Alcune stelle muoiono con esplosioni di potenza superiore...

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Le Scienze 51 Illustrazione di Ron Miller Avishay Gal-Yam ha conseguito il Ph.D. in astrofisica nel 2004 all’Università di Tel Aviv ed è stato Hubble Postdoctoral Fellow al California Institute of Technology. Attualmente è senior scientist al Weizmann Institute di Rehovot, in Israele. ASTROFISICA Super supernove Alcune stelle muoiono con esplosioni di potenza superiore a quanto si ritenesse possibile, alimentate anche dalla produzione di antimateria di Avishay Gal-Yam A metà del 2005 è stato completato l’aggiorna- mento di uno dei gigan- teschi telescopi gemelli del Keck Observatory sul Mauna Kea, alle Hawaii. Grazie all’introduzione di correzioni automatiche per eliminare gli effet- ti della turbolenza atmosferica, ora lo strumen- to può produrre immagini di nitidezza confron- tabile a quelle dello Hubble Space Telescope. Shrinivas Kulkarni del California Institute of Technology (Caltech) aveva suggerito ai ricer- catori dell’istituto, me compreso, di chiede- re tempo di osservazione, avvertendoci che la competizione per ottenere un turno di osserva- zione sarebbe diventata molto intensa. Seguendo il suo consiglio, avevo formato un gruppo con gli allora colleghi di post-dottora- to Derek Fox e Doug Leonard per un tipo di stu- dio che fino a quel momento era stato effettua- to quasi solamente con Hubble: la ricerca delle stelle progenitrici delle supernove. In altri ter- mini, volevamo scoprire quali siano le caratteri- stiche delle stelle che stanno per esplodere. Da decenni i teorici possono prevedere quali corpi celesti daranno origine a supernove: per esempio, sanno che le stelle blu molto brillan- ti sono destinate a esplodere a breve termine. Ma per un astronomo «breve» significa qual- che milione di anni. Quindi, anche se osserva- re l’intero processo nel suo svolgimento ci per- metterebbe di capirlo meglio, limitarsi a tenere pazientemente sotto controllo una singola stel- la non è certo la strategia ideale. Eravamo convinti che il Keck potesse aiu- tarci, e avevamo ottenuto una sola notte di os- servazione, nel novembre 2005. Durante il volo ero ansioso per le condizioni meteorologiche, dato che avevamo solo una possibilità per ten- tare il nuovo approccio. Fortunatamente Gio- ve Pluvio ci è stato favorevole. Da quella notte di osservazione è iniziato un percorso di stu- dio che ci ha condotti a smentire le convinzioni tradizionali su come nascono e muoiono que- ste stelle giganti. All’epoca gli esperti sostenevano che le stel- le molto grandi non esplodono, ma riducono gradualmente le proprie dimensioni perdendo massa con il vento stellare. In effetti, la maggior parte degli astrofisici teorici era convinta che, proprio a causa di questi poderosi venti, le stel- Una supernova di altissima energia apparirebbe davvero spettacolare se vista da un pianeta in orbita intorno alla stella che esplode, ma provocherebbe l’annientamento di ogni forma di vita.

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Avishay Gal-Yam ha conseguito il Ph.D. in astrofisica nel 2004 all’Università di Tel Aviv ed è stato Hubble Postdoctoral Fellow al California Institute of Technology. Attualmente è senior scientist al Weizmann Institute di Rehovot, in Israele.

astrofisica

Super supernoveAlcune stelle muoiono con esplosioni di potenza superiore a quanto si ritenesse possibile, alimentate anche dalla produzione di antimateria

di Avishay Gal-Yam

A metà del 2005 è stato completato l’aggiorna-mento di uno dei gigan-teschi telescopi gemelli del Keck Observatory sul Mauna Kea, alle Hawaii. Grazie all’introduzione di

correzioni automatiche per eliminare gli effet-ti della turbolenza atmosferica, ora lo strumen-to può produrre immagini di nitidezza confron-tabile a quelle dello Hubble Space Telescope. Shrinivas Kulkarni del California Institute of Technology (Caltech) aveva suggerito ai ricer-catori dell’istituto, me compreso, di chiede-re tempo di osservazione, avvertendoci che la competizione per ottenere un turno di osserva-zione sarebbe diventata molto intensa.

Seguendo il suo consiglio, avevo formato un gruppo con gli allora colleghi di post-dottora-to Derek Fox e Doug Leonard per un tipo di stu-dio che fino a quel momento era stato effettua-to quasi solamente con Hubble: la ricerca delle stelle progenitrici delle supernove. In altri ter-mini, volevamo scoprire quali siano le caratteri-stiche delle stelle che stanno per esplodere.

Da decenni i teorici possono prevedere quali

corpi celesti daranno origine a supernove: per esempio, sanno che le stelle blu molto brillan-ti sono destinate a esplodere a breve termine. Ma per un astronomo «breve» significa qual-che milione di anni. Quindi, anche se osserva-re l’intero processo nel suo svolgimento ci per-metterebbe di capirlo meglio, limitarsi a tenere pazientemente sotto controllo una singola stel-la non è certo la strategia ideale.

Eravamo convinti che il Keck potesse aiu-tarci, e avevamo ottenuto una sola notte di os-servazione, nel novembre 2005. Durante il volo ero ansioso per le condizioni meteorologiche, dato che avevamo solo una possibilità per ten-tare il nuovo approccio. Fortunatamente Gio-ve Pluvio ci è stato favorevole. Da quella notte di osservazione è iniziato un percorso di stu-dio che ci ha condotti a smentire le convinzioni tradizionali su come nascono e muoiono que-ste stelle giganti.

All’epoca gli esperti sostenevano che le stel-le molto grandi non esplodono, ma riducono gradualmente le proprie dimensioni perdendo massa con il vento stellare. In effetti, la maggior parte degli astrofisici teorici era convinta che, proprio a causa di questi poderosi venti, le stel-

Una supernova di altissima energia apparirebbe davvero spettacolare se vista da un pianeta in orbita intorno alla stella che esplode, ma provocherebbe l’annientamento di ogni forma di vita.

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le nell’universo attuale non riescano neppure a raggiungere dimen-sioni colossali, diciamo superiori a circa 100 masse solari.

Dopo la nostra avventura alle Hawaii, però, abbiamo capito che in realtà oggi nell’universo ci sono stelle di almeno 200 masse sola-ri, che terminano la propria vita con le esplosioni più energetiche in assoluto. Non meno sorprendente è stata la scoperta che alcune di queste stelle esplodono con un processo mai osservato prima, che coinvolge la generazione di antimateria nel cuore della stella.

Questi astri giganti, e probabilmente altri ancora più grandi, so-no stati i primi corpi celesti a formarsi dal gas primordiale agli inizi della storia dell’universo. Il modo in cui esplodono ci rivela quindi come gli elementi che hanno sintetizzato si siano diffusi nel cosmo determinando la comparsa di altre stelle, pianeti ed esseri viventi.

Un azzardo vincente Fox, Leonard e io speravamo di osservare una supernova atti-

va durante il nostro turno e poi, analizzando l’archivio di Hubble, trovare un’immagine che mostrasse la stella prima dell’esplosione. Quindi abbiamo cercato una su-pernova in una delle numerose galassie fotogra-fate in passato da Hubble. La parte difficile nell’i-dentificare il nostro bersaglio d’archivio era capire quale fosse la stella esplosa, tra i miliardi che af-follano una galassia. A questo scopo dovevamo misurare con estrema precisione la posizione della supernova. Prima dell’avvento dei sistemi di otti-che adattive come quelle del Keck, questo era pos-sibile solo con Hubble, ma si trattava comunque di un compito così arduo che fino a quel momen-to erano state identificate con certezza solo tre progenitrici stella-ri. Tra le supernove attive in quel momento ne avevamo scelta una chiamata SN 2005gl. Altri gruppi non l’avrebbero considerata una scelta ideale, e per una buona ragione: gli scienziati che cercano progenitrici di supernove limitano tipicamente l’osservazione a un raggio di circa 60 milioni di anni luce dalla Terra; la nostra super-nova era oltre tre volte più lontana, circa 200 milioni di anni luce. Per trovarla nelle immagini di Hubble, la progenitrice di SN 2005gl avrebbe dovuto essere tra gli astri più luminosi mai osservati. La probabilità di successo era ridotta, ma eravamo convinti che a vol-te solo rischiando grosso si possono ottenere grandi risultati.

Il nostro azzardo si è rivelato vincente. Dopo aver misurato la posizione di SN 2005gl con i dati del Keck, abbiamo osservato una fotografia di Hubble della stessa zona del cielo e abbiamo notato qualcosa che somigliava a una stella, sebbene non ne fossimo cer-ti. Se era una sola stella, la sua luminosità (forse un milione di vol-te quella del Sole) indicava una massa molto grande, intorno a 100 masse solari. Ma, data l’opinione prevalente secondo cui un simi-le «peso massimo» non dovrebbe esplodere, la maggior parte de-gli astronomi avrebbe ritenuto più plausibile che il puntino di luce nell’immagine di Hubble corrispondesse a un ammasso di stelle più piccole e deboli, che tutte insieme producevano la luminosità osser-vata. E i nostri dati non potevano escludere questa possibilità.

Un’altra strana esplosioneAnche se il risultato non era conclusivo, mi sono interessato

sempre di più alla ricerca di prove osservative che rivelassero il de-stino delle stelle più massicce. Ma raramente nella scienza il per-corso tra domanda e risposta è semplice e diretto. Stavo conside-rando esplosioni stellari di tipo diverso, i lampi di raggi gamma, quando, nel 2006, una combinazione di eventi ha portato a un’al-tra scoperta sorprendente, suggerendo non solo che le stelle gi-ganti possono arrivare a esplosioni di supernova, ma anche che il meccanismo esplosivo può essere del tutto inatteso.

Questo nuovo capitolo è iniziato nel 2006, ancora una volta al Keck Observatory. In quell’occasione, però, la sorte sembrava me-no propizia: il tempo era pessimo. Ero al computer di controllo e attendevo. Proprio quando cominciavo a chiedermi se il lungo viaggio fosse stato inutile, le nubi si sono disperse. Il cielo non era diventato del tutto sereno, ma si vedevano alcune stelle. Ho deci-so di osservare la più brillante supernova visibile in quel momen-

to, un evento insolitamente luminoso battezzato SN 2006gy, che Robert Quimby, dell’Università del Texas a Houston, aveva scoperto otto giorni prima con un telescopio grande meno di un ventesimo dei giganteschi riflettori di Keck. Ho fatto osserva-zioni per 15 minuti prima che le nubi coprissero di nuovo il cielo, questa volta definitivamente. Sem-brava che la notte fosse stata uno spreco di tempo.

In seguito però un gruppo diretto da un mio collega del Caltech, Eran Ofek, ha analizzato i da-ti che avevo ottenuto e SN 2006gy si è rivelata la più luminosa esplosione di supernova mai osser-

vata. Uno studio parallelo condotto da Nathan Smith, allora all’U-niversità della California a Berkeley, era giunto a una conclusione simile. Ma sembrava tutto insensato. Nessuno dei tipi di supernova conosciuti poteva generare così tanta luce. SN 2006gy si trovava in una galassia non fotografata da Hubble, quindi non c’era modo di studiare in dettaglio la stella progenitrice. A giudicare dalla vio-lenza dell’esplosione, però, probabilmente la massa della progeni-trice era almeno 100 volte quella solare.

Abbiamo elaborato diverse ipotesi per spiegare una luminosi-tà così estrema, due delle quali sembravano le meno improbabi-li. Nella prima, l’intensissima emissione luminosa era dovuta al-la radiazione termica prodotta da un’onda d’urto formatasi quando la materia espulsa nell’esplosione di supernova aveva raggiunto il vento stellare, più lento, che la stella stessa aveva generato prima di esplodere, e lo aveva spazzato via. La seconda opzione che ab-biamo considerato era la radioattività. Nelle supernove avviene la sintesi di nuovi elementi, soprattutto come isotopi radioattivi che poi decadono in isotopi stabili. Ci siamo chiesti se quella colossa-le esplosione potesse aver generato una quantità enorme di mate-ria radioattiva, il cui lento decadimento aveva fornito energia alla nube di gas stellare in espansione e l’aveva fatta splendere di luce fluorescente. Ma quale processo poteva produrre abbastanza mate-ria radioattiva da spiegare una luminosità tanto eccezionale?

Quest’ultima domanda ha monopolizzato il nostro interesse. Per cercare una risposta abbiamo consultato studi teorici già pubbli-cati. Così abbiamo trovato vecchi e polverosi lavori della fine de-gli anni sessanta a firma di tre giovani astrofisici – Gideon Rakavy, Giora Shaviv e Zalman Barkat – i quali avevano proposto un nuo-vo meccanismo per le esplosioni stellari.

Le stelle splendono perché il loro nucleo è sufficientemente den-so e caldo da provocare la fusione dell’idrogeno in elio ed elementi più pesanti, con produzione di energia. Densità e temperatura con-trollano i processi fisici nel nucleo di una stella massiccia e la lo-ro evoluzione. In generale, con il passare del tempo il nucleo diven-ta più denso e più caldo. Il superamento di una serie di valori soglia innesca la fusione di elementi sempre più pesanti: prima elio in car-bonio, poi carbonio in ossigeno e così via. Ciascun intervallo tra due soglie può durare da alcune migliaia ad alcuni miliardi di an-ni, in funzione della velocità con cui la combustione nucleare della stella influenza temperatura e pressione del nucleo.

Il gruppo di Rakavy ha calcolato che cosa accadrebbe quando una stella molto massiccia, anche centinaia di volte più del Sole, raggiunge lo stadio in cui il nucleo è costituito in gran parte da os-sigeno. Nelle stelle più piccole sappiamo che cosa succede: la stella si contrae e il nucleo si riscalda fino a raggiungere condizioni che permettono la fusione nucleare dell’ossigeno in silicio. Ma in una stella ipergigante, secondo la teoria, il nucleo si contrae per effetto della gravità e si riscalda senza diventare molto denso. Quindi in-vece della fusione dell’ossigeno accade qualcosa di diverso: la pro-duzione di coppie particella-antiparticella.

Nella materia sufficientemente calda, le particelle energetiche come nuclei ed elettroni emettono radiazione molto intensa: questi fotoni sono così ricchi di energia da ricadere nello spettro dei raggi gamma. In base alla famosa equazione di Albert Einstein che lega

massa ed energia, E = mc2, due fotoni mol-to energetici possono, in caso di collisione, convertirsi spontaneamente in coppie di al-tre particelle; possono trasformarsi in una coppia costituita da un elettrone e dalla sua antiparticella, il positrone. La maggior par-te dell’energia dei fotoni è così sequestrata sotto forma di materia. Elettroni e positroni esercitano una pressione molto inferiore a quella dei fotoni da cui hanno avuto ori-gine. Se il nucleo di una stella ipermassic-cia raggiunge queste condizioni la pressio-ne nel suo interno crolla improvvisamente, quasi come se l’astro avesse una valvola di sfiato. Prima la pressione impediva al-la stella di collassare per effetto del proprio peso; ora il nucleo diventa instabile e co-mincia a contrarsi rapidamente.

L’aumento della densità innesca la fusio-ne dell’ossigeno. E dato che la soglia oltre cui si verifica questa fusione è superata in un nucleo non stabile, ma in fase di collas-so, il processo è esplosivo: la fusione libera energia nucleare che riscalda ulteriormen-te la materia e questo a sua volta accelera la fusione, in una reazione incontrollabile. La stella può bruciare una tale quantità di ossigeno in brevissimo tempo, pochi minu-ti, che l’energia liberata è superiore alla sua

energia gravitazionale totale. Quindi, mentre le supernove tipiche lasciano resti come una stella di neutroni o un buco nero, in que-sta esplosione l’oggetto si distrugge completamente. Rimane solo una nube in rapida espansione, composta in gran parte dagli ele-menti sintetizzati nella furia della deflagrazione.

I teorici avevano previsto che questo evento – chiamato super-nova a instabilità di coppia perché destabilizza la stella mediante la formazione di coppie particella-antiparticella – debba produrre una rilevante quantità di nichel-56 in aggiunta ad altri elemen-ti relativamente pesanti. Il nichel-56 è un isotopo con un nucleo strettamente legato, ma comunque radioattivo, e il suo decadimen-to produce ferro non radioattivo. Se questo era lo scenario verifica-tosi nella progenitrice di SN 2006gy, il decadimento del nichel-56 avrebbe potuto spiegare la luminosità della supernova.

Sebbene la teoria dei tre astrofisici fosse corretta, per decenni si è ritenuto che il processo da loro ipotizzato non avvenga in natu-ra. I teorici che si occupano di formazione ed evoluzione dei cor-pi stellari pensavano che stelle così massicce non possano nascere, almeno non nell’universo attuale. E anche se avvenisse questi og-getti produrrebbero venti stellari così intensi da disperdere rapida-mente la maggior parte della propria massa; sarebbero incapaci di formare nuclei abbastanza massicci per raggiungere le condizioni in cui si ha instabilità di coppia. Meno di un miliardo di anni dopo il big bang la situazione era differente: le prime stelle potevano es-sere abbastanza massicce produrre esplosioni di supernova da in-stabilità di coppia. Forse.

Nel frattempo la supernova che aveva infranto tutti i record, SN 2006gy, aveva riscosso enorme successo tra gli astronomi, dive-nendo oggetto di ulteriori studi osservativi e teorici. Per ironia del-la sorte, sebbene SN 2006gy abbia indotto noi e altri studiosi del-le supernove a rispolverare il modello dell’instabilità di coppia, il

Di recente sono state scoperte diverse supernove più potenti e durature rispetto a quelle osservate in precedenza.Immagini d’archivio mostrano che

le stelle da cui hanno origine alcune di queste supernove erano 100 volte più massicce del Sole: secondo le teorie più accreditate, stelle così grandi non dovrebbero esplodere.

Alcune supernove potrebbero essere esplosioni termonucleari innescate dalla creazione di coppie di particelle di materia e di antimateria.

La prima generazione di stelle dell’universo, che hanno sintetizzato la materia che in seguito ha formato i pianeti, potrebbero essere esplose con un meccanismo di questo tipo.

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SN 2006gy

SN 2007bi

Supernovedei tipipiù comuni

Osservazione di supernove

Previsione teorica per unnuovo tipo di esplosione

Le più brillanti in assolutoLe esplosioni di supernova studiate dall’autore e dai suoi collaboratori negli ultimi anni sono risulta-te le più potenti mai osservate. Un evento iniziato nel 2006 ha raggiunto una luminosità record (in rosa), ma è stato superato da un altro nel 2009 (in arancione). Queste due supernove sono scom-parse in tempi relativamente veloci. Un’altra, nel 2007, non ha raggiunto un picco di luminosità al-trettanto elevato, ma complessivamente ha emesso la quantità maggiore di energia (in giallo). Que-sta supernova è stata il primo esempio di un nuovo tipo di esplosione, che si ritiene avvenga nelle stelle molto massicce (si veda il box nelle due pagine successive).

Le supernove rivelano come si sono diffusi

gli elementi che hanno formato pianeti, stelle

ed esseri viventi

www.lescienze.it Le Scienze 5554 Le Scienze 528 agosto 2012

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per un meccanismo di instabilità di coppia. Quindi le lontane parenti di alcune supernove attuali potrebbero essere state le prime esplo-sioni che hanno liberato nell’universo elemen-

ti pesanti, fornendo materia per stelle e pianeti.Oltre a rivelare un nuovo meccanismo delle

esplosioni stellari, le nostre osservazioni implicano anche che l’universo attuale, al contrario di quanto si

pensava, ha probabilmente un buon numero di stelle ipergigan-ti. L’accrescimento fino a dimensioni straordinarie delle stelle pri-mordiali fu possibile solo perché l’ambiente era composto quasi esclusivamente da idrogeno ed elio. L’«inquinamento» causato dai prodotti della fusione nucleare limita l’accrescimento stellare: in presenza di elementi pesanti, le stelle collassano più velocemente e quindi danno inizio alla fusione nucleare precocemente, spazzan-do via i gas residui che le circondano prima di raggiungere dimen-sioni enormi. Ma l’effetto frenante degli elementi pesanti sulla cre-scita stellare è inferiore a quanto pensassero gli astrofisici.

La ricognizione di supernove progettata con Nugent nel 2007 è in corso, con il nome di Palomar Transient Factory. Nell’ambi-to del progetto cerchiamo altri esempi di esplosioni a instabilità di coppia e abbiamo rilevato un evento simile a SN 2007bi. Con l’ac-cumularsi dei dati, le conoscenze su queste esplosioni e sul loro contributo alla sintesi degli elementi pesanti si faranno più appro-fondite. Gli strumenti futuri, come il James Webb Space Telescope della NASA, potranno probabilmente osservare esplosioni a insta-bilità di coppia molto lontane. Forse un giorno ci riveleranno la fi-ne esplosiva delle prime stelle dell’universo. n

A fine 2008 eravamo sicuri: la stella era sparita. Quindi la progenitrice di SN 2005gl era effettivamente molto luminosa, e con tut-ta probabilità di grande massa: quasi identica a Eta Carinae, una delle più massicce giganti blu della nostra galassia.

La teoria più accreditata sulle stelle ipergiganti – che perdono gran parte della propria massa prima di esplodere – era inesatta, almeno in questo caso: stelle molto lu-minose e massicce esistono realmente e possono esplodere prima di perdere massa. E se la teoria della perdita di massa non è corret-ta, forse alcune stelle ipergiganti sono ancora presenti nell’univer-so ed esploderanno come supernove da instabilità di coppia.

Ora ero pronto a riconsiderare SN 2007bi e a cercare prove più definitive del fatto che l’esplosione fosse dovuta a instabilità di coppia. Ho fatto tutte le verifiche immaginabili: ho analizzato in dettaglio spettri ed evoluzione nel tempo della curva di luce, con-frontato modelli vecchi e nuovi delle esplosioni stellari. Verso fine 2009 tutte le prove indicavano una sola conclusione: il modo più logico, quasi inevitabile, di spiegare SN 2007bi era che si trattasse di una supernova a instabilità di coppia. Dopo oltre due anni di stu-di, era giunto il momento di pubblicare i nostri risultati.

Fino a oggi abbiamo individuato altri tre eventi che con tutta probabilità costituiscono ulteriori esempi di questo tipo di esplo-sione. Nel complesso sembrano fenomeni rari, solo una superno-va su 100.000, che richiedono una stella di almeno 140, forse ad-dirittura 200 masse solari. Ma sono immense fabbriche di elementi e producono le esplosioni di energia più elevata note alla scienza. Potrebbero anche meritare il nuovo nome di «ipernove».

L’aspetto forse più affascinante di questo nuovo tipo di super-nova è che apre uno spiraglio sull’universo primordiale. Le prime stelle, che cominciarono a splendere circa 100 milioni di anni dopo il big bang, dovevano avere una massa superiore a 100, forse addi-rittura vicina a 1000 masse solari (si veda Le prime stelle dell’uni-verso, di Richard B. Larson e Volker Bromm, in «Le Scienze» n. 401, gennaio 2002). Alcuni di questi colossi esplosero probabilmente

Nel 2007 e nel 2008 ho continuato a osservare SN 2007bi con i telescopi del Palomar Observatory del Caltech. Quando la luce dell’esplosione finalmente si è affievolita, un anno dopo la scoper-ta, ho chiesto ai miei colleghi Richard Ellis e Kulkarni del Caltech di proseguire l’osservazione con i grandi telescopi del Keck Obser-vatory, promettendo che questa volta «era proprio lei».

Nel frattempo mi ero trasferito in Israele, assumendo il mio at-tuale incarico al Weizmann Institute di Rehovot. Nell’agosto 2008 Kulkarni e Mansi Kasliwal mi hanno inviato lo spettro più recen-te di SN 2007bi. Studiando più volte lo spettro il risultato non cam-biava: questa esplosione aveva sintetizzato una quantità di ni-chel-56 pari a 5-7 volte la massa del Sole. Era dieci volte più di quanto chiunque avesse mai visto, e proprio quello che ci si atten-derebbe da un’esplosione di supernova a instabilità di coppia.

A fine 2008 sono andato a Garching, in Germania, per lavora-re con Paolo Mazzali, del Max-Planck-Institut für Astrophysik, uno dei massimi esperti nell’analisi degli spettri di supernova, che quin-di poteva verificare i risultati della mia valutazione preliminare. Mazzali inoltre aveva altri dati utili ottenuti con il Very Large Tele-scope dell European Southern Observatory, in Cile. Eravamo insie-me nel suo studio quando Mazzali ha fatto partire il programma. I risultati concordavano con la mia analisi: parecchie masse solari di nichel-56 e abbondanze relative degli elementi che corrispondeva-no alle previsioni dei modelli dell’instabilità di coppia.

Conferma su tutti i frontiSebbene fossi convinto di aver identificato una supernova a in-

stabilità di coppia, tornato in Israele ho messo da parte i dati, de-dicandomi a un altro progetto sulla supernova da cui tutto era ini-ziato: SN 2005gl. Quando con Fox e Leonard abbiamo scoperto la presunta stella progenitrice alla fine del 2005, non avevamo la cer-tezza che fosse un singolo oggetto invece di un ammasso stellare. Trascorsi tre anni la supernova era scomparsa, e avevo capito che potevamo eseguire una semplice verifica: se la nostra candidata non era la stella esplosa, doveva trovarsi ancora al suo posto. Con Leonard siamo tornati al Keck per controllare.

proseguimento delle ricerche sembra indicare che questo particola-re evento non mostri la «firma» del decadimento radioattivo del ni-chel, cioè uno specifico andamento nel tempo della riduzione del-la luminosità. In una supernova da instabilità di coppia la maggior parte della radiazione dovrebbe essere emessa non dall’esplosione, ma dal nichel-56 e dagli altri isotopi radioattivi sintetizzati nell’e-vento. La radioattività è un processo ben studiato, in cui il decadi-mento avviene in maniera graduale e prevedibile. Ma SN 2006gy ha mantenuto una luminosità elevata per parecchi mesi, poi è scomparsa in maniera troppo rapida perché la sua fonte di ener-gia potesse essere il decadimento radioattivo. È probabile che non fosse una supernova da instabilità di coppia, e la seconda opzione che avevamo considerato, che l’insolita luminosità dell’evento fosse dovuta a un’onda d’urto, è la spiegazione più accreditata. Ma il fat-to di aver mancato di poco il bersaglio aveva attirato la mia atten-zione verso eventuali indizi di instabilità di coppia.

È proprio lei, finalmente?Qualche mese dopo l’osservazione alle Hawaii sono stato contat-

tato da Peter Nugent, del Lawrence Berkeley National Laboratory. Con Nugent avevamo iniziato la fase preliminare di un progetto di individuazione di supernove, e mi segnalava una supernova dallo spettro molto strano. Non avevo mai visto niente di simile.

Poiché gli atomi di ciascun elemento assorbono ed emettono ra-diazione di particolari lunghezze d’onda, lo spettro di una sorgen-te astronomica fornisce informazioni sulla composizione della ma-teria che emette la radiazione. Lo spettro dell’oggetto rilevato da Nugent, SN 2007bi, suggeriva che gli elementi che lo costituiva-no avevano percentuali insolite e che l’oggetto fosse molto caldo.

Dal Caltech ho seguito l’evoluzione dell’evento. La radiazione emessa era circa dieci volte quella di una tipica supernova. E la luminosità diminuiva lentamente: i giorni diventavano settima-ne e le settimane mesi, come se la sorgente non volesse sparire. Ero sempre più convinto di aver trovato un esempio di supernova a in-stabilità di coppia. Era scomparsa dalla vista dopo più di un anno, ma avevo bisogno di ulteriori dati per sentirmi sicuro.

S U P e r n Ov e A C O n F r O n T O

Idrogeno + Elio + Carbonio + Neon + Ossigeno + Silicio + FerroCome muoiono le grandi stelleLe stelle sintetizzano nuovi elementi grazie alla fusione nucleare, che le fa splendere. Quando una stella invecchia, il nucleo diven-ta più caldo e denso (grafico) e produce ele-menti sempre più pesanti che formano strati concentrici (a fronte). Una stella relativamen-te massiccia, per esempio di 20 masse sola-ri (in rosso nel grafico e nell’illustrazione), di-venta così densa da collassare, disperdendo in maniera esplosiva grandi quantità di ener-gia e la maggior parte della propria massa. Ma una stella veramente gigante, per esem-pio di 160 masse solari (in giallo), termina la propria esistenza più precocemente, in un ti-po di esplosione scoperta di recente e di po-tenza ancora superiore.

SUPERNOVA ORDINARIA

SUPERNOVA A INSTABILITÀ DI COPPIA

Punto di partenza: stella massiccia (20 masse solari)

Punto di partenza: stella gigante (160 masse solari) La conversione dei fotoni in coppie di particelle di materia e

antimateria causa un improvviso collasso della stella, che innesca la fusione dell’ossigeno. L’esplosione risultante distrugge la stella.

I fotoni collidono e collassano

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Densità del nucleo

INSTABILITÀDI COPPIA

IL NUCLEO DI FERRO DIVENTA INSTABIL

Stella massiccia alla nascitaStella massiccia allaStella gigante alla nascita

La stella gigante esplode

ABILLLa stella massiccia esplode

Bassa Elevata

Bassa

ElevataDESTINI DIVERGENTI

Illustrazioni non in scala

Catastrofisica: quando esplode una stella. Hillebrandt W., Janka H.-T. e Müller E., in «Le Scienze» n. 460, dicembre 2006.

A Massive Hypergiant Star as the Progenitor of the Supernova SN 2005gl. Gal-Yam A. e Leonard D.C., in «Nature», Vol. 458, pp. 865-867, 16 aprile 2009.

Supernova 2007bi as a Pair-Instability Explosion. Gal-Yam A. e altri, in «Nature», Vol. 462, pp. 624-627, 3 dicembre 2009.

P e r A P P r O F O n D I r e