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Agosto 2007

Alcune riflessioni intorno alla configurazione civilistica e fiscale dell’Ente Ecclesiasitico Civilmente Riconosciuto Premessa Se la Caritas Diocesana è un ufficio pastorale dell’Ente Diocesi, Ente Ecclesiasitico Civilmente Riconosciuto, allora è utile conoscere quali caratteristiche abbia l’Ente Ecclesiastico, sia da un punto di vista civilistico che fiscale. A conforto, oltre che le norme di riferimento di Diritto Ecclesiastico (il c.d. “Concordato”), anche lo studio dell’Istruzione in materia amministrativa 2005 della CEI: perverremo quindi alla conclusione che la principale caratteristica che è riconosciuta all’Ente Ecclesiastico Civilmente Riconosciuto, oltre all’ottenimento della personalità giuridica in ossequio alle norme del diritto canonico (e non a quelle del Libro I, Titolo II del Codice Civile), è la qualifica di ente non commerciale ex lege. Una definizione

La disciplina degli enti ecclesiastici è originata dal recepimento nell’ordinamento nazionale della Legge 121/1985 (Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede) e dalle norme di attuazione, emanate con Legge 222 del medesimo anno, recante Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi.

Tale corpus normativo, oltre a regolare i rapporti fra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano ed il reciproco riconoscimento (aspetto di cui non ci occupiamo in questo breve lavoro), ha attribuito agli enti ecclesiastici una chiara configurazione giuridica nell’ordinamento positivo nazionale, stabilendo che “la Repubblica italiana, su domanda dell'autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto” (art. 7, comma 2, Legge 121/85). Più precisamente le attività di religione e culto sono “quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana” (art. 16, lett. a, L. 222/85).

Questo vuol dire che se un ente ecclesiastico, avente finalità di religione e culto, è eretto nel pieno rispetto della normativa canonica1, il suo riconoscimento all’interno dell’ordinamento giuridico italiano avviene semplicemente su domanda di chi lo rappresenta secondo il diritto canonico, previo assenso dell'autorità ecclesiastica competente, ovvero direttamente su domanda di questa.

L’attribuzione della personalità giuridica consente così all’ente ecclesiasitico di muoversi con pienezza di autonomia patrimoniale all’interno dell’ordinamento giuridico, senza che possano essere opposte alla sua operatività limitazioni di alcuna sorta, se non quelle rivenienti dal rispetto della normativa canonica che lo ha istituito e lo regolamenta, soprattutto con riferimento ai controlli canonici per gli atti di straordinaria amministrazione2.

1 Per gli enti appartenenti alla costituzione gerarchica della Chiesa (CEI, Regioni e Province Ecclesiastiche, Diocesi, Parrocchie) e per gli Istituti Diocesani Sostentamento Clero, gli istituti religiosi e i seminari, il fine è presunto; per le altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che non abbiano personalità giuridica nell'ordinamento della Chiesa, il fine di religione o di culto è accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell'articolo 16 della legge 222/85. 2 Occorre rivelare che, però, nella prassi quotidiana spesso vengono avanzate all’Ente Ecclesiastico richieste non conformi alla sua natura ex lege 222/85, come, ad esempio, l’esibizione di statuti e atti costitutivi all’atto di apertura di

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Ente Ecclesiastico, finalità di religione e culto e normativa fiscale

Da un punto di vista fiscale, ci viene in soccorso il punto 3 dell’art. 7 della Legge 121/85: “agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”.

Ciò significa che le attività di religione e culto definiscono la sfera dell’attività istituzionale dell’Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che il legislatore fiscale classifica come non commerciale. La lettura incrociata degli art. 73, 143 e 149 del DPR 917/86 Testo Unico delle Imposte dei Redditi (TUIR), ci chiarisce la reale portata di tale previsione. Per il legislatore fiscale, infatti, sono enti non commerciali “enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale3 l’esercizio di attività commerciali” (art. 73, comma 1, lettera c, TUIR): rileva a tal fine l’attività indicata dall’atto costitutivo, dallo statuto o dalla legge come esclusiva (o prevalente) per il perseguimento delle finalità istituzionali. In difetto, “l’oggetto principale dell’ente residente è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato”.

Essendo il perseguimento delle finalità di religione e culto l’oggetto esclusivo dell’Ente Ecclesiastico Civilmente Riconosciuto (EECR), ed essendo questa - come visto sopra - una previsione di legge (art. 7, comma 2, Legge 121/85), si comprende perchè l’EECR non possa mai perdere la qualifica di ente non commerciale, anche quando l’attività commerciale posta in essere dovesse essere quantitativamente importante: a rafforzamento di tale conclusione, l’esplicita previsione dell’art 149, comma 4, che stabilisce che all’EECR non si applicano le disposizioni relative alla perdita della qualifica di ente non commerciale.

A tale proposito è bene notare come la definizione di attività commerciale secondo il Codice Civile e secondo la normativa fiscale non sia coincidente, la secondo essendo più estensiva della prima: per il Codice è attività commerciale quella definita dall’art. 2195 C.C. (le attività industriali dirette alla produzione di beni o di servizi, l'attività intermediaria nella circolazione dei beni, l'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria, l'attività bancaria o assicurativa e le altre attività ausiliarie delle precedenti), se organizzata con finalità di lucro, svolta in via continuativa ed abituale e in modo professionale (art. 2082 C.C.). Il legislatore fiscale, avendo a misura l’attività da sottoporre a imposizione (diretta o indiretta), pur partendo dal medesimo presupposto (è attività commerciale quella corrispondente all’esercizio in forma di impresa delle attività previste dall’art. 2195 C.C.), estende la nozione di attività commerciale alle medesime attività anche se svolte in via non esclusiva e anche se non organizzate in forma di impresa (art. 55 TUIR e art. 4 DPR 633/72).

Principale conseguenza dell’equiparazione da un punto di vista fiscale degli EECR e delle attività di religione e culto da questi svolte agli Enti aventi fini di beneficenza e istruzione, risiede nella riduzione al 50% dell’aliquota dell’Imposta sul Reddito delle Società (ex IRPEG) o IRES (art. 6, lettera f, DPR 601/73)4, che quindi è applicata al

un conto corrente di corrispondenza presso un’Azienda di Credito, o in occasione del riconoscimento di un contributo da parte di un’Istituzione Terza. Richieste simili non appaiono, infatti, pertinenti, in quanto l’Ente Ecclesiasitico per la sua costituzione non è regolato dalle norme del Codice Civile (in osservanza delle quali, per analogia, si pensa debbano essere presenti statuti e atti costitutivi), ma dalle norme di Diritto Ecclesiastico: pertanto, in tali casi, per evadere correttamente le richieste volte ad ottenere le giuste “coordinate giuriche” è sufficiente produrre l’estratto del Registro delle Persone Giuridiche conservato presso la Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo di competenza, da cui si evinca la legale rappresentanza, corredato dalla copia della comunicazione di attribuzione del Codice Fiscale. 3 “Per oggetto esclusivo o principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto” (art. 73, comma 5, TUIR). 4 Alcuni recenti pronunciamenti dell’Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 91/E del 19/07/2005), unitamente anche ad alcuni orientamenti di Dottrina e Giurisprudenza, hanno teso a ridimensionare la portata di tale previsione, sostenendo

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16,50% sui redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione (ad esclusione di quelli esenti dall'imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, oltre che dei fondi rivenienti dalle Collette e di quelli ricevuti dalle Amministrazioni Pubbliche in forza di convenzioni, secondo quanto previsto dall’art. 143, comma 3, del TUIR); inoltre si segnalano, tra quelle principali, in forza della medesima equiparazione, anche le esenzioni dall’imposta di successione e donazione (artt. 1 e 3 del D.Lgs 346/1990), alle imposte ipotecarie e catastali (artt. 1 e 10 D.Lgs. 347/1990) e a quelle di registro per ciò che attiene alle donazioni (art. 53 D.Lgs. 346/1990).

Qualche possibile ulteriore considerazione

Da quanto sopra, si evincono alcune brevi riflessioni: a) l’attività di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto essendo di religione e

culto è non commerciale per legge e tale qualifica non viene mai meno; b) se l’ente ecclesiasitico pone in essere altre attività (come spesso avviene in

soggetti ecclesiali il cui carisma costitutivo è anche di assistenza o di istruzione), queste debbono essere assoggettate al regime fiscale che le disciplina: la normativa fiscale prevede che, se è presente un’organizzazione volta alla cessione di beni e/o prestazione di servizi, in via abituale, dietro corrispettivo, siamo in presenza di un’attività che è qualificata come commerciale, indipendentemente dalla natura del soggetto che la pone in essere;

c) l’EECR può quindi liberamente svolgere attività commerciale, attraverso l’istituzione di un “ramo commerciale”, con scritture contabili separate, e assoggettando tutta l’attività così posta in essere agli adempimenti previsti dalle norme civilistiche e fiscali; in tal senso, viene meno la necessità di “clonare” l’ente ecclesiasitico in una struttura civilistica “non profit” (magari ONLUS), al fine di ottenere un soggetto fiscalmente più conveniente. Semmai iniziative simili possono essere considerate principalmente con riferimento alla Curia Diocesana e non tanto per ragioni di tipo giuridico-fiscale, ma per più generali valutazioni di opportunità, come indicato nell’Istruzione, al punto 90, 5^ capoverso: "è opportuno che l’ente diocesi non assuma direttamente la gestione di attività caritative (ad esempio, mense per i poveri, centri per anziani o disabili, case di accoglienza, colonie, case per ferie), se esse sono considerate, ai fini fiscali, attività commerciali e se comportano specifiche responsabilità. Dette attività possono essere convenientemente gestite da altri enti con finalità specifiche (fondazioni diocesane, confraternite, istituti religiosi, associazioni, cooperative, ecc.), con le quali la diocesi può stabilire rapporti convenzionali”.

d) esistono, comunque, alcune attività che comunque sono “decomercializzate” per tutti gli Enti Non Commerciali (art. 143, TUIR), cioè attività che non generano imponibile ai fini IVA e/o IRES e che specificamente la seconda e la terza rappresentano attività che riguardano da vicino l’Ente Diocesi/Caritas Diocesana:

1. prestazioni di servizi detassati5 – “le prestazioni di servizi non rientranti nell'articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell'ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione”;

2. le raccolte dei fondi – “i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di

la necessità di accompagnare al requisito soggettivo della previsione, anche uno di tipo oggettivo e relativo alle attività di religione e culto prestate e a quelle ad esse direttamente connesse: non è questa la sede per approfondire ulteriormente la questione, anche se va riaffermata la non condivisibilità di tale impostazione, che svuoterebbe di senso la norma agevolativa (sarebbe, infatti, - secondo tale interpretazione - applicabile ad attività che già di per se non sono produttrici di reddito) e non terrebbe in sufficiente conto nemmeno la nuova versione dell’art. 149, comma 4, del TUIR relativa alla perdita di qualifica dell’ente non commerciale (che non riguardano mai l’EECR). 5 Secondo parte della Dottrina, tali servizi dovrebbero essere rappresentati tipicamente dall’ospitalità resa a terzi a pagamento dai conventi (es. per gli studenti), oppure da talune attività corsuali svolte da enti non di tipo associativo (es. fondazioni o enti pubblici non economici). La previsione normativa in parola, che pare al momento riferirsi ai soli fini IRES (e non IVA), non ha avuto rilevanti ulteriori sviluppi,.

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beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”;

3. i contributi “in convenzione” ricevuti dalla Pubblica Amministrazione – “i contributi corrisposti da Amministrazioni pubbliche ai predetti enti per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento di cui all'articolo 8, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall'articolo 9, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi”.

e) vale la pena di ricordare che, al di fuori di queste previsioni, quando l’attività è posta in essere da associazioni, fondazioni o comitati (Libro I, Titolo II del Codice Civile), enti non commerciali dal punto di vista fiscale, con cui l’Ente Ecclesiasitico può avere un rapporto in convenzione per la gestione di alcuni servizi, occorre porre adeguata attenzione all’avviare attività strumentali di tipo commerciale (o che potrebbero essere qualificate tali), perché le rigide previsioni dell’art. 149, comma 26, del TUIR potrebbero facilmente trasformare l’ente non commerciale in ente avente finalità di lucro, con tutte le conseguenze del caso (cessazione di tutte le agevolazioni, obbligatorietà dei libri e registri previsti, ricalcolo dell’imposizione sia ai fini IVA e IRES); ancora più pericolosi in tal senso sono i c.d. “enti di fatto”, perché per loro non può essere invocata una qualunque previsione statutaria, ma – come già visto – rileva la mera attività concretamente realizzata. Diverso è il caso di un soggetto ONLUS, per il quale rileva la contrapposizione fra attività istituzionali (sempre non commerciali) e quelle direttamente connesse (non commerciali, se non prevalgono rispetto a quelle istituzionali e se i relativi proventi siano inferiori al 66% delle spese complessive sostenute).

f) l’Ente Ecclesiasitico Civilmente Riconosciuto non è una ONLUS di diritto: piuttosto, laddove ritenga di avvalersi dei benefici fiscali previsti dal Dlgs 460/97, dovrà istituire un “ramo onlus”, attraverso la predisposizione di un regolamento, nella forma della scrittura privata registrata, che recepisca le clausole art. 10, comma 1, del Dlgs 460 del 1997 (il riferimento è alle attività di utilità sociale tassativamente previste dalla normativa) ed impegnandosi a tenere scritture contabili separate (come per l’attività commerciale). All’Ente Ecclesiasitico non si applicano comunque le norme previste con riferimento alla democraticità della struttura e all’effettività del vincolo associativo.

g) analoga possibilità è concessa all’Ente Ecclesiastico, anche con riferimento alla normativa relativa all’Impresa Sociale (Legge 118/05 e Dlgs 155/06); anche in questo frangente, se opportuno, l’EECR può costituire un “ramo di impresa sociale”, attraverso la predisposizione di un regolamento, in forma di scrittura privata registrata e con l’obbligo di tenuta di scritture contabili separate.

6 “Ai fini della qualificazione commerciale dell'ente si tiene conto anche dei seguenti parametri: a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività; b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali; c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative; d) prevalenza delle componenti negative inerenti all'attività commerciale rispetto alle restanti spese”.

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