Alcolismo e Comunità Terapeutiche

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Sono passati 10 anni dalla 1.125, "Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati",in cui era prevista la possibilità, anche per gli alcoldipendenti, di avvalersi delle strutture residenziali e semi-residenziali accreditate per i programmi di cura, riabilitazione e reinserimento territoriale. In questi anni di sperimentazione, nella Regione Lombardia, la maggior parte delle 138 Comunità terapeutiche per tossicodipendenti ha accolto anche utenti con dipendenza da alcol ma solo poche hanno avviato un modulo specialistico e una formazione specifica per lavorare con progetti alcologici di qualità.Nel frattempo le esigenze dell'utenza con problemi alcolcorrelati è cambiata e ci si staaccorgendo che anche i tempi dei vecchi modelli trattamentali non pagano più.

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to al lavoro di supervisione. Il mio sapere, la mia conoscenza potevasovrapporsi, saturan­dola, a quella che gli educatori andavano sco­prendo di prima mano. Parlare apertamente di questi elementi con loro è stato produttivo oltre che benefico.

PROSPETTIVE FUTURE

In questi tre anni credo che sia io che gli educa­tori abbiamo attraversato un mare tempestoso. Abbiamo corso tanti rischi: a volte ci siamo sen­titi trascinare e sballottare tra le onde, ma non ci siamo persi alla deriva. Ho cercato, insieme grazie agli educatori e ai coordinatori, di mante­nere salda la direzione. Quella cioè di sollecitare, attraverso l'uso della com-prensione, un clima di ricerca, partendo dagli aspetti concreti della per­sona e dei suoi famigliari, passando attraverso gli aspetti emotivi degli operatori e dell'équipe nel suo insieme, per arrivare a dare un senso arti­colato e organizzato a ciò che era caotico e con­fuso. Per rilanciare una progettualità educativa pensata e calata nei bisogni reali delle singole persone.

L'approdo è rappresentato oggi dall'appe­na conquistato clima di ricerca nella fiducia reciproca.

Bisogna tenere presente che tale clima non si dà una volta per tutte, ma sarà sempre minac­ciato dalle ambiguità che animano ogni gruppo di lavoro. Svelare tali ambiguità significa non rimanere imprigionati nelle loro trame per poter procedere nel progetto educativo.

In tutti e tre i centri, mio obiettivo principa­le è stato quello di ri-costituire o costituire un gruppo con una funzione pensante.

Perciò, sin dall'inizio, ho rifiutato la delega al pensiero, ma a partire dall'esperienza vissuta ho incoraggiato soprattutto le nuove generazioni ad intervenire, a porre domande, ad aprire pos­sibilità e mantener le aperte, a stimolare la fun­zione interrogante che ogni relazione educativa deve avere per essere tale.

La difficoltà del lavoro educativo è accettare

P. Natalicchio Il regno di Op La Meridiana, Molfetta (BA), 2012

questa professione impossibile (diceva Freud) perché aperta al divenire incessante. Educare non significa ripetere un sapere saputo, ma ricer­care attivamente e attentamente cosa l'altro può divenire con l'aiuto degli strumenti relazionali ed educativi.

L'educatore che lavora collimi te, con la man­canza ha bisogno più che mai di operare per l'integrazione a differenti livelli. La mancanza nell'incontro col mondo non deve essere negata, occultata, elusa, ma può essere assunta respon­sabilmente come un limite che può impedire, ma allo stesso tempo se assunta in modo responsa­bile e consapevole, può aprire ad altre e nuove visioni di mondo rispettose dell'individualità e della specificità di ognuno. Mi piace conclu­dere con le parole di Canevaro: "Una struttura educativa che permetta la pluralità nella ricerca dell'unità è ciò che consente di stare nella realtà, di sentire le diversità (geografiche, culturali) non come pericolo ma traendone il giusto apporto per la vita sociale".

Compito non facile, quindi quello dell'educa­tore, perché si tratta di attivare quello sguardo binoculare che comprende la pluralità delle voci nell'unità della ricerca. Compito sociale azzar­derei definire.

Ancora più difficile quello del supervisore! Non sempre impossibile se ci lasciamo guidare dalla comprensione dell'Altro, affrontando di volta in volta l'incertezza del divenire che, tra­scinando con sé un cambiamento, può aprire le porte ad un futuro condiviso dagli attori coinvol­ti nella relazione educativa. L.,

Bibliografia Bion W. R., Apprendere dall'esperienza,

Armando, Roma, ~972

Bion W. R.,Esperienze nei gruppi, Armando, Roma, ~983

Camarlinghi R., "Intervista ad Andrea Canevaro",Animazione Sociale, 4,~999

Morin E., I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano, 2001.

Napolitani D., Individualità e gruppalità, IPOC, Milano, 2006

LIBRI

Ogni anno,in Italia, 1500 famiglie ricevono la stessa,ingiusta notizia"vostro figlio ha un tumore infantile': A Paola Natalicchio, gior~ nalista di 33 anni, la diagnosi della malattia del suo primo figlio è arrivata una mattina di fine maggio, due mesi. dopo la sua nascita. Un tumore maligno all'addome, da aggredire subito con un percorso di cure pesante e dagli esiti imprevisti. Cosi senza scelta, ha lasciato i progetti e la vita che aveva e insieme alla sua famiglia si è trasferita nel reparto di Oncologia pediatrica di un grande Ospedale romano. li Regno di O p, appunto: una realtà parallela e segreta. Che hacambiato persempre i suoi occhi. Da dicembre Paola ha aperto un blog (www.ilregnodlop.blogspot.it) e ha iniziato a raccontare gli incontri, le storie, le fatiche e le speranze accumulate in tanti giorni di ospedale. Un blog che in 5 mesi,tra pagine di Blogspot e il mirrorsulsito dell'Unità, ha raccolto 90.000 accessL Questo libro raccoglie i post del blog, ma è anche un progetto editoriale che prova ad andare oltre, tenendo insieme lo sguardo di genitori,medici e pazienti sulla complessa e dolorosa realtà dei tumori infantili. Insieme a tutti i post del blog e a due scritti inediti dell'autrice, infatti, il libro contiene un'ampia appendice su cosa sono e dove si curano i tumori infantili in Italia, a cura del prof. Riccardo Riccardi e della dott.sa Daniela Riuo. A chiudere il libro, poi, sono i disegni di Esther Cristofori, artista sedicenne specializzata in fumetti a cartoni, giovane paziente di Op. t:introduzione è affida(a a Concita De Gregorio. Quello di Paola Natalicchio è un libro the racconta i mille volti della malattia pediatrica oncologica, che invita alla resistenza e alla speranza di farcela.

Prospettive Sociali e Sanitarie n. 7/2012 Professioni sociali

ALCOLISMO E COMUNITÀ TERAPEUTICH E

Sono passati 10 anni dalla 1.125, "Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcor­

relati", in cui era prevista la possibilità, anche per gli alcoldipendenti, di avvalersi delle

strutture residenziali e semi-residenziali accreditate per i programmi di cura, riabili­

tazione e reinserimento territoriale. In questi anni di sperimentazione, nella Regione

Lombardia, la maggior parte delle 138 Comunità terapeutiche per tossicodipendenti ha

accolto anche utenti con dipendenza da alcol ma solo poche hanno avviato un modulo

specialistico e una formazione specifica per lavorare con progetti alcologici di qualità.

Nel frattempo le esigenze dell'utenza con problemi alcolcorrelati è cambiata e ci si sta

accorgendo che anche i tempi dei vecchi modelli trattamentali non pagano più.'

L'intervento dei moduli specialistici per alcoldi­pendenti nelle Comunità terapeutiche residen­ziali ( CT) della Lombardia sta uscendo dalla fase sperimentale con un bagaglio di esperienze e di modelli che consentono una riflessione a tutto campo sulle strategie operative e sulle esigenze che l'attuale utenza presenta. L'attività svolta in questi anni dalle équipe multiprofessionali del­le CT residenziali e semiresidenziali ha messo in luce differenti target di utenza che, proprio per le loro specificità, abbisognano di percorsi trattamentali alcologici differenziati, per evita­re spreco di tempo e di risorse e per sottrarre gli alcolisti con problemi sociali gravi a continue ricadute alcoliche e al peggioramento delle pro­prie condizioni fisiche e psichiche. Quali sono questi utenti e in che cosa si differenziano i loro bisogni di cura? Partiamo dalla tipologia più sto­ricamente trattata: l'alcoldipendente femmina o maschio (che può avere anche una polidipenden­za in cui l'alcol è la sostanza primaria) con una rete parentale e, spesso, con un lavoro, inviato in CT dai servizi NOA o SERT, 2 perché territo,rial­mente non riesce a raggiungere obiettivi tratta­mentali efficaci (per esempio, astinenza alcolica continuativa; costruzione di strumenti interiori per fronteggiare il craving o le ricadute alcoliche; messa in discussione di nodi critici della propria vita relazionale). Per queste persone l'allontana­mento dal proprio contesto familiare e sociale per 12 o 18 mesi (termine massimo previsto per il trattamento in CTresidenziale) rappresenta una tappa faticosa ma spesso efficace per sperimen­tare un'astinenza alcolica continuativa e provare a c~struire con se stessi ma anche con i familiari (partner, genitori, figli) una relazione più sana perché fondata sulla messa in discussione, da sobri, di ferite e traumi interiori trascurati per anni. Il lavoro dell'equipe comunitaria si rivela efficace se viene svolto in collaborazione con il NOA o l'équipe alcologica del SERT inviante da cui

Dipendenze

il paziente ritornerà in carico una volta dimes­so dalla CT. Questa tipologia di utenza può aver bisogno anche di essere accompagnata, dopo i 12

o 18 mesi, in un percorso di reinserimento abi­tativo se in comunità è emersa. la necessità che il paziente sperimenti la propriaautonomia,lavo­rativo se, avendo perso l'attività magari da tem­po, deve essere aiutato a riaffacciarsi nel mondo del lavoro, soprattutto in questo periodo di crisi occupazionale. Anche queste tappe terapeutiche necessitano di un monitoraggio da parte dei NOA

o SERT che, negli anni a venire, fungeranno da punto diriferimentoper l'utente ormai dimesso dallaCT.

Il secondo target è relativo ad alcoldipendenti o poliabusatori che, pur essendo inseriti in un programma alcologico territoriale, hanno biso­gno di brevi programmi comunitari (4-6 mesi) per staccarsi dal contesto familiare e tentare di fare una tappa resa difficile a causa dei continui stimoli ambientali, (ad esempio, luoghi dove tro­vare le bevande alcoliche, sollecitazioni negative dei familiari, stress quotidiano e lavorativo). La terza tipologia è la più recente e sta diventando, di anno in anno, semprepiùnumrrosa: gli utenti alcolisti cronici con età compresa tra i so e i 6o anni. Questi pazienti sono quasi sempre senza famiglia, senza lavoro perché l'hanno perso o perché già pensionati; senza casa o con l'impos­sibilità di vivere in modo autonomo nella propria abitazione; con gravi difficoltà ad avviare un'asti­nenza alcolica continuativa e a condurre, da soli, un'esistenza quotidiana decorosa. Spesso, oltre alla dipendenza cronica dall'alcol, hanno anche disturbi psichi ci che aggravano la loro situazione psico-socio-sanitaria. La maggior parte di que­sti utenti si adatta bene alla vita comunitaria, si integra nell'organizzazione quotidiana; smette di bere, migliora fisicamente e psichicamente e può impiegarsi in attività lavorative part-time. Tutto questo se rimane all'interno della CT. Se,

Prospettive Sociali e Sanitarie n. 7/2012

Mara Bossi

Responsabile CT Cascina Mazzucchelli

Maria Raffaella Rossin

Psicologa, psicotera­peuta, presidente SIA

Lombardia

Noto 1 n contributo è tratto

dalla relazione delle autrici, "La riabilita­zione alcologica nelle strutture residenziali lombarde, tra vecchi schemi e nuove esigen­ze", tenuta al Convegno Alcolismo e CT, orga­nizzato da Provincia di Milano e SIA Lombar­dia, 23 novembre 2011..

2 NOA (Nuclei operativi alcologia), servizi spe­cifici per il trattamento dei problemi e delle patologie alcolcorrela­ti, istituiti in Regione Lombardia dalla LR 62/90; SERT (Servizi per le tossicodipendenze da sostanze illegali), si occupano anche di alcoldipendenza.

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anche dopo un percorso di 18 mesi queste perso­ne vengono dimesse, in breve tempo ritornano a bere, a vivere per strada, ad ammalarsi. Non a causa di scarsa motivazione al fare ma per assen­za di capacità ad organizzarsi da sole, senza una struttura tutelante che le aiuti a sopravvivere decorosamente. La quarta ed ultima tipologia (la più recente) è rappresentata dagli immigrati che, spesso, arrivano da percorsi di detenzione.

LA RETE DELL'INTERVENTO ALCOLOGICO: LA COMUNITÀ TERAPEUTICA RESIDENZIALE COME NODO FLESSIBILE

Le realtà comunitarie che, in questi anni, hanno sperimentato differenti modalità operative in ambito sia strettamente clinico siariabilitativo, sostengono il bisogno di differenziare i modu­li alcol da quelli per le dipendenze da sostanze illegali. Inoltre, l'esperienza operativa ha messo in evidenza che i percorsi medio-lunghi (1.2-18 mesi) non sempre rispondono alle esigenze dell'alcoldipendente o del poliabusatore del pri­mo e secondotarget. I loro bisogni vedono, infat­ti, l'utilizzo della CTperilsuperamento di tappe esistenziali difficili tornando, poi, sul territorio per continuare il trattamento nei servizi SERT e NOA di riferimento.

tutti i servizi del sistema pubblico, accreditato e del volontariato che possono offrire interventi di cura e sostegno a chi beve troppo ed ai suoi familiari (dal contesto ospedaliero, ai servizi ter­ritoriali di alcologia, alle strutture residenziali e semiresidenziali, ai gruppi di auto-aiuto), deve ormai sentire come prioritaria la necessità di costruire strumenti adeguati per aiutare l'alco­lista e i familiari ad assumersi le proprie respon­sabilità nella cura della dipendenza dali' alcol. Il tempo trascorso in CT dovrebbe avere anche un significato "economico" per il paziente. Lo smet­tere di bere; il riprendere consapevolezza delle proprie abilità e competenze potrebbe significa­re, per l'alcolista, soprattutto nei percorsi medio­lunghi, svolgere attività che consentissero una partecipazione alla spesa sanitaria per la propria cura o un guadagno da reinvestire nel proprio reinserimento sociale.

CRONICITÀ E IMMIGRAZIONE: UNA SFIDA APERTA PER CT E SERVIZI

La Regione Lombardia ha individuato e accredi­tato tre tipi di comunità specialistiche: • per la comorbilità psichiatrica; • per le coppie; • per alcol e polidipendenti.

In questo senso emerge la necessità di un ventaglio di proposte residenziali che contemplino anche l'acco­glienza breve (2-4 mesi) e percorsi terapeutici che si articolino in specifiche tap­pe da raggiungere in 6-8-12 mesi attraverso una forte rete di sostegno territoria­le e una sintonia operativa tra CT residenziale, Centri Diurni e strutture di reinse­rimento abitativo e lavora­tivo. I dati dell'osservatorio Regionale sulle Dipendenze hanno evidenziato che i per­corsi residenziali risultano efficacisevengonointegrati da risorse del territorio che rendano possibile, quan­do serve, il reinserimento

Le realtà che hanno In merito alla dipendenza alcolica, bisogna sottoli­neare che, spesso, sono associati l'uso, l'abuso o la dipendenza da farmaci, da gioco e da altre sostanze illegali, così come i disturbi psichiatrici. L'uso di alcol e la relazione con patologie psichiatriche spesso non è di facile inquadramento, in quahto molti disturbi mentali possono essere sia preesistenti sia conse­guenti all'alcoldipenden­za, concatenandosi in una relazione di tipo circolare in cui i due fenomeni si influenzano e si aggravano reciprocamente.

sperimentato differenti

modalità operative,

in ambito sia clinico

sia riabilitativo,

sostengono il bisogno

di differenziare i

"moduli alcol" da quelli

per le dipendenze da

sostanze illegali Impostare un percorso

abitativo o lavorativo dell'alcolista. Diversa­mente, soprattutto per i pazienti gravemente svantaggiati, la comunità terapeutica diventa un "parcheggio" costoso che sposta nel tempo il problema della ricaduta alcolica e dell'incapa­cità di autogestione. Le èquipe multiprofessio­nali delle CT lombarde stanno sperimentando, ormai da tempo, che la richiesta di inserimento in una struttura residenziale senza un preciso progetto terapeutico che evidenzi anche elemen­ti di prognosi riguardo la capacità di" tenuta" a conclusione del percorso comunitario, rischia di risolversi in periodi di parcheggio e di semplice accudimento che non impediscono al paziente, una volta dimesso, di rientrare velocemente nelle dinamiche patologiche e in errati stili di vita. Il sistema curante della dipendenza da alcol o del bere in eccesso che si esprime attraverso

Prospettive Sociali e Sanitarie n. 7/2012

terapeutico sull'alcolista che appartiene al terzo target (cronici) non può prescindere, quindi, dalla necessità di operare un lavoro sociale e culturale mirato in primo luo­go al riconoscimento e alla restituzione di pie­na dignità alla persona stessa, per sostenere e favorire la crescita di autonomia di pazienti che, quando approdano in comunità, sono estrema­mente vulnerabili.

G)i aspetti sociali più evidenti nella casistica che è stata inserita nelle comunità residenziali lombarde in questi ultimi 15 anni sono riassunti di seguito. • Mondo dellavoro: assenteismo, improdutti­

vità, perdita del lavoro (95%) e conseguente perdita totale o parziale di reddito.

• Famiglia: conflitti, separazioni, violenze, maltrattamento dei minori (32% rispetto alla famiglia acquisita; 41% rispetto alla famiglia

Dipendenze

d'origine). • Rapporti sociali: isolamento, aggressività,

criminalità (43%). • Invalidità: malattie croniche (57%). Le persone che vengono accolte in comunità hanno un'età media tra i 40 e i 45 anni, spesso con punte superiori ai cinquant'anni (27%) e intorno ai sessanta. Questi ultimi, per una serie di fattori sociali e di compromissione sanitaria, esclusi definitivamente da qualunque circuito lavorativo, familiare, produttivo o relazionale. Aumentano, inoltre, le tipologie di senza fissa dimora, di immigrati, di detenuti e di pazienti portatori di patologie psichiatriche. Si tratta di persone che non trovano collocazione in nessun ambito istituzionale e che, con l'innalzamento delle aspettative di vita e con l'impoverimento del sistema di welfare, non hanno la possibilità di inserirsi in percorsi trattamentali definiti che li aiutino a trovare un nuovo assetto nelle aree di salute vitale. La fascia di utenza superiore ai cinquant'anni ha sviluppato l'alcoldipendenza da oltre venti, con gravi problemi organici e psi­chici e con unascarsissima autosufficienza, trop­po avanti con l'età, troppo deteriorata e troppo sola per progettare un pieno reinserimento nel tessuto sociale ma troppo giovane per accedere aunaRSA.

Il fenomeno delle persone senza dimora è un dato drammatico: attualmente, in Lombardia, rappresentano il37% degli accessi in comunità.

Si tratta di persone che, spesso, come conse­guenza della perditadellavoro, di reddito o della polverizzazione del nucleo familiare, vivono ai margini, in macchina, in alloggi di fOrtuna senza punti di riferimento. Per loro la comunità tera­peuticaassume per prima cosa la valenza di soci­disfacimento dei bisogni primari con il mirag­gio di recuperare una vita dignitosa, miraggio che spesso non fai conti con l'età (quasi sempre avanzata) e lo stato di salute, irrimediabilmente deteriorato. La dipendenza dall'alcol è solo uno dei tanti problemi che questi pazienti devono affrontare per accettare di cambiare stile di vita ma la CT non può intervenire sulla programma­zione a lungo termine rischiando, così, di non trovare, sul territorio, le condizioni e la rete di supporti e di interventi che possono aiutarle a mantenere i cambiamenti raggiunti nel percorso residenziale. 3

Gli immigrati che hanno usufruito di un per­corso in comunità corrispondono circa alg% del totale (stima di 350 utenti nel2o11) dei pazienti inseriti. Sono ricompresi anche nel numero del disagio sociale, dei senza fissa dimora e arrivano per lo più da percorsi di detenzione. Le richieste relative a questo sotto gruppo sono in aumento esponenziale. Molti gli elementi che possono aver prodotto l'instaurarsi della dipendenza alcolica: sradicamento dal contesto di prove­nienza, impatto con la nuova realtà sociocul­turale, solitudine, mancanza della famiglia e difficili condizioni di alloggio/lavoro. Il percor­so terapeutico con queste persone risulta parti­colarmente difficile sia per la scarsa conoscen­za delle culture di provenienza, sia per tutte le difficoltà burocratiche: mancanza o perdita del permesso di soggiorno, difficoltà di accesso alle

Dipendenze

cure sanitarie, ritorno alla clandestinità alter­mine del percorso, impossibilità di trovare un lavoro e ancor più un alloggio, provvedimenti di espulsione attuativi al termine della pena.

CONCLUSIONI

Il costante aumento degli utenti alcolisti croni­ci con età compresa tra i so e i 6o anni, spesso affetti da problemi psichici che hanno anticipato la dipendenza dall'alcol, sta facendo emergere l'inadeguatezza dei programmi di trattamen­to comunitario che, oggi, è possibile proporre. Questi pazienti presentano costanti difficoltà a svolgere una vita autonoma puntando solo sulle proprie capacità. Spesso non hanno più una casa e, da tempo, sono usciti dal circuito lavorativo; mancano di una rete di supporto esterno (paren­ti; figli con cui hanno legami affettivi; amici) e, pur avendo sperimentato progetti di recupero in CTancheperperiodilunghi, quando vengono dimessi perdurano gli aspetti di criticità relativi alla propria autosufficienza. Per questi utenti l'obiettivo del recupero e del reinserimento va ripensato perché non si può puntar~ sul raggiun­gimento dell'autonomia personale-~ se non all'in­terno di una struttura che supplisca alle carenze del singolo (organizzazione dei pasti e della cura della persona; gestione della giornata; accompa­gnamento nella realizzazione di semplici attività lavorative). Anche sperimentando l'astinenza alcolica per un lungo periodo all'interno della CT, una volta dimesso, l'alcolista cronico che non riesce ad avere risorse emotive sufficienti ad intraprendere una vita quotidiana equilibrata ricade nell'abuso di alcol per trovare aiuto e fuga dalla propria disperazione; ritorna ad ammalarsi aumentando lepatologie alcol-correlate (PAC) e, in questo modo, va o viene portato a chiedere nuovamente aiuto ai servizi che si vivono "impo­tenti" di fronte ai continui fallimenti dei progetti terapeutid proposti. I percorsi comunitari resi­denziali di 18 mesi risultano, quindi, inefficaci perché rivolti, a livello metodologico e clinico, a pazienti che possono ritornare sul territorio in una realtà familiare o individuale con risorse personali o della rete parent~e, per ricostruire la propria vita attraverso percorsi più sani grazie a nuove motivazioni. L'utenzacronica, invece, può costruirsi motivazioni solo se riesce ad entrare in un circuito di sostegno permanente in cui poter esprimere le capacità individuali senza paura di dover ripiombare nell'angoscian-l.e percorso del vivere quotidiano, rispetto al quale non ha le necessarie difese e abilità. La normativa regio­nale che governa questa materia non ha ancora considerato le gravi, complesse ed urgenti pro­blema ti che di questi soggetti che, nel migliore dei casi, si trovano a dover peregrinare da una CT all'altra senza poter costruire un nuovo progetto di vita. I servizi territoriali NOA e SERT, difronte a queste emergenze, non possiedono strumenti efficaci da proporre. Infatti, quando il pazien­te raggiunge l'astinenza alcolica in un contesto protetto come la CT residenziale, il servizio ter­ritoriale dovrebbe poter aiutarlo a reinserirsi socialmente el o lavorativamente utilizzando le risorse che il paziente possiede (famiglia; lavoro;

Prospettive Sociali e Sanitarie n. 7/2012

Note 3 Una riflessione partico­

lare va dedicata alla cro­nica scarsità di struttu­re comunitarie, di risor­se e di interventi rivolti alle donne, che, in Lom­bardia, possono conta­re su poche strutture che adottano program­mi specifici per la riabi­litazione femminile.

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anche dopo un percorso di 18 mesi queste perso­ne vengono dimesse, in breve tempo ritornano a bere, a vivere per strada, ad ammalarsi. Non a causa di scarsa motivazione al fare ma per assen­za di capacità ad organizzarsi da sole, senza una struttura tutelante che le aiuti a sopravvivere decorosamente. La quarta ed ultima tipologia (la più recente) è rappresentata dagli immigrati che, spesso, arrivano da percorsi di detenzione.

LA RETE DELL'INTERVENTO ALCOLOGICO: LA COMUNITÀ TERAPEUTICA RESIDENZIALE COME NODO FLESSIBILE

Le realtà comunitarie che, in questi anni, hanno sperimentato differenti modalità operative in ambito sia strettamente clinico sia riabilitativo, sostengono il bisogno di differenziare i modu­li alcol da quelli per le dipendenze da sostanze illegali. Inoltre, l'esperienza operativa ha messo in evidenza che i percorsi medio-lunghi (12-18 mesi) non sempre rispondono alle esigenze dell'alcoldipendente o del poliabusatore del pri­mo e secondo target. I loro bisogni vedono, infat­ti, l'utilizzo della CT perii superamento di tappe esistenziali difficili tornando, poi, sul territorio per continuare il trattamento nei servizi SERT e NOA di riferimento.

tutti i servizi del sistema pubblico, accreditato e del volontariato che possono offrire interventi di cura e sostegno a chi beve troppo ed ai suoi familiari (dal contesto ospedaliero, ai servizi ter­ritoriali di alcologia, alle strutture residenziali e semiresidenziali, ai gruppi di auto-aiuto), deve ormai sentire come prioritaria la necessità di costruire strumenti adeguati per aiutare l'alco­lista e i familiari ad assumersi le proprie respon­sabilità nella cura della dipendenza dall'alcol. Il tempo trascorso in CT dovrebbe avere anche un significato "economico" per il paziente. Lo smet­tere di bere; il riprendere consapevolezza delle proprie abilità e competenze potrebbe significa­re, per l'alcolista, soprattutto nei percorsi medio­lunghi, svolgere attività che consentissero una partecipazione alla spesa sanitaria per la propria cura o un guadagno da reinvestire nel proprio reinserimento sociale.

CRONICITÀ E IMMIGRAZIONE: UNA SFIDA APERTA PER CT E SERVIZI

La Regione Lombardia ha individuato e accredi­tato Ùe tipi di comunità specialistiche: • per la comorbilità psichiatrica; • per le coppie; • per alcol e polidipendenti.

In questo senso emerge la necessità di un ventaglio di proposte residenziali che contemplino anche l'acco­glienza breve (2-4 mesi) e percorsi terapeutici che si articolino in specifiche tap­pe da raggiungere in 6-8-12 mesi attraverso una forte rete di sostegno territoria­le e una sintonia operativa tra CT residenziale, Centri Diurni e strutture direinse­rimento abitativo e lavora­tivo. I dati dell'osservatorio Regionale sulle Dipendenze hanno evidenziato che i per­corsi residenziali risultano efficacisevengonointegrati da risorse del territorio che rendano possibile, quan­do serve, il reinserimento

Le realtà che hanno In merito alla dipendenza alcolica, bisogna sottoli­neare che, spesso, sono associati l'uso, l'abuso o la dipendenza da farmaci, da gioco e da altre sostanze illegali, così come i disturbi psichiatrici. I: uso di alcol e la relazione con patologie psichiatriche spesso non è di facile inquadramento, in quahto molti disturbi mentali possono essere sia preesistenti sia conse­guenti all'alcoldipenden­za, concatenandosi in una relazione di tipo circolare in cui i due fenomeni si influenzano e si aggravano reciprocamente.

sperimentato differenti

modalità operative,

in ambito sia clinico

sia riahilitativo,

sostengono il bisogno

di differenziare i

"moduli alcol" da quelli

per le dipendenze da

sostanze illegali Impostare un percorso

abitativo o lavorativo dell'alcolista. Diversa­mente, soprattutto per i pazienti gravemente svantaggiati, la comunità terapeutica diventa un "parcheggio" costoso che sposta nel tempo il problema della ricaduta alcolica e dell'incapa­cità di autogestione. Le èquipe multiprofessio­nali delle CT 1om barde stanno sperimentando, ormai da tempo, che la richiesta di inserimento in una struttura residenziale senza un preciso progetto terapeutico che evidenzi anche elemen­ti di pro gnosi riguardo la capacità di "tenuta" a conclusione del percorso comunitario, rischia di risolversi in periodi di parcheggio e di semplice accudimento che non impediscono al paziente, una volta dimesso, di rientrare velocemente nelle dinamiche patologiche e in errati stili di vita. Il sistema curante della dipendenza da alcol o del bere in eccesso che si esprime attraverso

Prospettive Sociali e Sanitarie n. 7/2012

terapeutico sull'alcolista che appartiene al terzo target (cronici) non può presdndere, quindi, dalla necessità di operare un lavoro sociale e culturale mirato in primo luo­go al riconoscimento e alla restituzione di pie­na dignità alla persona stessa, per sostenere e favorire la crescita di autonomia di pazienti che, quando approdano in comunità, sono estrema­mente vulnerabili.

Gli aspetti sociali più evidenti nella casistica che è stata inserita nelle comunità residenziali 1om barde in questi ultimi 15 anni sono riassunti di seguito. • Mondo del lavoro: assenteismo, improdutti­

vità, perdita del lavoro (95%) e conseguente perdita totale o parziale di reddito.

• Famiglia: conflitti, separazioni, violenze, maltrattamento dei minori (32% rispetto alla famiglia acquisita; 41% rispetto alla famiglia

Dipendenze

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doti e abilità personali) per evitare che gli stru­menti acquisiti in CT anche, ma non solo, nei confronti del bere in eccesso, vadano perduti. Nel caso di un paziente che appartiene al terzo target, ci si trova di fronte all'assenza totale di risorse e a persone che hanno poche abilità da utilizzare (anche per l'età e per lepatologie alcol­correlate) per modificare completamente la pro­pria esistenza senza l'alcol. I percorsi abitativi e lavorativi da utilizzare in ambito riabilitativo, quando ci sono, risultano più adatti ad utenti giovani che hanno. la possibilità di modificare il proprio comportamento avviando nuovi stili di vita e affrontando con energia difficoltà relazio­nali familiari che, senza la dipendenza alcolica, devono essere modificate. L'alcolista cronico con più di cinquant'anni, spesso affetto da problemi psichici, solo o con una realtà familiare grave­mente compromessa (genitori anziani che non possono occuparsi di lui/lei; figli che vivono autonomamente o con il genitore da cui l'alcoli­stahadivorziato; assenza di una dimora; assenza di parenti che possano dare un aiuto), non ha le capacità interiori per poter vivere al di fuori del­la realtà comunitaria. Quando questo accade, le strutture di prima accoglienza che lo accolgono per brevi periodi (dormitorio pubblico; centri di prima accoglienza che accolgono senza l'invio di servizi), cercano di avviarlo nuovamente ai NOA

o ai SERT o ai servizi di psichiatria territoriale (CPS) per"aiutarlo/aasmettere di bere". Ma que­sto paziente aveva già smesso di bere, magari per un lungo periodo (12-18 mesi) ma all'interno di una struttura residenziale in cui qualcuno si occupava di liri/lei. Se viene rimandato in una nuova CT deve riprovare a raggiungere l' astinen­zaalcolicasapendo che, dopo un tempo definito, si ritroverà per la strada e, chiedendo l'elemo­sina, ritornerà a bere per evitare una decisione più drastica. Quando si sa che non esiste altra soluzione per la sopravvivenza del soggetto si può tentare di allungare la permanenza in CT anche oltre il termine dei 18 mesi. In questo modo, però, i posti a disposizione dei pazienti (target uno e due e quattro) che possono usu­fruire proficuamente dei percorsi trattamentali

Alberto Pollai

alcologico-residenziali vanno a diminuire con conseguenze pesanti per i giovani alcolisti che potrebbero trarre giovamento dal percorso di aiuto residenziale. In molti casi può succedere che la CT si trovi a dover gestire gratuitamente pazienti cronici senza futuro a cui i servizi NOA

e SERT non avvallano la continuazione del pro­gramma terapeutico dopo aver sperimentato che all'uscita dalla CT il paziente ritorna a far uso di alcol. In questi casi l'equipe della struttu­ra residenziale deve affrontare anche un proble­ma morale qualora decida di abbandonare a un futuro incerto e pericoloso alcolisti astinenti e ben compensati che, una volta dimessi dalla CT, ritornano ad essere dei disperati senza dimora.

In questa terra di nessuno la comunità diven­ta un approdo al quale aggrapparsi, ma si trat­ta di uno strumento non adeguato e utilizzato impropriamente. DéÌI 2001, quindi, le comunità specialistiche da un lato hanno messo in campo interventi sempre più efficaci non solo appro­fondendo lo studio e la conoscenza di modelli già operativi e sperimentali, ma anche andando a costruire percorsi innovativi confrontando e integro\).ndo differenti approcc-i e professionali­tà, dall'altro vengono loro proposte dai servizi e dalle Istituzioni richieste di interventi impro­pri soprattutto da quando la crisi del Welfare ha visto ridursi sempre di più la spesa investita dal Governo Italiano per il contrasto della povertà e dell'esclusione sociale. 4 Per superare questa ambivalenza ed evitare che i pazienti con pro­blematiche complesse fisiche e psico-sociali non trovino adeguate risposte, diventa urgente immaginare situazioni protette o semi-protette a carattere assistenziale e di supporto, dove sia possibile seguire il paziente in maniera costante per periodi più o meno protratti di permanenza. Questi obiettivi dovrebbero essere perseguiti da azioni sinergiche tra gli enti, i servizi specialistici e le associazioni coinvolti direttamente al rag­giungimento di un miglior stile di vita dell'alco­lista cronico. L.,

Note 4 Revelli M., Poveri, noi, Einaudi, Torino, 2010.

LIBRI

Le parole non dette. Come insegnanti e genitori possono aiutare i bambini a prevenire l'abuso sessuale con DVD, Franco Angeli, Milano, 2011 ~abuso sessuale sui minori è una realtà che spaventa. Paure ed emozioni che suscita in genitori ed educatori, lo hanno trasformato in un problema rispetto al quale è meglio non parlare, non agire, non fare nulla. Si spera semplicemente che un evento tanto terribile non capiti mai nella propria famiglia o nella propria scuola e questa è l'unica prevenzione che viene messa in atto. Da anni, invece, in molte nazioni, la prevenzione dell'abuso sessuale viene proposta ai bambini di tutte le età sia a scuola che in famiglia, affinché sap­piano difendersi nelle situazioni di. rischio e soprattutto comprendano che il loro corpo e la loro persona hanno valore e dignità. la conoscenza aiuta sempre a risolvere i problemi e in questo volume genitori e insegnanti potranno capire cos'è l'abuso sessualee cosa provoca sul bambino che ne è vittima. l genitori troveranno una guida per fare prevenzione con i propri figli, gli insegnanti le indicazioni per condurre a scuola un percorso educativo con i propri alunni. Questo libro vuole pertanto aiutare a promuovere la pre­venzione a scuola e in famiglia.

Prospettive Sociali e Sanitarie n. 7!2012 Dipendenze

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