do il ministero pastorale avrebbe turbato la sua vita solitaria "il sant'uomo rinunciò alla carica di vescovo e fuggì nelr~ac<>>rrn di

Quest'ultima precisazione contraddice quanto sappiamo dalla cronaca di Isho'denah precedentemente citata, la quale sostiene

Isacco si sulle montagne dello Huzistan, non in rl"''''"'r''" di Scete. Sembra poi inverosimile che le sue dimis­

siano state provocate da quell'unico e tutto sommato

:Spirituatity in the Syriac Tradition, SEERI, Kortayam 1989, p. 33; D. Introduction", pp. LXVIII-LXLX.

gnificante episodio. È più probabile che la nomina di Isacco, originario di una diocesi di provincia come il Qatar che si era trovata in una situazione di per quasi trent'anni, sia stata accolta male dagli abitanti di Ninive. città era all'epoca uno dei centri più attivi dei giacobiti, ai quali ci si aspettava che Isacco come vescovo si opponesse29 . Poco attratto dalle argomentazioni di carattere dogmatico, egli avrà preferito andarsene da Ninive, destinata d'altronde a diventare teatro di conflitti.

Quali fossero le tre "proposizioni" attribuite a !sacco, e per quale preciso motivo Daniele Bar Tubanita gli si fosse opposto, resta un enigma. Sappiamo Daniele compose "una risposta alle questioni sollevate dal quinto volume di Mar !sacco di Nini­ve" 30

• Ma la sola testimonianza a noi conservata di questa opera di Daniele è dovuta a un autore siro-orientale del IX secolo, Ha-nun Ben Yuhanna Ibn as-Salt, il quale la visita resa dal catholicos Giovanni Ibn Narsai a un monaco. Il metro-polita aveva portato con sé gli scritti Isacco e li lesse ad alta voce, "senza alzare la testa, fino al tramonto del sole". Quando ebbe finito, il monaco gli chiese quali più degni di fede, quelli di !sacco o quelli che Daniele aveva scritto per con­futarlo. Il metropolita rispose: "Com'è possibile che uno come te mi faccia una domanda del genere? Mar !sacco parla la lingua degli esseri celesti, Daniele quella dei 31

Isacco passò gli ultimi anni della sua vita monastero di Rabban Shabur sul monte Shushtar32• Non conosciamo la data

29 D. Miller, "Translator's Introduction", pp. LXIX-LXX. 30 G. S. Assemani, Bibliotheca orientalis, III,r. De scriptoribus syris nesto1ianis, Typis

Sacrae Congregatìonìs de Propaganda Fide, Romae 1728, p. ro4. 31 Tivités religìeux, pbilosopbìques et moraux. Extraits des oeuvres d'Jsaac de Ninive

par Ibn as-Salt, éd. par P. Sbath, Impr. al-Chark, Le Caire 1934. pp. 32 Cf. Isacco di Ninive, Disco1~i spilituali. Capitoli sulla conoscenza. n<:lmtc.r<:.

templazìone sull'argomento della gebenna. Alfi-i opuscoli, a cura di P. Base r8. Questa montagna è situata nel Kurdistan settentrionale. ce ai

27

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precisa della sua morte, né quella della nascita. È probabile che sia stato venerato come santo ancora in vita, e la sua gloria au­mentò dopo la morte, con il progressivo diffondersi delle sue opere. Giuseppe Hazzaya, nell'viii secolo, lo chiama "celebre fra i santi" 33 . Un altro autore siria co parla di lui come di un "maestro e dottore di tutti i monaci e salvezza dell'universo in­tero"34. Nel corso dell'xi secolo Isacco divenne molto noto nel­l'oriente di lingua greca grazie alla traduzione delle sue opere: nell' Everghetin6s, celebre antologia di testi ascetici, i passi tratti da "abba !sacco il Siro" stanno alla pari dei classici della spiri­tualità bizantina antica. È così che un semplice vescovo "nesto­riano" originario di una remota provincia della Persia riuscì a di­ventate un "santo padre della chiesa ortodossa d'orientamento calcedonese ", fenomeno più unico che raro nella storia del cri­stianesimo d'oriente 35 .

Gli scritti di Isacco

L'anonima fonte siro-occidentale che abbiamo precedente­mente citato parla di "cinque volumi" di pugno di !sacco. Un autore del XIII secolo che ci ha lasciato un elenco degli autori si­ro-orientali, 'Abdisho' di Ninive, riporta sette libri di !sacco "sul tema della disciplina spirituale, dei misteri divini, dei giu­dizi, e sulla provvidenza" 36 . Impossibile sapere se si tratta di

33 A. Mingana, Woodbroke Studies, VII. Ear!y Christian Mystics, W. Effer and Sons, Cambridge I934. p. 268.

"].-B. Chabot, De S. Isaaci Ninivitae vita, scriptis et doctrina, ex. Lefever F. et S., Parisiis-Lovanii I 892, p. VII.

" La festa di sant'Isacco il Siro, vescovo di Ninive, si celebra il IO febbraio (28 gennaio secondo il calendario antico), contemporaneamente a quella di sant'Efrem.

36 G. S. Assemani, Bib!iotbeca orienta!is III, I, p. I74·

una diversa ripartizione dello stesso corpus di testi, o se alcune opere di !sacco sono a tutt'oggi perdute. Per ora, siamo in pos­sesso di due gruppi di opere, il primo dei quali oggi ampiamente conosciuto e tradotto in molte lingue, il secondo invece ignoto fino alla sua recentissima scoperta 37 .

Il testo originale del primo gruppo è giunto a noi in due re­censioni differenti, una orientale e una occidentale38 . La prima è stata edita da Paul Bedjan, in una pubblicazione che è l'unico testimone a stampa della prima parte dell'opera di Isacco39; la seconda si trova in numerosi manoscritti, il più antico dei quali risale al IX o x secolo40 . Ecco le differenze principali tra le due recensioni: r) l'orientale contiene molti passi, tra cui otto interi discorsi, che non figurano in quella occidentale; z) l'occidentale contiene alcuni passi non presenti in quella orientale; 3) nella re­censione orientale compaiono citazioni di Teodoro di Mopsue­stia e Diodoro di Tarso che in quella occidentale vengono attri­buite ad altri padri. Senza dubbio è la recensione orientale quel­la che riflette il testo originale di !sacco, mentre l'occidentale rappresenta una lettura siro-ortodossa dei suoi scritti 41 .

La traduzione greca di !sacco - fine VIII, inizio IX secolo - fu condotta sulla recensione occidentale ad opera di Abramo e Pa­trizio, due monaci della laura di San Saba in Palestina. In essa le citazioni di Evagrio furono attribuite a Gregorio di Nazian­zo, mentre alcune omelie e alcuni passi oscuri furono omessi.

37 La prima parte delle opere di Isacco, edita da Pau! Bedjan, contiene 82 discorsi, la seconda 41. Poiché due discorsi della prima parte sono riprodotti pari pari nella se­conda, l'insieme degli scritti di Isacco consta di I 2 I discorsi. Tenendo conto del fatto che la più antica traduzione araba della sua opera (rx secolo) ne conta I22 (cf. l'intro­duzione alla traduzione russa delle opere di Isacco, edita a Sergiev Posad nel I9II), è molto probabile che gli scritti di Isacco che ci sono pervenuti in lingua siriaca rappre­sentino la totalità del corpus (anche se alla luce delle più recenti ricerche il quadro si presenta oggi più complesso: cf. S. Chialà, Dall'ascesi eremitica, pp. 65-83 [N.d.T.]).

38 Cf. D. Miller, "Translator's Introduction", pp. LXVII-LXXVIII. 39 Nelle note del presente libro questa edizione è indicata con la sigla PR. 4° Cadex Sinaiticus syriacus 24. 41 Cf. D. Miller, "Translator' s Introduction", p. LXXVill.

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D'altro canto, vi furono incluse quattro omelie di Giovanni di Dalyata42 , come pure la cosiddetta Lettera a Simeone, che in real­tà è opera di un autore siro-orientale del V-VI secolo, Filosseno di Mabbug43

. Questa traduzione greca è abbastanza letterale e conserva pertanto molti passi poco chiari dell'originale siriaco. Sembra addirittura che in certi punti il traduttore non abbia ca­pito il senso dell'originale, e ciò spiegherebbe i numerosi errori di questa traduzione 44 che, stampata per la prima volta a Lipsia nel 1770 45

, vide in seguito numerose ristampe. A partire dal greco, l'opera di Isacco fu tradotta in georgiano

(x secolo), slavone (xiv) e latino (xv); dal latino in portoghe­se, spagnolo, catalano, francese e italiano (xv e XVI secolo). Più tardi, sulla base dell'edizione greca a stampa, Isacco fu tradotto in rumeno (1781), russo (1854 e 191 1), greco moderno (187I), francese (1981) e inglese (1984); nonché dal russo in giapponese (1909). Nell'antichità la sua opera fu tradotta in arabo (Ix seco­lo) e in etiopico (prima del XIV secolo) sulla base del siriaco; poi, in epoca moderna, parzialmente in tedesco (1876), quindi in in-

42 I, discorsi 15, 16, 17 e 31 dell'edizione greca a stampa. 43 E la lettera 4 nell'edizione greca di !sacco, ma corrispondente in realtà alla Lette­

ra a Patrizio di Filosseno; cf. La lettre à Patricius de Pbi!oxène de Mabboug, éd. par R. Lavenant, Firmin-Didot, Paris 1963 (Patrologia orientalis 30,5).

44 Si veda il giudizio di Filarete di Mosca: "Il traduttore probabilmente non era un erudito; ignorava le regole grammaticali e quindi mischiò le parole e al posto delle espressioni appropriate mise parole scorrette e oscure, che potrebbero ancl~e essere ope­ra dei copisti, al punto di moltiplicare gli errori e le inverosimiglianze" (Zizneopisaniia otecestvemzycb podviinikov b!agocestiia xvm-xrx vv., Sentjabr', Moskva 1909, p. 497); cf. anche Georgij Florovskij; "Questa traduzione è spesso scorretta ... Nel testo siriaco c'è meno ordine e più spontaneità" (Vizantiiskie otcy, p. r86).

45 Con il titolo Toz2 bosfou patròs bemfm Isaàk episk6pou Nineuì tot2 Syrou tà beure­tbénta asketikd. La citazione completa si trova in bibliografia. Chi scrive ha avuto modo di lavorare sui manoscritti greci di !sacco conservati nel monastero di Santa Caterina del Sinai, nella Biblioteca nazionale di Parigi e nella Biblioteca vaticana. La tradizione ma­noscritta delle opere di !sacco in greco ha avuto una diversa evoluzione. Un'analisi pre­liminare di questa tradizione rivela che sono esistite almeno due redazioni del testo di !sacco; una redazione primitiva (che apparve verso l'viii-IX secolo) e una più tarda, collegata al risveglio esicasta a Bisanzio (xm-xrv secolo). Le edizioni a stampa del testo greco rispecchiano la redazione più tarda, che ha cambiato l'ordine e la numerazione dei discorsi.

30

glese (192 1) 46, e ancora parzialmente in italiano (1984). Da sola,

questa lista di traduzioni (certamente incompleta) mostra in mo­do evidente la grande popolarità di cui hanno goduto fino a oggi gli scritti di Isacco, soprattutto negli ambienti monastici.

Come abbiamo visto, la maggior parte di queste traduzioni si sono basate sul testo greco, che non solo rifletteva la recensione siro-occidentale di Isacco, ma era a sua volta una rilettura orto­dossa di questa recensione, ritenuta dai traduttori greci "mono­fisita". In altre parole, per dieci secoli il mondo ha conosciuto solo un Isacco "riveduto e corretto", inizialmente travestito da "nestoriano" in "monofisita", e infine da "monofisita" in "or­todosso" 47 .

Oggi siamo in grado di scoprire il vero Isacco grazie alla pub­blicazione della prima parte ad opera di Bedjan, e più ancora grazie alla seconda parte scoperta di recente. Bedjan ne cono­sceva l'esistenza e ne aveva pubblicato alcuni frammenti nella sua edizione della prima parte48

, servendosi di un manoscrit­to che poi (nel 1918) sarebbe andato perduto. Fortunatamen­te nel 1983 Sebastian Brock poté identificare la seconda parte nella sua interezza in un manoscritto della Biblioteca bodleia­na di Oxford, risalente al x o XI secolo 49 • L'identità dell'auto-

46 Mystic Treatises by Isaac o/ Nineveb, ed. by A. J. Wensinck, Koninklijke Akademie van Wetenschappen, Amsterdam 1923.

47 Mettiamo questi termini tra virgolette per sottolineare il carattere di ambiguità che essi presentano nella tradizione siriaca.

48 Si veda PR, pp. 585-6oo. Bedjan fornisce anche alcuni estratti di una terza parte (PR, pp. 6or-6z8), ma questi di fatto appartengono a Dadisho' Qatraya (VII secolo). Cita inoltre il Libro della grazia, da lui attribuito a !sacco, ma la cui autenticità è messa in dubbio dall'odierna ricerca; Miller sostiene che non sia di mano di !sacco ma piut­tosto di Simone di Taibuteh ("Translator's Introduction", pp. LXXXI-LXXXV).

49 Oxfozd, Bodleian Lib. sir. e. 7, proveniente dal monastero di Mar 'Abdisho', ap­partenente a Rabban Isho' del villaggio di Bet Shrift, scritto in caratteri siro-orienta­li chiamati estrangbe!a. Il nome del copista è Marco. Il manoscritto fu acquisito dalla Biblioteca bodleiana nel 1898. Una copia del manoscritto, datata r895, si trova nella biblioteca dell'arcivescovo caldeo di Teheran, Mar Yuhannan Issayi, recentemente scomparso (Teheran, Issayi 4). Il testo integrale della seconda parte di !sacco si trova parimenti nei mss. Paris, Bibl. Nat. sir. 298 e Hmvmd sir. 57 (ma solo una parte di

3I

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re non dà adito a dubbio: lo stile, la lingua, la grammatica e la sintassi, il vocabolario e i temi affrontati tradiscono con tutta evidenza la mano di Isacco. Fra l'altro, in molti luoghi l'auto­re rimanda ai discorsi della prima parte. E ancora, i discorsi r 7 e 2 della seconda parte sono identici ai 54 e 55 della prima. Si può osservare che, ad onta della minore diffusione e del fatto di non essere stata tradotta in greco, questa seconda parte era tut­tavia nota oltre i confini della chiesa d'oriente, anche fra alcuni monaci calcedonesi: un manoscritto appartenente al monastero di Santa Caterina del Sinai, datato XI secolo, ne contiene dei frammenti 50

.

La seconda parte è costituita da quarantun capitoli, il terzo dei quali a sua volta contiene quattro Centurie di conoscenza, che rappresentano quasi la metà del testo recentemente scoperto. Paolo Bettiolo ne sta preparando l'edizione critica e una tradu­zione italiana è già disponibile 51 . I capitoli dal4 al4r sono stati pubblicati con traduzione inglese da Sebastian Brock nel Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium52

• Ha inoltre appena visto la luce una traduzione russa dei discorsi r-2 e 3-4, frutto delle nostre fatiche 53

.

Il presente libro è la prima monografia contemporanea sul­la teologia di Isacco il Siro che abbia potuto prendere in esame

questi due manoscritti è conservata). Tra i manoscritti che hanno conservato qualche discorso o frammento di discorso della seconda parte si possono menzionare il Ba­gbdlld, Monastero caldeo di Dawra, sir. 68o; il Vaticano sir. 509; il Birmingham, Min­gana sir. 6or; Londra, British Lib. Add. r4632 e Add. 14633· Per ulterion dettagli sui manoscritti più importanti, si veda S. Brock, "Introduction", in Isaac of Nineveh (Isaac the Syrian), "Tbe Second Part", Cbapters IV·XU, ed. and tr. by S. Brock, Peeters, Lovanìi 1995 (CSCO 554-555), vol. I, pp. Xll-JGU(V.

;o Cf. S. Brock, "St. Isaac the Syrian: Two Unpublished Texts", in Sobomost 19,1 (1997), pp. 7-8.

51 Cf. Isacco di Ninive, Dìscorsi spirituali. 52 Cf. Isaac of Nineveh (Isaac the Syrian), "Tbe Second Part"; d'ora in poi quest'ope­

ra sarà citata soltanto con la sigla della collana esco seguita dal pumero del volume. '' Prepodovnyj Isaak Sirin, O boiestvennicb tajnacb i o ducbovnoj :f.i:wi, ed. Ilarion

Alfeev, Zai':at'evskij Monastyr', Moskva r998.

.32

i testi recentemente scoperti. Esso è il risultato di uno studio dell'eredità spirituale di Isacco che si è prolungato per molti anni. Il nostro lavoro si rivolge non tanto ai teologi di profes­sione quanto a una larga cerchia di lettori per i quali la lettu­ra di Isacco costituisce il "pane quotidiano" indispensabile alla loro salvezza, e non solo un oggetto di curiosità scientifica. Per questo motivo abbiamo deliberatamente rinunciato a un' espo­~zione in cui ogni frase dell'autore fosse supportata da riferi­menti a studi eruditi, come usa nelle opere destinate a un pub­blico di specialisti. L'apparato scientifico è modesto e i riman­di ad altri studi sono ridotti al minimo. Contenuto principale del libro sono le parole stesse di Isacco, alle quali l'autore non ha voluto aggiungere altro che i commenti strettamente indi­spensabili.

Abbiamo un profondo debito di riconoscenza nei confronti di Sebastian Brock per il suo preziosissimo aiuto nella compren­sione di molti passi difficili della seconda parte degli scritti di Isacco. La nostra particolare gratitudine va anche a padre André Louf, non solo per essersi assunto l'ingrato compito di tradurre questo libro in francese, ma anche per la possibilità che ci ha da­to di utilizzare la sua traduzione delle opere di !sacco.

fonti della teologia di Isacco

Prima di tentare un'analisi della teologia di Isacco, bisogna spendere due parole sui suoi predecessori, coloro che esercita­rono una qualche influenza su di lui. Isacco frequentò assidua­mente la letteratura ascetica, e non mancò di citare autori anti­chi, siriaci o greci, o di far loro riferimento.

Secondo Sebastian Brock il vocabolario e la terminologia di Isacco devono molto soprattutto a due autori: Giovanni il Soli-

33

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tario ed Evagrio54• Gli scritti del primo (inizio v secolo) hanno

esercitato una profonda influenza non solo su Isacco ma su un buon numero di autori ascetici posteriori al v secolo 55 . Pur non nominandolo mai, Isacco utilizza molte formule tratte da lui. Quanto a Evagrio (rv secolo), egli era la principale autorità in materia spirituale per tutti gli autori di lingua siriaca: i suoi scritti erano stati tradotti in quella lingua e godevano di gran­de popolarità 56 • Isacco lo nomina e lo cita frequentemente; a imitazione dei Capitoli gnostici (Kephdlaia gnostikd) di Evagrio ha voluto a sua volta scrivere quattrocento "capitoli gnostici" (le quattro Centurie di conoscenza). Agli occhi di !sacco, E vagrio era "un vaso di rivelazioni spirituali illimitate" 57 , "colui che de­finì la forma appropriata di ogni nostra attività" 58, cioè colui che gettò le fondamenta della comprensione teologica di tutti gli aspetti della vita ascetica.

Oltre a Giovanni di Apamea (detto anche "il Solitario"), !sac­co conosceva altri autori siriaci, in particolare Afraat ed Efrem, espressamente citati, ma anche, benché non nominati nei suoi scritti, Narsai e Babai il Grande. Fra le traduzioni patristiche, !sacco conosceva il corpus delle opere di Dionigi l'Areopagita, le Omelie dello Pseudo-Macario, gli Apoftegmi dei padri, gli scritti di Marco l'Eremita, di abba Isaia, di Nilo di Ancira (v secolo), come pure un certo numero di documenti appartenenti alla let­teratura agiografica, ascetica e dogmatica.

Nel campo della dogmatica e dell'esegesi, Teodoro di Mop­suestia e Diodoro di Tarso erano le sue autorità principali, come lo erano per la tradizione siro-orientale nel suo insieme. !sacco

54 Cf. S. Brock, "Intrcducdon", pp. XXXVII·XXXVIII.

" Ibid., p. xvrr. 56 Ibid., p' XXII.

" II,J5, I 2. 50 I,8 (p. 68) PR 8 (p. ro6). Cf. PR 9 (p. IIJ), I9 (p. r6o), 22 (p. r68) e 44

(p. 319).

.34

fa spesso appello a Teodoro chiamandolo il "beato Interprete" e scagliando l'anatema contro i suoi nemici:

Che nessun fanatico, convinto che il suo zelo abbia a che fare con la causa della verità, osi immaginare che noi di nostra ini­ziativa ci apprestiamo a introdurre novità delle quali i padri ortodossi nostri predecessori non abbiano mai parlato, come se proponessimo un'opinione non conforme alla verità. Chi vuole può andarsi a vedere gli scritti del beato Interprete, uo­mo che aveva ricevuto in abbondanza i doni della grazia, al quale erano stati confidati i misteri nascosti delle Scritture autorizzandolo a insegnare a tutta la comunità della chiesa ll cammino verso la verità, e soprattutto uomo che ha illumina­to noi orientali [cioè i siro-orientali] di sapienza. La vista del­la nostra mente non è in grado di sostenere il fulgore della sua opera ispirata dallo Spirito divino. Sicché, lungi dal respinge­re le sue parole - Dio ce ne guardi! - noi le accogliamo come quelle di un apostolo, e tutti coloro che vi si oppongono, insi­nuano dubbi sulle sue interpretazioni o esitano di fronte alle sue affermazioni, noi li consideriamo alla stregua di estranei alla comunità della chiesa e di erranti riguardo alla verità 59.

Quanto a Diodoro di Tarso, !sacco parla di lui con il massimo rispetto, chiamandolo di volta in volta "testimone degno di de", "persona di grande intelligenza", "sorgente alla quale si è dissetato Teodoro stesso, la cui parola risuona con tanta chiarez­za", "grande dottore della chiesa", "mirabile fra tutti gli inse­gnanti e maestro di Teodoro" 60 •

È evidente che Isacco nella sua scelta di autori, sia nel campo del dogma sia in quello dell'ascesi, è stato fedele alla tradizione della sua chiesa e merita pertanto di essere considerato un autore

"II,39,7· Si può sentire in questo passo l'eco degli anatemi lanciati contro Henana dai concili locali del585, 596 e 6o6.

""II,J9, IO-I I.

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tradizionale. Al tempo stesso si rivela uno degli autori più origi­nali non solo della tradizione siro-orientale, ma della letteratura mistica cristiana universale. La sua originalità non consiste in una concezione della mistica opposta a quella tradizionale, ma piuttosto nel fatto che, benché erede della stessa tradizione e della stessa esperienza dei suoi predecessori, egli sia riuscito a distillarla in un linguaggio nuovo e originale e persino a propor­re, in alcuni casi, soluzioni nuove ad antichi problemi. Come potremo constatare nel corso di questo studio, !sacco non aveva alcun timore reverenziale nell'esprimere opinioni personali in materia ascetica o dogmatica: in certi casi fu anzi decisamente audace, sempre però sforzandosi di suffragare le sue idee con il sostegno della tradizione dei padri. Non aveva paura di parlare apertamente della sua esperienza di vita ascetica, ma era sempre attento a cercarne conferma nell'esperienza degli altri, sia pre­decessori sia suoi contemporanei.

!sacco visse in armonia con la sua chiesa, riuscendo a conci­liare con la tradizione ecclesiale un'assoluta libertà di pensiero. In tale accordo della sua esperienza e della sua teologia persona­le con la tradizione sta il segreto della straordinaria popolarità di cui l'opera di !sacco ha goduto nei secoli. Di epoca in epoca, nuove generazioni di cristiani trovano in lui un grande maestro la cui esperienza spirituale non perde mai di attualità.

I DIO, L'UNIVERSO E GLI UOMINI

Il mondo è stato mescolato a Dio, e la creazione e il Creatore sono diventati uno!

Uno studio su !sacco deve cominciare dall'analisi della sua dottrina su Dio, creatore e rettore dell'universo, e della sua con­cezione del modo in cui Dio si rivela attraverso il mondo creato. Studieremo inoltre l'antologia di Isacco, cioè il suo insegnamento sulla struttura dell'essere creato, come pure la cristologia, la dot­trina riguardante la redenzione del mondo da parte del Verbo incarnato di Dio. Tale analisi ci permetterà di collocare meglio il nostro autore nella tradizione teologica orientale e di precisarne la posizione personale di fronte ai dogmi cristiani fondamentali.

L'amore di Dio si rivela attraverso il mondo creato

Dio, come Isacco lo concepisce, è in primo luogo "più ab­bondante dell'oceano"\ Amore senza misura e senza limitF.

1 Cf. Centurie di conoscenza III, ì 2. 2 Il tema dell'amore di Dio è universalmente presente in tutta la tradizione teolocri-

ca di lingua siriaca: cf. S. Brode, Spitituality in the Syriac Tradition, p. 84. "

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L'idea di Dio come amore è centrale e preponderante nel suo pensiero: essa costituisce la fonte principale delle sue opinioni teologiche, delle raccomandazioni ascetiche e anche delle intui­zioni mistiche. Al di fuori di questa idea fondamentale, il suo sistema teologico resterebbe incomprensibile.

L'amore divino trascende ogni umana comprensione e descri­zione attraverso la parola. È riflesso nell'agire divino sia in rap­porto al mondo creato sia in rapporto agli uomini: "Fra tutte le sue opere, non ve n'è alcuna che non sia tutta quanta opera di misericordia, d'amore e di compassione: ecco l'inizio e la fine di tutta la sua attività in rapporto a noi" 3 . La creazione del mondo e la venuta di Dio sulla terra dentro una carne umana non aveva­no entrambe che un sol fine: "Rivelare al mondo il suo amore senza limiti" 4 . L'amore di Dio è dunque la ragione principale della creazione dell'universo:

Il motivo dell'esistenza del mondo e quello della venuta di Cristo nel mondo sono identici: la manifestazione del grande amore di Dio che li mise entrambi in moto affinché esistesse­ro. Lo specchio della forza dell'amore di Dio per la creazione è la venuta di Cristo nel mondo; lo specchio dell'amore di Cristo sono le diverse forme della sua umiliazione. Come Dio ha fatto conoscere l'alto amore con il quale ha portato i mon­di all'esistenza riproducendolo in favore nostro nell'econo­mia di salvezza riguardante il Cristo, così, ripetendolo nel Cristo, ha reso palese che ne offrirà una spiegazione lampan­te agli esseri razionali nel mondo a venire 5 .

Questo stesso amore rimane oggi la principale forza propulsi­va che sta dietro alla creazione del mondo 6, all'atto della quale l'amore di Dio si è rivelato in tutta la sua pienezza:

3 II,39,22. 4 Centurie di conoscenza IV,79· 5 Centurie di conoscenza IV, 79-Sr. 6 Cf. P. Bettiolo, "Avec la charité camme but: Dieu et création dans la méditation

d'Isaac de Ninive", in Irénikon 63 (r990), pp. 323-345.

Che cos'è questo Essere invisibile la cui natura non contem­pla inizio, unico in se stesso, per natura al di là della cono­scenza intellettuale e della percezione degli esseri creati, oltre il tempo e lo spazio- poiché essi sono stati creati da lui-; che si è manifestato come per allusioni ed è stato conosciuto per segni quando la creazione, al suo inizio, fu interamente fissa­ta; che si è fatto sentire attraverso la sua opera, affinché così fosse conosciuta la sua essenza di Signore fonte di nature in­numerevoli? Questo Essere è nascosto perché, avendo abitato il proprio essere per secoli senza numero né limite né inizio, piacque alla sua bontà di dare inizio al tempo e portare all'esi­stenza i mondi e gli esseri creati. Consideriamo un istante la magnificenza di ricchezza che fu l'oceano del suo atto creato­re, e la moltitudine delle cose create che appartengono a Dio, e come egli sostenga ogni cosa con misericordia, e con quan­ta provvidenza agisca quando guida la creazione, con quale amore incommensurabile abbia fondato il mondo e dato ini­zio alla creazione, e fino a che punto sia pieno di compassio­ne e pazienza, e come ami la creazione sostenendola, soppor­tandone con bontà difetti, peccati e cattiverie e persino le spaventose bestemmie dei demoni e degli uomini malvagF.

L'amore di Dio è la continua messa in opera della sua potenza creatrice, rivelazione infinita della divinità nel suo atto creatore. È il fondamento dell'universo, governa il mondo e lo condurrà a quell'esito glorioso nel quale verrà interamente "consumato" da Dio:

O profondità di ricchezze, o spirito elevato e alta sapienza di Dio! Che bontà piena di compassione, che benevolenza so­vrabbondante è quella del Creatore! Quale non fu la sua in­tenzione, quale non fu il suo amore quando creò questo mon­do e lo portò all'esistenza! Che mistero non aveva concepito

7 II,ro,r8·r9.

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nel portare la creazione alla luce! ... È per amore che ha fatto esistere il mondo, per amore lo condurrà a questa trasforma­zione meravigliosa e sempre per amore il mondo sarà inghiot­tito nel grande mistero dell'autore di tutto. È infine l'amore che governa ogni cosa nella creazione 8 •

Questa volontà piena d'amore di Dio è la prima fonte di tutto ciò che esiste nell'universo:

È lui che, dimorando nella luce della sua natura, ha voluto che tutta la creazione si avvicinasse alla nube oscura della sua eterna gloria, è lui che ha donato la corona della sua eternità alla creazione sprigionata dalle sue mani ... è lui che è all'ori­gine della pienezza che ha deciso di condividere nell'eternità del suo regno, lui che è l'Essere e il Signore, esaltato al di là di ogni nozione secondaria, la cui volontà è la fonte delle na­ture, dal quale defluiscono come da una sorgente i mondi, gli esseri creati e le nature, illimitate e innumerevoli9

.

L'amore di Dio è la ragione per la quale siamo in grado di co­noscerlo, giacché tutto quello che sappiamo di lui ci viene da quanto lui stesso ci ha rivelato attraverso il suo divino Nome, e dalle diverse rivelazioni menzionate dalla Scrittura.

Ciò di cui si può avere coscienza, ciò che si può conoscere di Dio è quello che egli, nel suo amore, ha preso su di sé per il nostro bene. Queste realtà sono l'oggetto delle dimostrazioni sensibili attraverso le quali la sacra Scrittura fa conoscere ai nostri sensi quanto è conoscibile del mondo non sensibile, benché tali realtà non lo facciano conoscere in ciò che gli è proprio, ma nel modo in cui Dio disse a Mosè: "Io sono il Signore che si è rivelato ad Abramo, Isacco e Giacobbe co-

8 Il,j8,I·2. 9 Il,r0,24.

me Dio El Shaddaj, ma non ho indicato loro il mio nome" (Es 6,3). La differenza che intercorre tra "Dio El Shaddaj" e "Ehyeh asher ehyeh" 10 e che è in rapporto con la distinzione tra due tipi di discepoli, vale anche per la differenza tra quan­to ci viene detto affinché noi conosciamo Dio in verità e la verità [profonda] di questa conoscenza11 .

Dio non è solo il creatore dell'universo e la sua forza motrice. Egli è prima di tutto un "vero padre per gli esseri dotati di ragio­ne, da lui generati attraverso la grazia affinché diventino eredi della sua gloria nel tempo a venire, ed egli possa mostrare loro la sua opulenza, che sarà la loro delizia senza fine" 12 . Nel suo im­menso e smisurato amore supera ogni cosa in tenerezza paterna13 •

Il suo atteggiamento verso il mondo creato è dunque caratterizza­to da un'incessante sollecitudine provvidenziale per tutti i suoi abitanti, per gli angeli e i demoni, per gli uomini e gli animali. La sua provvidenza è universale e abbraccia tutto 14 . Nessuna creatura è esclusa dallo sguardo della sua amante provvidenza, ma l'amore del Creatore si riversa egualmente su tutte le cose:

Nella conoscenza del Creatore non c'è nessuna natura che stia al primo o all'ultimo posto della creazione, ma tutto ciò che egli ha portato all'esistenza si trova da sempre nella sua coscienza. E non ce n'è una che egli abbia conosciuto prima delle altre, né altre prima di essa; nessuna fu prima, nessuna

10 "Io sono Colui che sono" (Es j,r4), in ebraico nel testo. 11 Con la sua dottrina sulla duplice interpretazione del N ome di Dio I sacco si inse­

risce in una tradizione esegetica rappresentata prima di lui da Isho'dad di Merw nel suo commento a Es 6,3. Accanto all'interpretazione "sensibile" di questo Nome, adat­tato alla nostra reale capacità di comprensione, c'è l'interpretazione "intelligibile" o "spirituale", riservata al mondo a venire, la sola che svela la verità profonda. La stessa duplice interpretazione influenza tutto quello che può essere detto a proposito di Dio [N.d.T. francese].

12 Il,r,r. lJ Cf. I,j2 (p. 254) = PR )I (p. J6I). 1'1 Cf. I,7 (p. 6j) = PR 7 (p. IOJ).

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fu dopo nemmeno per un istante. Parimenti, non c'è né pri­ma né dopo nel suo amore per le creature, né amore più gran­de né più piccolo da parte sua verso di esse. Al contrario, così come la sua conoscenza è sempre la stessa, sempre uguale è il suo amore 15 .

Tutte le creature viventi esistevano nello spirito di Dio prima della loro creazione. Prima di essere portate all'esistenza tice­vettero un posto nella struttura e nella gerarchia dell'universo, posto che non è mai stato loro tolto, nemmeno se sono cadute lontane da Dio:

Quanto al rango nell'amore, ciascuno ha il proprio posto uni­co e immutabile nell'economia salvifìca di Dio, secondo la forma che Dio vedeva in lui prima di crearlo con le altre crea­ture, cioè nel tempo precedente l'attuazione del progetto del mondo secondo la sua eterna economia di salvezza ... Dio non conosce che un solo grado di amore, totale e senza par­zialità per nessuno, e ha una sola sollecitudine e una sola pre­mura sia nei confronti di quelli che sono caduti sia di quelli che non lo sono 16•

La sollecitudine della provvidenza di Dio e il suo amore si estendono agli angeli primo frutto della sua attività creatrice -e includono quelli che, caduti lontano da Dio, sono diventati demoni. Secondo I sacco, l'amore del Creatore verso gli angeli decaduti non è assolutamente diminuito a seguito della loro ca­duta, e non è affatto inferiore all'amore che egli porta agli altri angeli17:

Sarebbe ignobile e del tutto blasfemo sostenere che in Dio sussistano odio e risentimento, anche solo verso i demoni; o

"IIas,3. 16 I!,40,}. 17 Cf. II,4o,2.

immaginarsi qualsiasi altra debolezza o passione, o che alla sua natura gloriosa possa confarsi anche implicitamente una qualche idea di remunerazione del bene o del male sotto ma di retribuzione. Dio piuttosto agisce su di noi per vie che sa esserci favorevoli; siano causa di sofferenza o sollievo, gioia o tristezza, insignificanti o gloriose, tutte sono orientate ver­so gli stessi beni eternP 8.

Sostenere che l'amore di Dio diminuisca o scompaia a causa della caduta di una creatura equivarrebbe a "ridurre la natura gloriosa del Creatore alla debolezza e al cambiamento" 19 . Sap­piamo infatti che

non c'è presso il Creatore né cambiamento né intenzioni an­teriori o successive; non c'è odio né risentimento nella sua natura, né posto più grande o più piccolo nel suo amore, né prima né dopo nella sua conoscenza. Giacché, se tutti credo­no che la creazione è venuta alla luce come conseguenza della bontà e dell'amore del Creatore, sappiamo che questa causa prima non diminuisce né muta nella natura del Creatore per via di un andamento disordinato della creazione 20 •

Niente di ciò che avviene nella creazione potrebbe alterare la natura del Creatore che è "alta, nobile, gloriosa, perfetta, com­piuta nella sua conoscenza e intera nel suo amore" 21 .

Per questa ragione Dio ama allo stesso modo i giusti e i pecca­tori, e non fa nessuna distinzione fra loro. Dio conosceva la vita peccaminosa che l'uomo avrebbe condotto già prima di crearlo, eppure lo creò22

• Dio conosceva tutti prima che diventassero

43

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giusti o peccatori, ma il suo amore non mutò a causa del cambia­mento che essi avrebbero subito23 . Anche le azioni riprovevoli sono da lui misericordiosamente accolte, e "i loro autori perdo­nati senza biasimo da un Dio che conosce tutto e al quale ogni cosa è rivelata prima che accada, e che conosceva i limiti della nostra natura prima di crearci. Giacché Dio, che è buono e pie­no di compassione, non ha l'abitudine di giudicare le debolezze della natura umana o delle azioni che si compiono necessaria­mente, benché riprovevoli" 24 .

Anche quando castiga, Dio lo fa per amore o mirando alla salvezza del punito piuttosto che per sanzionare. Dio rispetta la libera volontà dell'uomo e non desidera contrastarla:

Dio castiga con amore, non per vendicarsi- tutt'altro! -ma per cercare di portare a compimento la sua immagine. Non prova collera - a meno che la correzione risulti impossibile -perché non cerca vendetta. Tale è l'intento dell'amore: il ca­stigo per amore mira alla correzione, non alla sanzione ... Chi considera Dio come un vendicativo che dà in tal modo prova della sua giustizia, a guardar bene lo accusa di scarsa bontà. Non piaccia a Dio che in quella fonte d'amore e in quell'o­ceano debordante di bontà possa mai essere riconosciuta la vendetta25 !

Così presso !sacco l'immagine del Dio-giudice è completa­mente eclissata da quella del Dio-amore (pubba) e del Dio-mise­ricordia (raf?me).

Dio non vuole giudicare nessuno. Al contrario, desidera es­sere il padre di tutti: "Dopo la venuta di Cristo e oltre, le ri­velazioni ci hanno fatto conoscere il suo ruolo di padre, come

44

23 Cf. II, 38a. 24 II,I4,I5. 25 1,48 (p. 230).

veramente è, non avendo più alcun desiderio di essere per noi né signore né giudice" 26

. Agli occhi di !sacco, la misericordia (mraf?manuta) è incompatibile con la giustizia (kinuta):

La misericordia si oppone alla giustizia. La giustizia consiste nell'uguaglianza tra due piatti di una bilancia che si manten­gono in equilibrio, perché essa dona a ciascuno ciò che merita . . . mentre la misericordia è un rammarico e una pietà pro­vocati dalla bontà. Essa fa pendere la bilancia dalla parte di tutti, non punisce chi pure lo meriterebbe e accorda a chi ne ha diritto una ricompensa doppia. Ecco perché, se è evidente che la misericordia fa parte della rettitudine, la giustizia fa parte della malvagità. Proprio come erba e fuoco non posso­no coesistere nello stesso luogo, così giustizia e misericordia non possono coabitare nella stessa anima.

È quindi assolutamente impossibile parlare di o-iustizia di Dio; bisogna semmai parlare di una misericordia eh; oltrepassa qualsiasi giustizia:

Come il peso di un granello di sabbia è nulla di fronte a una gran massa d'oro, parimenti l'uso che Dio fa della aiustizia è nulla rispetto alla sua misericordia. Davanti allo spirito di Dio i peccati della carne sono una manciata di sabbia gettata nel vasto mare; e come una fonte che sgorga impetuosa non può essere fermata da un pugno di polvere, così la misericordia del Creatore non è ostacolata dai vizi delle sue creature27.

Dopo aver respinto così vigorosamente l'idea della sanzione !sacco mostra che la concezione veterotestamentaria di un Di~ che punisce i peccatori, "che castiga la colpa dei padri nei fi­gli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione"

26 II,r,q. 27

I,5r (p. 244) ~ Touraille 58 (p. 312); PR 50 (p. 345).

45

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(Es 34,7; cf. Nm I4,I8), non corrisponde alla rivelazione che abbiamo ricevuto nel Nuovo Testamento attraverso l'intercessio­ne di Cristo. Benché David nei salmi chiamasse Dio "giusto e retto nei suoi giudizi" (cf. Sal II9,I3]), di fatto egli è buono e misericordioso. Cristo stesso ha confermato questa "ingiusti­zia" di Dio nelle sue parabole, specialmente quelle dei lavora­tori dell'undicesima ora e del figlio prodigo (cf. Mt zo,I-I5; Le r5, I I-32), e ancor più con la sua incarnazione a causa dei pecca­tori: "Dov'è dunque la giustizia di Dio, dal momento che Cristo è morto per noi mentre eravamo peccatori?" 28 •

Isacco dunque sostiene che non bisogna interpretare alla let­tera i passi che attribuiscono al Creatore sentimenti quali colle­ra, sdegno, odio e altri analoghi. Se nelle scritture si incontrano simili espressioni antropomorfiche, esse sono usate in senso fi­

gurato, poiché Dio non agisce mai per collera o per odio, senti­mentì totalmente estranei alla sua natura. Non si deve prendere alla lettera tutto ciò che è scritto, ma piuttosto vedere la prov­videnza nascosta e la conoscenza eterna di Dio dissimulate sot­to il velo corporeo dei racconti dell'Antico Testamento29 • "Temi Dio per amore, non per la reputazione di severità che gli è stata attribuita" 30 .

Se Dio è amore per natura, colui che ha raggiunto un amo­re pieno e una misericordia rivolta all'intera creazione diventa simile a Dio: lo stato di pienezza d'amore verso la creazione che gli è proprio è lo specchio nel quale può contemplare l'im­magine verace e la somiglianza dell'essenza dìvina31 . Tutti i san­ti "cercano per sé il segno della somiglianza totale con Dio: rag­giungere la pienezza nell'amore del prossimo" 32 • Caratteristico

28 I,5r (p. 25r) Touraille 6o (p. 324); PR 50 (p. 35B). 29 Cf. II,;9,19. 30 I,sr, (p. 25r) = Touraille 6o (p. 324); PR 50 (p. 35B). 11 Cf. !,64 (p. 3r2) Touraille 34 (p. 2rsl; PR 6s (p. 455). 12 I,7I (p. 346) Touraille Br (p. 397); PR 74 (p. 5ro).

in questo senso è il celebre testo di Isacco in cui viene descritto il "cuore misericordioso" grazie al quale l'uomo può diventare simile a Dio:

Ma cos'è un cuore misericordioso? È un cuore che arde per tutta la creazione, per gli uomini, gli uccelli, gli animali, i de­moni e ogni creatura. Quando l'uomo misericordioso pensa a loro, i suoi occhi versano copiose lacrime. Grazie alla miseri­cordia possente che gli stringe con forza il cuore e all'intensa compassione, la sua anima è umiliata e non sopporta di senti­re o vedere un'offesa qualsiasi o la minima afflizione patita dalle creature. Per questo motivo egli offre incessantemente preghiere e lacrime, anche per gli animali privi di ragione, per i nemici della verità e per coloro che gli fanno dei torti, affin­ché siano protetti e ricevano misericordia. Nello stesso modo prega anche per la stirpe dei serpenti, a causa della grande compassione che, a immagine di Dio, arde smisuratamente nel suo cuore 33 •

Nell'uomo, il "cuore misericordioso" è dunque l'immagine precisa della misericordia di Dio, che abbraccia l'insieme della creazione: uomini, animali, serpenti e demoni. In Dio non c'è odio per nessuno bensì un amore che abbraccia tutto, che non fa differenza tra giusto e peccatore, tra amico della verità e suo ne­mico, tra angelo e demone. Ogni essere creato è prezioso agli oc­chi di Dio. Egli si prende cura di tutte le creature e ciascuna tro­va in lui un padre pieno d'amore. Se noi voltiamo le spalle a Dio, lui non le volta a noi: "Se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso" (zTm z, I 3). Qualsiasi cosa possa accadere agli uomini o all'intera creazione, quale che sia il loro grado di allontanamento da Dio, egli resta fedele al suo amore che non può né vuole rinnegare.

JJ I,7r (pp. 344-345) Touraille Br (p. 395); PR 74 (pp. 507-50B).

47

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Struttura del mondo creato

Secondo la rivelazione biblica, la creazione comprende a un tempo il mondo invisibile degli spiriti incorporei e il mondo vi­sibile della materia. Al primo appartengono gli angeli e i demo­ni, al secondo l'insieme dell'universo con gli uomini, gli animali e tutti gli oggetti inanimati.

Ecco come la storia biblica della creazione viene compendiata da Isacco:

Il primo giorno furono create otto nature spirituali, sette si­lenziosamente e una, la luce, con una parola di comando. Il secondo giorno fu creato il firmamento; il terzo, Dio riunì le acque e fece germogliare le erbe; al quarto ebbe luogo la sepa­razione della luce; al quinto furono creati gli uccelli, i rettili e i pesci; il sesto giorno gli animali e, infine, l'uomo 34

A proposito della struttura del mondo angelico, Isacco espo­ne la dottrina delle nove classi gerarchiche, ripresa da Dionigi l'Areopagita che a sua volta si fonda sui nomi degli angeli nel­l' Antico Testamento. Ecco che cosa scrive, rifacendosi al testo biblico:

I libri sacri hanno attribuito nove nomi a queste essenze spi­rituali, suddividendole in tre gruppi di tre classi ciascuno. Il primo gruppo è costituito dai "troni", grandi, sublimi e santi al sommo grado, dai "cherubini" dagli innumerevoli oc­chi e dai "serafini" dalle sei ali; il secondo gruppo compren­de "dominazioni", "virtù" e "potestà"; il terzo "principati", "arcangeli" e "angeli". I loro nomi sono così interpretati: in

"I,z6 (p. 132) ~ Touraille 67 (p. 349); PR 25 (pp. r87-r88).

ebraico,. serafini significa fervidi e ardenti, cherubini vuol di­re grandi per conoscenza e saggezza, i troni sono le dimore di Dio e si riposano 35

••. Questi ordini hanno ricevuto i loro no­mi in base all'attività che svolgono. I troni sono così chiamati perché un tempo venivano realmente onorati; le dominazioni perché hanno autorità su tutto il regno; i principati perché governano l'atmosfera; le potestà perché è stato loro dato po­tere su tutte le nazioni e tutti gli uomini; le virtù perché era­no una volta grandi potenze dall'aspetto terribile; i cherubini perché sono esecutori; gli arcangeli in quanto vigili guardiani e gli angeli perché messaggeri 36 .

Secondo Isacco, Dio creò gli angeli

dal nulla e in un solo istante ... come i mondi innumerevoli dell'alto, potenze illimitate, legioni di serafini fiammeggianti, terribili e veloci, meravigliosi e forti, che hanno la facoltà di eseguire la volontà dei disegni onnipotenti, spiriti semplici, luminosi e incorporei, che parlano senza bocca, vedono senza occhi, sentono senza orecchie, volano senz'ali ... Non si affa­ticano né provano debolezza, sono rapidi nei loro movimenti, non rimandano mai le loro azioni; terribili all'aspetto, il cui compito è degno di ammirazione, ricchi di rivelazioni, elevati nella contemplazione, che scrutano il luogo della Shekinah 37

dell'Invisibile, delle essenze gloriose e sante, essi sono stati suddivisi in nove classi dalla sapienza che tutti li ha creati ... I loro movimenti sono di fuoco, la loro intelligenza è acuta, la loro conoscenza mirabile, assomigliano per quanto è possibile a Dio 38 .

15 Segue a questo punto la citazione dello Pseudo-Dionigi l'Areopagira, Sulla gerar­

chia celeste 7, 2. 16 I,26 (pp. r3r-rvl ~ Touraille 67 (p. 349); PR 25 (pp. r87-r88). 17

Il termine ebraico Sbekinab significa "presenza", "gloria". Lo ritroviamo presso molti autori di lingua siriaca e nei loro testi liturgici: cf. S. Brock, n. 5 a II, ro,24, in esco 555, p. 46.

38 II,ro,24.

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Gli angeli assomigliano dunque a Dio e ne recano in sé l'im­magine: nei loro esseri il Creatore, che è al di sopra di ogni cosa, ha posto per quanto è possibile una somiglianza con se stesso39

.

Gli angeli, dice Isacco,

sono esseri invisibili il cui compito è di commuoversi alle lodi di Dio nella grande quiete che si estende sul loro mondo, co­sicché, a partire da queste lodi, possano elevarsi nella con­templazione della natura gloriosa della Trinità e restare atto­niti alla visione della maestà di quella gloria ineffabile 40

Gli angeli sono dunque in uno stato di continua meraviglia di fronte ai misteri divini, "a causa delle rivelazioni che vengono loro fatte in diversi modi" 41 . Paragonati allo stato attuale degli uomini, essi sono più elevati e più santi, perché non sottostanno alle passioni. Sono gli assistenti di Dio, e partecipano della sua luce e della sua gloria:

L'economia di salvezza che Dio ha attuato a favore di que­sti mondi elevati e i misteri loro rivelati sono infinitamente più grandi di quelli rivelati fra di noi, benché la causa di tutto ciò derivi da noi. Sono poi tanto più elevati e sottili nelle lo­ro nature e dimore, e più prossimi a Dio, quasi fossero dietro a lui, luci dietro a luce, come camerieri del re e legioni di fuoco accampate davanti al palazzo, pronte a obbedire ai suoi desideri e capaci di penetrare, senza l'impaccio della carne, i misteri della santità. Remoti da ogni passione, somiglianti a Dio per quanto è concesso a creatura, primi servitori dei mi­steri di Cristo, intermediari nell'opera di santificazione inte­riore conformemente alla sua economia di salvezza, assistenti al suo trono di fuoco tra i mormorii rispettosi che li santifica-

" II,2o,9. 4o II,r2,r. 41 II,8,6.

no, elevati al di sopra del mondo corporale, mantello naturale della gloria e della luce invisibile, impronta della luce delle origini 42

Le idee di Isacco su Satana e i demoni sono del tutto tradizio­nali. Quanto alla caduta di Satana, egli segue l'opinione comune dei padri secondo la quale Satana era inizialmente una creatura di luce e di gloria, ma opponendosi a Dio e disobbedendogli per orgoglio divenne malvagio. Isacco sottolinea che tutto ciò av­venne "}n un batter d'occhio", in modo improvviso e impreve­dibile. E dal diavolo che deriva tutto il male che esiste:

Da ll è venuta, nella natura spirituale, la decisione del [di commettere iJ] male. La "stella del mattino, sorta all'aurora" (Is q, r 2 LXX) appariva infatti sminuita ai propri occhi per­ché sottomessa alla regola fissata per le creature. Da quel mo­mento, la forza che la sosteneva l'ha abbandonata, ed è piom­bata come folgore (cf. Le ro,r8) fuori della sua gloria. È a partire da quel desiderio di essere liberi che il pensiero del male si è insinuato nelle creature e nelle schiere infinite delle due legioni delle nature spirituali, l'una delle quali è chiamata degli arconti, l'altra dei principati e delle dominazioni. Una di esse in un batter d'occhio è precipitata fuori della gloria della sua natura luminosa e felice, fuori della sua dimora vici­no ai cieli dove abitava con gli esseri superiori. Come uno spregevole rettile della terra è strisciata giù nell'abisso 43 .

Quanto ai demoni, essi sono "estremamente sudici" e incapa­ci, nel loro stato di impurità, di vedere gli ordini angelici sopra­stanti44. I demoni possiedono le stesse qualità degli angeli, ma la luce divina non è loro accordata perché sono portatori di tene-

42 Centurie di conoscenza IV,86. 43 CentUiie di conoscenza III,87-88. 44 Cf. I,26 (p. 130) = Tourailie 67 (p. 346); PR 25 (p. r84).

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bra45• La volontà dei demoni è di rovinare e distruggere l'essere

umano; tuttavia non possono nuocergli finché Dio lo impedisce loro 46 . I demoni sono dunque totalmente sottomessi a Dio e non possono agire senza un permesso o un ordine da parte sua. In particolare, quando siamo legati a Dio da un amore sincero, Dio non permette ai demoni né agli animali selvaggi né ai serpenti di farci il minimo male, ma "al contrario, in nostra presenza essi si comportano pacificamente, in quanto esecutori della volontà di Dio" 47 • Ma se noi siamo attaccati al peccato, Dio ordina a uno dei demoni di "fustigarci duramente", non per spirito di ven­detta, ma perché "non abbiamo a traviarci, in un modo o nell'al­tro, lontano da lui" 48 .

Se il mondo invisibile degli angeli è stato creato allo scopo di lodare la gloria e la potenza di Dio, il mondo materiale è chia­mato a sua volta a testimoniar ne l' onnipotenza. Esso è stato co­struito come un tempio magnifico che rivela e riflette la bellez­za di Dio. La cosmologia di !sacco corrisponde alle concezioni scientifiche del suo tempo: Dio ha steso il mondo come un pavi­mento e gettato il cielo come una "volta"; ha fissato "il secondo cielo come un cerchio aderente al primo"; ha creato l'oceano "come una cintura" che circonda cielo e terra; "vi ha posto montagne eccelse che toccano il cielo, e ha ordinato al sole di percorrere il suo cammino dietro le montagne lungo la linea del­la notte: all'interno delle montagne ha collocato il grande mare, che domina sulla metà o un quarto della terra emersa" 49 •

A sua volta l'essere umano è stato creato per essere tempio di Dio, dimora della divinità50 . Questa abitazione di Dio nel suo tempio si realizzò il più pienamente possibile nella persona del

45 Cf. I,28 (pp. 137-r38) = Touraille 84 (p. 4rr); PR 27 (p. r96). 46 Cf. I,54 (p. 270) = Touraille 33 (p. 207); PR 53 (p. 386). 47 II,9,6. 4s II,9,I2. 49 I,26 (p. rvl = Touraille 67 (p. 349); PR 25 (p. r87). >o Cf. II,5,6.

Cristo, Dio diventato uomo. Ritorneremo più avanti in modo particolareggiato sulla cristologia di Isacco e su come egli com­prese la divinizzazione della natura umana operata da Gesù Cri­sto. Per il momento, ci limitiamo a sottolineare che secondo !sacco la natura umana è stata creata capace di accogliere la pie­nezza della divinità.

La natura umana ha anche la facoltà di esistere infinitamente a immagine di Dio 51

. Il fine ultimo dell'uomo è la divinizzazio~ ne: gli esseri umani, come le altre creature dotate di rao-ione

b ' debbono diventare dèi, somiglianti al solo e unico vero Dio. Nell'affrontare questo tema !sacco ripropone una posizione co­mune a tutta la tradizione patristica orientale:

Eèco quanto oso affermare: l'oggetto finale di ciò che sarà contemplato nel mondo futuro è visibile nell'essenza dei san­ti angeli, quando noi saremo tutti dèi per grazia del Creatore. Tale fu infatti il suo scopo fin dall'inizio: portare tutta la crea­zione degli esseri dotati di raerione a una totale eeruaglianza

o o ' nella quale non ci sarà più differenza tra erli uni e erli altri tra

o o ' un uomo doppio e uno semplice, senza però che il corpo na-turale sia abolito 52.

Il fatto che gli esseri umani siano predestinati alla deificazio­ne ad onta delle loro infedeltà è la prova più convincente dello smisurato amore di Dio:

È attraverso la grazia che Dio ha portato il mondo alla luce, è con l'amore che ne governa le vicende. Mentre noi diamo ogni giorno motivo di amarezza alla sua bontà con la nostra follia che si volge verso il male, il suo amore non cessa mai di progettare ogni giorno grandi beni in nostro favore e di

51 Cf. II,r8,r8. 52 II,r,62.

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aumentare i soccorsi a noi destinati, come se fosse convinto poterei innalzare [un giorno] ai costumi della vita futura. allora che conosceremo la ricchezza dell'amore sublime del

quando, dopo la condotta quaggiù] che aumen-ta i frutti della distruzione, in attesa della perdizione tota-le oh, non so proprio come ... dopo tutto ciò, a quale grado eccelso innalzerà la nostra creazione a partire dalla polvere, a quale somiglianza e a quale gloria gioiosa ci trascinerà tutti e ci condurrà a diventare dèi e figli di Dio"!

L'uomo occupa un posto speciale nella gerarchia degli esseri creati, il cui scopo è un progresso senza verso una comunio­ne sempre più completa con Dio. !sacco ha potuto ricavare tale concetto di progresso infinito dai padri greci, come Gregorio di N issa e Dionigi l'Areopagita, dei quali conosceva le opere. Egli mette a confronto la gerarchia esistente nel mondo creato con una scala grazie alla quale gli uomini e le creature simili a loro si innalzano verso Dio:

Tra tutti gli ordini delle nature spirituali alcuni salgono, gior­no dopo giorno, ma nessuno A questa ascesa non è fissato alcun termine, dal più antico e dal primo tra gli ordini fino all'ultimo. Essi salgono giorno, dal momento della loro creazione fino a

Ogni persona umana è stata fornita di cinque "grandi e in­comparabili doni" 55 : la vita, la sensoriale, la ragione, la libera volontà e l'autorità. Quando parla della persona uma­na, !sacco si richiama alla sua divisione in spirito, anima e cor­po, divisione tradizionale nell'antropologia dei filosofi greci e in

54

53 Centurie di conoscenza II l, 70. 54 II,:z,jo. 55 ll,r8,r8.

quella dei pa~ri56: Egli a~otta altr~sì la divisione dell' anirr:a in tre parti: des1deno, pass10ne e rag10ne (refJmta, ,tnana, mlzluta, che corrispondono ai tò epithymetik6n, tò tbymoeidés, tò logbistik6n)57

. Questa concezione deriva dall'antropologia plato­nica con la quale !sacco messo in contatto attraverso Giovanni il Solitario e BabaP8

.

In !sacco non troviamo un'analisi dottrinale approfondita del­la caduta e del peccato originale responsabili, secondo la tradi­zione cristiana, della perdita della somiglianza divina originaria e dei danni inferti a una natura umana ormai corrotta. Tuttavia l'insegnamento di !sacco sulle passioni e il peccato corrispon­dono perfettamente a questa dottrina. Secondo lui, le passioni caratterizzano l'uomo suo stato attuale, susseguente alla ca­duta. Dio non ha imposto alla nostra natura né il né le passioni59

. L'anima per sua natura ignora le passioni: inizial­mente era caratterizzata dall'impassibilità, che la rendeva simile a Dio, e solo molto più tardi le passioni entrarono in lei60 . Sia il corpo che l'anima furono assoggettati alle passioni quando per­sero ciò che apparteneva loro per natura e si trovarono così al di fuori della loro condizione normalé1 •

Tuttavia !sacco sembra contraddirsi quando afferma che esi­stono delle passioni sono state donate da Dio, passioni del­l'anima e del corpo introdotte nell'uomo per il suo bene e la sua cresdta62

. La contraddizione si spiega con il fatto che la parola sìriaca pasbsba, proprio come il corrispettivo greco pdtbos, signi­fica tanto "passione" quanto "sofferenza". Così, il senso della contraddizione di !sacco consiste nel sottolineare che le passioni

56 Cf. S. Brock, "The Syriac Background". 57 Cf. Il,I9,I; Il,I7,I. 58 Cf. S. Brock, n. 2 a Il,rt,r, in CSCO 555, p. 9r. 59 Cf. I,3 (p. r9) Tomaille 83 (p. 407); PR 3 (p. 26). 6° Cf. I,3 (p. n) Touraille 83 (p. 406); PR 3 (p. 2r). 61 Cf. 1,.3 (p. 19) Touraille 84 (p. 407); PR 3 (p. 25). 62 Cf. !,3 (p. 19) Touraille 84 (p. 407); PR 3 (p. z5).

55

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peccaminose sono contro natura, mentre le sofferenze mandate da Dio possono essere utili alla crescita spirituale. Un'altra spie­gazione potrebbe trovarsi nella tradizione patristica, che cono­sce due modi di intendere il pathos: da una parte un desiderio peccaminoso dell'anima, dall'altra la sua naturale capacità di orientarsi verso il bene o verso il malé3

. Può darsi che scrivendo i testi che abbiamo or ora citato !sacco abbia avuto in mente questi due modi di intendere il pdthos.

Contrariamente alle sofferenze che vengono da Dio, le pas­sioni peccaminose provocano danni alla natura umana. Scrive I sacco:

Chi non si ritira volontariamente dalle cause delle passioni si lascia involontariamente travolgere dal peccato. Ed ecco le cause del peccato: il vino, le donne, le ricchezze e una robu­sta salute fisica. Non che queste cose siano peccaminose in sé, ma a causa loro la natura inclina spesso e volentieri verso passioni peccaminose. Ecco perché l'uomo deve guardarsene con grande attenzione 64

.

L'incarnazione

Dopo la caduta dell'uomo c'era un solo mezzo per distoglierlo dal suo stato passionale e rimetterlo nella condizione benedetta delle origini: l'incarnazione del Figlio di Dio. Il tema dell'incar­nazione, che sta al cuore del messaggio del Nuovo Testamento, è dominante anche nell'opera di !sacco.

63 Cf. K. Ware, "The Meaning of 'Pathos' in Abba Isaias and Theodoret of Cyrus", in Studia patristica 20 (r989), pp. 3r5-322.

64 I,5 (pp. 4r-42) = Touraille 5 (p. 76); PR 5 (p. 6r).

s6

Poiché la sua cristologia si conforma nell'espressione alla tra­dizione siro-orientale, caratterizzata da una presunta termino­logia "nestoriana" (di fatto quella di Teodoro di Mopsuestia, ereditata dal suo discepolo Nestorio), un gran numero di passi cristologici di !sacco non è stato tradotto in greco ed è rimasto fino a oggi sconosciuto. Il solo scritto dell'Isacco "greco" che tratti direttamente temi cristologici è la Lettera a Simeone, la quale però, come è stato dimostrato, è opera di Filosseno di Mabbug. Essa contiene d~nque una cristologia che è agli an­tipodi di quella di !sacco. E solo dopo la recente scoperta della seconda parte della sua opera che un'analisi accurata della cri­stologia di !sacco è diventata possibile. Ma prima di dedicarci a questa parte ormai disponibile, citiamo dalla prima alcuni passi caratteristici nei quali i temi cristologici fanno la loro comparsa. Prima di tutto bisogna soffermarsi con attenzione su numerosi passi delle Centurie di conoscenza che hanno come oggetto l'in­carnazione. In uno di questi Isacco tratta dell'unione tra umani­tà e divinità in Cristo servendosi di una terminoloaia affine a t•

quella del concilio di Calcedonia. Egli evita in particolare qual-siasi allusione ai due qnome, mentre menziona le due kyane e l'unica pa~supa in Cristo (omissione, secondo noi, probabilmen­te non intenzionale):

Il Signore Cristo è sia il Primogenito sia il Figlio unico, per­ché le due cose non si incontrano in una sola natura. È di­ventato primogenito di una moltitudine di fratelli, ma è figlio unico perché nessuno è stato generato né prima né dopo di lui. Queste due realtà si verificano in un Dio e in un uomo, uniti entrambi in una sola persona (par~upa), senza che le pro­prietà di ciascuna delle due nature (kyane) siano confuse a causa dell'unione 65 .

6' Centurie di conoscenza I,49.

57

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Un altro passo di !sacco è ancor più dipendente dal vocabola­rio tradizionale della cristologia siro-orientale, specie quando sostiene che la natura divina si è "annessa ciò che aveva preso da noi". In tal modo egli presenta Cristo come mediatore tra Dio e gli uomini, e afferma che scopo dell'incarnazione era il rinnova­mento completo della natura umana:

Gloria a colui che è diventato per noi mediatore di questi be­ni, grazie al quale siamo stati resi degni di ricevere, conoscere e provare nella fede ciò che l'occhio non ha visto né l'orec­chio udito, e che i sensi dell'anima non hanno potuto pene­trare (cf. rCor 2,9); tutti beni che si trovano nel Primogeni­to, che proviene da noi ed è in verità l'immagine dell'Invisi­bile (cf. Col r,rs). Giacché la natura divina ha incorporato quello che aveva preso da noi in vista della speranza degli es­seri dotati di ragione, il cui fine era stato custodito presso Dio fin dall'inizio, e che ora egli ha reso pubblicamente manife­sto. Così ci ha fatto conoscere una parte di quel fine, per ren­derei consapevoli di ciò che resta ancora (celato) ed è a noi ri­servato, in vista del rinnovamento che la nostra costituzione umana riceverà allora per suo tramite66 .

Un altro passo dello stesso scritto di !sacco solleva la questio­ne del significato del termine "primogenito" in relazione a Cri­sto: !sacco lo intende riferito alla nascita unica di Cristo, non paragonabile a nessun'altra nascita, né angelica né umana:

Sta scritto: "Generato prima di ogni creatura" (Col r,rs), di_ quelle dotate di ragione, delle visibili e delle invisibili, per­ché, quando sorse dalla tomba, egli fu il primo nato alla vita dell'altro mondo. Egli è il primogenito in rapporto a noi, e a buon diritto, perché prima di lui nessuno era nato per l'aldilà. Ma è giusto che sia chiamato primogenito in rapporto non so-

66 Centurie di conoscenza II,r9.

lo a noi ma anche alle nature incorporee, perché la loro crea­zione non è senza relazione con questa nascita67

Nelle Centurie di conoscenza i passi più sorprendenti sull'in­carnazione sono quelli in cui !sacco parla dell'amore di Dio per la sua creazione, principale e unica ragione, secondo lui, della discesa del Figlio sulla terra e della sua morte sulla croce: qui si manifesta nel modo più chiaro il suo amore per l'umanità; da questo momento in poi gli uomini sono chiamati a rispondere al­l'amore di Dio con il loro amore:

Il Signore Dio ha consegnato suo figlio alla morte sulla croce a causa del suo amore ardente per la creazione ... Avrebbe po­tuto benissimo riscattarci in altro modo, ma ha voluto così mostrarci il suo traboccante amore come insegnamento per noi, e attraverso la morte dell'unico figlio ci ha riavvicinato a sé. Sì, se avesse avuto qualcosa di più prezioso ce l' avreb­be donato, affinché la nostra stirpe diventasse sua proprietà. Per via del suo grande amore non desiderava assolutamente fare violenza alla nostra libertà, pur potendolo; ma ha prefe­rito che ci riavvicinassimo a lui attraverso l'amore di ciò che avremmo potuto comprendere. A causa del suo amore per noi e per obbedienza al Padre, Cristo ha accettato con gioia gli ol­traggi e lo sconforto ... Allo stesso modo i santi, quando rag­giungono la pienezza, la acquistano tutti nel medesimo grado e, riversando copiosamente il loro amore e la loro compassio­ne su tutti gli uomini, assomigliano a Dio 68 .

È così che l'incarnazione ha avuto luogo a causa dell'amore del Padre e del Figlio per gli uomini; parimenti, è a causa di que­sta incarnazione che un uomo può ora pervenire a un grado di amore che lo rende somigliante a Dio.

67 Centurie di conoscenza II,65-66. 68 I,7r (pp. 345-346) = PR 74 (pp. 509-510).

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Per !sacco l'incarnazione costituisce la nuova rivelazione su Dio. Al tempo dell'Antico Testamento, prima dell'incarnazione, gli uomini erano incapaci di contemplare Dio e di intenderne la voce. Dopo l'incarnazione è diventato possibile:

La creazione non lo poteva guardare prima che ne prendesse una parte presso di sé per conversare con lei, dal momento che neppure essa poteva intendere la sua voce quando le par­lava faccia a faccia. I figli d'Israele non erano nemmeno in grado di sentire la sua voce quando si rivolgeva loro dalla nu­be (cf. Dt 5,23 ss.) ... Per diventare degni di ascoltare la voce di Dio e contemplarne la rivelazione, dovevano osservare tre giorni di castità secondo il comandamento mosaico (cf. Es 19,15); tuttavia, quando venne il momento, non poterono so­stenere la vista della sua luce né la forza della sua voce mista al tuono. Ma ora che con la sua venuta ha riversato la sua gra­zia sul mondo, egli è disceso non già in mezzo a un terremoto o a un turbine di fuoco, né con fragore spaventoso e potente (cf. 1Re I9,II-I2), ma dolcemente, come pioggia sulla lana, come gocce di pioggia che cadono sulla terra (cf. Sal7z,6), ed è stato visto conversare con noi sotto altra forma. Tutto ciò è avvenuto dopo che ha dissimulato la sua maestà dietro il velo della carne (cf. Eb Io,zo) come in un tesoro, e ha conversato con noi e in mezzo a noi, nel corpo che si è voluto forgiare dalle viscere della Vergine 69

.

Quando il Verbo si è fatto carne le porte della contempla­zione e della visione si sono aperte in Gesù non solo per gli uomini ma anche per gli angeli, giacché prima dell'incarnazio­ne, come afferma !sacco, non era loro possibile penetrare questi misterF0

.

69 I,77 (pp. 38r-382) = Touraille 20 (pp. I37-q8); PR 82 (pp. 574-575). 7° Cf. I,28 (p. r39). Questo testo non compare nella recensione siro-orientale, ma si

trova in quella siro-occidentale (e quindi nella versione greca).

6o

Nella prima parte delle sue opere incontriamo un altro passo in cui !sacco spiega come le due nature di Cristo siano messe in evidenza nella sacra Scrittura. Per lui, la Scrittura usa spesso le parole in senso figurato: per esempio "quello che appartiene al corpo è detto dell'anima", e viceversa.

Analogamente, qualità appartenenti alla divinità del Signore e incompatibili con un corpo umano sono predicate rispetto al suo santissimo corpo, mentre qualità inferiori, pertinenti alla sua umanità, sono attribuite alla sua divinità. Molti, non comprendendo l'intenzione delle parole divine, incespicano su questo punto e non si risollevano più dalla caduta 71 .

Tra questi !sacco, da buon diofisita, include molto probabil­mente i monofisiti. Egli dunque sottolinea la necessaria distin­zione fra natura divina e natura umana di Cristo, benché la Scrittura non vi insista poi molto.

Questi sono i passi cristologici più importanti della prima parte. Volgendoci ora alla seconda, dobbiamo prestare attenzio­ne a uno dei capitoli delle Centurie di conoscenza in cui !sac­co tratta dell'incarnazione. Egli sottolinea di nuovo il fatto che l'amore di Dio per la creazione fu la ragione principale e uni­ca della discesa sulla terra del Figlio di Dio e della sua morte in croce:

Se al risanamento dell'umanità fosse bastato lo zelo, perché Dio, con bontà e umiltà, si sarebbe rivestito di un corpo allo scopo di ricondurre il mondo al Padre suo? E perché si sareb­be steso sulla croce a causa dei peccatori, consegnando il suo santo corpo alla sofferenza a beneficio del mondo? Io perso­nalmente affermo che Dio ha fatto tutto questo per una sola ragione: far conoscere al mondo il suo amore, affinché, co-

71 I,3 (p. r8) = Touwille 83 (p. 406); PR 3 (p. 24).

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noscendolo, noi ce ne lasciassimo catturare, dato che un più grande amore sarebbe provenuto da noi quando, grazie alla morte del Figlio, egli avrebbe messo in atto la manifestazione della forza e della potenza del regno dei cieli72

.

Secondo !sacco, l'incarnazione del Salvatore e la sua morte sulla croce avrebbero avuto luogo

non già per riscattarci dal peccato, né per altri motivi, ma unicamente perché il mondo si rendesse conto dell'amore che Dio porta alla sua creazione. Se questo avvenimento sorpren­dente si fosse realizzato solo per il perdono dei peccati, qual­siasi altro mezzo sarebbe potuto servire per il riscatto. Quale ostacolo gli avrebbe impedito di portare a compimento il suo proposito attraverso una morte normale? Ma egli non ha vo­luto una morte normale, affinché tu potessi renderti conto della natura di questo mistero. Ha trovato invece la morte tra i crudeli tormenti della croce. Che bisogno c'era degli oltrag­gi e degli sputi di cui fu coperto? La sola morte sarebbe basta­ta alla nostra redenzione - soprattutto la sua morte - senza tutto ciò che vi si aggiunse. Com'è grande la sapienza di Dio! E come è piena di vita! Ora puoi comprendere tu stesso per­ché la venuta di nostro Signore sia stata accompagnata da tut­ti questi altri avvenimenti, e renderti conto del motivo per cui egli stesso espose personalmente e chiaramente il suo pro­getto: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio uni­genito" (Gv 3,r6), riferendosi all'incarnazione e al rinnova­mento che ne consegue 73

Lo stesso tema è sviluppato nel passo seguente, in cui Isacco tratta del "vero motivo" dell'" economia di salvezza" (mdabbra­nuta) di Dio:

62

72 Centurie di conoscenza IV, 7 8. 7

' Ibid.

Il mistero nascosto nell'economia di salvezza di nostro Si­gnore, miei amati, è più eccelso della remissione dei pecca­ti o dell'abolizione della morte. Fratelli, la speranza che per il momento ci è nascosta è più sorprendente ed eminente di ciò che ne possi~mo comprendere oggi, per contribuire alla nostra crescita. E per mezzo di realtà imperfette che biso­gna comprendere ciò che è rimandato a più tardi, giacché non tutti possiedono una conoscenza piena della fede né osser­vano una buona condotta filiale: molti infatti devono ancora apprendere realtà che fanno paura e umiliano. Come infatti molti nomi e similitudini sono troppo banali e inadeguati alla realtà (che significano), simili a parole inficiate da passioni quali collera, rabbia e voglia di giudicare, e come lo è anche, non appena per effetto dello Spirito si viene innalzati alla ve­ra contemplazione, il carattere materiale di certe definizioni formulate in base all'economia salvifica della creazione, allo stesso modo molti testi delle Scritture relativi alla causa della venuta di Cristo sono manchevoli e insufficienti rispetto al vero motivo del sua economia di salvezza per il mondo. Ne danno testimonianza le nature spirituali, quelle che nemme­no conoscono i peccatori, non hanno mai militato nelle loro file e sono state innalzate al grado in cui si trovano dalla rive­lazione di Cristo ... Unico è il suo amore, per noi come per i santi angeli, per i peccatori come per i giusti. n fatto che no­stro Signore sia stato assunto di mezzo a noi lo dimostra 74.

L:u~co motivo dell'incarnazione del Verbo era dunque l'amo­re d1 Dw, e non la necessità di riscattare l'umanità dal peccato. Questa affermazione di !sacco sembra contraddire l'opinione corrente sul motivo dell'incarnazione, e potrebbe anche essere tacciata di deviazione rispetto alla tradizione comune delle chie­se. Qualcuno potrebbe spingersi a sostenere che, sottolinean­do con tanta forza il ruolo dell'amore, Isacco rischi di scalzare

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alla base il dogma della redenzione che sta al cuore della fede cristiana. Ma una tale conclusione sembra dipendere da una concezione tipicamente occidentale della redenzione, considera­ta come il riscatto di una colpa e la "soddisfazione" offerta alla "giustizia" di Dio. Se consideriamo attentamente i passi appena citati inserendoli nel contesto dell'universo mentale di !sacco e alla luce della teologia orientale la conclusione cui aiungiamo è

' ......., ' o ben diversa. E evidente che Isacco non mette minimamente in dubbio la redenzione, ma la intende in un modo particolare. Ai suoi occhi essa significa prima di tutto la restaurazione di quel primato dell'amore che esisteva alle origini fra Dio e il mondo creato. Tale primato fu abolito dalla caduta, poiché l'uomo non si comportava più come figlio di Dio ma come servo disobbe­diente. Nondimeno, Dio è rimasto suo padre, e il suo amore di padre richiama gli uomini a quello stato originario. L'amore di Dio, dunque, e non la necessità di riscattare l'uomo dal peccato, fu l'unico motivo dell'incarnazione del Verbo: poiché ha voluto che gli uomini tornassero a rivolgersi a lui come a un padre, Dio stesso si è fatto uomo, come spiega !sacco nel capitolo 40 della seconda parte:

Quando tutta quanta la creazione ebbe abbandonato e di­menticato Dio e gli uomini ebbero perpetrato ogni sorta di nequizie, Dio volontariamente e senza alcuna sollecitazione discese presso le loro case e visse fra loro nel loro corpo co­me uno di loro. Come un mendicante, con un amore che ol­trepassava ogni conoscenza o possibilità di descrizione da parte di qualsiasi essere creato, li supplicò di ritornare a lui, mostrando loro la gloriosa costituzione del mondo a venire e l'intenzione che aveva avuto, prima di tutti i secoli, di intro­durre una tale felicità nella creazione: fece loro conoscere la sua esistenza, perdonò tutti i peccati da essi in precedenza commessi, confermò la sua benevolenza con segni e miracoli autorevoli e con la rivelazione dei suoi misteri, e si abbassò al punto di farsi chiamare "padre" da una natura umana pec-

catrice, fatta di polvere della terra, e da esseri umani misera­bili. Cose simili si possono forse compiere senza un grande amore 75?

Affrontiamo ora il capitolo I I, in cui I sacco espone la propria cristologia con tutta la precisione necessaria. In questo capitolo, consacrato in gran parte alla croce, si è subito colpiti dal gran numero di termini tipicamente siro-orientali usati da !sacco per presentare la sua concezione del Cristo. Per lui la croce è il sim­bolo dell'uomo "che diventa tutto intero un tempio" 76 di Dio; il credente che fa il segno della croce lo fa in nome "dell'uomo nel quale abita la divinità" 77

; l'umanità di Cristo è "la veste del­la sua divinità" 78 • Sono termini tipici di tutta la tradizione si­ro~orientale che si può definire fortemente diofisita. Già Efrem aveva presentato l'umanità di Cristo come una "veste", e questa terminologia fu conservata dagli autori siro-orientali successivi, mentre fu espunta dalla tradizione siro-occidentale79 . Nella tra­duzione siriaca del simbolo niceno la parola greca esark6the (si è incarnato) è resa con lbesh pagra: "si è rivestito di un corpo".

Tuttavia, pur utilizzando la terminologia tradizionale della propria chiesa, !sacco resta lontano dalla concezione diofisita più estrema della persona del Cristo, che sosteneva non potersi attribuire a Cristo in quanto Dio le proprietà di Cristo uomo. Egli sottolinea come, ad onta del fatto che Cristo possieda due nature, noi le veneriamo entrambe, cioè adoriamo un solo Cri­sto in due nature; quindi attribuiamo a Gesù uomo gli stessi no­mi che a Dio il Verbo:

" II,40, I4. 76 II,II,I2. La parola "tempio" si riferisce a Gv 2 I9. 77 II,II,I}. ' 78 II,II,24. 79 Cf. S. Brock, n. I a II,I I,24, in esco 555, p. 6o; Id., "Clothing Metaphors as a

Mea!ls ~f Theological Expression in Syriac Tradition", in Typus, Symbol, Allegorie bei den ostltcben Vatern und tbren Parallelen im Mittelalter, hrsg. von M. Schmidt, Pustet, Regensburg I982, pp. I I-38.

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Non esitiamo a chiamare "Dio", "Creatore" e "Signore" l'u­manità di nostro Signore, lui che è veramente uomo; o ad ap­plicare divinamente a lui l'affermazione che "per sua mano sono stati costituiti i mondi (cf. Eb I ,2) e tutto è stato crea­to". Perché colui al quale tutte queste cose si riferiscono ha abitato volontariamente in lui, accordandogli l'onore della sua divinità e l'autorità su tutte le cose a causa dei benefici che la creazione avrebbe ricevuto grazie a lui, l'inizio dei qua­li ebbe luogo sulla croce. Chiese persino agli angeli di adorar­lo, secondo le parole del beato Paolo: "Quando introduce il primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio" (Eb I ,6). Gli concesse di essere adorato con lui, senza distinzione, attraverso un unico atto di adorazione, mirando allo stesso modo all'uomo che divenne Signore e alla divinità, poiché entrambe le nature sono conservate ciascuna con le sue proprietà, senza che vi sia distinzione nell'onore reso 80

È così che Dio "ha abitato volontariamente" nell'uomo Gest1, e che l'uomo Gesù "è diventato" Dio e ha avuto potere sull'inte­ra creazione, grazie alla sua morte sulla croce. A causa della cro­ce, l'uomo Gesù è stato innalzato fino a Dio il Verbo:

Giacché noi crediamo che tutto quello che si applica all'uomo sia stato elevato fino al Verbo che l'accetta per se stesso, aven­do voluto che l'uomo prendesse parte a tale onore. Tutto que­sto è stato reso a noi manifesto sulla croce; grazie ad essa, che i non credenti giudicano spregevole, noi abbiamo acquisito una conoscenza esatta del Creatore 81 .

Può sembrare che questo modo decisamente diofisita di in­tendere la persona di Gesù Cristo nel pensiero teologico di Isac-

Bo II, I I ,2 r. Isacco usa qui il vocabolario dei sinodi siro-orientali del 554 e del 612 - che parlano entrambi delle proprietà delle due nature -, il primo dei quali riflette senza dubbio la definizione di Calcedonia: cf. S. Brock, n. 3 a II,rr,21, in CSCO 555, p. 59·

'' II,II,22.

66

co divida in due l'immagine del Gesù storico, ma non è così. !sacco intende correttamente Cristo come una sola persona, Dio sceso in un corpo umano. L'umanità di Cristo è altrettanto reale che quella di ciascuno di noi; nel contempo l'uomo Gesù è si­multaneamente Dio il Verbo, creatore dell'universo:

O meraviglia! Il Creatore, rivestito di un essere umano, entrò nelle case dei pubblicani e delle prostitute, e quando si volse­ro a lui li esortò e procurò loro, grazie al suo insegnamento, l'assicurazione e la riconciliazione con lui. Poi suggellò la pa­rola di verità con testimonianze credibili, consistenti in segni e prodigi. In tal modo l'intero universo, attratto dal suo amo­re e dalla bellezza della sua visione, era indotto a professare l'unico Dio Signore di tutte le cose, e così la conoscenza del­l'unico Creatore fu disseminata dappertutto~2 •

Il significato universale della venuta di Dio sulla terra e del suo insediamento in un corpo umano viene messo così in piena

evidenza. Quali sono le conseguenze soteriologiche della cristologia di

!sacco e della sua insistenza sulla distinzione tra le due nature di Cristo? Implica essa forse il rifiuto di un concetto tradizionale del pensiero teologico orientale, cioè che l'umanità sia stata sal­vata attraverso la deificazione della natura umana grazie alla sua unione con la divinità nella persona del Cristo? Nella tradizione alessandrina in particolare la deificazione era considerata quale risultato dell'unione delle due nature in Cristo: come il ferro unito al fuoco diventa fuoco, così l'umanità unita alla divinità è stata resa divina. Se questa unità non è reale ma solo condizio­nale "in occasione del culto", come si può ancora parlare di dei­ficazione della natura umana?

81 Il,rr,z8.

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---

Abbiamo visto poc'anzi che Isacco non respingeva l'idea di una deificazione dell'uomo, tutt'altro: vedeva anzi in essa il fine ultimo della vita umana. Ma il suo modo di spiegare come Cri­sto l'abbia resa possibile differisce da quello della tradizione alessandrina. Per lui l'uomo Gesù, ascendendo a Dio dopo la re­surrezione, ha elevato la natura umana allivello della divinità. Inoltre la passione, la morte, la resurrezione e l'ascensione di Cristo hanno aperto alla natura umana la possibilità di salire fi­no a Dio:

In mezzo a uno splendore ineffabile, il Padre lo innalzò al cielo al proprio fianco, a un posto al quale nessun essere uma­no si era ancora spinto ma dove, attraverso la sua attività, Dio aveva invitato tutti gli esseri razionali, angeli e uomini, a quell'ingresso beato, per gioire nella luce divina della qua­le era rivestito l'uomo 83 che è ripieno di tutto ciò che è san­to e che si trova ora con Dio in una gloria e un onore inef­fabili84.

Si tratta dunque di un approccio soteriologico diverso da quello degli alessandrini, in cui però l'essenza del messaggio cri­stiano è salvaguardata: l'uomo è salvato da Cristo attraverso l'u­nione della natura umana con la divina. La via per la quale l'uo­mo Gesù è salito dalla terra al cielo e dall'umano al divino è

83 La sintassi della frase consente due interpretazioni: o si tratta della "luce di cui era rivestito l'uomo (il Cristo-uomo)", oppure della luce nella quale stava colui che ave­va rivestito la natura umana (il Cristo-Dio-e-uomo). Quest'ultima lettura non contrad­dice l'uso fatto qui da Isacco né la tradizionale dottrina siro-orientale; ma la prima in­terpretazione corrisponde meglio al senso del passo.

84 II, I I ,29. Notiamo come tale concezione sia vicina ai testi della liturgia bizanti­na. Cf. per esempio questo canto della festa dell'Ascensione: "Dolce G_esù, senza ab­bandonare il seno del Padre tu sei vissuto come un uomo sulla terra; oggr, al monte de­gli Ulivi, sei stato innalzato nella gloria e,. nella tua misericordia, hai f~;to ~scen?er~ nella gloria la nostra natura decaduta e l'har fatta sedere accanto al Padre (Sttcbera der Vespri); "Dio eterno e senza inizio, tu hai assunto la natura umana, tu l'hai misteriosa­mente divinizzata e tu l'hai fatta salire ai cieli" (Mattutino).

68

ormai, dopo la sua resurrezione, aperta a tutti. La deificazione è qui intesa in senso dinamico, come ascesa dell'essere umano e insieme di tutto l'universo creato verso la gloria divina, la san­tità e la luce.

Oltre al capitolo 9, un altro luogo fondamentale per la cristo­logia di !sacco è il capitolo 5 della seconda parte, che contiene molti passi cristologici. Vi si trova in particolare una preghiera che adotta la terminologia del "tempio" e che parla di "colui che vi abita":

Signore, io lodo la tua natura santa, perché tu hai fatto della mia natura un santuario per nasconderti e un tabernacolo per i tuoi misteri, un luogo dove puoi abitare e un santo tempio per la tua divinità, cioè per coltù che tiene lo scettro del tuo regno, che governa tutto quello che tu hai fatto esi­stere, il tabernacolo glorioso del tuo essere eterno, la fonte di rinnovamento per le schiere fiammeggianti che ti servo­no, la strada per conoscerti, la porta che permette di veder­ti, la ricapitolazione del tuo potere e della tua grande sa­pienza: Gesù Cristo, l'unico generato dal tuo seno, e il "re­sto" che fu raccolto a partire dalla tua creazione visibile e spiritualé5 .

L'idea dell'ascesa dell'uomo verso Dio grazie all'incarnazione del Verbo si ritrova in quest'altra preghiera:

O Mistero elevato al di sopra di ogni parola e di ogni silen­zio, che ti sei fatto uomo per rinnovarci grazie a un'unione volontaria con la carne, svelami la strada attraverso la quale io possa essere innalzato fino ai tuoi misteri, e che passa per la via del silenzio di tutti i pensieri del mondo. Raccogli la mia mente nel silenzio della preghiera, tacciano in me i pensieri

85 II,j,6. Le allusioni scritturistiche fanno riferimento a Gv ro,9 (''porta"), Gv r,I8 (''seno"), Is 1,9 e Rm 9,29 (''resto").

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dissipati, grazie alla frequentazione illuminata e piena di mi­steri della preghiera e dello stupore 86

Possiamo qui notare l'espressione "unione volontaria", ricor­rente in Nestorio e Babai e caratteristica della tradizione si­ro-orientale87.

La redenzione è intesa come il sacrificio del Figlio di Dio che, offerto a causa dell'amore di Dio Padre per il mondo, uni­sce il mondo creato a Dio. È interessante osservare che !sacco chiama l'unione di Dio con il mondo una "mescolanza", espres­sione che la tradizione siro-orientale non avrebbe mai ammesso se si fosse trattato delle due nature di Cristo:

Tu hai dato tutto il tuo tesoro al mondo, facendogli dono, per il bene di tutti, del tuo unico Figlio, generato dal tuo seno e proveniente dal trono del tuo essere. Cosa possiedi ancora che tu non abbia donato alla tua creazione? Il mondo è stato mescolato a Dio, e la creazione e il Creatore sono diventati uno 88 !

Parlare di una "mescolanza" tra il mondo e Dio non è for­se un modo, sia pure inconsapevole, di superare gli aspetti più estremi del diofisismo? In altri termini, un'affermazione del ge­nere annulla i netti confini tra Dio e creazione che caratteriz­zano la posizione diofisita intransigente della chiesa orientale. Se Teodoro di Mopsuestia e i suoi discepoli potevano essere ac­cusati di mantenere tra le nature divina e umana una distinzione che portava a dividere in due l'immagine di Cristo, si può forse nutrire lo stesso sospetto nei confronti di !sacco il Siro il quale, pur rappresentando la stessa corrente teologica, fa intravede-

70

86 II,5,7· 87 Cf. S. Brock, n. r a II,5,7, in CSCO 555, p. 8. 88 II,5,r8.

re una certa rottura con il diofisismo estremo? !sacco non parla di unità essenziale, men che meno di "confusione" tra le due nature di Cristo, ma parla di una "mescolanza" di Dio con la creazione89 . Tale modo di esprimersi rivela che la linea di de­marcazione tra divino e umano, così netta nella scuola di Teo­doro, lo è molto meno in !sacco.

Se !sacco non esita a parlare di "mescolanza" ((;u~tana) di Dio - con la creazione attraverso l'incarnazione del Verbo di Dio 90

, è proprio perché il Verbo increato di Dio e l'uomo creato Gesù so­no una medesima e unica persona. Nella sua preghiera !sacco si rivolge dunque a una sola persona, che è al tempo stesso Dio e

uomo:

O Cristo, avvolto di luce come di un manto (cf. Sal 104,2), che a causa mia sei stato nudo davanti a Pilato, rivestimi di quella forza la cui ombra ha protetto i santi, e grazie alla qua­le essi hanno conquistato questo mondo di lotte. Possa la tua divinità, o Signore, compiacersi in me e condurmi al di là del mondo insieme a te, o Cristo, che i cherubini dai molti occhi non riescono a contemplare a motivo della gloria del tuo viso, benché tu vi abbia ricevuto sputi per via del tuo amore: can­cella la vergogna dal mio volto e permettigli di stare scoperto davanti a te nell'ora della preghiera 91

.

89 Il tema della "mescolanza" di Dio con la creazione è caratteristico di Efrem quando parla dell'incarnazione e dell'eucaristia, e ritorna continuamente nei suoi inni.

9° Cf. II,7,3, dove Isacco parla della "mescolanza perfetta" dei santi con Dio, sim­bolo e tipo dell'unione di Cristo nella santa Trinità. Questa è una terminologia eva­griana: cf. S. Brock, n. 6 a II,7 ,3, in CSCO 555, p. 25.

91 II,5,22-23.

7!

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Ricapitolando quanto abbiamo detto sulla teologia di !sacco il Siro, possiamo ancora una volta sottolineare come l'insieme del suo pensiero teologico derivi dall'idea che Dio si rivela al mon­do come amore ineffabile, un amore che ha creato il mondo e lo guida sulla via che conduce a Dio. Per amore della creazione e per la salvezza dell'umanità Dio ha assunto un corpo umano ed è morto sulla croce, al fine di rinnovare la natura umana e offrir­le un accesso al regno dei cieli. La salvezza di una persona altro non è che la sua ascesa verso la luce e l'amore divini, alla sequela del Cristo che era sì uomo, ma un uomo che, innalzato allivello della divinità, ha reso divina la natura umana.

II LA VIA DEL SOLITARIO

Vuoi conoscere l'uomo di Dio? Impara a riconoscerlo dal suo silenzio continuo, dalle lacrime, dall'attenzione che presta costantemente a se stesso.

Centurie di conoscenza IV,76

Ama tutti gli uomini, ma tieniti a distanza da tutti.

In questo capitolo ci proponiamo di affrontare uno dei tratti più caratteristici di !sacco: l'ascetismo siria co. In primo luogo vedremo come la vita ascetica è da lui considerata una vita di solitudine, lontano dal mondo e dalle passioni. Quindi illustre­remo i suoi insegnamenti sulla rinuncia al mondo richiesta al cristiano che intraprende la via dell'ascesi, sull'amore di Dio e del prossimo, sulla quiete come una delle condizioni principali per conseguire la pace dello spirito. Nella maggior parte dei casi ci occuperemo di aspetti della vita monastica e solitaria, ma trat­teremo anche altri temi cari a Isacco riguardanti la vita cristia­na in generale, come il suo insegnamento sulla realizzazione dei comandamenti di Dio e sulla lotta alle passioni. Questa indagine ci permetterà di circoscrivere l'individualità specifica di !sacco e di apprezzarne l'originalità nell'affrontare alcuni temi-chiave dell'ascesi cristiana.

73

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Solitudine e rinuncia al mondo

Protagonista degli scritti di !sacco è lo i~idaya, il "solitario", o più letteralmente il "singolo" (affine all'ebraico ya~id, "singo­lare"). Al tempo di I sacco questo termine designava il monaco eremita in opposizione al dayraya, il cenobita. Il significato eti­moloaico del temine è tuttavia molto più ampio: esso indica l'u-

o . nità di una persona all'interno di se stessa, come pure la sua um-tà con Dio. È così che nella pshitta (versione siriaca della Bibbia) la parola i(Jidaya era stata usata come epiteto di Adamo, creato a immagine di Dio: "La sapienza ha custodito il primo padre, l'ihidaya, che era stato creato nel mondo" 1

. Per il Nuovo Testa­m~nto, i~idaya è innanzi tutto l'epiteto di Gesù Cristo, e traduce il greco monoghenés, l"'Unigenito" o Figlio unico. Negli scritti siriaci del rv secolo il termine è già usato con riferimento agli asceti i quali, poiché non si sposano, assomigliano agli angeli. Solitario è chi vive in Cristo, "il Figlio unico (i(Jidaya) del Padre che ralleara tutti i solitari (ihidaye)", come spiega Afraat 2

• b •

Per !sacco solitudine non è sinonimo di celibato o vita eremi-tica. La parola denota innanzi tutto un'esperienza di unione con Dio. La maggior parte della gente trova la solitudine difficile da sopportare e la considera un'esperienza totalmente negativa di

1 Sap IO,I syr. Cf. il Targum palestinese nella sua versione si:iaca: "Guarda il p~imo Adamo che io ho creato che è sincrolo (ibiclay) nel mondo come lO sono smgolo nel! alto dei cieli" (ci t. in S. Ab~uZavd, IbfdayutiJa. A Study of tbe Life o/ Singleness in tbe Syrian Orient/rom Ignatius o/ Antio.cb to Cbalcedon, 45I 11D, ARAM Society for Syro-Mesopota­rnian Studies, Oxford I993, p. 169; cf. anche S. Brock, The Lummous Eye. Tbe Spmtual World Vision o/ St. Epbrem, Cistercian Publications, Kalamazo? I?~2, p. II1. . .

2 Dimostrazioni 6,6. Per una discussione più globale sul s1gruhcato della solitudi­ne nella tradizione siriaca, si veda S. H. Griffith, "Monks, 'Singles' and the 'Sons of the Covenant'. Reflections o n Syriac Ascetic Terminology", in Eulogema. Studies in Honor o/ Robert Taft sf, Pontificio Ateneo Sant'Anselm?, Roma I993, J?P· I4I-I6~; Id. "Asceticism in the Church of Syria. The Hermeneut!CS of Early Synan Monastl­cis~", in Asceticism, ed. by V. L. Wimbush and R. Valantasis, Oxford University Press,

Oxford-New York I995, pp. 11o-245·

74

isolamento, di abbandono e di assenza dell"'altro" con cui divi­dere le gioie e le pene della vita di quaggiù. Per !sacco al contra­rio la solitudine è esperienza della presenza di Dio, che è più vi­cino di qualsiasi amico e si prende sempre cura dell'uomo. "Dio non ha mai lasciato percepire la sua azione altro che in un am­biente di quiete, nel deserto, o in luoghi appartati, lontano dagli incontri occasionali con gli uomini o lontano dalla confusione

..... delle loro dimore" 3 • Chi vive nel deserto, lontano dalla gente, può star sicuro di avere in lui un custode che non lo lascerà mai solo 4. L'anima di colui che è separato dal mondo e conduce una vita di quiete è elevata verso Dio, piena di meraviglia, colta dallo stupore, e dimora con Dio 5

.

La solitudine è l'esperienza interiore di chi vive con se stesso si ritira nella propria interiorità, condizione necessaria per

unirsi a Dio. Al tempo stesso, è l'esperienza della rinuncia al­l"'altro", amico o parente che sia. Essa è infine un'esperienza di ritiro dal mondo e di rinuncia, allo scopo di unirsi a Dio. La so­litudine può essere dolorosa e piena di sofferenze interiori; tut­tavia, senza farne esperienza, nessuno si avvicina alla pienezza della vita in Dio, alla comunione con lo Spirito santo e all'il­luminazione spirituale: "La solitudine ci fa comunicare con lo Spirito divino e in breve, senza incontrare ostacoli, ci avvicina alla limpidezza del pensiero" 6 .

Agli occhi di !sacco rinunciare al mondo per vivere da soli­tari in Dio è la condizione necessaria per intraprendere la via che conduce a lui: "La liberazione dalle cose materiali precede il legame con Dio" 7 • "Nessuno può avvicinarsi a Dio se non si è separato dal mondo. Ma io chiamo separazione non il distac-

'I, p (p. 355) = Touraille I9 (p. I33); PR 77 (p. 53 I). 'Cf. I,54 (pp. 2 7o-z 7 I) = PR S3 (p. 386). 5 Cf. I,3 (p. I6) = Touraille 81 (p. 403); PR 3 (pp. 20-2 I). 6 Centw1e di conoscenza II,3 I. 7 I, I (p. 7) = Touraille I (p. 63); PR I (p. 7).

75

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co del corpo, bensl il distacco dalle faccende del mo~do"~. In questo contesto, "mondo" è "un nome collettivo che s1 apphca a ciò che chiamiamo passioni" 9 . Uscire dal mondo e monre a es­so vuoi dire liberarsi delle passioni e dello "spirito della carne" (cf. Rm 8,7), cioè di tutto quello che, nel corpo o nella materia, pone ostacoli sulla strada della vita spirituale 10 . Essendo l'amore del mondo incompatibile con l'amore di Dio, bisogna liberarsi del primo per acquisire il secondo: "L'anima che ama ~io trova in lui solo la sua pace. Dapprima sciogli te stesso da ogmlegame esteriore, poi sforzati di legare il tuo cuore a Dio, giacché l'unio­ne con Dio è preceduta dal distacco dalla materia" 11

.

Questa rinuncia al mondo procede per gradi. Comincia con il desiderio di giungere alla contemplazione di Dio e comporta una disciplina sia del corpo che dell'anima. D'altra parte c'è una corrispondenza tra grado di rinuncia e capacità acquisita di im­mergersi nella contemplazione di Dio:

Benedetta sia la maestà di Dio che apre davanti a noi una porta, affinché nostra unica aspirazione sia desiderarlo! Allo­ra noi lasciamo ogni cosa, e la nostra mente avanza nella ri­cerca unicamente del Signore, senza altre preoccupazioni che possano impedirgliene la contemplazione. Miei cari fratelli, più la mente abbandona il pensiero delle cose visibili e non si dedica ad altro che alla speranza delle cose a venire ... più si affina e diventa trasparente nella preghiera. E più il corpo è liberato delle cose del mondo, più la mente a sua volta se ne affranca ... Ecco perché il Signore ci ha comandato di badare, prima di ogni altra cosa, a non possedere nulla e a ritrarci dagli affan­ni del mondo liberandoci dalle cure abituali degli uomini. Ha

'1,I (pp. 3-4) = Touraille I (p. 59); PR I (p. 2). 9 1,2 (p. I4) = Touraille 30 (p. I93); PR 2 (p. I8). 1° Cf. I,2 (p. I5) = Toumille 30 (pp. I93-I94); PR 2 (p. I9). 11 I,4 (p. 29) = Touraille 23 (p. I5I); PR 4 (p. 40).

detto: "Chi non rinuncia completamente alla sua condizione di uomo e a tutto ciò che gli appartiene e non rinnega se stes­so, non può essere mio discepolo" (cf. Le r4,33Jl2 .

Rinunciare al mondo e vivere secondo una severa disciplina di corpo e di spirito non è da tutti. Molti si sono dimostrati inca­paci di condurre a buon fine una simile impresa e, dopo aver co­minciato, hanno poi abbandonato la via dell'ascesi per ritornare al mondo. Isacco ne parla con profondo rammarico:

In effetti molti hanno cominciato tra le fatiche, la povertà, la mortificazione delle cose che passano, la continua preghie­ra, le lacrime, le molte prostrazioni, una vita umile e senza passioni, la clausura prolungata, la quiete, la condizione di stranieri fra gli uomini, insomma tutte le cose che ho appena enumerato, ma poi hanno finito per lasciarsi andare alla ri­lassatezza, a una certa celebrità, ai rapporti con i ricchi e al­l'allegra compagnia con la gente del mondo: e sono diventati procuratori, giudici, consiglieri e mediatori di affari impor­tanti, chi tra i monaci, chi tra i secolari. Altri ancora hanno accettato la vista delle donne, i loro consigli e insegnamenti, e le loro celle sono diventate luoghi di ritrovo e di incontro per gli abitanti del villaggio. Al posto delle mortificazioni di prima hanno scelto una vita tumultuosa e la loro condotta è sprofondata nella cecità. Hanno concluso la vita nelle prati­che del corpo, dopo tanto rigore nell'osservanza delle regole e dopo la nobile vita di un tempo, quando non osavano nem­meno guardare un volto mortale e si rendevano simili alla vita futura nell'emulazione degli esseri incorporei, grazie allo zelo nell'osservanza di una vita di quiete 13 .

L'ideale di una totale rinuncia al mondo è attecchito nella prassi del romitaggio monastico dei primi tempi. Gli asceti di

12 1,63 (pp. 302-303) = Touraille 35 (p. 2I8); PR 63 (pp. 437-438). " Centurie di conoscenza II,97.

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una volta si ritiravano nel deserto per evitare i conflitti suscitati dalla vicinanza delle cose terrene:

Finché uno non si allontana da ciò che il suo cuore teme, l'Avversario ha sempre un punto di vantaggio su di lui ... I pa­dri che hanno percorso questa strada prima di noi sapevano bene che il nostro intelletto non gode sempre di una salute di ferro ... Quindi, considerando saggiamente le cose, si sono rivestiti della rinuncia al possesso come di un'armatura ... si sono ritirati nel deserto, dove non c'era niente che potesse dare occasione alle passioni ... Voglio dire che non c'era posto per la collera, la cupidigia, il ricordo dei torti subiti, né per la gloria, e che tutte queste e altre simili cose erano rese inof­fensive dal deserto. Lì infatti, come in una torre, protetti da un bastione inespugnabile, essi potevano portare a termine la loro lotta nella solitudine, dove i sensi non trovavano nulla che desse manforte al nostro Avversario attraverso l'incontro con gli oggetti che ci feriscono 14

.

Ecco perché monaci fuggivano il mondo: per non creare occa­sioni di contatto con le passioni, i peccati e i pensieri colpevoli. Inoltre, nel monachesimo di tipo eremitico troviamo la ricerca di un tale distacco dagli uomini da rifiutare in certi casi qual­siasi contatto con essi. La vita monastica diventa così una vita in solitudine nel senso letterale della parola. Isacco ritiene che la solitudine completa sia superiore alla vita in una comunità mo­nastica, che lui accetta unicamente come preparazione alla vita solitaria. Quando si è imparato a vivere con gli altri, è preferì­bile ritirarsi completamente da ogni contatto con le persone, ad eccezione del proprio padre spirituale:

Non è bene che chi ne è all'altezza e possiede una forte aspi­razione a Dio, una volta abbandonato il mondo resti a lungo

'"I,73 (pp. 358-359) = Touraille 6 (p. 9'o); PR 78 (pp. 536-538).

in comunità, in mezzo al viavai di tante persone. Appena avrà i~ parato con;' è la vita in fraternità, il grado e lo scopo dell'a­~lto (monastlco) e le varie umiliazioni che esso comporta, si nsolva a restare solo nella propria cella 15, sia per non fare 1' a­bitudine alla vita in comune sia perché la semplicità dei suoi esordi non si trasformi in ipocrisia, vivendo in mezzo a certi fratelli disinvolti che si trovano fra noi. Ne ho visto tanti che puri e innocenti all'inizio del loro ritiro dal mondo e all'arri: vo nella casa dei fratelli, dopo un po', a causa di una convi­v_enza eccessiva, _sono diventati ipocriti e arroganti, senza più ntrovare la loro mnocenza di prima. Per questo motivo deci­di di frequentare un solo anziano di cui tutti riconosc~no la bella condotta di vita e la conoscenza della quiete. Dovrai ve­dere solo lui per esercitarti e imparare da lui la condotta della quiete 16

: Da questo momento in poi non frequentare nessun altro, e m breve sarai degno di gustare la conoscenza 17.

Lo stesso tema è sviluppato nel passo seguente, in cui Isacco parla della sfera delle virtù che egli giudica inferiori a quelle cui può giungere un solitario, completamente ritirato dal mondo e da ogni commercio con la gente:

Non confrontare l'insieme delle regole e le fatiche mirabili che esse comportano con la mancanza di notorietà, l'assenza dell_a fama e la fuga da tutto ... Pochi sono convinti, pochi cap1sc?no che noi, i solitari, ci sbarriamo dietro una porta nel chmso della nostra interiorità non già per praticare la vir­tù,_ ma al_ contrario per morire alla virtù stessa ... Infatti, se no1 cerchiamo la virtù a partire dalla quiete e i nostri fratel­li s?erimentati dalla vita comune fanno altrettanto, perché aggmngere questa fuga e seppellirsi in una cella? No, noi ci

15 Letteralmente: "capanna". 16

Si .n?ti l'importanza che !sacco attribuisce all'accompagnamento spirituale, mo­stra~do:r In ta! r;nodo fed_ele alla secolare tradizione monastica che ritiene la vita mo­nas;;ca rmpossrbile senza il competente aiuto di un anziano ricco di esperienza.

Centune dz couoscenza IV,7r.

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aspettiamo di ricevere dalla quiete qualcosa che è impossibile raggiungere tra la folla, nemmeno impegnandosi allo stremo delle forze 18 . Se fossimo dediti all'opera della virtù, in che modo la coabitazione con molti ci sarebbe di ostacolo? La coabitazione non ha mai impedito né il digiuno, né la litur­gia, né l'elemosina, né altre simili opere; anzi, essa darebbe modo di praticarle ancora di più. D'altro canto, non sappia­mo se la virtù esista all'infuori di queste cose ... Le delizie spirituali dispensate dall'opera nascosta non sono contate come virtù, ma quest'opera è più importante della virtù stessa 19

. La virtù è qualsiasi opera compiuta a causa di Dio, in pubblico e con l'aiuto dei sensi corporei. Ecco perché pratichiamo la virtù in una comunità e, ammaestrati da essa, entriamo nella quiete, aspettando però di esserne diventati degni. È chiaro che anche il canto degli uccelli turba la quie­te: a maggior ragione lo faranno le persone che entrano ed escono in continuazione e che siamo costretti a vedere! Sap­piamo che molti padri spirituali ai quali il corpo non permet­te più di praticare le opere della virtù non vogliono minima­mente ridurre la loro quiete: prostrati faccia a terra dentro le loro celle, con la porta chiusa, rimangono soli nella quiete. Sarebbe giusto diminuire la loro quiete per il fatto che non sono in grado di praticare le fatiche dell'ascesi? La dolcezza della solitudine non permette loro di essere continuamente esposti agli sguardi di un'assemblea. Giacché una sola pre­ghiera offerta a Dio in solitudine, prostrati nell'intimo del cuore, nella dolcezza del dolore e dell'umiltà, è ben più deli­ziosa di mille fatiche e preghiere offerte a Dio fuori della cel­la, e ben più dolce anche di quanto di meglio si veda e si pra­tichi assiduamente nella vita comune, e più ancora di tutte le ricreazioni e le feste. Il fine della virtù [praticata nella vita comune] è il rapporto solitario con Dio e la meditazione silen­ziosa e spirituale su di lui. Per il solitario non ci sono feste

1' Letteralmente: "nemmeno se restassimo appesi per le palpebre", immagine che suggerisce uno sforzo estremo.

19 Letteralmente: "è signora della virtù".

So

sulla terra. Il pentimento è la sua festa, e in luogo delle fati­che dell'ascesi, di cui altri si gloriano non senza qualche com­piacimento, egli conosce il peso della quiete 20 •

Questa fuga da tutti gli esseri umani non ha altro fine che favorire l'unione con Dio: il solitario non ama essere distratto dal suo stare al cospetto di Dio. !sacco trova accenti severi per denunciare il danno che il solitario ricava dall'incontro con la

gente:

Oh, che danno per il solitario la vista e la frequentazione del­la gente! Come il soffio improvviso del gelo avventandosi sul­le tenere gemme degli alberi le trafigge e le brucia, così i con­tatti con gli altri, anche brevi, anche apparentemente ispirati da buoni motivi, fanno appassire i fiori della virtù appena schiusi nell'aria temperata della quiete che protegge con de­licata dolcezza l'albero fruttifero dell'anima, piantato lungo i ruscelli del pentimento. E come il freddo glaciale assalendo i nuovi germogli li brucia, così le conversazioni con la gen­te aggrediscono e distruggono le radici di una mente da cui è appena spuntata qualche tenera gemma di virtù. E se può nuocere all'anima il commercio con persone che, pur control­late in un campo particolare, in altri conservano qualche di­fetto di minor conto, quanto più dannose saranno la vista e le chiacchiere degli ignoranti e degli sciocchi 21 !

Nel trattare della necessità di fuggire il mondo e gli uomini, !sacco porta spesso a esempio gli asceti d'altri tempi, special­mente Arsenio il Grande, che gli era particolarmente caro, del quale racconta il seguente aneddoto: Arsenio, vedendo un visi­tatore che si avvicinava al suo deserto, scappò via. "Aspettami, padre mio - gridò il monaco - perché io ti rincorro a causa di

2° Centurie di conoscenza II,4r.43-44· 21 I,r9 (p. 99) = Touraille 13 (p. 112); PR r6 (pp. I3I-IJz).

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Dio"; "E a causa di Dio io ti fuggo", replicò Arsenio 22. In un'al­

tra occasione Arsenio si prostrò davanti a un monaco che era ve­nuto a trovarlo dicendo: "Non mi alzerò finché non te ne sarai andato". Quando gli fece visita un arcivescovo in cerca di inse­gnamento spirituale, Arsenio rispose: "Dovunque tu senta dire che si trova Arsenio, non andarci". Un giorno, richiesto del mo­tivo per cui evitava tutti, rispose: "Dio sa che vi amo, ma non posso stare nello stesso tempo con Dio e con gli uomini". Que­sto era il modo in cui Arsenio osservava il comandamento rice­vuto da Dio: "Arsenio, fuggi gli uomini e sarai salvato" 23

Secondo I sacco, la rinuncia alle persone dev'essere radicale e assoluta. Ogni relazione o legame di amicizia e di affetto dev'es­sere troncato. La rinuncia ai genitori e ai parenti è uno dei temi più tradizionali della letteratura monastica. Per spiegarlo Isacco porta l'esempio di un santo monaco che non andava mai a trova­re il fratello, monaco anch'esso. Quest'ultimo, in punto di mor­te, gli mandò un messaggio per chiedergli che venisse a dirgli addio. "Ma non per questo, nemmeno nell'ora in cui la natura è solita mostrare compassione al prossimo, il sant'uomo si lasciò convincere a oltrepassare i limiti che si era volontariamente im­posti. 'Se esco- disse- il mio cuore non sarà più puro al cospet­to di Dio'. Il fratello dunque morì senza vederlo" 24

. La storia, che suona crudele a orecchi moderni, mostra quale grado di ri­nuncia il monachesimo primitivo si aspettasse dai monaci.

A volte Isacco parla non solo di fuga dalla gente ma anche di morte rispetto alla gente. Morire agli uomini è condizione del morire al mondo ed è indispensabile per raggiungere lo stato della limpidità spirituale:

22 I,n (p. II2) = Touraille 79 (p. 39I); PR I8 (pp. I53·I54l- Cf. Palladio, Storia lausiaca I 6.

23 !,44 (pp. 2I8·2I9) = Touraille, Lettere I (p. 453); PR 4I (pp. }09·3IO). Gli episo· di qui riportati sono tratti dagli Apoftegmi dei padri (cf. Arsenio I; 7; q; 37; e altri ancora).

24 !,44 (p. no)= Touraille, Lettere I (p. 454); PR 4I (p. }I2).

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Quante volte succede che il solitario senta i propri pensieri muoversi al di là della carne, a partire dall'allontanamento dalla sua dimora, anche se le fatiche sono modeste! Questo perché egli è del tutto morto agli uomini. Nella misura in cui si lascia alle spalle la vita nel mondo addentrandosi in territo­ri abbandonati e deserti e il suo cuore si accorge che gli uomi­ni sono lontani, allora riceve la quiete dei pensieri. Giacché nel deserto, fratello mio, a forza di lottare contro i pensieri, la fatica e il tormento che vengono da essi non sono poi così grandi. In realtà la semplice vista del deserto mortifica natu­ralmente gli impulsi mondani del cuore e lo mette al riparo dai loro assalti. Come la vista di chi sta vicino al fumo, se non si allontana, non può essere chiara, così non è possibile acqui­sire purezza di cuore e quiete di pensiero senza la solitudine, lontano dai fumi del mondo che salgono davanti ai sensi e ac­cecano gli occhi dell'anima 25 .

Per raggiungere la pienezza della sua vita in Dio, il monaco deve riuscire non solo a dimenticare gli altri e a cancellarne in sé ogni rimembranza, ma anche ad abbandonare qualsiasi preoc­cupazione per loro e rinunciare a ogni gesto di bontà nei loro confronti:

Se vuoi attenerti rigorosamente alla quiete, diventa come i cherubini, che non accolgono alcun pensiero su nessun argo­mento di questa vita, e mettiti nell'ordine di idee che, all'in­fuori di te e di Dio, non esista nessun altro sulla terra del quale tu debba curarti, come hai appreso dai padri che ti han­no preceduto. Finché un monaco non avrà indurito il proprio cuore costringendolo a trattenere la compassione, così da es­sere immune da qualsiasi preoccupazione per gli altri- a cau­sa di Dio o di una qualche necessità materiale - e finché non saprà perseverare nella sola preghiera nei tempi stabiliti, sen-

25 Centurie di conoscenza IV,50·52.

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za che alcun attaccamento o ansietà per gli altri si insinui nel suo cuore, egli sarà incapace di vivere nella quiete libero da turbamenti e preoccupazioni 26 •

Benché l'esigenza di limitare i gesti di misericordia riguardi solo i tempi specificamente previsti per la preghiera, è tuttavia evidente che agli occhi di Isacco la vita in quiete è più elevata della vita attiva al servizio degli altri. Per questo motivo egli in­siste tanto sulla necessità di rinunciare, almeno in certi periodi, a ogni attività filantropica, se si vuole raggiungere il fine della vita nella quiete.

Amore di Dio e amore del prossimo

In che modo una così radicale insistenza sulla rinuncia agli uomini si concilia con il comandamento dell'amore del prassi­mo? Questa fuga dagli uomini non è al tempo stesso una fuga da Cristo, lui che ha detto: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,39)? Un tale isolamento non conduce alla perdita o al­l' assenza di ogni amore per gli altri, a un'indifferenza egoistica verso tutto ciò che è diverso da sé?

Sono domande alle quali Isacco si affretta a rispondere nega­tivamente, sostenendo che, al contrario, fuggire gli uomini para­dossalmente accresce l'amore verso di essi. Il comandamento di amare Dio è universale e include pertanto quello di amare il prossimo:

Il comandamento che dice: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua

26 I,21 (p. 1I2) = Touraille 79 (p. 39r); PR r8 (p. 153).

mente" (Mt 22,37), al di sopra del mondo, della natura e di quanto vi appartiene, è adempiuto quando tu perseveri pa­zientemente nella quiete. E il comandamento che tratta del­l'amore del prossimo è incluso nel primo. Vuoi acquisire nel­l'anima, secondo il comandamento dell'evangelo, l'amore per il prossimo? Allontanati da lui, e il calore e la fiamma dell'a­more per lui arderanno in te e gioirai alla vista del suo aspetto esteriore come se contemplassi un angelo di luce. Se poi desi­deri che quelli che ti amano abbiano sete di te, fa' in modo di vederli solo a giorni fissi. Ma tutto questo si impara con l'e­sperienza 27

Qui occorre sottolineare, per i lettori che potrebbero essere urtati da un tale atteggiamento verso il prossimo, che Isacco così parlando non intende proporre raccomandazioni universalmen­te applicabili, giacché i suoi scritti si rivolgono prevalentemente a eremiti ed egli parla a un pubblico del tutto particolare. Inol­tre, non dice nulla che non parta dalla sua personale esperienza di solitario per vocazione, e che non tenga conto dell'esperienza di altri solitari che vivono o sono vissuti nelle vicinanze. Pertan­to qui si tratta proprio della via monastica nel senso più stretto, quella che consiste nell'acquisire l'amore degli altri eliminando ogni contatto con loro.

Isacco è convinto che il compito principale di un cristiano sia la purificazione dell'uomo interiore, compito ben più importan­te dei rapporti con gli altri o di qualsiasi attività alloro servizio. Tale attività, d'altro canto, è particolarmente rischiosa quando il cuore del monaco non è del tutto purificato e vi albergano an­cora le passioni. Molti, ricorda Isacco, divennero celebri per la loro attività filantropica, ma non dedicarono sufficienti cure alla loro anima per il fatto di trovarsi costantemente nel mondo, in mezzo alle sue passioni e alle sue tentazioni:

27 l,44 (p. 220) = Touraille, Lettere r (p. 455); PR 4r (pp. 312-313).

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Molti hanno compiuto imprese di grande prestigio, hanno ri­suscitato morti, si sono prodigati nel convertire gli erranti, hanno operato grandi miracoli e molti, per merito loro, sono stati portati alla conoscenza di Dio. Ma in seguito proprio lo­ro che avevano incoraggiato gli altri sono caduti in preda a passioni infami e abominevoli e si sono completamente adul­terati, diventando pietra di scandalo per molti, una volta che la loro condotta fu rivelata. Questo perché la loro anima era ancora malata, e invece di prendersi cura della propria salute, si sono gettati nel mare del mondo per curare quella altrui, quando proprio loro erano infermi; così, come ho detto, han­no perduto se stessi e la loro speranza in Dio. La fragilità dei loro sensi non era in condizione di far fronte o resistere alla fiamma delle cose che sogliano far incrudelire le passioni28 .

Isacco dunque non condanna le buone azioni, ma sottolinea la necessità di godere di un'ottima salute spirituale prima di af­frontare il mondo con l'intento di guarire gli altri. Chi sia spiri­tualmente solido e abbia acquisito la necessaria esperienza della vita interiore sarà più utile al suo prossimo. L'attività esteriore, anche quella apostolica utile agli altri, non potrà mai sostituirsi alla profondità interiore:

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Insegnare agli altri ciò che è buono e prodigarsi assiduamente per liberarli dall'illusione e avvicinarli alla conoscenza della vita, è cosa eccellente. Questa è stata la via percorsa da Cristo e dagli apostoli, una via molto nobile. Ma se uno avverte che, a causa di questa via e del continuo rapporto con la gente, la sua coscienza si indebolisce alla vista delle cose esteriori, la sua serenità è turbata e la conoscenza si offusca ... che per vo­ler guarire gli altri è sul punto di perdere la propria salute, che la sua mente è scossa e ha abbandonato la casta libertà della volontà, allora ... ritorni sui suoi passi, per non dover sentire

28 1,4 (p. 32) = Touraille 23 (p. 155); PR 4 (p. 46).

dalla bocca del Signore le parole del proverbio: "Medico, cu­ra te stesso" (Le 4,23). Si condanni da solo e abbia cura della propria salute. Invece di parole, uno stile di vita nobile pren­da il posto dell'insegnamento, e invece del suono della bocca siano di esempio agli altri le sue opere, cosicché, avendo con­servato la salute dell'anima, per mezzo di questa possa ren­dersi utile agli altri. Giacché quando è lontano dagli uomini può essere loro più utile per il fervore delle sue buone azioni che attraverso le parole, visto che lui stesso è infermo ed è bi­sognoso di cure più di loro. Infatti "Se un cieco guida un cie­co, cadranno entrambi nel fosso" (Mt 15 ,14)29.

Agli occhi di !sacco è dunque necessario che il solitario guari­sca innanzitutto la propria anima, prima di prendersi cura di quelle degli altri. La vita interiore in Dio è più elevata di qual­siasi attività filantropica o missionaria:

Ama il disimpegno della quiete più dell'impegno per la fa­me nel mondo o per la conversione di masse di pagani. È me­glio per te liberarti delle catene del peccato che liberare degli schiavi dalla loro servitù. È meglio per te fare la pace con te stesso che rappacificare le persone in disaccordo. Giacché, come ha detto Gregorio il Teologo, "è buona cosa parlare del­le cose di Dio a causa di Dio, ma è meglio per l'uomo puri­ficare se stesso davanti a Dio" 30 • Dedicarti ali' innalzamento della tua anima, morta a causa delle passioni, verso le intui­zioni su Dio, ti è più utile che resuscitare un morto 31 .

Questo non vuole affatto dire che !sacco disapprovi le attività caritatevoli nel loro insieme; egli vuole solo sottolineare che esse non costituiscono il compito principale degli eremiti, e meglio si

29 1,6 (p. 57)= Touraille 56 (pp. }OO-}or); PR 6 (p. 89). 30

Gregorio di Nazianzo, Disco1!i 3,r2; citazione mancante nella versione siro-orientale 31 1,4 (p. 32) = Touraille 23 (p. 154); PR 4 (pp. 45-46). .

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confanno ai secolarP2 . Per questi ultimi le opere di carità sono un dovere; quanto agli eremiti, il loro primo compito è di veglia­re sui loro pensieri interiori e purificare la loro mente:

Infatti l'adempimento dei doveri della carità nell'ambito del benessere materiale costituisce il compito dei secolari nel mondo, e anche dei monaci, ma solo degli imperfetti fra loro, quelli che non vivono nella quiete o che mescolano la quiete con l'intesa fraterna e un continuo viavai. Per tutti costoro, l'attività caritatevole è buona e degna di ammirazione. Ma chi ha scelto di ritirarsi dal mondo, nel corpo e nella mente ... non deve servire nell'organizzazione delle cose materiali e nella giustizia visibile ... ma al contrario, mortificando le pro­prie membra che appartengono alla terra, secondo le parole dell'Apostolo (cf. Colj,)), deve offrire a Dio il sacrificio pu­ro e immacolato dei propri pensieri, le primizie del proprio servizio come pure le sofferenze del corpo, sopportando pa­zientemente i pericoli a causa della sua speranza futura. Giac­ché la disciplina monastica rivaleggia con quella degli angeli, e non è giusto che noi abbandoniamo questo servizio celeste per aderire a cose materiali33

Quando parla all'infuori di un contesto eremitico, !sacco sot­tolinea la necessità delle buone azioni a favore del prossimo. Avendogli detto un monaco che "i monaci non sono tenuti a di­stribuire elemosine", egli ribatté che solo il monaco "che non possiede niente sulla terra, non guadagna nulla per sé a partire dalle cose materiali, non cerca di acquistare niente e ha l'animo libero da ogni attaccamento alle cose visibili" 34 si trova effet-

32 Cf. 1,54 (p. 270) = Touraille 33 (p. 209); PR 53 (p. 385). "1,2r (p. 109) = Touraille 78 (p. 387); PR r8 (pp. 147-148). Questa distinzione tra

i "solitari" e gli "altri" potrebbe richiamare quella tra "perfetti" e "giusti" nel Liber graduum. Secondo questo testo i perfetti devono assomigliare agli angeli che non vesto­no gli ignudi, non danno da mangiare agli affamati e non si curano dei loro fratelli (cf. Liber gradu11m 25,8).

"1,2r (p. no)= Touraille 79 (p. 388); PR r8 (pp. I48·r49).

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tivamente in quella condizione. Ma i cenobiti non sono dispen­sati dalla necessità di fare l'elemosina e compiere atti di filan­tropia in favore dei loro vicini. Quanto agli eremiti, non devono fare elemosina bensì misericordia, una misericordia che si mani­festa non tanto nelle opere buone quanto attraverso la loro inter­cessione in favore del mondo intero. Tuttavia essi non possono evitare certe iniziative concrete, soprattutto in situazioni che richiedono un intervento immediato in soccorso di chi soffre:

Benedetto è l'uomo di misericordia, perché troverà misericor­dia (cf. Mt 5, 7), non solo nell'aldilà ma quaggiù, in modo mi­stico. Invero, si dà misericordia più grande di quella di chi, per compassione del prossimo, ne condivide le sofferenze? Nostro Signore affranca l'anima di costui dall'oscurità delle tenebre -che è la geenna spirituale- e la guida alla luce della vita, colmandola di delizie ... Quando è in tuo potere di li­berare l'empio dal male, non trascurare di farlo. Non penso tu debba lanciarti in un'impresa del genere quando la cosa è molto distante, giacché una simile attività non appartiene al tuo modo di vita. Se però la cosa è a portata di mano e rientra nelle tue capacità ... guardati allora dall'essere partecipe del sangue dell'empio per non aver voluto fare lo sforzo di libe­rarlo ... Invece di essere un vendicatore, sii un liberatore; in­vece di un avvocato di parte, un pacificatore; invece di un tra­ditore, un martire; invece di un accusatore, un difensore. Supplica Dio per i peccatori affinché trovino misericordia 35 .

Quindi in certe circostanze anche gli eremiti, il cui compito non è di dedicarsi alle opere buone, hanno il dovere di agire co­me liberatori e difensori degli uomini. Più in generale, devono sforzarsi di acquisire l'amore del prossimo come una qualità in­teriore, un amore universale e pieno di misericotdia per tutti gli

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uomini e tutte le creature. Essendo pieni di misericordia no guarire se stessi, pensa Isacco, aggiungendo così una IJ""-i·>l:l.­

zione importante alla sua tesi secondo cui non è opportuno plicarsi a opere di carità prima che la propria anima sia Se le opere buone non sono in grado di guarire l'anima di chi le compie, lo farà la misericordia interiore:

Dentro di te sia sempre il piatto della misericordia quello pende di più, finché tu riconosca in te la che Dio ha per il mondo. Questo stato diventi lo nel quale vediamo in noi stessi la e vera-ce di ciò che appartiene per natura all'essenza divina. Per mezzo di queste e simili cose siamo illuminati in modo tale da essere spinti a Dio con intelletto limpido. Un cuore duro e senza pietà non sarà mai L'uomo misericordioso è medico di se stesso da sé le della pas-sione come per effetto di un vento impetuoso36

.

L'amore universale di cui parla non si raggiunge con atti di filantropia né in attraverso sforzi umani: è un dono che riceviamo direttamente da Dio. L'insegnamento di !sacco sul modo di acquisire l'amore del prossimo può essere co­sì illustrato: se uno si ritira dalla compagnia dei suoi simili per vivere in solitudine e nella acquista l'amore ardente di Dio, ed è questo amore nascere in lui "l'amore luminoso" ({mbba shapya) per gli uomini. Isacco prende l'espressione apre­stito dalle Omelie dello Pseudo-Macario, da Giovanni il Solita­rio e da altri autori , quindi la sviluppa nel capitolo ro della seconda parte:

90

36

"

e frequenta la conoscenza raggiungerà "f·"''-'"'·""·"1.'- l'amore di Dio, grazie al quale si

Touraìlle 34 (p. 2r5); PR 65 (p. 455). n. I a II,r0,34, in esco 555, p. 49·

avvicinerà ali' amore perfetto per gli uomini, suoi pross1m1. Nessuno si è mai potuto accostare a questo amore luminoso per gli uomini senza essere stato precedentemente giudicato degno dell'amore meraviglioso e inebriante di Dio 38

Lo schema così concepito da Isacco differisce da quello della Prima lettera dì Giovanni: "Chi non ama il proprio fratello vede, non può amare Dio che non vede" (rGv 4,20). Secondo Isacco bisogna prima di tutto amare Dio che non si e quindi, grazie a tale amore, avvicinarsi all'amore per il prossimo che si vede, o piuttosto non si vede, poiché ci si è deliberata­mente proibiti di vederlo. La conquista dell'amore attraverso le opere buone è altrettanto impossibile che la conqui­sta dell'amore di Dio attraverso l'amore del prossimo:

Arrivare all'amore luminoso per uomini a partire dalla fa­tica e dalla lotta contro i pensieri, e a da questo amore essere innalzati fino all'amore di Dio portare a compimento un tale processo nel corso della anche prolungan-dolo fino all'ora del congedo mondo tutto ciò è impos-sibile per l'uomo, quale che sia la sua lotta. Grazie ai coman-damenti e al discernimento, tenere a freno i propri pensieri e purificare la propria rispetto ad essi [agli uomini], e può persino alcune opere buone in loro favore. Ma quanto a l'amore luminoso degli uo-mini attraverso la lotta, io non sono affatto convinto che sia possibile: nessuno vi è mai arrivato in questo modo e nessuno mai vi arriverà in questa vita, percorrendo una strada del ge­nere. Senza bere vino non d si può ubriacare e far sobbalzare il cuore di gioia; parimenti, senza l'ebbrezza in Dio nessuno raggiungerà, attraverso lo sviluppo naturale delle cose, una virtù che non gli né essa dimorerà in lui serena­mente e senza

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Si tratta di una forma particolare di amore del prossimo, la più elevata, chiamata da !sacco amore "luminoso" o "perfetto", che è dono di Dio, estraneo alla natura umana. Esso dunque non è assolutamente l'amore naturale degli uomini, degli anima­li domestici, degli uccelli, delle bestie selvatiche, e via dicendo, che si trova in molti 40 , ma un amore sovrannaturale che nasce dall'ebbrezza causata dall'amore di Dio41 . L'amore luminoso del prossimo è l'amore sacrificale che rende somiglianti a Dio, che ama peccatori e giusti allo stesso modo:

Chi è stato giudicato degno di gustare l'amore divino ((JUbba alabaya) 42 dimentica tutto per la sua dolcezza, perché a para­gone di quel sapore tutte le altre cose sensibili appaiono vili, e la sua anima si accosta gioiosamente all'amore luminoso de­gli uomini senza distinzioni tra peccatori e giusti. Una tale persona non è mai sopraffatta né turbata dalle debolezze che incontra nella gente, ma si comporta come i beati apostoli i quali, in mezzo a tutte le offese che dovettero sopportare da­gli uomini, erano però assolutamente incapaci di odiarli o di smettere di mostrare amore per loro. Questo si manifestava attraverso le azioni, perché accettarono persino la morte af­finché gli altri fossero salvati; ed erano quegli stessi discepoli che poco prima avevano domandato a Cristo di far scendere la folgore dal cielo sui samaritani solo perché si erano rifiutati di accoglierli nel loro villaggio (cf. Le 9,54)! Ma una volta ri­cevuto e assaporato l'amore di Dio, divennero perfetti anche nell'amore per i malvagi, sopportando ogni sorta di male allo scopo di accattivarseli, incapaci di odiarli. Da qui vedete be­ne come l'amore perfetto del prossimo non possa essere con­quistato con la semplice osservanza dei comandamenti 43 •

"Cf. ibid. " Il tema dell'"ebbrezza" sarà discusso nel capitolo "La vita in Dio" (d. in/ra, pp.

259-319). 42 Espressione caratteristica di Giovanni il Solitario: cf. S. Brode, n. r a II,ro,J6,

in esco sss. p. so. "II,ro,J6.

92

È per questo che, basandosi sull'insegnamento dell'evange­lo riguardante i due maggiori comandamenti, !sacco ne offre un'interpretazione personale e propone una sua via particolare per giungere all'amore di Dio e del prossimo. Ma questa via non è destinata alla maggioranza degli uomini: essa riguarda unica­mente quelli che hanno seguito la solitudine come percorso di vita, hanno rinunciato al mondo e si avvicinano a Dio attraverso la vita nella quiete.

Vivendo lontano dalla gente e restando interiormente solo, il solitario può e deve mostrare il suo amore per gli altri:

Gioisci con chi è nella gioia (cf. Rm 12,r5), perché questo è il segno della limpida purezza. Soffri con i malati e sii triste con i peccatori, rallegrati con chi si pente. Sii amico di tutti, ma resta solo nella tua mente. Condividi le pene di tutti, ma tieni il tuo corpo distante da tutti. Non respingere nessuno, non insultare nessuno, nemmeno coloro che vivono in modo malvagio. Stendi il tuo mantello su chi cade e coprilo. E se non puoi prendere i suoi peccati su di te né ricevere il castigo al suo posto, almeno soffri la sua vergogna e non farlo arrossi­re ... Sappi, fratello, che se dobbiamo restare chiusi dietro la porta della nostra cella, è per non sapere le azioni malvagie degli uomini, ed è cosl che, vedendoli tutti buoni e santi, rag­giungeremo la purezza della mente44 .

Così l'amore luminoso per il prossimo, che non ci fa vedere i peccati e le debolezze altrui ma solo le loro qualità, nasce in un cuore purificato e in una mente che dimora nella quiete, total­mente libera dalle faccende del mondo.

44 I,51 (p. 247) = Touraille 58 (p. 316); PR 50 (pp. 349-350).

93

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Quiete e silenzio

In che cosa consiste dunque questa "quiete" (shelya) di cui !sacco parla continuamente? È una volontaria rinuncia al dono della parola, al fine di creare un silenzio interiore in cui si senta la presenza di Dio; consiste nel restare senza p~sa al cospetto di Dio in perfetto silenzio e in stato di preghiera. E il ritiro da ogni attività di parola e pensiero, per conquistare il silenzio e la pace dello spirito:

Ecco la definizione di quiete (d-shelya): silenzio (shelyuta) in ogni cosa. Se nella quiete ti ritrovi pieno di affanno, se tor­menti il corpo con il lavoro manuale e l'anima con le preoccu­pazioni, giudica allora tu stesso che genere di quiete stai pra­ticando, dal momento che ti occupi di tante cose per piacere a Dio! È ridicolo che parliamo di quiete se non abbandoniamo ogni cosa e non ci stacchiamo da ogni preoccupazione 45 •

!sacco distingue due specie di quiete: esteriore e interiore. Quella esteriore consiste nell'osservare il silenzio della lingua e della bocca; l'interiore nel silenzio dell'intelletto, nella pace del pensiero, nella calma del cuore. La quiete interiore è più eleva­ta di quella esteriore, ma se manca la prima, l'altra non serve: "Se non puoi essere silenzioso nel tuo cuore, osserva almeno il silenzio della lingua" 46

. La quiete interiore è scavata da quella esteriore e l'asceta deve sempre praticare la seconda per realiz­zare la prima:

94

Ama il silenzio sòpra ogni altra cosa, poiché ti rende simile a un frutto che la lingua non può esprimere. Costringiamoci al

45 1,2r (p. ru) = Touraille 75 (p. 392); PR r8 (p. 154). 46 1,5r (p. 247) = Touraille 58 (p. 316); PR 50 (p. 350).

silenzio, e da esso nascerà qualcosa che condurrà verso il si­lenzio stesso [vale a dire il silenzio interiore]. Possa Dio con­cederti di provare almeno una parte di ciò che nasce dal silen­zio! Se intraprenderai questa pratica, non so dirti tutta la luce che ne ricaverai. Quando Arsenio, uomo meraviglioso, resta­va in silenzio - si dice di lui che durante le visite che i padri gli facevano stesse seduto con loro e li congedasse senza aver proferito parola - non credere, fratello, che lo facesse volon­tariamente se non all'inizio, quando vi si costringeva. Dopo qualche tempo, una certa dolcezza nasce nel cuore a partire dall'esercizio di questa fatica, che forza il nostro corpo a per­severare nella quiete ... Il silenzio è anche un cammino verso il silenzio ... Quando Arsenio si accorse che, per via dell'ubi­cazione della sua dimora, spesso gli era impossibile stare lon­tano dagli uomini e dai monaci che abitavano nei dintorni al­lora apprese dalla grazia quel percorso di vita che è il sile~zio ininterrotto. E se talvolta la necessità lo costringeva ad aprire la porta a qualcuno, questi era già felice per il solo fatto di ve­derlo: la conversazione e lo scambio di parole tra loro erano diventati superflui 47 •

L'esperienza di un silenzio che è assenza di parole è un'espe­rienza di partecipazione alla vita del mondo a venire. Come scri­ve !sacco, "il silenzio è il mistero del secolo a venire, ma le pa­role sono gli strumenti di questo mondo" 48 .

Il silenzio esteriore produce frutti nell'interiorità dell'io, men­tre l'incapacità a tenere a freno la lingua porta all'offuscamento spirituale:

Fratello, se trattieni la lingua Dio ti concederà il dono della compunzione del cuore; contemplerai la tua anima e avrai co­sì accesso alla gioia spirituale. Ma se la lingua avrà la meglio

47 1,64 (pp. 3I0-3rr) = Touraille 34 (p. 213); PR 65 (pp. 450-452).

48 1,65 (p. 321) = Touraille, Lettere 3 (p. 46r); PR 66 (p. 470).

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su di te ... non sarai mai in grado di sfuggire all'oscurità. Se il tuo cuore non è puro, che almeno lo sia la bocca49 .

La natura della quiete interiore sarà sviluppata in maggior dettaglio nel capitolo del presente studio dedicato alla "vita in Dio", che verterà sulla "quiete della mente", uno dei gradi più elevati del cammino spirituale. Per il momento ci limitiamo a indicare i diversi frutti interiori della "vita nella quiete", cioè della forma eremitica della vita monastica. Isacco tratta la que­stione in una lettera a un amico anonimo, nella quale racco­alie le testimonianze degli asceti del suo tempo su questo tema. Queste testimonianze menzionano numerosi frutti della quiete, in particolare:

- Come una tale vita conduca a una concentrazione della mente e a un approfondimento dell'attività spirituale dell'intel­letto: "Ecco il vantaggio che io ricavo dalla quiete: quando la­scio la mia dimora, la mia mente è priva di qualsiasi preparazio­ne alla lotta e si applica a un'attività superiore".

- Come questa vita porti alla dolcezza spirituale, alla gioia, alla tranquillità interiore e a una perdita estatica dell'attività dei sensi e dei pensieri: "Io corro verso la quiete affinché i verset­ti della mia lettura si riempiano per me di dolcezza. E quan­do la mia lingua tace per la soavità prodotta dalla loro compren­sione, cado in una sorta di sonno, in uno stato in cui i sensi e i pensieri cessano da ogni attività. Quando poi, dopo un silenzio

Prolunaato il mio cuore è reso calmo e privo di turbamento ... "' ' onde di gioia si accostano alla navicella della mia anima e la

immergono nella quiete che esiste in Dio, come in un vero e pro­prio stupore".

- Come la quiete cancelli i ricordi che fanno torto alla mente, e come essa sia così in grado di ritornare al suo stato naturale.

49 l,48 (p. 236) = Touraille 73 (pp. 375-376); PR 46 (p. 334).

- Come la quiete aiuti a liberare la mente e a concentrarsi sul pentimento e la preghiera: "Quando si vedono molti volti e si ode ogni sorta di voci estranee alla meditazione spirituale ... la mente non è abbastanza libera per contemplare se stessa segreta­mente, rammentarsi dei suoi peccati, ridurre al nulla i pensieri, fare attenzione a ciò che le viene in mente e dedicarsi alla pre­ghiera nascosta".

- Come la quiete aiuti a "sottomettere i sensi al dominio dell'anima" 50 •

La vita di quiete e silenzio ridesta nell'interiorità dell'anima quell"'uomo nascosto del cuore" di cui parla san Pietro (d. rPt 3,4). Tale processo si sviluppa in proporzione al grado di morti­ficazione dell'uomo esteriore, che deve affrontare le lotte nel mondo:

Al dire di Basilio, la quiete è l'inizio della purificazione del­l'anima51. Giacché, quando le membra cessano da ogni loro attività esterna e la dispersione che ne deriva ha termine, la mente si distoglie dalle distrazioni e dai pensieri che errano al di fuori della sua sfera, e si colloca tranquillamente all'inter­no di se stessa, finché il cuore si risveglia per esprimere le ri­flessioni che ha dentro ... Se la purezza non è altro che l'oblio di un modo non libero di vivere e l'abbandono delle proprie abitudini, come e quando potrà l'uomo purificare la sua ani­ma che, per sua o altrui attività, rinnova in lui il ricordo delle consuetudini di un tempo? Se il cuore si macchia ogni giorno, quando sarà lavato dalle sue lordure? E se non riesce a resiste­re all'azione delle cose esterne, come potrà purificarsi nel bel mezzo dell'accampamento e nell'incalzare quotidiano dei ru­mori di guerra? Ma ritirandosi da tutto ciò potrà a poco a po­co far cessare questo primo tumulto interiore ... Solo quando entra nella quiete l'anima può discernere le passioni ed esa-

'0

I,65 (pp. vo-vr) = Touraille, Lettere 3 (pp. 459-46r); PR 66 (pp. 468-470). '

1 Lettera 2 (a Gregorio di Nissa).

97

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e, giorno per giorno, ""~"~""~" nascosta che fiorisce nella sua

i sensi esteriori e ravviva i moti interiori, mentre lo di vita esteriore fa il contrario: ravvi-va i sensi esteriori e uccide i moti interiori 52 •

Osserviamo come anche quando

sia del tutto coerente con se stesso la priorità dell'attività interiore su

Ma contemporaneamente constatiamo l'impos­la quiete interiore della mente senza il si-

quella sibilità di lenzio modo, il della vita

della lingua, dei sensi e dei pensieri. In questo ,,.~·~u·''"u sopra ogni altra cosa" diventa la prima legge

stato di """""'"·"'""'"'

Senza di esso non solo non si raggiunge lo ma non si è nemmeno in grado di fare i primi conduce a Dio.

Un cammino monastico verso Dio

"Sappi che una vita breve nella giustizia conformemente al desiderio di Dio è preferibile a molti giorni passati a provocare la sua collera", scrive Isacco. Merita di essere vissuta solo una

poco importa se breve o lunga - che conduce all'unione con Dio. Tale è la vita del monaco, che non persegue altro fine. splranLdOSl alla similitudine di san Paolo (cf. 1Cor 9,24-25),

riprende l'immagine dell'atleta che corre nello stadio per il modo in cui l'intelletto dell'uomo si dirige verso

alll~grez<~a spirituale di Cristo, coronamento della vita solita-

ria53 • A volte paragona la vita spirituale a una navigazione per mare 54 ; più spesso a una scala 55 , affatto tradizionale nella letteratura cristiana56. ascesa è senza fine, poiché la sua meta è Dio, che è

La fine di questo non può essere mai raggiunta, al punto che anche i santi sentono piamente il bisogno della sa­pienza perfetta, il verso la sapienza non ha fi­ne. La sale tanto in alto da unire a Dio colui che la persegue. proprio questo il segno che le intuizioni della sa­pienza sono illimitate: la sapienza è Dio in persona57 •

Il solo cammino Isacco conobbe per ascendere a Dio fu quello monastica ed eremitica. Non è quindi sorprendente le sue raccomandazioni ascetiche siano rivolte prima di tutto ai monaci, benché molte di esse abbiano portata universale. l'inizio della vita con Dio come la con­clusione di un'alleanza (qyama) con lui per separarsi dal mondo:

Quando l'uomo a Dio, conclude con lui un'alleanza per staccarsi da tutto. Con ciò intendo non vedere volto di donna, non contemplare lo splendore di cose o persone e il loro o abiti, non curare la compagnia dei secolari né ascoltarne le parole né volerne sapere di loro 58

.

Qui non si tratta di voti monastici, ma piuttosto di una deci-sione di rinuncia al mondo e a quanto vi appartiene, ri-tirandosi completamente dalla società degli uomini.

5J

54 (p. 1 n) Touraille 79 (p. 392); PR r8 (p, 225). (p. u) Touraille 30 (p. 189); PR 2 (p. 12), e passìm.

56 ricordarsi dell' Inte1pretazìone delle Beatitudini di Gregorio di N issa e della Scala del paradiso di Giovanni Clirnaco.

57 (p. r63) Touraille 85 (p. 4r7l; PR 35 (p. 225). 5' (p. 169) = Touraille 85 (p. 422); PR 35 (p, 235).

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Il tema dell'"alleanza" con Dio è uno dei più importanti nella letteratura protomonastica di lingua siriaca. Raggiunge partico­lare sviluppo presso Afraat che menziona un gruppo di asceti nell'ambito della chiesa siriaca detti "figli dell'alleanza" o "al­leati" (bnay qyama)59

• Si trattava di laici il cui comportamento non differiva in nulla da quello degli altri cristiani di Siria, se si eccettuano i voti di celibato, di povertà e di servizio della comu­nità parrocchiale60 • In seguito il termine di alleanza fu attribuito al monachesimo siriaco che aveva sviluppato le aspirazioni asce­tiche dei "figli dell'alleanza". In particolare, l'idea che gli eletti fossero ben distinti dagli altri - idea assai diffusa fra gli "allea­ti" - avrebbe avuto pieno sviluppo nella tradizione monastica posteriore, alla quale Isacco appartiene.

In questa tradizione il monachesimo si opponeva radicalmen­te al resto dell'umanità e i monaci si consideravano una schiera di eletti:

I figli di Dio sono quindi separati dal resto dell'umanità: essi vivono nell'afflizione mentre il mondo gode del lusso e degli agi. Giacché Dio non vuole che coloro che lo amano vivano negli agi finché risiedono nella carne. Egli piuttosto desidera che durante tutta la loro vita terrena abitino nell'afflizione, nell'oppressione, nella fatica, in povertà, nudità, isolamento, nel bisogno, nella malattia, l'abiezione e la difficoltà, nello strazio del cuore, nel rigore corporale, nella rinuncia ai fami­gliari e nel pensiero del pentimento. Egli desidera per loro un aspetto diverso da quello del resto della creazione e dimore dissimili da quelle degli altri; vuole che si stabiliscano in luo­ghi solitari e tranquilli, ignoti a sguardo umano e privi di tut­to ciò che rende gradevole la vita. Essi piangono, ma il mon-

59 Cf. S. H. Griffith, "Monks, 'Singles' and the 'Sons of the Covenant"', pp. 141 ss.; G. Nedungatt, "The Covenanters of the Ea1ly Syrian-speaking Church", in Orien­talia cbristianaperiodica 39 (r973), pp. I9I ss.

60 S. AbouZayd, Ibidayutba, p. IDI.

IOO

do ride; sono tristi, ma il mondo gioisce; digiunano, ma il mondo sguazza nei piaceri. Di giorno soffrono, di notte si co­stringono a lotte ascetiche aspre ed estenuanti61 .

Nella società cristiana il monachesimo svolge un ruolo del tutto peculiare e vi penetra fino al cuore. Per !sacco ogni mona­co doveva essere irreprensibile e dare un buon esempio ai secola­ri in tutto ciò che riguarda la sua vita:

Il monaco (i~idaya, solitario), nel suo aspetto e in tutto ciò che fa, dev'essere di incoraggiamento a chi lo guarda. Così, grazie alle molte sue virtù che brillano come i raggi del sole, i nemici della verità che lo vedono ammetteranno, loro malgra­do, la speranza della salvezza che è ferma e incrollabile nei cristiani, e accorreranno a lui come a un rifugio ... Giacché la vita monastica è la gloria della chiesa62 .

Agli occhi di Isacco la via del monaco è un martirio invisibile, che ha per meta la corona della santità63 . Essa è anche un modo di "prendere la propria croce" ed è quindi incompatibile con la ricerca degli agi: "Il cammino di Dio è la croce di tutti i giorni. Nessuno è salito al cielo per una strada agevole ... " 64

• Prendere la propria croce significa condividere le sofferenze di Cristo:

O lottatore, assapora dentro di te le sofferenze di Cristo, per essere giudicato degno di assaporarne la gloria. Giacché se

61 I,6o (pp. 293-294) = Touraille 36 (p. 223); PR 6o (pp. 424-425). 62 I, II (p. n)= Touraille IO (p. ID3); PR II (p. rr9). Questa concezione della vita

monastica è caiatteristica di tutto l'oriente cristiano nei secoli VII e vm. Essa era ancor più marcata a Bisanzio, dove il monachesimo aveva un ruolo dirigente all'interno della chiesa, particolarmente nel periodo successivo alla crisi iconoclasta. Nella Scala del pa­radiso di Giovanni Climaco (c. 26) si leggono frasi simili alle affermazioni di Isacco sui monaci: "Gli angeli sono una luce per i monaci, e la vita monastica è una luce per tut­ti gli uomini. Che i monaci si sforzino dunque di diventale un buon esempio in tutto".

63 Cf. I,37 (p. I7J) = Touraille 85 (p. 426); PR 35 (p. 424). 6

' I,59 (p. 290) = Touraille 4 (p. 75); PR 59 (p. 4I8).

IOI

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noi soffriamo con lui saremo glorificati con lui. L'intelletto non è glorificato con Gesù se il corpo non soffre con lui 65 .

La vita sulla terra è quindi sentita dal monaco come una cro­cifissione:

Finché hai mani, tendile al cielo nella preghiera prima che le braccia ti si stacchino dalle giunture e non smettere mai, an­che se vorresti. Finché hai dita, segnati nella preghiera prima che la morte venga a sciogliere la forza dei loro tendini. Fin­ché hai occhi, riempili di lacrime, prima dell'ora in cui la pol­vere coprirà la tua veste nera 66 .

La via che porta a Dio sarà diversa per ciascun monaco, ma il punto di partenza è uno solo per tutti: l'ascesi, che implica pre­ghiera e digiuno 67 . !sacco attribuisce una funzione importante al digiuno e ad altri mezzi che mirano a disciplinare il corpo:

Il digiuno, le veglie e la vigilanza nel servizio di Dio per re­sistere alla dolcezza del sonno, crocifiggendo il corpo giorno e notte, costituiscono la via santa di Dio e il fondamento di ogni virtù. Dì tutto ciò il digiuno è il campione: principio della lotta, corona dell'astinente, splendore della verginità e della santità, sfavillio della purezza, inizio del cammino del cristiano, fonte della sobrietà e della prudenza, signore della quiete e precursore di tutte le opere buone. Come il godimen­to della luce procede di pari passo con la sanità degli occhi, così il desiderio della preghiera accompagna il digiuno pra­ticato con discernimento ... Anche il Salvatore, al momento di manifestarsi al mondo presso il Giordano, da lì prese le mosse. Infatti, dopo il battesimo ... digiunò quaranta giorni e

65 1,36 (p. r6r) = Touraille r6 (p. rq); PR 34 (p. 222), 66 l,64 (p. 315) = Touraille 34 (p. 215); PR 65 (pp. 459-460). 67 Cf. Il,JI,I.

102

quaranta notti (cf. Mt 4,1-12). Allo stesso modo, tutti coloro che muovono sulle sue tracce fondano [sul digiuno] l'inizio della loro battaglia 68

.

Il digiuno, accompagnato da altre sofferenze corporali, deve procedere di pari passo con l'attività spirituale. Secondo !sacco la sofferenza corporale precede quella dell'anima, la quale a sua volta precede ogni attività della mente:

Le opere compiute con il corpo precedono quelle compiute con l'anima ... Chi non ha compiuto opere corporali non può possedere quelle dell'anima, poiché queste nascono da quel­le, come la spiga nasce da un semplice granello di frumento. E colui che non possiede le opere dell'anima è privato dei do­ni spirituali 69 .

La mortificazione del corpo porta a un rinnovamento spm­tuale dell'anima: "Nella misura in cui il corpo appassisce e si,in­debolisce ... l'anima si ravviva di giorno in giorno e fiorisce pro­gredendo verso Dio" 70

. Tuttavia le sofferenze corporee non sono di alcuna utilità se non si accompagnano al "governo interiore della mente" e se il monaco limita a esse il suo impegno spiritua­le. Tale impegno infatti riposerebbe unicamente su sforzi asceti­ci esteriori, facendo assomigliare il monaco in tal modo a quei farisei condannati da Cristo:

Limitare continuamente la propria speranza, come è tipico di un servizio unicamente esteriore, appartiene alla visione im­matura e giudaica di coloro che menano vanto dei loro digiu­ni, delJe offerte e della durata delle loro preghiere, come ha detto nostro Signore (cf. Mt 6,16), ossia di coloro che non

66 l,37 (pp. I7I-r72) = Touraille 85 (pp. 424-425); PR 35 (pp. 238-240). 69 lA (p. 29) = Touraille 23 (p. r5r); PR 4 (pp. 40-41). 70 Il,24,3·

103

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intimo la minima percezione né su Dio con le quali possano ornare la pro­

un incremento di speranza 71 •

Seguendo uno classico che risale ad autori più quali Evagrio e il Solitario, il cammino del monaco verso Dio si divide tre tappe di progresso spirituale. Sì tratta dello stesso schema adottato da Isacco, quando scrive:

Le tappe attraverso le quali si progredisce sono tre: dei principianti, la tappa intermedia e quella di coloro che hanno raggiunto la pienezza. Nella prima, anche se la mente è orien­tata verso il tutto il pensiero e tutto il so­no circoscritti dalle passioni. La seconda è una sorta di via mediana tra le passioni e la tappa spirituale: vi si agitano in egual misura pensieri della mano destra e della mano sinistra, mentre luce e tenebre vi si alternano senza posa. Quanto alla terza tappa, essa è caratterizzata dalle rivelazioni dei misteri divini, quando Dio dischiude la sua porta al monaco che ha perseverato nelle fatiche 72 .

Ne risultano tre tipi differenti di fatiche spirituali, ciascuno dei quali corrisponde a una tappa ben precisa dell'avanzamento spirituale:

I04

La fatica spirituale e il suo fine non sono identici nella tappa dei principianti, in quella intermedia e in quella finale. La

comporta una parte considerevole di recita-te" e la sola sottomissione del corpo a un difficile di-

Al culmine della tappa tutto dò diminuirà, la perseveranza del monaco cambierà oggetto e si estenuerà nella lettura spirituale e più particolarmente nelle genufles-

79-80) = Touraille II (p. ro5); PR 12 (pp. I2I·I22).

sioni. All'apice della terza tappa le pratiche precedenti sce­meranno ulteriormente, per concentrarsi ormai sulla della e della preghiera del cuore 73 .

Questo non che solo i principianti dovranno digiu-nare, solo si trovano nella tappa intermedia leggere le solo i più avanzati dovranno pregare. Questi tipi di attività appartengono agli asceti in tutte le tap-pe e lungo corso della loro vita. Tuttavia se tappa dei principianti l'accento è posto sulle sofferenze corporee, l'at­tività interiore della mente si addice meglio a coloro che hanno la pienezza:

Ciò non che a ciascun culmine le caratteri-della tappa precedente siano completamente abbando­

nate, ma piuttosto che qualcosa cambia nel loro orientamento e nel modo in cui sono adempiute ... La recita dei salmi e la sofferenza del digiuno appartengono alla tappa intermedia, ma ormai non sono più eseguite senza discernimento né con l'impeto che le contraddistingueva nella tappa dei principian­ti. Allo stesso modo, in cima alla tappa di coloro che hanno "'"-~;flJ.l.tul.v la pienezza ci sarà pur sempre la lettura e la fatica

genuflessioni e della salmodia, ma non ne sarà più ne­cessaria una grande quantità, basterà consacrarvisi un attimo e subito si rimarrà catturati e dallo stupore, men­tre la meditazione continua sull'economia divina (mdabbra­nu.ta) 74 e la preghiera nascosta avranno ormai maggiore im­portanza 75 •

termine siriaco mdabbranuta è ·,...,.,;,,,J,.nrP oil;onomfa, che significa il Si applica anche all'attività

sua morte per la salvezza degli nomini. di Dio, il suo piano di salvezza e redentrice del Figlio di Dio e

75 II,22,4·6.

IO)

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rgr)m,,ntn delle pagine seguenti saranno gli svariati aspetti dell'attività interiore della mente, e avremo l'occasione di tor­nare più particolareggiatamente sui diversi tipi di preghiera, co­me pure su certi fenomeni mistici, quali lo "stupore" e la con-

possiamo trarre qualche rapida conclusione sul '-'"·'u'a".v verso Dio, così come Isacco ce lo presenta.

Questo cammino è un'ascesa a partire dall'attività esteriore del corpo fino dell'attività contemplativa interiore, che saranno quando si verrà giudicati degni dello "stupo-re" e dell'unione con Dio. Il primo requisito per giungervi è ri­nunciare al mondo ed essere lasciati soli con Dio. È parimenti necessario la quiete interiore della mente e del cuore, quella nasce dal silenzio esteriore della bocca e dalla soli­tudine. La rinuncia al mondo e la vita in solitudine non signifi­cano rifiuto dell'amore verso il prossimo: al contrario, grazie a questa rinuncia e a questo ritiro il monaco partecipa dell'amore di Dio, che finirà per destare nel suo cuore "l'amore luminoso" del prossimo.

In altre parole: dall'ascesi esteriore per andare verso la contemplazione di Dio, dal silenzio della bocca alla quiete dell'intelletto, dalla solitudine all'unione con Dio, dal­l' attività degli uomini all'" amore luminoso dell'umanità" tutta intera: ecco il cammino del solitario, quale Isacco l'ha descritto.

ro6

III PROVE SULLA VIA CHE CONDUCE A DIO

Dio non concede grandi doni senza grandi prove.

Ho fatto spesso esperienza di queste cose, e ciò che ho sco­perto corrisponde a quanto ho appena scritto per amore fra­terno, a guisa di pro memoria, giacché penso che molti possa­no trarre profitto da queste esperienze e progredire.

II,3J ,J

il Siro è celebre soprattutto per la descrizione degli sta­ti superiori, propri degli asceti che hanno raggiunto una certa pienezza spirituale. Al tempo stesso, però, egli non ignora

negativi della vita cristiana e dell'ascesi, cioè le prove l'asceta deve attraversare.

capitolo analizzeremo l'insegnamento di Isacco sul­inerenti alla vita cristiana e cercheremo di riassume­

negative così come sono descritte nella sua ape-questo, ci occuperemo in primo luogo delle diverse

agguato sul cammino verso Dio dell'asceta, prima di parlare dell'abbandono da parte di Dio, forma suprema di ogni or>J·h•·e<>M

107

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Le tentazioni

Il termine siriaco nesyana, corrispondente al greco peirasm6s, si può tradurre "tentazione", "prova", "esame", "saggio". Un altro termine affine, nesyuna, significa "esperienza"; entrambi derivano dalla radice ebraica nsh, che significa "mettere alla prova", "saggiare".

La Bibbia conosce vari tipi di tentazione, ai quali prendono parte tre personaggi: Dio, l'uomo e il demonio. Dio e il demo­nio hanno il ruolo di tentatori dell'uomo. Dio "tenta" Abramo al fine di mettere alla prova la sua fede (cf. Gen 22, r); mette alla prova il popolo eletto nel "crogiolo dell'afflizione" (Is 48,ro); prova "il cuore e le reni" (Sal 7 ,9) dell'uomo, "scruta tutti i se­greti recessi del cuore" (Pr 20,27). Da parte sua, il demonio ten­ta Adamo ed Eva inducendoli a mangiare dell'albero della cono­scenza (cf. Gen 3,r-6), e tenta Gesù nel deserto (cf. Mt 4,r-r r). Esiste un terzo tipo di tentazione, in cui è l'uomo a tentare Dio: Israele ha tentato Dio a causa della sua mancanza di fede (cf. Es I7, 7); i farisei e gli erodiani hanno tentato Gesù (cf. M t 2 2, r 5), mentre Anania e Saffira hanno tentato lo Spirito santo (cf. At 5,9). Esiste infine un quarto tipo di tentazione, quando l'uomo "è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce" (Gc r,r4).

I sacco tratta di solito le prime due tentazioni, da Dio e dal de­monio. La prima è un'esperienza necessaria per giungere alla co­noscenza di Dio; la seconda è un'esperienza spaventosa, che il cristiano cerca con tutte le sue forze di evitare. Un giorno, a chi gli chiedeva come le parole di Cristo "pregate, per non cadere in tentazione" (Mt 26,4r) si conciliassero con le frequenti esorta­zioni del medesimo a sopportare le tentazioni e i dolori (cf. Mt ro,28 e passim), !sacco così rispose:

ro8

Cristo ha detto: Prega per non cadere in tentazione contro la tua fede. Prega per non entrare nella tentazione di blasfemia

e di orgoglio a opera del demonio, a causa del fatto che la tua mente è contenta di sé. Prega perché Dio non permetta che tu cada nelle ovvie tentazioni dei sensi, che il demonio sa be­nissimo come proporti se Dio glielo consente per via dei tuoi sciocchi pensieri. Prega affinché la testimonianza della pu­rezza non ti sia tolta e si trasformi nella fiamma seduttrice del peccato. Prega per non entrare in tentazione avendo causato sofferenza a qualcuno. Prega per non cadere nelle tentazioni dell'anima attraverso dubbi e provocazioni che la trascinano violentemente in una grande lotta. Nondimeno preparati con tutta l'anima a ricevere l'assalto delle tentazioni corporali; contrastale con tutte le tue membra e riempi gli occhi di lacri­me, affinché l'angelo che ti protegge non ti abbandoni. Senza sostenere le prove, infatti, è impossibile contemplare la prov­videnza di Dio o acquistare sicurezza davanti a lui. o impara­re la sapienza dello Spirito, o vedere il desiderio di Dio stabi­lirsi dentro di te. Prima delle tentazioni, l'uomo prega Dio come un estraneo; ma dopo che, per suo amore, si è addentra­to nelle tentazioni senza lasciarsi sviare, è come se Dio avesse contratto un debito con lui. Dio allora lo considera un amico sincero, poiché ha combattuto contro il nemico e ha trionfato per la forza della sua volontà. Ecco cosa vuol dire "pregate, per non cadere in tentazione". E ancora, prega di non entrare nella terribile tentazione del demonio a causa della tua arro­ganza, bensì a causa dell'amore di Dio, poiché ti auguri che la sua forza ti venga in aiuto e si serva di te per sgominare i suoi nemici. Prega di non entrare in simili prove a causa della stu­pidità dei tuoi pensieri e delle tue opere, ma piuttosto affin­ché il tuo amore per Dio venga messo alla prova e la sua forza sia glorificata attraverso la tua pazienza 1.

Fra le tentazioni provenienti da Dio, !sacco ne annovera al­cune che le fonti monastiche attribuiscono generalmente al dia-

1 I.3 (pp. 25-26) = Tournille 44 (p. 254); PR 3 (pp. 36-37).

I09

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volo, come "i pensieri di blasfemia e vanagloria"; Vl mserisce tuttavia una nota particolare per far capire che sta esprimendo solo un suo punto di vista:

Fratelli, credetemi: l' acedia, il torpore, la pesantezza delle membra, la confusione e il turbamento del pensiero e tutte le cose opprimenti che costituiscono il fardello dei monaci quando siedono nella quiete, sono opera di Dio. Non dovete pensare che opera sua siano solo le illuminazioni durante l'uf­ficio, la purezza del pensiero, l'allegrezza e l'esultanza del cuore, la consolazione delle dolci lacrime e la piacevole com­pagnia di Dio. In verità - e qui esprimo una mia opinione -anche i pensieri di blasfemia e vanagloria, come pure i de­testabili impulsi della lussuria che vengono abitualmente ad assalire i solitari nella quiete, fino alla passione che si ritor­ce contro di loro, possono essere considerati, eccettuato l'or­goglio, come un sacrificio puro e come opera santa di Dio; e questo anche se il solitario si rivela ancora debole di fron­te ad essi, purché ne affronti l'assalto e non scappi dalla pro­pria cella 2 .

Le prove mandate da Dio hanno lo scopo di guarire le malat­tie dell'anima: sopportando le tentazioni l'uomo si avv1e1na a Dio e la sua fede si fortifica:

Chi fa l'esperienza dei ripetuti interventi dell'aiuto divino nel pieno delle tentazioni, raggiunge una fede solida. Un tale uomo non ha più paura e, grazie all'addestramento fatto, ac­quista maggiore audacia di fronte alle tentazioni. La tentazio­ne è utile a tutti ... I lottatori dell'ascesi sono tentati affinché possano incrementare le loro ricchezze; gli indolenti affinché si guardino da ciò che potrebbe recare loro danno; i torpidi perché si armino di vigilanza; i lontani perché si riavvicinino

2 Centurie di conoscenza IV,23.

IIO

a Dio; quelli che gli appartengono perché abbiano l'audacia di riporre ogni loro gioia in lui ... Non c'è chi non si senta a disagio nell'ora della prova, chi non ne trovi amara, quando dovrà berla, l'aspra pozione. Ma senza le tentazioni non si può edificare una costituzione solida3 .

Dio manda le tentazioni affinché, tra i loro assalti, l'uomo diventi consapevole della vicinanza e della provvidenza divine.

··'"'"·••.'!········~---~-·············~- uno ha consolidato la propria speranza in Dio, questi

gli manda le tentazioni per avvicinarlo ancor di più a sé:

Dopo aver rafforzato il suo pensiero ... in modo che egli ri­ponga tutta la sua fiducia in Dio, la grazia di Dio lo introduce a poco a poco alla tentazione, e consente che gli siano man­date tentazioni proporzionate, cosicché possa sopportarne la violenza. Ma nel pieno delle tentazioni l'aiuto di Dio si fa presente e palpabile, affinché l'uomo possa prendere coraggio e accrescere gradatamente la propria esperienza, acquistare sapienza e, grazie alla fiducia in Dio, disprezzare i nemici. In effetti, senza tentazioni l'uomo non cresce in sapienza nella lotta spirituale, né riconosce la presenza e la provvidenza del suo Dio, né si rafforza nella fede, se non attraverso l'espe­rienza in tal modo acquisita ... giacché l'amore meraviglioso di Dio gli si rivela in una situazione disperata, salvandolo dal­la quale Dio gli mostra la propria potenza 4

È proprio nell'infuriare delle tentazioni, al colmo dello scon­forto e della lotta, che si trova Dio, non nella rilassatezza e negli agi. Isacco paragona colui che affronta le tentazioni a un mari­naio nella tempesta il quale, concluso il viaggio ed entrato in porto, rende grazie a Dio per le tribolazioni patite5

. Lo parago-

3 I,3 (pp. 25-26) = Touraille 48 (p. z68); PR 3 (pp. 36-37). 4 I,72 (p. 355) = Touraille r9 (pp. I32-133); PR 77 (p. 53r). 5 Cf. I,6 (p. 6r) = Touraille 56 (p. 305); PR 6 (p. 96).

III

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na al tuffatore che cerca le perle in fondo al mare (mestiere i cui pericoli dovevano essere familiari a !sacco, cresciuto nel Qatar sulle rive del mar Rosso) 6 :

Se il tuffatore trovasse una perla in ogni ostrica, chiunque sarebbe subito ricco! E se appena tuffato ne riportasse una al­la superficie, senza venire sbattuto qua e là dalle onde, senza incontrare squali, senza dover trattenere il respiro fin quasi a soffocare, senza privarsi dell'aria fresca di cui tutti godono, senza dover scendere negli abissi del mare, se così fosse, le perle sarebbero numerose e frequenti come il lampeggiare di un temporale lontano 7•

Una delle leggi della vita spirituale è che, quanto più ci si avvicina a Dio, tanto più le tentazioni aumentano di intensità. Isacco la formula così:

Mentre sei in cammino verso la città del regno e ti avvicini al­la città di Dio, la violenza delle tentazioni che incontri ti ser­va da segnale: quanto più progredisci e ti avvicini, tanto più frequenti saranno i loro assalti. Pertanto, quando ti accorgi di incontrare tentazioni più varie e forti, sappi che proprio allo­ra la tua anima è segretamente penetrata a un livello più alto e che una nuova grazia si è appena aggiunta alla condizione pre­cedente. Dio infatti guida l'anima attraverso il tormento delle prove in misura direttamente proporzionale alla generosità delle grazie che le elargisce 8

.

!sacco ribadisce che Dio non manda a nessuno tentazioni su­periori alla sua capacità di sopportazione, ma ne adatta sempre

6 Cf. S. Brode, n. 2 a II,34A, in esco 555, p. I48. 7 II,34A· Secondo i dotti del tempo di Isacco la perla nasce nell'ostrica quando vi

penetra un raggio di luce attraverso uno spiraglio tra le valve socchiuse. 3 1,42 (p. 208) = Touraille 46 (p. 26o); PR 39 (p. 298).

II2

forza e numero alla resistenza dell'uomo. Ma chi non è in gra­do di sostenere grandi tentazioni non sarà nemmeno all'altezza di ricevere doni importanti; e questa è un'altra legge della vita spirituale:

Se un uomo ha un'anima debole e priva della forza sufficien­te a sopportare grandi tentazioni, preghi che gli siano rispar­miate e che Dio lo esaudisca. Tuttavia puoi essere certo che la sua anima, nella misura in cui è troppo debole per le grandi prove, lo è anche per i doni importanti; e se alle grandi tenta­zioni non è concesso di entrare in essa, non lo sarà neanche ai doni importanti. Dio infatti non concede un dono importan­te senza una grande prova. Nella sua sapienza, che trascende la capacità di comprensione delle sue creature, Dio ha stabili­to che i doni siano concessi in proporzione alle tentazioni ... Pertanto, in base alla durata delle prove, la tua anima può rendersi conto dell'onore che riceve dalla maestà di Dio, giac­ché la consolazione sarà commisurata alla sofferenza 9 •

Al tempo stesso, però, !sacco precisa che Dio non manda grandi tentazioni a nessuno senza averlo prima preparato a so­stenerle per mezzo della grazia. Esiste quindi una specie di di­namica preposta a combinare le tentazioni e i doni della grazia:

Domanda: Viene forse prima la prova e poi il dono? Oppure c'è prima il dono e poi la grazia? Risposta: La prova non arriva finché l'anima non ha segreta­mente ricevuto, insieme allo Spirito di grazia, una parte mag­giore di quanto ha avuto in precedenza. Lo testimoniano la tentazione del Signore e le prove degli apostoli, i quali non furono infatti ammessi alla tentazione prima di aver ricevuto il Paraclito. Bisogna dunque che coloro che ricevono in sorte il bene abbiano anche a sostenere le prove che toccano loro,

9 1,42 (p. 209) = Touraille 46 (p. 26r); PR 39 (p. 298).

II}

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o-iacché la loro afflizione è mischiata con il bene ... Di conse­:uenza se è vero che il dono precede la prova, è altrettanto ~erto che la percezione della tentazione precede quella del dono, e questo al fine di dimostrare la libertà d:ll'u~mo; p~r­ché la grazia non entra mai in lui prima che egh abbia saggia­to la tentazione. Dunque nella realtà è la grazia che precede, ma nella percezione dei sensi essa si manifesta dopo 10

-

Qual è la differenza tra le prove che vengono da Dio e quel~ le dovute all'azione del demonio? Le prime sono mandate agh "amici di Dio, cioè agli umili". Gli amici di Dio vengono messi alla prova non già per punizione, ma in vista del loro progresso spirituale. In questo senso, tali prove fanno parte della pedago­gia divina:

Le prove inflitte dalla verga di un padre per l_o sviluppo. e la crescita dell'anima da lui educata sono: apatia, oppressiOne del corpo, fiacchezza delle reni, prostrazione, confusione mentale sofferenze corporee, temporaneo sconforto, tenebre dei pen~ieri, abbandono da parte ~egli uomini, s~ar~it,à ~i mezzi materiali e così via. A causa di queste tentaziOni l ani­ma si sente sconsolata e indifesa, il cuore mortificato e pieno di umiltà: così l'uomo si abitua a languire nel desiderio del suo Creatore. Tuttavia la provvidenza di Dio commisura le prove alle forze e ai bisogni di coloro che le patiscono. C?n~ solazione e sconforto, luce e oscurità, lotta e soccorso v1 si trovano mescolati insieme ... Questo è il segno che l'aiuto di Dio sta diventando più intenso 11 .

Le tentazioni provenienti dal demonio, invece, sono mandate ai "nemici di Dio cioè aa-li orgogliosi": esse "assalgono coloro che sono sfrontati;, e che,bnelloro orgoglio, abusano della bontà

1o 1,42 (p. 209) = Touraille 46 (p. 26r); PR 39 (p. 299). 11 l,4 2 (pp. 2o9·2ro) = Touraille 46 (p. 262); PR 39 (pp. 299-300).

1J4

di Dio. Queste tentazioni possono superare i limiti delle for­ze umane e condurre alla caduta spirituale. !sacco ne distingue due categorie: quelle dell'anima e quelle del corpo. Tra le prime annovera

il ritiro delle forze della sapienza, le trafitture della fornica­zione ... un temperamento collerico, il voler seguire una pro­pria strada, l'amore delle dispute, la tendenza a imprecare e offendere, un cuore sdegnoso, una ragione completamente sconvolta, la bestemmia contro il nome di Dio ... il desiderio di avere contatti con il mondo o di tornarvi, il parlare senza freno dicendo cose vane e insensate, l'essere continuamente in cerca di novità e persino di false profezie.

Tra le tentazioni del corpo egli enumera

gli inconvenienti penosi, prolungati, complicati e difficili da risolvere, gli incontri frequenti con uomini malvagi e senza Dio; gli assalti improvvisi di irragionevoli terrori; il cadere nelle mani di chi ci tormenta, l'inciampare spesso e malamen­te nelle rocce, il precipitare pericolosamente da luoghi elevati e simili disavventure che arrecano grave danno al corpo; infi­ne, avere un cuore completamente privo del sostegno di Dio e ormai incapace di fare affidamento sulla fede ... un cuore -in una parola - che immagina cose impossibili e si spinge oltre le proprie forze e quelle di chi gli sta accanto 12 .

I cristiani che amano sinceramente Dio dimostrano il loro amore sopportando le tentazioni e ne vengono fortificati: sono messi alla prova come oro al fuoco, e attraverso tale prova diven­tano amici di Dio. Al contrario, coloro che non amano Dio "si dissolvono come schiuma ... perché, cedendo al nemico, abban-

12 l,42 (p. 2IO) = Touraille 46 (p. 263); PR 39 (pp. JOO·Jor).

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donano il campo di battaglia, o a causa di un senso di colpa, o per negligenza o per orgoglio. Essi non sono stati degni di rice­vere la forza che opera nei santi" 13 . Le tentazioni rivelano così chi è amico di Dio e chi gli è nemico, chi è fedele e chi no. Per questo motivo esse sono una sorta di krfsis, un giudizio che pre­cede il giudizio finale in cui le pecore saranno separate" dai capri (cf. Mt 25,32-JJ).

Qualcuno potrebbe anche essere consegnato nelle mani del diavolo per esser messo alla prova o tentato, se è lui stesso a ten­tare Dio con il suo orgoglio o la sua dissolutezza. In tal caso è la collera di Dio che si infiamma contro di lui:

Tu non hai ancora sperimentato la severità del Signore, quan­do lascia la destra colma di bontà e passa alla sinistra recla­mando il dovuto da quelli che approfittano di lui - quanto ar­de di collera e com'è pieno di sdegno in quei momenti! -. Una volta irritato a tal segno non torna più indietro, nemme­no se lo supplichi insistentemente; al contrario, la sua collera è ardente come fuoco di fornace (cf. MlJ,I9)14•

Questo è uno dei passi, estremamente rari negli scritti di Isacco, in cui si accenna alla collera di Dio, la quale tuttavia non significa affatto punizione o sanzione per i peccati e meno anco­ra "regolamento di conti". Come abbiamo già detto15, l'idea di una sanzione da parte di Dio è totalmente estranea a Isacco. Dio non va in collera perché si sente insultato o per desiderio di ven­detta. Egli piuttosto manifesta un segno visibile della sua collera "lasciando la mano destra per la sinistra" - e questo vuol dire abbandonare un uomo per qualche tempo nelle mani del demo­nio- affinché quest'uomo possa sperimentare il sentimento del­l'abbandono di Dio per poi convertirsi a lui con tutto il cuore.

1} r.39 (p. I95) = Tourai!Je 54 (p. 290); PR 36 (p. 279). '4 II,}I,IO.

15 Cf. supra, "Dio, l'universo e gli uomini", pp. 3 7-72.

rr6

È proprio per questo motivo che uno può essere "dato in balìa di Satana per la rovina della sua carne" (rCor 5,5). Il demonio non può assolutamente tentare nessuno senza il beneplacito di Dio. Esiste quindi un certo "accordo" tra Dio e il demonio circa i termini entro i quali quest'ultimo può agire. Il demonio "ri­chiede" certe persone a Dio, proprio come ha dovuto "chiede­re" di poter mettere alla prova Giobbe il giusto (cf. Gb r,6-rr;

2 ,r-j), ma liberare qualcuno dalla prova o non liberarlo dipende interamente da Dio. Ecco perché i due tipi di tentazione, quella proveniente da Dio e quella proveniente dal demonio, devono essere entrambe permesse da Dio, e possono così servire alla sal­vezza e al progresso spirituale dell'uomo.

Secondo Isacco, sono quattro i metodi che il demonio usa per combattere gli asceti. Il primo si manifesta all'inizio della con­versione, quando il demonio infligge tentazioni opprimenti e violente, onde spingere il nuovo venuto in un abisso di scorag­giamento e distoglierlo dalla via appena intrapresa. Quando usa il secondo metodo il demonio lascia passare un certo tempo pri­ma di accostarsi all'asceta, nell'attesa che il primo fervore si sia raffreddato. Con il terzo metodo il demonio, preso atto dei pro­gressi fatti dall'asceta nella vita spirituale, cerca di instillare nel­la sua mente il pensiero di attribuire il successo a se stessi e non a Dio. Per applicare il quarto metodo il demonio fa leva su tutte le inclinazioni naturali dell'asceta, per esempio stimolando in lui pensieri di fornicazione, oppure ogni genere di illusioni. "Il demonio tentatore ottiene il permesso di combattere i santi con tutti questi mezzi, affinché il loro amore per Dio sia così messo alla prova" 16 .

Tutte le tentazioni, provengano da Dio o dal demonio, pos­sono quindi giovare all'asceta, offrendogli l'occasione di dar prova del suo amore per Dio. Isacco invita tutti i cristiani apre-

16 I,39 (pp. r89-194) = Tourai!Je 51-54 (pp. 280-29r); PR 36 (pp. 369-378).

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pararsi a sostenere le tentazioni, senza le quali non si avanza nelle virtù;

Quando vuoi intraprendere un'opera buona, preparati innan­zitutto ,all'assalto delle tentazioni e non dubitare della loro realtà. E infatti abitudine del nemico, quando vede qualcu­no avviarsi con fede ardente verso un giusto modo di scagliargli contro tentazioni varie e terribili ... Non l'avversario abbia un tale potere- se così fosse, nessuno po­trebbe agire bene-, ma perché Dio glielo concede, come ab­biamo appreso a proposito di Giobbe il giustolì. Preparati dunque ad affrontare coraggiosamente le tentazionil8 •

Il tempo delle tentazioni e delle lotte, durasse anche tutta una vit~, non è una intermedia o meglio una tappa prepara-tona durante la quale le dell'asceta sono messe alla prova. Isacco ci tiene a sottolineare una volta superate le tentazio-ni, l'asceta penetra nel campo della e lì un "cambiamento sorprendente" si produce in lui:

Finché l'uomo si trova nella lotta e aggiunge battaglia a batta­glia non può arrivare alla luce del pensiero né provare la pace delle ispirazioni. "Non ci sono buone notizie nei giorni del combattimento" (Qo 8,8), ha detto Qohelet, perché nelle co­se di Dio tutto viene compiuto con grande fatica e tormento e senza la minima consolazione, si trattasse puranco di una sola pratica ascetica. Se si accosta alla preghiera, all'ufficio 0 a qualche osservanza, non può staccarsene se non facendo for-za su se tutta la sua opera è ancora inficiata dall' acedia. in parte consolato dalla lettura [della Scrittu-ra], ma anche qui tutto per lui è tenebra poiché nel suo opera­re per Dio attraversa ancora una plaga oscura. Il suo tempo è

17 Nella versione siro-orientale guesta allusione a Giobbe è assente.

'" I,5 (p. 42) = Touraille 5 (p. 77); PR 5 (pp. 6r-62).

II8

quello della messa alla prova dell'anima, nel quale il desiderio umano in tutto ciò che ha rapporto con Dio è saggiato dalla tristezza. Se sopporta di buon grado le tribolazioni che prostrano corpo e a causa della verità, una volta ter­minato, per grazia di Dio, il tempo della lotta, egli entrerà con la sua anima nelle piaghe della gioia e scoprirà in se stes­so a ogni giorno che passa, come hanno detto i un cam­biamento sorprendente 19

.

L'esperienza della derelizione {abbandono di Dio)

Isacco parla spesso di una condizione che la lingua siriaca de­signa con due locuzioni: meshtabqanuta (abbandono) o meshtab­qanuta d-men alaha (abbandono da parte di Dio)2°. Altri due term1m s1 avv1cmano a nel significato: 'amfana (oscura­mento) e qu!fa'a (prostrazione, scoraggiamento), ai quali corri­sponde il termine greco akedfa (prostrazione, scoraggiamento, disperazione).

Isacco descrive la vita ascetica come un'avventura nella quale periodi che si possono chiamare di "assistenza'' da parte di Dio e altri di "debolezza" senza Dio si alternano senza sosta: pre­senza di Dio e derelizione, in una successione continua di alti e bassi nell'esperienza spirituale:

In tal modo, l'alternanza di assistenza e debolezza si ripro­duce in tutti i momenti e a tutte le tappe della vita ascetica, sia negli assalti contro la castità sia nei diversi stati di gioia

19 Centurie di conojcem.:a IV,57· 20 Più particolarmente: II,r,4 e II,r4,3; nella versione guesti due termini cor-

rispondono a enkatcileipsis (abbandono) e enkatdleipsis toti (abbandono da Dio). Cf. Evagrio Pontico, Sulla preghiera 3g; Lo gnostico 28; Scolii

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o abbattimento. A volte, infatti, a trasporti luminosi e gioiosi seguono bruscamente nuvole e tenebre, non diversamente da quanto avviene nella rivelazione di intuizioni mistiche e divine circa la verità. Chi serve Dio fa esperienza di simili variazio­ni: o sente l'aiuto della forza divina venire immediatamente in soccorso al suo intelletto, o sperimenta il contrario, e cosl prende coscienza della debolezza della natura umana e scopre quanto la propria natura sia fragile, debole, sciocca e puerile 21.

Da qui la necessità di periodi di derelizione e, per così dire, di deperimento spirituale, affinché l'uomo senta la sua impotenza e la sua dipendenza da Dio. La derelizione (meshtabqanuta) non significa che Dio si allontani da lui: essa consiste invece nel sen­timento soggettivo dell'assenza di Dio, che non è dovuto al fatto di essere stati realmente da lui dimenticati; semplicemente, Dio vuol~ che l'uomo resti solo di fronte alle realtà che lo circonda­no. E così che per lungo tempo Antonio il Grande fu lasciato so­lo a combattere i demoni. Quando fu completamente sfinito Dio gli apparve in un raggio di luce. "Dov'eri?", gli chiese allora Antonio, "Perché non sei venuto a porre fine ai miei tormenti fin dall'inizio?". E la voce di Dio gli rispose: "Io c'ero, Anto­nio, ma ho aspettato, perché volevo vederti combattere" 22 • Dio vuole che attraverso l'esperienza della derelizione l'uomo riporti da solo la vittoria e si renda degno di lui.

La derelizione è un'esperienza attraverso la quale passa tutta l'umanità, credenti e non credenti, dalla caduta di Adamo in poi. Per un credente, tuttavia, si tratta dell'esperienza di un'as­senza temporanea di Dio, alla quale seguirà un sentimento in­tenso della sua presenza; per l'ateo, invece, l'assenza è irrepara­bile e senza fine. Quest'ultimo considera l'assenza di Dio nor­ma generale, mentre il credente ne sopporta il sentimento come

llll,9,II. 22 Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio IO.

I20

una sofferenza acuta e particolarmente dolorosa. Non vi si può rassegnare: benché la sua ragione sappia benissimo che Dio non l'ha dimenticato, l'anima e il cuore hanno sete dell'esperienza consapevole della sua presenza. La vita in Dio si accompagna normalmente al sentimento della sua presenza; quando esso si smarrisce, il credente non può più ritrovare la pace finché non ritorna.

In questo senso la derelizione costituisce lo stadio più elevato della krisis o giudizio che separa i credenti dai non credenti. Per un cristiano l'esperienza della derelizione ha due soli sbocchi possibili: o l'accrescimento della sua fede e il riavvicinamento a Dio, oppure il "naufragio" della fede (cf. rTm r, 19) e la perdita di Dio. Per questo motivo Isacco mette in guardia contro la be­stemmia di Dio durante i periodi di derelizione e tentazione, perché porterebbe alla perdita della fede. Secondo lui, quando un uomo è privato della grazia la fiducia in Dio e la giusta conce­zione della sua provvidenza vengono abbandonate 23

, ed egli può arrivare a "concludere che Dio per lui non esiste" 24

. Ma invece di prendersela con Dio farebbe meglio a placarsi con il ricordo della sua buona provvidenza:

Avvicinati un po' più a Dio durante le tue prove, amico mio, con questa disposizione d'animo: sai veramente contro chi stai imprecando? Se solo tu fossi abbastanza saggio da ricor­darti della provvidenza che si cela in Dio, otterresti un sollie­vo immediato 2~.

Il sentimento di derelizione può avere diverse cagionP6, tra le quali il disprezzo delle tradizionali forme esteriori della preghie-

"'Cf. l,I (p. 4) = Touraille r (p. 6o); PR I (p. 3). "II,z6.6. 2

' Il,26,7. 26 Cf. Evagrio Pontico, Lo gnostico 28, che ne elenca cinque.

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ra e la mancanza di rispetto. !sacco parla di "coloro che disprez­zano i riti venerabili, come pure il timore di Dio e il rispetto che si deve mostrare durante la preghiera: a quale infelicità si espon-o-ono nell'ora in cm 10 1 a an onera. . . D' 1· bb d ' 1" 27

"' Qualche volta la ragione va cercata nella negligenza della pe~­sona, nella sua impazienza e nell'orgoglio. In tal caso la dereh­zione prende la forma del disincanto e dello scoramento, due sentimenti che sono come un inferno sulla terra:

Quando piace a Dio di sottoporre qualcun~ ~ sofferenze an­cor più grandi, egli lo lascia in balla del dlSlncanto. Questo sentimento fa nascere nell'uomo un forte scoramento che sembra soffocarali l'anima. È un primo assaggio della geen-

o . . . na. A partire da questo, svariati sent1ment1.s1 scatena~o con-tro di lui· si tratta di uno spirito di aberraziOne da cm scatu­riscono cÙecimila specie di prove: la confusione, la ~oliera, l~ blasfemia, le proteste e le lamentazioni s~lla propna, s~rte, l pensieri perversi, il vagare da un luogo ali altro e ~0:1 ~la. s~ tu mi chiedessi dove sta la causa di tutto questo, ti drre1 che e in te, perché non ti sei dato la pena di trovarvi rimedio. Que­sto rimedio è ... l'umiltà del cuore 28 •

Il sentimento della derelizione può anche sopraggiung:re ~er ragioni indipendenti dalla persona di .c?i ne .è afflit:o. Tah r::eno­di di derelizione, prostrazione, oscunta e d1sperazwne cap1t:no soprattutto aali asceti che vivono nella quiete. Nel loro caso e la provvidenza Ineffabile di Dio che ne è all'origine:

Non turbiamoci quando piombiamo nell'oscuri;à, spe~ial­mente se non è per causa nostra. Considerala un operaziOne della provvidenza di Dio per motivi che lui solo conosce. In

27 II,I4,3· ( l

2s r, 42 (p. 2 r r) ~ Touraille 46 (pp. 263-264); PR 39 p. 302 ·

I22

certi momenti l'anima, come in balìa delle onde, è quasi sul punto di annegare. Un uomo in questo stato, che legga le Scritture, celebri la liturgia o qualsiasi altra cosa faccia, rice­ve tenebre su tenebre. Non riesce neppure ad avvicinarsi alla preghiera e la abbandona, totalmente incapace di credere in un cambiamento o di immaginare che ritroverà la pace. È un momento pieno di disperazione e paura; la speranza in Dio e la consolazione della fede sono totalmente bandite dalla sua anima al colmo del dubbio e dell'angoscia 29 •

Tuttavia, continua I sacco, Dio non lascerà a lungo l'anima in questa condizione. Dopo un periodo di disperazione ci sarà un cambiamento in meglio:

Chi è flagellato dai marosi di questo momento terribile co­nosce per esperienza il cambiamento che avrà luogo alla fine della tempesta. Dio non abbandona l'anima in tale stato nem­meno un giorno, altrimenti essa, divenuta straniera a ogni speranza cristiana, finirebbe con il perdersi; ma subito Dio le offre una via d'uscìta 30 •

Che deve fare l'asceta per sfuggire a questi periodi di dereli­zione, o almeno !imitarne i danni? Lo strumento principale è l'umiltà: "Finché l'uomo conserva l'umiltà, non ci sarà dereli­zione da parte di Dio in nessuna delle tentazioni che mettono alla prova il corpo o la coscienza, e in nessuna delle contrarietà corporali e psichiche" 31

. Ecco perché !sacco avverte il suo let­tore: "Finché non avrai trovato l'umiltà sarai tentato dall'ace­dia più che da qualsiasi altra cosa" 32 . Altro mezzo importante è

29 I,5o (p. 24r) ~ Touraille 57 (p. 308); PR 48 (p. 339).

JO Ibid. 31 Centurie di conoscenza II,23. Jz Centurie di conoscenza IV,97.

I23

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chiedere incessantemente a Dio di non precipitare nelle tenebre spirituali:

Notte e giorno non smetta mai di salire dal tuo cuore questa preghiera: "Signore, liberami dalle tenebre dell'anima!". Per­ché è questo il fine di ogni preghiera della conoscenza. Un'a­nima avvolta nelle tenebre è un secondo inferno, ma la mente illuminata è compagno dei serafini33•

Come deve comportarsi l'asceta durante questi periodi di de­relizione e oscurità? Il consiglio più ovvio è di pregare e aspet­tare che passino: "Durante i periodi di tentazione, quando ca­diamo nell'oscurità, bisogna prostrarsi faccia a terra e pregare, e non rialzarsi prima che una forza e una luce vengano dal cielo per sorreggere il nostro cuore con una fede che non dubiterà più" 34 . "Quando viene il tempo della lotta e dell'oscurità, pro­lunghiamo le preghiere e le genuflessioni anche se ci sentiamo distratti" 35.

Un'altra raccomandazione è di dedicarsi alla lettura degli scritti dei padri:

Quando avviene ... che la tua anima nel suo intimo sia im­mersa in fitte tenebre, come quando i raggi del sole si celano alla terra tra le nuvole, e sia per breve tempo priva di conforto spirituale e di luce della grazia a causa delle nubi delle passio­ni che la ricoprono, e quando la forza gioiosa è per un certo tempo indebolita e la tua mente avvolta da una nebbia insoli­ta, allora non devi confonderti né abbandonarti allo sconfor­to. Sii paziente, immergiti nella lettura degli scritti dei dotto-

33 Centurie di co11oscenza I,34. 34 II,9,5· 35 Centurie di conoscenza I,}O.

ri della chiesa, sforzati di pregare e aspetta aiuto. L'aiuto non tarderà a venire, senza che tu te ne accorga 36 •

La "lettura della Scrittura" (qeryana, parola siriaca che si rife­risce sia alla Bibbia che ai padri della chiesa)37 libera l'anima dallo sconforto e dalle tenebre:

Personalmente ne ho fatto spesso l'esperienza, e ciò che ho scoperto corrisponde a quanto ho appena scritto per amore fraterno, a guisa di pro memoria, giacché penso che molti possano trarre profitto da queste esperienze e progredire, ac­corgendosi che nella metà dei casi in cui, nella quiete, si sof­fre di un sentimento di pesantezza, esso svanisce con la lettu­ra delle Scritture. A volte ciò dipende dal discernimento che se ne ricava e che proviene dalla luce della sapienza soggia­cente a quelle parole 38 .

In certi casi, se preghiera o lettura da sole non bastano, può essere utile combinarle insieme: "Facciamo un misto di entram­be: cerchiamo rimedio dalla Scrittura e accostiamoci alla pre­ghiera"39.

Un altro consiglio è di ricordarsi del fervore degli esordi e dei primi anni della vita ascetica:

Nell'ora della sconfitta, quando, oppresso dal nemico, ti sen­ti debole, fiacco, invischiato in una dolorosa inerzia, richia­ma al tuo cuore i tempi passati pieni di fervore, ripensa co­me allora curavi anche i minimi particolari, con che vigore ti gettavi nella lotta e come ardevi di zelo contro chi poneva ostacoli al tuo progresso ... Così, grazie a queste e altre simili

36 I,30 (p. Sr) = Touraille r4 (p. rr4); PR I} (p. r24). 37 Cf. D. Miller, "Translator's Introduction", pp. CXI·CXII.

"II,J3,3· 39 Centurie di conoscenza I,}O.

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rimembranze, la tua anima è come risvegliata da un abisso e rivestita della fiamma della passione ... Essa si risolleva dal suo sfinimento come da una morte, si volge in alto e ritorna allo stato di un tempo 40 .

Può darsi tuttavia che il sentimento di derelizione e scorag­giamento diventi così intenso da non lasciare a chi ne è vittima nemmeno più la forza di leggere la Scrittura o di pregare. In tal caso, ecco le raccomandazioni di Isacco:

Se non hai la forza di dominarti e di prostrarti faccia a terra per pregare, allora avvolgi la testa nel tuo mantello e dormi finché quest'ora di tenebre non è passata, ma non lasciare la tua dimora. Una tale prova capita specialmente a quelli che vogliono passare la vita nella disciplina della mente e cercano la consolazione della fede durante tutto il loro viaggio. È per questo che la loro sofferenza e il loro travaglio più grande consistono in simili momenti di oscurità, nei quali la mente vacilla e comincia a dubitare. La blasfemia è allora in aggua­to. Qualche volta si è assaliti da dubbi circa la resurrezione, o altro di cui non è necessario parlare. Noi ne abbiamo fatto spesso l'esperienza e abbiamo scritto di questa lotta, per la consolazione di molti ... Felice chi riesce a sopportare tutto ciò nel chiuso della sua cella! Come hanno detto i padri, lo aspetterà, dopo, una dimora grande e magnifica 41 .

Nel contempo, però, Isacco osserva che è tanto impossibile liberarsi del tutto di questi periodi di oscurità e derelizione, quanto lo è raggiungere quaggiù sulla terra la pace perfetta. L'al­ternarsi di momenti di oscurità e di luce contrassegnerà la vita del solitario fino all'ultimo respiro:

40 I,z (pp. IO-I I)= Touraille 30 (pp. I88-I89); PR 2 (pp. I I-Il). 41 I,so (pp. 24I-242) = Touraille 57 (p. 309); PR 48 (pp. 339-340).

rz6

Un giorno la prova, un altro giorno la consolazione. Egli con­tinua così fino alla sua dipartita dal mondo. Non dobbiamo aspettarci di essere completamente liberati dalla lotta in que­sta vita, né di ricevere una consolazione perfetta 42 .

Isacco paragona questi periodi di tenebra e derelizione all'in­verno, quando la vita della natura sembra fermarsi, mentre nelle profondità della terra il seme aspetta la primavera per schiudere i suoi germogli. Non bisogna dunque cedere allo sconforto, ma attendere pazientemente che le afflizioni, lo scoramento e il senso di derelizione sopportati diano i loro frutti:

Beato colui che, sperando nella grazia di Dio, ha sopportato il rifiuto e l'abbandono. Questo è un segreto cimento della virtù e della crescita dello spirito, simile alla desolazione del­l'inverno che dà origine alla crescita del seme nascosto, desti­nato a disgregarsi nel terreno a causa delle aspre e molteplici burrasche del clima. In una medesima attesa dei frutti che verranno, attesa che può prolungarsi nel tempo, quest'uomo scaccerà da se stesso il sentimento dell'abbandono ... Che sappia attendere, mantenendosi a una certa distanza, senza credere che i frutti siano a portata di mano. Infatti, se non ri­ceverà presto una consolazione in cambio delle sue sofferen­ze, egli rischierà di disperare, come un salariato che si sente truffato riguardo alla paga pattuita43 .

Al freddo dell'inverno, cessato inaspettatamente e improvvi­samente come era cominciato, fa seguito la primavera dell'anima che si schiude:

Dio permette che freddo e pesantezza mettano l'uomo alla prova, ma se egli arde di zelo e si sforza di scacciare quei sen-

42 !,50 (p. 242) = Touraille 57 (pp. 309-3 ro); PR 48 (p. 34I). 43 II,34,3·

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timenti la orazia non tarderà a soccorrerlo nuovamente e un' altr; forz: scenderà su di lui, una forza che racchiude in sé tutti i beni e ogni genere di conforti. Egli si meraviglierà e proverà grande stupore confrontando il ricordo della pesan­tezza di prima con l'attuale trionfo della leggerezza e della forza. Vedrà quant'è diverso il suo stato presente, vedrà che cambiamento importante si è prodotto inaspettatamente in lui. Da quel momento in poi sarà diventato sapiente e, doves­se di nuovo prodursi una simile pesantezza, saprà riconoscer­la in base all'esperienza fatta 44

Isacco descrive poi in stile colorito l'illuminazione spirituale e l'esultanza che seguono a un tal periodo di tenebre:

Ci sono momenti in cui ci si adagia nella quiete ... senza sape­re da dove entrare o uscire. Ma dopo aver frequentato a lungo le Scritture, dopo aver continuamente supplicato e ringrazia­to per il proprio stato di debolezza e aver appuntato incessan­temente lo sguardo sulla grazia di Dio, succede che, a partire dal grande sconforto vissuto nella quiete, il cuore a poco a po­co si allarghi, qualcosa cominci a nascere e faccia germogliare dentro una grande gioia, benché tale gioia non provenga dalla persona in questione attraverso un principio di attività del pensiero. Essa è consapevole della gioia del suo cuore, ma non sa perché. Infatti una certa esultanza occupa ora la sua anima, la cui letizia le permette di disprezzare tutto ciò che esiste ed è visibile. Attraverso la forza di questa letizia la mente scorge l'origine del rapimento del suo pensiero, ma non comprende perché ciò avvenga. L'uomo vede la propria mente innalzarsi al di sopra di ogni contatto con le cose, li­brarsi in quell'esaltazione al di là del mondo ... ma non di­scerne alcuna estensione dell'intelletto quando il suo cuore

~4 I,zo (p. ro3) = Touraille 29 (pp. r86·r87); PR I7 (p. qS).

128

danza in quel modo, o quando la mente è così trascinata e at­tirata fuori di sé 45 •

In questo modo, a partire dalle tentazioni cui è sottoposto, un asceta acquista esperienza e si inerpica, un gradino dopo l'altro, sulla scala che porta a Dio. Secondo Isacco le prove e le tenta­zioni lungo la strada verso Dio sono indispensabili a tutti. La prova più dolorosa è quella della derelizione, che "ha un sapore di geenna", quando si è gettati nelle tenebre e nello scoramento, e si perde così ogni speranza e ogni consolazione proveniente dalla fede. Non è però il caso di disperare; ciò che conta è ri­cordarsi della provvidenza di Dio che insieme con la tentazione, offrirà una via per uscirne (cf. rCor ro,r3), e anche conservarsi umili e pregare con tutto l'ardore possibile. Alla fine, il tempo della vicinanza di Dio seguirà a quello della tentazione, e il sen­timento dell'abbandono di Dio lascerà il posto a quello della sua presenza.

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IV L'UMILTÀ

L'umiltà è la veste della divinità. I.n

Beato colui che si umilia in tutto, perché in tutto sarà esal­tato. Giacché colui che si umilia a causa di Dio e ha una piccola idea di se stesso, è glorificato da Dio. Colui che ha fame e sete di Dio, Dio lo inebrierà con un vino la cui ebbrezza non abbandona mai quanti l'hanno bevuto. Colui che va nudo a causa di Dio, Dio lo vestirà di una veste di incorruttibilità e di gloria. E colui che si fa povero a causa sua, sarà consolato dalle sue vere ricchezze.

1,5

Uno dei temi prediletti di Isacco, sul quale ritorna continua­mente, è quello dell'umiltà. A esso sono dedicati molti discorsi, sia della prima sia della seconda parte della sua opera. Questo capitolo studierà l'insegnamento di Isacco in primo luogo sull'u­miltà come mezzo per assomigliare a Dio, quindi sui riori ed esteriori di una vera umiltà.

IJ I

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L'umiltà, mezzo per assomigliare a Dio

Per Isacco il Siro parlare di umiltà (mukkaka o makkikuta) 1 è parlare di Dio, perché ai suoi occhi Dio è prima di tutto "mite e umile di cuore" (Mt r r,29). Tale umiltà si è manifestata al mon­do all'atto dell'incarnazione del Verbo. Nell'Antico Testamento Dio era rimasto invisibile e inaccessibile a chiunque. Ma dopo essersi rivestito di umiltà celando la sua gloria sotto una carne umana, Dio diventò visibile e avvicinabile:

Giacché l'umiltà è la veste della divinità. Se ne rivestì il Verbo che si fece uomo e con essa ci rivolse la parola nel nostro corpo. Tutti coloro che sono stati rivestiti di umiltà sono stati resi veramente somiglianti a colui che discese dal­la sua altezza, nascose lo splendore della sua maestà e dis­simulò la sua gloria dietro l'umiltà (cf. Eb ro,zo), per timo­re che la creazione nel contemplarlo ne fosse totalmente an­nientata2.

Ogni cristiano è invitato a imitare Cristo nella sua umiltà. Praticandola, diventa simile al Signore che se ne era rivestito:

È per questo che tutti gli uomini, che sono coperti dalla veste nella quale è apparso il Creatore attraverso il corpo che aveva assunto, indossano il Cristo. Giacché la somiglianza con cui è stato visto dalla sua creatura e nella quale ha voluto accompa­gnarla, egli ha anche voluto prenderla su di sé nel suo uomo interiore e con essa farsi vedere da amici e servitorP.

1 Isacco usa i due termini nella stessa accezione. In siriaco mukkaka significa il percorso attraverso il quale si acquisisce l'umiltà (l'uomo si abbassa), mentre makkikuta indica piuttosto il risultato (l'uomo che ha acquisito l'umiltà).

2 I,77 (pp. 38r-382) = Touraille zo (p. r37); PR 82 (p. 575). 3 I,77 (p. 382) = Touraille 20 (p. r38); PR 82 (pp. 575-576).

I}2

L'umiltà unita a fatiche correttamente praticate "fa dell'uomo un Dio in terra" 4

Inizialmente non è attraverso ogni sorta di fatiche ascetiche che l'uomo riesce a farsi adottare da Dio e a diventare simile a lui; per Isacco, la prima condizione è essere umili. L'ascesi senza l'umiltà non porta da nessuna parte, mentre l'umiltà senza asce­si è sufficiente per essere adottati da Dio:

L'umiltà, anche senza ascesi, fa perdonare molte offese, men­tre le opere, senza umiltà, non danno alcun profitto; anzi, procurano grandi mali. Per questo, come ho appena detto, con l'umiltà devi guadagnarti il perdono delle tue azioni mal­vagie. Ciò che il sale è per il cibo, l'umiltà lo è per la virtù, potente com'è nel cancellare molti peccati ... Se la possedia­mo, essa farà di noi dei figli di Dio e, anche in assenza di ope­re buone, ci indirizzerà a lui. Senza l'umiltà, infatti, tutte le nostre opere sono inutili, così come ogni virtù e ogni pur one­sta fatica 5.

Ne consegue che nessuno deve aspettarsi frutti dal suo trava­glio spirituale prima di aver conquistato l'umiltà, quali che siano gli sforzi ascetici messi in atto per perseguire il suo scopo:

Non devi meravigliarti se, praticando una virtù eccellente, non riesci a gustarne i conforti: finché non si è diventati umi­li, infatti, non si riceve alcuna ricompensa per le proprie fati­che. La ricompensa non premia lo sforzo bensì l'umiltà, e chi fa torto a quest'ultima, non vi ha diritto 6.

Chi è rivestito di umiltà assomiglia a tal punto a Dio da susci­tare attorno a sé l'amore che tutti portano a Dio, perché ormai è

4 I,6 (p. 6o) = Touraille 56 (p. 305); PR 6 (p. 95).

5 I,69 (p. 338) = Touraille 49 (p. 273); PR 72 (p. 499).

6 I,57 (pp. 382-383) = Touraille 37 (p. 224); PR 8z (pp. 576-577).

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considerato un dio in terra. Così l'umiltà aiuta a ripristinare fra le persone relazioni fondate sull'amore:

Nessuno mai odia chi è umile, né lo ferisce con parole, né lo disprezza, perché il suo Signore lo ama ed egli è amato da tut­ti. Ama tutti e tutti lo amano. È caro a tutti, dovunque si presenti è visto come un angelo di luce ed è circondato di onori. Ridotti al silenzio, il saggio e il maestro avvezzi a di­scorrere cedono la parola all'umile. Tutti gli occhi sono rivolti alla sua bocca e a ogni parola che ne esce. E il mondo attende le sue parole quasi fossero le parole di Dio ... Tutti lo annun­ciano come un Dio, anche se non è esperto di parole, anche se il suo aspetto suscita ribrezzo ed è insignificante 7 •

Quando l'uomo è reso simile a Dio grazie all'umiltà, è ti­condotto alla condizione priva di peccato della sua origine e ri­trova l'armonia che allora regnava tra l'uomo e l'universo e che è stata spezzata per effetto della caduta. Non solo le persone, ma anche gli animali e gli elementi obbediscono all'umile, come obbedivano ad Adamo nel paradiso. Persino i demoni gli sono sottomessi:

Chi è umile può avvicinarsi alle fiere affamate e queste al solo vederlo, deposta ogni ferocia, gli si avvicinano come al padro­ne !ambendogli mani e piedi, giacché fiutano in lui l'odore che Adamo emanava intorno a sé prima della caduta, quando a ciascuna di esse, riunite in paradiso davanti a lui, egli diede un nome 8 ... Anche i demoni, nonostante la loro feroce osti­lità e la loro arroganza, diventano polvere al suo cospetto. Di-

7 I,77 (pp. 382·383) = Touraille 20 (pp. 138-r39); PR 82 (pp. 576-577). 8 Cf. Gen 2,r9. La letteratura agiografica è ricca di racconti di animali selvatici

sottomessi all'uomo umile. Si veda ad esempio la Vita di san Gerasimo del Giordano, che si narra tenesse un leone al suo servizio. Più tardi, san Francesco ammansirà un lupo e san Serafim di Sarov si farà servire da un orso.

I34

menticano tutta la loro malvagità, le loro trappole sono sven­tate, i trucchi e le astuzie perniciose perdono ogni potere9.

S:cond? Isac_co l'umiltà consiste in una misteriosa potenza che 1 santi acqmstano quando raggiungono lo stato di pienezza. T~e P?tenz~ fu conferi~a agli apostoli il giorno della pentecoste, polche Gesu aveva ordmato loro di non lasciare Gerusalemme

~,~--~------ prima di aver ricevuto una forza dall'alto (cf. At r,4-8).

Gli_umili_so~o giudicati degni di ricevere in sé lo Spirito del­le nvelaz10m che palesa i misteri. Per questo motivo alcuni santi hanno sostenuto che l'umiltà rende l'anima perfetta at­t;ave_rs~ le ~isi~ni divi?~ ... Beato colui che ha conquistato l umilta, p01che a ogm Istante bacia e abbraccia il petto di Gesù 10 !

Se l'umiltà è dono sovrannaturale concesso da Dio ne conse­gue che quanti sono per natura gentili, calmi, pacati ~ dolci non possono essere tutti considerati veramente umili 11. La differen­za tra umiltà naturale e sovrannaturale è trattata nel capitolo 1 8 ~ella seconda parte dell'opera di Isacco. Egli insegna che l'umil­ta natur~le non ~uò mai sostituirsi a quella che, nel cristiano, è frutto d1 un pentimento profondo o del pensiero della crrandezza di Dio e dell'umiltà di Cristo: b

L'~miltà del cuore può sussistere nell'uomo per due ragioni: o ln conseguenza di un'esatta nozione dei suoi peccati 0 co­~e frutto del ricor~o dell'abbassamento di nostro Sig~ore o, plUttosto, del pensiero della grandezza di Dio e del punto fi­no al quale la grandezza del Signore di tutto l'universo si è abbassata per rivolgersi agli uomini e impartire loro i suoi in-

:0I,77 (p. 383) = Touraille 20 (p. r39); PR 82 (pp. 577_578).

11 I,77 (pp. 384-385) = Touraille 20 (p. r4r); PR 82 (p. 580). Cf. I, 77 (p. 383) = Toumille 20 (p. r4o); PR 82 (pp. 579_580).

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segnamenti - abbassamento che si è spinto fino ad assume­re un corpo come il nostro - e di tutto ciò che il corpo del Signore ha dovuto sopportare. Com'è parso disprezzabile al mondo, mentre in cielo rivestiva una gloria ineffabile presso Dio Padre e gli angeli tremavano alla sua vista quando, fiam­meggiante, risplendeva alto sopra le loro schiere! A noi invece si è mostrato sotto un aspetto e in uno stato di abbassamento tali che gli uomini hanno potuto catturarlo, mentre rivolgeva loro la sua parola, e rnetterlo in croce a causa della sua così modesta apparenza 12 .

L'umiltà cosiddetta naturale, invece, non ha niente a che ve­dere con quella appena descritta da !sacco:

Non portatemi a esempio quelli che sono spontaneamente umili, sostenendo che molte persone lo sono per natura o per­ché provano sentimenti soffocati e deboli, e ogni ardore, ogni fuoco in loro è spento. Tali persone non possiedono quell'ab­bassamento accompagnato da discernimento che implica pen­sieri umili, riflessioni laboriose e penetranti, il fatto di consi­derare se stessi insignificanti, la frantumazione del cuore e i fiumi di lacrime che sgorgano dalla sofferenza della mente e dal discernimento della volontà. Se tu interrogassi quelle per­sone ti accorgeresti che in loro non c'è niente di tutto ciò: nessuna meditazione capace di suscitare dolore vero, nessun interesse che si affacci alla loro coscienza. Esse non meditano sull'abbassamento di nostro Signore e non ne custodiscono il ricordo, non le punge il dolore che nasce dalla consapevolezza dei propri peccati, nessuna passione ardente infiamma il loro cuore al presagio dei beni futuri, non concepiscono nessuno dei profittevoli pensieri che, in seguito alla debolezza della mente, vengono normalmente suscitati nel cuore 13 .

12 II, r8,6. u II,r8,8-9.

Se tutte le persone gentili e miti per natura venissero incluse nel numero degli umili, bisognerebbe allora annoverare gli eunu­chi tra le vergini e le persone "santificate" 1\ benché la natura soltanto, non la volontà, impedisca loro di maritarsi:

Chi è bonario e umile per natura rientra esattamente nello stesso caso: la natura, non la forza della volontà, ha tempera­to le sue pulsioni. Tali persone non hanno assolutamente sen­tito il gusto né hanno la minima idea della dolcezza dei cari­smi e delle consolazioni provate da coloro che sono umili a causa del Signore 15 .

L'umiltà interiore

L'umiltà è prima di tutto una qualità interiore che consiste nella fiducia in Dio, nella diffidenza verso se stessi e nel senti­mento di essere indegni e indifesi, unito a quello della presenza dello Spirito santo celato nelle profondità del proprio cuore. Nel contempo l'umiltà si manifesta esteriormente sotto forma di ap­parenza dimessa, abbigliamento povero, ritegno nel parlare, ri­fiuto dei privilegi, abitudine a non reagire, a onorare gli altri, a sopportare insulti e tormenti. Gli aspetti interiori ed esteriori dell'umiltà sono intimamente legati e non possono essere sepa­rati: l'umiltà esteriore sarebbe falsa se l'uomo non si umiliasse davanti a Dio nel proprio cuore, l'umiltà interiore non sarebbe vera se non si manifestasse in alcun modo all'esterno.

14 Nella letteratura siriaca primitiva (Afraat) il termine qaddisbe (santificati, messi a parte) designava le persone sposate che di loro spontanea volontà si astenevano da rapporti sessuali; solo in un secondo momento sarà usato per designare i "santi" in genere.

15 II,r8,ro-r r.

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In conclusione, ci sono segni interiori e segni esteriori dell'u­miltà, e non è facile tracciare una linea di demarcazione tra gli uni e gli altri, come testimonia questo passo:

L'umiltà si accompagna alla modestia e al raccoglimento, vale a dire alla castità dei sensi, a una voce moderata, parole rade, scarsa stima di sé, abbigliamento povero, atteggiamento mo­desto, sguardo rivolto a terra, misericordia sovrabbondante, facilità alle lacrime, animo solitario, cuore contrito, incapaci­tà a farsi turbare dalla collera e distrarre dai sensi, scarsità di possessi, moderazione nei bisogni, sopportazione, pazienza, assenza di paura, cuore coraggioso a causa del disprezzo della vita presente, sopportazione paziente dei cimenti, riflessioni meditate e non fatue, assenza di cattivi pensieri, custodia dei misteri, castità, modestia, rispetto e soprattutto quiete assi­dua e proclamazione continua della propria ignoranza16 •

Un tale elenco contiene insieme le qualità interiori ed esterio­ri dell'umiltà, senza distinzione.

Se vogliamo distinguerle meglio a partire dai segni interiori, il primo sembra essere quello di un sentimento profondo della presenza di Dio, dal quale ha origine l'umiltà. Nessuno può conquistare l'umiltà da solo, come risultato dei suoi sforzi e del­le sue attività esteriori, ma si umilia veramente quando incontra Dio e ne percepisce la grandezza nel proprio nulla: dopo tale in­contro si avvicina a Dio in un silenzio profondo del cuore, e non si reputa degno nemmeno di pronunciare le parole della preghie­ra al cospetto di colui che è al di là di ogni parola. Questa pre­ghiera silenziosa e umile conduce alle profondità mistiche della contemplazione di Dio:

Sarei assai sorpreso di vedere un uomo veramente umile az­zardarsi a supplicare Dio quando si accosta alla preghiera, o

16 I,7r (p. 349) = Touraille Sr (p. 402); PR 74 (pp. sr6-5q).

chiedergli di essere giudicato degno di pregare o di implorarlo a qualsiasi altro fine, o semplicemente di sapere come prega­re. Giacché l'umile custodisce, al di sopra di tutte le proprie riflessioni, un regno di silenzio, e non fa altro che aspettare la misericordia, o qualsiasi altra decisione su di lui da parte del­l' adorabile maestà ... Quando china il capo a terra e nel suo cuore la contemplazione si innalza fino alla porta che condu­ce al Santo dei Santi di colui la cui dimora è tenebra (cf. rRe 8,12)- colui che fa abbassare lo sguardo ai serafini e ne inti­midisce le legioni e i cori con il suo fulgore imponendo il si­lenzio a tutte le loro schiere mentre queste attendono che i misteri lascino l'Invisibile dal suo regno etereo attraverso mo­vimenti muti, sentimenti incorporei e una percezione priva di immagini dell'Essenza senza forma che va al di là di quanto possa essere loro rivelato, poiché la virtù dei loro pensieri è troppo debole per sostenere l'onda dei suoi misteri -, allora soltanto l'umile osa parlare e pregare così: "Signore, fa' di me ciò che tu vuoi!" 17 .

Un altro segno interiore di umiltà consiste nell'essere morti al mondo: "Colui che ha conquistato l'umiltà nel proprio cuore è morto a questo mondo" 18 . Una certa ripugnanza nei confronti del mondo è un segno di umiltà che nasce dalla sapienza spiri­tuale:

Domanda: In che modo ci si accorge di aver ricevuto la sa­pienza dello Spirito? Risposta: A partire dalla conoscenza, che insegna le vie del­l'umiltà nelle profondità nascoste e nei sensi e rivela all'intel­letto come si deve ricevere l'umiltà. Domanda: Come si può sapere che si è raggiunta l'umiltà? Risposta: Quando piacere al mondo, frequentarlo o rivolgergli

17 !,71 (p. 350) = Touraille Sr (p. 402); PR 74 (pp. 5I7-5r8). "!,51 (p. 244) = Touraille 58 (p. 3I 3); PR 50 (p. 346).

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la parola è diventato odioso, e la gloria del mondo appare ai nostri occhi un abominio19

Un altro segno interiore di umiltà è il risveglio aella voce della coscienza che impara a non accusare mai Dio o il prossimo, a non incolpare le circostanze della vita, a non giustificare se stes­si. Colui che ascolta la voce della coscienza raggiungerà la quiete spirituale e si riconcilierà con Dio:

I rimproveri continui della coscienza sono un segno di umil­tà. La loro assenza in tutte le cose che si fanno dimostra du­rezza di cuore, indica l'abitudine a giustificare se stessi e in­colpare altri o, peggio ancora, la sapiente provvidenza di Dio. Al contrario, ci si mantiene nell'umiltà quando non ci si reputa irreprensibili e non si attribuisce ogni colpa alle circo­stanze e alle occasioni che Dio ha previsto per noi. Quando infatti, sulla base dì un'esatta presa di coscienza, ci si consi­dera sottomessi agli eventi, allora si realizza una condizione di profonda umiltà, riconoscibile dal fatto che, qualunque co­sa accada, si resta in pace e tranquillità e ci si mostra imper­turbati. È lo stato di calma che appartiene all'umiltà, frutto di maturità. Chi vi accede potrà constatare che in tutte le tentazioni il senso di riposo è più forte del tormento 20

La quiete interiore è uno dei segni caratteristici dell'umiltà: ''Senza la quiete il cuore non si umilia" 21, afferma I sacco. Essa si manifesta nell'assenza di ogni paura di fronte agli eventi, e nel­la fiducia nella provvidenza divina che protegge da ogni male:

L'umile non è mai precipitoso, non ha fretta, non si inquieta, non si accalora né si lascia andare a pensieri incontrollati,

19 I,62 (p. 298) Tow:aille 38 (pp. 228-229); PR 62 (pp. 431-432). 20 Ila7,r-z. 21 Centurie di conoscenza II,94.

I40

mantiene sempre la calma. Dovesse precipitare il cielo sulla terra, l'umile non ne sarebbe scosso. Non tutte le persone calme sono umili, ma tutte le persone umili sono calme ... giacché l'umile è sempre rilassato e nulla può turbare o aoita­re il suo animo. Come nessuno può far paura a una monta;na così nessuno può intimorire la mente dell'umile22. '

Chi è umile non teme le cose che accadono accidentalmente perché teme so~o Dio: il timore di Dio scaccia ogni altra paur~ dal suo cuore. E nn timore che implica nn atteooiamento di re­ligioso terrore davanti a Dio e lo sforzo di no;~ffenderlo con azioni o pensieri peccaminosi. Per Isacco l'umiltà trae oriuine pr_opri.o ~a questo timore di Dio. L'umiltà implica un cuore ~on­tnto, il timore e la gioia spirituale:

C'è un'umiltà che deriva dal timore di Dio, e una che deriva dall'amore ardente di Dio. C'è chi si umilia a causa del timo­re e chi si umilia a causa della gioia. Quello la cui umiltà deri­va dal timore possiede in tutte le sue membra la modestia sensi temperati e un cuore contrito. Ma quello la cui umiltà ha origine dalla gioia possiede una grande esuberanza e un cuore grande e incontenibile 23 •

Isacco paragona l'umiltà all'infanzia: coloro che sono umili a causa di Dio assomigliano ai bambini nella loro semplicità e in­nocenza. Il tema del recupero dell'infanzia appariva già nella predicazione di Gesù: "Se non vi convertirete e non diventerete com: i bam~ini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt r8,3). I padr1 esegeti della scuola di Antiochia vi hanno letto un invito ~i cristiani a coltivare un cuore umile e semplice24 . Sviluppando 1l tema, Isacco osserva che la vulnerabilità del bambino obbliga

:: I,71 (p. 349) Toura~lle 8r (pp. 401-40ZÌ; PR 74 (p. 515).

24 I,5I (~. 245)~ Touraille 58 (p. 313); PR ;;o (p. 346). Cf. Gwvanru Cnsostomo, Omelie su Matteo 58, 2 -3.

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Dio a prendersi particolare cura di lui. L'umile dev'essere egual­mente vulnerabile e indifeso:

Sta scritto: "Il Signore protegge i bambini" (Sal r r6,6). Un fanciullo si avvicina a un serpente e lo afferra per la testa, ma il serpente non gli fa alcun male. Va nudo d'inverno, quan­do tutti sono ben coperti, e non sente il gelo che gli sferza le membra. Siede nudo in una fredda giornata di ghiaccio e gelo senza soffrirne, perché il suo corpo innocente è avvol~ to da un'altra veste, invisibile, tessuta da quella provvidenza nascosta che protegge le sue tenere membra affinché nulla possa nuocergli ... "Il Signore protegge i bambini". E non so­lo quelli dal corpo piccolo e fragile, ma anche quelli che nel mondo erano sapienti, ma hanno abbandonato la loro scienza per consacrarsi unicamente a quell'altra sapienza che basta a tutto, ridiventando bambini per libera scelta25 •

È per questo che l'umile si trova sotto la protezione particola­re della provvidenza divina: essa lo avvolge come una veste e lo protegge contro ogni pericolo esterno. In altri termini, l'umile ha instaurato un tipo particolare di rapporto con Dio: rinuncian­do ai mezzi naturali di difesa, ha posto tutta la sua fiducia in Dio, colui che "protegge i bambini".

San Paolo d insegna che proprio nella debolezza dell'uomo la forza di Dio si dispiega pienamente (d. 2Cor r2,9). Quan­do prende coscienza della sua fragilità e invoca l'aiuto di Dio, l'uomo è senz' altro esaudito. Da qui deriva lo stretto legame tra umiltà e preghiera:

Beato chi conosce la propria debolezza, giacché tale cono­scenza diventa per lui fondamento, radice e principio di ogni bene ... Quando l'uomo sa di aver bisogno dell'aiuto di Dio,

25 I,7r (pp. 35r-352) = Touraille I9 (pp. rz8-r29); PR 77 (p. 525).

moltiplica le preghiere, e quanto più le moltiplica, tanto più il suo cuore si umilia: infatti è impossibile non umiliarsi quando si intercede e si supplica. "Un cuore affranto e umiliato Dio tu non disprezzi" (Salsr,r9)26• ' '

Cosl si spiega perché sia indispensabile pregare per raggiun­gere l'umiltà, che non si può ottenere con mezzi unicamente umani. Osserva Isacco:

Ciò che all'uomo è impossibile, con Dio può davvero accade­re (cf. Mt r9,z6). Invece di pregare per uno scopo qualsiasi, invece di chiedere questo o quello, lascia perdere tutto e pun­ta su una sola preghiera, dicendo: "Dio, concedimi l'umiltà affinché io sia liberato dalla sferza e possa accostarmi, quale che sia il mio desiderio, alle delizie della mente, anche quelle di cui non ho coscienza prima di aver acquisito tale umiltà". Dio allora ti concederà il dono del suo Spirito, dono del quale tu non sai né esprimere né concepire la grandezza, giacché ti renderà umile in un modo nascosto, se solo vedrà che non ti ritrai, non cessi di chiedere senza posa e non ti stanchi mai di rivolgergli questa preghiera. Fratello, bisogna convincersi che l'umiltà è una forza che nessuna lingua può descrivere, nes­suna fatica umana conquistare. Essa è data a tutti coloro ai quali può essere data, e viene ricevuta in mezzo alle veglie, tra suppliche e ferventi intercessioni27 .

261,8 (pp. 67-68) = Touraille 2r (p. r43); PR 8 (pp. ro4-I05).

27 II,27,I-}.

I43

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I segni esteriori dell'umiltà

Volgiamo ora la nostra attenzione ai segni esteriori dell'umil­tà, a partire dalla mancanza di interesse per le distrazioni e i pia­ceri del mondo e dal rifiuto degli affanni e degli agi del secolo. Chi possiede molto denaro, chi si occupa di grandi opere, chi partecipa alle attività della società, si trova legato mani e piedi a questo mondo. Chi al contrario riesce a fuggire tutto ciò, con­serva una libertà che lo rende simile a Dio:

L'umile non trae alcuna gioia dalle riunioni, dal tramestio delle folle, dal tumulto, da clamori e grida, dall'opulenza, dal lusso e da tutto ciò che è privo di sobrietà. Il suo piacere non sta nelle conversazioni, nelle assemblee, nel frastuono e nella dissipazione dei sensi, giacché a ogni altra cosa egli preferisce il raccoglimento nell'intimo e nella quiete, staccato da tutte le cose create, custodendo se stesso in un luogo silenzioso. L'es­sere insignificanti, la mancanza di beni, la miseria e la pover­tà gli sono sempre cose care. Egli non si impegna in faccende svariate e complesse, ma desidera essere libero da incomben­ze e preoccupazioni e dalla confusione delle cose mondane, per impedire che i suoi pensieri fuoriescano da lui ... Per tut­te queste ragioni l'umile si protegge incessantemente dalla molteplicità degli affari e si fa cosl trovare sempre tranquillo,

buono, calmo, modesto e rispettoso28

Un simile atteggiamento verso la vita, che spinge a evitare ogni coinvolgimento nelle attività secolari e dà la sensazione di essere quasi ospiti in mezzo alla società degli uomini, è chiamato dagli autori ascetici greci xeniteia, termine che vuoi dire "esilio" o, più letteralmente, "stranierità", il fatto di "vivere come uno

28 I,7r (pp. 348-349) = Touraille 8r (pp. 400-40r); PR 74 (pp. 5r5·5r6).

I44

straniero" (da xénos, straniero). In siriaco il termine è stato tra­dotto con aksnayuta (da aksnaya, straniero)29 . Per !sacco "vivere da straniero" è l'atteggiamento che un asceta deve mantenere sempre e ovunque: "Considerati uno straniero ogni giorno del­la tua vita, ovunque tu sia" 30

. Un asceta deve "rendersi straniero a tutte le sue relazioni, al suo paese, alla famialia alla stirpe"· d " b' b ' ' eve a Itar: una terra straniera" e scegliersi "un luogo di quie-te dove ogm rumore cessi, per abitarvi poveramente nell'indi­genza materiale 3I, e per viverci solo, in disparte da' ogni com­mercio con gli uomini e da ogni frequentazione e consolazione visibile" 32 •

Nella tradizione ascetica la xeniteia non comporta una vita noma~e ~una migrazione continua di luogo in luogo, ma piutto­sto un esistenza appartata dal mondo e dalle sue distrazioni il sentimento della brevità e fragilità di questa vita e la rinunci~ a t~tto ciò che è terreno in favore delle cose del cielo. Tale atteg­giamento conduce all'umiltà:

Come conquistare l'umiltà? . . . Rammentandosi continua­mente delle proprie trasgressioni nella previsione della morte che incombe, vestendo poveramente, accontentandosi sem­pre dell'ultimo posto, assumendo i compiti più modesti e di­s~rez:ati, non disobbedendo mai, osservando sempre il silen­ZIO, nfuggendo dalle riunioni, desiderando di essere scono­sciuti e tenuti in nessun conto, evitando di affezionarsi a un sol~ tipo di opera [ascetica], evitando le conversazioni a più voci, avendo orrore del guadagno materiale e, in aggiunta a tutto questo, elevando la propria mente fino a non accusare o

, 29

, Su xeniteia/aksnayuta si veda A. Guillaumont, "Le dépaysement comme forme · d ascese dans le monachisme ancien", in Id., Aux origines du monachisme cbrétien Ab-bay~0 de Bellefontaine, ~égrolles-en-Mauges r979, pp. 89-r r6. '

I,4 (p. 33) = Touraille 23 (p. I 55); PR 4 (p. 47). '

1 Letteralmente: "corporale". '

2 Centurie di conoscenza I,85.

I45

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biasimare nessuno, evitando di atteggiarsi a chi si oppone a tutto il mondo e ha tutto il mondo contro (cf. Gen r6,12), ma piuttosto comportandosi come chi sta solo, attende alle proprie faccende e d'altro non si cura. Riassumendo, dall'esi­lio, dalla povertà e dalla vita solitaria scaturiscono l'umiltà e la purezza del cuore 33 .

Un'altra manifestazione esteriore dell'umiltà è la sopporta­zione senza un lamento di ogni sorta di umiliazioni:

Soffri volentieri umiliazioni e disprezzo, per essere audace davanti a Dio. Colui che sopporta consapevolmente ogni sor­ta di parole aspre senza aver fatto torto al suo avversario, gli pone in testa una corona di spine; quanto a lui, invece, è be­nedetto e riceverà una corona imperitura in un tempo che an­cora non sa 34 .

!sacco ritiene che sopportare accuse e ingiurie senza protesta­re sia la virtù più alta:

Colui che, pur potendo respingerla, riesce a sopportare con gioia la malvagità, riceve da Dio la consolazione consapevole della propria fede. Chi tollera con umiltà le accuse che gli so­no rivolte ha raggiunto la pienezza, e gli angeli santi guardano a lui ammirati, giacché non c'è virtù altrettanto grande e dif­ficile da mettere in pratica 35 .

L'umiltà si manifesta altresì negli sforzi fatti per essere umi­liati dagli altri. Come la grazia è accompagnata dall'umiltà, così l'orgoglio è seguito da incidenti dolorosi. Gli occhi del Signore si posano sull'umile per rallegrarlo; ma il suo viso si

33 1,7r (p. 345) = Touraille 8r (p. 396); PR 74 (p. 508). 34 1,4 (p. 29) = Touraille 23 (p. rsr); PR 4 (p. 41). 35 1,5 (p. 43) = Touraille 5 (p. 78); PR 5 (pp. 63-64).

rivolta contro gli orgogliosi per render li umili. L'umiltà riceve sempre la misericordia del Signore; ma la durezza del cuo­re e la mancanza di fede devono sostenere scontri terribili ... Se ti abbassi in ogni modo davanti a tutti sarai innalzato al di sopra dei signori di questo mondo. Fa' conoscere a tutti la tua salvezza e la tua passione e ne sarai lodato più di chi porta in dote l'oro di Ofir (cf. I Re r o, I I). Sii spregevole ai tuoi stessi occhi e vedrai dentro di te la gloria di Dio, giacché dove ti spinge l'umiltà, là zampilla anche la gloria di Dio. Se ti sforzi di essere pubblicamente umiliato da tutti Dio farà in modo di colmarti di gloria. Se nutri l'umiltà neÌ cuo­re, Dio ti mostrerà la sua gloria. Sii disprezzabile nella tua grandezza, non voler essere grande nella tua insignificanza. Sopporta il disprezzo e sarai colmato dell'onore di Dio. Non cercare gli onori quando dentro di te sei tutto una piaga. Fug­gi gli onori, per poterli ricevere; non amarli, per non essere disonorato 36 .

Per Isacco la vera umiltà si manifesta nell'onorare il prossimo al di sopra dei suoi meriti, perché l'umile tratta tutti quelli che incontra con rispetto, onore e amore:

Quando incontri il tuo prossimo, sforzati di fargli più onore di quanto gli è dovuto. Baciagli le mani e i piedi, prendigli spesso la mano con grande rispetto e posala sui tuoi occhi, congratulati con lui per cose che non possiede. Dopo che ti avrà lasciato, racconta di lui tutto il bene possibile e tutto ciò che induce rispetto. In questo modo e con atteggiamenti si­mili lo attiri verso il bene ... e poni in lui semi di virtù37•

Benché !sacco parli di "sforzarsi" di onorare il prossimo non si tratta di assumere ad arte un atteggiamento insincero, q~anto

36 1,5 (p. so)= Touraille 5 (p. 87); PR 5 (pp. 76-77). 37 1,5 (pp. 51-52)= Touraille 5 (p. 89); PR 5 (p. 79).

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piuttosto della naturale conseguenza di un vero amore del pros­simo: provare per lui un rispetto profondo e sentirsene personal­mente indegni.

C'è ancora una manifestazione dell'umiltà interiore che si po­trebbe definire estrema, cioè la "santa follia", fenomeno assai diffuso nell'oriente ortodosso ai tempi di Isacco. Scegliere di es­sere un "folle in Dio" significa assumere volontariamente un comportamento da folle o commettere azioni riprovevoli al fine di suscitare condanna e disprezzo. La follia in Dio era praticata da asceti divenuti celebri per la santità della loro vita virtuosa: non avendo più occasione di sopportare offese e umiliazioni, per riceverne ancora si imponevano la maschera della follia. Scrive I sacco:

Chi non disprezza onori e disonori e non sopporta paziente­mente per via della quiete rimproveri, scherni, ingiurie e per­cosse e il fatto di essere diventato lo zimbello di tutti ed esse­re ritenuto un pazzo o un debole di mente, costui non può perseverare nei benefici della quiete38 .

Isacco cita ad esempio certi santi di un tempo che si erano im­posti la maschera della follia per evitare la gloria umana, e si ac­cusavano di peccati che non avevano commesso:

Chi è veramente umile non si turba quando gli viene fatto del male e non dice niente per giustificarsi di fronte all'ingiusti­zia, ma accetta le calunnie come verità, senza cercare di pro­vare agli altri la sua innocenza ma chiedendo perdono. Certi si sono volontariamente addossati una reputazione di dissolu­ti pur non essendolo affatto; altri si sono lasciati accusare di un adulterio inesistente e con le loro lacrime ammettevano di portare il frutto di peccati non commessi; piangevano e chie-

38 I,44 (p. 217) = Touraille, Lettere r (p. 45r); PR 4I (pp. 307-308).

devano perdono a coloro che li offendevano per un male dì cui non avevano colpa, e al tempo stesso le loro anime veniva­no incoronate di purezza e castità; altri ancora, per non rica­vare gloria dalle virtù che avevano ben nascoste in se stessi, fingevano di essere squilibrati mentre in realtà erano ripieni di sale divino e così saldamente installati nella serenità che gli angeli si facevano araldi delle loro prodezze, a causa della loro estrema perfezione 39 •

Isacco rievoca anche ricordi personali di quando era un gio­vane monaco, e conversazioni con asceti celebri sul tema della "santa follia". Racconta per esempio che un giorno andò a far visita a "un vegliardo, uomo eccellente e virtuoso" per confidar­gli: "Padre, mi è venuto in mente di andarmi a sedere la dome­nica mattina presto accanto alla porta della chiesa e mettermi a mangiare lì, cosicché tutti quelli che entrano ed escono mi di­sprezzino" . .i'vla ecco la risposta dell'anziano:

Sta scritto che colui che scandalizza ì cristiani che vivono nel mondo non vedrà la luce. Nessuno ti conosce in questa regio­ne40, né sa qual è la tua fama. Diranno: "I monaci mangiano fin dalle prime ore del mattino ... ". Un tempo i padri si com­portavano così a causa dei molti miracoli che avevano com­piuto e dell'onore e della reputazione di cui godevano presso gli uomini. Facevano queste cose per disonorarsi, per offusca­re la gloria della loro condotta ed eliminare ogni motivo d'or­goglio. Ma tu, che cosa ti obbliga a fare altrettanto? Non lo sai che ogni pratica ascetica ha le sue regole e un tempo op­portuno? La tua condotta di vita non è straordinaria e il tuo nome non è celebre, dato che vivi come gli altri fratelli. Com­portarti in quel modo a te non arrecherebbe vantaggio alcuno

39 I,6 (p. 55) Touraille 56 (pp. 298-299); PR 6 (pp. 85-86). Isacco si riferisce in particolare alla vita di san Simeone di Emesa, un folle in Cristo del vr secolo.

40 Questa osservazione fa supporre che Isacco, al tempo della sua giovinezza, abbia abitato o viaggiato in paesi stranieri.

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mentre farebbe torto ad altri. Inoltre, queste cose sono ecce­zionali e non tutti possono trame profitto, ma solo i più gran­di e quelli che hanno raggiunto la pienezza 41

.

Così l'anziano riuscì a smorzare lo zelo del giovane asceta e gli impedì di adottare un comportamento contrario all'etica mona­stica, anche se al fine di progredire nell'umiltà.

41 I,zr (pp. ro6-ro7) = Touraille 76 (pp. 382-383); PR r8 (pp. I42-r43).

v LE LACRIME

Sei tu che concedi il pentimento e un cuore afflitto al peccatore che si pente. Così tu rendi leggero il suo cuore, togliendogli il peso del peccato che lo prostra, grazie al sollievo dato dall'afflizione e dal dono delle lacrime.

n pentimento

II,s,J

Sulle orme di Afraat e di Giovanni il Solitario\ Isacco consi­dera il pentimento un rimedio inventato da Dio per il nostro continuo rinnovamento e per la nostra guarigione:

Con la conoscenza piena di compassione che gli è propria Dio sapeva che, a esigere dagli uomini una giustizia rigorosa, solo uno su diecimila riuscirebbe a entrare nel regno dei cieli. Per­tanto egli ha previsto un rimedio adatto a tutti: il pentimento. Così, ogni giorno e a ogni istante, grazie alla forza di questo

1 Cf. Afraat, Dimostrazioni 7,3-4; Giovanni di Apamea, Lettere 45· Cf. S. Brock, n. 2 a II,40,8, in esco 555. p. I76.

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rimedio, Dio offre agli uomini l'opportunità di rimettersi fa­cilmente sulla retta via: attraverso la compunzione (twata) es­si saranno in grado di purificarsi da tutte le brutture di cui possano essersi macchiati. Davvero potente è il mezzo che il Creatore misericordioso ha preparato per noi nella sua divina sapienza, in vista della nostra vita eterna (~ayye)2, giacché egli desidera che noi ci rinnoviamo ogni giorno, ricomincian­do da capo attraverso un cambiamento in meglio della nostra volontà e della nostra mente 3

Il pentimento è un sentimento spirituale costa~te in .ogni asceta, che si protrae giorno e notte nel suo cuore: Dobbtamo sapere in ogni momento che abbiamo bisogno di pentirei duran-

, l . d 11 " 4 N ' te tutte le ventiquattr ore de gtorno e e a notte . on e un sentimento limitato a un periodo della vita o a una specifica ca­tegoria di persone, ma universale:

Se tutti siamo peccatori e nessuno è grande davanti alle tenta­zioni del peccato, è chiaro che non c'è virtù più eccelsa del pentimento (nessuno infatti potrà mai portarne a term~n~ l'o~ pera. Esso si addice sempre ai peccatori ma an~he al gms:l che aspirano alla salvezza. Non c'è limite alla ptenezza, pm­ché anche la pienezza dei perfetti non è mai veramente com­piuta. È per questo che il pentimento non è legato a opere o momenti dati e dura fino alla morte)5.

!sacco definisce il pentimento come "l'abbandono delle opere passate e il dolore provato per esse" 6

. Secondo un'altra defini-

zione:

> Il termine siriaco hayye significa tanto "vita" quanto "salvezza". 3 Il,4o,8-9. 4 I,7o (p. 340) = Touraille 50 (p. 276); PR 73 (p. 502). . 5 r,32 (p. r 53) = Touraille 55 (p. 294); PR 30 (p. 2q). Il passo tra parentesi nella

redazione siro-orientale manca. 6 I,7r (p. 344) = Touraille Sr (p. 395); PR 74 (p. 507).

Il significato del termine pentimento (tyabuta) ... è il seguen­te: una continua supplica piena di tristezza che, grazie alla preghiera di compunzione, riavvicina l'anima a Dio, per cer­care il perdono delle offese passate e chiedere di esserne pre­servati per l'avvenire 7•

In questa definizione si possono distinguere tre elementi. In primo luogo il pentimento è una preghiera rivolta a Dio da parte di chi sta al suo cospetto e non si accontenta di riflettere nel pro­prio intimo sui suoi peccati passati. In secondo luogo, esso com­porta la rinuncia ai peccati passati e il rammarico per averli com­messi. Da ultimo, il pentimento mira al futuro e ormai non ha altro desiderio che guardarsi dal peccato.

!sacco paragona il pentimento a una nave presa a nolo per attraversare il mare che ci separa dal paradiso spirituale. Timo­niere è il timore di Dio, meta del viaggio il porto dell'amore divino. Chiunque sia "afflitto e pesantemente oppresso" 8 dal pentimento può entrare in porto. "Carica tutti i miei impulsi sulla navicella del pentimento, affinché io possa solcare esultan­do il mare del mondo, per entrare infine nel porto della tua spe­ranza"9: ecco la preghiera di !sacco.

Il tema del pentimento come secondo battesimo fa parte del­la tradizione patristica, e anche !sacco lo sviluppa in tal senso. Egli non pensa che Dio volesse privare l'uomo, per avere que­sti abusato della sua libertà, della condizione di felicità a lui destinata. Ecco quindi che "Dio concepì nella sua misericor­dia un secondo dono, quello del pentimento, affinché la vita dell'anima potesse·ogni giorno rinnovarsi e rimettersi sulla retta

7 I, 70 (p. 340) = Touraille 50 (p. 2 76); PR 73 (p. 502). 8 I,46 (pp. 224-225) = Touraille 72 (p. 367); PR 43 (p. 3f7). Cf. Mt rr,28. 9 II,5,I4. Le immagini marine sono tradizionali negli autori siro-orientali dell'età

anteriore a Isacco; l'espressione "il mare del mondo" (yammeh d-'alma) è un luogo co­mune presso gli autori greci e siriaci; cf. S. Brock, nn. 2-3 a II,5,r4 (CSCO 555, p. I2) e n. 4 a II,7,3 (CSCO 555, p. 25).

1 53

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via" 10• Il pentimento è appunto questo rinnovamento della gra­

zia battesimale perduta a causa del peccato:

Il pentimento è donato come grazia dopo la grazia, giacché esso costituisce una seconda rigenerazione operata da Dio. Ciò che abbiamo ricevuto come promessa solenne nel battesi­mo ora lo otteniamo come dono attraverso il pentimento. Il pentimento è la porta della misericordia che si apre per coloro che la cercano. Per questa porta si accede alla misericordia e fuori da questa porta non si trova nessuna misericordia ... Il pentimento è la grazia seconda 11 .

Attraverso il pentimento l'uomo riceve di nuovo la conoscen­za (ida'ta) che gli era stata donata al battesimo come promessa12.

Parlando del pentimento !sacco, seguendo la tradizione, para­gona le lacrime del pentimento al sangue dei martiri:

Chi possiede il vero pentimento è un martire vivente. Le la­crime prevalgono sul sangue attraverso l'attività loro propria, e il pentimento prevale sul martirio. Il martirio delle lacrime precederà quello del sangue, quando riceveremo la corona. I martiri saranno incoronati insieme agli altri; coloro che vivo­no nel pentimento, prima degli altri. Chi possiede il vero pen­timento sembra dunque ricevere una doppia corona 13 .

Il pentimento appare perciò come un frutto dell'azione del­la grazia divina sull'anima, alla quale Dio inizialmente concede di prendere coscienza dei suoi peccati. Questa presa di coscien­za penetra nell'anima quando Dio ci vede soffrire ogni sorta di

10 II,IO,I9. 11 1,46 (p. 223) = Touraille 72 (p. 365); PR 43 (p. }I)). 12 1,47 (p. 227) = Touraille r8 (p. !25); PR 44 (p. 319). Cf. 1,46 (p. 223) = Touraille

72 (p. 365); PR 43 (p. 3I5); 1,64 (p. 305) = Touraille 34 (p. 2Io); PR 65 (p. 443). 13 Centurie di conoscenza 1,5 3.

154

prove14 . !sacco considera più importante essere consapevoli dei propri peccati che compiere miracoli o avere visioni soprannatu­rali o mistiche, giacché proprio attraverso una tale consapevolez­za si intraprende la via del pentimento, che è virtù più grande di tante altre:

Chi conosce i propri peccati è più grande di chi fa del bene al mondo intero con la sua sola presenza. Chi geme sulla propria anima, anche per un'ora soltanto, è più grande di chi risuscita un morto con la preghiera e abita in mezzo agli uomini. Chi è giudicato degno di vedere se stesso è più grande di chi è giu­dicato degno di vedere gli angeli, giacché quest'ultimo vede con gli occhi del corpo mentre il primo scruta dentro di sé con gli occhi dell'anima. Colui che segue Cristo pentendosi nella solitudine è più grande di chi loda Dio nel mezzo di un'assemblea 15 .

Il pentimento unisce cuore e intelletto. !sacco riconosce nel "dolore del cuore" e nella "tristezza della mente" due attributi del pentimento 16 . Il "cuore affranto e umiliato" del salmista (cf. Sals r, 19) si ottiene attraverso il processo del pentimento, quan­do la presa di coscienza del peccato coincide con la liberazione dal suo peso; in una sua preghiera !sacco dice: "Sei tu che con­cedi il pentimento e un cuore afflitto al peccatore che si pente; così tu rendi leggero il suo cuore togliendogli il peso del peccato che lo prostra, grazie al sollievo dato dall'afflizione e dal dono delle lacrime".

Il perdono dei peccati è risultato e frutto del pentimento al quale fa immediatamente seguito, per quell'amore smisurato di Dio per gli uomini che ha spinto il Figlio di Dio non solo

14 Cf. 1,74 (p. 362) = Touraille 7I (p. 362); PR 79 (p. 542). "1,64 (p. 317) = Touraille 34 (p. 2!6); PR 65 (pp. 463-464). 16 1,51 (pp. 243-244) = Touraille 58 (p. }Ir); PR 50 (p. 344).

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a perdonare i peccatori ma anche a farsi uomo per salvarli dal peccato:

Poiché il suo volto inclina sempre verso il perdono ... egli ef­fonde su di noi la sua grazia immensa e senza limiti come l'o­ceano. A qualsiasi uomo che dia segno anche solo di un mini­mo sentimento di dolore per quanto ha fatto e di un desiderio di compunzione, Dio accorda immediatamente, lì e subito, il perdono dei peccati17

.

Dunque il cristiano, purché si penta, non ha il diritto di dubi­tare del perdono di Dio per i suoi pur gravi peccati. Tale fiducia nel perdono deriva dalla concezione di !sacco della misericordia di Dio, più grande della sua giustizia, e anche dalla sua conce­zione della provvidenza divina e più particolarmente dell'incar­nazione di Dio il Verbo, che già conteneva la promessa di una ri­conciliazione tra Dio e il genere umano:

Vedendo e ascoltando tali cose, chi potrebbe essere così tur­bato dal ricordo dei propri peccati da nutrire questo dubbio nell'animo: "Dio è davvero pronto a perdonar mi le cose che mi fanno soffrire e il cui ricordo mi tormenta? Cose di cui ho orrore ma verso le quali continuo a inclinare e la cui sofferen­za, dopo averle commesse, è più dolorosa di una puntura di scorpione? Le aborro, nondimeno mi ci trovo continuamente invischiato, e se da una parte me ne pento con dolore, dall'al­tra vi faccio sempre tristemente ritorno". Ecco cosa pensa­no molti tra coloro che hanno timore di Dio e si applicano alla virtù, trafitti dal dolore della compunzione. Piangono i loro peccati, ma la prosperità del mondo li costringe a far fronte alle cadute da essa stessa provocate, e così vivono tutto il tempo tra peccato e pentimento. Cara umanità, non dubi­tiamo dunque della speranza della nostra salvezza, vedendo

pieno di sollecitudine per essa colui che ha patito per causa nostra. La sua misericordia è ben più grande di quanto noi possiamo concepire, la sua grazia maggiore di quanto noi pos­siamo chiedere. La destra del Signore si stende infatti giorno e notte spiando l'occasione per sostenerci, confortarci e in­coraggiarci insieme a quanti si rammaricano della loro poca rettitudine; soprattutto per vedere se c'è qualcuno che soffre anche un minimo di dolore e tristezza, per potergli accordare il perdono dei peccati 18 .

Così, attraverso un atto di pentimento, avviene la riconcilia­zione tra Dio e il peccatore. Da quest'ultimo ci si aspetta che si penta dei peccati commessi, si risolva, con un atto di volontà, a guardarsene per il futuro, e perseveri nella preghiera davanti a Dio per chiedergli perdono. Tale perdono viene da Dio, che ri­concilia l'uomo con la propria persona e lo rende partecipe del suo amore.

Lacrime amare e lacrime dolci

Il tema delle lacrime si incontra di frequente nella letteratura ascetica di lingua siriaca, a partire da Efrem, chiamato il "padre del pentimento". Un suo contemporaneo bizantino lo descrive­va con queste parole: "Per Efrem piangere era come per gli altri respirare. Leggendo i suoi scritti ci si accorge che lui non piange solo quando parla di pentimento, ma anche nelle occasioni in cui gli altri esprimono la loro gioia" 19 . Questo autore bizantino

18 II,4o,r5·I7· Nel manoscritto il testo dell'ultima frase è rovinato; cf. S. Brock, n. 2 a II,4o,q, in CSCO 555, p. !79·

19 Pseudo-Gregorio di N issa, Elogio di E/rem il Siro.

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ha saputo ben rilevare un tratto carattensttco dell'esperienza delle lacrime nella tradizione siriaca: esse non esprimono solo il pentimento ma anche la gioia. Tale tema occupa quindi un posto importante nella spiritualità monastica di Isacco 20 e mostra co­me l'esperienza delle lacrime poggi su una doppia tradizione, scritturistica e patristica:

Accanto alla visione spirituale, anche le lacrime erano tenute in grande onore dai padri. Del beato Arsenio si dice che le la­crime facessero una guardia attenta e costante alle sue pupil­le. Ma perché parlare di questo se gli occhi del beato Paolo, questo gigante, questo vaso ripieno dello Spirito, piansero in­cessantemente per ben tre anni, come riferisce il beato Luca nel libro degli Atti (cf. A t 20,3 r)21?

Per !sacco le lacrime sono inseparabili dall'esperienza mona­stica. Si può osservare in proposito che il termine abila, che in siriaco significa in primo luogo "piangente", era usato anche per designare il monaco. Secondo la tradizione siriaca il monaco è soprattutto colui che piange su se stesso, sugli altri e sul mondo intero. Scrive Isacco:

Il piangente (abila) è colui che passa tutti i giorni della pro­pria vita nella fame e nella sete delle cose che spera e dei beni a venire. Il monaco (i{Jidaya) è colui che, avendo stabilito la propria dimora lontano dagli spettacoli del mondo, non co­nosce che una domanda nella sua preghiera: il desiderio del mondo a venire. La ricchezza del monaco è la consolazione che gli viene dal pianto22

20 Cf. D. A. Licher, "Tears an d Contemplation in Isaac of Nineveh", in Diakonia I I (I976), pp. 239-258; P. T. Mascia, "The Gift of Tears in Isaac of Nineveh", ibid. I4 (I979), pp. 255-265.

21 CentUiie di conoscenza I, 82. '' I,6 (p. 54)= Touraille 56 (p. 298); PR 6 (pp. 83-84).

Conformemente a questa immagine del monaco come colui la cui principale attività consiste nel piangere i propri peccati, !sacco scrive:

Quale può essere la meditazione di un monaco nella sua cella, se non le lacrime? Potrebbe mai conoscere momenti senza la­crime per volgersi ad altri pensieri? E quale occupazione è migliore di questa? La cella stessa e la solitudine del monaco, simili a una vita di tomba lontana da gioie umane, gli inse­gnano che il suo compito è piangere. E anche il nome che gli viene dato lo induce e lo esorta a questo: egli infatti è chiama­to "piangente" (abila), cioè colui che ha un cuore amareggia­to. Tutti i santi hanno abbandonato la vita piangendo. Se tut­ti i santi hanno pianto e i loro occhi erano pieni di lacrime fi­no al momento di lasciare questa vita, chi mai potrebbe fare a meno delle lacrime? La consolazione del monaco nasce dalle lacrime. Se quaggiù hanno pianto i perfetti e i conquistatori, come potrebbe astenersi dal piangere chi è coperto di ferite? Chi vede la persona amata esanime ai suoi piedi e se stesso morto nel peccato ha forse bisogno di un insegnamento par­ticolare per imparare a piangere? L'anima giace ai tuoi piedi uccisa dai peccati, quell'anima per te più preziosa dell'uni­verso intero; è possibile che tu non senta il bisogno di pian­gerla? Ecco perché, se entriamo nella quiete e vi perseveria­mo con pazienza, saremo certamente in grado di piangere senza sosta. Chiediamo dunque insistentemente al Signore di concederci le lacrime 23 •

Per !sacco le lacrime devono essere continue. Più ci si avvi­cina al frutto della vita spirituale, più frequenti esse diventano, fino a quando sgorgheranno ogni giorno e a ogni istante:

Domanda: Qual è il segno preciso e certo che il frutto celato nel­l'anima comincia ad apparire in seguito alle nostre sofferenze?

"!.37 (pp. rn-q8) = Touraille 85 (p. 432); PR 35 (pp. 25I-252).

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Risposta: Quando uno è giudicato di ricevere il dono di lacrime copiose che sgorgano senza Giacché le lacri-me sono state istituite a beneficio della mente come una sorta di frontiera tra ciò che appartiene al corpo e ciò che appartie­ne alla mente, tra lo stato passionale e la purezza. Finché uno non ha ricevuto quel dono, la sua attività unicamen­te l'uomo esteriore; egli non ha ancora provato l'attività delle cose nascoste che ha luogo nell'uomo spirituale. Ma quando comincia ad abbandonare le cose corporali all'e-tà presente e varca il confine che lo fa accedere a ciò e m-terno alla natura visibile, egli ottiene immediatamente la gra­zia delle lacrime. Fin dalla prima tappa del cammino interiore le lacrime cominciano a scorrere e lo conducono alla ,.,,,.,.,,,,"'_ ne dell'amore di Dio. Più egli progredisce in tale u•~'-•~->•uu.u, più viene arricchito dall'amore; finché lacrime continue non finiscono per inzuppargli il cibo e diluirgli le bevande24 .

Tuttavia, le lacrime che scorrono incessantemente non costi­tuiscono ancora il punto culminante del cammino spirituale, il cui apice secondo Isacco sarà il momento in cui, per effetto delle continue lacrime, si raggiunge la "pace del pensiero" ,e il riposo spirituale. Le lacrime diventano allora "moderate". E nel capi­tolo 16 della prima parte che Isacco sviluppa la dinamica sottesa ai diversi passaggi, dapprima dalle lacrime occasionali alle lacri­me continue, poi dalle lacrime continue a quelle "moderate" che sono proprie di coloro che hanno raggiunto la pienezza. Isacco suggerisce che la comparsa delle lacrime del pentimento signi­fichi che uno ha intrapreso il cammino verso Dio. Dapprima le lacrime sono temporanee e ritornano di tanto in tanto; in un se­condo momento esse sgorgano incessantemente; al culmine del percorso trovano una loro "misura". Isacco considera questo in­segnamento parte integrante della fede della chiesa universale:

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Una volta giunto alla regione delle lacrime, sappi che la tua mente ha lasciato la prigione di questo mondo e ha già mes­so piede sull'ampio argine di un mondo nuovo, dove un'aria diversa e meravigliosa. Contemporaneamente comin­ciano a scorrere le lacrime, giacché stanno per iniziare i dolo­ri del parto del pargolo spirituale. Effettivamente la madre comune di tutti noi, è ansiosa di partorire misticamen­te nell'anima l'immagine divina destinata alla luce dell'età futura.

Fino alla nascita del bimbo le lacrime sgorgheranno di quan­do in quando dagli occhi del solitario; ma dopo che sarà nato e comincerà a crescere aumenteranno fino a diventare inarresta­bili: "Gli occhi di quest'uomo si trasformano in fontane per un anno o due o anche più, cioè per tutto il tempo del passag­gio". Dopo questi due o più anni il solitario penetra nella "pa­ce del pensiero" e nel "riposo" di cui parla la Lettera agli Ebrei (cf. Eb 4.3):

Man mano che ti addentri nella regione della pace dei pensie­la grande ondata di lacrime ti è risparmiata ed esse ormai

arrivano solo in misura moderata e al momento opportuno. precisamente e concisamente, la verità del fenomeno

cosi come è inteso da tutta la chiesa, dai suoi uomini più illu­stri e dai combattenti di prima linea25 •

lacrime del pentimento che nascono dalla coscienza dei peccati sono accompagnate dall"'amarezza di cuore" e dalla contrizione. Ma il dinamismo della crescita spirituale implica un passaggio progressivo da questo primo tipo di lacrime a un altro in cui dominano le lacrime dolci della compunzione. Il discorso 3 7 della prima parte espone questa dottrina:

25 I,r4 (pp. 82-83) Touraille 15 (pp. 1I5·II6); PR 14 (pp. 125-127).

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Ci sono lacrime che bruciano e lacrime che ungono come olio. Quelle che sgorgano dalla frantumazione e dalla pena del cuore per i peccati commessi bruciano e disseccano il cor­po, e spesso capita che anche le facoltà che governano l'uomo ne siano danneggiate. Ma all'inizio si deve necessariamente passare per quelle lacrime, attraverso le quali viene aperta una porta che conduce a un secondo ordine superiore, segno

l'uomo ha ricevuto misericordia. Si tratta delle lacrime sparse a causa di un'intuizione. Esse abbelliscono il corpo ed è come se lo ungessero d'olio. Scorrono da sole, senza sforzo. Non solo ungono il corpo, ma cambiano l'aspetto dell'uomo. È detto: "Un cuore lieto rende ilare il volto, ma quando il cuore è triste la mente è depressa" (Pr I 5, I 3). Quando il pen­siero tace, queste lacrime si spandono su tutto il viso. Il cor­po ne riceve una sorta di nutrimento e gli si dipinge sul viso la gioia. Chi ha fatto esperienza di questo duplice cambiamento mi capirà26 .

Queste lacrime di compunzione, accompagnate da un mento di gioia spirituale, sono concesse a chi ha raggiunto la condizione di purezza di cuore e di assenza delle passioni. Esse sono conseguenza del fatto che la persona è stata giudicata de­gna delle rivelazioni celesti e della visione di Dio, come già an­nunciato dalle Beatitudini:

Ecco perché sono "beati i puri di cuore" (Mt 5,8), giacché per loro non ci sono più momenti in cui non godano della dol­cezza delle lacrime, nelle quali vedono continuamente il Si­gnore. I loro occhi sono ancora umidi di lacrime, ed ecco che già, al culmine della preghiera, sono giudicati degni di affer­rarne le rivelazioni, e ormai non pregano più senza lacrime. Da qui si comprende che cosa voleva dire il Signore con le parole "beati quelli che piangono, perché saranno consolati"

26 I,37 {pp. 174-n5l Touraille 85 (p. 428); PR .35 (pp. 245-246).

(Mt 5,4). Infatti proprio a partire dalle lacrime si perviene al cuore puro. Ma il Signore, parlando di consolazioni, non ha spiegato in che cosa esse consistano. Quando un monaco, · grazie alle lacrime, è giudicato degno di attraversare i terri­tori accidentati delle passioni per giungere alle pianure della purezza del cuore, vi ritrova una consolazione che non sarà mai provata in questo mondo. Egli allora comprende che là è la consolazione che si riceve grazie alla purezza del cuore quando cessano le lacrime, e che Dio ha voluto concederla a coloro che piangono. Infatti è impossibile che chi piange e si duole incessantemente sia tormentato dalle passioni, ché il dono delle lacrime e del pianto appartiene a coloro che non hanno più passioni. E se le lacrime di chi piange e si la­menta a lungo non solo lo portano all'assenza delle passioni, ma anche purificano completamente la sua mente e la libera­no dal ricordo delle passioni, che dire allora di quelli che si sono votati giorno e notte a questa pratica? Ecco perché nes­suno conosce esattamente il soccorso prestato dalle lacrime, tranne coloro che sono dediti a tale fatica. Tutti i santi si sfor­zano di trovare questa via d'accesso perché, grazie alle lacri­me, viene loro aperta la porta che introduce nelle plaghe della consolazione, dove le tracce dell'amore di Dio sono impresse dalle rivelazioni 27 •

Così le lacrime della compunzione nascono dall'aver conqui­stato la purezza del cuore e l'assenza delle passioni, che portano poi alla perfezione dell'amore di Dio. Il segno che si è raggiunto l'amore di Dio sta nella facilità con cui si versano lacrime quan­do si pensa a lui:

Domanda: Da che cosa si può capire di aver raggiunto l'amore perfetto per Dio? Risposta: Dal fatto che il ricordo di Dio si agita nella mente, il cuore si infiamma immediatamente d'amore e gli occhi versa-

27 I,37 (pp. !78-r79l = Touraille 85 (pp. 432-433); PR 35 (p. 253).

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no copiose lacrime. Giacché l'amore è avvezzo alle calde la­crime quando gli tornano alla mente le persone amate. Chi si trova in questo stato non sarà mai privo di lacrime, perché non gli mancherà mai ciò che gli riconduce alla mente il pen­siero di Dio; persino nel sonno egli parla con Dio. Poichè l'a­more è avvezzo a produrre tali cose, che costituiranno la pie­nezza degli uomini nella vita futura 28 .

Isacco rammenta spesso che le lacrime della compunzione do­vrebbero accompagnare la preghiera, specialmente durante la lettura dei salmi:

Le lacrime che scorrono durante la preghiera, la dolcezza dei versetti [dei salmi] che si riversa sul cuore e lo intenerisce, la lingua che si impegna a ripeterli uno dopo l'altro, insaziabil­mente e con amore, e che non può risolversi a !asciarli a cau­sa delle delizie che vi trova, o ancora la modesta 29 gioia che di tanto in tanto sopraggiunge nel tempo della lettura o della meditazione: tutto questo, e ciò che vi assomiglia, è il sapore del soccorso della grazia di Dio, inconsapevolmente30 gustato da quanti si prodigano nella loro opera allo scopo di fortifica­re e far progredire l'anima verso una condizione di eccellen­za, affinché essa accresca ulteriormente il loro vigore 31 •

Secondo lui le lacrime che cominciano a sgorgare durante la preghiera sono il segno che il nostro pentimento è stato accol­to da Dio 32 • Quando il dono delle lacrime è concesso durante la preghiera, il diletto che ne deriva non deve essere preso per infingardaggine 33 . Le lacrime sono frequenti per chi vive nella

28 I,37 (p. r83) = Touraille 85 (p. 439); PR 35 (pp. z6r-z6z). 29 Letteralmente: "parziale". 30 Letteralmente: "senza conoscenza". 31 Centurie di conoscenza III,37· 32 Cf. I,54 (p. 269) = Touraille 33 (p. zo8); PR 53 (p. 384). " Cf. I,64 (p. 307) = PR 65 (p. 446).

quiete, "talora accompagnate dalla sofferenza, talaltra dalla me­raviglia; giacché il cuore si umilia e diventa come un fragile pop­pante e, quando prega, le lacrime si mettono a scorrere prima ancora che abbia cominciato" 34. Secondo la testimonianza di Isacco la maggior parte dei bravi monaci del suo tempo facevano l'esperienza di queste lacrime durante la preghiera:

Dimmi, fratello mio, se esiste un uomo che sia rimasto quasi tre giorni e tre notti prostrato davanti alla croce, come alcuni nostri padri, o abbia ricevuto il dono delle lacrime durante la celebrazione dell'ufficio - quel dono di cui la maggior parte dei fratelli dallo spirito buono hanno esperienza - in quanti­tà cosl irresistibile da renderlo incapace di portare a termine l'ufficio: pur lottando per riuscirei, sarà costretto a interrom­pere l'ufficio per l'abbondanza delle lacrime, e farà come chi si risveglia da un sonno profondo con tutto il corpo trasfor­mato per cosl dire in una sorgente di lacrime che sgorgano dal s~o cu?re, provenienti dalla grazia che è in lui. Egli è irrorato d1la~n~e e la sua lingua tace per la gioia; intuizioni sorpren­denti gli fanno scorrere le lacrime e rigare il viso, mentre la sua anima è rapita e ricolma di un'esperienza ineffabile35.

Possiamo dunque constatare che Isacco non considera il dono delle lacrime una cosa straordinaria, un carisma speciale di cui solo un piccolo numero sarebbe giudicato degno. Al contrario ri­tiene che questa esperienza sia necessaria a tutti i cristiani non solo ai monaci. '

. Ma che debbono fare quelli che per natura sono incapaci di piangere o poco inclini a farlo? Isacco risponde a questa doman­da nel capitolo r8 della seconda parte. Le lacrime continue so-stiene, possono scorrere per tre ragioni: '

:; I,64 (p. )ro) = Touraille 34 (p. zr3); PR 65 (p. 45r). II,r4,46.

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Prima di tutto può succedere che abbondanti lacrime co­mincino a scorrere senza che uno lo voglia e senza che provi alcun dolore, in conseguenza dello stupore davanti a intuizio­ni piene di mistero, quando esse sono rivelate all'intelletto ... Oppure le lacrime nascono da un ardente amore di Dio che infiamma l'anima, che non può sostenerne più a lungo la dolcezza e le delizie senza piangere continuamente. Anco­ra, le lacrime possono sgorgare da un cuore profondamente prostrato 36 •

Tuttavia, se uno non conosce queste lacrime abbondanti non vuol dire che sia privo di lacrime, quanto piuttosto dell'origine stessa delle lacrime: il suo cuore non possiede le radici che le producono. In altri termini, egli non ha mai sentito il gusto del­l' amore di Dio; la presenza continua a Dio non ha fatto scattare in lui la meditazione sui misteri divini ed egli non ha neppure un cuore umile (mukkaka), benché si illuda di possedere l'umil­tà (makkikuta)37

Ecco perché, quando ci mancano le lacrime, non dobbiamo cercare scuse nella costituzione particolare della nostra natura. Poiché la vera umiltà non è una qualità naturale e si acquisisce solo attraverso la presa di coscienza della propria indegnità e il ricordo dell'umiltà del Signore, parimenti le lacrime non dipen­dono dalla natura ma sono conseguenza di una delle tre cause sopra menzionate:

Se non hai un cuore umile né il dolore dolce e ardente che proviene dall'amore di Dio, cioè le radici delle lacrime che diffondono una così piacevole consolazione nel cuore, non cercare scusanti in qualche paralisi dovuta alla natura o in una presunta inerzia congenita del cuore.

36 II,r8,4-6. 37 Cf. II,r8, 7·

r66

Infatti, quando vi sono umiltà di cuore e coscienza della pro­pria indegnità

è impossibile trattenere le lacrime anche volendo, poiché zampilla spontaneamente dal cuore una fonte inesauribile grazie al sentimento di ardente e incontenibile dolore che lo pervade e alla ferita che lo strazia 38 •

Isacco distingue tuttavia le lacrime esteriori, che scorrono vi­sibilmente, da quelle interiori, celate nel profondo del cuore:

"Entra nella tua stanza, veglia e prega Dio in segreto" (cf. Mt 6,6) si accorda con "Beati coloro che piangono" (Mt 5,4), perché proprio grazie alle lacrime e alla quiete la preuhiera di­venta limpida, ed è grazie alla preghiera che coloro ~he pian­gono sono consolati; consolazione che le lacrime non bastano a conquistare, se non si resta soli con se stessi ... Anche senza lacrime esteriori, esistono lacrime nascoste versate nel pen­siero. Colui che porta in cuore una sofferenza continua per i propri peccati, o sul cui cuore si effonde la tristezza al pensie­ro dell'umiliazione di nostro Signore o dei peccati degli uorni­ni, o che fors'anche si affligge e soffre a causa delle realtà del cielo che non cessa di attendere ... un uomo del genere, che non può essere consolato da alcuna cosa terrena, che non ot­tiene ciò è causa della sua sofferenza, non può essere altro che un continuo "piangente" 39 , giacché anche in assenza di lacrime materiali egli piange nel segreto [del suo cuore]. A co­lui che possiede uno di questi [motivi per piangere] si applica il detto "Beati quelli che piangono, perché saranno consolati" (Mt 5A)4o.

38 II,r8,I4-I5. 39

Gioco di parole su abi!a che significa sia "piangente" che "monaco". 4° Centurie di conoscenza IV, 74·

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Non è dunque sempre necessario piangere fisicamente, poi­ché l'asceta può piangere di continuo nel suo cuore; l'importan­te è che resti un "piangente", quali che siano le sue lacrime: fisi­che o interiori, lacrime amare del pentimento o lacrime dolci della compunzione. Ecco perché non sempre !sacco le distin­gue; esse sono piuttosto due facce di una stessa medaglia, due aspetti di un'unica e identica esperienza. Le lacrime della com­punzione, che nascono da un'intuizione mistica dell'amore di Dio e da un profondo sentimento di umiltà, sono lacrime gioio­se. Esse tuttavia al tempo stesso si accompagnano al pentimen­to, alla coscienza di essere peccatori, al "dolore ardente" e a un cuore frantumato.

VI UNA SCUOLA DI PREGHIERA

Come nulla può essere paragonato a Dio, così non c'è né servizio né opera che possano essere paragonati alla conversazione con Dio nella quiete.

Il,JO, I

Il tema della preghiera è quello più spesso evocato da !sacco e più approfonditamente sviluppato. Chi legge le sue opere non solo è in grado di farsi un'idea precisa del modo in cui pregavano !sacco e i fedeli della chiesa d'oriente di quel tempo, ma dispo­ne per giunta di una descrizione dettagliata riguardo alla teoria e alla prassi della preghiera secondo la tradizione cristiano-orien­tale nel suo insieme. Per questi motivi gli scritti di !sacco sono stati una scuola di preghiera per i suoi contemporanei e lo sono rimasti per molti cristiani nelle diverse regioni del mondo in cui si continua a leggerli e a metterne in pratica i consigli.

Per facilitare la presentazione del suo insegnamento sulla pre­ghiera occorre enuclearne i temi più specifici. Dopo aver dato uno sguardo d'insieme alla sua teoria della preghiera ne studie­remo alcuni aspetti esteriori. Parleremo quindi della preghiera di fronte alla croce, e questo ci darà l'opportunità di evidenziar­ne l'importanza per i cristiani siriaci. La lectio quotidiana e le veglie notturne saranno analizzate in quanto elementi importan-

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Non è dunque sempre necess~rio piangere fisican;:nte, poi­ché l'asceta può piangere di contmuo nel suo cuore; l1~port~~­te è che resti un "piangente", quali che siano le sue lac~1me: flSl~ che 0 interiori, lacrime amare del pentimento o lacnme :fo!Cl della compunzione. Ecco perché non sempre Isacco le _d1stm­gue; esse sono piuttosto due facce :fi una stessa _medaglia, due aspetti di un'unica e identica espenenza. Le lacnme della com~ punzione, che nascono da un'intui~ion: ~istica dell:amo~e .d1 Dio e da un profondo sentimento d1 umilta, sono lacnme ~1o1o­se. Esse tuttavia al tempo stesso si accompagnano al pentimen­to alla coscienza di essere peccatori, al "dolore ardente" e a un

' cuore frantumato.

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VI UNA SCUOLA DI PREGHIERA

Come nulla può essere paragonato a Dio, così non c'è né servizio né opera che possano essere paragonati alla conversazione con Dio nella quiete.

II,30,I

Il tema della preghiera è quello più spesso evocato da Isacco e più approfonditamente sviluppato. Chi legge le sue opere non solo è in grado di farsi un'idea precisa del modo in cui pregavano Isacco e i fedeli della chiesa d'oriente di quel tempo, ma dispo­ne per giunta di una descrizione dettagliata riguardo alla teoria e alla prassi della preghiera secondo la tradizione cristiano-orien­tale nel suo insieme. Per questi motivi gli scritti di Isacco sono stati una scuola di preghiera per i suoi contemporanei e lo sono rimasti per molti cristiani nelle diverse regioni del mondo in cui si continua a leggerli e a metterne in pratica i consigli.

Per facilitare la presentazione del suo insegnamento sulla pre­ghiera occorre enuclearne i temi più specifici. Dopo aver dato uno sguardo d'insieme alla sua teoria della preghiera ne studie­remo alcuni aspetti esteriori. Parleremo quindi della preghiera di fronte alla croce, e questo ci darà l'opportunità di evidenziar­ne l'importanza per i cristiani siriaci. La lectio quotidiana e le veglie notturne saranno analizzate in quanto elementi importan-

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ti della preghiera di tutti i giorni. Dovremo inoltre sottolineare il carattere universale della preghiera secondo !sacco, come pure il suo insegnamento sulla preghiera per il prossimo, per la chiesa e per il mondo. Bisognerà poi ancora accennare alle regole con­crete della preghiera. La conclusione verterà sulla meditazione e sugli stadi più elevati della preghiera, dove essa non esiste più in quanto tale ma si trasforma in contemplazione.

La preghiera

Secondo Evagrio "la preghiera è la conversazione della mente con Dio" 1 . Per I sacco la conversazione ('enyana) della mente con Dio costituisce l'attività spirituale più elevata e più impor­tante per ogni cristiano, e non può essere paragonata a nessu­n' altra attività: "Proprio come nulla può essere paragonato a Dio cosl non c'è né servizio né opera che possano essere para­aon~ti alla conversazione con Dio ('enyana d- 'am alaha) nella ~uiete" 2 • Per preghiera I sacco intende l'insieme d_egli atti che accompagnano la conversazione della mente con D10:

Ogni applicazione dell'intelletto a Dio e ogni meditazione sulle cose spirituali che sia circondata di preghiera si chiama preghiera ed è compresa sotto questo nome, che si tratt~ di letture diverse, delle grida di una bocca che rende grazte a Dio, di pensieri dolorosi riguardo al Signore, di inclinazioni del corpo, di alleluia della salmodia e di tutto ciò che è alla base di un insegnamento sulla vera preghiera 3 •

1 Evagrio Pontico, Sulla preghiera 3. 2 II,JO,I. 3 I,63 (p. 303) = Touraille 35 (p. 219); PR 63 (pp. 439-440).

170

Secondo il pensiero ascetico tradizionale dei cristiani d' orien­te la preghiera è la base della vita spirituale cristiana, fonte e origine di ogni bene. !sacco la definisce così:

La preghiera è rifugio ausiliatore, fonte di salvezza, tesoro di certezza, porto che salva dalla tempesta, luce per chi è nella tenebra, bastone per gli infermi, riparo contro le tentazioni, rimedio nel punto critico della malattia, scudo che protegge in guerra, freccia aguzza scoccata verso il volto del Nemico· in breve: la preghiera è ciò che permette di accedere a tutti questi beni4

Altrove !sacco definisce la preghiera come "la libertà della mente, la sospensione di tutto ciò che appartiene alla terra e un cuore il cui sguardo è interamente rivolto al desiderio ardente che accompagna la speranza delle cose a venire" 5 . Un altro pas­so presenta la preghiera come un'attività che rende lo spirito dell'uomo simile a Dio:

Nulla è tanto amato da Dio e onorato dagli angeli, nulla umi­lia tanto Satana e incute terrore ai demoni, fa tremare il pecca­to, fa scaturire la conoscenza, attira la misericordia, cancella i peccati, conquista l'umiltà, rende sapiente il cuore, procura consolazioni e unifica l'intelletto, nulla produce tutti questi effetti così pienamente come un solita_rio inginocchiato per terra e dedito alla preghiera continua. E quello il porto della conversione che tanti pensieri di pentimento mescolati alle la­crime ardentemente desiderano. Essa è il tesoro della forza, il lavacro del cuore, il sentiero della purezza, la via delle rive­lazioni e la scala dell'intelletto. Essa rende la mente simile a Dio e attraverso i suoi slanci gli fa il dono di riceverlo, come se fosse già nelle realtà futuré.

4 I,8 (p. 68) = Touraille 21 (p. 144); PR 8 (p. 105). 5 I, 71 (p. 345) = Touraille 81 (pp. 395-396); PR 74 (p. 508). 6 Centurie di conoscenza IV .3 r.

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Nell'ora della preghiera, quando la mente è raccolta e tutti i sensi sono stati ricondotti all'armonia, si produce un incontro tra Dio e l'arante. "Perché tutte le rivelazioni di Dio ai san­ti giungono nel momento della preghiera?", si chiede I sacco, e risponde: "Perché nessun tempo come quello della preghiera è fatto per la santità" 7 • Ecco perché tutti i doni spirituali e tutte le visioni mistiche furono accordate ai santi durante le loro pre­ghiere. Fu allora che un angelo apparve a Zaccaria per annun­ciargli il concepimento di Giovanni il Battista (cf. Le r,rr ss.); fu durante la preghiera dell'ora sesta che Pietro ricevette una vi­sione da parte di Dio (cf. At ro,9 ss.), e l'angelo apparve a Cor­nelio mentre era raccolto in preghiera (cf. At ro,3 ss.).

Quando una volta all'anno il sommo sacerdote nell'ora tre­menda della preghiera penetrava nel Santo dei Santi e si pro­strava faccia a terra ... sentiva gli oracoli di Dio attraverso una rivelazione impressionante e ineffabile. Che mistero ter­ribile si celebrava in quella cerimonia! È sempre al tempo del­la preghiera che tutte le visioni e le rivelazioni si sono mani­festate ai santi. In verità, quale tempo è altrettanto santo, quale per la sua santità cosl adatto a ricevere doni, quanto quello in cui l'uomo conversa con Dio? In quel momento, mentre formula le sue domande e le sue suppliche al cospetto di Dio e gli rivolge la parola, l'uomo si sforza di riunire tutti i moti e tutti i pensieri dell'anima per conversare solo con Dio, e allora il suo cuore è cosl abbondantemente ripieno di Dio da comprendere ciò che è impenetrabile 8.

Vediamo ora le principali condizioni poste da !sacco perché la preghiera sia vera.

La prima condizione è di pregare attentamente e senza di­strazioni: le attività esteriori non dovrebbero mai distoglierci

7 Centurie di conoscenza III,84. 8 I,23 (pp. I20-I2I) = Touraille 32 (p. 202); PR 22 (pp. I7J-I74l-

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dalla preghiera. !sacco cita l'esempio di un asceta che avrebbe detto:

Sono stupefatto quando sento parlare di monaci che eseguo­no un lavoro manuale nella loro cella, riescono a portare a ter­mine le preghiere previste dalla regola senza trascurare nulla e conservano imperturbata la mente. Quanto a me, in verità ti dico che se esco a portare dell'acqua mi trovo estromesso dal­l'ordine naturale della mia mente e non sono più in grado di compiere le mie opere di virtù 9 .

Bisogna poi combattere i pensieri estranei alla preghiera, che provengono dal demonio e turbano la mente: "Non dipende da noi che pensieri estranei si introducano o meno nella nostra mente quando preghiamo; ma fermarsi o non fermarsi a medita­re su di essi, questo sì che dipende da noi" 10 . Così dicendo !sac­co si rifà all'insegnamento monastico corrente sulla vigilanza (in greco népsis), che implica un atteggiamento di attenzione tale da vigilare sull'intelletto e scacciarne ogni pensiero estraneo non appena si presenta; insegnamento già impartito con straordina­ria chiarezza da Evagrio nei suoi testi sul discernimento delle passioni e dei pensieri e sulla vigilanza.

In terzo luogo, è importante evitare durante la preghiera tutto ciò che è frutto di immaginazione: ogni immagine o rappresen­tazione che prendesse forma nella mente costituirebbe una bar­riera tra l'uomo e Dio e rischierebbe di distruggere l'opera della preghiera:

Non approvare quelli che, al momento della preghiera, si fingono nella mente un'immagine sensibile e invece che nel pensiero unico, semplice e solitario che contiene l'intuizione

'I,2r (p. ro8) = PR rS (p. 146). 1° Centurie di conorcenza III,r4.

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dell'incomprensibilità del nostro Salvatore, trovano soddisfa­zione nei fantasmi del loro pensiero. Al contrario, noialtri evitiamo costoro e i loro simili, ingannati come sono dalle lo­ro stesse allucinazioni e, quando la preghiera acquista vigore, ci prepariamo attraverso un raccoglimento totale, affidando i sensi della nostra anima allo Spirito di Dio nella semplicità del cuore 11 •

In quarto luogo, bisogna pregare con umiltà. La preghiera del­l'umile passa direttamente dalla sua bocca all'orecchio di Dio 12

:

Quando ti prostri davanti a Dio in preghiera, il tuo pensie­ro diventi come una formica, un animale che striscia, una sanguisuga, un fragile lattante che farfuglia. A Dio non di­re niente che sappia di erudizione, ma avvicinati a lui con il pensiero di un bambino, e diventerai degno di quella prote­zione di cui i padri circondano i loro figli più piccoli 13 .

In quinto luogo, è importante pregare con sentimenti profon­di e lacrime. L'afflizione del cuore unitamente alle sofferenze corporali così come le prostrazioni devono diventare parte inte­grante della preghiera: "Considera fallita quella preghiera in cui il corpo non soffre e il cuore non è afflitto, giacché una tale pre­ghiera è senz' anima" 14 . E al tempo stesso !sacco cita Evagrio, per il quale "la preghiera è una gioia che rende grazie" 15

. La combinazione di cuore afflitto e gioia spirituale che nasce dal rendimento di grazie diventa una fonte di lacrime che accompa­gna la preghiera, particolarmente ai livelli più alti. Per !sacco, "la pienezza della preghiera è il dono delle lacrime" 16 . "Durante

11 Centurie di conoscenza II,59. 12 Cf. I,6 (p. 59)= Touraille 56 (p. 303); PR 6 (p. 93). 13 !,72 (p. 351) = Touraille 19 (p. 128); PR 77 (p. 524). 14 I,n (p. 107) = Touraille 76 (p. 383); PR 65 (p. 446). . . 15 I,8 (p. 68) = Touraille 21 (p. 144); PR 8 (p. w6). Cf. Evagno Pontlco, Sulla pre­

ghiera I 5: "La preghiera è il frutto della gioia e del rendimento di grazie". 16 I,64 (p. 307) = PR 65 (p. 446).

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la preghiera le lacrime segnalano che il pentimento dell'anima è stato giudicato degno della misericordia di Dio, che è stato ac­cettato e che l'anima, attraverso le lacrime, ha appena fatto il suo ingresso sulle plaghe della limpida purezza" n.

In sesto luogo, è importante pregare con pazienza e ardore, due qualità che hanno a che fare con l'amore di Dio:

L'amore è il frutto della preghiera che, attraverso la sua con­templazione, attira un intelletto insaziabile verso l'oggetto dei suoi desideri, quando persevera pazientemente nella pre­ghiera senza lasciarsi abbattere, sia che la preghiera appaia visibilmente e impegni il corpo, sia che essa si svolga con im­pegno e fervore attraverso le riflessioni silenziose della men­te. La preghiera è la mortificazione degli impulsi del desi­derio che appartengono alla vita carnale, giacché colui che prega come si deve assomiglia a chi è morto al mondo. Questo è il significato dell'espressione "rinunciare a se stessi" (cf. Mc 8,34): perseverare coraggiosamente nella preghiera1s.

In settimo luogo, ogni parola della preghiera deve sgorgare dalle profondità del cuore. Anche se sono tratte dai salmi, le pa­role della preghiera devono essere pronunciate come se fossero di colui che prega:

Recitando i versetti dei salmi, non fare come chi ripete le pa­role di un altro, per non restare completamente estraneo alla compunzione e alla gioia racchiuse nei salmi. Al contrario, re­cita le parole della salmodia come se fossero veramente tue in modo da formulare la tua supplica con comprensione e co~ una compunzione dotata di discernimento 19•

17 I,54 (p. 269) = Touraille 33 (p. 208); PR 53 (p. 384).

18 I,66 (p. 325) = Touraille 69 (pp. 353-354); PR 68 (p. 476).

19 !,54 (p. z69) = Touraille 33 (p. 207); PR 53 (p. 384).

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!sacco tiene in grande considerazione la salmodia e sottolinea l'importanza di meditare le parole dei salmi:

Le parole sorprendenti depositate nei cantici affidati alla san­ta chiesa, insieme alle molte altre parole elevate che lo Spirito ha sparso in questi canti armoniosi, possono secondo alcuni prendere il posto della preghiera perfetta. A meditarle, esse fanno nascere in noi preghiere pure e intuizioni elevate e ci avvicinano alla limpidezza (shapyuta) della mente e allo stu­pore di fronte a Dio, e a tutto ciò che Dio userà per illuminar­ci con la sua sapienza al momento opportuno, quando sceglie­remo versetti appropriati per offrirli al Signore con l'intento di farne una supplica, e li ripeteremo a lungo e con calma20

In ottavo luogo, non bisogna "preoccuparsi della quantità del­la preghiera, bensì mirare alla qualità" 21

• Può succedere che un solo versetto di un salmo basti ad alimentare un lungo momento di preghiera; ma in altri casi il monaco deve cambiare spesso

salmo:

Infatti, a partire da una sola parola si può prolungare una pre­ghiera per tre notti e tre giorni. Nulla impedisce a un solitario di utilizzare per tutta la vita un solo versetto di preghiera, per l'orazione e per l'ufficio, senza sentirsi minimamente in col­pa. Ma poiché, cambiando spesso salmo, disponiamo di nu­merosi sensi diversi grazie ai quali l'intelletto si dispone a es­sere colto da stupore davanti a Dio, passare frequentemente da un salmo all'altro non ci disturba affatto 22

Forse dicendo che un solo versetto basterebbe a nutrire la pre­ghiera cli un'intera vita, !sacco ha in mente Paolo il Semplice, da

"II,2I,7· 21 Centurie di conoscenza II,55· 22 Ibid.

lui spesso citato 23 e che, secondo fonti monastiche 24, poté ap­

prendere solo l'inizio del Salmo r, ma gli bastò a raggiungere la pienezza spirituale. Non è poi escluso che il nostro autore alluda alla pratica, diffusa tra i monaci, della preghiera continua sulla base di una breve formula come la "preghiera di Gesù", che pro­prio all'epoca di !sacco (vii-VIII secolo) aveva avuto un certo suc­cesso nei circoli monastici di Bisanzio. Non sappiamo se la for­mula bizantina della "preghiera di Gesù" fosse in uso nell'oriente siriaco, ma è certo che doveva esserci un tipo analogo di preghie­ra, trattandosi di una pratica universale presso i monaci.

In nono luogo, al momento della preghiera bisogna essere cer­ti della propria assoluta fiducia in Dio 25 . Per questo non si devo­no chiedere a Dio i beni materiali che egli ci darebbe comunque, anche senza esserne pregato:

Presenta le tue richieste a Dio in modo confacente alla sua gloria, sicché il tuo onore sia magnificato davanti a lui ed egli si compiaccia di te ... Non chiedergli ciò che ha già deciso di darti spontaneamente ... Un figlio al padre non chiede pane, ma le cose importanti e preziose della sua casa. Ordinandoci di pregare per il pane quotidiano (cf. M t 6, r r) il Signore ha tenuto conto della debolezza di spirito dell'uomo comune, giacché a coloro che avevano una conoscenza piena e un'ani­ma sana ha detto: "Perché vi affannate per il vestito? ... Cer­cate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste co­se vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,28.33)26•

Coloro che hanno veramente fede in Dio non gli chiedono "donaci questo" oppure "liberaci da quest'altro", né si curano

23 Cf. per esempio I,75 (pp. 372·373) =PR So (p. s6o); II,q,20-22 (i due passi so-no citati più avanti in questo stesso capitolo).

24 Rufina, Storia dei monaci IX,2,7. "I,54 (p. 266) = Touraille 33 (p. 204); PR 53 (p. 379). 26 I,3 (pp. 23-24) = Touraille 44 (pp. 251-252); PR 3 (pp. 32-33).

I77

;

i

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minimamente di se stessi, perché sentono la provvidenza pater­na di Dio nella loro vita 27• Invece di chiedere a Dio: "Che cosa mi donerai?", l'anima nata libera gli chiede di il te­soro della fede nel suo cuore, "benché Dio bisogno neanche di questa preghiera" 28 •

Infine, la preghiera non è priva di con la vita con-creta di ciascuno di noi. Essa deve corrispondere al dubbara (condotta) di un monaco: "Una non si accompa-gna a una bella condotta è come un'aquila perde le pen-ne" 29 , ammonisce Isacco. Se l'arante trascura gli altri elementi dell'ascesi, la sua preghiera ne

Secondo Isacco, dunque, le caratteristiche della preghiera so­no l'attenzione e la vigilanza, l'assenza di distrazioni, di pensie­ri estranei e immaginazioni, l'umiltà, il pentimento e le lacrime, la pazienza e il fervore, le parole affiorano dal profondo del cuore, la cura della qualità e non della quantità, la fede, l'abban­dono fiducioso a Dio e uno di vita che le sia consono. Una preghiera dotata di queste qualità arriverà presto e facilmente al­le orecchie di Dio.

Ma perché sembra a volte Dio tardi a rispondere alle no-stre domande o che addirittura non le esaudisca? Isacco ipotizza due ragioni. La prima è la provvidenza di Dio, grazie alla quale egli dona a ciascuno secondo la sua misura e la sua capacità di ricevere:

Non rattristarti se, quando lo supplichi, Dio indugia a ri­spondere: non sei più sapiente dì Dio. Questo avviene o per­ché non sei di ricevere ciò che chiedi, o perché le vie del tuo cuore non sono in sintonia con le tue richieste e anzi

27 Cf. !,52 (pp. 253-154) Touraille 62 (p. 329); PR 51 (pp. J6o-J6r). 28 II,8,24. 29 Centurie di conoscema III,5o.

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contrastano con esse, o anche perché la tua misura interiore non è abbastanza matura per l'eccellenza che tu sollecitPo.

Se la nostra preghiera non viene esaudita ciò dipende anche dai nostri peccati, che d allontanano da Dio:

Se Dio è veramente pieno dì misericordia, com'è ""u''~";u<:: che non ci ascolti e non presti attenzione alla nostra ra quando, assaliti dalle tentazioni, bussiamo alla sua porta e preghiamo incessantemente? Il profeta l'ha con chia-rezza quando ha detto: "La mano del non è troppo piccola per salvarci, il suo orecchio non è così sordo da non sentirei, ma i nostri peccati ci hanno allontanato da lui, le no­stre iniquità gli hanno fatto voltare il capo dall'altra parte per non sentirei" (cf. Is 59, Ricordati sempre di Dio, ed egli si ricorderà di te ogni volta che nel male 31 •

Gli aspetti esteriori della preghiera

Generalmente si pensa autori mistici mostrino scarso interesse per gli aspetti esteriori dell'ascesi e della prassi della preghiera, supponendo si concentrino sui frutti interio­ri di tali pratiche. Isacco il Siro fa parte della schiera relativa­mente nutrita di autori smentiscono questa erronea opinio­ne. In lui troviamo molte descrizioni delle forme esteriori della preghiera in base sua prassi personale e a quella degli eremiti del suo tempo. una di queste descrizioni:

30

J1 (p. 24) Touraille 44 (p. 252); PR 3 (p. 33). (p. 46) Touraille 5 (p. 82); PR 5 (p. 70).

179

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C'è chi passa la giornata intera a pregare e re, dedicandone solo una piccola parte alla lc~:lla.t.l~>Hcc terio, e così accresce in sé nel migliore dei il continuo raccoglimento in Dio. C'è poi si occupa tutta la i'\1'-'lll«L"­

dei salmi, senza nemmeno rendersi conto di pregare. cora si limitano a ripetere giorno e notte molte ~;<=JllUILH .. ,,~.,Jal (sbìsut syam burke), recitando contempo le diverse parti delle ore e dell'ufficio ... Di tanto in tanto si alzano, con il cuore rasserenato, e si volgono per un attimo meditazione della Scrittura. Un altro riempirà la intera con la let­tura delle Scritture, allo scopo di dimenticare questo mondo che passa e chiudere la mente a riguardante le questioni temporali e a ogni con le passioni; trovando la sua gioia nelle intuizioni ai misteri divini, meravi-gliandosi a ogni istante davanti all'economia divina, dediche­rà poco tempo alla recitazione in della preghiera e della salmodia: il tempo consacrato alla lettura sarà più importante di quello consacrato alla 1-'"•n'"''"·'u

Il passo d fornisce un elenco di aspetti esteriori della preghiera: la salmodia, la lettura, le genuflessioni. Isacco tiene in grande considerazione i salmi e sostiene che proprio o:razie alla recitazione continua del salterio molti hanno raggi un-o to la gioia ineffabile "che riduce la lingua al silenzio dello stupo-re" quando li colpisce in modo sovrannaturale:

I8o

Dove sono quelli che sostengono che i salmi non sono neces­sari all'ufficio? Dico la verità come se parlassi davanti a Dio: conosco un uomo che è degno di tutto ciò nella sua personale tutti questi beni li ha ricevuti a partire dalla attraverso la misericordia della

e non solo una volta o due ... beni che consi­rivelazioni e misteri ìneffabili, nella sensazio-

ne meravigliosa delle cose del mondo a venire e di una conoscenza che trascende la natura33 .

Isacco attribuisce grande valore alle genuflessioni e alle pro­strazioni, che considera tra gli esercizi spirituali più importanti, al di sopra della salmodia e delle altre pratiche

Non pensare che la prostrazione in ~,.;,..,,....,,.,,,_.,..,

davanti a Dio sia una forma di ozio, perché anzi neppure la salmodia la eguaglia in grandezza35 . Fra tutte le azioni eccel-lenti compiute dagli uomini non c'è ... Es-sa è il segno della morte al mondo e, a dell'Interprete, la via precisa del pentimento. Essa è umiltà corpo e del pensiero, fine delle suggestioni dissolvimento desideri, preparazione simbolica do [la morte] dal corpo, Dio: tutti i beni di e mondo futuro vi si trovano riuniti. Quest'opera non sembri dunque ai tuoi occhi. Se puoi, portala a senza sosta perseveran­do in essa e in essa sola, rinunciando a tutto il resto e a te stesso. Se le consacri la tua anima, non parlare della tua feli­cità in una lingua di questa terra: ti assicuro che quello che ti succederà da questo momento in sarà stupefacente e inef-fabile. Quest'opera è veramente perfetto dal mondo, o piuttosto dai comportamenti corrotti. È la fine di tutti i tra­vagli, il debito pagato a tutti i comandamenti, e il compimen­to di ogni eccellenza 36 •

Isacco raccomanda di prostrarsi spesso durante la preghiera:

che la recitazione dei salmi, ama le pro-strazìoni .

CetJturie di conoscenza I,2o.

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Quale che sia il momento nel quale Dio apre il tuo pensie­ro dall'interno, devi dedicarti a piegamenti e prostrazioni in­cessanti ... Nelle lotte dell'ascesi niente è più grande e più arduo e niente suscita in misura maggiore l'invidia dei de­moni delle prostrazioni dinanzi alla croce di Cristo, pregan­do giorno e notte, le mani legate dietro la schiena come dei colpevoli37•

!sacco cita la preghiera notturna di un monaco era andato a far visita come esempio del modo in cui le prostrazioni si devo­no moltiplicare durante la preghiera: "Non riuscivo a contare il numero delle sue prostrazioni. E chi mai avrebbe potuto contare le prostrazioni eseguite da quel fratello ogni notte?" 38•

Accanto alle prostrazioni, un altro atteggiamento esteriore che può accompagnare la preghiera è quello di percuotere la te­sta al suolo. Questa pratica e altre simili sembra siano state mol­to diffuse non solo nella tradizione siriaca, ma nel rnonachesirno orientale in genere39 . "Piangere, percuotersi il capo durante la preghiera40, gettarsi a terra con fervore", tutto questo, secondo Isacco, "risveglia il calore ... della dolcezza all'interno del cuore che, in ammirevole rapimento, si slancia verso Dio" 41 . I sacco parla di battere il suolo con la testa "cento volte o più" 42 e sotto­linea che alcune di queste pratiche possono essere appropriate per ciascun asceta al momento della preghiera, ma non c'è una regola generale che valga per tutti. Tuttavia stupisce che, secon­do lui, la celebrazione giornaliera dell'ufficio nel suo insieme possa essere sostituita dal percuotere la testa:

38) = Touraille 2 3 (p. r6r); PR 4 (pp. 57-58). ro5} Touraille 75 (p. 38o); PR r8 (p. 140).

Climaco (Scala del paradiso 5,ro) menziona l'uso di battersi il pet­JJn:glll•c«>, mentre Simeone il Nuovo Teologo parla di percuotersi il viso e

strapparsi! (Catechesi 3o,r68-r69l-40 O anche: "battere il suolo con la testa". 41 I,r9 (p. 99) = Touraille r3 (p. rii); PR r6 (p. I}I). 42 I, n (p. ro5) = Touraille 75 (p. 38o); PR r8 (p. r4o).

r82

Le diverse opere di coloro che vivono secondo Dio sono le se­guenti: c'è chi, al posto delle ore del suo ufficio, si batte tutto il giorno la testa. Altri raggruppa le preghiere fisse tutte in­sieme e le prolunga attraverso prostrazioni continue. Altri an­cora sostituisce gli uffici con abbondanti lacrime, e tanto gli basta ... Ma un altro, che aveva poca esperienza di queste co­se, si gonfiò d'orgoglio e cadde in errore43 •

Quest'ultimo cenno a coloro che si "gonfiano d'orgoglio" è un'allusione ai rnessalianì. In generale !sacco non è interessato alla polemica: egli evita, ad esempio, qualsiasi discussione su te­rni cristologici che possano suscitare controversie. Fanno ecce­zione i messali ani 4\ contro i quali troviamo nei suoi scritti di­verse affermazioni polemiche. Il movimento dei rnessaliani (dal siriaco m.salyane, "quelli che pregano"), apparso nelrv secolo, si era diffuso in tutto l'oriente cristiano. rifiutavano i sacra­menti della chiesa e l'ascesi perché ritenevano che l'attività rituale principale fosse la preghiera, attraverso la quale l'arante poteva raggiungere diversi stadi di estasi45 • !sacco, in quanto lui stesso autore mistico che si era dovuto spesso occupare di terni legati alle pratiche della preghiera e della vita spirituale, era sen­sibile a tutte le manifestazioni di falso rnisticisrno e a tutte le forme non autentiche della preghiera. Egli dunque reagl viva­mente contro gli "errori dei rnessaliani".

Tra i passi antirnessaliani di suo pugno a noi pervenuti, il ca­pitolo 14 della seconda parte occupa il primo posto. Si intitola "Sulla preghiera e le sue forme esteriori" e merita di essere stu­diato partitarnente, giacché contiene molte preziose indicazioni sul modo di pregare dei monaci siriaci del tempo.

u 1,6 (p. 62) Touraille 44 Cf. PR 72 (p. 495); e 47; Centurie conoscenza IV,3r.34 e passìm. 45 C. Srewart, ìVorking o/ the Heal't. Tbe Messa[ian Conti'Oversy in Hist01y,

Texts and Languages to AD 4JI, Clarendon Press, Oxford 1991, ha dato un contributo imporrante alla nostra conoscenza del messa!ianesimo.

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I sacco comincia con l'affermare che nessuno ha il diritto di trascurare le forme esteriori della preghiera, anche se è evidente che la perfezione consiste nell'ottenere da Dio dei doni spiritua­li e la preghiera pura. In realtà, gli atteggiamenti esteriori che esprimono rispetto verso Dio aiutano a progredire interiormente verso la preghiera pura:

Chi decide di abbandonare le fasi iniziali prima di aver trova­to il seguito è evidentemente preda del demonio ... Secondo l'onore che, con corpo e anima, rendiamo a Dio nella pre­ghiera, si aprirà davanti a noi la porta dell'aiuto che ci con­durrà alla purificazione dagli impulsi e all'illuminazione. Co­lui che durante la preghiera assume un atteggiamento rispet­toso, tendendo le mani al cielo quando sta modestamente in piedi o prostrandosi faccia a terra, sarà giudicato degno di ri­cevere cospicue grazie dall'alto. Tutti coloro che abbelliscono continuamente la loro preghiera con tali atteggiamenti este­riori saranno giudicati degni, presto o subito, dell'attività dello Spirito santo, poiché mostrano di considerare grande il Signore ai loro occhi grazie all'onore che gli fanno con i sacri­fici offerti, nei momenti stabiliti dalla legge della loro libera volontà 46

.

Isacco sottolinea che Dio non ha bisogno di segni esteriori di rispetto, ma da parte nostra ci vuole un atteggiamento rispetto­so per abituarci a stare degnamente davanti a lui:

Bisogna che vi rendiate conto, fratelli miei, che Dio desidera vivamente certi atteggiamenti esteriori durante l'ufficio - ge­sti specifici di rispetto e forme visibili della preghiera - non già per sé ma per il nostro bene. Egli infatti non ricava alcun vantaggio da queste cose, né ci rimette nulla se le trascuria­mo; esse sono però un sostegno alla debolezza della nostra

<6 II,r4,8.rr-r2.

natura. Se tali atteggiamenti esteriori non erli fossero o-raditi l. bb o o ' non l avre e egli stesso adottati al tempo della sua incarna-

zione e non ne avrebbe parlato nelle sacre Scritture. Niente pu? disonorarlo, poiché l'onore gli appartiene per natura. Ma no1, a causa delle nostre abitudini trasandate e di ocrni sorta di azioni irriguardose, assumiamo attecrcriamenti inte~iori che d' 00

lmostrano disprezzo nei suoi confronti. Così ci escludiamo dalla grazia per nostra precisa volontà, visto che siamo inclini a cadere: è allora che i demoni ci assalgono e ci ingannano senza posa; è allora che si sviluppa in noi una natura amante degli agi e pro n a alle azioni malvagie 47 •

Dopo aver così argomentato la necessità delle forme esteriori della preghiera, Isacco si scaglia direttamente contro le pratiche dei messaliani:

Molti hanno disprezzato gli aspetti esteriori della preghiera e hanno presunto che a Dio bastasse la preghiera del cuore. Su­pini o seduti in modo irrispettoso pretendono che conti solo il raccoglimento interiore su Dio, e non sono minimamente interessati ad abbellire lo stile visibile della loro preghiera at­traverso prolungate stazioni in piedi secondo il vigore dei loro corpi, né a fare il venerando segno della croce sulle loro mem­bra. Non gli interessa adottare, stando inginocchiati un at­teggiamento interiormente ed esteriormente rispettos~, come di chi si avvicina al fuoco, né mostrare una riverenza partico­lare per il Signore onorandolo con tutto il corpo e mostrando un volto umile. In fatto è che non si sono resi conto del potere del loro Avversario, quindi si lasciano andare a opere false perché non hanno ancora capito che sono mortali e socrcretti a ricevere impulsi da parte della loro anima sempre incll~e alle cadute. Non si accorgono che non hanno racrcriunto lo stato d l

. 00

eg l esseri spirituali, che la resurrezione non ha avuto luocro o

47 II,I4,I3.

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e non sono ancora immutabili. Essendo ancora nel corpo, in una condizione in cui la natura umana deve sforzarsi per adattarsi alle novità, hanno voluto condurre la loro vita se­condo uno stato puramente spirituale, senza essere coinvolti da ciò che appariva inevitabilmente come la costrizione della vita di tutti i giorni in un mondo ancora soggetto alle passio­ni. "Immaginando di essere saggi, si sono comportati con di­sprezzo" (Rm I ,zz), nel senso che si sono manifestati in loro i segni dell'orgoglio e del disprezzo di Dio. In tal modo hanno conseguito una doppia perdita, proprio a causa della preghie­ra che invece è fonte di vita. Tutto ciò perché hanno creduto di poter offrire disprezzo a colui che solo è venerabile, che nessuno può disprezzare e che deve essere onorato da tutti gli

esseri creati 48.

Trascurando così le forme esteriori della preghiera i messalia­ni afferma !sacco si sono messi in contrasto con la tradizione , , della chiesa. Gli antichi padri non pregavano solo nel cuore, ma osservavano molte regole esteriori, prestando particolare cura all'atteggiamento del corpo durante la preghiera: "Non è esatto, come pretendono i loro detrattori, che questo numero fisso di preghiere fosse eseguito soltanto nel cuore, come vorrebbero i seguaci dei messaliani, che negano la necessità delle forme este­riori della liturgia" 49 • I santi padri, continua !sacco, pregavano con rispetto, si gettavano a terra davanti alla croce, si prostra­vano, abbracciavano la croce e a volte passavano ore intere in

ginocchio:

Le loro prostrazioni, grazie alle quali l'anima si manteneva umile, erano assolutamente reali. Essi le eseguivano tutte, avendo cura di alzarsi dal luogo in cui erano seduti - a meno che ne fossero impediti dalla debolezza fisica- con grande ri-

48 II,I4,I4. 49 II,r4,22.

spetto e umiltà di mente e di corpo, poggiando la faccia a ter­ra davanti alla croce. Questi atti di adorazione erano del tut­to diversi da quelli che si svolgevano nel cuore. Nondimeno, ogni volta che si alzavano eseguivano con il corpo secondo le circostanze i vari gesti di adorazione, baciando la croce cin­que o dieci volte e contando ogni gesto e ogni bacio come una preghiera. Nel compiere tali gesti capitava talora di scoprire improvvisamente, all'interno di una sola preghiera, una perla che conteneva tutte le altre. Succedeva ad alcuni di essere ra­piti in spirito dallo stupore della preghiera mentre stavano in piedi o in ginocchio: uno stato che non è controllato dalla vo­lontà della carne e del sangue (cf. Gv 1,13) o dagli impulsi dell'anima. Oppure si ritrovavano in uno degli stati della pre­ghiera pura che spiegheremo più avanti5°.

In seguito Isacco mostra più particolareggiatamente come i padri calcolassero il numero delle preghiere eseguite ogni gior­no, e ci fa intendere che essi recitavano molte preghiere e fa­cevano molte prostrazioni, ma non si alzavano dopo ognuna di esse. Si alzavano una sola volta, ripetevano le prostrazioni e, do­po averle terminate, leggevano la Scrittura, recitavano l'ufficio o pregavano con lacrime:

È così, nel modo che ho appena descritto, che i padri usavano compiere un gran numero di preghiere. Non dedicavano un tempo preciso alla stazione in piedi per ogni preghiera, come molti suppongono e alcuni pretendono, giacché il nostro fra­gile corpo non reggerebbe ad alzarsi ogni volta a ogni nuova preghiera. Il conto delle preghiere non avrebbe mai fine se davvero ci si dovesse alzare dalla sedia un centinaio di volte al giorno, o cinquanta o sessanta- per non dire trecento, com'e­ra costume di certi santi -, cosa che non lascerebbe spazio al­la lettura o alle altre osservanze richieste. Inoltre non ci sa-

50 II,I4,24.

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rebbe stata neppure la possibilità di prolungare la preghiera se nel corso di essa, poniamo, la grazia avesse accordato il dono

lacrime, né dì permettere agli impulsi limpidi di farla durare, come nel caso di quelli che sono giudicati degni di ta­le In luogo di tutto ciò, l'ufficio di una tale persona sa­

stato tormentato, ed essa stessa sarebbe stata piena di turbamento durante tutto il suo servizio51

.

!sacco al lettore di provare lui stesso questi diversi modi pregare, per constatare di persona l'impossibilità di ese­guire cento o più preghiere alzandosi in piedi a ciascuna di esse:

faccia egli stesso la prova e veda se è ca­tranquillamente dalla propria sedia cinquanta

per non dire cento o duecento -, evitando interiore e mantenendo tranquilla la sua pre-

nello stesso tempo al suo ufficio e alla delle Scritture che da sola costituisce una

della preghiera - e di mantenersi tutto il alcuna. Provi a mettere in pratica tut­

per non dire tutta la vita52•

La ragione di Isacco su questi consigli pratici è che, al contrario dei messaliani, egli vuole lasciare ai suoi disce­poli un manuale dettagliato di preghiera. I messaliani infatti, di­ce Isacco, rifiutano non solo le forme esteriori della preghiera, ma anche i sacramenti della chiesa e la lettura delle Scritture. Questa rottura con la li ha condotti all'errore spiri­tuale, all'orgoglio e

All'origine deviazioni non c'è la preghiera continua, né l'omissione di certi se convenientemente motivata.

n Il,I4,25. 52 II, I4,26.

r88

Non bisogna fare della preghiera, fonte di vita, e delle fatiche che essa comporta, una causa di errore. Questo tuttavia suc­cede quando si abbandonano le sue venerabili forme esterio­ri, dedicandosi invece a regole e costumi particolari stabiliti a capriccio, e ci si priva completamente dei santi misteri, sprezzandoli e facendosene gioco, per arrivare a rifiutare la luce delle sacre Scritture trascurando i precetti e le parole dei padri che ci hanno insegnato le trappole dei demoni. Cosi al­cuni abbandonarono i gestì di umiltà, le genuflessioni, le con­tinue prostrazioni, il cuore in pena, gli atteggiamenti sotto­messi che si addicono alla preghiera, la stazione in piedi se­gno di modestia, le mani umilmente oiunte o tese al cielo i

b '

sensi pieni di rispetto. A tutto ciò sostituirono atteggiamenti fino a mescolare alle loro preghiere insulti contro

Dio insieme a espressioni e gesti arroganti, dimenticando co­sì quanto è alta la natura di Dio, mentre la loro non è che pol­vere. Ma in tutto ciò, le parole della loro preghiera non erano diverse da dei salmi53 .

Continuando sua descrizione delle forme esteriori della preghiera, Isacco alla preghiera a braccia tese. Secondo lui questa postura il raccoglimento del pensiero e un sentimento di profonda compunzione. Egli sottolinea anche la necessità di pregare con parole proprie, convinto che questo porti a intuizioni spirituali:

Di fatti la parte delle preghiere sono composte di pa-role prese dai salmi, a idee e sentimenti dì dolore e di supplica, di e di lode, e via dicendo. Cosi talvolta, quando si sta inginocchiati con il capo reclinato o con le dita e lo rivolti al cielo, scandendo lentamente le parole si potranno sentimenti personali. A tratti il dolore e la scaturire parole

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profondamente sentite; altre volte, in risposta a qualche av­venimento, esploderà una gioia che trasformerà la preghiera in lode per effetto della delizia provata dalla mente. Lo stesso si può dire dell'impulso dato dallo Spirito alla preghiera dei santi, la cui espressione comprende misteri e intuizioni inef­fabili. Quando la forma esteriore della preghiera rivela qual­che seono delle intuizioni che essa contiene, questo dà un'i-

" dea dei misteri e della pienezza di conoscenza che i santi ri-cevono mescolati alla loro preghiera grazie alla sapienza dello Spirito santo54 •

A pregare con parole proprie c'è il vantaggio di non dover im­parare a memoria o recitare testi presi dai libri. Isacco osserva che certi santi del passato ignoravano completamente i salmi, eppure grazie alla loro umiltà le loro preghiere, contrariamente a quelle dei messaliani, giungevano a Dio:

O ci si avvicina a Dio, o si cade lontani dalla verità. Que­sto dipende dall'orientamento della mente e non dalle forme esteriori di ciò che è stato compiuto o trascurato. Un gran nu­mero di antichi padri - mi riferisco a certi grandi solitari -non conoscevano nemmeno i salmi. Le loro preghiere tuttavia salivano come fuoco fino a Dio, a causa della loro condotta eccellente e dell'umiltà di spirito che avevano acquisito. Le loro parole mettevano i demoni in fuga come mosche che vo­lavano via ronzando alloro arrivo. Molti, tuttavia, usano la preghiera come scusa per la loro pigrizia e il loro orgoglio: non riuscendo ad afferrare la parte migliore (cf. Le 10,42),

perdono anche quella che tenevano in mano. Non hanno niente, e si immaginano di aver raggiunto la pienezza. Altri, facendo assegnamento sulla formazione intellettuale ricevu­ta, hanno presunto che essa bastasse a scoprire la vera cono­scenza: appoggiandosi sulla loro cultura secolare e sulla let-

54 II,14>43·

tura ordinaria sono caduti lontano dalla verità e non hanno saputo umiliarsi per potersi rialzare55 .

Questa è l'opinione di Isacco circa le forme esteriori della preghiera 56. Egli è convinto che la preghiera, con tutti gli atteg­giamenti esteriori che comporta, sia la "pienezza di ogni vir­tù"57. Nel contempo sa che queste forme esteriori, indipenden­temente dalla loro importanza, non sono altro che sussidi per l'acquisizione della preghiera pura; quando non polemizza con i messaliani si esprime assai più cautamente sulla loro indispensa­bilità: ammette, per esempio, che si possa pregare seduti58 . So­prattutto a favore degli anziani e dei malati ci vogliono regole che escludano la sofferenza fisica:

Non è nostra intenzione costringere i malati e gli infermi al­l'osservanza della regola, non vogliamo sottoporre nessuno all'impossibile. Tutto ciò che viene compiuto con rispetto e timore, secondo quanto richiedono le circostanze, è conside­rato da Dio un'offerta di qualità anche se fuori dalle regole. Non solo Dio non biasima queste persone, ma accoglie le co­se irrisorie e insignificanti, se fatte con buona volontà e per causa sua, allo stesso modo delle azioni vigorose e complete ... giacché Dio è buono e misericordioso e non ha l'abitudine di giudicare le debolezze di natura o le cose fatte per neces­sità, benché riprovevoli. Ci giudica solo quando trascuriamo ciò che siamo in grado di fare 59 .

Se le forme esteriori sono necessarie alla preghiera, la loro mi­sura deve però essere proporzionata alle forze di ciascuno. Non

55 II,14A4· 56 Circa le forme esteriori della preghiera, si veda anche Afraat, Dimostrazioni 4;

Origene, Sulla preghiera. 57 II,14>45· 58 I,2o (p. 103) = Touraille 29 (p. 186); PR I7 (pp. 137-138). Cf. II,21,6. 59 II,14,15.

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solo i fratelli anziani e infermi sono dispensati dal ripetere le prostrazioni o altri gesti esteriori, ma tutti quelli che sono affa­ticati dalla preghiera possono commutare le forme tradizionali in preghiere personali prolungate:

Quando sei indebolito ed esausto per lo sforzo di una salmo­dia recitata assiduamente secondo l'uso, e per età avanzata o debolezza di corpo non sei più in grado di sostenere ciò che prima sopportavi, allora al suo posto affaticati con le suppli­che, le intercessioni e cose simili. Presenta le tue suppliche con perseveranza e serietà, formula con cura le tue domande e soffri supplicando con cuore afflitto. Renditi importuno, prolunga la tua preghiera e insisti finché la porta non ti sarà aperta, perché nostro Signore è misericordioso e ti accoglierà non a causa del tuo sforzo ma secondo l'orientamento della tua mente. Nel momento stesso in cui prolunghi la supplica, la tua anima sarà illuminata e i tuoi pensieri si infiammeranno d'amore per lui. È così che riceverai il suo soccorso nel mezzo degli sforzi stentati che il tuo corpo infiacchito può soste­nere, senza avere del tutto abbandonato, nella misura del pos­sibile, gli uffici ormai abbreviati. In questo modo non sem­brerai appartenere al novero di quanti rifiutano di sottoporsi alla regola monastica- atteggiamento che sarebbe conseguen­za degli attacchi del demone dell'orgoglio, come succede a quanti si illudono di non aver più bisogno di queste cose - e non finirai con il cadere a poco a poco in uno stato di fatica presunta. Non voglio qui porre dei limiti fissi di tempo; parlo solo di quello che può succedere e che di fatto succedé0 •

Si può pregare in piedi, seduti o in ginocchio, ma più impor­tante ancora è che la preghiera sia fatta con timore di Dio:

Non ci sarebbe nulla di riprovevole se, per un tempo corri­spondente alle nostre forze - e non è nemmeno necessario

60 II,2I,I·J.

che vi corrisponda - durante il quale siamo in piedi o seduti, noi vedessimo il grande stupore e la vigilanza che ci accompa­gnano. Essi impedirebbero al disprezzo di Dio di insinuarsi in noi all'ora in cui celebriamo il suo ufficio, o quando offria­mo il sacrificio della preghiera davanti a lui. Si tratta di una questione di giudizio e di discernimento piuttosto che di li­miti prefissati e di confusione, senza che tu sia troppo preoc­cupato della quantità delle preghiere, giacché sovente è pro­prio questa preoccupazione a causare turbamento interiore. Al contrario, nostro scopo è di trovare la via seguendo la qua­le il cuore può avvicinarsi a Dio durante l'ufficio e la preghie­ra; per questo infatti sei ancora soggetto alla legge dei bambi­ni. E ancora, alla salmodia aggiungi altre cose per farne un uso particolare, e cerca di stare a volte in piedi, a volte in gi­nocchio, poi siediti nuovamente 61 .

Isacco giunge alla conclusione che non ci sono atteggiamenti esteriori irrinunciabili nel corso della preghiera. Chi rifiutasse intenzionalmente ogni forma esteriore rischierebbe di cadere "nell'errore dei messaliani", ma ciò non significa che non sia del tutto impossibile pregare al di fuori di queste forme. Al contra­rio, siamo invitati a pregare ogni momento e indipendentemente dall'atteggiamento del nostro corpo:

Ci si può dedicare a ciò restando in piedi o seduti, lavorando o passeggiando nella cella, da quando si va a dormire fino a quando si sprofonda nel sonno, in casa o in viaggio. In tal modo- ma anche quando si sta sempre in ginocchio e dovun­que è possibile farlo, anche senza porsi davanti a una croce -ci si tiene segretamente occupati nel proprio cuoré2 •

6! II,2I ,4·6. 62

II,5, titolo: Cf. II,r,75: "[Prega] quando mangi, quando bevi, in piedi e seduto, andando a dormrre o lavorando, e anche in viaggio e in mezzo a una folla".

193

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La preghiera di fronte alla croce

Alcuni dei passi appena citati accennano al fatto di pregare e prostrarsi davanti alla croce o di baciarla o ad altri segni del ri­spetto particolare le è dovuto da parte di un cristiano. Le fre­quenti allusioni di Isacco alla croce e al crocifisso si spiegano con il ruolo eccezionale rivestito dalla santa croce nella cristiani­tà di lingua siriaca. All'epoca di Isacco la chiesa d'oriente non aveva una tradizione significativa in fatto di pittura di icone: benché ve ne fossero esistiti vari tipi fin dalla remota antichi­tà63, il culto della croce era molto più diffuso. La chiesa d'orien­te aveva per la croce, in quanto simbolo della redenzione del ge­nere umano e della presenza invisibile di Dio, una grande devo­zione e venerazione liturgica. In questo campo l'insegnamento di Isacco è del massimo interesse, giacché ci permette di entrare in contatto con l'antica tradizione dell'oriente siriaco e di con­statare direttamente l'importanza della croce nella vita spirituale dei suoi contemporanei.

Il suo insegnamento sulla croce come simbolo dell'economia divina e oggetto di venerazione religiosa si trova nel capitolo I I

della seconda parte, cosl intitolato: "Sulla contemplazione del mistero della croce e sulla forza che essa procura invisibilmente sotto forma visibile; e intorno ai grandi misteri del governo di Dio tra gli antichi e al modo in cui tali misteri sono stati ricapi­tolati in Cristo nostro Signore, e come la croce onnipotente con-

63 Sul tema della venerazione delle icone nelle chiese di tradizione siriaca, si veda S. Brock, "lconoclasm and the Monophysites", in Ico11oclasm. Papers Givetl at the Ni11th Spri11g Symposium o/ Byza11ti11e Studies, University of Birmingham, Birmingham 1977, pp. 53·58; M. Mundell, "Monophysite Church Decoration", ibid., pp. 59-74; J. Dau­villier, "Quelques témoignages li~téraires et archéologiques sur la présence et sur le culte cles images dans l'ancienne Eglise chaldéenne", in.L'Orie11t syriett r,3 (1956), pp. 297-304; E. Delly, "Le culte cles saintes images dans l'Eglise syrienne-orientale", i bi d. r,r (1956), pp. 29r-296.

I94

teng~ tu:te _que~te. cose contemporaneamente". Già l'incipit contlene 1nd1caz10n1 abbastanza esplicite sul carattere universa­le della venerazione della croce nella tradizione siriaca:

Qual è_ il senso : il tip? di immagine che la croce rappresenta per nm, questa Immagme che, tenuta da noi in grande onore è venerata gioiosamente con amore e desiderio insaziabile l~ cui storia è conosciuta e ripetuta, per cosl dire, dall'unive~so intero?

Nel paragrafo introduttivo Isacco spiega la sua intenzione di trat~are dell'attività della potenza di Dio in diverse epoche della st?na _umana, _e del modo in cui Dio "a ogni generazione pone muab1lmen:e il_su? Nome venerabile negli oggetti corporei e, at~rav:rso d1 ess1, nvela al mondo cose stupende e degne di am­m~r~~lOn~, ~large_ndo per il loro tramite grandi benefici agli uo­mml , e mfme d1 affrontare il tema della potenza eterna che ri­siede in una crocé4•

All'inizio della sua trattazione Isacco ci tiene a sottolineare che la particolare potenza contenuta nella croce non differisce da quella che operava al momento della creazione del mondo e che regge ancora l'universo conformemente alla volontà di Dio. In una croce vive precisamente la stessa potenza che già si trova­va nell'arca dell'alleanza, circondata di venerazione e terrore dal popolo d'Israele:

La potenza illimitata di Dio risiede nella croce cosl come essa risiedeva, in un modo che sfugge alla nostra' comprensione, nell'arca venerata con grande onore e timore dal popolo ebraico. Essa vi co~piva miracoli e segni terribili in mezzo a persone che non SI vergognavano di invocarla con il nome di Dio65

'

64 Il,II,I-2. 65

Cf. N m ro,35·36, dove Mosè si rivolge all'arca chiamandola "Signore".

I95

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cioè la trattavano con quel timore che avrebbero avuto alla vi­sta di Dio, a causa del nome venerato di Dio che riposava su di essa. L'arca era venerata con il nome di Dio non solo dagli ebrei ma anche dai popoli stranieri loro nemici: "Guai a noi, poiché il Dio di quel popolo è oggi arrivato nel loro campo" ( r Sa m 4, 7). N o i crediamo che la forza che era insi ta nell'arca risieda oggi nella figura venerata della croce che noi teniamo in grande onore, pienamente consapevoli come siamo di per­cepire Dio attraverso di essa66

Che cosa c'era nell'arca, si chiede Isacco, per renderla così terribile e riempirla di forza e di segni? E risponde che la vene­razione dell'arca era dovuta alla Shekinah (presenza) invisibile di Dio che in essa risiedeva:

Mosè e il suo popolo non si prostravano forse davanti all'arca con grande timore e tremore? E Giosuè, figlio di Nun, non è rimasto steso faccia a terra davanti a essa dal mattino fino alla sera (cf. Gs 7,6)? Non è forse in essa che si erano manifestate le rivelazioni tremende di Dio, come a voler onorare quell'og­getto nel quale la Sh~kinah di Dio risiedeva 67?

Ora, è proprio questa Shekinah che oggi risiede nella santa croce: essa ha lasciato l'arca dell'Antico Testamento ed è entrata nella croce del Nuovo Testamento 68

.

Così, l'arca dell'alleanza prefigurava la c~oce proprio come l'Antico Testamento prefigurava il Nuovo. E per questo che i miracoli degli apostoli descritti nel N uovo Testamento erano più potenti di quelli compiuti all'epoca dell'Antico:

Attraverso la forza della croce molti hanno domato anima­li selvatici, hanno affrontato il fuoco, camminato su distese

66 II,II,4. 67 II,II,5· 68 Cf. II,r r,s.

d'acqua, resuscitato i morti, respinto i flagelli, fatto scaturi­re fonti in terreni aridi e desertici, hanno dato un confine al mare, hanno ordinato a fiumi impetuosi di seguirli, hanno in­vertito il corso delle acque. Ma perché parlare di queste co­se? Persino Satana con tutta la sua potenza è terrorizzato dal­l'immagine della croce, quando noi la raffiguriamo per usarla contro di lui69 .

Il culto dell'Antico Testamento con i suoi segni e i suoi mi­racoli non era in grado di estirpare completamente il peccato, mentre la croce ne ha annientato la forza. Essa ha annientato an­che la potenza della morte:

Quanto alla morte, un tempo temuta dal genere mnano, or­mai anche donne e bambini le tengono testa. Un tempo essa regnava su tutto, ma ora è diventata più arrendevole non solo ai credenti ma anche ai pagani, poiché il terrore che prima in­cuteva si è molto attenuato 70

In altri termini, la religione della croce introduce nel mondo un atteggiamento diverso di fronte alla morte, non più temuta come prima dell'era cristiana. Forse I sacco allude qui all'epoca dei martiri, quando donne e bambini affrontavano la morte? Se­condo lui, la serenità ostentata dai cristiani avrebbe influenzato la visione della morte della società pagana stessa, sdrammatiz­zandola.

Ritornando poi all'Antico Testamento Isacco si chiede come mai a un oggetto di legno come l'arca, fabbricato da un fale­gname, "sia stata costantemente tributata un'adorazione piena di sacro terrore", e ciò ad onta della legge che proibiva il culto di opere fatte da mano d'uomo o di statue e immagini (cf. Es

69 II, II, 7-8. 70 II,II,8.

197

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20,4-5; Lv z6,r; Dt 5,8). La ragione- risponde !sacco- è che diversamente dagli idoli pagani, la forza di Dio si era aper­tamente manifestata in essa e le era stato imposto il nome di Dio 71 . Parlando della venerazione della croce egli respinge l' ac­cusa di idolatria, la stessa che a Bisanzio, nell'viii secolo, sarà mossa a quanti veneravano le icone. Diverso era il contesto della lotta iconoclastica a Bisanzio, nella quale l'argomento principale a favore dell'adorazione delle icone era l'incarnazione di Dio il Verbo che aveva reso possibile la sua rappresentazione dipinta in colori materiali, tema mai toccato da !sacco. In un senso più ge­nerale, tuttavia, la concezione di !sacco della presenza di Dio negli oggetti materiali ha molto in comune con quanto scriveva­no a Bisanzio i difensori delle icone circa la presenza di Dio in esse. !sacco insiste in particolare sul fatto che, se la croce non fosse costruita "nel Nome di quell'uomo nel quale abita la di­vinità" 72, cioè il Verbo incarnato di Dio, allora l'accusa di ido­latria sarebbe giustificata. Egli cita anche l'interpretazione dei "padri ortodossi" secondo cui la foglia di metallo posta sopra l'arca (cf. Es 25,17) sarebbe stata emblema della natura umana di Cristo 73 .

!sacco sottolinea il fatto che la presenza-Shekinah divina ac­compagna sempre la croce, dal momento in cui essa viene dipin­ta o fabbricata:

Non appena la sua immagine è dipinta su muro o tavola, o è plasmata con oro, argento o altro metallo, o è scolpita nel le­gno, immediatamente essa assume la forza divina che a suo tempo risiedeva nell'arca e ne è ripiena, diventando così il

71 Cf. II,rr,ro-rr. 72 II,rr,r3. 73 Cf. II,rr,r3. Isacco pensa a Narsai, Omelia sull'arca r83-r84: "Con la parola

'foglia' (.tassa, la foglia d'oro che copriva l'arca dell'alleanza), la Scrittura ci parla del­l'umanità di nostro Signore".

luogo della Shekinah di Dio, in misura anche maggiore di quando essa avvolgeva l'arca 74 •

Questo passo contiene informazioni importanti circa i diversi tipi di croci in uso nella tradizione siriaca e rivela anche la fede della chiesa antica nel fatto che una croce, non appena veniva fabbricata o dipinta, diventasse fonte di santità per il popolo e luogo della presenza divina. Per questo motivo

ogniqualvolta fissiamo quest'immagine al momento della pre­ghiera o la veneriamo a causa dell'uomo che vi fu crocifisso riceviamo la forza divina attraverso l'immagine e diventiam~ degni di aiuto, di salvezza e di beni ineffabili, in questo mon­do e in quello a venire; e tutto questo ci viene attraverso la croce 75 .

Per !sacco i simboli dell'Antico Testamento erano solo figure e ombre delle realtà del Nuovo. Ecco come insiste sulla premi­nenza della croce rispetto ai simboli dell'Antico Testamento:

Come il ministero della nuova alleanza è più degno di onore davanti a Dio di quello dell'antica, come c'è differenza tra Mosè e il Cristo, come il compito ricevuto da Gesù è tanto più eccellente di quello assegnato a Mosè e così pure la sua gloria, allo stesso modo la figura della croce è molto più glo­riosa a causa dell'onore dell'uomo che la divinità ha assunto fra noi per risiedervi, e perché la compiacenza divina per lui - divenuto realmente tempio di Dio 76 - è diversa da quella, metaforica, che Dio aveva per oggetti muti, semplici ombre di quelli che sarebbero venuti con il Cristo 77 •

74 Il,rr,r2. 75 II,rr,r3. 76 Formula cristologica tipica dei siro-orientali. 77 II,rr,rz.

1 99

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Il culto dell'Antico Testamento esigeva un atteggiamento reli­gioso e improntato al timore degli oggetti sacri. Ogni volta che il sacerdote entrava nell'arca "non osava alzare gli occhi per ispe­zionarla, perché vi aleggiava la tremenda Shekinah della divini­tà". Ma se già la figura è così venerabile e temibile, "ben di più dovrà esserlo l'archetipo al quale tutti i simboli e tutte le figure appartengono". Inoltre la venerazione tributata agli oggetti sa­cri dell'Antico Testamento era ispirata dalla paura della punizio­ne che colpiva tutti quelli che mancavano loro di rispetto. Nel Nuovo Testamento, al contrario

la grazia è stata riversata senza misura, la severità è stata in­ghiottita dalla bontà ed è nata la libertà di parola (pan·besfa) ... Ora, la libertà di parola di solito scaccia la paura, grazie al­l'immensa bontà di Dio che ci è toccata in questo tempo78

Per questo, se oggi veneriamo la croce non è per paura di un castigo ma per l'amore misto a timore che portiamo a Cristo che ci ha riscattato attraverso la croce. Contemplando quella croce, i cristiani vedono Cristo in persona:

Per i veri credenti il segno della croce non è poca cosa, poiché credono che essa comprenda tutti gli altri simboli. Ogni volta che alzano gli occhi su di lei è come se contemplassero il volto di Cristo. Per questo motivo sono pieni di rispetto per la cro­ce: vederla è per loro cosa preziosa e terribile, ma al tempo stesso teneramente amata ... Ogni volta che ci accostiamo al­la croce è come se ci accostassimo al corpo di Cristo, giacché le cose per noi credenti stanno proprio così. Avvicinandoci a lui e fissando lo sguardo su di lui, immediatamente il nostro intelletto si leva misticamente in volo verso il cielo. Benché si tratti di uno sguardo che non può essere né visto né provato,

78 II,ri,I4-r6.

200

la nostra visione segreta, a partire dall'onore reso all'umanità del Signore, è come inghiottita attraverso una certa contem­plazione del mistero della fede 79 •

La croce è venerata nel nome di Cristo e a causa di Cristo 80 .

In generale, tutto ciò che appartiene all'umanità di Cristo de­v'essere venerato in quanto innalzato allivello di Dio, che ha vo­luto che l'uomo Gesù Cristo partecipasse della gloria della sua divinità. Tutto ciò è stato reso a noi manifesto a partire dalla croce, grazie alla quale abbiamo acquisito una conoscenza esatta del Creatore81 .

La croce materiale, di cui l'arca dell'alleanza era figura, divie­ne a sua volta figura del regno escatologico di Cristo alla fine dei tempi. In questo modo la croce è per così dire illeo-ame tra Anti-

- b

co e Nuovo Testamento, come pure fra quest'ultimo e il secolo a venire in cui simboli e figure materiali saranno tutti aboliti. Tut­ta l'economia di Cristo, che è cominciata all'inizio dell'Antico Testamento e si protrarrà sino alla fine del mondo, viene così a trovarsi compendiata nel simbolo della croce:

La croce infatti è la veste di Cristo, come l'umanità di Cristo è la veste della sua divinità. Ogo-i la croce serve come fio-ura

b b '

in attesa del momento in cui il vero prototipo sarà svelato e queste cose non saranno più necessarie. Giacché la divinità abita nell'umanità senza separazione, senza fine e per sem­pre; in altre parole, illimitatamente. Per questo motivo guar­diamo alla croce come al luogo proprio della Sbekinah dell'Al­tissimo, al Santo dei Santi del Signore e all'oceano dei simbo­li dell'economia divina. Grazie all'occhio della fede la fio-ura della croce ci manifesta il simbolo appartenente ai clue T;sta­menti ... Essa è inoltre il suggello finale dell'economia del

79 II,rr,r7-19. 8° Cf. II, II ,2 I. 81 Cf. II,rr,21-22. Cf. supra, p. 66, n. Sr.

20!

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nostro Salvatore. Ogni volta che guardiamo la croce con ani­mo pacificato, i ricordi dell'insieme dell'economia del Salva­tore si raccolgono e si dispongono davanti ai nostri occhi interiori 82

.

11 capitolo termina con un inno di ringraziamento a Dio, che da sempre aveva l'intenzione di elargire agli uomini la vera conoscen­za per mezzo della croce, simbolo materiale della sua economia:

Benedetto sia Dio, che si serve continuamente di oggetti ma­teriali per attirarci in modo simbolico alla conoscenza della sua natura invisibile; egli semina e imprime nel nostro intel­letto la reminiscenza della pena che si è dato per noi attraver­so tutte le generazioni, seducendole con il suo amore e le sue ricchezze per mezzo di segni visibili. Gioiscano i nostri cuori nei misteri della fede in cui crediamo: esultiamo in Dio che tanta cura si prende di noi. Entriamo, attraverso lo sguardo della nostra mente, nell'opera mirabile che egli ha intrapre­so a nostro beneficio. Rallegriamoci nella speranza di quan­to ci è stato rivelato nei misteri del Nuovo Testamento e che noi, gregge di Cristo, per sua intercessione abbiamo ricevuto. Quanto dunque non dovrà essere adorato colui che, per sal­varci, ha disposto ogni cosa del mondo al fine di riavvicinarci a lui? E questo ancor prima che ciò che aveva preparato per noi fosse rivelato, e che noi avessimo ricevuto benefici degni dei figli di Dio! Quanto non dovrà essere adorato il simbolo della croce, grazie al quale - grazie cioè alla potenza dalla quale tutte le cose visibili e invisibili sono state create- tutto questo ci è stato accordato e siamo stati giudicati degni della conoscenza che è propria degli angeli 83?

Questa è la "teologia della croce" sviluppata da Isacco nel capitolo I I della seconda parte della sua opera, e che si può co-

82 II, II ,24·26. 8} II,II,JI-34·

202

sì riassumere: I) la Shekinah-presenza di Dio ha sede nella cro­ce, in cui si è installata dopo aver lasciato l'arca dell'alleanza; 2 ) l'arca dell'alleanza era una figura della croce; 3) la venerazio­ne della croce non è idolatria a causa della presenza in essa di Cristo, e in quanto a lui rivolta e non a un oggetto materiale; 4) la croce è il simbolo del progetto di Dio sugli uomini; 5) la croce è figura delle realtà del secolo a venire, nel quale i simboli materiali saranno aboliti.

Così vediamo come, nella tradizione siriaca in generale e più particolarmente presso Isacco, la croce fosse di fatto la più im­portante e addirittura l'unica immagine sacra, divenuta oggetto di culto liturgico. Se nella tradizione bizantina le diverse tappe dell'economia del Cristo, come pure i grandi personaggi della storia biblica ed ecclesiastica (profeti, apostoli, santi), si sono potuti incarnare in diversi soggetti iconografici, per il cristiano siriaco questa varietà di immagini era sostituita dalla sola im­magine della croce. Si tratta di una concezione ascetica che si concentra in modo esclusivo sulla croce e non ha bisogno di tan­te immagini dipinte. Nella tradizione siriaca tutte le preghiere convergono, per così dire, verso un unico punto che è la croce di Cristo.

Che Isacco si senta in dovere di dire che la preghiera "anche non davanti alla croce" 84 è comunque possibile, dimostra come tale procedura fosse considerata parte integrante e obbligatoria della pratica della preghiera: pregare davanti alla croce era un ri­to così diffuso che il fatto di non osservarlo richiedeva una giu­stificazione particolare.

Isacco descrive diversi modi di atteggiarsi davanti alla croce durante la preghiera, tra i quali la già menzionata prostrazione prolungata, silenziosa, talora a braccia tese. Isacco ricorda un asceta che "restò prostrato davanti alla croce, faccia a terra, tre

84 II,5, titolo.

203

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giorni e tre notti" 85. Aggiunge poi che tutti gli obbli~hi della

preghiera possono essere sostituiti da questa prostraztone da­vanti alla croce, nei momenti di grazia abbondante:

n fatto che tu stia prostrato davanti alla croce per la maggior parte della giornata - modo di pregare che compendia in sé tutte le preghiere parziali dell'ufficio stesso - non dimostra forse che quella preghiera ha posto tutte le regole della pre­ghiera in tuo potere? ... Chi si tiene incessantemente in con­tatto con Dio profondendosi in preghiere, supplicandolo con­tinuamente prostrato a terra, con l'anima immersa nel deside­rio di lui, mentre giace così faccia a terra non è sottoposto a nessun genere di legge né alle imposizioni di una regola, e tempi o momenti prefissati non hanno alcun potere su di lui, giacché semmai a questo punto egli è al di là della legge, per­ché si trova con Dio, senza limiti nel tempo 86

Secondo Isacco, dunque, starsene prostrati davanti alla croce è una forma di preghiera superiore a ogni altra poiché l.e contie~ ne tutte. Essa consiste in un'esperienza di concentraziOne e dt raccoglimento estremi che accompagnano·un sentimento inten­so della presenza di Dio.

Un altro tipo di preghiera davanti alla croce consiste nell'alza­re gli occhi e fissarla continuamente, e può essere eseguit~ in piedi o seduti, o anche in ginocchio a braccia tese. Isacco Cl ha lasciato la descrizione di uno che "si inginocchia quando prega e tende le mani al cielo, fissando con gli occhi la croce di Cristo e concentrando tutti i suoi pensieri in Dio" 87

• Altrove egli parla di una "intellezione di colui che è crocifisso" 88 concessa durante la preghiera davanti alla croce. Si tratta di un Cristo crocifisso

85 II,I4,46. 86 II.4.4·9· 87 I.4 (p. 39) = Touraille 23 (p. r6r); PR 4 (p. 58). 88 II,5, r6.

204

- la croce con sopra Cristo - oppure di una semplice croce sen­za l'immagine di Cristo, simbolo della presenza invisibile del Crocifisso? Noi propendiamo per quest'ultima interpretazione: si tratterebbe allora dello sguardo portato su Cristo presente in modo invisibile nella croce. Le immagini di Cristo in croce, co­si popolari a Bisanzio come nell'occidente latino, non sono dif­fuse nella tradizione siriaca. Non a caso Isacco sostiene, in un passo appena citato, che ogni volta che i credenti posano lo sguardo sulla croce è "come se vedessero" il Cristo in persona 89 ,

e questo vuol dire che essi vedono la rappresentazione di Cristo non già con gli occhi del corpo, ma con quelli dell'intelletto e del cuore.

!sacco ci segnala anche le prostrazioni davanti alla croce, vuoi in serie, vuoi una prostrazione unica ma prolungata:

Durante i periodi nei quali Dio ti guida interiormente al pen­timento, moltiplica gli inchini e le genuflessioni ... Nessuna fatica è più penosa e difficile e suscita in maggior misura l'in­vidia dei demoni che quella di gettarsi davanti alla croce di Cristo pregando giorno e notte, a volte con le mani giunte dietro la schiena 90 •

In particolare egli accenna a serie di trenta o più prostrazioni eseguite di fila, e anche al fatto di restare prostrati davanti alla croce per tre intere giornate:

La fame, la lettura, la sobria veglia di tutta una notte, secon­do le forze di ciascuno, e le numerose prostrazioni che dob­biamo eseguire di giorno e, altrettanto spesso, di notte. C'è chi si prostra trenta volte di seguito, quindi prima di ritirarsi bacia la preziosissima croce. Altri ne incrementano ulterior-

'9 II,rr,q.

90 I,56 (p. 289).

205

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mente il numero, secondo la loro capacità. Altri ancora per­mangono tre ore nella stessa preghiera e il loro intelletto si mantiene vigile senza sforzo e, mentre giacciono prostrati faccia a terra, i loro pensieri non si sviano 91

.

Baciare ripetutamente la croce è un altro modo di venerarla. Gli antichi padri si prostravano e poi baciavano la croce cinque o dieci volte 92 . !sacco ci descrive la preghiera di un eremita pres­so il quale aveva passato la notte una volta che era ammalato:

Vedevo qual era l'abitudine di questo fratello, che si alzava di notte prima di tutti gli altri per dare inizio alla sua regola di preghiera. Cominciava con il recitare i salmi fino a quando improvvisamente abbandonava la regola e, prostrato sul pro­prio volto, batteva la testa per terra cento volte o più, con l'ardore che la grazia gli aveva acceso nel cuore. Quindi si al­zava, baciava la croce del Signore, si prostrava nuovamente, baciava ancora una volta la croce, si prostrava di nuovo faccia a terra ... A volte gli capitava perfino di baciare la croce venti volte con timore e fervore e con un amore misto a rispetto, prim~ di riprendere la recitazione dei salmi93

Non c'è dubbio che la pratica di venerare la croce o di pregare davanti a essa fosse uno degli elementi più importanti dell'inse­

gnamento di !sacco sulla preghiera.

91 I,I8 (p. 97) = Touraille 9 (p. Ioz); PR I) (p. I29). 92 Cf. II, I4,24-" I,2I (p. IO))= Touraille 75 (p. 38o); PR I8 (p. qo).

zo6

La lectio divina

Un altro elemento importante era costituito dalla recitazione di testi in spirito di preghiera, che noi chiamiamo lettura o lectio divina (qeryana). !sacco ne parla sovente e ce ne dà una descri­zione. Il termine indica soprattutto, ma non esclusivamente, la lettura della Scrittura. Per !sacco, come per tutta la tradizione monastica antica, tale lettura consisteva non tanto in uno studio intellettuale del testo biblico, quanto piuttosto in un dialogo, un incontro, una rivelazione da esso ricevuta: il testo della Bibbia è un mezzo per fare esperienza diretta del dialogo con Dio, per in­contrarlo misticamente e raccogliere intuizioni sulla sua realtà profonda.

!sacco parla della lettura della Scrittura come del mezzo più importante per la trasformazione spirituale che accompagna l'abbandono di una vita di peccato:

L'inizio di un cammino di vita consiste nell'occupare inces­santemente l'intelletto con le parole di Dio e nel vivere in po­vertà ... Per bandire dalla nostra anima le tendenze alla disso­lutezza che vi si sono incrostate e cacciarne i ricordi attivi che si ribellano nella carne e vi producono una fiamma inquieta, niente è più efficace che immergersi nell'amore ardente per esserne istruiti e scrutare da vicino le intuizioni profonde contenute nelle divine Scritture. Quando i pensieri di un uo­mo sono totalmente e deliziosamente immersi nei tesori di sa­pienza celati nella Scrittura, con l'aiuto delle facoltà da essa illuminate egli si getta dietro le spalle il mondo con tutto ciò che gli appartiene ... Spesso non sa neppure più come servirsi dei pensieri che visitano abitualmente la natura umana e la sua anima è rapita a causa dei nuovi incontri che affi~rano dall'oceano dei misteri della Scrittura 94.

94 I, I (pp. 3-5) = Touraille I (pp. 59-6I); PR I (pp. 2-5).

207

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Nella cella, la lettura riguarda non solo la Scrittura ma anche gli scritti dogmatici e ascetici dei padri della chiesa. !sacco rac­comanda entrambi:

Dobbiamo considerare lo sforzo della lettura una cosa estre­mamente nobile, la cui importanza non sarà mai abbastanza sottolineata. Essa è una porta attraverso la quale l'intelletto accede ai misteri divini e riceve la forza per giungere alla pre­ghiera luminosa e immergervisi con gioia, passando in rasse­gna tutte le azioni compiute dall'economia divina per il bene dell'umanità. A causa di queste azioni siamo continuamen­te colti da stupore e riceviamo una forza che è precisamente frutto della condotta ascetica di cui stiamo parlando. La pre­ghiera ne viene illuminata e rafforzata, sia che le letture sia­no tratte dalle Scritture dello Spirito santo, sia che riguardino oli scritti dei orandi dottori della chiesa che hanno per tema P economia di~ina o che insegnano i misteri della vita asceti­ca. Entrambi i generi sono utili all'uomo spirituale ... Senza lettura la mente non dispone di alcun mezzo per avvicinar­si a Dio: la Scrittura fa innalzare la mente e a ogni istante la orienta a Dio, la libera dal mondo corporeo e dalle sue in­tuizioni e la fa librare incessantemente oltre il corpo. Nessu­n' altra fatica consente progressi maggiori. Ecco le cose che si possono scoprire nella Scrittura, a patto di leggerla per co­glierne la verità 95

Leggere la Scrittura, i padri e le vite dei santi, così come pregare, significa frequentare Dio. !sacco consiglia di alterna­re lettura e preghiera, in modo che i pensieri provenienti dal­la Scrittura riempiano la mente durante la preghiera. Passando da una frequentazione all'altra, la mente si rammenta sempre di Dio:

95 II,2I,I3-I5.

zo8

Leggi spesso e avidamente gli scritti dei dottori della chiesa che trattano della provvidenza di Dio . . . Leggi anche i due Testamenti che Dio ci ha consegnato perché potessimo cono­scere l'universo intero ... Per passare da una frequentazione all'altra cerca dunque di leggere libri che ti spianino le vie sottili della disciplina ascetica, della contemplazione e della vita dei santi ... E quando ti alzerai per recitare la preghiera della tua regola, invece di pensare a quello che hai visto e sen­tito nel mondo rifletterai nella tua mente sulle divine Scrittu­re che hai appena letto ... Per mezzo della lettura ogni volta l'anima è di nuovo illuminata, rinnovata e aiutata a pregare senza posa e senza inquietudine 96 .

!sacco chiama la lettura "fonte della preghiera pura" 97, ma sottolinea altresì che essa deve limitarsi alla Scrittura e alla lette­ratura ascetica. Se il monaco è assorbito dalla lettura di numero­si libri su argomenti d'ogni sorta, la sua mente ne sarà distratta e impedita dal raggiungere lo stato della preghiera pura:

Dopo che Dio ti avrà reso degno del dono della quiete per re­stare seduto nella solitudine, non dovrai più dissiparti in un gran numero di libri. La limpidezza non si incontra nella mol­teplicità degli insegnamenti e neppure nella varietà dei libri, ma nella cura dedicata alla preghiera. Come potrebbe giovare al raccoglimento e alla purezza della preghiera la conoscenza di numerosi libri e dei loro commenti? In verità, poiché ogni solitario ha abbandonato gli usi del mondo, chi leggesse an­che un solo libro, scolastico o secolare, all'infuori di quelli che trattano della vita solitaria, avrebbe mancato in anticipo lo scopo del suo cammino, perché il suo pensiero è scivolato verso la ricerca del piacere. Quand'anche questi libri ti innal­zassero al cielo, non ti sarebbero d'aiuto, a meno che non in-

961,4 (pp. 33-36) = Touraille 23 (pp. I56-I59); PR 4 (pp. 48, 52-53).

97 1,64 (p. 307) = PR 65 (p. 447).

209

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segnassero la condotta di vita degli stranieri 98 . Ti bastino gli scritti del Nuovo Testamento e quelli che trattano della con­dotta dei solitari in vista della conoscenza piena e di un pen­siero limpido 99

.

!sacco ripete più volte che "non tutti i libri sono utili al rac­coglimento della mente" 100, ma solo quelli che favoriscono il pro­gresso spirituale e giovano alla preghiera. Egli raccomanda ai monaci di astenersi dalla lettura di scritti polemici, legati a de­terminate posizioni teologiche o religiose. In primo luogo, un asceta dovrà evitare la letteratura eterodossa: "Guardati dai libri che riassumono dottrine e credenze allo scopo di spiegarle, giac­ché essi più di ogni altra cosa possono fornire allo spirito di bla­sfemia delle armi contro di te" 101 . Forse qui !sacco allude alla let­teratura polemica contro gli ebrei, molto diffusa in Siria; può anche darsi che metta in guardia contro gli scritti di "teologia comparata" che a quel tempo trattavano temi cristologici. Da asceta esperto, Isacco ritiene che tutta la letteratura di "conte­stazione" rischi di compromettere la mente pacata e dedita alla preghiera del solitario, suscitando in essa una foga polemica dif­ficile da conciliare con la vocazione monastica (ed è questo che egli chiama "spirito di blasfemia").

Secondo Isacco tutta la letteratura che non appartiene al no­vero dei testi scritturistici o patristici dev'essere esclusa dalla lettura giornaliera dell'asceta:

98 Altro nome per i monaci, poiché vivono come stranieri sulla terra; per l'insegna­mento di Isacco su aksnayutafxeniteia si veda il capitolo "La via del solitario" (supra, pp. 73-ro6).

., Centurie di conoscenza IV,72. 100 !,64 (p. 307) ~ PR 65 (p. 446). . . . lol l,4 (p. 33) ~ Touraille 23 (p. r56); PR 4 (p. 48). A.]. Wensmck, Mystzc 1ì·eatrs~s,

p. 34, traduce così quest? passo: "Sii prudente nell~gge_re ~bri c?e a~centu_ano le dif­ferenze tra le confessiom allo scopo d1 provocare sc1sm1, g1acche ess1 forruscono allo spirito della calunnia armi potenti contro di te". Può darsi che sia un'allusi?n.e a?~ let­teratura polemica contro gli ebrei o, più probabilmente, alla letteratura anttdioflSlta (o antimonofisita).

210

Gli altri libri, quali che siano, lo danneggeranno, gettando tenebre nella sua mente e offuscando il suo proposito che si trova presso Dio; sono letture atte a generare in lui oscurità e indolenza al momento dell'ufficio e della preghiera 102 •

Né le opere didascaliche sulla retorica e la filosofia (''ciò che ti introduce alle discussioni sulle parole o all'apprendistato del­la saggezza di questo mondo"), né i libri di storia della chiesa (''che ti informano su avvenimenti e conflitti all'interno della chiesa"), né le cronache di storia profana (''sulle leggi e le gesta degli imperatori, le loro vittorie e le loro imprese"), né, ancora una volta, la letteratura polemica ("le parole polemiche aventi lo scopo di dimostrare questa o quella opinione"), nulla di tutto ciò è utile ai solitari; dice I sacco, non senza ironia:

Questo genere di letture, !asciamole a coloro che godono di buona salute; ma quanto a noi sofferenti, noi abbiamo biso­gno di medicine, vale a dire di testi redatti per la guarigione dalle nostre passioni, e di vite di santi vissuti prima di noi - giacché hanno vissuto la vita solitaria che è più elevata di quella nel mondo- come pure di resoconti delle rivelazioni di cui sono stati giudicati degni e degli insegnamenti che hanno ricevuto da Dio circa il loro genere di vita solitaria, delle pas­sioni e delle battaglie combattute per l'istruzione loro perso­nale e di quanti camminano sllile loro tracce, e dei racconti di vittorie e sconfitte, cadute e resurrezioni che hanno dovuto subire. In una parola, occupiamoci solo dei libri che hanno a che fare con la vita monastica e ce ne descrivono l'organizza­zione e le forme esteriori 103 •

Ma oltre alla letteratura secolare, ci sono anche le opere patri­stiche sul dogma che non sempre giovano a chi non ha una men-

102 II,2 I,I4.

103 II,IA5·

2II

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te purificata dalle passioni. Ad alcuni si devono consigliare solo opere ascetiche:

Ci sono persone alle quali neppure la lettura delle azioni del­l'economia divina sarà giovevole, perché non ne trarrebbero alcun beneficio: la maggior parte di loro ne avrebbe la mente ancor più oscurata, giacché ha molto più bisogno di letture che insegnino a raddrizzare le passioni. Ciascuno riceve van­taggio e progredisce nella misura in cui le sue letture sono ap­propriate allo stadio in cui si trova 104 .

Quest'ultima frase riflette una concezione comune presso gli antichi monaci, e cioè che la sola ragion d'essere della lettura consista nel miglioramento che se ne può ricavare. Da un mona­co non ci si aspetta una grande cultura ma una mente pura; ne deriva il consiglio:

Il corso delle tue letture corrisponda al fine del tuo tipo di vi­ta ... La maggior parte dei libri che contengono insegnamenti non sono utili alla purificazione, e la lettura di molti e svaria­ti libri causerà distrazioni alla mente. Sappi che non tutti i li­bri che istruiscono nella religione sono utili alla purificazione della coscienza e al raccoglimento dei pensieril05 .

Il consiglio di astenersi non solo dai libri secolari ma anche dalla letteratura dogmatica può sembrare una forma di oscuran­tismo da parte di Isacco. Noi però non pensiamo che Isacco vo­glia dire che un monaco non ha bisogno di conoscere con chia­rezza e precisione la dottrina cristiana. Nel passo appena citato egli intende soprattutto ricordare allettare una massima mona­stica affatto tradizionale, cioè che le letture devono corrispon-

104 II,2r,r6. 10

' !,64 (p. 307) = PR 6:; (pp. 446-447).

2I2

dere alla vita. È probabile inoltre che Isacco pensasse ai conflitti cristologici quali lui e i suoi contemporanei erano continua­mente invischiati, ed è in tale contesto che va intesa la sua mes­sa in guardia contro le letture di argomento dogmatico. Egli non voleva che i monaci fossero coinvolti in dispute teologiche, an-

se riguardanti la verità o la vera fede. "Chi ha gustato la ve­rità non si mette a disputare sulla verità ... e non s'infiamma nemmeno quando si tratta della fede" 106• Per Isacco la vera fede non viene dai libri ma dall'esperienza; essa nasce dalla purifica­zione più che dalle letture 107

Vediamo ora qualche consiglio di Isacco sul modo di leggere la Scrittura. La prima condizione per ogni lettura fatta in cella sarà il silenzio, la quiete: "Persevera nella lettura mentre ti trovi nella quiete, affinché il tuo intelletto sia attratto a ogni istante verso la meraviglia e lo stupore" 108

• "Che la tua lettura si svolga in una quiete che nulla venga a turbare" 109 • La seconda condizione è il raccoglimento della mente e l'assenza di pensieri provenienti dall'esterno:

Liberati da ogni preoccupazione riguardante il corpo e i grat­tacapi degli affari, affinché, attraverso la dolce comprensione del senso delle Scritture che sorpassa ogni altra sensazione, tu possa gustarne nell'anima il dolcissimo sapore110 .

La terza condizione è di pregare prima di cominciare a leggere:

Non accostarti alle parole dei misteri contenuti nelle divine Scritture senza pregare e supplicare Dio di aiutarti, ma di':

106 Centurie di corwscem:a IV,77. 107 Per la sua concezione della fede si veda il paragrafo "Fede e sapere" (ìnfra, pp.

305'319). w• 1,4 (p. 31) = Touraille 23 (p. 153); PR 4 (p. 43). 109 !,4 (p. 34) = Touraille 23 (p. 156); PR 4 {p. 48). 110 1,4 (p. 34) = Touraille 23 (p. r56l; PR 4 (pp. 48-49).

213

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"Signore, concedimi di sentire la forza che esse contengo­no!". Considera la preghiera come la chiave di una vera com­prensione della divina Scrittura 111

.

La comprensione del senso interiore e nascosto della Scrittura è il fine principale della lettura. Qui non si tratta dell'esegesi al­legorica del testo, che godeva di scarso favore nella tradizione si­ro-orientale anche se !sacco talvolta la pratica, ma piuttosto di intuizioni (sukkala) mistiche relative al senso spirituale di parole o frasi della Scrittura, che si producono nella mente dell'asceta quando legge in raccoglimento e con grande attenzione. Queste intuizioni sono un raggio di sole che illumina improvvisamente

la mente del lettore:

Non scrutinare cÒn pedanteria parole che, scritte sulla ba­se dell'esperienza, hanno l'intento di sostenere il tuo genere di vita e aiutarti con le loro elevate intuizioni a elevare te stes­so. Scopri l'intenzione soggiacente a ogni passo delle Scrittu­re che incontri, per immergerti più profondamente in esso e sondare le intuizioni profonde negli scritti di uomini che ri­cevettero l'illuminazione. Coloro che nel loro genere di vita sono condotti dalla grazia divina a ricevere l'illuminazione si accorgono sempre di qualcosa di simile a un raggio spirituale che passa attraverso le righe e le rende capaci di distinguere le parole dette in modo ordinario da quelle importanti per l'illu­minazione dell'anima. Chi legge in modo ordinario righe che contengono un significato importante rende ordinario anche il suo cuore e lo priva di quella potenza santa che può procu­rargli un sapore dolcissimo, attraverso intuizioni che immobi­lizzano l'anima nello stupore. Ogni cosa abitualmente segue ciò che è proprio della sua specie; così l'anima che ha ricevuto una partecipazione dello Spirito e sente una frase in cui si na­sconde una potenza spirituale, la tiene ardentemente per sé.

111 I,48 (p. 233) = Touraille 73 (p. 372); PR 45 (p. 329).

214

Il mondo intero non è abbastanza sveglio per stupirsi di ciò che è detto spiritualmente e cela una grande potenza 112.

Questo passo si può considerare il credo di !sacco circa il mo­do di comprendere la Scrittura. Egli distingue da una parte "le parole dette in modo ordinario", che non parlano né al cuore né alla mente, dall'altra "ciò che è detto spiritualmente" e si rivol­ge direttamente all'anima del lettore. Questa distinzione non si­gnifica che la Scrittura contenga contemporaneamente parole si­gnificative e parole insignificanti, ma piuttosto che non tutte le parole della Scrittura sono ugualmente importanti per tutti i let­tori. I sacco pone qui l'accento sull'atteggiamento soggettivo del lettore: ci sono parole e frasi che lo lasciano freddo e indifferen­te, altre che lo infiammano al fuoco dell'amore divino. È impor­tante non lasciar passare inosservati quei versetti della Scrittura che sono "pieni di senso", per non restare privati delle intuizio­ni spirituali che essi contengono.

Quando un monaco legge la Scrittura cercando di afferrarne il contenuto nascosto, la sua comprensione aumenta in propor­zione alla lettura e lo conduce per gradi a uno stato di stupore spirituale, raggiunto il quale egli si trova completamente immer­so in Dio:

[L'asceta] che si dedica allo studio delle divine Scritture ri­cercandone il senso avrà certamente tregua dalle passioni. I pensieri vani, infatti, si affrettano ad abbandonarlo a causa della comprensione delle Scritture divine che in lui risiede e diventa sempre maggiore, giacché la sua mente non può più staccarsi dal grande desiderio delle Scritture e dal raccoali-

" mento su di esse. Allo stesso modo l'asceta diventa incapace di prestare attenzione alle cose di questa vita a causa della grande dolcezza della continua riflessione sulle Scritture che

112 I,r (pp. 6-7) = Touraille r (pp. 62-63); PR r (pp. 6-7).

215

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lo esalta nella quiete profonda del deserto. Così egli arriva a dimenticare se stesso e la propria natura umana, diventando come un invasato che non conserva più alcuna memoria del tempo presente. Si sofferma a riflettere con impegno partico­lare su ciò che riguarda la maestà di Dio, dicendo: "Gloria al­la sua divinità!", o anche: "Gloria alle sue opere meraviglio­se!". Così, assorto in queste meraviglie e incessantemente colto da stupore, l'asceta è sempre in stato di ebbrezza, quasi vivesse la vita successiva alla resurrezione113 .

L'insegnamento di Isacco sulla lettura delle Scritture è conte­nuto specialmente nel capitolo 29 della seconda parte, così inti­tolato: "Circa i grandi benefici che nascono dalla frequentazione delle Scritture, e sul ministero nascosto, la meditazione e la con­tinua ricerca che essa implica, come pure sulla ricerca della ma­teria da essa insegnata; e contro le persone che accusano quanti si applicano con zelo a questa ammirabile e divina fatica" 114 • Si tratta di un testo a carattere polemico, benché non esprima una reazione a un'eresia specifica come quella dei messaliani. Qui Isacco combatte un'opinione allora molto diffusa negli ambienti monastici, secondo la quale la lettura dei libri è inutile e solo

li d 11 . h ' . h' 115 que a e e opere ascet1c e e ne lesta a un monaco . Contro costoro Isacco afferma che considerare l'ascesi e la fa­

tica corporea più elevate della lettura è sbagliato e fuorviante. La fatica corporea costituisce "la via e la regola per la gente che è nel mondo", ma per i monaci è molto più importante avere la mente sempre colma del pensiero dell'economia divina, il che costituisce "l'attività perfetta e la summa dei comandamenti di nostro Signore". Colui il cui raccoglimento è continuamente prigioniero del Signore grazie alla lettura e alla preghiera "ha

113 I,37 (p. 179) = Touraille 85 (p. 434); PR 35 (p. 254). 114 II,29, titolo. 115 Cf. II,29,r.

zr6

piantato in sé tutte le opere eccellenti" e "le ha condotte a pieno compimento, senza che niente facesse loro difetto" 116 .

La lettura è la fonte della preghiera, continua Isacco. Grazie alla lettura e alla preghiera "siamo trasportati verso l'amore di Dio la cui dolcezza si espande incessantemente nei nostri cuori come il miele nel favo, e le nostre anime esultano al sapore che il servizio nascosto della preghiera e della lettura delle Scritture riversa nel nostro cuore". In seguito alla lettura e alla preghiera e all'amore di Dio che da esse promana, il cuore dei lettori si infiamma e rimane in conversazione costante con Dio, e il lo­ro intelletto "fa schiudere un simbolo particolare della verità, ri­sultato delle delizie continue che provengono da queste parole importanti con le quali essi si danno pena notte e giorno". La ricerca dei sensi spirituali nelle parole della Scrittura li conduce a uno stato di profonda gioia interiore:

Cosa c'è di più di. grande che gioire continuamente in Dio lodandolo a ogni istante con un nuovo canto di lode (cf. Sal 33,3; 40,4; 96,r ... ) scaturito dallo stupore dell'anima in le­tizia, contemporaneamente a molte altre cose che nascono dalla stessa fonte, come la preghiera che zampilla improvvisa­mente, perennemente e spontaneamente dalle profondità di un cuore in cerca della contemplazione117?

Isacco denuncia poi quelli che leggono la Scrittura unicamen­te allo scopo "di ricavarne materia di gloria umana, o per rende­re la mente più acuta". La Scrittura dev'essere letta solo "a cau­sa della verità": allora soltanto la mente del lettore

abita continuamente in cielo, conversando a ogni istante con Dio, e i suoi pensieri navigano verso il mondo a venire cui

u• II,29,2·3· 117 II,29,5·9. In tale contesto il termine "contemplazione" (te'o1ya) può riguardare il

"significato spirituale" di certi passi della Scrittura.

2!7

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anelano ... La sua mente medita sulla speranza futura e, nel corso della sua vita, non sceglie altro compito né fatica né ser­vizio che sia più grande di questa sola occupazione 118

Giunto a questo stadio l'uomo è come un angelo che non pen­sa più ad altro che a Dio e alle cose di Dio.

Queste citazioni bastano a mostrare l'estrema importanza agli occhi di Isacco della lettura delle Scritture e dei padri, e a stabi­lire che la lectio faceva parte della sua concezione della preghie­ra. Bisogna ricordare che nell'antichità cristiana, e più in parti­colare nella pratica dei monaci, la lettura, anche solitaria, non si faceva solo con gli occhi bensì ad alta voce. La Scrittura veniva letta lentamente, con molte pause, e ogni frase o parola era og­getto di meditazione. Questo modo particolare di "coltivare" la lettura è oggi praticamente scomparso, poiché è spesso necessa­rio assorbire un numero imponente di parole senza grande inte­resse, e leggere di tr~verso e affrettatamente dozzine e perfino centinaia di pagine. E ovvio però che la "lettura pregata" consi­gliata da Isacco, cioè una lettura che investe il massimo possibile di attenzione su ogni singola parola, resta la forma ideale per chi vuol penetrare il significato spirituale delle sante Scritture. L'e­sperienza e le raccomandazioni di !sacco mantengono qui tutto il loro valore.

Ad onta del suo grande amore per la lettura, specialmente del­la Bibbia, !sacco tuttavia ammette che possa esistere uno stato spirituale nel quale nessuna lettura è più necessaria:

Chi non ha ancora ricevuto il Paraclito ha bisogno di opera d'inchiostro per imprimere il ricordo del bene nel suo cuore, applicarsi senza sosta al bene attraverso la lettura continua e proteggere l'anima dalle vie insidiose del peccato. Egli infatti non ha ancora acquisito la potenza dello Spirito che scaccia

118 II,29,I0-I2.

218

l'illusione capace di far prigionieri i pensieri che giovano al­l'anima e di raffreddare gli animi con le distrazioni dell'intel­letto. Quando la potenza dello Spirito penetra le potenze spi­rituali di un'anima attiva, sono i suoi comandamenti non le leggi scritte con l 'inchiostro, a mettere radici nel suo ;uore. A questo punto l 'uomo è ormai segretamente istruito dallo Spi­rito e può fare a meno dell'aiuto delle cose sensibili119 •

!sacco non è stato l 'unico a mettere in luce la priorità dell'e­sperienza spirituale interiore rispetto a tutte le sue espressioni formali ed esteriori, compresa la lettura della Scrittura e dei te­sti ascetici: si tratta infatti di un tema fra i più caratteristici del­la letteratura monastica e agiografica 120 . Agli occhi di I sacco im­porta non tanto il testo che viene letto quanto le intuizioni spiri­tuali e mistiche che se ne possono trarre. Quando la lettura è un mezzo per frequentare Dio, essa conduce là dove la mente, ces­sata ogni attività umana, entra in contatto diretto con Dio.

La preghiera notturna

La preghiera notturna appartiene alla grande tradizione cri­stiana, sia nella prassi liturgica generale 121 sia, più specificamen­te, in quella della preghiera monastica. Quando gli autori spiri­tuali raccomandano ai monaci le veglie, insistono sul fatto che l'intera creazione si trova in quel momento immersa nel sonno e

119 I,6 (p. 58)= Touraille 56 (p. 302); PR 6 (p. 9r). 120 La Vita di Maria Egiziaca narra di una donna che si ritirò nel deserto senza aver let­

to neanche ~n~ parola de~a Scrittura ma che, dopo molti anni di rigorosa vita ascetica, e:a capace d1 c1tare la Scnttura a memoria, essendo stata istruita direttamente dallo Spi­nto santo. Cf. anche la storia di Paolo il Semplice, in Rufina Storia dei monaci IX 2 7.

121 Si pensi ad esempio alle veglie notturne ancor oogi (enute in gran conto ~;lla chiesa ortodossa. "

219

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quindi nulla potrà distrarre l'asceta. La notte diventa cosl il pe­riodo più propizio alla preghiera. Ascoltiamo !sacco in proposi­to: "Che ogni preghiera offerta durante la notte sia più preziosa ai tuoi occhi di tutte le pratiche del giorno" 122

. La veglia nottur­na rappresenta quell' "opera deliziosa" durante la quale "l'anima fa esperienza della vita immortale e grazie ad essa si spoglia de­gli abiti delle tenebre e riceve i doni dello Spirito" 123

.

!sacco sviluppa questo tema nei capitoli zo e 75 della prima parte dei suoi scritti. Il primo discorso illustra i fondamenti teo­rici della veglia, mentre il secondo propone soprattutto consigli pratici che fanno riferimento alla vita dei santi, ed è solo par­zialmente contenuto nella recensione siro-occidentale delle ope­re, il che spiega perché esso sia in parte assente nella traduzione greca. Prima di tentare, sulla base del capitolo 75, una ricostru­zione del modo in cui la preghiera era praticata dal monachesi­mo d'oriente, vediamo che cosa ci insegna !sacco nel capitolo 20

sulla preghiera notturna. Questo discorso comincia con una "lode della veglia" consi­

derata come un'attività degli angeli che porta l'uomo a Dio:

O uomo, devi considerare che nessuna opera monastica è più grande della pratica della preghiera notturna . . . Il monaco che persevera nella veglia con discernimento non sembra rive­stito di carne, perché questa è veramente un'opera che appar­tiene alla condizione angelica ... L'anima che soffre ed eccel­le nella pratica della veglia avrà occhi di cherubino, per poter guardare e scrutare in ogni momento le visioni celesti 124

.

!sacco si affretta però ad aggiungere che lo sforzo delle veglie giova all'asceta solo a condizione che egli si guardi, durante il

122 1,64 (p. 308) = Touraille 34 (p. 2rr); PR 65 (p. 447). 123 1,65 (pp. 320-32r) = Touraille, Lettere 3 (pp. 46o-46r); PR 66 (p. 469). 124 1,20 (p. ror) = Touraille 29 (p. r84); PR I7 (p. r34).

220

giorno, dalla dissipazione e dalle cure secolari. In caso contra­rio, quando starà in piedi durante la veglia non riuscirà a racco­gliere la sua mente, e la fatica rimarrà senza frutto:

O uomo, com'è possibile che tu conduca la tua vita con così poco discernimento? Stai in piedi a pregare tutta la notte e sopporti le fatiche della salmodia, degli inni e delle litanie, e poi ti sembra compito gravoso e difficile stare un po' più at­tento durante il giorno, soprattutto se Dio ti ha reso degno della sua grazia in virtù dello zelo che dimostri per altre fati­che! A che scopo aumenti il tuo impegno nel seminare di not­te se poi quello che hai seminato lo dissipi di giorno, in modo che non possa dare frutto? ... Se tu di giorno avessi coltivato il tuo cuore con occupazioni ferventi per renderlo conforme alla meditazione della notte, senza erigere tra le due cose un muro di separazione, in breve avresti abbracciato il petto di Gesù125

Chi veglia su di sé durante il giorno conosce la forza delle ve­glie notturne. Esse da sole possono sostituire tutte le virtù: "Se uno ha un corpo così estenuato dalla malattia da non poter di­giunare, la veglia da sola può dare stabilità al suo intelletto in preghiera e riversargli nel cuore l'intuizione spirituale necessaria per comprendere la natura della potenza spirituale". A chi poi non ha la forza di prostrarsi e recitare i salmi a causa di un offu­scamento e un rilassamento spirituali, la veglia da sola potrà ba­stare, anche se resta seduto:

Se devi abbandonare queste opere [prostrazione e salmodia] perché non sei in grado di compierle, resta almeno sveglio da seduto, prega con il cuore, fa ogni sforzo possibile per tra­scorrere la notte senza dormire, seduto e meditando pensieri

125 1,20 (p. ro2) = Touraille 29 (p. r85); PR I7 (p. r34).

22!

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buoni. Se non lasci indurire il tuo cuore, se non lo lasci offu­scare dal sonno, la grazia ti restituirà quel tuo fervore origina­rio, quella leggerezza e quella forza, e finirai con il danzare di gioia rendendo grazie a Dio 126

.

Diamo ora uno sguardo al capitolo 75 di Isacco e alle sue rac­comandazioni pratiche circa le veglie. Egli comincia con il ri­chiamare la nostra attenzione sull'inizio della preghiera nottur­na, che richiede secondo lui una preparazione appropriata. Bi­sogna dapprima prostrarsi, fare il segno della croce, restare un certo tempo in piedi e in silenzio, poi formulare una preghiera composta di parole personali:

Quando vuoi stare in piedi durante la liturgia della veglia, se Dio ti aiuta fa' come ti dico. Inginocchiati secondo l'uso, ma non dare immediatamente inizio alla liturgia. Dopo aver fini­to una preghiera, segna cuore e fianchi con il segno vivifican­te della croce resta un momento in piedi e in silenzio e aspet­ta che i tuoi ;ensi siano placati e i pensieri in riposo. Alza poi lo sguardo interiore sul Signore e supplicalo, con il cuore do­lente, di fortificare la tua debolezza e concederti che la sal­madia della tua lingua e i pensieri del tuo cuore siano graditi alla sua volontà, affidando tranquillamente alla preghiera del cuore le parole seguenti: "Signore Gesù, mio Dio, tu che con­templi l'insieme della tua creazione, al quale le mie passioni, la debolezza della nostra natura e la potenza dell'Avversario appaiono evidenti, sii tu stesso il rifugio contro la malvagità del nostro comune nemico ... Proteggimi dal tumulto dei pen­sieri e dal traboccare delle passioni e rendimi degno di porta­re a compimento questa santa liturgia affinché non mi accada di auastarne la dolcezza con le mie passioni, apparendo sfron-

"' tato e temerario di fronte a te" 127

.

126 1,2o (p. 103) = Touraille 29 (p. 1S6); PR 17 (pp. 137-13S). 1211,75 (pp. 365-366) = Touraille zS (p. 1S1); PR So (pp. 546-547).

222

Isacco non ha tratto questa preghiera da qualche celebrazione liturgica: essa è composta da lui, come un gran numero di pre­ghiere che si trovano sparse qua e là nei suoi scritti. Egli attri­buiva grande importanza alla preghiera composta dalle parole dell'arante stesso e raccomandava ai cristiani di non limitarsi a recitare le preghiere prescritte dalla regola, bensì di trovare pa­role personali con cui rivolgersi a Dio.

Al tempo stesso, però, la veglia notturna degli asceti compor­tava una specie di "regola", vale a dire una successione di pre­ghiere, inni, letture e prostrazioni obbligate ogni volta che si ce­lebravano le vigilie. Tuttavia per Isacco questa regola non dove­va comportare per forza un numero fisso di preghiere: dimorare in Dio con l'intelletto è più importante che attenersi rigidamen­te a un regolamento. "Dobbiamo celebrare la liturgia completa­mente liberi da ogni pensiero e inquietudine infantili". Isacco poi suggerisce:

Se vediamo che il tempo è poco e ci accorgiamo che l'auro­ra ci coglierà prima che abbiamo portato a termine la nostra liturgia, allora saltiamo volontariamente e saggiamente una marmita 128 o due di quelle abitualmente previste dalla regola, per non causare turbamento e non guastare il dolce sapore della nostra liturgia 129

.

Proprio per questo, per non perdere il gusto della veglia, non bisogna recitare i salmi affrettatamente nella speranza di far pri­ma a completare il numero regolamentare:

Mentre celebri la liturgia, se mai un pensiero si insinuasse nella tua mente e ti suggerisse: "Accelera un po', hai molte

128 Parte del salterio. Nella tradizione siro-orientale il salterio era diviso in venti bul­la/e e cinquantasette mannyata.

129 1,75 (p. 366) = Touraille 2S (p. 1S1); PR So (p. 547).

22}

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cose da fare e sarai libero prima", tu ignoralo. E se questo pensiero continuasse a tormentarti, ritorna alla marmita pre­cedente o dove vorrai, e ricanta ogni versetto per compren­derlo ... E se proprio non la smettesse di importunarti, inter­rompi la salmodia, inginocchiati e prega: "Io non voglio fare il conto delle parole ma raggiungere le dimore del cielo" 130 •

Un primo modo di lottare contro i pensieri consiste dunque nel recitare lentamente i salmi ripetendo ogni versetto più volte; un secondo modo nell'ignorare il numero prescritto di salmi e pregare con parole personali. Isacco continua:

Se ti senti mancare le forze per la fatica di quella lunga posi­zione in piedi e se il pensiero ti sussurra in un orecchio: "Ora smettila, non ce la fai più", rispondi: "No, ma vado a seder­mi, che è sempre meglio che dormire. Anche se la lingua tace e non recita più salmi, la mia mente rimarrà in rapporto con Dio nella preghiera e nella presenza al suo fianco; è sempre più giovevole vegliare che dormire" 131 .

La cosa che di primo acchito d colpisce è che Isacco preveda l'eventualità di pregare seduti; ci colpisce poi anche il permesso da lui accordato di sostituire la recitazione ad alta voce con la preghiera silenziosa all'interno del proprio animo. È probabile che pregare ad alta voce fosse la pratica corrente tra gli asceti dell'epoca, mentre la preghiera mentale era ammessa solo in ca­so di affaticamento o durante le attività comuni che non consen­tivano di essere soli o infine quando si stava prostrati faccia a terra.

Isacco insegna poi che la successione dei diversi elementi al­l'interno della veglia notturna non è identica per tutti gli asceti.

130 I, 75 (p. 366) Touraille 2.B (p. rBz); PR Bo (p. 54 B). 131 I,75 (p. 366) Touraille 2B (p. r8z); PR So (p. 548).

224

Ci sono vari tipi di veglie e serie diverse di preghiere, come pure molti modi di favorire l'attenzione e l'umiltà. Merita poi di es­sere rilevato il cenno alla preghiera costituita da una breve for­mula132 e alla possibilità di pregare senza inginocchiarsi:

Né la preghiera né la semplice salmodia esauriscono comple­tamente la veglia del monaco. C 'è chi passa tutta la notte salmodiando, chi a pentirsi ripetendo le preghiere di com­punzione e le prostrazioni, altri ancora è impegnato in pian­ti, lacrime e lamentazioni sui propri peccati. Di uno dei no­stri padri hanno scritto che per quarant'anni ripeté un'unica preghiera: "Ho peccato come uomo, ma tu, come Dio, per­donami"133. I padri lo sentivano meditare queste parole con compunzione e lo vedevano piangere senza mai tacere; que­sta preghiera faceva per lui le veci dell'ufficio, di notte come di giorno. Un altro fratello consacra una parte della sera alla salmodia e il resto della notte ai cantici134 • Un altro ancora loda Dio e legge delle marmyata, mentre tra una marmita e l'altra si illumina e si ristora leggendo la Bibbia, finché non ha ripreso lena. Altri infine si impone come regola di non piegare le ginocchia nemmeno per la preghiera conclusiva di una marmita, benché questo sia l'uso durante le vigilie, ma passa la notte intera nel continuo silenzio 135 •

Con questa allusione a Mosè l'Etiope, che pregava senza mai piegare le ginocchia, si conclude il capitolo 75 nella recensione siro-occidentale e quindi nella traduzione greca. Ma la versione originale prosegue con una descrizione della gioia spirituale che si riversa sul monaco durante le veglie:

132 La "preghiera di Gesù", largamente diffusa in tutto l'oriente bizantino, è una delle numerose forme di questa "preghiera a formula breve".

133 Abba Apollo. Cf. Palladio, Sto,ùrlausiaca 2.. 1" I "tropari" greci.

135 I,75 (pp. 366-367) = Touraille zB (pp. rB:H83); PR Bo (pp. 54B-549).

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Quando i forti provano godimento e piacere durante le veglie, passano senza scoraggiarsi le lunghe ore della notte. La loro anima fiorisce, gioisce e dimentica la sua veste carnale ... La gioia e la danza del cuore non permettono loro di pensare al sonno, perché hanno l'impressione di essersi spogliati del cor­po e di aver aià raaaiunto quello che sarà il loro stato dopo la resurrezione~ Per ~ia dell'immensità della loro gioia capita lo­ro di interrompere la salmodia e prostrarsi faccia a terra, a causa dello zampillo di gioia che scaturisce nelle loro anime. La notte sembra loro lunga come il giorno e l'avvicinarsi del­l' oscurità è come il sorgere del sole, a causa della speranza che innalza e inebria il loro cuore quando meditano su questo ... Mentre le loro lingue suonano l'arpa spirituale, l'intelletto va dietro a ciò che gli è proprio. Ora ritorna sul significato dei versetti, ora respinge un pensiero estraneo non appena si af­faccia alla mente, ora infine, quando l'anima incomincia a es­sere stanca, ritorna alle letture del giorno

136.

!sacco allora riprende i suoi consigli sulla preghiera in stato di stanchezza. Se uno vuole dare un po' di riposo al corpo, si sieda con il viso rivolto a oriente. Finché resta seduto così, bisogna che la mente non sia vuota ma rifletta sull'utilità delle veglie notturne ricordandosi come un tempo i padri perseveravano in questa fatica. Questo richiamo lo riempie di stupore, pensando alla grande tradizione di cui ha ricevuto l'eredità. L'esempio di padri celebri che si sono dati gran pena nelle veglie (qui !sacco cita vari nomi) porta a uno stato di ebbrezza spirituale, giacché sembra al monaco di trovarsi in mezzo a loro e di vederli con i

propri occhi 137:

A causa del ricordo delle vite dei santi, di cui la mente si ram­menta e medita le vicende, il suo scoraggiamento ormai è sva-

136 I,75 (pp. 367-36S) = PR So (p. 550). 137 Cf. I,75 (pp. 36S-37o) = PR So (pp. 551-555).

226

nito, l'indifferenza scacciata, le reni rinvigoriscono, il sonno è stanato dalle pupille ... e una gioia ineffabile affiora alla sua ~nim~. ~?lei lacrime gli rigano il volto, un giubilo spirituale mebna l mtelletto, l'anima riceve consolazioni indicibili la speranza sostiene il cuore e gli infonde coraggio. A quest'~o­mo sembra ora di dimorare in cielo per tutta la durata di una veglia piena di tante cose eccellenti 138.

Il te.ma dell'eb~rez~a spirituale è il più caratteristico tra quelli trattatl da !sacco 11 Suo. Nel capitolo seguente avremo occasio­ne di analizzarlo in maggior dettaglio. Per il momento acconten­tiamoci di s?ttolineare il carattere estatico della preghiera not­t~r.na, c?e d~venta"per Isa~co u~a fonte di gioia soprannaturale e d~ 1.llum1naz~one: Nulla mfattl rende la mente così raggiante e g1010sa, la nempie tanto di luce, scaccia i cattivi pensieri e fa esultare l'anima, quanto l'applicazione a veo-lie continue" 139 E continua: "Crist~ stesso si appartava contin~amente per and~re a pregare e scegheva, non senza discernimento, come tempo la notte e come luo~o il deserto (cf. Mt 14,23; Mc r,35)". Analo­gamente, la magg10r parte delle rivelazioni fatte ai santi avven­nero durante la preghiera notturna 140:

La preg~iera of!erta durante la notte è molto potente, più di quella dmrna. E questa la ragione per cui i aiusti hanno tut­ti pregato di notte, lottando contro la pesan;ezza del corpo e la dolcezza del sonno. Per questo Satana teme la fatica della veglia e cerca con ogni mezzo di ostacolare ali asceti come n~l caso di Antonio il Grande, del beato Paolo, di Ar~enio e d1 ~ltri padri d'Egitto. Tuttavia i santi hanno perseverato con ost~na~10ne nella veglia e hanno trionfato sul diavolo. Quale sohtano, pur dotato di ogni altra virtù, non sarebbe stato

138 I,75 (p. 370) = PR So (p. 555). 139 I,75 (p. 370) = PR So (pp. 555-556). 14° Cf. I,75 (p. 37r) = PR So (p. 556).

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considerato un inetto se avesse trascurato questa fatica? Giac­ché la veglia è la luce della coscienza (tar'ita), essa esalta la mente (mad'a) e concentra il pensiero (re'yana); attraverso di essa l'intelletto (hawna) spicca il volo e fissa lo sguardo sulle realtà spirituali mentre, ringiovanito grazie alla preghiera, ri­fulge di splendore 141_

Come ha notato Dana Miller, questo è l'unico passo nell'ope­ra di Isacco in cui i quattro vocaboli che designano in siriaco le facoltà mentali dell'uomo sono usati tutti insieme 142. È proba­bile che !sacco abbia voluto così sottolineare fino a che punto la preghiera di notte possa interessare l'intera persona e sia capace di trasfigurare la totalità delle sue capacità mentali. Per !sacco la preghiera notturna possiede un carattere globale: egli la conside­ra il mezzo universale per antonomasia che consente di giunge­re all'illuminazione della mente. Di Arsenio, l'eroe preferito di !sacco, si dice che alla veglia del giorno del Signore (domenica) si lasciasse il sole alle spalle e tendesse le mani al cielo finché il sole, sorgendo dalla parte opposta, non giungesse a illuminargli il viso 143 . A causa delle suo assiduo vegliare Arsenio pervenne a un tale grado di illuminazione che nel corso della preghiera il suo intero corpo diventava come di fuoco 144. San Pacomio, in questo campo rivale di Arsenio, vegliava nello stesso modo e finì con l'acquistare una tale purezza di spirito che "vedeva Dio, che è invisibile, come in uno specchio". "Ecco i frutti della veglia, le benedizioni che ricevono coloro che la praticano e il corona­mento delle loro lotte" 145 .

Come si vede, i frutti principali della veglia sono la trasfigura­zione della mente, la purificazione del cuore e la visione mistica

141 I,75 (pp. 372-373) = PR So (p. s6o). 142 Cf. D. Miller, n. z6 a I,75, in Tbe Ascetica! Homi!ies, p. 373· 143 Cf. Apoftegmi dei padri, Arsenio 30. 144 Cf. ibid., Arsenio 27. 14

' I,75 (p. 374) = PR So (pp. 563-564).

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di Dio. !sacco conclude con un appello al lettore affinché imiti i santi del passato e diventi "loro sociale ed erede del loro stile di vita" 146 .

La "legge della schiavitù" e la "legge della libertà"

Abbiamo visto come Isacco, parlando della preghiera durante le veglie, osservi che tale preghiera dev'essere eseguita in "tota­le libertà", affrancata dal desiderio infantile di aderire ad ogni costo alle prescrizioni di una regola 147 . Egli torna spesso su que­sto consiglio, sottolineando come un "attegaiamento da schia­vo" rispetto alla regola, consistente nel riten~re che la cosa più importante sia l'esecuzione di una quantità prescritta, non pos­sa liberarci dalla confusione e dai pensieri materiali, ma che solo la "libertà" possa condurre a uno stato di calma dello spirito e dell'anima:

Vuoi_ trarre le tue delizie dai salmi della liturgia e comprende­re gh oracoli dello Spirito? Non dare allora importanza alla quantità dei versetti, dimentica la tua abilità a imprimere lo­ro un ri:mo, per riuscire invece a recitarli come una preghie­ra. Lasc1a perdere l'abitudine di recitarli a memoria e cerca di capirmi ... Quando la tua mente avrà raagiunto la 'stabilità • b

1n questa meditazione, la confusione sgombrerà il campo e ti lascerà. La pace dei pensieri non potrà essere trovata con un lavoro da schiavi, mentre nella libertà dei figli di Dio non c'è né confusione né irrequietudine14s.

146 I,75 (p. 375) = PR So (p. 564). •

147 9uand_o parla della "regola" della preghiera Isacco usa come sinonimi due t ermi­m greci: kanon (regola) e n6mos (leaae).

148 - . 00

I,J4 (p. z6S) = Touraille 33 (pp. 206-207); PR 53 (pp. 3S2-3S3).

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Nel capitolo 4 della seconda parte Isacco studia la funzione di una regola per la preghiera. L'idea di fondo è che fissare per norma un numero definito di preghiere vada bene per coloro la cui mente non ha raggiunto l'illuminazione, mentre chi l'ha ri­cevuta non ne ha bisogno. Affine alla precedente è l'idea che la regola sia utile in un periodo di rilassamento spirituale, ma di­venti superflua quando domina la grazia:

La mente che ha ricevuto l'illuminazione non ha più biso­gno di molte formule di preghiera per unirsi a Dio. La varietà delle preghiere è di grande aiuto a chi subisce l'assalto delle distrazioni, poiché la forza che gliene deriva lo induce al pen­timento e gli fa acquistare la dolce preghiera, le genuflessio­ni prolungate, l'intercessione in favore della creazione e le lunghe suppliche che prendono le mosse dall'interno del suo animo. Ciò accade perché a ogni parola incontrata in queste preghiere si sente come scosso dal torpore e si imbatte conti­nuamente in sorprendenti intuizioni e capisce che tali parole, dotate di una forza nascosta, sono di per sé un dono della gra­zia. In ogni momento, quando le legge o vi medita sopra, egli riceve un soccorso. Nei periodi in cui domina la grazia, quan­do gioisci in questa preghiera deliziosa e nelle genuflessioni prolungate, non è necessario che tu ti attenga alle ore della regola o ti preoccupi del numero di preghiere da recitare, per­ché quella preghiera deliziosa contiene in sé tutte le preghiere che devono essere recitate in numero fisso e fa sì che le regole siano sottomesse a te [e non viceversa]l49

.

Isacco continua affermando che nella preghiera pura la fatica della preghiera trova il proprio culmine: chi è arrivato fin lì non ha più bisogno di regole o canoni. Se però non ci sei arrivato non devi abbandonare le regole: anche se la preghiera pura la

possiedi in parte, "continua a osservare la regola e i canoni per la parte che non possiedi" 150

. Osservare le regole è necessario finché si rimane bambini spiritualmente, ma una volta raggiunta la maturità esse diventano inutili 151 • Esiste una "legge dei bam­bini che illumina ed educa in vista della libertà", ed esiste una "legge degli schiavi che non permette alcun progresso ed educa in modo adatto ai bambini piccoli" 152

. La prima corrisponde alla "legge della libertà", rispecchia l'atteggiamento di un figlio ver­so il padre e non richiede regole particolari; la seconda corri­sponde alla "legge della schiavitù" e ha bisogno di limiti canoni­ci e di regole. Finché uno prega in momenti precisi della giorna­ta, deve osservare gli uffici della regola; ma quando è capace di pregare ininterrottamente, prostrato davanti alla croce, "non è sottoposto a regola o legge canonica di sorta, e i tempi o i mo­menti espressamente previsti non hanno alcuna autorità su di lui. Al contrario, egli è ormai al di là delle regole perché è con Dio, senza limiti né confini" 153 .

Isacco sviluppa lo stesso tema, ma in un contesto diverso e antimessaliano, nel già citato capitolo 14 della seconda parte. L'accento qui è posto su vantaggi e necessità di una regola per la preghiera, contro i messaliani che ne rifiutavano ogni forma esteriore. Anche qui però Isacco accenna a situazioni in cui la regola può essere trascurata, a causa della gioia che deriva dall'a­more di Dio:

Ecco un cattivo segno: trascurare l'obbligo delle ore dell'uffi­cio senza una ragione urgente. Ma se è la preghiera stessa che ci induce a trascurare le ore, se sono la pressione e il peso di una lunga esperienza della preghiera prolungata che ci spingo-

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no a farne a meno, o i tempi aggiuntivi causati dal predomi­nio delle delizie che ci reca la preghiera, allora abbiamo avuto la fortuna di concludere un ottimo affare per via dell' ogget­to invidiabile di cui ci siamo impadroniti. Come sta scritto: "La sorte che gli tocca è deliziosa" (Sal 16,6). Tutto va bene se trascuriamo l'ora dell'ufficio non per idee vane ispirate da un atteggiamento di disprezzo, ma piuttosto perché la dolce gioia trovata nella preghiera e dovuta alla pressione esercitata dall'amore di Dio ci ha trattenuto. Infatti, dopo tutto, pro­prio in ciò consiste l'adempimento del nostro servizio, che non è imposto da una legge né a essa è sottomesso 154

.

Sembra che !sacco passi dalla critica di un "atteggiamento di disprezzo" verso la regola, proprio dei messaliani, alla sua per­sonale concezione secondo la quale l'osservanza di una regola non è sempre necessaria né sempre possibile all'asceta ortodos­so. È chiaro che vuole evitare che il suo amore per la libertà sia scambiato per un atteggiamento messaliano, dal quale egli tiene a dissociarsi sottolineando come l'abbandono delle regole, nel­la tradizione ortodossa, non sia dovuto a disprezzo o arroganza ma al contrario all'abbondanza dell'amore di Dio che costrin-

' ' ge talvolta a dimenticare ogni regola.

Se a qualcuno queste cose accadono continuamente - e so­no un segno dei carismi divini e costituiscono una potente in­troduzione alla purezza della preghiera -, ma soprattutto se, durante la preghiera, egli mostra un atteggiamento esteriore pieno di venerazione e di profondo rispetto, è perché è stato rapidamente innalzato al rango di coloro che hanno raggiunto la pienezza, particolarmente se continua a osservare atteggia­menti esteriori pii e a mostrare un profondo timore di Dio nella preghiera 155

.

154 II,I4,7· 155 II,r4,7-8.

232

Per !sacco le regola è utile perché insegna l'umiltà; privarcene può indurre all'orgoglio:

Il cuore acquista maggior libertà di parola nei confronti di Dio durante la preghiera che nel corso dell'ufficio. Ma trascu­rare completamente quest'ultimo porta all'orgoglio, e a causa dell'orgoglio l'uomo cade lontano da Dio. Vedi come attraver­so il semplice sforzo di sottomissione a una regola una perso­na relativamente libera nel suo modo di vivere mantenga l'a­nima umile, senza offrire al demone dell'orgoglio l'occasione di agitare pensieri malvagi davanti ai suoi occhi. Ritenendosi insignificante e incapace di libertà, essa umilia e abbassa ogni orgoglio del pensiero. Non c'è, per la bocca, freno più effica­ce di una mente che si innalza 156 .

Per questa ragione gli antichi padri, pur possedendo la pre­ghiera ininterrotta, non abbandonavano la regola 157

:

Non senza ragione questi padri si imponevano a volte un cen­tinaio di preghiere 158

, a volte cinquanta o sessanta, benché la loro persona tutta intera fosse ormai diventata un altare di preghiera. Che bisogno c'era di un numero fisso se non smet­tevano mai di pregare? Di Evagrio si dice che ne recitasse un centinaio, il beato Macario sessanta, Mosè l'Etiope cinquan­ta, Paolo il grande solitario trecento, e così via. Il motivo per cui questi beati padri si costringevano, come dei servi, al ri­spetto delle regole, era la paura dell'orgoglio 159 .

La regola sottomette l'anima all'umiltà, che è propria della condizione servile. Tuttavia, all'interno della regola stessa per-

156 II,q,rS. 157 Cf. II,q,I9. 158 Si tratta ancora una volta di una regola contenente brevi preghiere, che può com­

prendere un salmo, un'invocazione e una serie di prostrazioni. 159 Il,I4,20-22,

2 33

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mane la libertà, come all'interno della libertà permane la regola. Alcuni progrediscono grazie alla regola, altri grazie alla libertà

che viene loro dalla regola 160:

Alcuni fanno maggiori progressi nella libertà che quando so­no sottoposti a una regola. Nondimeno, dalla libertà possono diramarsi strade che portano all'errore. Nella libertà si na­scondono molte possibilità di caduta, ma con la regola nessu­no mai si discosta dalla retta via. Coloro che si sottopongono con perseveranza al giogo di una regola saranno indotti alla caduta solo dopo averla abbandonata e disprezzata. Per que­sto motivo i santi d'un tempo, che hanno portato a termine il loro cammino senza deviare dalla retta via, si facevano guida­re da qualche regola 161

.

Per Isacco "c'è una regola che implica la libertà e una regola destinata agli schiavi". Quest'ultima consiste nell'obbligo di re­citare un numero fisso di preghiere e di salmi a ogni ufficio:

Si ha la legge degli schiavi quando uno dice a se stesso: Ecco la quantità di salmi che reciterò a ogni liturgia e a ogni pre­ghiera. Chi dice così è invariabilmente obbligato tutti i giorni agli stessi salmi senza poter cambiare, perché nella preghiera e nell'ufficio è costretto a uniformarsi ai criteri di numero, lunghezza e quantità che egli stesso ha fissato. Questo è del tutto estraneo al cammino della vera conoscenza, giacché non tiene conto né dell'azione di Dio né della debolezza della na­tura umana o della possibilità di lotte frequenti: quanto alla prima, potrebbe essergli concessa una grazia che gli faccia prolungare la preghiera oltre i limiti fissati dalla sua volontà; negli altri casi, la natura umana potrebbe rivelarsi troppo de­bole per adempiere la regola 162

.

16° Cf. II,I4,3I-31. 161 II,I4,33. 162 II,I4,34·

2 34

In altre parole, chi si impone una quantità fissa di preahiere alle diverse ore del giorno non tiene conto del fatto che pot~ebbe non riuscire a rispettarla, o perché una grazia sovrabbondante gli fa dimenticare le parole, o perché la debolezza fisica non gli permette di portare a termine le preghiere prescritte.

La "legge della libertà", per contro, non fissa in anticipo né la successione né il numero delle preghiere. Ogni monaco deve mantenere i sette uffici tradizionali della giornata, ma contenu­to e lunghezza delle preghiere sono lasciati alla sua discrezione:

La legge della libertà consiste nell'osservanza fedele dei set­te uffici, stabiliti dai santi padri riuniti in concilio ecume­nico dallo Spirito santo al fine della purezza del nostro stile di vita 163 . Lungi da noi solitari l'idea di non sottometterei al­la chiesa, ai suoi capi e alle sue leggi. È precisamente questo il motivo per il quale osserviamo le sette ore dell'ufficio in conformità con quanto la chiesa ha prescritto ai suoi figli. Questo tuttavia non significa che a ogni ufficio siamo obbli­gati a recitare lo stesso numero di salmi, né che un nume­ro fisso di preghiere debba essere recitato ogni giorno duran­te gli uffici diurni e notturni. Neppure è necessario preci­sare la durata di ogni preghiera o specificarne le parole. Al contrario, si consacri pure a ogni preghiera il tempo per il quale la grazia ce ne dà la forza, domandando tutto quello che l'urgenza del momento può esigere e servendoci della preghiera alla quale ci sentiamo portati. Pregando così sare­mo più raccolti e liberi da distrazioni, in vista della gioia che ne deriva. Pregando così, adatteremo le nostre richieste alla forza della natura umana e alla sapienza che il Signore ci concede 164 .

1 ~ 3 Qui .Isacco allude al ~anone 54 del concilio di Nicea (325), che prescrive la cele­bra.zwne dlSe.tte ~fflc.1 al g;?rno. Cf. Centurie di conoscenza IV,24, in cui l'autore met­te m guard1a 1 sohtarl dal trascurare senza un motivo impellente i sette uffici fissati dalle regole per la salvezza di coloro che lottano contro il demonio".

164 II,I4>35·

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Questo passo sottolinea come dai monaci ci si aspetti obbe­dienza alla chiesa, e ciò costituisce una nuova critica ai messalia­ni che alle tradizioni della chiesa, da loro rifiutate, preferiscono la preghiera spontanea. Tuttavia !sacco presenta le sette ore co­me una specie di "legge quadro" al servizio della preghiera dei monaci senza annullare il carattere spontaneo di quest'ultima: né la successione delle preghiere né la loro lunghezza devono es­sere precisate. Tra i fattori che ne determinano la lunghezza e l'ordine di successione !sacco cita "la necessità urgente del mo­mento" o "la forza della natura". In altri termini, la preghiera non dev'essere astratta o ignorare i bisogni reali di chi prega, co­sì come la sua lunghezza non deve eccedere le capacità naturali di quest'ultimo.

Quanto alle parole, secondo !sacco nessuna preghiera scritta è obbligatoria, nemmeno il Padre nostro. Il peso di questa pre­ghiera non sta nelle parole; ciò che più importa è che l'arante sia impregnato del suo spirito:

Se uno pretende che in tutte le nostre orazioni si debba reci­tare la preghiera pronunciata dal Salvatore usando le medesi­me parole e rispettandone l'ordine preciso più che il significa­to, costui non ha capito niente dell'intenzione di nostro Si­gnore nel formulare la sua preghiera e resta ben lontano dal pensiero del beato lnterprete 165 . Nostro Signore non ha voluto insegnarci una successione particolare di parole, ma ha voluto indicarci quale debba essere lungo tutta la nostra vita la meta della nostra mente. Egli ci ha dato un senso, non una serie di parole da recitare con le labbra. Ogniqualvolta dunque noi poniamo questa preghiera davanti alla mente come meta da raggiungere, noi preghiamo secondo il suo senso e dirigiamo i movimenti della nostra preghiera in accordo con esso: per

165 Isacco allude all'Omelia catechetica II di Teodoro di Mopsuestia, dedicata al Pa­dre nostro.

esempio, quando chiediamo il regno [di Dio] e la sua giustizia (cf. Mt 6,33), o quando preghiamo di essere liberati dalle ten­tazioni, come a volte ci capita. In altri momenti possiamo pregare per i bisogni della nostra natura umana, o per avere di che nutrirei durante il giorno, o per tutte le altre cose che il Signore ci ha insegnato a chiedere. La nostra preghiera de­v'essere ispirata al significato delle parole e noi dobbiamo in­dirizzare la nostra vita in conformità a esse 166 .

Quando nostro Signore ha consegnato questa preghiera ai suoi discepoli non si è limitato alla sequenza delle parole ma ha insegnato loro "a non mescolare alla preghiera, come fanno i pa­gani, ogni sorta di cose contrarie ai suoi comandamenti" 167• Pen­sare diversamente è indice di una mentalità puerile che osserva e studia l'ordine preciso delle parole invece di fare attenzione al loro significato, dal quale promanano preghiere, domande e ri­flessioni in perfetta sintonia con la condotta del mondo nuovo. Modificare la forma esterna della preghiera insegnata dal Signo­re non cambia nulla, a patto di rispettarne il senso e seguirla nel­lo spirito 168 .

Come risulta dai testi citati, !sacco è favorevole a un atteggia­mento libero verso le regole di preghiera e i testi da usare: né il tempo dedicato alla preghiera né le parole hanno un valore asso­luto. L'importante è che la preghiera corrisponda ai bisogni in­teriori dell'arante e al modo in cui Gesù Cristo ha insegnato ai cristiani a pregare. Si può pregare con parole personali oppure con i salmi o con preghiere scritte da altri: in quest'ultimo caso, le parole altrui debbono essere fatte proprie da chi le recita, de­vono cioè passare attraverso il profondo del suo cuore. La fedel­tà a Cristo non consiste nella ripetizione pedissequa della pre-

166 II,q,36·37· 167 II,I4,}8. 168 Cf. II,I4.39·

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ghiera che egli ci ha insegnato, bensì nell'essere imbevuti del suo spirito. Parimenti la fedeltà alla chiesa e alla tradizione mo­nastica non esige che si recitino tutti gli uffici e i salmi stabiliti dagli antichi padri, ma che ci si lasci permeare dal loro spirito mirando a eguagliarne la santità.

La preghiera per il mondo intero

!sacco il Siro fa parte di quegli autori della chiesa antica che avevano una visione universale e non perdevano mai di vista il mondo intero, tutta la creazione e tutti gli uomini con le loro sofferenze. In ciò consiste il paradosso della vita solitaria: l'ere­mita che si ritira dal commercio con gli uomini non li dimentica affatto, e pur rinunciando al mondo non smette mai di pregare per esso. !sacco era amante della solitudine e del silenzio, ma ogni tentazione di chiudersi in se stesso o di occuparsi della pro­pria salvezza senza darsi pensiero per i suoi fratelli gli era total­mente estranea. Egli possedeva quel "cuore misericordioso" la cui caratteristica è di avere compassione per tutte le creature: non solo per i cristiani ma anche per gli apostati, gli animali e i demoni. Come la preghiera liturgica, la sua preghiera personale si estendeva su scala cosmica, abbracciando non solo i vicini e gli estranei, ma la totalità degli uomini e dell'universo.

Per conoscere un po' meglio questa straordinaria esperienza di preghiera universale prendiamo in esame il capitolo 5 della se­conda parte dell'opera di !sacco. Esso contiene una lunga pre­ghiera per il mondo intero, ed esordisce con un ringraziamento a Dio per l'incarnazione:

La mia anima si inchina fino a terra e io ti offro con tutte le mie ossa e tutto il mio cuore il sacrificio che ti si confà, o Dio

di gloria che dimori entro un silenzio ineffabile. In vista del mio rinnovamento tu hai innalzato per me sulla terra un ta­bernacolo d'amore in cui ti compiaci di riposarti, un tempio di carne 169 che è stato unto con l'olio più santo tra quelli del Santo dei Santi. Tu l'hai colmato della tua santa presenza, co­sicché tutta la liturgia vi possa essere celebrata, facendola co­noscere in onore delle Persone eterne della Trinità e rivelan­do al mondo, creato da te nella tua grazia, un mistero indici­bile, una potenza che non può essere né sentita né afferrata da nessun elemento venuto alla luce nella tua creazione. Gli esseri angelici, immersi nel silenzio, sostano stupiti davanti alla nube impenetrabile (cf. Es 2o,2I) di questo eterno miste­ro e davanti al fiume glorioso che sgorga da quella meraviglio­sa sorgente che è celebrata nelle placrhe del silenzio da ocrni pensiero santificato e reso degno di t~liD. o

La nostra attenzione è attirata dalle domande con cui la pre­ghiera si apre, formulate secondo il linguaggio dei salmi: una frase come "con tutte le mie ossa e tutto il mio cuore" è eviden­temente ispirata a immagini del salterio (cf. Sal 9,2; 35,Io; I I9, Io e passim). Proseguendo nella sua preghiera I sacco rivolge l'attenzione alla creazione e alla caduta dell'uomo, e riferendo quest'ultima a se stesso parla di sé come di un bambino che im­plora Dio di trattarlo con la sollecitudine di un padre:

Signore, mi prostro davanti allo sgabello dei tuoi piedi (cf. Sal 99,5; I 3 2, 7) e davanti alla tua santa destra che mi ha mo­dellato e ha fatto di me un essere umano, capace di sentire la tua presenza. Ma ho peccato e agito male, sia dentro di me che davanti a te, giacché ho abbandonato la santa conversa­zione con te per trascorrere i miei giorni in conversazione con le concupiscenze. Te ne supplico, Signore: non contare contro

169 Si tratta della natura umana del Verbo incarnato [N.d.T. francese]. 170 Il,), I.

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di me i peccati della mia giovinezza (cf. Sal 2 5, 7), l'ignoranza della mia vecchiaia e la fragilità della natura che mi hanno vinto e sommerso in pensieri rivolti a oggetti spregevoli. Volgi il mio cuore verso di te, lontano dalle torbide distrazioni dei piaceri; fa' abitare in me una luce nascosta. L'azione della tua bontà previene sempre ogni velleità del mio cuore a bene agi­re e oani disponibilità alla virtù. La tua sollecitudine a sotto­porre la mia libera volontà alla prova tu non l'hai mai tratte­nuta, anzi, essa mi ha seguito come un padre segue il proprio figlio ... giacché da sempre tu sai che io, come e più di un bambino, ignoro la meta del mio viaggio 171

Seguono richieste di essere liberato da ogni intenzione malva­aia dai desideri carnali e dalla potenza del demonio 172 . Isacco do~anda poi a Dio di concedergli un vero pentimento, affinché egli possa vedere i propri peccati:

Busso alla porta della tua misericordia, Signore: vieni in soc­corso dei miei impulsi di dissipazione, avvelenati da tante passioni e dalla potenza delle tenebre. Tu vedi le piaghe na­scoste nel mio intimo: avvia dentro di me la contrizione, an­che se non è pari alla gravità dei miei peccati, giacché se io avrò piena conoscenza della loro entità, la mia anima sarà consumata di dolore e di amarezza a causa loro ... O Nome di Gesù173, chiave di tutti i doni, disserra per me la grande porta del tuo tesoro, affinché io possa entrarvi e lodarti di una lode che viene dal cuore per gli atti di misericordia che ho speri­mentato da parte tua, poiché tu sei venuto e mi hai rinnovato attraverso la percezione del mondo nuovo 174

.

Seguono domande di carattere più personale, che mescolano sentimenti diversi con espressioni di pentimento, ringraziamen-

171 II,5,z. 172 Cf. II - 3. m Sul N;;'~e di Gesù, cf. Efrem il Siro, Inni sulla fede 6,r7; Inni sulla Natività 27. 174 II,5A·5·

ti e azioni di lode. Isacco si rivolge quindi alla natura umana di Cristo per lodarla, poi passa a una preghiera di pentimento:

Signore, sto davanti al trono della tua maestà, io polvere, cene­re, rifiuto dell'umanità. Migliaia e migliaia di angeli e legioni innumerevoli di serafini ti offrono una liturgia spirituale nel segreto del loro essere, con lodi infuocate e sante ispirazio­ni rivolte a te, santo Essere, celato ai sensi e alla conoscenza di ogni creatura. Con il tuo soccorso, Signore, stai accanto a ognuno nei momenti di sventura; a tempo opportuno e anche inopportuno, la tua porta rimane sempre aperta alle preghiere di ciascuno. Non hai ribrezzo dei peccatori, non volgi le spal­le alle anime macchiate d'ogni sorta di peccati, tu che da mali infiniti fai scaturire ogni bene. Quanto a me, così interamen­te ricoperto di bruttura, tu, Signore, mi hai reso degno di prostrarmi davanti a te, faccia a terra, e di osare pronunciare con le mie labbra il tuo santissimo Nome, benché io sia un vaso di lordura, indegno d'essere annoverato fra i discendenti di Adamo. Concedimi, o Signore, di essere santificato attra­verso le tue lodi e di essere purificato dal ricordo di te; rinno­va la mia vita con il cambiamento del mio intelletto e con i pensieri benefici che tu sai avviare in me ... Fortifica in me l'unico desiderio di contemplarti a ogni istante, e il pensiero che non smette mai di riporre in te ogni sua speranza grazie alla mortificazione continua imposta per causa tua. Concedi­mi, Signore, una bocca che non ti preghi con parole insince­re, concedimi di perseverare su questa terra nel tesoro nasco­sto dell'umiltà del cuore e del pentimento della mente 175 •

Quindi Isacco si rivolge a Dio con una domanda sulla sua morte a beneficio del mondo e un ringraziamento per la miseri­cordia con la quale ha creato l'uomo 176; poi chiede di poter asso-

175 II,5,8. 176 Cf. II,5,IO-II.

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migliare ai padri e agli asceti d'un tempo, ripercorrendo il loro cammino sulla via che conduce a Cristo:

O forza grazie alla quale gli antichi padri hanno trionfato su­gli attacchi potenti e terribili dell'Avversario - erano uomini immersi nella natura umana con tutti i suoi bisogni, ma sem­bravano persone libere da ogni costrizione, apparse sulla terra come emissari della realtà futura-, tu hai reso le tombe degli uomini, le [loro] grotte e le [loro] campagne il luogo della tua Shekinah, rivelandoti a essi. Riversa nel mio cuore l'ardore dei loro pensieri ... poni in me il seme della conoscenza del­l'umiltà ... O soccorso dei deboli, via retta per chi è smarrito, rifugio per quanti vengono sorpresi dalle tempeste, abbassa tu stesso davanti a me l'orgoglio del mio Avversario, spezza la forza crudele che egli dispiega contro di me, umilia lo strapo­tere del suo orgoglio, spiana davanti ai miei pensieri le tue vie nascoste, sii mia consolazione nell'ora dello sconforto e mia guida nei passi perigliosi. O sole di giustizia, grazie al quale i giusti possono vedersi e diventano specchi per la loro genera­zione, schiudi in me la porta della tua conoscenza, dammi un pensiero penetrante che non vada a urtare gli scogli della col­pa, nell'attesa ch'io possa giungere al porto luminoso nel qua­le sono già entrati i padri d'un tempo, a te così graditi per tutte le loro fatiche 177

Tornando poi all'incarnazione del Verbo, !sacco chiede a Dio di essere reso degno di comprendere il mistero del sacrificio del suo Figlio amato 178 • Il richiamo alla morte di Cristo in croce gli suggerisce un inno di ringraziamento, in cui la preghiera assume accenti di drammatica intensità:

Tu hai donato al mondo tutto ciò che avevi come tesoro ... Ve­ramente questo mistero è grande ... La fiumana dei misteri di

177 II,5,1 2·1}. 178 Cf. II,5,15-

Cristo travolge la mia mente come le onde del mare. Avrei vo­luto restare in silenzio davanti a essi e non dire nulla, ma si sono rivelati fuoco ardente nelle mie ossa (cf. Ger zo,9). La mia mente mi rivela i miei peccati e mi rimprovera. Il tuo mi­stero da una parte mi getta nello stupore, dall'altra mi spinge a continuare a contemplarlo ... O mia speranza, infondimi nel cuore quell'ebbrezza che consiste nella speranza che io ri­pongo in te. O Gesù Cristo, resurrezione e luce di tutti i mondi, incorona il capo della mia anima con il diadema della conoscenza di te, spalanca tutt'a un tratto davanti a me la porta delle tue misericordie, fa' rifulgere nel mio cuore i raggi della tua grazia 179 •

Dopo una lunga e commovente preghiera rivolta a Cristo, nel­la quaJe ne ripercorre la vita e le sofferenze patite per il bene dell'umanità, !sacco giunge a una preghiera per i monaci e i soli­tari, vivi e morti, che ora acquista quella risonanza universale così tipica delle anafore eucaristiche della chiesa d'oriente. D'altronde, non è un caso che la preghiera citi a questo punto l'offerta del corpo e del sangue di Cristo:

Siano ricordati sul tuo santo altare, Signore, nel momento terribile in cui il tuo corpo e il tuo sangue sono offerti in sa­crificio per la salvezza del mondo, tutti i padri e tutti i fratelli che vivono nella montagna, nelle grotte, nei valloni, sulle sco­gliere, in luoghi aspri e solitari, uomini celati al mondo, dei quali tu solo conosci la dimora; quelli che sono già morti e quelli che, vivi, celebrano in corpo e anima davanti a te, che solo sei santo e risiedi nei santF80 nei quali la tua divinità ri­posa; quelli che hanno abbandonato il mondo temporale e so-

179 II,5,18.19.2I. 180 Secondo S. Brock (n. 3 a II,5,z6, in CSCO 555, p. 17), l'espressione si basa su Is

57,15 LXX, passo spesso citato dagli autori greci, da uno dei quali !sacco potrebbe averlo ripreso. Da parte nostra vorremmo suggerire un parallelo tra questa espressione di !sacco ed espressioni analoghe nelle anafore cristiane primitive: "Le cose sante per i santi".

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no già morti a questa vita perché sono usciti incontro a te, cercandoti e anelando a te tra le afflizioni di una vita di tor­menti. O re di tutti i mondi e di tutti i padri ortodossi che per la vera fede hanno patito esilio e sofferenze da parte dei loro persecutori, e che nei monasteri, nei conventi, nei deser­ti e nelle dimore del mondo, dappertutto e in ogni luogo, hanno avuto cura di piacerti attraverso le fatiche sopportate al fine della virtù: accompagnali con il tuo soccorso, Signore, sii per loro un baluardo perpetuo, manda loro di nascosto il tuo continuo conforto, lega a te le loro menti nell'infuriare delle battaglie; che la forza della tua Trinità abiti in loro e che possano celebrare alla tua destra sino alla fine della vita, con una buona coscienza e una condotta eccellente. Rendili de­gni, mentre sono ancora nel corpo, del porto del riposo 181 .

A questa preghiera per i monaci e i solitari segue una preghie­ra in favore dei malati e dei prigionieri:

Siano ricordati davanti a te anche quanti soffrono malattie gravi che ne mettono a dura prova i corpi. Manda loro un an­gelo di compassione a placarne le anime crudelmente afflit­te dalle gravi sofferenze dei corpi. Abbi anche compassione, Signore, di quanti sono in balla di gente malvagia ed empia; affrettati a inviare loro un angelo di misericordia che li libe­ri dalla situazione critica in cui versano. Mio Signore e mio Dio, riconforta tutti quelli che soffrono di una qualche bruta­lità, qualsiasi essa sia 182•

In tale richiesta, e ancor più in quella seguente, è facile ri­conoscere analogie letterarie con le preghiere eucaristiche tradi­zionali della chiesa d'oriente. Per esempio, la preghiera che la chiesa sia liberata dalla persecuzione e dai conflitti intestini, o

181 II,5,z6. "' II,5,z 7.

244

che tra re e sacerdoti - vale a dire tra stato e chiesa - siano pre­servate la carità e la concordia, è formulata nel modo seguente:

Signore, accogli la tua santa chiesa- che è stata riscattata con il tuo sangue- sotto la tua ombra; fa' abitare in essa la tua ve­ra pace, quella che hai donato ai tuoi santi apostoli; congiungi i suoi figli tra di loro con i legami santi e indissolubili del­l'amore; fa' che gli avversari non possano soggiogarla; allon­tana da lei persecuzione, tumulto e guerra, sia che provenga­no dal suo interno sia dall'esterno; fa' che re e sacerdoti siano strettamente congiunti in pace profonda e nella carità, con lo sguardo tutto fisso in te; e che la santa fede sia baluardo al tuo gregge 183 •

A titolo di confronto, ricordiamo l'intercessione dell'anafora siro-orientale attribuita a Teodoro di Mopsuestia:

Signore Dio potente, accogli questa offerta (q urbana) ... per tutti i sacerdoti, i re e le autorità ... per tutta la chiesa santa e cattolica, perché abiti in essa la tua quiete e la tua pace, per tutti i giorni del mondo; e siano allontanate da essa le perse­cuzioni, i tumulti, le liti, gli scismi e le divisioni; e noi tutti siamo uniti, nella concordia l'uno con l'altro, con cuore puro e amore perfetto 184 .

Nelle sue ultime intercessioni Isacco menziona quelli che, smarriti, hanno lasciato la vita senza pentirsi e lontani dalla vera fede:

Ti supplico e scongiuro, Signore: concedi a tutti coloro che hanno deviato da te di conoscerti veramente, in modo che

"' II,5,28. 1

" Anafora di mar Teodoro di Mopsuestia, in Segno di unità. Le più antiche eucaristie delle chiese, a cura dei monaci e delle monache di Bose, sotto la direzione di E. Mazza, Qiqajon, Bose r996, pp. 3I3-3I5·

2 45

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tutti e ciascuno possano venire a conoscenza della tua glo­ria 185• Quanto a coloro che hanno lasciato questa vita senza virtù e senza fede, sii il loro avvocato, Signore, a causa del corpo che hai assunto tra di loro, affinché a partire dal corpo unico e unificato di questo mondo noi offriamo le nostre lodi al Padre, al Figlio e allo Spirito santo nel regno dei cieli, sor­gente infinita di gioie eterne 186 .

Quest'ultima richiesta in favore di quanti muoiono fuori della vera fede mostra come fosse totalmente estranea al pensiero di Isacco l'idea che non si potesse pregare per i morti non cristiani. Egli non immaginava un regno dei cieli accessibile solo agli elet­ti, mentre il resto degli uomini ne sarebbe stato escluso. Abbia­mo appena visto che Isacco considera il mondo intero come un "corpo unico e unificato", di cui ogni uomo è membro. Nel se­colo a venire l'universo intero sarà trasformato nel corpo di Cri­sto, che è la chiesa riscattata per opera sua. Quando, nell'ultimo capitolo di questo libro, discuteremo l'escatologia di Isacco, ve­dremo come in lui questa visione universale si svilupperà nella sua concezione della salvezza universale.

!sacco è dunque convinto che i cristiani debbano pregare per tutti, indipendentemente dalle loro virtù o religioni:

Bisogna che preghiamo attivamente e intercediamo dolorosa­mente per tutti questi scopi. Questo è l'atteggiamento che dobbiamo tenere verso tutti gli uomini: pregare dolorosamen­te per loro come per noi stessi, giacché proprio allora la divi­nità verrà a riposare in noi, e in noi collocherà la sua volontà, "come in cielo così in terra" (Mt 6,ro) 187 .

165 Cf. l'anafora di Teodoro di Mopsuestia: "E [presentiamo questa offerta] per l'intera progenie degli uomini, quelli che sono nel peccato e nell'errore, perché nella tua grazia, mio Signore, tu li renda degni della conoscenza della verità" (Segno di unità, p. 315).

''6 II,s,29·3o. 167 Il,5,32.

La meditazione su Dio e la "preghiera pura"

Tra le categorie di preghiera citate da !sacco riveste un ruolo eccezionale la meditazione, designata da molti vocaboli, e spe­cialmente dai tre termini caratteristici di tutta la tradizione si­ro-orientale: herga, meditazione; renya, riflessione; 'uhdana, ri­cordo. Ciascuno di questi termini, al di là delle loro sfumature specifiche, può essere riferito alla meditazione su Dio e sulle co­se spirituali. In questo paragrafo ci occuperemo soprattutto di quella che Isacco chiama herga db-alaha, meditazione su Dio. Essa è intimamente legata alla preghiera, dalla quale è difficil­mente separabile: talvolta la preghiera fa nascere la meditazione, in altri momenti invece è la meditazione che fa nascere la pre­ghiera188.

In un capitolo delle sue Centurie di conoscenza Isacco descri­ve con dovizia di particolari il contenuto di tale "meditazione su Dio":

Quando siedi tra due uffici per applicare l'intelletto alla me­ditazione su Dio, aggiungi queste riflessioni: considera che sei venuto all'esistenza dalla totale non-esistenza; considera chi era colui che ti ha modellato affinché tu, una volta uscito dal tuo nulla, potessi esistere nello stato presente, e come tu - per usare le parole della Scrittura -, benché inizialmente creato nella bellezza, abbia preso di tua volontà una cattiva strada, mangiando dell'albero proibito, e continui a mangiar­ne ogni giorno; ti sei rivolto al male a causa di ciò che l'Onni­potente ti aveva promesso, benché il suo intento non mirasse a tale esito. E ancora, rifletti su ciò che sei volontariamente diventato e sulla tua condizione attuale, senza aspettarti nul­la, ma senza neppure ignorare la speranza alla quale sei stato

lBB Cf. Il,IO,J.

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improvvisamente chiamato per la compassione sovrabbon­dante di colui che, cercandoti nel nome di Cristo Gesù nostro Signore, ti riconduce alla relazione luminosa che avevi origi­nariamente con Dio. Guarda come sei rimasto nella disobbe­dienza persistendo nella condizione della caduta, mentre Dio non si è affatto disinteressato di te ma, di sua iniziativa, ha escogitato per te cose al punto di venirti a trarre in salvo quando tu stesso non eri nemmeno più capace di chie-derlo. Considera inoltre ciò che sei in questa vita presen-te e quello che presto sarai, e in corruzione finirà il tuo stato attuale: diventerai come se non fossi mai esistito, senza che nessuno si ricordi di te, senza nome né monumento in memoria per tutte le generazioni future di questo mondo. Ma come descrivere una simile meraviglia, cioè che proprio a par­tire da questa corruzione si preparano un'esistenza e una con­dizione del tutto nuove, e tu questo tugurio per una sfarzo sa dimora? Metti poi a confronto quello che c'è ora con quello che vi sarà dopo, e il balzo dalla nostra condotta pre­sente a quella della vita futura, quando dalle semplici ipotesi passeremo a una conoscenza e a una visione piene di certezza 189

Così, la meditazione su Dio presuppone il richiamo all'intera economia di salvezza dispiegata da Dio in degli uomini, a partire dalla creazione, passando attraverso l'incarnazione per giungere infine alla vita del secolo a venire. Al tempo stesso, ta­le meditazione su Dio include considerazioni sulla vita ascetica e le virtù cristiane, come Isacco precisa nel capitolo ro della se­conda parte. Secondo lui, tale meditazione all'illumi­nazione spirituale:

Ciascuno troverà l'illuminazione nella in cui si inoltra e nelle idee che la sua mente indaga: vi troverà la sapienza, e tanto si concentrerà su di esse che potrà

189 Centurie di conoscenza II,84.

"'""""~"· le azioni della giustizia riflettendo su questo ministe­ro ... e meditando sull'esercizio della virtù, su come può cere a Dio con la purezza del corpo, con lo sforzo della pre­

con il digiuno che rende il corpo diafano, con la reci­e la lotta contro tutto ciò che la intralcia ... e

tiPttPnrlrt poi sui diversi ordini in cui si dispongono le virtù fra di esse che gli procurano luce e progresso - e in

queste dovrà dunque più particolarmente persevera­re e infine su tutto ciò che a ogni singola virtù si oppone ... allora sl che riuscirà ad approfondire enormemente la propria conoscenza 190 •

La riflessione diverse specie di virtù che Isacco suggeri-sce in questo passo costituisce una forma astratta di meditazio­ne su argomenti ordine morale. Essa è tuttavia necessaria al­l'asceta nella misura in cui gli fornisce il fondamento teorico di una vita virtuosa. Ma è importante non limitare la meditazione agli aspetti negativi della vita ascetica, cioè alla lotta contro le passioni e i pensieri. Questo tipo di meditazione non è privo di utilità, ma quella che gli aspetti positivi della vita cri­stiana è di gran lunga più proficua:

Colui che medita passioni, sui pensieri e le lotte da essi suscitate, e su come i pensieri e le passioni si susseguono gli uni alle altre, e qual è l'inizio e la fine della prima passione, qual è la forza di come si possono tenere a bada e donde ricevono la loro ... un uomo del genere si concen-tra ed esercita il proprio intelletto unicamente sulle passioni. Ma se egli medita su Dio e lascia spaziare la mente su ciò che gli appartiene, cercando Dio con animo semplice, egli neri­ceverà l'illuminazione: una tale meditazione ingloberà tutti i temi precedenti, che sono interessanti ma portano a conflitti. La riflessione e la conoscenza dell'anima e del corpo non de-

2 49

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vano assolutamente finire, giacché in esse c'è ben di più della resistenza alle passioni: ... non è questa l'oggetto della spe­ranza che ci è stata predicata né quello che ci ha detto l' Apo­stolo, cioè che dobbiamo "comprendere con tutti i santi qua­le sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità" (Ef 3 ,8), oppure eccellere "con ogni sapienza e intelligenza" (Ef I, I 8). Come eccellere in sapienza ed esserne consapevoli, se si è notte e giorno impegnati a discutere e a preoccuparsi di pensieri passionali? Eppure sono in molti a concentrarsi su questo, e benché il loro impegno sia difficile e degno di ri­spetto, essi per nulla al mondo si interesserebbero all'altro aspetto di cui abbiamo parlato 191 •

Chi si preoccupa dei pensieri e delle passioni è continuamen­te coinvolto nelle battaglie della vita spirituale: talora vince ma spesso è sconfitto 192, mentre colui che nella sua meditazione mira a Dio si trova al di là della lotta contro le passioni:

Questo non vuol dire che il suo intelletto abbia trionfato su pensieri, impulsi e passioni, ma che regna su di loro ed essi scompaiono; non sono sconfitti perché non c'è stata vittoria: semmai passioni, ricordi e tutto ciò che si insinua insieme a loro spariscono, perché ora quest'uomo è stato innalzato al di sopra del mondo, lasciando dietro di sé, in basso, nel loro luo­go naturale, tutte le riflessioni che riguardano il mondo, le sue varie faccende e la loro conoscenza, mentre l'intelletto è stato rapito fuori di esse ... Un uomo, quando medita su Dio e sulle onde imponenti di tutto ciò che gli appartiene, quan­do si dedica a Dio, ha abbandonato il mondo, e la porta che dà su tutti i ricordi è tenuta chiusa, mentre le passioni resta­no alloro posto inoperose, perché quest'uomo per ora è tra­scinato via dal luogo in cui esse risiedono 193 .

191 II, IO, 7-IO. 192 Cf. II,ro,rr. 193 II,ro,rz-r3.

La meditazione su Dio, accompagnata da un oblio totale del mondo presente, conduce allo stato di contemplazione spirituale in cui l'uomo penetra nella "nube oscura" della gloria di Dio (cf. Es zo,zr) e si rende simile agli angeli:

Una volta che queste cose sono state spiegate, la meditazione su Dio comincia a smuovere l'intelletto e a poco a poco, per gradi, se ne impadronisce completamente, lo guida nella nube oscura della sua gloria e gli concede di restarvi e di avvicinarsi alla fonte dalla quale sgorga incessantemente la vita per il be­ne di tutti gli intelletti superiori e inferiori: quelli i cui sforzi si spingono verso l'alto, al di là del corpo, e quelli il cui impe­gno si dispiega sulla terra e muore; quelli i cui slanci sono "fuoco ardente" (cf. Sal I04,4) e quelli i cui moti sono limita­ti dalla loro spessa natura194.

La "meditazione luminosa" su Dio è uno degli stadi più eleva­ti della preghiera, a un solo passo dallo "stupore" mistico in cui l'intelletto, completamente liberato da questo mondo, viene cat­turato da Dio:

Se desideri gustare l'amore di Dio, fratello mio, considera e medita con intelligenza su ciò che appartiene a lui e sulla sua santa natura: medita e rifletti mentalmente, lascia ogni mo­mento vagare il tuo intelletto tra queste cose. Proprio a parti­re da qui ti accorgerai di come tutte le parti della tua anima avvampino d'amore, quando una fiamma ardente comincerà a bruciare nel tuo cuore e il desiderio di Dio si impadronirà di te ... La meditazione luminosa su Dio è lo scopo ultimo della preghiera o piuttosto la fonte principale di tutte le preghie­re, dal momento che la preghiera stessa ha come approdo la riflessione su Dio. Ci sono momenti nei quali la preghiera ci trasporta verso una meditazione piena di meraviglia, ce ne

194 II,ro,r7.

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sono altri in cui è la preghiera a nascere dalla meditazione su Dio. Ci sono tappe differenti nel percorso che l'intelletto porta divinamente a compimento nello stadio di questo mon­do, senza distogliere mai lo sguardo dalla corona (cf. rCor 9,24-25). La corona del solitario è la gioia spirituale in Cristo nostro Signore. Chi l'ha trovata ha ricevuto la caparra del mondo e delle cose a venire195.

La relazione tra preghiera e meditazione è sviluppata nel capi­tolo rs della seconda parte dell'opera di !sacco, tema principa­le del quale è la "preghiera pura" (~lata dkita), che consiste per lui nella "meditazione sulla virtù". Non bisogna credere, sostie­ne Isacco, che la preghiera pura presupponga l'assenza totale di pensiero; essa consiste piuttosto in una "divagazione" (pehya) della mente nelle cose di Dio:

La preghiera pura, o discepolo della verità, e il raccoglimen­to della mente nel quale essa consiste, è una riflessione esat­ta sulla virtù nella quale noi ci impegniamo diligentemente all'atto della preghiera. Proprio come la purezza del cuore, tanto raccomandata dai padri, non consiste nell'essere total­mente privi di pensieri, riflessioni o impulsi, ma piuttosto in un cuore purificato da ogni male, che guarda a tutte le cose con benevolenza e le considera dal punto di vista di Dio, cosl avviene della preghiera pura e priva di distrazioni. Ciò non significa che la mente sia completamente svuotata di pensieri o di qualsivoglia divagazione, ma che essa, nel tempo della preghiera, non si addentra in argomenti futili; non già che la mente resti fuori della preghiera pura finché non di­vaga su qualcosa di specificamente buono, giacché può an­che considerare argomenti appropriati e sviluppare durante la preghiera pensieri graditi a Dio. Non è nemmeno obbliga­torio che nessun pensiero insignificante si affacci alla mente

durante la preghiera: basta non occuparsene e non lasciarsi distrarre da esso 196 .

Due sono i modi nei quali la mente può divagare, uno buono e uno cattivo. Anche la preghiera pura implica una divagazione, ma allora si tratta di "divagazione eccellente", poiché la mente si concentra su cose buone e divine 197 :

La divagazione è cattiva quando si è distratti da pensieri insi­gnificanti o malvagi, perché si è presi da essi mentre si prega davanti Dio; è buona quando per tutto il tempo della preghie­ra la mente divaga su Dio e sulla sua maestà e gloria, a partire da una riflessione sulle Scritture o su intuizioni relative alle espressioni di Dio e alle sante parole dello Spirito ... Non consideriamo estranee alla preghiera pura o nocive al racco­glimento del pensiero tutte le memorie utili che affiorano alla coscienza a partire dalle Scritture dello Spirito e che genera­no, durante la preghiera, delle intuizioni e una comprensione spirituale del mondo di Dio. Per alcuni, esaminare l'oggetto della propria richiesta e riflettere su di essa in raccoglimento costituisce un modo eccellente di pregare, purché sia in ac­cordo con il fine dei comandamenti di nostro Signore. Que­sto è uno splendido modo di raccogliere la mente198 .

Così, meditazione sulle cose di Dio e preghiera pura sono si­nonimi, e Isacco arriva ad affermare che la divagazione della mente può essere migliore della preghiera, quando si accompa­gna a intuizioni sulle realtà spirituali:

Se la mente, lasciando da parte questa preghiera, s1 nversa nelle cose di Dio, o se qualche riflessione eccellente gli viene

196 II,I5,2. 197 Cf. Il,I5,}· 198 Il,I5A-5·

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suggerita dalle intuizioni della Scrittura su Dio - che si tratti di intuizioni particolari alla persona in questione o apparte­nenti all'intera comunità, riguardanti l'economia di Dio o l'a­zione della sua provvidenza, quotidiane o universali - attra­verso tutte queste cose le profondità del cuore si avviano alla lode di Dio, al rendimento di grazie e alla gioia, a causa del­l'immensità e dell'elevatezza della sua compassione e del suo amore verso di noi; e un tal genere di divagazione, quando si verifica, è migliore della stessa preghiera! Indipendentemen­te dall'elevatezza e dalla purezza della preghiera, è quello il culmine di ogni raccoglimento della mente e di ogni preghiera eccellente199 .

"Intuizioni" (sukkale) è uno dei termini preferiti di !sacco, sul quale ritorneremo nel capitolo seguente. Limitiamoci per ora a osservare come esso riguardi una certa vicinanza e degli in­contri mistici che hanno avuto luogo durante la preghiera: vici­nanza e incontri con una realtà diversa, trascendente la com­prensione e le parole dell'uomo. Rileviamo per inciso un parti­colare degno di nota: queste intuizioni possono essere un fatto individuale, ma anche "appartenere alla comunità". Che cosa vuol dire? Probabilmente non si tratta dell'esperienza di un gruppo i cui membri ricevano tutti contemporaneamente una medesima intuizione, bensì di intuizioni personali di un singolo membro della comunità riguardanti l'esperienza della chiesa nel suo complesso, che diventa così per lui, proprio attraverso quelle intuizioni, un'esperienza personale. In altri termini, una cosa già in precedenza rivelata agli altri membri della comunità eccle­siale, è rivelata a un singolo durante la preghiera. Per via di que­sta rivelazione personale l'esperienza della comunità è integrata con quella di un credente particolare. Così la preghiera pura è un luogo d'incontro tra individuo, comunità ecclesiale e tradi­zione della chiesa.

199 II,I5,6.

2 54

Nelle Centurie di conoscenza !sacco usa un'altra espressione: la "preghiera sapiente" (~lata hakimta), che è sinonimo di "pre­ghiera pura" e sottolinea il fatto che essa non si fonda sulla sa­pienza umana ma su quella che viene direttamente da Dio eri­schiara l'uomo a partire dalla sua interiorità:

Quando parlo di una preghiera sapiente non penso alla sag­gezza del mondo o all'erudizione verbosa e sciocca, che do­vrebbe far arrossire l'anima in preghiera davanti a Dio a cau­sa della vana gloria che suscita, e che allontana il soccorso di Dio. Penso invece alle parole di sapienza che, nella preghiera, promanano dalla sapienza di Dio e dalla luce dell'anima, e che i fervidi impulsi fanno affiorare nel cuore a causa dell'a­more per la vera vita che precede la preghiera e che, riscal­dando il cuore, suscita parole involontarie e che tuttavia il ricordo [di Dio] fa scaturire. Quante volte, su questa strada, non sono sgorgate lacrime a partire dal calore del cuore e dal soccorso di Dio! È questo che [i padri] chiamano preghiera pura2oo_

Nello stesso scritto !sacco enumera molti livelli di preghiera pura, corrispondenti a diverse tappe della crescita interiore e do­vuti ai vari influssi dello Spirito santo sull'anima:

La preghiera pura consiste nel fatto che il pensiero non sguaz­za negli impulsi risvegliati in noi dai demoni o dalla natura o dai ricordi, oppure dai moti del nostro carattere. Anche nel­la preghiera pura ci sono varie misure, secondo i gradi del pensiero di coloro che la offrono. Più un pensiero si innalza al di sopra dell'amore per le realtà di questa terra, più esso è risparmiato dalle immàgini che, ad opera delle distrazioni, si affacciano al momento della preghiera. Quando è completa­mente elevato al di sopra dell'amore per le cose di quaggiù, il

zoo Ce11turie di conoscenza III, 13.

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suggerita dalle intuizioni della Scrittura su Dio che si tratti di intuizioni particolari alla persona in o apparte­nenti all'intera comunità, riguardanti l'economia di Dio o l'a­zione della sua provvidenza, quotidiane o attra­verso tutte queste cose le profondità del cuore si avviano alla lode di Dio, al rendimento di grazie e alla a causa del-l'immensità e dell'elevatezza della sua e del suo amore verso di noi; e un tal genere di divagazione, quando si verifica, è migliore della stessa preghiera! Indipendentemen­te dall'elevatezza e dalla purezza della preghiera, è il culmine di ogni raccoglimento della mente e di ogni tm::>tl'lìe:ra eccellente199 .

"Intuizioni" (sukkale) è uno dei termini preferiti di sul quale ritorneremo nel capitolo seguente. Limitiamoci per ora a osservare come esso riguardi una certa vicinanza e degli in­contri mistici che hanno avuto luogo durante la preghiera: vici­nanza e incontri con una realtà diversa, trascendente la com­prensione e le parole dell'uomo. Rileviamo per inciso un parti­colare degno di nota: queste intuizioni possono essere un fatto individuale, ma anche "appartenere alla comunità". Che cosa vuo1 dire? Probabilmente non si tratta dell'esperienza di un gruppo i cui membri ricevano tutti contemporaneamente una medesima intuizione, bensì di intuizioni personali di un singolo 111c:llllJJ.V della comunità riguardanti l'esperienza della chiesa nel suo complesso, che diventa così per lui, proprio attraverso quelle intuizioni, un'esperienza personale. In altri termini, una cosa

precedenza rivelata agli altri membri della comunità eccle­è rivelata a un singolo durante la preghiera. Per via di que­

sta rivelazione personale l'esperienza della comunità è integrata con quella di un credente particolare. Coslla preghiera pura è un luogo d'incontro tra individuo, comunità ecclesiale e tradì-

della chiesa.

199 II,I5,6.

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Nelle Centurie di conoscenza !sacco usa un'altra espressione: la "preghiera sapiente" (~lota hakimta), che è sinonimo di "pre-ghiera pura" e sottolinea il essa non si fonda sulla sa-pienza umana ma su quella che direttamente da Dio e ri-schiara l'uomo a partire dalla sua interiorità:

Quando parlo di una sapiente non penso alla sag­gezza del mondo o all'erudizione verbosa e sciocca, che do­vrebbe far arrossire l'anima in davanti a Dio a cau­sa della vana gloria che suscita, e che allontana il soccorso di Dio. Penso invece alle parole di sapienza che, nella preghiera, promanano dalla sapienza di Dio e dalla luce dell'anima, e che i fervidi impulsi fanno affiorare nel cuore a causa dell'a­more per la vera vita che precede la e che, riscal­dando il cuore, suscita parole involontarie e che tuttavia il ricordo [di Dio] fa scaturire. Quante volte, su questa strada, non sono sgorgate lacrime a partire dal calore del cuore e dal soccorso di Dio! È questo che [i padri] chiamano ,.,.,_,., •• "W··~ pura2oo.

Nello stesso scritto Isacco enumera molti livelli di pura, corrispondenti a diverse tappe della crescita interiore e do­vuti ai vari influssi dello Spirito santo sull'anima:

La preghiera pura consiste nel fatto che il pensiero non sguaz­za negli impulsi risvegliati in noi dai demoni o dalla natura o dai ricordi, oppure dai moti del nostro carattere. Anche nel­la preghiera pura ci sono varie misure, secondo i gradi del pensiero di coloro che la offrono. Più un pensiero si innalza al di sopra dell'amore per le realtà di questa terra, più esso è risparmiato dalle immàgini che, ad opera delle distrazioni, si affacciano al momento della preghiera. Quando è completa­mente elevato al di sopra dell'amore per le cose di quaggiù, il

20° Centurie di co>toscem:a III, I3.

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pensiero non dimora più presso la preghiera ma si libra in alto al di là della preghiera pura, perché l'alba della sorge di continuo nella sua preghiera, ed esso è di quando in quan­do attirato fuori di sé da qualche azione santa. L'amore per le realtà temporali e la riflessione su di esse u"''"'"'"'-'-Hlv

porzione, e i pensieri scemano con il ridursi della nr1ess1o,ne e quanto più scemano tanto più l'anima si "u''"Li'-"• sura in cui l'anima si purifica, l'azione [dello ~,., ...... VJ

offerta al pensiero al momento della prt!gtueJta

Nel pensiero di Isacco la preghiera pura è estremo di ogni preghiera; oltre questo

ultimo e limite non c'è più pre-

ghiera:

Come la forza delle e dei comandamenti dati da Dio tro-vano il loro fine nella purezza cuore, secondo la parola dei padri, così anche tutti i modi e le della preghiera di cui ci si serve per pregare Dio trovano in essa il loro fine. I gemi­ti, le prostrazioni, le suppliche che partono dal più profondo del cuore, le dolci grida di lamento e tutte le altre forme di preghiera hanno infatti il loro come ho già detto, nella preghiera pura e si estendono fino ad essa. Una volta che la mente supera questo limite ... non possiede più né preghiera, né moti, né pianti, né dominio di né libero arbitrio, né supplica, né desiderio, né aspirazione fervente verso le realtà sperate in questa vita o nella vita futura. Ecco perché al dì là della preghiera pura non c'è più preghiera202 •

Quelli che raggiungono lo stadio della preghiera pura, aggiun­ge Isacco, sono molto

Se ne troverà uno su mille che ... sia stato giudicato degno di «1';!~1U111';1:1<: la pura ... Quanto al mistero che viene

201 Centurie dì conoscenza 202 1,23 (p. n6) Touraille 32 rn); PR 22 (p. I65).

dopo e si trova al di là di essa, a mala pena in ogni generazio­ne se ne troverà uno che, per grazia di Dio, abbia potuto at­tingere a questa conoscenza203 .

Ecco perché la preghiera pura consiste nella divagazione la mente in mezzo alle cose di Dio, quando più niente di terre­no o di futile si trova mischiato ai suoi slanci. Questa nrP·on1P

ra è prossima alla meditazione, e l'una e l'altra sono le tappe più elevate dello sforzo della preghiera. Ciò che si colloca al di là della preghiera pura e viene chiamato spirituale", stupore, contemplazione, beatitudine, non è più È già pienezza di vita in Dio e appartiene alla vita secolo a ve-nire: proviene dall'esperienza della preghiera, ma ne LJ."'"'-''u'-1"-'

confini.

20' 1,23 (p. I r7l Touraille 32 (p. r98); PR 22 (pp. r66-r67).

2 57

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VII VITA IN DIO

Breve, fratello mio, è il tempo della nostra vita, l'apprendistato del nostro mestiere lungo e difficile, ma inenarrabili i beni ci sono stati promessi!

Cer~turie di cor~oscer~za III,62

O uomo, attento a ciò che senza fatica, non troverai, e se non bussi con ardore alla porta e non vegli incessantemente, non sarai esaudito.

Con il tema della "preghiera spirituale", vista come lo stato in cui la mente dell'uomo è ridotta al silenzio, cominceremo questo capitolo dedicato alla mistica di !sacco. Passeremo poi a discute­re della contemplazione-theorfa, dell"' accoglimento sotto l' om­bra" (obumbratio) e dell'illuminazione. con­siderare alcuni temi caratteristici di !sacco quali lo "stupore" (estasi) e l"'ebbrezza" causati dall'amore di Dio. conclude­re, ci soffermeremo sulla sua gnoseologia, cioè il suo msef!:J1a­mento sulla conoscenza che nasce dalla fede in Dio.

Prima di procedere è opportuno osservare che sono tutti strettamente collegati fra loro ed è difficile ~"'r'"'"''""" per sottopor li a un'analisi puntuale. Pertanto, al fine di dare alla

2 59

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teologia mistica di !sacco una parvenza di sistematicità, è neces­saria un'analisi semantica preliminare dei termini da lui usati per designare i diversi aspetti dell'esperienza mistica. Ci soffer­meremo sui principali, illustrando il ventaglio semantico di cia­scuno. Sulla base di questa analisi saremo meglio attrezzati per esprimere un giudizio sul carattere peculiare della mistica del nostro autore.

La "preghiera spirituale" e la "quiete della mente"

Secondo !sacco, la differenza tra la preghiera pura e ciò che sta oltre consiste in questo: durante la preghiera pura la mente è piena di svariati impulsi (zaw'e) di preghiera (per la liberazione dalle tentazioni, ad esempio); al di là della preghiera pura, inve­ce, la mente è libera da ogni impulso. C'è una preghiera pura e c'è una "preghiera spirituale (~lata ru~anayta)" 1 : quest'ulti­ma, ripresa da Giovanni di Apamea e da altri autori ascetici an­tichi, denota per !sacco uno stato posto oltre i confini della pre­ghiera pura. Per lui, purezza della preghiera significa che niente di esteriore viene a intorbidarne gli impulsi, "nessun pensiero estraneo e nessuna inquietudine riguardo a qualsivoglia argo­mento". Per quanto riguarda la "preghiera spirituale", essa non comporta più alcun moto della mente,

perché i santi nel secolo a venire, quando il loro intelletto sarà stato inghiottito dallo Spirito, non pregheranno più per mez­zo di preghiere ma risiederanno con stupore nella gloria che

1 Cf. É. Khalifé-Hachem, "La prière pure et la prière spirituelle selon Isaac de Ni­nive", in Mémorial Mgr Gabriel Kbouri-Sarkis, Impr. Orientaliste, Louvain r969, pp. 157-173·

z6o

sarà la loro gioia. Lo stesso succederà anche a noi. Da quando è giudicato degno di presentire la beatitudine futura, l'intel­letto dimentica se stesso e tutte le cose di quaggiù, e non sen­te più alcun impulso verso alcunché 2 .

La "preghiera spirituale" che comincia al di là dei confini del­la preghiera pura è la discesa della mente in uno stato di riposo e di quiete, in cui ogni genere di preghiera viene meno:

Nella vita della mente ... non c'è più nessuna preghiera. Tutte le preghiere sono fatte di squisiti pensieri e slanci spirituali. Ma a livello "psichico" e nella vita dell'anima non ci sono più né pensieri né impulsi, e nemmeno il minimo sentimento del più piccolo moto dell'anima in rapporto a chicchessia; anzi, la natura umana si trova molto lontana da questo e da tutto ciò che le è proprio. L'uomo è allora immerso in un silenzio inef­fabile e inesplicabile, giacché l'azione dello Spirito santo è avviata in lui ed egli è innalzato al di là di quanto l'a1ùma pos­sa comprendere 3•

Per !sacco i concetti di riposo o silenzio (shetqa) e di preghie­ra spirituale sono sinonimi. Lo stato di silenzio o la quiete del­la mente non si acquistano con sforzi umani, ma sono un dono di Dio:

Quando la mente è totalmente sciolta da ogni pensiero o ri­flessione, allora abbiamo il silenzio della mente\ non la pre­ghiera pura. La preghiera pura è una cosa, ma la mente silen­ziosa, lontana da ogni divagazione o riflessione sulle parole

2 I,23 (p. rr9) = Touraille 32 (p. 200); PR 22 (p. qo). 3 II,32,4. 4 O "silenzio del pensiero (sbetqa d-re'yana)". Nella nostra traduzione della secon­

da parte degli scritti di I sacco il termine sbelya è reso con "quiete", sbetqa con "cal­ma'' o "silenzio", re<yana con "pensiero" e hawntl con "intelletto". Nei passi ripresi dalla prima parte dei suoi scritti, la logica di queste traduzioni non è sempre rispettata nella misura in cui esse non sono state condotte sull'originale siriaco.

z6r

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della preghiera e quindi priva di moti, è un'altra cosa, comple­tamente diversa. Nessuno è cosl sciocco da volerla conquista­re a forza di braccia e della propria volontà, poiché si tratta eli un dono di rivelazione all'intelletto, che oltrepassa la misura della preghiera pura e trascende le capacità della volontà5 .

Secondo Isacco il termine "preghiera spirituale" è usato dagli autori ascetici in senso convenzionale ed è sottinteso che esso designi uno stato non corrispondente alla preghiera nel senso abituale della parola:

z6z

Talvolta ciò che è detto "preghiera spirituale" si chiama "via" o "conoscenza" o ancora "visione spirituale". Vedi come i pa­dri cambiano continuamente i nomi delle cose spirituali? La loro precisione, infatti, vale per le cose presenti, ma non esi­stono vocaboli precisi e puntuali per quelle del secolo futuro. Noi possiamo solo sapere che esistono, ma sono al di là di

denotazione, di ogni principio o immagine, configura­zione o colore, e al eli là di qualsiasi vocabolo inventato da noi. Per questo motivo, quando la conoscenza dell'anima si innalza al di là del mondo visibile, i padri per alludervisi ser­vono di qualsiasi denominazione piaccia loro, giacché non c'è nessuno sia in grado di nominarla con precisione ... Tut­tavia, come scrisse Dionigi, per dare una certa coerenza alle loro riflessioni ricorrono a termini e parabole: "Noi usiamo parabole, sillabe, nomi plausibili e termini derivati dai sensi, ma quando la nostra anima è muta a causa dell'azione dello Spirito verso le cose di Dio, i sensi e la loro attività diventano

come superflue sono ormai le potenze dell'anima essa diventa simile a Dio attraverso un'u­e quando, nei suoi moti, è risclùarata da

di luce sublime" 6•

199); PR n (pp. r68-r69). La citazione finale è rue:oD2ll!lta I nomi divini 4, r r.

che questo arresto totale dell'attività intellettuale - che chiama calma o "silenzio della mente" e che, da lontano,

può simile al nilvana dei buddisti - è una via d'uscita oltre i confini dell'esistenza personale, paragonabile a una totale perdita della coscienza di sé? La risposta non può che essere ne­gativa. il "silenzio della mente" non è sinonimo di perdita di conoscenza o annullamento delle percezioni. In que-sto silenzio, come lo intende, un elemento positivo: la mente diventa di Dio. A differenza del nirvana, ìl "silenzio della presuppone un'attività estremamente in-tensa mente si trova sotto l'influsso di Dio ed è attratta verso le profondità ancora insospettate dello Spirito:

Appena entrata regno del silenzio la mente cessa di prega­re ... A dal momento in cui la direzione e la guida del­lo Spirito incominciano a governare l'intelletto ... la natura è privata della libertà e l'intelletto, guidato da altri, non si governa più solo. Dove sarebbe allora la preghiera se la natura non avesse più nessun su se stessa ma fos­se diretta da un'altra forza? Essa non sa dov'è condotta ed è incapace di orientare i movimenti della sua mente nella dire-zione voluta, ma, e fatta prigioniera da quella for-za, non capisce dove sarà In questa condizione l'uo-mo non ha più desideri e come testimonia la Scrittu-ra, non sa nemmeno più se è o del suo corpo (cf. zCor Iz,z)7.

Si tratta qui di assenza dei movimenti e desideri caratteristici dell'intelletto, non della perdita o dell'annientamen-to della persona. Nel "silenzio della , al contrario, si pro-duce un'intensa comunione dell'uomo personale con il Dio per­sonale. Per !sacco il "silenzio della è allo "stupo-

7 I,23 (pp. rr8-rr9l = Touraille 32 (p. 2oo); PR 22 (pp. r69-qo).

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re" e alla "contemplazione", che stanno oltre i confini della pre­pura:

Ci sarà allora stupore e non più preghiera, giacché tutto ciò che appartiene alla preghiera è ormai cessato e si fa strada una certa contemplazione (te'orya}, mentre la mente non pre­ga più nessuna preghiera ... La preghiera è la semina, la con­templazione la messe, dopo la quale il contemplativo è con­dotto verso lo stupore davanti a una visione ineffabile: come hanno potuto, dai granelli piccoli e nudi che aveva semi­nato, sptmtare all'improvviso davanti a suoi occhi spighe così belle? La sua attività personale rimane allora priva di ogni movimento8

Non è difficile individuare l'influsso di Evagrio in questo in­segnamento sul "silenzio della mente". In particolare, Isacco si ba­sa sulle parole di Evagrio circa la purezza dell'intelletto quando descrive lo stato dì quiete come "ebbrezza" della mente per ope­ra dello Spirito santo, in seguito alla visione della luce divina:

Lo Spirito santo, infatti, agisce in tutti gli uomini, secondo le forze di ciascuno ... in modo tale che la preghiera è privata di movimento e l'intelletto è colpito e inghiottito dallo stupore ... i suoi movimenti sono immersi in un'ebbrezza profonda ed esso non fa più parte di questo mondo. Allora non ci sarà più distinzione tra anima e corpo né rimembranza di alcunché, come ha detto Evagrio: "La preghiera è la purezza dell'intel­letto, concessa solo dalla luce della santa Trinità, nello stupo­re dell'uomo". Inoltre, aggiunge Evagrio: "La purezza del­l'intelletto fa spiccare il volo alle facoltà intellettuali e asso­miglia alla luce del cielo, nella quale irradia la luce della santa Trinità durante la preghiera" 9

.

8 l,23 (pp. rr6-rr7) Touraille 32 (pp. I,28 (p. I2I) PR 2.2 (p. I74l. Le

Skemmata 2 7 e 4-

PR 22 (pp. r65- r66). sono tratte da Evagrio Pontico,

Isacco segue l'insegnamento dì Evagrio sull'intelletto e la sua natura luminosa, e anche quello di Dionigi l'Areopagita sulla "beata ignoranza" che supera ogni conoscenza umana:

Quando l'intelletto si spoglia dell'uomo vecchio e riveste il nuovo, quello della grazia, vede la propria purezza simile a un colore celeste10

, che gli antichi figli d'Israele chiamarono ''luogo di Dio", quando Dio apparve loro sulla montagna (cf. Es 24,9 Ecco perché, come ho già detto, questo dono e questa non devono essere chiamati preghiera spiritua-le, ma sono i germogli preghiera pura, ormai inghiottita dallo Spirito santo. In tale momento l'intelletto si trova al di là della preghiera, che è stata abbandonata perché qualcosa di meglio è apparso. L'intelletto allora non prega con la preghie­ra, ma si sente rapire e contempla cose inafferrabili che trava­licano i confini del mondo mortale, ed è ridotto al silenzio dall'ignoranza di tutto ciò che vi si trova. Ecco l'ignoranza che è detta essere più sublime della conoscenza 11 •

Agli occhi di Isacco la preghiera spirituale è una partecipazio­ne al secolo futuro, esperienza del paradiso in terra. Proprio gra­

alla preghiera spirituale l'esperienza della contemplazione, di cui i santi sono giudicati degni nel secolo futuro, è concessa all'uomo nel corso della sua vita terrena:

L'anima non prega con la preghiera ma esperimenta le realtà spirituali del secolo a venire, realtà che trascendono il sapere dell'uomo e la cui comprensione è possibile solo grazie alla potenza dello Spirito santo. Ma qui si tratta della contempla­zione dell'intelletto e non di un movimento o di un'espressio­ne della preghiera, benché nella preghiera tale contemplazio-

1° CL Evagrio Pontico, Skemmata 4· u !,23 (pp. I2I-I22) PR 22 (pp. 174·I75l. CL Pseudo-Dionigi l'Areopagita, Teo­

mistica r,2-3.

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ne abbia avuto inizio ... È a partire da questa preghiera che lo Spirito santo innalza alla contemplazione chiamata "visio­ne spirituale" 12

L'insegnamento di !sacco sulla preghiera spirituale e sul silen­zio della mente già delinea i temi principali della sua teologia mistica, in particolare quelli della contemplazione, della visione spirituale, dello stupore, dell'ebbrezza e dell'ignoranza, che ora esammeremo uno per uno.

La contemplazione

Nel vocabolario mistico di !sacco si è subito colpiti dal termi­ne contemplazione (te'orya), ripreso pari pari dal greco theoria. !sacco lo attinge dal linguaggio di Evagrio e di Dionigi l'Areo­pagita. Presso gli autori siriaci che lo hanno preceduto - Afraat, Efrem, Narsai e Giacomo di Sarug- tale termine non si trova. Filosseno di Mabbug fu probabilmente il primo autore di lingua siriaca a usarlo (in particolare nella sua Lettera a Simeone, suc­cessivamente attribuita a !sacco). Nei secoli vr e vrr il termine entra nell'uso degli autori ascetici siro-orientali grazie alla loro conoscenza delle opere di Evagrio 13 . In un contesto di teologia mistica viene tradotto con "contemplazione" o "visione divi­na". !sacco lo rende con "visione spirituale" 14.

12 I,37 (pp. r82-r83) ~ Touraille 85 (p. 438); PR 35 (p. z6o). 13 Cf. S. Brock, "Some Uses of the Term 'Theoria' in the Writings of Isaac of Ni­

neveh", in Parole de l'Orient zo {r995 [r996]), pp. 407-4r9. "I,37 (p. r83) ~ Touraille 85 (p. 438); PR 35 (p. z6o). Nella sua traduzione ingle­

se della prima parte, Miller traduce "visione divina", mentre Brock, nella seconda par­te, preferisce "contemplazione". Noi usiamo normalmente "contemplazione" per ren­dere te '01ya.

Il termine "contemplazione" in !sacco ricorre associato a sva­riati aggettivi: essenziale, divina, nascosta, esatta, noetica, na­turale, angelica, elevata, spirituale, verace, celeste, e altri anco­ra. !sacco parla della contemplazione dei misteri, di quella del­l'essere divino, della provvidenza, dell'attività creatrice di Dio, delle cose create, delle proprietà di Cristo, del giudizio, delle cose immateriali, della sapienza, della passione di Cristo, delle realtà spirituali, della Scrittura, degli angeli, dello Spirito, del­la verità, del secolo a venire. Come ha dimostrato Sebastian Brock, la maggior parte di queste espressioni sono tratte dal vo­cabolario di Evagrio 15 . Quello che soprattutto ci interessa è la contemplazione in quanto fenomeno mistico; pertanto ci limite­remo allo studio dei testi che trattano della contemplazione di Dio e del mondo immateriale.

!sacco usa sovente il vocabolo "contemplazione" come sino­nimo di "visione di Dio". Egli parla di uno stato sovrannaturale dell'anima come del suo "movimento verso la contemplazione della divinità transustanziale" 16 . In esso l'anima "si slancia ... ed è innalzata sulle ali della fede al di là della creazione visibile e diventa quasi ebbra di stupore nella sua frequentazione di Dio, grazie a una visione semplice e a intuizioni invisibili della natu­ra divina" 17

• I sacco sottolinea allo stesso tempo che i giusti non possono vedere l'essenza di Dio: "Quando si è innalzati alla contemplazione di Dio, ciò che si vede non è la natura di Dio bensì la 'nube oscura della sua gloria"' 18

. L'uomo non è capace di vedere nient'altro che un riflesso dell'essenza di Dio, anche se questa visione sarà più completa nel secolo a venire:

Più l'uomo diventa perfetto in rapporto a Dio, più lo segue dappresso. Nel secolo di verità Dio gli mostrerà il volto ma

"Cf. S. Brock, "Some Uses of the Term 'Theoria'". 16 I,3 (p. r8) ~ Touraille 83 (p. 405); PR 3 (p. 23). 17 I,52 (p. 263) ~ Touraille 65 (p. 343); PR 5r (p. 377). 18 II,ro,q.

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non l'essenza, giacché, per profonda che sia la loro contem­plazione, i giusti non vedono Dio se non in enigma, come ri­flesso in uno specchio (cf. rCor I},rz), nel quale però appare loro la rivelazione della verità 19 .

Isacco distingue vari tipi di contemplazione. Una cosa è con­templare l'azione di Dio nel mondo creato, altra cosa è con­templare l'essenza stessa dell'essere divino. La prima, nella sua forma naturale, la traiamo dalle impressioni che riceviamo dal mondo sensibile. La seconda non proviene né dall'intelletto né da un oggetto esteriore. Amala pena un giusto su mille è giudi­cato degno di questo stato sublime. Dalla contemplazione della divinità nasce quella dell'incarnazione e dell'apparizione di Dio nella carne.

Accanto alla contemplazione di Dio nella sua essenza e nelle sue azioni c'è anche la contemplazione delle potenze angeliche "nella loro vera natura e nella sfera loro propria". La contempla­zione degli angeli dev'essere distinta dalle visioni nelle quali es­si appaiono agli uomini sotto forma visibile. Queste ultime non sono vere visioni ma solo manifestazioni degli angeli per inco­raggiare i semplici. Solo la prima specie di visione, la contem­plazione degli angeli nella sfera invisibile che è loro propria, me­rita davvero il nome di contemplazione: "Essa appartiene agli uomini che hanno ricevuto illuminazione e sapienza e sono stati innalzati al rango della purezza grazie alla condotta gloriosa del­la quiete" 20

.

!sacco usa il termine theoria in rapporto alla Trinità e a Cri­sto. Egli distingue tra la "contemplazione dell'essenza divina" e la "contemplazione del mistero delle distinzioni tra le persone21

dell'essenza [divina]" 22 • Quando adotta il vocabolario di Eva-

19 1,48 (pp. 230-231) = Touraille 73 (p. 369); PR 45 (p. 324). 20 1,22 (pp. r r 3-r r 4) = PR 20 (pp. r6r-r62). 21 Qnome è qui applicato alle persone in Dio. 22 Centurie di conoscenza II,4.

z68

grio distingue anche tra la "contemplazione naturale seconda" 23

e la "contemplazione che nei suoi diversi elementi è anteriore a quella precedente l'esistenza" degli angeli; la prima appartiene agli esseri corruttibili composti di anima e corpo, la seconda agli spiriti incorporei24

!sacco distingue inoltre la "contemplazione naturale" (kyanay­ta), che è in rapporto con la natura dell'anima, dalla "contem­plazione spirituale" (ru~anayta), dono soprannaturale di Dio. La prima era propria dell'uomo nel suo stato naturale anteriore alla caduta; la seconda fa parte della beatitudine del secolo futuro. Egli scrive:

La contemplazione avvicina l'anima alla nudità dell'intelletto che è chiamata theorfa immateriale. Si tratta di una disciplina spirituale, giacché innalza il pensiero al di là della sfera terre­stre, lo avvicina alla contemplazione originaria dello Spirito e lo concentra in Dio e nella contemplazione della gloria ineffa­bile ... Quando l'intelletto dei santi riceve tale contemplazio­ne, quella naturale viene loro tolta insieme al carattere gros­solano dei corpi, e la loro contemplazione diventa spirituale. Chiamo contemplazione naturale quella propria allo stato pri­mitivo della natura creata. A partire dalla contemplazione na­turale l'uomo è portato facilmente alla conoscenza della vita unitiva che è, in parole semplici, lo stupore davanti a Dio. Si tratta di una condizione elevata, a causa del godimento dei beni futuri, che sarà accordato nella libertà della vita immor­tale, nella vita dopo la resurrezione 25

.

Così la contemplazione di Dio è l'esperienza dell'uscita da questo mondo per comunicare con il secolo a venire. Isacco sot-

23 La contemplazione di cui, secondo Evagrio, godette Cristo (Capitoli gnostici II,2 ss.).

24 Cf. Centurie di conoscenza II,ro5. 2 ' 1.43 (pp. 213-214) = Touraille I7 (p. r2r); PR 40 (pp. 303-304).

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tolinea questo carattere escatologico della contemplazione di Dio affermando che il regno dei cieli è la "contemplazione spiri­tuale (te'orya rupanayta)" 26 • L'esperienza di tale regno comincia nella vita presente e prosegue in quella futura. Tuttavia pochi di­ventano degni di questo dono al tempo della loro vita e la maggior parte di loro sono asceti e solitari che hanno rinun­ciato al mondo:

La contemplazione spirituale ... si dispiega in intuizioni lumi­nose. Chi la non ha più interesse a questo mondo né attaccamento al corpo ... Se Dio avesse accordato uom1ru anche solo un istante questa vera contemplazione, non si sa-rebbero più generazioni sulla terra. È una contem-plazione che l'uomo con legami ai quali la natura non può resistere . . . una grazia divina ... ed è concessa larmente a chi Dio sappia essere veramente degno di abban­donare questo mondo per una vita migliore ... È una che cresce e dimora in coloro che abitano luoghi solitari e ap­partati ... Dobbiamo chiedere questa contemplazione nelle nostre preghiere; per essa dobbiamo votarci a lunghe e stare in lacrime davanti a Dio per chiedergli la concessione di una tale grazia impareggiabile27 •

Agli occhi di Isacco la contemplazione è essenzialmente ta alla quiete (shelya) della mente:

La luce della contemplazione va di pari passo con la quiete {shelyuta) ininterrotta e con il recedere delle impressioni che provengono dall'esterno. Dopo aver fatto il vuoto dentro di sé, l'intelletto sta continuamente all'erta nell'attesa che sorga in lui la contemplazione28 .

26 1,72 (p. 353) = Touraille 19 (p. 131); PR 27 1,49 (p. 2 39) = Touraille 39 (pp.

528). 47 (pp. 336·337).

2' Centurie di conoscenza 1,29.

270

contemplazione di Dio si accompagna alla visita degli

Quando siamo immersi nello stupore a causa delle intuizioni legate alla contemplazione dell'Essenza elevata, quando, co­me ha detto Evagrio29 , gli angeli si avvicinano a noi e ci col­mano di contemplazione, allora si allontana da noi ogni av­versità e, finché restiamo in questo stato, una pace e una tran­quillità indicibili si diffondono in noi}0 •

Isacco parla di "contemplazioni celesti (te'oryas shmayyanya­ta)" quando "l'intelletto, esclusi i sensi, è messo in movimento dalle potenze spirituali del mondo superiore che dispongono di innumerevoli meraviglie" 3

\ e di "contemplazioni angeliche" 32.

Queste due formule, che non troviamo né Evagrio né presso i predecessori siriaci di Isacco, indicano una partecipazione degli angeli alla contemplazione.

Si può notare qui come l'insegnamento di Isacco sulla con­templazione tradisca un qualche influsso sistema gerarchico ereditato da Dionigi l'Areopagita, secondo il quale per gli esseri umani è impossibile la contemplazione diretta di Dio, mentre può darsi una contemplazione parziale per il tramite degli ange­li. Le rivelazioni su Dio sono prima, attraverso la mediazione di Gesù, trasmesse da Dio stesso agli angeli, poi da questi agli uo­mini. Facendo eco a questa dottrina dell'Areopagita, Isacco de­scrive un ordine gerarchico che assicura la trasmissione delle ri­velazioni a partire da Dio fino agli uomini:

Gli ci istruiscono, cosi come si istruiscono gli uni con gli altri. Gli angeli inferiori sono istruiti da che li sovra-

2' Il testo greco reca "san Marco".

30 1,69 {p. 337) Touraille 49 (p. 272); PR Tl (p. 497). 31 !,43 (pp. 215·n6) Touraille I7 (pp. 122-113); PR 40 {p. 307). ,, Centurie di conoscenza III,9o.

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stano con l'abbondanza della loro luce. In questo modo ocrni ordine è istruito da un altro, risalendo tutti i gradi fino a q~el-l'ordine unico è istruito dalla santa Trinità. Quest'ordine d1e è il primo, chiaramente di non essere istruito da s; stesso ma dal mediatore Gesù, dal quale riceve tutto ciò che trasmette agli ordini inferiori. Secondo me, il nostro intellet­to non ha il potere naturale di avviarsi alla contemplazione di Dio ... Anche se fossimo diventati puri e senza macchia, sen­za l'intermediazione delle essenze angeliche non riusciremmo ad avvicinarci alla rivelazione e alla conoscenza che conduco­no alla contemplazione eterna, vera rivelazione del mistero. Il nostro intelletto non possiede questa capacità, che è pro­pria esseri elevati che ricevono le rivelazioni e le con­templazioni direttamente dall'Eterno, senza intermediari 33 •

Nel secolo a venire i santi contempleranno Dio faccia a faccia . ' ma vlta presente la contemplazione non è possibile se non attraverso la mediazione angeli:

272

Quando nell'intelletto dei santi si produce la sensazione del­la rivelazione di un qualche essa viene angeli. Quando Dio lo permette, la rivelazione si trasmette da un or­dine superiore a uno inferiore, e così via fino al più basso. Se dunque, a un cenno di Dio, è concesso a un ogcretto di arriva­re fino alla natura umana, questo è trasmesso ;traverso colo­ro che ne sono degni al più alto grado. Infatti è aali or­dini [angelici] più elevati i santi ricevono la luce"' della contemplazione e della contemplazione fino al glorioso Es­sere eterno-, mistero che non può essere insegnato ... Nel se­colo futuro, tuttavia, quest'ordine di cose sarà abolito, per-

la rivelazione della gloria di Dio non sarà ricevuta da altri ... ma ognuno riceverà senza intermediari quello che ha meri­tato in proporzione alle sue fatiche 34

(p. 139) = Touraille 84 (pp. 413-414); PR 27 (pp. ,a-;.TCm>

(p. qo) = Tourai!le 84 (pp. 414-415); PR 27 (pp.

Visioni, rivelazioni, intuizioni

I termini "visione" (/;zata) e "rivelazione" (gelyana) sono stret­tamente associati a di "contemplazione". Tuttavia, men­tre quest'ultima è caratterizzata dall'indispensabile mediazione degli angeli, le visioni e le rivelazioni suggeriscono spesso un contatto diretto con il mondo superiore. Al tempo stesso, come abbiamo visto, angeli non sono assenti dalle visioni, ma la lo­ro funzione non si limita alla mediazione tra Dio e l'uomo. Al contrario essi svolgono visioni un ruolo indipendente co-me dei misteri dì Dio.

!sacco definisce la "visione divina" (/;zata alahaya) una "rive­lazione fatta all'intelletto al di là dei sensi" 35

• i termini "visione" e "rivelazione" sembrano sinonimi, ma intercorre fra di essi una differenza semantica sulla quale il nostro autore ri-chiama l'attenzione testo seguente:

Domanda: Visione e rivelazione sono la stessa cosa? Risposta: No, tra i due termini c'è una differenza. Spesso en­trambi i concetti sono designati con il termine di rivelazione: poiché in un caso come nell'altro viene rivelato qualcosa di nascosto, visione è chiamata rivelazione. Ma non ogni rivelazione è una visione. Il termine "rivelazione" è usato il più delle volte per cose che saranno conosciute, che sono spe­rimentate e afferrate dall'intelletto. Ma le visioni hanno luo­go in molteplici modi, per esempio sotto forma di somiglian­ze e di immagini, come nell'Antico Testamento, in un sonno profondo o in stato di veglia, talora con tutta altre volte in modo più oscuro attraverso parvenze. Per questo mo­tivo chi riceve una visione spesso non sa se sogna o è Può darsi che senta una voce che gli porta soccorso, o intrave-

"I,22 (p. II3) PR 20 (p. I62).

2 73

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da una certa forma, mentre a volte vede in modo più chiaro, faccia a faccia ... Visioni del genere si producono in luoghi deserti e abbandonati dagli uomini, dove l'uomo ne ha mag­giore bisogno, privo com'è di ogni aiuto o consolazione che gli provenga dal luogo stesso. Ma le rivelazioni, che sono per­cepite nell'intelletto e vengono facilmente accolte se questo è puro, si presentano solo ai perfetti e a quanti sono in grado di comprendere36.

Una "rivelazione" è quindi superiore a una "visione". Inol­tre, il concetto di "rivelazione" è più generale di quello di "vi­sione". La rivelazione è indice di un'esperienza interiore, men­tre la visione si riferisce ad apparizioni visibili e concrete pro­venienti dal mondo immateriale. Le apparizioni degli angeli ai martiri e agli asceti appartengono più specificamente al campo delle visioni:

Che i santi martiri ti siano di esempio e di incoraggiamento. Essi hanno spesso combattuto in molti insieme per Cristo, o talvolta da soli, in luoghi diversi ... Gli angeli sono loro ap­parsi sotto forma visibile ... C'è forse bisogno di ricordare gli asceti e gli eremiti divenuti stranieri a questo mondo? Del de­serto essi fecero una città37

, una dimora e un luogo d'acco­glienza per gli angeli, i quali li frequentavano assiduamente a causa della loro eccellente condotta di vita ... E poiché costo­ro, avendo abbandonato ciò che appartiene alla terra e aman­do le cose del cielo, erano diventati imitatori degli angeli, era giusto che questi ultimi non si celassero ai loro occhP8 •

Ma non apparvero loro solo gli angeli; dopo la morte, anche i santi si manifestarono nel sonno a quegli asceti:

36 1,37 (pp. q6·rn) = Touraille 85 (pp. 430-43r); PR 35 (pp. 249-250). 37 Cf. Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio r4. 38 1,5 (p. 44) = Touraille 5 (pp. 79-8o); PR 5 (p. 65).

274

Molti che avevano raggiunto lo stato di purezza sono stati giu­dicati degni di contemplare nelle loro visioni notturne il volto dei santi ... Si dice che gli angeli rivestano le sembianze di certi santi beati e degni e le mostrino in sogno all'anima nel tempo dell'assenza dei pensieri, per la sua gioia, il suo arric­chimento e la sua letizia39 •

Il termine "rivelazione" suggerisce una vicinanza interiore a una realtà che non è di questa terra, ma non comporta necessa­riamente la visione di immagini. Esso è generalmente usato al plurale:

L'inizio della contemplazione spirituale è quello di tutte le ri­velazioni nell'intelletto, attraverso le quali esso cresce e si for­tifica nelle cose nascoste, e in tal modo progredisce verso al­tre rivelazioni che sorpassano la natura umana. È così che so­no trasmesse tutte le contemplazioni divine e tutte le rivela­zioni dello Spirito che i santi ricevono in questo mondo40•

Qui Isacco considera le rivelazioni alla stregua di fenomeni che accompagnano l'intelletto nelle diverse tappe della sua evo­luzione: il percorso dell'intelletto è considerato un cammino che porta da una rivelazione all'altra.

Per Isacco le "rivelazioni" sono, fin da questa vita, un'espe­rienza di comunione con il regno di Dio:

La rivelazione del bene che è in noi consiste nel fatto di spe­rimentare la conoscenza della verità: "Il regno di Dio è misti­camente dentro di voi" (cf. Le q,2r) ... Lo stupore di fronte alla natura divina è la rivelazione del secolo nuovo. Le rive­lazioni del secolo nuovo sono impulsi che, grazie a Dio, ci ra­piscono. Tutte le nature dotate di ragione sono avviate verso

39 1,54 (p. 267) = Touraille 33 (p. 205); PR 53 (p. 38r). 40 1,49 (p. 240) = Touraille 40 (pp. 234-235); PR 47 (p. 338).

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l'esistenza futura, verso la dimora del cielo. Poiché le sante potenze esistono adesso per opera di questi impulsi, tale è la forma della loro vita. A ogni istante esse sono rapite da que­sto mistero grazie alle rivelazioni che ricevono sotto varie for­me, attraverso il loro orientamento all'essenza divina. Ecco lo stato in cui noi tutti ci troveremo dopo la resurrezione 41

!sacco distingue tra le rivelazioni del "secolo futuro" e quelle del "secolo nuovo". Le prime sono incontri con la realtà divina; le altre, intuizioni spirituali circa lo stato escatologico futuro del mondo creato:

Le rivelazioni del secolo futuro sono differenti da quelle del mondo nuovo. Le prime riguardano il carattere glorio­so della natura divina, le seconde si riferiscono alle svariate forme delle sorprendenti trasformazioni che subirà la creazio­ne, come pure ai diversi aspetti della loro condizione futu­ra, che l'intelletto apprende per rivelazione intuitiva, grazie alla meditazione continua su di esse e in virtù di un'illumi­nazione42.

In una delle omelie della prima parte, che non figura nel­la traduzione greca, !sacco parla delle sei specie di rivelazioni menzionate nella Scrittura: attraverso i sensi; tramite una visio­ne fisica; per effetto del rapimento dell'intelletto; mediante la profezia; attraverso "una qualche forma intellettuale", "come in sogno". Le rivelazioni "attraverso i sensi" si producono o "con l'intermediazione degli elementi", come il roveto ardente, o at­traverso la nube della gloria di Dio, e via dicendo; oppure "sen­za l'aiuto della materia" ma pur sempre "attraverso i sensi cor­porei", come l'apparizione dei tre uomini ad Abramo, la scala di

41 II,S,I-4-6. 42 II,8,7.

Giacobbe e altre ancora. Tra le rivelazioni che si producono con l'ausilio di una visione fisica si può citare, fra le altre, quella del profeta Isaia che contempla il Signore seduto su di un trono alto ed elevato, circondato dai serafini (cf. Is 6,r ss.). Il "rapimento dell'intelletto" è quello che provò l'apostolo Paolo quando fu ra­pito al terzo cielo e udì parole divine ineffabili (cf. 2Cor 12,2-4). Le rivelazioni "mediante la profezia" sono giunte ai profeti "che predissero avvenimenti che si sarebbero verificati molti secoli più tardi". La rivelazione "attraverso forme intellettuali" è quel­la che consente di gettare uno sguardo sulla natura di Dio, sulla resurrezione dei morti, sulla vita del secolo a venire o su altre verità dogmatiche centrali per la fede cristiana. Infine, le rivela­zioni possono essere mandate durante il sonno 43 .

!sacco sottolinea il fatto che le rivelazioni possono prodursi sia "per mezzo di immagini" che "senza immagini". Dio conce­de il primo tipo di rivelazioni al fine di istruire più persone gra­zie a una "piccola intuizione" della verità. Il secondo tipo, al contrario, è di solito concesso a una sola persona per suo orien­tamento e consolazione44 . !sacco insiste però sul fatto che le ri­velazioni non si debbano intendere come piena verità o cono­scenza piena, poiché esse non sono altro che intuizioni della ve­rità, disvelate solo nella misura in cui l'uomo può accoglierle 45 .

Il vocabolo "intuizioni" (sukkale) è semanticamente vicino a "rivelazioni": come questo è usato quasi sempre al plurale e ser­ve a descrivere improvvisi ed eccezionali incontri con realtà del­l'altro mondo. Le intuizioni si distinguono dalle rivelazioni per il loro carattere puntuale; esse sono istantanee ma lasciano nel­l' anima un segno profondo, e si possono produrre a di versi stadi della vita spirituale del cristiano:

. ~ 3 ~~·~R. 20 (pp. ;rs6-r59l = Mystic Tì·eatises, pp. ro6-ro8. Si vedano anche gli sva­natl tlpl dt nvelaz10m nportati in Centurie di co11oscenza III,s6.59-6o.

44 Cf. PR 20 (pp. I59-r6o) = Afystic Tì·eatises, p. ro8. 45 Ibid.

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Può succedere che uno, avendo acquisito il massimo grado di perfezione allo stadio dell'anima, non sia ancora penetrato in quello dello spirito, solo alcuni moti del quale hanno comin­ciato a farsi sentire in lui. Mentre in tutta la sua condotta si trova ancora allo stadio dell'anima, può succedere a volte che alcuni impulsi spirituali, di quando in quando e confusamen­te, si facciano strada in lui, e che egli cominci a sentire in sé stesso una gioia e una consolazione nascoste, come lampi di luce ... Intuizioni mistiche sorgono nel suo animo e lo scuoto­no, e di colpo il cuore esplode di gioia ... Conosco uno della mia cerchia46 che ha esperienza del gusto di tali lampi di luce. Benché l'intuizione mistica attraversi il suo intelletto in un attimo per allontanarsi subito dopo, nondimeno l'esplosione di gioia da essa prodotta e il suo sapore durano a lungo, e la pace da essa diffusa nei suoi pensieri rimane per un bel po' dopo la sua partenza. In questo modo il suo corpo e le sue membra, pacificati, provano un grande ristoro, e la gioia e la dolcezza di questa meraviglia, gustate nel momento supremo, restano a lungo impresse nel suo palato spirituale 47

Le "intuizioni" sono per così dire delle risorgi ve spirituali che sgorgano all'improvviso durante la preghiera o la lettura delle Scritture. In quei momenti l'intelletto penetra nel Santo dei Santi dei misteri della Scrittura, nei sensi spirituali più recondi­ti di quest'ultima, e stabilisce un contatto immediato con Dio. Ecco perché, come al momento della quiete dell'intelletto, la preghiera cessa:

Quando parlo di preghiera penso allo stare in piedi o a un ser­vizio liturgico preciso, giacché quando egli [l'asceta] si dedica alla lettura, non è mai privato, nemmeno un istante, di queste risorgive della preghiera. Non c'è infatti lettura [delle Scrit-

46 Sembra evidente che qui Isacco parli di se stesso in terza persona. 47 II,zo,r9-20.

ture] -purché intrapresa a fine spirituale- che sia priva dita­le fonte di preghiera, poiché l'uomo che la compie è letteral­mente inebriato dai misteri che incontra. Preghiere profonde si sommuovono dentro di lui, in modo sorprendente e inatte­so, senza preparazione né sforzo di volontà da parte sua. Ma perché chiamare preghiera questa frequente ebbrezza occa­sionata da un'intuizione, quando in essa non c'è più posto per alcun impulso di preghiera né per un ricordo che la ri­guardi? In effetti, si tratta di qualcosa di più eccellente - se mi è lecito esprimermi così - dello stadio della preghiera. La preghiera si colloca a un livello inferiore rispetto a quello de­gli impulsi spirituali, giacché è innegabile che la preghiera sia inferiore a quel tipo di mistero. Sovente, quando l'intelletto è commosso da qualche intuizione relativa a un avvenimen­to proveniente dalla natura o dalle Scritture, quando l'asceta scandaglia il loro senso spirituale e, con l'aiuto della grazia, scruta il Santo dei Santi dei loro misteri, non gli resta più un briciolo di forza per pregare o pensare, perché a questo punto è ridotto al silenzio nel corpo e nell'anima. Ogni avvenimen­to, natura o parola di questa creazione presente ha il suo tem­pio e il suo Santo dei Santi. E quando l'intelletto è autoriz­zato a entrarvi e riceve la forza per farlo, allora nei suoi sen­si non resta nessun'altra forza, impulso o attività. Tra coloro che sono qui riuniti c'è qualcuno 48 che ne ha fatto continua­mente esperienza: so che il suo cuore batte più forte quando incontra un momento simile nelle sue letture; e questo gli vie­ne dalla sua esperienza 49 .

Ecco perché si può parlare di visioni, rivelazioni e intuizioni come di aspetti diversi del medesimo fenomeno dell'incontro con Dio e con le realtà del mondo immateriale. Così le "visioni" stanno a significare gli incontri con esseri dell'aldilà (anaeli

b ' santi) che appaiono sotto una forma visibile; le "rivelazioni" so-

" Senza dubbio Isacco parla nuovamente di se stesso. 49 II,Jo,S-r r.

2 79

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no una sorta di accesso all'essenza di Dio o al rinnovamento escatologico del mondo creato; le "intuizioni" sono sfolgoranti lampi mistici che si producono nell'intelletto dell'uomo quando i misteri del secolo futuro gli vengono subitamente rivelati, nel tempo della preghiera e della lettura delle Scritture.

L"'accoglimento sotto l'ombra" e l'illuminazione

Dobbiamo ora esaminare due termini della mistica di Isacco che esprimono l'azione della grazia di Dio sull'uomo: "il fatto di essere accolto sotto l'ombra di Dio", che in latino sarà detto obumbratio, e l"'illuminazione". In collegamento con quest'ul­timo termine bisognerà anche trattare della concezione della "luce mistica".

Il termine siria co maggnanuta50 significa "discesa", "accogli­mento sotto l'ombra", "protezione". Esso indica un'azione par­ticolare di un superiore verso un sottoposto. Per Isacco, che vi ha consacrato un'intera omelia51, l'"accoglimento sotto l'om­bra" significa un'influenza positiva dello Spirito santo sull'uo­mo. Il nostro autore comincia con il definire il significato del termine e l'uso che ne viene fatto nella Bibbia:

L'espressione "accoglimento sotto l'ombra" evoca aiuto e pro­tezione, ma anche la ricezione di un dono dal cielo. Per esem­pio: "Lo Spirito santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" (Le r,35). Un'altra for­ma di "accoglimento sotto l'ombra" si trova nel passo: "La tua

5° Cf. S. Brode, '"Maggnanqta'. A Technical Terrn in East Syrian Spirituality", in Mélanges Antoine Guillaumont, Ed. P. Crarner, Genève r988, pp. rzr-r29.

51 II,r6; manca nella traduzione greca.

destra, Signore, mi prende sotto la sua ombra" (Sal r38,7-8), che è una richiesta di soccorso, proprio come "prenderò que­sta città sotto la mia ombra e la salverò" (zRe r9,34; Is 38,6). Possiamo così distinguere due generi di "accoglimento sotto l'ombra" degli uomini da parte di Dio: l'uno è misterioso e spirituale, l'altro ha luogo nel corso degli avvenimenti52 •

Il primo "accoglimento sotto l'ombra" è la

santificazione ricevuta attraverso la grazia di Dio; cioè il fat­to di essere santificati nel corpo e nell'anima dall'azione del­lo Spirito santo, come accadde a Elisabetta, a Giovanni Bat­tista e alla beata Maria, la benedetta tra le donne; benché quest'ultimo caso non possa essere messo sullo stesso piano degli altri, perché }"'accoglimento sotto l'ombra" di Maria è superiore a tutto ciò che sia mai stato concesso alle nature create.

Un simile "accoglimento sotto l'ombra" accade a ogni santo quando diventa degno di una rivelazione di Dio e di un inter­vento dello Spirito santo:

La forma mistica dell"'accoglimento sotto l'ombra" che capi­ta ad alcuni santi rappresenta l'attività di chi prende l'intel­letto [dell'uomo] sotto la propria ombra. Quando uno è giudi­cato degno di un simile "accoglimento sotto l'ombra", l'intel­letto è rapito dallo stupore e si allarga per una qualche divina rivelazione. Finché questa attività prende l'intelletto sotto la propria ombra, l'uomo è innalzato al dì là del movimento dei pensieri dell'anima grazie alla partecipazione allo Spirito san­to ... Quando questa forza accoglie qualcuno sotto la sua om­bra, questi è giudicato degno della gloria del secolo futuro mediante le rivelazioni. Tale partecipazione parziale era quel-

52 II,r6,z-3 = PR 54 (p. 390).

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la dei "santi nella luce" (Col I, I z) di cui ha parlato il beato Paolo, partecipazione di cui sono degni coloro che hanno ri­cevuto dallo Spirito la santificazione del loro intelletto grazie a una condotta santa e piena di opere buone 53

.

La seconda specie di "accoglimento sotto l'ombra" si esplica nella prassi quotidiana. Essa è

una forza spirituale che protegge l'uomo e aleggia continua­mente sopra di lui'\ allontanando tutto ciò che potrebbe ar­recargli danno al corpo e all'anima, ed è percepita invisibil­mente da un intelletto illuminato che possiede la conoscenza grazie all'occhio della fede 55.

Così, il secondo "accoglimento sotto l'ombra" ha un carattere mistico come il primo, ma è accompagnato da una "visione invi­sibile", cioè da un'esperienza contemplativa di una realtà invisi­bile e accessibile solo "all'intelletto illuminato". Si vede da tali affermazioni che l'espressione "accoglimento sotto l'ombra" è semanticamente vicina a "visione" e "contemplazione".

Il termine "illuminazione" (nahhiruta) indica a sua volta un'at­tività diretta di Dio e non dell'uomo. Esso deriva da nuhra, "lu­ce", e si applica a un'azione di Dio che implica una presenza lu­minosa. Isacco ne parla nelle Centurie di conoscenza:

Si riceve l'illuminazione (nahhiruta) secondo la qualità del proprio comportamento nei riguardi di Dio. Nella misura in cui si è attratti verso la conoscenza, l'anima è sempre più libe­ra e si passa da una conoscenza a un'altra sempre più elevata. La luce (nuhra) che non viene dalla conoscenza è una luce che

"II,I6,s-6 = PR 54 (p. 39I). " I sacco usa qui la stessa parola di Gen I ,2: "Lo spÌiito di Dio aleggiava sulle

acque". "II,I6,7 = PR 54 (p. 39I).

z8z

viene dagli elementi [materiali], ma nel mondo nuovo sorgerà una luce nuova. Non ci sarà più alcun bisogno di usare di ciò che è corporale o che viene dagli elementi. La luce della cono­scenza è l'intelletto illuminato dalla conoscenza divina che, senza impedimento alcuno, si riversa nella natura [umana] 56 .

Nel capitolo 6 della seconda parte Isacco indica due segni che permettono all'uomo di accorgersi che l'illuminazione comincia a prodursi in lui:

Fratello mio, ti indicherò due indizi affidabili grazie ai quali, quando Dio ti giudicherà degno di un'illuminazione interio­re, potrai percepire la luce della tua anima. Essi saranno suf­ficienti a farti riconoscere il momento in cui la verità sfolgo­rerà nella tua anima. Quando per grazia e misericordia di no­stro Signore Gesù Cristo l'illuminazione dell'intelletto, di cui parlano i padri, comincia a irradiare in te, questi due segni ti daranno una conferma in proposito ... Uno è il seguente: quando la luce nascosta comincia a risplendere nella tua ani­ma, il segno sarà che, ogniqualvolta interrompi la lettura del­la Scrittura o la preghiera, il tuo intelletto verrà catturato da qualche versetto o dal senso in esso contenuto, e tu vi appli­cherai la tua meditazione, lo esaminerai e, immediatamente commosso, ne scruterai il significato spirituale. n tuo intel­letto ne sarà avvinto al punto da non poter essere distratto da nessun altro oggetto proveniente dal mondo creato. Anche se tu non te ne curi in modo particolare come di un oggetto pre­sente, è così che accadrà all'intelletto, non pienamente ma almeno in parte. Il secondo segno, preciso come il primo, è il seguente: quando l'anima abbandona le tenebre e diventa luce dentro di sé, al solitario sono concesse delle genuflessio­ni prolungate che sono per lui talmente dolci da starsene tre giorni inginocchiato a terra senza sentire fatica alcuna a causa

56 Centurie di conoscenza I, I 2- I 3.

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di questo godimento e senza neppure desiderare di alzarsi. Ogni volta che solleva la testa per tirarsi su ricade faccia a ter­ra, a causa della dolcezza prolungata che ha invaso il suo cuo­re. Allora la preghiera non è più tanto importante per lui57

,

giacché da quando essa è entrata nel suo cuore sente così in­tensamente l'aiuto di Dio e il piacere di questa preghiera au­menta a tal punto, che la lingua gli si blocca e il cuore tace. Allora una quiete58 così dolce gli pervade il cuore e le mem­bra che egli pensa che nemmeno le delizie del regno dei cieli siano paragonabili - se è lecito esprimersi così - a quel silen­zio59 nella preghiera. Giorno e notte giace così, disteso a ter­ra, senza proferire parola. In tal modo, nella misura in cui un uomo accede a tale illuminazione dell'intelletto, è degno del­le delizie delle genuflessioni 60 •

Questo passo verte su un'illuminazione che si produce in mo­do discreto e invisibile e che può essere riconosciuta più da se­gni esteriori che da una sensazione interiore. !sacco ne precisa chiaramente la natura: si tratta della luce dell'anima o piuttosto dell'"anima che diventa luce". L'illuminazione consiste nel fat­to che l'anima lascia le tenebre e comincia a percepire la propria luce naturale.

Bisogna osservare che il termine "luce" (nuhra) si incontra di frequente negli scritti di !sacco, ma di solito non designa una lu­ce visibile e concreta, e neppure la luce divina nel senso in cui la intendono gli autori mistici siriaci e bizantini (Giovanni di Da­lyata, Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Palamas e molti al­tri). Pur avendo fatto l'esperienza della contemplazione della lu­ce divina, !sacco non l'ha mai descritta nei particolari. Non è dunque possibile fare di Isacco un precursore dell'esicasmo bi-

57 Si tratta delia preghiera orale ad alta voce. 58 In siriaco sbelya. 59 In siriaco sbelvufl.z. 60 II,6,I-4. .

zantino. Questa affermazione sarà senza dubbio sorprendente per quanti hanno familiarità con il testo greco di !sacco o con le traduzioni in lingue moderne basate su di esso: si ricorderanno immediatamente di espressioni come "la luce della santa Trini­tà", "la luce di Dio" e altre simili. Tuttavia questi termini non si trovano nei testi autentici di Isacco: risalgono piuttosto o agli scritti di Giovanni di Dalyata e di Filosseno di Mabbug che fu­rono a lui attribuiti, oppure a citazioni tratte da Evagrio. !sacco parla soprattutto dell'anima dell'asceta che diventa luce, e non dell'asceta che contempla la luce divina 61

. Quanto ai testi au­tentici di !sacco che parlano della "luce divina", l'espressione non vi riveste mai il senso specifico e concreto che ha nella lette­ratura esicasta. La stessa cosa vale per formule come "luce della theorfa" 62 , "luce santa" 63 e altre analoghe, che si riferiscono tut­te unicamente a una certa esperienza interiore di visione spiri­tuale: l'asceta vede la luce della propria anima in conseguenza dell'illuminazione che ha ricevuto nel proprio intelletto.

Le fonti di tale illuminazione spirituale e dello "sfavillio del­la luce" all'interno dell'anima sono la preghiera e le altre prati­che ascetiche64, fra le quali citiamo il ricordo di Dio e le veglie notturne:

Se l'anima sfavilla per il ricordo di Dio e per le continue ve­glie, di notte e di giorno, il Signore dispone al di sopra di

61 È chiaro che !sacco conosceva l'insegnamento di Evagrio sull'esistenza di una duplice luce: la luce trinitaria dell'essenza divina e la luce naturale dell'anima umana che, pur apparentata con la precedente, non è identica a essa. Evagrio descrive lo sta­to nel quale "l'uomo interiore", divenuto un vero "gnostico", contempla la "luce della bellezza della propria anima (nulmz d-sbupm d-tuzpsbeb)", o la "luce della propria bel­lezza" (Pseudo-supplementi ai Gzpitoli gnostici 50). In !sacco non ritroviamo tale con­fronto tra le due luci. Quando parla di luce, egli considera per lo più la luce nascosta nell'intimo dell'anima umana. E in questo senso che bisogna intendere l'espressione "luce divina" (nulmz alabaya) che si incontra nei suoi scritti (cf. II,II,29).

62 I, 77 (p. 382) = Touraille 20 (p. q8); PR 75 (p. 550). 6J II,9,7· 64 Cf. II,I0,4.

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questa regolarità una nube che di giorno la prende sotto la sua ombra e di notte la illumina con una luce di fuoco. Nelle sue tenebre risplende la lucé5.

Infine, le genuflessioni eseguite con spirito di pentimento fa­voriscono anch'esse lo sfavillio della luce nell'uomo:

Nel tempo in cui Dio guida interiormente il tuo cuore verso il pentimento, esegui incessantemente piegamenti e genufles­sioni ... È a questo punto che la luce brillerà dentro di te e che la tua giustizia non tarderà a risplendere, e tu sarai ... co­me un giardino in fiore e una sorgente d'acqua inestinguibile (cf. Is 58,rr) 66 •

Lo sfolgorare della luce nel cuore dell'uomo diventa allora fonte inesauribile di gioia:

Finché l'uomo mantiene la fede del proprio cuore - vale a di­re la conoscenza esatta della provvidenza di Dio - non potrà cadere nelle tenebre dell'intelletto donde nascono inquietu­dine e angoscia, ma la sua anima sarà incessantemente colma­ta di luce e di gioia e di esultanza continua. Un tale uomo è come se vivesse in cielo, nell'illuminazione dei pensieri che la fede gli offre: egli è ormai degno di ricevere la rivelazione delle intuizioni67 .

L'allusione alla gioia spirituale ci introduce allo studio del­lo "stupore" mistico, altro termine cruciale nella dottrina di Isacco.

"I,6 (p. 54)= Touraille 56 (p. 297); PR 6 (82-83). 66 I,4 (pp. 38-39) = Touraille 23 (p. I6I); PR 4 (p. 58). 67 II,8,25.

z86

Lo stupore

Uno degli stati spirituali più caratteristici descritti dagli auto­ri mistici è da loro chiamato "estasi", ed è spesso accompagnato da un senso di rapimento e compunzione dell'anima, da lacrime, talora da perdita di conoscenza, indebolimento delle membra e uscita della mente fuori del corpo. La parola greca ékstasis, che significa letteralmente "uscita all'esterno, fuoriuscita", non ha un esatto equivalente in siriaco. I termini che più le si avvicina­no sono temha e tehra, traducibili entrambi con "stupore", "me­raviglia". Nelle opere di Isacco li incontriamo sovente, e indica­no appunto lo stato mistico che gli autori greci descrivono come estasi. Nella versione greca di Isacco, infatti, i due termini sono abitualmente tradotti con ékstasis.

!sacco è consapevole delle particolarità del vocabolario greco dell' ékstasis. Commentando i due passi in cui i LXX usano questa parola - il sonno di Adamo e quello di Abramo - !sacco ne ri­porta, come ha ben dimostrato Paolo Bettiolo68 , l'interpretazio­ne corrente presso i padri siriaci:

Se uno domanda: "Dove si trova il pensiero in questi momen­ti di elevato raccoglimento?", ecco cosa dice la Scrittura: "La quiete cadde su Abramo" (Gen r5,rz). E altrove, a proposito di Adamo: "Il Signore Dio gettò la quiete su Adamo" (Gen z,zr). Invece di quiete, il greco parla di stupore (temha). Ecco come il beato Interprete commenta il mistero dello stupore: "Da' il nome di stupore a ciò che è al di fuori dell'ordine abi­tuale e al di fuori di quello che l'uomo può sperimentare" 69 .

Per designare lo stupore !sacco usa anche un'altra espressione biblica, la "nube oscura" ('arpe/la), che nella pshitta, la versione

68 Cf. !sacco di Ninive, Disco1!i spirituali, p. 197, n. q. 69 Centurie di conoscenza IV,95.

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siriaca della Bibbia, è applicata alla tenebra nella quale Mosè in­contra Dio:

La nube oscura, caratteristica dello stadio spirituale, [si mani­festa] quando l'intelletto è inghiottito dallo stupore e riceve un'intuizione dello Spirito. Essa piomba all'improvviso sul­l' anima e tiene l'intelletto in stato di immobilità, mentre tut­to ciò che è visibile si sottrae al suo sguardo, in un non sapere e un non sentire riguardo all'oggetto che esso cerca di fissare. Questa nube fa sì che l'intelletto indugi nella quiete, come quando una nube oscura avvolge un oggetto e lo sottrae agli occhi del corpo 70 •

Per Isacco lo stato di stupore è strettamente legato a quelli ap­pena descritti come "quiete dell'intelletto" o "contemplazione spirituale":

Quando uno riceve continuamente la percezione di questi misteri grazie all'occhio interiore che si chiama contempla­zione spirituale (te'mya d-ru{J) e consiste in una visione prove­niente dalla grazia, appena percepisce l'uno o l'altro di questi misteri il suo cuore si placa in una sorta di stupore. Non solo le labbra smettono di pronunciare preghiere e tacciono, ma anche i pensieri languono nel suo cuore per la meraviglia 71

che lo coglie. Al tempo stesso, egli riceve dalla grazia la dol­cezza dei misteri della sapienza e dell'amore di Dio, in virtù della visione che conosce gli avvenimenti e le nature 72 •

Lo stupore può avere molteplici cause. Può essere frutto del­l' allontanamento dal mondo e di una vita nella quiete: "Per il fatto di vivere in disparte dal mondo e nella quiete, l'anima è

7° Centurie di conoscenza !,52. 71 In siriaco dummara, che significa anche "stupore". 72 II,35.4·

z88

naturalmente spinta alla conoscenza delle creature di Dio, a par­tire dalla quale si innalza a Dio e, nella meraviglia, è colta da stupore e dimora presso di lui" 73

• Lo stupore può anche nascere da una preghiera meditati va, "giacché la quiete ... e la medita­zione suscitano nel cuore una dolcezza immensa e infinita, e por­tano l'intelletto allo stupore ineffabile" 74

. Esso può inoltre esse­re causato dalla lettura della Scrittura: "Medita con delizia le Scritture che ti fanno conoscere il fine della creazione divina e che, nel tempo della preghiera, attirano il tuo intelletto verso lo stupore" 75

. Può poi scaturire dal ricordo continuo di Dio: "Con­servando a lungo il ricordo di Dio, l'anima può essere a tratti condotta allo stupore e alla meraviglia" 76

• Infine Isacco indica come possibile causa dello stupore l'azione dello Spirito santo:

La sapienza dello Spirito umilia l'anima e la induce a scrutare Dio nello stupore 77

Proprio come in certe specie di alberi la linfa zuccherina vie­ne prodotta dall'azione del sole, così, quando lo Spirito sfa­villa nel nostro cuore, gli impulsi della meditazione chiamati "condotta spirituale" (dubbara ru{Jana) si avvicinano alla lim­pidezza e il nostro intelletto, colto da stupore e senza che la volontà intervenga, in virtù di qualche riflessione è attratto verso Dio 78

.

Gli scritti di Isacco contemplano diversi tipi di stupore, di­stinti secondo il grado di intensità dell'esperienza che rappre­sentano. n primo è una sorta di rapimento che si verifica all'atto

73 I,3 (p. r6) ~ Tournille 82 (p. 403); PR 3 (p. 20). 74 !,37 (p. r82) = Tournille 85 (p. 437); PR 35 (p. 259). 75 Centurie di conoscema !,67; cf. anche !,37 (p. r79l = Touraille 85 (p. 434); PR 35

(p. 254). 76 I,5 (p. 48) = Touraille 5 (p. 84); PR 5 (p. 73). 77 Centurie di conoscenza III,zo. 78 II,ro,2.

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della preghiera o della lettura delle Scritture, nel corso del quale l'interessato non perde il controllo di sé, ma il suo intelletto può essere interamente "catturato" da Dio:

Egli si spinge fino a dimenticare sé stesso e la sua natura e, colto dallo stupore, si dimentica completamente del seco­lo presente ... Assorbito dalle meraviglie di Dio, in uno stato continuo di stupore dinanzi a esse, egli è sempre ebbro, qua­si assaporasse già la vita dopo la resurrezione ... Inebriato da queste cose, viene poi ricondotto alla contemplazione del se­colo presente nel quale ha continuato a vivere, per esclamare con stupore: "O profondità della ricchezza, della sapienza, della conoscenza, dei pensieri e dei giudizi dell'inenarrabile provvidenza di Dio!" (cf. Rm II,33). Da questo momento in poi egli viene di nuovo innalzato alle realtà precedenti la for­mazione del mondo ... e, come rapifo, riflette e dice: "Quan­to durerà ancora questo secolo, e quando farà posto all'inizio del secolo futuro? Come sarà la vita di laggiù? In che forma risusciterà e sarà ricostituita la natura umana? In che modo sarà sottoposta a una nuova creazione?". Mentre riflette su queste e simili cose, passa attraverso il rapimento, lo stupo­re e un silenzio senza parole. Allora si alza, si inginocchia e, versando lacrime copiose, ringrazia e glorifica Dio, unico sa­piente79.

La seconda specie di stupore ha come segno esteriore un af­fievolimento delle membra:

Se uno, inginocchiato con le mani tese al cielo, lo sguardo fis­so alla croce di Cristo, i pensieri tutti raccolti in un'unica pre­ghiera rivolta a Dio, prega con lacrime di pentimento, spesso tutt'a un tratto gli capita di sentir zampillare nel cuore una sorgente dalla quale si riversa dentro di lui una grande dolcez-

79 I,37 (pp. 179-r8r) = Touraille 85 (pp. 434-436); PR 35 (pp. 254-257).

za. Le membra gli si affievoliscono, lo sguardo si appanna, la testa pende giù e si alterano i pensieri, cosicché, per la gioia che pervade tutto il suo corpo, non può più compiere prostra­zioni 80

La terza specie di stupore è caratterizzata dalla totale perdita di coscienza e dall'uscita dell'intelletto dal corpo. Questo stupo­re ci è noto dai santi che sono rimasti in uno stato simile per ore o giorni:

Vediamo sant'Antonio stare in preghiera per nove ore di se­guito e accorgersi che il suo intelletto era asceso fino ai cieli 81

Uno dei padri stava in preghiera con le mani tese per giungere al rapimento dopo quattro giorni. E molti altri furono sedotti durante la preghiera da un potente ricordo di Dio e dal suo amore, e così ottennero il rapimento 82 .

!sacco cita un suo contemporaneo che un giorno gli confidò:

Quando voglio rimanere in piedi per celebrare la liturgia, Dio mi lascia recitare una sola marmita ma poi, se continuo a stare in piedi per tre giorni, mi ritrovo nello stupore accanto a Dio senza provare un briciolo di stanchezza 83 .

In uno dei discorsi della prima parte !sacco descrive un caso particolare di stupore che non è stato incluso nella versione si­ro-occidentale, quindi neanche in quella greca. In esso lo stupo­re comincia a farsi sentire durarte il sonno, provoca il risveglio e prosegue nello stato di veglia. E probabile che !sacco vi descriva la propria esperienza personale anche se, come suole fare in que­sti casi, usa la terza persona singolare:

80 I,4 (p. 39) = Touraille 23 (p. r62); PR 4 (p. 58). 81 Cf. Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 62. 82 I,37 (p. r83) = Touraille 85 (p. 439); PR 35 (pp. 26o-26r). "I,54 (p. 272) = PR 35 (p. 388).

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Conosco un uomo (cf. zCor rz,z) che anche durante il son­no fu colto da stupore divino mentre contemplava ciò che aveva letto la sera prima di coricarsi, e che, quando il suo in­telletto fu affascinato dalla meditazione di ciò che contempla­va, fu come se avesse compreso di essere rimasto a lungo nei pensieri del sonno seguendo le tracce della sua sorprendente contemplazione. Tutto ciò avveniva a notte fonda: si svegliò all'improvviso, con le lacrime che a fiotti gli bagnavano le guance. Le sue labbra erano piene di dossologie e il cuore me­ditò a lungo e con dolcezza insaziabile su quella visione. A causa delle lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi e a causa dello stupore della sua anima, tutte le sue membra era­no come paralizzate e una grande gioia gli palpitava in cuore, al punto di non essere più in grado di celebrare la liturgia abi­tuale della preghiera notturna. Solo con grande sforzo poté recitare un salmo sul far del giorno: a tal punto traboccava di lacrime, che sgorgavano a fiotti dagli occhi, e di altre espe­rienze spirituali 84 •

Per Isacco lo stato di stupore non è limitato nel tempo, ma può a volte prolungarsi ininterrottamente per molti giorni. Egli lo chiama allora "stupore totale" (temha kulonoya), caratterizza­to dall'assenza di ogni percezione della realtà terrestre:

Quando l'intelletto è mosso dalla grazia alle realtà spirituali, per effetto della dolcezza della conoscenza esso mette fine per lungo tempo alla riflessione e al ricordo e giace tranquillo nello stupore. Non parlo qui del raccoglimento totale che ha luogo al momento della contemplazione di Dio, quando gli slanci dell'intelletto sono trasformati in stupore o piuttosto quando l'intelletto resta privo di moti per un giorno o più. Ciò che nasce improvvisamente da certe contemplazioni e da altre rivelazioni non implica ancora la cessazione di ogni pen-

84 I, App. A III (pp. 392-393) = PR 71 (pp. 492-493).

siero, né che la natura [umana] passi dalla conoscenza alla non conoscenza - secondo i padri superiore alla preceden­te-; ma qui sono la pace e la gioia ad accompagnare l' ebbrez­za e il fervore del cuore. Quanto allo "stupore totale" nella preghiera e all'assenza di ogni percezione delle cose di quag­giù, non lo si incontra tra le conoscenze e le dolcezze della mente, eccetto in questa, che è unica 85 .

!sacco menziona spesso la gioia che si manifesta in chi è colto a tal segno dallo stupore. Questa gioia soprannaturale e divina, nella quale si rivela un sentimento di libertà e di amore per Dio, si accompagna alla liberazione da ogni paura:

Così, nel momento in cui uno, nella meditazione e nella co­noscenza, viene innalzato oltre il livello dell'anima che com­prende le opere buone della vita attiva, quando la sua co­scienza è elevata all'altezza della vita dello spirito per quanto è possibile alla natura umana quaggiù, immediatamente lo stu­pore dinanzi a Dio (telml db-alaha) lo pervade, diventa tran­quillo e calmo rispetto ai pensieri di prima e tutto il suo in­telletto è mosso da slanci spirituali d'amore. Contempora­neamente a questa conoscenza, ogni paura scompare e la sua mente si muove in piena libertà in rapporto ai pensieri e supe­ra ogni timore e dolore spirituale, a immagine di quanto av­verrà nel secolo futuro. E questo perché, attraverso la grazia di Cristo, è stato giudicato degno della forma che appartiene alla vita dell'uomo nuovo, al regno dei cieli, per effetto dei moti che si manifestano nella sua natura. Ogni volta che si li­bera in tal modo della paura e delle sofferenze, egli prova una grande gioia spirituale e in tutte le sue meditazioni non asso­miglia più ai figli di questo secolo, giacché si trova ormai af­francato dai pensieri, in una libertà piena di moti di cono­scenza e di stupore davanti a Dio. Nella misura in cui vive nello stato di conoscenza, che è superiore a quello dell'anima,

" Centurie di conoscenza IV,48.

2 93

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ed è innalzato al di sopra della paura, gli slanci dei suoi pen­sieri risiedono a ogni istante nella gioia in Dio, come è pro­prio dei bambini86 •

Questa gioia in Dio e questo stupore possono diventare un'e­sperienza continua:

Beato l'intelletto che è diventato degno del frutto della rifles­sione continua su Dio, della meditazione e del pensiero sui suoi misteri. In esso si adempie a ogni istante ciò che è stato detto: "Signore, hai messo gioia nel mio cuore" (Sal4,8) 87

.

Tuttavia I sacco sottolinea che nell'esperienza spirituale la gioia si accompagna alla sofferenza. Se la gioia deriva da un sentimen­to d'amore fervido per Dio e dall'esperienza della sua ineffabile vicinanza, d'altra parte la sofferenza si spiega con l'impossibili­tà di permanere sempre in questo stato. Ecco perché !sacco può esclamare: "Signore, rendirni degno di abbeverarmi a questa fon­te!"88. Più l'uomo si avvicina a Dio, più cresce la sua sete ine­stinguibile di comunione con lui. È così che gioia e sofferenza procedono di conserva, come due facce di un'unica esperienza:

In virtù di questo dolce patire che affligge la mente a causa di Dio, e attraverso la tristezza vivificante di cui ha parlato l'A­postolo (cf. 2Cor 7,ro), sorgono nell'intelletto, in conformi­tà alle diverse specie di meditazioni, il pentimento o la gioia a causa di Dio, come pure un cuore intriso di inestinguibile speranza. Sofferenza e gioia che, per l'ardore e la forza che le contraddistinguono, bruciano e consumano il corpo fino a disseccarlo, mentre il sangue affluisce copioso alle vene e do­na calore, giacché la fiamma dei moti dell'intelletto riscalda

86 II,zo,ro-rr. " II,z9,9· 88 II,r8,r6.

294

tutto il corpo con il fuoco della liturgia nascosta. Essa provo­ca a ogni istante una sorprendente trasformazione che procu­ra o gioia o forte dolore all'anima e al corpo; e fa sì che notte e giorno l'uomo vegli in ansia per la propria salvezza, preghi di tutto cuore e porga, con il cuore in fiamme e il pensiero im­moto, fervide suppliche a Dio 89

.

Lo stato di stupore che alcuni asceti attraversano nel corso della loro vita sulla terra è il simbolo della meraviglia nella qua­le vivranno i santi nel secolo a venire: essa è un pregusto del re­gno dei cieli 90

. Per avvalorare il suo pensiero !sacco fa appello a Evagrio:

Evagrio, vaso traboccante di rivelazioni spirituali, lo chiama­va "il centuplo che il Signore ha promesso nell'evangelo" 9\ e di fronte alla grandezza di questo stupore legato alla dolcez­za, a ragione lo definiva "la chiave del regno dei cieli" 92 . Te lo dico come se fossi davanti a Dio in persona: le membra corpo­ree non possono sostenere una simile dolcezza e il cuore è in­capace di contenerla, tanto è intensa. Cosa possiamo dire di più se i santi la chiamano "percezione del regno dei cieli"? Giacché essa è il mistero del futuro stupore davanti a Dio. I giusti troveranno la loro gioia nel regno dei cieli non attraver­so uno sguardo sul mondo materiale e la sua attività, magra­zie alle realtà verso le quali l'intelletto, quasi percorrendo una scala, risale di quaggiù, cioè il regno dei santi dove essi reste­ranno colti dallo stupore. A buon diritto tale percezione vie­ne detta il "mistero del regno dei cieli"; attraverso questi mi­steri, infatti, conosciamo colui che è il vero regno di tutto ciò che esiste, ogniqualvolta l'intelletto è da essi sospinto grazie al dono della forza divina 93 .

89 II,z4,2. 90 Cf. II,8,I·4· 91 Evagrio Pontico, Capitoli gnostici IV,42. 92 Ibid. IV,4o. 93 II,35,I2·13·

2 95

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L'"ebbrezza" d'amore per Dio

Il termine "ebbrezza" (rawwayuta) è semanticamente affine a "stupore". Esprime efficacemente l'eccezionale vigore dei sen­timenti d'amore per Dio, di gioia e di rapimento spirituale, e suggerisce una sorta di estasi mistica. Il tema della "sobria eb­brezza" è centrale nella tradizione mistica cristiana, e si incon­tra già in Origene e Gregorio di Nissa 94 . Nella tradizione siriaca fa la sua apparizione in Efrem e Giovanni di Apamea. Tra gli au­tori del VII secolo è presente in Dadisho' e Simeone di Taibu­teh95. Per Isacco, il concetto di ebbrezza spirituale rappresenta per così dire la sintesi di tutta la sua teologia mistica: lo studio di questo concetto ci permetterà di sviluppare i tratti salienti della mistica del nostro autore.

Nel corpus degli scritti di Isacco il tema dell'ebbrezza è pre­sente sia nella prima che nella seconda parte. Nelle sue Centurie di conoscenza egli ne parla a più riprese. Ecco un esempio:

Finché non si è resi degni della rivelazione dei misteri divini, conosciuti dall'intelletto in perfetta purezza grazie all'azione dello Spirito santo, è a questo fine che la consolazione spiri­tuale è gustata da coloro che camminano sulla via della cono­scenza. Che si tratti di meditare i salmi o di partecipare as­siduamente alla lettura e alla preghiera, o alla riflessione sul loro senso, lo scopo è sempre quello: diventare degni dell'a­zione dello Spirito nel proprio intelletto. Nello stupore par­ziale e nell'ebbrezza del cuore, costoro prendono piacere nel­la gioia che è in Dio e nelle intuizioni che, di quando in quan­do, oscuramente ricevono. Sono quelli che per conoscere Dio

9'1 Per un'analisi sistematica di questo tema si veda H. Lewy, Sobria ebrietas. Unter­suchungen zur Geschichte der antiJ?en Mystik, Topelmann, Giessen I929.

95 Cf. S. Brock, n. 3 a Il,roa5, in CSCO 555, p. 49·

affrontano ogni giorno grandi tentazioni e si preparano lieta­mente alla morte, e la loro mente non si rattrista e la loro quiete non si incrina 96

.

In uno dei capitoli della seconda parte, dedicato allo stato di stupore che comincia al di là dei confini della preghiera, Isacco ricorre alla metafora del vino per descrivere il rapimento spiri­tuale che si impadronisce di chi prega:

Talvolta, quando la preghiera è ancora solo in parte presen­te, l'intelletto, come uno schiavo, è strappato a se stesso verso il cielo e le lacrime, scorrendo spontaneamente come fontane d'acqua, rigano il viso. In questi momenti l'uomo è tranquil­lo, silenzioso, e il suo intimo è pieno di una visione sorpren­dente. Spesso non riesce più assolutamente a pregare. Si trat­ta, in verità, di quella cessazione della preghiera che è al di là della preghiera. Essa consiste nell'essere continuamente col­ti da stupore davanti a tutta la creazione divina, come quelli che hanno perso la testa per aver bevuto troppo vino: è que­sto "il vino che allieta il cuore dell'uomo" (Sal ro4,15) ... Beato chi è entrato da questa porta e ne ha fatto lui stesso esperienza, giacché tutta la potenza dell'inchiostro, delle let­tere e delle frasi è troppo poca cosa per esprimere la dolcezza di un tale mistero 97

Isacco ricorre più spesso alla metafora dell'ebbrezza quando parla dell'amore di Dio che afferra e rapisce. L'amore, per lui, è un dono che l'uomo non può ottenere con i suoi soli sforzi. L'a­scesi, lettura della Scrittura inclusa, favorisce l'acquisizione del­l'amore ma senza un dono dall'alto, il vero amore non può ma­nifestarsi n~ll'uomo. È impossibile conoscere l'amore a partire dai libri: lo si può solamente gustare o bere. Scrive !sacco:

Centurie di conoscenza II,r4. 97 IIa5,r.6.

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L'amore di Dio non si mette in movimento senza uno ne sia consapevole, giacché non può scaturire dalla sola cono­scenza delle Scritture, così come nessuno può amare Dio solo perd1é si sforza di farlo ... E nemmeno si può amare Dio a partire dalla legge o dai comandamenti, che è stato lui a darci e non senza rapporto con l'amore, la incute timore, non amore. E finché uno non avrà ricevuto Spiri­to della rivelazione e i moti dell'anima non si saranno accom­pagnati a quella sapienza che sta più in alto del mondo, fin­ché uno non avrà conosciuto la di Dio attraverso un'esperienza personale, non potrà accostarsi al gusto glorio­so dell'amore. Chi non ha bevuto (eshti) vino non diventa eb­bro a forza dì disquisire sul vino, e chi non è stato giudicato degno (esbtwi) di ricevere in sé la conoscenza di Dio non può inebriarsi del suo amore 98

Il simbolismo del vino e dell'ebbrezza a Isacco l'oppor-tunità di rappresentare diversi della vita mistica che sarebbe stato difficile descrivere affidandosi solo alle parole. La sete dell'unione con Dio, per esempio, così caratteristica dei momenti di derelizione, viene espressa attraverso la sete di be­vande forti provata dal bevitore quando l'astinenza fa sentire i suoi effetti:

Con un lodevole impulso il cuore si slancia verso Dio e grida: "Il mio cuore ha sete del Dio vivente! Quando verrò e potrò comparire dinanzi al volto di Dio?" (cf. Sal42,3). Solo chi ha bevuto di questo vino e ne è stato privato sa in che mise­rancio stato di abbandono si trova, e di che cosa è stato priva­to a causa della sua u~5u,5~, ... ~u

Parlando dell'indebolimento che accompagna lo stupore, Isacco lo paragona all'abbattimento prodotto dall'ubriachezza:

in siriaco. III·II2); PR r6 (p. r3r).

Grazie a questo potente e divino desiderio ... l'uomo comin­cia a essere avviato all'amore di Dio e, tutt'a un tratto, entra in uno stato di ebbrezza, come se avesse bevuto vino. Le sua membra diventano fiacche, n pensiero è colto da stupore, il cuore, come uno schiavo, è condotto a Dio. Così come ho detto, assomiglia a un ubriaco 100.

Il fatto che l'ebbrezza derivante menticare i pensieri e i dolori del mondo è all'identi-co fenomeno che accompagna l'intossicazione alcolica:

Come chi beve del vino in un giorno dolore dimentica i propri affanni, così l'ebbro d'amore di Dio in questo mon­do, d1e è una casa di lacrime, dimentica tutte le sue pene e il suo dolore, reso alle passioni peccaminose dall'eb­brezza101.

Nella vita mistica lo stato spirituale dell'uomo cambia ed egli diventa disponibile a fino a poco prima inaccessibili. Invece di una dolorosa egli prova la gioia in Dio, grazie alla quale acquista un altro sguardo sul mondo e una di­versa percezione della realtà. Tale cambiamento del suo stato spi­rituale è anch'esso simboleggiato dalla percezione alterata della realtà nell'ubriaco:

Le buone azioni e l'umiltà fanno dell'uomo un Dio in terra. La e la misericordia lo avvicinano rapidamente alla pu-rezza. impossibile che nella stessa persona convivano fer-vore e contnzwne cuore, proprio come un ubriaco è inca­pace di controllare i suoi pensieri. Infatti, dal momento in cui questo è donato all'anima, la contrizione e le lacrime le sono Il vino è donato per l'allegrezza e il fervore per

too I.49 (p. 101 I,74 (p.

Tour:illle 40 (p. 234); PR 47 (pp. 337-338). PR 78 (p. 543).

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la gioia spirituale. Il vino riscalda il cuore e la parola di Dio riscalda l'intelletto. Coloro che ardono di sono trasci­nati dalla meditazione di quello che sperano, e preparano il loro pensiero al secolo a venire. Infatti, come ubriachi di vino sono soggetti a ogni sorta di allucinazioni, così quanti sono inebriati e riscaldati da questa speranza ignorano ormai

dolore e tutto ciò che riguarda questo mondo 102•

Trattando dell'impassibilità o assenza di passioni, Isacco ri­corre di nuovo all'immagine dell'ebbrezza: "Impassibilità non vuoi dire non provare le passioni, ma piuttosto non accoglierle, grazie all'ebbrezza dell'intelletto prodotta dalla gloria dell'ani-ma"103. stesso vocabolario è adottato per lo stato in cui la si arresta perché una gioia non terrena ha preso possesso del cuore: "Vuoi dunque ornare il tuo corpo ... Sta scritto: 'Di' cinque parole con la tua intelligenza' 1Cor 14,19), ma quando sei in preda all'ebbrezza" 104 • L'espe-rienza della spirituale che accompagna lo stato di stupore è descritta passo seguente:

Quando dunque nel pensiero di un uomo comincia a svilup­parsi la speranza, e senza motivo apparente e senza sosta la gioia improvvisa di cui parliamo germoglia nel suo cuore, egli non conosce più né la fatica, né il peso dell' acedia, né la pau­ra della morte. Ti assicuro, fratello mio, che quest'uomo è ar­rivato dov'è arrivato perché era completamente ebbro, al pun­to che volendo glorificare Dio e confessare la propria gli si la lingua e non riusciva a benedire Dio, ma bal­bettava come un bimbo e parlava con Dio come un bambino parla a suo Questa è una gioia che inebria completa­mente; di una gioia tale noi diciamo che rende il cuore

102 I,6 (p. 6o) = Touraille (p. 305); PR 6 (p. 95). 10

' Centurie di conoscenza 10

' Centurie di conoscenza

)00

do e che è la porta d'ingresso rivelazioni spirituali del-l'intelletto, quelle che si vedono nella preghieralo5.

L'immagine del vino offre a !sacco l'opportunità di precisare cosa intende quando parla della dolcezza e delle delizie del cielo proprie dell'esperienza mistica:

Una gioia si infiamma improvvisa nel tuo cuore, cosl inten­sa da costringere la tua lingua a tacere, e una dolcezza ne sca­turisce incessantemente e ti travolge, senza che tu nemmeno te ne accorga? A tratti una dolcezza e una gioia che nessuna lingua mortale potrebbe esprimere impercettibil-mente in tutte le tue membra? .. . una simile dolcez-za si diffonde in tutto il corpo e l'uomo, allora egli pensa che il regno dei cieli non sia diverso da questo106 .

Il senso di spirituale che si produce esperien-ze mistiche e quello della vicinanza del fuoco divino che invade l'uomo sua totalità sono ancora una volta descritti attraver­so la similitudine dell'ebbrezza:

Domanda: Perché la speranza è così dolce, la sua condotta e le fatiche che comporta così leggere, la sua azione sull'anima co­sì rapida? Risposta: essa avvia nell'anima un desiderio naturale,

da bere quel calice e lo inebria attraverso bel-lezza. Perché le persone che fanno questa esperienza non sen­tono la difficoltà, diventano insensibili ai tormenti e per tutto il resto del loro viaggio pensano di camminare sull'aria, e che il loro non sia un incedere umano ... La spe­ranza le fa ardere come fuoco, ed esse non sanno co:t1ce:aen tregua alcuna nella corsa impetuosa e incessante

105 Centurie di conoscet/Za I,8o. WG 1,68 (p. 333) = Touraille 8 (p. 98); PR 70 (p. 486).

)OI

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con gioia. Si realizza in esse ciò che è stato detto dal profeta Geremia: "Mi dicevo: non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome! Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa" (Ger 20,9). È così che il ricordo di Dio opera nel cuore inebriandolo con la speranza delle sue pro­messe107.

Il tema della "follia in Dio" è strettamente legato a quello del­l'ebbrezza ed è anch'esso caratteristico di molti spirituali cri::

in san Paolo che contrappone la "sapienza del mondo" alla "follia dell'evangelo" (cf. rCor r,r8-23), e la follia di una vita alla gloria del mondo. I mistici parlano più tre•mJ:f'ntf'tnente di follia quando vogliono sottolineare il caratte­re paradossale, inesplicabile e irrazionale dell'esperienza della comunione con Dio.

È così che assimila lo stato di ebbrezza alla follia, a causa dell'amore di Dio è tipico dello stupore:

L'amore è per natura e quando infiamma qualcuno ol-tre rende folle la sua anima. Il cuore che prova un tale amore non può né contenerlo né sostenerlo ... Già gli aposto­li e i martiri ne furono inebriati. I primi poterono così spar­pagliarsi per tutto il mondo, soffrendo e patendo umiliazioni; i secondi versarono sangue membra amputate come se fosse acqua, ma tra i più atroci tormenti non si persero d'animo, li sopportarono coraggiosamente e, divenuti sapienti, furono folli (cf. ICor 3,r8). Altri vagarono "per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra" (Eb rr,38), e in mezzo al disordine furono assai ordi-nati. Possa Dio a noi una follia del generei08 !

Questa "follia" mistica è stata vissuta da numerosi santi:

107 I,7I (pp. 346•347) 108 1,35 (pp. 158·159)

302

Dopo averne fatto esperienza i santi si dimenticarono di se stessi e, resi folli, si precipitarono al tuo inseguimento; nella loro erano continuamente mescolati a te ... Coloro che hanno a questa dolce fonte perché avevano sete del tuo amore, tu li hai resi ebbri e li hai colpiti con lo stupore davanti ai tuoi misteri109.

Ma non furono solo i santi del passato a diventare "folli" a forza di ubriacarsi spiritualmente, giacché Isacco ne parla come di un'esperienza follia è quell'amore di Dio e del prossimo che non conosce frontiere e supera tutti i limiti del ra­gionevole. Il gusto dell'amore è paragonabile a quello del miele che è, come il vino, simbolo di dolcezza:

Chi ha raggiunto l'amore divino non desidera più restare in questo mondo, perché l'amore scaccia la paura (cf. rGv 4,r8). Anche a me, miei amati, è volta di ca­dere nella follia. Non posso tacere diventato folle per il bene dei miei giacché l'amore vero non può perseverare mistero senza quelli che ama. Sovente, mentre scrivevo queste cose, le dita mi si inceppavano sulla carta e non riuscivo a sostenere la dolcezza che si rinnovava in cuore e riduceva i miei sensi al si­lenzio ... La gioia in Dio è più grande di questa vita presente e chi l'ha trovata non solo non bada più alla ma non getta più neanche uno sguardo alla propria vita e non conserva nessun altro sentimento, se questa gioia è veramente reale. L'amore è più dolce della vita, e la conoscenza di Dio da cui nasce l'amore è più dolce del miele e del favo. Come descrivere questa dolcezza dell'amore, più dolce della vita stessa? L'amore non ha paura di attraversare mille morti per i suoi amici 110 .

109 Centurie di conoscenza 1,88. 110 1,62 (pp. 297-298) = Touraille 38 (pp. 227-228); PR 62 (pp. 430-432).

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notare come in Isacco il simbolismo del vino e ebbn~zz;a rivestano a volte persino un carattere eucaristico.

L'amore vi appare allora come nutrimento e bevanda, come pa­ne e vino con i gli amanti di Dio comunicano a ogni istan­te. Il simbolismo eucaristico è tipico degli autori della tradizio­ne siriaca, a cominciare da Efrem, e Isacco lo sviluppa ampia­mente:

ha trovato l'amore si comunica con il pane del cielo e vie­ne fortificato senza fatica né dolore. Il pane del cielo è Cri­sto disceso dal cielo che ha dato la vita per il mondo (cf. Gv 6,5r), è il nutrimento degli angelì. Chi ha trovato l'amore assapora ogni giorno e ogni ora Crìsto e diventa immortale. "Chi mangia questo pane vivrà in eterno" (Gv 6,58). Beato colui che assaggia il pane dell'amore che è Gesù! Chi l'amore mangia Cristo che è Dio al di sopra di tutto, come at­testa Giovanni dicendo che "Dio è amore" (rGv 4,8) ... L'a­more è il regno nel quale il Signore ha misticamente promesso ai suoi discepoli che lo mangeranno. Giacché cosa ~1~HH1'-" "mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno" se non che noi mangeremo l'amore? L'amore basta a nutrire al posto del cibo e delle bevande. È questo "il vino che allieta il cuore dell'uomo" (Sal ro4,15). Beato colui che beve di que­sto vino! Ne hanno bevuto i dissoluti e sono stati peccatori, e hanno abbandonato la strada sulla si erano impantanati 111 ; gli ubriaconi ne hanno bevuto e sono diventati amanti del digiuno; i ricchi ne hanno bevuto e hanno deside­rato la povertà; i poveri ne hanno bevuto e sono diventatì ric­chi di speranza; i malati ne hanno bevuto e sono stati guariti; gli ignoranti ne hanno bevuto e sono diventati

m Variante: "sono diventati casti". m I,46 (p. 224) = Touraille 72 (pp. 366-317); PR 5r (pp.

Fede e sapere

Resta da esaminare la gnoseologia di Isacco, il suo inse-gnamento sui diversi gradi del sapere e sul rapporto tra cono­scenza e fede 113

. Questo insegnamento il fondamento teorico della sua teologia mistica e pertanto richiede di essere studiato nell'ambito complessivo della sua dottrina mistica.

Per Isacco, fede e sapere sono due strade in direzioni op-poste. L'acquisizione della fede presuppone un silenzio del sape­re, e l'aumento del sapere contribuisce della fede:

L'anima in cammino sui sentieri della fede compie sovente ge di nuovo alle tecniche

vita ascetica e sulla via Ma se essa sì vol-

ta nella sua fede e privata sua forza spirituale ... Perché l'anima che si è affidata a Dio nella fede una volta per tutte e che, per lunga sa riconoscere il suo agire, non pensa più a se stessa, in preda allo stupore e al si-lenzio non è piì1 capace di rivolgersi alle tecniche del sapere ... Il sapere si alla In tutto ciò che la riguarda, la fede distrugge del sapere, ma certamente non quelle della conoscenza La legge del sapere consiste nel rifiutarsi di agire senza un'indagine e un esame volto ad ac­certare se quello che si pensa o si vuole è possibile ... La fede, al contrario, un solo modo di pensare, puro e sempli-ce e lontano artificio o ricerca tecnica. Osserva fino a che punto i si contrappongono! La fede risiede in un pen-siero a quello dei bambini e in un cuore semplice ... Il

trappole ai cuori e ai pensieri semplici e vi sì o p­sì colloca all'interno dei confini della natura

muove i propri passi al di là della natura 114 .

113 Sulla teoria della conoscenza di l sacco si veda anche J, Popovié, "H e gnoseolo-ghla tou haghlou Isaàk tou in Theologhia 38 (I967), pp. 206-225, 386-407.

114 1,52 (pp. 2)}-254) 62 (pp. 329-330); PR )I (pp. 360-362).

305

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Per Isacco la fede è dotata di una potenza creatrice illimitata, libera com'è dall'impaccio di dover sottostare alle leggi della na­tura, contrariamente al sapere che non può agire al di fuori di esse. Ecco perché il sapere serve la natura con timore, mentre la fede travalica audacemente le sue leggi:

Il sapere è accompagnato dal timore, la fede dalla speranza. Quanto più si seguono le tecniche del sapere, tanto più si ca­de in preda al timore ... ma chi cammina secondo la fede di­venta ben presto libero e indipendente e, come figlio di Dio, si serve di tutto a suo da padrone. L'amante della fede, come Dio stesso, ha tutta la natura creata a disposizio­ne, giacché la fede gli dà il potere di creare nuove creature, come può fare Dio ... Sovente può anche far uscire le cose dal nulla, mentre il sapere non produce niente se non ha materia a disposizione 115 •

È in questo senso che la fede ammette la possibilità del mi­racolo, mentre il sapere lo esclude in quanto estraneo alle leg­gi della natura. Il carattere sovrannaturale e "miracoloso" del­la fede è confermato dall'esperienza dei martiri e degli asceti cristiani:

È in virtù della fede che molti si sono gettati nelle fiamme e hanno potuto farsi schermo all'ustione del fuoco, attraversan­dolo indenni, oppure hanno passeggiato sulla superficie del mare come sulla terra ferma. Tutto ciò va al di là della natura e contraddice le tecniche sapere ... Queste ultime hanno dominato il mondo più o meno per cinquemila anni 116 e nessu­no è mai riuscito ad alzare il capo da terra per accorgersi della potenza del suo creatore, prima che la nostra fede ci illumi-

115 I,52 (p. 254) = Touraille 62 (pp. 330-33r); PR 51 116 Isacco calcola il tempo a partire "dalla creazione

tudine della chiesa antica. , secondo la consue-

nasse liberandoci dalle tenebre dell'attività terrestre ... Non c'è sapere che non si riveli insufficiente, per vasto che sia, mentre le ricchezze della né cielo né terra possono con­tenerle 117 .

Se la fede è "più elevata del sapere" 118, I sacco tuttavia conce­de che non si escludano a vicenda. Al contrario, la conoscenza e il sapere conducono alla fede, e la fede è il perfezionamento del­la conoscenza:

La conoscenza riceve la sua dalla fede e acquista la forza di salire più in alto, di provare ciò che sta al di là di ogni sentimento, di contemplare uno splendore che l'intelligenza e la conoscenza di una creatura non possono raggiungere. La conoscenza è un cammino attraverso il quale l'uomo sale alle altezze della fede e una volta che le ha raggiunte non ha più bisogno del sapere119

Ad onta dell'accento posto sulla qualità superiore della fede in rapporto al sapere, Isacco non può essere tacciato di anti-in­tellettualismo: egli non è un nemico della conoscenza razionale, né propugna una fede e meramente istintiva. Egli conside­ra l'ascesa a Dio come un cammino che va non solo dal sapere al-la fede, ma dalla fede alla conoscenza. I concetti di (haymanuta) e di conoscenza (ida'ta) hanno molte connotazioni a un primo e a un secondo livello semantico.

Quando parla della superiorità della rispetto alla cono-scenza, !sacco sottolinea che la fede non solo comprende la pro­fessione esteriore di certi dogmi, ma implica l'esperienza miste­riosa dell'incontro con la realtà divina:

117

1!8

119

(p. 255) Touraille62 (p. 33r); PR r (p. 363). (p. 256) = Touraille 62 (p. 333); PR r (p. 366). (p. 257) = Touraille 62 (p. 334); PR I (p. 367).

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Quando diciamo "fede" non intendiamo solo quella per cui l'uomo crede alle diverse persone adorabili dell'Essenza divi­na, alle sue proprietà e alla sua meravigliosa economia di sal­vezza per l'umanità grazie alla natura umana da essa assunta, anche se questa forma della fede è già molto elevata. Ma noi chiamiamo fede quella che risplende nell'anima per mezzo della grazia e fortifica il cuore attraverso la testimonianza del­l'intelletto. Questa fede è disvelata non già da un maggiore ascolto delle orecchie, ma grazie agli occhi spirituali che con­templano nell'anima i misteri nascosti e la ricchezza invisibi­le di Dio che, dissimulata agli occhi dei figli della carne, è ri­velata dallo Spirito a coloro che si nutrono alla mensa di Cri­sto ... L'anima si slancia in avanti, sprezzante di ogni pericolo in virtù della speranza che ripone in Dio e, sulle ali della fe­de, si innalza al di sopra della creazione visibile. Essa diventa come ebbra per lo stupore generato dall'assidua meditazione su Dio e, grazie a una visione semplice e non composita e a intuizioni invisibili sulla natura divina, l'intelletto si abitua a una meditazione attenta di questa natura nascosta 120.

In questo modo la fede è una conoscenza sperimentale, un contatto mistico con la realtà divina espresso in termini di "ebbrezza", "stupore", "visione", "intuizione" e "rivelazione". Una simile fede, "piena di sicurezza di sé" perché "viene dalla grazia di Dio" 12

\ è più alta di qualsiasi presa di coscienza razio­nale e, in quanto tale, conduce l'uomo oltre i suoi limiti. In que­sto contesto i termini di "conoscenza" o "sapere" significano la "saggezza del secolo presente" che è "stoltezza davanti a Dio" (rCor 3,19), "conoscenza terrestre" contrapposta alla fede.

La "conoscenza terrestre" rappresenta il primo dei tre tipi di conoscenza descritti da !sacco. Al servizio del progresso della civiltà, della scienza e delle arti, essa è una conoscenza senza

120 I,52 (pp. 262-263) = Touraille 65 (pp. 342-343); PR 5; (pp. 376·377). 121 Centurie di conoscenza !,64.

Dio, al centro della quale sta un uomo pieno d'orgoglio che si fi­gura signore dell'universo:

Quando la conoscenza si accompagna alla cupidigia della car­ne, essa verte sui temi seguenti: ricchezza, vanagloria, onore, rilassamento corporeo, attenzione a tutto ciò che permette di governare il mondo o produce invenzioni nuove nel campo delle arti e delle scienze ... È qui che si annida la conoscen­za contraria alla fede. Viene anche chiamata "conoscenza nu­da" perché esclude qualsiasi interesse per Dio e sta sotto l'im­pero del corpo. Essa introduce nell'intelletto una debolezza irrazionale e tutti i suoi interessi si appuntano unicamente su questo mondo presente ... Essa non tiene alcun conto del­la provvidenza divina che governa il mondo ... ma attribui­sce alle proprie abilità quanto di buono c'è nell'uomo ... È al­l'interno di questa conoscenza che è piantato l'albero della conoscenza del bene e del male, che sradica l'amore ... Essa produce la presunzione e l'orgoglio, perché attribuisce a se stessa tutto quello che c'è di buono e non tiene alcun conto di Dio122

.

Accanto a questa "conoscenza nuda" c'è la gnosi o cono­scenza cristiana. Essa ha poco a che vedere con l'erudizione se­colare, perché non proviene dai libri ma dalla pratica e dall' espe­nenza:

Una cosa è l'erudizione attinta dai libri e acquisita con lo stu­dio, altra cosa la conoscenza della verità di ciò che i libri con­tengono. La prima è consolidata da studi prolungati e dalla fatica di seguire un insegnamento; la seconda si innalza [nel­l' anima] attraverso la pratica dei comandamenti di Dio e per mezzo di una coscienza limpida a lui rivolta 123 .

122 I,52 (pp. 258-259) =Touraille 63 (pp. 336·337); PR 51 (pp. 369-371). 123 Centurie di conoscenza III,99·

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Contrariamente alla conoscenza profana che è frutto di erudi­zione, la conoscenza spirituale ha la sua fonte primaria in Dio:

Molti altri si sono fatti istruire da brevi sentenze messe per iscritto nei libri di santi uomini che hanno [un po'] gonfiato le parole e approfondito i loro discorsi su questo tema, pen­sando così di possedere realmente la condotta spirituale. Non hanno pensato né compreso che non è per mezzo di abili paro­le né dell'esercizio di un insegnamento qualsiasi che quest'at­tività può essere conosciuta e appresa dall'uomo. I misteri di Dio non si insegnano con opera d'inchiostro e con parole, ma sono da lui instillati nei cuori grazie a sorprendenti intuizioni sulla sua maestà, scaturite dal profondo di un'intelligenza pu­rificata ... E se anche si trattasse di uomini dottissimi, sottili e svelti nel comprendere, non potrebbero conoscere niente senza aver ricevuto una rivelazione dallo Spirito 124

.

La vera conoscenza spirituale è caratterizzata dal desiderio di conoscere Dio e di avvicinarsi a lui obbedendo ai comandamenti e percorrendo le varie vie dell'ascesi. Questo è il secondo grado della conoscenza, caratteristico dell'uomo di fede che tuttavia non ha ancora raggiunto il culmine della sua scalata verso Dio. Chi vi si trova pratica "il digiuno, la preghiera, la misericordia, la lettura delle divine Scritture e svariate buone azioni", e com­batte le passioni. La conoscenza spirituale fortifica la fede pur non essendo ancora il grado più elevato di conoscenza: "Essa mostra le vie del cuore che ci conducono alla fede, lungo le qua­li facciamo provviste per il nostro cammino verso il secolo futu­ro. Tuttavia, si tratta ancora di una conoscenza corporea e com­posita" 125 .

Il grado più elevato della conoscenza è quello che porta al di là sia della conoscenza razionale, sia dei limiti dell'ascesi esteriore.

124 Centurie di co11osce11za IV, I 6- I 7. 125 I,52 (p. z6o) ~ Touraille 64 (p. 339); PR 5I (pp. 372-373).

JIO

Si tratta di una conoscenza che sarà per così dire inghiottita dal­l'esperienza mistica della fede, per poter risorgere in un secondo tempo dotata di una qualità nuova:

Quando la conoscenza viene elevata al di sopra delle cose ter­rene, quando i suoi pensieri cominciano a sperimentare le realtà interiori celate agli occhi ed essa si protende verso l'al­to e segue la fede nel suo interesse per il secolo nuovo, nel suo desiderio della beatitudine promessa e nell'esplorazione dei misteri nascosti, allora la fede inghiottisce questa conoscen­za, la riconverte e la rigenera per farla diventare interamente spirito. Essa può allora, quasi alata, prendere il volo nel regno degli esseri incorporei, toccare le profondità di un mare inef­fabile ponendo di fronte alla mente l'azione meravigliosa di Dio che governa le creature spirituali e corporee, ed esplorare i misteri spirituali che essa penetra con intelligenza semplice e sottile. I sensi interiori sono poi avviati a un'attività spiri­tuale conforme a quella che sarà la condizione della vita im­mortale e incorruttibile. Giacché fin d'ora una simile fede riceve, nel mistero, la resurrezione spirituale, testimonianza verace del generale rinnovamento 126

Il terzo grado della conoscenza è dunque costituito dallo stato spirituale superiore che nasce dalla fede, la quale è la via che porta a tale grado di conoscenza. La vera conoscenza acquisita con l'aiuto della fede è l'opposto della "conoscenza terrena": questa allontana da Dio, quella rende più vicini a Dio; l'una è razionale, l'altra mistica; l'una intrisa d'orgoglio, l'altra insepa­rabile dall'umiltà:

La vera conoscenza rende perfetta nell'umiltà l'anima di colo­ro che l'hanno acquisita, come avvenne a Mosè, David, Isaia,

126 I,52 (p. z6I) ~ Touraille 65 (p. 340); PR 5I (pp. 373-374).

JII

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Pietro, Paolo e gli altri santi sono stati resi degni della co­noscenza per quanto a natura umana è consentito. E analoga­mente al caso di tali santi, anche la vera conoscenza di costo­ro è sempre sommersa da contemplazioni straordinarie, rive­lazioni divine, visioni spirituali elevate e misteri ineffabìli, nonostante essi si considerino cenere e polvere127 .

Da notare come i termini "contemplazione", "rivelazione" e "visione" si applichino qui alla conoscenza, proprio come veni­vano applicati alla un passo che abbiamo citato all'inizio del capitolo.

Nella patristica la ripartizione della conoscenza è tra-dizionale: Isacco si all'insegnamento dei padri circa le co-noscenze naturali, e sovrannaturalil28 . Secondo ta-le classificazione, è la conoscenza degli atei, che allontana da Dio; la conoscenza naturale è quella religiosa che conduce a Dio e la conoscenza sovrannaturale è la conoscenza mistica che unisce a Dio:

della conoscenza raffredda l'anima nei con­fronti opere che portano a Dio; la seconda la infiamma e la incita verso dò che appartiene alla fede; la teF;;:a consiste nel dalla fatica ed è l'immagine di ciò che verfà, attra­

applicazione dell'intelletto che trova la pro­nei misteri futuri 129

.

Isacco non segue sempre rigorosamente la classifica-zione tradizionale. chiama talvolta conoscenza naturale tut­ta la conoscenza del mondo materiale, conoscenza spirituale la conoscenza di Dio e conoscenza sovrannaturale l'unione con lui.

Touraille 63 (pp. 337-338); PR 5r (p. 37r). 26r) Touraille65 (p. 34rl; PR 5r (p. 374), Cf. inoltre, ad esempio, A di quelli cbe credono di w ere giustificati per !e opere 90.

65 (p. 34I); PR 5I (p. 375).

3I2

Quest'ultima, in definitiva, oltrepassa il concetto di "conoscen­e si potrebbe anche chiamare "ignoranza" apofatica o

vra-conoscenza":

La conoscenza che si occupa delle cose visibili e il cui oggetto è ricevuto attraverso i sensi è detta naturale. La conoscenza che risiede nel campo spirituale e raggiunge con le sue gli oggetti incorporei è detta spirituale ... Ma la conoscenza che si spinge fino alle cose di Dio sì chiama sovrannaturale o piuttosto ignoranza o anche conoscenza al di là della cono­scenza130.

Questi ultimi due termini sono senza dubbio alla teo-logia di Dionigi l'Areopagita, che chiama la conoscenza mistica "n es d enza" o ignoranza 131 .

!sacco talvolta classifica la conoscenza in due categorie, di­stinguendo tra "conoscenza naturale" e "conoscenza spiritua-

: ~"Esiste una conoscenza che precede la e un'altra che nasce dalla fede. Quella che precede la è la conoscenza na­turale, quella che nasce dalla fede è spirituale" 132 • conoscenza naturale è razionale, una "conoscenza dal basso"; la conoscenza spirituale è "sovra-razionale", una "conoscenza dall'alto". Non bisogna credere, sottolinea Isacco, che l'unione con Dio - che è la vera conoscenza - sia accessibile ai ragionamenti discorsivi dei filosofi:

Molte persone semplici pensano il fine dei ragionamenti dei filosofi sia un certo pregusto di comunione che contiene in sé tutti gli splendori dei misteri divini. Il beato vescovo Basilio, in una lettera al [Gregorio dì Nissa],

Ho I,;n (p. 264) = Touraille 66 (p. m Cf. Pseudo-Dionigi l'Areopagita, 132 !,47 (p. 226) = Touraille r8 (p. r24);

r e passim.

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distingue tra la percezione dei filosofi e quella che ricevono i santi circa le essenze create, quest'ultima essendo la scala ra­zionale di cui parla il beato Evagrio 133

, e che è al di là di qual­siasi visione ordinaria: "C'è una comunione -egli dice- che apre la porta che ci permette di contemplare la conoscenza delle essenze create ma non i misteri spirituali" 134

. Questa co­noscenza dei filosofi egli la chiama una "conoscenza dal bas­so", accessibile anche a coloro che giacciono sotto il dominio delle passioni. Per contro, la percezione che ricevono i santi nel loro intelletto, per mezzo della grazia, è da lui chiamata "conoscenza dall'alto dei misteri spirituali". Chi ne è stato reso degno rimane giorno e notte in questo stato come chi, abbandonato il corpo, si trovasse già nel mondo dei giusti. Si tratta di quella dolcezza divina che il meraviglioso Ammonas, uomo dal cuore puro, ha sostenuto essere "più dolce del favo o del miele" 135 , ma ben pochi fra i solitari e gli asceti l'hanno conosciuta. È l'ingresso nella divina quiete di cui hanno par­lato i padri 136 , e il passaggio dal campo delle passioni all'illu­minazione e agli slanci della libertà 137

.

In quest'ultimo passo non si può fare a meno di notare le mol­te citazioni di testi patristici cui !sacco attinge per avvalorare le sue affermazioni. In un altro testo, a proposito dei due tipi di conoscenza, egli ricorre a Marco l'Eremita presso il quale il te­ma della conoscenza è studiato nel contesto delle pratiche asce­tiche:

Esiste una conoscenza la cui forza dipende dalle opere buo­ne ma ce n'è un'altra costituita dalla meditazione dell'intel­let~o su Dio, come ha detto il beato Marco l'Asceta: "C'è una

133 Evagrio Pontico, Capitoli gnostici IV,43. . . . . . 134 Basilio Lettera 2 (che Isacco sostiene essere indmzzata a Gregono d1 N1ssa). m Ammo;1as, Lettere 2 (sul tema della forza divina che conduce l'uomo alla quiete). 136 Ibid. U7 II,35·7-II.

conoscenza il cui oggetto è l'attività, un'altra che ha per og­getto la verità. Come il sole è superiore alla luna, così la se­conda è più importante della prima" 138 . Egli chiama "cono­scenza attiva" quella che nasce dal servizio e dalla lotta con­tro le passioni, conformemente all'insegnamento dei coman­damenti: l'uomo diventa sapiente attraverso il rapporto con i comandamenti, traendo profitto dalla meditazione su di essi. Ma la conoscenza della verità è quella che innalza l'intelletto al di là di tutto ed è illuminata dall'assidua meditazione su Dio, giacché solo in virtù della speranza l'intelletto è innalza­to fino a Dio 139

.

La prima specie di conoscenza corrisponde a quella che la tra­dizione ascetica di lingua greca e soprattutto Evagrio chiama "vita attiva" (praktiké), mentre la seconda è chiamata "vita con­templativa" (theoria). !sacco adotta questa classica distinzione in un passo delle Centurie di conoscenza 140 . La seconda specie di conoscenza, identificata con la "contemplazione", non è altro che l'ascesa mistica dell'intelletto verso Dio.

Per !sacco la vera conoscenza consiste nel fare esperienza di Dio, nell'incontrarlo personalmente. È un'esperienza che per­mette di toccare con mano la realtà divina. Essa genera l'amore di Dio ed è fonte di estrema dolcezza:

L'amore nasce dalla conoscenza, e la conoscenza nasce dalla salute spirituale ... Domanda: Che cos'è la conoscenza? Risposta: La percezione della vita immortale. Domanda: Che cos'è questa vita immortale? Risposta: L'esperienza di Dio. Giacché l'amore viene dalla conoscenza e la conoscenza di Dio è la regina di tutti i desi-

138 Cf. Marco l'Eremita, A proposito di quelli cbe credono di essere giustificati per le opere I44·

"'II,ro,r4-r6. 14° Cf. Centurie di conoscenza I,56.

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cleri; al cuore di colui che l'ha ricevuta ogni altra dolcezza della terra sembra insignificante. Nulla infatti è paragonabile alla dolcezza della conoscenza di Dio 141 .

L'uomo non può ricevere la vera conoscenza prima di aver raggiunto la purezza dell'intelletto, la semplicità di un bambi­no e la santità. È indispensabile rinunciare alla conoscenza na­turale per acquisire quella spirituale:

Non solo è impossibile per una conoscenza puramente umana ricevere la conoscenza spirituale, ma non può nemmeno pro­varia attraverso i sensi, né rendersene degna in virtù di qual­che sia pur generoso sforzo. Chi desidera accostarsi a questa conoscenza dello Spirito non potrà avvicinarvisi nemmeno di un passo finché non avrà rinunciato alla conoscenza pura­mente umana e finché i suoi pensieri non saranno diventati come quelli di un bambino. La conoscenza dello Spirito è semplice e non illumina le concezioni umane. Finché l'intel­letto non si è liberato da un gran numero di pensieri e non è entrato nella semplicità unificata della purezza, non può pro­vare la conoscenza spirituale il cui oggetto è percepire la dol­cezza della vita del secolo a venire ... Nessuno può accogliere questa conoscenza spirituale a meno di convertirsi e diventa­re come un bambino (cf. Mt r8,3). Infatti fin da questa vita egli già sperimenta il regno dei cieli. Quando dicono "regno", le Scritture intendono la contemplazione spirituale 142.

I vari gradi della conoscenza spirituale corrispondono alle di­verse tappe dello sviluppo mistico. !sacco elenca cinque tappe nella crescita spirituale, ciascuna delle quali possiede un par­ticolare accento mistico e che, tutte insieme, costituiscono "il vertice unico della conoscenza spirituale":

141 I,62 (p. 298) = Touraille 38 (p. 228); PR 62 (p. 43r). 142 I,72 (pp. 352-353) = Touraille r9 (pp. r3o-r3r); PR 77 (pp. 526-528).

Le prime delizie trovate nella rivelazione spirituale fatta al­l'intelletto si incontrano nella contemplazione della sollecitu­dine di Dio, della quale l'intelletto sente la potenza e l'effica­cia negli avvenimenti sensibili. Vengono poi le delizie che si trovano nella contemplazione di quella stessa sollecitudine in favore degli esseri [viventi]. In terzo luogo, quelle derivanti dalla contemplazione della sapienza di Dio negli esseri. L'in­comprensibilità della sua economia di salvezza è tanto mag­giore quanto più i suoi giudizi sono diseguali. A un primo sguardo, queste delizie si producono soprattutto a partire da mezzi umani: è la prima fede dell'intelletto. A un secondo sguardo, si basano sulla fiducia nel creatore e sono da essa rafforzate. Al terzo, le delizie sono per così dire soggiogate dal suo amore, come un bimbo quando vede il padre. Nel quarto caso, sono nascoste nella nube oscura della sua "multi­forme sapienza" (Ef 3,ro). Al quinto impulso, le delizie sono accompagnate dalla stupefazione, in una coscienza che non comprende, sorda a ogni spiegazione ... Questi cinque cam­biamenti, che si producono quando la comprensione aumen­ta, sono contenuti sotto il vertice unico della conoscenza spi­rituale143.

La conoscenza spirituale non si può acquisire con sforzi uma­ni: è un dono dall'alto. Non è conseguenza immediata di una vi­ta religiosa e non deriva dalle opere buone, ma è una ricompen­sa accordata all'eccellenza della vita. Questa conoscenza condu­ce alcuni fino al grado più elevato della fede che ormai non è più "fede per sentito dire" (cf. Rm Io,q) bensl "fondamento del­le cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (Eb I I, I):

Questa conoscenza spirituale è concessa in dono all'esercizio del timore di Dio. Se lo esaminerai attentamente ti accorgerai

"' Centurie di conoscenza II, 73.75.

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che esso è pentimento. E la conoscenza spirituale che lo se­gue è identica a quanto abbiamo detto a proposito del battesi­mo, cioè che "quello che abbiamo assaggiato come primizia lo riceviamo in dono nel pentimento" 144 • La conoscenza spiri­tuale è disvelamento di ciò che è nascosto. Quando uno fa esperienza di queste cose invisibili che oltrepassano di gran lunga tutto il resto e dalle quali deriva il nome di conoscenza spirituale, allora nasce in lui un'altra fede che non si contrap­pone alla precedente ma la conferma. Si chiama "fede della contemplazione (theorfa) divina". Prima c'era l'ascolto, ora c'è la contemplazione (cf. Gb 42,5). Ma la contemplazione è più certa dell' ascolto145 •

Possiamo constatare che, per vie diverse, Isacco perviene a un'unica conclusione: il culmine dell'ascesa spirituale è l'espe­rienza mistica, indipendentemente dal termine con il quale es­sa è designata: preghiera spirituale, contemplazione, rivelazio­ne, visione, illuminazione, intuizione, fede contemplativa, co­noscenza spirituale. La via che conduce a questo culmine può essere descritta come un percorso che va dalla vita attiva nelle opere, la praktiké, alla theoria, la contemplazione; dall'ascolto alla visione, dalle tenebre all'illuminazione, dalla conoscenza ra­zionale a quella sovra-razionale, dalla fede istintiva alla cono­scenza spirituale, dal sapere umano all' "ignoranza" divina o alla sovra-conoscenza. La via verso la conoscenza di Dio, che è quel­la dell'ignoranza o nescienza, è una via che non conosce fine. Non avrà termine che nel secolo futuro, quando l'uomo sarà di­venuto capace della pienezza della contemplazione e della cono­scenza:

144 1,46 (p. 223) = Touraille 72 (p. 365); PR 43 (p. 3r5). '"' 1,47 (p. 227) = Touraille r8 (pp. I25·I26); PR 44 (p. vo).

Prima di potersi avvicinare alla conoscenza, l'uomo dovrà sa­lire e scendere nella sua condotta. Avvicinandovisi, sarà com­pletamente sollevato; ma, quale che sia l'elevazione, la sua ascesa verso la conoscenza sarà portata a termine solo quando avrà raggiunto il secolo glorioso nel quale potrà ricevere la piena misura delle sue ricchezze146

.

146 1,48 (p. 230) = Touraille 73 (p. 369); PR 45 (p. 324).

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VIII LA VITA DEL SECOLO A VENIRE

Dio non vendica il male ma lo risana.

La maggior parte degli uomini entreranno nel regno dei cieli senza aver fatto l'esperienza della geenna.

Il,40,12

Ed eccoci giunti all'ultimo argomento della nostra disserta­zione: l'escatologia di Isacco. La sua visione escatologica è par­te integrante del suo sistema teologico: essa deriva dall'insegna­mento sul Dio-amore e si basa su presentimenti connessi alla sua personale esperienza di mistico, avvalorati dall'autorità dei pa­dri della chiesa che l'hanno preceduto.

La prima sezione di questo capitolo tratterà il tema ascetico tradizionale del memento mori. N ella seconda sezione raccoglie­remo le concezioni escatologiche di !sacco così come si trovano, disseminate un po' dappertutto, nel corpus dei suoi scritti, ad eccezione dei discorsi dal39 al 41 della seconda parte della sua opera. Dal momento che questi tre ultimi discorsi presentano un'esposizione sistematica, ci è parso utile studiarli in dettaglio nella terza sezione del capitolo, che fungerà da conclusione a tutta la nostra ricerca.

321

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Meditazione sul mondo a venire

La tradizione monastica d'oriente attribuisce una grande im­portanza al "ricordo della morte", considerandolo una delle pra­tiche capitali. Dobbiamo a Evagrio il consiglio: "Ri­cordati sempre della tua morte e non dimenticare mai il giudizio finale" 1. Gli eco abba Isaia: "Abbi tutti i giorni la morte da­vanti agli occhi ... preparati a rispondere nel giorno tremendo del giudizio di Dio" 2 • N ella tradizione siria ca i temi del ricordo della morte e del giudizio finale sono stati particolarmente svi­luppati da il Siro\ e proprio a lui si richiama !sacco nel testo seguente:

Finché d troviamo in questo mondo Dio non appone il suo suggello o sul male, fino all'ora della nostra morte quando l'attività in patria avrà termine e usciremo in una re­gione straniera. Come ha detto sant'Efrem: "Dobbiamo pen­sare alla nostra anima come a un vascello pronto a salpare che ancora non sa quando spirerà il vento, o come un soldato che non sa quando suonerà la tromba di guerra. Se questo avviene

minore importanza, come ci dovremo prepa-rare ed in vista di quel giorno tremendo, di fron-te al ponte e alla porta conducono al secolo nuovo?" 4

Secondo !sacco il del carattere effimero della natu-ra umana non ci dovrebbe abbandonare maP. Ogni volta che ci prepariamo al sonno dobbiamo rammentarci della morte e dire a

1 Apoftegmi dei padri, Evagria 4· 2 Abba Isaia, Discorri r. 3 La sua opera più importante in siriaca è la Lettera a Publio sulla geenna. I nume­

rosi testi di Efrem sull'argomenta, oggi conosciuti nelle principali lingue europee, ri-salgano a versioni greche e non la totalità dei suoi scritti.

4 I,6r (p. 301) = Thuraille 38 (p. PR 62 5 Cf. I,49 (p. 238) Touraille 39 232); 335-336).

322

noi stessi che quella notte potrebbe essere l'ultima: "Quando ti avvicini alletto, digli: 'Questa notte essere la mia tom­ba, e io non so se invece di un sonno temporaneo non scenderà su di me il sonno eterno"' 6 . Bisogna ricordarsi a ogni istante del giudizio finale e prepararsi all'incontro con Dio:

Come dice l'Interprete 7: "Il tempio della è sempre congiunto con Dio e il suo pensiero si preoccupa continua­mente del suo giudizio"; e cosa vuol dire "preoccuparsi con­tinuamente del suo giudizio" se non averlo sempre in cima ai propri pensieri, cercare incessantemente il riposo in Dio, rammaricarsi di non poter raggiungere la a causa della fragilità della nostra natura? Rammaricarsi incessante­mente significa portare incessantemente nel cuore il ricordo di Dio, come ha detto il beato Basilio8

... Ecco in che cosa consistono la preoccupazione e il cuore frantumato con i quali ci prepariamo al nostro riposo9!

Il pensiero della morte e del secolo a venire aiutano a domi­nare la paura della morte:

uno persiste nella povertà il pensiero della partenza dalla vita non lo abbandona, ma orienta continuamente la sua meditazione verso la vita dopo la resurrezione; egli vi si pre­para sempre e in tutti i modi ... per non temere la morte,

a ogni istante fissa gli occhi su di lei, come se fosse lì aspettarlo10•

Il pensiero del giudizio finale, che sorge nell'uomo grazie all'illuminazione spirituale, favorisce la sua crescita nel bene.

va te

(p. 215); PR 65 (p. 459). tvlopsuestra. Nella versione greca e nelle traduzioni da essa deri­

anr:lotma a Gregorio il Teologo (di Nazianza).

3I8); PR 50 (pp. 352•353l-36o); PR 79 (p. 538).

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Rammentandosi della sua ultima ora, l'uomo si fa più riflessivo e più attento alla propria condotta:

Quando la forza spirituale che è in noi si illumina, disprezzia­mo profondamente la paura della morte e veniamo continua­mente ispirati dalla speranza della resurrezione ... l' attenzio­ne al giudizio di Dio si rafforza e l'uomo comincia a sorve­gliare giorno e notte il proprio comportamento, le parole e i pensieri; anche se si congeda da una splendida e pia ascesi, tale attenzione e tale ricordo non lo abbandonano più 11 •

"La meditazione sui beni futuri" 12 dovrebbe diventare una delle occupazioni più assidue del cristiano. Isacco porta l'esem­pio di un asceta che prega così:

Come ha fatto Dio a portare alla luce il mondo creato? ... E come lo distruggerà, annientando l'ammirevole costruzione, la bellezza degli esseri, il corso armonioso delle creature, del­le ore e dei momenti, la sequenza dei giorni e delle notti, gli anni che si succedono agli anni, le varietà dei fiori che sboc­ciano dalla terra, le imponenti costruzioni cittadine con lo splendore dei loro palazzi, i rapidi movimenti di popoli, la loro operosità, la loro dura fatica dalla nascita fino alla mor­te? Come arrestare tutt'a un tratto questo mirabile ordine per dare inizio a un secolo nuovo, nel quale nessun ricordo del­la prima creazione resterà più impresso in nessuno, nel qua­le sopravverranno altri cambiamenti, altre meditazioni, altre preoccupazioni? La natura umana non ricorderà più nulla di questo mondo né della precedente forma di vita, perché l'in­telletto dell'uomo aderirà totalmente alla contemplazione del suo nuovo stato, né più gli sarà concesso di tornare alla guerra

11 11,20,2. 12 Letteralmente: "meditazione sulle [realtà] a venire". La versione greca, e le ver­

sioni moderne che da essa derivano, rendono "meditazione sulla restaurazione futura".

contro la carne e il sangue: con la distruzione del presente se­colo, infatti, comincerà immantinente il secolo futuro 13 .

Questa meditazione arante porta l'uomo allo stupore davanti alla grandezza di Dio:

Oltre a essere colto da stupore davanti a ciò che Dio ha fat­to e ad avere la mente ricolma della sua maestà, l'uomo è per giunta rapito fuori di sé dalla misericordia divina: e pensare che, dopo tutto questo, Dio ha preparato agli uomini un altro mondo che non avrà fine, la cui gloria non è stata rivelata nemmeno agli angeli! ... L'uomo è colto da stupore di fron­te alla gloria che trascende ogni cosa, di fronte all'immagine di una restaurazione così elevata e all'insignificanza della vita presente in confronto alla creazione che è stata preparata per il secolo futuro 14 .

La meditazione escatologica sul secolo futuro è l'inizio di una rinascita spirituale e di un rinnovamento dell'uomo. Essa a poco a poco spegne il lui il pensiero della carne e cambia le sue idee mettendogli davanti agli occhi l'immagine del secolo a venire:

È quindi nella meditazione continua sui beni futuri che sta l'inizio del rinnovamento interiore dell'uomo. Egli in tal mo­do è progressivamente purificato dalla dissipazione abituale dovuta a cause terrene: assomiglia al serpente che si spoglia della vecchia pelle per rinnovarsi e ringiovanire. Allo stesso modo, nella misura in cui i pensieri materiali e le preoccupa­zioni che li accompagnano vanno scemando nell'intelletto, il pensiero dei beni del cielo e lo sguardo appuntato al futuro crescono nell'anima e si rafforzano. La dolcezza derivante dal pensiero dei beni futuri supera quella che viene dai pensieri materiali e li domina 15 .

13 I,37 (p. r8r) = Touraille 85 (p. 436); PR 35 (pp. 256-257). 14 II,ro,r9. 15 II,8,r6.

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La vita dopo la morte

Consideriamo ora lo sguardo che !sacco rivolge alle realtà fondamentali dell'escatologia cristiana studiando i testi in cui parla della morte, della resurrezione dei morti, della separazione tra giusti e peccatori, delle pene dell'inferno e delle gioie del paradiso.

Isacco considera l'esistenza dell'uomo sulla terra come uno stato d'infanzia, un tempo da dedicare alla crescita spirituale. L'età futma, al contrario, implica ciascuno abbia raggiunto la sua taglia spirituale definitiva. I rapporti tra Dio e il suo po­polo sono così chiamati a matmare: non più quelli di un padre con dei bambini che richiedono cure assidue e a volte debbono essere castigati. In altre parole, se la vita sulla terra corrisponde a un tempo di preparazione, e crescita, quella nel se­colo a venire corrisponderà al pieno adempimento di tutte le po­tenzialità dell'uomo:

Se Dio è veramente lui che tutto ha generato attraver­so la grazia, se gli esseri dotati di ragione sono suoi figli, se questo mondo è come una scuola in cui Dio educa i bambini alla conoscenza e li corregge quando fanno una sciocchezza, e se il mondo a venire è un retaggio per quando la "piena matu-rità [dì Cristo]" 4, sarà stata raggiunta, allora verrà un tempo in cui bambini diventeranno uomini e il padre senza dubbio muterà in gioia, in un mondo adulto, ciò che oggi ha l'apparenza del castigo, e i bambini saranno a loro volta elevati al di là bisogno di essere corretti 16 .

La frontiera tra la vita sulla terra e quella del mondo a venire è costituita dalla morte. Isacco la morte è lo shabta (sabato)

16 Centurie di conoscenza III, 7 r.

la natura umana troverà riposo alla vigilia della

Sei giorni passano nell'attività, nell'adempimento dei coman­damenti; il settimo giorno viene trascorso interamente presso la tomba; l'ottavo è quello dell'uscita dalla tomba ... La tom­ba è il vero e incomparabile shabta che ci addita e ci fa cono­scere il sollievo completo dal fardello delle passioni e il ristoro che deriva dalla cessazione dell'attività: la natura umana, ani­ma e corpo, vi celebra il suo shabta 17 .

L'idea dello shabta come simbolo della morte è affatto tradi-zionale: la si ritrova sia nei testi patristici in quelli liturgici. Parimenti tradizionale è l'idea dell'ottavo come simbolo della resurrezione. Per !sacco la lo futuro è altresì prefigurata dal corpo to durante la vita presente:

dei morti nel seco­si risolleva dal pecca-

La vera resurrezione del corpo avrà luogo quando esso sarà trasformato in modo ineffabile nel suo stato futuro, attraver­so la spoliazione da ogni carnale e da tutto ciò che appartiene a quest'ultima. La sua resurrezione mistica avrà luogo quando sarà risuscitato da ogni peccato cui era legato nella sua vita terrena, e sarà consacrato al servizio insuperabi­le di Dio 18•

Riguardo alla resurrezione, uno dei testi più impressionanti si trova nelle Centurie di conoscenza, in cui !sacco ne parla come di una fonte di speranza per tutti uomini:

Non rattristarti, o di dover entrare un giorno nel silenzio della tomba, tu il più bello fra tutti, ma corrotto

11 1,29 (p. I4:2) = Touraille 74 (p. 3 n); PR 28 (pp. 202-204). 18 11,8,ro.

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dall'oltraggio della morte! Dio ha posto un limite al silenzio della tua umiliazione e alla totale spoliazione, senza che resti ricordo di te. Com'è bella la tua struttura corporea' Ma an­che: com'è impressionante la sua corruzione! Non !asciarti però abbattere dalla tristezza, giacché tu la rivestirai di nuo­vo quella struttura che, ardente di fuoco e di Spirito, porterà in sé l'immagine esatta del Creatore. Non ti tormenti alcun dubbio sulla solidità di questa speranza: Paolo stesso ti con­forta: "Egli trasformerà - dice - il corpo della nostra umi­liazione e lo renderà conforme al corpo della sua gloria" (Fil 3,2 r). Non rattristarti se dovremo restare lunghi anni nella corruzione della morte, sotto la polvere, fino a che soprav­venga la fine del mondo presente, giacché tutto ciò non pese­rà su di noi. La morte e tutto il tempo che dormiremo in una tomba passeranno come il sogno di una notte. Infatti il Crea­tore sapiente ha reso così leggera la nostra morte che non ne sentiremo minimamente dolore. Essa ci pesa finché non l'a­vremo accolta, ma poi non ci accorgeremo né della corruzio­ne né della dissoluzione della nostra struttura, ma tutto ciò, quando ci sveglieremo e ci alzeremo per un nuovo giorno co­me se ci fossimo addormentati la sera prima, non sarà stato altro che il sogno di una notte. Così, leggero sarà per noi il sonno prolungato della tomba e lieve la durata degli anni che vi passeremo 19 .

Il giudizio finale è presentato da Isacco come il momento del­l'incontro non solo con Dio ma con tutti coloro ai quali la nostra vita quaggiù è stata legata. La sentenza decreterà o l'entrata del­l' anima nel regno di Cristo insieme ai giusti, o la sua separazio­ne da loro. Tuttavia essa non sarà altro che una semplice ratifica dello stato raggiunto dall'uomo nella sua vita sulla terra. Chi è stato separato quaggiù dai suoi amici da una vita di peccato, lo sarà anche là:

19 Centurie di conoscenza III,74-75·

Guai al monaco che infrange il suo voto e, calpestando la pro­pria coscienza, dà la mano al diavolo ... Con che faccia si pre­senterà al giudizio quando i suoi amici - gli stessi dai quali si era separato durante il cammino comune per avviarsi alla via della perdizione-, raggiunta la purezza, si ritroveranno al suo fianco? E, cosa ancora più tremenda: come egli se n'era stac­cato lungo il cammino di quaggiù, così Cristo lo separerà da loro nel giorno in cui una nube luminosa ne innalzerà i corpi fulgidi di purezza per deporli dinanzi alle porte del cielo 20

Agli occhi di Isacco la vita del secolo futuro appare come un "riposo ininterrotto e ineffabile in Dio" 21 . Essa non conosce né cambiamento né fine: "La nostra dimora sarà in cielo e noi sare­mo esseri celesti in una vita che non conoscerà mai né fine né mutamento" 22

• All'attività corporea se ne sostituirà una spiri­tuale che consisterà in "uno sguardo di estrema dolcezza e una visione senza distrazioni" 23 . La mente umana sarà tutta presa dalla contemplazione della bellezza di Dio in uno stato di inin­terrotto stupore:

La natura umana non cesserà mai di stupirsi di Dio e non conserverà nessun pensiero riguardo alle creature ... Dal mo­mento che, nella rinascita futura, ogni bellezza creata sarà in­feriore a quella di Dio, come potrebbe la mente, assorta nella sua contemplazione, distrarsi da essa 24?

Nel secolo futuro cesserà anche di esistere la struttura gerar­chica del mondo, secondo la quale le rivelazioni divine vengono trasmesse da Dio agli ordini superiori degli angeli, quindi, per il loro tramite, agli ordini inferiori e all'uomo:

20 I,9 (p. n)~ Touraille ·+r (p. 239); PR 9 (p. I I4). 21 II, I8,3. 22 Centurie di conoscenza I, I 9. "II,8,2. 24 I,43 (p. 214) ~ Touraille I7 (p. I2I); PR 40 (p. 304).

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dall'oltraggio della morte! Dio ha posto un limite al silenzio della tua umiliazione e alla totale spoliazione, senza che resti ricordo di te. Com'è bella la tua struttura corporea! Ma an­che: com'è impressionante la sua corruzione! Non lasciarti però abbattere dalla tristezza, giacché tu la rivestirai di nuo­vo quella struttura che, ardente di fuoco e di Spirito, porterà in sé l'immagine esatta del Creatore. Non ti tormenti alcun dubbio sulla solidità di questa speranza: Paolo stesso ti con­forta: "Egli trasformerà - dice - il corpo della nostra umi­liazione e lo renderà conforme al corpo della sua gloria" (Fil 3,2r). Non rattristarti se dovremo restare lunghi anni nella corruzione della morte, sotto la polvere, fino a che soprav­venga la fine del mondo presente, giacché tutto ciò non pese­rà su di noi. La morte e tutto il tempo che dormiremo in una tomba passeranno come il sogno di una notte. Infatti il Crea­tore sapiente ha reso così leggera la nostra morte che non ne sentiremo minimamente dolore. Essa ci pesa finché non l'a­vremo accolta, ma poi non ci accorgeremo né della corruzio­ne né della dissoluzione della nostra struttura, ma tutto ciò, quando ci sveglieremo e ci alzeremo per un nuovo giorno co­me se ci fossimo addormentati la sera prima, non sarà stato altro che il sogno di una notte. Così, leggero sarà per noi il sonno prolungato della tomba e lieve la durata degli anni che vi passeremo 19 .

Il giudizio finale è presentato da !sacco come il momento del­l'incontro non solo con Dio ma con tutti coloro ai quali la nostra vita quaggiù è stata legata. La sentenza decreterà o l'entrata del­l' anima nel regno di Cristo insieme ai giusti, o la sua separazio­ne da loro. Tuttavia essa non sarà altro che una semplice ratifica dello stato raggiunto dall'uomo nella sua vita sulla terra. Chi è stato separato quaggiù dai suoi amici da una vita di peccato, lo sarà anche là:

19 Centurie di conoscenza III,74-75·

Guai al monaco che infrange il suo voto e, calpestando la pro­pria coscienza, dà la mano al diavolo ... Con che faccia si pre­senterà al giudizio quando i suoi amici - gli stessi dai quali si era separato durante il cammino comune per avviarsi alla via della perdizione -, raggiunta la purezza, si ritroveranno al suo fianco? E, cosa ancora più tremenda: come egli se n'era stac­cato lungo il cammino di quaggiù, così Cristo lo separerà da loro nel giorno in cui una nube luminosa ne innalzerà i corpi fulgidi di purezza per deporli dinanzi alle porte del cielo 20

Agli occhi di !sacco la vita del secolo futuro appare come un "riposo ininterrotto e ineffabile in Dio" 21 . Essa non conosce né cambiamento né fine: "La nostra dimora sarà in cielo e noi sare­mo esseri celesti in una vita che non conoscerà mai né fine né mutamento" 22 . All'attività corporea se ne sostituirà una spiri­tuale che consisterà in "uno sguardo dì estrema dolcezza e una visione senza distrazioni" 23 . La mente umana sarà tutta presa dalla contemplazione della bellezza di Dio in uno stato di inin­terrotto stupore:

La natura umana non cesserà mai di stupirsi di Dio e non conserverà nessun pensiero riguardo alle creature ... Dal mo­mento che, nella rinascita futura, ogni bellezza creata sarà in­feriore a quella di Dio, come potrebbe la mente, assorta nella sua contemplazione, distrarsi da essa 24?

Nel secolo futuro cesserà anche di esistere la struttura gerar­chica del mondo, secondo la quale le rivelazioni divine vengono trasmesse da Dio agli ordini superiori degli angeli, quindi, per il loro tramite, agli ordini inferiori e all'uomo:

20 I,9 (p. 73) = Touraille 4r (p. 239); PR 9 (p. rr4). 21 II,r8,3. 22 Centurie di conoscenza I,r9. "II,S,z. 24 I,43 (p. 2r4) = Touraille r7 (p. rzr); PR 40 (p. 304).

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Nel secolo a venire quest'ordine di cose sarà soppresso, giac­ché nessuno riceverà da altri la rivelazione della gloria di Dio per la gloria e la gioia della sua anima, ma essa sarà elargita a tutti, senza intermediari, dal Signore in persona, a ciascuno secondo le sue forze in rapporto alla misura della sua ascesi e a ciò di cui è degno. Nessun dono verrà da altri, come accade oggi; nessuno insegnerà e nessuno dovrà essere istruito, nes­suno avrà bisogno di altri per colmare le proprie carenze. Ci sarà un solo Donatore che donerà senza intermediari a quanti saranno in grado di ricevere, e questi ne otterranno la gioia del cielo. Abolite le categorie di maestro e di discepolo, il de­siderio di tutti sarà di incontrare al più presto l'Unico 25 .

Nel secolo a venire le attività spirituali di questo mondo sa­ranno annullate. In particolare, la preghiera nella sua forma pre­sente verrà sostituita da uno stato sovrannaturale di cui solo i santi per ora hanno avuto saltuariamente esperienza:

Fra tutti i modi di essere dello stato psichico nulla è più eleva­to e più grande della preghiera. Nel mondo a venire, tuttavia, persino la preghiera sparirà, poiché gli uomini resteranno mu­ti davanti a un ordine più elevato di quello della preghiera. Ordine che, fin da questo mondo, è già di tanto in tanto con­cesso ai santi quando pregano e a coloro che hanno raggiunto la pienezza 26 •

Anche la contemplazione e le visioni cesseranno alla fine dei tempi:

Se tutto ciò che ha attinenza con l'oggetto della contempla­zione naturale, con tutte le sue forme, sarà abolito nel mondo futuro - giacché sta scritto che la forma di questo mondo pas-

"I,z8 (p. I4o) = Touraille 84 (pp. 4I4-4I5); PR 27 (p. zoi). 26 Centurie di conoscenza III,46.

330

serà con tutti i suoi gradi (cf. 1Cor 7,31)- è evidente che la sua contemplazione sarà anch'essa abolita e, con essa, la sua visione 27

.

Nella futura felicità nessuno subirà costrizioni. Ognuno do­vrà fare una scelta personale per trovare la propria gioia in Dio. Per gli uomini tale scelta ha luogo durante la vita sulla terra e si esp:t:ime nella rinuncia alle passioni e nella conversione: "Non che gli uomini siano costretti a ereditare la gloria futura contro la loro volontà e senza conversione, giacché è piaciuto alla sa­pienza di Dio che ciascuno scelga i1 bene spontaneamente e pos­sa così essere introdotto presso di lui" 28 . La felicità futura sarà appannaggio di coloro che fin dalla vita presente avranno rag­giunto la "terra della promessa" e si saranno congiunti a Dio. I sacco però non esclude dal regno dei cieli quanti, pur non aven­do visto quella terra da vicino, sono morti nella speranza di rag­giungerla. Costoro, che hanno aspirato alla pienezza senza rag­giungerla, saranno inclusi nella schiera dei giusti dell'Antico Te­stamento, che non hanno visto il Cristo in vita ma hanno spera­to in lui 29 .

Chi entrerà nel regno dei cieli si troverà più o meno vicino a Dio secondo la propria capacità di accogliere la luce divina. Questa differenza di grado non implica tuttavia una disegua­glianza gerarchica tra gli eletti: per ciascuno, la misura personale della comunione con Dio sarà la più grande possibi1e e nessuno si troverà in posizione tale da prevalere sugli altri:

Parlando d eli' esistenza di molte dimore presso il Padre (cf. Gv 14,2) il Salvatore allude alle diverse misure di conoscenza di quanti abiteranno in quel luogo, cioè all'ineguaglianza e al-

27 Centurie di conoscenza III,9. 28 II,I0,20. 29 Cf. I,I2 (p. So)= Touraille II (p. Io6); PR I2 (p. I23).

33 1

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la differenza dei doni spirituali che faranno la nostra gioia se­condo la misura della conoscenza. In effetti, parlando di "di­more differenti" egli non intende luoghi diversi. Come ognu­no gode del sole materiale in proporzione della purezza e del­la virtù ricettiva del suo sguardo ... così nel secolo futuro i giusti risiederanno tutti nella stessa regione senza essere se­parati gli uni dagli altri, ma ognuno contemplerà il medesi­mo sole spirituale secondo la sua misura personale, e attirerà gioia e allegrezza secondo la propria degnità ... Nessuno con­sidererà la parte toccata all'amico più o meno importante del­la propria, cosicché, anche se dovesse constatare che la grazia dell'amico supera)a propria, non proverà per questo ramma­rico o tristezza. E impossibile che sia diversamente là dove non ci saranno più né rimpianti né lamenti (cf. Ap 2r,4)! Al contrario, ciascuno gioirà interiormente della misura che gli è stata concessa 30

.

Benché ci siano molte dimore nel regno dei cieli, tutte sono comprese entro i suoi confini, oltre i quali c'è la geenna di fuo­co. Isacco non conosce nessuno stato intermedio tra il regno e la geenna:

Nel regno dei cieli l'oggetto della contemplazione è lo stesso per tutti, come pure il luogo. Tra questi due stati non c'è via di mezzo. Ho visto il livello più alto e il più basso: la differen­za tra i due sta nella diversità delle ricompense. Se questo è giusto - e certamente lo è - si possono allora dire parole più insensate e sciocche di queste: "Mi basta evitare la oeenna· perché dovrei preoccuparmi di entrare nel regno?". Infatti: evitare la geenna è la stessa cosa che entrare nel reano e man­care il regno è lo stesso che precipitare nella geen;a. La Scrit­tura non parla di tre regioni, ma dice: "Quando verrà il Figlio dell'uomo ... porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sini-

30 I,6 (pp. 55-56)= Touraille 56 (pp. 299-3oo); PR 6 (pp. 86-87).

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stra" (M t 25,3 r.33). Non capisci da queste parole che lo stato opposto a quello più eccelso è la geenna dei tormentP1?

Cosa rappresentano il paradiso e la geenna nel pensiero di Isacco? La felicità del cielo consiste per lui nella comunione del­l'uomo con l'amore di Dio che è "l'albero della vita" o "il pane del cielo", cioè Dio stesso:

Il paradiso è l'amore di Dio nel quale si trovano le delizie di tutti i beati. Il beato Paolo vi ricevette un cibo sovrannaturale e dopo aver assaggiato dell'albero della vita esclamò: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entraro­no nel cuore di un uomo, queste Dio le ha preparate per colo­ro che lo amano" (rCor 2,9). Adamo divenne estraneo a que­st' albero per suggerimento del diavolo. L'albero della vita è l'amore di Dio dal quale Adamo è stato strappato al momento della caduta ... Finché non abbiamo trovato l'amore, tutto ciò che riusciamo a produrre sulla terra sono soltanto rovi ... Ma quando l'abbiamo trovato veniamo nutriti dal pane del cielo ... Il pane del cielo è Cristo, disceso dal cielo per dare la vita al mondo (cf. Gv 6,33) ... in modo tale che chi vive secondo l'amore coglie la vita accanto a Dio e, fin da questo mondo, respira l'aria della resurrezione, quell'aria che farà la letizia dei giustP2

.

I tormenti dell'inferno, al contrario, si compendiano nell'im­possibilità di unirsi all'amore di Dio. Ciò non significa che al­l'inferno i peccatori ne siano privati: anzi, l'amore è egualmente offerto tanto ai peccatori quanto ai giusti. Ma per i primi esso diventa fonte di gioia e felicità in paradiso, per gli altri, fonte di tormento nella geenna:

"I,6 (pp. 56-57)= Touraille 56 (p. 3oo); PR 6 (p. 88). 32 I,46 (p. 224) = Touraille 72 (pp. 366-367); PR 43 (pp. 3 r6-3 q).

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Sostengo che coloro che sono tormentati geenna sono flagellati dalla sferza dell'amore! E quanto è cocente e le tale tormento! Coloro infatti che si rendono conto di aver peccato contro l'amore subiscono un tormento della paura del castigo; la tristezza che pervade i loro cuori a causa dei peceatì contro l'amore è più terribile di -.-·~--·--­Sarebbe fuori luogo pensare che i nella geenna sia­no privati dell'amore di Dio. L'amore ... è concesso a tutti in generale. Ma la forza dell'amore ha un effetto: tor­menta i peccatori - proprio come quaggiù essa a volte fa sl che un amico soffra a causa dell'amico quelli che hanno pagato il loro debito. a mio avviso, i tormenti della geenna sono una forma di Ma me-bria delle sue gioie i figli del cielo".

Benché Isacco sia persuaso che finale le pecore saranno separate dai capri e questi precipiteranno nella geenna, questa convinzione non gli di sperare nella misericordia di Dio la quale, a suo giudizio, trascende qualsiasi idea di giusta ricompensa, come abbiamo potuto rilevare nel pri­mo capitolo di questo libro. La fiducia nella misericordia di Dio lo induce a pensare che le dei peccatori nella geenna non siano eterne. Se il male, il la morte e la geenna non hanno origine in Dio, è concepibile possano durare eterna-mente? Se i demoni, come pure uomini malvagi, sono stati creati da Dio buoni e senza ma si sono staccati da lui per loro libera scelta, è pensabile Dio possa accettare in eter-no una situazione simile? del genere sono state poste, molto prima di Isacco, da alcuni padri e dottori della chiesa an-tica, in particolare da Nissa.

Un discorso della non tradotto in greco, ha come titolo: "Contro dicono: Se Dio è buono, perché ha

33 !,28 (p. r4rl Touraille 84 (p. 4r5); PR 27 (pp. 2or-202).

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creato cose simili?". Isacco confuta la concezione dualistica se­condo la quale il bene e il male, Dio e il demonio sono te eterni. Nella sua argomentazione Isacco abbandona mento consueto della tradizione cristiana secondo cui Dio non sarebbe il creatore del male perché il male non ha sostanza:

Il peccato, la geenna e la morte non esistono nel più as­soluto in Dio, perché sono azioni e non sostanze. Il peccato è frutto della libera volontà. Ci fu un tempo in cui il peccato non esisteva e ci sarà un tempo in cui non esisterà La geenna è frutto del peccato. Essa ha cominciato a esistere a partire da un dato momento, ma il tempo sua fine ci è ignoto. La morte tuttavia è la misericor-dia del Creatore. Essa dominerà solo per poco sulla natura e sarà in seguito completamente abolita. Il nome di Satana in­dica la sua caduta volontaria al di fuori ma non vuoi dire che sia stato malvagio fin dall'inizio 34 •

Per Isacco, il peccato e la morte saranno aboliti da Dio, men­tre la "fine della geenna" rimane e la sua conoscenza travalica i limiti della ragione umana: non per nulla essa non fa nemmeno parte dell'insegnamento dogmatico della chiesa. Isac-co non sviluppa qui il suo insegnamento carattere non eterno della geenna, come avrà occasione di discorsi dal 39 al 41 della seconda parte. La sua attenzione inizialmente non si appunta sulla geenna in sé e per sé, ma piuttosto sulla futura tra­sfigurazione dell'universo dopo l'abolizione della geenna.

La visione escatologica di Isacco è pervasa di ottimismo. In questo senso egli è vicino all'escatologia di san Paolo, presso il quale troviamo la dottrina della trasfigurazione della creazio­ne, quando "la morte sarà stata ingoiata per la vittoria" (rCor 15,55), e Dio sarà "tutto in (rCor 15,28). Isacco è con-

34 PR 26 (p. r89).

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vinto che questo stato, che ci è promesso, arriverà senza fallo, anche se potrà essere preceduto da un periodo intermedio du­rante il quale i peccatori si troveranno nella geenna. La speranza della trasfigurazione del creato alla fine della storia umana gli fa sgorgare dal cuore un rendimento di grazie a un Dio la cui mise­ricordia non conosce limiti:

Che bontà infinita è quella con cui Dio porta la natura pecca­trice al suo rinnovamento! Chi ha forze sufficienti a glorifi­carlo? Egli risolleva chi ha trasgredito i suoi ordini e bestem­miato il suo Nome! Il peccatore non sa immaginarsi la grazia della sua resurrezione. Dov'è la geenna che avrebbe potuto abbatterci? Dov'è il tormento capace di impaurirci in mille modi e di soverchiare la gioia del suo amore? E che cosa signi­fica la geenna in confronto alla grazia della sua resurrezione, quando ci solleverà dagli inferi e farà sì che "questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità" (1Cor 15,53), e innal­zerà nella gloria ciò che prima era all'inferno? Venite, uomini dotati di ragione, e riempitevi di meraviglia! Quale uomo do­tato di spirito saggio e ammirevole sarebbe degno di stupirsi della misericordia del nostro creatore? C'è forse un premio per i peccatori se, invece di un equo compenso, egli dona lo­ro la resurrezione e, al posto della corruzione dei loro corpi, li riveste della gloria perfetta dell'incorruttibilità? Una miseri­cordia simile - farci risuscitare dopo tutti i peccati che abbia­mo commesso! -è più grande di quella che ci ha portato dal nulla alla luce. Gloria, o Signore, alla tua grazia infinita! Ec­co, le onde della tua grazia mi riducono al silenzio e non mi lasciano più alcun pensiero per ringraziartP5!

"I,5r (pp. 251-252) = Touraille 6o (p. 325); PR 50 (pp. 358-359)

<é~ij$f i

Punizione eterna o salvezza universale?

Gli avvenimenti successivi alla morte sono oggetto di uno studio particolare nei tre capitoli conclusivi della seconda parte dell'opera di Isacco. Il capitolo 39 è intitolato: "Contemplazio­ne sul tema della geenna, per quanto sia concessa a natura uma­na la grazia di farsi un'opinione su tali misteri". Esso contiene un'ampia trattazione teorica della sua dottrina sulla natura, il fi­ne e la durata dei tormenti della geenna. Il discorso 40 si riallac­cia al precedente e il suo tema è così definito: "Il carattere per­manente e immutabile della natura divina e il suo amore, all'ini­zio e alla fine della creazione". Il discorso 4 r trae le conclusioni etiche degli altri due.

Nel discorso 39 la riflessione di Isacco comincia con il chie­dersi perché Dio abbia istituito la geenna. L'autore sottolinea che tutta l'attività di Dio per l'umanità discende dalla sua "im­mutata ed eterna bontà", dall'amore e dalla compassione. Per­tanto, gli sembra blasfemo pensare che Dio possa agire per ven­detta o rivalsa 36 . Tale opinione è tanto più inaccettabile in quan­to Dio, pur conoscendo prima ancora di crearlo i peccati e le fu­ture cadute dell'uomo, nondimeno lo creò:

Che vergogna pensare che in Dio possa albergare il desiderio di vendicarsi del male commesso dall'uomo: sarebbe come at­tribuire a questo essere [perfetto] la debolezza di servirsi di una cosa tanto importante e dolorosa per prendersi una rivin­cita! Se già è inverosimile trovare un desiderio del genere in persone dalla vita pia e onesta in pieno accordo con la volon­tà di Dio, a maggior ragione non è credibile che Dio abbia potuto fare alcunché a scopo di vendetta per il male compiu­to, mentre sapeva già da prima come si sarebbero comporta-

36 Si vedano le citazioni del capitolo "Dio, l'universo e gli uomini" (supra, pp. 37-72).

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ti quelli ai quali con stima e amore aveva dato la vita. Sapeva tutto quello che avrebbero fatto, eppure non ha chiuso la fon­te della sua grazia. Dirò di più: anche dopo che essi si furono impegolati in azioni malvagie la sua sollecitudine per loro non venne meno un solo istante37

.

Ancora più fuorviante è l'opinione secondo la quale Dio avrebbe permesso agli uomini di peccare durante la loro vita sul­la terra per poterli punire eternamente dopo la morte. Questa affermazione blasfema e perversa equivale a una calunnia:

Se qualcuno sostiene che unicamente per manifestare la sua pazienza Dio tollera quaggiù quelli che poi castigherà sen­za misericordia nell'aldilà, attribuisce a Dio - mostrando una coscienza puerile - una bestemmia mostruosa: toglie a Dio la bontà, l'i~dulgenza e la misericordia, cioè precisamente le qualità grazie alle quali egli sopporta i peccatori e i malvagi. Chi pensa questo attribuisce a Dio uno stato d'animo passio­nale, come se egli evitasse di infliggere castighi quaggiù solo per paterne preparare in cambio di ben più gravi, dopo questa pazienza di corta durata. Un uomo del genere non solo non attribuisce a Dio niente di giusto o lodevole, ma addirittura lo calunnia 38

In questa presentazione della bontà e della misericordia divi­ne !sacco ha in mente il racconto della maledizione scagliata da Dio contro Adamo ed Eva dopo il loro peccato e la cacciata dal paradiso terrestre. L'introduzione della morte e la cacciata dal paradiso hanno avuto luogo sotto forma di maledizione, al cuore della quale, tuttavia, si celava una benedizione:

Avendo introdotto la morte per Adamo sotto forma di una sentenza che castiga il peccato, e avendo rivelato la presenza

37 II,39,2. "Ibid.

del peccato per mezzo di un castigo - benché il castigo non fosse il suo scopo -, Dio ha dato l'impressione che la morte fosse stata istituita come punizione per la colpa di Adamo. Ma così egli ha celato il vero mistero della morte e, sotto un'apparenza paurosa, ha congiunto il suo fine eterno riguar­do alla morte con un piano sapiente basato su di essa: mentre la morte di primo acchito può far paura e sembrare vergogno­sa e crudele, nondimeno è per mezzo di essa che noi siamo in­nalzati verso un mondo elevato e pieno di gloria. Senza la morte non sarebbe stato possibile passare da quaggiù a lassù. Quando la istituì, il Creatore non disse: "Questo vi capita a causa dei beni che sono stati preparati per voi e a causa di una vita più gloriosa della presente". Al contrario, l'ha presentata come un male e una cosa funesta. Parimenti, quando cacciò Adamo ed Eva dal paradiso lo fece come se fosse in collera: "Poiché avete trasgredito il mio ordine, sarete fuori del para­diso", come se la permanenza nel paradiso fosse stata lor; tol­ta a causa della loro indegnità. Ma in tutto questo c'era un piano [divino] per realizzare quello che era l'obiettivo del Creatore fin dall'inizio. Non è stata la disobbedienza a procu­rare la morte alla discendenza di Adamo, né è stata la tra­sgressione al comando di Dio a cacciarlo con Eva dal paradi­so: questo infatti rappresentava solo una piccola parte della terra mentre essi erano destinati a dominarla tutta quanta. Perciò non dobbiamo dire che Dio li ha cacciati a causa della trasgressione al suo ordine: anche se non avessero trasgredito non sarebbero comunque rimasti per sempre in paradiso 39 •

In tal modo !sacco rafforza la tesi che la morte sia stata una benedizione in quanto fin dall'inizio conteneva in potenza la re­surrezione futura, e che la cacciata dal paradiso sia stata un bene per l'uomo perché, in cambio di un "cantuccio di terra", egli ri­cevette il dominio di tutto il pianeta. Questo approccio al rac-

,. II,J9.4·

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conto della Genesi è senz'altro basato sull'esegesi di Teodoro di Mopsuestia, secondo il quale la morte fu una fortuna per l'uo­mo perché gli aprì la strada verso la conversione e il successivo rinnovamento 40

.

Per !sacco la morte fu il risultato di un"'astuzia" di Dio, che avrebbe celato il suo vero scopo - la salvezza dell'umanità - sot­to le sembianze di un castigo per il peccato. Con un'astuzia ana­loga si spiega la geenna, istituita da Dio come apparente forma di castigo, mentre il suo vero scopo è il bene dell'uomo. È in­dispensabile, afferma !sacco, che la storia dell'umanità appaia dall'esterno un castigo e una pena, mentre il suo vero fine è la realizzazione del nostro bene con tutti i mezzi possibili. Cono­scendo in anticipo la nostra inclinazione per tutte le forme del male, Dio ci ha preparato un'astuzia, cosicché ciò che appariva un danno si rivelasse invece strumento del nostro riscatto. Solo attraversando quello che sembra un castigo inflitto da Dio ci ac­corgiamo che esso è al servizio del nostro bene. Da parte di Dio non c'è castigo, giacché la sua unica preoccupazione è il bene che potrà derivare da tutta la sua attività in favore degli uomini. Ora, i castighi della geenna, istituiti da Dio, fanno appunto par­te di questa attività 41 .

Così, passo dopo passo, !sacco si avvicina alla sua idea centra­le, cioè che la conclusione della storia umana debba corrispon­dere alla grandezza della Trinità, e che la sorte ultima dell'uomo debba essere degna della misericordia di Dio:

Per quanto mi riguarda - dichiara Isacco - io penso che il glo­rioso Creatore si proponga di mostrare l'azione mirabile e il punto d'arrivo della sua grande e inesplicabile misericordia per quanto concerne gli aspri tormenti da lui istituiti, affin­ché grazie a essi la ricchezza del suo amore, la sua potenza

4° Cf. Teodoro di Mopsuestia, Frammenti sullibm della Genesi. 41 Cf. II,)9,5·

e la sua sapienza siano ancor più evidenti, come pure la vir­tù sfolgorante degli effluvi della sua bontà. Il Signore miseri­cordioso non ha creato esseri dotati di ragione per sottoporli spietatamente a sofferenze infinite se, pur sapendo già da pri­ma di crearli in che modo si sarebbero corrotti, li creò ugual­mente. Tanto più che progettare il male o la vendetta è carat­teristico delle passioni delle creature, non del Creatore; è un atteggiamento tipico degli uomini, che non sanno quello che fanno o pensano e non sono consapevoli di ciò che capita lo­ro. Quando qualcosa di imprevisto li colpisce, si infiammano di collera e provano un impulso di vendetta. Questo non ha assolutamente niente a che vedere con il Creatore che, dise­gnando l'immagine della creazione, sapeva tutto quello che era successo prima e tutto quello che sarebbe successo dopo come conseguenza della sua azione, fino alle intenzioni degli esseri razionali 42 .

Per avvalorare il suo punto di vista !sacco fa appello sia a Teo­doro di Mopsuestia, il quale aveva insegnato che le sofferenze del secolo futuro non sarebbero state eterne 43 , sia a Diodoro di Tarso, che aveva teorizzato la breve durata dei tormenti dei pec­catori, mentre la loro felicità dopo la liberazione sarebbe stata eterna 44

. E Isacco commenta:

Tali illuminazioni e opinioni mirabili, che ci portano ad ama­re il Creatore e a stupirei dinanzi a lui, ci vengono offerte da queste grandi colonne della chiesa 45 quando trattano dell'e­conomia divina, del giudizio futuro e della grande misericor­dia di Dio, la cui fiumana è più potente delle cattive azioni delle creature e trionfa su di esse. Il loro punto di vista fa giu­stizia di tutte le opinioni puerili che vorrebbero introdurre le

42 II,39,6. 43 Contro quelli che sostengono che il peccato sia intrinseco alla natura umana. 44 Cf. Diodoro di Tarso, Sulla provvidenza 5-6. 45 Teodoro e Diodoro.

34I

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passioni nella natura divina, sostenendo che Dio cambia se­condo le circostanze temporali. Ci insegnano altresì il senso dei castighi e dei tormenti, quelli di quaggiù e quelli dell' aldi­là, e l'obiettivo misericordioso di Dio nel permettere che que­sti tormenti ci colpiscano e le conseguenze principali che ne discendono. Il senso non è che Dio voglia lasciarci soccombe­re a tali tormenti, né che voglia farceli sopportare in eterno; al contrario, ce li manda come un padre e non come un vendica­tore, cosa che sarebbe segno di odio da parte sua. Il loro sco­po è di farci pensare a lui, di farcelo conoscere, di condurci

colti dallo stupore al suo amore, di coprirci di confusione e farci raddrizzare la nostra condotta in questa vita 46 .

!sacco ritiene l'idea della non eternità del castigo non debba attenuare né annullare il timore di Dio. Al contrario, a partire da una presa di coscienza dell'infinita misericordia del Creatore, essa dovrebbe infiammare l'uomo d'amore per lui e condurlo al pentimento. L'idea di un Dio che è come un padre pieno di sollecitudine per noi, genera nell'uomo un sentimento d'amore filiale e il desiderio di abbandonarsi a lui, mentre l'idea di un vendicatore spietato suscita timore servile e angoscia al suo cospetto.

Ogni sventura e ogni sofferenza che colpisca l'uomo è manda­ta da Dio per indurlo a un cambiamento interiore. Dio non si vendica mai del passato, non quaggiù e neppure nell'aldilà, ma si preoccupa unicamente del nostro avvenire:

I castighi e i tormenti di ogni sorta che da lui ci vengono non ce li manda per farci pagare il fio azioni passate, ma se ne serve per un vantaggio futuro ... Ecco quello che ci dicono e ci rammentano le Scritture ... in particolare, che Dio non si vendica male, ma lo punisce per correggerlo. La vendetta

è propria dei malvagi, la correzione è propria di un padre. La Scrittura mostra che se egli permette il bene o il male come castigo, non è questo il suo fine ma, al contrario, egli vuole suscitare in noi l'amore e il timore. Attraverso il timore puri­fichiamo il nostro modo di vivere; attraverso l'amore crescia­mo con discernimento nelle opere buone. Se non fosse così, che relazione ci sarebbe tra la venuta di Cristo e le azioni del­le generazioni precedenti? Questa immensa compassione ti sembra davvero essere un castigo per quelle azioni malvagie? O uomo, se Dio è un vendicatore e se tutto ciò che fa lo fa per vendetta, mostrami le prove di tale vendetta47 !

L'idea dell'amore è in antitesi con quella della vendetta: Isac­co non si stanca mai di ripeterlo. Inoltre, supporre che Dio fac­cia soffrire i peccatori in eterno sarebbe quasi come ammettere che la creazione del mondo stata uno scacco e un errore, poi­ché Dio non sarebbe stato capace di opporsi a un male che non era nei suoi piani:

In questo modo noi non attribuiamo più l'idea di vendetta al­l' azione di Dio verso di noi ma, al contrario, parliamo della sua provvidenza paterna, del suo sapiente governo del mon­do, della sua volontà perfetta tutta orientata al nostro bene, del suo amore. Dove c'è amore non c'è castigo, ve c'è castigo non c'è amore. Quando l'amore compie azioni buone o corregge i passi falsi, non esige che si paghi per le colpe commesse in passato ma si prende cura di ciò che è più vantaggioso per l'avvenire, ed esplora quello che ancora succedere, non ciò è già avvenuto. Pensare il contrario - che modo puerile di vedere le cose! - vorrebbe dire conside­rare il Creatore un inetto perché, essendosi le sue creature corrotte contro la sua volontà, egli avrebbe escogitato una so­luzione qualsiasi e, per punirle della loro corruzione, avrebbe

47 II,39,I5-I6.

.34.3

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provocato un male impressionante. Questo modo di vedere fa del Creatore un incapace 48 !

La ragione umana non può comprendere i giudizi segreti di Dio. Uno di tali misteri è appunto la geenna, creata solo per condurre alla perfezione morale chi non è riuscito a raggiungerla durante la vita terrena:

C'è un mistero nei tormenti e nella condanna della geenna, giacché il sapiente Creatore si è servito delle nostre azioni e delle nostre volontà malvagie come di un punto d'appoggio per realizzare il risultato futuro, secondo un'economia che contiene un sapiente insegnamento e un'utilità ineffabile ce­lati tanto agli angeli quanto agli uomini, nonché a coloro che soffrono il castigo - demoni o uomini che siano - e che reste­ranno nascosti per tutta la durata dell'attesa stabilita49 •

La geenna, dunque, più che un inferno è una sorta di purgato­rio, il cui fine è di salvare sia gli angeli che gli uomini. Esso tut­tavia è nascosto agli occhi di coloro che vi sono tormentati e sarà svelato solo nel momento della sua abolizione.

A questo punto !sacco riprende la discussione sull'incompati­bilità tra l'idea di ricompensa e quella della bontà di Dio, addu­cendo, a fil di logica, i seguenti argomenti:

344

Si parla di ricompensa quando chi ne è il dispensatore tie­ne più o meno conto del risultato delle buone o cattive azio­ni compiute e, in rapporto a quelle azioni, la sua conoscenza cambia al loro variare e i suoi disegni si modificano secon­do le circostanze. Ora, se il regno e la geenna non fossero sta­ti previsti dalla coscienza del nostro Dio sommamente buo­no contemporaneamente all'apparizione del bene e del male,

non ci sarebbe più un'economia eterna di Dio riguardo a essi e la giustizia o il peccato sareb~ero stati a lui sconosciuti pri­ma di essere messi in opera. E per questo che il regno e la geenna sono conseguenze della misericordia di Dio, da lui in­ventate secondo la sua bontà eterna e non come frutto di una ricompensa, anche se è stato dato loro questo nome. Ancora una volta, dire o sostenere che questo modo di fare non è in­triso d'amore e di misericordia è una bestemmia contro il Si­gnore Dio nostro. Se poi sosteniamo che è per farci soffrire e infliggerei tormenti e pene che egli ci sottopone al fuoco, allora attribuiamo all'essenza divina sentimenti di inimicizia contro gli esseri dotati di ragione che essa stessa ha plasma­to per pura bontà; analogamente, se affermiamo che agisce o pensa per cattiveria, spirito di rivalsa o desiderio di punire, è come se dicessimo che si vendica di se stesso50 .

Possiamo così constatare come !sacco si avvalga di tutte le ri­sorse disponibili per provare la sua tesi dell'incompatibilità tra castigo eterno e bontà del Creatore: egli si appoggia dapprima sulle Scritture e sui testi dei dottori della chiesa, per concludere poi con argomentazioni di ordine logico. Abbiamo già mostrato nel primo capitolo di questo libro come la dottrina di un Dio che è amore sia la forza motrice della sua teologia. Vediamo ora come essa si ripercuote nella sua escatologia.

L'amore di Dio si rivela nel destino ultimo del mondo

La dissertazione sull'amore infinito di Dio, iniziata nel di­scorso 39, prosegue nel successivo. !sacco vi afferma che l'amo-

'0 II,39,2I-22.

345

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re di Dio per le creature non subisce mutamento alcuno se esse cambiano. Abbiamo già accennato a questa concezione nel primo capitolo. Dio, per essenza è necessariamente lo stes­so da sempre, "riversa su tutta la creazione lo stesso amore e la stessa misericordia, immutabili, eterni e fuori del tempo" 51 •

Per !sacco è contro natura trovarsi lontani da Dio, e Dio non permette a chi si è allontanato da lui di rimanere per sempre in questa condizione. porta alla salvezza tutti coloro che sono caduti e si sono da lui. Ma questa salvezza non sarà lo-ro imposta per forza: dovranno rivolgersi spontaneamente a lui quando avranno raggiunto la maturità spirituale. Il per il quale la creazione è stata portata all'esistenza è indipendente dal cammino che essa ha intrapreso: prima o poi sarà ricondotta al suo fine. Ne discende la necessità della salvezza finale dei pec­catori e dei demoni:

È certo che Dio non li ha abbandonati al momento della loro caduta; pertanto, né i demoni rimarranno nella loro condizio­ne di demoni, né i peccatori persevereranno nel loro peccato: al contrario, egli ha intenzione di portarli tutti verso una stes­sa e identica perfezione in rapporto al suo essere personale, verso lo stato in cui si trovano fin d'ora angeli santi, nella ple:nezza dell'amore e in una coscienza impassibile. Egli ha voluto condurli a quell'eccellenza della volontà in cui non sa­ranno più né prigionieri, né liberi, né dagli impulsi del­l'Avversario, ma si troveranno in una conoscenza eccellente, nella quale i pensieri matureranno ai moti ricevuti da-gli divini, preparati dal nostro Creatore secondo la sua grazia. Saranno resi perfetti nel loro amore verso di lui e realizzati nella conoscenza che li porrà al di là di ogni incli­nazione malvagia dei loro impulsi52 .

, II,40,L 5> II,4o,4.

Secondo il pensiero di Isacco tutti quelli che si sono allonta­nati da Dio si volgeranno di nuovo a lui dopo un breve castigo nella geenna, predisposta al fine di purificarli nel fuoco del do­lore e del pentimento. Dopo aver attraversato questo fuoco puri­ficatore, aspetteranno di raggiungere uno stato simile a quello degli angeli:

Forse raggiungeranno la più perfezione e saranno an­cor più in alto dello stato in cui ora si trovano gli angeli, giac­ché saranno tutti abbracciati in uno stesso amore, una stessa coscienza, una stessa volontà, una stessa conoscenza perfetta; contempleranno Dio con desiderio insaziabile pieno d'amo­re, anche se quel disegno 53 si può provvisoriamente realizzare per una ragione nota solo a Dio e per un tempo da lui stabili­to, secondo il volere della sua sapienza54 •

Dio non dimentica nessuna delle sue creature e ciascuna ha un posto che la attende regno dei cieli. Per quelli che non so-no subito preparati a entrarvi ha previsto un periodo torio di tormenti nella geenna:

Dio non lascia nessun gruppo di creature dotate di ragione, quando si tratta di prepararle per quel regno sublime che è destinato a tutti gli uomini. In virtù della bontà della sua essenza alla quale dopo aver portato l'universo al-l'esistenza lo lo guida e se ne prende cura, tanto de-gli uomini quanto di tutte le altre creature - sua compassione ha progettato di costruire il regno dei cieli per l'insieme degli esseri dotati di ragione, anche se ha dovuto stabilire un periodo transitorio affinché ar­rivare tutti allo stesso livello. Il nostro modo di vedere con­corda con l'insegnamento delle Scritture. Tuttavia, anche se

'" Quello della geenna. 54 !1,40,5.

347

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limitata nel tempo, non per questo la geenna è meno tremen-da. Chi la può sopportare? Per questa "c'è gioia da-

per un solo peccatore si converte" (Le

Se dagli esseri dotati di ragione si dovesse una giusti-zia rigorosa, solo uno su diecimila- osserva Isacco- entrerebbe nel regno dei Per questo Dio ha donato all'uomo il rimedio del pentimento, capace di guarire in breve dal peccato. Dio "non vuole la morte del peccatore", e così ci ha donato il penti­mento per poterei rinnovare ogni giorno. Dio è buono in essenza e "vuole salvare tutto con qualsiasi mezzo" 56 •

L'opinione che la maggior parte degli uomini sarebbe con­dannata al fuoco dell'inferno e solo una piccola schiera di eletti potrebbe nel regno dei cieli è totalmente estranea a Isac­co. Al contrario, egli è convinto che la maggior parte degli uo­mini si ritroverà nel regno dei cieli e solo pochi malvagi e qualche peccatore saranno mandati alla geenna, e comunque so-lo il tempo necessario alla remissione loro peccati:

Secondo questa concezione della la maggior parte degli uomini entreranno nel regno dei senza aver fatto l' espe-rienza della geenna; tranne a causa della durezza di cuore e della sua totale inclinazione verso il male e la concupiscen­za, non ha il cuore frantumato per le sue colpe e i suoi pecca­ti, nella misura in cui non è stato ancora corretto. Giacché la santa Essenza è così buona e misericordiosa da essere conti­nuamente alla ricerca della minima occasione per rimetterei sulla retta via, allo scopo di poter perdonare i peccati degli uomini, come è successo al pubblicano giustificato dalla sua preghiera di contrizione (cf. Le 18,9-14), o alla vedova con le sue due monetine (cf. Mc I o alladrone che ricever-

I.

croce (cf. Le z 3 ,40-43). Dio infatti cerca la nostra non un pretesto per farci

La vita sulla terra è data all'uomo in vista della conversione. Basta che eglì si rivolga a Dio chiedendo perdono, perché i suoi peccati siano immediatamente perdonati58 . Ne abbiamo un pe­gno nell'incarnazione del Verbo di Dio il quale, giacendo tut­ta la creazione in mezzo a mali d'ogni sorta, discese sulla terra per riscattare l'umanità e l'universo intero con la sua morte in croce.

Lo studio dell'escatologia di I sacco è stato particolarmente ar-duo per l'autore di queste pagine. consapevoli che il suo insegnamento sulla salvezza di tutti gli uomini avrebbe lasciato perplesso più di un lettore. Dato il contesto, ab­biamo preferito non schierard a favore punto dì vista di Isac­co né dissociarci da esso. Ci riteniamo troppo lontani dalla sua pienezza spirituale e dalla sua visione mistica per osare propor­re una valutazione equilibrata e definitiva delle sue concezioni escatologiche. Vorremmo solo rispondere ad alcune domande - non per giustificare Isacco, cosa di cui un padre della chiesa non ha bisogno, ma per chiarire le ai lettori-, domande che noi ci siamo posti durante la lettura e la traduzione degli ultimi capitoli della seconda parte della sua opera.

Innanzitutto, in una tale concezione del dramma della storia umana, il bene e il male non stanno in definitiva sullo stesso piano fronte alla misericordia di Dio? Quale può essere il sen­so della sofferenza, della vita ascetica, della preghiera, se i giusti

57

58

349

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si trovano prima o poi nella stessa condizione dei peccatori? E ancora, in che misura l'opinione di Isacco corrisponde all'inse­gnamento dell'evangelo, in particolare al racconto del giudizio finale nel quale si parla di separazione delle "pecore" dai "ca­pri"? La sua dottrina non assomiglia forse a quella di Origene sull'apocatastasi, condannata a Costantinopoli nel vr secolo?

Bisogna prima di tutto ricordare che Isacco non rifiuta affatto l'idea della separazione delle pecore dai capri, anzi ricorre pro­prio a essa per affermare che non c'è via di mezzo fra la geenna e il regno dei cieli. Ma il suo pensiero si spinge più in là, in quanto egli ritiene che la separazione tra pecore e capri non sia né definitiva né immodificabile. Come abbiamo potuto consta­tare, Isacco non nega mai la realtà del giudizio finale, anzi, rac­comanda di ricordarsene ogni giorno. Quando ne parla, descrive concretamente la separazione tra i peccatori e i giusti. Tuttavia, secondo lui, questa separazione ha già avuto luogo nella vita pre­sente, nella quale c'è chi visita i malati, riveste gli ignudi, nu­tre gli affamati, e chi non lo fa. Questo è il senso della parabola: il giudizio finale non farà altro che rivelare lo stato che l'uomo ha raggiunto sulla terra. Isacco pertanto intende la parabola del giudizio non come affermazione dell'eternità dei castighi, bensì come ammonimento profetico rivolto a quanti, nella vita presen­te, non si curano del loro prossimo.

In secondo luogo, Isacco ci avverte che l'esperienza della geenna e della separazione da Dio è terribile e dura da sopporta­re anche se limitata nel tempo:

Stiamo attenti, miei amati, e cerchiamo di comprendere che un soggiorno nella geenna, anche limitato nel tempo, resta qualcosa di assolutamente terribile, e che il livello delle sof­ferenze ivi patite va al di là della nostra capacità di compren­sione59.

"II,4I,I.

350

Il castigo dell'amore di Dio che punisce i peccatori nella geen­na sembra a Isacco così orribile, che la sola possibilità di trovar­si all'inferno, anche per poco, lo obbliga a ricordarsene inces­santemente e a pregare di esserne liberato, lui e tutti quanti gli UOmllll.

In terzo luogo - probabilmente è il dato più importante - tut­ta la teologia di Isacco è direttamente basata su un'esperienza di unione mistica con l'amore di Dio. Un'esperienza simile esclude ogni possibilità di odio verso gli altri, al punto che colui che si trova sul gradino più elevato della pienezza spirituale ha conse­guentemente più possibilità di trovare posto nel regno dei cieli. In sé e per sé, l'esperienza dell'unione con il Dio-amore è fonte di una felicità così grande che colui che prega, che consacra se stesso a una vita ascetica o sopporta la sofferenza e la sventura, non pensa minimamente a una ricompensa futura. Nel mezzo della sofferenza, della preghiera o di una difficile ascesi egli ri­ceve la facoltà di unirsi senza intermediari a Dio. Il fine della preghiera, dell'ascesi e dei comandamenti non è di superare gli altri per ottenere un posto migliore nel regno futuro. Loro unico scopo è l'unione con Dio che si realizza fin da questa vita. L'in­contro con Dio e l'esperienza mistica diretta dell'unione con l'a­more di Dio sono l'unica giustificazione di tutto lo sforzo asce­tico, delle sofferenze e della lotta spirituale. In definitiva, l'in­contro con Dio è lo scopo ultimo di tutta la storia umana.

Quanto alla dottrina origenista dell'apocatastasi, si deve esclu­dere un parallelo diretto con Isacco. Per Origene l'apocatastasi non è ancora la fine del mondo, ma solo una tappa transitoria prima dell'apparizione del mondo nuovo. Sotto l'influsso plato­nico, Origene insegnava che era esistito un altro mondo prima della creazione di quello attuale e che dopo la restaurazione del­l'universo, quando questo mondo avrà termine, un nuovo mon­do verrà creato da Dio, e dopo questo un altro ancora e così di seguito senza fine. La caduta dell'uomo lontano da Dio e la sua conversione a Dio si ripeterebbero continuamente, e Dio si in-

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carnerebbe più di una, volta per prendere su di sé i peccati del mondo e riscattarli60 . E precisamente questo insegnamento, con­trario al messaggio evangelico sul carattere unico del sacrificio redentore di Cristo, che fu condannato dal sinodo di Costanti­nopoli del 543, insieme ad altre opinioni erronee di Origene, come quella riguardante la preesistenza delle anime61 .

Le radici dell'insegnamento di Isacco sulla salvezza universale non sono riconducibili a Origene - anche se può darsi che una volta o l'altra egli ne abbia avuto tra le mani le opere - giacché I sacco non deve nulla a influenze platoniche o d'altro genere, estranee alla fede cristiana. Su questo punto il suo insegnamen­to sì fonda unicamente su quanto è dichiarato dal Nuovo Testa­mento circa un Dio "che vuole che tutti gli uomini siano salva­ti" (ITm 2,4). Essenzialmente non è altro che uno sviluppo del pensiero di san Paolo secondo il quale, dopo l'avvento finale di Dio Padre e l'abolizione di tutti i principati e le potenze, do­po la sconfitta dì tutti i nemici e l'annientamento della mor­te da parte del Cristo Salvatore, Dio sarà "tutto in tutti" (ICor 15,28). Per Isacco la salvezza universale è una diretta conse­guenza dell'amore infinito di Dio per l'uomo, un amore che lo ha spinto a creare il mondo, a incarnarsi e a prendere su di sé i peccati degli uomini, al fine di salvarli e condurli nel suo regno che non avrà fine.

Può darsi che nel suo insegnamento teologico Isacco si sia spinto un po' oltre quanto è consentito dalla dottrina dogmatica tradizionale e abbia voluto spingere lo sguardo su territori anco­ra ignoti alla ragione umana. È anche possibile che fosse proprio l'insegnamento sui fini ultimi a far parte dei "tre punti" contro i quali Daniele Bar Tubanita rivolse i suoi scritti. Tuttavia Isacco non fu il solo a professare l'universalità della salvezza. Tra i suoi

6° Cf. Trattato sui principii III,5,3. 61 Ecco il passo-chiave in tal senso dell'editto di Giustiniano che sarà fatto proprio

dal sinodo di Costantinopoli: "Chi afferma la preesistenza delle anime e concorda con lui a proposito dell'apocatastasi ... ".

35 2

predecessori, oltre ai dottori della chiesa siriaca che abbiamo già menzionato, bisogna annoverare Gregorio di Nissa, che predicò la salvezza per tutti gli uomini e tutti i demoni, insegnamen­to mai condannato da nessun concilio, né ecumenico né loca­le62. La possibilità di una salvezza universale fu ammessa anche da Gregorio il Teologo (di Nazianzo), Massimo il Confessore e Giovanni Climaco63 , i quali partirono tutti dalla constatazione che nulla è impossibile a Dio e che, di conseguenza, egli può sal­vare il mondo intero. Peraltro, come sottolinea Massimo il Con­fessore, ogni uomo ha la facoltà di rifiutare la salvezza portata a compimento da Cristo. La salvezza non è obbligatoria per nessu­no: non saranno salvati se non quelli che "desiderano seguire" Cristo64 • Parole, queste, che contengono una precisazione im­portante rispetto alle affermazioni di Isacco circa la salvezza di tutti gli uomini.

L'ottimismo escatologico di un Isacco, di un Gregorio di Nis­sa e dei padri della chiesa che abbiamo appena citato non de­v' essere accolto come espressione dell'insegnamento dogmatico della chiesa. Esso tuttavia dà voce a una speranza condivisa da molti cristiani, cioè che ogni uomo, ad onta di ciò che sembra equo e giusto, riceverà, in virtù della misericordia del nostro Dio infinitamente buono, la possibilità di essere salvato.

62 Al contrario, il sesto concilio ecumenico lo cita tra i "padri santi e beati", e il settimo lo saluta come il "padre dei padri". Quanto al sinodo di Costantinopoli del 543 e al quinto concilio ecumenico (553), nei quali le dottrine di Origine furono con­dannate, è significativo che l'insegnamento di Gregorio sulla salvezza di tutti- per al­tro ben noto - non sia stato identificato con l' origenismo. I padri di quei concili cono­scevano un modo eretico di concepire tale salvezza (l'apocatastasi di Origene em legata alla sua dottrina sulla preesistenza delle anime), ma anche un modo ortodosso, basato su rCor 15,24-28.

63 Cf. Gregorio di Nazianzo, Discm!i 30,6, dove egli ammette, per quanto riguarda il castigo dei peccatori, una "interpretazione più conforme all'amore di Dio per gli uo­mini" alludendo all'insegnamento di Gregorio di N issa circa la salvezza universale. Cf. anche Massimo il Confessore, Esegesi del Salmo 59; Mistagogia 7; Qaes6ones et dubia r3; Giovanni Climaco, Scala del pamdiso 26: "Benché non tutti possano essere esenti da passioni, non è tuttavia impossibile che tutti siano salvati e si riconcilino con Dio".

6' Massimo il Confessore, Quaestiones ad Thalassium 63.

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CONCLUSIONE

Nel 1987 un giovane che aveva appena finito il servizio mi­litare si presentò in un piccolo monastero ubicato nel centro di una città baltica, oggi capitale di uno stato indipendente. Ogni giorno vi si celebravano lunghi offici, si leggevano a tavola le vi­te dei santi, in una parola vi si poteva trovare tutto ciò che oc­correva alla vita monastica, tranne una cosa: mancava un accom­pagnatore spirituale incaricato della formazione dei monaci e dei novizi. Egli allora cercò aiuto negli scritti dei santi padri e degli asceti della chiesa antica. Il novizio amava molto leggere gli scritti di !sacco il Siro e prendeva appunti durante la lettura. Decise di trascrivere sul muro della sua cella alcune sentenze che l'avevano particolarmente colpito, per averle sempre davanti agli occhi. Un po' per volta ne aggiunse delle altre. In capo a un an­no i muri della sua cella erano coperti di citazioni di !sacco: era­no diventate per lui come il pane quotidiano, senza il quale non avrebbe potuto sopravvivere nemmeno un giorno.

Questo non è che un esempio dell'attualità di !sacco il Siro per il monachesimo odierno. Senza esagerare, si può dire che il suo nome è noto a tutti i monaci della chiesa russa. Negli am­bienti ortodossi i suoi scritti godono della stessa popolarità dalla Grecia ai Balcani, dall'America alla Gran Bretagna. È uno degli autori più letti sul Monte Athos, e i suoi scritti hanno avuto un ruolo importante nella rinascita del monachesimo copto.

Ma l'influenza di !sacco non si limita all'ambiente monastico. Chi scrive ha potuto incontrare molti laici ferventi che lo amano

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profondamente e lo rileggono in continuazione. Gli è anche ca­pitato di sentire dei cristiani (né monaci, né preti, né teologi) ci­tarne passi a memoria. Evidentemente non solo quelli che han­no voltato le spalle al mondo ma anche quelli che vivono nel mondo trovano consolazione nelle sue parole, benché non siano tenuti a metterne in pratica i consigli.

Le parole di Isacco non hanno attraversato solo le frontiere del tempo: hanno anche varcato le barriere confessionali. A par­tire dal IX secolo egli era letto tanto dai bizantini e dai siro-or­todossi quanto dalla chiesa d'oriente, e ogni gruppo aveva una propria recensione dei suoi scritti. Nel xv secolo Isacco penetrò nell'universo cattolico, pur continuando a essere uno degli auto­ri spirituali più popolari dell'ortodossia. Nella nostra epoca i suoi scritti suscitano l'interesse di cristiani appartenenti a chie­se e tradizioni diverse che hanno tuttavia in comune la stessa fe­de in Gesù e la stessa ricerca spirituale. Mi ricordo di tre perso­ne che vennero a trovarmi dopo una conferenza che avevo appe­na tenuto sulla preghiera in Isacco. Erano, uno dopo l'altro, un monaco cistercense, un laico protestante e un monaco buddista. Tutti e tre furono stupefatti dai punti di contatto tra la dottrina di Isacco e la loro tradizione di preghiera. Dopo di loro un fran­cescano venne ad annunciarmi l'esistenza di una casa di riposo "Sant'Isacco di Ninive" in Nuova Zelanda, gestita insieme da cattolici e anglicani. ..

Il seo-reto del successo di Isacco nel mondo moderno è dovu-o to in primo luogo al fatto che egli non smette mai di parlare del-l' amore di Dio per gli uomini, un amore che non conosce limiti e ignora la vendetta per i peccati, un amore spinto fino al sacri­ficio che ha portato Gesù alla croce, che trionfa di tutto e da­vanti al quale né la morte né l'inferno resistono. Ricordarsi di un simile amore è necessario in ogni epoca della storia cristiana, giacché l'immagine di un Dio-amore appare spesso offuscata agli sguardi dei credenti, per fare spazio a quella di un Dio-giudice o carnefice, un Dio reputato "giusto" che ripaga ciascuno secondo

quello che ha meritato. E benché tutto l'evangelo affermi con chiarezza che la salvezza viene da un Dio misericordioso e non dagli sforzi degli uomini, che Dio salva i peccatori insieme ai o-iusti che vuole che tutti gli uomini siano salvati, nondimeno b '

c'è stata e persiste ancor oggi la tentazione di sostituire a una re-ligione d'amore una religione di schiavitù, ogni volta che l'osser­vanza dei comandamenti è considerata non come conseguenza diretta dell'amore dell'uomo per Dio, ma come inevitabile co­rollario della sua paura del castigo e della sua speranza in una ricompensa.

La parola di Isacco si rivolge a coloro che hanno paura di incontrare faccia a faccia l'amore di Dio. Questo incontro po­trebbe essere doloroso per quanti non possiedono un "cuore mi­sericordioso" per il loro prossimo, non sono liberi da gelosie e rivalità, si ritengono migliori degli altri. Chi è sinceramente per­suaso di salvarsi mentre gli altri saranno perduti non può ac­cogliere come si dovrebbe il discorso di Isacco sulla salvezza di tutti per l'universale misericordia di Dio. Chi spera di essere aiustificato nel giudizio finale mentre gli altri saranno condan­~ati non può concepire l'idea che ha Isacco di un Dio "ingiu­sto", davanti al quale tutti i peccati dell'umanità, come una manciata di sabbia, saranno gettati nell'oceano del suo amore per esservi dissolti. Chi si preoccupa della quantità delle pre­ahiere da dire invece che della loro qualità, è incapace di ap-o prezzare il suo insegnamento sulla "legge della libertà", che pre-ferisce il pensiero continuo di Dio e la stazione davanti alla cro­ce alle interminabili preghiere vocali. Chi vive alla superficie della vita cristiana e non desidera spingersi fino alle profondità dove si realizza il misterioso incontro dell'uomo con Dio, non può accettare il pensiero di Isacco sul necessario distacco da assumere rispetto al mondo per acquisire l'amore di Dio e del pross1mo.

Abbiamo già detto che Isacco, pur conducendo una vita da eremita aveva una visione universale, capace di abbracciare le

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sofferenze e i dolori del intero. È soprattutto a causa di questa visione che la sua opera, prodotta per una cerchia ristret­ta di solitari siriaci, è sopravvissuta alla sua epoca e si è diffusa ben oltre i confini della d'oriente, riuscendo a conqui­starsi un uditorio universale.

Vorremmo concludere questo libro con le parole che chiudono il discorso di I sacco sull'escatologia, alla fine della seconda par­te dei suoi scritti, e sono un invito alla conversione e alle ope­re buone. Benché le pene della geenna siano destinate a finire, scrive Isacco, esse sono spaventose e conviene prodigare tutte le proprie energie per sfuggirvi e avvicinarsi, fin da questa vita, al­le porte del regno di Dio. vita non è stata donata all'uomo perché la sprecasse in occupazioni vane, ma perché diventasse degno di Dio. Allora i misteri di Dio si rivelano all'uomo ed egli ha il diritto di dire:

Sforziamoci di gustare di Dio pensando incessante-mente a lui, e di della geenna che deri-va dalla negligenza. Evitiamo di disperderci in ogni sorta di cose trascurando la nostra vita di raccoglimento, evitiamo le chiacchiere vane e segrete come pure le negligenze evidenti, per poter provare quella misericordia dentro di noi. Nessuno meglio del ricco può parlare della ricchezza, mentre nes-suno può parlare della libertà di chi la possiede ... La bellezza della verità si confà a labbra; dò che è santo si confà a un santo ... Il fuoco il fuoco, e un cuore fer-vente deve conservare la bellezza di Dio nella santità 1.

Ogni uomo è chiamato a diventare teologo nel senso più ele­vato della parola, cioè uno al quale sono rivelati i misteri di Dio e che ha ricevuto il diritto di parlare liberamente con lui. Ogni uomo è anche chiamato a diventare per offrire a

ogni istante un sacrificio a Dio sull'altare del suo cuore, per sé stesso, per il suo prossimo e per il mondo intero:

Adorna te stesso di buone azioni, o uomo debole! Affinché ti sia concesso di celebrare come sacerdote 2 davanti a Dio, nel­la casa dei misteri, per ricevere l'unzione della santità da te dello Spirito, grazie a un'abbondante purezza ti lisce per la liturgia delle tue membra esteriori e per quella na­scosta nel segreto del tuo cuore. Disegna in te, esteriormente e interiormente, l'immagine della tenda che era stata in precedenza mostrata [a Mosè]. Riunisci nei tuoi sensi l' as­semblea delle virtù e offri a Dio nel tuo cuore, come un sacer­dote, un sacrificio puro. Offri un sacrificio di riconciliazione per i peccati di coloro che sono lontanP. E al posto del co­perchio d'oro che stava sopra l'arca (cf. Es nel tuo cuore la contemplazione dei misteri del Salvatore: è così

Dio ti inizierà a mirabili rivelazioni4•

Oxford, Pasqua 1996

2 CL rPt 2,5-9. Secondo il Liber graduum 12,2, "il cuore celebra come un sacerdo­te interiore".

>Cioè "fuori del tempio": i non cristiani che stanno al di fuori della chiesa. 4 Il,41,2.

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CHIAL.:l.., S., Dall'ascesi eremitica alla miseric01dia infinita. Ricerche su !sacco di Ninive e la sua fortuna, Leo S. Olschki, Firenze 2002.

HAUSHERR, I., "Un précurseur de la théologie scotiste sur la fin de l'Incarnation", in Recherc)Jes de scieuces religieuses 22 (1932), pp. 316-320, ripreso in Id., Etudes de spiritualité orie1ztale, Pro, Roma !969, pp. 1·5·

KHALIFÉ-HACHEM, "L'àme et les passions cles hommes d'après un texte d'Isaac de Ninive", in Parole de l'Orie11t r 2 (1984-1985), pp. 201-2!8.

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373

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MAserA, P. T., "The Gift of Tears in Isaac of Nineveh", in Diakonia I4 (I979), pp. 255-265.

PoPoVIé, J., "He gnoseologhia toù haghiou Isaàk toù Syrou", in Theo­loghia 38 (I967), pp. 206-225; 386-407.

TsiRPANLIS, C. N., "Praxis and Theoria. The Heart, Lave and Light Mysticism in Saint Isaac the Syrian", in The Patristic and Byzantine Review 6 (I987), pp. 93-I20.

V66Bus, A., "Eine neue Schrift von Ishaq von Ninive", in Ostkirchli­che Studien 2I (I9J2), pp. 309-3I2.

WARE, K., "The Meaning of 'Pathos' in Abba Isaias and Theodoret of Cyrus", inStudiapatristica 20 (I989), pp. 3I5-322.

374

INDICE

5 PREFAZIONE

I I Introduzione. I SACCO DI NINIVE, AUTORE SPIRITUALE DELLA CHIESA D'ORIENTE

I 2 La chiesa d'oriente al tempo di Isacco I7 La cristologia della chiesa d'oriente 23 Vita di !sacco di Ninive 28 Gli scritti di !sacco 33 Le fonti della teologia di !sacco

37 I. DIO, L'UNIVERSO E GLI UOMINI 3 7 L'amore di Dio si rivela attraverso il mondo creato 48 Struttura del mondo creato 56 L'incarnazione

I07 I08 II9

I3I

I32 I37 I44

I5I

I5I

I 57

II. LA VIA DEL SOLITARIO Solitudine e rinuncia al mondo Amore di Dio e amore del prossimo Quiete e silenzio Un cammino monastico verso Dio

III. LE PROVE SULLA VIA CHE CONDUCE A DIO Le tentazioni L'esperienza della derelizione (abbandono di Dio)

IV. L'UMILTÀ L'umiltà, mezzo per assomigliare a Dio L'umiltà interiore I segni esteriori dell'umiltà

V. LE LACRIME Il pentimento Lacrime amare e lacrime dolci

375

Page 191: Alfeev, I., La Forza Dell'Amore, Magnano, Qiqajon, 2003

r69 VI. UNA SCUOLA DI PREGHIERA qo La preghiera Iì9 Gli aspetti esteriori della ~-'"'-/'\""""" I94 La preghiera di fronte alla croce 207 La lectio divina 2r9 La preghiera notturna 229 La "legge della schiavitù" e la della libertà" 238 La preghiera per il mondo intero 247 La meditazione su Dio e la preghJera

259 VII. LA VITA IN DIO 260 La "preghiera spirituale" e la della mente" 266 La contemplazione 2 7 3 Visioni, rivelazioni, intuizioni 280 L"' accoglimento sotto l'ombra" e l'illuminazione 287 Lo stupore 296 L'"ebbrezza" d'amore per Dio 305 Fede e sapere

32 r VIII. LA VITA DEL SECOLO A VENIRE 322 Meditazione sul mondo a venire 326 La vita dopo la morte 33 7 Punizione eterna o salvezza universale? 345 L'amore di Dio si rivela nel destino ultimo del mondo

355 CONCLUSIONE

36r ABBREVIAZIONI E BIBLIOGRAFIA

Page 192: Alfeev, I., La Forza Dell'Amore, Magnano, Qiqajon, 2003

Finito di stampare nel mese di maggio 2003

M.S./Litografia, Torino

EDIZIONI QIQAJON- COMUNITÀ DI BOSE 13887 MAGNANO (BI)

TEL. 015.679.264 - FA..'C 015.679.290 e-mail: [email protected]

VOLUMI PUBBLICATI (2003)

COMMENTI BIBLICI

E. BIANCHI, L'Apocalisse di Giovanni

E. BIANCHI, L. MANICARDI, La carità nella chiesa

E. BIANCHI, Magnificat, Benedictus, Nunc dimittis

A. MELLO, Geremia

INDICE CONCETTUALE DEL MEDIO GIUDAISMO

r. Famiglia z. Sessualità

SPIRITUALITÀ BIBLICA

G. ALBERIGO, E. BIANCHI, C. M. CARD.

MARTINI E AA.Vv., La pace: dono e pmfezia

E. BIANCHI, Adamo, dove sei? Commento esegetico-spirituale a GenI-II

E. BIANCHI, B. CALATI, F. CoccHINI,

L lLLICH E AA.Vv., La lectio divina nel­la vita religiosa

E. BIANCHI, V. Fusco, B. STANDAERT E

AA.Vv., La Parola edifica la comunità

G. BRUNI, Mi chiameranno beata

J. CoRBoN, La gioia del Padre. Omelie per l'anno liturgico dal vangelo secondo Luca

V. Fusco, La casa sulla roccia. Temi spiri­tuali di Matteo

GRUPPO m DoMBES, Maria, nel disegno di Dio e nella comunione dei santi

A. MELLO, L'arpa a dieci corde. Introduzio­ne al Salterio

A. MELLo, Evangelo secondo Matteo. Com­mento midrashico e nan-ativo

A. MELLO, La passione dei profeti

M. M. MoRFINO, Leggere la Bibbia con la vita

F. Rossi DE GASPERIS, Maria di Nazaret. Icona di Israele e della Chiesa

SPIRITUALITÀ EBRAICA

A.-C. AVRIL, P. LENHARDT, La lettura ebrai-ca della Scrittura

M. BusER, Il cammino dell'uomo

A. CHOURAQUI, Gesù e Paolo. Figli d'Israele

Commenti rabbinici allo Shema' Jisra'el

P. DE BENEDETTI, Ciò che tarda avven·à

Detti di rabbini. Pirqè Avot

J. ELICHAJ, Ebrei e cristiani. Dal pregiudi­zio al dialogo

R. F ABRIS, Uno nella mia mano. Israele e Chiesa in cammino verso l'unità

R. GIRARD, La pietra scartata. Antigiudaismo cristiano e antropologia evangelica

J. HEINEMANN, La pregbiera ebraica

A.]. HESCHEL, Il canto della libertà

A.J. HESCHEL, La discesa della Shekinah

A.J. HESCHEL, L'uomo alla ricerca di Dio A. KACYZNE, Le perle malate

RABBI]ISHMA'EL, Il cantico presso il mare

RASHI DI TROYES, Commento al Cantico dei cantici

Un mondo di grazia. Midrash Tehillim. Let­ture dal midrash sui Salmi

PADRI ORIENTALI

ANTONIO IL GRANDE, Secondo il vangelo. Le venti lettere tradotte dall'arabo

Parole dal deserto. Detti inediti di Iperechio, Stefano di Tebe e Zosima

Page 193: Alfeev, I., La Forza Dell'Amore, Magnano, Qiqajon, 2003

Detti inediti dei padri del deserto

Paconlio e i suoi discepoli: regole e sCiitti

BASILIO DI CESAREA, Le regole

Umiltà e misericordia. Virtù di san Macmio

EvAGRIO PoNTICO, Per conoscere Lui

PsEUDO-MACARIO, Spirito e fuoco. Omelie spirituali

Nelfa tradizione basiliana. Costituzioni asce­tiche. Ammonizione a 1111 figlio spirituale

B. WARD, Donne del deserto

Cercare Dio nel deserto. Vita di Caritone

Nel deserto accanto ai fratelli. Vite di Gera­si m o e di Giorgio di Choziba

IsAcco DI NrNIVE, Discorsi spirituali e altri opuscoli

NICOLA DELLA SANTA MONTAGNA, Alle Oli­gini dell'Athos. Vita di Pietm l'Athonita

NERSES DI LAMBRON, If primato della cari­tà. Discorso sinodale

GREGORIO PALAMAS, "AbbassÒ i cieli e di­scese". Omelie

I PADRI ESICASTI, L'amore della quiete. L'e­sicasnlo bizantino tm il XIII e il xv secolo

PADRI OCCIDENTALI

GIOVANNI CASSIANO, Abba, cos'è la pre-ghiera? Conferenze sulla preghiera

CESARIO D'ARLES, Predicare la Parola

GREGORIO MAGNO, Crescere nella fede

ATTONE DI VERCELLI, Omelie

BRUNO DI QuERFURT, Storia di cinque com­pagni

STEFANO DI MuH.ET, L'evangelo e nient'altro

I PADRI CISTERCENSI, Una medesima cari­tà. Gli inizi cistercensi

I pADRI CERTOSINI, Una parola dalsilwzio. Fonti certosine, L Le lettere

PADRI CERTOSINI, Fratelli nel deserto. Fonti certosine, IL Testi nonnativi, testi­monianze documentarie e lettermie

PADRI MONASTICI DEL XII SECOLO, [a sa­pienza del cuore

PADRI OLIVETANI, Per una rinnovata fe­deltà. Fonti olivetane: i pizì importanti documenti, le più antiche cronache e le più rilevanti testimonianze letterarie

GuGLIELMO DI SAINT- THIERRY, Contem­plazione

GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Natura e grandezza dell'amore

GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Dalla me­ditazione alla preghiera

GUGLIEUvlO DI SAINT-THIERRY, Commento al Cantica dei cantici

GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Lettera d'ara

GUERRrco D'IGNY, Sermoni

BALDOVINO DI FORD, Perfetti nell'amare

GurGO II CERTOSINO, Tomerò al mio cuore

Regale monastiche d'accidente. Da Agosti-na a Francesca d'Assisi

SPIRITUALITÀ ORIENTALE

P. DESEILLE, Il vangelo 11el deserta. Un iti­nerario di spiritualità

N. DEVILLIERS, Alrtania e la latta spirituale

P. DESEILLE, E. BrANCHI, Pacamia e la vi­ta comunitaria

L. REGNAULT, Ascoltare oggi i padri del de­serta

E. BrANCHI, TH. MERTON E AA.Vv., Ab­ba, dimmi u11a parola!

D. BuRTON-CHRISTIE, La parola nel deser­ta. Scrittura e ricerca della santità

G. GouLD, La comunità. I rapporti /ratemi nel deserta

Fuoco ardente. Guida spirituale

P. MrQUEL, Lessico del deserta. Le parole della spùitualità

S. BROCK, M. CORTESI, A. DE VOGUÉ,

].-R. PoucHET E AA.Vv., Basilia tra oriente e accidente

G. BUNGE, Akedia. Il male oscuro

G. BUNGE, La paternità spirituale. Nel pen­siero di Evagria

G. BuNGE, Vasi di argilla. La prassi della preghiera personale

G. BUNGE, Vi11o dei draghi e pane degli an­geli. Dall'ira alla mitezza

I. fuFEEV, La forza dell'amare. L'universo spirituale di [sacco il Siro

I. HAUSHERR, Philautfa. Dall'amore di sé alla carità

IGNAZIO E TEODOSIO DI MANJAVA, Sottomes­si all'euangelo. Vita di Iou di Man;aua, Te­stamento di Teodosio. Regola dello skytyk

PAISIJ VELrCKOVSK!J, Autobiografia di ur1o starec

S. SALVESTRONI, Dostoeuskii e la Bibbia

P. EvDOKIMOV, Serafim di Sarot•, uomo dello Spirito

N. ARSENIEV, V. LossKY, Padri nello Spi­rito. La paternità spirituale in Russia

]. B. DUNLOP, Amt•rosii di Optirw

P. A. FLORENSKIJ, Il sale della ten·a. Vita dello starec Isidom

L fuFEEV, La gloria del Nome. L'opera del­lo schimonaco I!arion e la controuersia athonita sul Nome di Dio all'inizio del xx secolo

SILVANO DELL'ATHOS, Non disperare! Scrit­ti inediti e vita

N. KAUCHTSCHISCHWILI, Mat' Mariia. If cammino di una monaca. Vita e scritti

L BALAN, Volti e parole dei padri del deserto romeno

A. ScRIMA, Il padre spirituale

MATTA EL MESKIN, L'esperienza di Dio nella preghiera

MATTA EL MESKIN, Comunione nell'amore

MATTA EL MESKIN, Il cristiano: nuova creatura

V. LosSKY, Conoscere Dio

G. FLOROVSKIJ, Cristo, lo Spirito, la chiesa

M. LOT-BORODINE, Perché l'uomo diuenti Dio

S. S. AvERINCEV, S. S. CHORUZIJ, O. A. SEDAKOVA E AA.Vv., L'accidente visto dall'arimte

I. ZrZIOULAS, Il creata come eucaristia

L ZrziOULAS, Eucaristia e regna di Dia

O. CLÉl\·lENT, Occhio di fuoco. Ems e kosmas

K. \'7ARE, Dire Dio oggi. Il cammina del cristiano

K. W ARE, Riconoscete Cristo in vai?

G. KHOD!è', Nella nudità di C1isto

AA.Vv., Lo Spirito e la chiesa

AA.Vv., Giovarmi Climaca e il Sin ai

AA.Vv., Amare del bella. Studi sulla Fila-calia

AA.Vv., Nicodema l'Aghiorita e la Filacalia

AA.Vv., San Sergio e il sua tempo

AA.Vv., N il Sarskii e l'esicasmo

AA.Vv., Paisii, la starec

AA.Vv., San Serafim: da Sarov a Diveeva

AA.Vv., Siluano dell'Athos

AA.Vv., La grande vigilia

AA.Vv., L'autunno della Santa Russia

AA.Vv., La notte della chiesa russa

AA.Vv., Fanne della santità russa

AA.Vv., Vie del monachesima russa

SPIRITUALITÀ OCCIDENTALE

E. BrANCHI, Il mantello di Elia. Itinerario spirituale per la vita religiosa

E. BrANCHI, Non siamo migliori. La vita re­ligiosa uelfa cbiesa, tra gli uomini

PrccOLA SORELLA ANNIE DI GEsÙ, Charles de Faucauld

A. CHATELARD, Cbarles de Foucauld. Verso Tamanrasset

H. TEISSIER, c. DAGENS, P. s. RAYMONDE­

ANDRÉE, A. CHATELARD, P. SEQUERI

E AA.Vv., Charles de Faucauld. L'elo­quenza di una vita secar1do l'evangelo

B. CHENU, Tracce del volto. Dalfa parafa alla sguanla

C. FALCHINI, Monachesiwa: un cammina di urtificaziolle

C. GENNARO, Chiara d'Assisi

D. GoNNET, A11che Dio conosce la so/fere11za

L.-A. LAssus, Elogio delnascondimenta

]. LEcLERCQ, San Bemarda e la spirito ci­stercense

A. LouF, Generati dallo Spirito. L'accom-pagnamento spirituale oggi

A. LouF, Sotto la guida dello Spirito

A. LouF, La Spirito prega in noi

A. LouF, La t•ita spirituale

TH. MATURA, Celibato e comunità

TH. MATURA, E lasciato tutta lo seguirono. Fo11damenti biblici della vita religiosa

Page 194: Alfeev, I., La Forza Dell'Amore, Magnano, Qiqajon, 2003

TH. MATURA, Fmncesco, maestro nello Spirito TH. MATURA, Incontri con Francesco d'Assisi G. Mrccou, Seguire Gesù povero. Nel Te­

stamento di Francesco d'Assisi

TH. MERTON, Un vivere alternativo L. MIRRI, La dolcezza nella lotta. Donne e

ascesi secondo Girolamo F. VARILLON, L'umiltà di Dio

LITURGIA E VITA

L. BouYER, Architettura e liturgia

O. CLÉMENT, Le feste cristiane

A. CoNTESSA, Gerusalemme, promessa e profezia

F.-X. DURRWELL, Eucaristia ed evangeliz­zazione

C. GIRAUDO, Conosci davvero l'eucaristia?

A. NocENT, Liturgia semper refonnanda. Rilettura della rijo1ma liturgica

Segno di unità. Le più antiche eucaristie del­le chiese

C. V ALENZIANO, L'anello della sposa. La celebrazione dell' Eucm-istia

AA.Vv., Vincolo di carità. La celebrazione eucaristica 1-innovata dal Vaticano II

PREGHIERA E VITA

E. BrANCHI, Via Crucis. Meditazioni e testi poetici sulla Passione

A. BwoM, La preghiem giorno dopo giorno

A. BLOOM, Ritornare a Dio. Pentimento, confessione e co1nunione

C. MASSA, Il tempo del vivere

MATTA EL MESKIN, Consigli per la preghiera

Preghiere della tavola. Benedizioni per i pasti B. STANDAERT, O. CLÉJ\1ENT, Pregare il

Padre nostro Un raggio della tua luce. Preghiere allo Spi­

rito santo J.-P. VAN ScHOOTE, J.-C. SAGNE, Miseria e

misericordia. Perché e come confessarsi oggi

SEQUELA OGGI

J. BASTAIRE, Eros redento. Amore e ascesi

P. BEAUCHAMP, A. LouF E AA.Vv., La so-littldine: grazia o maledizione?

A. BLOOM, Vivere nella chiesa

D. BoNHOEFFER, Memoria e fedeltà

G. BRUNI, Servizio di comunione. L'ecume­nismo nel magistero di Giovanni Paolo II

M. DE CERTEAU, Mai senza l'altro. Viaggio nella differenza

D. F. FoRD, Dare fanna alla vita. Suggeri­menti spirituali per la vita quotidiana

D. HAMMARSKJOLD, Tracce di cammino

X. LACROIX, Il co1po e lo spirito. Sessualità e vita cristiana

F. LovsKY, Verso l'unità delle chiese

R. MANCINI, Il silenzio, via verso la vita J.-P. MENSIOR, Percorsi di crescita umana e

cristiana B. STANDAERT, Le tre colonne del mondo.

ìfldemecum per il pellegrino del }(XI secolo H. TEISSIER, Accanto a un amico. Lettere e

scritti dall'Algeria X. THÉVENOT, Le ali e la brezza. Etica e vi­

ta spirituale X. THÉVENOT, Avanza su acque profonde! J.-M. R. TILLARD, La morte: enigma o mi­

stero? C. VALENZIANO, Vegliando sul gregge. "Sen­

so del pastore" e piani pastorali R. WILLIAMS, Il giudizio di Cristo. Il pm­

cesso di Gesù e la nostra conversione

TIVEU!-liXTlXOl - SPIRITUALI

BARTHOLOMEOS I, Gloria a Dio per ogni cosa

A. BwoM, Alla sera della vita

A. LoUF, Cantare la vita TH. MERTON, La contemplazione cristiana M. VAN PARYS, Incontrare il fratello

R. CARD. ETCHEGARAY, Che ne hai fatto di Cristo?

ARcHIMANDRITA SoFRONIO, La preghiera: un'opera infinita

SYMPATHETIKA

G. ALBERIGO, Chiesa santa e peccatrice G. ANGELINI, Le ragioni della scelta M. AssENZA, Ricollocarci nel vangelo E. BrANCHI, Aids. Vivere e morire in comu-

nione E. BrANCHI, Come evangelizzare oggi E. BIANCHI, Come vivere il giubileo del 2000

E. BIANCHI, L. MANICARDI, Accanto al ma­lato. Riflessioni sul senso della malattia e sull'accompagnamento dei malati

E. BIANCHI, C. M. CARD. MARTim, Parola e politica

CH. BoBIN, L'uomo che cammina

S. CHIALÀ, "Discese agli inferi"

O. CLÉMENT, Il potere croci/isso

P. DE BENEDETTI, E l'asina disse ...

F.-X. DURRWELL, L'eucarestia presenza di Cristo

A. LoUF, L'umiltà

S. NATOLI, Il cristianesimo di un non cre­dente

Povertà e condivisione nella chiesa

PADRI DELLA CHIESA: VOLTI E VOCI

l PADRI DEL DESERTO, Detti editi e inediti !sACCO DI NrNIVE, Un'umile speranza

PATERIKA

Misericordia sempre. Casta meretrix, in al­cuni testi dei padri della chiesa

Uomini e animali. Visti d4i padri della chiesa

POESIE

D. BoNHOEFFER, Poesie D. CIARDI, Non basta la ten·a. Poesie Brucia, invisibile fiamma. Poesie pa ogni

tempo liturgico R. M. R!LKE, Vita di Maria

R. A. AL VES, Parole da mangiare L. GoBBI, Lessico della gioia E. DE LucA, Ora prima A.JoLLIEN, Elogio della debolezza