Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

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POESIE SCELTE ALEIANDRA PIZARNIK Tradotta da Florinda Fusco Madre di creature ferite 1. Costretta dietro reticoli d’ombre, incespica la pupilla che a stento tiene a distanza il morso, la bocca da cui la notte scivola (quale non era stata mai nel libro dei millenni, immensa, arrossata radice sull’arco inteso alla gelida eco dell’ultimo grido) – scivola, straripa, s’avanza a strappi nutrita di sogni in tutti i pori, marea danzante di acque che seminano spine rovi di brina per fingere parole – ha un sonaglio di alghe macerate sulla lingua e tra le labbra nomi naufragati, per ogni ora un’onda che cancella la tristezza e lenisce piaghe di abbandono – in cambio chiede respiri, carnali schegge d’alba una memoria inerte, spianata di ogni traccia, di ogni seme, ogni pensiero spento.

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POESIE SCELTE

ALEIANDRA PIZARNIK

Tradotta da Florinda Fusco

Madre di creature ferite

1.

Costretta dietro reticoli d’ombre, incespica

la pupilla

che a stento tiene a distanza il morso, la bocca

da cui la notte scivola (quale non era stata mai

nel libro dei millenni,

immensa, arrossata

radice sull’arco

inteso alla gelida eco dell’ultimo

grido) –

scivola, straripa, s’avanza a strappi

nutrita di sogni in tutti i pori,

marea danzante di acque che seminano spine

rovi di brina per fingere parole –

ha un sonaglio di alghe macerate sulla lingua

e tra le labbra nomi naufragati,

per ogni ora

un’onda che cancella la tristezza

e lenisce piaghe di abbandono – in cambio

chiede respiri, carnali schegge d’alba

una memoria inerte, spianata

di ogni traccia, di ogni seme, ogni pensiero spento.

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Lontano,

altri deserti accolgono

il sangue disperso delle rose –

intrecciano oasi

per dare riparo a un’ala alla sua foce,

dimore dove un chiarore accende

desideri impensabili di vita

tra simulacri di anime migranti nell’afasia dei giorni

– muti, invisibili, inascoltati palpiti di mondo

davanti a tavole imbandite,

nel dormitorio che ci consola

di diventare ciechi, esistere da morti

appena nati.

*

Il cerebro mareggia nel nulla del crepuscolo

ingrigia, fiamma, al suono che di specchio

in specchio

scorta la mano alle estasi del vino,

all’ammasso lunare

che attesta la nascita alberata della sera

– una mano ancora aperta

al baratro del sonno, con la sua ciotola

il suo pane marcio di detriti

arenati sulla soglia di un dolore cristallino

(anche lo schermo

soffre il segreto

del suo occhio verdemare sempre acceso,

la retina spezzata dall’onda che preme

la mandibola, il respiro) –

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e di là il lutto, la predica imputridita

in mille lingue,

la benedizione oppressa di numeri,

di cumuli di tempo,

di morti assediati di colori.

Il drappo che sventola sdrucito

al sommo dalle nostre vite, è già domani –

un mosaico

di bave

di gabbiani, l’arcobaleno lacerato

da sguardi ammutoliti di clessidra,

dalla moneta che fissa la paga di caronte

prima dell’ultimo giro di giostra,

poco prima del canto dell’ultima sorgente.

E c’è chi risponde latrando

accenti sterili di resa

mentre il sale lentamente cresce come un rivolo

di lava, e a fiotti intermittenti

matura d’ombre quella fonte, scava

ci abita, solidifica notti lungo il viso.

*

Non ricoprire di pietre

l’immagine che dal respiro cresce, ricresce

fino a tentare il sonno

di un dio imbiancato di rughe e di tramonti,

la sua ombra non mai coniugata

di pianto (il paradiso lo scopri nel breve volo

di un bambino

senz’ali – lo vedi, beve dalla tua bocca

anni sfioriti, frutto dell’incesto

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tra miseria e miseria) –

un dio consacrato dalla sabbia

che finge neve satura di pollini

il chiarore di luminarie senza giorni,

offerte votive di frutti e di stagioni

le mani del carnefice –

e già tutto il dolore è niente, il mondo

è niente,

è tutto ciò che avviene

nella traccia ammuffita di voci e di alfabeti,

un segno che aggiunge note

a partiture di angeli malati,

a geometrie di vuoto.

Solo l’ora in attesa

al limitare di un libro

colmo di figure senza anagrafe, questo stormo

inquieto di minuti

cui sbarra la rotta un presagio di uragani

e il cielo spinge

a rovescio dell’ultimo orizzonte,

recita il suo rosario di polvere e derive

– un fragore sordo, un frangere di relitti

contro lo scoglio della prima lacrima

che reca in sorte immagini

affrancate,

memorie limpide di voci, di futuro.

*

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La casa sul confine della sera

ti fa cenni di saluto, accende lampade di addio

nelle pupille nere del ricordo.

Tua madre visita in silenzio angoli di cielo

numerando le ombre una a una, raccogliendo

macule di stelle

dai capelli che conserva dentro il palmo (ieri

sorpresa come una fontana

nel gioco delle ore, si fermò

orfana di giorni

ad illustrarti i fiori del giardino, la morte in attesa in mille

e mille petali di luce) –

Tu oggi nuoti nel guado assolato dei meriggi

e nomini il sangue

che ti germoglia in bocca parole senza suono –

qui è il presente –

dove un grido conficcato nel petto

traduce in sillabe di fiamma

il lontano dei mari

immobili sotto il peso di vite a pelo d’onda.

*

Coscienza: quanto rimane al bivio

tra dirupati alvei colmi di storia, crimini e macerie

e l’urlo inudibile di comete dissolte

dietro gli occhi –

traccia di acque abrase

che ancora si dura e in parte schiuma

dove è giusto albeggiare ricoperti di schegge

e al silenzio offrire quanto tra i vivi

è ancora vita, neve fragrante in ceste

di parole (il vuoto intorno

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cumula nidi di palude per l’ala che si cerca

e nuda annaspa

dopo il naufragio dell’ultima speranza) –

Il fuoco spento, a misura degli sguardi

rischiara ancora il cielo ai vincitori

– le case, fatte di calce e cenere

perdono vento in flutti salati di preghiera, confuse

nell’ombra di una stella

che porta inciso dentro il nome seme,

l’attimo che ferocemente cerca luce.

(Solo l’esilio resta

agli ultimi abitatori delle sabbie – migrare ai chiostri

dell’aurora, trascinando sul labbro

il sogno di pianure senza notte

– attraversare cammini di spine, tra simulacri

di immagini mute rapprese dentro l’ambra,

curvi presagi

dell’era glaciale prossima a venire).

Non lavare le mani alle mie rive,

mormora l’alba ad ogni nuovo incontro,

non ripulire il fango

prima di ricamare croci sulla fronte –

piuttosto

addestra la tua polvere

a essere voce che parla in altri segni,

sbozzola i fossili

fanne scorza di pane e vino – il pasto che conforta

il dolore di un dio senza più figli,

nel silenzio del suo mondo che va cieco.

Page 7: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

*

Che tu sia maledetto in eterno

signore degli eserciti

dominatore di sabbie millenarie

di regni appesi al cielo o chiusi

a scrigno in cattedrali d’alba

impastate di lacrime e di sangue

pietra su pietra, luce su luce

abisso azzurro di puttane e mercanti di stagioni

di teste mozze, di acque di sorgenti deflorate

di bambini immolati alla tua gloria

di donne stuprate, di voci calpestate

di occhi ridotti a squame dal fuoco che purifica

e porta pace in terre di tormento –

dio dei poeti che parlano in tuo nome

di crociati armati di membri benedetti

per inseminare il bene in moltitudini malate

per scacciare il male alla radice

dal midollo venduto pochi denari al chilo

dalle vagine sventrate a colpi di preghiera

di vergini infanti che partoriranno sale

non più corpi di cani, di infedeli.

Che tu sia maledetto, relitto osceno del diluvio

idolo che si quieta nel furore,

notte di notti, immagine di notti –

maledetta la tua stirpe di ombre salmodianti

di morti assiepati sotto le tue grasse insegne.

Page 8: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

Guardami –

io che non so pregare, che non ho mai pregato

io oggi prego

non te, i tuoi feroci altari

ma il respiro che parla nei sogni di mio figlio

– il respiro della mano

che al risveglio gli accarezza il viso

mentre in silenzio depone un fiore

nell’urna d’aria della luce

– un fiore per non dimenticare

i mille giorni e mille, tutti i mancati soli

le voci assenti, recise sullo stelo

dei suoi fratelli che non avranno nome.

*

Luminescenti segnali di festa in ogni strada –

ai margini, come seguendo orme

senza suono,

il passo ampio di chi si impenna e vola

dove il silenzio è madre,

il dono di un’ora che si trascina

fino a che il mondo emerge dalla sua pelle infetta

e si abbandona al richiamo

del lume che tace nel profondo (il papavero

intanto

assorbe nel colore

i nomi in cui trapianta la sua sera, la nuda piaga

delle spighe sradicate) –

Declinare la cenere, coniugare gli occhi

a immaginari residui di scintille,

Page 9: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

per dismisura di umano bruciare divise e bandiere

dare fuoco ai giorni di dicembre

procurarsi una lingua

che parla il seme e il verbo del disgelo

camminare di fianco all’angelo

che recita i nomi degli assenti

essere le sue gambe, l’acqua che porta alle sue labbra –

e ancora urlare quanto negli occhi resta

trapassando dal sonno

alla veglia misericordiosa delle ali,

portare la sua ombra stretta al dito

reggere grani e vento, farsi sete.

Farsi sete – cercare il ristoro di ogni fonte

abbeverarsi all’eco

dell’altro che reca in mano

la voce ferita che ci salva,

l’alfabeto dell’unico cielo che ripara.

*

Nota

I testi di Madre di creature ferite

sono tratti da Hairesis (2004-2005),

E-book, Milano, Biagio Cepollaro Edizioni, 2007.

Page 10: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

Figlia del vento

Sono venuti.

Invadono il sangue.

Profumano a piume,

A mancanza, a pianto.

Però tu alimenti la paura

e la solitudine

come due animali piccoli

perduti nel deserto.

Son venuti

ad incendiare l’età del sogno.

Un addio è la tua vita.

Però tu ti abbracci

come la serpe pazza del movimento

che solo ritrova se stessa

poiché non c’è nessuno.

Tu piangi sotto il pianto,

tu apri il baule dei tuoi desideri

e sei più ricca della notte.

Però c’è tanta solitudine

che le parole si suicidano.

*

Il silenzio

il silenzio

io mi unisco al silenzio

io mi sono unita al silenzio

e mi lascio fare

e mi lascio bere

e mi lascio dire

Page 11: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

*

i naufraghi dietro l’ombra

abbracciarono quella che si suicidò

con il silenzio del suo sangue

la notte bevve vino

e ballò nuda tra le ossa della nebbia

*

animale lanciato dietro la sua traccia più lontana

oppure ragazza nuda seduta sull’oblio

mentre la sua testa rotta vaga piangendo

alla ricerca di un corpo più puro (*)

*

Dopo

quando saranno morti

io ballerò

persa nella luce del vino

e nell’amante di mezzanotte

*

Page 12: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

viaggiatrice dal cuore d’uccello nero

tua è la solitudine a mezzanotte

tuoi gli animali saggi che popolano il tuo sogno

nell’attesa della parola antica

tuo è l’amore ed il suo suono a vento spezzato

*

Io canto.

Non è invocazione.

Soltanto nomi che ritornano.

*

Il silenzio è luce

il canto sapiente dell’infelicità

emana un tempo primitivo:

io cercavo la pietra e non il pane

un inno innocente e non le maledizioni,

la conoscenza dei miei nomi

per dimenticarli e dimenticarmi;

però quello che non cercai è l’esilio

e neppure mi raccontai bugie

non adorai il sole

ma non mi aspettavo questa luce nera

al filo del mezzogiorno

*

Come dita girando con premeditazione

Come dita di morto toccando la sola corda di un’arpa

Come ali pesanti quando sogno che dormo ad occhi aperti

Come il sole che si oscura nel mio sguardo

Come l’oscurità disunita in tutta la notte della mia vita

Come i cani nella mia ombra.

*

Page 13: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

colei che aspetta insonne

trema sulla pagina bianca

lancia sale agli occhi dell’assassino

ed è un mondo bianco e senza te

NOTTURNO DI CHOPIN PER

UN PIANISTA DI QUATTRO ANNI

La sua musica mi porta

ad una scogliera con un uccello

che gioca a sentirsi cantare.

La sua musica mi illumina nella pioggia

per dove andiamo io ed una gabbia vuota.

La notte

So poco della notte

ma la notte sembra sapere di me,

e in più, mi cura come se mi amasse,

mi copre la coscienza con le sue stelle.

Forse la notte è la vita e il sole la morte.

Forse la notte è niente

e le congetture sopra di lei niente

e gli esseri che la vivono niente.

Forse le parole sono l’unica cosa che esiste

nell’enorme vuoto dei secoli

che ci graffiano l’anima con i loro ricordi.

Ma la notte deve conoscere la miseria

che beve dal nostro sangue e dalle nostre idee.

Deve scaraventare odio sui nostri sguardi

sapendoli pieni di interessi, di non incontri.

Page 14: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

Ma accade che ascolto la notte piangere nelle mie ossa.

La sua lacrima immensa delira

e grida che qualcosa se n’è andato per sempre.

Un giorno torneremo ad essere.

*

La danza immobile

Messaggeri nella notte annunciarono quello che non ascoltammo.

Cercammo sotto l’ululato della luce.

Arrestammo l’avanzamento di mani inguantate

che strangolavano l’innocenza.

Ma se si nascosero nella dimora del mio sangue,

perché non mi trascino fino all’amato

che muore dietro la mia tenerezza?

Perché non fuggo

e mi inseguo con coltelli

e deliro?

Di morte si è tessuto ogni istante.

Io divoro la furia come un angelo idiota

invaso di erbacce

che impediscono di ricordare il colore del cielo.

Ma loro ed io sappiamo

che il cielo ha il colore dell’infanzia morta.

*

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La luce caduta della notte

spargi sfinge

il tuo pianto sul mio delirio

cresci cosparsa di fiori nella mia attesa

perché la salvezza celebra

l’abbondanza del nulla

spargi sfinge

la pace dei tuoi capelli di pietra

sul mio sangue rabbioso

io non capisco la musica

dell’ultimo abisso

io non so del sermone

del braccio di edera

ma voglio appartenere all’uccello innamorato

che trascina le ragazze

ebbre di mistero

amo l’uccello sapiente in amore

l’unico libero

I testi proposti sono stati scelti dal traduttore tra quelli non raccolti in libro.

Traduzione dallo spagnolo di Alessandro Prusso

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AAA

*

La danza immobile

Messaggeri nella notte annunciarono quello che non ascoltammo.

Cercammo sotto l’ululato della luce.

Arrestammo l’avanzamento di mani inguantate

che strangolavano l’innocenza.

Ma se si nascosero nella dimora del mio sangue,

perché non mi trascino fino all’amato

che muore dietro la mia tenerezza?

Perché non fuggo

e mi inseguo con coltelli

e deliro?

Di morte si è tessuto ogni istante.

Io divoro la furia come un angelo idiota

invaso di erbacce

che impediscono di ricordare il colore del cielo.

Ma loro ed io sappiamo

che il cielo ha il colore dell’infanzia morta.

*

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ALTRE POESIE

*

Anillos de ceniza

(a Cristina Campo)

Son mis voces cantando

para que no canten ellos,

los amordazados grismente en el alba,

los vestidos de pájaro desolado en la lluvia.

Hay, en la espera,

un rumor a lila rompiéndose.

Y hay, cuando vien el día,

una partición del sol en pequeños soles negros.

Y cuando es de noche, siempre,

una tribu de palabras mutiladas

busca asilo en mi garganta,

para que non canten ellos,

los funestos, los dueños del silencio.

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Anelli di cenere

(a Cristina Campo)

Sono le mie voci che cantano

affinché non cantino loro,

gli imbavagliati grigi nell’alba,

i vestiti di un uccello devastato nella pioggia.

C’è, nell’attesa,

un rumore di lillà che si rompe.

E c’è, quando arriva il giorno,

una partizione del sole in piccoli soli neri.

E quando è notte, sempre,

una tribù di parole mutilate

cerca asilo nella mia gola,

perché non cantino loro,

i funesti, i padroni del silenzio.

*

Page 19: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

*

Resti. Per noi rimangono le ossa degli animali e degli uomini. Dove

una volta un ragazzo e una ragazza facevano l’amore, ci sono ceneri]

e macchie di sangue e pezzettini di unghie e ricci pubici e una vela

piegata che usarono con fini oscuri e macchie di sperma sopra il

fango e teste di gallo e una casa diroccata disegnata sulla sabbia, e]

pezzetti di fogli profumati che furono lettere d’amore e la rotta sfe-]

ra di vetro di una veggente e lillà appassiti e teste tagliate su guan-]

ciali come anime impotenti tra asfodeli e tavole crepate e scarpe

vecchie e vestiti sul fango e gatti malati e occhi incrostati in una

mano che scivola verso il silenzio e mani con anelli e schiuma nera

che schizza su uno specchio che nulla riflette e una bambina che

dormendo asfissia la sua colomba preferita e monetine di oro nero

risuonanti come zingari di dolore che suonano i loro violini a con-

chiglie del mar Morto e un cuore che batte per ingannare e una rosa]

che si apre per tradire e un bambino che piange di fronte a un cor-

vo che gracchia e l’ispiratrice si maschera per eseguire una melodia

che nessuno capisce sotto una pioggia che calma il mio male. Nes-

suno ci ascolta, per questo pronunciamo preghiere, ma guarda! Lo

zingaro più giovane sta decapitando con i suoi occhi di saracco la

bambina della colomba.

Io ero predestinata a nominare le cose con nomi essenziali. Io non

esisto più e lo so; quello che non so è che cosa vive al posto mio.

Perdo la ragione se parlo, perdo gli anni se sto in silenzio. Un vento

violento distrusse tutto. E non aver potuto parlare per tutti quelli

che dimenticarono il canto.

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Per un minuto di vita breve

per un minuto vedere

nel cervello piccoli fiori

che danzano come parole sulla bocca di un muto

Lei si spoglia nel paradiso

della sua memoria

lei non conosce il destino feroce

delle sue visioni

lei ha paura di non saper nominare

ciò che non esiste

Salta con la camicia in fiamme da stella

a stella, da ombra in ombra. Muore di

morte lontana quella che ama il vento.

Ora

in quest'ora innocente

io e colei che fui ci sediamo

sulla soglia del mio sguardo

ALEJANDRA PIZARNIK

(E mi dò...come in pasto ai leoni nell'arena dei pensieri miei...)

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Alejandra Pizarnik

Da Le opere e le notti

Traduzione di Claudio Cinti

Presenza

la tua voce

in questo non potersene uscire le cose

dal mio sguardo

mi spossessano

fanno di me un vascello in un fiume di pietre

se non è la tua voce

pioggia sola nel mio silenzio di febbri

tu mi liberi gli occhi

e per favore

parlami

sempre

Le opere e le notti

per riconoscere nella sete il mio emblema

per significare l'unico sogno

per non aggrapparmi mai di nuovo all'amore

sono stata tutta un'offerta

un puro errare

di lupa nel bosco

nella notte dei corpi

per dire la parola innocente

Page 22: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

***

Mendica voce

E ancora mi azzardo ad amare

il suono della luce in un'ora morta,

il colore del tempo in un muro abbandonato.

Nel mio sguardo ho perduto tutto.

Chiedere è così lontano. Così vicino sapere che non c'è.

Lei si spoglia

Lei si spoglia nel paradiso

della sua memoria

lei ignora il destino feroce

delle sue visioni

lei ha paura di non saper nominare

ciò che non esiste

Page 23: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

Solo la sete

Solo la sete

il silenzio

nessun incontro

guardati da me amor mio

guardati dalla silenziosa nel deserto

della viaggiatrice con il bicchiere vuoto

e persino dall’ombra della sua ombra.

Queste ossa

Queste ossa che brillano la notte,

queste parole che brillano come gemme

nella gola viva di un uccello pietrificato,

questo verde tanto amato,

questo lillà caldo,

questo cuore tanto misterioso.

Chi illumina

Quando mi guardi

i miei occhi sono chiavi,

il muro ha segreti,

il mio timore parole, poesie.

Solo tu fai della mia memoria

una viaggiatrice affascinata,

un fuoco incessante.

Page 24: Alejandra Pizarnik Florilegio Di Poesie

Dove circonda l’avido

Se verrà, i miei occhi brilleranno

della luce di colui che compiango

ma ora incoraggia un rumore di fuga

nel cuore di tutte le cose.

Trad S. Golisch

Alejandra Pizarnik: poetessa nata a Buenos Aires, il 29 aprile 1936, da una famiglia di immigranti

ebrei dell'Europa Orientale. Studiò lettere e filosofia nell'università di Buenos Aires e, più tardi,

pittura con Juan Batlle Planas. Tra il 1960 e il 1964, la Pizarnik visse a Parigi dove lavorava per la

rivista "Cuardernos" e per altre case editrici francesi, pubblicò poemi e critiche in diversi quotidiani,

tradusse Antonin Artaud, Henri Michaux, Aimé Cesairé e Yves Bonnefoy, e studiò storia della

religione e letteratura francese alla Sorbonne. Dopo il suo ritorno a Buenos Aires, pubblicò tre dei

suoi principali volumi; I lavori e le notti, Estrazione della pietra della pazzia e L'inferno musicale,

così come il suo lavoro in prosa La contessa crudele. Nel 1969 ricevette la borsa di studi

Guggenheim, e nel 1971 quella Fullbright . Il 25 settembre del 1972, mentre trascorreva un fine

settimana fuori dalla clinica psichiatrica in cui era internata, morì a causa di un'intenzionale

sovradosaggio di secodal.

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Stefanie Golisch

Nella sua "poesia" la Pizarnik è capace di miscelare e di restituire, in lampi di pura visionarietà,

la dimensione del quotidiano del corpo e quella del mito, fino a farne sentieri di attraversamento

degli spazi umani tra silenzio e parola. Vasti labirinti dove tutto si assomiglia. Alcuni sentieri si

ripetono, altri no. Il futuro è lì, sotto gli occhi di tutti. Ma solo pochissimi, come Alejandra

Pizarnik, riescono a scorgelo.

In italiano, nel 2004 è stato pubblicato il libro, “La figlia dell’insonnia”, Crocetti Editore curato da

Claudio Cinti, e Caminos del espejo (I sentieri dello specchio) (Tratto da: La extracción de la piedra

de Locura, 1968), traduzione di Stefanie Golisch.

Altri testi della Pizarnik sono stati pubblicati dalla rivista "Trame", nell’antologia curata e tradotta

da Florinda Fusco.

Possiamo ancora segnalare,"Testi in ombra e ultimi poemi" [1971-1972] nella traduzione di

Samanta Catastini.