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ALBERTO SILVANI
VESCOVO DI VOLTERRA
LA PREGHIERA
NOVE CONVERSAZIONI
PER LA
NOVENA DI NATALE
ANNO 2017
1. La spontaneità della preghiera pag. 5
2. La preghiera di Gesù 9
3. La preghiera di ascolto 13
4. L’Ufficio Divino (Lodi-Vespri) 17
5. L’Adorazione Eucaristica 21
6. La Via Crucis 25
7. Il Rosario e l’Angelus Domini 29
8. Le Stazioni Quaresimali 33
9. Il Pellegrinaggio 37
Volterra, 3 dicembre 2017
prima domenica di Avvento
3
PREGHIERA
Vergine e Madre Maria,
tu che, mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita
nella profondità della tua umile fede,
totalmente donata all’Eterno,
aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,
di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.
Tu, ricolma della presenza di Cristo,
hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, ferma davanti alla Croce con una fede incrollabile
e ripiena della gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Evang. Gaudium, Conclusione
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Carissimi Confratelli nel ministero,
essendo stato richiesto di guidare la Novena di
Natale, ho pensato bene di mettere per scritto alcune
riflessioni sulla preghiera e di offrirle a chi vorrà farne uso.
Già da diversi anni l’Ufficio Diocesano per la
Liturgia propone una Settimana di Spiritualità, con
preghiere e riflessioni appropriate, da celebrarsi durante il
mese di maggio; diverse parrocchie hanno iniziato a
celebrare le ‘Ventiquattrore per il Signore’ secondo la
raccomandazione del papa; altre continuano con le
Quarantore tradizionali. Iniziative come Adorazione, Via
Crucis, Rosario, Liturgia delle Ore, stanno diventando
abituali, almeno nelle parrocchie che si ritengono tali.
Voglio incoraggiare e motivare queste iniziative, dal
momento che le pratiche devozionali ci aiutano a vivere in
un clima di presenza abituale con il Signore. Per un certo
tempo abbiamo ridotto tutto alla sola Messa, snobbando il
resto, ma la Messa non può essere la cosa più banale: deve
tornare ad essere il momento culminante nella vita del
cristiano e della parrocchia, punto di arrivo e di partenza.
Le nove conversazioni fanno riferimento alla Novena,
di Natale, ma possono essere usate secondo l’opportunità
anche in altri momenti. In ognuna c’è il riferimento al
Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) e una citazione
della preghiera di Tobia (Tob 13), che è una poesia lirica
invitante alla lode e al ringraziamento.
La Vergine SS.ma e i nostri santi volterrani
intercedano per noi e ci accompagnino nel cammino di
riscoperta della vita dello spirito.
Alberto, vescovo
Volterra, 3 dicembre 2017
5
Lodatelo, figli d'Israele, davanti alle nazioni,
lui il nostro Padre, Dio per tutti i secoli.
Tob 13,3-4
PRIMA CONVERSAZIONE
La spontaneità della preghiera [CCC §§ 2559-2616]
1. La preghiera è l’espressione del senso religioso che
esiste nel cuore di ogni persona, credente o non credente, ed
è una tensione dell’intelligenza e della libertà verso la
qualcosa di più grande. C’è una forma di preghiera
elementare derivante da sentimenti di pericolo, paura,
angoscia, ansia, oppure derivante da situazioni di malattia,
come è stato per la donna siro-fenicia (Mc 7,26). Pregare
viene dal verbo latino precor, precari, da cui deriva
precarietà; ed è quindi un implicito riconoscimento di
necessità, di bisogno, di non auto-sufficienza. Quando
preghiamo riconosciamo che la nostra forza ci viene da
fuori, da quella presenza divina che soffia il suo Spirito sulla
fragilità della nostra vita, e quindi nella preghiera prende
forma il bisogno che abbiamo di Dio, di Qualcuno più
grande di noi. Certamente il riconoscere che non siamo
onnipotenti è contrario alla mentalità e alla pedagogia
contemporanea, che ritiene forza ogni autonomia, e
debolezza il manifestare la propria fragilità e il bisogno
dell’altro. Ma lo slancio del cuore non corrisponde alle
regole imposte da una certa pseudo-razionalità.
2. La preghiera non può limitarsi alla richiesta, come nel
caso dei dieci lebbrosi guariti (Lc 17,12-19): il bisogno
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esaudito genera il ringraziamento e la lode, dal bisogno non-
esaudito viene il lamento e la supplica, per cui alla preghiera
di richiesta segue il ringraziamento o il lamento.
3. Gli uomini si aprono alla preghiera oltre che mossi dal
bisogno, dovunque avvertono e riveriscono il mistero. C’è
quindi una forma di preghiera che trae origine dalla
contemplazione della natura attorno a noi e del cielo stellato
sopra di noi, dalla consapevolezza della propria dignità e
dalla coscienza morale dentro di noi, come dice il filosofo
Kant (Critica della ragion pratica, inizio della conclusione).
La preghiera si rivolge verso l’alto dei cieli partendo dalla
contemplazione della natura, di un’aurora, di un tramonto,
della forza del vento, del fuoco, della tempesta, della
potenza del sole e della dolcezza della luna (cf Sal 104; 148;
Cantico dei tre fanciulli di Dn 3,56-88; Cantico delle
Creature di San Francesco; ecc.).
4. La preghiera, sia che parta dal bisogno, sia che derivi
dal senso del mistero, è espressione della ricerca di Dio e
tende a contemplare la sua grandezza. Questa ricerca è un
desiderio così misterioso che ci rende insoddisfatti finché
non raggiungiamo lo scopo (cf Sant’Agost., Irrequietum cor
nostrum, Conf. inizio). Solo l’incontro con Dio ci può
soddisfare, le cose superficiali e piccole di questo mondo
non ci soddisferanno mai. Ci dice il salmo 27: “Il mio cuore
ripete il tuo invito: Cercate il mio volto! Il tuo volto,
Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto. Sei tu il
mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia
salvezza (vv. 8-9). Nella ricerca di Dio purificando i nostri
desideri e comprendiamo quali sono i nostri veri bisogni.
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5. La preghiera che procede dal cuore e che arriva alla
comunione intima con Dio è un’esperienza profonda di fede
e di fiducia in Lui. Pertanto fermarsi al pozzo di Giacobbe
(Gv 4,7), stare seduti ai piedi di Gesù (Lc 10,39), riposare il
capo sul suo petto (Gv 13,25): questa è la preghiera, la parte
migliore che non ci sarà tolta (cf Lc 10,42). Solo quando
stiamo alla presenza di Dio comprendiamo quale deve essere
la missione personale e particolare che dobbiamo svolgere
nel mondo. Preghiera e impegno vanno insieme, perché la
nostra attività deve avere da Dio il suo inizio e in Lui il
compimento. La preghiera dà all’impegno il suo riferimento
essenziale a Dio, e l’impegno dà alla preghiera la sua serietà
e coerenza. Il programma di vita di tutti gli ordini monastici
è: Ora et labora, prega e lavora.
6. Gesù ci ha raccomandato di pregare sempre, con
fervore e con insistenza. Non ci ha detto di pregare bene, ma
di gridare e importunare senza stancarci (cf Lc 11, 1-13;
18,1-8). Pertanto “le persone che non si decidono a fare
orazione prima di avere acquisito tutte le virtù, assomigliano
a un piccolo seme che rifiuti di lasciarsi seminare prima di
aver messo la radice, il fusto e le foglie” (Diario di Raïssa
M., 12 ottobre 1916). Però la preghiera non ha una efficacia
meccanica, come se il pregare fosse un’attività magica.
Quando insiste sulla necessità di pregare, Gesù vuole indurci
a chiedere non favori casuali, ma a pregare per avere il dono
dello Spirito Santo (Lc 11, 13), perché si compia il regno di
Dio, come diciamo nel Padre nostro: “Venga il tuo regno”
(Mt 6,33). Tutte le suppliche, anche quelle dirette alla
propria salvezza personale, mirano in ultimo termine alla
venuta del regno di Dio, del quale anche noi siamo partecipi.
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7. Sotto il peso negativo delle violenze del secolo scorso
sta crollando il mito dell’onnipotenza dell’uomo, e nelle
persone più semplici riemerge il senso del sacro. Questo non
accade ancora presso gli intellettuali, i quali succubi delle
proprie idee sono sempre in ritardo sulla storia (parlo degli
intellettuali ripetitori di luoghi comuni, non degli
intellettuali profeti che vedono lontano). Nel frattempo
abbiamo sperimentato come la mancanza di preghiera, cioè
del senso del sacro, ha avuto ripercussioni immediate anche
nell’arte. L’uomo che ha perduto il senso dell’Assoluto, che
non sente più il bisogno di un cielo sopra la sua testa e che
quindi non prega più, ha smesso di costruire cattedrali, ha
cominciato a pregare in posti più simili a garage che a
chiese, senza liturgia, senza guglie in grado di portare lo
sguardo verso l’alto. Insieme all’architettura abbiamo
impoverito anche la pittura e la scultura, che rappresentano
forme contorte, convulse e irriconoscibili. Tolta l’apertura a
Dio, l’uomo rimane solo nella sua sofferenza e nel suo
pianto.
8. A un livello molto più basso dell’arte, la preghiera si
esprime anche con la posizione del corpo: a mani giunte, a
mani alzate, inchinandosi, in ginocchio, prostrandosi, in
posizione accucciata, scoprendosi o coprendosi il capo
secondo gli usi delle religioni e del sesso, con le scarpe o
senza. Però la preghiera si fa soprattutto nel segreto, perché
la preghiera è intimità con Dio, e il silenzio è padre della
preghiera come la solitudine ne è la madre: “Quando tu
preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il
Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel
segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,6).
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Io gli do lode nel paese del mio esilio
e manifesto la sua forza e la sua grandezza.
Tob 13,8
SECONDA CONVERSAZIONE
La preghiera di Gesù
[CCC §§ 2746-2751]
9. Gesù non solo ci ha raccomandato di pregare con
insistenza, ma ci ha dato l’esempio di vivere in una continua
vita di preghiera. Gesù prega prima del ministero in Galilea
(Mc 1,35), prima della moltiplicazione dei pani (Mc 6,41.46;
Mt 14,19; Lc 9,18), per la rivelazione del Regno ai piccoli
(Mt 11,25; Lc 10,21), durante l’agonia (Mc 14,32-36; Mt
26,39-44; Lc 22,41-45). Nel vangelo secondo Giovanni
Gesù prega al momento della risurrezione di Lazzaro (11,41-
42) e durante l’Ultima Cena (17,1-26). Il vangelo secondo
Luca, per dimostrare che tutta la sua azione si svolge in
comunione con il Padre, sottolinea con precisione che Gesù
pregava nelle svolte decisive del suo ministero: Gesù prega
al momento del battesimo (Lc 3,21), si reca regolarmente
alla sinagoga (Lc 4,16), trascorre la notte in preghiera prima
della chiamata dei Dodici (Lc 6,12), prega prima della
professione di fede di Pietro e al momento della
trasfigurazione (Lc 9,18.28), alla consegna del Padre Nostro
(Lc 11,1), al momento della crocifissione (Lc 23,34.46).
10. La preghiera di Gesù sembra spontanea, senza sforzo,
come se fosse una abitudine costante e non conseguente a
uno stato di bisogno. Il suo esempio deve essere stato tanto
convincente che i discepoli gli chiedono come devono
10
pregare: “Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando
ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: Signore,
insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai
suoi discepoli” (Lc 11,1).
11. Prendiamo in esame due preghiere di Gesù. Egli, dice
la Lettera agli Ebrei, “Nei giorni della sua vita terrena offrì
preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che
poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà” (Eb
5,7). ‘Fu esaudito’, cioè non fu lasciato in preda alla morte,
ma risorto ne divenne lui il Signore. Assalito dall’angoscia
per la morte vicina, Gesù prova il desiderio istintivo di
fuggire. Non respinge questo impulso, ma lo presenta a Dio
in una preghiera supplichevole, piena di profondo rispetto e
senza la pretesa di esigere una soluzione prefissata.
12. Gesù non si permette di decidere da solo e di liberarsi
da sé, ma si affida all’azione del Padre. L’oggetto della
preghiera diviene secondario. Il racconto evangelico ci dice
che Gesù dopo aver implorato la sua liberazione aggiunge:
“Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 26,39). E ciò
che appariva prima una clausola sovrapposta diviene poco a
poco la domanda principale: “Che la tua volontà sia fatta”
(Mt 26,42). La preghiera trasforma il desiderio, che si
modella sulla volontà del Padre, qualunque essa sia, perché
colui che prega aspira prima di tutto all’unione delle volontà
nell’amore. Gesù non rinuncia a chiedere la vittoria sulla
morte, ma si rimette completamente a Dio per la scelta della
via da seguire. Una preghiera di questo genere non può che
essere esaudita, proprio perché è aperta all’azione di Dio con
rispetto totale.
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13. Gesù fu ‘esaudito’, ma non nel senso che gli fu
risparmiata la sofferenza, ma perché la sua sofferenza è stata
un cammino di salvezza: “Per ridurre all’impotenza
mediante la morte colui che della morte ha il potere” (Eb
2,14). È esperienza universale che la sofferenza ha valore
educativo, perché stabilisce una relazione più stretta e
autentica tra l’uomo e Dio, il quale purifica l’uomo e lo
trasforma, lo penetra della sua santità (Eb 12,10) in modo da
introdurlo nella sua intimità. La nostra natura “di sangue e di
carne” a cui egli aveva accettato di partecipare (Eb 2,14) era
deformata dalla disobbedienza e aveva bisogno di essere
risanata. Era necessario che passasse attraverso la sofferenza
e trasformata dall’azione di Dio. Gesù nella preghiera invoca
l’azione di Dio e l’accoglie con obbedienza.
14. C’è quindi un altro modo di ascolto da parte di Dio:
quello di liberarci dal male pur lasciandoci qui a soffrire e
morire. Gesù per vincere la paura della morte ha pregato, ha
supplicato e ha ricevuto lo Spirito Santo, il quale è entrato in
Lui e lo ha spinto ad offrire la propria vita in un dono di
amore. La sua vicenda di preghiera sofferta ed esaudita,
benché in modo diverso da quanto si poteva pensare, è assai
simile alla nostra preghiera e la illumina con il suo duplice
aspetto: di dramma, di angoscia, di buio, e di speranza, di
ascolto, di vittoria (per questi 4 §§, cf Card. A. Vanhoye,
Sacerdoti antichi e nuovo sacerdote, pag 98-108).
15. L’altra preghiera di Gesù, raccontata per esteso nel
vangelo secondo Giovanni, è la preghiera sacerdotale (Gv
17,1-26), una preghiera che ci rivela la profondità del cuore
di Gesù. Egli alza gli occhi al cielo, come al momento della
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risurrezione di Lazzaro (Gv 11,41) e come prima della
moltiplicazione dei pani (Mt 14,19; Mc 6,41; Lc 9,16), e poi
inizia con l’appello al Padre “per essere glorificato”, quindi
prega per gli apostoli, perché “abbiano in se stessi la
pienezza della sua gioia” e perché “siano consacrati nella
verità”. Infine la preghiera si allarga per tutti quelli che
crederanno, perché “tutti siano una sola cosa; come tu,
Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il
mondo creda che tu mi hai mandato”. L’insistenza della
preghiera sull’unità dei cristiani è la controprova di quanto
sia difficile vivere insieme, però la comunione tra i cristiani
resta la prima e insuperabile forma di evangelizzazione.
16. Sull’esempio di Gesù, anche la nostra vita cristiana
deve trascorrere in comunione filiale con il Padre, il quale
illumina le nostre incertezze e le nostre angosce per mezzo
dell’azione sacerdotale di Gesù. Con la sua mediazione e sul
suo esempio ogni nostra preghiera può salire al Padre: “Per
Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre onnipotente,
ogni onore e gloria”. L’altro aspetto che dobbiamo imitare
nella preghiera di Gesù è l’attenzione alle persone che ci
sono affidate: “Io prego per loro, per coloro che tu mi hai
dato” (Gv 17,9). Non basta distribuire incarichi, scegliere e
mandare: bisogna anche accompagnare fisicamente e
spiritualmente con la preghiera, confidando nell’aiuto del
Signore, come si faceva nella Chiesa apostolica:
“Designarono alcuni anziani e, dopo avere pregato e
digiunato, li affidarono al Signore” (At 14,23; 13,3).
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Guardate quello che ha fatto per voi,
ringraziatelo con tutta la voce; benedite il Signore che è giusto.
Tob 13,7
TERZA CONVERSAZIONE
La preghiera di ascolto [CCC §§ 2705-2717]
17. Il Dio in cui noi crediamo è un Dio che interviene
nella storia, un Dio che parla e che quindi chiede di essere
ascoltato: “Dio che aveva parlato molte volte e in diversi
modi nei tempi antichi per mezzo dei profeti, ultimamente in
questi giorni ha parlato per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2).
Questa Parola rivolta da Dio agli uomini è penetrante “fino
al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle
giunture e alle midolla”, “discerne i sentimenti e i pensieri
del cuore” (Eb 4,12), ed è efficace perché produce quello
che significa: “Dio disse: Sia la luce! E la luce fu” (Gn 1,3).
La Parola di Dio è come la pioggia e la neve che “scendono
dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare” (Is 55,10).
18. Se Dio parla, l’unica cosa da fare è prima ascoltare,
poi agire, perché la Parola di Dio non lascia indifferenti.
Dice il profeta: “Ruggisce il leone: chi non tremerà? Il
Signore Dio ha parlato: chi non profeterà?” (Am 3,8). Questa
Parola ruggisce tanto forte da togliere il sonno, come
ammette un altro profeta: “Dicevo: Non penserò più a Lui,
non parlerò più nel suo nome! Ma nel mio cuore c’era come
un fuoco ardente; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”
(Ger 20,9).
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19. Nella religione ebraico-cristiana l’ascolto è il requisito
fondamentale, tanto che mentre i Greci sono detti il popolo
dell’occhio, gli Ebrei sono il popolo dell’orecchio. Infatti la
civiltà greca ci ha trasmesso il culto e l’amore del bello, la
perfezione delle forme, la contemplazione del cosmo
armonicamente ordinato; la cultura ebraica invece è cultura
dell’ascolto, e l’ascolto è richiesto dalla rivelazione biblica:
“Ascolta, Israele” sono le parole della preghiera quotidiana
degli Ebrei devoti (cf Dt 4,1; 5,1;6,4;9,1;20,3;27,9; Bar 3,9;
Mc 12,29). Nei vangeli sinottici Gesù dice: “Chi ha orecchi
per ascoltare, ascolti!”(Mc 4,9; Mt 13,9; Lc 8,8), e questa
frase diventa come un ritornello nell’Apocalisse: “Chi ha
orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap
2,7.11.17.29 2,6.13.22). Sempre nell’Apocalisse Gesù si
rivela come un amico desideroso di vita intima: “Io sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, io
verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
20. Nel vangelo secondo Luca troviamo una particolare
annotazione: Gesù non ci dice: “Fate attenzione a quello che
dite, a quello che fate”, ma piuttosto: “Fate attenzione a
come ascoltate” (Lc 8,18). Accogliere la Parola è la parte
migliore, “quella che non sarà mai tolta” (Lc 10,42), quella
che è necessaria per entrare nel riposo: “Come dice lo
Spirito: oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori.
Perciò mi disgustai di quella generazione e dissi: non hanno
conosciuto le mie vie. Così ho giurato nella mia ira: non
entreranno nel mio riposo”(Eb 3,7-11; cf 4,2-3; Sal 95,7ss).
21. Chi parla semina, chi ascolta raccoglie. La Parola
proclamata non si accoglie come la mente riceve un concetto
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o un’idea da discutere, ma si prende come la terra accoglie il
seme. Il seme è sparso ai quattro venti, quasi con spreco,
perché cade anche sulla strada, sul terreno sassoso e su
quello spinoso: ciascuno può essere alternativamente l’uno o
l’altro terreno nell’attesa di diventare terreno buono, perché
alla fine di quello la Parola ha bisogno. La forza di
germogliare, il potere di creare vita lo possiede in se stessa
(cf Mc 4,1-20). Anche San Paolo insiste su questa efficacia
unica della Parola: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è
Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irrìga è
qualche cosa, ma Dio che fa crescere” (1Co 3,6-7).
22. La Parola di Dio non è una manifestazione materiale
di potenza, ma è dialogo, annunzio, manifestazione e
spiegazione di un progetto. Dio sceglie prima un popolo, poi
in tale popolo degli intermediari che trasmetteranno la sua
parola ed esigeranno in suo nome una risposta. È sempre una
persona singola che viene interpellata, e quando questa ha
assimilato la Parola, la trasmette così come è, perché
l’apostolo non è inviato per portare il suo messaggio, ma
deve gridare il messaggio di chi lo manda. Dice il profeta:
“Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce
come il corno” (Is 58,1), e Gesù stesso: “Quello che io vi
dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate
all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze” (Mt 10,27).
23. Ancora nel vangelo secondo Luca alla beatitudine
dell’ascolto troviamo associata la beatitudine di chi mette in
pratica la Parola: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la
Parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,28). Osservare la
Parola non significa fare discussioni legalistiche o questioni
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interpretative, ma compiere le opere dell’amore del
prossimo. Dice la Lettera di San Giacomo: “Siate di quelli
che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto,
illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la
mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il
proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e
subito dimentica come era” (Gc 1,22-14).
24. Lo scopo prefissatosi dalla riforma conciliare della
liturgia, che va avanti pur tra alterne vicende, è stato non
solo di liberare alcuni riti dalle pesanti sovrastrutture
accumulatesi nel corso degli anni, ma anche di avvicinare i
fedeli all’ascolto e alla conoscenza della Parola di Dio. per
questo ha stabilito che nelle liturgie festive sia letta nel giro
di tre anni tutta la Bibbia, e nei giorni feriali nel corso di due
anni. Inoltre la riforma offre una vasta scelta della Parola di
Dio per le celebrazioni rituali e per le benedizioni, e ne
raccomanda vivamente la lettura. Fanno da contorno allo
spirito della riforma liturgica altre lodevoli iniziative, quali
la pratica della Lectio Divina nei ‘Gruppi del Vangelo’, o nei
‘Gruppi di Ascolto’, che raccolgono i fedeli per l’ascolto e la
meditazione della Parola anche fuori delle celebrazioni
liturgiche. La stampa cattolica da parte sua, superando
vecchi pregiudizi, ha dato un grande impulso alla
conoscenza biblica, perché “Ignorare le Scritture significa
ignorare Cristo” (S. Girolamo, Prologo al profeta Isaia, §
1). L’ascolto della Parola, che è preghiera, si può fare anche
con la lettura individuale della Sacra Scrittura (vedo che
ormai in tutte le case c’è una bibbia), e anche nella
riflessione silenziosa, personale, mettendosi umilmente di
fronte a Dio.
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Io esalto il mio Dio,
l’anima mia celebra il re del cielo ed esulta per la sua grandezza.
Tob 13,9
QUARTA CONVERSAZIONE
La Liturgia delle Ore [CCC §§ 1174-1178.1437.2698]
25. L’invito alla preghiera continua fatto da Gesù:
“Vegliate perché non sapete né il giorno né l’ora”, “Vegliate
e pregate, per non entrare in tentazione” (Mt 25,13; 26,41), e
ancora: “Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare
sempre, senza stancarsi mai” (Lc 18,1), è stato messo in
pratica con la Liturgia delle Ore, o Ufficio Divino, il quale è
diventato anche una santificazione del tempo che scorre
verso l’incontro definitivo con il Signore. Dice a proposito il
Concilio: “Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è
strutturato in modo da santificare tutto il corso del giorno e
della notte per mezzo della lode divina. Quando poi a
celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i
sacerdoti o altri a ciò deputati per istituzione della Chiesa, o
anche i fedeli che pregano insieme col sacerdote secondo le
forme approvate, allora è veramente la voce della sposa che
parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo unito al suo
corpo eleva al Padre” (SC 84). Pertanto la Liturgia delle Ore
è la preghiera di tutta la Chiesa, ‘è la voce della sposa che
parla allo sposo’. Già Dante prima del Concilio aveva usato
questa bellissima immagine della Chiesa che si alza al
mattino presto per chiedere a Gesù di non essere privata del
suo amore: “Nell’ora che la sposa di Dio surge / a mattinar
lo Sposo perché l’ami” (Par., X,140-141).
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26. A proposito della preghiera continua e santificatrice
del tempo leggiamo nell’Antico Testamento riguardo al
profeta Daniele: “Le finestre della sua stanza si aprivano
verso Gerusalemme e tre volte al giorno si metteva in
ginocchio a pregare e lodava il suo Dio, come era solito fare
anche prima.” (Dn 6,11). Nei salmi viene ricordata la
preghiera a scadenza fissa: “Di sera, al mattino, a
mezzogiorno vivo nell’ansia e sospiro, ma egli ascolta la
mia voce” (Sal 55,18) e ancora: “Sette volte al giorno io ti
lodo, per i tuoi giusti giudizi” (Sal 119,164). Non manca un
invito molto ardito alla preghiera anche prima dell’aurora:
“Svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio.
svegliare l’aurora” (Sal 57,9; 108,3).
27. Nel Nuovo Testamento oltre alla notizia che Gesù
trascorreva le notti in orazione (Mt 14,23; Mc 1,35; Lc
6,12), leggiamo che all’ora Terza i discepoli erano riuniti in
preghiera (At 2,15), all’ora Sesta “Pietro salì sulla terrazza a
pregare” (At 10,9), all’ora Nona “Pietro e Giovanni salivano
al tempio per la preghiera” (At 3,1). Come per Gesù la
preghiera è stata l’anima del suo ministero messianico; così
per la Comunità Apostolica la preghiera è stata l’ossatura
portante di tutte le iniziative pastorali: basti pensare alla
preghiera per la scelta di Mattia, per l’invio di Paolo e
Barnaba in missione, e così di seguito (cf At 1,14.24;13,2-3).
28. La Liturgia delle Ore continua la prassi dell’Antico
Testamento, l’esempio di Gesù e la tradizione della Chiesa
Apostolica. Nei monasteri di clausura, maschili e femminili,
si conserva la consuetudine della preghiera scandita in sette
momenti fissi, compresa l’abitudine di iniziare prima del
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sorgere del sole. Considerando i diversi fusi orari, la
preghiera su tutta la terra è davvero continua e la lode a cui è
chiamata la comunità cristiana è perenne, a gloria di Dio e
per la santificazione del tempo.
29. Alla Liturgia delle Ore, e non alla Messa feriale, sono
strettamente obbligati i vescovi, i preti, in parte i diaconi e le
persone consacrate. È vero che nella tradizione latina è
diventata normale la celebrazione della Messa quotidiana,
ma la santificazione del tempo si fa con la Liturgia delle
Ore.
30. I testi della Liturgia delle Ore sono raccolti in un libro
che si chiama Breviario, cioè testo abbreviato rispetto a
quello che era l’Ufficio dei monaci, e sono predisposti in
modo da leggere i 150 salmi nel giro di 4 settimane. Nei
breviari monastici i salmi sono distribuiti in due settimane;
nel breviario in uso fino al 1970 i salmi si recitavano tutti in
una sola settimana. Qualcuno dice che tra i primi monaci
qualcuno recitava i 150 salmi in un giorno solo, ma
probabilmente è una delle solite leggende metropolitane.
Attualmente nel Breviario sono previsti cinque momenti di
preghiera: una preghiera al mattino che si chiama Lodi, e
una preghiera alla sera, che si chiama Vespri, una preghiera
breve prima del riposo che si chiama Compieta. A questi tre
momenti di preghiera sono tenuti anche i diaconi
permanenti. Inoltre durante il giorno si può scegliere una
delle tre preghiere previste: Ora di Terza, di Sesta, di Nona.
Infine c’è l’Ufficio delle Letture, composto da inno, salmi,
lettura biblica e lettura patristica o del santo del giorno, da
recitare con calma in forma di meditazione.
20
31. Tutti questi cinque momenti di preghiera iniziano con
invocazione dell’aiuto del Signore, perché la preghiera è una
cosa seria e impegnativa. Procedono poi con un inno iniziale
adatto al tempo liturgico, segue il canto o la recita dei salmi
e dei cantici dall’Antico o Nuovo Testamento. Dopo i salmi
c’è la proclamazione della Parola, in forma lunga o breve,
presa dall’Antico o Nuovo Testamento, ma non dal vangelo,
che si proclama solo nella Messa e si ascolta stando in piedi.
Si termina poi con la preghiera di intercessione e la
benedizione. I salmi e i cantici sono preceduti e seguiti da
un’antifona, che ha il compito di mettere in rilievo l’idea
determinante del salmo e ne è la chiave di interpretazione.
Nelle solennità e feste le antifone hanno il compito di far
risaltare il senso della festa che si celebra. Dopo la
proclamazione dei testi biblici, patristici o agiografici non si
risponde nulla: la risposta è costituita dal responsorio.
32. Molte comunità di suore hanno introdotto nella
propria regola di vita la Liturgia delle Ore, prima riservata
alle monache. Anche molti laici stanno scoprendo la
bellezza di pregare con i salmi, non solo in chiesa, ma pure
in casa. Non è stata una bella cosa aver abbandonato il canto
dei vespri nelle parrocchie e l’ufficio corale nelle cattedrali,
anche se c’era bisogno di una revisione. Così pure è strano
trovarsi ad incontri e pregare con preghiere astruse, mentre
la Chiesa ci offre già una forma di preghiera adatta ai diversi
orari. Nelle parrocchie e nei piccoli gruppi si potrebbe
prendere l’abitudine della Liturgia delle Ore al mattino o alla
sera, e perché non terminare le riunioni serali recitando
Compieta con la preghiera mariana e l’augurio di ‘una notte
serena e un riposo tranquillo?
21
Gerusalemme, città santa,
dà lode degnamente al Signore e benedici il re dei secoli.
Tob 13,11
QUINTA CONVERSAZIONE
L’Adorazione Eucaristica
[CCC §§ 1378-1381]
33. “La Liturgia delle Ore non esclude ma richiede come
complementari le varie devozioni del Popolo di Dio, in
modo particolare l’adorazione e il culto del Santissimo
Sacramento” (CCC § 1178). A questa esortazione del
Catechismo possiamo aggiungere le parole accorate di san
Giovanni Paolo II: “La Chiesa e il mondo hanno grande
bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo
sacramento dell’amore. Non risparmiamo il nostro tempo
per andare a incontrarlo nell’adorazione, nella
contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi
colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra
adorazione” (Domin. Cenae, 24.02.1980, § 3,6). E ancora:
“L’Ordinario (cioè il Vescovo) incoraggi molto vivamente
l’adorazione eucaristica, sia breve sia prolungata o quasi
continua, con il concorso del popolo. Negli ultimi anni,
infatti, in molti luoghi l’adorazione quotidiana del
Santissimo Sacramento ha guadagnato ampio spazio e
diviene fonte inesauribile di santità” (Redemp Sacr.,
25.03.2004, § 136).
34. Anche papa Francesco nella bolla di indizione
dell’Anno Santo della Misericordia (11.4.2015) raccomanda
l’adorazione eucaristica, da compiere nella forma di
22
‘Ventiquattr’ore per Signore’, devozione iniziata l’anno
precedente dal Consiglio per la Nuova Evangelizzazione:
“L’iniziativa 24 ore per il Signore, da celebrarsi nel venerdì
e sabato che precedono la IV domenica di Quaresima, è da
incrementare nelle Diocesi. Tante persone si stanno
riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra
questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso
il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento
di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita.
Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento
della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano
la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente
fonte di vera pace interiore” (Misericordiæ Vultus, 17,3).
35. La formula suggerita dal papa riprende l’antica
tradizione delle Quarantore, ora celebrate in poche chiese,
ma in passato devozione comune annessa alle confessioni
pasquali. Le Quarantore sono di origine medievale, ma
ebbero grande diffusione dal 1500 in poi. Dapprima si
faceva l’adorazione senza esposizione, come si fa il giovedì
santo, dal 1700 si fa con esposizione solenne. In tutte le
nostre parrocchie ci sono tronetti e addobbi per questo rito.
36. Già il documento di base Il rinnovamento della
catechesi (2.02.1970) raccomandava che anche la
predicazione insistesse su questo ‘grande sacramento’, per
ritornare alla centralità dell’Eucaristia, cioè all’essenzialità
della vita cristiana. Diceva: “Al vertice dell’azione educativa
sta la preoccupazione di disporre i fedeli a fare del mistero
eucaristico la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana. …
La catechesi deve proporre il mistero eucaristico in tutta la
23
sua realtà. La fede viva nel mistero eucaristico rivela al
massimo grado l’autentica mentalità del cristiano” (n. 46).
Mi piace sottolineare questa frase: la fede eucaristica rivela
la mentalità autentica del cristiano.
37. Gesù ha promesso di essere sempre presente nella sua
Chiesa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo” (Mt 28,20). Gesù è presente quando si compiono le
opere di misericordia (“quello che avrete fatto a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, “Chi
accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome,
accoglie me”, Mt 25,40; 18,5), quando due o tre sono riuniti
per pregare nel suo nome (Mt 18,19), quando si proclama la
sua Parola e quando si celebrano i sacramenti. Oltre a questi
modi di presenza, nella Eucaristia è “contenuto veramente,
realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro
Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il
Cristo tutto intero. Tale presenza si dice ‘reale’ non per
esclusione, quasi che le altre non siano ‘reali’, ma per
antonomasia, perché è sostanziale” (CCC 1374). Il saluto
liturgico: Il Signore sia con voi indica questa presenza
continua: il Signore è con noi, ma mediante il rito che si
compie la sua presenza diventa più sensibile ed efficace.
38. Quando ci mettiamo in adorazione alla sua presenza
prolunghiamo l’intima unione raggiunta nella comunione, da
Lui prendiamo l’energia per le opere di misericordia e
facciamo crescere la comunione interna, perché quanto più i
fedeli si avvicinano a Lui, tanto più si uniscono tra di loro.
Essi sono come i raggi dell’ostensorio: quanto più si
avvicinano al centro, tanto più si avvicinano tra di loro.
24
39. Il momento più importante dell’adorazione eucaristica
è il giovedì santo dopo la Messa della Cena del Signore:
questa Messa non ha una conclusione, ma continua con la
adorazione, che è un modo di accompagnare Gesù durante la
sua sofferenza. L’adorazione pubblica e solenne viene
rimandata dal giovedì santo, giorno dell’istituzione
dell’Eucaristia, alla settimana del Corpus Domini, la
seconda dopo la Pentecoste. In molte città c’è una chiesa
destinata all’adorazione continua, ogni giorno dal mattino
alla sera. Anche l’adorazione fatta giorno e notte senza
interruzione, che si sta proponendo in diversi luoghi, è
iniziativa bellissima, da fare però in considerazione delle
forze disponibili. È segno di serietà che in tutte le parrocchie
si faccia almeno un momento di adorazione mensile.
40. Ogni celebrazione liturgica è caratterizzata per la sua
consistenza ed ha la sua dignità. L’adorazione eucaristica è
contemplazione, ascolto, ringraziamento. Ogni parola umana
diventa inutile, perché di fronte al Signore ci si mette in
ascolto, e per questo deve essere lasciato molto spazio al
silenzio. Inoltre l’esposizione del SS.mo Sacramento non è
una bella cornice che inquadra un oratore o una lezione di
catechesi. L’adorazione non ha bisogno di riempitivi, e
quindi non ha senso mescolarla con altre celebrazioni, come
novene, Via Crucis, Rosario, Liturgia delle Ore. Durante
l’adorazione ci si può aiutare con qualche brano biblico o
patristico di particolare ispirazione; si può esprimere la lode
e il ringraziamento con il Magnificat, il Benedictus, il Te
Deum, o con altri canti adatti. Deve comunque regnare la
serietà, la sobrietà, il rispetto per la presenza reale di Gesù.
25
Vi castiga per le vostre iniquità, ma avrà compassione di tutti voi
e vi radunerà da tutte le nazioni, fra le quali siete stati dispersi.
Tob 13,5
SESTA CONVERSAZIONE
La Via Crucis
[CCC §§ 1674-1676]
41. Una delle devozioni più espressive create dalla pietà
del popolo cristiano è la Via Crucis. Essa consiste nel
ripercorrere materialmente e spiritualmente il cammino di
circa 400 metri compiuto da Gesù, caricato della croce, dal
pretorio di Pilato fino al Golgota (Via Dolorosa), e poi
considerare la sua crocifissione, la morte e la deposizione
nel sepolcro. Si accompagna il Signore nella sua passione
per assimilare i suoi sentimenti, secondo quanto ci dice San
Paolo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e
a una morte di croce.” (Fil 2,5-9). Questa esortazione è stata
tradotta e cantata dalla devozione popolare con le parole:
“Santa Madre, deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano
impresse nel mio cuore”.
42. Nel Medioevo per gli abitanti di Gerusalemme era
cosa semplice ripercorrere la Via Dolorosa, per i pellegrini
era una devozione obbligata, ma per la quasi totalità dei
cristiani restava un pio desiderio. Pertanto a partire dalla fine
del secolo XIV, andando incontro con saggia intuizione al
desiderio dei confratelli, i Francescani custodi di Terra Santa
riprodussero nelle proprie case il cammino della passione.
Questo uso presto si diffuse nelle chiese parrocchiali, e poi
26
in tutte le chiese e cappelle. All’inizio si consideravano 12
soste, dette ‘stazioni’, 9 lungo la via dolorosa e 3 dentro la
basilica: spoliazione, crocifissione, morte. In seguito si
aggiunsero la deposizione dalla croce e la sepoltura. Sono
evangelici la condanna e il portare la croce, l’incontro con il
Cireneo e le pie donne; fanno parte della tradizione popolare
le tre cadute e gli incontri con la Madre e con la Veronica.
43. Oggi per completare la meditazione della passione si
aggiunge lodevolmente ai quattordici quadretti tradizionali
anche la quindicesima stazione, la risurrezione. Questo
perché la sofferenza non è un valore in se stessa, ma
acquista un valore se è accettata in vista della glorificazione,
così come è accaduto per Gesù: “Per questo Dio lo esaltò e
gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,5-9).
La glorificazione è conseguenza stretta della passione.
44. Questa glorificazione di Gesù nella teologia del
vangelo secondo Giovanni è associata direttamente alla
morte, che è descritta come l’intronizzazione del re: “E io,
quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me. Diceva
questo per indicare di quale morte doveva morire (Gv 12,32-
33). Pertanto nella liturgia la croce viene adorata come
‘trono della grazia’, e nel prefazio della Santa Croce si dice:
“Nella potenza misteriosa della croce tu giudichi il mondo e
fai risplendere il potere regale di Cristo crocifisso”. Nella
iconografia popolare morte e risurrezione di Gesù sono
rappresentate dalla croce senza crocifisso con una benda
bianca applicata a forma di M: la croce indica la morte, la
benda significa che il corpo di Gesù non è più nel sepolcro,
dove sono rimaste le bende che avvolgevano il cadavere.
27
45. Missione della Chiesa è predicare la morte e
risurrezione di Gesù: “Il mistero pasquale della croce e della
Risurrezione di Cristo è al centro della buona novella che gli
Apostoli, e la Chiesa dopo di loro, devono annunziare al
mondo. Il disegno salvifico di Dio si è compiuto una volta
per tutte con la morte redentrice del Figlio suo Gesù Cristo”
(CCC § 571). La Via Crucis ci aiuta seguire questo cammino
di morte e risurrezione di Gesù per aver parte alla sua gloria:
“Tenete fisso lo sguardo su Gesù. Egli, di fronte alla gioia
che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce,
disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé
una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi
stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito
fino al sangue nella lotta contro il peccato” (Eb 12,2-4.
46. La sofferenza non manca nella vita di ogni persona,
ma il cristiano l’affronta come partecipazione alle sofferenze
di Gesù e comunione con Lui. Non abbiamo risposte
giustificative né per le nostre sofferenze, né per quelle degli
altri, ma l’umile sottomissione a Dio ci consente di affidarci
alla sua protezione, riconoscere la nostra limitatezza e la sua
grandezza. Sappiamo che la sofferenza stabilisce una
relazione stretta tra l’uomo e Dio: “Dio ci corregge per il
nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità”
(Eb 12,10). Il crogiolo della sofferenza ci purifica e ci rende
attenti a tutte le sofferenze del mondo, e chi non ha sofferto
non sa né comprendere, né compatire, né amare, perché
quando manca la sofferenza, trionfa l’egoismo. Solo chi è
stato purificato dalla sofferenza si apre alla comprensione,
alla solidarietà, alla riconciliazione con i fratelli.
28
47. Pertanto la croce per il cristiano non è un amuleto
portafortuna, ma il suo segno distintivo, un richiamo verso
l’alto, uno strumento che apre le porte del cielo, e un
programma di vita. Scrisse Edith Stein nell’esame di
vocazione per l’ingresso al Carmelo: “Non è l’attività umana
che ci può salvare, ma soltanto la passione di Cristo:
partecipare ad essa, ecco la mia aspirazione”. Papa
Francesco è stato molto chiaro fin dalla prima omelia:
“Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo
senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce,
non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo
Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del
Signore” (Omelia nella Cappella Sistina, 14.3.2013).
48. La Via Crucis ci dà motivo di considerare non solo il
problema della sofferenza, quella di Gesù, la nostra e quella
del mondo intero, ma anche di passare in rassegna tanti tipi
caratteristici di umanità, che sono di tutti i tempi. L’autorità
giudaica si accanisce perché ha paura di perdere terreno, i
discepoli fuggono per paura, Pilato come tante autorità
superiori se ne disinteressa, sua moglie è superstiziosa,
Giuda solo nel suo peccato si dispera, Pietro si accorge
dell’errore e chiede perdono, i soldati eseguono ciecamente,
le donne esprimono dolcezza e coraggio, il ladrone si pente
ed ruba anche il paradiso, il centurione fa professione di
fede, Simone di Cirene, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo
sono esempi di carità e di umanità, e infine l’invito alla
conversione risuona attraverso il canto casuale del gallo.
Ripercorrendo il cammino della Via Crucis ciascuno si può
riconoscere in una delle situazioni descritte, fare tesoro di
quanto contempla e uscirne purificato.
29
Sorgi ed esulta, tutti presso di te si raduneranno
e benediranno il Signore dei secoli.
Tob 13,15
SETTIMA CONVERSAZIONE
Il Rosario e l’Angelus Domini [CCC §§ 2678.2708]
49. L’origine della recita del Rosario e dell’Angelus
Domini dobbiamo cercarla nella vita dei monasteri, dove
accanto ai monaci dediti al canto dell’Ufficio divino in coro,
all’Opus Dei (Reg. S.B. 43,3), c’erano i monaci ‘conversi’,
una categoria abolita il 27 dicembre 1965 in seguito alle
indicazioni conciliari (PC 15). Questi monaci erano poco
letterati e svolgevano i lavori manuali più pesanti. Avvisati
dal suono di una campana, a scadenza fissa, con una
preghiera interrompevano il lavoro e si univano ai confratelli
che in coro cantavano le ‘Ore Canoniche’ composte di salmi
e letture bibliche e patristiche. Così si ha notizia che già
dalla metà del nono secolo si diffondeva l’abitudine di
sostituire la preghiera dei salmi con la recita di 150 Pater
Noster, aiutandosi con sassolini o con i nodi di una corda.
Poco alla volta al Pater Noster si sostituì la prima parte
dell’Ave Maria, poi si aggiunse la meditazione sui fatti
salienti della vita di Gesù, chiamati misteri. Contribuirono
moltissimo alla diffusione del Rosario gli ordini mendicanti
(domenicani, francescani, carmelitani), i quali spesso erano
in viaggio e non potevano partecipare al canto dell’Ufficio
in coro. Anche per i fedeli poco istruiti era più ovvio recitare
le 150 Ave Maria che non i 150 salmi. Dalla metà del 1400
il Rosario è strutturato come l’abbiamo noi oggi.
30
50. Nel 1540 dipingendo il Giudizio Universale nella
Cappella Sistina, a destra degli angeli che suonano le trombe
del giudizio, Michelangelo rappresentò un muscoloso angelo
che porta in paradiso le anime di due persone, una delle
quali di colore, aggrappate alla corona del rosario. Questa
rappresentazione, fatta prima della festa della Madonna del
Rosario e del Concilio di Trento, sta a rappresentare quanto
sia antica la preghiera del Rosario e quanto sia ritenuto
valido strumento di suffragio per le anime dei defunti.
51. Il Rosario è compendio dei fatti della vita di Gesù,
molti dei quali si intrecciano con la vita della Madre. Lo
scopo della recita è contemplare questi fatti, per imitare ciò
che contengono e ottenere ciò che promettono, come si dice
nell’orazione conclusiva: “Il tuo unico Figlio ci ha procurato
i beni della salvezza eterna con la sua vita, morte e
risurrezione: a noi, che con il Santo Rosario della Beata
Vergine Maria abbiamo meditato questi misteri, concedi di
imitare ciò che essi contengono e di raggiungere ciò che essi
promettono”. Pertanto il Rosario è la Bibbia dei poveri, più
che la pittura e le vetrate istoriate, che solo gli esperti
capiscono fino in fondo.
52. L’aggiunta dei cinque misteri della luce fatta dal papa
San Giovanni Paolo II con la lettera Rosarium Virginis
Mariæ del 16 ottobre 2002, anche se ha fatto perdere
l’equazione delle 150 Ave Maria con i 150 salmi del
salterio, ha dato la possibilità di contemplare tutta la vita di
Gesù e ha reso il rosario meno monotono. Adesso che ci
sono, sembrano una cosa naturale, sembra che ci siano
sempre stati. Ripensandoci ora, si sente che nella serie dei
31
misteri del rosario mancava qualcosa: la contemplazione
della vita ministeriale di Gesù, dal battesimo all’istituzione
dell’Eucaristia. Inoltre questi misteri, che si celebrano il
giovedì, giorno tradizionalmente dedicato alla preghiera per
il clero e le vocazioni religiose, hanno un particolare
riferimento alla vita dei presbiteri: nel secondo mistero si
dice che a Cana Gesù “manifestò la sua gloria e i suoi
discepoli credettero in lui” (Gv 2,11); nel terzo mistero
all’annunzio del Regno segue la chiamata degli apostoli (Mc
1,14-20), ai quali poi nel quinto mistero affida l’Eucaristia.
53. Per avere una visione globale di tutta la storia della
salvezza, nel quinto mistero glorioso dedicato alla gloria del
paradiso si potrebbe aggiungere la menzione della venuta
gloriosa di Gesù sulle nubi del cielo per giudicare i vivi e i
morti, cioè la festa di Cristo Re che celebriamo alla fine
dell’anno liturgico e che solo recentemente è entrata nel
calendario (anno 1925). In questo modo il Rosario sarebbe
la contemplazione di tutta la vita di Gesù e riassunto di tutto
l’anno liturgico.
54. Come ogni altra preghiera, anche il Rosario è
esperienza profonda di fede e di fiducia in Dio. Ma oltre a
quello che è comune a tutte le preghiere, il Rosario
ripercorre le tappe della storia della salvezza, eleva il nostro
animo alla considerazione dell’intervento di Dio nella vita
personale di ciascuno e nella storia dell’umanità. È quindi
una preghiera di tono elevato, una preghiera contemplativa
che non può essere ridotta ad arma ideologica o di
propaganda. La preghiera ha lo scopo di convertire colui che
la fa, prima di avere effetto sugli altri.
32
55. Papa Benedetto XVI nell’Angelus del 1° ottobre 2006,
raccomandando la recita del Rosario, così lo definiva: “È
una preghiera contemplativa e cristocentrica, inseparabile
dalla meditazione della Sacra Scrittura”, è “la preghiera del
cristiano che avanza nel pellegrinaggio della fede, alla
sequela di Gesù, preceduto da Maria”. Il Rosario dunque è
una preghiera contemplativa: la recita delle Ave Maria aiuta
a riflettere sull’avvenimento della vita di Gesù enunciato nel
cosiddetto ‘mistero’. Scrive Carlo Carretto: “Fu nel deserto
che compresi che coloro che discutono sul Rosario non
hanno ancora capito l’anima di questa preghiera. Il Rosario
appartiene a quel tipo di preghiera che precede di poco o che
accompagna la preghiera contemplativa dello Spirito.
Meditate o non meditate, distraetevi o meno, se amate il
Rosario a fondo, e non potete trascorrere la giornata senza
recitarlo, significa che siete uomini di preghiera” (C.
Carretto, Lettere dal deserto, 1967, p. 61).
56. La recita regolare dell’Angelus, scandita dal suono
della campana al mattino, a mezzogiorno e alla sera, per noi
oggi non è soltanto una pia tradizione che si può conservare
o tralasciare senza danno, ma è il ricordare la gratuità della
chiamata di Dio, per Maria e per noi. Il suono regolare della
campana che ci invita alla recita dell’Angelus ci dà
l’occasione di iniziare, interrompere e terminare la nostra
attività elevando la mente a Dio per rinnovare la nostra
adesione alla sua volontà ed esprimere il nostro rendimento
di grazie. Dal 20 aprile 1742 nel tempo di Pasqua al posto
dell’Angelus si recita il Regina Cœli, un invito a rallegrarsi
con la Vergine SS.ma per la risurrezione del suo Figlio.
33
Quando vi sarete convertiti a lui con tutto il cuore,
allora egli ritornerà a voi e non vi nasconderà più il suo volto.
Tob 13,6
OTTAVA CONVERSAZIONE
Le Stazioni Quaresimali [CCC §§ 540.1438]
57. La Quaresima è composta da tre elementi, indicati nel
brano di vangelo che si proclama già il primo giorno, il
mercoledì delle ‘Ceneri’: “Quando fai l’elemosina …”,
“Quando pregate …”, “Quando digiunate …” (Mt 6,2.5.15).
Di questi tre consigli due sono al plurale, uno al singolare,
perché l’elemosina si fa con i propri soldi e non con quelli
degli altri. In Quaresima la preghiera diventa ascolto della
Parola per riconoscere i propri peccati e supplica per
implorarne il perdono. Alla preghiera si aggiunge il digiuno
e più in generale la rinuncia a quanto non è essenziale, per
fare penitenza dei propri peccati e per essere disponibili a
una carità operosa. Queste tre cose si compiono non in
pubblico per farsi vedere dagli uomini, ma con un percorso
interiore di fede e di conversione, di modo che “Il Padre tuo,
che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,18). Per tutti i
cristiani il cammino quaresimale si conclude con la
confessione sacramentale e con il rinnovo delle promesse
battesimali; per i catecumeni si conclude durante la veglia
pasquale con il battesimo, che si riceve ‘per il perdono dei
peccati’ e come inizio di una nuova vita.
58. Anche se la penitenza quaresimale è personale,
bisogna tener presente che il cammino interiore di
34
conversione ha ripercussioni sulla comunità cristiana, e la
costituzione fisica di ogni persona ha bisogno di esprimersi
con parole e con gesti, come dice a proposito il Concilio:
“La penitenza quaresimale non sia soltanto interna e
individuale, ma anche esterna e sociale. E la pratica
penitenziale sia incoraggiata e raccomandata dalle autorità,
secondo le possibilità del nostro tempo e delle diverse
regioni, nonché secondo le condizioni dei fedeli” (SC
110,1). E questo vale non solo per ogni singola persona, ma
anche per le parrocchie e per tutta la Chiesa, che che vive
nel mondo ed è realtà visibile.
59. Il Messale Romano raccomanda di fare la
celebrazione pubblica della Quaresima con la pratica delle
Stazioni Quaresimali: “È buona tradizione che nella Chiesa
locale si facciano, soprattutto in Quaresima, riunioni di
preghiera nella forma delle ‘stazioni’ romane. Si
raccomanda di conservare e incrementare questa tradizione,
almeno nelle principali città, e nel modo più indicato per i
singoli luoghi. Questa assemblea di fedeli, specialmente se
presiede il Pastore della diocesi, può radunarsi nelle
domeniche e nei giorni più adatti della settimana o presso il
sepolcro di un santo, o nelle chiese o nei santuari più
importanti della città, oppure anche in qualche località che
in diocesi costituisce meta di frequenti pellegrinaggi”
(Messale Romano 1983, pag. 64).
60. La parola ‘Stazione’ ha origine nel linguaggio
militare: la Statio è il posto di guardia militare dove i soldati
‘stazionano’, ma ha anche il significato più generico di
‘ritrovo, piazza, luogo di riunione’. Nella Roma medievale
35
la parola ‘stazione’ diventò il termine tecnico per designare
l’assemblea eucaristica presieduta dal suo vescovo, il papa.
Nel messale precedente al 1972 per ogni celebrazione
veniva indicata la statio in una chiesa di Roma, cioè il luogo
dove celebrava il papa o il suo delegato.
61. La Stazione Quaresimale si svolgeva generalmente in
questo modo: nel pomeriggio, il popolo si ritrovava insieme
con il clero in una chiesa stabilita in antecedenza come
luogo di raduno. Di qui i fedeli guidati dal papa e dal clero si
dirigevano processionalmente con l’invocazione dei santi
verso la chiesa stazionale, dove il papa concelebrava con i
presbiteri, comunicava i fedeli e concludeva la celebrazione
quando il sole volgeva al tramonto. La processione indicava
il cammino della conversione a cui la Chiesa è chiamata in
quaresima; la presenza del papa, la grande assemblea di
preghiera, l’unica Eucarestia, l’invocazione dei Santi sono
elementi indicatori della vita di una comunità che nella
preghiera cerca la conversione e lo stimolo per la carità.
62. Sia le considerazioni storiche di riscoperta delle più
antiche tradizioni, sia le riflessioni pastorali sulle necessità
dei fedeli, ci fanno ritenere che le Stazioni Quaresimali sono
una forma particolarmente adatta anche ai nostri giorni per
la celebrazione della penitenza, sia come sacramento, sia
come stile di vita. Non si tratta di fare archeologia storica o
di scimmiottare il passato, ma presentare una proposta per
celebrare la Quaresima con la riscoperta di alcuni aspetti
essenziali: la preghiera fatta come comunità, il cammino di
conversione, la penitenza per l’aiuto fraterno. La pratica
delle Stazioni Quaresimali mette insieme in armoniosa
36
celebrazione tutti questi elementi, che sono poi le
caratteristiche della vita di fede personale e della attività
della Chiesa.
63. Noi non abbiamo grandi città per proporre
assembramenti di fedeli che si muovano da una chiesa
all’altra, ma celebriamo le Stazioni Quaresimali nei singoli
vicariati, coinvolgendo anche le comunità più piccole, alle
quali viene riconosciuta la loro dignità, e che almeno in
quella occasione si sentono al centro dell’attenzione. Sono
proprio le piccole comunità che molto generosamente fanno
il possibile e l’impossibile per garantire la buona riuscita
della celebrazione, e la partecipazione dei fedeli è crescente
di anno in anno, più di quanto immaginano i ben-pensanti.
Terminata la celebrazione ufficiale, continua la preghiera
individuale con l’adorazione silenziosa e con la confessione
sacramentale, dove è possibile.
64. Alle caratteristiche essenziali della Stazione
Quaresimale, che sono il pellegrinaggio, la preghiera, la
penitenza (almeno il digiuno di quella sera) per le opere di
carità fraterna, si aggiunge la presa di coscienza della realtà
vicariale: le persone delle diverse parrocchie in quella
circostanza si incontrano e superano campanilismi sciocchi e
ridicoli. Volenti o nolenti, la situazione storica ci obbliga ad
uscire dal gretto particolarismo e a condividere celebrazioni
e iniziative pastorali con le parrocchie vicine. La reciproca
conoscenza e comunione che si fa con le Stazioni
Quaresimali, potrebbe essere fatta anche con pellegrinaggi
vicariali e con feste patronali celebrate insieme.
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Tutti ne parlino
e diano lode a lui in Gerusalemme.
Tob 13,10
NONA CONVERSAZIONE
Il pellegrinaggio
[CCC §§ 583.850.1013.1344]
65. La vita, come anche la fede, è movimento, viaggio.
Solo la morte è staticità. Tutto quello che sta intorno a noi si
muove, e chi ha l’uso di ragione si muove non solo per
istinto o per necessità, ma soprattutto per la ricerca del bello
e del vero. Il pellegrinaggio è appunto il segno del cammino
spirituale e interiore che ciascuno compie alla ricerca di
qualcosa di più. I pastori del presepio e i Magi che si
mettono in viaggio sono l’esempio di chi si muove per
curiosità e di chi si muove alla ricerca di qualcosa di più
nobile. Già il popolo di Israele conosceva il pellegrinaggio,
come leggiamo nel vangelo: “I suoi genitori si recavano ogni
anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua” (Lc 2,41). Per
gli Ebrei il pellegrinaggio ricordava l’uscita di Abramo dalla
sua terra e il cammino del popolo verso la Terra Promessa.
66. Circa gli anni 363-380 la monaca Eteria dalla Spagna
compie un pellegrinaggio in Egitto, nel deserto del Sinai,
nelle ‘sante montagne’ e nei luoghi che furono teatro e
testimoni della storia sacra dell’Antico e Nuovo Testamento.
Prima di lei l’imperatrice Sant’Elena, madre di Costantino,
nel 326 si era messa alla ricerca della vera croce di Gesù.
Queste due donne, come tanti altri pellegrini prima e dopo di
loro, si sono scomodate non spinte dalla curiosità, ma dalla
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devozione, dal desiderio di vedere di persona i luoghi
particolarmente significativi della storia della salvezza,
perché anch’essi fanno parte della rivelazione, e la vista dei
luoghi aiuta la comprensione del testo scritto. Quando nel
Medioevo diventò più difficile recarsi in Terra Santa, la
devozione popolare ripiegò su altre forme per ripercorrere il
pellegrinaggio: si costruivano luoghi santi in miniatura,
percorsi di Via Crucis, labirinti da percorrere spiritualmente
come cammino di purificazione interiore, fino ad arrivare
alla comunione spirituale con il Signore Gesù. Nel 1146 i
Pisani di ritorno dalla seconda crociata portarono in patria la
terra del Golgota e con essa costruirono il Campo Santo;
all’inizio del 1500 i Frati Francescani Minori, per dare la
possibilità di ripercorrere in Italia i luoghi della città santa,
ebbero l’intuizione di costruire a San Vivaldo una serie di
chiesette e cappelle riproducenti fedelmente la topografia e i
luoghi santi di Gerusalemme. Nel 1517 il papa Leone X
concedeva pure una particolare indulgenza a coloro che si
recavano a pregare a San Vivaldo.
67. Vale la pena di ricordare due descrizioni poetiche del
pellegrinaggio fatto a Roma per vedere il Volto Santo della
Veronica. La prima è un sonetto del Petrarca: “Movesi il
vecchierel canuto et biancho / del dolce loco ov’à sua età
fornita … et viene a Roma, seguendo ’l desio, / per mirar la
sembianza di colui / ch’ancor lassú nel ciel vedere spera”.
La seconda è di Dante: “Qual è colui che forse di Croazia /
viene a veder la Veronica nostra, / che per l’antica fame non
sen sazia, / ma dice nel pensier, fin che si mostra: / Segnor
mio Iesù Cristo, Dio verace, / or fu sì fatta la sembianza
vostra?” (Par. 31,103-108).
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68. Nonostante la crisi economica e il pericolo crescente
del terrorismo, molte persone riscoprono l’importanza e la
bellezza del pellegrinaggio, usando i mezzi di trasporto o
anche muovendosi a piedi. Le persone si muovono alla
ricerca di luoghi di spiritualità, sia seguendo itinerari
importanti, diciamo ‘ufficiali’, sia anche dirigendosi verso
località meno note. Alle mete classiche di Compostella e
della Via Romea c’è chi preferisce la scoperta di piccoli
tesori di spiritualità, meno conosciuti e meno frequentati, ma
dove è possibile una maggiore intimità di preghiera e dove
l’incontro con il sacro più immediato.
69. La fede semplice ha bisogno di un contatto con il
sacro, e pertanto ispira a cercare, anche con un po’ di fatica,
luoghi e immagini particolari, per portare davanti a
un’immagine sacra o in un luogo ‘miracolato’ le proprie
preghiere e i propri desideri, i propri affanni e le proprie
preoccupazioni. Il fiume carsico della religiosità popolare è
un’esperienza che coinvolge tante persone e documenta che
il senso religioso non è affatto scomparso nella società
liquida e secolarizzata, ma è sopravvissuto alle tempeste del
postconcilio. Questo fiume non conosce crisi e accomuna un
popolo variegato, non facilmente classificabile e soltanto in
parte sovrapponibile a quello delle parrocchie.
70. Dice papa Francesco: “Nella pietà popolare si può
cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in
una cultura e continua a trasmettersi. In alcuni momenti
guardata con sfiducia, è stata oggetto di rivalutazione nei
decenni posteriori al Concilio” (Ev. Gau. 123). E ancora: “Si
tratta di una vera spiritualità incarnata nella cultura dei
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semplici. È un modo legittimo di vivere la fede, un modo di
sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari; porta con
sé la grazia della missionarietà, dell’uscire da sé stessi e
dell’essere pellegrini: Il camminare insieme verso i santuari
e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare,
portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in
sé stesso un atto di evangelizzazione” (Ev. Gau. 124).
71. Sono soprattutto i pellegrinaggi a piedi, in compagnia
di piccoli gruppi o anche per nuclei familiari, che creano
senso di appartenenza, aiutano a superare la solitudine che
spesso si respira nelle parrocchie, sono un’esperienza di
popolo e permettono a ciascuno di sentirsi coinvolto in un
avvenimento, di essere parte di una storia collettiva.
72. Nel pellegrinaggio però non deve mancare il desiderio
di conseguire lo stato di grazia, che si ottiene con la
penitenza, la confessione dei peccati e la comunione
eucaristica. L’emblema del pellegrinaggio sono i due
pellegrini che vanno a Emmaus (Lc 24,13-35): camminano,
si sfogano, ascoltano, incontrano il Signore e partecipano
alla sua mensa. Da qui ripartono per portare una buona
notizia, senza sentire la stanchezza. Il pellegrinaggio è
alimento per la fede di chi lo compie, è fioritura di opere di
apostolato e carità fraterna, è ammonimento visivo per tutta
la comunità che siamo pellegrini verso una patria, da
raggiungere non passibus corporis sed affectibus animæ
(non con i passi del corpo, ma con gli impulsi dell’anima).
Regina sacratissimi Rosarii, ora pro nobis