Al Partito Radicale (Armando Puglisi - 1976)

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Cari,compagni, in primo luogo devo esprimere compiacimento per il risultato ottenuto con le elezioni politiche del 20 giugno poiché ha dimostrato che il movimento per i diritti civili non potrà più essere considerato una componente politica marginale. Ciò premesso, non posso nascondere che tale risultato ha anche evidenziato come questa lotta sia stata inadeguata per il decollo dell'area socialista-libertaria. Un mancato decollo nonostante che l’eccezionale mobilitazione avvenuta sul referendum

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Cari,compagni,in primo luogo devo esprimere compiacimento per il risultato

ottenuto con le elezioni politiche del 20 giugno poiché ha dimostrato che ilmovimento per i diritti civili non potrà più essere considerato una componentepolitica marginale. Ciò premesso, non posso nascondere che tale risultato haanche evidenziato come questa lotta sia stata inadeguata per il decollo

dell'area socialista-libertaria.Un mancato decollo nonostante che l’eccezionale mobilitazione avvenuta

sul referendum abrogativo delle leggi Rocco sul reato d’aborto -conclusa nelluglio ’75 con la consegna in cassazione delle 750.000 firme raccolte- avesseconvinto che se fossero stati presentati dei candidati radicali alle elezionipolitiche i consensi sarebbero stati sufficienti a determinarlo.

Questa interpretazione è suffragata dal Congresso di Firenze, novembre ’75,nel quale in forza della convinzione che il risultato delle elezioni amministrativedel 15 giugno -caratterizzato dalla mortificazione di clericalismo e democraziacristiana e dal boom dei partiti della sinistra- era dovuto alle lotte per i diritti

civili e che esistendo ancora un complesso vasto di aspirazioni e movimenti chepotevano essere soddisfatti da queste lotte, si ribadiva -in sintonia con quantoera stato formulato nel precedente congresso di Milano, del ‘74- che alleprossime elezioni politiche sarebbe stato possibile acquisire -“almeno”- un20% di rappresentatività elettorale all’area socialista-libertaria. Questi i“corollari logici” tanto del ponte, lanciato verso il Psi per farlo assurgere,rinnovato, a condottiero di tale disegno, quanto, fallita la proposta perl’indisponibilità socialista, della presentazione in proprio della candidatura allepolitiche.

Ma il 20 giugno è stato una " frustata".

Sarebbe "follia" non riconoscerlo, ipocrisia non ammetterlo. Tale elezioneindica infatti che: 1) il partito vaticano, la Dc, non si è “disgregato” e che quindila generalizzata richiesta di una vita diversa capace di rovesciare i rapporti traStato e cittadino per l’instaurazione di una nuova qualità di vita socialistalibertaria era meno urgente e potente di quanto supposto; 2) i voti dellasinistra, polarizzati attorno al Pci e non al Psi e al Pr, sispiegano col fatto che le indicazioni e le lotte per i diritti civili non costituivano,in termini immediati, condizioni sufficienti ad aggregare consistenti stratipopolari attorno al progetto di alternativa libertaria.

Non si venga a dire che tali asserzioni non sono suffragate, poiché sono irisultati delle elezioni ad indicare che la Dc ha "retto”, il PCI ha fatto un"ulteriore balzo in avanti",mentre il Psi ha registrato un calo di voti rispetto aquelli ottenuti nel ‘75. Non solo: questi risultati indicano anche che, sommandoi voti ottenuti dal Psi con quelli del Pr, si ottengono 2% di voti in meno di quelliconseguiti dal Psi il 15 giugno ’75. Quindi con il 20 giugno ’76 non si èverificato il decollo dell’area socialista-libertaria ma il suo contrario.

Su questi fatti non insisto poiché vi sono fin troppo noti. E’ pertantoopportuno affrontare le cause che più hanno contribuito ad ostacolarel’auspicato decollo. Queste vanno individuate nella valutazione errata data dalPr agli elementi di fondo che caratterizzano il quadro politico ed economico

italiano degli anni ’60 e nella conseguente inadeguata proposta politica. Infattidi fronte ad una crisi economica, che diventava sempre più problema sentito epatito dalla collettività nazionale, e aI “movimento di classe" che si sviluppava

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con eccezionale ampiezza e profondità, il Pr limitava l’intervento ai diritti civili,lasciando costantemente in ombra il problema economico-sociale. Questoatteggiamento finiva inevitabilmente (cioè consapevolmente o no) per avallareche la lotta per i diritti civili fosse qualcosa di disgiunto dal problemaeconomico e dalla lotta di classe e che lo stesso progetto di rinnovamento e diunità della sinistra potesse essere costruito senza la "soluzione” di questiproblemi 1. Beneficiario di questo atteggiamento finiva per essere il Pci, in

quanto gli permetteva di uscire indenne dalla contestazione di classe e dipresentarsi come paladino del "buon senso" dal momento che consideravaprioritario e risolvibile, pur nell’ambito di un accordo di governo con la Dc , ilproblema economico senza per questo dimostrarsi insensibile ai diritti civili.

Ben diverso sarebbe stato se il Pr fosse stato consapevole che per la primavolta neldopoguerra, il movimento di classe rappresentava un momento di crisi di vastistrati popolari con l’egemonia del PCI ed era potenzialmente disponibile, aseguire le indicazionidi altre formazioni democratiche e socialiste appena queste si fossero

dimostrate interessate a dare soluzione ai valori di cui era portatore. Partoquindi dal presupposto che il Pr non doveva presentarsi al giudizio della gentecome il partito dei diritti civili,ma come il partito dei diritti civili e dellaquestione sociale, poiché cosi facendo avrebbe avuto modo di dimostrare chela crisi economica lo riguardava, che i diritti civili erano rivolti a risolvere talecrisi e che la proposta alternativa di sinistra -al pari del compromesso storico-era in grado di prospettare soluzioni su tutti i grandi problemi che affliggevanola vita nazionale.

Un tale presupposto porta implicito un altro elemento di non secondariaimportanza e cioè il fatto che la questione economico-sociale avrebbepermesso, se affrontata dal Pr, di porre un alt al Pci sgretolando in uno o più

punti il suo interclassismo e, per questa via,ottenere una più ampia polarizzazione di voti attorno alle proprie liste, dandoconsistenza epeso al decollo dell'area "libertaria".

Non mi sfuggono difficoltà e possibili obiezioni.Principalissima, nelle nostre file, quella di chi vede nell’avvicinamento dei

diritti civili alla questione sociale un'operazione tecnicamente possibile mapoliticamente sterile in quanto destinata a disaggregare più che aggregareconsensi elettorali. A tali obiezioni si deve rispondere che la questione sociale,non identificandosi con il movimento di classe, dal momento che nerappresenta una proiezione a Iivello giuridico-statuale, tocca, come i diritticivili, non la classe, ma la gente. Se così è affermo che diritti civili e questionesocialepotevano e possono coesistere su uno stesso piano e concorrere a rafforzare ilconsenso attorno al partito.

Ciò detto non vorrei annoiarvi oltre con ragionamenti a carattere "teorico",ma scendere ai fatti per vedere in primo luogo se esistano problemi economiciche possano interessare la gente e in secondo luogo se esistono lotteeconomiche che, al pari dei diritti civili, possano essere condotte non sulmodello della lotta di classe ma su quello della lotta di gente.

1  Negli anni '60 il Pr, lottando per avvicinare la conquista del controllo delle nascite, era l'unico partito che in Italia si

proponesse di dare soluzione a un problema economico-sociale di capitale importanza. Purtroppo questa lotta nonpoteva essere recepitacome problema economico, soprattutto perché i dirigenti del Pr lo proponevano in veste di conquista di un diritto civile

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Il mio terreno di riflessione sarà quello delle pensioni 2.Come si sa in Italia non esiste un unico Ente erogatore di pensioni IVS

(invalidità, vecchiaia, superstiti), ma una molteplicità di Enti. I principali Entiprevidenziali per lavoratori dipendenti sono: l'INPS Regime Generale (cheinteressa la generalità dei dipendenti privati) con 12.000.000 assicurati e7.500.000 pensionati IVS; il Tesoro che riguarda i dipendenti dello Stato (Civili,Militari, Aziende autonome, Enti Locali.) con 2.800.000 assicurati e 1.050.000

pensionati IVS.Se ora (escludendo per semplicità di analisi il trattamento riservato agli

invalidi e superstiti) si esaminano i criteri con i quali il lavoratore può accederealla pensione si nota che presso l'INPS Reg. Gen. la si ottiene quando si èraggiunto il 55° o il 60° anno dietà, se donna o uomo, in presenza di almeno 15 anni di lavoro, oppure alcompimento del 35° anno di lavoro, mentre presso il Tesoro i dipendenti Civilidello Stato conseguono la pensione di vecchiaia al 65° anno, in presenza dialmeno 15 anni di servizio, oppure al raggiungimento del 20° anno di servizio,mentre i dipendenti degli Enti locali a 60 anni, in presenza di 15 anni di lavoro,

oppure al 25° anno di lavoro.Evidentemente la regola INPS relativa alla pensione di vecchiaia, previa lapresenza dei 55 o 60 anni e almeno 15 anni di lavoro, riguarda quei lavoratoriche hanno, iniziato a lavorare in età avanzata, al limite dei 40-45 anni,rispettivamente se donne o uomini. Del pari la regola del Tesoro, delraggiungimento della pensione all’età di 60 o di 65 anni, sedipendenti degli Enti Locali o impiegati Civili dello Stato, in presenza di almeno15 anni di servizio, riguarda donne e uomini. che abbiano iniziato a lavorare a45 o 50 anni di età. Come è facile comprendere, queste regole non interessanola generalità dei lavoratori.Questi ultimi si avviano al lavoro in età giovanile, dopo o poco dopo il

conseguimento del titolo di studio. In tutti questi casi, per chi è assicurato INPSvale la regola del raggiungimento minimo dei 35 anni di lavoro e per chi èassicurato Tesoro vale la regola del conseguimento minimo del 20 o dei 25anni di servizio. Questa diversità di condizioni per il conseguimento della primapensione di anzianità costituisce un fatto "notevolissimo". Infatti un dipendenteprivato, uno degli Enti Locali, uno di Stato, che inizino a lavorare all'età di 16anni, potranno andare in pensione, rispettivamente, all’età minima dei 51, 41,36 anni. A parte il fatto kafkiano di erogare pensioni di anzianità a personeancora giovani, ci vuole poco a convincersi che la pensione corrisposta aidipendenti pubblici prima del 51° anno di età viene a gravare sulle, spalle deidipendenti privati, dal momento che i primi fruiscono di un trattamentoeconomico avulso da ogni prestazione lavorativa ben prima che i secondi,raggiunto il 51° anno, possano raggiungere il riposo. Visto che regola generaleper i dipendenti pubblici è quella di poter andare prima in pensione, incalza lacuriosità di sapere a quanto ammonta il furto perpetrato da questi ai danni deidipendenti privati. Mi è possibile stabilire -servendomi di una vecchia indaginedel '53, rielaborata da Onorato Castellino in un suo recente studio suipensionati dello Stato e sulla loro distribuzione per età al momento delladecorrenza della pensione- che nel '75 i dipendenti pubblici in pensione in unaetà compresa fra i 30 e i 51 anni erano non meno di 263.000 3. Sulla scorta di

2

   Tutti i dati riportati nel testo si riferiscono agli anni '71-75.3  La cifra l'ho fornita utilizzando un procedimento alquanto discutibile, ma non per questo essa resta meno

indicativa.I dati di cui dispongo sono: pensionati IVS dello Stato (800.000); pensionati degli Enti Locali (191.000), pensionati V

En. Locali (127.000); i risultati di una indagine condotta nel '53 sui pensionati dello Stato (Civili, Militari, Aziende

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questo dato e supponendo che essi percepissero una pensione mediamentepari a 65.000 lire mensili 4, con semplici moltiplicazioni, stabilisco chel'ammontare della cifra corrisposta dal Tesoro in pensioni a giovani exdipendenti pubblici era, nel solo '75, pari a 220 miliardi di lire. Cifra a dir pocoastronomica dato che non ha nessuna giustificazione ed è semplicementedeterminata da un atto di prepotenza esercitato da questa categoria sui piùlaboriosi dipendenti privati.

Se, visti i criteri a tempo cui sono soggetti i prestatori d’opera per poterpercepire la pensione, passiamo a considerare i criteri "monetari" ai quali sonosoggetti gli stessi nel momento in cui si mettono a riposo, vediamo chedall'INPS la pensione viene calcolata in base alla retribuzione annuamediamente percepita nei tre anni più favorevoli all'assicurato, scelti fra gliultimi 5 e liquidata ad un importo pari all’1,8% di tale retribuzione fino al limitemassimo del 74% al compimento del 40° anno e oltre di lavoro e dicontribuzione, mentre dal Tesoro viene calcolata agli appartenenti agli EntiLocali in base all' ultima retribuzione (si intenda la retribuzione dell'ultimomese) secondo una proporzione variabile dal 37,5% per anzianità di 15 anni,

fino al tetto del 100% per anzianità di 40 anni e oltre (l’aumento non è lineare;infatti in corrispondenza con 20, 25,30, 35 anni di lavoro la quota è del 45, 55, 67,5, 82,5%). Per gli impiegati delloStato la pensione viene commisurata all'ultima retribuzione (come per idipendenti Enti Locali), secondo una proporzione del 35% per anzianità di 15anni e con un aumento pari all’1,80% per ogni anno successivo fino ad unmassimo dell'80% per pensioni di 40 anni e oltre. In base .a questi criteri dicomputo le pensioni sono più favorevoli -pur con rimarchevoli diversità- aidipendenti pubblici che a quelli privati. Infatti, supponendo che un dipendenteassicurato INPS, un dipendente degli En. Locali e uno di Stato assicurati al Tesoro, vadano in pensione al compimento del 35° anno di servizio con una

identica "base pensionabile", poniamo 160.000 lire mensili, il primo, riceveràuna pensione pari a 103.000, mentre il secondo e il terzo andrannorispettivamente in pensione con 132.000

Autonome) in base alla distribuzione peretà dei titolari di pensione di anzianità al momento della decorrenza della pensione, elaborati da 0. Castellino, eriportati in tabella:

  Dipendenti dello Stato: distribuzione delle pensioni di Vecchiaia per età alla decorrenza:------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Età (anni) Frequenza%------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

sino a 30 0,70da 30 a 35 4,10da 35 a 40 6,01da 40 a 45 12,00da 45 a 50 14,78da 50 a 51 3,5

 Dato che ho a disposizione i dati relativi ai pensionati IVS e V En. Locali, IVS Stato, per determinare i pensionati V

statali ricorro alla proporzione: 191.000: 127.000 = 800.000: x= 530.000. Mancandomi i dati percentuali per età didecorrenza della pensione dei pensionati V En. Locali e mancandomi dati più recenti sull'età dei pensionati statalipresumo che le classi di età di pensionamento per tutti i dipendenti pubblici siano quelle fissate nella tabella elaboratada Castellino e che siano rimaste immutate a partire dal '53 fino ai nostri giorni.

Ciò premesso, per ottenere l'ammontare dei dipendenti pubblici V che si mettono in pensione prima del compimentodel 51° anno di età, dopo aver sommato i V di Stato ai V En. Locali (530.000 + 127.000) e cosi ottenuta la totalità deipensionati V dipendenti pubblici (657.000), ho tradotto in numero le percentuali riguardanti le diverse classi di età di

pensionati fino al tetto del 51° anno di età compreso, e poi sommate.4  La cifra è fornita in base al presupposto minimalista che è impossibile che, in relazione alle esposte diverse

normative, nel ‘75 la differenza tra la pensione diretta minima erogata dal Tesoro ai dipendenti pubblici e la minimaerogata dall'INPS ai suoi assistiti sia inferiore alle 10.000 lire mese.

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e 113.600 lire al mese al netto della 13^mensilità. Come è dato a vedere, ladifferenza tra la pensione percepita dall’assicurato INPS e quelle percepitedagli assicurati al Tesoro ammonta rispettivamente a 28.400 e 10.000 lire almese. Tale differenza costituisce una ingiustificata discriminazione, un tot difurto in più, che viene ad aggiungersi ai benefici a tempo goduti dai secondi aidanni dei primi. Questi fatti, ripeto, sono deducibili e scontati per chi guardi icriteri "monetari" con i quali si computa la pensione agli assicurati INPS

e Tesoro. Ma ciò che non è deducibile e scontato (per i non addetti ai lavori), èche su questi criteri pesa un’ipoteca nascosta fra le pieghe della carrieraretributiva che determina a monte la fisionomia della pensione. Mi riferisco alfatto che la pensione premia quellecarriere che per effetto della semplice anzianità di servizio si discostano versol'alto dalla media retributiva e che -neanche a dire- sono rappresentate, leprime, dagli assicurati al Tesoro e le seconde, dagli assicurati all’INPS.

Per rendersi conto della verità di queste asserzioni, basta prendere spuntoda uno studio di Ermanno Gorrieri, "La giungla retributiva", condotto allo scopodi far luce sulle retribuzioni delle diverse categorie dipendenti e dal quale si

può dedurre l'ammontare della diversità retributiva cui da luogo l’anzianità diservizio presso lavoratori di identica qualifica ma appartenenti a diversi settori.In una tabella elaborata da questo autore sono messe a confronto qualificheoperaie quali, ad esempio, l'operaio comune metalmeccanico ed edile,l'applicato En. Locali e l'usciere di Stato: i primi due, che all'inizio della carrierapercepiscono 95.621 e 123.370 lire al mese, dopo 18 anni di permanenza nellastessa qualifica percepiscono, rispettivamente 99.289 e 123.370 lire mensili,mentre i secondi due, che all'inizio della loro carriera percepiscono 133.545 e90.754 lire al mese, dopo 18 anni di permanenza nella stessa qualifica,percepiscono 194.667,e 125.887 lire al mese 5. Dalle cifre indicate si constatache, rapportate a 100 le paghe iniziali degli «operai, il primo e il secondo,

appartenenti al settore privato, hanno realizzato una progressione retributivadi circa il 3,5 e 0%, mentre il terzo e il quarto, del settore pubblico, hannorealizzato una progressione del 45 e del 38% circa. Sapendo che gli operaiprivati e quelli pubblici si collocano nell'abito dell'INPS e del Tesoro e che lapensione si computa sulla base delle ultime retribuzioni, è facile dedurre cheper lavoratori dipendenti appartenenti alla stessa qualifica le pensioni che simaturano su paghe soggette nel tempo a un più alto dinamismo sono favoritee ancora che la pensione porta sepolta nel proprio seno la percentualeacquisita per effetto del dinamismo della retribuzione.

Per quanto difficile mi sia passare dal raffronto di singoli casi al raffrontogenerale sul computo dell'incidenza che la progressione retributivaconseguente alla semplice anzianità di servizio determina sulla pensione deiprestatori d'opera facenti capo ai due Enti pensionistici, voglio tentare unparagone che dia un'idea di tali diversità. Prendendo ancora spunto da unatabella elaborata da Gorrieri, dove sono messe a confronto la progressione di“carriera” compiuta dall'operaio specializzato metalmeccanico e quella di unmaestro di scuola elementare, si nota che il primo e il secondo dopo 35 anni dipermanenza nelle rispettive qualifiche hanno realizzato sulla paga iniziale unaprogressione pari a circa il 5 e il 95% 6. Ora, se si tiene conto che presso l'INPSsi colloca la generalità dei dipendenti attivi privati per un complesso di 9,5milioni di operai e 1,8 milioni di impiegati e che le retribuzioni dei primi in 35

5 )  Tutte le retribuzioni sono riferite a paghe tabellari.6  Le progressioni monetarie, per effetto della semplice anzianità di servizio delle rispettive carriere, sono riferite a

paghe tabellari. 

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anni di prestazione lavorativa subiscono un incremento pari a quello segnalatoper l'operaio comune metalmeccanico e quelle dei secondi, in uno stessotempo, un aumento retributivo del 70% 7, si comprende come si possa farassurgere l'aumento che subisce nel tempo la retribuzione dell'operaiospecializzato metalmeccanico, appena si aggiunga il 10,5% circa, a simbolodelladinamica retributiva degli assicurati a questo Ente. Allo stesso modo, se si

tiene conto che presso il Tesoro si colloca la generalità dei dipendenti pubbliciattivi per un complesso di 2,8 milioni di cui 1 su 3,5 è insegnante e 1 su 2,8 8 èlaureato o diplomato con un andamento retributivo nel tempo eguale olievemente inferiore a quello del maestroe che le carriere operaie sono soggette a un dinamismo simile a quellosegnalato per l'usciere, si comprende come è possibile far assurgere lostipendio del maestro elementare, detratto un 35%, a simbolo della dinamicaretributiva subita in 35 anni dalla totalità degli assicurati a questo Ente. Perquanto non sia in grado di dare un'idea reale del furto perpetrato daidipendenti pubblici ai danni di quelli privati, posso tranquillamente affermare

7  Che nel settore privato le retribuzioni delle qualifiche impiegatizie siano soggette nel tempo a un incrementosuperiore a quello delle qualifiche operaie è un fatto noto. Per illustrarlo riporto alcuni esempi estrapolati dal citatolibro di E. Gorrieri

Qualifiche impiegatizie, settore privato: incidenza dell’anzianità di servizio sullo stipendio dopo 18 anni di lavoro(paghe tabellari)

Qualifiche Retrib.iniz. Retrib.Iniz.=100 Retrib.dopo18anni Prog.%dopo18anni-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Impieg.Concet.2^Categ.Edili 205.800 100 285.000 +38,7Capo Ufficio

 TecnicoInd.Meccanica 199.000 100 282.000 +41,7Impie.Dirett.Ind.Ceramica 215.000 100 311.000 +45Dirigente

Az.Industriale 504.000 100 806.000 +59,9

Per quanto disponga di un discreto numero di esempi sull’aumento retributivo di categorie impiegatizie, questi datinon mi sono ancora sufficienti per poter determinare la differenza prodotta dal trascorrere del tempo sulle retribuzionidei dipendenti con qualifica impiegatizia ed operaia. Quindi l’indicazione del 70% dopo 35 anni di servizio comedivaricazione media tra retribuzioni impiegatizie ed operaie del settore privato è fissata arbitrariamente sulpresupposto che preferisco incorrere in un errore per eccesso che per difetto.

8 La cifra dei laureati e diplomati statali la ricavo da "Uno studio della Federazione degli statali CGIL" -"Chi quanti sono

quanto costano e percepiscono i pubblici, dipendenti”- considerando che debbano computarsi come laureati odiplomati oltre agli insegnanti e i magistrati, i quadri dirigenti, direttivi, gli impiegati di concetto,gli ufficiali riportatinelle tabelle dei Ministeriali, Aziende Autonome, Militari.

Disponendo degli En.Locali solo il totale degli occupati attivi ma non la suddivisione per ruolo di questi presumo chei laureati, e i diplomati En. Locali sulla totalità dei suoi occupati siano in proporzione a quelli delle Az. Autonomerispetto al totale degli occupati presso le stesse. II computo dei laureati e diplomati, sulla base dei criteri esposti èriportato nella seguente tabella:

Laureati e diplomati pubblici per settori:Qualifiche Quantità------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Insegnanti 786.000Magistrati 8.500Dirigen.Direttori

  ImpiegatiConcettoMinisteriali 66.000Dirigen.DirettoriImpiegati ConcettoAziende Autonome 67.000UfficialiMilitari 38.000Dirigen.Direttori

  Impiegati Concetto

Enti Locali 100.000

  Sapendo che in totale i dipendenti pubblici in attività ammontano complessivamente a 2.800.000, mi è statofacile indicare i rapporti esistenti tra questi e gli insegnanti, i laureati e i diplomati.

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che, fermi restando gli attuali criteri monetari con i quali si computano lepensioni, esso sarà superiore di due volte a quello prodotto dai criteri a temposopra esposti 9.Dico sarà e non è, perché tale furto diventerà compiuto quando-le pensioniverranno liquidate con il sistema retributivo entrato in vigore con le leggi del‘68-'69. A tale data i criteri a tempo a cui sono soggette le retribuzioni sarannoquelli che maggiormente avranno contribuito a fissare a favore dei dipendenti

pubblici la divaricazione media chesi avrà nel trattamento pensionistico goduto dagli assicurati ai due diversi Enti.

I rilievi fin qui fatti sulla diversità dei criteri a tempo e monetari cui sonosoggetti i dipendenti pubblici e privati, nonché le alte pensioni, costituiscano ifenomeni più intollerabili tra quelli che è dato cogliere a chi si affacci aguardare la "giungla pensionistica".

So che nei confronti di questa posizione critici "maliziosi" obietteranno cheun "corretto rapporto a regime" prevede che i pensionati di invaliditàcorrispondano al 30% di quelli di vecchiaia, mentre presso l'INPS i pensionati Vammontano a 2.900.000 e quelli I ad una cifra analoga e che quindi esistono

ben 1.800.000 pensionati di invalidità di troppo che, supponendo anche solopercepissero tutti nel '75 la pensione minima, hanno frodato l'erario,limitatamente a quell’anno, di (56.000 x. 13 x 1.800.000) 1.200 miliardi di lirecirca. Cifra di 2 volte superiore a quella fregata dai dipendenti pubblici qualora ifattori a tempo e monetari denunciati si supponessero operanti.

Tali obiezioni, per quanto fondate, risulterebbero di certo "esagerate" inquanto non terrebbero conto che nel '73 -riferito all'INPS Reg. Gen- il 29%dei pensionati a favore dei quali è stata liquidata una pensione di invaliditàaveva l' età necessaria (55 o 60 anni),ma non i requisiti contributivi (15 anni) minimi per ottenere una pensione divecchiaia; né considererebbero che un rilevamento sulla distribuzione per età

dei titolari di pensioni di invalidità indica che di essi il 22,5% aveva meno di 55anni, il 14,5% tra i 55 e i 60, il 63% oltre i 60 anni. Questi dati, se esaminatisenza faziosità, inducono a ritenere che la maggioranza dei fruitori illegittimi dipensioni di invalidità devono essere ricercati fra quella massa composta da 4,6milioni di individui attivi che Silos Labini, nel suo "Saggio sulle classi sociali"rubrica fra gli occupati nell'industria fino a 100 addetti o tra gli occupati precaridell'industria e dell'agricoltura. Persone cioè che, trovandosi più in basso nellascala sociale, vicine al 55° o 60° anno di età, in mancanza di opportunitàmigliori offerte dal sistema economico, ricorrono, appoggiandosi allepersonalità politiche e mediche del luogo di residenza, ad una pratica diinvalidità per ottenere una pensione destinata a soccorrere l'incombente

9  Se si fa l'ipotesi che le qualifiche impiegatizie ed operaie di tutti gli attuali pensionati V, sia assicurati al Tesoro che

all'INPS Reg. Gen., siano in proporzione con le qualifiche, impiegatizie ed operaie, degli assicurati attivi presso i dueEnti, e che i suddetti pensionati siano andati in riposo dopo aver fornito 35 anni di servizio e che le pensioni sianoerogate con i criteri retributivi in vigore nel periodo esaminato, si avrà che le pensioni dei dipendenti privati, per effettodel computo percentuale, sono inferiori a quelle dei dipendenti pubblici dell'8,7% e per effetto dell'anzianità di serviziodel 45%.

Ferma restando l'ipotesi formulata e ammesso che solo per le qualifiche operaie pubbliche e private valga la paritànel computo monetario delle pensioni e sia legittima una divaricazione tra qualifiche operaie ed impiegatizie private epubbliche pari al 30%, si avrà che l'ammontare illegittimamente estorto in pensioni dagli ex dipendenti V pubblici aquelli privati, ammonta a circa il 45-50% del monte pensioni complessivamente erogato dal Tesoro a questa categoriadi pensionati.

Accettando questo criterio e passando dall’ipotesi astratta alla realtà, se si considera che, nel giro di 25-30 anni, apartire dall’entrata in vigore delle leggi '68-69 che introducono il computo delle pensioni sulla base delle retribuzioni, siavranno pensionati la cui proporzione tra pubblici e privati e tra qualifiche impiegatizie ed operaie non potrà essere

molto diversa da quella attualmente esistente fra gli assicurati attivi dell’INPS e del Tesoro, si avrà che, facendomediamente pari a 30 e a 35 gli anni di prestazioni lavorative fornite dai dipendenti pubblici e privati, l’ammontaredell’estorsione prodotta dai pensionati pubblici V sui pensionati privati non potrà essere molto diversa da quella inprecedenza formulata. Altro che i 240 miliardi anno da me indicati nel testo!!!

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vecchiaia. Nasce quindi doverosa la necessità,quando si esamina il fenomenodell'abnorme ricorso al pensionamento di invalidità da parte di milioni dipersone, di distinguere quelli che vi ricorrono in una età vicina al 60° annoperché privi di capacità o di mezzi sufficienti a fronteggiare la vecchiaia daquelli che vi ricorrono prima di tale età in assenza di cause invalidanti. Benchémanchino nel nostro paese elementi di statistica che soli potrebbero "diradare iveli che nascondono molti misteri", esistono ragioni probanti che mi fanno

ritenere che le pensioni I erogate a persone che non hanno nessun titolo perriceverle, non possono essere più del 15% di quelle attualmente considerateillegittime. Al che -se è vero quanto affermato dei 1.200 miliardi erogati nel'75 in pensioni illegittime- solo 200 miliardi verrebbero latrocinati; ilrimanente andrebbe a persone bisognose, a vario titolo, di sopperire allenecessità della vecchiaia e quindi il furto perpetrato dai pubblici dipendentirisulterebbe ancora il più consistente e ingiustificato. Ma ancora e più, chicontrapponesse ai privilegi goduti dai pubblici dipendenti i percettori illegittimidi pensioni di invalidità, senza aver la volontà di rimuovere i privilegi goduti daiprimi, finirebbe per fornire alibi e scorciatoie a quanti sono desiderosi di

nascondere i vantaggi che l'attuale sistema pensionistico riserva alle classiimpiegatizie e piccolo borghesi, senza per questo voler affrontare e risolvereciò che di marcio si annida nel computo e nell'erogazione di ingiustificate eingiustificabili pensioni di invalidità.

Ed è per queste ragioni che affermo che chi voglia incominciare a risolvere imisfatti che si annidano nel cuore del sistema pensionistico italiano debba, peruna serie di ragioni politiche e tecniche che desidero omettere dall'elencare,affrontare prioritariamente due fatti legati al computo della pensione deipubblici dipendenti: l'età di pensionamento e gli effetti monetari che sispingono oltre un certo limite 10.

La soluzione tecnica di questi problemi si presenta di una facilità inaudita.

Basterebbe infatti fissare per legge che nessun cittadino italiano che non sia I oS possa ricevere una pensione di vecchiaia prima del compimento del 51° annodi età e che agli effetti pensionistici non si computano le retribuzioni chesuperano un tetto 2,5 volte superiore alle retribuzioni medie operaie in vigorenel settore industriale.

Quando formulo queste proposte tengo conto di molti fattori. Il principale èquello di poter indicare una soluzione che sia in grado di polarizzare attorno achi la sostiene, come compito da realizzare, il massimo dei consensi sociali eparimenti di mettere in movimento(con e al di là di chi la sostiene) una serie di altre richieste capaci di incidere ilpiù possibile sul complesso delle storture esistenti in campo pensionistico. Inaltre parole queste proposte si pongono l'ambizioso obiettivo di dare a unaquestione tipicamente sociale, quale è il problema delle pensioni, unacaratterizzazione che sia il più lontano possibile dalla lotta di classe o di popoloe il più vicino possibile alla lotta di gente.

Prima di vedere se ciò è fattibile, è bene soffermarsi brevemente su ciò chesi intende per lotta di classe, di popolo, di gente. Anche se in modo grossolanomi pare che, come comunemente intesa, lotta di classe significhi lottaeconomica o politica (non interessa se di carattere globale o parziale) fattadalla classe operaia contro la borghesia in presenza della neutralità dellapiccola borghesia, al fine di strapparle una rivendicazione. Per lotta di popolo si

intende la lotta intrapresa da proletariato e piccola borghesia al fine, anche qui,

10  Omissis

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di strappare alla borghesia una determinata rivendicazione economica opolitica; al più questa lotta prevede la neutralità o il consenso passivo di unaparte dell'una o dell'altra delle forze alleate. Infine per lotta di gente si intendela lotta intrapresa da una parte di classe operaia, di piccola borghesia e diborghesia contro le altre parti di queste classi. Queste, in breve eschematicamente, le differenze caratterizzanti i tre tipi di lotte.

Chiusa questa parentesi passiamo a vedere da chi può essere sostenuta la

prima richiesta di riforma: l'età di pensionamento. Essa troverà favorevoli inprimo luogo tutti quelli che, per normativa o altre necessità di fatto, nonpossono andare in pensione prima dell’età di 51 anni.

La classe operaia attiva, un complesso di 9.500.000 persone e quella ariposo, ,5.500.000 persone: un blocco di classe che, per quanto qua e làincrinato dalla corruzione, nella sua stragrande maggioranza non vedrebbe di"buon occhio" e non tollererebbe che dei "giovanotti" di 36 anni o dei nonvecchi di 46 possano mettersi in pensione usufruendo di un periodo di riposoche a lei non è concesso e che viene per dipiù goduto a sue spese. La borghesia (proprietari, imprenditori, dirigenti,

professionisti)

11

, un assieme di 500.000 persone attive e 150 mila in età diriposo abituate, per quanto sfruttatrici, a lavorare con una solerzia e unadurata nel tempo superiori alla media, istintivamente sarebbe nella stragrandemaggioranza propensa a vedere gli "sfaticati" pubblici più solerti ed impegnati.Forse però ragioni di opportunità politica dettate dal “dividi et impera” laspingerebbe, in grandissimo numero, a non appoggiare la riforma. La piccolaborghesia indipendente (coldiretti, fittavoli e coloni, artigiani, commercianti,imprenditori indipendenti o semi-indipendenti del trasporto e dei servizi), un.complesso di 5.700.000 persone attive e 2.900,000 a riposo, nella grandemaggioranza molto operose, con turni e tempi di lavoro probabilmentesuperiori a qualsiasi altra classe, in condizioni economiche che sovente sono

eguali quando non inferiori a quelle della classe operaia, con la possibilitàlegale di mettersi in pensione in età avanzata, 60 o 65 anni, ricevendo nellageneralità la pensione minima, sarebbe forse a grande maggioranza la piùsolerte nel sostenere che giustizia sia fatta contro gli evasori del lavoro, letalpe odiate degli uffici e dei Ministeri. La piccola borghesia impiegatiziaprivata, un blocco di 1.800.000 persone attive, e 700.000 in pensione, che agrande maggioranza sosterrebbe la riforma probabilmente in virtù del solofatto che i "cugini" impiegati dello Stato e degli Enti Lo-cali godono di un. trattamento di favore a lei negato.

Si opporrebbero alla riforma nella loro stragrande maggioranza e con tutti imezzi possibili i diretti interessati, gli impiegati pubblici, un blocco di classeeterogeneo composto da 2.900.000 persone attive e da 1.000.000 a riposo.Probabilmente si opporrebbe alla ri=forma anche quella parte di impiegati pubblici che, pur volendo andare inpensione dopo il 51° anno di età, la avverserebbe per solidarietà di "corpo", alfine di difendere un privilegio, non utilizzato, ma a cui si può ricorrere inqualsiasi momento per trovare una soluzione di comodo ai problemi personali.Se cosi è avremo schierati a favore della riforma non meno del 70% dellaclasse operaia e altrettanti della piccola borghesia indipendente, un 60% della

11 A queste conclusioni giungerei anche se fosse dimostrato che i miliardi estorti illegittimamente dai pensionati

d’invalidità invece di essere stati -nel ’75-non 200 ma 400 o 600. Questo perché parto dal presupposto che in ultimaanalisi i responsabili della elargizione di pensioni illegittime devono essere ricercati tra le “autorità” politiche emediche che sono preposte a decidere in positivo o in negativo delle pratiche di invalidità e che la corruzione cheporta le autorità ad elargire pensioni illegittime si appoggia sui privilegi economici da queste goduti.

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piccola borghesia impiegatizia, altrettanti della borghesia e infine un 10% delblocco eterogeneo degli impiegati pubblici.

Per concludere: 1) la stragrande maggioranza della popolazione (seppure idati sono riferiti alla popolazione attiva ed ex attiva) sarebbe favorevole allariforma (18.500.000 favorevoli, 11.000.000 sfavorevoli) ; 2) poiché la lotta pertale riforma troverebbe sostenitori ed oppositori in tutte le classi sociali essaassumerebbe i caratteri che contraddistinguono la lotta di gente.

Vediamo ora i probabili caratteri che assumerebbe la lotta per introdurre laseconda riforma: il tetto pensionistico. Essa troverebbe favorevoli tutti quelliche per normativa o condizioni di fatto non possono percepire, o sperare dipercepire, la riscossione di unapensione di 2,5 volte superiore alla paga operaia media in vigore nell'industria.In primo luogo la classe operaia, privata e pubblica, e la piccola borghesiaindipendente nella stragrande maggioranza, poi ancora a grande maggioranzala piccola borghesia impiegatizia, privata e pubblica. Per quanto riguarda laborghesia non tutta si trova a poterusufruire di un trattamento pensionistico. Non ne usufruiscono i grandissimi

imprenditori e i rentiers. Ne usufruiscono, su basi di contribuzione obbligatoria,i professionisti ma con livelli medi che si aggirano al di sotto delle 2,5 volte lapaga operaia media dell'industria: una frazione di borghesia composta daalmeno 300.000 persone attive e 23.000 in pensione 12.

Contraria alla riforma sarebbe solo la generalità della borghesia dipendente:dirigenti privati e pubblici, politici di professione, ecc. Una porzione diborghesia composta da almeno 200.000 persone attive e 40.000 in pensione.

Se è così avremo schierati a favore della riforma almeno il 70% della classeoperaia e della piccola borghesia indipendente, il 60% della piccola borghesiaprivata e pubblica, il 50% della borghesia proprietaria, imprenditoriale eprofessionista, il 10% di quella

impiegatizia privata e pubblica. Per concludere:questa lotta godrebbedell’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione e assumerebbeancora l'aspetto di lotta di gente perché troverebbe sostegno in almeno il 35%della borghesia.

Dal momento che come ho ipotizzato le due rivendicazioni devono esserecondotte congiuntamente, avremo la possibilità teorica che la parte di classesfavorevole alla prima rivendicazione faccia blocco con la parte sfavorevole allaseconda e unite si presentino contro la riforma; o viceversa che, per un gioco dicompensazione, le due parti si disaggreghino e si uniscano al blocco di classefavorevole alle riforme. Ma poiché le esperienze delle passate lotte economicheinsegnano che quando sono in gioco interessi "strutturali" -i soldi- la logicache quasi sempre si afferma è quella che unisce i vari interessi colpiti, c'è dapresumere che anche in questa lotta avverrà la congiunzione di tutti coloroche, a diverso titolo, verranno toccati nelle tasche. In questo caso troveremoschierati a favore della riforma, con la sola eccezione della borghesiadipendente, un aggregato di classi sostanzialmente identico a quello che sipresentava favorevole alla prima riforma.

Vero è che queste affermazioni possono incorrere nella censura. Ci sarà chipotrà sostenere che la borghesia dirigente, privata e pubblica, politica egiornalistica, è legata con "mille fili" all'altra borghesia con cui si sentirebbesolidale non appena la prima si mettesse a reclamare sul taglio che l’attuazione

della riforma apporterebbe ai benefici

12 Per borghesia attiva intendo quella descritta da Silos Labini nel suo “Saggio sulle classi sociali”.

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ottenuti con "duri sacrifici" e tante "sante e sacrosante lotte”, facilitata inquesto compito dalla presenza, tra la borghesia favorevole alla riforma, dei100.000 rentiers, permeabilia tutte le sollecitazioni che abbiano sapore di furto di classe. Di fronte a taliobiezioni mi sento disarmato e devo francamente ammettere che esistono altese non altissime, possibilità che ciò avvenga, anche se confido che moltodipenda da come le forze politiche interessate alle riforme saranno capaci di

muoversi nel condurre questa campagna. Nonostante questo doveroso dubbio,posso affermare che raramente una grande riforma economica ha potutopretendere di presentarsi, come questa, con buone probabilità di configurarsicome lotta di gente e al limite come lotta di popolo, con accentuate venature dilotta di gente, senza mai rischiare di presentarsi come lotta di classe.

Passiamo ora a vedere se la riforma fin qui ipotizzata è in grado di metterein movimento altre richieste, oltre a quelle menzionate. Non sfuggirà anessuno, ad esempio, come l’introduzione del tetto massimo della pensione siaun'arma che finirà non soltantoper incidere sulle punte più alte, ma su tutta la gerarchia pensionistica. In altri

termini, decapitate le altissime pensioni, c’è da presumere che i percettori diqueste (il fiore dell'attuale classe generale) non accetteranno di trovarsicollocati a fianco degli ex subordinati e allora inizierà la lotta delle gomitate perdefenestrare da queste posizioni molti che le occupavano i quali, a loro volta,trovandosi nelle condizioni dei primi, si comporteranno allo stesso modo,innescando una reazione a catena. Ancora,questa lotta potrà far nascere unsenso di panico verso il “mistero”; la paura che il subordinato possausufruire di un reddito occulto, la seconda o la terza pensione e per questa viaaver la possibilità di avvicinarsi nuovamente ad una posizione che non glicompete. Questo pericolo, inesistente o quasi in una situazione nella quale ilventaglio delle pensioni si presenta amplissimo, diventa reale e tangibile

qualora questo si restringa e allora probabilmente vedremo invocata ereclamata una misura che fino a questo momento è sempre stata sabotatadalle classi potenti: l'introduzione funzionante del "casellario centrale deipensionati", in grado di dire chi, quanti sono, quanto percepiscono, se sonotitolari di una, di due o di tre pensioni personali o se ne dispongono unitamenteal coniuge, od altro. Per altro verso, potremo vedere gli impiegati En. Localiribellarsi agli impiegati statali ritti a file serrate vociare che non è giusto chequesti possono andare in pensione al compimento del 20° anno di servizio,mentre loro, per maturare lo stesso diritto, devono faticare 5 anni in più e che,visto che il limite per la riscossione della pensione deve diventare il 51° anno,sarebbe bene introdurre per tutti gli occupati nel settore del pubblico impiego ilminimo dei 25 anni di servizio, prima di maturare il diritto a dimissioni conbeneficio di "effetti pensionistici". E ancora, potremo vedere maestre eprofessoresse non sposate, con o senza amanti, armate di "sacro furore"recarsi a manipoli poco folti madecisi sotto gli uffici della CISL a vociare che, visto che il principio dieguaglianza fra i sessi deve essere introdotto, conviene incominciare adabbattere ciò che ancora divide le donne e quindi a far cadere i 5 anni di“pensione figurata” spettanti alle colleghe sposate o con figli. E se dai problemiche interessano i pubblici dipendenti si passa a considerazioni di carattere piùgenerale, è facile prevedere che la definizione del tetto massimo delle pensioni

solleciterà l’interesse verso i minimi. Cioè nascerà naturale la richiesta divedere se i minimi corrisposti dall'INPS, pari al 24,5% della retribuzione mediadell'operaio dell'industria, siano o no adeguati al minimo vitale necessario a

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soddisfare le più elementari esigenze di vita degli anziani. Qualora ladiscussione si aprisse su questo punto, "particolarmente delicato", la generalitàdei percettori dei minimi direbbe che sonoinsufficienti e salirebbe dal basso la richiesta di spingere verso l'alto l'entitàpercentuale sopra indicata. Così come non è impossibile ritenere che,reclamata la definizione chefissi in modo più equo quella che deve essere ritenuta l'età minima di

pensionamento, non si scatenino una serie di altre sollecitazioni che a questasono connesse. Ad esempio quella principalissima per gli impiegati pubblici dimantenere in vita l'istituto che prevede la possibilità di dimettersi alcompimento del 25° anno di servizio se maturato prima del 51° anno di età. Enel caso questa sollecitazione passasse, si porrebbero molti problemi.Quello,ad esempio, di stabilire sé l'ex dipendente a riposo, nell’impossibilità diricevere una pensione, possa impiegarsi con diritto di maturarne una seconda-distinta e diversa dalla prima- o, possa solo maturarne una almeno fino alcompimento del 51° anno di età. Problema che se sollevato rimanderebbe adun quesito più generale: se cioè l'istituto stesso della seconda pensione debba

essere mantenuto in vita. E ancora, il problema della età minima dipensionamento rimanderebbe all'età massima, all'esistenza di un ventaglio cheandrebbe dal 51° al 65° anno di età e alla domanda se esso non sia troppoampio (non si dimentichi infatti che al compimento del 51° anno di etàpotrebbero andare in pensione solo gli impiegati pubblici, e i lavoratoridell'INPS Reg. Gen., ma non adesempio i lavoratori dell'INPS Gestioni Speciali -lavoratori autonomi- checontinuerebbero ad andare in pensione all'età minima di 60-65 anni) 13.

Al di là di quest'ordine di problemi, legati soprattutto alla base sociale, neesistono altri che interesserebbero ai livelli più alti le organizzazioni politiche esindacali: la necessità di approntare i mezzi tecnici per determinare l'entità del

reddito della piccola borghesia indipendente e semidipendente, onde renderepiù consistente l'azione di riscossione di fondi da capitalizzare nelle cassedestinate alla erogazione delle pensioni, o l'opportunità di concentrare in ununico grande Ente nazionale articolato per regioni la molteplicitàdi Istituti, Casse, cassette attualmente esistenti, o di togliere allo Stato lafacoltà di avvalersi in via ordinaria del sistema a ripartizione, eccetera,eccetera. C'è certamente anche dell'ironia quando scrivo queste cose. Ciò nontoglie che esse corrispondano a proposte o richieste che realmente sipresenteranno, con e al di fuori di quelle forze già disposte a sostenere e a farsostenere al popolo il requisito minimo dei 51 anni e il tetto fissato ad un limiteragionevolmente stabilito.

Sono sicuro che davanti alla prospettiva della prevedibile tempesta chesolleverebbe il sostenere queste proposte, molti rimarrebbero terrorizzati. Simetterebbero a balbettare che il problema delle pensioni non è maturo, pienodi incognite, con soluzioni tecniche difficili da calcolare e determinare. E più ingenerale obietterebbero che bisogna, quando si prospetta di intraprendere una"grande riforma", aver individuato e determinato la fisionomia complessiva diquesta.

Non nego che tale ordine di considerazioni sia fondato, ma a me pare chela questione di cui sto trattando rivesta un carattere squisitamente politico.Quello che si sa è che oggi esistono misfatti gravissimi che si possono cogliere

nella loro evidente irrefutabilità. A

13  La cifra di 23.000 pensionati si riferisce ai soli appartenenti alla borghesia professionista.

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questi fatti gravissimi si può porre rimedio, purché esista una qualche forzacapace e desiderosa di dare voce e organizzazione alle latenti forze sociali chereclamano maggiore giustizia, ma sono incapaci di darsela in quanto intimoritee schiacciate dal prestigio e dalla forza mastodontica emanata dalla burocrazia,da quella cattolica a quellalaica politica e sindacale. Per di più si sa che questi fatti, chiarissimi egravissimi, qualora toccati darebbero adito presso la base sociale ad una

volontà di lotta, potenzialmente democratica, di eccezionale ampiezza eprofondità e che, per altro verso, gli apparati burocratici farebbero blocco etenterebbero di stroncare sul nascere qualsiasi incisivo disegno innovatore. Alpiù le forze di sinistra si spingerebbero con qualche cauta proposta adamputare rami secchi. Di fronte a questa situazione pare che la condizionemigliore per affrontarla non sia quella di sollevare il “gran polverone”, ma diformulare poche, pochissime proposte che siano comprese da tutte le forzeinteressate e che subito (fin dal momento della prima formulazione) sianocapaci da un lato di mobilitare la gente e dall'altro di gettare gambe all'aria gliapparati burocratici, togliendogli letteralmente dalle

mani la possibilità di mettere in atto qualsiasi proposito insabbiatore. Raggiuntitali obiettivi la migliore posizione è proprio quella di trovarsi senza un"pacchetto globale" da presentare tanto alle forze di base spontanee e paraspontanee, quanto alle forze politiche e sindacali tradizionali. Questo perevidenti motivi. Il primo è quello di non trovarsi in una posizione precostituitarispetto alla base, scavalcandone aprioristicamente le indicazioni e le soluzioniche nel corso della lotta essa tenderà a dare dei vari problemi e che a voltepotranno anche essere diverse a seconda se formulate da spezzoni diversi diclasse. Il secondo è che si potrà meglio prestare attenzione alle proposteemergenti da qualsiasi parte e valutare quelle che più sono in sintonia con lasoluzione del problema. Peraltro questi fattori contribuiranno a far sì che la

forza politica propulsiva della lotta sulle pensioni potrà meglio elaborare unasua proposta complessiva sull’argomento.

Se il Pr quindi decidesse di far propria questa lotta non avrebbe bisogno diaspettare la soluzione ideale di questo problema 14, in primo luogo perchésoluzioni di tale natura non esistono nella storia per nessun ordine di problemi;semmai esistono soluzioni parziali che rimandano ad altre soluzioni della stessanatura. Inoltre i problemi parziali toccati sono talmente rilevanti da costituireglobalmente un test per il partito. In altre parole voglio dire che, al punto cuisiamo giunti, i conti non si possono più fare con il Psi. Questo perevidenti ragioni: tale partito flette perché ciò che di vitale può essere detto dalPsi viene detto dal Pr.

Ora, se così è, ci troviamo di fronte al ricambio di una élite, erede delmassimalismo socialista, con un’altra élite, erede del socialismo liberale diSalvemini, Gobetti, Rosselli e che pone a quest'ultima dei gravi problemi:innanzi tutto il dovere di fare i conti con lapropria tradizione per affermare se vuole rappresentare l'anima bicorne diquesta, cioè quella laico-liberale e socialista, o se vuole amputare quella

14  E’ evidente che non avrei niente da obiettare se i pensionati pubblici e privati andassero in pensione all’età minima

di 55 anni. Né tanto meno sarei contrario che i dipendenti pubblici maturino la possibilità di mettersi in pensione dopoaver fornito 30 anni di effettiva prestazione lavorativa o che i pensionati “lavoratori autonomi” maturino il diritto allapensione al compimento del 62° anno di età. Per quanto queste soluzioni siano ritenute ottimali la lotta per fissare illimite minimo del 51° anno di età non pregiudica ma favorisce il raggiungimento di tali soluzioni.

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socialista. Nel qual caso è meglio dirlo chiaramente: il Pr correrebbe il rischio(certo; solo il rischio) di comportarsicome si è comportato il vecchio Pr -quello tanto per intenderci della fine'800-, di cui il giovane Salvemini diceva e scriveva cose non del tuttolodevoli.

Se invece vuole a pieno titolo portare vanto della propria tradizione, sidovrà cingere, come un vecchio sachem indiano, il capo della corona bicorne. E

sta per avvicinarsi, forse, il momento oltre il quale questa scelta non può piùessere elusa. La impongono, come ho più volte detto, gli enormi squilibrieconomico-sociali presenti nel nostro paese, la richiede la gente che da sempreimpotente attende e reclama una migliore giustizia da una classe dirigente"ancora e sempre" clericale e stalinista, la invoca la logica del confronto-scontro con il Pci rimasto solo a contendere al Pr l'egemonia sull'area disinistra. Ebbene, se tanto grande è la posta in gioco, affermo che il prossimocongresso si presenta fra tutti il più decisivo, per le sorti del partito. Da questoCongresso potrà forse consolidarsi un partito attestato onorevolmente adifendere la migliore tradizione laico-liberale, volenteroso nel volersi misurare,

confrontare, scontrare con il Pci, ma riottoso a prendere in mano la questionesociale, a far suo il tema socialista, magari ripetendo che questo problema sideve toccare, e si può solo toccare, a tavolino con le altre forze della sinistra, inunprogramma comune, al momento della raggiunta unità, in vista dell'alternativadi sinistra. Niente di più artificioso di questo disegno perché la questioneeconomica -come i diritti civili- non si presenta come soluzione generale diproblemi generali, ma come soluzione parziale di problemi particolari; obiettiviche articolandosi e aggregandosi verranno a comporre -come per i diritti civili-una carta che, a sua volta, potrà e dovrà trovare integrazione nel comuneprogramma della sinistra. Poi, prospettare il problema economico-sociale come

programma da raggiungersi a tavolino fra le forze di sinistra, vuol anche direesporre il Pr al rischio di dipendenza dal Pci, il che gli toglierebbe la funzione diguida nella determinazione dei contenuti, delle modalità e del momento in cuitale svolta deve avvenire.

Ed è per questi motivi che vi prego di considerare attentamente se alCongresso di Napoli non convenga subito -cogliendo l'occasione per dareattuazione al punto 4 della mozione finale del 16° Congresso- incominciare adoperare per affiancare ai diritti civili la questione sociale.

Ho già fatto vedere come esista anche in questo campo la possibilità ditrovare -come per i diritti civili- situazioni che si configurano come lotta digente: questo potrebbe enormemente facilitare il Pr nell'incamminarsi su talestrada in quanto, pur trovandosi alle prese con problemi in parte diversi daquelli tradizionali, li affronterebbe con un metodo congeniale e sperimentato.Ancora ho fatto notare come esistano problemi sociali che dispongono delconsenso potenziale della stragrande maggioranza della gente e sono di facilesoluzione. Ebbene questi problemi porterebbero ad una subitaneamobilitazione di massa appena si ricorresse all'incentivo di distribuire piùequamente fra i più bisognosi ciò che viene tolto a chi dispone illecitamente ditroppo. Questo fatto peraltro contribuirebbe a far progredire, anche solo di unmillimetro, il problema dei minimi verso una soluzione più consona ai bisogni divita degli anziani.

Osare su questi problemi vuol anche dire soccorrere il Psi, aiutarlo aritrovare il volto migliore della sua tradizione umanitaria e riformista -in tale

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senso mi pare vada collocato l'intervento di Guiducci all'ultimo Congresso-,vuol anche dire dare più consistenza allelotte per i diritti civili, sperare di aggregare più voti alle prossime politicheattorno alle liste radicali e socialiste, al fine di realizzare e guidare l'unità laicasocialista libertaria nel disegno d'alternativa al potere clericale e Dc.