Alba blu

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Di Elisa Irene Anastasi

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ANIME

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Elisa Irene Anastasi, Alba blu

© 2012 by Elisa Irene Anastasi© 2012 by Enjoy Edizioni

Enjoy Edizioni SrlStrada Comunale Corti, 5631100 – Treviso (TV) – ITwww.enjoyedizioni.it

Progetto grafico (copertina e interni): www.spaziosputnik.itIn copertina: Elisa Irene Anastasi, Di giada gli occhi, d’ametista il cuore(Olio su tela, cm 20 x 30)

Prima edizione: ottobre 2012

Tutti i diritti riservati – All rights reserved

ISBN: 978-88-96900-08-6

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Elisa Irene Anastasi

AlBA Blu

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Ai miei figli

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Amore e arte…

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uno

CArlA

Erano le otto e dieci di una delle trentuno mattine del mese di gennaio e, come ogni giorno, era già ora di accompagna-re luca a scuola.

Dopo colazione, prendemmo zaino, cappello, giacca e giù di corsa in macchina.

Durante il tragitto, tra mille pensieri ancora un po’ asso-piti, considerai che al ritorno conveniva fermarmi prima in macelleria, poi fare sosta qualche minuto dal pediatra per un consiglio veloce ed infine dal fruttivendolo.

Puntualissimi, arrivammo a scuola, e dopo un fugace sa-luto alle mie amiche mamme, subito in classe.

un bacio e poche parole: – Ci vediamo all’uscita, amore.ricordo distintamente che, appena varcata la soglia d’in-

gresso, prima del cancello finale, dove ero solita riunirmi con le amiche, vidi una donna alta, sguardo determinato, pas-sarmi accanto. Con lei camminavano due bambini, un ma-schio e una femmina. Andavano tutti abbastanza di corsa.

Non li avevo mai visti prima di allora e la mia attenzione fu immediatamente colta dai suoi lunghissimi capelli, on-dulati e di un colore particolarissimo, blu. Poche ciocche soltanto nere.

Nel passarmi vicino accennò un sorriso ed io indietreg-giai, osservandoli procedere.

“Però…” pensai. la vidi di fretta, ma mi sembrò molto bella.

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Con una mano scostò i capelli da davanti agli occhi, occhi azzurro ghiaccio, da fisionomia nordica, scandinava. Non glaciali ma profondi, da perdercisi dentro, contornati da un deciso trucco nero, che li rendeva di gran lunga più azzurri.

Il mio sguardo in pochissimi istanti scese sino alle sue unghie, smaltate anch’esse di nero; un po’ scrostate a dir la verità, ma una di quelle imperfezioni che rendono le cose vere, un po’ come le colatine di vernice sugli strumenti di liuteria artigianale.

Fino a quando non la persi di vista, rimasi a guardarla. Subito dopo raggiunsi le mie amiche.

– Buongiorno ragazze. – Ci piaceva chiamarci così, ci faceva sentire giovani.

rispose solo Simona, mentre le altre parlottavano. Non afferrai subito, poi udii dalle loro bocche qualcosa tipo: “Non l’avevo mai vista”. Parevano tutte sconvolte.

– ragazze, vi vedo turbate.– Hai notato quell’alieno che è passato un minuto fa? –

disse Paola.– Ma di chi parlate?– Ecco, la solita che non nota mai niente… Quella don-

na coi capelli color cielo in tempesta…Se l’avevo vista? Era ancora perfettamente inserita

nell’ultima registrazione dei miei occhi. Sì, lei era insolita, alquanto, né nella nostra scuola né in paese si era mai vista una donna dalle parvenze simili.

Ad ogni modo salutai e andai via, sebbene la discussione sembrasse accesa.

Tornata a casa, la mia giornata continuò. Mi misi di buona lena e dopo aver chiuso diligentemente le imposte e aver acceso la stufa, mi accinsi alle solite faccende, tra letti, aspirapolvere e biancheria. Tediose certo, ma indispensabi-li. Il daffare non mi mancava mai.

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1. Carla

la mattinata fu spezzata dalla telefonata della mia amica Giulia. lei, trasferitasi da poco a roma per questioni lavo-rative del marito, mi raccontò del nuovo ambiente, di cui si sentiva ancora un po’ incerta e per il quale non voleva esprimere giudizi affrettati e negativi. la sentii un po’ ab-battuta, ma rincuorata dal fatto che a breve sarebbe andata a trovarla la madre.

Dopo una bella chiacchierata, che per una buona ventina di minuti estraniò entrambe dal nostro tran tran, comin-ciai a cucinare l’arrosto col contorno di patate per pranzo, e dato che abbondantemente avanzava un’oretta prima del rientro dei miei uomini affamati, ne approfittai per pre-parare i biscotti con le gocce di cioccolato che piacevano tanto a Sergio, luca… e in effetti pure a me. A pensarci bene, forse li facevo più per me che per loro. Ma meglio non soffermarsi troppo su quest’ultimo punto…

Finite le forme misi i biscotti in forno e dieci minuti dopo li tirai fuori perfetti e fumanti, pronti solo da dispor-re sul vassoio coi girasoli regalatomi da Paola a Natale. li coprii affinché non disperdessero calore e fragranza, e di corsa, ma in perfetto orario, in macchina verso scuola.

un arrivederci alla maestra, un caloroso bacio tra me e luca, e ci rinfilammo in auto.

Tornando a casa ci fermammo, come di consueto, al pa-nificio. Il panettiere ormai mi conosceva bene.

– Il solito, vero?Ed io: – Come sempre.– Salutami il tuo papà – diceva spesso a luca.Pranzammo e ci raccontammo le nostre mattinate, come

d’abitudine.A fine pasto, arrivò il mio momento di alta cucina. Am-

metto che mi piaceva gustare un po’ di complimenti e ad-dolcire la famiglia con i miei manicaretti.

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Il vassoio fece il suo ingresso trionfale, non più fumante purtroppo, ma notevolmente invitante, diffondendo scie di vaniglia mano a mano che si muoveva all’interno della stanza.

Assaggiammo i biscotti che Sergio, il mio affettuoso Ser-gio, commentò così: – Cara… deliziosi, come sempre, la mia fantastica cuoca non si smentisce mai.

luca, senza proferire parola, mangiava di gusto assu-mendo un’espressione che confermava le parole del padre.

Quelli erano per me momenti di beatitudine, mentre mi trovavo in veste di moglie-mamma-casalinga.

Eravamo tre persone felici, con una vita abbastanza tran-quilla. Si passeggiava spesso tutti assieme e per staccare dal-la routine, ogni fine settimana o al massimo ogni due, a Sergio piaceva portarci in pizzeria.

Mi sarei sentita in torto se non mi fossi ritenuta soddi-sfatta della mia vita, e infatti lo ero: io, in quel momento, ero soddisfatta della mia famiglia e di come la gestivo.

Parecchi giorni passarono prima che rivedessi la donna dai capelli blu cobalto.

Era lunedì mattina e parlavo con le amiche mamme di raffreddori vari e dei molteplici medicinali con i quali si era sempre alle prese.

lei uscì dal portone. Aveva già lasciato i bambini in clas-se e la osservai bene, stavolta: era davvero bella.

Così diversa da me, da tutte noi.Passo veloce e deciso, sguardo sereno.Passo pulito ed equilibrato, sguardo lucido ed incorrotto.Ma trucco nero, abiti scuri, parvenza offuscata.Passò rasente al nostro gruppetto dicendo: – Buongiorno.Niente di più.uscì dal cancello e sparì.

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Sentii brontolare le mie amiche e Paola ricordo bene che disse: – Potrebbe almeno presentarsi, dato che è nuova, abbiamo pure i figli nella stessa classe e invece è là che ci snobba.

Percepivo in loro una sorta d’insofferenza nei confronti di questa donna, ma francamente la trovavo immotivata.

I giorni di quel mese di gennaio trascorsero normalmen-te, e mentre l’inverno cominciava a fare il suo vero, gelido ingresso, cominciò febbraio; e in una delle sue prime mat-tine, mentre mi trovavo in macchina all’uscita di scuola, una svolazzante nuvola blu oscurò per un momento il mio finestrino.

Andava di fretta anche stavolta.lei non si accorse di me, ma io notai, mentre i suoi passi

la portavano lontano dalla mia visuale, la sua piccola e co-lorata borsa ad uncinetto. Gradazioni dal viola al bordeaux. Sembrava fatta da lei, carina nel suo genere.

Nel prendere le chiavi per riaccendere il motore, sentii squillarmi il cellulare. Era mia sorella che necessitava di un favore e ci trattenemmo al telefono per cinque minuti.

Finita la mia conversazione, la vidi riapparire. Coi bam-bini stavolta.

I suoi figli, bellissimi, eran lì che le tenevano la mano e le saltellavano accanto. A vederli tutti assieme, pareva di trovarsi davanti ad una bilancia: lei il perno centrale e loro ai lati, come due bracci che salivano e scendevano. Se uno era su in aria, l’altra era già atterrata dal volo del suo saltello e viceversa; ed io là, che osservavo questo altalenare di gam-bette e piedi guizzanti. C’era grande serenità nei loro occhi e molta complicità tra di loro.

Non sapevo nulla di quella donna, ma c’era in lei qual-cosa che non sapevo identificare, un qualcosa di forte, che

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m’incuriosiva. Quegli occhi neri di trucco e quell’abbiglia-mento scuro e poco usuale facevano pensare ad una sorta di isolamento, ma nei suoi occhi c’era dell’altro.

li guardai andare via dallo specchietto retrovisore. I suoi capelli erano lucenti, di un blu brillante, persino osservati attraverso la superficie riflettente; il suo incedere sempre spedito, da gambe magre ed agili.

Notai nel contempo arrivare lucia, venuta per prendere la figlia a scuola. Guardò quella donna con aria perplessa. Di nuovo scorsi in lei, così come lo vedevo nelle altre mam-me, quel senso d’insofferenza e quasi d’irritazione.

Solo in quel momento, e non so spinto da cosa, luca si ricordò di informarmi: – Mamma, nella mia classe c’è una bambina nuova.

Capii immediatamente di chi si trattava.– Si chiama Iside e mi hanno detto che ha pure un fra-

tello, con un nome più strano del suo… Amir – e aggiunse subito: – Mamma, ma che sono questi nomi scemi?

Be’, in effetti strani eran strani!– luca, non dire così! Non ci sono nomi scemi o nomi

intelligenti. Ma dimmi… è simpatica questa tua nuova compagna?

– Non tanto, e poi non parla mai… forse non è capace!– Allora, insegnale tu!

l’indomani mattina pioveva a dirotto e la nebbia calava abbondante.

Era uno di quei giorni in cui sarei rimasta volentieri a letto per tutta la mattina, accucciata dentro il mio caldo piumone, se solo non avessi avuto nulla di urgente da fare. Avrei goduto ore intere di rilassatezza.

Dovevo invece uscire fuori da quel letto e da casa, a sbat-tere tra il gelido freddo e l’acqua incessante.

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rimasi pochi, pochissimi minuti a gioire di quei mo-menti fantasma, fino a quando – puntuale e per nulla in-dulgente – arrivò la realtà a buttarmi giù dal mio giaciglio, privandomi di colpo del nutrimento di quel senso di tepore e protezione, e scaraventandomi nell’irrequietezza e nella delusione.

In tutta fretta luca ed io ci vestimmo, e arrivammo a scuola leggermente in ritardo.

A pensarci bene, doveva essere proprio tardi, poiché fuo-ri da scuola non incontrai nessun’altra mamma.

Tornando in macchina, però, vidi la donna blu miste-riosa allontanarsi più in fretta del solito, coi suoi capelli oltremare, nonostante ci fosse il cielo grigio a sovrastare le nostre teste. Stavolta infatti era lui, il cielo, ad essere color tempesta, ma non i capelli di lei, oh no: quelli si distingue-vano sempre, e continuavano imperterriti a vivere di vita propria nel loro blu folgorante; erano una cosa a sé stante, così come i suoi occhi.

Con lei, a tracolla, la sua solita borsetta di lana.la sua mano che teneva saldamente un ombrello, la

pioggia che prepotentemente pungeva e il vento che spin-geva alle spalle. Questa era l’immagine che mi si prospetta-va davanti, una forza contro un’altra.

Era uno di quei venti potenti, di quelli che ti scompiglia-no la pettinatura, gli abiti, i programmi, ma non i pensieri, se si tratta di solide idee. E lei era tutto uno scompiglio, le volavano i capelli, la giacca, la sciarpa scappava dal suo collo, ma il suo passo continuava sempre stabile e deciso.

la affiancai con la macchina e chiesi forte: – Scusi signo-ra, le serve un passaggio?

Per aprire il mio sportello estrasse la mano dalla tasca, e ricordo che le cadde qualcosa. Sembrava un pezzo di carta, che stranamente il vento non fece volare.

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la ragione per cui si chinò si era piantata giù, vicina ai suoi piedi, e nel raccoglierla si soffermò come per scorrere quello che inchiostrava il foglio. E seppur bagnato dalla pioggia, il suo sorriso si addolcì.

Entrò in macchina, sedendosi come un pugno che si affossa sul sedile, e mi guardò sussurrando: – Sei gentile, grazie.

Mi aveva dato del tu, nonostante io l’avessi chiamata Signora. Mi aveva dato del tu, io non lo avrei mai fatto, ma non mi diede fastidio, al contrario, lo trovai un buon modo per rompere il ghiaccio. Spesso ci si formalizza più del necessario ed erroneamente.

– Purtroppo la mia macchina stamattina è in sciopero, si è fermata prima di scuola e credo che ora le occorra un buon meccanico.

le sorrisi: – Io sono Carla, molto piacere.– Piacere mio, mi chiamo Annie lou, ma puoi chiamar-

mi lou, nessuno mi chiama più col mio nome intero.Il suo tono di voce era gentile, ma suonava leggermente

pentito.– Dove ti accompagno?– Dovrei andare in via delle Orchidee, ma non vorrei

farti sentire un tassista.Io abitavo dall’altro lato del paese, ma non avendo cose

urgenti da sbrigare la accompagnai volentieri, dato che fi-nalmente avevo l’occasione di conoscerla più da vicino. Ero altresì curiosa di vedere dove abitava, come se vedendo la sua abitazione avessi dovuto capire chissà quale verità sul suo conto.

Pochissime parole tra di noi; le mie, più che altro, sem-bravano impastate e intrise di impaccio.

Arrivammo al numero dodici, fermai la macchina e scendendo bisbigliò: – Sei stata un angelo, grazie.

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Osservai quel posto. Non sembrava un’abitazione, nem-meno un posto di lavoro, a dire il vero.

Fuori c’era affisso un cartello con un disegno che non compresi molto.

Pioveva forte, ma ciò che c’era scritto riuscii a leggerlo bene: AlBA Blu.

Di certo tra lou e il blu, doveva esserci un legame forte.Tornai a casa con un inspiegabile senso di tranquillità,

strano, considerando la fatica che avevo fatto per alzarmi dal letto.

Continuai con la mia solita mattinata. Speravo di incon-trarla all’uscita di scuola, ma così non fu.

Nel pomeriggio, dopo i compiti di luca, mi misi da-vanti al computer per cercare su internet qualche notizia su Alba blu. la curiosità era fortissima, e trovai decine di cose, ma nessuna attinente a lei e al posto dove l’avevo ac-compagnata la mattina.

Dopo mezz’ora, quindi, mollai la ricerca e mi misi ope-rativa in cucina a preparare la cena; Sergio sarebbe arrivato entro un’ora e se non avessi cominciato subito non avrebbe trovato nulla di pronto. Pollo e patatine, così li facevo felici entrambi.

Quella notte dormii profondamente, come non mi suc-cedeva da mesi; non mi svegliò nemmeno quel potente sus-seguirsi di tuoni, che ancora dopo un giorno intero non si era quietato.

Sognai diverse cose, ma nel sogno che più mi colpì c’ero io e davanti a me un lago immenso che emanava una luce fortissima. Mi attirava a sé e richiamava tutta la mia voglia di immergermici dentro. Io, infatti, cercai di bagnarmi. Da seduta che ero, mi alzai con tutta la voglia che mi spingeva, ma la radice di una pianta spinosa, fuoriuscita dal terreno, mi fece inciampare e non arrivai a toccare quella luce. ri-

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provai ad alzarmi, ma le spine si erano conficcate nella ca-viglia e mi facevano sanguinare. Sembrava come se la radice volesse trattenere il mio piede giù, bloccato per terra. Col sangue fuoriuscito si bagnò il terreno ed io restai immersa in quel fango rosso-terra.

Appena sveglia, il mattino seguente, per prima cosa feci un giro dentro casa, leggermente frastornata e ancora piena di sonno, e svegliando luca mi accorsi che aveva qualche linea di febbre. lo lasciai dormire e ne approfittai per ri-mettermi a letto e riposare un altro po’.

A metà mattinata chiamò lucia, incuriosita dal non avermi vista a scuola. Parlammo qualche minuto, poi mi chiese la ricetta del dolce che avevo portato alla festa di Natale e ringraziandomi riattaccò.

usai quei giorni di febbre e di inaspettata vacanza da compiti e vari impegni di luca per fare tutto quello che rimandavo da un po’. Tolsi tutti i suoi vestiti ormai troppo piccoli, ripulii gli armadi dai giocattoli che non usava più, riordinai e rimisi completamente a nuovo tutta la casa.

Circa tre giorni dopo, luca riprese la scuola e con essa la normale routine.

uscendo dal cancello dell’istituto vidi il gruppo delle mie amiche da un lato e lou poggiata al muro dall’altro. Sembrava aspettasse qualcuno.

Mi fermai dalle ragazze e feci cenno di salutarla da lon-tano, non volevo essere invadente e non credevo di certo stesse aspettando me, quindi mi mantenni un po’ a distan-za. lei invece si avvicinò sorridendo.

– Posso parlarti un momento, Carla?– Arrivo subito.ricevetti degli sguardi sconcertati da Simona, lucia,

Paola e Monica; erano tutte lì che mi osservavano come

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tradite, ed io in mezzo, tra loro e lou. Il loro atteggia-mento mi fece sentire molto in imbarazzo. Sudai, sudai moltissimo.

– Buongiorno lou, dimmi – le chiesi avvicinandomi.– Scusami se ti ho aspettata qui fuori, ma ti avevo vista

entrare e, se non sembro troppo sfacciata, vorrei approfit-tare ancora della tua gentilezza… – e aggiunse: – la mia macchina fa ancora capricci.

Era serena in volto, ma dentro di sé si era già resa conto di quanto io fossi titubante, tant’è che replicò subito: – Non preoccuparti, capisco se non puoi.

Pur non avendo io detto una sola parola, era riuscita a leggere il mio tentennante pensiero, ma le dissi comunque: – Certamente lou, ti accompagno dove vuoi.

Sorrise, salutammo con un cenno le altre e ci dirigemmo verso la mia macchina.

Sedutasi, affondò nuovamente come un pugno allo sto-maco, però di quelli che non ti danno dolore, ma solo ca-rica per ripartire, e pronunciò: – Carla, sono certa che tutti ti adorano.

Ed io, certa che stesse scherzando: – Invece tutti pensa-no che tu sia molto strana.

Non so perché lo dissi. Ancora mi chiedo cosa mi spin-se a pronunciare quelle parole. In fondo lei aveva iniziato facendomi un complimento ed io, anziché ringraziarla, le rispondevo con una rivelazione poco gradevole.

– Pensano che io sia strana? Chi lo pensa? – osservò con calma.

– No, scusami, ho detto una stupidaggine.– Puoi dirmelo tranquillamente, la mia è solo curiosità.– le altre mamme.E senza scomporsi di un centimetro, anzi di un solo

misero millimetro, disse: – le altre mamme? Non ho mai

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scambiato una parola con nessuna di loro… ad ogni modo grazie, perché tu non lo pensi.

Cosa le faceva credere che io non la reputassi strana o le dava la certezza che il mio cuore fosse gentile? Mi lusingò comunque la sua affermazione corta, garbata e decisa.

Proseguì: – Ti spiace se passiamo un minuto da casa mia?– No, no, non mi spiace affatto.– Abito in via lipari, 21.Nel breve tragitto parlammo un po’ dei nostri figli e della

classe. Non era una gran chiacchierona, del resto nemmeno io mi sentivo di darle moltissima confidenza, soprattutto dopo quella imbarazzante figura appena fatta.

Arrivammo dopo poco.la sua casa aveva all’esterno alberi secolari ed era immer-

sa nel verde. un pezzo di bosco inesplorato, nascosto agli occhi dei passanti distratti. Ebbi l’impressione che apparte-nesse alla sua famiglia da generazioni.

Entrammo.la prima stanza, piena di scatoloni, mi fece pensare su-

bito ad un trasloco appena avvenuto.Passai in salone, intanto che lei andò a prendere qualcosa

nella stanza accanto.Pochi mobili, moderni, essenziali.una parete del salone era viola, il resto color crema; c’e-

rano dei quadri molto grandi appesi, che coprivano buona parte delle pareti.

Astratti. Non ne capii molto il significato, anzi proprio per niente, ma quei colori caldi mi conquistarono.

Del resto si sa, gli astratti sono impenetrabili, intrica-ti e complessi. Se non è l’artista stesso a dirti cosa vuole esprimere, tu potresti stare lì delle ore a scervellarti senza capirci nulla. Ebbene, questi, come tutti gli astratti, erano esattamente così.

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1. Carla

Tuttavia apparivano interessanti e non impossibili.Sembravano, dallo stile, dipinti tutti dalla stessa persona.Feci un paio di passi e in uno scatolone aperto intra-

vidi moltissime foto, di lei e dei bambini, e poi tramon-ti d’Africa. Pareva ce ne fossero davvero tanti, ma non potevo stare lì a sbirciare e a curiosare in mezzo a roba non mia. Ammetto che avrei voluto, mi sarebbe piaciuto aprire quello scatolo e dare un’occhiatina in più, ma mi trattenni.

Dall’altra stanza la sua voce mi giunse: – Faccio subito… scusami, ti sto facendo perdere un bel po’ di tempo.

Perdere un po’ di tempo? A me pareva di trovare del tempo.

Entrata in quella casa, ebbi la sensazione di avere scovato qualcosa di ignoto ma piacevole. Mi sentii come travolta da un’energia, come abbagliata per pochi istanti da una luce. Sensazione molto strana. Forse pensai le finestre qui sono disposte in modo da agevolare il sole.

Diedi una celere guardata ai cd tutti ben sistemati vi-cino allo stereo e con mia grande sorpresa, mi accorsi di non conoscere nessun artista. È vero che ultimamente non seguivo più tanto le mode musicali, ma non conoscerne nemmeno uno mi sembrava eccessivo.

Tra tutti, me ne colpì in particolar modo uno, forse per via della copertina. Sembrava un gruppo straniero, non in-glese, forse della zona nord-Europa, per via delle immagini di aurore boreali raffigurate in copertina.

Era tutto inconsueto quello che ruotava attorno a lou.Feci una cosa veramente triste, che mai avrei immagina-

to di fare nella vita. Con una zampata lo afferrai e di corsa lo infilai in borsa. Fu irrefrenabile la voglia, stavolta non mi trattenni.

Mi ero comportata da ladra, da misera ladra.

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lei arrivò qualche minuto dopo dicendo: – Eccomi, sono prontissima.

Aveva con sé delle tele, però coperte da stoffe grandi e non vidi i soggetti.

Mi disse: – Ah perdonami, cosa posso offrirti? un caffè, un tè? Scusami, che pessima padrona di casa!!

– Nulla, non preoccuparti – sorrisi, ma il cuore mi pul-sava fin dentro il cervello per l’azione incivile appena com-messa, che temevo notasse subito.

Se l’avesse scoperto, oddio se l’avesse scoperto sarei spro-fondata nella vergogna, sarei scappata di corsa e non sarei più riuscita a guardarla negli occhi. Mai più. Ma ormai il danno era fatto, e non potevo più tornare indietro.

uscimmo da casa sua e la riportai nuovamente in via delle Orchidee.

Avevo un po’ di commissioni da sbrigare quella mattina, ma non appena disse: – Scendi se vuoi – non esitai un solo minuto, posteggiai ed entrai dietro di lei.

l’ardore di sapere e l’interesse nei suoi confronti cresce-vano sempre più.

Prese con sé anche i quadri.Il posto esternamente non era granché, però una volta

varcata la soglia, ebbi la stessa sensazione di prima, mi sen-tii investita da quella luce che durò anche stavolta pochi istanti, ma che sentii forte.

Qui le finestre, a rifletterci un attimo, non erano par-ticolarmente grandi e questo luogo era all’interno di un palazzo, i quali, di norma, non sono granché luminosi, so-prattutto se, come questo, affiancato da un altro colosso di muratura. Quindi tutta quella luce appariva effettivamente inspiegabile.

Era una specie di salotto, con due confortevoli divani co-lor mattone bronzato, una parete arancione, le altre giallo

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chiaro, una tenda dai disegni molto originali, un po’ esoti-ci, arancioni ed ecrù, pesante e trasparente al tempo stesso.

Filtrava una delicata luce giallo rosata, e l’aria che si re-spirava era limpida.

Non c’era nessuno oltre noi, ma pareva una cosa tem-poranea.

Mi disse: – Puoi muoverti se vuoi.Evidentemente mi ero piantata al centro della stanza,

con lo sguardo perso nel vuoto.Ecco lei era così, gentile, ma diretta. Diceva sempre po-

che, azzeccate parole, come se le contasse, ma erano quelle che voleva dire, senza giri.

Ed io nel frattempo, mentre divenivo paonazza per tutte le meravigliose figure che con lei stavo collezionando, ri-sposi: – Ma, dove ci troviamo?

– Ancora una volta mi confermo una pessima padrona di casa… questa è Alba Blu.

Ma se è tutto arancione. Non c’era nulla di blu.Spiegò: – Questo è il mondo delle donne, uno spazio per

stare bene, per non rimanere sole.Non avevo capito nulla e forse il mio sguardo era elo-

quente.– Vieni con me – disse a bassa voce.Mi portò nella stanza accanto, la porta era chiusa e soa-

vemente suggerì: – Apri.Io aprii e… Santo Cielo. Ma dov’ero? Dove mi aveva

portato?Era tutto blu, c’erano tutte le gradazioni del blu, dal

celestino tenue, al blu notte, passando per tutte le varie tonalità.

A terra sul parquet dei grandi cuscini coprivano quasi tutta la superficie. lei non disse una sola parola, io nep-pure.

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Feci alcuni confusi passi, muovendomi nella stanza.In una parete erano dipinte delle onde maestose, ma non

impetuose. Sembrava di essere lì… in mezzo a quel mare, dentro quel gigantesco moto e di fluttuarvi insieme.

M’immaginai nuda.Sola.In quel mare che non mi spaventava, al contrario mi

cullava.Mi sentii fresca.Pulita.rilassata.Felice ed appagata.respirai una sensazione nuova, mai provata.Di quel mare mi nutrii e la mia mente sorseggiò quell’a-

ria salubre ma irreale. Ed irrealmente mi sentii scagliate ad-dosso verità e incanto.

Brillanti sfumature vagavano all’orizzonte di quel mare che non era il mio, che non riconoscevo come mio, ma che mi attraeva a sé.

Nella parete accanto, vi era raffigurata un’alba.Era blu, ineccepibilmente blu.Fortemente, delicatamente blu.Immaginai di essere uscita da quel mare e ancora nuda

di essermi fatta asciugare da quell’alba, che stranamente percepivo calda.

Incantevole alba, coi suoi penetranti raggi, si addentrò nel mio animo e lo invase di energia.

Non mi ero mai rivista nuda in un contesto diverso dal mio letto.

E qui oltre ad essere nuda, ero sola, con me stessa.Per la prima volta, io mi guardavo da una prospettiva

diversa nel più profondo del mio essere, nella parte più nascosta della mia intimità.

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1. Carla

Io non mi ero mai pensata così, non mi ero mai osserva-ta e capita meglio.

Quelle onde avevano rimosso buona parte della mia compostezza, e in quei minuti, io lì stavo godendo di que-sto svelarmi a me stessa e stavo traendo tutto il beneficio possibile da quei raggi immobili e profondi, dolcemente appuntiti, spigolosi tuttavia risananti.

Stavano lì robusti e nella loro salda immobilità bonifica-vano il mio essere poco donna.

Quando i miei occhi giunsero alla parete di fronte, mi accorsi che rappresentava la notte.

una notte limpida, perfetta, di quelle senza un alito di vento. una notte asciutta, non un filo di umidità, una di quelle trasparenti e piena di stelle e per questo poco buia, ed io fantasticai immaginandomi sdraiata, con un leggero velo addosso stavolta che mi copriva poco.

Serena, intenta a guardare quella volta cosparsa di stelle, che vicinissime quasi mi sfioravano, ammirai quelle mille sfumature che prima vagavano all’orizzonte.

le osservai sbriciolarsi e cadere come coriandoli dal cielo.Sembrava che piovesse una lucida pioggia di verità.Io lì, in quel momento, sotto quella volta d’incantevoli

ed autentiche venature mi addormentai.Mi rilassai, chiudendo gli occhi e mi assopii come una

neonata. Come si dorme solo in braccio alla propria madre da piccoli, dormii come un’infante, ma da donna.

una donna che per la prima volta ha consapevolezza del suo essere donna, del suo essere solo donna, nient’altro che questo, non madre, non moglie, non figlia, ma donna.

Non so davvero quanto tempo passai lì dentro, non ave-vo con me l’orologio, casualmente l’avevo dimenticato a casa. Mi pareva di avere perso la cognizione del tempo, dello spazio.

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Non capivo più niente, mi sentivo molto confusa e al tempo stesso una pace interiore, che mai niente e nessuno avevano saputo infondermi, si era impossessata di me.

Ad un certo punto uscii da quella stanza e la trovai sedu-ta sul divano, insieme ad una donna.

Chi era? Quando era arrivata?Non avevo sentito il campanello suonare, né la porta

aprirsi. Ero lì come imbambolata e piacevolmente sconnes-sa dalla realtà.

Salutai rapidamente e dissi: – Se non hai più bisogno di me, preferirei andare.

Avrei voluto sapere chi era lou, perché le nostre vite si erano incrociate e come spendeva il suo tempo quando non faceva la mamma, ma non osai chiederle niente di più, mi sentivo piccola rispetto a quel mondo sconfinato che mi aveva appena fatto scoprire.

lei mi disse: – Mi ha fatto molto piacere averti qui oggi.A me aveva fatto un piacere immenso essere stata lì in

quel travolgente microcosmo quella mattina, ma non glielo dissi mai.

leggermente intimorita, ma piena di me, uscii dal por-tone e mi catapultai nella realtà, nella desolata realtà.

Spoglia, incolore, insulsa.Chiesi l’orario ad un passante ed ero già in ritardo per

prendere luca a scuola.Mi diressi di tutta corsa all’istituto e fuori, come sem-

pre, le altre mamme. Il loro sguardo non mi piacque affat-to. Mi salutarono appena e io, del resto, feci lo stesso con loro.

Di corsa presi luca e di corsa tornammo a casa.Quel giorno non raccontai a Sergio nulla riguardo alla

mia mattinata, non sapevo da dove cominciare e avevo come l’impressione che non mi potesse capire appieno, ma

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soprattutto, per la prima volta, decisi di tenere solo per me quel senso di benessere.

Egoisticamente, ma lo preferii.Il pomeriggio seguente, dopo aver lasciato luca al circo-

lo calcistico, nell’attesa, anziché tornare dritta verso casa, passai all’Alba Blu.

Volevo capirne di più di quel misterioso posto.Mi aprì una donna che non era lou e che aveva dei ca-

pelli assolutamente normali. Sorridendo pronunciò: – Sal-ve, come posso aiutarla?

– Non lo so veramente… ehm…cercavo lou, è qui?Disse: – No, lou è andata col marito alla galleria… per

via dei quadri…rieccoci, anche lei mi aveva dato del tu, senza cono-

scermi…Per via dei quadri? Può darsi si riferisse alle tele prese da

casa la mattina prima o forse no, ma non volli chiederglie-lo, per non apparire invadente.

Con molto garbo, mi propose di accomodarmi dentro, inizialmente rifiutai, poi accettai.

Eravamo sole quindi pensai che se anche avessi sbagliato in qualcosa, poco importava, perché magari non avrei mai più visto quella tipa e inoltre… non conosceva nemmeno il mio nome. Dovevo approfittarne, era il momento giusto.

Mi feci coraggio e le chiesi: – Che posto è questo?Mi guardò un po’ meravigliata, come se una volta suona-

to a quel campanello e varcata quella soglia, in automatico, avessi già dovuto sapere dove mi trovavo.

E continuò: – Questo è il mondo delle donne, lou tiene in maniera particolare a questo posto. Qui trovi la tua ani-ma, ed è aperto a tutte le donne.

Trovi la tua anima. Caspita quant’era vero! Se proprio non la trovavi, ci andavi molto vicino… e nel frattempo

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che lei parlava, mi scorrevano davanti tutte le immagini in blu della mattina precedente.

risentii tutti quegli odori, gli schizzi delle onde, quei suoni carismatici, quelle silenziose, coinvolgenti melodie che mi avevano trasportato e innalzato all’armonia totale dei miei sensi.

rimasi comunque in silenzio.– Nasce come un’associazione di volontariato per aiutare

le donne sole e maltrattate, poi col tempo è un po’ cam-biato. Ci siamo trasferite qui da poco, prima il locale era più piccolo di questo, ma sempre molto accogliente. E poi, comunque, si doveva andare via da là.

Si arrestò immediatamente dopo.– Comunque, perdonami, non ci siamo nemmeno pre-

sentate, io sono Giada, un’amica di lou.Ancora un po’ lentamente, ero lì che riflettevo sulle sue

parole, sebbene non potessi capire a cosa alludevano, pen-sai che quel posto era davvero accogliente, ti sentivi a casa, forse per via dei colori o per le persone che ci trovavi den-tro.

lei mi guardava come se aspettasse qualcosa da me. rin-venni qualche secondo dopo.

– Ah scusami, il mio nome è Carla, scusami… è che in questi giorni sono un po’ a rilento, carburo pian pianino.

ridemmo.Mi trattenni un po’ lì, chiacchierando bevemmo una

cioccolata calda assieme sedute sul divano, in inverno è sempre piacevole.

Non rientrai nella stanza blu, non ne sentivo l’esigenza, mi sentivo ancora tutta frizzare dal giorno prima e non vo-levo che le emozioni si accavallassero, era già difficile tener-le a bada così…

Andava benissimo, io stavo proprio bene.

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1. Carla

Non so cosa stessi aspettando in realtà, e cosa mi tratte-neva ancora lì, ma andai via dopo tre quarti d’ora.

Passai a prendere velocemente luca e a casa preparai una cena molto rapida.

Quella notte non riuscivo a prendere sonno, nemmeno la notte precedente in verità, e ne approfittai per raccontare tutto a mio marito, gli dissi di lou, dell’Alba Blu, della sua casa.

Gli raccontai dei dipinti sul muro, di come mi aveva-no sconvolto la giornata e di come mi avevano fatto stare bene.

rimanemmo svegli per tanto e lui mi ascoltò per tutto il tempo.

Dissi che volevo continuare a frequentare lou e il suo mondo, e Sergio parve d’accordo.

È sempre stato un buon marito, mi ha sempre trattata con dignità e rispetto.

E dall’indomani, in effetti, cominciai a frequentare quel posto, vedevo lou quasi tutti i giorni fuori dall’orario sco-lastico, andavo all’Alba Blu con una certa costanza e offrivo il mio tempo per quel che poteva servire.

Davo una mano a Giada nella distribuzione dei volanti-ni, aprivo la porta e preparavo te o cioccolate calde.

Nel giro di poche settimane, molte donne si avvicinaro-no ad Alba Blu e tutte ne uscivano col sorriso.

Mi piaceva pensare che parte di quel sorriso potesse an-che essere un po’ merito mio.

A casa riuscivo a gestire tutto benissimo, ogni tanto por-tavo luca con me, altrimenti rimaneva dai nonni. lui ne era felice e ovviamente anche loro lo erano. Io di conse-guenza, perché mi ritagliavo degli spazi miei, come non succedeva da anni.

Sergio mi percepiva serena, ma è vero che cominciava a

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notare la mia assenza in casa e questo non credo gli garbas-se molto.

una sera mi disse: – Carla, è ammirevole quello che fai e come ti stai prodigando per l’associazione, ma ammetto, e so di essere egoista, che un po’ mi mancano le tue cure di moglie, i tuoi dolci… e poi luca, non so, come sta viven-do, secondo te, questo allontanamento?

– Ma quale allontanamento Sergio? Io non mi sto al-lontanando né da lui, né da te, sto semplicemente vivendo anche un po’ per me e sto cercando di mettere a frutto il mio tempo libero in modo più costruttivo, possibile che non lo capisci questo?

usai un tono duro, non mio, ma mi dispiaceva sentirlo parlare così e confidavo nella speranza che lui avrebbe ca-pito.

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