Aikido Nihon 2ed

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Giuseppe Bissanti Stampato in proprio - Seconda Edizione, novembre 2009. & & L’essenza dell’Aikidō è di mettersi in armonia col funzionamento dell’Universo, divenire uno con l’Universo. Quelli che hanno afferrato il significato dell’Aikidō possiedono l’Universo in se stessi. Ueshiba Morihei, Aiki Kaiso.

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Giuseppe Bissanti

Stampato in proprio - Seconda Edizione, novembre 2009.

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L’essenza dell’Aikidō è di mettersi in armonia col funzionamento dell’Universo, divenire uno con l’Universo.

Quelli che hanno afferrato il significato dell’Aikidō possiedono l’Universo in se stessi.

Ueshiba Morihei, Aiki Kaiso.

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Giuse Aikidō & Nihon

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Prima Parte.

AAiikkiiddōō.. Notizie utili sulla pratica:

Glossario, Nomenclatura, Concetti. Terminologia, Etichetta, Esami.

Seconda Parte.

PPiiccccoolloo DDiizziioonnaarriioo EEnncciiccllooppeeddiiccoo.. Oltre 2.860 voci su:

Armi, Arti e Discipline Marziali. Personaggi mitici, famosi, curiosi.

Cenni sulla Civiltà Nipponica: arte, storia, cultura… e non solo!.

Terza parte.

PPeerr aapppprrooffoonnddiirree uunn ppooccoo ddii ppiiùù.. Quasi 200 notazioni curiose, istruttive e… un po’ didascaliche.

Chiara come il cristallo, affilata e luminosa, la mia mente non offre aperture perché il male possa attaccarsi.①

La presente opera può essere riprodotta e diffusa tra i praticanti d’Aikidō e Discipli-ne Marziali in genere, sia integralmente sia parzialmente, senza preventiva autorizza-zione, con qualsiasi mezzo ed in ogni forma,

purché in modo gratuito e citando fonte ed autore.

Sarò grato a chiunque, riscontrando errori od imprecisioni, omissioni ed anche strafal-cioni, vorrà segnalarmeli attraverso il

Centro Sportivo “La Comune” - Via Novara 97 – 20153 Milano; [email protected]. Giuseppe Bissanti

① Quando non altrimenti indicato, le parole riportate in carattere corsivo a centro pagina, qui e nei fogli seguenti, sono del Fondatore, l’Aiki Kaiso Ueshiba Morihei.

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INDICE

PRIMA PARTE – Notizie utili sull’Aikidō

INDICE 3 PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE 5 L’AIKIDŌ 6 PRIMA DI COMINCIARE 7

Cuore, Amore, Aikidō 8 Nota Bene 8 Pronuncia, eufonia, grafia 9

GLOSSARIO ED INFORMAZIONI 10 Nota 10

Nel Dojo 10 Etichetta e comportamento: il Dojo 10

Equipaggiamento 11 Etichetta e comportamento: l’abbigliamento 11 Etichetta e comportamento: lo spogliatoio, la pulizia personale 12 Etichetta e comportamento: sedersi, alzarsi 12 Etichetta e comportamento: il saluto (senz’armi) 12 Etichetta e comportamento: la lezione 13 Gli esercizi di preparazione (1) 14

Esercizi di preparazione 15 Gli esercizi di preparazione (2) 16

Parti del corpo Posizioni Aggettivi Numeri 17 Colori Concetti primari 18

Unione 19 Altri termini tecnici 19

La pratica, la tecnica 20 I Maestri e gli Aiutanti. I principi del Bujutsu 21 Concetti interiori dell’Aikidō 22 Aikidō: principi e modi d’essere 22

TERMINOLOGIA 23 Elenco delle principali NEUTRALIZZAZIONI 24 Elenco delle principali APPLICAZIONI delle neutralizzazioni 25 Elenco delle principali AZIONI AGGRESSIVE 25

Le cadute, le tecniche 27 Essere Aikidō: la pratica serena e i tre mondi 28

IL METODO D’ALLENAMENTO 30 I quattro metodi di allenamento 31 Considerazioni sul KI 32 Il controllo del ki secondo il Fondatore. 34 Addestramento all’Arte Marziale 35 Il cammino, il viaggio, il Maestro 35 Trova il tempo 36

ESAMI 37 I requisiti per gli esami 37

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Etichetta e comportamento: durante gli esami 42 Cerca il Costruttore 42 A proposito di esami 43

SECONDA PARTE – Piccolo Dizionario Enciclopedico sull’Aikidō e sul Giappone

PICCOLO DIZIONARIOI ENCICLOPEDICO 45 Cronologia: periodi storici del Giappone, fatti importanti 45 Antiche arti da guerra 52 Tabelle comparative per misure e monete (dal XII all'XVI secolo) 54 Note per la consultazione 55

LEMMI, dalla A alla Z 56 Aikidō, filosofia della vita 261

TERZA PARTE – Per approfondire un poco di più

PER APPROFONDIRE UN POCO DI PIÙ 262 Elenco dei LEMMI 262 LEMMI, dalla A alla Z 263

La Vita L’Artista L’Aikidō 322 Io sono l’universo Io non sono niente 323 BIBLIOGRAFIA 324 ALLA FINE 329

Nota autobiografica. 330

Non interessarti di ciò che gli altri fanno di giusto o sbagliato. Tieni la mente luminosa e pulita come il cielo senza fine,

l’oceano profondo e le montagne più alte. Non calcolare o agire innaturalmente.

Mantieni la mente nell’Aikidō e non criticare altri Maestri o le Tradizioni.

L’Aikidō non reprime, non restringe, non ostacola. L’Aikidō abbraccia tutto e purifica ogni cosa.

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PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

Ho concepito questo lavoro alla fine del 2001, come un semplice sussidiario per la Di-sciplina: un altro dono per agli allievi del “Corso Aikidō Biss” al Centro Sportivo “La Comune” di Milano.

L’intenzione era di proporre qualche con-cetto di base, nomi di tecniche, un po’ di con-sigli, alcune informazioni utili; un piccolo glossario. In corso d’opera però, il lungo ed impegnativo, ancorché discontinuo, lavoro di ricerca bibliografica mi ha portato a consul-tare - oltre agli appunti personali, accumulati in tanti anni di pratica – un sempre maggior numero di testi, spazianti in campi non solo specificatamente “aikidoistici”, la cui lettura ha vieppiù stimolato curiosità ed interessi vari, spero condivisi dai lettori.

Ho quindi sviluppato l’idea d’offrire non solo una più ampia panoramica su di un Paese grande e diverso, distante da noi nello spazio e, talvolta – tuttora – nel tempo, sulla sua millenaria storia, la sua cultura, la sua mito-logia, ma anche su concetti e termini attinen-ti o correlati all’opera nel suo complesso. Idea forse ingenua, magari pretenziosa; cer-to un po’ vanitosa: pensare di lasciare, come accade a tutti gli autori una traccia di sé… Senza dubbio alcuno, un’idea assai temeraria!

Il frutto di questo lungo lavoro artigiana-le, continuamente aggiornato, non può certo essere esaustivo degli argomenti esposti, tal-volta appena accennati o sfiorati.

Il testo, quindi, è soltanto un elementare sommario di termini, concetti e nomi di posi-zioni e tecniche che riguardano l’Aikidō.

In più, è uno “zibaldone” di notizie anche su altre Discipline ed Arti Marziali e su og-getti, idee, curiosità, storia, cultura ed armi del Giappone, soprattutto feudale, con cenni alla vita del Fondatore (ed un florilegio di sue citazioni) e la menzione di alcuni altri perso-naggi, storici e mitologici, favolosi o reali.

È, se si vuole, una “dispensa ad uso inter-no”, destinata a tutti quelli che stanno se-guendo il lungo cammino di questa seducente Disciplina, per aiutarli a districarsi anche nel mondo della fascinosa cultura giapponese e della sua (per noi) complicata lingua.

Quest’opera non è, non vuole, non può es-sere esaustiva, assolutamente! L’intento è quello di stimolare il lettore ad approfondire.

Chi, così invogliato, vorrà davvero appro-fondire i temi trattati, potrà leggere sia i testi utilizzati durante la stesura sia altri li-bri di argomento correlato (nella Bibliografia sono riportate oltre 14 dozzine di titoli) o navigare nel mare magnum d’internet, dove tutto si può pescare, magari anche qualche Enciclopedia dell’Aikidō, cosa che questo mio lavoro NON È!

Numerosi ed eccellenti libri sono stati scritti su questa Disciplina, testi che sareb-be ben utile consultare: dalle biografie del Fondatore e dei Maestri suoi allievi ai lavori sulla loro filosofia fino alle pubblicazioni più prettamente tecniche.

Ricordo, però, che neppure la lettura di tutto ciò che è stato pubblicato sarà mai in grado rendere la sensazione di equilibrio, di serenità, di bellezza e sì, anche d’amore, che solo una pratica costante saprà sviluppare.

Attenzione: solo la frequentazione (assi-dua, paziente…) di un corso, tenuto da un I-struttore qualificato o, ancor meglio, se pos-sibile, da un Maestro riconosciuto, potrà a-prire la mente ed il cuore all’Aikidō!

Tutti possono praticare l’Aikidō ed i cor-si delle varie Scuole, in numerose palestre, di solito sono aperti a chiunque, indipendente-mente da età, sesso, esperienze precedenti. Inoltre, fatto non trascurabile, non è previ-sto di portare colpi a segno e pertanto que-sta è un’Arte, una Disciplina, sì Marziale, ma davvero poco pericolosa.

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Milano, novembre 2009. (Prima edizione: giugno 2002)

Giuseppe Bis-santi

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L’AIKIDŌ

Scopo dell’Aikidō è di allenare la mente e il corpo, di formare persone oneste e sincere.

L’Aikidō è la più recente Arte del Budo del Giappone, sviluppata nel corso del secolo XX – il primo Dojo, dove l’Aikidō è tuttora inse-gnato, apre nel 1927 – da Ueshiba Morihei (Tanabe, 14/12/1883 – Iwama, 26/4/1969). Que-sta Disciplina è “informata” da tutte quelle Arti Marziali giapponesi tradizionali che il Fondatore (Aiki Kaiso) dell’Aikidō, sempre chiamato O-Sensei, Grande Maestro, studiò a lungo, traendone poi spunto per un’Arte davvero unica. Non solo: Ueshiba Morihei na-sce in un Distretto, Kumano, conosciuto come “la porta verso il divino”, ricco di santuari e importante centro della religiosità Shinto; egli quindi vive immerso in un’atmosfera eso-terica e misteriosa, mistica e divina (al 1925 risale la sua Illuminazione, satori), e nella sua creatura infonde una spiritualità senza pari.

Il nome deriva dall’unione di tre caratteri, ai, ki e dō, che, come molti i caratteri della lingua giapponese, possono sia avere numerosi significati, sia comparire da soli o in parole composte.

AI è armonia e unione. È la forza vita-le che governa l’universo. La medesima pronuncia di altro ideogramma significare amore.

KI è l’energia interna del corpo ed an-che il “fiato originale” o la forza dello spirito. È il soffio vitale, la respirazione. È la vita.

DŌ è la Via. È il metodo che indica la strada da percorrere per armonizzare corpo e spirito. Una buona traduzione del termine “Aikidō” è LA VIA DELL’ENERGIA E DELL’ARMONIA. Pure LA VIA DELL’ARMONIA SPIRITUALE rende bene il concetto, anche se io preferi-sco LA VIA DELL’AMORE UNIVERSALE.

O-Sensei sosteneva che «(…) l’Aikidō è un’Arte in cui i principi dell’universo sono ri-velati da Dio. “Do” è la Via attraverso la quale Dio esprime la Sua volontà: ogni do deve es-sere uno con la volontà divina. Distaccando-

sene, non è più una Via…». «L’Aikidō non è una tecnica per attaccare e sconfiggere un nemi-co: il suo segreto sta nell’armonizzarsi con l’universo, nel “farsi uno”, cioè nel diventare parte dell’universo stesso, raggiungere l’unità con l’universo. (…) Non è importante la veloci-tà con cui io posso essere aggredito, in quan-to non posso essere mai sconfitto. (…) Chi tenta di opporsi a me si oppone all’universo, ne infrange l’armonia; perciò, quando un av-versario mi assale, in quello stesso istante è già sconfitto. (…) L’Aikidō si fonda sul princi-pio della non-resistenza: poiché non c’è resi-stenza, ho vinto prima di combattere. (…) Il vero Budo non conosce sconfitta: mai scon-fitto significa mai in combattimento». «Fate che il cuore di Dio sia il vostro cuore: è un grande amore sempre presente in ogni parte ed in ogni tempo dell’universo. Nulla esiste senza amore: l’amore è il principio protettore di tutte le cose. L’Aikidō è la realizzazione dell’amore.».

Per alcuni l’Aikidō è “un’arte di difesa pu-ramente riflessiva, attivata eticamente da un attacco violento non provocato”, come recita una famosa definizione. Taluni affermano che l’Aikidō è una “non-arte marziale”. Secondo molti l’Aikidō è filosofia della vita, meditazione in movimento, via d’autocono-scenza profonda, immediatezza intuitiva, at-tività sportiva non competitiva. Altri, ancora, vedono l’Aikidō come l’equilibrio tra il pieno e il vuoto.

Io voglio anche credere nell’Aikidō inteso come via ascetica che indica il cammino verso la perfezione dell’umanità, per mezzo del ki-iku, tuku-iku, tai-iku: formazione e svi-luppo (iku) dell’essenza (ki), della saggezza e virtù (tuku) e del corpo (tai). È attraverso questo metodo educativo, che unisce corpo e spirito, che si superano le nozioni di frontie-ra, i pregiudizi razziali, le miserie dell’egoi-smo e si formano dei veri esseri umani.

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PRIMA DI COMINCIARE

L’Aikidō – visto da fuori e ad uno sguardo

superficiale – può apparire come un metodo di difesa personale elegante ed efficace, a-datto per neutralizzare uno o più aggressori, armati o no, mediante proiezioni, leve artico-lari e bloccaggi a terra.

Pur traendo origine da numerose Arti Marziali tradizionali, delle quali Ueshiba Mo-rihei è stato attento studioso e praticante, l’Aikidō si dimostra comunque originale ed efficace in tutta una serie di principi basati sulla rotazione sferica, cioè movimenti circo-lari il cui perno è chi si difende (effettua la tecnica) [tori]. Tori, stabilizzato il proprio baricentro, squilibra chi l’aggredisce o affer-

ra [uke, o meglio aite, colui “che rompe l’ar-monia”], sottraendosi alla linea d’attacco.

Con movimenti centripeti attira quindi aite nel proprio centro, sfruttando l’energia svi-luppata nell’aggressione a proprio vantaggio, senza arrestarla, fino a neutralizzarla e met-te aite nelle condizioni di non nuocere.

L’Aikidō non è un’arte di combattimento a corpo a corpo, fondato sull’uso della forza muscolare: il lavoro tecnico si compie utiliz-zando pienamente l’energia mentale e razio-nalmente la forza fisica.

Ciò significa che chiunque può praticare questa Disciplina, naturalmente dopo averla ben capita.

Nella pratica del Dojo, non si hanno combattimenti, competizioni o gare, come di solito accade in altre Arti Marziali.

Le tecniche sono provate più e più volte, con un continuo scambio di ruoli fra aite e tori, a prescindere dalla loro rispettiva anzianità.

L’allenamento dell’Aikidō si propone di e-ducare al mutuo rispetto e si prefigge un progresso fisico, spirituale, psichico e mora-le: non esiste un nemico da abbattere, un av-versario da sconfiggere.

Non ci sono vincitori e vinti, eroi o supe-ruomini, ma soltanto persone che, nell’infinito processo d’apprendimento, vogliono progredi-re insieme, fino a giungere alla totale coordi-nazione fra mente e corpo, senza che inter-venga il pensiero cosciente.

Ciò darà luogo, nella vita di tutti i giorni, al pieno e perfetto controllo di noi stessi, delle nostre azioni, dell’ambiente che ci circonda e, sul tatami alla perfetta esecuzione delle tec-niche, perché, come ben dice Angelique Ar-nauld: «La perfezione non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel fare delle cose

ordinarie straordinariamente bene» e, se-condo quanto scritto dalla mistica S. Giovan-na Maria Bonomo (1606-1670), «La santità consiste nel fare con perfezione le cose di tutti i giorni».

Non possiamo dimenticare, infine, quanto afferma Ueshiba Kisshomaru (27 giugno 1921 - 4 gennaio 1999), figlio ed erede spiri-tuale del Fondatore, primo Doshu (Guida) del movimento aikidoistico mondiale e padre dell’attuale, Ueshiba Moriteru: «Aikidō signi-fica andare incontro ad una forza ostile con il cuore di Dio, avvolgendola come in un ab-braccio ed attirandola a noi. (…) Non serve a farci diventare forti, ma deve aiutarci a ca-pire meglio gli altri (…) non è per correggere gli altri, ma per correggere noi stessi.».

Mostra il tuo cuore, non la tua spada.

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Cuore, Amore, Aikidō

La vita nasce in un mondo sferico, di forza e armonia. In un bimbo tutto è equilibrio e centra-lità nel sentire intuitivamente. Tutto è CUORE. Il tempo fa crescere, in noi, il nostro io: pensiamo di essere! Ci allontaniamo sempre più dall’armonia e dal sentire con il cuore. Diventiamo confusi e squilibrati. Oggi possiamo iniziare a ricercare, in noi, quel bambino, attraverso la VIA tracciata da O-Sensei. Egli ha saputo trasformare un’Arte Marziale, il cui fine era uccidere, nell’Aikidō, che è armonia con la natura e con l’universo. Che è AMORE. Un augurio a tutti: l’inizio della pratica dell’Aikidō sia anche il principio di una vita fatta di sentire ed intuire la profondità del cuore e dell’AIKIDŌ, per tornare bambini con la semplici-tà del fare.

Sandro, aikidoka ①

Nota Bene.

① Sandro Peduzzi (Milano, 16 aprile 1937) inizia la pratica dello Judo agonistico nel 1959, a 22 anni, con ottimi risultati. Nel 1963 si avvicina all’Aikidō e segue gli insegnamenti dei Maestri Suchiyama, Mochi-zuki, Nakazono, Kawamukai, pionieri di quest’Arte in Europa ed in Italia. Dal 1964 è allievo di Tada Hiroshi il quale, nel 1968, gli conferisce il 1° dan (Sho-Mokuroku, Cintura Ne-ra di Primo Grado): è la seconda Cintura Nera d’Aikidō in Italia, dopo il compianto M° Bosello. Insegna Aikidō dal 1986 e non ha alcuna intenzione di smettere!

1 – Nelle pagine che seguono si può trova-re il termine “avversario”, anche con riferi-mento alle tecniche d’Aikidō. In questa Disci-plina, però, indica solamente il ruolo aggres-sivo di chi “spezza l’armonia”, aite, ma nell’al-lenamento è una parte assunta, di volta in volta e reciprocamente, dai praticanti.

2 – Anche il termine “attacco” appare ri-petutamente. Nelle Arti Marziali tutte le di-verse forme che assume un’azione violenta e distruttiva sono “attacco”, mentre nell’Aiki-dō, più semplicemente, si tratta di una forma di contatto, senza alcun intento aggressivo.

3 – Non sempre mi è stato possibile pro-porre nel testo (principalmente per la mia scarsa competenza informatica!) la corretta grafia dei termini giapponesi – sia pure nella forma latinizzata – soprattutto alla presenza di caratteri tipografici peculiari.

4 - Per i misteri della lingua giapponese [meglio: della traslitterazione adottata dai diversi autori. Si veda anche la voce “Giappo-

nese”, nella Terza Parte dell’opera], potrebbe accadere di trovare grafie non identiche per i medesimi termini. Le sillabe che compongo-no quest’idioma, infatti, nella traslitterazione possono risultare separate, tutte unite, alcu-ne unite ed altre no, unite da trattini. Ad esempio la “Cerimonia del Tè” si può tro-vare trascritta “Cha-no-yu” oppure “Chanoyu” ed anche “Cha no Yu”. Lo stesso vale, ad e-sempio, per “O Sensei” – “O-Sensei”; “Tan-to” – “Tanto”; “Shiho Nage” – “Shi-ho-nage” – “Shi Ho Nage” – “Shihonage”; “Kata Te Tori” – “Katate Tori” – “Kata-te-tori” e così via. Pure lo stesso Aikidō si può trovare anche nelle forme “Aiki-dō” – “Aiki Dō”. In quest’opera ho cercato di mantenere una medesima grafia per gli stessi termini.

5 – Nel testo, per quanto riguarda i nomi delle persone, ho seguito la “regola anagrafi-ca” giapponese: prima il cognome del sogget-to, poi il nome proprio [si veda anche la voce “Nomi”, nella Terza Parte].

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Pronuncia, eufonia, grafia.

Le parole giapponesi sono qui riportate nella loro forma latinizzata (“romanizzata”: RŌ-MA-JI). La traslitterazione (sistema He-pburn), vale a dire la trascrizione in caratteri

latini, si basa sul principio generale che le vo-cali siano pronunciate come in italiano, le con-sonanti come in inglese, con alcuni casi parti-colari, di seguito riportati.

a, i, e, o - come in italiano

u - sempre ü (come “tünnel”, pronuncia-to alla lombarda); quando segue la s, a fine o dentro una parola, si perde (tsuki = zki; desu = des).

ch - c dolce (cesto). f - sempre spirata (come wh dell’ingle-

se whu). g - sempre g dura (gara). h - h aspirata (come in casa, pronuncia-

to alla toscana). j - g dolce (gemma). k - c dura (come in casa). s - s dura (come in subito).

sh - sc dolce (come in sciare). ts, tz - z doppia e dura (come in tazza).

tsu - così com’è a inizio di una parola, come z di zucchero se al suo interno.

w - u aperta (come in uovo) e rapida. y - come la i di ieri (yamè = iamè). z - dura (arazzo) se iniziale o dopo n,

altrimenti dolce (rosa).

Non esistono né la lettera “l” né la “v”. Quando le vocali sono sormontate dal se-

gno “¯”, la durata si allunga, senza raddoppia-re (aa, oo); la “ē”, nondimeno, è trascritta “ei” e la “ī” “ii”.

Proprio la regola che vuole le consonanti pronunciate (e, per questa ragione, trascrit-te) all’inglese fa sì che, ad esempio, la sillaba giapponese “si” venga pronunciata sc (dolce, come sciare) e trascritta “sh”; troviamo quindi sushi – il tipico piatto della cucina nip-ponica – anche se, in effetti, dovrebbe esse-re scritto susi.

La lettera “m” non esiste fuori del com-posto sillabico, quindi non si può usare davan-ti alle labiali “b”, “m” e “p”; non si scrive quin-di Hombu, Jimmu, shimbun, tempura ma Hon-bu, Jinmu, shinbun, tenpura.

L’apostrofo che talvolta compare in una parola, serve a dividerla, nel caso vi sia la possibilità di equivocare nella divisione delle sillabe, cioè quando la “n”, ad esempio, può appartenere sia alla sillaba che precede sia a quella che segue; si scrive quindi Man’y Oshu e non Many Oshu, Jun’ichirō e non Junichirō.

Pur non esistendo, nella lingua giappone-se, maiuscolo e minuscolo, né genere né nu-mero, ho applicato le regole di scrittura oc-cidentali, adoperando la maiuscola per i nomi propri e considerando di genere femminile alcuni termini che tali “suonano”al nostro o-recchio (quale, ad esempio, katana: “la” kata-na).

La particella “no”, che spesso compare nei termini giapponesi, si riferisce al caso genitivo [«di», in italiano] ed esprime il pos-sesso o altri rapporti fra due nomi. La curiosità sta nel fatto che, contrariamen-te all’italiano, l’ordine dei nomi è invertito (“A di B” diventa “B no A”; ad esempio: Takeda Takumi-no-Kami Soemon significa Takeda Soemon Signore di Takumi). Inoltre, dato che con l’uso di altrettanti “no“ si possono connettere parecchi nomi, a catena (per e-sempio: Ama-no-Murakumo-no-tsurugi, “Spada che Taglia l’Erba”,), l’ordine va dal generale allo specifico. Per maggior chiarezza, ho utilizzato sempre un trattino ad unire la particella “no” alle al-tre parti delle parole giapponesi.

Nei termini composti, l’iniziale di suono puro [si veda la voce “Giapponese”, nella Ter-za Parte] della seconda parola componente è sostituita con l’omologo suono impuro. Ad e-sempio: te-katana diventa te-gatana, hiji shime diventa hiji jime [procedimento che, semplificando rozzamente, ho indicato come “suffisso” nel Piccolo Dizionario Enciclopedi-co].

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GLOSSARIO ED INFORMAZIONI

Nota.

Tutti i termini in lingua giapponese che ri-corrono in questa Prima Parte sono poi pre-

senti, per un maggior approfondimento, nel Piccolo Dizionario Enciclopedico.

o Nel Dojo.

AIKIDOKA - chi pratica Aikidō AITE, UKE - chi subisce la tecnica

DAN - livello, grado superiore DOHAI - con la stessa anzianità di pra-

tica DOJO - palestra, luogo dove si pratica

HAI-REI - saluto da seduti, leggero JOSEKI - lato d’onore della sede allievi KAMIZA - sede del Maestro, sul tatami

KOHAI - tra due, il meno anziano di pra-tica

KYO - gruppo, principio KYU - classe, grado inferiore

REI-GI - l’Etichetta RITSU-REI - saluto secondo le regole

SENSEI - Insegnante, Maestro SEMPAI - tra due, il più anziano di

pratica SHIMOSEKI - lato inferiore della sede al-

lievi SHIMOZA - sede degli allievi sul tatami

TACHI-REI - saluto in piedi TATAMI - stuoia, materassina

TORI, NAGE, UCHI, SHITE - chi esegue la tecnica

ZA-REI - saluto da seduti, profondo

Etichetta e comportamento: il Dojo.

Nel Dojo (“Il Luogo della Via”) si entra per incontrare se stessi. Dal punto di vista e per la mentalità occidentale riesce difficile con-siderarlo un vero e proprio “spazio sacro”, ma, in ogni caso, resta il luogo dove, in armo-nia e serenità, con passione e letizia, si cam-mina insieme verso la conoscenza. Solo se chi tiene la lezione (Maestro, I-

struttore o allenatore che sia) è già presente nel Dojo si sale sulla materassina (tatami). A lezione in corso, si può salire o scendere solo con il permesso dell’insegnante. Per salire, volte le spalle al tatami, ci si

sfilano i sandali, che rimangono ordinatamen-te con le punte verso l’esterno (o sono riposti in appositi scaffali, se disponibili). Si sale movendo per primo il piede sinistro, mentre si discende con il destro. Ogni volta che si sale o si scende dal ta-

tami – così come entrando ed uscendo dal Do-

jo – si esegue un “saluto secondo le regole” (ritsu-rei): un leggero inchino, in posizione eretta (tachi-rei), rivolti al kamiza, “il muro alto”, la cosiddetta “sede superiore” (d’ono-re) del Sensei. Dare le spalle al tatami, per salire, ha un

valore simbolico ed una funzione psicologica: significa gettare l’ultima occhiata al mondo esterno per abbandonarlo e per immergersi, poi, in una realtà diversa, con parametri, re-gole, tempi differenti. Nel Dojo dobbiamo abbandonare preoccu-

pazioni e tensioni, pensieri e desideri; so-prattutto dobbiamo “lasciare fuori” l’attac-camento alle nostre idee (che spesso sono solo preconcetti): sul tatami pratichiamo per imparare a vivere in perfetta armonia con noi stessi, con la natura e con l’universo, senza cercare profitti e ricompense, indifferenti a

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scopi e obiettivi (con spirito mushotoku, quindi). Quando possibile, il kamiza, è orientato a

nord (e, in ogni caso, dovrebbe collocarsi sul lato opposto all’entrata). Al centro del kami-za, in Occidente, trova sempre posto una fo-tografia di O Sensei, a simboleggiare la tra-smissione dell’insegnamento e, quasi sempre, l’insegna del Dojo. Gli allievi si dispongono sulla “sede inferio-

re” (shimoza), di fronte al Sensei, partendo

dalla sua destra con quelli di grado meno ele-vato. Eventuali ospiti, gli assistenti del Sen-sei e le cinture nere, si collocano sul “lato su-periore” (joseki) del tatami (a sinistra, visto dal kamiza), che è la parte più onorifica. Il lato opposto (“inferiore”) è chiamato shimo-seki. Durante cerimonie o manifestazioni il kamiza è il posto destinato alle autorità, alla bandiera, alla presidenza ecc.

o Equipaggiamento.

KEIKOGI - abito per l’al-lenamento

GI, UWA-GI

- giacca, casacca

ZUBON - pantaloni

OBI - cintura ZORI - sandali

HAKAMA - gonna-pantalone BO - bastone lungo

BOKKEN - spada (di legno)

JO - bastone medio KATANA - spada TAM-BO - bastone corto TAN-TO - coltello

Etichetta e comportamento: l’abbigliamento.

Per l’esercizio (keiko) nel Dojo, s’indossa l’aikidogi, costituito dal keikogi (abito d’alle-namento) e dal tipico pantalone dei samurai, l’hakama, quando prevista. Il keikogi – comune a numerose Discipline

giapponesi – è formato da giacca, gi e panta-loni, zubon, senza null’altro sotto (le donne portano una maglietta e possono aggiungere un laccio, ad evitare che il gi s’apra). La cintura (keiko obi), annodata in vita,

serve non solo a mantenere stretto il gi, ma anche a “centrare” la quadratura del corpo; è portata bassa sui fianchi cosicché il nodo corrisponda al tanden (la regione addominale, in prossimità dell’hara, il centro della vita). Il nodo della cintura rappresenta la deci-

sione di proseguire nel cammino della cono-scenza, materiale e poi spirituale, per giunge-re all’armonia con l’universo. Le due estremità della cintura volgono al basso, a significare la flessibilità dell’Aikidō. L’aikidogi deve essere bianco – come anche

la biancheria intima – e, se possibile, con tes-

suto a “grano di riso”, che è resistente ed agevola la traspirazione (quindi non si “appic-cica” all’epidermide). La tinta ha un significato simbolico: il co-

lore bianco indica la purezza, che comprende anche il “non attaccamento” alle cose terre-ne, l’assenza d’ego (muga). Inoltre, poiché in Oriente il bianco è il co-

lore del lutto, della morte, vestire di bianco indica che, durante la pratica, non si ha timo-re di morire e, soprattutto, si è disposti ad uccidere (ma, ovviamente, soltanto il nostro “io”, il nostro ego!). Dal momento, però, che ancora non si è defunti, il bavero sinistro de-ve coprire il destro, perché in Giappone solo i morti sono vestiti col bavero destro sul sini-stro, per distinguerli dai vivi. Oltre che bianco, l’aikidogi deve essere

sempre pulito ed integro, per rispetto ai no-stri compagni d’allenamento, all’insegnante, alla Disciplina ed a noi stessi. Sopra il keikogi è indossata l’hakama che,

facendo parte dell’aikidogi, dovrebbe essere

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portata da tutti gli aikidoka (normalmente bianca i principianti, nera o blu scuro gli allie-vi avanzati, gli Istruttori ed i Maestri, anco-ra bianca i Maestri di grado elevato), ma di solito è concesso d’indossarla agli allievi dal 3° grado (kyu) in avanti o dal 1° livello (dan) in

poi, secondo le Scuole, anche ad evitare fa-stidiosi intralci nei primi tempi dell’appren-dimento. Il nodo centrale anteriore, che chiude

questo capo, simboleggia il punto del ki ed è posto al centro del basso ventre.

Etichetta e comportamento: lo spogliatoio, la pulizia personale.

È utile rammentare che lo spogliatoio del Dojo non è luogo dove fare conversazione o “tenere salotto”: un tono di voce moderato ci consente, concentrandoci, di prepararci alla lezione che ci aspetta e, non di meno, è ri-spettoso per chi già si sta allenando. Altrettanta importanza rivestono alcune

banali norme di comportamento, come essere rapidi nel cambiarsi ed essere ordinati nel ri-porre gli abiti, senza occupare troppo spazio con le nostre cose e la nostra borsa piuttosto che usare la doccia per il tempo strettamen-

te necessario, senza sprechi e senza ridurre il pavimento dello spogliatoio ad un pantano. Indispensabile, poi, è la pulizia, sia perso-

nale sia dell’aikidogi: non è infatti ammissibile salire sul tatami con i piedi sporchi o l’abito in non buone condizioni. Ugualmente importante è un’accurata toe-

letta: le unghie lunghe di mani e di piedi pos-sono inavvertitamente ferire chi si allena con noi, mentre non rimuovere i cosmetici, so-prattutto dal viso, può macchiare il suo aiki-dogi.

Etichetta e comportamento: sedersi, alzarsi.

Dalla posizione eretta, con i piedi uniti, si allargano e piegano leggermente le ginocchia (chi indossa l’hakama, ne apre le pieghe con un rapido movimento della mano destra). Scende a terra prima il ginocchio sinistro poi il destro; si distendono i piedi incrociando gli alluci (sinistro sopra destro); il peso grava sui talloni, tra i quali ci si siede in posizione sei-za. È consentito, per ragioni di comodità e per ovviare alla mancanza d’allenamento in un

modo di sedere, per noi occidentali, estraneo (e faticoso!), variare la posizione dei piedi od incrociare le gambe davanti, sedendo diret-tamente sul tatami (in posizione agura) quan-do l’Istruttore spiega le tecniche. Per alzarsi dalla posizione seiza, si solleva

il corpo puntando le dita dei piedi, quindi si solleva il ginocchio destro, cui segue il sini-stro, fluidamente e senza perdere l’equili-brio.

Etichetta e comportamento: il Saluto (senza le armi).

All'inizio ed alla fine d’ogni lezione, ba-dando di essere ben in ordine (nell’aikidogi e nella posizione del corpo), tutti occupano i posti loro destinati e scendono in posizione seiza: colonna vertebrale diritta e spalle ri-lassate, mani poggiate sulla parte alta delle cosce con dita e gomiti non allargati. Tra le

ginocchia lo spazio di due pugni, uno per le donne. Gli occhi sono aperti, l'espressione del viso serena, con mascella non serrata e lingua appoggiata al palato. Con il respiro calmo, lungo, profondo, il ki concentrato nel tanden, realizziamo un “ponte” fra cielo e terra.

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Dopo alcuni istanti di rilassamento e con-centrazione (mokso), ad occhi chiusi, c’è un primo ritsu-rei di tutti verso il kamiza (in gi-nocchio, za-rei). Vi è poi un reciproco saluto za-rei tra Istruttore ed allievi – ed anche verso eventuali ospiti, se presenti – prima di iniziare gli esercizi di preparazione. La stes-sa procedura si osserva alla fine della lezio-ne, con l’aggiunta di un ultimo, reciproco, ri-tsu-rei in posizione eretta (tachi-rei). In alcune Scuole è d’uso accompagnare lo

za-rei iniziale con un “per favore”, onegai-shimasu, e quello finale con domo arigatō go-zaimashita (abbreviato spesso in arigatò go-zaimashita), “molte grazie”. Ci si scambia un saluto za-rei anche quan-

do l’Istruttore ha completato la spiegazione di una tecnica, prima di invitare un compagno d’allenamento a praticarla con noi. Per eseguire il saluto za-rei, si piega in a-

vanti il tronco e le mani (la sinistra prima, poi la destra ) scivolano al suolo, finché pollici ed indici, toccandosi, formano un triangolo, a 10-15 cm dalle ginocchia, con i gomiti che resta-no vicini alle ginocchia senza allargarsi trop-po. Tronco e testa s’inclinano in un solo movi-mento (la testa rimane allineata al corpo: non è un inchino servile) ed i fianchi non si solle-vano. Salutando l’Istruttore, un Maestro o persona di “rango” più elevato (per anzianità di pratica, per grado, per età…), ci s’inchina per primi, si attende che l’altro si raddrizzi e ci si solleva poi. L’inclinazione del busto nel saluto varia, da una leggera inclinazione del busto (hai-rei) fino a toccare le mani con la testa (za-rei), secondo il rispetto che s’in-tende dimostrare. Un altro ritsu-rei in piedi (tachi-rei) è

scambiato anche ogni volta che s’invita un

compagno a praticare (ed in alcune Scuole è d’uso scambiarsi anche un reciproco onegai-shimasu). Identico ritsu-rei è scambiato quando si

lascia il compagno, al termine della pratica insieme. Il saluto tachi-rei si esegue dalla posizione

normale (shizen hontai), con i piedi ravvicina-ti e le mani aderenti al corpo, piegando testa e busto verso l’oggetto del nostro rispetto. L’inchino è leggero quando scambiato tra compagni, prima e dopo un allenamento; il mo-vimento è più accentuato allorché si entra e si esce dal Dojo, quando si saluta un Sempai nella pratica o l’Istruttore. L’inchino è pro-fondo e si lasciano scivolare le mani fino alle ginocchia quando di tratta di un Maestro o di personaggio importante. Nel ritsu-rei il massimo del rispetto è ri-

servato nel saluto ai simboli della Patria ed agli emblemi dello Stato, all’altare ed agli o-spiti particolarmente importanti. La tradizione marziale prescrive che nes-

sun guerriero – nell’eseguire il saluto – ab-bassi la testa fino a perdere di vista le mani di chi gli sta di fronte, per non esporsi ad at-tacchi improvvisi. In Aikidō, invece, proprio a significare l’assoluta fiducia riposta nelle persone che praticano con noi, questa regola non è seguita. Il ritsu-rei dimostra rispetto e gratitudi-

ne per: • l’Aikidō; • O-Sensei, il Fondatore; • il Dojo, dove si pratica la Via; • il Maestro, che mostra la Via; • gli altri aikidoka, lavorando con i quali pos-siamo progredire nella Via.

Etichetta e comportamento: la lezione.

Ogni lezione inizia con gli esercizi di pre-parazione – che non sono unicamente movi-menti ginnici di riscaldamento muscolare – cui fa seguito la spiegazione d’alcune tecniche e

l’allenamento, con gli allievi che assumono, di volta in volta, il ruolo di aite e di tori. Gli allievi si dispongono sullo shimoza du-

rante la spiegazione d’ogni tecnica. Nel caso

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l’Istruttore, per altre spiegazioni, interrom-pe l’allenamento, tutti vanno in seiza sul po-sto o mettono a terra il solo ginocchio sini-stro posizione tate-hiza), così come deve fa-re ogni allievo invitato dall’Istruttore ad e-seguire un esercizio o una tecnica con lui (ac-corre, saluta, attende in posizione tate-hiza). Ogni allievo, di qualunque anzianità, duran-

te la lezione ha l’obbligo di accettare con “leggerezza di spirito” (junan shin, ovvero con umiltà e letizia), ma anche serietà e con-centrazione, ogni insegnamento e consiglio di chi conduce la lezione stessa: sul tatami non vige la democrazia! Anche se abbiamo anni d’esperienza sulle

spalle, è opportuno evitare la tentazione di voler “insegnare” ai nostri compagni d’alle-namento: durante la lezione c’è sempre e solo un insegnante! Solo se questi così indica, un sempai può dare suggerimenti al kohai od al dohai con cui pratica. In alternativa, è possi-bile che l’allievo anziano “guidi” il giovane nel-la esecuzione della tecnica. I compagni d’allenamento, prima e dopo

ogni esercizio, si scambiano un ritsu-rei. A meno che l’Istruttore, dopo aver mo-

strato una tecnica, non dia indicazioni diver-se, è opportuno che sia l’allievo più giovane a proporsi rapidamente a quello più anziano, al fine di praticare: dalla sua esperienza non può che apprendere. Ancora, è utile che sia l’allievo più anziano

ad assumere per primo il ruolo di aggressore

(aite): non solo è quello più difficile, ma così facendo si rende conto di come tori si muove e dei suoi eventuali errori, in modo da poterlo poi aiutare, guidare. Altra tentazione cui resistere è quella di

voler controllare il nostro compagno di alle-namento o bloccarlo, soprattutto quando sia-mo aite: oltre a non fargli capire (e non capi-re noi stessi) la modalità d’esecuzione della tecnica in cui siamo impegnati, bloccando e controllando entriamo, anche non volendolo, in una situazione di competitività, di imposi-zione della forza, di egoismo. Non si impara, non si cresce, non si pratica Aikidō. Ognuno deve disporsi mentalmente a vive-

re la lezione ed a viverla positivamente e con amore, verso se stesso e gli altri. L’egoismo, la presunzione, il proprio “IO” restano fuori del Dojo. Sul tatami si persegue l’unità tra Universo, Natura e Uomo e si lavora per aiu-tare a progredire il nostro compagno d’alle-namento, perché solo così anche noi potremo crescere: nella padronanza delle tecniche, nello sviluppo fisico, nello spirito. Ricordiamoci sempre quanto scritto da

Ralph Waldo Emerson [1803–1882, pastore protestante statunitense, poeta, saggista e filosofo vicino alla filosofia orientale, espo-nente di quel movimento intellettuale noto come trascendentalismo]: «È una delle più belle compensazioni della vita: nessuno può veramente aiutare un altro senza anche aiu-tare se stesso».

Gli esercizi di preparazione (1).

Potrà sembrare un’affermazione strampa-lata o curiosa, ma la vera lezione di Aikidō è costituita dalla fase preliminare, dagli eser-cizi preparatori, compiuti prima che le tecni-che siano spiegate e quindi provate e riprova-te sul tatami. Questa affermazione appare meno stra-

vagante quando ci si rende conto che l’insie-me degli Aikitaiso e dei tai sabaki, esatta-mente intesi e correttamente eseguiti, con-

sente di raggiungere importanti obbiettivi, quali: - verificare, mantenere ed incrementare as-sialità ed equilibrio, aumentando la nostra percezione dello spazio; - avvertire dapprima, per poi, sempre più, sentire l’energia, il ki, che sgorga dal nostro hara e scorre nel corpo; - addirittura incrementare a volontà il ki, per guidarlo dove e come vogliamo.

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Ma non è tutto. Eseguendo gli esercizi con attenzione, intensità, concentrazione e sin-cerità, infatti, riusciremo a renderci sempre più conto del nostro essere “centro”: noi sia-mo il centro di una sfera dinamica che può di-ventare invalicabile, se lo vogliamo. Ciò non significa, naturalmente, che in questa sfera ci si debba rinserrare, anzi! Allorquan-do il nostro “centro” individuale è totalmente coordinato (quando, cioè, siamo Aikidō), ab-biamo la possibilità d’incontrare, riconoscen-doli, altri “centri” individuali, come noi coor-dinati (altri esseri umani consapevoli) e con loro ricercare un nuovo “centro” comune (so-

ciale) espanso, armonicamente equilibrato, dove collaborare per il reciproco bene comu-ne (essendo Aikidō). “Centralizzando” il pun-to del bene reciproco, possiamo allargare la nostra sfera fino a farle raggiungere la di-mensione cosmica: il nuovo “centro” sarà il punto di massima integrazione, d’armonia ed equilibrio tra l’umanità, l’ordine naturale sulla terra e nell’universo. Saremo, cioè, come scrive O-Sensei, “uno con l’Universo” (con Dio?). E le tecniche? Riguardo alle tecniche, si

veda, più avanti, La pratica, la tecnica.

o Esercizi di preparazione (JUMBI DOSA).

AIKITAISO Insieme degli esercizi fisici specializzati TANDOKU DOSA Esercizi di base, si praticano da soli

FUDO-NO-SHISEI - esercizio dell’immobilità TAMA-NO-IREBURI - rilassamento di collo e spalle (respirazione)

TEKUBI UNDO - gruppo d’esercizi per i polsi USHIRO TEKUBI DORI KOTAI UNDO - estensione rovesciata dei polsi in basso

IKKYO - 1° gruppo: compressione del polso UNDO NIKYO - 2° gruppo: torsione esterna e compressione del polso

UNDO SANKYO - 3° gruppo: torsione e stiramento del polso UNDO KOTE GAESHI - torsione interna e compressione del polso

UDE FURI UNDO - esercizio della giravolta (come una trottola) UDE FURI CHOYAKU UNDO - come sopra, ma con movimento avanti e indietro

IKKYO UNDO - parata alta, estendendo il ki IKKYO UNDO IRIMI TENKAN - passo, ikkyo undo e rotazione

ZENGO UNDO - ikkyo undo e rotazione in 2 o 4 direzioni HAPPO UNDO - ikkyo undo e rotazione in 8 direzioni

SHO MEN UCHI IKKYO TSUGI ASHI - passo seguito, parata alta e rotazione SAYO UNDO - oscillazione laterale (con o senza passo)

USHIRO DORI UNDO - estensione frontale (semicaduta) TORI FUNE o FUNAKOGI UNDO - movimento della voga, esercizio del remare

FURITAMA - mani unite a coppa (sinistra sopra destra) davanti al tanden: vibrano le mani e vibra il corpo

TEKUBI KOSA UNDO - guida dell’energia nei polsi, da fermo (mani unite da-vanti al tanden)

TEKUBI JOHO KOSA UNDO - guida dell’energia nei polsi, in alto (mani unite davanti agli occhi)

TEKUBI SHINDO UNDO - scuotimento dei polsi SHIHO-GIRI - colpire nelle 4 direzioni

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TAI SABAKI Insieme dei movimenti del corpo, circolari e diretti TENKAN - rotazione sul piede avanzato (di guardia)

IRIMI TENKAN - passo avanti e tenkan USHIRO TENKAN - rotazione sul piede arretrato

AYUMI ASHI - passo alternato: si sposta per primo il piede arretrato, che si porta avan-ti, verso l’esterno del corpo e si punta; i piedi non si sollevano

TSUGI ASHI - passo seguito: scivola in avanti il piede anteriore, mentre il posteriore segue, ma senza mai toccare l’anteriore e senza mai superarlo; i piedi non si sollevano

OKURI ASHI - prima che il piede anteriore completi il passo, il piede posteriore scivola avanti; i talloni quasi si toccano; i piedi non si sollevano

SHIKKO - passo del samurai: “camminare” in ginocchio

SOTAI DOSA esercizi di base, si praticano in coppia, senza caduta TENKAN HO - gruppo di movimenti circolari

TENKAN, IRIMI TENKAN, U-SHIRO TENKAN

- come nel tandoku dosa, ma con il compagno che tiene o afferra il polso

UKEMI Caduta controllata MAE UKEMI - in avanti, frontale USHIRO UKEMI - indietro

JUJI UKEMI - incrociata YOKO UKEMI - laterale ZEMPO UKEMI (KAITEN) UNDO - rotolamento continuato e controllato in avanti KOHO UKEMI (KAITEN) UNDO - rotolamento continuato e controllato indietro

KOHO TENTO UNDO - cadere indietro e rialzarsi proiettando il ki avanti

Gli esercizi di preparazione (2).

Posto che gli esercizi di preparazione – Aikitaiso e tai sabaki – sono essenziali per costruire consapevolmente e consolidare nel tempo l’atteggiamento naturale di corpo e spirito, occorre sottolineare l’importanza de-gli esercizi praticati da soli, tandoku dosa. L’Aikitaiso rappresenta una sorta di “viag-

gio in noi stessi”, un percorso durante il quale possiamo osservarci, fare esperienza e con-centrarci prima del lavoro di coppia, quando saremo chiamati ad “aprirci” ad un compagno, a lui unendoci. Il tai sabaki ci aiuta ad “immaginare”, a

“sentire” il movimento insito nelle tecniche

che poi eseguiremo; possiamo quindi assimi-larlo ad una serie di kata che favoriscono e facilitano concentrazione ed unione con noi stessi, con il nostro respiro, con il nostro centro. In poche parole, durante gli esercizi che si

praticano da soli abbiamo quasi l’obbligo di essere egoisti, di pensare solo a noi stessi, per acquisire quella percezione dello spazio, quell’assialità e quell’equilibrio che saremo poi in grado di condividere con i nostri compagni di allenamento, tanto negli esercizi praticati in coppia quanto nell’esecuzione delle tecni-che.

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○ Parti del corpo.

ASHI - gamba, piede CHUDAN - media (petto,

addome) GEDAN - bassa (ven-

tre, gambe) HARA,

TANDEN - ventre, ad-dome

HIJI, EMPI - gomito HIZA, HI-

TSUI - ginocchio

JODAN - alta (testa, collo) KANSETSU - articolazio-

ne, giuntura KATA - spalla

KOSHI, GOSHI - anca KUBI, ERI - collo

MEN, ATAMA - testa MUNE - petto SHIN - mente

TAI, MI - corpo

TE, SHU - mano TE-GATANA o

SHUTO - taglio della mano

TEKUBI, KOTE - polso UDE, KOTE, ZEN-WAN

- avambrac-cio

WAN - braccio YUBISAKI - punta delle

dita

o Posizioni [kamae, quando suffisso, si dice anche gamae].

AGURA - seduto (non protocollare) AI HANMI - posizione simmetrica

CHUDAN KAMAE - in guardia media GEDAN KAMAE - in guardia bassa GYAKU HANMI - posizione opposta

HANMI - posizione HIDARI HANMI - posizione naturale sx HIDARI KAMAE - in guardia sinistra JODAN KAMAE - in guardia alta

KAMAE - guardia MIGI HANMI - posizione naturale dx MIGI KAMAE - in guardia destra

SANKAKU KAMAE - guardia con i piedi a T SEIZA - seduto (protocollare)

SHIZEN HONTAI - posizione eretta di ba-se

SUWARI - in ginocchio TACHI - in piedi

o Aggettivi.

AI - simmetrico GYAKU - opposto, contrario

HA - normale HIDARI - sinistra

IRIMI, OMO-TE

- lineare, entrante, di fronte

JO - lento JU - flessibile

JUJI - incrociato, a croce JUYU - libero KATA - singolo, con uno

KO - piccolo

KYU - rapido MAE - davanti, frontale

MIGI - destra O - grande

RYO - doppio, con due SHIHO - quadrato, a 4 lati

SOTO - esterno TENKAN, URA - circolare, opposto, di

schiena UCHI - interno

USHIRO - dietro, dorsale YOKO - laterale

o Numeri.

Esistono due modi per contare, in giapponese, così come esistono due sistemi di scrittura (cinese e giapponese). I due sistemi di nume-razione sono in parte omologhi: in entrambi i numeri scritti sono cinesi, ma se si aggiunge al grafema cinese la lettera hiragana “tsu” ai

primi nove numeri, si forma un insieme che si legge con pronuncia giapponese. Inoltre, come accade in altre lingue asiati-che, in Giappone il numero è seguito da un “classificatore”, un segno grafico, un suffisso che varia a seconda della natura degli oggetti contati o menzionati. Ad esempio:

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● –ri e –nin per contare le persone. ● –dai per oggetti meccanici (radio, compu-ter, macchine fotografiche…), auto. ● –hon per cose strette e lunghe (sigaret-te, matite, bottiglie, alberi, ombrelli, pali…). ● –satsu per giornali, libri, quaderni ecce-tera. ● -hiki per contare piccoli animali (cani, gatti, rane, serpenti, insetti, pesci…). ● –tou per animali grandi (cavalli, balene, mucche, tigri…).

● –mi per oggetti sottili (stoffa, carta, piatti…). Poi ci sono altri classificatori per l’età, per le scarpe, per gli uccelli, per tazze e bicchieri… Quando il numero non è riferito ad oggetti specifici, si usa il nome giapponese del nume-ro. I numeri dall’uno al dieci, compresi quelli ci-nesi, sono i seguenti:

N° > cinese < > sino-giapponese < > giapponese < > persone (nin) < > cose lunghe (hon) < 1 - YÎ - ICHI - HITOTSU - HITORI - IPPON 2 - ÈR - NI - FUTATSU - FUTARI - NIHON 3 - SÀN - SAN - MITTSU - SANNIN - SAMBON 4 - TSI - SHI (o YON) - YOTTSU - YONNIN - YONHON 5 - WÛ - GO - ITSUTSU - GONIN - GOHON 6 - LIÙ - ROKU - MUTTSU - ROKUNIN - ROPPON 7 - QÎ - SHICHI (o NANA) - NANATSU - SISHININ - NANAHON 8 - BĀ - HACHI - YATTSU - HACHININ - HICHIHON 9 - JIU - KU (o KYU) - KOKONOTSU - KYUNIN - KYUHON

10 - SHI - JU - TO - JUNIN - JIPPON

Combinando tra loro questi primi dieci nume-ri, si ottengono le altre cifre, così 11 è 10 e 1 (ju ichi), 25 è 2 (volte) 10 e 5 (ni ju go), 58 è

5 (volte) 10 e 8 (go ju hachi), 100 è 10 (volte) 10 (ju ju) eccetera.

o Colori.

AKA - rosso AOIRO - blu

DAIDAIIRO - arancione

KRO - nero KURIIRO - marrone

KURO - giallo

MIDORI - verde SHIRO - bianco

o Concetti primari.

KOKORO O AME TSUHI-NO-HAJIMÈ NI OITE KUDASAI - poni la tua mente all’inizio del cielo e della terra

AIKI-NO-SEN - opportunità GO-NO-SEN - dopo di prima: contrattacco JO-HA-KYU - lento, normale, rapido: progressione nell’esercizio

KEN-NO-SEN - prima di prima: iniziativa nell’attacco KIAI - espressione dell’energia KIME - estensione dell’energia

KI-NO-NAGARE - corrente dell’energia KOKYU - centralizzazione dell’energia

KOKYU RYOKU - la potenza del respiro MOKSO - concentrazione e rilassamento

MU - vuoto

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MUSHIN - stato mentale: non pensiero SEIZA, ZA-HO - pratica spirituale

SEN-NO-SEN - prima di prima: preparazione all’attacco TAI-NO-SEN - prima di prima: prendere l’iniziativa sull’altrui attacco

TANREN - allenamento dell’energia contro la forza USHIN - stato mentale: pensiero fisso

ZANSHIN - estensione dell’energia

Unione

Nel momento del contatto (presa, colpo) tra noi e chi ci aggredisce, la nostra mente/corpo può reagire in modi diversi. I più comuni sono:

CON LA FORZA CON LA VIOLENZA

CON L’AFFERMAZIONE DEL PROPRIO “IO”. Il nostro mondo e quello di uke vanno all’urto frontale, permangono due o tre assi, non c’è u-nione:

vince la forza, perde l’uomo Oppure possiamo reagire

CON LA PACE CON LA NON VIOLENZA

CON L’ABBANDONO DEL PROPRIO “IO”, SOSTITUITO DALL’AMORE. Ci uniamo con uke sull’asse unico che creiamo; deviamo la forza in alto, in basso, a destra, a si-nistra e poi la annulliamo. Entriamo e facciamo entrare uke in un mondo d’armonia, dove i no-stri gesti sono simboli spaziali d’energia e d’amore:

perde la forza, vince l’uomo Sandro, aikidoka

o Altri termini tecnici.

ASHI, SHINTAI - passo, avanzamento ATE - colpire

ATEMI - colpo al corpo GAESHI - torsione

HAISHIN UNDO - rilassamento della co-lonna vertebrale

HAJIMÈ - iniziare, “cominciate!” IRIMI - entrare nella guardia

del compagno KA - inspirazione

KAITEN - lancio, caduta rotolata KANSETSU - leva

KATA - modello, forma KATA TE - con una mano KATAME - controllo

KOKYU HO - gruppo d’esercizi di respi-razione

KOKYU HO UNDO

- guida dell’energia nei polsi, con rotazione

KOKYU NAGE - proiezione dell’energia cen-tralizzata

MA-AI - giusta distanza MI - espirazione

MOCHI - prendere con le mani NAGE - proiezione

ORENAI TE - braccio inflessibile OSAE - immobilizzazione OSHI - spingere, premere

RYO TE o MORO TE - con due mani SABAKI - spostamento

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SHIHO NAGE - proiezione su 4 lati SHIME - strangolamento TAISO - ginnastica

TORI, DORI - prendere TSUKI - pugno, colpo diretto

TSUKURI - rottura di posizione UCHI - fendente

URAKEN - pugno rovesciato WAZA - tecnica YAMÈ - fermarsi, “fermi!”

La pratica, la tecnica.

Praticare l’Aikidō significa vivere una e-sperienza educativa che non ha paragoni. È, però, necessario salire sul tatami non per fare Aikidō, ma per essere Aikidō. Dobbia-mo, in altre parole, allenarci tenacemente per assimilare le tecniche, i movimenti e gli at-teggiamenti – senza starci a pensar su trop-po, “lasciandoci andare”, per così dire – fin-ché giungerà il momento in cui la coordinazio-ne fra mente, corpo e spirito sarà istintiva e totale: non useremo più la mente e sapremo muoverci senza che intervenga il pensiero co-sciente. Potremo così eseguire le tecniche in modo perfetto, seguendo la via naturale. Il progresso, nel continuo procedere

dell’apprendimento, si ottiene anche grazie alla riflessione (intima, privata). Dopo aver agito, nell’eseguire una tecnica, è necessario riflettere sull’azione compiuta (hangyo waza). È indispensabile costruire una sequenza di comprensione/riflessione/azione/riflessione. Solo così i progressi sono costanti. Eseguire una tecnica vuole dire neutraliz-

zare l’attacco di aite applicando la giusta e-nergia, nella giusta direzione ed eseguendo il corretto movimento. Non basta proiettare o immobilizzare il no-stro compagno d’allenamento: troppo spesso ciò è possibile grazie alla superiore capacità fisica. Non si tratta di “battere” aite, di vin-cere l’avversario, perché da sconfiggere ci sono le nostre paure e c’è il nostro orgoglio, il desiderio di affermazione e la tentazione di usare la forza. Ognuno, semplicemente, deve vincere se stesso, senza dimenticare che la vera forza, nell’Aikidō come nella vita, sta in una mente acuta e flessibile ed in un corpo plasmato da una pratica costante.

È illusorio pensare di poter imparare tutte le tecniche dell’Aikidō: O-Sensei sosteneva che «In Aikidō vi sono tremila mezzi d’azio-ne, ai quali s’aggiungono ura waza ed henka waza, ciò che dona altri diecimila mezzi». La Disciplina, in effetti, prevede tecniche (wa-za) eseguite in piedi (tachi waza) e da seduti (suwari waza), uno in piedi e l’altro in ginoc-chio (hanmi hantachi waza), dal davanti (mae waza), da dietro (ushiro waza) ed in risposta ad un attacco laterale (yoko waza). A queste si aggiungono le tecniche a mani nude contro un avversario con o senza un’arma; con arma contro arma; di uno contro uno e di uno con-tro parecchi… Se poi si volessero conteggiare anche le tecniche eseguite in “entrata” (omo-te waza) od in “assorbimento” (ura waza) e le “variazioni” sulle tecniche (henka waza), do-vremmo convenire che, in Aikidō, le tecniche sono infinite! Quando tutte le Discipline (Do) erano an-

cora solamente Arti (Jutsu) Marziali, [Jutsu sta per “tecnica”, esprime l’idea di metodo e sistema intimamente legati all’apprendimento ed è il termine ancora applicato alle Arti Marziali “da combattimento”], altro esse non erano che pratica costante, lungo esercizio: era perciò sufficiente padroneggiare le tec-niche per essere efficaci. Oggi, nell’Aikidō, le tecniche consistono nella corretta applica-zione di tutto ciò che concorre all’armonica neutralizzazione di un attacco, ma la loro e-secuzione non è lo scopo della pratica dell’Aikidō, perché esse sono soltanto un mezzo, uno strumento: lo strumento che ci permette di crescere.

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Le tecniche di oggi sono diverse da quelle di domani. Imparate una tecnica e da essa createne dieci o venti: l’Aikidō è senza limiti..

I Maestri e gli Aiutanti. I principi del Bujutsu

Nel lungo cammino per l’apprendimento dell’Aikidō abbiamo tre MAESTRI e tre AIUTANTI, che ci guidano:

L’asse e le anche sono il 1° maestro. Il respiro è il 2° maestro. Lo stato mentale è il 3° maestro.

Il “punto uno” (seika tanden) è il 1° aiutante. Il palmo e le dita della mano sono il 2° aiutante. I piedi sono il 3° aiutante.

I Maestri sono uniti sull’asse CIELO-TERRA

Gli Aiutanti procedono insieme, per realizzare il RITMO-ARMONIA

Quando servono, però, non dimentichiamo i principi del Bujutsu:

1. Saper distinguere la giusta distanza (ma-ai). 2. Conoscere ed applicare gli spostamenti di base (tai sabaki). 3. Respirare, per calmare la mente-corpo e abbassare le spalle. 4. Vuotare la mente, per non farsi distrarre ed ascoltare il suono del vuoto con le orecchie dello spirito. 5. Percepire il nostro asse ed imparare ad usarlo. 6. Conservare la centralità, sia nella difesa sia nell’attacco. 7. Contro più avversari applicare la giusta strategia. 8. Applicare la giusta strategia per soccorrere altre persone. 9. Conoscere i punti vitali, kyusho e, quando serve, colpirli; è un buon deterrente, può liberar-ci da eventuali prese o chiudere una situazione pericolosa per noi o per quelli che soccorriamo.

Soprattutto, però, occorre ricordare che la miglior pratica è non mettersi in condizione di pe-ricolo – per mancanza d’attenzione o per presunzione – e la miglior difesa è andarsene prima di dover combattere!

Sandro, aikidoka

Scopo dell’Aikidō non è la creazione di un uomo invincibile. Scopo dell’Aikidō è la formazione di un uomo che, attraverso la pratica costante,

riconosca i propri limiti e le miserie che si celano nel suo Io più profondo. Scopo dell’Aikidō è insegnare a quell’uomo a vivere serenamente, in armonia con se

stesso, i suoi limiti, la realtà sociale e naturale che lo circonda.

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Concetti interiori dell’Aikidō

Gli avversari sono intorno a te. Tu guarda lontano, come se osservassi un panorama: la mon-tagna che ti sta di fronte, il mare, l’infinito. Potrai così ampliare il tuo spazio, il tuo sentire, il tuo cuore. Potrai osservare e sentire tutto quanto entra nel tuo mondo, perché tu sei il mondo. Se guardi in piccolo e fissi il particolare, ciò che è vicino, nulla vedi e nulla senti, perché il par-ticolare ti cattura e tu sarai sua preda, vittima della tua stessa attenzione, della paura, del tuo IO.

È difficile vincere un uomo forte. Un uomo forte può solo essere assorbito nel tuo centro, attraverso il movimento rotatorio, fino ad annullarne la forza sul tuo asse. Asse e rotazione sono espressioni dell’universo: pianeti, stelle e galassie ruotano sui propri assi.

Credi ed abbi fede nel potere e nella sacralità delle posizioni e dei gesti, sostenuti dal sen-timento dell’amore, attraverso il quale si realizza la vera unione di ogni cosa con il centro dell’universo, dove non esiste conflitto, ma annullamento d’ogni tensione e d’ogni violenza.

Non stare mai davanti a chi ti attacca: ogni attacco è portato alla tua figura, al tuo IO. Spostati, quindi, sui lati od obliquo indietro, oppure ruota per assorbire. Per il solo fatto di stare davanti, offri il tuo IO (pieno, Yang), che può essere afferrato e battuto. Togli la tua figura (vuoto, Yin), fai entrare il tuo aggressore ed unisciti a lui: egli sarà impotente, sconfit-to non dalla forza, ma dall’unione, che sostituisce il tuo IO, e dall’amore.

Sandro, aikidoka

Anche quando sei sfidato da un singolo avversario, rimani in guardia, perché sei sempre circondato da una folla di nemici.

Aikidō: principi e modi d’essere.

L’Aikidō si basa sul respiro (kokyu) e sull’energia, la forza dello spirito (ki), che sorge e si accumula nell’addome, il centro della vita e dell’equilibrio (hara).

Quattro appena sono i principi fondamen-tali di quest’Arte Marziale: • CENTRALIZZAZIONE: io sono il centro del mio avversario. • ESTENSIONE: dal mio hara fluisce il ki, che si unisce al ki dell’universo. • GUIDA CONTROLLATA: io guido la concen-trazione del mio avversario lontano dal suo

obiettivo e la incanalo nella direzione nella quale intendo rovesciarlo. • SFERICITÀ: io incanalo il movimento, l’e-nergia, l’intenzione (il ki) del mio avversario in circuiti orizzontali, verticali o diagonali, senza dargli un appiglio sicuro.

A questi principi s’aggiungono tre “modi d’essere”: • ENTRARE come un triangolo. • MUOVERSI come un cerchio. • CONCLUDERE (immobilizzare) come un quadrato.

Giuseppe, aikidoka

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TERMINOLOGIA Le denominazioni tipiche dell’Aikidō si formano per composizione e servono a identificare le tecniche; ad esempio:

TACHI WAZA SHO MEN UCHI UCHI KAITEN SANKYO URA (a) (b) (c) (d) (e)

livello di pratica / direttrice dinami-ca

tipologia di at-tacco

eventuale indica-zione dinamica preformale

indicazione della tipologia tecnica specifica

indicazione della sottoclassificazione tecnica specifica

(a) LIVELLO DI PRATICA/DIRETTRICE DINAMICA

TACHI WAZA → tori e aite sono in piedi; HANMI HANTACHI WAZA → tori è in ginocchio e aite è in piedi; SUWARI WAZA → tori e aite sono in ginocchio; USHIRO WAZA → aite attacca tori da dietro. YOKO WAZA aite attacca tori da un lato.

(b) TIPOLOGIA D’ATTACCO

le prese.

N. B. I termini TORI e DORI, con riferimento a prese e tecniche, si equivalgono (per e-sempio.: eri tori = eri dori).

Quando le prese, se possibile, si eseguono da dietro, si premette USHIRO, YOKO – o SOKUMEN – se di lato (per esempio: ushiro sode tori, yoko kata te tori).

1. KATA TE TORI → aite afferra con una sola mano un polso di tori, in ai hanmi: destra su destra oppure sinistra su sinistra, in gyaku hanmi: destra su sinistra oppure sinistra su destra.

2. KATA TE RYO TE TORI → aite afferra con le due mani un polso di tori. 3. RYO TE TORI → aite afferra con le due mani i polsi di tori (come avere due gyaku han-

mi contemporaneamente). 4. KATA TORI → aite afferra tori ad una spalla (gyaku hanmi). 5. RYO KATA TORI → aite afferra con le due mani le spalle di tori. 6. KATA TE MUNE TORI → aite afferra contemporaneamente polso e petto di tori. 7. MUNE TORI → aite afferra tori al petto (gyaku hanmi). 8. ERI TORI → aite afferra tori al bavero. 9. RYO ERI JIME → aite afferra tori al petto, con le due mani incrociate. 10. SODE TORI → aite afferra la manico o l’interno del gomito di tori (gyaku hanmi). 11. HIJI TORI → aite afferra l’esterno del gomito di tori. 12. RYO HIJI TORI → aite afferra entrambi i gomiti di tori. 13. KATA TE KATA → aite afferra contemporaneamente polso e spalla di tori. 14. KATA TE TORI KUBI SHIME → aite, mentre afferra il polso di tori, lo strangola. 15. KATA TORI MEN UCHI → aite, mentre afferra alla spalla tori, compie un attacco al

capo (men tsuki).

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gli attacchi.

1. CHUDAN TSUKI → pugno diretto all’addome. 2. JODAN TSUKI → pugno diretto al capo. 3. SHO MEN UCHI → fendente verticale al capo. 4. YOKO MEN UCHI → fendente diagonale al capo. 5. YAKU YOKO MEN UCHI → fendente rovesciato diagonale al capo.

(c) EVENTUALE INDICAZIONE DINAMICA PREFORMALE

SOTO KAITEN → tori esegue la tecnica, con cambio del fronte d’attacco, restando “e-sterno” ad aite.

UCHI KAITEN → tori esegue la tecnica, con cambio del fronte d’attacco, passando “den-tro” lo spazio dinamico di aite.

(d) INDICAZIONE DELLA TIPOLOGIA TECNICA SPECIFICA

le immobilizzazioni di base [KIHON KATAME WAZA]. 1. IKKYO; 2. NIKYO (variante: HIJI KIME OSA-

E);

3. SANKYO; 4. YONKYO; 5. GOKYO;

le proiezioni di base [KIHON NAGE WAZA – KOSHI WAZA – KOKYU WAZA].

1 AIKI NAGE - armonica senza toccare 2 AIKI OTOSHI - rovescia aite sul dorso 3 IRIMI NAGE - frontale 4 JUJI GARAMI - con braccia incrociate 5 KAITEN NAGE - circolare 6 KOKYU NAGE - fluida del respiro 7 KOSHI NAGE - circolare d’anca 8 KOTE GAESHI - su torsione esterna del

polso

9 SHIHO NAGE - nelle 4 direzioni 10 SUMI OTOSHI - angolare di aite 11 TEN CHI NAGE - “cielo - terra” 12 UDE GARAMI - circolare del gomito 13 UDE KIME NAGE - su leva sotto il

braccio 14 USHIRO KIRI

OTOSHI - passando dietro aite

(e) INDICAZIONE DELLA SOTTOCLASSIFICAZIONE TECNICA SPECIFICA

OMOTE - eseguita in entrata; URA - eseguita in assorbimento IRIMI - diretta, in avanti

TENKAN - applicata su perno di rotazio-ne.

o Elenco delle principali NEUTRALIZZAZIONI.

• Con immobilizzazione. (controllo = KATAME, OSAE).

KATAME WAZA

→ l’insieme delle tecniche di immobilizzazione

IKKYO (1° gruppo) (o UDE OSAE) - presa al braccio NIKYO (2° gruppo) (o KOTE MAWASHI) - torsione del polso all’interno

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SANKYO (3° gruppo) (o KOTE HINERI) - torsione del polso all’esterno ed in alto YONKYO (4° gruppo) (o TEKUBI OSAE) - pressione del polso

GOKYO (5° gruppo) (o UDE NOBASHI) - presa del braccio con mano rovesciata UDE KIME OSAE (o UDE HISHIGI) - torsione del gomito

SHIHO NAGE - lancio nei 4 angoli KOTE GAESHI - torsione esterna del polso

• Con proiezione (proiezione = NAGE).

NAGE WAZA → l’insieme delle tecniche di proiezione

IRIMI NAGE - in entrata frontale KOKYU NAGE - dell’energia centralizzata

TEN CHI NAGE - “cielo – terra” KOSHI NAGE - dell’anca

KAITEN NAGE - a ruota UDE KIME NAGE - con braccio ad angolo

TEMBIN NAGE - con braccio ad angolo

SUMI OTOSHI - nell’incavo del braccio JUJI GARAMI - con braccia incrociate AIKI OTOSHI - caduta aiki USHIRO KIRI

OTOSHI - caduta in diagonale da

dietro IRIMI TSUKI - colpo frontale in entrata

o Elenco delle principali APPLICAZIONI delle neutralizzazioni.

FUTARI DORI - neutralizzazioni d’attacchi multipli con presa alle mani HANMI HANTACHI WAZA - tecniche in cui tori è in ginocchio e aite in piedi

JO DORI - neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con il bastone JUYU WAZA - tecniche applicate liberamente

KAESHI WAZA - controtecniche KAKARI KEIKO - neutralizzazioni d’attacchi successivi di più aite

KEN DORI - neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con la spada RAN DORI - neutralizzazioni d’attacchi in dinamica di più aite REN RAKU - successione di attacchi SHIN KEN - combattimento reale

SUWARI WAZA - tecniche in cui tori e aite sono entrambi in ginocchio TACHI WAZA - tecniche in cui tori e aite sono entrambi in piedi

TANINZU DORI - neutralizzazioni d’attacchi simultanei di più aite TANTO DORI - neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con il coltello

USHIRO WAZA - tecniche in cui aite è alle spalle di tori

o Elenco delle principali AZIONI AGGRESSIVE.

• Con prese frontali (prendere = TORI, DORI).

KATA TE TORI GYAKU HANMI - a una mano, con una mano, stesso lato ERI TORI - al bavero, con una mano

HIJI TORI - all’esterno del gomito KATA TE KATA - al polso ed alla spalla, contemporaneamente

KATA TE MUNE TORI - al polso ed al petto, contemporaneamente

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KATA TE RYO TE TORI - a una mano, con due mani KATA TE TORI AI HANMI - a una mano, con una mano, simmetrica, in diagonale

KATA TE TORI KUBI SHIME - al polso, più strangolamento KATA TORI - ad una spalla, con una mano

KATA TORI MEN UCHI - ad una spalla, con una mano, più fendente al capo MUNE TORI - al petto, con una mano

MUNE TORI MEN UCHI - al petto, con una mano, più fendente al capo RYO ERI JIME - al bavero, con due mani incrociate RYO ERI TORI - al bavero, con due mani

RYO HIJI TORI - ad entrambi i gomiti RYO KATA TORI - alle due spalle, con due mani RYO MUNE TORI - al petto, con due mani

RYO TE TORI - alle due mani, con due mani SODE TORI - all’interno della manica, o incavo del gomito, con una mano

• Con prese da dietro (dietro = USHIRO).

USHIRO KATA TE TORI - ad una mano con una mano, da dietro USHIRO ERI TORI - al bavero/collo con una mano, da dietro

USHIRO ERI TORI MEN UCHI - al bavero con una mano, da dietro, più fendente al capo USHIRO HIJI TORI - ad un gomito con una mano, da dietro

USHIRO KATA TE TORI (TEKUBI) KUBI SHIME

- ad una mano con una mano, da dietro, con strangola-mento

USHIRO KATA TORI - ad una spalla con una mano, da dietro USHIRO RYO ERI TORI - al bavero/collo con due mani, da dietro

USHIRO RYO HIJI TORI - ai due gomiti con due mani, da dietro USHIRO RYO KATA TORI - alle due spalle con due mani, da dietro

USHIRO RYO TE (TEKUBI) TORI - alle due mani con due mani, da dietro USHIRO TORI - da dietro con immobilizzazione

• Con colpo (colpo diretto = TSUKI; fendente = UCHI calcio = KERI, GERI).

CHUDAN TSUKI - colpo diretto medio (addome, stomaco)

CHUDAN MAE-GERI

- calcio frontale medio

GEDAN MAE-GERI - calcio frontale basso JODAN TSUKI - colpo diretto alto (te-

sta, viso, collo) JODAN MAE-GERI - calcio frontale alto MAWASHI-GERI - calcio circolare

MUNE TSUKI - colpo diretto al petto SHO MEN UCHI - fendente frontale al

capo TOBI-GERI - calcio “saltato” URA-GERI - calcio indietro

URAKEN UCHI - pugno rovesciato, di dorso

YOKO MEN UCHI - fendente laterale al ca-po/collo

YOKO-GERI - calcio laterale

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Le cadute, le tecniche.

Le cadute controllate (ukemi), in Aikidō, sono tra le cose più importanti da imparare e le più difficili, forse, per un neofita. Saper cadere consente non solo di proteggere il corpo (cadendo al suolo e rotolando, si attu-tisce il colpo ricevuto), ma anche di ripristi-nare la distanza di sicurezza, in caso di ne-cessità. Solo chi sa cadere correttamente può diventare un buon aikidoka. Inoltre, tra i pochissimi casi di infortunio riscontrati nella pratica dell’Aikidō, la maggior parte delle le-sioni è provocata da cadute mal eseguite.

Superare il timore del “salto”, spesso se-rio ostacolo per chi inizia, si può. Basta ini-ziare dalla posizione semi-accucciata, per sa-lire a quella inginocchiata ed arrivare alla po-stura eretta, senza dimenticare che la testa, in tutte le cadute, non deve mai toccare il suolo. È poi necessario sottolineare che, nor-malmente, la capacità di padroneggiare le u-kemi si acquisisce non prima di tre anni di pratica. La progressione, nella padronanza delle

cadute, può essere questa:

> in ginocchio - si tengono le due mani (ruota); - si usa un solo braccio (mezza ruota).

in avanti (mae ukemi)

> in piedi - si tengono le due mani (ruota); - si usa un compagno, come ostacolo, appoggiandogli la mano

sulla schiena; - si usa un solo braccio.

> in ginocchio - si tiene un piede con due mani, si ruota parzialmente, arri-vando ad appoggiare a terra un ginocchio;

- testa inclinata verso il ginocchio poggiato a terra, mani dall’altro lato; si ruota completamente, senza appoggiare il ginocchio.

indietro (ushiro ukemi)

> in piedi - parziale; - completa.

laterali (yoko ukemi)

> in piedi - si distende la gamba avanzata e si scende in ginocchio; - si usa un compagno, come ostacolo, afferrandogli la cintura

da sotto; - si afferra e si tiene un polso del compagno, come punto

d’appoggio; - caduta (salto) ampia e completa.

incrociate (juji ukemi)

> in piedi - si distende la gamba avanzata in ayumi ashi e rotazione d’anca.

senza uso delle braccia

> in piedi - braccia incrociate sul petto, con le mani che afferrano i baveri del gi; la caduta deve essere molto “rotonda”.

dall’alto > in piedi - un compagno tiene le gambe; - caduta (salto) ampia e completa.

La maggior parte delle tecniche, in Ai-

kidō, prevede l’utilizzo delle cadute, come mostra, a titolo d’esempio, l’elenco che se-gue.

Tecniche SENZA caduta.

IKKYO (escluso ikkyo nage); NIKYO (compreso hiji kime osae); SANKYO (escluso sankyo nage); GOKYO.

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Tecniche CON caduta.

> in avanti: > indietro: IKKYO NAGE; IRIMI NAGE (parziale o completa); JUJI GARAMI (con scarso uso delle braccia); SANKYO NAGE (parziale o completa); KAITEN NAGE; SHIHO NAGE (parziale o completa); UDE KIME NAGE. TEN CHI NAGE (parziale).

> laterale: > dall’alto: AIKI OTOSHI; KOSHI NAGE. KOTE GAESHI; > in tutti i modi: SHIHO NAGE (è rischiosa). KOKYU NAGE.

Yamaoka Tesshu (1836-1888), il fondatore del Muto Ryu, è ritenuto tra i migliori seguaci dei tre Do (Kendo, la Via della Spada, Shodo, la Via della Calligrafia e Zen) ed è, forse, l’unico ve-ro “contendente” di Ueshiba Morihei al titolo di più grande budoka giapponese. Tra i suoi detti preferiti vi sono: «Se la mente è corretta, la tecnica sarà corretta» ed anche «Se manca la determinazione della mente, non si progredirà». Questi sono alcuni suoi Doka.

Se la tua mente non è proiettata nelle mani, anche dieci-mila tecniche non

serviranno.

Contro la spada di un avversa-rio non metterti in guardia, ma tieni la mente immobile. Quello

è il posto della vittoria.

Dove le spade si incro-ciano getta le illusioni; abbandonati e percor-rerai il sentiero della

Vita.

Essere Aikidō: la pratica serena e i tre Mondi.

Salire sul tatami per essere Aikidō signi-fica praticare costantemente, tenacemente, per giungere alla coordinazione totale fra la mente, il corpo e lo spirito. Quando sappiamo “lasciarci andare”, muoven-doci senza bisogno di pensare, quando riu-sciamo a percepire il respiro e l’intenzione di aite, allora abbiamo realizzato l’Ai, che è ar-monia e amore e pratichiamo Takemusu Aiki, il “marziale creativo”, potendo dire, con le parole di O-Sensei: «Senza tener conto di quanto velocemente un avversario mi attacca o di come lentamente io rispondo, non posso essere sconfitto. Non è che le mie tecniche siano più veloci di quelle degli avversari. Que-sto non ha niente a che vedere con la velocità o la lentezza. Io sono vittorioso già all’inizio.

Appena il pensiero di un attacco attraversa la mente del mio avversario, sconvolge l’ar-monia dell’universo ed egli è istantaneamente sconfitto, senza tener conto di quanto velo-cemente attacchi. Vittoria o sconfitta non sono una questione di tempo e di spazio». Ed anche: «Soprattutto, bisogna unire il pro-prio cuore a quello di Dio. L’essenza della di-vinità è amore, che tutto penetra, che giunge in ogni angolo dell’universo. Se non siamo uniti alla divinità, l’universo non può essere armo-nizzato. Il budoka che non è in armonia con l’universo pratica solo il combattimento, non Takemusu Aiki». Il “dio” di cui parla Ueshiba Morihei è

Ame-no-minaka-nushi, Creatore dell’Univer-so, la Suprema Parola che sempre alberga in

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noi, con il cui aiuto possiamo superare la di-stinzione fra i “tre Mondi”: manifesto, na-scosto e divino. Il mondo manifesto è quello che abbiamo sot-to gli occhi, quello delle forme. Il mondo nascosto è l’invisibile campo delle energie. Il mondo divino è quello dell’illuminazione e dell’ispirazione. I novizi dell’Aikidō sono aggrappati al mondo manifesto, quello delle tecniche, e null’altro vedono che le tecniche. Solo chi ha una buona e lunga esperienza inizia a capire qualcosa circa il ki, il kokyu e l’Aiki.

Ueshiba Morihei, quando ha riconosciuto le caratteristiche quasi sovrumane dei movi-menti, è riuscito ad unire il manifesto, il na-scosto ed il divino in una Disciplina bella, pia-cevole, benefica e, soprattutto, vera, la-sciando scritto: «Manifesto, nascosto, divino: tre mondi, rivelati dal Sentiero gioioso dell’Amore». Se pratichiamo continuamente, serenamente (magari ogni giorno…) nello spi-rito dell’Aiki, un giorno, forse, potremo par-tecipare alla visione di O-Sensei, percorren-do, uniti al suo spirito, quel felice Sentiero.

Giuseppe, aikidoka

Comprendi con la mente. Accetta con il cuore.

Realizza con il corpo.

Poggia sull’Aiki per attivare i tuoi multiformi poteri. Pacifica tutte le cose e crea un mondo meraviglioso.

La vera vittoria è su se stessi.

Lo spirito attivo e passivo, perfettamente armonizzati, formano la croce dell’Aiki. Tendete sempre in avanti, versando vigore virile.

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IL METODO D’ALLENAMENTO

Le forme di allenamento (keiko ho) in Aikidō prevedono, in ordine di difficoltà e complessità: (A) A MANI NUDE.

o Studio classico, contro una persona (ippan-geiko): tori ed aite ripetono la tecnica 4 vol-te ciascuno.

Nome elemento tempo di reazione tipologia d’allenamento concetto

primario

Go-no-geiko Terra DOPO Abbastanza duro, sovente statico; aite impone una situazione difficile a tori, che deve liberarsi seguendo le linee di forza

GO-NO-SEN

Ju-no-geiko Acqua ASSIEME

Abbastanza morbido, dinamico; occorre che tori percepisca l’attacco e armonizzi il suo ritmo a quello di aite, che mantiene comunque l’iniziativa

SEN-NO-SEN

Ryu-no-geiko Aria PRIMA Tori cattura lo spirito (ki) di aite e lo in-duce ad attaccarlo nella forma desidera-te, ma lo controlla e lo guida

TAI-NO-SEN

o Applicazione delle tecniche contro una successione di attacchi (kakari-geiko): tori deve neutralizzare attacchi portati, in successione, da uno o più aite.

• Con un solo aite: 1. un avversario – una forma d’attacco – una forma (tecnica) di difesa; 2. un avversario – diverse forme d’attacco – una forma (tecnica) di difesa; 3. un avversario – una forma d’attacco – diverse forme (tecniche) di difesa; 4. un avversario – diverse forme d’attacco – diverse forme (tecniche) di difesa.

• Con più aite (taninzu waza): 1. una forma d’attacco – una forma (tecnica) di difesa; 2. una forma d’attacco – diverse forme (tecniche) di difesa; 3. diverse forme d’attacco – una forma (tecnica) di difesa; 4. diverse forme d’attacco – diverse forme (tecniche) di difesa; 5. neutralizzazioni d’attacchi multipli con presa alle mani (futari dori); 6. neutralizzazioni d’attacchi in dinamica di più aite (ran dori).

♦ Applicazione delle tecniche contro attacchi multipli (ran dori): tori deve neutralizzare attacchi portati da più aite, in dinamica. ♦ Pratica libera: (juyu waza):tori applica una tecnica qualsiasi (libera), reagendo all’attacco di aite. ♦ Tecniche di variazione (henka waza): tori applica una concatenazione di tecniche (od una serie di variazioni alla tecnica), reagendo a aite. ♦ Controtecniche, tecniche di contrattacco (kaeshi waza): tori approfitta di una qualsiasi “apertura” – od errore nell’esecuzione – di aite per applicare una tecnica adeguata alla situa-zione ed alle condizioni dinamiche.

(B) CON LE ARMI. ♦ Aiki-jo – uso del bastone (jo) secondo l’Aikidō:

• Studio del jo; • Studio di jo contro jo (kumi-jo);

• Studio di jo contro altre armi;

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• Studio di jo contro uomo disarmato e viceversa.

♦ Aiki-ken – uso della spada (bokken) secondo l’Aikidō: • Studio del bokken; • Studio di bokken contro bokken (ku-mi-ken);

• Studio di bokken contro altre armi; • Studio di bokken contro uomo disar-mato e viceversa.

♦ Aiki-tanto – uso del pugnale(tan-to) secondo l’Aikidō: • Studio di tan-to contro uomo disarmato e viceversa.

I quattro metodi di allenamento.

Per praticare con efficacia, dobbiamo utiliz-zare, rispettandone la progressione, i quat-tro metodi d’allenamento. 1 - Ko tai, lo stato solido. È il primo livello di lavoro, solido e preciso. La forza fisica è impiegata sinceramente: serve a rafforzare muscoli ed ossa. Studiare ed eseguire le tecniche con precisione, permet-te di forgiare un animo immutabile. 2 - Ju tai, lo stato fluido. Non significa che l’attacco di aite sia molle, inconsistente, ma implica che – giunto ad una buona pratica di ko tai – tori è in grado di muoversi con leggerezza, senza contrazioni, seppur preso o attaccato bruscamente. Aite, attaccando, apre una porta sul suo mondo: è inutile forzare una porta aperta! Più è potente l’attacco di aite, minore sarà la sua efficacia e tori lo condurrà a fare ciò che vuole. 3 - Eki tai, lo stato liquido.

La pratica eki tai, detta anche ryu tai, si può assimilare al fluire dell’acqua, che va a colma-re ogni vuoto. Ogni movimento di aite provoca un pieno od un vuoto, che tori svuota o riem-pie con la sua tecnica, presagendo addirittura l’intenzione aggressiva dell’avversario ed a-gendo prima dell’attacco. 4 - Ki tai, lo stato gassoso. È l’ultimo stadio, quello della perfezione: tori offre un’opportunità di attacco, ma quando aite arriva, egli non c’è più! La pratica di ki tai consiste nell’inglobare ai-te, avviluppandolo come in una nebbia, che sfuma il contorno degli oggetti. Guidando aite sulla via dei suoi desideri, non è più necessa-rio nemmeno toccarlo. La pratica di ki tai è un esercizio d’incontro del ki (ki awase). La pratica dell’Aikidō impone di elevarsi, pas-sando da uno stato al successivo, dopo aver dominato il precedente, fino alla completa padronanza dei quattro elementi.

Un Istruttore mostra soltanto una piccole parte dell’Aikidō. È attraverso un allenamento continuo e diligente che l’allievo ricerca pazientemente il legame che unisce le tecniche, piuttosto che accontentarsi di accumularne in quantità.

Il Ki è l’energia originale, che ha creato il mondo col suono. Ciascuno di noi possiede il Ki dalla nascita e la vitalità consiste nel continuo scambio

con l’Universo di ricevere e dare altro Ki.

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Considerazioni sul KI

KI, tra i termini usati più di frequente nell’Aikidō, è parola che esprime un concetto in diretta relazione con la natura e che tutti i giorni sperimentiamo, spesso senza nemmeno farci caso. Si racconta, in Oriente, che all’inizio esisteva solo il caos, il KI universale, e da questo, gra-dualmente, tutte le cose presero forma, dal sole alla terra, alla luna, alle stelle. Il KI non ha inizio, il KI non ha fine; il KI non aumenta né diminuisce e, nonostante le sue for-me cambino, esso non cambia mai. Tutte le cose che noi conosciamo nacquero dal KI e sono fatte dal KI e, quando le cose perdono la propria forma, i loro elementi ritornano al KI. L’Aikidō è la congiunzione della mente con la potenza cosmica del KI, ma noi dobbiamo render-ci conto che il KI è parte integrante anche nella vita di tutti i giorni. In ogni nostro atto ed in tutte le parole che esprimiamo, in qualunque emozione o sentimento che proviamo, buono o cattivo che sia, il KI c’è. Un corpo separato dal KI s’indebolisce e muore, mentre un KI sviluppato rinvigorisce il corpo. Noi dobbiamo sforzarci, allenandoci nell’Aikidō, di trovare il filo che lega il KI al corpo. Dob-biamo perciò ben capire il profondo significato del KI, attraverso esercizi e concetti.

Esercitare il KI (Ki-wo-neru). Questo esercizio consiste nel credere fermamente che il corpo è unito al KI dell’universo. Dobbiamo realizzare il KI dall’interno del corpo, il cui centro è l’ombelico. Ogni nostro movi-mento è occasione d’esercizio. Preparare il KI (Ki-wo-totonoeru). La mente è sull’ombelico e la respirazione è calma: siamo pronti a muoverci in ogni direzione. Realizzare il KI (Ki-wo-dasu). Consideriamo un braccio in fase di rilassamento: se pensiamo e crediamo che la nostra potenza scaturirà attraverso esso, questo diventerà fortissimo e dif-ficilmente si piegherà. Credere fermamente che il KI stia scaturendo, significa che il KI si è realizzato! Un esempio: stiamo camminando e qualcuno ci aggredisce alle spalle. Se manteniamo il KI al nostro interno, è la mente che trascina il corpo: l’aggressore sarà in grado di batterci facilmente. Se realizziamo il KI e la mente è davanti al corpo, nessuno potrà spingerci alle spalle, ma sarà respinto dalla sua stessa pressione. Il KI è come l’acqua sorgiva: quando sgor-ga, e fluisce, nessuno ha potere su di noi; fermiamo la corrente del KI e saremo preda del no-stro avversario. Se vogliamo capire la non-resistenza e la non-aggressione – principi essenziali dell’Aikidō – dobbiamo innanzi tutto praticare la realizzazione del KI. La corrente del KI (Ki-no-nagare). Ogni volta che realizziamo il KI dondolando le braccia, de-scriviamo un cerchio o una linea che somiglia al corso di un ruscello. Se fissiamo un punto sul terreno ed impugniamo un’asta, con fermezza, usandola come fosse un raggio, sul terreno di-segneremo un cerchio. Mantenendo sempre il KI sull’ombelico, le mani si muovono in cerchio. Se realizziamo il KI sporadicamente, la nostra forma è imperfetta e perdiamo il potere. Muo-viamo il corpo come se muovessimo l’ombelico: le mani disegneranno dei cerchi. Interrompere il KI (Ki-wo-kiru). Interrompere il KI significa tagliare la corrente del KI. Se fermiamo la mente e manteniamo il KI dentro di noi, anche solo per un istante, la nostra forza si ferma. Se, aggrediti, non interrompiamo il flusso del KI, possiamo unire la nostra for-za a quella dell’aggressore, guidandolo dove desideriamo, soprattutto verso l’annullamento del-la sua aggressività. Interrompere di continuo il flusso del KI consente al nostro avversario di avere il sopravvento. È come quando dobbiamo muovere un carro: lo sforzo maggiore lo fac-ciamo per avviarlo, poi basta poca spinta per farlo proseguire; se ci fermiamo, però, per ri-metterlo in movimento dobbiamo nuovamente sforzarci.

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Perdere il KI (Ki-ga-nukero). Perdere il KI significa dimenticare l’ombelico e, quindi, non esse-re in condizione di realizzare il flusso del KI. Quando siamo scoraggiati o ci sentiamo stanchi, significa che abbiamo perso il KI. Non potremo riuscire in alcuna cosa, se perdiamo il KI.

Kokyu. Molte sono le tecniche comprese nel kokyu, con numerosi movimenti e parecchie va-rianti. Kokyu è movimento del corpo, seguito dal KI: se esercitiamo bene il kokyu, il corpo è u-nito alla potenza del KI e le nostre movenze sono corrette. Nelle Arti del Budo spesso si usa il termine “forte potere”, ma nell’Aikidō usiamo “forte kokyu”. Kokyu ho è la via che guida gli al-tri con il kokyu. Kokyu nage è l’arte di sconfiggere gli altri per mezzo del kokyu. Hanmi. Stare di fronte all’avversario nella posizione hanmi. Stando di fronte ad un avversario con i piedi uniti, la nostra mente sarà fissa su di essi: avremo difficoltà a muoverci, se attac-cati. Stare con un piede in avanti ci permette di avere una posizione stabile e potremo muo-verci rapidamente, usando entrambi i piedi, in armonia l’uno con l’altro. Questa posizione non ci fa perdere il centro; dobbiamo pensare con la mente, non con le gambe, così possiamo difen-derci da attacchi che provengono da ogni direzione. Ma-ai. La distanza che unisce. In un combattimento, è importante la distanza fra noi ed il no-stro avversario. Se ci avviciniamo troppo, non potremo muoverci e saremo attaccati. Tenere la giusta distanza si dice ma-ai. Se realizziamo sempre il KI, capiremo con naturalezza come fare ma-ai, in armonia con il nostro corpo. Se spingiamo il KI troppo in avanti, perdiamo ma-ai. Orenai te. Quando realizziamo il KI nel braccio – e questo diventa difficilmente piegabile, an-che se non mettiamo forza – facciamo orenai te. Non dipende dall’angolo fra braccio ed avam-braccio: continuiamo a realizzare il KI ed il nostro arto sarà impiegabile. È inutile essere forti solo quando mettiamo forza: saremo indifesi in caso d’attacco improvviso (ed il nostro braccio sarà piegato facilmente!). Siamo rilassati in ogni momento, e saremo forti in tutti i momenti. Fudo-no-shisei. Equilibrio stabile non significa muoversi con difficoltà, bensì mantenere la mente sull’ombelico. Rilassiamo il corpo ed uniamolo al KI: la mente non è disturbata. Quando ci muoviamo, coordiniamo mente e corpo: devono muoversi in armonia. Irimi. Quando la potenza di un avversario viene verso di noi e la nostra và contro di lui, ci sarà una collisione: vince il più forte. Irimi è la via dell’avanzare verso l’avversario non per scon-trarci con la sua resistenza, ma per guidarne la potenza. Per capire ed usare irimi, dobbiamo mantenere il punto uno (seika tanden) ed il braccio impiegabile, realizzando il KI. Irimi è un metodo speciale, pensato unicamente per l’Aikidō: dimostra, in concreto, il principio dell’arte della non-resistenza e ci permette di guidare la potenza dell’avversario – anche se è più forte di noi – contro di lui. Tenkan. Tenkan è il modo di guidare la potenza di un avversario, che viene contro di noi, senza fermarla, girando il nostro corpo. Nell’irimi (positivo, pieno, cielo) dobbiamo muoverci con e-nergia, ma nel tenkan (negativo, vuoto, terra) dobbiamo ruotare come un vortice. Con il tenkan possiamo risucchiare la potenza del nostro avversario e guidarla e dissiparla, finché lui non sa-rà reso innocuo.

Sandro, aikidoka

L’Aikidō non può essere spiegato a parole; bisogna praticare e ottenere l’illuminazione della mente e del corpo.

L’allenamento dell’Aikidō non è sport né ascetismo: è un atto di fede, basato sul desiderio di ottenere il completo risveglio.

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Se non ti fondi con la vacuità del Puro Vuoto, non conoscerai mai il Sentiero dell’Aiki.

Il controllo del ki secondo il Fondatore.

Secondo l’esperienza di O-Sensei, sono quat-tro i principi fondamentali per il controllo del ki: 1. concentrazione su di un punto. 2. rilassamento totale e controllato. 3. armonia nelle posizioni e semplicità degli spostamenti. 4. fluire del ki. Il primo principio corrisponde al convincimen-to – che ritroviamo in tutta la tradizione o-rientale – per cui l’energia (e la vita e l’ani-ma…) si genera e s’accumula nell’addome, ap-pena sotto l’ombelico (nell’hara). Anche per questo motivo, in Oriente – e nelle Arti Mar-ziali in generale – si predilige la respirazione ventrale rispetto a quella pettorale. Concentrando attenzione, respirazione e for-za nell’addome, dove si genera il ki, le nostre facoltà mentali e fisiche ne guadagnano. Dobbiamo comunque fare attenzione: concen-trarsi su di un punto non significa che in quel punto dobbiamo metterci tensione! Il secondo principio è piuttosto evidente: o-gni tensione, che sia mentale o fisica, ci im-mobilizza (ed è un’esperienza che chiunque di noi ha fatto). In termini energetici, in caso di tensione il ki si blocca, non fluisce nel corpo e

pertanto in alcuni punti ristagna ed in altri si esaurisce. È indispensabile sapersi rilassare e far sì che l’energia fluisca liberamente, proprio, e so-prattutto, nei momenti di tensione. Il terzo principio ci ricorda che movimenti forzati e posture artificiali bloccano il ki e fanno consumare (sprecare) energia. Il no-stro corpo deve quindi muoversi – e la mente pensare – in modo naturale, circolare, armo-nico, sereno… L’ultimo principio, in pratica, consegue dalla corretta applicazione dei primi tre. È il più difficile da realizzare, tanto che, per taluni, la vita intera non basta a renderlo possibile! Lo sviluppo del ki, il suo regolare fluire e la capacità di indirizzarlo dove serve si ottiene quindi attraverso la concentrazione, il rilas-samento e l’armonia, unificando mente e cor-po. Per O-Sensei, comunque, il controllo di questi quattro principi non è possibile senza nutrire amore verso tutti gli esseri viventi, un amore che immancabilmente ci porta all’armonia con l’universo e ci guida verso uno stato di perfe-zione (illuminazione).

… quando la vostra mente si concentra sulla spada, finite per diventarne prigionieri. Ciò avviene perché la vostra mente viene catturata da fenomeni esterni e smarrisce la

padronanza su se stessa … Takuan Soho (1573-1645)

Monaco Zen, poeta e pittore; Maestro di Kendo, Ken-jutsu, Chado, Shodo.

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Addestramento all’Arte Marziale

Continue ripetizioni della FORMA, per ore e giorni, mesi e anni… Finché la ripetizione induce a dimenticare la forma e la mente è demolita dall’incapacità di ca-

pire il RITMO. Comincia il lavoro CORPO/INTUIZIONE.

La respirazione prende per mano il ritmo e lentamente lo porta nello SPAZIO, dove il TEMPO si integra.

Nasce il fare senza attaccamento, la magia del movimento che respira il KI dell’universo. Sandro, aikidoka

Un viaggio di mille “li” comincia con il primo passo. Lao Tzu, Il Libro del Tao (Tao Te Ching)

Il cammino, il viaggio, il Maestro.

Chi inizia a praticare – con serietà d’intenti e sincerità di comportamento – un’Arte, una Disciplina Marziale, intraprende uno dei più difficili percorsi che essere umano possa mai imboccare: un vero e proprio viaggio dentro di sé. È un cammino spirituale, sempre fati-coso e talvolta addirittura ascetico, alla co-stante ricerca della perfezione. L’idea di una “via” da percorrere, accomuna tutti quei pra-ticanti di Arti e Discipline Marziali che – sempre e dovunque – cercano non soltanto una maggiore efficacia, migliorando il proprio metodo di combattimento, ma vogliono rag-giungere un’armoniosa integrazione con le leggi dell’universo. Oppure, molto più sempli-cemente, vogliono porsi in armonia con se stessi ed il proprio, personale, universo: una persona calma, di buon umore, equilibrata, contenta di sé e che sta bene con gli altri, certamente riesce ad integrarsi al meglio nella vita sociale. Questo scopo finale implica un’ampia varietà di comportamenti, morali, estetici, etici e so-ciali, tutti volti a ricercare l’autocontrollo e la serenità dello spirito. Già i classici Greci affermano che occorre essere in grado di dominare, con lo spirito, sentimenti e pulsio-ni, per raggiungere l’autorealizzazione e con-quistare la pienezza di sé.

È lo stesso principio che ritroviamo nel Tao cinese, nel Mârg indiano e nel Michi giappo-nese. È quest’ultimo termine, che significa proprio “cammino”, a rendere meglio l’idea del viaggio che dobbiamo compiere (quasi emuli dei pellegrini sulla via di Santiago de Compo-stela) “cercando e cercando”, se vogliamo vi-vere una vita d’esseri umani liberi. Dobbiamo cioè accettare tutte le difficoltà che proprio la scelta di essere liberi comporta, a comin-ciare dal distacco e dall’abbandono di quegli impulsi, di quei meschini interessi personali che ci impediscono di amare tutti gli esseri viventi: paura, odio, vanità, menzogna, attac-camento, cupidigia… È però essenziale che, nella pratica della Di-sciplina, ci accompagni una guida, come in qualsiasi impegnativo percorso, fisico o spiri-tuale che sia. La guida non può essere che un Maestro, che accoglie e accompagna, che spiega e aiuta a riconoscere il sentiero. E non è indispensabile che sia “Il Grande Ma-estro”! Basta trovare un istruttore marziale che sappia agevolare il processo di crescita dei propri allievi e che, nel porsi a loro dispo-sizione ad ogni lezione, sul tatami, abbia an-che l’umiltà di mettersi perennemente in di-scussione.

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Come allievi, sopra ogni cosa, abbiamo un ob-bligo ed un diritto. L’obbligo è di accettare, lietamente e con a-nimo umile (junan shin, “leggerezza dello spi-rito”), ogni insegnamento del Maestro che abbiamo scelto (e che ci ha accettato), dalle tecniche proposte alla didattica adottata, astenendoci da critiche sterili, confronti an-tipatici o giudizi dubbiosi. Il diritto è di trovare chi non abbia paura di mettersi in gioco ad ogni lezione e, esperto nella propria Arte, sia generoso nel condivi-derla con gli allievi, senza timore di mostrarsi umile: perché sa che, da loro, può sempre im-parare qualche cosa! Diffidiamo invece, sempre, di chi si proclama il depositario della “verità”, l’erede predilet-

to o predestinato; dubitiamo di chi afferma d’insegnare l’unica, genuina ed incontaminata Arte del Caposcuola o del Fondatore. Molti sono i sentieri che ci portano sulla vet-ta della montagna, la nostra meta, alcuni più lunghi, altri impervi; il nostro possiamo tro-varlo solo cercandolo, magari, talvolta, anche sbagliando strada e tornando indietro, se ne-cessario, così come recita un antico prover-bio turco: « Non importa quanto lontano sei andato su una strada sbagliata: torna indie-tro!». Ed una cosa non dimentichiamo mai: la meta che vogliamo raggiungere, spesso, non rap-presenta altro che l’inizio di una nuova tappa del nostro infinito cammino.

Giuseppe, aikidoka

Imparare, significa scoprire quello che già sai. Fare, significa dimostrare che lo sai.

Insegnare, è ricordare agli altri che sanno quanto te... Richard Bach, Illusioni

Trova il tempo.

Trova il tempo di riflettere, è la fonte della forza. Trova il tempo di leggere, è la base del sapere.

Trova il tempo di giocare, è il segreto della giovinezza. Trova il tempo di essere gentile, è la strada della felicità.

Trova il tempo di sognare, è il sentiero che porta alle stelle. Trova il tempo di amare, è la vera gioia di vivere.

Trova il tempo di essere contento, è la musica dell’anima. (Antica ballata gaelica)

Non abbiate fretta, perché ci vogliono come minimo dieci anni per padroneggiare le tecniche di base ed avanzare di un grado.

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ESAMI

Gli esami per il passaggio ad una classe (kyu) o livello (dan) superiore coincidono, di solito, con la conclusione d’ogni anno accademico. Ogni Scuola, palestra, Federazione od Asso-ciazione, normalmente, fissa le norme che re-golano tale passaggio. Gli esami, in molte Scuole, non sono obbliga-tori [e, secondo me, mai dovrebbero esser-lo!]: ogni allievo è cioè libero di decidere se mettersi o no alla prova, perché, in fondo e fondamentalmente, di questo si tratta: una prova con se stessi. Ed è, questa, una prova in cui il primo giudice deve essere il nostro spirito critico, ovvero la capacità di riconoscere sia i progressi sia i limiti ancora da superare.

Un tempo era il Maestro a riconoscere uffi-cialmente la capacità tecnica di un suo disce-polo, conferendogli un livello superiore. Oggi, spesso, rispetto alla semplice volontà di imparare e migliorare sempre più, entrano in gioco considerazioni di tutt’altro carattere e la voglia di cingere una cintura colorata o in-dossare un’elegante hakama spingono a cer-care l’approvazione altrui, a lavorare per un “pubblico” piuttosto che per noi stessi. In ogni caso, però, mai dobbiamo scordarci di una cosa: il giudizio di una Commissione tecni-ca d’Aikidō non cambia la nostra vita!

I requisiti per gli esami.

Di seguito sono riportati, A SOLO TI-TOLO D’ESEMPIO, sia i requisiti normal-mente richiesti per accedere alle diverse classi per allievi adulti (6°-1° kyu; quelli dal 10° al 5° sono normalmente riservati ai bam-bini) ed ai successivi primi due livelli (1° e 2° dan), sia un elenco d’esercizi e tecniche che è

utile e opportuno conoscere, prima d’affron-tare un esame. È ovvio che tutti gli esercizi e ogni tecni-

ca delle classi o livelli inferiori debbano es-sere conosciuti per accedere alla classe o li-vello superiore.

6° KYU ORE MINIME D’ALLENAMENTO: 20. PERIODO MINIMO DI PRATICA: 3 MESI.

AIKITAISO [esercizi di preparazione]. UKEMI [cadute]. TAI SABAKI [movimenti del corpo]: tenkan, irimi tenkan. SHIKKO.

TACHI WAZA [tecniche eseguite con tori ed aite in piedi].

KATA TE TORI [presa ad un polso con una mano] AI HANMI [sinistra su sinistra oppure de-stra su destra]:

IKKYO [1^ immobilizzazione], varianti omote [entrata] ed ura [assorbimento]. UCHI KAITEN [passando “internamente” ad aite] SANKYO [3^ immobilizzazione]. IRIMI NAGE [proiezione frontale]. KOTE GAESHI [proiezione su torsione esterna del polso]. SHIHO NAGE [proiezione nelle 4 direzioni], omote ed ura.

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SHO MEN UCHI [fendente verticale al capo]: IRIMI NAGE.

5° KYU ORE MINIME D’ALLENAMENTO: 20. PERIODO MINIMO DI PRATICA DAL PRECEDENTE ESAME: 3 MESI.

KOKYU HO [esercizi di respirazione]. SHIKKO: tenkan, irimi tenkan.

TACHI WAZA.

KATA TE TORI sia AI HANMI sia GYAKU HANMI [sinistra su destra oppure destra su si-nistra]:

IKKYO, omote ed ura. UCHI KAITEN IKKYO, omote ed ura. SHIHO NAGE, omote ed ura. UDE KIME NAGE [proiezione su leva al gomito].

KATA TE RYO TE TORI [presa ad un polso con due mani]: KOKYU NAGE [proiezione con il respiro].

KATA TORI [presa ad una spalla con una mano, in gyaku hanmi]: IKKYO, omote ed ura.

SHO MEN UCHI: IKKYO, omote ed ura. NIKYO [2^ immobilizzazione], omote ed ura. KOTE GAESHI.

CHUDAN TSUKI [pugno diretto all’addome]: IRIMI NAGE. KOTE GAESHI, irimi [diretta, in avanti] e tenkan [ruotando].

SUWARI WAZA [tecniche eseguite con tori ed aite entrambi in ginocchio].

KATA TORI: IKKYO, omote ed ura. SHO MEN UCHI: IKKYO, omote ed ura.

4° KYU ORE MINIME D’ALLENAMENTO: 60. PERIODO MINIMO DI PRATICA DAL PRECEDENTE ESAME: 6 MESI.

TACHI WAZA.

KATA TE TORI, sia ai hanmi sia gyaku hanmi: NIKYO, omote ed ura.

KATA TE RYO TE TORI: KOTE GAESHI.

RYO TE TORI [presa ad entrambi i polsi con le due mani]: IKKYO, omote ed ura. SHIHO NAGE, omote ed ura.

TEN CHI NAGE. UDE KIME NAGE.

SHO MEN UCHI: SANKYO, omote ed ura. UCHI KAITEN SANKYO.

YOKO MEN UCHI [fendente diagonale al capo]: KOTE GAESHI. IRIMI NAGE.

SHIHO NAGE, omote ed ura. TEN CHI NAGE.

UDE KIME NAGE.

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CHUDAN TSUKI: UDE KIME NAGE. NIKYO, variante HIJI KIME OSAE [leva al gomito].

JODAN TSUKI [pugno diretto al capo]: IKKYO, omote ed ura.

SUWARI WAZA.

KATA TORI: NIKYO, omote ed ura. RYO TE TORI: KOKYU HO.

SHO MEN UCHI: NIKYO, omote ed ura.

3° KYU ORE MINIME D’ALLENAMENTO: 75. PERIODO MINIMO DI PRATICA DAL PRECEDENTE ESAME: 6 MESI.

TACHI WAZA.

KATA TE TORI, sia ai hanmi sia gyaku hanmi: UCHI KAITEN NAGE [proiezione circolare con controllo della testa, passando “interna-

mente” ad aite]. SANKYO, omote ed ura. YONKYO [4^ immobilizzazione], omote ed ura.

KATA TE RYO TE TORI: IKKYO, omote ed ura. NIKYO, omote ed ura. SHIHO NAGE.

RYO TE TORI: IRIMI NAGE. KOTE GAESHI. KOKYU NAGE.

SHO MEN UCHI: YONKYO, omote ed ura. GOKYO [5^ immobilizzazione].

YOKO MEN UCHI: IKKYO, omote ed ura. UCHI KAITEN SANKYO.

CHUDAN TSUKI: UCHI KAITEN SANKYO. SOTO KAITEN NAGE [proiezione “ circolare“ passando “esternamente” ad aite].

JODAN TSUKI: SHIHO NAGE KOTE GAESHI

USHIRO WAZA [tecniche eseguite in piedi, con aite che afferra tori da dietro].

RYO TE TORI: IKKYO, omote ed ura. IRIMI NAGE. KOTE GAESHI. SANKYO, omote ed ura. SHIHO NAGE. NIKYO, omote, ura e HIJI KIME OSAE.

SUWARI WAZA.

KATA TORI: NIKYO, omote ed ura. SANKYO, omote ed ura.

SHO MEN UCHI: SANKYO, omote ed ura. KOTE GAESHI. IRIMI NAGE.

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2° KYU ORE MINIME D’ALLENAMENTO: 90. PERIODO MINIMO DI PRATICA DAL PRECEDENTE ESAME: 6 MESI.

TACHI WAZA.

MUNE TORI [presa al petto, con una mano, in gyaku hanmi]: IKKYO, omote ed ura. SHIHO NAGE. UCHI KAITEN SANKYO.

KATA TORI MEN UCHI [presa ad una spalla, in gyaku hanmi, con fendente al volto]: IKKYO, omote ed ura. IRIMI NAGE. KOTE GAESHI. KOSHI NAGE [proiezione circolare d’anca]. SHIHO NAGE.

SHO MEN UCHI: JUYU WAZA [tecniche applicate liberamente].

YOKO MEN UCHI: NIKYO, omote ed ura. SANKYO, omote ed ura. YONKYO, omote ed ura. GOKYO. KOSHI NAGE.

JODAN TSUKI: NIKYO, omote ed ura. SANKYO, omote ed ura.

MAE-GERI [calcio frontale]: IRIMI NAGE.

USHIRO WAZA.

ERI TORI [presa al bavero]: IKKYO.

RYO KATA TORI [presa ad entrambe le spalle]: IKKYO. NIKYO. SANKYO. KOTE GAESHI. IRIMI NAGE.

RYO HIJI TORI [presa ad entrambi i gomiti]: KOTE GAESHI. IRIMI NAGE.

KATA TE TORI KUBI SHIME [presa ad una mano e strangolamento]: IKKYO.

SUWARI WAZA.

RYO KATA TORI: IKKYO, omote ed ura.

SHO MEN UCHI: YONKIO, omote ed ura. SOTO KAITEN NAGE

CHUDAN TSUKI: KOTE GAESHI. JODAN TSUKI: IKKYO, omote ed ura.

1° KYU ORE MINIME D’ALLENAMENTO: 120. PERIODO MINIMO DI PRATICA DAL PRECEDENTE ESAME: 6 MESI.

TACHI WAZA.

MUNE TORI MEN UCHI [presa al petto, in gyaku hanmi, con fendente al volto]: IKKYO, omote ed ura. NIKYO, omote ed ura. SANKYO, omote ed ura. KOSHI NAGE.

YOKO MEN UCHI: JUYU WAZA. CHUDAN TSUKI: JUYU WAZA.

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JODAN TSUKI: YONKYO, omote ed ura. KOSHI NAGE.

SHIHO NAGE, omote ed ura. SOTO KAITEN NAGE

IRIMI NAGE.

USHIRO KIRI OTOSHI [proiezione che rovescia aite sul dorso].

USHIRO WAZA.

RYO TE TORI: YONKYO, omote ed ura. KOKYU NAGE. KOSHI NAGE.

KATA TE TORI KUBI SHIME: SANKYO. KOSHI NAGE. NIKYO, HIJI KIME OSAE.

ERI TORI: NIKYO, omote ed ura. SANKYO, omote ed ura. IRIMI NAGE.

HANMI HANTACHI WAZA [tecniche eseguite con tori in ginocchio ed aite in piedi].

KATA TE TORI, sia ai hanmi sia gyaku hanmi: IKKYO, omote ed ura. UCHI KAITEN NAGE. SHIHO NAGE, omote ed ura.

SUWARI WAZA.

RYO KATA TORI: SANKYO, omote ed ura. YONKYO, omote ed ura.

KATA TORI MEN UCHI: IRIMI NAGE. KOKYU NAGE. KOTE GAESHI.

SHO MEN UCHI: JUYU WAZA.

1° DAN ORE MINIME D’ALLENAMENTO: 200. PERIODO MINIMO DI PRATICA DAL PRECEDENTE ESAME: 12 MESI. ETÀ MINIMA CONSENTITA: 14 ANNI.

TECNICHE DI BASE:

TACHI WAZA. HANMI HANTACHI WAZA. SUWARI WAZA.

VARIAZIONI DELLE TECNICHE DI BASE.

TANTO DORI [neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con il pugnale].

FORME PARTICOLARI D’ATTACCO E DIFESA a richiesta della Commissione d’esame.

2° DAN PERIODO MINIMO DI PRATICA DAL PRECEDENTE ESAME: 24 MESI.

TECNICHE DI BASE (in forma perfezionata):

TACHI WAZA. HANMI HANTACHI WAZA. SUWARI WAZA.

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VARIAZIONI DELLE TECNICHE DI BASE (in forma perfezionata).

TANTO DORI (in forma perfezionata).

JO DORI [neutralizzazioni di attacchi eseguiti con il bastone].

FUTARI DORI [neutralizzazioni di attacchi con presa alle mani eseguiti da 2 aite].

Etichetta e comportamento: durante gli esami.

La sessione d’esame, normalmente, coin-volge l’intero corso: gli esaminandi sostengo-no la prova, i compagni d’allenamento assisto-no, tutti allineati come durante l’inizio di qualsiasi lezione; la presenza di spettatori è consentita, compatibilmente con la struttura del Dojo. Di solito iniziano gli aspiranti ai kyu di base, dal 6° al 1°; tocca poi ai dan, dal 1° a salire. Gli allievi sono chiamati secondo l’or-dine stabilito dalla Commissione d’esame, composta dal Maestro del Dojo e da Maestri ed Istruttori di altri Dojo aderenti al Ryu. L’ordine di chiamata corrisponde anche alla formazione delle coppie che sosterranno l’e-same, eseguendo le tecniche; il primo chiama-to assume la funzione di tori, il secondo quel-la di aite (e così via, per ogni coppia di nomi-nativi), fino al momento in cui la Commissione non stabilisce l’inversione dei ruoli. Gli allievi si dispongono, seguendo percorsi

rettilinei, di fronte alla Commissione – che siede dal lato del kamiza – con il primo allievo chiamato alla sinistra della Commissione stessa e gli altri alla sua sinistra, nell’ordine di chiamata; lo schieramento degli esaminandi deve essere “centrato” rispetto al kamiza. Rilassamento e concentrazione ad occhi chiu-si, za-rei (iniziale, collettivo, scambiato con il

compagno e finale) e ritsu-rei terminale sono quelli classici, quelli eseguiti ad ogni lezione. Al termine, dopo l’esame, gli allievi seguono gli stessi percorsi rettilinei dell’inizio. Gli esercizi di base richiesti (Aikitaiso, tai

sabaki, ukemi, shikko) sono eseguiti in con-temporanea od in successione, secondo ri-chiesta. Le tecniche (quando non altrimenti specificato, al momento, dalla Commissione e quando ciò sia tecnicamente possibile) s’in-tende che devono eseguirsi sia nella variante omote (o irimi) sia in quella ura (o tenkan). Le coppie chiamate, ma eventualmente non

impegnate, si dispongono ai lati [superiore (joseki) e inferiore (shimoseki)] del tatami, in attesa del proprio turno. Quello per il passaggio ad un grado o livel-

lo superiore, non è un esame di lingua giappo-nese: se non si capisce la denominazione di una determinata tecnica, la richiesta sarà ri-petuta in italiano. In caso di incertezza, la tecnica stessa sarà spiegata dalla Commis-sione, se non addirittura mostrata, eseguita, da un allievo anziano, incaricato dalla Com-missione stessa. Quello che occorre dimo-strare sul tatami, infatti, è di saper essere Aikidō. Semplicemente.

Cerca il Costruttore

L’illuminazione ha dissolto l’ignoranza e, con essa, tutti gli spettri evocati dalla tenebrosa ca-verna dell’egoistico IO. L’ignoranza è l’antitesi della conoscenza. Quando domina l’ignoranza, la conoscenza è separata dall’azione, il conoscitore da ciò che è conosciuto e, in genere, si ha sempre opposizione fra i due elementi. Solo l’AMORE li unisce.

Sandro, aikidoka

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A proposito di esami.

È interessante il pensiero di Yamada Yoshi-mitsu – dal 1957 allievo diretto (uchi deshi) del Fondatore – il quale, dopo aver constata-to come tutti noi ci troviamo immersi in un ambiente (sociale, lavorativo ed anche fami-liare) totalmente, perversamente concorren-ziale, afferma quanto segue. «(…) Prima di tutto eliminerei completamente i gradi all’interno del rango di cintura nera. Una volta che il praticante ha raggiunto la cintura nera, non per esame ma per racco-mandazione del Maestro, non ci sarebbero primi, secondi, terzi dan eccetera. Quando qualcuno arriva alla cintura nera, tutti posso-no rendersi conto di come migliori giorno do-po giorno. (…) Invece di preoccuparsi d’otte-nere un grado sempre maggiore, l’allievo si dedicherebbe alla propria evoluzione senza aumentare il numero di dan. Questa misura non solo risulterebbe liberatoria per il prati-cante, ma distruggerebbe il sentimento di concorrenza con gli altri. (…) All’interno di ogni grado vi può essere un allievo con un grande talento naturale per l’Arte ed una altro con meno capacità. C’è dunque già una discrepanza. Ciò fa sì che il grado sia considerato come una sorta d’illu-sione. (…) Se fosse il caso, il Maestro conce-derebbe agli allievi lo status di Fuku Shidoin (Aiutante Istruttore), poi quello di Shidoin (Istruttore) ed alla fine quello di Shihan (Maestro). Credo che il fondatore dell’Aikidō

non si preoccupasse dei gradi, tuttavia, per ragioni commerciali, si aveva bisogno di un si-stema che promuovesse ed espandesse l’Arte dell’Aikidō, creando un affare che permet-tesse di guadagnare denaro.» Altrettanto illuminante è quanto, da sempre, avviene nei corsi del Maestro Sandro Peduz-zi, il quale rileva: «La prima cosa che spesso ci viene chiesta (…) è: che grado sei? Effet-tivamente, mancando nell’Aikidō le cinture colorate dei kyu, non è possibile identificare il grado di una persona. Stessa domanda per le cinture nere. (…) Per raggiungere il grado di sho-mokuroku (cintura nera) occorre: - una pratica di cinque/sei anni, due/tre vol-te la settimana, per 9/10 mesi l’anno; - dimostrare di aver maturato la capacità di condividere con tutti le esperienze e gli inse-gnamenti ricevuti; - praticare con sincero realismo, armonia delle energie, intuizione dell’istante e disci-plinare continuamente corpo e mente; - capire che la tecnica non è uno strumento per acquisire il vero Aikidō e che la pratica dev’essere globale. (…) La valutazione dell’aikidoka avviene in ba-se alla tecnica, alla moralità, alla capacità di trasmettere quanto appreso e di comprende-re i bisogni, sia tecnici che psicologici, dei compagni dei Dojo ed anche del suo compor-tamento quotidiano (…).»

L’Aikidō è un’Arte in cui i principi dell’universo sono rivelati da Dio. Do è la Via attraverso la quale Dio esprime la Sua volontà: ogni Do deve essere uno

con la volontà divina. Distaccandosene, non è più una Via.

L’Aikidō non è una tecnica per attaccare e sconfiggere un nemico: il suo segreto sta nell’armonizzarsi con l’universo, nel farsi uno, cioè nel diventare parte dell’universo

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stesso, raggiungere l’unità con l’universo. (…) Chi tenta di opporsi a me si oppone all’universo, ne infrange l’armonia; perciò, quando un avversario mi assale, in quello

stesso istante è già sconfitto.

L’Aikidō si fonda sul principio della non-resistenza: poiché non c’è resistenza, ho vinto prima di combattere. (…) Il vero Budo non conosce sconfitta: mai sconfitto si-

gnifica mai in combattimento. (…) L’apprendimento del Budo significa farsi depositari dell’amore divino che, senza alcun errore, produce, protegge e coltiva tutte

le cose della natura…

Un buon condottiero non è bellicoso. Un buon combattente non è iracondo. Chi ben vince i nemici non contende. Chi ben impiega gli uomini si pone al disotto di essi. Que-sto si chiama “virtù del non contendere”. Questo si chiama “capacità di impiegare gli

uomini”. Questo si chiama “essere uguali al cielo”. Lao Tzu, Il Libro del Tao (Tao Te Ching)

Nell’amore non esiste la discordia, l’amore non ha nemici.

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PICCOLO DIZIONARIO ENCICLOPEDICO

Cronologia: periodi storici del Giappone, fatti importanti. I Giapponesi suddividono la storia del Paese in pe-riodi, denominato ere (nengo) o epoche (jidai). Ogni era, normalmente, coincide con il regno di un Imperatore e prende spesso un nome da questi scelto, mentre i regni successivi di differenti im-peratori fanno parte di un’epoca, così formando un periodo storico. L’epoca di Nara (o Periodo Nara o, semplicemente, Nara), pertanto, è il periodo storico durante il quale la residenza imperiale è posta in Nara (dal 710 al 784, ma la fine dell’epoca si fissa al 794). Heian è l’epoca che va dalla fondazione di Heian-kyo (Kyoto, 794) da parte dell’imperatore Kammu

alla morte dell’imperatore Konoe (1155), mentre Edo è il Periodo dello shogunato dei Tokugawa nella città di Edo (1603-1867). Meiji (“Governo Il-luminato”) è l’era che comprende il regno dell’im-peratore Mutsuhito (1868-1912), mentre l’impe-ratore Hirohito dà il nome Shôwa (“Pace Lumino-sa”) al proprio dominio, l’era che va dal 1926 al 1989. Infine, il computo degli anni si esegue calcolando quelli di regno, compiuti, di ciascun Imperatore, cosicché, ad esempio, il 1952 è denominato “26° anno Shôwa”: 1926 + 26 = 1952.

Preistoria

Periodo JOMON: ~ 7500-300 a.C. Altre fonti fanno risalire l’inizio del Periodo al 12.000 a.C. circa. Cultura nomade, basata su caccia (paleolitico e mesolitico). Ceramiche con impressioni a corda; figurine in terracotta (neolitico).

660 a.C. - Il giorno 11 febbraio, per la mitologia, è fondato l’Impero giapponese nello Yamato, per opera di Jinmu (660-585 a.C.), discendente della dea del sole, Ama-terasu-oho-mi-kami.

Periodo YAYOI: ~ 300 a.C. -300 d.C. Età degli antichi Clan (uji); titoli ereditari. Economia agricola, riso. Lavorazioni di bronzo e ferro: spade e grandi campane. Lavorazione della ceramica usando la tecnica della ruota.

57 d.c. - Prima ambasceria alla Corte cinese (Dinastia Han orientale) degli isolani di Nu. - Le tribù Yamato invadono il Giappone occidentale. Il Clan Mikoto evolve in regno.

~ 200 - L’imperatrice Jingo, secondo la tradizione, guida un’invasione della Corea.

Protostoria

Periodo KOFUN o YAMATO: 300-525. Tombe megalitiche. Statuine (Haniwa) di varie forme, spesso rappresentanti guerrieri, sono sepolte nelle tombe, unitamente ad armi di ferro (tra cui spade tsurugi).

~ 450 - Introduzione della scrittura cinese dalla Corea.

Storia

Periodo ASUKA: 525-645. Influenza cino-coreana e introduzione del Buddismo. Riforma Taika.

538 - Prima introduzione del Buddismo, appoggiato dal Clan Soga. Il re coreano Syongmyong invia i “Tre Tesori”, simboli del Buddismo, all’imperatore Senka (535-539): monaci, una selezione di scritti dottrinali (sutra), una statua di Siddharta Gautama Shakyamuni, il Buddha. - In Corea nasce e si espande il regno di Silla: il potere giapponese si attenua.

552 - L’imperatore Kimmei (539-571) favorisce l’espandersi del Buddismo. 585 - Scoppiano disordini all’inaugurazione della pagoda di Toyoura; provvedimenti contro il Buddi-

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smo, che può essere praticato solo privatamente. 587 - Gli antibuddisti dei Clan Mononobe e Nakatomi sono sconfitti; inizia, con l’aiuto coreano, la

costruzione del tempio Hoko-ji (terminato nel 596). 594 - Il Buddismo, imposto dall’imperatrice Suiko (593-628), è proclamato religione di stato. 604 - È adottato il calendario cinese. La “Costituzione dei 17 Articoli” stabilisce, per la prima vol-

ta, il ruolo dell’Imperatore: pur essendo d’origine divina e l’autorità suprema, prende le sue decisioni in accordo con i suoi ministri; i governatori, che amministrano le Province in suo no-me, devono consultare gli altri funzionari, accettando le decisioni della maggioranza.

607 - Prima ambasceria in Cina. 645 - Riforma Taika: per consolidare, sul modello cinese, il potere centrale, tutte le terre diven-

tano di proprietà dell’Imperatore, che le distribuisce alle famiglie in base al numero dei loro membri.

Periodo HAKUHO: 645-710. Sconfitta in Corea. Il trono usurpato. Lo stato burocratico. Il codice Taiho.

663 - In Corea Silla, con l’appoggio della Dinastia cinese Tang, sconfigge i guerrieri giapponesi ed annienta l’alleato Paekche. I Coreani usano magistralmente la lancia.

672 - Temmu (672-686) usurpa il trono imperiale. 702 - È promulgato il Codice Taiho: riforma della proprietà terriera e coscrizione obbligatoria.

Periodo NARA: 710-794. Prima capitale. Forte influenza cinese (Dinastia Tang). Fioritura culturale nei monasteri buddisti.

710 - È costruita – sul modello della capitale cinese Chang’an (Xi’an) – Nara, la prima capitale imperiale. La burocrazia è ormai improntata al modello cinese.

712-720 - Compilazione di Annali ufficiali (Kojiki), Gazzette (Fudoki) e Cronache (Nihonji). 740 - Fujiwara Hirotsugu si ribella contro l’influenza esercitata a Corte del monaco Gembo. 764 - Fujiwara Nakamaro è sconfitto ed il potere torna all’imperatrice Shotoku (764-770).

L’abate Dokyo è nominato primo ministro e tenta anche di ottenere l’investitura imperiale. Nel 770, alla morte di Shotoku, sua amante, Dokyo è esiliato.

784 - La capitale è trasferita a Nagaoka. 794 - La capitale è trasferita a Heian-kyo (Kyoto), appena fondata.

Periodo HEIAN: 794-1156. Età dei Nobili di Corte (Kuge, 794-1156), che definiscono se stessi “esseri sopra le nuvole” (kumo-no-uebito); alle Dame è fatto divieto di imparare gli ideogrammi cinesi. Seconda capitale. Sette buddiste esoteriche Tendai e Shingon. Cultura Fujiwara. “Imperatori in ritiro”.

801 - Tamuramaro Sakanoue sottomette le tribù indigene del nord (Ainu). - Il potere imperiale decade. I capi del Clan Fujiwara si affermano come Reggenti (Sessho) e Dittatori civili (Kampaku).

833-967 - Disordini, intrighi, lotte e rivolte: coinvolti Imperatori, Reggenti e Dittatori. 858 - Instaurata la Reggenza a Fujiwara (Reggenti Fujiwara: 890-1185). 935 - Insurrezione di Taira Masakado (giustiziato nel 940) nelle Province orientali.

XI sec. - Guerre nelle Province del Nord e dell’Est; Taira e Minamoto hanno la supremazia sulle ca-sate guerriere. Nascono i “governi claustrali”: i sovrani abdicatari (joko) oppure entrati negli ordini monastici (ho), dai loro ritiri influenzano gli affari pubblici.

1008 - Vede la luce il primo romanzo della storia, il Genji Monogatari, “Storia dei Genji”, scritto dalla cortigiana Shikibu Murasaki.

1051-1062 - Prima Guerra dei 9 Anni. I Minamoto eliminano gli Abe dal settentrione dell’isola Honshu. 1083-1087 - Guerra dei Tre Anni: Minamoto Yoshiie elimina il Clan Kiyowara dal settentrione dell’isola

Honshu.

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1086 - La Dinastia imperiale, di fatto, è esautorata (età degli “Imperatori in ritiro”). 1095 - I monaci guerrieri (Yamabushi) del Monte Hiei discendono una prima volta nella capitale,

Kyoto.

Periodo ROKUHARA: 1156-1185. Dominio del Clan Taira. Età dei Baroni feudali e della Nobiltà militare (Buke): si protrae fino al 1868.

1156 - Taira Kiyomori, aristocratico provinciale, assume il controllo del Governo civile. - Insurrezione Hogen a Kyoto.

1156-1158 - Guerra di Hogen. Taira Kiyomori annienta molti capi del Clan Minamoto. 1159-1160 - Insurrezione di Heiji a Kyoto e guerra. Supremazia assoluta dei Taira.

1170 - Primo seppuku documentato. 1180-1185 - Guerra Gempei tra Minamoto e Taira. Il Clan Taira, alla fine, è annientato.

1181 - Muore Taira Kiyomori. 1184 - Distruzione del Clan Taira a Dan-no-ura.

Periodo KAMAKURA (prefeudale): 1185-1333. Primo shogunato. I Reggenti Hojo. Introduzione del Buddismo Zen e influenza Dinastia cinese Song. Ri-petute, tentate invasioni mongole. Inizia l’ascesa dei samurai.

1192 - Minamoto-no-Yoritomo (muore nel 1192) si proclama Shogun; inizia lo shogunato (Baku-fu) di Kamakura: il Governo militare convive con quello civile, formato dai cortigiani di Kyoto.

1205 - Si afferma il Clan Hojo, il cui capo Famiglia, in nome dei giovani figli di Minamoto-no-Yoritomo, s’arroga la dignità di Reggente (Shikken) dello shogunato.

1210-1333 - Supremazia dei Reggenti Hojo a Kamakura. 1215 - Dalla Cina arrivano il tè ed il Buddismo Zen. 1232 - È pubblicato il Joei Shikimoku, legge fondamentale del Paese. 1274 - Prima tentata invasione mongola. Si distinguono gli arcieri di Kamakura. 1281 - Seconda tentata invasione mongola, fallita grazie al “vento divino” (kamikaze), che

scompagina la flotta, ed al micidiale uso della naginata da parte dei Bushi contro la super-stite cavalleria mongola.

1331-1336 - Guerra di Genko. L’imperatore Go-Daigo (1318-1339) tenta di governare direttamente.

Periodo ASHIKAGA (include, in parte, il Muromachi): 1336-1568. Inizia l’era feudale: i capi dei Clan si liberano dalla tutela del potere centrale, cui devono un vassallag-gio nominale. Secondo shogunato: gli Shogun Ashikaga. Le Due Corti.

1333 - Declino degli Hojo; cade Kamakura. 1336-1392 - Fine della reggenza Hojo. Go-Daigo (1318-1339) fugge a Yoshino ed un rivale occupa il

trono a Kyoto, protetto da Ashikaga Takauji, ribellatosi al legittimo sovrano. Tra la Corte del Sud (Yoshino) e la Corte del Nord (Kyoto) c’è guerra civile (guerra Nambokucho).

1338 - Ashikaga Takauji (1308-1358) diventa Shogun, a Muromachi, Kyoto. 1339 - Sono pubblicati gli Jinno Shoto-ki, “Documenti della successione legittima dei sovrani di-

vini”. 1365-1372 - I Clan guerrieri si combattono nell’isola di Kyushu.

1392 - Le due corti sono riunificate a Kyoto.

Periodo MUROMACHI: 1392-1573. Splendore culturale. “Periodo del Paese in Guerra” (sengoku jidai, 1467-1568). Le armi da fuoco. Il Cri-stianesimo. 1467-1477 - Guerre di Onin; lotte continue in tutto il Paese (continuano fino al 1568).

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1485 - Insurrezione contadina nella provincia di Yamashino. 1543 - Contatti con navigatori Portoghesi. Introduzione delle armi da fuoco. 1545 - Arrivano i primi missionari cristiani (Gesuiti portoghesi) e si diffonde il Cristianesimo.

1549-1551 - Apostolato di san Francesco Saverio (Francisco Xavier, muore nel 1551). 1568 - Oda Nobunaga occupa Kyoto, elimina i Clan avversari, distrugge i templi buddisti. 1573 - Oda Nobunaga depone Yoshiaki, ultimo Shogun Ashikaga, annientandone il Clan, e lotta

per ripristinare l’autorità dell’Imperatore. Fino al 1603 non ci sono altri Shogun.

Periodo MOMOYAMA: 1573-1603. I grandi condottieri e i Dittatori. Unificazione nazionale. Repressione dei cristiani. I castelli. 1582-1598 - Supremazia di Toyotomi Hideyoshi, che diventa Dittatore e centralizza il potere. Nasce

il catasto delle terre. 1583 - Muore Oda Nobunaga. 1585 - Tre Daimyo convertiti al Cristianesimo (nel 1580, in Giappone, ci sono circa 150.000 cre-

denti, saliti al doppio nel 1600) inviano loro emissari a rendere omaggio a Papa Gregorio XIII; i primi Giapponesi in Italia destano grande impressione e poca simpatia.

1587 - Contrasti fra missionari Gesuiti (portoghesi) e Francescani (spagnoli) forniscono il prete-sto per l’interdizione alla loro opera (del Cristianesimo si dice che “è come l’amore ostinato di una donna brutta”).

1588 - Toyotomi Hideyoshi unifica il Paese e disarma tutti Giapponesi (confisca delle katane, ka-tana-gari) tranne i Bushi.

1589 - Il Governo è costretto a legalizzare la prostituzione, per regolamentarla. 1592 - Toyotomi Hideyoshi invade la Corea per la prima volta. 1596 - Repressione del Cristianesimo: 36 cristiani, in gran parte missionari francescani, sono

crocifissi. 1597 - Seconda invasione della Corea. 1598 - Muore Toyotomi Hideyoshi; cessa la repressione contro i cristiani. 1600 - Tokugawa Ieyasu, aiutato dai Fudai-Daimyo, i “Signori dell’interno”, sconfigge a Sekiga-

hara una coalizione d’altri Clan. I Toyotomi sono annientati. 1603 - Tokugawa Ieyasu è nominato Shogun ed inizia l’omonimo shogunato a Edo, odierna Tokyo.

Si sconsigliano le conversioni al Cristianesimo (al cattolicesimo, in particolare: Inglesi ed Olandesi, protestanti, non evangelizzano, commerciano); nel 1605 i convertiti, comunque, sono ben 750.000, il 4% dell’intera popolazione giapponese; il divieto di predicazione è ri-badito nel 1612.

Periodo EDO o TOKUGAWA: 1603-1867. Terzo shogunato: gli Shogun Tokugawa. La nuova capitale. La lunga pace. Il Paese si chiude su se stesso e agli stranieri.

1614 - Il Cristianesimo – dottrina risultata assolutamente incompatibile con lo spirito Shinto – è messo al bando e sono espulsi tutti i missionari (eccetto 35, datisi alla macchia). Il divieto, che presto diventa persecuzione, non riguarda i mercanti olandesi: per salvare i propri traffici, infatti, accettano di calpestare la croce.

1615 - Battaglia del Castello di Osaka, roccaforte del Clan Toyotomi; il Castello è distrutto. To-kugawa Ieyasu promulga i Buke-sho hatto (Leggi delle Case Militari).

1617 - Sono uccisi 18 dei missionari clandestini e molti convertiti locali. 1622 - Oltre 100 cristiani sono uccisi: 22 sul rogo a Nagasaki, 6 arsi a fuoco lento ad Omura, gli

altri decapitati. 1623 - Con l’ex monaco buddista Simone Yempo ed un gesuita italiano, è bruciato vivo il france-

scano spagnolo Francisco Galvez, alla macchia dal 1614. Sul finire del secolo precedente, per entrare nel Paese e farsi accettare dai suoi abitanti, s’è scurito la pelle, ritenendo i

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giapponesi neri di carnagione. Le sue idee su quel popolo sono parecchio confuse e deve ri-credersi molto in fretta.

1624 - Gli Spagnoli sono espulsi dal Paese. 1632 - Alcuni sacerdoti agostiniani spagnoli e portoghesi sbarcano clandestinamente a Nagasaki,

raggiunta con una nave cinese. Travestiti da mercanti, raggiungono le montagne dove, na-scosti, stanno alcuni cristiani. Dopo due mesi, traditi dagli stessi marinai cinesi, sono cattu-rati e rinchiusi in gabbie di tronchi. Gli unici due sopravvissuti ad un mese di torture, M. Lumbreras e M. Sanchez, rifiutano ancora di calpestare la croce e sono bruciati vivi, a fuo-co lento. Le loro ceneri sono disperse in mare.

1633-1636 - Regolamenti per il controllo delle classi sociali ed instaurare una severa politica d’isola-mento. Il Paese è chiuso al resto del mondo, tranne limitati commerci a Nagasaki con mer-canti olandesi e cinesi. Il Governatore di Nagasaki deve applicare i tre articoli d’un decreto shogunale: 1) nessun vascello senza regolare licenza può lasciare il Giappone; 2) nessun sud-dito giapponese può lasciare il territorio nazionale per recarsi in un paese straniero; 3) i Giapponesi che ritorneranno in patria saranno giustiziati.

1637-1638 - Ribellione di Shimabara. Cinquantamila tra contadini e mercanti (famiglie comprese), cui s’uniscono parecchi ronin, si rifugiano nel Castello di Hara, penisola di Shimabara. Molti so-no i contadini (molti meno i samurai) che, convertiti al cattolicesimo, si ribellano alle perse-cuzioni (in atto dal 1614), in nome della libertà religiosa e dell’uguaglianza degli uomini da-vanti a Dio. È la prima volta che una insurrezione popolare avviene non per fame. L’assedio dell’armata shogunale, forte d’oltre 100.000 uomini, dura mesi, nonostante le navi olandesi bombardino dal mare per conto del Bakufu (mentre gli Spagnoli, intimoriti, non si muovono dalle Filippine) e si conclude con un immane massacro.

1638 - A Nagasaki sono uccisi circa 37.000 cristiani. 1639 - I Portoghesi sono espulsi dal Paese. Tutti i porti sono chiusi agli stranieri, tranne Naga-

saki per Cinesi e Olandesi. 1640-1641 - Sono espulsi tutti gli stranieri, tranne una piccola Compagnia commerciale olandese, con-

finata a Nagasaki unitamente a mercanti cinesi. 1649 - L’intero Paese, in pratica, è isolato e “congelato”: nelle classi alte domina lo spirito re-

pressivo, in quelle basse la paura, su tutti pesa il potere shogunale, che monopolizza il commercio estero e ricopre con lo sfarzo una fondamentale grettezza interiore.

1657 - Compilazione delle “Cronache Nazionali” (Dainihon-shi). 1662 - È proibito lo junshi, (“suicidio per seguire il proprio Signore nella morte”). 1670 - Compilazione della “Storia Generale del nostro Stato” (Honcho Tsugan).

1701-1702 - “Saga dei Quarantasette Ronin”. 1716-1751 - Lo Shogun Tokugawa Yoshimune tenta riforme sociali e fiscali.

1732-1786 - Periodo di grandi carestie, difficoltà economiche, catastrofi naturali e disordini sociali. Lo Shinto rinasce e si favorisce il ritorno al culto del Tenno.

1772-1776 - Fallisce la politica riformista del ministro Tanuma Okitsugo. 1787 - Tentativi di riforme fiscali e sociali. 1790 - È soppressa ogni traccia di cultura eterodossa. 1791 - Compaiono, al largo delle coste, vascelli da guerra americani e russi. 1804 - Russia e America avanzano richieste per la riapertura dei porti. 1837 - Carestia, gravi disordini interni, rivolte per il riso. 1853 - Il Commodoro Perry, della marina da guerra degli Stati Uniti d’America, forza la baia di

Tokyo e vi entra per la prima volta. 1858 - Il Governo shogunale stipula i cosiddetti “Trattati Commerciali Ineguali”, che favoriscono

le pretese degli Occidentali. 1867 - Si dimette Tokugawa Yoshinobu, l’ultimo Shogun della Famiglia: il potere amministrativo

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torna nelle mani dell’imperatore Mutsuhito. 1867-1868 - Restaurazione del potere imperiale; l’imperatore Mutsuhito (nato nel 1852, sale al trono il

31 gennaio 1867), porta la capitale da Kyoto a Edo, ribattezzata Tokyo e installa un Gover-no di nuovo tipo, chiamato Meiji (“Governo Illuminato”).

Periodo CONTEMPORANEO: 1867-oggi. Riforme accelerate, occidentalizzazione forzata. I samurai disarmati. Espansionismo ed imperialismo: la “Grande Asia”. Le Guerre Mondiali e l’uso della prima bomba atomica. L’Imperatore diventa umano. La “tigre asiatica”: ascesa e declino dell’economia.

Era Meiji: 1868-1912. Le riforme e la modernizzazione. Le oligarchie e l’espansionismo. 1868-1870 - La carica di Shogun e le istituzioni feudali sono abolite. È formato un esercito di leva e si

introducono le tecnologie occidentali. 1869 - La nuova legalizzazione del Cristianesimo porta alla scoperta piccoli gruppi di cristiani,

detti “nascosti” o “segreti”, in clandestinità da oltre 250 anni! 1871 - Sono aboliti gli han (i domini individuali dei Daimyo), rimpiazzati dalle Prefetture, dipen-

denti dal Governo centrale. Per i samurai è reso facoltativo il porto della spada. 1872 - Il Buddismo è ufficialmente riconosciuto di pari importanza rispetto allo Shintoismo.

- Entra in funzione la prima linea ferroviaria, da Tokyo a Yokohama. 1873 - È varata la coscrizione obbligatoria: tutti i maschi di vent’anni (esclusi eredi, funzionari e

alcuni professionisti) sono iscritti alle liste di leva; il servizio militare attivo è di tre anni, più altri sei nella riserva.

1874 - L’ex vice Ministro all’Educazione, Eto Shimpei, per protesta contro la politica governativa in Corea organizza una sommossa nell’isola di Kyushu, alla testa di 2.000 samurai. Sconfit-to, fugge nella provincia di Kagoshima e si unisce a Saigo Takamori, sostenitore dell’ideale di un esercito formato da soli samurai e già Maresciallo di campo dell’Imperatore.

1876 - È proibito a tutti, militari esclusi, di portare armi, di qualsiasi tipo. I samurai sono uffi-cialmente privati del simbolo della propria esistenza, la spada. A Kamamoto 200 di loro, or-ganizzati nella “Lega Kami-Kaze”, assaltano la guarnigione imperiale armati proprio solo di spade: quelli che non restano uccisi dal fuoco dei difensori si suicidano.

1877 - Insurrezione di Satsuma. Saigo Takamori (1827-1877) si ribella al Governo e guida 9.000 uomini – 7.000 dei quali samurai, allievi delle scuole private d’Arti Marziali da lui stesso or-ganizzate nella penisola di Satsuma, nel sud di Kyushu – contro le truppe dell’armata impe-riale, formata da “contadini-coscritti”. I ribelli utilizzano anche armi da fuoco e artiglieria, ma sono sconfitti. Saigo, ultimo vero samurai, compie seppuku.

1889 - L’11 febbraio – dopo 15 anni di lavori di un’apposita commissione – è promulgata una Costi-tuzione simile a quella tedesca. Le Famiglie aristocratiche si organizzano in Corporazioni ed il Giappone cerca di acquisire nuovi mercati, anche attraverso un forte espansionismo militare.

1890 - Entra in vigore la nuova Costituzione: sacro ed inviolabile, al di sopra delle parti, l’Impe-ratore esercita il potere legislativo (d’intesa con la Dieta) e controlla la pubblica ammini-strazione, stipula accordi internazionali, è comandante delle forze armate, dichiara la guerra e stipula la pace.

1894-1905 - Guerre d’espansione contro: Cina (1894-95, è occupata Taiwan), Russia (1904-5, è occu-pata la Manciuria meridionale) e Corea (occupata nel 1905; dal 1910 è colonia).

1912 - Muore l’imperatore Mutsuhito, amico delle arti e poeta, che ha riformato e modernizzato il Giappone. Suo erede è Yoshihito (1912-1926), malato, sotto la reggenza del principe ere-ditario Hirohito.

Era Taishô: 1913-1926 Occidentalizzazione accelerata; l’imperialismo. 1914-1918 - Il 15 agosto 1914 il Tenno, alleato della Gran Bretagna, dichiara guerra alla Germania: la

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Prima Guerra Mondiale (1° agosto 1914-11 novembre 1918, “Triplice Intesa” contro “Imperi Centrali”) coinvolge l’Estremo Oriente. - Il Giappone conquista il protettorato tedesco in Cina, dalla quale ottiene ulteriori e note-voli concessioni politiche e commerciali.

Era Shôwa: 1926-1989 Le riforme. La “Grande Asia”, l’imperialismo e i conflitti.

1926 - Sale al trono l’imperatore Hirohito (1926-1989), Reggente dal 1912. Governa per 63 anni. 1929 - La “Grande Crisi” economica mondiale provoca una nuova ondata espansionista. 1931 - Prende avvio un impressionante programma di riarmo, terrestre e, soprattutto, navale. 1932 - In Manciuria è costituito uno stato satellite (Manciukuo) e non vengono resi i territori ex

germanici ricevuti in mandato. - Il Giappone esce dalla Società delle Nazioni e adotta ufficialmente il nome di Nihon (o Nippon), lettura giapponese del termine cinese Jihpûn, abbreviazione di Jihpûnkuo: paese (kuo) del sole (jin) levante (pûn).

1932-1945 - In Manciuria, a Pingfan e Beiyinhe, nei pressi di Harbin, sotto la direzione di Ishii Shiro sono sviluppate ricerche di avanguardia sulla guerra batteriologica. Le sperimentazioni si compiono in vivo sugli oppositori e sui prigionieri, di guerra e non, cinesi ed anche russi ed occidentali; i contagiati (con agenti patogeni di peste bubbonica, tifo, colera, antrace), spesso vivisezionati, sono eliminati e “smaltiti” in forni crematori. Si calcola in 500.000 il numero complessivo delle vittime.

1936 - È firmato il “Patto anti-Comintern” con la Germania, in funzione antisovietica. 1937 - È invasa e largamente conquistata la Cina.

1941-1942 - A Pearl Harbor, il 7 dicembre ‘41, la flotta USA è quasi completamente distrutta da un attacco aereo preventivo, (quasi) di sorpresa: il Giappone entra nella Seconda Guerra Mon-diale e, con la parola d’ordine "l’Asia agli asiatici", riesce rapidamente a occupare gran par-te dell’Asia sud-orientale e del Pacifico.

1942-1945 - Le forze armate giapponesi ripiegano su tutti i fronti di guerra. Il bombardamento ato-mico di Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945), in pratica, pone fine alla guerra. - Il 2 settembre 1945 il Giappone capitola senza condizioni – anche all’Unione Sovietica, che gli dichiara guerra l’8 agosto, dopo aver invaso la Manciuria – e fino al 1952 è sottopo-sto al regime d’occupazione militare statunitense. I morti giapponesi superano i 3 milioni.

1945-1950 - Governo militare, retto dal generale Mac Arthur: democratizzazione e ridistribuzione della proprietà terriera. - Riparazioni di guerra, rientro di prigionieri ed arrivo di profughi dalla Corea. È proibito l’insegnamento delle Arti Marziali tradizionali, tranne il Karate.

1946 - Il 1° gennaio l’Imperatore, durante una solenne cerimonia pubblica, smentisce le proprie origini divine e si “umanizza”. È ratificata una nuova Costituzione, che impone: radicale ta-glio alle spese militari; ripudio della guerra e creazione di forze armate unicamente con compiti di “autodifesa”; sovranità al popolo; parità fra i sessi.

1947 - Il 3 maggio entra in vigore la nuova Costituzione. All’Imperatore è attribuita una funzio-ne meramente rappresentativa e cerimoniale: è il simbolo dello Stato e dell’unità del popo-lo. Il Governo risponde al Parlamento, elettivo.

1951 - Pace di San Francisco; trattato militare con gli Stati Uniti d’America; tutti i territori ac-quisiti dal 1854 sono perduti.

1954-1955 - Aumenta la popolazione e l’export, nonostante la mancanza di materie prime. Riforme amministrative. Parziale riarmo.

1956 - Riprendono le relazioni diplomatiche con l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ma non si risolve la questione delle isole Curili meridionali.

1968 - Il Giappone è la terza potenza industriale del mondo 1972 - Okinawa è restituita dagli Stati Uniti al Giappone, tranne le basi militari.

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1974 - Nelle Filippine si arrende l’ultimo soldato dell’Esercito Imperiale, rifugiatosi nella fore-sta, con alcuni commilitoni, ai tempi della liberazione dell’arcipelago da parte degli USA.

1978 - Ad agosto è firmato il trattato di pace e amicizia con la Cina. 1987 - Guerra commerciale con gli USA per disaccordi sull’esportazione di prodotti elettronici.

Il 27 agosto è lanciato il primo vettore spaziale, capace di porre in orbita piccoli satelliti. 1989 - Il 7 gennaio, ad 87 anni, muore l’imperatore Hirohito: nato nel 1901, è sul trono dal 1926.

Era Heisei: dal 1989 Gas nervino nel metrò. Crisi economica, recessione, fragilità del sistema bancario. Incidente nucleare.

1989 - Sale al trono l’imperatore Akihito. 1995 - Il 20 marzo ha luogo il primo vero e documentato attacco terroristico con armi di distru-

zione di massa: adepti della setta Aum Shinrikyo immettono gas nervino (Sarin) nelle me-tropolitane di Tokyo e di Matsumoto.

1998 - La crisi economica mondiale coinvolge anche il Giappone, il cui mercato interno è sempre, tradizionalmente, chiuso. Recessione e svalutazione dello yen.

1999 - Grave incidente nella centrale nucleare di Tokaimura, nei pressi di Tokyo. Il Giappone di-pende in larga misura dalle centrali nucleari per la produzione di energia elettrica.

2001 - Il 1° dicembre nasce la figlia del principe ereditario Naruhito e di Owada Masako; riceve i nomi di Toshi-no-miya (Principessa del Rispetto) ed Aiko (Figlia dell’Amore). Per la vigente Costituzione – malgrado sia la primogenita dell’erede al trono e nonostante le otto impera-trici del passato – è esclusa dalla successione al trono.

2006 - Il 6 settembre nasce il terzogenito del principe Akishino, fratello minore di Naruhito. Primo maschio nella Casa imperiale dopo quarant’anni, è l’erede designato al trono, dopo lo zio Naruhito. Gli viene imposto il nome di Hisahito, auspicio di “lunga e serena esistenza” ed il simbolo scelto per lui è il pino cinese, metafora di una crescita sana e robusta.

[si veda anche la voce “Cronologie. Imperatori e Imperatrici giapponesi; Shogun”, nella Terza Parte].

Antiche arti da guerra. Con il termine Bugei s’indica l’insieme delle

“Arti da Guerra” giapponesi, che possono preve-dere o no l’uso delle armi. Le Arti con armi posso-no essere “maggiori” (con arco, lancia, spada; e-quitazione; nuoto), “minori” (uso di ventaglio, ba-stone, jitte) o “collaterali” (utilizzo di catene od altri arnesi; arti “occulte”). Il numero delle prin-cipali, denominate Kakuto Bugei, “Arti Marziali”, varia secondo gli esperti: da diciotto a più di cin-

quanta. Di seguito sono elencate le principali, in ordine alfabetico. La solita avvertenza legata alla lingua giapponese: secondo le diverse fonti, possiamo trovare il nome della medesima Arte anche trascritto con i carat-teri separati (Kusari Gama Jutsu o Kusarigama Jutsu, Iai Jutsu) o uniti da trattino (Kusari-gama-jutsu o Kusarigama-jutsu, Iai-jutsu) piutto-sto che insieme (Kusarigamajutsu, Iaijutsu).

Ba-jutsu - Equitazione militare Bo-jutsu - Scherma (tecniche) con il bastone lungo

Chigiriki-jutsu - Uso di palla di ferro, collegata con catena ad un lungo manico Chikujo-jutsu - Tecniche di fortificazione

Fukihari - Tecniche di lancio con la bocca di piccoli aghi Gekikan-jutsu - Uso di catena con palla di ferro

Genkotsu - Tecniche di attacco ai punti vitali Hayagake-jutsu - Tecniche per aumentare la velocità in marcia e corsa

Hojo-jutsu - Arte di legare il nemico

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Ho-jutsu - Uso delle armi da fuoco Iai-jutsu - Arte di estrarre la spada e colpire

Jitte-jutsu (o Jitte) - Uso del bastone (o mazza) di ferro Jo-jutsu - Scherma (tecniche) con il bastone medio Ju-jutsu - Lotta senza armi o con il loro minimo uso

Karumi-jutsu - Tecniche per rendersi leggeri (salto, arrampicata, schivare colpi) Ken-jutsu - Scherma (combattimento) con la spada (o le spade) Kumi-uchi - Lotta senz’armi ma con armatura

Kusari-jutsu - Uso di catena Kusarigama-jutsu - Uso di falcetto e palla di ferro, collegati con catena

Kyu-jutsu - Tiro con l’arco da guerra Naginata-jutsu - Scherma (combattimento) con l’alabarda (lancia a lama curva) Noroshi-jutsu - Tecniche di segnalazione con il fuoco

Sasumata-jutsu - Uso del bastone forcuto per bloccare il nemico Senjo-jutsu - Arte di disporre le truppe in battaglia

Shinobi-jutsu - Arte dell’inganno, del travestimento Shuriken-jutsu - Tecniche di lancio di affilate, piccole armi

Sodegarami-jutsu - Uso di un’asta appuntita per disarcionare So-jutsu - Scherma (combattimento) con l’alabarda

Suiei-jutsu - Tecniche per combattere in acqua indossando l’ armatura Suijohoko-jutsu - Tecniche per attraversare i corsi d’acqua Sumo (o Sumai) - Lotta senz’armi né armatura

Tam-bo Jutsu - Scherma (tecniche) con il bastone corto Tanto-jutsu - Scherma (combattimento) con il pugnale

Tessen-jutsu - Uso del ventaglio di ferro Tetsubo-jutsu - Uso di una sbarra di ferro lunga Uchi-ne Jutsu - Lancio di frecce con le mani

Yari-jutsu - Scherma (combattimento) la lancia a lama dritta A queste potrebbero aggiungersene altre, qua-

li Joba-jutsu o Yabusame (tiro con l’arco da caval-lo); Tachi oyogi (nuoto con armi e armatura); Nin-jutsu (tecniche, normalmente segrete e traman-date oralmente, patrimonio dei Ninja) eccetera. Shige Taka Minatsu, nel suo “Storia delle Arti

Marziali” (1714), elenca – oltre alle danze rituali, che ogni samurai deve conoscere – le otto Arti Marziali nelle quali egli doveva eccellere. Esse so-no: 1. Il maneggio di tre specie d’armi:

1.1. armi da impugnare – Ken-jutsu (scherma con la sciabola impugnata a due mani) e Tanto-jutsu (uso del pugnale);

1.2. armi maneggiate a distanza – So-jutsu, Yari-jutsu e Naginata-jutsu (scherma con alabarda, lancia a lama dritta e curva);

1.3. armi da getto – Kyu-jutsu (tiro con l’ar-co).

2. L’allenamento in due discipline fondamentali: 2.1. Ba-jutsu (equitazione militare);

2.2. Suiei-jutsu, Suijohoko-jutsu e Tachi oyo-gi (nuoto).

3. La pratica del combattimento a corpo a corpo senz’armi, nelle sue tre grandi specialità: 3.1. Kempo, Karate e Atemi waza (tecniche di

percossa); 3.2. Sumo (tecniche di forza contro forza) e

Ju-jutsu (tecniche di non-resistenza contro forza);

3.3. Kappo (metodo di trattamento dei trau-mi).

NOTA. Nel linguaggio colloquiale, il complesso delle Arti Marziali giapponesi è chiamato “Arti Marziali samurai” mentre, in effetti, sarebbe forse più giusto definirle, con particolare riferi-mento al Periodo Edo, “anti-Samurai”! Il predomi-nio dei Buke nella società ha l’effetto, tra gli al-tri, di impedire a chiunque di portare armi, tranne che ai samurai, ovviamente. Un uomo comune, forse, può non temere molto l’altezzoso ex guerriero trasformato in burocra-

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te, spesso bloccato ad una scrivania, che magari si pavoneggia con antiche spade (se già non le ha vendute o impegnate!). Altra faccenda è trovarsi ad affrontare un Ronin affamato, disperato (e al-lenato) oppure un brigante. Da questo pericolo re-ale nascono (o, meglio, si sviluppano maggiormen-

te) quelle Arti Marziali che utilizzano sia le tecni-che a mani nude (p. es. Karate, Sumo, Ju-jutsu) sia l’uso di comuni oggetti e/o attrezzi (per e-sempio Kusarigama-jutsu, Jo-jutsu, Sasumata-jutsu).

Tabelle comparative per misure e monete (dal secolo XII al secolo XVI).

o Misure di lunghezza.

1 Rin = 0,303 mm. 1 Bu (10 Rin) = 3,0303 mm.

1 Sun (10 Bu) = 3,0303 cm. 1 Shaku (10 Sun) = 30,303 cm. 1 Ken (6 Shaku): - a Edo = 1,757 m.

- a Nagoya = 1,818 m. - a Kyoto = 1,908 m.

1 Jo (10 Shaku) = 3,0303 m. 1 Cho (60 Ken): - a Edo = 105,42 m.

- a Nagoya = 109,08 m. - a Kyoto = 114,48 m.

1 Ri (36 Cho): - a Edo = 3,7951 km. - a Nagoya = 3,9268 km. - a Kyoto = 4,1212 km.

Per i tessuti 1 Tan - da 25 a 30 Shaku

Per i terreni (varia secondo le Regioni)

1 Kujira-shaku = 1 Shaku più ¼ 1 Cho (60 Ken) - da 105,42 a 109,08 m.

1 Kiki = 2 Tan

1 Ri (36 Cho) - da 3,9 a 4,3 km.

o Misure di superficie. 1 Tsubo (o Bu) = 1 Ken quadrato = circa 3,35 m2 1 Se = 30 Tsubo = circa 1 ara

1 Tan = 10 Se = circa 10 are 1 Cho (60x50 ken) = 10 Tan = circa 1 ettaro

1 Ri quadrato = 36 Cho quadrati = circa 16 km2

o Misure di capacità.

1 Shaku = 1,8 centilitri 1 Sho (10 Go) = 1,8 litri 1 Koku (10 To) = 180 litri 1 Go (10 Shaku) = 1,8 decilitri 1 To (10 Sho) = 18 litri 1 Hyo (4 Koku) = 720 litri

o Misure di peso. 1 Momme = 3,75 grammi 1 Kin da 100 a 180 Momme, secondo le Regioni 1 Kan (1000 Momme) = 3,75 chilogrammi

o Grandezze monetarie.

Wado-kaiho dal 708 al 958 moneta di rame (talvolta d’argento o d’oro), coniata in Giappone

Mon (Sen, in cinese) importate dalla Cina Kan

dal 958 al 1587/91 moneta da 1.000 Mon

1587 Tensho Tsuho: argento e oro 1592 Bunroku Tsuho: argento

Monete giapponesi

1606 Keicho Tsuho: argento

L’Aikidō è una purificazione del corpo e dell’anima. Praticare è sgrassare il corpo e l’anima.

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Note per la consultazione.

Le voci, riportate in ordine alfabetico, si rife-riscono sia all’Aikidō sia (molto “in sedicesimo”, per così dire) al Giappone, soprattutto antico, con la sua storia e cultura, le Arti e Discipline Mar-ziali, i personaggi illustri, i miti, le armi caratteri-stiche. Questo, con tutta evidenza, non è un dizionario

nippo–italiano, pur se cita numerosi lemmi di que-sta lingua; per altrettanto evidenti ragioni di op-portunità, quando si parla d’Arti Marziali, sono ri-portati quasi unicamente i nomi di tecniche o po-sizioni del solo Aikidō o con questa Disciplina at-tinenti, connessi o comuni. Nei casi relativi ad al-tre Discipline Marziali, il fatto è specificato. Le parole “virgolettate” che seguono una voce

giapponese ne sono la traduzione, letterale (so-prattutto) od informale. Negli altri casi, invece, pongono l’accento su concetti o rimarcano un par-ticolare valore del termine illustrato. Quando ricorre nella descrizione d’altre voci,

ogni lemma è riportato in CARATTERE MAIUSCOLET-TO, come rimando ed invito alla lettura. In carattere corsivo sono indicati termini spe-

cifici oppure nomi propri (di persone, località, og-getti…) non comunemente noti e che, seppure ri-correnti, non sono ulteriormente approfonditi. Il CARATTERE MAIUSCOLETTO CORSIVO evidenzia,

quando ricorrono per la prima volta, quei vocaboli, al singolare o al plurale che siano, specificatamen-te tecnici – piuttosto che di cultura (od anche in-teresse) generale – la cui spiegazione è proposta nella Terza Parte dell’opera, “Per approfondire un

poco di più”. Nella medesima sezione sono altresì illustrati concetti e termini che, sia pure non ci-tati in precedenza, sono comunque attinenti o correlati all’opera nel suo complesso. Per i misteri della lingua giapponese [si veda

anche la voce “GIAPPONESE”, nella Terza Parte dell’opera] e della traslitterazione nel nostro i-dioma, potrebbe accadere di trovare grafie non identiche per i medesimi termini: le sillabe che compongono questo linguaggio, infatti, possono essere separate, tutte unite, alcune unite ed al-tre no, unite da trattini. Ad esempio la “Cerimonia del Tè” si può trascrivere “Cha-no-yu” oppure “Chanoyu” ed anche “Cha no Yu”. Lo stesso vale in molti altri casi, ad esempio: “O Sensei” – “O-Sensei”, “Kara-te” – “Karate” “Tan-to” – “Tanto”. Lo stesso dicasi per “Shiho Nage” – “Shi-ho Nage” – “Shi-ho-nage” – “Shi Ho Nage” – “Shihonage”, “Kata Te Tori” – “Katate Tori” – “Katate-tori” e così via. Pure lo stesso Aikidō si può trovare an-che nelle forme “Aiki-dō” – “Aiki Dō” – “Ai Ki Dō”. Ho cercato, nei limiti del possibile (e miei propri!), di mantenere un’identica grafia per i medesimi termini Un’ultima considerazione (e non per importan-

za!), legata proprio alla traslitterazione. Sono e-lencati numerosi lemmi dal molteplice significato. Questo perché la medesima pronuncia – quindi, per noi, un’identica scrittura “romanizzata” – ac-comuna ideogrammi che hanno significato anche molto diverso tra loro.

Dopo anni di allenamento e disciplina, uno deve dimenticare tutto quello che ha imparato. Lasciati andare e le tecniche verranno a te liberamente.

Yagyu Tajima-no-Kami Munenori (1571-1647) Samurai, Maestro Zen e di Ken-jutsu, nell’opera Hei-Ho-Kaden-Sho.

L’ Aikidō è l’Arte della difesa, indicata ai più deboli, ai più fragili, perché sfrutta la forza, l’energia dell’avversario

(…) ed aiuta tutte le persone, perché infonde sicurezza ed equilibrio. Wakabayashi Keiko

Allieva di Ueshiba Kisshomaru; Maestra di Aikidō, Ju-jutsu, spada, lancia, bastone.

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- A -

ABASHIRI. – Città nel nord dell’isola di Hokkai-do. Vi è sepolto TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI ed è sede della Palestra Centrale (HONBU DOJO) del DAITO RYU AIKI-JUTSU, il DAI-TOKAN. ABE. – Antica e potente Famiglia di FUDAI-DAIMYO originaria di Mikawa. Il capostipite è Ma-sakatsu (1541-1600), vassallo di TOKUGAWA IEYA-SU. Nel 1710 la rendita del ramo principale del Clan, il cui feudo (HAN) è a Fukuyama, ammonta a 110.000 KOKU di riso; il ramo cadetto, residente a Shirakawa, ha una rendita di 100.000 KOKU. ABE RYU. – È la scuola di KENDO tradizionale più antica ancora in attività. Le sue tecniche discen-dono direttamente dal KEN-JUTSU praticato, an-cora nel secolo XVII, dal Clan ABE. Anche ABE TATE RYU. ABE SEISEKI – (1915-…) Maestro di SHODO ed allievo di UESHIBA MORIHEI cui, negli ultimi anni di vita del Fondatore insegna l’Arte della Calligrafia. Da O-SENSEI ottiene, verbalmente, il 10° DAN. ABE TADASHI. – (1920-1984) UCHI DESHI di O-SENSEI. Nella seconda metà degli anni ’50 abita in Francia ed introduce l’AIKIDŌ in Europa. ABE TATE RYU. – Si veda ABE RYU. ABE-NO-NAKAMARO. – Uno dei 36 celebri po-eti dell’antichità. Nel 716 è inviato in Cina per scoprire i segreti del calendario lì in uso, ma, vit-tima di un naufragio sulla via del ritorno, non rie-sce a tornare in Giappone. Muore nel 770, mentre è al servizio dell’Imperatore cinese (Dinastia Tang). ABE-NO-SADATO. – (1019-1062) Guerriero famoso soprattutto per la statura: a 33 anni, si dice, è alto 2 metri e 50 centimetri! Combatte sotto Minamoto-no-Yoriyoshi contro l’imperatore Go-Reizei (1045 - 1068) e trova la morte nella battaglia di Tori-umi. ABE-NO-SEIMEI. – (…-1005) Eroe-mago della mitologia giapponese, dotato di poteri sovranna-turali; è anche un celebre astrologo e guaritore alla Corte imperiale. Discendente di ABE-NO-NAKAMARO, è figlio del poeta ABE-NO-YASUNA e della donna-volpe Kozu-noha. ABE-NO-YASUNA. – Eroe-poeta della mitologia giapponese. Un giorno, mentre passeggia nel giar-dino di un tempio, declamando poesie, salva una volpe bianca, braccata da un gruppo di nobili, na-scondendola tra le pieghe del KIMONO. Dopo un

anno ABE-NO-YASUNA s’innamora di Kozunoha, una bellissima donna, che gli da un figlio, ABE-NO-SEIMEI, ma muore subito dopo. Tre giorni più tar-di, Kozunoha gli appare in sogno e lo consola, di-cendogli di non piangerla, perchè è la volpe da lui salvata. ABUMI. – “Staffa”. È di forma caratteristica, normalmente realizzata in legno con struttura metallica o totalmente in ferro, laccata e intar-siata d’argento. Prima del IV secolo è chiusa, a forma di scarpa; in seguito, fino alla fine del Pe-riodo EDO (o TOKUGAWA, 1603-1867), è costituita da un largo predellino, su cui poggia tutto il piede, con forma simile al profilo di un cigno. Talvolta un foro svolge le funzioni di YARI-ATE. ABURA-NO-KO-JI. – Famiglia di Nobili di Corte (KUGE), discendenti dai FUJIWARA. AGATA. – Divinità con tempio ad U-ji: è invocata per la guarigione dalle malattie veneree. AGE. – “Sollevare”. Significa anche “dal basso in alto”. AGURA. – “Sedere” in maniera non protocollare, con le gambe incrociate oppure distese davanti. Il modo formale di sedere è in SEIZA. AGURA-SO-KATSU. – “Procedimento seduto”. Tecnica integrale di rianimazione (SO-KUATSU), che si applica al soggetto in posizione seduta. AI. – Il carattere significa “unione”, “armonia” ed anche “incontrare”, “essere in armonia”. È parola che compare, da sola o composta, in molti termini tecnici dell’AIKIDŌ, oltre che nel nome stesso del-la Disciplina, ed esprime un concetto che fa parte della cultura e della filosofia giapponese. È la forza vitale che governa l’universo e che lo man-tiene in armonia, secondo movimenti sempre cir-colari, mai attraverso linee rette. Negli ultimi an-ni, UESHIBA MORIHEI usa questo termine sia per “armonia” sia per “amore”.

– “Amore”. Stessa pronuncia, diverso ideo-gramma.

– “Simmetrico”, “uguale”. AI HANMI. – “Posizione simmetrica”. È una delle posizioni reciproche iniziali: TORI ed AITE sono in posizione simmetrica, entrambi con il medesimo piede avanzato (destro o sinistro per ambedue). La posizione “speculare” è detta GYAKU HANMI. AI KAMAE. – “Guardia uguale”. “Posizione di combattimento”. Posizione naturale di guardia. Prima di eseguire una tecnica, TORI e per AITE hanno la medesima posizione: uno di fronte all’al-

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tro, un piede avanti (destro, MIGI; sinistro, HIDA-RI), il medesimo, per entrambi. Anche AI-GAMAE. AI UCHI. – Indica un’azione simultanea. Due combattenti, nel medesimo tempo, eseguono si-multaneamente la stessa tecnica. AI-GAMAE. – Si veda AI KAMAE. AIIRE. – “Finestra”. AIIRE-SO-KUATSU. – È un KUATSU ad azione globale, che richiede l’intervento di due operato-ri, praticato su di un paziente sdraiato supino. [si veda SO-KUATSU]. AIKI. – “Armonia del KI”. “Unione degli spiriti”. È uno dei più importanti “fattori interni” dell’AIKIDŌ, unitamente a KI-NO-NAGARE, KI-NO-MUSUBI (che gli assomiglia) e KOKYU HO. AIKI è l’espressione statica del KIAI: tutta la for-za, l’ENERGIA, è concentrata nell’HARA, lo spirito è quindi libero e in guardia. AIKI è l’attitudine, morale e spirituale, acquisita con l’allenamento, che consente di vincere prima di (e senza) combattere. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, uno dei Maestri di UESHIBA MORIHEI, gli dice: «Se c’è una qualsiasi riserva, una piccola esitazione, anche un abile praticante può essere sconfitto. Ascolta il suono senza suono, guarda la forma senza for-ma. Con un’occhiata controlla l’avversario e ottieni la vittoria senza combattimento. Questo è il si-gnificato interno dell’Aiki». Per realizzare l’AIKI, vale a dire l’unione (AI) di tutto quanto costituisce l’energia vitale (KI) in un individuo, occorre praticare le tecniche per armo-nizzare CORPO, mente e spirito.

– È il contegno, fisico e morale, che rispec-chia l’unità di corpo, mente, spirito e, con questo significato, è termine d’uso antico nelle Arti Mar-ziali. AIKI BUDO. – Denominazione usata da UESHIBA MORIHEI, dal 1932 al 1942, per la sua Arte. È il periodo dell’AIKIDŌ “duro”, aggressivo, caratte-rizzato da forza muscolare, tecniche penetranti, ATEMI sui punti vitali. Le proiezioni sono secche e violente, leve e trazioni lussano e disarticolano. Lo studio è concentrato, per quanto riguarda le armi, su SPADA, LANCIA e BAIONETTA. Le sfide di prati-canti d’altre Arti Marziali sono continue, seppure non rivolte mai – per timore della sua reputazione – ad O-SENSEI, ma ai suoi assistenti. Le tecniche insegnate da UESHIBA MORIHEI in questo periodo sono ben evidenziate nei manuali BUDO RENSHU, del 1933 (211 tecniche, con tavole

disegnate da Kunigoshi Takako), e BUDO, pubblica-to nel 1938 (50 tecniche, 119 fotografie). Prima del 1942, tuttavia, il metodo di UESHIBA MORIHEI è conosciuto anche con altri nomi: Kobu-kan Aiki-budo, Ueshiba Ryu Ju-jutsu, Tenshin Ai-ki-budo. AIKI KAISO. – “Il Fondatore” dell’AIKIDŌ, UE-SHIBA MORIHEI. AIKI NAGE. – “Proiezione AIKI”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). TORI proietta AITE dopo aver unito l’energia di entrambi. AIKI OTOSHI. – “Caduta AIKI”. La caduta di AI-TE è laterale. AIKI UNDO. – È l’insieme degli esercizi fisici specializzati preparatori dell’AIKIDŌ. Si veda AI-KITAISO. AIKIDŌ. – “La Via dell’Armonia”. È il cammino (DO) per giungere ad armonizzare (AI) la propria energia vitale (KI) con quella cosmica. “Via dell’ar-monia con l’universo”. È la Via per l’AIKI. Per come la conosciamo e come universalmente praticata, è un’ARTE MARZIALE appartenente al BUDO moderno, sviluppata dal MAESTRO UESHIBA MORIHEI (1881-1969) all’inizio degli anni Venti del 1900. Il primo DOJO a Tokyo (di 80 TATAMI), a-perto nell’aprile 1931, è il KOBUKAN, dove O-SENSEI insegna la sua Arte Marziale, ancora AIKI BUDO, e la propria filosofia di vita. Nel 1942 l’AIKI BUDO è riconosciuto dal DAI NI-HON BUTOKUKAI (“Associazione per lo Sviluppo delle Virtù Marziali del grande Giappone”) quale forma di moderno JU-JUTSU, unendosi così a JU-DO, KENDO, KYUDO ed alle altre Arti Marziali mo-derne. Questo data è presa come quella ufficiale di inizio dell’AIKIDŌ contemporaneo, anche perché lo stesso AIKI KAISO così decide di chiamare la sua Arte [si veda alla fine della presente voce]. Nel 1945 nasce l’Associazione AIKIKAI, che pren-de questo nome nel febbraio del 1948, dopo il pe-riodo di bando delle Arti Marziali imposto dalle forze militari d’occupazione. L’AIKIDŌ è una Disciplina Marziale a pieno titolo, ispirata com’è non solo a JU-JUTSU (flessibilità), KEN-JUTSU (spostamenti, TAI SABAKI, e tecniche di scherma), SO-JUTSU (“Arte dell’IRIMI”), ed AI-KI-JUTSU e JU-JUTSU (numerose tecniche di base, leve e proiezioni), ma anche allo JO-JUTSU. In più, è del tutto evidente la dimensione spirituale dell’AIKIDŌ, che si propone come una visione della vita basata sull’AIKI e sull’armonia con il creato. Tale dimensione deriva dalla ricerca personale, religiosa e filosofica, del Fondatore, di volta in

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volta seguace o studioso di SHINTO, Buddismo ZEN e SHINGON, OMOTO-KYO. Due, comunque, sono gli elementi distintivi dell’AIKIDŌ, rispetto a tutte le altre Arti e Discipline Marziali ed alle attività sportive: 1. le tecniche non sono legate a forme o regole rigide, ma sono mutevoli perché “vive”, nel senso che vivono con il praticante e cambiano con la sua maturazione spirituale e fisica; ① 2. non esistono competizioni. L’AIKIDŌ è anche diventato un metodo di autodi-fesa, soprattutto a mani nude, contro uno o più avversari, armati o meno, metodo che utilizza il KIME d’antica memoria, un TAI SABAKI perfeziona-to, la conoscenza dell’anatomia umana e la rapidità nell’esecuzione delle tecniche. La profonda religiosità del Maestro UESHIBA MO-RIHEI si esprime anche nella sua Disciplina: egli, infatti, vuole che il praticante si armonizzi non solo nel DOJO, con il compagno d’allenamento, ma anche con l’intero universo, nella sua vita quoti-diana. Per far questo, e necessario “ricondurre l’uomo alla Via della Spada” (KUATSU-JIN-KEN), purifican-do l’essenza profonda degli esseri umani da tutto quello che contrasta con il principio ed il concetto di AI: l’egoismo, l’odio, il “volere”. L’armonia dell’AIKIDŌ, inoltre, è anche quella tra KI, il “soffio vitale” e TAI, il “corpo”, con la natura, oltre a quella – simbolizzata nel DO – tra SHIN, l’”anima”, lo “spirito” e RI, la “morale”. In altre pa-role, l’AIKIDŌ è la Via da percorrere per giungere alla perfezione, al SATORI: uno spirito purificato unito ad un corpo tonico e morbido. Per O-SENSEI, solo chi percepisce e realizza con amore l’armonia universale può giungere alla per-fezione, alla libertà, all’illuminazione. È solo il continuo allenamento (TANREN) – attra-verso la conoscenza ed il progresso fisico, spiri-tuale, psichico e morale – che riesce ad educare al mutuo rispetto e consente di raggiungere la tota-le coordinazione fra mente e corpo, senza che in-tervenga il pensiero cosciente (HISHIRYO). Solo così, con lo spirito svuotato dalle preoccupa-zioni materiali, è possibile trovare un perfetto

① Quando il O-SENSEI sostiene che «L’Aikidō non ha tecniche», è perché i movimenti sono radicati nei prin-cipi naturali, non in forme rigide o astratte. Non solo: il cuore dell’Aikidō è nella meditazione, non nelle tecni-che; senza serenità e tranquillità interiori non è possi-bile praticare correttamente.

equilibrio e giungere ad uno stato di vigilanza permanente ed intuizione immediata (SEN-NO-SEN). Coordinamento totale, equilibrio, SEN-NO-SEN, HI-SHIRYO: la fusione di questi elementi da luogo alla perfetta esecuzione delle tecniche sul TATAMI ed al pieno controllo di noi stessi, delle nostre azioni, dell’ambiente che ci circonda nella vita quotidiana. Le tecniche, in AIKIDŌ, consistono nella corretta e armonica applicazione di tutto ciò che concorre a rendere inoffensivo un ATTACCO, ma la loro ese-cuzione non è lo scopo della pratica dell’AIKIDŌ, perché esse sono soltanto uno strumento, un mezzo. Sono il mezzo che consente all’AIKIDOKA di scio-gliersi della rigidità psicofisica e di respirare in sintonia con il movimento, correttamente e natu-ralmente; sono lo strumento per rilassare l’anima e focalizzare nel SEIKA TANDEN il proprio equili-brio. Equilibrato, centralizzato, rilassato, TORI control-la lo spazio che lo circonda, come fosse il centro di una sfera. Senza sforzo alcuno, può parare, schivare, anticipare gli attacchi di AITE, proiet-tandolo rapidamente (in circuiti verticali, orizzon-tali, obliqui, ma comunque circolari, dopo averlo sbilanciato ed attirato nel proprio centro), oppure bloccarlo a terra con efficaci leve articolari. I movimenti dell’AIKIDŌ sono sciolti, continui, normalmente ampi; non esistono vere parate di contrapposizione, ma solo spostamenti avvolgenti (“se ti spingono, ruota”, TENKAN) uniti a “entrate” risolute (“se ti tirano, entra”, IRIMI). Due sono le principali categorie di tecniche dell’AIKIDŌ, quelle di proiezioni dell’avversario (NAGE WAZA) e quelle di controllo o immobilizza-zioni (KATAME WAZA, OSAE WAZA), che si applicano sia contro prese di MANO (TE-HODOKI) sia contro colpi (ATEMI, TSUKI, GERI), tanto con ARMI quanto senza. I più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDŌ, i movimenti e le tecniche principali, rimaste inva-riate, sono: IRIMI, TENKAN, SHI HO NAGE e SUWARI IKKYO. I più importanti “fattori interni” sono: KO-KYU HO, KI-NO-NAGARE, KI-NO-MUSUBI e AIKI. Pare certo che, in origine, molti WAZA dell’AIKIDŌ siano stati dei KATA, delle forme di base del DAI-TO AIKIJUTSU, lo stile di AIKI-JUTSU codificato dal celebre MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU verso la fine del Periodo HEIAN, (794-1156). Una prima “versione” dell’AIKIDŌ, l’AIKI-JUTSU, risale al Pe-riodo KAMAKURA (1185-1392) ed è insegnata ad

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AIZU, ai SAMURAI del Clan TAKEDA, i quali perfe-zionano il metodo di combattimento individuando i KYUSHO (“punti vitali”) da colpire. Un buon AIKIDOKA dovrebbe quindi conoscere, ol-tre alle tecniche di proiezione e controllo, anche quelle per colpire i punti vitali (ATEMI WAZA) e per “disarticolare” (KANSETSU WAZA), quelle per strangolare (SHIME WAZA) e per lussare (ROFUSE). Inoltre, affinché la sua preparazione sia comple-ta, dovrebbe studiare AIKI-JO (tecniche pratica-te maneggiando il bastone medio), AIKI-KEN e AI-KI-TANTO (tecniche d’AIKIDŌ praticate con la spada e con il PUGNALE). Il termine AIKIDŌ è usato da UESHIBA MORIHEI, per la prima volta, nell’anno 1942, quando affer-ma: «Ho deciso di chiamare il nuovo Budo “Aiki-do”, da “ai”, armonia, che è uguale ad “ai”, amore, anche se la parola “aiki” rappresenta un concetto antico».① In Italia l’AIKIDŌ è introdotto nel 1946 dal pro-fessor Salvatore Mergè, che rientra dal Giappone dopo nove anni di missione diplomatica. Mergè, il-lustre orientalista, in Giappone ha studiato AIKI BUDO con UESHIBA MORIHEI alla fine degli anni Trenta. Grazie a lui, che insegna ad un primo, limi-tato gruppo di studenti, l’AIKIDŌ inizia a diffon-dersi. A sostenere lo sviluppo dell’AIKIDŌ giungo-no, nel 1959, Okamura Takao e Onoda Haruno, en-trambi studenti d’Arte e Cinture Nere (1° DAN). Nel medesimo anno, a San Remo, ha luogo il primo importante seminario di AIKIDŌ, condotto da ABE TADASHI e frequentato da molti JUDOKA. Dai pri-mi anni Sessanta in poi ai primi due “pionieri” giapponesi si affiancano (talvolta solo dirigendo stage, talaltra stabilendosi nel nostro Paese per periodi più o meno lunghi) altri nipponici: ABE TA-DASHI, Otani Ken, Kobayashi Hirokazu, Nakazono Mutsuro, Kawamukai Motokage, Mochizuki Mino-ru, Chiba Kazuo, Asai Katsuaki, Hosokawa Hideki,

① Ad onor del vero, occorre osservare che anche in al-tri Paesi esistono Discipline – talvolta antichissime, ta-laltra moderne – che si possono paragonare, se non so-vrapporre, all’Aikidō. Basti pensare al coreano HAPKIDO oppure al cinese Kam na sao, stile Hung gar. Inoltre, nello stesso Giappone esistono scuole che insegnano Ai-kidō da ben prima che O-Sensei formalizzi il suo stile. A mio avviso, uno tra i più grandi meriti di Ueshiba Mo-rihei è di aver intuito la possibilità di sviluppo autonomo per l’Aikidō. Come un sarto straordinario concepisce ed imbastisce un abito, che altri poi finiscono, lui ha “im-bastito” un’Arte che tutti noi possiamo rifinire ed ar-ricchire, sentendola nostra.

Tamura Nobuyoshi, Noro Masamichi, Tomita Ta-keji, Fujimoto Yoji,Tada Hiroshi②. Al 1968 risale la concessione delle prime Cinture Nere (1° DAN) ad allievi italiani. AIKIDŌ KYOGI. – “AIKIDŌ da competizione”. È un termine talvolta utilizzato in Giappone per in-dicare il TOMIKI AIKIDŌ, come anche RAN DORI AIKIDŌ. AIKIDOGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nella pratica dell’AIKIDŌ”. Di norma consiste in un KEIKOGI per i primi sei gradi inferiori (KYU), cui s’aggiunge un’HAKAMA nera per le cinture nere, i DAN, i livelli superiori (in alcune Scuole, l’HAKAMA s’indossa dal 3° KYU). Gli istruttori possono avere nera tanto l’HAKAMA che il GI, mentre i Maestri, di solito, hanno tutto bianco. AIKIDOJO. – “Luogo d’allenamento” all’AIKIDŌ. È abbreviato in DOJO. AIKIDOKA. – “Chi pratica l’AIKIDŌ”. AIKIEN. – “La fattoria dell’Aiki”. Così UESHIBA MORIHEI chiama la sua proprietà ad IWAMA dove, negli anni della Seconda Guerra Mondiale coltiva la terra e perfeziona la sua Disciplina. AIKI-HO. – È una dottrina che enfatizza l’appli-cazione della non-resistenza. È adottata in alcune Scuole, tra cui lo YAGYU SHIN-KAGE RYU. AIKI-IN-YO. – È un metodo basato sull’armo-nizzazione ed il controllo della tecnica respirato-ria. AIKI-IN-YO-HO. – È la dottrina dell’armonia dello spirito, basata sui concetti di YIN e YANG [si veda la voce “OMMYODO”, nella Terza Parte] e ap-plicata all’INSEGNAMENTO delle Arti Marziali. Il primo ad elaborare questa dottrina è TAKEDA TA-KUMI-NO-KAMI SOEMON (1758-1853), di AIZU. AIKI-JO. – Tecniche d’AIKIDŌ praticate con il bastone (JO). AIKI-JUJUTSU. – È un termine usato per de-scrivere l’Arte insegnata da O-SENSEI dagli Anni Venti fino ai primi Anni ’30. Ancora oggi richiama alla mente le tecniche “du-re” di quel periodo, in contrasto con quelle dell’odierno AIKIDŌ, più “morbide”, “rotonde”. Indica altresì – in modo abbreviato e, soprattut-to, fuori dal Giappone – lo stile di combattimento messo a punto da TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, il DAITO RYU AIKI-JUTSU.

② È il Maestro Tada Hiroshi – vero pioniere dell’Aikidō in Italia – che a Roma inaugura dapprima (1966) un “Do-jo Centrale” e poi (1970) l’Istituto per la Cultura Tra-dizionale Giapponese – Aikikai d’Italia.

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AIKI-JUTSU. – Si può dire sia l’antenato “da combattimento” dell’AIKIDŌ. Risale al Periodo KA-MAKURA (1185-1392), quando è patrimonio della Famiglia TAKEDA, ad AIZU. Le tecniche utilizzate sono, in larga parte, praticate ancora oggi, seppu-re in modo molto diverso (non è più necessario uc-cidere l’avversario!). Ai NAGE WAZA e KATAME WA-ZA, si sommano perciò le tecniche per colpire i punti vitali (ATEMI WAZA), quelle per “disarticola-re” (KANSETSU WAZA), per strangolare (SHIME WA-ZA) e per lussare (ROFUSE). AIKIKAI. – La prima scuola ufficiale dell’AIKIDŌ. È avviata il 22 novembre 1945 a Tokiwa ed assu-me il nome nel 1948, stabilendo la sede a Waka-matsu-cho, Tokyo, dove ancora si trova la “Pale-stra Centrale” (HONBU DOJO). Oltre 2.000 DOJO di tutto il mondo, attualmente, aderiscono a que-sta Organizzazione, guidata dal 3° DOSHU, UESHI-BA MORITERU. AIKI-KEN. – Tecniche d’AIKIDŌ praticate con la spada (KEN). Normalmente si utilizza il BOKKEN. Le tecniche di AIKI-KEN sono state fortemente in-fluenzate dalla scherma con la spada del KASHIMA SHINTO RYU. AIKI-KUATSU. – Tecnica di assistenza respira-toria (a bocca a bocca), che fa parte della serie di KUATSU respiratori (HAI-KUATSU) con percussioni riflessogene. AIKI-NO-SEN. – “Opportunità”. AIKITAISO. – È parola composta da AIKI (“unio-ne dell’energia”) e TAI (“corpo”). Indica l’insieme degli esercizi fisici specializzati, preparatori, dell’AIKIDŌ. Consiste in movimenti compiuti da soli (TANDOKU DOSA) o in coppia (SOTAI DOSA), basati sulla concentrazione e, soprattutto, sulla respira-zione controllata (KOKYU). I movimenti servono ad armonizzare corpo e spirito e per apprendere i principi dell’AIKIDŌ. Anche AIKI UNDO. AIKI-TANTO. – Tecniche d’AIKIDŌ praticate con il COLTELLO (TAN-TO). AIKUCHI. – Coltello-pugnale. Ha LAMA quasi di-ritta di lunghezza media (20-28 cm) a TAGLIO sin-golo. Il nome significa “simpatico compagno”, ma si può tradurre anche “a bocca a bocca” o “incon-tra l’imboccatura”. Non ha ELSO (TSUBA), e non rientra nella classe TAN-TO. Il nome deriva pro-prio dalla mancanza di elso: la fascia inferiore dell’IMPUGNATURA è a diretto contatto con l’imboccatura del fodero. Inizialmente è usato da chi – uomo anziano o eremita – non porta più la spada, ma non vuole trovarsi disarmato. Durante lo SHOGUNATO TOKUGAWA (1603-1867) l’AIKUCHI

simboleggia uno stato sociale elevato: ha impugna-tura di lacca, fodero munito di KOZUKA e KOGAI, fornimenti d’oro, argento, rame o leghe e lama non più lunga di 18-20 cm. Quando è utilizzato per il suicidio rituale (SEPPUKU), soprattutto dalle Da-me della Corte imperiale, l’AIKUCHI ha impugnatu-ra in legno bianco e fodero di legno. In preceden-za era noto come kusungobu, termine indicante lo 0,95 del piede giapponese (pari a circa 27 cm, ap-prossimativa misura iniziale della lama). AI-MI MINAMOTO-NO-TAKE-KUNI. – Famo-so pittore del secolo XIX. AINU. – Popolazione paleoasiatica, di tipo paleo-europide, aborigena del GIAPPONE. Oggi è stanzia-ta nelle isole settentrionali dell’Arcipelago Giap-ponese (Hokkaido) e nell’Isola di Sakhalin. Gli AI-NU, ridotti oggi a meno di 15.000 individui, sono dediti all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, pra-ticano la scultura in legno e la tessitura. Le strut-ture di parentela sono matrilineari; la religione si fonda sull’adorazione delle divinità naturali (Sole e Luna, ma anche il vento e l’oceano) e sul totemi-smo (culto dell’inao – sorta di bastone sacro, lungo da 50 a 75 cm., infisso nel terreno di luoghi con-siderati sacri – e dell’orso). Per i Giapponesi, gli AINU sono BARBARI (ebisu). AI-NUKE. – Situazione di “stallo”. Si riscontra quando due combattenti, avendo armonizzato i propri KI, non possono più affrontarsi. L’unione dei KI può essere raggiunta sia prima sia durante lo scontro, ma da quel momento in poi non può es-serci né vincitore né vinto: combattere diventa inutile. AIO RYU. – Antica (1600) scuola d’Arti Marziali. Oltre che KEN-JUTSU, insegna tecniche di JU-JUTSU fuse con lo YARI-JUTSU (scherma con la lancia). È ancora attiva. AITE. – “Colui che spezza l’armonia”. Nell’AIKIDŌ è il compagno d’allenamento. In altre Discipline o Arti Marziali può indicare una posizione o un at-teggiamento. AIZU. – Clan guerriero dell’isola Honshu. È anche il nome del relativo feudo e della Provincia coinci-dente. Oggi la zona è nella Prefettura di Fuku-shima. AIZU IKO. – (1452-1538) Celebre spadaccino. È il fondatore della scuola AIZU KAGE RYU di scher-ma con la spada, KEN-JUTSU. AIZU KAGE RYU. – Con questo nome è anche co-nosciuta la scuola KAGE RYU di KEN-JUTSU, fondata da AIZU IKO.

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AIZU-TODOME. – Tecniche segrete della Fami-glia TAKEDA. Sviluppate nell’ambito del DAITO AI-KIJUTSU, prendono questo nome quando TAKEDA Kunitsugu si trasferisce ad AIZU, nel 1574. sono conosciute anche come OSHIKI-UCHI ed anche ODOME. AKA. – “Rosso”. È sconsigliato scrivere ad un Giapponese utilizzando inchiostro rosso, per ra-gioni sia d’educazione (si legge male) sia scara-mantiche (porta male). AKA-HA-NI GENZO. – Uno dei “QUARANTASET-TE RONIN“ [si veda la relativa voce, nella Terza Parte]. AKA-MASA. – Celebre scultore, vissuto tra la fine del secolo XVII e l’inizio del XVIII. È noto soprattutto per le sue piccole maschere di legno. AKA-NO-ZI-TEI. – Artista del secolo XIX, ce-lebre per le decorazioni “cloisonné” su porcellana. AKATSUKI. – “Tramonto”. Classe di navi della Seconda Guerra Mondiale. Da sempre i mezzi militari – categorie di mezzi terrestri, modelli di velivoli, navi e intere classi di queste – giapponesi, così come avviene in molte al-tre Nazioni, prendono il nome di città, località, regioni del Paese, oppure quello di personaggi fa-mosi od eroi nazionali, oppure hanno pseudonimi poetici, da KONGO ad ARASHI, da ZUIUN a SAIUN ad OKHA e così via. Anche i nemici del momento usano nomignoli per identificare i mezzi avversari, quasi sempre nella propria lingua, talvolta in quella della controparte, come ad esempio BAKA, nome in codi-ce alleato per OKHA.

– Importante Famiglia Militare (BUKE), al cui nome è intitolata una classe di navi della Seconda Guerra Mondiale. AKINDO. – “Mercante”. Anche SHO. AKIRESUKEN. – “Tendine d’Achille”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. AKIYAMA SHINOBU. – Medico di Nagasaki (per altre fonti: SHIROBEI). Si reca in Cina per stu-diare medicina cinese ed agopuntura e lì apprende anche l’HAKUDA (cioè il KEMPO), ed il KAPPO. Torna-to in patria, si mette ad insegnare ciò che ha im-parato: contro le malattie utilizza rimedi eccezio-nali, nella lotta s’affida alla forza. Purtroppo, i suoi rimedi risultano inefficaci contro malattie molto sottili o virulente e le sue tecniche si rive-lano inadeguate di fronte ad avversari molto for-ti: i suoi allievi l’abbandonano, uno ad uno. Scoraggiato, AKIYAMA SHINOBU si ritira in un tempio, per riflettere sul suo metodo ed i suoi principi, soprattutto quello che oppone la forza

alla forza, dato che c’è sempre una forza maggio-re, contro cui non è possibile vincere. Secondo la tradizione, passeggiando, d’inverno, nel giardino del tempio, ode il rumore di un ramo di ciliegio che si spezza, stroncato dalla neve accumulata. Sulla riva di un laghetto, invece, osserva i flessi-bili rami di un salice piegarsi, sotto il peso della neve, finché questa cade a terra mentre i rami, intatti, tornano a drizzarsi. È l’ispirazione che cerca, la risposta ai suoi dubbi: solo chi si piega può raddrizzarsi, la rigidità porta alla morte, mentre conduce alla vita la flessibilità (l’adatta-bilità). Riformulato il suo metodo d’insegnamento, nel 1732 AKIYAMA SHINOBU fonda lo YOSHIN RYU, “scuola del Cuore di Salice”, di JU-JUTSU e KEN-JUTSU. Si dice inventi oltre 300 tecniche di JU-JUTSU che, poi, ispirano KANO JIGORO quando, do-po aver frequentato lo YOSHIN RYU, dà origine al moderno JUDO. AKO-GISHI. – “Storia dei Valorosi di Ako”. Così, in Giappone, è ricordata l’epopea dei “Quaranta-sette Ronin”, che nel teatro KABUKI viene rappre-sentata col titolo CHUSHINGURA. AKUBO. – Figura del teatro NŌ: è un sacerdote malvagio, con lunga barba incolta, armato di NAGI-NATA. AKUMA. – Leggendario spirito maligno, con occhi di fiamma in una enorme testa; porta una spada. AKUTO. – Gruppi di predoni. Imperversano, so-prattutto, nel Periodo KAMAKURA (1185-1333). AMADO. – “Porte per la pioggia”. Sono i pannelli con cui si chiude, in caso di maltempo, la veranda (ENGAWA) che circonda la casa tradizionale. AMAKUNI. – È il primo armaiolo il cui nome sia certamente registrato. Attivo nella provincia di YAMATO nel 701 d.C. circa, gli si attribuisce il me-rito di aver forgiato lame d’alta qualità, prototipi delle spade d’epoca successiva. AMA-NO-MURAKUMO-NO-TSURUGI. – È la Spada Sacra, la “Spada che Taglia l’Erba”, trovata da SUSA-NO-WO nella coda del serpente (o drago) con otto teste e otto code da lui ucciso ad Izumo. Rappresenta, unitamente alla Collana Sacra ed al-lo Specchio Sacro, i tre emblemi divini del potere imperiale. [si veda anche la voce “Shintoismo. L’o-rigine del Giappone nella mitologia shintoista”, nella Terza Parte]. AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI. – (anche Ama-terasu Omikami) “Grande augusta dea che illumina il (o “che brilla nel”) Cielo”; “grande dea che ri-splende nel Cielo”. È la dea del sole, una delle più importanti divinità della mitologia shintoista. Fi-

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glia d’IZANAGI-NO-MIKOTO, è la progenitrice della Dinastia imperiale giapponese, com’è narrato nel KOJIKI (“Memoria degli Antichi Fatti”). [si veda anche la voce “Shintoismo. L’origine del Giappone nella mitologia shintoista”, nella Terza Parte]. AME-NO-MINAKA-NUSHI. – È il Creatore dell’Universo, la Parola Suprema al centro della pulsazione cosmica. È una divinità (o Dio stesso?) che UESHIBA MORIHEI venera ed onora: concepita come esistente “qui dentro” di noi e non “là fuori” (Paradiso o NIRVANA che sia); è la sacra fiamma che arde nel nostro corpo. AMIDA. – Nome di una delle manifestazioni del Buddha, quella che accoglie le anime dei fedeli nel Paradiso dell’Occidente, “la Terra di Purezza” (JODO). Una forma semplificata di Buddismo, dif-fusasi fin dal secolo X, che consiste nella pietisti-ca credenza in AMIDA, prende il nome di AMIDI-SMO. Invocandolo, i fedeli usano ripetere, come un MANTRA: «Namu Amida Butsu», “sia lode al Bud-dha Amida”, abbreviando in NEMBUTSU. AMON. – “Cranio”. AMON-KUATSU. – Massaggio ANTALGICO crani-co. Tecnica di rianimazione che fa parte della se-rie di KUATSU particolari: percussioni riflessogene adatte per traumi cranico-cervicali e per le cefa-lee. Si attuano per regolare turbe neuro-vegetative, sollevare da stati sincopali e migliora-re la funzionalità dopo la rianimazione. ANA-TSURUSHI. – “Forca e fossa”. È un altro dei supplizi che la fantasia orientale applica ai Cristiani perseguitati, all’inizio dello shogunato TOKUGAWA (1603-1867), sotto TOKUGAWA IEMI-TSU, verso il 1633. Consiste nell’appendere il sup-pliziando per i piedi, tenendogli testa e busto in una buca riempita di immondizie, fino alla sua morte. ANAZAWA RYU. – Scuola tradizionale di scher-ma con NAGINATA (NAGINATA-JUTSU). La sua fon-dazione risale al secolo XVII e, inizialmente, è destinata ad allenare le donne delle Famiglie mili-tari: in caso d’attacco, saper usare la NAGINATA è essenziale per proteggere l’onore e la vita. È an-cora attiva. ANSHA. – “Generosità”. È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHIDO]. ANZAWA HEIJIRO. – (1887-1970) Maestro di KYUDO. È tra gli ultimi grandi Maestri di questa Disciplina: ne ravviva la pratica in Patria e contri-buisce a farla conoscere fuori del Giappone, viag-giando e soggiornando all’estero. Scrive il Dai-

sha-do, “La Grande Dottrina del Tiro con l’Arco”, riportando l’insegnamento del Maestro AWA KEN-ZO, di cui è allievo. AOIRO. – “Blu”. ARAKI MATAEMON MINAMOTO-NO-HIDETSUNA. – (1584-1638) Maestro di KEN-JUTSU. Appartiene alla Famiglia Matsudaira, di Echizen, ed è soprannominato Mujinsai. Prima di fondare la sua scuola, l’ARAKI RYU, ARAKI MATAE-MON MINAMOTO-NO-HIDETSUNA studia le tecniche e gli stili della YAGYU SHIN-KAGE RYU e del MUSO JIKIDEN RYU. ARAKI RYU. – Scuola d’Arti Marziali fondata da ARAKI MATAEMON MINAMOTO-NO-HIDETSUNA ed ancora attiva, guidata da un Maestro della 18^ generazione. È inizialmente chiamata TORITE-KOGUSOKU (come lo stile insegnato nel TAKENOU-CHI RYU), poi Moro Budo Araki-ryu-kempo. Nell’ARAKI RYU s’insegnano numerose Arti Marzia-li, sia con sia senz’armi: KENDO, TO-JUTSU o KEN-JUTSU (spade di vari tipi, NAGAMAKI, O-DACHI, KO-DACHI, BOKKEN, TAN-TO), KOGUSOKU-JUTSU o TORI-TE-KOGUSOKU, BO-JUTSU, KUSARIGAMA-JUTSU e CHIGIRIKI-JUTSU, JU-JUTSU. Nell’allenamento di KEN-JUTSU, inizialmente, si usano spade di legno, speso ricoperte di stoffa bianca (SHIROBO, “ba-stone bianco”). ARASHI. – “Tempesta”. ARASHIKO. – Si veda KOMONO. ARIMA SHINTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Arima Motonobu. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATO-RI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. È anco-ra attiva. ARISAKA NARIAKI. – (secolo XIX-XX) Colon-nello dell’Armata Imperiale, nella seconda metà del secolo XIX, elabora una famiglia di fucili – ba-sati sul sistema Maser – che, introdotti come or-dinanza all’inizio del secolo XX, sono utilizzati fi-no al termine della Seconda Guerra Mondiale e da lui prendono nome. ASA-GEIKO. – “Allenamento del Mattino”. Alle-namento (KEIKO) del BUDOKA, fatto di mattino presto, d’estate. Questo tipo d’allenamento com-pleta il KAN-GEIKO (l’invernale) e l’HATSU-GEIKO (fatto all’inizio dell’anno). ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI. - (1667-1701) È il DAIMYO la cui morte per SEPPUKU innesca quella che, poi, è ricordata coma la “Saga dei Quarantasette Ronin”. [si veda la relativa vo-ce, nella Terza Parte].

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ASAYAMA ICHIDEN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, IAI-JUTSU, KAMA-JUTSU, BO-JUTSU e TAI-JUTSU. Fondata, nel tardo Periodo MOMOYAMA (1573-1603), da Asayama Ichidensai Shigetatsu, è ancora attiva. ASHI. – “Piede”, “piedi”. “Gamba”.

– “Passo”; “avanzamento”. ASHI SABAKI. – Studio degli spostamenti di piedi e gambe. Fa parte dei TAI SABAKI. ASHIGARU. – “Piede leggero” o “dalle agili gam-be”. Fanteria leggera. Truppe contadine, all’inizio normalmente reclutate da capi guerrieri di non molta importanza per costituire contingenti di fanteria armata alla leggera. L’ASHIGARU è l’ante-signano del SAMURAI di basso livello. La seconda parte del Periodo MUROMACHI è cono-sciuta come SENGOKU JIDAI (“Era del Paese in guerra” o “Era della Guerra”, dal 1467 al 1568), perché caratterizzata da incessanti lotte per il potere fra i Signori locali. I DAIMYO hanno biso-gno del maggior numero possibile di combattenti, quindi ricorrono spesso all’impiego di truppe con-tadine, con il rischio tanto di diserzioni di massa (prima, durante o dopo la battaglia), quanto, al minimo, di lasciare le terre prive dell’indispensabile forza-lavoro. Il primo DAIMYO in grado di disciplinare i propri ASHIGARU, tra-sformandoli in una forza combattente disciplinata e fedele, è TAKEDA SHINGEN (1521-1573). Costui – famoso anche perché il suo nome è associato ad un tipo di TSUBA [si veda SHINGEN TSUBA] – riesce ad inculcare nei suoi CONTADINI armati il principio di fedeltà proprio dei SAMURAI; questi ultimi, in ogni caso, sono soggetti ad un diverso vincolo in quanto, spesso, vassalli feudali. Gli ASHIGARU sono tra i primi, unitamente agli ZUSA, ad utilizzare le armi da fuoco (TEPPO) sul campo di battaglia. ASHI-GATANA. – “Taglio del piede”. Piede usa-to come spada. Bordo esterno del piede. Pure SO-KUTO. ASHIKAGA. – Casata feudale: governa il Paese, con quindici SHOGUN, dal 1338 al 1573. Sono gli ASHIKAGA, per primi, a considerare lo shogunato come una carica ereditaria familiare e sotto il lo-ro dominio inizia a formarsi la casta di latifondisti feudali (i DAIMYO), mentre i SAMURAI diventano guerrieri professionisti. Il problema essenziale del Clan è lo scarso potere personale, quello basa-to sul possesso della terra: i pochi SHOEN (non più di trentacinque, nel secolo XV) rappresentano frazioni di Provincia, e nemmeno delle più ricche. A questo si aggiunge lo scarso peso militare [si

veda HOKOSHU], bilanciato però da un’accorta poli-tica d’alleanze.

– Indica il Periodo storico del Medioevo giap-ponese, che va dal 1336 al 1568 (e che si sovrap-pone parzialmente al Periodo MUROMACHI, 1392-1573), caratterizzato da instabilità politica e perdita di potere della Corte imperiale. Avveni-menti importanti sono: la fine della reggenza HO-JO; la fuga a Yoshino dell’imperatore GO-DAIGO, mentre un rivale occupa il trono a KYOTO, protet-to da ASHIKAGA TAKAUJI; le guerre continue tra la Corte Meridionale (Yoshino) e la Corte Setten-trionale (KYOTO). Questo è comunque uno dei pe-riodi più splendidi della cultura e dell’arte di ispi-razione ZEN del Giappone. È da questo Periodo che, per convenzione, inizia la vera epoca feudale del Giappone: i capi dei vari Clan si liberano quasi totalmente dalla tutela del potere centrale, cui devono, in pratica, un vassallaggio poco più che nominale. ASHIKAGA TAKAUJI. – È il primo degli SHOGUN ASHIKAGA. Dopo aver guidato le truppe fedeli all’imperatore GO-DAIGO nella riconquista del po-tere, contro i Reggenti HOJO, si ribella sia per le riforme dell’Imperatore (SHUGO rimpiazzati da cortigiani civili, titolo di SHOGUN attribuito al di lui figlio) sia per le scarse ricompense ottenute. Nel 1335 scaccia GO-DAIGO da KYOTO e mette al suo posto un altro membro della Famiglia imperia-le, ottenendone la nomina a SHOGUN (solo un Im-peratore può attribuire questo titolo). La guerra civile – nota come guerra Nambokucho – tra i due imperatori, l’uno che ha sede a Yoshino (la Corte Meridionale), l’altro che governa a KYOTO (la Cor-te Settentrionale), dura sessant’anni. ASHIKO. – “Ramponi” utilizzati soprattutto dai NINJA. Suole di metallo con quattro ganci: fissate alle calzature, facilitano i NINJA nelle loro ar-rampicate. ASHI-KUBI. – “Caviglia”. ASHINAKA. – “Sandali” di paglia per uso quoti-diano. ASHI-URA. – “Pianta del piede”. Pure TEISOKU. ASHI-ZOKU. – “Dorso” del piede. Pure HAISOKU. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. ASUKA. – Indica il Periodo storico dell’Età Anti-ca del Giappone, che va dal 525 al 645. È caratte-rizzato, tra l’altro, dall’introduzione del BUDDI-SMO, sotto l’influenza cinese e, soprattutto, core-ana e dalla sua affermazione come Religione di Stato. Al 645 risale la Riforma Taika: per conso-lidare il potere centrale (sul modello cinese), tut-

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te le terre diventano di proprietà dell’Imperatore, che le distribuisce alle famiglie in base al numero dei loro componenti. ATAMA. – “Testa”. Anche MEN, TSU, KASHIRA, TO. Durante il medioevo giapponese, spesso, la guerra si trasforma in una sorta di caccia alla testa. È prassi comune mozzare il capo degli sconfitti, uc-cisi in battaglia, suicidatisi dopo la cattura o sop-pressi se feriti: maggiore è il numero delle teste raccolte, maggiore è l’onore – e quasi sempre la ricompensa – che va al guerriero. Le teste mozza-te dei nemici d’alto rango, della cui identità il ge-nerale vincitore vuole personalmente assicurarsi, sono tenute in recipienti pieni di SAKÈ. ATE. – “Percossa”. Deriva da ATERU, “colpire”. ATEMI. – “Colpo al corpo”, da ATERU, “colpire” e MI, “corpo”. È la percossa inflitta con una qualsiasi parte del corpo umano: dita e mani (aperte o chiu-se a pugno); polsi, avambracci, gomiti e braccia; gambe, ginocchia, tibie e piedi; testa [si veda la voce “corpo” nella Terza Parte]. Obiettivo dell’ATEMI – soprattutto nell’antico BU-DO – è un KYUSHO, un “punto debole” (o “vitale”) del corpo dell’avversario, possibilmente scoperto, allo scopo di metterlo fuori combattimento (para-lisi da dolore e disorientamento; TRAUMA più o meno grave, con perdita di conoscenza o morte). Nell’AIKIDŌ, normalmente, gli ATEMI sono appena accennati o soppressi del tutto, per evitare sia ogni rischio e pericolo nei principianti, sia l’illu-sione – negli studenti avanzati – che un colpo ben portato possa sostituire la corrette esecuzione di una tecnica. Ciò non significa escluderne lo studio: quasi tutte le tecniche di AIKIDŌ prevedono l’A-TEMI [O-SENSEI, definendo la sua Disciplina, dice: «L’Aikidō è irimi e atemi»], da quello leggero, che – attraverso un improvviso dolore in un KYUSHO – interrompe la concentrazione dell’avversario e blocca la sua intenzione aggressiva, a quello che provoca uno svenimento. In ogni caso gli ATEMI – che normalmente si sferrano con il TE-GATANA (“taglio della mano”) – andrebbero studiati unita-mente alla traumatologia (SEI-FUKU-JUTSU), ai me-todi di rianimazione (KUATSU, KAPPO) e male certo non farebbe una buona conoscenza di anatomia (sistema nervoso centrale e periferico, soprat-tutto) e d’elementi di Medicina Tradizionale Cine-se, AGOPUNTURA o SHIATSU. L’ATEMI dell’AIKIDŌ, comunque, più che atto com-piuto, azione espressa, si può anche intendere come un valore potenziale: è una specie di avviso a chi, praticando, non collabora correttamente, una

sorta di “dissuasore”; vale a dire un evento che può verificarsi quando si cerca lo scontro e non l’armonia. ATEMI WAZA. – “Tecniche di percussione”. Fan-no parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere; si veda “ Antiche arti da guerra”). Queste tecniche, che sono antichissime, hanno come obiettivo, soprattutto, i KYUSHO, i “punti vitali” (o “deboli”) – che, se colpiti, mettono l’avversario fuori combattimento. Ogni praticante d’Arte Marziale (BUDOKA) che abbia raggiunto la qualifica di DANSHA (Cintura Nera), quindi, è indi-spensabile che conosca la dislocazione dei KYUSHO e possieda a nozioni d’anatomia e fisiologia (e, magari, rudimenti di Medicina Tradizionale…). Ciò, soprattutto, ad evitare incidenti nell’allenamento. ATERU. – “Colpire”. Etimologicamente, il verbo esprime l’idea di stimare con precisione la super-ficie di un campo, valutandola con esattezza. Per estensione, ATERU significa anche “collocarsi e-sattamente nel punto voluto” (al centro del ber-saglio, per esempio). All’idea di “stima”, “valuta-zione”, s’aggiunge la notazione di “successo”. ATO-NO-SAKI. – “Iniziativa difensiva”. Indica il concetto di movimento difensivo attuato non appena s’intuisce la volontà dell’avversario di at-taccare: bloccato l’attacco avversario, è possibile un immediato contrattacco. È questo il principio che UESHIBA MORIHEI mette alla base dell’AIKI-DŌ, in luogo del KOBO-ICHI (“unità in attacco e di-fesa”). Anche ATO-NO-SEN. Si dice anche GO-NO-SEN. ATO-NO-SEN. – Si veda ATO-NO-SAKI. ATSU. – “Premere”. AWA KENZO. – (1880-1939) Grande Maestro di KYUDO. AWASE. – “Movimento che armonizza”. Dal verbo AWASERU. Nell’AIKIDŌ è frequente l’uso di questo termine, che evoca la nozione di movimento armo-nico con il proprio partner; ad esempio: JO-NO-AWASE, KEN-NO-AWASE, KEN TAI JO-NO-AWASE, KI AWASE. AWASERU. – “Incontrare”, “armonizzare”, “me-scolare”. AYABE. – Città ad ovest di KYOTO. È il centro spirituale della religione OMOTO-KYO, fondata da DEGUCHI NAO e resa popolare da DEGUCHI ONISA-BURO.

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È anche sede del primo DOJO di UESHIBA MORI-HEI, dal 1921 al 1925, prima del trasferimento a Tokyo; qui insegna ai seguaci della religione. AYUMI ASHI. – “Passo alternato”. “Spostamento base” (TAI SABAKI). Si esegue, mantenendo la guardia, spostando per primo il piede arretrato, girato verso l’esterno del corpo, che supera l’altro e si punta. I piedi scivolano al suolo, senza mai sollevarsi. Può essere in avanti o indietro (ROPPO). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI-

TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). AYUMU. – “Camminare”. AZUMA KAGAMI. – “Lo Specchio della Terra O-rientale”. È una cronaca, completata nel 1270 cir-ca, composta soprattutto da rapporti sia ufficiali, del BAKUFU di KAMAKURA, sia di nobili. Dalla sua lettura si evince il contegno dei SAMURAI del tem-po, con la descrizione del loro comportamento ed il racconto di atti d’eroismo.

- B -

BA. – “Cavallo”; “equitazione” in senso lato. I ca-valli giapponesi, inizialmente, non sono ferrati ed abbisognano, quindi, di frequenti periodi di riposo. Nelle lunghe marce di trasferimento gli zoccoli sono avvolti in paglia, ad evitare inutili ferite. BAI. – “Susino”. Rappresenta il simbolo dell’amore.

– “Medico dei cavalli”. È una figura importan-te nel Giappone feudale, dove i cavalli sono ogget-to di cure ed attenzioni da parte dei guerrieri di professione, i BUSHI. BA-JUTSU. – “Equitazione militare”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere; si veda “ Antiche arti da guerra”). Il guerriero professionista di un tempo è, essenzialmente, un cavaliere; è quindi evidente l’importanza di saper governare il cavallo e com-battere contemporaneamente. Il BA-JUTSU è pra-ticato da tutte le Famiglie Militari (BUKE) – ognu-na con le proprie tecniche, il suo stile – e com-prende corsi completi di equitazione: il BUSHI im-para sia a condurre il cavallo guidandolo solo con la pressione delle gambe (le redini si fissano ad un anello dell’ARMATURA), sia ad impiegare tutte le armi del suo arsenale: arco lungo (YUMI), grandi spade (NO-DACHI, TACHI, NAGAMAKI), lance (YARI, nelle diverse varianti). Stabilmente e comodamen-te seduto in sella (di legno, ricoperta di cuoio o tessuto), i piedi ben piantati nelle larghe staffe (ABUMI), il SAMURAI impara a cavalcare perfetta-mente, con e senza armatura e addestra il cavallo

anche al salto di ostacoli e ad attraversare pro-fondi corsi d’acqua. Al secolo XV risale una tra le più antiche Scuole di BA-JUTSU, l’OTSUBO RYU, che utilizza lo YUMI e la NO-DACHI. BAKA. – “Pazzo”. Nome in codice alleato (Secon-da Guerra Mondiale) per OKHA. BAKUFU. – “Governo della Tenda”. È il nome con cui s’indica lo shogunato, il Governo militare dello SHOGUN, composto quasi per intero da guerrieri professionisti. Il primo BAKUFU risale al 1192, quando MINAMOTO-NO-YORITOMO si proclama SHOGUN e governa, formalmente, in nome dell’Im-peratore. Sono tre i BAKUFU nella STORIA del Giappone: lo shogunato di KAMAKURA (1185-1333), quello degli ASHIKAGA (1336-1573), lo shogunato dei TOKUGAWA (o di EDO, 1603-1868). BAKU-HAN. – Sistema di governo locale. Intro-dotto all’inizio dello shogunato TOKUGAWA (1603-1867), trasforma l’istituto dell’HAN, fondamen-talmente di tipo militare, in una sorta di “piccolo regno”, sulla falsariga del BAKUFU. Ogni DAIMYO è spinto a rendere prospero il proprio feudo, ricor-rendo possibilmente all’autarchia. BANKOKU-CHOKI. – Antica ARMA, utilizzata per infliggere ATEMI mortali, di cui si ha notizia nei primi anni del 1600. È un anello piatto, talvolta munito di aculei e rientra nel gruppo delle KAKU-SHI, le “armi nascoste”, facilmente occultabili tra gli abiti. Difficilmente un BUSHI utilizza armi di questo genere, considerate poco “onorevoli” e quindi adatte solo al popolo, ai NINJA, ai briganti. Una scuola, la NAGAO RYU, risalente al secolo XVII, insegna l’uso del BANKOKU-CHOKI (KAKUSHI-JUTSU).

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BANSENSHUKAI. – “Cento, mille Fiumi”. È un trattato del 1676 sul NINJUTSU, di cui descrive gli aspetti psicofisici. Dell’autore si conosce il nome, Fujibayashi, e si sa che appartiene al TOGA-KURE RYU, nella provincia di Iga. BANSHO SHIRABESHO. – “Istituto per lo Stu-dio dei Libri dei barbari”. È il maggior centro di formazione per insegnanti giapponesi, aperto nel 1857. Compito peculiare degli studiosi è di cono-scere e far conoscere la tecnologia – soprattutto militare – degli Occidentali. BANZAI. – “Lunga vita”. Grido di esultanza, so-prattutto rivolto all’Imperatore; più compiuta-mente, si dovrebbe dire TENNO HEIKA BANZAI “lunga vita all’Imperatore”. BARAI. – Suffisso per “spazzata” (HARAI). BASAMI. – Suffisso per “forbici” (HASAMI). BASHO. – “Banano”.

– Pseudonimo di MATSUO MUNEFUSA. [si veda]. BATTO. – “Lama nuda”. “Disegno con la spada” o “disegnare con la spada”. BATTO-JUTSU. – Con questo nome, anticamen-te, è anche indicato lo IAI-JUTSU. È uno stile di combattimento con la spada che si fa risalire a Yamamoto Hisaya Masakatsu (1550 circa) e HA-YASHIZAKI JINSUE SHIGENOBU, detto JINNOSUKE (1560 circa) ed alle loro Scuole il KAGE RYU e l’JINNOSUKE RYU. Pare che HAYASHIZAKI SHIGE-NOBU, guerriero del secolo XVII, riporti in auge questo sistema. Lo stile cura molto la velocità dell’azione e la precisione del colpo: uno solo, pe-netrante, letale. BE. – “Uomini di un’arte”. Gruppi di lavoratori o di ARTIGIANI. Al disotto degli aristocratici UJI, sono raggruppati non per ereditarietà, ma occupazione e per luogo di residenza. La maggior parte di loro è contadina. BENKEI. – Leggendario monaco del secolo XII. La tradizione vuole che questo religioso, esperto di BO-JUTSU e abile combattente, affronti con un BO rivestito di ferro MINAMOTO-NO-YOSHITSUNE, fratello minore di MINAMOTO-NO-YORITOMO, an-cora non investito della carica di SHOGUN; scon-fitto, ne diventi quindi fidato consigliere. Pare che MINAMOTO-NO-YOSHITSUNE, per parare i suoi colpi utilizzi, un semplice VENTAGLIO di ferro.

– “Stinco interno”. BISEN-TO. – Arma in asta. È simile alla NAGINA-TA, ma la lama è più somigliante ad una falce, cor-ta e spessa. D’uso comune fra contadini, è anche arma dei NINJA.

BITEI. – “Coccige”. Punto del coccige e dei bordi laterali dell’osso sacro. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. BIWA. – Strumento a corda, della categoria dei liuti, derivato dal cinese p’ip’a. Di forma pirifor-me, ha corto manico – solidale alla cassa e non ap-plicato – e cinque corde di seta, che si pizzicano con un grosso plettro. Fa parte della strumenta-zione di base del GAGAKU; è utilizzato nella musica (BUGAKU) che accompagna la danza di Corte e for-nisce l’accompagnamento armonico del canto. [si veda la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Par-te]. BO. – “Bastone”. Indica, di solito, il bastone lungo fino a 280 cm, di legno di quercia. È anche termi-ne omnicomprensivo per tutti i bastoni, lunghi (KYUSHAKU-BO, ROKUSHAKU-BO), medi (JO, HAN-BO) e corti (TAM-BO, KE-BO). Nel Periodo EDO (1603-1867) il BO di legno diventa strumento per ordine pubblico: se ben manovrato, può sconfiggere an-che un abile spadaccino. Oggi la polizia giapponese utilizza manganelli e sfollagente detti KEI-BO e KEI-JO. BODAI. – La condizione, raggiunta l’illuminazione, di essere un Buddha. BODAI-DARUMA. – Nome giapponese di BODHI-DHARMA. Anche, semplicemente, DARUMA. BODAI SHIN. – La mente del Buddha; indica la saggezza intrinseca. BO-JUTSU. – “Arte della scherma con il bastone lungo”. “Arte di maneggiare il bastone”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e si può studiare in maniera complementare ad AI-KIDŌ, KENDO e KARATE, oppure separatamente. Lo studio di quest’Arte Marziale si basa sull’APPREN-DIMENTO di numerosi KATA, spesso eseguiti, senza protezioni, all’aperto. Temibili praticanti di BO-JUTSU sono i monaci-guerrieri (YAMABUSHI, SO-HEI), che spesso usano rivestire di ferro i loro bastoni, quando non utilizzano aste totalmente di metallo (KANA-BO). Anche quest’Arte giunge dalla Cina e dalla Corea, dove è studiata nei monasteri buddisti: i monaci giapponesi adattano e migliora-no le tecniche di bastone, adattandole allo stile locale. BOKEN. – Si veda BOKKEN. BOKKEN. – “Spada di legno (duro)”. Replica la foggia della KATANA, anche se la scuola d’origine può determinarne una forma diversa. È fabbricata con quercia rossa (akagi) o bianca (shiragashi), nespolo (biwa), legno di rosa (sunuke) o ebano (koutan). Solitamente lungo 105 cm, il BOKKEN si

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usa negli allenamenti di KEN-JUTSU e AIKI-KEN. Le prime notizie sull’uso di un bastone di legno duro, in forma di spada, risalgono al 400 a.C. Anche BO-KEN e BOKUTO. BOKU. – “Albero”. BOKUSEKI. – “Arte della Calligrafia”. Si veda SHODO. BOKUTO. – Si veda BOKKEN. BONGE. – L’insieme degli abitanti delle campa-gne, contadini in generale. Sono detti anche “gen-te comune” (KOOTSUNIN) oppure “persone dai cen-to nomi” (HYAKUSHONIN) poiché, non avendo dirit-to ad un cognome, sono designati con nomignoli di fantasia. Si dividono in CLASSI (a salire): ZOMIN (senza specializzazione), GENIN o NUHI (gente in-feriore), GESAKUNIN (piccoli coltivatori), RYOKE (proprietari terrieri). Molti guerrieri (bushi), so-prattutto durante il Periodo KAMAKURA (1185-1333), vengono dalle fila dei BONGE. BONJI. – Caratteri stilizzati in sanscrito. Sono utilizzati per decorare LAME d’armi bianche, sia manesche sia in asta. BONNO. – “Tempo morto”. “Pensiero che distur-ba lo spirito”. È quel particolare istante nel quale un combattente si distrae o, con altre parole, il suo spirito, soffermandosi su un qualche partico-lare, perde la serenità. Un avversario dotato di YOMI (“lettura”, intesa dello spirito altrui), può cogliere l’attimo e prendere il sopravvento. È que-sto il motivo per il quale un combattente esperto è sempre in uno stato di “allerta permanente” (HONTAI), con la “mente vuota” (MUSHIN) e lo spi-rito è libero, sereno, non turbato (MUSO). BONNO, che è sinonimo di SUKI ed equivale al sanscrito klesha, ha significato molto complesso ed in real-tà è intraducibile al di fuori della metafisica bud-dista, nella quale assume talvolta il senso di “fe-nomeno”, “sventura” ed anche “illusione”. BONSHO. – È la grande campana di bronzo collo-cata fuori dal DOJO, nel tempio; manca, nei templi ubicati in città. BOSHI. – “Punta” di una lama. BO-SHURIKEN. – Arma da lancio (SHURIKEN), a forma di coltello o pugnale. Il BO-SHURIKEN rien-tra nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste”, è d’ACCIAIO polito o brunito, è di lunghezza mode-sta, ma sovente è intriso di veleno. Sono i NINJA, soprattutto, ad utilizzare, al pari di tutte le altre SHURIKEN, il BO-SHURIKEN, che è spesso lanciato in gruppo (3 o 5 alla volta). BU. – “Miliare”, “marziale”, “combattimento”. È la versione fonetica di un ideogramma cinese, che

indica la connotazione militare [ma non solo: si ve-da BUDO]. In Giappone è utilizzato per identifica-re la “dimensione militare” della cultura nazionale, distinta da quella “pubblica” (KO) e dalla “civile” (BUN), entrambe riferite alle funzioni della Corte imperiale. BU compare sia nei termini composti BUKE e BUMON – che identificano le “famiglie mili-tari”, cosa diversa da KUGE e KUGYO [KU è variante fonetica di KO], che si riferiscono ai “nobili pub-blici”, “di Corte” – sia in BUSHI, “nobile militare” e BUKE-SEIJI o BUMON-SEIJI “Governo militare”, en-trambi nettamente distinti da BUNJI (“nobile”) e BUNJI-SEIJI (“Governo civile”). Entra anche nei termini BUDO, “Via delle Arti Marziali”, BUGEI, “Arti da Combattimento”, BUJUTSU, “Arti Marzia-li”. Ha assunto anche il significato di “armonia e riconciliazione dell’uomo con l’universo”: la vera Arte Marziale!

– Misura di lunghezza (vale dieci RIN, cioè 3,03 mm) ed unità di misura di superficie (anche TSUBO): vale ad un KEN quadrato, cioè circa 3,35 m2. BUDO. – “La Via (DO) del combattimento (BU)”. “La Via delle Arti Marziali”. “Il Cammino del Guer-riero” (che, più esattamente, si traduce BUSHI-DO). “La Via Marziale”. È termine generico: racchiude alcune decine di specialità tradizionali, praticate da centinaia di Scuole (RYU) e – dal secolo XX – designa quelle Arti Marziali connotate da profondi intendimenti di natura spirituale, filosofica, morale, etica. Da notare che l’ideogramma cinese (KANJI) la cui versione fonetica giapponese è BU, esprime il con-cetto di “arrestare la spada”, “cessare di batter-si”, “fermare la lotta”. Nell’Era MEIJI, dopo il 1868, nello sforzo di di-stinguerlo da BUJUTSU (“tecniche di combatti-mento”) e BUGEI (“Arti da guerra”) – che hanno un orientamento assolutamente strumentale, d’utilità – il BUDO è chiamato Shin Budo (“Nuova Via Mar-ziale”), abbreviato – ancora! – in BUDO. Il BUDO non ha alcun rapporto con lo sport, poiché non solo approfondisce le relazioni con etica, filo-sofia e religione, riguarda la cultura mentale e ri-flette sull’ego, ma, dello sport, non ha il tempo: vita o non-vita, vittoria o non-vittoria si decidono in un istante. Intuizione e azione, nel BUDO, si de-vono esprimere nel medesimo tempo: nella pratica non ci possono essere pensieri né esitazioni, per-ché non c’è tempo per pensare. Esitando, il cer-vello entra in funzione, invece coscienza ed azione devono essere istantaneamente identici: questa è

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la coscienza HISHIRYO, il muoversi automatica-mente ed inconsciamente. Un altro importante aspetto del BUDO, concet-tualmente simile allo ZEN, è il muoversi senza muoversi: stare fermi, in perfetta stabilità, signi-fica in realtà non fermarsi [si veda anche FUDO-NO-SEISHIN]. È come con una trottola che gira: possiamo considerarla immobile e invece gira, ma quando parte e quando, alla fine, rallenta, il suo movimento è visibile. La tranquillità nel movimento è il segreto del BUDO. Tre sono i periodi che distinguono il percorso di un praticante d’Arti Marziali, di un seguace del BUDO: nel primo periodo, di lunghezza assai varia-bile, talvolta anche più di dieci anni, è necessario praticare con volontà e coscienza. Il secondo è il tempo della concentrazione senza coscienza: l’allievo, in pace con se stesso, può es-sere l’assistente del Maestro. Nel terzo periodo lo spirito raggiunge la vera li-bertà, muore il Maestro e si diventa Maestri. Nel BUDO, per imparare, occorre allenarsi fino al-la morte (cioè sempre, senza smettere mai). È illuminante una breve storia, scritta (si dice), da Mishotsu, allievo di LAO TZU [il “Vecchio Mae-stro”, autore del TAO TE CHING, “Il Libro del Ta-o”]. Eccola. «Un re voleva un gallo da combatti-mento imbattibile, perciò chiese ad un Maestro di educarne uno; costui iniziò ad insegnare al gallo la tecnica del combattimento. Dopo dieci giorni il re domandò: “È possibile organizzare un combatti-mento con questo gallo?”. Il Maestro rispose: “No! Il gallo è forte, ma la sua forza è vuota, effimera; è eccitato e vuole combattere sempre”. Dopo altri dieci giorni il re chiese: “Ora si può organizzare un combattimento con questo gallo?”. Il Maestro rispose: “No! Il gallo è ancora eccitato, va spesso in collera e vuole sempre combattere, anche quando sente la voce di un altro gallo nel paese vi-cino”. Dopo dieci giorni ancora, il re nuovamente chiese: “Adesso è possibile un combattimento?”. Il Maestro rispose: “Ora il gallo non è più eccitato e se vede un altro gallo resta calmo; la sua posi-zione è corretta, la tensione forte e non va più in collera. La sua forza e l’energia non si manifesta-no in superficie”. Il re allora disse: “Quindi il combattimento si può fare!”. “Forse”, rispose il Maestro. Si organizzò un torneo e si portarono molti galli da combattimento. Nessun altro gallo, però, poteva avvicinarsi a quello del re e tutti fuggivano impauriti. Il gallo del re, così, non ebbe bisogno di combattere: aveva superato la fase

delle tecniche, aveva una forza interiore che non si manifestava in superficie. Era diventato un gal-lo di legno». Quale insegnamento possiamo trarre da questa storia? Qual è la morale? Sì, il BUDO è “la Via Marziale” e quindi, per esten-sione, “l’Arte Marziale”, ma oggi potremmo addi-rittura pensare al BUDO come alla “Via a-Marziale” [il prefisso “a-“ è detto alfa o a privati-vo: indica mancanza, assenza], vale a dire una Di-sciplina Marziale che è praticata come ricerca spirituale, per tutta la vita. Il BUDO non è competizione o battaglia perché è al di là della vittoria e della sconfitta. Il segreto della spada sta nel non sguainarla: non bisogna estrarla perché, se desideriamo uccidere qualcuno, noi dobbiamo morire. Dobbiamo uccide-re noi stessi, uccidere il nostro spirito, il nostro ego. È questo il momento in cui noi siamo fortissimi, i più forti: gli altri hanno paura, non si avvicinano o fuggono, e combattere non è indispensabile, e non è necessario vincere! Nella Via del BUDO – come in quella dello ZEN – bi-sogna non avere né scopo né spirito di profitto.

– Titolo del bollettino d’informazione edito, dal 1932 circa, dall’organizzazione BUDO SEN'YO-KAI. Questa organizzazione è costituita da DEGU-CHI ONISABURO, co-fondatore della religione O-MOTO-KYO, per promuovere lo JU-JUTSU insegnato da UESHIBA MORIHEI. Nel bollettino – di cui so-pravvivono poche copie – scrivono articoli tanto UESHIBA MORIHEI quanto lo stesso DEGUCHI ONI-SABURO.

– Titolo di un manuale d’istruzione redatto da UESHIBA MORIHEI, pubblicato nel 1938. Vi sono spiegate 50 tecniche, illustrate da 119 fotografie in cui compaiono, quali UKE del Fondatore, sia il fi-glio UESHIBA KISSHOMARU sia SHIODA GOZO. Tan-to i DOKA contenuti quanto l’introduzione sono gli stessi del precedente manuale, BUDO RENHSU. BUDO KENDO RON. – “Trattato di Kendo”. O-pera di YAMADA JIROKICHI, Maestro di KENDO, sulla sua Arte. BUDO RENSHU – “Allenamento al Budo”. Manuale di istruzione, pubblicato nel 1933. È basato sulle tecniche di AIKI BUDO che UESHIBA MORIHEI in-segna in questo periodo. Contiene la descrizione di circa 211 tecniche – introdotte da una serie di DOKA – illustrate da tavole disegnate da Kunigoshi Takako, la prima praticante donna del BUDO SE-N'YOKAI. Molti degli UCHI DESHI (gli allievi resi-

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denti) di O-SENSEI posano per i disegni. Il manua-le è stato ristampato (in edizione bilingue, giap-ponese ed inglese) nel 1978. BUDO SEN'YOKAI. – “Società per la Promozione delle Arti Marziali”. È un’organizzazione nata il 13 agosto 1932, grazie all’appoggio di DEGUCHI ONI-SABURO, il co-fondatore la religione OMOTO-KYO, per promuovere le Arti Marziali. In verità si trat-ta di un mezzo per “spingere” la forma di JU-JUTSU insegnata in questo periodo da UESHIBA MORIHEI, che è anche il primo direttore della So-cietà. Su BUDO, il bollettino d’informazione edito dalla organizzazione, compaiono articoli sia di DEGUCHI ONISABURO sia a firma di UESHIBA MORIHEI, an-che se pare che questi ultimi siano scritti da A-shihara Bansho. A Takeda il BUDO SEN'YOKAI apre un DOJO, dove si tengono non solo lezioni marziali ma anche incontri politici. L’organizzazione cessa ogni funzione nel 1935, all’epoca della seconda re-pressione delle attività di OMOTO-KYO. BUDO SOSHIN-SHU. – “Lettura elementare sul BUDO”. Opera sul BUSHIDO e sulle Arti Marziali. In quarantaquattro capitoli, impregnati di filoso-fia neoconfuciana, Daidoji Yuzan (1639-1730) tratta gli aspetti educativi e morali in uso alla Corte shogunale dei TOKUGAWA. BUDOKA. – “Chi pratica la Via Marziale”. Il suf-fisso –KA indica un praticante. Si attribuisce ad ogni praticante del BUDO, a prescindere da grado o abilità tecnica; per esempio: AIKIDOKA, JUDOKA, KARATEKA. BUDO-KAI. – “Associazione delle Arti Marziali”. È il primo DOJO di JUDO di Londra, apertovi nel 1918 da Koizumi Gingyo, allievo di KANO JIGORO. BUDOKAN. – Nuova sede (1962) del KODOKAN, a Tokyo: uno stadio coperto. Qui, dove oltre allo JUDO, s’insegnano diverse altre Discipline affini del BUDO, ogni anno si tiene il “Grande Incontro” (TAIKAI): 46 RYU, scelti dalle autorità governative fra tutte le scuole considerate appartenenti alla “tradizione originale” giapponese, partecipano a tornei e dimostrazioni. Anche NIPPON BUDOKAN. BUDO-KUKAI. – Scuola paramilitare di Arti Marziali. Vive dal 1895 al 1945, in funzione prepa-ratoria dei futuri soldati. BUDO-SEISHIN. – “Spirito del BUDO”. BUGAKU. – Musica eseguita alla Corte imperiale (GAGAKU), in accompagnamento alla danza. [si ve-dano anche le voci “Giappone; Musica” e “Giappo-ne; Danza”, nella Terza Parte].

BUGEI. – “L’Arte del combattimento”. L’insieme di tutte le “Arti da Guerra” giapponesi. È termine composto da due caratteri: BU (“militare”, “mar-ziale”) e GEI (“metodo”, “realizzazione”) ed è l’in-sieme delle tecniche praticate dai guerrieri per giungere alla migliore utilizzazione delle armi. Rientrano nel BUGEI (che comprende anche il co-dice d’onore dei SAMURAI, il BUSHIDO) tutte le Arti Marziali derivanti dallo JUTSU: gli studiosi ne contano da trentaquattro a cinquanta. Dalla fine del secolo XIX, da quando, cioè, si è dilatata la dimensione spirituale delle Arti Marziali, si pre-ferisce il termine BUDO a BUGEI. BUGEISHA. – “Persona dell’Arte Militare”. “Chi padroneggia le Arti Militari”; “guerriero”. BUJIN. – “Uomo di guerra”, “militare”. Da un certo momento della storia giapponese indica, così come BUSHI, il guerriero (SHI) di rango non molto elevato; il titolo di SAMURAI spetta al guerriero di rango più elevato, che nasce in una “Famiglia (o Casa) Militare” (BUKE, BUMON). BUJUTSU. – “Arte (JUTSU) marziale (BU)”. “Tec-nica di combattimento”. Sono tutte le numerose tecniche che il BUSHI utilizza – dopo averle a lun-go studiate – nella sua ricerca dell’assoluta effi-cacia ed efficienza in guerra. [si confronti con BUDO e BUGEI]. BUJUTSU-RYU SOROKU. – “Trattato sulle Arti Marziali”. Scritto nel 1843, riporta i dati del cen-simento sui RYU marziali ordinato dallo SHOGUN. BUKE. – “Nobile militare”, “Famiglia Militare”, “Casa Militare”. Militari della CLASSE SAMURAI. La professione militare (come accade nelle altre CLASSI SOCIALI del Giappone feudale) si trasmet-te da padre in figlio, ma anche da Maestro a di-scepolo. I BUKE si contrappongono alle “Famiglie Nobili”, KUGE o HONKE, e si sviluppano inizialmente nelle Province settentrionali, dove i proprietari terrieri nipponici si scontrano con gli autoctoni AINU. L’unione di più Famiglie – o Famiglie allarga-te – dà origine ai Clan che, dal secolo XII, iniziano la lotta per la supremazia, sia tra loro sia contro i KUGE, gravitanti attorno alla Corte imperiale di KYOTO. Nel lungo scontro – Guerra GEMPEI, 1180-1185– tra i TAIRA (o HEIKE) ed i MINAMOTO (o GENJI), sono questi ultimi ad imporsi, nel 1185: i TAIRA sono annientati, i MINAMOTO istituiscono il primo shogunato della storia giapponese (1192) a KAMAKURA. BUKE-SHO HATTO. – “Leggi delle Case Milita-ri”, “Codice delle Famiglie Guerriere”. Insieme di norme, promulgate da TOKUGAWA IEYASU nel 1615,

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destinate a controllare i DAIMYO. È TOKUGAWA IEMITSU, nel 1635, a rivedere e correggere il te-sto, pur senza formalmente alterarlo. Si rifà ai codici familiari tipici del SENGOKU JIDAI, “Era del Paese in guerra” o “Era della Guerra”, periodo tra il 1467 ed il 1568, caratterizzato da continue lot-te tra i Signori locali. Sono tredici regole che de-vono governare il comportamento della classe SA-MURAI durante lo shogunato: «1) devono essere sempre praticate lo studio della letteratura e le arti umanistiche (BUN), quelle delle armi (BUKI), l’arcieria (KYU-JUTSU) e l’equitazione (BA-JUTSU); 2) devono essere evitati l’ubriachezza ed il com-portamento licenzioso; 3) coloro che non rispet-tano la legge non devono essere nascosti in alcuna proprietà; 4) il DAIMYO deve scacciare qualsiasi SAMURAI accusato di tradimento o assassinio; 5) la residenza in un feudo deve essere limitata ai nativi di quel feudo; 6) le autorità dello shogunato devono essere informate di ogni progettato re-stauro dei CASTELLI; le nuove costruzioni sono vie-tate; 7) qualsiasi complotto, o fazione, scoperti in un feudo vicino devono essere immediatamente riferiti; 8) i matrimoni non devono essere con-tratti privatamente; 9) le visite del DAIMYO nella Capitale devono essere in accordo con le norme; 10) tutti i costumi e tutte le decorazioni devono essere appropriati al rango di colui che le indossa; 11) le persone comuni non devono circolare in por-tantina; 12) i SAMURAI devono condurre una vita semplice e frugale; 13) i DAIMYO devono scegliere in qualità di consiglieri uomini di provata capaci-tà». Appare strano che nel BUKE-SHO HATTO non si faccia cenno ad alcun tipo di tassazione – da sem-pre il modo migliore per controllare i sottoposti, sudditi o cittadini che siano – ma lo SHOGUNATO ricorre a sistemi più raffinati: se la norma nume-ro 6 proibisce la costruzione di nuovi castelli, pu-re i DAIMYO sono “invitati” ad offrire denaro, ma-teriali e manodopera per edificare i castelli dello SHOGUN. Ed erigere tali fabbricati è operazione costosissima: basti pensare che, per la costruzio-ne del Castello di EDO (1604), per ogni 100.000 KOKU del loro reddito, i DAIMYO sono tenuti ad in-viare 1.120 blocchi di pietra estratti dalle cave dell’isola Izu (blocchi enormi: ognuno deve essere maneggiato da oltre 100 uomini e possono essere trasportati sulle navi solo due per volta). In ag-giunta, per ogni 1.000 KOKU di reddito, i DAIMYO devono fornire anche un operaio. Altro sistema di controllo adottato, assai efficace, è il SANKIN-KOTAI (“Presenza Alternata”). Pure la norma nu-

mero 8 è destinata a mantenere uno stretto con-trollo sulla classe militare, impedendo sia i matri-moni tra i KUGE sia le unioni tra DAIMYO e corti-giane. BUKE-ZUKURI. – È lo stile – discreto, sobrio, austero – delle prime case dei SAMURAI, soprat-tutto dei samurai-contadini (JI-SAMURAI), anche se ritroviamo la stessa impronta nelle case si SA-MURAI ricchi e potenti. A questo stile si contrap-pone quello aristocratico, opulento, detto shin-den-zukuri. Dal 1400 circa in poi, si afferma una sorta di sintesi tra i due modelli: semplice ma raffinato, generoso nelle dimensioni, che presto è adottato dai SAMURAI ricchi e dai DAIMYO: lo SHOIN-ZUKURI. L’abitazione di un guerriero, a pre-scindere dallo stile architettonico, innanzitutto deve essere facilmente difendibile e deve quindi avere dimensioni contenute e accessi ben custodi-ti. Una palizzata (HATAITO) – o, in caso di capi di Clan, un muro di legno e terra (TSUIJI) – in cui s’a-pre un solo ingresso, sormontato da una torretta a balcone (YAGURA) circonda la dimora, spesso protetta anche con fossati, trincee, ostacoli vari.

– Comune fornimento per spada. Si compone di un fodero (SAYA) in legno laccato, un’impugna-tura (TSUKA), un robusto elso ovale e di tutti gli altri accessori (FUCHI, MENUKI, KASHIRA, SEPPA) previsti. BUKI. – Termine generico per “arma da guerra”. BUKI WAZA. – “Pratica d’armi”; “tecniche con le armi”. Nell’AIKIDŌ questo termine si riferisce a tecniche eseguite principalmente con JO e BOK-KEN, occasionalmente con YARI e JUKEN. BUKINOBU. – “Attacco a mano armata”. L’attac-co a mani nude è TOSHUNOBU. BUKKOKU KOKUSHI. – (1256-1316) Monaco ZEN. Citato da TAKUAN SOHO [si veda] come e-sempio di chi ha compreso la profondità della Via. BUKKOKU KOKUSHI ha scritto: «Sebbene non ponga attenzione nel suo compito, sui piccoli campi di montagna, lo spaventapasseri non sta invano», vo-lendo intendere che lo spaventapasseri ben svolge la sua funzione, pur non possedendo una mente. Solo chi raggiunge la condizione MUSHIN (“non-pensiero-non-mente”, “mente vuota”) può, simil-mente allo spaventapasseri, realizzare il proprio compito: muove le mani ed i piedi, ma la sua mente non si ferma in alcun luogo e non è possibile sape-re dov’è. BUKKYO. – “Buddismo”. BUKO RYU. – Antica scuola di NAGINATA-JUTSU. Pare sia ancora in attività.

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BUKYO. – Si veda BUSHIDO. BUKYO RYU. – Antico stile di scherma con la lancia a lama curva (NAGINATA). BUMON. – Termine che identifica, come BUKE, una “Famiglia Militare”. BUMON-SEIJI. – “Governo militare”. BUN. - È la versione fonetica di un ideogramma cinese, che indica la connotazione civile. In Giap-pone identifica la “dimensione civile” della cultura nazionale, che è distinta da quella “militare” (BU) e da quella “pubblica” (KO); insieme con quest’ultima, è riferita propriamente alle funzioni della Corte imperiale. BUN compare nei termini composti BUN-JI, “nobile” e BUNJI-SEIJI, “Governo civile” en-trambi nettamente distinti da BUSHI, “nobile mili-tare” e BUKE-SEIJI, “Governo militare”. BUN BU RYODO. – “La doppia Via”. È il metodo proposto da Yamada Soko (1622-1685), per forni-re ai SAMURAI una cultura non solo marziale, ma anche intellettuale. Egli scrive: «Se un samurai vuole avere delle responsabilità in politica, dirige-re dei laici e diventarne il capo, deve realizzare la Via della saggezza. Il SAMURAI, così, non deve es-sere solo un guerriero ma, oltre il Budo, deve ri-cevere una cultura sulla letteratura, il Buddismo, la filosofia cinese e lo Shinto.» BUNJI. – “Nobile”. BUNJI-SEIJI. – “Governo civile”. È distinto dal BUKE-SEIJI (“dominio militare”), che identifica il potere esercitato dalla classe SAMURAI. Identifi-ca anche l’idea del “governo attraverso la persua-sione morale”, applicazione dei principi CONFUCIA-NI al governo della cosa pubblica, seguendo gli i-deali di “governo benevolo” tipici del pensiero neo-CONFUCIANO. BUNRAKU. – “Marionette”. Le marionette, che hanno due terzi della grandezza naturale, sono mosse da tre persone, la cui abilità infonde ai personaggi rappresentati nello JORURI un realismo eccezionale. BUSHI. – “Nobile militare”, “uomo della guerra”. “Guerriero” (SHI), anche se non tutti i combatten-ti possono definirsi BUSHI: più precisamente, BU-SHI è il guerriero aristocratico dell’epoca prefeu-dale e feudale (dal secolo IX al XIX), apparte-nente ad una “Famiglia Militare” (BUKE, BUMON). In questo lungo periodo, in ogni caso, molti sono guerrieri senza essere BUSHI (come gli ASHIGARU arruolati da TAKEDA SHINGEN, od i coscritti di ODA NOBUNAGA, per esempio, o TOYOTOMI HIDE-YOSHI), mentre altri non sono guerrieri – non es-sendo specializzati nelle Arti Marziali – pur es-

sendo BUSHI per diritto di nascita. Normalmente indica il “cavaliere” giapponese per antonomasia, il SAMURAI, anche se, in verità, costui altri non è che un livello, un grado (nemmeno troppo elevato) all’interno della casta dei BUSHI e, addirittura, fi-no al Periodo KAMAKURA (1185-1333), è solo un uomo armato al servizio dei nobili (SABURAI). Pure BUJIN. Al giorno d’oggi BUSHI e SAMURAI sono termini e-quivalenti, anche se il primo è preferito in Giap-pone. BUSHIDO. – “La Via del Guerriero”. Si conosce l’esistenza, risalente al secolo XIII, di un codice orale, detto KYUBA-NO-MICHI (“Via dell’arco e del cavallo”), che attiene al comportamento sociale dei guerrieri. È del secolo XVII l’elaborazione del BUSHIDO (da BUSHI, “uomo della guerra” e DO, “Via”; da intendersi come “Via morale del guerrie-ro”), che diventa il codice di comportamento e d’onore del BUSHI. L’evoluzione di un codice scrit-to si può far risalire ai regolamenti familiari dei DAIMYO (secolo XVI) o, ancor prima, alle “Istru-zioni per la Casa” del Clan HOJO. È YAMAGA SOKO che, per primo, esamina in dettaglio la condizione del SAMURAI e, preoccupandosi dell’inattività nel tempo di pace, determina che «il SAMURAI deve riflettere sulla propria posizione nella vita, of-frendo un leale servizio al suo padrone se ne ha uno, approfondendo la sua fedeltà nei confronti degli amici e dedicandosi soprattutto al dovere». In sintesi, l’essenza del BUSHIDO è il dovere. Il dovere, in effetti, concerne tutti i gruppi sociali della società giapponese e gli appartenenti alle al-tre classi hanno modi diversi di compiere il pro-prio dovere, pur avendo identiche responsabilità nell’esprimerli. Soltanto il SAMURAI – che, contra-riamente ai membri delle altre caste, i quali non sono liberi dalle loro occupazioni, non ha la neces-sità di lavorare – può e deve isolarsi nella “Via del Guerriero”, mantenendo viva questa regola di vita e punendo quelli che la offendono. L’opera di YA-MAGA SOKO non è una guida pratica del BUSHIDO (e questo termine non compare nei suoi scritti), ma solo un approccio etico. È l’HAGAKURE (“Nascosto tra le foglie”) il testo classico su cui si formano i SAMURAI: non per nulla inizia con l’affermazione «la Via del SAMURAI si trova nella morte». L’intera opera – completata nel 1717 da TASHIRO TSURAMOTO, che trascrive le conversazioni avute dal 1710 con il suo Maestro, YAMAMOTO TSUNETOMO – è un inno al primo impe-gno di ogni uomo d’onore, del BUSHI in particolare:

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il dovere (GIRI), la fedeltà. È la fedeltà che il SA-MURAI deve mostrare al suo Signore, anche a co-sto della vita che, tanto, non gli appartiene più dal momento stesso in cui, dando la parola, impegna il proprio onore. Il BUSHI deve compiere il proprio dovere di guerriero, per l’onore (il suo e della sua famiglia, del suo Signore e della sua classe socia-le) e per non essere disprezzato dagli altri BUJIN. Il BUSHI deve allenarsi costantemente nelle Arti Marziali (qualcuno afferma che il BUSHIDO è una pratica senza essere una filosofia) e coltivare quello spirito “senza paura” che gli consente di affrontare ogni situazione, dando il meglio di sé, per servire il suo Signore nel modo migliore. Il concetto esasperato di onore, unito all’altissima considerazione e rispetto di sé, porta inevitabil-mente – soprattutto in una società pacificata e bloccata, come quella del Periodo TOKUGAWA – a lotte, sfide e duelli, cruenti e mortali, per inezie quali, ad esempio, la mancata precedenza o l’urto involontario di due spade all’angolo di una strada. I più saggi esponenti del BUSHIDO, preoccupati dalle conseguenze estreme d’episodi di tale poco conto, esortano i SAMURAI – ormai divenuti degli annoiati, benché armati, burocrati TOKUGAWA – a considerare innanzi tutto il dovere nei confronti dei propri Signori, padroni delle loro vite, da non arrischiare in sciocche liti. Il BUSHIDO – nato, non si dimentichi, sotto l’influsso di Buddismo e SHIN-TOISMO – può essere riassunto in nove punti: 1. GI (la decisione giusta nell’equanimità, la giu-sta attitudine, la verità; quando dobbiamo morire, noi dobbiamo morire); 2. YU (la bravura tinta d’eroismo); 3. JIN (l’amore universale, la benevolenza verso l’umanità); 4. REI (il giusto comportamento); 5. MAKOTO (la sincerità di comportamento, la verità); 6. MEIYO (l’amore e la gloria); 7. CHUGI (la lealtà, la devozione); 8. SHIN (la sincerità); 9. KO (pietà filiale). Evolutosi lo SHINTO in forme mistiche e patriot-tiche, l’influenza BUDDISTA si avverte molto forte in altri cinque punti: 1. l’acquietamento dei sentimenti. 2. la tranquilla obbedienza di fronte all’inevita-bile. 3. la padronanza di sé alla presenza di qualsiasi avvenimento.

4. la tranquilla intimità con le idee della morte e della vita (SEISHI-O CHOETSU). 5. la pura povertà. Non è un caso che il periodo in cui il termine BU-SHIDO acquisti risonanza mondiale corrisponde ai primi del 1900, con il Giappone impegnato a conso-lidare la propria supremazia economico-politica in Asia, attraverso l’espansionismo militare. È INAZO NITOBE, nel 1905, con la sua opera “Bu-shido”, che diffonde l’ideale del SAMURAI retto, coraggioso, sincero, controllato, dalla vita inte-gerrima; e inoltre parco, incurante di ricchezze e onori, ma dedito al dovere, al servizio del suo Si-gnore, custode dell’onore proprio e del Clan, inte-merato nell’affrontare la morte. E, naturalmente, abile in tutte le Arti Marziali! Secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve posse-dere: senso del dovere (GIRI), generosità (ANSHA), magnanimità (DORYO), umanità (NINYO), risolutez-za (SHIKI), fermezza d’animo (FUDO). La realtà è ben diversa, soprattutto nel Periodo EDO, con la classe dominante investita di un potere quasi sen-za limiti, spesso esercitato senza scrupolo, nono-stante il BUSHIDO abbia, in teoria, lo scopo di “u-manizzare” i guerrieri. Pure BUKYO. [si veda “ Antiche arti da guerra” ed anche BUKE-SHO HAT-TO]. BUSHI-NO-NASAKE. – “Tenerezza del guerrie-ro”. È un po’ l’ideale cavalleresco, comune anche ai cavalieri medioevali europei. Significa che il guer-riero deve mostrare generosità e compassione e deve essere giusto verso chiunque, poiché in tem-po di pace il forte deve proteggere il debole. BUTOKUDEN. – “Luogo delle Virtù Marziali”. I-dentifica un edificio, vicino al tempio di HEIAN, in KYOTO, che l’”Associazione per lo Sviluppo delle Virtù Marziali del grande Giappone” (DAI NIHON BUTOKUKAI) completa nel 1899 e destina a luogo d’insegnamento delle principali Arti Marziali del BUDO. BUTSU. – “BUDDHA”, in giapponese. BUTSU-DO. – “La Via del Buddha”. Così è detto, in giapponese, il Buddismo, gli insegnamenti del Buddha. Talvolta indica, invece, la pratica che conduce all’illuminazione. BUTSUKARI. – “Allenamento all’attacco”. Eserci-zio di studio delle tecniche in movimento, in cop-pia. È utilizzato in molte Arti e Discipline Marzia-li, dal KENDO allo JUDO, prevede che AITE accetti la conclusione della tecnica solo quando TORI rie-sca ad eseguirla correttamente. È detto anche UCHI-KOMI.

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BYAKKO SHIN KOKAI. – Ordine religioso giap-ponese, fondato nel 1955 da Goi Masahisa, amico personale di UESHIBA MORIHEI. Takahashi Hideo, membro del BYAKKO SHIN KOKAI e, negli anni ’60 del 1900, in regolare e costante contatto con O-SENSEI, compila note ed appunti nel corso di una

serie di conferenze che questi tiene ai membri della setta. Il materiale così raccolto dà vita ad un libro intitolato Takemusu Aiki che, sebbene di difficile lettura, è il lavoro più significativo sulla filosofia del Fondatore.

- C -

CHA. – “Tè”. La pianta del tè è originaria della Ci-na meridionale e le sue prime applicazioni cono-sciute e documentate – che risalgono al secolo VIII – sono medicinali. Ancora oggi il tè non solo risulta la bevanda più bevuta al mondo, dopo l’ac-qua, ma se ne riscoprono le virtù terapeutiche: ricco di fluoro e fonte di vitamina C, purifica l’a-lito e rallenta la formazione della placca, ci di-fende da infiammazioni, ipertensione e cardiopa-tie, rafforza il sistema immunitario ed accresce la densità ossea. Le catechine del tè verde, an-tiossidanti, proteggono l’organismo da agenti in-quinanti ed invecchiamento naturale La leggenda vuole che la scoperta della bevanda sia opera dell’imperatore Chen Nung, attorno all’anno 2700 a.C. Si narra che costui – gran cono-scitore di erbe medicinali – durante una sosta sieda all’ombra di una pianta del tè, mentre un servo mette a scaldare dell’acqua in una pentola. Dall’albero, alcune foglioline cadono nell’acqua bol-lente e l’infuso, così fortunosamente ottenuto, delizia l’Imperatore, che da quel momento non può più fare a meno della bevanda. Molteplici sono le virtù terapeutiche attribuite a questa pianta, utilizzata sia contro la fatica e per rafforzare lo spirito e la volontà (come infuso), sia contro i reumatismi (sotto forma d’impacco). I monaci TAOISTI lo considerano indispensabile ingrediente dei loro elisir di lunga vita, un tempo preparati bollendo un panetto di foglie di tè (cot-te a vapore e pestate in mortaio) unitamente a ri-so, latte, buccia d’arancia, sale, zenzero e altre spezie. Quelli buddisti, più semplicemente, usano il tè per favorire la concentrazione (il monaco ci-nese Sun Yao Tai, nel secolo VII spiega: «Beviamo il tè perché purifica il corpo e lo spirito e per-mette di non sentire i rumori del mondo»). La tradizione vuole che sia il monaco buddista EI-SAI a portare in Giappone, nel secolo X, tanto il tè quanto la filosofia buddista ZEN. La bevanda co-

nosce poi la sua estrema popolarità solo 300 anni dopo, grazie sia alla diffusione del Buddismo con-templativo ZEN sia all’introduzione di forme d’in-trattenimento sociale basate sulla “Cerimonia del Tè” (CHA-NO-YU).

– “Abbandonare”, “deporre”. CHADO. – “La Via del Tè”. È l’arte di preparare e gustare il tè, che trova la sua massima espressio-ne nella CHA-NO-YU. Quattro sono i principi ideali del CHADO, fissati da SEN-NO-RIKYU e sintetizzati in quattro parole: WA (armonia, pace), kei (rispet-to), sei (purezza), jaku (pace spirituale). Chi intraprende questa Via ricerca la pace spiri-tuale attraverso una profonda conoscenza inte-riore ed impara ad aver cura di tutti gli elementi che concorrono al rito della CHA-NO-YU (atto di estremo rispetto verso l’ospite): etichetta, og-getti, ambiente, acqua e cibo offerto. CHANBARA. – “Combattimento con la spada”. Moderna attività sportiva, ideata dal Maestro di scherma Tanabe Tetsundo. Si utilizzano simulacri gonfiabili di armi classiche (TAN-TO, KO-DACHI, NAGINATA): una camera d’aria, opportunamente sagomata e montata su un manico di legno. Si svolgono gare (duelli) individuali od a squadre, con poche regole, minime protezioni, KEIKOGI completi di HAKAMA e parecchio divertimento, pare. La squadra italiana ha vinto i Campionati Mondiali 2007, svoltisi a Yokohama. CHANKO. – È un particolare tipo di ALIMENTA-ZIONE (miscuglio di carne, pesce, verdure), desti-nata ai SUMOTORI. CHA-NO-YA. – “Casa per il tè” o “Casa del tè”. È il sito, possibilmente appartato e immerso nella natura, destinato alla celebrazione della CHA-NO-YU. Uno degli stili maggiormente usati nella co-struzione delle CHA-NO-YA è il WABI SABI. Al 1772 risale il primo registro delle Case per il tè ufficiali, delle quali se ne conservano oggi 27, considerate patrimonio nazionale.

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CHA-NO-YU. – “Acqua per il tè”; per estensione: la “Cerimonia del Tè”. Inizialmente, nei monasteri, il tè è utilizzato come bevanda medicinale dei mo-naci; presto, però, è offerto anche agli ospiti, come segno d’ospitalità, in quella che segna l’inizio di una forma d’intrattenimento sociale – anche fuori dell’ambiente monastico – giunta fino ai no-stri giorni. La bevanda, in sé, quasi perde impor-tanza e la cerimonia rappresenta un punto di con-tatto fra sacro e profano, quasi un momento di adorazione del bello, del perfetto: è una forma artistica, insegnata nelle scuole, destinata a pro-muovere le buone abitudini e la moderazione in tutte le cose. Chi si dedica alla CHA-NO-YU imita, quasi, i filosofi ZEN nelle loro meditazioni, tant’è vero che sono proprio due monaci ZEN, Juko (1422-1502) e, soprattutto, SEN-NO-RIKYU (1520-1591) a stabilire le prime regole della cerimonia, allo scopo di promuovere buone abitudini e mode-razione in tutte le cose fra chi vi si dedica. Il MA-TCHA, il tè verde in polvere che si usa, è partico-lare: naturale e non fermentato, origina una be-vanda densa, amarognola, di un verde brillante. La polvere di tè si depone nella tazza servendosi di un cucchiaio di bambù (chashaku) e la si diluisce con acqua bollente, versata da una pentola in fer-ro fuso (kama); utilizzando una spatola di bambù, (chasen), il tè è frullato e reso spumoso. Un elaborato codice d’etichetta regola l’intera cerimonia: la rigida osservanza della prassi serve a garantire l’assenza d’imprevisti che possano turbare la serenità e l’armonia dello spirito dell’ospite. In effetti, il senso più profondo della CHA-NO-YU consiste nell’offrire la serenità agli altri attraverso la metafora del tè. Diversi sono i modi rituali di gustare il tè, secon-do il tipo di cerimonia cui si partecipa, ma, sem-pre, è necessario complimentarsi per il sapore ed ammirare e commentare la bellezza della tazza. L’importanza che la CHA-NO-YU ha nella società feudale giapponese, si nota – tra l’altro – dalla raffigurazione degli strumenti tipici di quest’arte sui fornimenti d’armi classiche. Non si dimentichi che uno degli scopi iniziali perseguiti dalla ceri-monia, è quello di far recuperare calma e concen-trazione ai guerrieri, facendo loro controllare al meglio spirito e contegno. La CHA-NO-YU non è un’Arte Marziale, ma ne è considerata valida integrazione e non è raro il ca-so di Maestri di cerimonia che lo sono anche di Arti Marziali.

Ancora oggi quest’Arte è studiata: in una tazza di tè, attraverso una cerimonia che può durare fino a due ore, si può trovare la serenità, la pace spiri-tuale, l’armonia con l’universo ed anche, perché no, l’autorealizzazione. CHATAN YARA. – Maestro di Arti Marziali del secolo XVIII. Da OKINAWA si reca in Cina per ap-prendere le Arti Marziali di quel Paese e, al ritor-no, fonda una scuola per il combattimento a mani nude e con armi, basata sullo studio dei KATA. Tra i più conosciuti, ci sono i KATA con i SAI (Chatan Yara-no-Sai) e quelli con il BO (Chatan Yara-no-Bo), ancora oggi insegnati nello SHORIN RYU KARA-TE-DO. CHELANG. – “Schiena”. Zona della 7^ vertebra dorsale. CHI. – “Terra”. CHIBA EIJIRO. – (1832-1862) SAMURAI. È figlio di CHIBA SHUSAKU SHIGEMASA, il fondatore dello HOKUSHIN ITTO RYU di KEN-JUTSU. CHIBA SHUSAKU SHIGEMASA. – (1794-1855) SAMURAI. Allievo di OTANI SHIMOSA KAMI SEII-CHIRO, verso il 1830 fonda una scuola di KEN-JUTSU, l’HOKUSHIN ITTO RYU. Ancora oggi è ricor-data la sua tecnica “di frusta” con lo SHINAI. Gli allenamenti dei suoi allievi, talvolta armati gli uni con il BOKKEN dritto (antesignano dello SHINAI o-dierno), gli altri con KATANA o NAGINATA (soprat-tutto se donne), spesso diventano gare spettaco-lari, con contorno di pubblico. CHIBANA CHOSHIN. – (1885-1969) Maestro di KARATE, nativo di Shuri (OKINAWA). Nel 1920 cambia in SHORIN RYU KARATE-DO il nome della scuola SHURI-TE e, nel 1956, fonda l’Okinawa Ka-rate-do Renmai, associazione che raggruppa tutti gli stili di KARATE insegnati nell’isola. CHIBURI. – “Pulire la lama”. È un brusco movi-mento del polso, per rimuovere il sangue dalla la-ma della KATANA, dopo un combattimento, prima di rinfoderarla (NOTO) Il CHIBURI è una delle tecni-che di base (SHODEN) dello IAIDO: segue le fasi NUKI-TSUKE (“sguainare”) e KIRI-TSUKE (“tagliare”) e precede NOTO (“rinfoderare”). CHIGIRIKI. – Variante del KUSARI-GAMA, desti-nata più all’attacco che alla difesa. Una catena u-nisce all’impugnatura (un lungo bastone) una palla di ferro. La catena è lunga quanto l’impugnatura stessa. L’arma è usata per colpire o bloccare l’av-versario e pararne i colpi. Appartiene alla famiglia delle mazze articolate, dove la forza del colpo è moltiplicata dalla flessibilità della catena.

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CHIGIRIKI-JUTSU. – “Arte di usare il CHIGIRI-KI”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). Sono pochi i RYU, come ad esempio l’ARAKI RYU, che oggi praticano questa Disciplina. CHIGO. – “Paggio” di un monastero. Molti infanti di famiglie nobili, sono affidati a monaci e religio-si, per ricevere educazione ed istruzione, serven-do come paggi. Abbigliati lussuosamente, dipinti e con le sopracciglia rasate come le ragazze, molto spesso anche si comportano come tali. Nel Giap-pone feudale l’OMOSESSUALITÀ è frequente e am-messa nella società sia civile, sia monastica, sia guerriera. I giovani, molto presto iniziati alle pra-tiche sessuali, godono tutti di grande libertà e crescono senza falsi pudori: la sessualità fa parte delle cose della vita. CHIKAKAGE. – Spadaio di OSAFUNE, nella provin-cia di Bizen, considerato tra i migliori del suo tempo. Si conservano sue lame datate 1317. CHIKA-MA. – È la distanza di un passo tra due avversari, generalmente troppo corta. CHIKARA-GAMI. – “Salvietta” di carta speciale. La usano i SUMOTORI, prima e dopo il combatti-mento, per asciugare il sudore. CHIKARA-NO-DASHI KATA. – “Estensione del-la potenza”. CHIKIRI ODOSHI. – Tipo di allacciatura di ar-matura (ODOSHI). CHIKU. – “Bambù”. Nell’immaginario collettivo delle Arti Marziali orientali rappresenta il simbo-lo di flessibilità: forza unita a cedevolezza. Anche TAKE. CHIKUJO-JUTSU. – “Arte della (tecnica di) fortificazione”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). CHIKUTO. – Si veda SHINAI. CHI-MEI. – ATEMI mortale. Nelle gare, soprat-tutto di KARATE, non è – ovviamente! – portato a fondo. CHIN. – “Calma”. CHINKON. – “Calmare lo spirito”. Significa ac-quietare la mente ed il corpo, mediante MUDRA ed invocazioni; normalmente si pratica in un luogo sa-cro. Si veda CHINKON-KISHIN. CHINKON-KISHIN. – “Calmare lo spirito e tor-nare al divino” (da CHINKON e KISHIN). È un’antica tecnica di respirazione mistica e di meditazione; appartiene alla tradizione SHINTO (ma è di prove-nienza sciamanica) ed è ripresa da DEGUCHI ONI-SABURO ed inserita tra le pratiche della sua reli-gione, l’OMOTO-KYO. È usualmente praticata dal

Maestro UESHIBA MORIHEI. Questa pratica somi-glia molto a MISAGI. CHIOKEN. – È il contrattacco, dalle conseguenze letali se portato a fondo, contro tecnica di calcio. È tipico della scuola SHORIN RYU KARATE-DO. CHISA KATANA. – Spada di dimensioni interme-die tra KATANA e WAKIZASHI. Portata normalmen-te con l’abbigliamento di Corte, specie al servizio dello SHOGUN, misura circa 45 cm. Lama, TSUBA e fodero somigliano a quelli di KATANA e WAKIZASHI. CHO. – Misura agraria di lunghezza. Vale 60 KEN ed equivale, secondo le Regioni, da 105,42 a 109,08 metri.

– Misura di superficie (60x50 KEN). Vale 10 TAN ed equivale a circa 1 ettaro. CHO-ICHI-RYU. – “Grande spadaccino”. Titolo attribuito ad OTANI SHIMOSA KAMI SEIICHIRO. CHOISAI. – Si veda IIZASA IENAO. CHOKU. – “Diretto”. CHOKU TSUKI. – Colpo con il bastone, all’altezza del plesso solare. CHONIN. – Termine generico per designare il popolo. Nel Periodo TOKUGAWA indica, soprattut-to, la borghesia cittadina. CHON-MAGE. – Acconciatura dei SUMOTORI. [si veda]. CHOYAKU UNDO. – Esercizio durante il quale si esegue il movimento saltando. CHU. – “Medio”; “centro.” CHUDAN. – “Livello medio”. Nelle Arti Marziali indica l’altezza di un attacco o di una parata. È il livello compreso fra l’addome e lo sterno.

–“Medio”. Posizione media della mano. È la zo-na che va dall’addome alla parte superiore dello sterno. CHUDAN KAMAE. – “Guardia media”. Allorquan-do si riferisce a posizione di guardia con armi (la cui punta è tenuta parallela al terreno), è più cor-retto chudan-no-kamae. Anche CHUDAN-GAMAE. CHUDAN MAE-GERI. – “Calcio frontale al livello medio”. CHUDAN TSUKI. – “Pugno diretto all’addome, al-lo stomaco”. Colpo diretto medio (addome, stoma-co). AITE attacca sferrando un pugno al torace. CHUDAN-GAMAE. – “Guardia media”. Si veda CHUDAN KAMAE. CHUDEN. – È la trasmissione mediana nell’antico sistema di classificazione del BUGEI: la metà del cammino è compiuta.

– “Insegnamento medio”. Identifica una serie di KATA, chiamati HASEGAWA EISHIN RYU, tipici

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del MUSO SHINDEN RYU: dieci tecniche eseguite in posizione eretta. CHUGI. – “Lealtà”, “devozione”, “fedeltà”. Uno dei punti del BUSHIDO. [si veda]. Per capire – sempre che un occidentale possa ca-pirlo – fino a quale punto si possa spingere la fe-deltà di un guerriero al suo Imperatore, basta tornare indietro non di molto, nel tempo. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nell’a-gosto 1945, numerose truppe sono ancora di guarnigione nei territori occupati – isole, soprat-tutto - durante il conflitto. Spesso privi di mezzi di comunicazione con la madrepatria, non possono credere che il TENNO si sia arreso, addirittura senza condizioni. Spesso privi di ordini diretti dei loro ufficiali superiori o increduli a fronte degli inviti alla resa, decidono di rifugiarsi nelle fitte foreste, proseguendo talvolta nella lotta. Di moltissimi, irriducibili soldati si sono perse tutte le tracce, ma YOKOI SHOICHI fa notizia, quando è catturato: è il 1972! In realtà, l’ultimo soldato giapponese si arrende solo nel 1974, nelle Filippine. Un contadino, a fine anno 1972, scopre due uomini intenti a razziargli il pollaio e, a fucilate, ne uccide uno, mentre l’al-tro trova scampo tornando nella foresta. Accertato che l’ucciso è un militare giapponese e risaliti alla sua identità ed all’unità di appartenen-za, per convincere il superstite che la guerra è finita non bastano due anni di tentativi: solo un

ordine diretto, impartito con un megafono, del suo comandante di un tempo, rintracciato e por-tato nelle Filippine. CHUJO RYU. – Stile di combattimento con la spada. È creato, intorno al 1400, da Chujo Naga-hide ed è alla base di molte Scuole di KEN-JUTSU. Tra le più importanti ci sono: GAN RYU; HASEGAWA RYU; ITTO RYU; KANEMAKI RYU; MUTO RYU; NIKAI-DO RYU; TODA-HA BUKO RYU; Tomita Ryu. CHUKEI. – “Ventaglio di Corte”. È del tipo pie-ghevole (OGI), con le stecche esterne molto ango-late. Sostituisce il bastone SHAKU. CHUKITSU. – “Articolazione interna del gomito”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. CHUNIN. – Sono gli organizzatori, i pianificatori delle operazioni, delle missioni commissionate ai capi (JONIN) dei Clan o Famiglie NINJA. Ai loro ordini sono i GENIN, gli esecutori. CHUN-NO-KON. – KATA di base eseguito con il BO. Il bastone è utilizzato per colpi di punta e tecniche di percossa diagonale. CHUSEN. – “Estrazione a sorte”. CHUSHINGURA. – È il titolo della rappresenta-zione teatrale dell’AKO-GISHI. CHUSOKU. – “Palla del piede”: parte carnosa sot-to le dita. Pure KOSHI. CHUTO. – “Radice del naso”. Punto naso-frontale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure UTO.

- D -

DACHI. – Suffisso per “stare in piedi” (TACHI). – Suffisso per “spada” (TACHI).

DA-DAIKO. – Grande tamburo in pelle, con dop-pia membrana. Le pelli del tamburo raggiungono i due metri di diametro, ma lo strumento è più grande, sospeso com’è ad una cornice su piedistal-lo. Il suono si ottiene percuotendo le membrane con un pesante mazzuolo. DAI. – “Grande”. Anche TAI.

– È la discendenza, non per parentela, del Maestro di un RYU. DAI NIHON BUDO SENYO-KAI. – “Associa-zione per la Promozione delle Arti Marziali Giap-ponesi”. Fondata nel 1932 con l’auspicio della chiesa OMOTO-KYO, questa organizzazione – il cui Istruttore capo è UESHIBA MORIHEI – si prefigge

lo scopo di istruire ed allenare una Milizia popola-re. DAI NIHON BUTOKUKAI. – “Associazione per lo Sviluppo delle Virtù Marziali del grande Giap-pone”. È un’organizzazione statale destinata a preservare, sostenere, promuovere ed insegnare le principali Arti Marziali del BUDO. Fondata nel 1895, è attiva fino al termine della Seconda Guerra Mondiale; sciolta durante l’occupazione militare, riprende poi, in scala ridot-ta, la propria attività. Le altre missioni originarie del DAI NIHON BUTO-KUKAI sono: sponsorizzare una “festa” annuale delle virtù marziali; raccogliere materiali storici e pubblicare un bollettino informativo; costruire e gestire un grande DOJO all’interno del sacrario di

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HEIAN, in KYOTO (il BUTOKUDEN, completato nel 1899). DAI SENSEI. – “Grande Maestro”. Si veda O-SENSEI. DAIDAIIRO. – “Arancione”. DAIDO RYU. – Scuola d’Arti Marziali ad AIZU. Vi s’insegna KEN-JUTSU (“arte della spada”), KYUBA (“tiro con l’arco da cavallo”), KA-JUTSU (“uso del moschetto”), SO-JUTSU (maneggio della lancia). Il fondatore è GOTO TAMAUEMON TADAYOSHI. DAIGO TETTEI. – “Realizzazione dello stato di Buddha” in sé. È uno dei punti dottrinali della filo-sofia ZEN. [si veda]. DAIKO. – “Tamburo”. Normalmente un prefisso ne specifica il tipo e la grandezza, per esempio DA-DAIKO, GAKU-DAIKO eccetera. DAIMYO. – “Grande nome” o “nome grandioso”. È attribuito al signore feudale, che esercita il pote-re civile e militare oppure che controlla e difende il Governatore civile della Provincia. Di classe SA-MURAI, il DAIMYO è sia un “signore della guerra” sia un proprietario terriero; spesso è il Signore della Provincia, un tempo assegnatagli con l’inca-rico di Governatore [si veda SHUGO]; sempre è a capo di un Clan. In alcuni periodi storici il DAIMYO è l’assoluto padrone delle terre, che amministra e governa come fossero il suo regno privato, senza riferimento ad alcuna autorità esterna, imperiale o shogunale che sia. Nel Periodo EDO (1603-1867) un DAIMYO possiede una rendita di almeno 10.000 KOKU (1.800.000 litri di riso) l’anno, con cui deve provvedere al mantenimento della Famiglia – SA-MURAI e servitori compresi – alla manutenzione del castello di residenza ed al SANKIN-KOTAI. Tra di loro l’Imperatore sceglie (formalmente) lo SHOGUN. All’epoca della Restaurazione MEIJI mol-ti DAIMYO restituiscono le donazioni di terre ri-cevute dallo SHOGUN restando, spesso, nell’ormai abolito HAN come governatore, agli ordini dell’am-ministrazione centrale. DAIO KOKUSHI. – (1234-1308) Monaco della setta esoterica buddista RINZAI. Studia Buddi-smo in Cina. DAI-SENSEI. – “Grande Maestro”. Solo pochi, eccezionali personaggi hanno diritto a questo ti-tolo (o di O-SENSEI): UESHIBA MORIHEI, FUNAKO-SHI GICHIN, KANO JIGORO, ad esempio. DAI-SHO. – “Grande-piccolo”. Termine formato dall’unione delle due parole DAI-TO (spada lunga) e SHO-TO (spada corta): indica la coppia di spade portate da nobili e SAMURAI, indipendentemente dal rango. Può essere la classica coppia d’armi, KA-

TANA e WAKIZASHI, infilata nella cintura (OBI) de-gli abiti civili, oppure quella TACHI e TAN-TO, por-tata con l’armatura o l’abbigliamento di Corte. L’Etichetta (REI-GI) non ammette confusione: è impensabile abbinare KATANA e TAN-TO piuttosto che WAKIZASHI e TACHI. Sempre il REI-GI prevede che l’ospite deponga la KATANA all’ingresso, por-tando con sé la WAKIZASHI (che colloca sulla stuoia, alla destra); per dimostrare il massimo ri-spetto al padrone di casa, depone entrambe le armi all’ingresso (ma questo comportamento è ob-bligatorio alla presenza dell’Imperatore o dello SHOGUN). Se la KATANA, per richiesta del padrone di casa, è portata all’interno, viene posata su una rastrelliera alla destra dell’ospite, in modo da non poter essere afferrata ed usata (nelle visite, né l’ospite né il padrone di casa mai pone alcun’arma alla propria sinistra, tranne che in imminente pe-ricolo d’attacco). È considerato un insulto, una provocazione, esibire una lama nuda, a meno di non volerla mostrare come oggetto prezioso; in questo caso la spada è tesa, per l’impugnatura, all’ospite, che lentamente, un po’ alla volta, estrae la lama dal fodero, mai completamente però. Solo dietro insistenza del proprietario la lama può es-sere snudata del tutto, con molte scuse e, soprat-tutto, l’accortezza di tenerla verso l’alto e lonta-no dai presenti. La coppia d’armi è fabbricata e decorata in modo corrispondente. Sono detti DAI-SHO anche le coppie di TSUBA ed i vari accessori, ornamenti e fornimenti, gli uni leggermente più grandi degli altri. Il diritto di portare il DAI-SHO è soppresso nel 1876: da quel momento in poi i SAMURAI sono ufficialmente privati del simbolo della propria esistenza. DAISUKE NISHINA. – Pare abbia fondato, nel secolo XII, il TOGAKURE RYU, scuola di NINJUTSU che, sembra, è ancora attiva nella provincia d’Iga. DAITO. – È il nome della Casata di MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU. DAI-TO. – “Grande spada”. Classe di spade con lama di lunghezza superiore a 60 cm e curvatura più o meno accentuata. I SAMURAI sono soliti por-tarla con la WAKIZASHI, classe SHO-TO, a formare il DAI-SHO. [si vedano anche KATANA, TACHI, TO]. DAI-TO AIKIDŌ. – Scuola tradizionale d’AIKI-JUTSU (UESHIBA MORIHEI è allievo di questa scuo-la). DAITO AIKIJUTSU. – È questo il nome dello stile di AIKI-JUTSU codificato, alla fine del secolo XI, da MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU, che lo insegna nella sua scuola, il DAITO RYU. È attraverso Yoshi-

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kiyo, secondo figlio di MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU, che si stabilisce nella provincia di Kai, a Takeda – prendendo questo come nome del-la sua Casata – che il DAITO AIKIJUTSU entra a far parte delle tecniche segretamente insegnate nella Famiglia TAKEDA, tramandate per generazio-ni solo ai suoi membri e famigli. Dal 1574, anno in cui TAKEDA Kunitsugu si trasferisce ad AIZU, le tecniche del DAITO AIKIJUTSU sono conosciute come AIZU-TODOME ed anche ODOME. DAITO KOKUSHI. – (1282-1337) Monaco della setta esoterica buddista RINZAI. Seguace ed al-lievo di DAIO KOKUSHI, è ritenuto il fondatore dello ZEN a Daitokuji. DAITO RYU. – È la scuola fondata, verso il 1100, da MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU. DAITO RYU AIKI-BUDO. – Scuola d’AIKI-JUTSU, JU-JUTSU e KEN-JUTSU. Erede del DAITO RYU AIKI-JUTSU di TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, è diretta dal figlio di questi, TA-KEDA TOKIMUNE. DAITO RYU AIKI-JUTSU. – Scuola d’AIKI-JUTSU, JU-JUTSU e KEN-JUTSU. È fondata in AIZU, alla fine del secolo XIX, da TAKEDA SOKAKU MI-NAMOTO-NO-MASAYOSHI, cui succede il figlio TA-KEDA TOKIMUNE, che la rinomina DAITO RYU AIKI-BUDO. Inizialmente il sistema di combattimento è chia-mato YAMATO RYU e la scuola TAKEDA RYU, ma ver-so il 1922-23 allo stile viene cambiato il nome in DAITO RYU JU-JUTSU quindi in DAITO RYU AIKI-JUTSU: TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI è alla ricerca di un passato “nobile”, che dia lustro alla propria scuola e DAITO è il no-me della Casata di MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU che, alla fine del secolo XI, codifica lo stile DAI-TO AIKIJUTSU. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI si au-to-proclama 35° Caposcuola dello stile che inven-ta, appoggiandosi anche a documenti contraffatti. Alcune delle 108 tecniche fondamentali di questa scuola – apprese da UESHIBA MORIHEI, nell’isola di Hokkaido (1911-16) e successivamente (1922) ad AYABE – si ritrovano ancora oggi, spesso modifica-te, nell’AIKIDŌ. Il DAITO RYU AIKI-JUTSU è ancora attivo. DAITO RYU JU-JUTSU. – È la forma di com-battimento insegnata da TAKEDA SOKAKU MINA-MOTO-NO-MASAYOSHI, prima che questi la chiami DAITO RYU AIKI-JUTSU. DAITOKAN. – È la Palestra Centrale (HONBU DOJO) della scuola DAITO RYU AIKI-JUTSU (ora

DAITO RYU AIKI-BUDO) ad ABASHIRI, nell’isola Hokkaido, città dov’è sepolto TAKEDA SOKAKU MI-NAMOTO-NO-MASAYOSHI, il fondatore. DAME. – “Sbagliato”, “non corretto”; “cattivo”. DAN. – “Gradino”, “scalino”.

– “Livello” o “grado superiore”, attribuito con l’acquisizione della Cintura Nera [si veda KYUDAN]. In AIKIDŌ, formalmente, esistono dieci livelli (an-che se il 10° DAN spetta al DOSHU e ad altri po-chissimi personaggi), i primi tre (o quattro, se-condo la scuola) acquisiti normalmente con esami, i successivi attribuiti per merito. DAN TSUKI. – È una rapida successione di pugni, inferti con lo stesso arto a livelli diversi. DANNA. – “Marito”. Con lo stesso termine si in-dica l’amante od il protettore di una GEISHA. DANSEN. – “Ventaglio d’uso personale”. Si veda UCHIWA. DANSHA. – Chi ha acquisito il grado di Cintura Nera, cioè possiede almeno un DAN. Anche YUDAN-SHA. DARUMA. – Nome giapponese di BODHIDHARMA. Anche BODAI-DARUMA. DE-AI. – Contrattacco eseguito approfittando del BONNO dell’avversario. È possibile solo se il combattente è nello stato HONTAI, di allerta per-manente, con la “mente vuota” (MUSHIN) e lo spiri-to è libero, sereno, non turbato (MUSO). È termine composto, che deriva dal verbo deru, “avanzare” e da AI, “unione”, “armonia”. DEGUCHI NAO. – (1836-1918) Profetessa dalla vita travagliata. Analfabeta, dopo la sua prima trance profonda (avvenuta nel 1892, a 56 anni) è in grado di descrivere correttamente le proprie rivelazioni spirituali grazie ad una forma di scrit-tura automatica (ofudesaki), che però non può leggere. Per ventisette anni, fino alla morte, scri-ve profezie sotto dettatura del dio Konjin: 100.000 pagine nelle quali si trovano, oltre che in-segnamenti vari, le predizioni sulle guerre future (la cino-giapponese, la russo-giapponese, la I e la II Mondiale) ed un piano per la salvezza e la rico-struzione del mondo. DEGUCHI ONISABURO. – (1871-1948, si legge anche WANISABURO) Insegnante di scuola ele-mentare già all’età di 12 anni e predicatore reli-gioso. Il suo nome è UEDA KISABURO fino al matri-monio (nel 1900, con conseguente adozione in quella famiglia) con Deguchi Sumiko, figlia di DE-GUCHI NAO, da lui avvicinata nel 1898. Dall’incon-tro delle loro esperienze nasce, tra il 1906 ed il 1908, la religione OMOTO-KYO. Questa nuova

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“chiesa” si afferma nel 1913 e diventa assai po-tente nei successivi anni ’20, sconfinando però nell’attivismo politico e paramilitare, tanto che nel 1921 il movimento è represso e DEGUCHI ONI-SABURO è imprigionato per oltre quattro mesi (per lesa maestà e violazione alle leggi sulla stampo); altre repressioni si hanno nel 1935 e negli anni ’40 (e lui, in prigione, ci resta dal 1935 al 1942, per aver disturbato la pace sociale e l’Imperatore). DEGUCHI ONISABURO ha incredibili capacità lette-rarie: nel corso della sua vita detta oltre 600.000 componimenti poetici e lascia libri in quantità, compresi gli ottantuno volumi del Reiki-monogatari (“Racconti del Mondo Spirituale”), la cui sola prefazione consta di ben 400 pagine! È sepolto in AYABE. DENKO. – “Fianchi”, “costole flottanti”. Punto dell’ipocondrio, destro e sinistro, e del fegato. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure INAZUMA. DENSHO. – “Documenti segreti”. Sono gli archivi familiari degli antichi Clan, nei quali sono regi-strate e descritte le tecniche particolari della scuola o dello stile (RYU), ed il cui insegnamento è precluso agli estranei. I DENSHO si trasmettono di padre in figlio o da Maestro a discepolo.

– Campana dei monasteri ZEN. È suonata dal Doan ed annuncia le funzioni. DERU KUI WA UTARERU – “Il chiodo che spor-ge verrà martellato”. È un proverbio che indica molto bene la predisposizione dei giapponesi, nei rapporti sociali, a non rischiare forti contrasti, quindi la loro attitudine ad amalgamarsi al gruppo. DO. – “La Via”, “la suprema verità”; “metodo”, “strada”. Racchiude una vera e propria visione del mondo e della vita, oltre alla forma (diversamente dallo JUTSU, “tecnica” pura). È il mezzo, la via, lo stato per ottenere il superamento della divisione tra l’“io” ed il “non-io”. L’ideogramma segnala il cammino spirituale intra-preso dai praticanti di una Disciplina marziale e dagli adepti di una dottrina religiosa o artistica. È un termine cino-giapponese (in cinese è TAO, o DAO) il cui corrispondente vocabolo in giapponese puro è MICHI, che significa, più propriamente, “cammino”. Affascina l’idea di una via, di un cammino spiritua-le, che implica anche uno scopo finale: l’integra-zione armoniosa dell’uomo con le leggi dell’universo, attraverso un’ampia varietà di com-portamenti morali e sociali.

Ed è, questo, il Tao cinese, il cui simbolo è un cer-chio in cui una linea sinuosa separa due parti, bianca e nera, ciascuna contenente entro di sé il germe del proprio opposto. Tale simbolo esprime un concetto preciso: nulla esiste se non in virtù dell’incessante azione reciproca dei due principi fondamentali, Yang e Yin, positivo/negativo, lu-ce/oscurità, maschile/femminile, sole/luna, cal-do/freddo, e così via. A differenza del Tao cinese, il concetto giappo-nese di DO, di via che conduce all’illuminazione (SATORI), non ha generalmente implicazioni reli-giose e, poiché “cammino” (MICHI), esprime la co-stante ricerca della perfezione, dell’armonia spi-rituale universale, dell’unione (AI) del proprio spi-rito con quello di tutti gli esseri del creato. È interessante anche notare che, in realtà, esi-stono due tipi di “via”. La prima si richiama non solo agli insegnamenti del Buddismo esoterico e dello ZEN, ma anche alle più antiche idee di Lao TZU, con quell’auspicata comunione tra uomo e na-tura, risale ai tempi in cui i monaci SAICHO e KU-KAI rientrano in patria dal loro viaggio in Cina e fondano la setta SHINGON. Obiettivo di questo DO è la concentrazione dello spirito, volta alla realiz-zazione della tecnica. Il secondo tipo di DO è più recente: risale al seco-lo XVII, si ispira agli insegnamenti confuciani (i rapporti di gerarchia, il rispetto, la dedizione ai superiori…) e si concretizza nel BUSHIDO. Oggi, per noi, DO è un intreccio, un amalgama di questi due aspetti: le due facce di una stessa me-daglia.

– “Tronco del corpo”. – Corazza dell’armatura leggera (sviluppatasi

soprattutto dal secolo XIV), dotata di parecchi pezzi supplementari. Da ricordare, tra le molte varianti, due gruppi dello stile classico: DO-MARU (che si apre sul fianco) e HARAMAKI-DO (che si a-pre sulla schiena). Normalmente costituita da pic-cole piastre (KOZANE) – che possono essere d’osso di balena, metallo, cuoio – laccate e unite da cor-doncini di seta variamente colorati, la DO è elasti-ca e leggera. La precisione dell’allacciatura ed il rispetto della rigorosa gerarchia dei colori de-termina la qualità dell’armatura. La primitiva ar-matura (TANKO, KAWARA) si trasforma, nel medio e tardo Periodo HEIAN (circa 858-1156), nella YO-ROI, indossata dai ricchi guerrieri, BUSHI o SAMU-RAI e nella O-YOROI (“la Grande Armatura”) desti-nata ai generali ed ai guerrieri di rango elevato, mentre le truppe a piedi portano l’HARAMAKI. Og-

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gi, con DO (o MUNE-ATE), s’indica la protezione me-tallica, o fatta con bambù laccato, per torace e stomaco dei KENDOKA. In questo caso, anche MU-NE-ATE.

– “Risposta”. Si veda MONDO. DOBACI. – Grande gong metallico, a forma di ba-cile. Emisferico, è appoggiato sopra un cuscino di paglia e si suona con un mazzuolo di legno dalla cima ricoperta di pelle. È usato soprattutto nei templi buddisti. DOGEN KIGEN. – (1200-1253) Dopo aver prati-cato per nove anni nella scuola ZEN RINZAI-SHU, nel 1223 si reca in Cina e fino al 1227 pratica con il Maestro T’ien-t’ung Ju-ching (in giapponese Tendo Nyojo), diventandone il succes-sore. Tor-nato in Giappone, fonda la scuola ZEN SOTO-SHU, che nel 1244 trova sistemazione nel monastero Eihei-ji, da lui edificato. La scuola è ancora attiva. DOGEN KIGEN è l’autore dello Sho-bogenzo, “L’Oc-chio (o Tesoro) della Vera Legge”, importante col-lezione di saggi sul DHARMA e testo fondamenta-le dello ZEN. Il titolo onorifico di ZENJI (Maestro ZEN) accom-pagna normalmente il suo nome. DOGI. – “Uniforme per la pratica”. Sinonimo di KEIKOGI. DOGU. – Equipaggiamento protettivo dei KENDO-KA. È la versione moderna dell’armatura TAKE GU-SOKU, indossata sopra un pesante KEIKOGI comple-to di HAKAMA. Il DOGU è costituito da casco (MEN) con maschera a griglia (MEN-GANE) e falde per le spalle, corazza per il petto (MUNE-ATE o DO), pro-tezione a grembiule (TARE e TARE-OBI) per il ven-tre, bracciali e manopole (KOTE). Sotto il casco, per meglio assorbire colpi e sudore, s’indossa una salvietta (HACHIMAKI), annodata intorno alla te-sta. DOHAI. – Chi ha la stessa anzianità nella pratica dell’AIKIDŌ. DOHYO. – “Cerchio sacro”. È la zona circolare – in terra battuta, ricoperta di sabbia fine, con diametro di 4,55 metri – al centro della piatta-forma quadrata (5 o 7 m. di lato, sollevata di circa 60 cm dal suolo) sulla quale si svolgono i combat-timenti di SUMO. Il “cerchio sacro” è delimitato da una fune di paglia intrecciata, parzialmente in-terrata: chi è spinto oltre la fune – o mette a terra una qualsiasi parte del corpo, piedi esclusi – è sconfitto. Sopra il DOHYO è sospeso un tetto a due falde, a ricordare quello di un santuario SHINTO; dagli angoli della copertura pendono

grosse nappe colorate, che simboleggiano le sta-gioni. DOHYO-IRI. – “Presentazione rituale”. È quella dei partecipanti ad un torneo o combattimento di SUMO, fatta ancora oggi dall’”araldo” (YOBI-DASHI) seguendo regole e rituali antichi di secoli. I SUMOTORI indossano un grembiule da cerimonia (KENSHO-MAWASHI). DOHYO-MATSURI. – “Cerimonia propiziatoria”. È una funzione shintoista che precede l’inizio di un torneo o combattimento di SUMO. Il celebran-te è il giudice-arbitro (TATE-GYOJI), che invoca i KAMI, recita preghiere, offre sacrifici (SAKÈ e sa-le) e pone sul DOHYO oggetti di buon auspicio, co-me castagne (KACHIGURI), riso purificato (SEN-MAI), alghe marine (KOMBU). DOJO. – “Il Luogo dell’Illuminazione” o “del Ri-sveglio”. Genericamente è “Il Luogo dove si prati-ca la Via”, la “Sala per la ricerca del DO”. È il luogo dove si pratica un’Arte o una Disciplina Marziale – non solo Marziale – e nel quale si entra, soprattutto, per incontrare se stessi. Per la men-talità occidentale riesce difficile considerarlo un vero e proprio “spazio sacro” – il termine DOJO indica anche il luogo del monastero riservato alla meditazione – ma, in ogni caso, resta il luogo dove si cammina insieme verso la conoscenza. Solo se il Maestro è già presente nel DOJO, si sa-le sul TATAMI e se la lezione è in corso, si può sali-re o scendere solo con il suo permesso. Per salire, volte le spalle al TATAMI, ci si sfilano i sandali, che rimangono ordinatamente con le punte all’e-sterno; ogni volta che si sale o si scende si esegue un breve saluto in piedi (RITSU-REI). Il TATAMI ri-copre il centro della sala, possibilmente in qua-drati di 8 o 10 metri di lato e dovrebbe essere sollevato dal suolo di almeno quindici centimetri. Quando possibile, il KAMIZA, “il muro alto”, la co-siddetta “sede superiore” (d’onore) del SENSEI, è orientato a Nord; al suo centro trova normalmen-te posto, in Occidente, un ritratto del fondatore della Disciplina o dell’Arte Marziale insegnata, a simboleggiare la continuità nella trasmissione dell’insegnamento e, spesso, l’emblema del DOJO. In ogni caso, il KAMIZA normalmente si colloca sul lato opposto all’entrata. Gli allievi si dispongono sulla “sede inferiore” (SHIMOZA), di fronte al SENSEI, partendo dalla sua destra con quelli di grado meno elevato. Eventuali ospiti o gli assi-stenti del SENSEI si collocano sul “lato superiore” (JOSEKI) del TATAMI (a sinistra, visto dal KAMIZA), che è la parte più onorifica. Il lato opposto (“in-

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feriore”) è chiamato SHIMOSEKI. Durante cerimo-nie o manifestazioni il KAMIZA è il posto destinato alle autorità, alla bandiera, alla presidenza ecce-tera. Ogni luogo di pratica può trasformarsi in DOJO, se crediamo in quello che facciamo. DOJO-ARASHI. – “Tempesta nel DOJO”. Si veda YABURI-DOJO. DOJO-CHO. – “Direttore del DOJO“ [si intende l’HONBU DOJO]. DOJO-YABURI. – Si veda YABURI-DOJO. DOKA. – “Canti della Via”. Sono poemetti, brevi poesie, scritte a scopo didattico, per insegnare l’essenza di un’Arte Marziale ed ispirare gli allie-vi; hanno una precisa sequenza di sillabe: 5-7-5-7-7. Quelli scritti da UESHIBA MORIHEI hanno preci-si riferimenti sia a testi classici e scintoisti sia alla pratica del KOTODAMA. DOKEN ONO. – SAMURAI condannato al rogo do-po la battaglia del Castello di OSAKA (1615). La battaglia termina con la disfatta dei TOYOTOMI e la distruzione del Castello, roccaforte del Clan. DOKEN ONO, già sul patibolo, disarma un ufficiale nemico e l’uccide con la KATANA conquistata. È ri-cordato per questo atto di indomito coraggio. DOKEN-JUTSU. – “Arte di eseguire gli ATEMI”. È compresa nel TAI-JUTSU. DOKKO. – “Mastoide”. Punto dell’apofisi mastoi-dea retro-auricolare. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. DOKUKODO. – Trattato scritto da MIYAMOTO MUSASHI. In ventuno capitoli l’autore si sofferma sulle qualità che ogni guerriero deve possedere, dal senso dell’onore allo sprezzo per la morte, dal disinteresse all’austerità, e fornisce consigli etici ai lettori. DOKYO. – Ambizioso e capace abate buddista. Amante dell’imperatrice SHOTOKU, è da lei porta-to a Corte e nominato ministro nel 764; a questa carica succede il titolo di HOO. L’Imperatrice, quando DOKYO pretende l’investitura imperiale, si rifiuta d’abdicare in suo favore; alla morte di SHOTOKU, nel 770, l’abate è esiliato in provincia. DOKYU. – Variazione ortografica di tonkyuu, che significa “(sistema che) lancia proiettili”. È una ingegnosa balestra a ripetizione, di probabile ori-gine cinese. Già Sun Tzu, nel trattato sull’Arte della guerra, del 500 circa a.C. accenna all’utilizzo di balestre, il cui uso è documentato durante la DINASTIA Han (206 a.C. -220 d.C.); nel 100 d.C. si ha notizia di balestre a ripetizione. La DOKYU è formata da un arco, di corno, di 70-80 cm, fissato ad un fusto di legno che è sormontato da un a-

stuccio mobile, a cassetta, contenente le frecce. Una leva, imperniata a fusto ed astuccio, con il suo movimento consente di tendere l’arco, mette-re in posizione la freccia (che cade per gravità) e tirare. DO-MARU. – “Protezione circolare”. È una va-riante dell’armatura leggera, aperta sotto il brac-cio destro. In origine destinata ai fanti, è adotta-ta dai SAMURAI nel periodo della guerra civile (guerra Nambokucho) tra gli ASHIKAGA ed i KU-SUNOKI (1336-1392), quando l’ingombrante YOROI si rivela inadatta al combattimento appiedato in terreno difficile (boschi in località montagnose). Il tipo comune ha CORSALETTO fatto di piccole piastre metalliche, laccate e tenute insieme da cordoncini di seta colorata. Si conoscono diverse varianti di questo tipo d’armatura: HATOMUNE-DO, HOTOKE-DO, TATAMI-DO. DOMO ARIGATŌ GOZAIMASHITA. – “Grazie molte” (si dice anche arigatò gozaimashita). DONRYU. – “Drago della tempesta”. Codice per aerei militari della Seconda Guerra Mondiale. DOREI. – “Sottomesso”, “schiavo”. DORI. – “Presa”. “Prendere”. Anche TORI. [si ve-da]. DORYO. – “Magnanimità”. È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHIDO]. DOSA. – “Esercizio”. DOSHA. – “Tiro cerimoniale” (nel KYUDO, ma non solo), effettuato in particolari, solenni occasioni. È un rito shintoista, con l’arciere, l’officiante, in costume tradizionale, assistito da vari assistenti: uno porta la spada, uno l’arco, un altro è l’atten-dente (similmente a quanto accade nella “presen-tazione rituale”, DOHYO-IRI, dei tornei di SUMO). Si celebra lo “spirito” della freccia, che è tramite fra arciere e bersaglio, uniti nell’”armonia del KI” (AIKI). La prima freccia che viene scoccata è una “freccia fischiante” (KABURA-YA), che scaccia gli spiriti maligni. Quando la cerimonia non è partico-larmente importante, il tiro cerimoniale si chiama REISHA. DOSHINEN. – “Castello”. Quello tipico del secolo XVII ha pianta formata da tre strutture concen-triche; a partire dalla più interna sono: HONMARU, NINOMARU e SANNOMARU. DOSHU. – “Guida”. È l’appellativo per il caposcuo-la, il teorico o l’ideatore di un’Arte Marziale. Per quanto riguarda l’AIKIDŌ, è il titolo ricono-sciuto agli eredi di UESHIBA MORIHEI nella guida dell’AIKIKAI. Dal 18 gennaio 1999 tale ruolo è ri-

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coperto da UESHIBA MORITERU, 3° DOSHU, figlio di UESHIBA KISSHOMARU (2° DOSHU) e nipote di O-SENSEI (1° DOSHU) DOSO. – Titolare di depositi di derrate alimen-tari. All’epoca della riunificazione delle Corti a KYOTO (Periodo ASHIKAGA, 1392), si afferma sempre più l’élite mercantile formata dai DOSO. All’inizio del secolo XV i DOSO, soprattutto a KYO-TO, svolgono anche la funzione d’agenti di cambio e prestatori di denaro su pegno (e spesso sono usurai), ma rappresentano anche l’unica fonte di

finanziamento per artigiani e piccoli bottegai, tanto che i cittadini – riuniti nelle associazioni MACHI – si uniscono a loro nella difesa contro le scorrerie degli IKKI. DOSOKU KATA SODE DORI. – “Seconda presa alle maniche”. DOSOKU TE DORI. – “Terza presa di polso (o di braccio)”. DÔZO. – “Prego!”. “Favorite!”.

- E -

EBI. – “Aragosta”. EBIRA. – “Faretra” tradizionale. È spesso di bambù, pregevolmente laccata, decorata con il MON della Famiglia o del Clan; si porta appesa alla spalla sinistra. Di solito è costituita da una cas-setta aperta, con una serie di stecche che ferma-no le cuspidi (YA-NO-NE) delle frecce (YA) e da un telaio metallico (talvolta d’osso di balena), anch’esso aperto, munito di cordicelle per tenere le aste. Una corda di ricambio dell’arco ed altri accessori possono trovare posto in un cassettino, nella parte inferiore. EBOSHI. – “Cappello”. Tipico copricapo per ma-schi adulti. Dal secolo XI è segno distintivo dei SAMURAI, che lo ricevono solo dopo la cerimonia della “Consegna del Cappello” (GENPUKU). Di forma approssimativamente triangolare, è simile al “ber-retto frigio” ma portato in senso contrario ri-spetto a questo, con l’estremità pendente sulle spalle. L’EBOSHI è di feltro o crine di cavallo; alto e nero, in battaglia è indossato sotto l’elmo da guerra. Talvolta, quando portato in luogo dell’elmo, è di cuoio indurito. Il clero SHINTO ed i nobili indossano un EBOSHI che assomiglia ad una cuffia (nae-eboshi). La pic-cola nobiltà, i funzionari e la gente comune che non può accedere a Corte porta un EBOSHI a tubo, laccato, più o meno rigido, che alle volte è varia-mente decorato. I grandi nobili, nell’intimità, so-stituiscono il KAMMURI con un EBOSHI alto, di seta nera laccata. EBOSHI-KABUTO. – Elmo a forma d’EBOSHI. Il COPPO è tutto in ferro, la visiera angolata sul da-vanti. Nel Periodo EDO (1603-1867) il coppo è esa-geratamente alto.

EBOSHI-NA. – È il nuovo nome attribuito al gio-vane SAMURAI, dopo la cerimonia della “Consegna del Cappello” (GENPUKU). Da quel momento il giova-ne è un adulto a tutti gli effetti. EDA. – “Ramo”. EDO. – Antico nome di Tokyo.

– Indica il Periodo storico dell’Età Premoder-na del Giappone (detto anche TOKUGAWA) che va dal 1603 al 1868. Alcuni storici lo suddividono in: ● Primo Edo, 1603-1672; ● Medio Edo, 1673-1750; ● Tardo Edo, 1751-1800; ● Fine Edo, 1801-1867. Sono gli SHOGUN TOKUGAWA che, stabilita la sede della nuova capitale del Governo a EDO, riescono a garantire un lungo periodo di pace, al prezzo di chiudere il Paese agli stranieri e farlo “ripiegare” su se stesso. Sono tre le fasi che segnano il Periodo EDO: di “cristallizzazione” (fino al 1680), di “equilibrio” (fino agli inizi del secolo XVIII) e di “disgrega-zione finale” (dal 1710 al 1867). È anche, questo, il momento in cui inizia quello che può considerarsi, a tutti gli effetti, il vero e proprio “culto della spada”; TOKUGAWA IEYASU, nella sua “Eredità” (le istruzioni ai successori), ne assimila l’uso in com-battimento al corretto uso della forza militare e del potere e lascia scritto: «la spada è l’anima del samurai. Se qualcuno la dimentica o la perde, non sarà scusato». EIMEIROKU. – “Registro dei nomi famosi”. In pratica, è il “libro delle presenze” tenuto dal tito-lare di un RYU: contiene i nomi dei frequentatori, con le date della loro presenza o del periodo di studio; di solito è indicato anche l’ubicazione del

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DOJO. Di conserva all’EIMEIROKU, di solito, si trova lo SHAREIROKU. EISAI. – (1141-1215) Monaco buddista, della scuola filosofica cinese Linji o Huang-long. Per la tradizione, oltre ad aver fondato, nel 1191, la set-ta RINZAI, introduce in Giappone la filosofia ZEN ed il tè. EKAGAMI. – “Specchio” di metallo. EKI TAI. – Lo “stato liquido”, detto anche ryu tai. È il terzo dei livelli di allenamento. La pratica EKI TAI si può assimilare al fluire dell’acqua, che colma ogni vuoto. Ogni movimento di AITE provoca un pieno od un vuoto, che TORI svuota o riempie con la sua tecnica, presagendo addirittura l’in-tenzione aggressiva dell’avversario ed agendo prima dell’attacco. EKI-KYO. – Traduzione del cinese YI JING (“Li-bro dei Mutamenti”). EKKU. – “Remo di legno”. È anche questa un’arma – non convenzionale: fa parte del KO-BUDO – uti-lizzata dai pescatori d’OKINAWA contro i SAMU-RAI, con tanto successo che anche MIYAMOTO MUSASHI, pare, la usi nel combattimento contro SASAKI KOJIRO, assassino del padre e fondatore del GAN RYU (ma forse è solo il suo amato BOK-KEN). EMAKIMONO. – “Rotolo miniato”. EMBUKAI. – “Dimostrazione” fatta al pubblico. EMMEI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda MIYAMOTO MUSASHI nel 1620 (o 1640, secondo alcune fonti) e vi insegna non solo l’uso delle due spade in combattimento, ma anche l’uso della spa-da con l’applicazione del principio FUDOSHIN (“Spi-rito Imperturbabile”), il concetto elaborato da TAKUAN SOHO, il monaco e Maestro ZEN. MIYAMO-TO MUSASHI chiama questo principio IWA-NO-MI, “il Corpo come una Roccia”. L’EMMEI RYU è cono-sciuta anche come HYOHO NITEN (o NITO) ICHI RYU (“scuola delle due Spade”). Le due spade uti-lizzate sono una lunga (DAI-TO, KATANA) nella ma-no destra ed una corta (SHO-TO, WAKIZASHI) nella sinistra; nel combattimento la KATANA deve colpi-re per prima, mentre la WAKIZASHI porta l’affon-do successivo. EMPI. – “Gomito”. Punto del gomito. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure HIJI. EMPI UCHI. – “Attacco di gomito”. EN. – “Passaggio”. “Orlo”, “bordo”. Esprime l’idea “attiva” (analogamente a MA, per quanto riguarda l’idea di spazio-tempo), il concetto di separazio-ne-unione, intesi come una sola cosa. È il “fattore” EN, ad esempio, che “apre” i confini della casa,

quando inteso come soglia sulla quale scorrono gli SHOJI per dare accesso all’ENGAWA analogamente ad una stanza interna, con i FUSUMA. EN.NO GYOJA. – “ En il Praticante”. Mago e a-sceta, la leggenda vuole che sia lui, verso l’anno 700, a fondare lo SHUGENDO. [si veda]. ENGAWA. – “Veranda”. È quello spazio, aperto ma coperto, che circonda la casa tradizionale o, quantomeno, ne segna l’ingresso. È una sorta di “terra di nessuno”, nel senso che uno è ancora in casa propria, ma già s’appresta ad uscirne: infatti, è nella ENGAWA che si calzano le scarpe. La veran-da è come il preludio all’intimità della casa, il luo-go dove, togliendo le scarpe prima di entrare, ci si stacca dal mondo. L’ENGAWA può essere aperta (nurien) oppure chiusa con AMADO. EN-NO-IRIMI. – Entrata circolare. Tecnica av-volgente di proiezione in IRIMI. È il sistema predi-letto da O-SENSEI, negli ultimi tempi, in luogo dell’esplosivo IRIMI NAGE di gioventù (energico passo fuori dalla linea d’attacco dell’avversario ed immediato contrattacco). TORI utilizza un TENKAN per far girare AITE attorno a sé, quindi lo guida in basso, morbidamente, con un movimento IRIMI e-seguito circolarmente. L’esecuzione è particolar-mente complessa. ENRYO. – “Sprezzo per la morte”: una delle “qua-lità ideali” che ogni SAMURAI deve coltivare. È la filosofia buddista – con la sua consapevolezza del-la caducità della vita umana, così come di tutte le cose – che contribuisce non poco all’affermazione di questo concetto. ENSHO. – “Tallone”. Pure KAKATO, KAGATO. ERI. – “Bavero”; “collo”. Parte alta del bavero della casacca GI. ENSO. – “Cerchio”. Nell’iconografia ZEN rappre-senta: l’illuminazione, l’universo, l’energia, quasi un simbolo sacro. Alcuni tracciano questo segno co-me un cerchio chiuso, altri lasciano un’apertura, a simbolizzare come questo ideogramma non è se-parato dal resto delle cose, dalla realtà quotidia-na. Pare che solo chi ha raggiunto il SATORI possa tracciare un vero ENSO. ERI DORI. – “Presa al bavero”. AITE afferra TO-RI al bavero (o al collo). Da questa presa, “ai bave-ri” dell’AIKIDOGI, si elencano nove tecniche di di-fesa:

1 HIJI NOBASHI ERI DORI 2 HIJI NAGE MAE ERI DORI 3 RYO TE ERI DORI 4 MAE RYO TE ERI SHIME AGE 5 TSUKOMI JIME

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6 ERI DORI YOKO MEN UCHI 7 ERI DORI TSUKI AGE 8 USHIRO ERI OBI DORI 9 USHIRO KATA TE DORI ERI JIME

ERI DORI TSUKI AGE. – “Settima presa al ba-vero”. Oltre alla presa, AITE colpisce con un mon-tante (dal basso all’alto) al volto. L’azione difensi-va di TORI comprende il brusco sollevamento dell’avambraccio di AITE – quello della mano che ha afferrato – ed un ATEMI al suo viso e si conclu-de con la proiezione all’indietro. ERI DORI YOKO MEN UCHI. – “Sesta presa al bavero”. L’azione difensiva di TORI comporta lo sbilanciamento di AITE, attraverso un primo ATEMI al suo braccio libero, un secondo ATEMI al viso, con l’altra mano e la proiezione finale a terra.

ERI-KUATSU. – “Pressione addominale, con per-cussione dorsale”. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU); rientra anche nella serie di KUATSU re-spiratori (HAI-KUATSU), sempre con percussioni riflessogene. Questa è una variante del procedi-mento SEI-KUATSU (“tecnica completa”). ETA. – Classe funzionale del Giappone feudale. Sono i reietti, i “non umani”: svolgono una funzio-ne, ma non appartengono ad una classe ben defini-ta; considerati meno che animali, non hanno dirit-ti, nemmeno quello di radersi le sopracciglia o an-nerirsi i denti (quand’è d’uso), così come gli HININ.

- F -

FERUZUE. – Arma insidiosa. Un’asta, spesso di bambù, lunga circa un metro e cava, contiene una palla di ferro, vincolata ad una catena. Brandendo vigorosamente l’asta, la palla esce con forza tale da poter uccidere un uomo. La tradizione attri-buisce l’invenzione di tale arma al monaco buddi-sta HOZO-IN EI. Oggi l’uso di quest’arma è ancora insegnato nell’HOZO-IN RYU e nello SHINDEN FUDO RYU. FU. – “Vento”. FUBUKI. – “Tormenta di neve”. FUCHI. – “Bordo” o “margine”. È la ghiera orna-mentale, metallica, posta vicino alla TSUBA, intor-no all’impugnatura (TSUKA). Solitamente è nello stile della CAPPETTA dell’impugnatura (KASHIRA) e dello stesso materiale. Solo artigiani specializzati producono questi pezzi, firmati e datati, che sono venduti separatamente e poi montati sull’arma.

– Fornimento della YARI. FUDAI-DAIMYO. – “Signori dell’Interno”. Sono i DAIMYO – per lo più vassalli ereditari dei TOKU-GAWA o da questi elevati al rango di DAIMYO, con rendita annua minima di 10.000 KOKU – che so-stengono TOKUGAWA IEYASU nella battaglia di SE-KIGAHARA (1600) e, quindi, lo seguono nella sua presa del potere. Sono ricompensati con terre e-stese e la concessione dei più alti gradi nell’am-ministrazione del BAKUFU. La loro fedeltà al Clan è assoluta.

FUDO. – “Fermezza d’animo”. È quella che, se-condo INAZO NITOBE, il vero BUSHI deve possede-re. [si veda BUSHIDO]. FUDOCHI SHINMYO ROKU. – “Il Libro Divino sulla Saggezza Imperturbabile”, tradotto anche “Documento Misterioso della Saggezza Immobi-le”, “Il Segreto Misterioso del non-movimento” piuttosto che “La Testimonianza Segreta della Saggezza Immutabile” od anche “Il Miracolo della Saggezza Immobile”. È uno scritto in forma nar-rativa o in qualità di esortazioni, quasi fosse una lunga lettera, compilato da TAKUAN SOHO [si ve-da] su richiesta dell’amico YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI, famoso Maestro di KEN-JUTSU e co-fondatore dello YAGYU RYU. In questo saggio TAKUAN SOHO esprime idee mol-to simili a quelle enunciate dal suo amico nell’opera HEI-HO-KADEN-SHO, riflette sulla natu-ra della vita umana e sull’autorealizzazione e de-scrive quale stato d’animo deve avere un combat-tente, secondo la dottrina ZEN: spirito aperto ma calmo, sereno, imperturbabile, impassibile. Solo chi è nello stato mentale FUDO-NO-SEISHIN può vincere. FUDOKI. – “Libri dei luoghi e dei costumi”. È una sorta di Gazzetta ed è tra le prime opere della storiografia ufficiale giapponese (risale al 713), unitamente a KOJIKI (“Memoria degli Antichi Fat-ti”) e NIHONJI (“Annali del Giappone”). [si veda anche SHINTO].

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FUDO-NO-SEISHIN. – “Cuore (o Spirito) Ina-movibile”. “Spirito Imperturbabile” (nel combat-timento). È una condizione d’imperturbabilità to-tale di fronte a qualsiasi cosa possa accadere. Nulla, in questo stato mentale, può turbare lo spi-rito del combattente: imprevisto, aggressione o pericolo che sia; egli è calmo e resta impassibile. Il monaco e Maestro ZEN TAKUAN SOHO elabora il concetto FUDO-NO-SEISHIN, che MIYAMOTO MU-SASHI sviluppa, chiamandolo IWA-NO-MI, “il Corpo come una Roccia”. Il famoso spadaccino TSUKAHA-RA BOKUDEN [si veda] mette in mostra un concreto esempio di FUDO-NO-SEISHIN. Naturalmente, il FUDO-NO-SEISHIN non è uno stato mentale immo-bile e rigido, ma è la condizione di stabilità che deriva dal rapido movimento. Valere a dire che lo stato di perfetta stabilità (fisica e spirituale) proviene dal movimento, che continua all’infinito e che, così, è infinitamente rapido, tanto da essere impercettibile. Il movimento si condensa nel SEI-KA TANDEN. Anche FUDOSHIN. FUDO-NO-SHISEI. – “Esercizio dell’immobili-tà”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da so-li (TANDOKU DOSA). [si veda anche “ Considera-zioni sul KI”]. FUDOSHIN. – Si veda FUDO-NO-SEISHIN. FUDOTACHI. – “Posizione ferma”. È la postura che ogni combattente deve avere, prima di un at-tacco: serena, ferma, immobile. FUGATAMI MISANORI HANNOSUKE. – SA-MURAI. È seguace del DAITO RYU AIKI-JUTSU (scuola tradizionale d’AIKI-JUTSU, JU-JUTSU e KEN-JUTSU) ed allievo del TAKENOUCHI RYU. Nel 1650 circa fonda la scuola SOSUICHI RYU di JU-JUTSU. FUJIWARA. – Potente Famiglia SAMURAI. A Pe-riodo HEIAN instaurato da poco, domina la scena politica giapponese. L’ascesa del Clan, iniziata nel 858, si concretizza con l’instaurazione della Reg-genza a FUJIWARA (dall’anno 890 al 1185), la no-mina a Reggenti (Sessho) e Dittatori civili (Kam-paku), il controllo delle Famiglie TAIRA e MINA-MOTO, fino all’esautorazione di fatto della Dina-stia imperiale ("Imperatori in ritiro", 1086). FUJIWARA HIROSADA. – Celebre armaiolo o-perante all’inizio del Periodo EDO (primi anni del 1600). FUJIWARA UJISHIGE. – Armaiolo attivo verso la fine del 1700. FUJIWARA-NO-NOBUTSUNA. – (1508-1577) Spadaccino. Fonda la scuola SHIN KAGE RYU (“Nuo-

vo KAGE RYU”) di KEN-JUTSU ispirandosi all’AIZU KAGE RYU d’AIZU IKO, di cui migliora le tecniche. FUJIWARA-NO-NOBUTSUNA è divinizzato con il no-me di Kami Izumi Ise-no-Kami. FUJIYAMA. – “Monte Fuji”. È la Montagna Sacra del Giappone: meta di pellegrinaggi e soggetto di innumerevoli opere artistiche, è il punto più eleva-to (3.776 metri) dell’intero arcipelago. Sorge nel-la parte centro-meridionale dell’isola Honshu, a sud ovest di Tokyo, da cui dista una sessantina di chilometri. È un vulcano, inattivo dal 1707: per la mitologia shintoista custodisce il mistero del fuo-co ed il segreto dell’immortalità. FUKIDAKE. – Cerbottana tradizionale. Inizial-mente di legno, (ed è leggera, nonostante i 2,8 metri di lunghezza), poi di canna e lunga 150 cm, lancia frecce di bambù di 25 cm, con impennaggi di carta. FUKIGAYESHI. – Risvolti laterali dell’elmo (KA-BUTO). Sono una specie di coppia d’alette, poste ai lati della visiera, sollevate verso l’alto e variamen-te decorate: servono ad impedire che qualche colpo recida i cordoncini che tengono unite le la-mine della GRONDA (SHIKORO), posta a protezione della nuca. FUKIHARI. – “Arte di lanciare aghi”; “tecniche di lancio di piccoli aghi con la bocca”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). FUKKO KAMAE. – Posizione difensiva, tipica del-lo SHORIN RYU KARATE-DO. Una gamba ha il ginoc-chio a terra, l’altra gamba è perpendicolare alla prima, quasi come un arciere che scocca. FUKOKU-KYOHEI. – “Uno Stato Prospero e un Esercito Forte”. È il motto che accompagna la Re-staurazione MEIJI. L’atteggiamento dei capi della Nazione, fautori della modernizzazione, non può che riflettere il loro carattere, la loro formazio-ne ed anche i loro timori. Il modello da imitare è l’Occidente e la prosperità può arrivare, ma oc-corre anche vigilare per affrontare eventuali mi-nacce dall’estero (lo straniero fa sempre paura!). FUKU. – “Restituire”, “far tornare”; “ristabilire” “restaurare”. FUKU SHIDOIN. – “Aiutante Istruttore”. È il più basso dei tre livelli in cui, alla metà degli anni Settanta del 1900, è diviso il corpo insegnante dell’AIKIKAI HONBU DOJO. Corrisponde approssi-mativamente alla Cintura Nera di 2° e 3° DAN. In ordine crescente i livelli sono: FUKU SHIDOIN (Aiutante Istruttore), SHIDOIN (Istruttore) e SHIHAN (Maestro Istruttore).

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FUKUI HEIEMON YOSHIHARA. – Maestro di spada, noto anche come KAHEI. Verso il 1750 fonda la scuola di KEN-JUTSU, SHINDEN MUNEN RYU, che la tradizione vuole s’ispiri al TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. FUKUMI-BARI. – Arma da lancio (SHURIKEN), d’acciaio, a forma d’ago. Rientra nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste” e, come tutti gli altri SHURIKEN, è utilizzato soprattutto dai NINJA . Pure i FUKUMI-BARI sono molto spesso lanciati in gruppo, con la particolarità che, sovente, sono te-nuti in bocca per poi essere scagliati negli occhi dell’avversario. FUKUNO SHICHIROEMON. – Fonda, ispirandosi al KITO RYU, la scuola d’Arti Marziali che porta il suo nome, il Fukuno Ryu. FUKURO SHINAI. – Spada d’allenamento. È di legno duro, ricoperto di cuoio o tessuto. Si usa nel KEN-JUTSU. FUKUSHIRI KOKYU. – “Respirazione profonda” o “respirazione addominale profonda”. “Centraliz-zazione dell’energia”. Il respiro nasce nell’HARA ed attiva il KI. Respirazione e movimenti sono sincro-nizzati. È anche il momento in cui il singolo, con-centrandosi, si armonizza con l’universo. [si veda-no anche KOKYU e “ Considerazioni sul KI”]. FUKUTO. – Parte superiore esterna della coscia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. FUMI-E. – Pittura religiosa cristiana. Nel 1629, per scoprire i convertiti al Cristianesimo, i so-spetti sono obbligati a calpestare un FUMI-E: chi si rifiuta è ritenuto colpevole. FUNAKOGI UNDO. – Esercizio del “remare”. Movimento della voga. Fa parte degli esercizi fisi-ci specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Anche TORI FU-NE. [si veda]. FUNAKOSHI GICHIN. – (1869-1957) Fondatore del moderno KARATE. Nato a Shuri (OKINAWA), studia OKINAWA-TE già a 10 anni, come allievo del Maestro ITOSU YASUTSUNE ANKO, secondo Capo-scuola dello SHURI-TE. Maestro all’età di 33 anni, nel 1902, e soprannominato Shoto, si costruisce una solida reputazione con pubbliche esibizioni, tanto che, all’inizio degli anni Venti del 1900, è a Tokyo – dove conosce e diviene amico di KANO JI-GORO – per dimostrazioni ufficiali. È di questo pe-riodo la sua opera di riordino e disciplina del me-todo di combattimento, culminata nel 1936, quan-do sostituisce l’ideogramma KARA, “Cina”, “cinese”, con un altro carattere, dalla stessa pronuncia, ma

che significa “vuoto”, “nudo”. Il moderno KARATE (meglio sarebbe, in ogni modo, indicarlo con KARA-TE-DO), quindi, significa “Via della Mano Vuota” e non più “Arte della Mano cinese”. Negli anni ’30 del 1900 l’opera divulgativa e promozionale di FU-NAKOSHI GICHIN (che comunque, come tutti i grandi Maestri, aborre la spettacolarizzazione ed ogni forma di competizione), è assai intensa e ac-cende l’entusiasmo dei giovani, incoraggiati dalle idee ultra nazionaliste del Governo. Ciò porta alla apertura di numerosi DOJO, sia privati sia nelle grandi Società e nelle Università, compreso l’HONBU DOJO: lo SHOTOKAN, nel 1938. SHOTOKAN è anche il nome della scuola fondata da FUNAKO-SHI GICHIN e dello stile da lui insegnato, che pre-vede rapidi spostamenti di base (TAI SABAKI), at-tacchi profondi, penetranti e bassi, tecniche leg-gere. La proibizione d’insegnamento delle Arti Marziali in Giappone, imposta dalle autorità mili-tari d’occupazione, stranamente non riguarda il KARATE, presumibilmente perché gli stessi ameri-cani vogliono imparare questi metodi di lotta, per inserirli nei loro programmi d’addestramento mili-tare. FUNAKOSHI YOSHITAKA. – ( - 1953) È figlio di FUNAKOSHI GICHIN e gli succede nella direzione dello SHOTOKAN, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma gli premuore per malattia. FUNAKO-SHI YOSHITAKA, chiamato anche Gigo, fonda a To-kyo, verso il 1946, lo stile di KARATE denominato SHOTOKAI, che ha un indirizzo più spirituale ri-spetto allo stile del padre e, soprattutto, utilizza metodi – d’allenamento e di combattimento – meno violenti. In effetti, se FUNAKOSHI GICHIN è il co-dificatore dell’OKINAWA-TE, suo figlio FUNAKOSHI YOSHITAKA è il vero padre spirituale della moder-na disciplina chiamata KARATE-DO. FUNDOSHI. – “Perizoma”. È di cotone, lungo e stretto. FURI UCHI. – Tecnica di percussione. È un “ta-glio” diagonale, dal basso all’alto, che si può ese-guire con un’arma o con la mano (SHUTO o TE-GATANA). FURIBO. – Mazza dritta, in legno rivestito, con punta di ferro. Appartiene alla categoria delle mazze composte, cioè costruite con più materiali, per accrescerne l’efficacia. FURI-KABURI. – Sollevare la KATANA sopra la testa. È l’atteggiamento minaccioso (SEME), che si assume prima di eseguire la tecnica principale, il taglio (KIRI-TSUKE, nello IAIDO e nello IAI-JUTSU) o il fendente.

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FURITAMA. – “Stabilire il KI”: metodo di medi-tazione e unificazione dello spirito. Esercizio di concentrazione, generalmente segue FUNAKOGI UNDO. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da so-li (TANDOKU DOSA). Spalle rilassate e braccia di-stese; occhi chiusi; ano serrato; mano sinistra chiusa a coppa sulla destra; tutta l’energia con-centrata nel SEIKA TANDEN. Le mani vibrano veloci davanti all’HARA, trasmettendo la vibrazione al corpo intero. Si deve concentrare lo spirito nel “terzo occhio”, tra le sopracciglia. FURITAMA ha lo scopo di provocare una forte concentrazione. An-che FURUTAMA. FURUTAMA. – Si veda FURITAMA. FUSE. – Dono disinteressato. Può essere tanto materiale quanto spirituale. FUSENSHO. – “Abbandono”. Si riferisce a com-petizioni e tornei: è dichiarato FUSENSHO chi ab-bandona la gara, ferma o rifiuta il combattimento senza motivo o non si presenta. FUSO. – “Antenati”.

FUSUMA. – “Porta”. È un pannello scorrevole, di carta (di riso, normalmente) translucida su telaio di legno, presente nelle case giapponesi tradizio-nali; sempre per tradizione, si dovrebbe aprire con entrambe le mani, stando in SEIZA. È adatto come divisorio per ambienti interni. D’estate, per far meglio circolare l’aria all’interno della casa, in luogo della carta s’usano graticci di giunco (YOSHIDO). FUTARI. – “Due”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è NI, in giapponese puro si dice FUTATSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NIHON. FUTARI DORI. – Tecniche con attacco contem-poraneo di due persone. Neutralizzazioni di at-tacchi multipli con presa alle mani. FUTATSU. – “Due” in giapponese puro. In sino-giapponese è NI, per contare le persone (NIN) si dice FUTARI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa NIHON. FUTOMATA-YARI. – Si veda SASUMATA.

- G -

GA. – “Pittura”, “disegno”. GACHI. – Suffisso per “vittoria” (KACHI). GAESHI. – “Torsione”; “rivoltare”.

– Suffisso per “contrattacco” (KAESHI). GAGAKU. – “Musica elegante”. Con questo termi-ne è normalmente designata la musica eseguita nella Corte imperiale, che si classifica in base all’origine storica delle opere (TOGAKU, da Cina ed India; KOMAGAKU, da Corea e Manciuria) oppure in base alla regola d’esecuzione (BUGAKU: accompa-gnamento per la danza; KANGEN, musica solo stru-mentale). [si veda anche la voce “Giappone. Musi-ca”, nella Terza Parte]. GAIJIN. – “Barbaro”, inteso come proveniente dall’estero, mentre ebisu è il termine – spregiati-vo e con significato analogo – con cui sono indicati gli abitanti autoctoni, gli AINU. GAIJIN si riferi-sce soprattutto agli occidentali. GAI-WAN. – “Bordo esterno” dell’avambraccio. GAKA-JO. – “Quinto principio”, “quinto insegna-mento”. È un termine che, nel DAITO RYU AIKI-JUTSU, indica il GOKYO. È in uso nella scuola YO-SHINKAN AIKIDŌ. GAKE. – Suffisso per “attacco”, “attaccano”.

– Suffisso per “gancio”, “uncino”; “a gancio” (KAKE, KAGI). GAKU. – “Diploma scritto”. È rilasciato al BUDOKA dopo l’acquisizione di un grado. GAKU-DAIKO. – Grande tamburo a barile, so-speso. Fa parte della strumentazione di base del GAGAKU. [si veda la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. GAKU-NO-ITA. – Parte del KOTE: protegge il braccio. GAMAE. – Suffisso per “guardia” (KAMAE). GAMI. – Suffisso per “divinità”, “spirito divino” (KAMI). GAN. – Suffisso per “intuizione” (KAN). GAN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, NODACHI-JUTSU e TESSEN-JUTSU. La fonda, verso il 1600, SASAKI KOJIRO, che s’ispira allo stile CHUJO RYU di Chujo Nagahide. Si racconta che numerosi spa-daccini di questa scuola preferiscano usare il ven-taglio di ferro, in luogo della spada, anche contro più avversari armati. È ancora in attività. GANBARI. – È un termine intraducibile, che si riferisce ad un modo d’essere e di fare tipico del-la cultura giapponese. Indica la perseveranza, il

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tener duro, la tenacia che rasenta l’ostinazione. È, in pratica, un altro retaggio del BUSHIDO, e cioè la consapevolezza del “dovere” da adempiere, fa-cendo sempre del proprio meglio in ogni situazio-ne: ciò che conta, in effetti, non è tanto il risulta-to raggiunto quanto l’impegno profuso. GANBATTE. – “Lavora intensamente”, “lavora so-do”. È un modo sia di salutare sia di incoraggiare ed incitare, tanto i figli diretti a scuola quanto i giocatori della propria squadra, allo stadio. GANCHU. – “Plesso cardiaco”. KYUSHO, “punto vi-tale” o “debole” per gli ATEMI. GANKA. – “Pettorali”. Zona tra la 4^ e la 5^ co-stola. Punto del petto. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. GANKAKU. – “Gru su una roccia”. È uno dei KATA superiori del KARATE stile SHOTOKAN. GANSEI. – “Globo oculare”. Zona degli occhi. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. GANSEKI. – “Roccia”. GANTSUBUSHI. – “Lanciapepe”. Si veda MESTU-BUSHI. GARAMI. – “Avvolgere”. S’intende mantenere una presa per immobilizzare l’avversario (KATAME WA-ZA). Viene da KARAMU, “imbrigliare”. GARI. – Suffisso per “falciata” (KARI). GASHIRA. – Suffisso per “testa”, “colonna” (KA-SHIRA). GASSAN RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU. Ri-sale all’inizio del secolo XIX ed ha lo scopo, at-traverso la padronanza delle tecniche di maneggio della lancia, di ricercare una saggezza superiore, universale. È ancora attiva. GASSHO. – “Saluto”. È tanto una forma di saluto, con i palmi delle mani congiunti verticalmente da-vanti a sé, quanto una posizione di concentrazione a mani congiunte. È simbolo dell’unità di spirito e realtà. GASSHO KAMAE. – “Posizione di saluto”. È uti-lizzata nello SHORIN RYU KARATE-DO, prima e dopo gli allenamenti: mani giunte davanti agli occhi, dita divaricate. GATAME. – Suffisso per “controllo” (KATAME). GE. – “Basso”, “inferiore”. Anche SHIMO. GEDAN. – “Livello basso”. Nelle Arti Marziali in-dica l’altezza di un attacco o di una parata. È il li-vello compreso fra la terra e l’addome.

– “Basso”. Posizione bassa della mano. È la fa-scia dell’addome corrispondente al basso ventre. GEDAN KAMAE. – “Guardia bassa”. Allorquando si riferisce a posizione di guardia con armi (la cui

punta è tenuta bassa), è più corretto gedan-no-kamae. Anche GEDAN-GAMAE. GEDAN MAE-GERI. – “Calcio frontale al livello basso”. GEDAN TSUKI. – “Pugno al basso ventre”. GEDAN-GAMAE. – “Guardia bassa”. Si veda GE-DAN KAMAE. GEI. – “Arte”.

– “Metodo”, “realizzazione”. GEIDO. – “La Via delle Arti”. Si intendono le “belle arti”. Anche GEI-DO. GEI-DO. – Si veda GEIDO. GEIKO. – Suffisso per “allenamento”, “esercizio” (KEIKO).

– “Abile nelle Arti”. Così è definita una MAIKO ormai formata, pronta ad incarnare quella figura a mezza via tra una colta etèra greca, di classica memoria, ed una intrattenitrice da banchetto: la GEISHA. Anche GEI-KO. GEI-KO. – Si veda GEIKO. GEINOH. – Genere teatrale popolare. Unitamen-te al teatro NŌ – più simbolico e “serio” – rappre-senta il modello dello stile teatrale giapponese, che s’afferma tra i secoli XIII e XIV. GEISHA. – “Persona dell’arte”. “Ospite profes-sionale” (ora solo femminile). È colei che, conosci-trice delle regole dell’etichetta ed abile nella mu-sica, nella danza, nel canto e nella conversazione, è anche capace di mantenere i segreti appresi du-rante l’esercizio della sua funzione. Il suo ruolo è di rendersi gradita agli uomini, com-piacendoli, divertendoli, conversando, tenendo lo-ro compagnia nelle CHA-NO-YA, le “Case per il tè” od in occasioni particolari oppure durante cene e banchetti (“servendo” addirittura a tavola [si ve-da NYOTAIMORI]). La GEISHA, nell’immaginario collettivo giapponese, e non solo maschile, incarna l’ideale della bellezza e della perfezione: sempre accondiscendente; di-ritta eppure flessuosa; le curve naturali del corpo “raddrizzate”, mascherate da strati di KIMONO sovrapposti, allacciati da OBI il cui nodo è diverso secondo il “messaggio” da veicolare (riserbo, gioia, disponibilità…). Tinto di bianco il viso – su cui spicca, disegnata, la linea delle sopracciglia e risalta il vermiglio delle gote e delle labbra, colorate – come candidi sono collo, mani e nuca (il fascino del collo è accentuato da due strisce di pelle nuda, all’altezza delle nuca, a forma di V). E per fortuna che, oggi, non s’usa più la BIACCA!

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La GEISHA dei tempi più antichi è spesso un uomo travestito, con cui i clienti si intrattengono – con-versando, bevendo SAKÈ, mangiando, giocando – prima di passare, per altri e più concreti passa-tempi, a cortigiane e prostitute. Dal Periodo EDO (1603-1867) in poi le GEISHE sono esclusivamente donne, spesso vendute, giovanis-sime, dalla famiglia alla scuola che deve preparar-le alla ben difficile arte di compiacere il maschio. Le GEISHE sono ospiti femminili professionali (ora divenute economicamente accessibili alla CLASSE SOCIALE dei MERCANTI): discendono dalle danza-trici e dalle cortigiane dell’antica società aristo-cratica, ma non sono delle prostitute, tant’è vero che la punizione per una GEISHA che si vende è la chiusura della sua CHA-NO-YA e delle due viciniori! L’educazione, la preparazione di una GEISHA dura parecchi anni e spazia dalla danza e dal canto tradizionali alla cerimonia del tè (CHA-NO-YU), dall’arte della calligrafia (BOKUSEKI) allo studio degli strumenti musicali tradizionali (KOKYU, KOTO, SHAMISEN), dall’ORIGAMI all’IKEBANA, dai giochi di società (come la morra) fino all’arte della conver-sazione per doppi sensi, dove le allusioni al sesso non sono mai esplicite. Le GEISHE, nel loro insieme, costituiscono una cor-porazione, anzi, una vera e propria società, chia-mata “il mondo del fiore e del salice” (KARYUKAI): un mondo di donne governato dalle donne, con l’u-nica eccezione degli OTOKOSHI. Oggi, nelle poche scuole per GEISHE, sono ammes-se solo giapponesi purosangue, che si sottopongo-no a non meno di cinque anni di studi e duro tiro-cinio da allieve (MAIKO), prima di poter essere GEIKO. La compagnia di una GEISHA, oggi come ieri, è piuttosto costosa: per un’intera serata i clienti arrivano a pagare l’equivalente di non meno di 6-700 euro a testa; essere benestanti, comunque, non è sufficiente, dato che per entrare nelle CHA-NO-YA più esclusive è necessario essere presenta-ti da altri clienti. Il tenore di vita di una GEISHA, in ogni caso, è al-trettanto dispendioso: basti ricordare che una GEIKO che si rispetti deve possedere almeno dieci KIMONI, adatti per ogni stagione e per tutte le occasioni i quali, se interamente dipinti a mano, come sovente accade, possono costare fino a 10-15.000 euro ciascuno! Per una GEISHA, ieri come oggi, anche il modo di camminare è importante: come ricorda un antico adagio, «… procedi con andatura costante, a pic-

coli passi, affinché l’orlo del KIMONO ondeggi: ve-dendoti camminare, si deve avere l’impressione d’onde che s’increspano sulla riva sabbiosa…». Anche GEI-SHA. GEI-SHA. – Si veda GEISHA. GEKIKAN. – Catena con palla di ferro ad un’e-stremità. GEKIKAN-JUTSU. – “Arte di usare il GEKIKAN”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali princi-pali). GEKKEN. – Antica denominazione del KENDO. È in vigore nell’Era MEIJI, fino al 1912, e gekkenka so-no chiamati i praticanti. Oggi indica una tecnica “dura” di SHINAI. GEKKIN. – “Liuto a forma di luna”. Ha manico corto e cassa di risonanza di forma circolare. È dotato di due corde doppie, di seta, pizzicate con un plettro d’avorio o tartaruga. GEKKO. – “Raggio di luna”. GEKON. – “Mento”. Punto del mento. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. GEMPEI. – Così è chiamata la guerra tra i MINA-MOTO (GENJI) ed i TAIRA (HEIKE), combattuta dal 1180 al 1185 per la supremazia politica e militare. Il nome viene dall’unione delle prime due sillabe dei caratteri che costituiscono il nome di Clan coinvolti, letti alla maniera cinese. Al termine del-la guerra il Clan TAIRA è distrutto e MINAMOTO-NO-YORITOMO si ritrova SHOGUN. GEN. – “Occhi”. GENDAI-TO. – “Spada (o lama) moderna”; Il termine indica le spade forgiate dal 1871 alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le “spade anti-che”, fabbricate dal 900 circa al 1530 circa (op-pure al 1603 o 1614, secondo le fonti), sono chia-mate KO-TO. Le “spade nuove”, SHIN-TO, sono quelle prodotte dal 1530 (o 1603 o 1614) al 1716 circa, mentre quelle fabbricate dal 1717 al 1870, si chiamano SHIN-SHIN-TO, “spade nuovissime”. Le spade prodotte dal secondo dopoguerra sono le “spade recenti”, SHINSAKU-TO. La classificazione si riferisce alla tradizione delle NIPPON-TO, le “spade giapponesi”. GENIN. – “Gente inferiore”. Suddivisione interna della classe sociale dei contadini, nel Giappone feudale. Sono abitanti delle campagne, general-mente stranieri o loro discendenti (AINU, Coreani, Cinesi), ma tra loro si trovano anche contadini a-giati diventati insolventi ed anche agricoltori vendutisi per fame. Spesso abbandonano la terra e si mettono al servizio di signori e uomini d’arme, tanto che quasi tutti loro, dall’inizio del secolo

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XIV, sono diventati guerrieri al seguito (SHOJU) di SAMURAI.

– Sono, nell’ambito dei Clan NINJA, gli esecu-tori materiali delle missioni. Operano agli ordini dei CHUNIN e su mandato dei capi (JONIN). GENJI. – Si veda MINAMOTO. GENJI MONOGATARI. – “Storia dei GENJI”. È un romanzo, il primo del Giappone scritto in giap-ponese, di cui si abbia notizia certa, senza voler considerare altri due testi (Racconto di Sumiyo-shi e Racconto di Komano), ormai perduti, citati proprio in un capitolo del GENJI MONOGATARI. Composto fra il 1002 ed il 1008 da SHIKIBU MU-RASAKI, è l’interminabile narrazione delle gesta, le vite, gli amori della Famiglia MINAMOTO (o GENJI), iniziando dal principe Hikaru (“Splendente”: pro-babilmente il modello è MINAMOTO TAKAAKIRA) sotto il regno dell’imperatore Daigo (897-930), fino al periodo coevo dell’autrice. Si tratta di 54 capitoli, con 400 personaggi di 4 generazioni, copre 70 anni circa del Periodo HEIAN (794-1156). Un mondo aristocratico e lon-tano, ma con valori ancora attuali: la tristezza della solitudine e l’infelicità dell’esilio, l’impeto della passione, il furore della gelosia e poi eroi-smi, rivalità, ambizioni… Non per niente può sem-brare, ai nostri occhi, la sceneggiatura di una am-biziosa soap opera! Il tutto in un ambiente dove la morale si confonde nell’estetica, in un ambito permeato da un rigoro-so rispetto per la forma, la fedeltà ed il dovere, nell’eterno ciclo karmico di concatenazione di cause ed effetti, in questa o in altre vite, delle azioni passate. Altro aspetto rilevante del GENJI MONOGATARI è proprio il fatto che abbia subito avuto successo, pure scritto com’è in giapponese. In questo tem-po, infatti, la lingua ufficiale – di Corte e degli uomini istruiti – è il cinese e le Dame, che hanno il divieto di apprendere tali ideogrammi, inventano un proprio alfabeto e scrivono le loro opere “di in-trattenimento” (prosa e poesia) in giapponese. Anche gli uomini, d’altra parte, ne restano presto affascinati! Ultimo elemento da considerare, certo non il me-no importante, è che il GENJI MONOGATARI in-fluenza tutta la cultura, le arti ed il “modo di sen-tire” giapponesi, fino ad oggi: anche i delicati sho-jo-manga, i MANGA romantici che affascinano le ragazze, sono suoi debitori, per non parlare dei videogiochi ad esso ispirati.

GENJI-NO-HEI-HO. – “Arte guerriera dei GENJI”. Così si chiama una scuola di strategia mi-litare e di perfezionamento nelle Arti Marziali classiche; il nome deriva dal Clan guerriero dei MINAMOTO, vincitori della lotta per la supremazia contro i TAIRA (1185). Per la tradizione familiare, la scuola è fondata dal principe Teijun, sesto fi-glio dell’imperatore Seiwa (859-877). Materie di studio sono la progettazione di ponti, strade e fortificazioni, l’arte di disporre le truppe in bat-taglia (SENJO-JUTSU) e le tecniche di segnalazio-ne con il fuoco (NOROSHI-JUTSU), oltre a KEN-JUTSU, YARI-JUTSU e JU-JUTSU. La GENJI-NO-HEI-HO passa presto sotto il controllo della Famiglia TAKEDA – sempre parte del Clan MINAMOTO – ed è TAKEDA NOBUMITSU, alla fine del secolo XI che amplia e rielabora le tecniche della scuola cui, nel secolo XV, è attribuito il nome di TAKEDA HEI-HO. GENKI. – “Vigore” (è composto di KI). Non s’in-tende il solo vigore fisico. GENKOTSU. – “Arte di attaccare i punti vitali”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali princi-pali). GENPUKU. – “Consegna del Cappello”. È la ceri-monia che segna il passaggio all’età virile: al gio-vane, entrato nell’età adulta, è consegnato l’EBO-SHI – segno distintivo della diversa condizione so-ciale – ed attribuito un nuovo nome (EBOSHI-NA). GENSHIN. – È la sensazione che consente di prevedere, ancor prima che questi la inizi l’azione dell’avversario. [si veda YOMI]. GERI. – Suffisso per “calcio” (KERI). GESA. – Suffisso per “fascia”, “trasversale” (KE-SA). GESAKUNIN. – Suddivisione interna della classe sociale dei contadini, nel Giappone feudale. I GE-SAKUNIN fanno parte degli abitanti delle campa-gne: sono piccoli coltivatori e affittuari (a termi-ne) di contadini proprietari. Tra loro, spesso, si trovano guerrieri senza titoli né proprietà che, per sopravvivere in tempo di pace, coltivano la terra. GETA. – Tradizionali zoccoli di legno: si usano quando piove. Rialzati da terra per mezzo di due piastre trasversali, si fissano al piede con un paio di strisce che passano tra gli alluci. GI. – “Casacca” del KEIKOGI. Pure UWAGI.

– “Terra”. – Indica la capacità tecnica del DANSHA. [si

veda SHINGITAI].

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– “Giusta attitudine”; “senso di giustizia”, “in-tegrità morale” “onore”. Uno dei punti del BUSHI-DO. [si veda]. GIKAN RYU. – Scuola di KOPPO-JUTSU, ancora attiva. GINGA. – “Via Lattea”. GIRI. – “Dovere”, “obbligo”, “debito di ricono-scenza”. È inteso soprattutto verso un superiore (il padre, un Maestro o il proprio Signore). Il GIRI, per un SAMURAI, ha la precedenza su tutto, sen-timenti d’umanità compresi. È il “senso del dove-re” che, secondo INAZO NITOBE, il vero BUSHI de-ve possedere. [si veda BUSHIDO]

– Suffisso per “taglio”, “tagliare”. GIRI CHOKO. – “Cioccolatini del dovere”. Sono quelli che – sulla scia della festa di San Valentino, ormai osservata anche il Giappone – si regalano ai conoscenti, maschi, con cui è necessario intratte-nere buoni rapporti. I cioccolatini destinati alla persona amata sono gli HONMEI CHOKO. GIYO-YO-ITA. – Piastra di protezione delle a-scelle, nella tarda armatura. È fatta di scaglie metalliche laccate o maglia di ferro; il termine deriva dalla parola cinese che indica la foglia dell’albero ginkgo biloba (icho), forma che questa piastra conserva. GO. – “Forza”, “forte”; “duro”. Principio opposto a JU. Deriva dall’ideogramma cinese wu (“principio di forza”). Indica l’applicazione della forza contro la forza.

– “Cinque” in sino-giapponese. In giapponese puro è ITSUTSU, per contare le persone (NIN) si dice GONIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa GOHON.

– “Protezione”. – Gioco d’abilità, di cui pare certa l’origine ci-

nese. Risale ad oltre 4.000 anni fa ed è diffuso in tutto l’Estremo Oriente, in particolare in Cina (dove è chiamato Wei-qi), Corea e Giappone. Si gioca su una scacchiera quadrata (GOBAN), da 9x9, 13x13 oppure 19x19 righe, su cui si collocano pedine bianche o nere, chiamate “pietre”, preleva-te da ciotole (goke). In un GOBAN 19x19, con 361 incroci, il nero ha 181 pietre, il bianco 180; il nero contraddistingue il giocatore più debole, il quale inizia la partita. Vince il giocatore che “conquista più terreno”, delimitando aree sulla scacchiera con le proprie pedine, e che cattura più “prigio-nieri”: le pietre dell’avversario che restano cir-condate.

È un gioco di strategia, in cui i giocatori princi-pianti vanno dal 30° al 1° KYU e gli esperti dal 1° al 6° DAN (quelli professionisti dal 1° al 9°).

– Con questo termine s’indica il “nome d’arte” che, spesso, contraddistingue gli artisti. GOBAN. – Scacchiera per il gioco del GO. GO-DAIGO. – Imperatore dal 1318 al 1339. È autore di un anacronistico tentativo di restaurare l’autorità imperiale – il cui prestigio è da tempo compromesso – ed il potere del TENNO. Tenta il colpo di stato nel 1331, contro i Reggenti HOJO, me la ribellione fallisce e lui è esiliato. Evaso nel 1332, si trova ad essere la forza unificatrice di numerosi scontenti: KENIN delusi nelle proprie a-spettative di ricompensa, interi Clan SAMURAI, funzionari e amministratori militari (JITO) degli SHOEN, diversi SHUGO. Grazie al Clan ASHIKAGA, guidato da ASHIKAGA TAKAUJI, ed agli altri Clan alleati – tra cui i KUSUNOKI – prevale nella guerra di Genko e nel 1333 entra in KYOTO, conquistata da ASHIKAGA TAKAUJI, mantenendone il controllo fino al 1336. Rimpiazza gli SHUGO con cortigiani civili, nomina SHOGUN il proprio figlio e, soprat-tutto, tenta di restaurare in pieno il Governo im-periale. Molti SAMURAI, però, non si sentono ade-guatamente ricompensati e, nel 1335, ASHIKAGA TAKAUJI si ribella, scaccia GO-DAIGO (che si rifu-gia a Yoshino) e mette al suo posto un altro mem-bro della Famiglia imperiale, ottenendone il titolo di SHOGUN. La nuova guerra civile (guerra Nambo-kucho) dura fino al 1392 e vede combattersi due imperatori, uno con sede a Yoshino (Corte del Sud), l’altro, protetto dagli ASHIKAGA, che for-malmente governa da KYOTO (Corte del Nord). Ri-sultato ultimo del fallito tentativo di restaurazio-ne di GO-DAIGO è che dal 1392, con la riunifica-zione delle Corti a KYOTO, tutti gli imperatori so-no tenuti sotto stretta sorveglianza e gli SHOGUN accentrano nelle proprie mani sia il potere milita-re sia quello civile, prima separati ed equilibrati: il BAKUFU, il Governo militare, è più militare che mai. Altra importante conseguenza è l’impoverimento della ricchezza imperiale: la fuga da KYOTO porta alla confisca di tutte quelle proprietà personali trasferite al Tesoro pubblico, con l’intento che siano amministrate in favore della Nazione. Persi per sempre quei beni, molti imperatori, successori di GO-DAIGO, devono dipendere dalla generosità (spesso “pelosa”) delle Famiglie più ricche e po-tenti, che possono interferire pesantemente nella pur limitata opera del Governo imperiale.

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GODAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 5° grado”. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’allievo – pur avendo ancora molto da apprendere – inizia a comprendere la natura, se stesso, la verità: si avvicina al livello di Mae-stro. GOHO. – “Metodo attivo”. Comprende le “tecni-che attive”, previste nell’allenamento del NIPPON SHORINJI-KEMPO, consistenti soprattutto in at-tacchi e parate con contrattacchi di calcio o pu-gno. Il GOHO è l’opposto dello JUHO, il “metodo passivo”, le “tecniche passive” della difesa. GOHON. – “Cinque”, per contare oggetti partico-larmente lunghi (HON). In sino-giapponese è GO, in giapponese puro si dice ITSUTSU, per le persone (NIN) s’usa GONIN. GOHON-KUMITE. – “Combattimento program-mato”. Nel KARATE identifica una serie di cinque attacchi in altrettanti passi; l’avversario esegue a sua volta cinque parate, arretrando d’altrettanti passi e chiude con un contrattacco. GOJU RYU. – “La scuola dura, la scuola morbida”. Stile di KARATE. Ideato nel 1930 da MIYAGI CHO-JUN, prevede l’alternanza di tecniche “dure” (GO) e “morbide” (JU) e si basa sugli insegnamenti di HIGAONNA KANRYO, di OKINAWA. Tra le caratteri-stiche di questa scuola è la respirazione enfatiz-zata, su movimenti corti, e posture particolari, come il sanchin-dachi (“posizione a clessidra”). Caposcuola, dopo MIYAGI CHOJUN, è YAMAGUCHI GOGEN, detto “il Gatto”, che fonda lo stile KARA-TE-SHINTO. Il GOJU RYU è ancora attivo. GOJUSHI-HO. – “Cinquantaquattro passi”. KATA superiore della scuola SHOTOKAN di KARATE. Può essere breve (gojushi-ho sho) o lungo (gojushi-ho dai). GOKADEN. – È termine che identifica il gruppo delle cinque Scuole classiche di fabbricanti di spade, nate attorno all’anno 1000, sotto l’impera-tore Ichijo (986-1011). Corrispondono alle aree (Province), ricche di giacimenti di minerali ferro-si, in cui si sono raggruppate numerosi laboratori, fonderie, officine: Bizen, la più famosa, Mino, So-shu o Sagami, Yamashiro e YAMATO. A capo delle prime Scuole ci sono Munechika di KYOTO, Tomo-nari di Bizen e Masakuni di SATSUMA. GOKAKU-GEIKO. – “Allenamento tra equivalen-ti”. Si riferisce a sedute d’allenamento tra prati-canti che si equivalgono in forza e abilità, soprat-tutto nel KENDO.

GO-KENIN. – “Onorabile uomo di casa”. Inizial-mente, all’inizio del Periodo KAMAKURA (1185-1333), si tratta di vassalli diretti dello SHOGUN, proprietari terrieri che comandano di persona i guerrieri tratti dai contadini del loro territorio e, pertanto, sono SABURAI. È il ceto più basso della classe SAMURAI. GOKUHI. – “Tecniche riservate”. Sono quelle tecniche insegnate solo ad allievi, di grado supe-riore, particolarmente dotati. GOKYO. – “Tecnica numero cinque”. “Quinto prin-cipio” [si veda UDE NOBASHI]. IMMOBILIZZAZIONE con trazione del braccio di AITE. Si utilizza so-prattutto contro fendenti verticali (SHO MEN U-CHI) od obliqui (YOKO MEN UCHI).

– “I cinque principi”. Nello JUDO sono la base del programma d’insegnamento: cinque gruppi (KYO) di otto tecniche-base ciascuno, in posizione eretta (TACHI WAZA), con grado di difficoltà cre-scente. Ad ogni KYO corrisponde una cintura di co-lore diverso, da giallo (1°) a marrone (5°). GOKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di quinta classe”. [si veda KYUDAN]. GOMAI-KABUTO. – Tipo d’elmo. È utilizzato, tra XI e XIII secolo, soprattutto con l’armatura YO-ROI. Cinque file di lamine allacciate formano la gronda (SHIKORO), posta a protezione della nuca; da questa deriva, appunto, il nome dell’elmo: GO, “cinque” e MAI, “piastre”. Il coppo emisferico (HA-CHI), è formato da piastre unite con ribattini, è fornito di visiera (MABEZASHI), ha il foro TEHEN ed è dotato di anello (kasa-jiryshi-no-kwan) nella parte posteriore, cui si fissa un distintivo di stoffa. GONIN. – “Cinque”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è GO, in giapponese puro si di-ce ITSUTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa GOHON. GONIN DORI. – “Cinque persone prendono”. GONIN-GAKE. – Cinque AITE attaccano TORI. GONIN-GUMMI. – È il sistema della responsabi-lità collettiva. Un tempo limitato alle campagne è presto esteso anche alle città: in ogni strada, gli abitanti delle case sono riuniti in gruppi di cinque, con uno che è responsabile di tutti gli altri, ma con tutti che spiano tutti. GO-NO-GEIKO. – Tipo di allenamento. Rientra nello studio classico (IPPAN-GEIKO). [si veda, nella Prima Parte, il Capitolo “Il metodo d’allenamen-to”].

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GO-NO-SEN. – “Dopo di prima: contrattacco”. Tecnica di difesa, comune a tutte le Arti Marzia-li: consiste nel contrattaccare con forza dopo a-ver parato un attacco dell’avversario, prendendo l’iniziativa del combattimento. È questo il princi-pio che UESHIBA MORIHEI mette alla base dell’AIKIDŌ, in luogo del KOBO-ICHI (“unità in at-tacco e difesa”). Si dice anche ATO-NO-SAKI e ATO-NO-SEN.

– “Discepolo”. Convenzionalmente, è la quali-fica che spetta alla Cintura Nera, 2° DAN, prati-cante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN]. GOON TO HOKO. – Indica un’altra regola di eti-chetta. È l’abitudine a dare risalto ai rapporti di conoscenza e d’amicizia con doni. GOREI. – “Allenamento collettivo”. È una forma di allenamento fatto in gruppo, sotto la guida di un esperto. GORIN-NO-SHO. – “Il Libro dei Cinque Anelli”. Saggio in cinque rotoli, considerato uno dei “clas-sici” delle Arti Marziali. Lo scrive il celeberrimo MIYAMOTO MUSASHI, con l’aiuto del discepolo TE-RAO KATSUNOBU, verso il 1643, quando da tempo ha abbandonato tutto per cercare la Via, medita-re e seguire una vita contemplativa. L’opera trat-ta, oltre che di strategia, di KEN-JUTSU le tecni-che di spada, che MIYAMOTO MUSASHI predilige usare in coppia, una per mano. Ognuno dei rotoli in cui il GORIN-NO-SHO è diviso, è intitolato ad uno degli “elementi” della tradizione cosmologica o-rientale: terra, acqua, fuoco, vento, vuoto (o cie-lo). L’aspetto più interessante del trattato è il cammino spirituale proposto dall’autore, una sorta di “Via della Spada” globale, quasi ad anticipare l’essenza del BUDO moderno, in contrasto con il carattere assolutamente pratico dello JUTSU. GOSHI. – “SAMURAI di campagna”. È una figura che prende piede nella prima metà del 1600, a fronte del massiccio inurbamento dei BUSHI. È il Clan Yamauchi, a Tosa, che concede il rango di GOSHI agli antichi gregari Chosokabe, sia per pa-cificarli sia per estendere le terre bonificate. Dal 1644, inoltre, chiunque possa dimostrare la di-scendenza da un gregario Chosokabe e provvede a bonificare campi che rendano almeno 30 KOKU l’anno, diventa GOSHI. Nel 1763, abolito l’obbligo di discendenza, anche i mercanti possono ottene-re la nomina e, nel 1822, il rango di GOSHI è messo in vendita, costituendo una valida (e meno dispen-diosa) alternativa all’adozione a pagamento. Anche i GOSHI – come gli SHOYA, con i quali hanno affini-tà – verso la metà del 1800 contribuiscono, con le

loro pretese di cambiamento, a ridimensionare il ruolo dei SAMURAI di città.

– Suffisso per “vita”, “busto”, “zona della cin-ta”, “anca” (KOSHI). GOSHIN-DO. – Insieme di tecniche, solo difen-sive, del KARATE-DO. GOSHIN-JUTSU. – Tecniche di autodifesa. È termine generico, che deriva da GO, “protezione” e SHIN, “cuore”, “intuizione” ed indica quelle tec-niche di difesa – insegnate al KODOKAN – per op-porsi ad aggressori, tanto a mani nude (TOSHUNO-BU) quanto armati (BUKINOBU). Il suffisso JUTSU rivela l’aspetto utilitaristico di queste forme di combattimento. GOSHOZAMURAI. – Sono guerrieri di nobile famiglia, al servizio della Casa imperiale, nel seco-lo XIV (Periodo MUROMACHI, 1392-1573). È da questo vocabolo che, per un’evoluzione fonetica della pronuncia, deriva in seguito il termine SAMU-RAI. GOTO TAMAUEMON TADAYOSHI. – (1644-1736) Maestro d’Arti Marziali d’AIZU. È il fonda-tore della scuola DAIDO RYU. GO-TOBA – Imperatore dal 1184 al 1198. Protet-tore dei fabbri, è egli stesso forgiatore di lame eccellenti, che firma con il crisantemo imperiale. GOTO-HA YAGYU SHINGAN RYU. – È la “scuola derivata” dello YAGYU SHINGAN RYU dove UESHIBA MORIHEI, al tempo del suo servizio mili-tare, studia KEN-JUTSU e JU-JUTSU con il Mae-stro Nakai Masakatsu. GOTO-YUJO. – (1440-1513) Celebre Maestro, fabbricante di TSUBA. Lavora per l’ottavo SHOGUN ASHIKAGA, Yoshimasa; i suoi allievi fondano la scuola Goto, specializzata nelle decorazioni in oro e bronzo. GOYO-SHONIN. – “Mercante patentato”. I GO-YO-SHONIN, sono mercanti privilegiati: vivono ed hanno bottega vicino al castello e godono d’alcune esenzioni fiscali. Alcuni sono di provenienza SA-MURAI, specializzati nelle forniture militari. GUBEI. – Si veda INUGAMI NAGAYASU. GUENMAI. – È un piatto della tradizione giappo-nese: riso integrale e legumi. GUMBAI. – “Ventaglio da guerra”. È di del tipo rigido e arrotondato (UCHIWA) e dapprima (Perio-do KAMAKURA, 1185-1333) affianca, poi (Periodo EDO, 1603-1867) soppianta il “bastone di coman-do” SAIHAI, raggiungendo il culmine della popolari-tà alla metà del secolo XVI. Il GUMBAI, come il SAIHAI, è segno distintivo di grado e di rango e serva anche a segnalare comandi e disposizioni

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durante la battaglia. Gli esemplari di maggiori di-mensioni servono, all’occorrenza, come scudi oc-casionali. In origine ogni capo-gruppo di guerrieri porta in battaglia il proprio GUMBAI che, in seguito (Periodo EDO o TOKUGAWA) diventa prerogativa dei generali comandanti. Si trovano anche esem-plari tutti di ferro. I motivi ornamentali, in origi-ne, sono i simboli della COSMOGONIA orientale: so-le e luna (a rappresentare il principio attivo e passivo, Yang e Yin); draghi e tempeste; l’Orsa Maggiore (il centro dell’universo). In seguito pre-domina la rappresentazione del MON, l’emblema di Famiglia.

– “Ventaglio rituale”. Lo utilizzano gli arbitri (GYOJI) nelle gare e tornei di SUMO per segnalare le decisioni ai lottatori. Il colore varia secondo il rango dell’arbitro, dal nero dei principianti al blu, dal bianco al porpora del giudice-arbitro (TATE-GYOJI). Identico, per forma e materiale, al venta-glio da guerra, di solito è decorato con un sole su una faccia ed una luna sull’altra. GUNKIMONO. – “Cronache Militari”. Sono de-scrizioni delle grandi guerre civili del secolo XII, interessanti per l’immagine che i SAMURAI, prota-gonisti indiscussi ed autori delle “Cronache”, han-no di sé. Le opere più conosciute sono l’Heike Mo-nogatari (“Storia della Famiglia TAIRA”) e il Kon-jaku Monogatari, del 1080. GUNSEN. – “Ventaglio da guerra”. È del tipo pie-ghevole ed è portato dal BUSHI, quando indossa l’armatura. GURUMA. – Suffisso per “circolare”, “ruota” (KU-RUMA). GUSARI. – Suffisso per “catena” (KUSARI). GUSOKU. – Armatura. Nel 1568 risulta già messa a punto, ma diventa tipica nel Periodo EDO (1603-1867). È definita “moderna” ed è costruita addi-rittura fino al secolo XIX. La fattura è forte-mente influenzata sia dalle armature europee sia dall’esigenza di protezione contro le armi da fuo-co, anche se il lungo intervallo di pace e l’amore per la tradizione ne fanno un connubio tra un og-getto da parata ed una riedizione di vecchi mo-delli. Innumerevoli sono le varianti di GUSOKU, o-gnuna con un proprio nome: solo gli esperti (e non sempre!) riescono a distinguerle. Nel Periodo EDO, in ogni modo, sono prodotti tutti i tipi di armature antiche, con aggiunte e varianti: DO-MARU, HARA-MAKI, HARA-ATE, O-YOROI. Accanto ad armature forgiate alla vecchia maniera, con lamelle di ferro laccate, troviamo corazze all’europea, con piastre di ferro variamente collegate, o perfino piastre in

pezzo unico, talvolta sagomate. La GUSOKU è chia-mata nanban-gusoku, quando alla stessa sono a-dattati tipici elementi d’armature europee. Le co-razze di metallo sbalzato, tipiche dei secoli XVIII e XIX, sono chiamate uchidashi, mentre quelle formate da numerose piastre di dimensioni medie, unite e maglia di ferro, anch’esse dei seco-li XVIII e XIX, sono le TATAMI-GUSOKU. Tutte le parti dell’armatura sono collegate e fermate da cinghie o cordicelle. Nell’ultimo quarto del secolo XIX molte armature – spesso di cuoio laccato – sono prive delle protezioni posteriori. Anche TO-SEI-GUSOKU. GUSOKU BITSU. – “Scatola per l’armatura”. Può essere di legno, talvolta laccato, od anche di car-tapesta. La GUSOKU BITSU per armatura leggera si trasporta sulla schiena, grazie a cappi nella parte anteriore dove s’infilano le BRACCIA. Quella per armatura pesante è più solida, con manici ed anelli di ferro, attraverso i quali s'infila un palo che, in viaggio, è retto da due uomini. GYAKU. – “Contrario”, “opposto”; “inverso”, “ro-vesciato”. GYAKU HANMI. – “Posizione speculare”. Posizio-ne reciproca iniziale. TORI e AITE sono in posizio-ne speculare: al piede avanzato dell’uno (destro o sinistro), corrisponde quello opposto dell’altro (si-nistro o destro). La posizione “simmetrica” è det-ta AI HANMI. GYAKU JUJI JIME. – È una tecnica di strango-lamento (JIME) praticata con gli avambracci in-crociati (JUJI) ed i palmi girati (GYAKU) verso l’al-to. GYAKU KAMAE. – “Guardia opposta”. “Posizione di combattimento”. Posizione naturale di guardia. Prima di eseguire una tecnica, TORI e per AITE hanno una posizione obliqua e inversa: posti di fronte, un piede avanti, ma l’uno assume la guardia destra (MIGI) e l’altro la sinistra (HIDARI). Anche GYAKU-GAMAE. GYAKU KATA TE DORI. – “Seconda presa di polso (o di braccio)”. [si veda KATA TE TORI GYAKU HANMI]. GYAKU KESA. – È il movimento d’attacco YOKO MEN UCHI eseguito al contrario, dall’anca alla spal-la, in un circuito obliquo ascendente. GYAKU TE DORI. – “Presa al polso con torsione”. Il polso è torto (verso l’interno o l’esterno) pre-mendone il dorso con il pollice o le altre dita. GYAKU TSUKI. – “Pugno opposto”. Il pugno è sferrato con la mano opposta alla gamba avanzata, sfruttando la rotazione delle anche. S’intende ad

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un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. GYAKU-ASHI. – Posizione delle gambe opposta a quella delle braccia. GYAKU-GAMAE. – Si veda GYAKU KAMAE. GYOJI. – “Arbitro”. È il nome generico attribuito agli arbitri delle gare e tornei di SUMO. L’abbigliamento dei GYOJI risale al Periodo ASHI-KAGA (1336-1568) ed è quello dei KANNUSHI, i sa-cerdoti SHINTO: dagli abiti sontuosi al tipico EBO-SHI (in una variante alta). Il colore dell’abito varia secondo il grado, così com’è diversa la tinta del ventaglio rituale, il GUMBAI – del tipo UCHIWA – u-

tilizzato come indicatore delle decisioni assunte. Il grado più elevato è TATE-GYOJI, “Capo degli Ar-bitri”: è il celebrante della DOHYO-MATSURI (“ce-rimonia propiziatoria”, la funzione shintoista che precede i combattimenti), dà inizio ai tornei ed arbitra gli incontri più importanti. Pare che il predecessore di tutti i GYOJI sia il SUMOTORI Ki-yobayashi: vincitore del primo torneo di SUMO svoltosi a NARA, l’Imperatore lo premia con un ventaglio da guerra e lo nomina arbitro. GYOKUSHIN RYU. – Scuola di NINJUTSU. Pare sia ancora in attività.

- H -

HA. – “Normale”. – “FILO” della lama di spada. È anche il bordo

della SHINAI, con cui si sferra il colpo. – “Branca”. “Ramo”, “specialità” di un RYU

d’Arti Marziali, od anche “scuola derivata”. HABACHI. – “Ghette” della YOROI, di stoffa. HABAKI. – Ghiera metallica, o anello di cuoio, che stringe la lama, vicino all’elso (TSUBA). Proteg-ge la lama dall’umidità (chiudendo con precisione l’apertura del fodero, SAYA) e ne salvaguarda il fi-lo, tenendola ferma nel fodero. Può essere in un solo pezzo (hitoye habaki) oppure in due parti (ni-jiu habaki: una attorno alla lama e l’altra all’imboccatura della SAYA). HABAKI-MOTO. – È la parte spessa e non affi-lata della lama di spada, usata – quand’è il caso – nelle tecniche di parata. HACHI. – “Otto”, in sino-giapponese. In giappo-nese puro è YATTSU, per contare le persone (NIN) si dice HACHININ, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa HICHIHON.

– “Cervelliera” (in termini tecnici). È il coppo del KABUTO.

– Movimento ad “8”, fatto con il JO. HACHIDAN. – Nel moderno sistema di gradua-zione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 8° grado”. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’individuo riesce a percepire l’ar-monia dell’universo, l’illuminazione è acquisita, la sua mente non è turbata, mai. HACHIJI-TACHI. – “Guardia neutra”. Postura naturale prima del combattimento: i piedi, rivolti all’esterno, sono distanziati quanto le spalle e le

anche; le ginocchia sono leggermente flesse; le spalle rilassate, le braccia distese. L’HACHIJI-TACHI, normalmente, è la posizione iniziale dei KA-TA. HACHIMAKI. – “Salvietta”, “benda” di cotone bianco. È d’uso antico: quando gli elmi (KABUTO) ancora non hanno fodera, i combattenti utilizzano una pezza di tessuto a mo’ di copricapo, per as-sorbire i colpi. In seguito, l’uso dell’HACHIMAKI an-nodata attorno alla fronte serve sia ad assorbire il sudore (impedendo che coli negli occhi), sia a dimostrare la saldezza di nervi e intenti. L’HA-CHIMAKI è utilizzata, nel KENDO, con lo scopo pri-mitivo: per meglio assorbire colpi e sudore. Nel quotidiano, l’HACHIMAKI è utilizzata da contadini ed operai, come un fazzolettone. HACHIMAN. – È il nome della divinità protettri-ce il Clan MINAMOTO, OJIN, il 16° imperatore, KAMI della guerra. HACHI-MANZA. – Elaborata cornice d’ottone, posta attorno alla TEHEN. Spesso è a forma di cri-santemo. HACHININ. – “Otto”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è HACHI, in giapponese puro si dice YATTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa HICHIHON. HACINAM. – KAMI protettore del BUDO, in vita grande BODHISATTVA. HACIWARA. – “Spaccaelmo”. Coltello-pugnale con lama ad un solo filo di 30 cm. Alla base della lama, sul TALLONE, è presente un incavo destinato ad intrappolare quella dell’avversario. Il nome suggerisce una funzione diversa da quella effetti-

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va che, in effetti, è quella dell’europea “manosini-stra”: fermare la lama dell’avversario (e se possi-bile spezzarla), colpire di punta, proteggere la parte sinistra del corpo. HADAKO. – È una variante, d’origine cinese, del KEMPO. HADOME. – Sbarra applicata alla lama della YARI. HAGAKURE. – “Nascosto tra le foglie”. È un’ope-ra, in 11 volumi, dedicata a NABESHIMA Katsushi-ge. Si tratta di una raccolta, di saggi, scritti mi-stici, aneddoti e brevi AFORISMI che parlano al cuore d’ogni vero BUSHI. Ne è autore materiale TASHIRO TSURAMOTO, il quale trascrive le conver-sazioni avute in sette anni, dal 1710 al 1717, con il suo Maestro YAMAMOTO TSUNETOMO. Nonostante questi gli ordini di bruciare il manoscritto alla propria morte, TASHIRO TSURAMOTO lo fa circola-re tra i SAMURAI dell’HAN dei NABESHIMA, a Hi-zen, che finiscono per considerarlo il testo fon-damentale (e segreto) dell’etica marziale. È proprio con la lettura e la meditazione, divenuta pratica abituale, dell’HAGAKURE – per oltre 150 anni loro libro segreto e quasi testo sacro – che i SAMURAI del feudo allenano lo spirito: si prepara-no a vivere nell’attesa di morire per il proprio Si-gnore. L’HAGAKURE diventa di pubblico dominio solo dopo la Restaurazione MEIJI ed è pubblicato nel 1906 per la prima volta. Considerato patrimonio di Saga e grandemente rispettato, è stato spesso (ed er-roneamente) interpretato – ed anche manipolato – a vantaggio della classe dirigente, per indurre il popolo alla cieca obbedienza ed alimentare il fa-natismo ai tempi dell’imperialismo degli Anni Trenta e della Seconda Guerra Mondiale (tanto da essere posto al bando, dopo la sconfitta: gli Alleati lo considerano una delle cause del militari-smo e del fanatismo nipponico). Gli undici volumi dell’opera – divisi in 1.343 corti brani – sono introdotti dal brano “Conversazione leggera nell’oscurità della notte”. I primi due libri contengono i precetti generali del BUSHIDO, i successivi tre raccontano della vi-ta di NABESHIMA Naoshige, fondatore del Clan; i libri dal sesto al decimo parlano di personaggi illu-stri e DAIMYO di altri feudi, mentre l’undicesimo è una sorta di riepilogo. Una corretta interpretazione dell’HAGAKURE rivela un pensiero sì complesso, ma positivo, che certo non esalta il suicidio o la supina e totale sottomis-sione ai superiori. Gli ideali di fedeltà ed obbe-dienza, sicuramente esaltati, non prescindono co-

munque dal principio di una scelta soppesata, ri-flessiva e sempre rinnovata, sostenuta da una vo-lontà fortissima. L’etica di un guerriero considera normale morire per restare fedeli a tali ideali, anche se, in verità, dovremmo parlare, più che di morte fisica, di soppressione del proprio ego, del-la propria individualità: è l’unica via che porta alla perfezione, nella fedeltà ai propri ideali. La lettura di quest’opera è considerata fonda-mentale per capire il BUSHIDO. HAI. – “Sì”.

– “Petto”; “polmone”; “respirazione”. HAIDATE. – È la parte dell’armatura, a forma di grembiule, che protegge le cosce. Nella parte al-ta, coperta dalle falde dell’armatura (KUSAZURI), l’HAIDATE è di pelle o broccato. La parte bassa è fatta di maglia di ferro, piastre o lamelle (laccate e unite da cordoncini). Questa protezione aggiun-tiva si è resa necessaria nel momento in cui le pia-stre del KUSAZURI sono aumentate fino ad otto o nove, da quattro che erano, diventando però più strette e meno sicure. HAIKU. – Inizialmente si tratta degli EMISTICHI iniziali (hokku) dei versi incatenati definiti RENGA. All’inizio del secolo XVI, con Sokan e Moritake, inizia lo sviluppo autonomo della forma HAIKU, che si afferma poi con MATSUO MUNEFUSA, detto BA-SHO. La metrica degli HAIKU è fissa: tre versi, per 17 sillabe complessive, nella formula 5, 7, 5; altro tratto caratteristico è il KIGO, l’espressione o la parola che indica la stagione in cui è ambientata la composizione poetica. “Rana”, ad esempio, è un KI-GO per la primavera, “primo kimono a righe” per l’estate, “crisantemi bianchi” per l’autunno e “ne-ve” per l’inverno. Gli HAIKU sono ermetici ed efficaci, di un “gusto” assolutamente orientale e per noi, talvolta, poco “commestibile”: sono raffinati, lenti, talmente brevi che, leggendoli, non si può fare a meno di di-latarli ed amplificarli con la mente, ampliandoli (ed arricchendoli) con tutte le sensazioni evocate. Gli HAIKU contengono tutto il senso della poetica giapponese: la forza incontrollabile ed incoercibi-le della natura (come una foglia che cade, ad e-sempio) e la semplicità delle cose, l’armonia del cosmo e l’afflato dell’uomo con l’universo. Di se-guito alcuni esempi. «Se solo potessimo cadere/ come i fiori dei ciliegi in primavera/ così puri, così luminosi!» [pilota KA-MIKAZE dell’unità “Sette Vite”, immolatosi, nel febbraio 1945, a 22 anni]. «Una goccia di rugiada/

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come un diamante/ su una pietra» [Kawabata Bo-sha]. «Vette azzurre d’inverno/ nelle pupille di un coni-glio/ che si è svegliato» [Kato Shuson]. «Mi goccia il naso./ Finisce solo/ sulla punta» [composto nel 1927 dal trentacinquenne Akutaga-wa Ryunosuke, scrittore e maestro del racconto breve, appena prima di suicidarsi]. In effetti, più che stile poetico, l’HAIKU è un vero e proprio sistema di catalogazione filosofica dei sentimenti. HAI-KUATSU. – Serie di KUATSU, con percussio-ni riflessogene (TSUKI-KUATSU), per “rianimazione respiratoria”. HAIKUCHI. – Si veda AIKUCHI. HAI-REI. – “Saluto rituale in ginocchio”. È un “saluto secondo le regole” (RITSU-REI). Si esegue seduti (sulle ginocchia), a capo diritto, con il bu-sto leggermente inclinato. Così come per il saluto in piedi (TACHI-REI), anche in questa posizione l’in-clinazione del busto varia secondo l’interlocutore e le circostanze, fino a toccare il TATAMI con la testa. [si veda REI]. HAIRU. – “Entrare”. HAISHIN UNDO. – “Rilassamento della colonna vertebrale”. Esercizio a coppie: flessione e stira-mento della schiena. Rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO) che si praticano in coppia, senza caduta. HAISHU. – “Dorso” della mano. HAISHU UCHI. – “Colpo con il dorso della mano”. La mano è aperta ed il colpo è un manrovescio. HAISHU UKE. – “Parata con il dorso della mano”. HAISOKU. – “Dorso” o “collo” del piede. Pure ASHI-ZOKU. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. HAITO. – “Bordo esterno”, superiore, della ma-no, sopra il pollice. HAITO UCHI. – “Colpo con il bordo superiore della mano”. HAI-WAN. – “Parte superiore” dell’avambraccio. HAJIMÈ. – “Inizio”. “Iniziate”, “cominciate!”. È il comando per iniziare l’allenamento, nella lezione. Espressione arbitrale (anche SHOBU-HAJIMÈ), è utilizzata per dare inizio ad un combattimento. HAJIMERU. – “Cominciare”. HAKAMA. – “Pantaloni”. Sono tipici: ampi e lun-ghi, assomigliano quasi ad una gonna-pantalone e fanno parte del costume tradizionale e cerimonia-le giapponese. Anticamente indossata da uomini e donne, dapprima come protezione durante le ca-valcate, dal secolo XVII l’HAKAMA diventa esclusi-

vamente maschile – usata soprattutto dai SAMU-RAI, quale ulteriore elemento identificativo – con l’eccezione delle sacerdotesse shintoiste (MIKO). Nell’Era MEIJI indossano la comoda e pratica HA-KAMA, oltre che le praticanti d’alcune Arti Mar-ziali, anche alcune studentesse universitarie, in luogo del tradizionale KIMONO. Il colore dell’HAKAMA utilizzata nelle Arti Marziali può essere vario, secondo Disciplina (AIKIDŌ, IAIDO, KYUDO, KENDO, AIKI-JUTSU…), scuola e grado raggiunto: nero, bianco, marrone scuro, blu. Solo rossa non può essere, perché di questo colo-re è quella usata dalle vergini sacerdotesse dei templi buddisti. L’HAKAMA, nella pratica dell’AIKIDŌ, s’indossa so-pra l’AIKIDOGI, facendone parte integrale, e do-vrebbe quindi essere portata da tutti gli AIKIDO-KA: bianca per i principianti, nera o blu scuro per allievi avanzati, Istruttori e Maestri, ancora bianca per i Maestri di grado elevato. Normal-mente è concessa agli allievi dal 3° grado (KYU) in avanti o dal 1° livello (DAN) in poi, secondo le Scuole ed è di color nero (anche blu scuro) per tutti, sia per rispetto verso O-SENSEI sia per in-dicare la continua ricerca della completezza dello IN YO (Yin e Yang). Non solo: questa tinta incute timore e, nel simbolismo taoista, è anche il colore dell’acqua che, per la sua fluidità e flessibilità è il simbolo dell’AIKIDŌ. L’HAKAMA presenta nove pieghe, sette anteriori (ma alcuni ne contano cinque, considerando unica la sovrapposta centrale) e due posteriori. Le pieghe, oltre all’evidente uso pratico, hanno anche un significato esoterico: rappresentano in-fatti gli elementi della mistica filosofica orientale (terra, acqua, fuoco, aria, etere). Un’altra inter-pretazione sul numero delle pieghe si richiama al BUSHIDO ed alle sue regole: 1. CHUGI: lealtà, fedeltà e devozione. 2. GI: senso di giustizia, integrità morale e onore. 3. JIN: benevolenza, carità ed umanità. 4. KO: pietà filiale. 5. MAKOTO: sincerità di comportamento, verità. 6. MEIYO: amore e gloria. 7. REI: giusto comportamento, rispetto. 8. SHIN: sincerità. 9. YU o YUKI: coraggio, bravura tinta d’eroismo. Nell’indossare l’HAKAMA, normalmente, si utilizza dapprima la lunga (330 cm) cintura anteriore, che cinge per due volte la vita: sopra l’OBI, incrociata sulla schiena; sotto l’OBI, sull’HARA, incrociata da-vanti ed infine annodata dietro la schiena (o me-

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glio, sul fianco, ad evitare eventuali danni alla co-lonna vertebrale nelle cadute). La cintura poste-riore, più corta (230 cm), è fissata al rinforzo posteriore (KOSHI). I suoi capi, infilati sotto l’OBI, fuoriescono sui fianchi e sono annodati davanti, sempre sull’HARA, normalmente a formare una croce. Sull’HAKAMA si può sovrappone un HAORI. [si veda anche “ Etichetta e comportamento: l’abbiglia-mento”]. HAKAME. – Tunica tradizionale, destinata ad av-volgere il neonato dopo il primo bagno (UBUYU). HAKKO. – Antica denominazione dello stile SHITO RYU di KARATE. HAKKO RYU. – Scuola di JU-JUTSU. La fonda, nel 1938, OKUYAMA YOSIJI. La scuola è specializzata nello studio della Medicina Tradizionale applicata alle Arti Marziali, soprattutto quelle di combat-timento a corpo a corpo. SO DOSHIN, monaco ZEN, trae spunto dall’HAKKO RYU per elaborare e codi-ficare lo SHORINJI KEMPO. La scuola è ancora in attività. HAKUDA. – “Seminario d’allenamento”.

– Altro nome del KEMPO. HAKUHO. – Indica il Periodo storico dell’Età An-tica del Giappone, che va dal 645 al 710. È carat-terizzato, tra l’altro, dal tentativo di sostituire il regime dei Clan con la burocrazia di Corte, ormai improntata sul modello cinese, al fine di rafforza-re il potere imperiale. In questo Periodo, che ini-zia con la riforma Taika, Temmu usurpa il trono (672) ed è promulgato il Codice TAIHO (702). [si veda]. HAKUTSU RYU. – Scuola di JU-JUTSU. HAMA. – “Spiaggia”. HAMBO. – Tipo di maschera d’arme. Protegge mento e guance ed è usata dalla seconda metà del XVI a tutto il XIX secolo. HAMIDASHI. – Coltello-pugnale classe TAN-TO: ha lama leggermente curva, ad un solo filo, lunga meno di 30 cm, di solito con SGUSCIO vicino al dorso. L’elso a disco (TSUBA), di piccole dimensio-ni, è aperta in corrispondenza dei fori per lo sti-letto KOGAI ed il coltellino KOZUKA. L’impugnatura (TSUKA) è come quella della spada: rivestita di pel-le di pesce e ricoperta da cordoncino intrecciato. Il fodero è laccato e può avere fornimenti di me-talli anche preziosi. HAMON. – È il tipico profilo della YAKIBA [si ve-da], una sorta di disegno quasi sempre ondulato. Esso può seguire linee differenti, a distinguere Scuole e Maestri diversi: si contano oltre trenta

tipi principali riconosciuti, alcuni con suddivisioni aggiuntive; tale forma è sufficiente, agli esperti, per dedurre scuola e data di fabbricazione. HAN. – È il dominio, personale, individuale e pri-vato, di un DAIMYO, talvolta esteso come un’intera provincia. È costituito dal gruppo di famigli SAMU-RAI con un feudo (RYO) e dalla “gente comune” (TA-MI).

– “Mezzo”, “metà”. HANA-MICHI. – “Strada fiorita”. Nel SUMO in-dica il passaggio che collega gli spogliatoi al DO-HYO; nella tradizione teatrale è il corridoio che dalle quinte porta al palcoscenico. HAN-BO. – “Bastone medio”. Indica il bastone di lunghezza media, 90 cm (per la precisione 3 SHA-KU: 90,91 cm), nel cui uso sono maestri i NINJA. HANBURI. – Coppo di metallo o cuoio, simile allo HACHI. In genere è poco profondo e copre la sommità del capo. Esistono varianti più grandi, per proteggere fronte e tempie. A volte si completa con maschera (MENPO), cappuccio di maglia di fer-ro, berretto. HANDO-NO-KUZUSHI. – “Squilibrare per rea-zione”. Identifica quel processo che avviene nel momento in cui TORI, tirato o spinto da AITE, ces-sa di opporre resistenza: AITE perde l’equilibrio nella direzione dello sforzo precedente. Per otte-nere uno squilibrio totale, è sufficiente che TORI intensifichi la spontanea perdita d’equilibrio. In AIKIDŌ, l’HANDO-NO-KUZUSHI si applica attraverso il TAI SABAKI: ruotare (TENKAN) quando spinti, en-trare (IRIMI) quando tirati. HANE. – “Ala”. “Saltare”. HANGYO WAZA. – È il ripasso mentale, ad occhi chiusi, delle tecniche eseguite durante la lezione. HANIWA. – Statuette funebri di terracotta, di varie forme. Risalgono ai Periodi YAYOI e KOFUN e rappresentano soprattutto guerrieri, gli antenati dei SAMURAI. Sono importanti per i ben rifiniti dettagli, che mostrano quale sia l’aspetto dei guerrieri ed il loro equipaggiamento: armature, elmi, spade di ferro, archi lunghi eccetera. La leggenda narra che l’inventore delle HANIWA sia un famoso campione di SUMO, Nomi-no-Sukune, di Izumo. Costui, al tempo di Suinin (29-70 d.C.), undicesimo imperatore, disputa un leg-gendario combattimento contro un altro campio-ne, Taima-no-Kahaya, di NARA; entrambi usano so-lo i piedi, nella lotta. Nomi-no-Sukune vince, va ad abitare nello YAMATO e l’Imperatore lo nomina capo della corporazione dei vasai (hajibe).

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HANKA FUZA. – Postura tradizionale della me-ditazione ZEN: a gambe incrociate, nella posizione del “mezzo loto”. HANMI. – “Metà (HAN) corpo (MI)”. È la postura iniziale – di difesa o di risposta ad un attacco – nella pratica di molte Arti Marziali (AIKIDŌ, KA-RATE, KENDO…): di profilo, con il piede della gamba anteriore – leggermente piegata – perpendicolare all’altro. Tale posizione dei piedi, a triangolo, a 90°, è detta SANKAKU TAI. Il peso del corpo è di-stribuito su entrambi i piedi. [si veda anche “ Considerazioni sul KI”]. HANMI HANTACHI. – Situazione in cui una per-sona è seduta (inginocchiata) e l’altra è in piedi. HANMI HANTACHI WAZA. – Tecniche esegui-te in HANMI HANTACHI: AITE è in piedi e TORI in posizione seduta (inginocchiato). HANNYA. – “Conoscenza intuitiva”. Concetto fondamentale del Buddismo ZEN, è strettamente connesso alla meditazione (DHYÂNA). HANSHI. – “Maestro”. Nell’antico sistema di classificazione del BUGEI, si ottiene la qualifica di HANSHI solo con il grado minimo di 9° DAN e si ri-mane tali anche nel 10°. [si veda KYUDAN].

– “Esperto”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla Cintura Nera, 5° e 6° DAN, prati-cante d’Arti Marziali. In alcune scuole, HANSHI è la Cintura Nera di 7° e 8° DAN. [si veda KYUDAN]. HANSOKU-MAKE. – È l’annuncio di sconfitta (MAKE) per squalifica di uno dei contendenti, pro-nunciato dall’arbitro durante gli incontri delle Ar-ti Marziali da combattimento. HANTAI. – “Opposto”. Identifica la postura spe-culare, “opposta”, rispetto all’avversario. HANTEI. – “Decisione”. È la richiesta del ver-detto ai giudici, pronunciato dall’arbitro durante gli incontri delle Arti Marziali da combattimento. HAORI. – “Giacca”. Indossata a completamento dell’HAKAMA, ha larghe maniche (o-haori) e, sulla schiena, l’emblema (MON) del Clan. Ora, spesso, l’insegna è quella del DOJO. È possibile indossare l’HAORI sopra il KIMONO. HAPKIDO. – Arte Marziale coreana, formalizza-ta da Yong Sul Choi (1904-1986). HAPKIDO ed AI-KIDŌ si scrivono con i medesimi caratteri cinesi. Pare (ma non vi è certezza) che Yong Sul Choi sia stato adottato dalla famiglia TAKEDA, affiancando per trent’anni TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, dapprima come allievo poi come assi-stente nel DAITO RYU AIKI-JUTSU. Sembra anche che abbia conosciuto UESHIBA MORIHEI, nel pe-riodo in cui questi risiede nella città di Asahika-

wa, nell’isola Hokkaido. Le tecniche di HAPKIDO hanno molti punti in comune sia con quelle di AIKI-JUTSU e JU-JUTSU del DAITO RYU AIKI-JUTSU sia con quelle dell’AIKIDŌ. HAPPO. – “Otto direzioni”. “Otto leggi”. HAPPO UNDO. – “Esercizio delle otto direzioni”. IKKYO UNDO e rotazione in otto direzioni. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Serve per imparare a proiettare l’avversario nelle otto direzioni, dopo averlo squi-librato (HAPPO-NO-KUZUSHI). HAPPO-GIRI. – “Taglio su otto lati”. Nel KEN-JUTSU – ma non solo – identifica la capacità di fendere il cielo con la spada, negli otto versi dello spazio: avanti, indietro, a destra, a sinistra, in diagonale avanti a destra e sinistra, in diagonale indietro a destra e sinistra. HAPPO-MOKU. – “Fissare lo sguardo nel vuoto controllando le otto direzioni”. HAPPO-NO-KUZUSHI. – “Squilibrare nelle otto direzioni”. HAPPURI. – Tipo di maschera d’arme, usata dal secolo X al XIV. Agganciata al KABUTO, copre fronte e guance dell’utilizzatore. In genere è lac-cata di rosso all’interno e di nero all’esterno. HARA. – “Intestini”, “ventre”, “addome”. Centro della regione addominale, è il punto di unione e di origine delle energie psicofisiche vitali: idealmen-te, circa due centimetri (tre o quattro dita) sotto l’ombelico, sulla linea mediana, tra questo e la spi-na dorsale. È il centro vitale dell’uomo, nel quale si respira e dove si fissa l’attenzione, dove ci si con-centra e si accumula energia; è questa parte del corpo che occorre controllare, quando si eseguono tecniche di dominio corporale e si vuole far agire il KI. È ancora qui che si trattiene il respiro, prima di praticare il KIAI. È anche il punto d’equilibrio interno del corpo umano, il centro di gravità (ba-ricentro). Per gli Orientali è il punto in cui origi-nano e si concentrano le forze vitali profonde, la sorgente del KI. È attraverso l’HARA che l’uomo comunica con l’universo, armonizzando il proprio KI con quello universale. Anche TANDEN.

– “Pianura”, “piano”. HARA HACHI BU. – È il motto della dieta ipoca-lorica degli abitanti di OKINAWA (alzarsi da tavola quando non sei pieno), il segreto della loro longe-vità in buona salute. [si veda OKINAWA] HARA-ATE. – “Panciera”. Particolare armatura, formata da lamelle sovrapposte, legate con lacci e sorrette da due spallacci in cuoio. Normalmente

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ricamata, è solitamente indossata sotto l’abito da cerimonia, e destinata a proteggere la parte an-teriore del corpo, dal collo alle ginocchia.

– Tipico corsaletto di cuoio duro, usato dai guerrieri di umile estrazione, a protezione di to-race e addome. HARA-ATE-GAWA. – Corsetto di pelle indossa-to dalle classi umili. HARAGEI. – “Arte del ventre”. “La Tecnica na-scosta e invisibile”. Arte di concentrare pensiero, spirito ed energie vitali nell’HARA. È solo attra-verso la pratica costante dell’HARAGEI che ognuno può “unificarsi” con l’universo, sentendosi in per-fetta armonia con il creato. È grazie all’HARAGEI che un combattente riesce a sviluppare la capaci-tà di “leggere” (YOMI) le intenzioni di un avversa-rio, percependone l’intenzione aggressiva. Anche l’HARAGEI si ricollega alla profonda consapevolez-za della cultura nipponica che nei rapporti inter-personali le parole sono spesso insufficienti: oc-corre valersi dell’ishin-den shin, “da uno spirito all’altro”. Questa capacità di “lettura” dell’altrui pensiero, ovviamente serve anche sia a comunicare sia a na-scondere il proprio, di pensiero! HARAI. – “Spazzata”. “Falciata” eseguita con la gamba contro il piede dell’avversario. BARAI, come suffisso.

– (anche hare) “Esorcismo”. È uno dei tre me-todi “ortodossi” di purificazione (gli altri sono l’abluzione, MISAGI e l’astensione dalle cose impu-re, IMI) praticati dai fedeli shintoisti e può esse-re individuale o collettivo. L’HARAI si esegue se-condo riti consolidati: il sacerdote, evocati i KAMI della purificazione, li fa entrare in un recinto con al centro un ramo dell’albero sacro sakaki, quindi recita una formula magica (norito). Quelli che de-vono purificarsi gli consegnano gli oggetti – anche simbolici pezzi di carta – nei quali si crede si sia trasferita la contaminazione: tali oggetti sono gettati nei fiumi o nel mare, perché siano annien-tati. Dal secolo VIII l’HARAI collettivo è celebra-to regolarmente: il 30 giugno ed il 31 dicembre. HARAJUKO GIRLS. – Sono così dette le adole-scenti e le giovani donne che non vogliono cresce-re: trasgrediscono alle regole basilari della socie-tà e vestono come i personaggi dei cartoni anima-ti. Non sono certo le RYOSAIKENBO di buona me-moria! HARA-KIRI. – Dalla traduzione dei due ideo-grammi “ventre - taglio”: suicidio rituale. È una forma tradizionale di suicidio, regolata da un pre-

ciso cerimoniale. Consistente nello squarciarsi il ventre – da sinistra a destra e dal basso in alto – sotto gli occhi di testimoni, tra i quali un amico od un assistente (KAISHAKUNIN), in seguito, provvede anche alla decapitazione dell'aspirante suicida, per non prolungarne l'agonia. Dal secolo XII è ri-servato ai SAMURAI, che possono praticarlo per evitare la condanna a morte, come salvaguardia del proprio onore, come manifestazione di cordo-glio per la morte del Signore o come estrema forma di protesta. Nel 1868 è abolito come forma di punizione, ma talvolta (assai raramente) è an-cora praticato come spontanea scelta suicida. [si veda anche SEPPUKU]. HARA-KUATSU. – Massaggio ipogastrico. Rien-tra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU partico-lari, adatti a traumi e dolori pelvici, quindi sia di rianimazione sia antalgici. HARAMAKI. – “Proteggi torace”. Corsaletto co-razzato, armatura leggera messa a punto nel se-colo XIV. Ideata in origine per i soldati di fante-ria, questa armatura protegge il solo busto e s’a-pre in mezzo alla schiena invece che sul fianco destro, come d’uso; all’inizio non è contemplato l’uso di un elmo. Presto l’HARAMAKI si trasforma in armatura completa e complessa per i SAMURAI: l’HARAMAKI-DO. [si veda anche DO]. HARAMAKI-DO. – Armatura di tipo HARAMAKI, destinata ai SAMURAI. Il modello classico del se-colo XVI è formato da cinque parti: una grande per il petto, due per i fianchi e due per la schiena. Due spallacci, attaccati alle piastre della schiena, si allacciano alla placca pettorale e sorreggono il tutto; la parte inferiore del corpo è protetta da sette falde (KUSAZURI). Ogni pezzo dell’armatura è fatto di lamelle orizzontali, unite da lacci, tran-ne che nella parte superiore del corpo, dove le piastre sono compatte. HARAU. – “Spazzare”. Nel KENDO indica un mo-vimento dello SHINAI, che ruota, avvolge e devia un attacco. HARI-RYOJI. – “Agopuntura”. D’origine cinese, questo metodo di cura è conosciuto e praticato in Giappone dai tempi più antichi, unitamente alla moxa (induzione di calore negli TSUBA d’agopuntu-ra, per mezzo di piccoli coni d’erba essiccati), al massaggio (amma), ai bagni terapeutici, all’uso di piante medicinali. Accanto ai veri medici (assai rari e, soprattutto, al servizio dei nobili), che studiano i testi della Medicina Tradizionale Cine-se, applicandone i principi, ci sono stuoli di guari-tori itineranti e taumaturghi, santoni e sciamani,

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venditori ambulanti d’impiastri e monaci erboristi, streghe e stregoni: tutti offrono una pletora di medicamenti e, quando i rimedi proposti non fun-zionano, ci si rivolge agli incantesimi delle MIKO di qualche tempio shintoista od alle preghiere di qualche monaco itinerante. HARIYA SEKI-UN. – (1592-1662) Maestro di KEN-JUTSU. Si racconta che non abbia perso alcu-no dei cinquantadue duelli disputati. HASAMI. – “Forbici”. Indica, anche, un movimen-to a cesoia, fatto con braccia o gambe. BASAMI, come suffisso. HASAMIBAKO. – Cassa da viaggio, trasportata appesa ad un’asta; normalmente è di legno. HASEGAWA CHIKARA-NO-SUKE EISHIN. – Famoso Maestro di KEN-JUTSU e IAI-JUTSU del secolo XVIII, noto anche come HIDENOBU. Fon-da il proprio stile di IAI-JUTSU, l’HASEGAWA EI-SHIN RYU, dopo aver lungamente studiato, a EDO, le tecniche del MUSO JIKIDEN RYU, divenendone anche il 7° Caposcuola e rinominandolo MUSO JI-KIDEN EISHIN RYU. HASEGAWA EISHIN RYU. – Stile di IAI-JUTSU. È la scuola fondata dal Maestro HASEGAWA CHI-KARA-NO-SUKE EISHIN, nel secolo XVIII. Oggi i-dentifica una serie di KATA tipici del MUSO SHIN-DEN RYU: dieci tecniche eseguite in posizione e-retta e conosciute come CHUDEN, “insegnamento medio”. HASEGAWA RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda Hasegawa Soki (1568-1595 circa), ispiran-dosi allo stile CHUJO RYU di Chujo Nagahide. Pare sia ancora in attività. HASHI. – “Bacchette per mangiare”. Pare che l’origine di questi strumenti risalga al Periodo YA-YOI (300 a.C. circa - 300 d.C. circa): all’epoca, due pezzetti di legno incrociati ed incernierati al cen-tro. A differenza delle bacchette cinesi (quasi ci-lindriche e di lunghezza standard, tranne che quelle usate in cucina), gli HASHI sono appuntiti, talvolta da entrambe le estremità (rikyu bashi) ed hanno misure diverse per sesso/età (uomini, don-ne e bambini) e per destinazione d’uso (cucina, ta-vola, cerimonie). Diversi sono anche i materiali con cui sono fatti: bambù, legno di sugi o di salice, avorio eccetera e innumerevoli sono le fatture, le decorazioni, i colori. A tavola sono usate tanto per trasferire il cibo dai piatti di portata al pro-prio (utilizzate da un lato), quanto per mangiare (utilizzate dal lato opposto). L’etichetta vuole che non si succhino, che non siano infilzati nel cibo (sashi bashi) e che non siano usati per passare il

cibo a qualcuno (hashiwatashi: a questa maniera si offre il cibo ai defunti!). Non si possono utilizzare per allontanare o avvicinare piattini e ciotole e non si deve esitare, nel prendere il cibo dalle va-rie ciotole e piattini, passandovi sopra gli HASHI. HASHI-OKI. – “Appoggia bacchette”. A tavola, disposto accanto al piatto, serve per reggere gli HASHI. Occorre appoggiarvi l’estremità delle bac-chette che portano il cibo alla bocca; se manca, gli HASHI si appoggiano sul bordo delle ciotole. HASSO. – “Attacco”. HASSO KAMAE. – “Posizione di guardia, con un’arma”. Il JO od il BOKKEN è verticale, impugnato sul lato destro o sinistro, all’altezza delle spalle. HATAITO. – “Palizzata” di legno che, spesso, circonda la casa di un BUSHI e, sempre, le primiti-ve fortificazioni – non permanenti – sorte a dife-sa di luoghi strategici. Per salvaguardia contro le frecce incendiarie, l’HATAITO è ricoperta con uno strato di terra, così come ricoperti sono, in tem-po di guerra, i tetti (di stoppie o d’assi di legno). HATAKASE. – “Vento teso”. HATAMOTO. – “Sotto la bandiera”. Appartengo-no alla classe dei DAIMYO di grado intermedio ed il nome deriva dalla posizione che occupano in battaglia. Devono essere sempre pronti alla guer-ra, come tutti gli uomini d’armi, ma sono anche te-nuti a fornire soldati ed armi allo SHOGUN, secon-do il reddito e se richiesto. Norme fissate nel 1649, ad esempio, obbligano un HATAMOTO con reddito di 2.000 KOKU a fornire trentotto uomini, oltre che il proprio servizio personale: • Diciannove SAMURAI, di cui otto di grado GO-KENIN e undici ASHIGARU (due comandanti, cinque armati di lancia con una riserva, un arciere, due archibugieri). • Undici portatori (uno di NO-DACHI, due d’ar-matura con una riserva, uno di sandali, due di HA-SAMIBAKO con una riserva, due di foraggio, uno di copricapi contro la pioggia). • Quattro palafrenieri e quattro facchini. Naturalmente, anche portatori e serventi devono essere armati e addirittura, se possibile, SAMURAI di grado ASHIGARU. HATOMUNE-DO. – Armatura di tipo DO-MARU, con corazza all’europea. Grandi piastre, in pezzo unico, proteggono petto e schiena. HATSU-GEIKO. – “Allenamento d’inizio anno”. Allenamento (KEIKO) del BUDOKA: si pratica per due o tre giorni consecutivi, all’inizio dell’anno so-lare. È anche, questo, il momento di gare e tornei. Questo tipo d’allenamento completa l’ASA-GEIKO

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(estivo, fatto di mattino presto) ed il KAN-GEIKO (invernale). HAUTA. – Genere musicale lirico, tipico – come il KOUTA – dei “quartieri del piacere” nelle città del Periodo EDO (1603-1867). All’epoca, è patrimonio quasi esclusivo delle GEISHE. HAYA GAESHI. – “Reazione (risposta) veloce”. HAYABUSA. – “Falco pellegrino”. HAYAGAKE-JUTSU. – “Arte (tecniche) per au-mentare la velocità in marcia e corsa”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). HAYAGO. – “Fiaschetta” per polvere da sparo. Di legno (anche ricoperto di pelle) o cartapesta lac-cata, corno, avorio o metallo, è in varie forme: barca, pera, zucca. Tappi d’osso o avorio chiudono il tubo d’uscita della polvere. Spesso la fiaschetta è decorata con il MON, l’emblema di Famiglia. HAYASHI. – È l’insieme di tre tamburi (TAIKO, KO-TSUZUMI, O-TSUZUMI) ed un flauto (NOKAN), il cui suono costituisce, unitamente al canto degli attori, in coro (JI)la musica tipica del teatro NŌ. HAYASHI TERUO. – Maestro di KARATE. Appar-tiene al KITO RYU ed è il fondatore dello stile KENSHIN RYU. HAYASHIZAKI JINSUE SHIGENOBU. – (circa 1542-1621) Maestro di KEN-JUTSU, noto anche come JINNOSUKE. Appartenente al Clan HOJO, nasce nella provincia di Sagami, che ancora oggi ospita la principale scuola di scherma con la spa-da. Riporta in auge lo stile BATTO-JUTSU – nome con cui, anticamente, è anche indicato lo IAI-JUTSU – e fonda alcune Scuole di IAI-JUTSU: SHIN MUSO HAYASHIZAKI RYU (circa 1550, tuttora in attività); JINNOSUKE RYU (circa 1560) e SHIMMEI MUSO RYU (circa 1565). La scuola più importante – ed ancora attiva – è lo JINNOSUKE RYU (o MUSO JIKIDEN RYU), dal secolo XVIII conosciuta come MUSO JIKIDEN EISHIN RYU, dopo l’opera di perfe-zionamento condotta dal Maestro HASEGAWA CHI-KARA-NO-SUKE EISHIN. HAYASHIZAKI RYU. – Scuola di IAI-JUTSU. HAYATE. – “Uragano. HEDATARU. – “Distanza dagli altri”. Nel com-plesso sistema di norme non scritte che regolano i rapporti interpersonali (l’etichetta, REI-GI), rien-tra anche la prossimità – sia fisica sia mentale – con le altre persone. HEIAN. – Indica il Periodo storico dell’Età Anti-ca del Giappone, che va dal 794 al 1156. È l’Età della seconda capitale imperiale, KYOTO e dei KU-GE, i Nobili di Corte, che si profumano con abbon-danza e piangono facilmente, per dar prova di

grande sensibilità e disprezzano, decisamente ri-cambiati, i rudi militari ed i rozzi provinciali (que-sti affermano che i nobili, se belli, sono «belli co-me una donna»). Le Dame altolocate ricevono visi-te e conversano al riparo delle KICHO. Si sviluppa-no sette buddiste esoteriche (TENDAI e SHIN-GON) e fiorisce la cultura FUJIWARA. I membri della Corte definiscono se stessi kumo-no-uebito, “esseri sopra le nuvole” e vivono in un perenne stato di “delicata tristezza” (mono-no-aware”).

– Così si definisce quella brillante forma di cultura, di stampo prettamente femminile, fiorita attorno a KYOTO dalla fine del VIII a tutto il XII secolo (in pratica, dall’inizio dell’omonimo Periodo, il 794, alla fine del successivo Periodo ROKUHARA, il 1185). Nella coscienza collettiva del Giappone, tale periodo di tempo è ricordato come un’età di pace, sicurezza e serenità, un’età d’oro in cui si coltivano sapere e sentimenti. Il nome viene da Heian-kyo, il nome antico della città. HEIAN KATA. – “Forme della pace e della tran-quillità”. Con questo nome sono conosciuti, nello stile SHOTOKAN di KARATE, cinque KATA fondamen-tali, elaborati dal Maestro Itosu Kensei e selezio-nati tra molte delle antiche “forme”. HEI-HO. – “Il Metodo Militare”. Si riferisce all’intero curriculum di studi marziali di una scuola tradizionale d’Arti Marziali. La lettura giapponese dei caratteri che compongono questo termine dà “Metodo Militare”, la lettura alla cinese significa “Via della Pace”. Nella traslitterazione ufficiale cinese Pinyin, il carattere bing-fa (HEI-HO, in giapponese) significa “metodo militare”, mentre il medesimo carattere, se letto ping-fa, significa “metodo pacifico”.

– È il nome con cui ITO ITTOSAI KAGEHISA, nella sua scuola (ITTO RYU), chiama il KEN-JUTSU. Con questo vuole intendere che l’arte della spada deve essere, soprattutto, attitudine mentale, non solo pura tecnica (JUTSU). È proprio l’attitudine mentale che consente al combattente sia di man-tenere lo spirito imperturbabile, puro e sincero (MAKOTO), sia di anticipare l’azione dell’av-versario in modo tale da non essere costretto ad ucciderlo (“la Spada che dà la Vita”, KATSUJIN-NO-KEN). Anche SEI-HO. HEI-HO-KADEN-SHO. – “Tradizione familiare sull’Arte dei Guerrieri” (anche “Manuele eredita-rio delle Arti Marziali”). Opera di YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI, uno dei fondatori dello YA-

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GYU RYU, spesso abbreviata in Kadensho. Nel te-sto si parla non solo della sua Arte, il KEN-JUTSU, ma anche di teorie e tecniche di battaglia. Inoltre vi si trova, oltre all’idea della filosofia ZEN origi-naria, anche il tentativo di estendere il campo di applicazione dei principi delle Arti Marziali al go-verno delle nazioni. HEIJO-SHIN. – È lo stato d’animo calmo, senza alcuna passione, saldo e risoluto di chi s’oppone ad un attacco. A questo stato d’animo si deve unire l’assoluta padronanza dei gesti, la respirazione lenta e controllata, una muscolatura non contrat-ta. Non deve mai trasparire – ancorché improba-bile – il timore dello scontro. HEIKE. – Clan guerriero. Nel secolo XII, ha il controllo della Corte, ma è poi annientato dai riva-li MINAMOTO. Anche TAIRA. HEIKI. – “Equanimità” (è composto di KI). HEIMIN. – “Gente comune”, “popolo”. È la nuova classe sociale che emerge dalla semplificazione del sistema, dopo la Restaurazione MEIJI: ne fan-no parte tutti quelli che prima erano contadini, artigiani, mercanti o fuori casta. Ora sono loro garantite la libertà di residenza e d’occupazione ed il permesso di usare soprannomi. HEISEI. – Indica il Periodo storico (Era) dell’Età Moderna del Giappone, che inizia nel 1989, con la salita al trono dell’imperatore Akihito. HEISOKU-DACHI. – Posizione naturale. Posizio-ne eretta di base, ma con i piedi paralleli e uniti. HENKA. – “Variazione” “cambio”. “Cambiamento di lato”, riferito ad una posizione di guardia o ad una postura. HENKA WAZA. – “Tecniche di variazione” o “va-riazione delle tecniche”. TORI applica una conca-tenazione di tecniche (od una serie di variazioni alla tecnica), reagendo ad AITE. HEYA. – “Scuola” (o “scuderia”) dove sono allena-ti – ed allevati – i lottatori di SUMO, i SUMOTORI. Ogni HEYA è diretta da un “Grande Campione” in attività (yokozuna) o ritiratosi (toshiyori). HI. – “Segreto”, “occulto”. HI UCHI BUKURO. – “Acciarino”. Sopra una sca-tola rotonda, che contiene un’esca, è montata una piastra a focile, tipo SNAPHANCE. L’HI UCHI BUKU-RO, normalmente, si porta appeso ad una miccia. È usato anche proprio per dar fuoco alla miccia del fucile. In Giappone non è mai stata montata la piastra a focile su armi da fuoco, passando diret-tamente dalla piastra a miccia – in uso fino alla metà del secolo XIX – al sistema a percussione.

HIBAKUSHA. – “Sopravvissuto alla bomba ato-mica”. Con questo appellativo sono indicati gli abi-tanti di Hiroshima e Nagasaki che scampano al bombardamento con armi nucleari eseguito dagli Stati Uniti d’America. Il posto d’onore, tra gli HI-BAKUSHA, spetta a Yamaguchi Tsutomu, nato nel 1916. Ingegnere della Mitsubishi durante la guer-ra, si reca per lavoro ad Hiroshima ed il 6 agosto del 1945 è a soli tre chilometri dalla verticale dell’esplosione di “Little Boy”: lui subisce unica-mente alcune ustioni. Le bruciature non gli impe-discono di tornare a casa, a Nagasaki, dove il 9 agosto è sganciato il secondo ordigno, “Fat Man”. Anche in questo caso Yamaguchi Tsutomu si trova a pochi chilometri dalla verticale dell’esplosione [entrambe le armi sono fatte scoppiare in aria] ed anche questa volta scampa alla morte, sopravvi-vendo fino ai nostri giorni. HICHIHON. – “Otto”, per contare oggetti parti-colarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è HA-CHI, in giapponese puro si dice YATTSU, per le per-sone (NIN) s’usa HACHININ. HICHU. – “Pomo d’Adamo”. Punto della trachea. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. HICIRIKI. – Strumento musicale a fiato, tipo oboe. È d’osso, corno o legno, cilindrico, corto, ad ancia doppia – lunga fino a 7,5 cm –, con nove fori per le dita (2 dietro, per i pollici). Fa parte della strumentazione di base del GAGAKU. HIDARI. – “Sinistra”. HIDARI HANMI. – “Posizione naturale sinistra”. Il piede sinistro è avanzato. HIDARI KAMAE. – “Guardia sinistra”. Anche HI-DARI-GAMAE. HIDARI RENOJI-DACHI. – “Posizione naturale a L, a sinistra”. HIDARI-DO. – Attacco al fianco sinistro. [si ve-da KENDO]. HIDARI-GAMAE. – “Guardia sinistra”. Anche HIDARI KAMAE. HIDARI-KOTE. – Attacco all’avambraccio sini-stro. [si veda KENDO]. HIDARI-MEN. – Attacco al lato sinistro del ca-po. [si veda KENDO]. HIDEN. – “Scienza occulta”. È l’insieme delle “tecniche segrete” (HI-JUTSU) e “riservate” (GO-KUHI), insegnate dal Maestro con il “metodo se-greto” (HI-HO) solo a quegli allievi – di grado su-periore e particolarmente dotati – che ritiene de-gni di fiducia. HIDEN MOKUROKU. – “Elenco (catalogo) delle tecniche segrete”.

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HIDENOBU. – Si veda HASEGAWA CHIKARA-NO-SUKE EISHIN. HIEDA-NO-ARE. – Per la leggenda, è l’uomo con la miglior memoria del Giappone e, per la tradizio-ne, è colui che, nel 681, riceve dall’imperatore Temmu – quale maggior rappresentante della Cor-porazione dei Narratori (KATARIBE) – l’ordine di dettare ad uno scrivano (O-NO-YASUMARO) i miti popolari più antichi a sua conoscenza. La compila-zione, risalente al 712, è denominata “Memorie degli eventi antichi”: KOJIKI. HIEN. – “Rondine in volo”. HIGAONNA KANRYO. – (1853-1915) Maestro d’Arti Marziali, ad OKINAWA. Seguace dello stile Naha-te, (“mano di Naha”), è Maestro di MIYAGI CHOJUN (creatore del GOJU RYU) e di MABUNI KENWA (fondatore della scuola SHITO RYU). HI-GI. – È lo studio, nel WA-JUTSU, dei rapporti fra la realtà materiale ed il mondo spirituale, di-vino. È l’insegnamento esoterico, riservato ai più alti gradi della Disciplina. HIGO KO RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU, fondata da Kamei Terushige all’inizio del Periodo EDO (1603-1867). È ancora in attività. HI-HO. – “Metodo segreto”. È il sistema che il Maestro adotta per insegnare – solo agli allievi avanzati e particolarmente dotati, che ritiene de-gni di fiducia – sia le “tecniche segrete” (HI-JUTSU) sia le “riservate” (GOKUHI). HIJI. – “Gomito”. Punto del gomito. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure EMPI. HIJI ATE. – “Percussione eseguita con il gomi-to”. HIJI DORI. – “Presa al gomito”. AITE afferra l’esterno del gomito di TORI. HIJI JIME. – “Leva al gomito”. Leva applicata al gomito. HIJI KIME OSAE. – Variante di NIKYO. HIJI NAGE MAE ERI DORI. – “Seconda presa al bavero”. È una variante di HIJI NOBASHI ERI DO-RI, nella quale TORI esegue il movimento di sbilan-ciamento d’AITE passando con il suo braccio sopra la mano cha ha afferrato. Lo sbilanciamento di AITE è all’indietro, grazie ad un IRIMI effettuato da TORI. HIJI NOBASHI ERI DORI. – “Prima presa al bavero”. Oltre alla presa, AITE cerca di colpire con un pugno al volto. L’azione difensiva di TORI comprende uno spostamento laterale (per evitare il colpo) ed uno sbilanciamento di AITE, per tra-zione della mano che ha afferrato, unita ad un movimento di braccio dal basso in alto).

HIJI OSAE. – “Immobilizzazione del gomito”. HIJI SHIME. – “Strangolamento con il gomito”. Si veda UDE HISHIGI. HIJI UCHI. – “Colpo con il gomito”. HIJI WAZA. – “Tecniche eseguite ai gomiti” (di AITE). Rientrano nella gamma delle KANSETSU WA-ZA (“tecniche sulle articolazioni”), che sono delle pratiche di controllo (KATAME – od OSAE – WAZA). Possono essere: chiavi articolari alle braccia (UDE HISHIGI); chiavi articolari con lussazione dell’ar-ticolazione (UDE GARAMI); chiavi articolari con spinta (OSHI TAOSHI); chiavi articolari con trazio-ne (HIKI TAOSHI); chiavi articolari con torsione (UDE HINERI); chiavi articolari con leva (UDE GAE-SHI). HIJI-DORI. – Tecnica di pugno al viso d’AITE. Si esegue, normalmente, su SODE DORI, (presa alla manica, all’altezza del gomito). HIJIKIME OSAE. – “Immobilizzazione al gomi-to”. HI-JUTSU. – “Tecniche segrete”. Sono quelle tecniche insegnate solo ad allievi, di grado supe-riore, particolarmente dotati. HIKI. – “Tirare”. “Schivare”. Deriva da HIKU, “ti-rare”. HIKI AGE. – Movimento di “richiamo” dell’arma (spada, bastone). Si esegue verso l’alto, dopo un fendente: consente di tornare con l’arma posizio-ne d’attacco. HIKI MI. – Tecnica di schivata. Si attua contro un attacco frontale, a livello “medio” (CHUDAN) e si esegue arretrando velocemente torace e addo-me. HIKI OTOSHI. – Tecnica di schivata. Si attua contro un attacco frontale, a livello “basso” (GE-DAN) e si esegue arretrando velocemente tutto il corpo, ma non solo: una simultanea pressione di braccia, al dorso dell’avversario, lo fa cadere. HIKI TAOSHI. – “Chiave articolare di braccio (UDE HISHIGI), eseguita con trazione”. Fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME – od OSAE – WAZA). HIKI TATE. – Tecnica per far accostare l’avversario. In questo modo è più facile renderlo inoffensivo. HIKI WAZA. – Tecnica per arretrare. In questo modo si ha più spazio per portare a termine un at-tacco. HIKIDA BUNGORO. – (1537-1606) Celebre spa-daccino. Appartiene alla scuola SHIN KAGE RYU e

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fonda l’HIKIDA RYU, conosciuta anche come HIKI-DA KAGE RYU. HIKIDA KAGE RYU. – Scuola fondata da HIKIDA BUNGORO. Materie di studio sono KEN-JUTSU e KENDO. La scuola, tuttora in attività, nell’allena-mento adotta una spada di legno duro, analoga al BOKKEN, similmente a quanto accade nello SHIN KAGE RYU. Anche HIKIDA RYU. HIKIDA RYU. – Si veda HIKIDA KAGE RYU. HIKI-GANE. – Parte del KOTE, a protezione del gomito. HIKIKOMORI. – È un neologismo e deriva da HI-KU, “tirare” e KOMORI, “ritirarsi”, con il significato di “frenarsi e isolarsi”. Così sono definiti quei giovani giapponesi, soprat-tutto maschi – adolescenti, ma non solo – che, terrorizzati dal mondo, dagli esami, dalla scuola, dalla lotta per la ricerca di un lavoro, si auto-recludono in casa, nella propria stanza: rifiutano di andare a scuola ed al lavoro, rifiutano qualsiasi tipo di formazione professionale e si nascondono in camera, chiudendo la porta e le tende. I loro unici contatti con il mondo sono affidati ad inter-net e mediati dal computer, all’esterno si avven-turano, quando lo fanno, solo di notte, invisibili ad occhi estranei. Si valuta che gli HIKIKOMORI siano addirittura tre milioni, ma la stima è difficile: metà della popola-zione non si rende conto del fenomeno e non per-cepisce la gravità della situazione, l’altra metà nega perfino che esista! Questi giovani sono anch’essi vittime di quella sorta di cortocircuito, avvenuto alla fine degli an-ni Novanta del ‘900, tra due fenomeni: il confor-mismo socio-culturale che ancora permea il Giap-pone moderno e la crisi della monocultura postin-dustriale. Il conformismo è frutto del connubio tra la filo-sofia neo-confuciana (obbedienza, disciplina, ar-monia di gruppo, identità individuale subordinata al bene collettivo e collegata alla reciproca inter-dipendenza) ed i 250 anni d’isolamento assoluto, mentre in crisi sono entrati, oltre al sistema poli-tico-industriale, la struttura familiare ed il si-stema educativo nazionale e sono parimenti muta-ti, profondamente, i costumi sessuali. Il fenomeno è conosciuto anche il Occidente, do-ve è definito «ritiro dal sociale in forma acuta», mentre i giovano colpiti da questa sindrome sono i «rannicchiati»: fantasmi di ragazzi, pallidi, silen-ziosi, turbati dai contatti umani, anche familiari. [si veda anche PARASAITO].

HIKIME. – “Cuspide” (YA-NO-NE) di freccia; fa parte delle frecce non letali. È una biglia di legno – che può coprire o sostituire la punta di metallo – utilizzata nello YABUSAME. HIKITA KAGE RYU. – È la scuola di KEN-JUTSU che Hikita Kagekane (1573-1592) fonda, ispiran-dosi all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. È ancora atti-va. HIKU. – “Tirare”. HIMO. – “Cinghie” dell’armatura TAKE GUSOKU. In origine servono a collegare i piccoli pezzi di bam-bù che formano l’armatura, oggi indicano i cordoni che legano il DO (piastra per il petto). HIMOGATANA. – Piccolo pugnale, tutto d’ac-ciaio. Usato soprattutto dalle donne, si presenta con lama dritta a sezione romboidale, di 15 cm circa; l’impugnatura, diritta, ha sezione circolare; il fodero, ricavato da una canna, è guarnito alle estremità. Si porta appeso ad un cordoncino. HINERI. – (anche NEJI) Arma in asta. È utilizza-ta nel Periodo TOKUGAWA (o EDO, 1603-1868), so-prattutto dalla polizia; per questo motivo è tenu-ta a portata di mano, agli sbarramenti che chiu-dono le porte delle città e bloccano i confini pro-vinciali. Una lunga asta di legno è sormontata da un FERRO munito di punte, denti, uncini: il sospetto è agganciato alle larghe maniche (o-haori) dell’a-bito ed immobilizzato. Varianti d’uso più propria-mente militare sono: SODE-GARAMI, tsukubo, moji-ri, con modifiche che riguardano le serie di punte ed uncini della TESTA.

– “Torsione”. HINERI TE. – “Torsione della mano”. HINERI UCHI. – “Percossa con il gomito”. S’in-tende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. HINERI YOKO EMPI. – “Torsione laterale del gomito”. HININ. – “Reprobo”. Classe funzionale del Giap-pone feudale. Non appartengono ad una specifica classe sociale: sono i mendicanti, considerati me-no che animali, al pari degli ETA. Spesso si tratta di appartenenti al popolo, colpevoli di reati gravi, che comportano la marchiatura con ferro rovente e l’esilio dalla comunità. HI-OGI. – “Ventaglio di tipo pieghevole” (OGI). È d’uso personale ed appannaggio dei nobili, ma, sul finire del secolo XII, diviene anche “da batta-glia”, utilizzato dai SAMURAI: l’intelaiatura esterna da lignea diventa di ferro e le stecche sono lacca-te, per rafforzarle. HIOKI RYU. – Scuola di KYU-JUTSU.

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HIRA. – “Piatto”, con riferimento alle superfici “piatte” del corpo umano (p. es. pianta del piede, palmo della mano).

– “Comune”. HIRAGANA. – “Comuni caratteri presi a presti-to”. Viene da HIRA, “comune”, e KANA, “carattere preso a prestito”, qui pronunciato “gana” per omo-fonia. È il primo alfabeto giapponese, nato nel secolo X per ovviare alla difficoltà di tracciare segni cinesi adattati al fluire sintattico della lingua giappone-se. In effetti si tratta di una cinquantina di segni, ognuno derivato da un carattere cinese in forma corsiva: è un sillabario polisillabico, solo fonetico, talvolta definito goju on, “i cinquanta segni”, an-che se, dopo una riforma nel 1948, i grafemi con-fermati in uso sono 48. Lo HIRAGANA, che risulta particolarmente adatto all’arte calligrafica giapponese (SHODO), è uno dei tre sistemi di scrittura utilizzati in Giappone, uni-tamente al KATAKANA ed ai KANJI. HIRA-KEN. – “Pugno semichiuso”. HIRIKI. – “Forza del gomito”. HIROMICHI. – Si veda NAKAYAMA HAKUDO. HIRUMAKI. – Fornimento dell’asta della YARI. HIRYU. – “Drago volante”. HISA. – “Eterno”.

– “Sereno”. HISAMORI RYU. – Altro nome della scuola TA-KENOUCHI RYU. HISHIGI. – “Tecnica di rottura”. È la spettaco-lare prova – che, normalmente, s’accompagna ad una tecnica respiratoria particolare (IBUKI) – con cui un BUDOKA (KARATEKA, in particolare) riesce a rompere oggetti – quali tavole di legno, mattoni, tegole eccetera – utilizzando il taglio della mano (SHUTO o TE-GATANA), il pugno (KEN), i piedi (tallo-ne, KAKATO; bordo esterno, ASHI-GATANA o SOKU-TO), la testa o altre parti del corpo. Per giungere a simili prestazioni, occorre un allenamento lungo ed impegnativo. Non è detto che un HISIGI ben eseguito sottenda la completa padronanza tecnica del BUDOKA. HISHIRYO. – “Pensare senza pensare”; “oltre il pensiero”. “Pensiero senza coscienza”. È un con-cetto tipico del Buddismo ZEN e dei praticanti esperti d’Arti Marziali. Un poema antico così dice: «Pensare “non penserò”: anche questo è qualcosa che sta nei pensieri. Semplicemente, non pensare affatto al non pensare». [si vedano anche BUDO, ZAZEN].

HITAI-EBOSHI. – Acconciatura destinata ai fi-gli dei SAMURAI. È, in pratica, la prima acconciatu-ra del futuro SAMURAI, che può indossarla dal momento della sua presentazione al capo del Clan, all’uscita dall’infanzia, verso i sette anni. Si tratta di un triangolo di stoffa rigida nera o carta, fis-sato con un nastro alla sommità della fronte. HITO. – “Il Posto, il Luogo in cui risiede la scin-tilla di vita”, quindi “essere umano”, “persona”.

– “Persona virtuosa”, “apice di virtù”. Con questo carattere deve terminare (e ciò dall’inizio dell’Epoca MEIJI) il nome di chi entra nella linea di successione al trono imperiale, dato che per i Giapponesi egli rappresenta il più alto livello di moralità HITO-E-MI. – “Posizione triangolare del corpo”: la schiena rappresenta l’ipotenusa. HITORI. – “Uno”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è ICHI, in giapponese puro si dice HITOTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa IPPON. HITOTSU. – “Uno” in giapponese puro. In sino-giapponese è ICHI, per contare le persone (NIN) si dice HITORI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa IPPON. HITSU. – Foro centrale della TSUBA, attraverso il quale passa il CODOLO. HITSUI o HIZA. – “Ginocchio”. HIZA o HITSUI. – “Ginocchio”. HIZA GERI. – “Percussione eseguita con il ginoc-chio”. HIZA-GASHIRA. – “Rotula”. HIZA-KANSETSU. – “Rotula”, “tendine rotuleo”. Zona situata tra la rotula e la tibia. KYUSHO, “pun-to vitale” o “debole” per gli ATEMI. HIZO. – “Reni”. Punto dei reni. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. HO. – “Metodo”, “modo”; “insieme”; “via”.

– “Legge”. – “Passo”. – “Afferrare”, “prendere”. Si pronuncia an-

che TORI. – “Casacca” indossata a Corte dai nobili. Il

colore dipende dal rango. HOATE. – Tipo di maschera d’arme. Protegge mento e guance, ha nasale staccabile ed è in uso dal XIV al XVI secolo. HOGU-JUTSU. – Stile di combattimento dello JU-JUTSU. Le numerose tecniche del corpo a cor-po, utilizzate per bloccare l’avversario, derivano, pare, dall’antica scuola HOKUSAI RYU di JU-JUTSU.

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L’HOGU-JUTSU appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). HOJO. – Famiglia militare, strettamente legata al Clan MINAMOTO attraverso vincoli di parentela. Poco dopo la morte di MINAMOTO-NO-YORITOMO, avvenuta nel 1199, con un colpo di stato (1203), assumono il controllo del BAKUFU di KAMAKURA (proclamato nel 1192) e consolidano il loro potere nel 1205. Per una strana sorte di pudore, gli HOJO mantengono solo la reggenza dello shogunato, fino al sorgere degli SHOGUN ASHIKAGA, che conqui-stano il potere, in nome dell’imperatore GO-DAIGO, con l’aiuto di SAMURAI scontenti.

– “Corda per legare”. La parola è composta da due KANJI: “HO” (pronunciato anche TORI), che si-gnifica “prendere”, “catturare”, “afferrare” e “JO” (pronunciato anche “NAWA”), che vuole dire “corda”. HOJO TOKIMASA. – È uno dei più celebri attori del teatro KABUKI, famoso soprattutto per le (tol-lerate) parodie di TOKUGAWA IEYASU. HOJO-JUTSU. – “Arte per legare”. Si tratta di metodi che consentono di legare l’avversario con una corda, con diversi livelli di BLOCCAGGIO . Una corda, è intuitivo, può avere numerose utiliz-zazioni, dal legare i cavalli (shiba tsugami) al tra-sportare in sicurezza un prigioniero, adeguata-mente vincolato (tori nawa).Tra gli oggetti che un SAMURAI ha normalmente “a portata di mano” du-rante una campagna, in effetti non manca una cor-da (koshi nawa), solitamente posta, arrotolata in vita, sopra l’armatura. Pare che, inizialmente, siano soprattutto i NINJA ad elaborare veloci sistemi atti a legare le pro-prie vittime, mentre, nel Periodo TOKUGAWA (o EDO, 1603-1868), è la polizia (vale a dire SAMURAI di basso rango) a sviluppare sofisticate tecniche per catturare ed immobilizzare con velocità ed in sicurezza i ricercati. Sono questi metodi – in ef-fetti, ancora oggi praticati dalla polizia giappone-se – e che comprendono tecniche non ben cono-sciute in Occidente, a fregiarsi del nome di HO-JO-JUTSU, Disciplina che rientra pienamente nel KAKUTO BUGEI, le Arti Marziali principali. Per inciso: il compito di legare un prigioniero, so-prattutto nel SENGOKU JIDAI, il “Periodo del Paese in guerra” (1467-1568 ), è demandato ai subalter-ni, sotto la supervisione dei SAMURAI. Il metodo più adatto di legatura è stabilito sulla base della posizione sociale del prigioniero e sulle sue caratteristiche fisiche. Anche il colore, il ma-teriale e la fattura delle corde impiegate indicano

sempre lo status sociale della persona legata ed anche il tipo di reato commesso. Inoltre, ogni Ryu marziale dove è insegnata quest’Arte utilizza corde di dimensioni (diametri da 8 a 12 millimetri, lunghezza da 3 a 15 metri) materiale – lino, cotone, seta, canapa, riso… - di-verso, com’è diverso il materiale delle corde da allenamento rispetto a quelle destinate all’uso pratico, per non parlare dei vari Clan, che adotta-no specifiche forme di HOJO-JUTSU, diverse an-che nelle differenti regioni del Paese. Secondo un’antica tradizione, sono quattro le re-gole da rispettare nell’HOJO-JUTSU: 1. Non causare danni fisici e mentali al prigionie-ro. Però si elaborano anche raffinati sistemi per umiliare il prigioniero o rendere scomoda la sua postura o talvolta torturarlo se non, addirittura, strangolarlo. 2. Consentire al prigioniero un limitato grado di libertà di movimento, impedendogli comunque di sciogliersi e sempre, nonostante i numerosi giri attorno al suo corpo, un capo della corda è libero e lungo abbastanza per “condurlo”. 3. Non permettere che alcuno veda le tecniche usate per legare. In effetti, la cattura si esegue in gruppo: al minimo sono quattro gli elementi che procedono alla cattura, ma solo uno applica le tec-niche di legatura, celate alla vista della gente co-mune dagli altri, che circondano il prigioniero e ne controllano anche la reazione. 4. Far sì che la legatura sia gradevole alla vista. Ed ecco, allora, l’attenzione ai nodi – talvolta ma-gnifici - ed ai giri di corda – a formare, quasi, di-segni sul corpo del prigioniero, grazie alla preci-sione delle forme. I principali tipi di corde – e metodi d’uso – utiliz-zati nell’HOJO-JUTSU sono: • Hayanawa: “corda rapida”, utilizzata per tecni-che di legatura molto rapide. • Torinawa: corda lunga circa 3 metri. • SAGEO: cordoncino della SAYA. • Jakuguchi: corda a forma di cappio. • Torihimo: corda a forma di otto. • Kaginawa: corda con un gancio ad un’estremità. HO-JUTSU. – “Arte per il tiro con armi da fuo-co”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). Pare abbia origine nei primi anni del secolo XVI, quando sono messe a punto tecniche per il tiro con l’archibugio (Yo Ryu). L’HO-JUTSU, conosciuto anche come KA-JUTSU, appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”).

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HOKI RYU. – Antichissima scuola di tiro con l’ar-co da guerra (KYU-JUTSU). Fondata da ZENSHO MASATSUGU, risale al secolo X ed è ancora in atti-vità. HOKO. – “Arma in asta”. È termine generico che indica qualsiasi tipo d’arma in asta, fino al Periodo NARA (710-794) compreso. La testa, munita di codolo – o, più spesso, di GORBIA, tenuta in sede da un rivetto passante attraverso due fori – può essere di ferro o di bronzo ed avere o no punte e lama laterale. Anticamente l’HOKO è chiamato ten-cho ed anche rikken.

– Arma comparsa alla fine del secolo XV. Un’asta di 120-140 cm, a sezione ovale, laccata, è sormontata da una lama (fornita di codolo), cui se ne aggiunge una (dente o rebbio) sporgente di la-to. La lama laterale, normalmente corta, serve a sia a parare i colpi dell’avversario sia per colpire. Nel Periodo EDO (1603-1867) l’HOKO diventa arma da parata o cerimonia, talvolta con stravaganti lame laterali cortissime o smisurate, come alcuni esemplari del secolo XVII, in cui la lama principa-le diventa quella orizzontale – pesante sperone a quattro lati, simile ad un martello da guerra euro-peo – mentre la verticale è corta ed appuntita. Le lame sono protette da fodero, decorato e laccato (SAYA) o in legno, senza decorazioni, ma coperto di scritte (SHIRAZAYA). L’asta dell’HOKO è munita di CALZUOLO, chiamato HIRUMAKI. HOKO-IN RYU. – Antica scuola d’Arti Marziali. Specialità della scuola è la scherma di lancia (YA-RI-JUTSU), cui s’aggiunge lo JU-JUTSU. HOKOSHU. – È la guardia militare degli SHOGUN ASHIKAGA. Il Clan ASHIKAGA governa il Paese (con quindici SHOGUN) dal 1338 al 1573, ma per mante-nere il potere deve contare sul sistema delle alle-anze, potendo fare affidamento, normalmente so-lo su ridotte forze militari, tra le quali gli HOKO-SHU (mai in numero superiore a 350 unità). HOKUSAI KATSUSHIKA. – (1760-1849) È il più famoso, poliedrico e celebrato artista giapponese, conosciuto come Gakyojin, “maniaco del disegno”. Il suo vero nome è Nakajima, ma – come d’uso in Giappone – lo cambia diverse volte; questo lo as-sume nel 1798, quando s’afferma come artista in-dipendente. Pittore e incisore, illustratore di libri ed autore di manuali di disegno, destinati ad allievi e princi-pianti, è uno dei maggiori e più originali interpreti del genere UKIYO-E ("Immagini del Mondo Mute-vole") nonché specialista in stampe di scene tea-trali (yakusha-e). La sua produzione è sterminata

e varia dai SURIMONO alle stampe, dalle illustra-zioni ai MANGA. Soggetti delle sue opere sono pa-esaggi e figure femminili, il mondo animale e quel-lo umano. Celebre e considerato un vero capolavoro è Tren-tasei vedute del Monte Fuji: si tratta di stampe realizzate tra il 1829 ed il 1832, arricchite da ul-teriori dieci vedute nel 1834, cui s’aggiunge Cento vedute del Monte Fuji, eseguite tra 1834 e 1835 (tutte firmate Iitsu). I suoi MANGA – 15 volumi di schizzi e bozzetti, che disegna da sempre e pubblica dal 1812 – ri-traggono SAMURAI e contadini, pescatori, cavalieri e GEISHE, pellegrini ed artigiani: in viaggio per ma-re o nei campi coltivati, nei mercati e nelle CHA-NO-YA, in città ed in campagna. Venduti come al-bum di anatomia e di botanica, fisiognomica ed entomologia piuttosto che compendi di architet-tura, le suo opere sono una raccolta di caricature e passi di danza, gesti e smorfie, scene di caccia e mosse di lotta: un vero e proprio repertorio di vita vissuta. Importanti sono le sue incisioni su legno colorato ed è rivoluzionario l’uso del pigmento blu di Prus-sia nelle sue raffinate composizioni, in perfetto equilibrio geometrico, prospettico e cromatico. Le sue xilografie a colori sono molto apprezzate (e imitate!) anche in Occidente per tutto il secolo XIX. HOKUSAI KATSUSHIKA è figura quasi leggendaria, avvolta da un alone di eccentricità (da sé ama de-finirsi il “vecchio pazzo per la pittura”) e capace di virtuosismi tecnici inarrivabili: pare sia in grado di disegnare e dipingere intingendo nell’inchio-stro, indifferentemente, un dito od una scopa di canne. HOKUSAI RYU. – Antica (1700 circa) scuola di JU-JUTSU. In questa scuola si studia lo stile HO-GU-JUTSU. Risulta ancora attiva. HOKUSHIN ITTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. È fondata, verso il 1830, da CHIBA SHUSAKU SHI-GEMASA, che è alla ricerca di uno stile di KEN-JUTSU più spirituale rispetto a quello praticato al suo tempo. Gli allenamenti in coppia (KUMI-TACHI) – nei quali sono introdotte manopole e maniche di protezione (KOTE) – riguardano combattimenti sia tra allievi forniti di un BOKKEN dritto (antesignano dello SHINAI), sia di allievi armati di BOKKEN con-tro altri muniti di KEIKO-NAGINATA. È una delle poche Scuole che utilizzano la “grande spada da battaglia”, O-DACHI.

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HON. – “Origine”, “radice”, “vero”. “Fondamenta-le”, “essenziale”, “principale”. “Regolare”.

– “Oggetti lunghi”. HONBU DOJO. – “Palestra Centrale”. È la sede principale dell’attività per ogni Organizzazione o Società che si occupa e promuove un’Arte o Disci-plina Marziale. L’HONBU DOJO dell’AIKIKAI si trova a Tokyo. HONKE. – “Nobili di Corte”. Si vedano KUGE, BU-KE. HONMA SHINTO RYU. – Antica scuola di KEN-JUTSU, fondata da Honma Masayoshi. La tradizio-ne vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHO-DEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENA-O. È ancora in attività. HONMARU. - . È la cerchia più interna del DO-SHINEN, a protezione del TENSHU. HONMEI CHOKO – Sono i cioccolatini destinati alla persona amata, per la festa di San Valentino, ormai osservata anche il Giappone. Quelli che, in-vece, è necessario donare ai conoscenti, maschi, con cui è necessario intrattenere buoni rapporti, sono i GIRI CHOKO. HON-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 3° o 4° grado”. Si chiama anche SANDAN se di 3° grado e YODAN se di 4°. [si veda KYUDAN]. HONNE. – “I propri (veri) sentimenti”. Si posso-no esprimere unicamente con i familiari più stret-ti, dal momento che, nella società giapponese, la manifestazione della propria interiorità profonda è fonte di imbarazzo. HONTAI. – “Allerta permanente”. Solo dopo lun-go, duro allenamento, un combattente raggiunge quello stato di lucidità e profonda ricettività che gli consente la percezione di sé, del suo avversa-rio e dell’ambiente circostante. Lo spirito, libero e permanentemente allerta, permette al combat-tente la perfetta padronanza delle proprie facol-tà e capacità. È anche il titolo di un antico testo – si dice conservato da TAKUAN SOHO, monaco ZEN e Maestro di varie Discipline – che è alla base dell’insegnamento del KITO RYU. HONTAI TAKAGI YOSHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU, KEN-JUTSU e BO-JUTSU, fondata da Takagi Setsuemon Shigotoshi verso il 1660. Nelle tecniche di bastone sono utilizzati sia quello lungo (ROKUSHAKU-BO) sia quello medio (HAN-BO). Analo-gamente, nel KEN-JUTSU, si usano tanto la spada lunga, da battaglia (NO-DACHI) quanto quella corta (KO-DACHI o WAKIZASHI). Pare sia ancora attiva.

HOO. – Titolo riservato agli imperatori che prendono i voti buddisti, dopo aver abdicato. HORIMONO. – Incisioni decorative o simboliche – soggetti floreali, draghi, BONJI, fiamme, brevi poesie… – spesso presenti sulle lame delle armi bianche (spade, lance ecc.). Talvolta servono ad eliminare piccoli difetti superficiali. HORO. – Caratteristica tunica protettiva per i cavalieri, in uso nei secoli XV e XVI. Cinque stri-sce di tessuto, cucite fra di loro, formano un telo lungo circa 180 cm, a volte imbottito di cotone, a volte tenuto disteso da un telaio di vimini. Fissato all’elmo (o alla piastra posteriore della corazza) ed alla vita del cavaliere, si gonfia con il vento provocato dalla corsa ed offre una protezione ag-giuntiva contro le frecce scagliate da tergo. HOSAKAWA RYU. – Altro nome della scuola TA-KEDA RYU di YABUSAME. HOSHI TETSUOMI. – Discepolo di O-SENSEI. Idea un metodo di lotta, chiamato KOBU-JUTSU, che ingloba tecniche d’AIKIDŌ. HOSHI-KABUTO. – Elmo. S’ispira a forme anti-che (IV o VI secolo) e lo compongono piastre ver-ticali, incurvate, circondate alla base da una sin-gola striscia. Una piastra di rinforzo, decorata, a forma di visiera, sporge sul davanti; in cima è presente il TEHEN. È caratteristica la tecnica di fissaggio delle piastre verticali: file di rivetti, con grossa capocchia a bottone (hoshi significa stella). Dai primi, rozzi, esemplari dei secoli X e XI, a forma quasi conica, si passa ad esemplari a forma quasi emisferica (inizio del XV), composto da numerosissime piastre e piccolo bordo inferio-re, chiamato O-BOSHI. Nella parte posteriore tro-viamo una gronda (SHIKORO) enorme, con imponen-ti FUKIGAYESHI (risvolti laterali della visiera). Nel tardo Periodo MUROMACHI (seconda metà del se-colo XVI) questo tipo d’elmo è molto diffuso. Il numero delle piastre verticali va da 32 a 72 ed i rivetti (minimo 30 per ogni piastra) hanno capoc-chia conica, di dimensione decrescente dal basso all’alto. L’HOSHI-KABUTO, in diverse varianti, è prodotto a tutto il XIX secolo. HOSHIN RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU. È recente (secolo XIX) ed ha lo scopo di far svilup-pare negli allievi una “intelligenza perfetta”. HOSHINO KANZAEMON. – Campione di tiro con l’arco. Resta il miglior tiratore fino all’aprile 1686, quando WASA DAIICHIRO lo spodesta. HOTE. – “Giudice” del SUMO. Il primo HOTE che si ricordi è SHIGA SEIRIN, nominato giudice nel 740.

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HOTOKE-DO. – Armatura di tipo DO-MARU. Le piastre di protezione, modellate a sembianza di torso nudo, sono spesso incise con volti umani grotteschi. HOTTO KOKUSHI. – (1207-1298) Monaco della setta esoterica buddista RINZAI. È noto per un lungo viaggio fatto, nel 1249, nella Cina della Di-nastia Song (960-1279). HOZAN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e KENDO. Pure in questa scuola – aperta alla fine del secolo XIX ed ancora attiva – si utilizza lo SHINAI per l’allenamento. HOZO-IN EI. – (1521-1607) Monaco buddista di NARA ed esperto d’armi, “riscoperto” alla fine del secolo XIX. È il guardiano del tempio della sua città e, per la tradizione, non solo ha fondato l’HOZO-IN RYU, ma è anche l’inventore di tutta una serie d’armi cosiddette insidiose, tra cui il FERUZE ed il KUDA-YARI. HOZO-IN RYU. – Antica scuola di KEN-JUTSU, SO-JUTSU e KENDO. Per la tradizione, il fondatore è HOZO-IN EI e tutti i successivi Capiscuola sono dei religiosi. La tradizione vuole che questa scuola derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. Tra i migliori allievi del RYU si annovera TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, la cui bravura non s’accompagna ad altrettanta buona moralità. L’HOZO-IN RYU, da sempre legata allo SHINDEN FUDO RYU e rinnova-tasi alla fine del secolo XIX, insegna ancora oggi l’uso del FERUZE. UESHIBA MORIHEI, nel 1924-25, studia SO-JUTSU allo HOZO-IN RYU. HOZO-IN RYU TAKADA-HA. – Antica scuola di scherma con la lancia, SO-JUTSU, fondata da Ho-zo-in Kakuzenbo In-ei nel 1560 circa e, pare, an-cora attiva. Tra le armi utilizzate troviamo la SU-YARI e la KAMA-YARI. HYAKU HACHI JU DO. – “180 gradi”. HYAKUSHONIN. – Si veda BONGE. HYODO. – È il termine che TSUJI GETTEN SAKE-MOCHI usa, nel 1695, in riferimento al metodo di combattimento con la spada insegnato nella scuola da lui fondata, la MUGAI RYU. L’HYODO è un meto-do che cerca di conciliare e fondere arti umani-

stiche e guerresche, l’attitudine spirituale milita-re con quella civile, la meditazione ZEN con l’etica confuciana. Il fine ultimo del principio HYODO è la perfetta vacuità (SHUNYA), l’unificazione dell’es-sere umano con il nulla cosmico.

– Così sono chiamate le Arti Marziali all’inizio del secolo XVIII, in Periodo Edo (1603-1867). Es-se sono altresì indicate come Heido (“Via Milita-re”). HYOHO. – “Metodo della strategia”. Con questo termine MIYAMOTO MUSASHI, il celeberrimo SA-MURAI, definisce lo stato d’animo adatto al com-battimento: spirito integrato con la tecnica. È la perfetta auto conoscenza che porta a controllare e dominare sia le proprie azioni sia lo spazio cir-costante. L’HYOHO si applica a tutte quelle Arti Marziali note come “Arte di vivere e di morire”: le Discipline di combattimento proprie dei SAMURAI. L’HYOHO, in qualche misura, equivale al principio espresso con il moderno DO. HYOHO MICHI SHIRUBE. – “Fondamenti della Via della Spada”. Notevole opera sulle tecniche di spada, scritta da SHIRAI TORU, ai suoi tempi (ini-zio secolo XIX) famoso Maestro di KEN-JUTSU. HYOHO NITEN ICHI RYU. – Altro nome con cui è conosciuta l’EMMEI RYU, la scuola di KEN-JUTSU fondata da MIYAMOTO MUSASHI verso il 1620 (altre fonti danno il 1640). Lo HYOHO NITEN ICHI RYU è popolarmente noto come NITEN ICHI RYU ed anche come NITO RYU. HYOHO SANJUGO KAJO. – “Trentacinque Ca-pitoli sullo Hyoho”. È una nuova stesura, ampliata, del precedente l’HYOHO-KYO (“Lo specchio della vita”). L’uno e l’altro sono precedenti al celebre GORIN-NO-SHO. HYOHO-KYO. – “Lo specchio della vita”. Lo scri-ve MIYAMOTO MUSASHI che, in ventotto capitoli, tratta la strategia del combattimento. A questo libro fa seguito l’HYOHO SANJUGO KAJO. HYOSHI. – “Ritmo”. È quella particolare “caden-za” che caratterizza un combattimento, condizio-nando lo “spazio-tempo” tra i due avversari ed an-che il rapporto “corpo-spirito” di ciascuno.

- I -

IAI. – “Sguainare”, “estrarre”, “sfoderare” la spada.

IAIDO. – “La Via dello IAI”; “la Via di sguainare la Spada”. È la versione moderna dello IAI-JUTSU,

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spesso abbinata allo studio del KENDO, così come lo IAI-JUTSU è complemento del KEN-JUTSU. Della versione “utilitaristica” richiede la concentrazio-ne e mantiene intatta rapidità, eleganza, precisio-ne ed efficacia (supposta!) dell’atto. Risale allo IAI-JUTSU, inoltre, tutta una serie di gesti simbo-lici – ma in origine dettati dalla necessità di esse-re sempre pronti a combattimenti successivi – che costituiscono le tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO: NUKI-TSUKE, “sguainare”, KIRI-TSUKE, “tagliare”, CHIBURI, “pulire la lama”, NOTO, “rinfo-derare”. A questi atti si aggiungono anche il salu-to rituale, tutta una serie di KATA e, soprattutto, il controllo della mente e dello spirito e l’atteg-giamento proprio dello spadaccino, che il prati-cante di IAIDO deve acquisire e mantenere: SEME, “minaccia“, FURI-KABURI, “sollevare la spada“ ecce-tera. Oggi sono venti i movimenti di “estrazione” della spada e circa cinquanta quelli di “taglio” nel-le varie direzioni. Tecniche e KATA sono eseguiti con partenza in posizione eretta o seduta, in gi-nocchio o addirittura sdraiata, a simulare situa-zioni diverse: in piedi, contro uno o più avversari; dopo una caduta; in luoghi dai soffitti bassi ecce-tera [non si dimentichi, a questo proposito, che molti KATA del moderno IAIDO sono sviluppati in tempo di pace e poco hanno a che fare con azioni realistiche di combattimento]. Lo IAIDO è inse-gnato nelle maggiori Scuole di KENDO (ed anche KEN-JUTSU), sia come complemento alla Disciplina principale, sia come Arte Marziale a sé stante. Altre Scuole – KATORI SHINTO RYU per tutte – abbinano allo IAIDO l’insegnamento d’altre Disci-pline: KEN-JUTSU, SO-JUTSU, NAGINATA-JUTSU, BO-JUTSU eccetera. IAI-JUTSU. – “L’Arte dello IAI”, “l’Arte di sguainare la Spada”. È la capacità di sguainare la spada e colpire immediatamente l’avversario – nel combattimento reale – prima che questi, a sua volta, estragga o riesca a colpire. Un tempo chia-mato anche BATTO-JUTSU, lo IAI-JUTSU è il com-plemento naturale della scherma con la spada (KEN-JUTSU) e rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). Pare che le prime Scuole a teorizzare questo tipo d’Arte Marziale siano il KAGE RYU di Yamamoto Hisaya Masakatsu (1550 circa) e l’JINNOSUKE RYU (o MUSO JIKIDEN RYU) di HAYASHIZAKI JINSUE SHIGENOBU, detto JINNO-SUKE (1560 circa). Essenziale, nello IAI-JUTSU, non è solo la rapidità d’estrazione dal fodero (SA-YA), ma anche l’abilità nel colpire immediatamen-

te, ed efficacemente, l’avversario: in teoria, deve bastare un solo colpo. IBARAGI SENSAI. – SAMURAI di basso rango. Pare sia il fondatore del KITO RYU, scuola di JU-JUTSU. IBUKI. – Tecnica di respirazione, praticata so-prattutto dai KARATEKI. È equiparabile al KIAI, con inspirazione dal naso ed espirazione che “parte” dal ventre (e se ne percepisce il suono). Serve, essenzialmente, ad assorbire il dolore provocato dagli ATEMI inferti o dalle spettacolari “tecniche di rottura” (HISHIGI). ICHI. – “Uno”, in sino-giapponese. In giapponese puro è HITOTSU, per contare le persone (NIN) si dice HITORI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa IPPON. ICHIBAN. – “Primo”. Questo termine indica tut-to ciò che è di prima qualità. ICHIDEN RYU. – Recente scuola di KEN-JUTSU: risale al secolo XIX. ICHIEN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. ICHIGEKI ISSATSU. – “Un colpo, un morto”. ICHIKAWA MONDAIYU. – È l’ideatore dello stile KOWAMI di JU-JUTSU. ICHIMON. – Parente stretto del capo Clan, membro della famiglia. I Clan SAMURAI funzionano come una grande famiglia, al cui centro esiste un reale nucleo parentale. I rapporti tra gli apparte-nenti al Clan si definiscono utilizzando termini di parentela, anche se non c’è consanguineità. Il gruppo di parenti “veri” del capo Clan – che, nor-malmente (dal secolo IX), è il proprietario dello SHOEN – sono gli ICHIMON. I diversi rami della fa-miglia sono chiamati ie-no-ko, “i piccoli di casa”, mentre i SAMURAI che non sono parenti sono chiamati KENIN, “uomini di casa”. Il KENIN, in cam-bio della sua fedeltà al capo del Clan ed alla sua Famiglia, riceve protezione ed il diritto ad una parte delle terre dello SHOEN. ICHIMONJI. – Ideogramma di “uno”, in giappo-nese. ICHI-NO-ASHI. – Occhiello del fodero della spada TACHI. ICHINOMIYA KO RYU. – Scuola di IAI-JUTSU. ICHIRYO GUSOKU. – “Un feudo e un’armatura”. Il termine – composto da ICHI, “uno”, RYO, “terri-torio” o “feudo” e GUSOKU “armatura” – indica i SAMURAI di campagna, quelli che, per l’appunto, possiedono solamente della terra, spesso coltiva-ta direttamente, ed un’armatura, certo non di pregio. La condizione di samurai-contadino (JI-SAMURAI) non è rara, soprattutto fino alla fine

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del secolo XVI, quando i guerrieri di professione non si sono ancora affermati del tutto. Chosokabe Motochika (1539-1599) – un DAIMYO di Shikoku autore di un Codice familiare in cento articoli – autorizza quei suoi ICHIRYO GUSOKU, che per moti-vi economici non possono permettersi il trasferi-mento nel Castello di Kocki, a rinunciare alla con-dizione di SAMURAI per essere contadini a tutti gli effetti. La riduzione allo stato di contadino, per un ICHIRYO GUSOKU, è molto spesso una punizione: non essere più un SAMURAI, per chi è nato e cre-sciuto in questa classe sociale, è un castigo talvol-ta peggiore dell’esilio. IESU KIRISUTO. – “Gesù Cristo”. IGA RYU. – Altro nome del TOGAKURE RYU, scuola di NINJUTSU, che pare sia tuttora attiva. I-GO. – Il gioco del GO. IHAI. – Tavoletta recante inciso il nome del guerriero caduto in battaglia. È posta sull’altare di famiglia, nelle abitazioni dei BUSHI, e serve a mantenere vivo il ricordo del defunto. È buona norma, inoltre, erigere una pietra tombale, nel giardino o nel cimitero, anche quando non siano stati recuperati il corpo o le ceneri: si seppellisce un oggetto di proprietà del morto o una ciocca di suoi capelli. IIE. – “No”. È da ricordare come, per un giappo-nese, sia molto difficile rispondere con un “no” categorico: è offensivo. È preferibile rispondere con un “forse” o magari con ambigue allocuzioni il cui senso dipende dal modo con cui sono dette. In una società, in una cultura dove l’armonia del gruppo è il valore massimo, non occorrono rispo-ste nette: si capisce dal contesto della frase, dai silenzi, dalle pause che accompagnano le allocu-zioni di cui sopra. Già il non dire – ed il tempo che ci si prende per rispondere – è un metodo di co-municazione, anche se, talvolta, nemmeno i giap-ponesi si comprendono tra di loro. In effetti, il comunicatore più abile è quello che pratica l’HA-RAGEI! IITOKO-DORI. – È un termine che indica la ca-pacità di appropriarsi di elementi di altre culture (soprattutto in campo tecnologico) senza avverti-re la necessità di approfondire la filosofia che permea tali altre culture (per mantenere la pu-rezza?), talvolta rifiutandola in toto. IIZASA IENAO. – (1387-1488) SAMURAI, cono-sciuto anche come CHOISAI. Nasce ad Iizasa, in una Famiglia militare del Clan Chiba, nell’omonima Provincia, e serve vari DAIMYO. Istruttore di spa-da di Yoshimasa, ottavo ShOGUN ASHIKAGA, pare

non sia mai stato battuto sul campo di battaglia. La tradizione lo vuole settimo Maestro del JIKI-DEN RYU. Alla caduta del Clan Chiba decide di ven-dere le sue terre e diventa monaco buddista nel santuario SHINTO di Katori-jingu, nella sua pro-vincia di nascita. Nel 1447, a 60 anni d’età, decide di affrontare una pratica di purificazione e duro allenamento (SHUGYO) lunga 1.000 giorni: preghie-re quotidiane e allenamento con spada e lancia. Narra la leggenda che durante questo lungo spa-zio di tempo, mentre pratica vicino ad un pruno, ad IIZASA CHOISAI IENAO appare – in forma di bimbo, seduto su un ramo – Futsu Nushi-no-Mikoto, divinità cui il santuario è dedicato. Il dio, nel predirgli un futuro di grande Maestro, gli do-na un libro di strategia marziale, da lui stesso scritto: l’Hei-Ho Sinsho. IIZASA CHOISAI IENAO chiama la scuola, che ha sede nel santuario, TEN-SHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU, “La Divina Tradizione Marziale del Santuario Shinto di Kato-ri”. Questo RYU, conosciuto anche come KATORI SHINTO RYU, dove si insegnano KEN-JUTSU e SO-JUTSU, ma anche NAGINATA-JUTSU, bastone ecce-tera, è la più antica scuola d’Arti Marziali tuttora in attività. IIZASA CHOISAI IENAO, che ha il titolo di Yamashiro-no-Kami ed utilizza di preferenza il KO-DACHI (o WAKIZASHI, la spada corta), ha la-sciato scritto: «l’arte del guerriero è l’arte della Pace; se si comincia a lottare si deve vincere. Ma si deve vincere senza lottare». IIZASA RYU. – Scuola di BO-JUTSU. L’arma uti-lizzata è di legno duro (tanto da poter contrasta-re un colpo di spada), lunga 180 cm. Per infondere autocontrollo e coraggio nei praticanti, l’allenamento è fatto senza indossare alcuna pro-tezione. IKADA. – Parte del KOTE: protegge l’avambraccio. IKAKE RYU. – Scuola d’Arti Marziali fondata verso il 1600 ed ancora attiva. È specializzata nel JITTE-JUTSU e nel BO-JUTSU, soprattutto nell’in-segnamento dell’uso del KE-BO, il bastone corto (oggi anche KEI-BO). IKAKU RYU. – Scuola d’Arti Marziali, che risale al secolo XVII. Materie principali d’insegnamento sono JITTE-JUTSU e TAM-BO JUTSU. IKAN. – Costume indossato dalla piccola nobiltà. A partire dal secolo XIII è adottato anche a Cor-te. Si compone di una grande tunica o casacca, che copre ampi calzoni, stretti da lacci alle cavi-glie. Le estremità dei calzoni toccano terra e ri-coprono gli zoccoli di legno laccato, neri, imbotti-ti, a punta tonda. In luogo della casacca, talvolta,

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è indossata una specie di larga blusa con cintura, una sorta di giacca da caccia (kariginu). In casa, tolte le calzature, si tengono i piedi nelle gambe dei calzoni: per camminare, si scivola sui pavimen-ti. IKEBANA. – “La Via dei fiori”. Arte di disporre i fiori alla maniera giapponese. Composizione natu-rale di fiori o piante. È materia di studio già in Ci-na, sotto la Dinastia Tang (618-907), ma in Giap-pone s’è evoluta in una Disciplina, il cui scopo è la continua ricerca della perfezione nella “ricostru-zione” della natura attraverso l’equilibrio dinami-co di forme, colori, dimensioni, con innegabili ri-ferimenti alla visione buddista dell’uomo integrato nella natura e questa nella divinità. Fiori e foglie, corteccia o tronco d’albero, rami secchi e radici, acqua, sabbia e sassi: è utilizzato tutto ciò che origina dalla natura, per comporre costruzioni e-quilibrate e armoniche, perfette figure tridimen-sionali, nelle quali i pieni e i vuoti definiscono lo spazio, l’elemento in cui la natura esiste. Anche KADO. IKI. – “Forza di volontà” (è composto di KI).

– “Respirare”. – “Vivere”.

IKI TSUKI. – “Percossa con il palmo della mano”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. IKKA-JO. – “Primo principio o insegnamento”. È un termine che, nel DAITO RYU AIKI-JUTSU, indica l’IKKYO. È in uso nella scuola YOSHINKAN AIKIDŌ. IKKI. – “Leghe rurali”. Contadini e piccoli pro-prietari terrieri SAMURAI, nel secolo XV, ritengo-no di avere un solo modo per far valere i propri diritti: la formazione di leghe rurali. Principali o-biettivi delle loro rimostranze sono i DOSO, accu-sati di accaparrarsi il denaro delle campagne. Sommosse e disordini, a KYOTO, sfociano in vere e proprie incursioni, ripetute negli anni (1428, 1441, 1444, 1457, 1467), durante le quali gli IKKI si scontrano con le milizie delle associazioni MACHI. IKKYO. – “Tecnica numero uno”. “Primo principio” [si veda UDE OSAE]. Immobilizzazione del braccio di AITE: è il modo più semplice per controllare il suo braccio. Normalmente utilizzata contro prese ai polsi, ai gomiti, al bavero ed al petto, fendenti e tecniche di pugno. È anche possibile proiettare AITE (IKKYO NAGE), che effettua una caduta in a-vanti. L’IKKYO, in fase di controllo a terra, è sim-boleggiato da un triangolo. IKKYO, praticato in gi-nocchio, nella forma SUWARI, è uno dei più impor-tanti “fattori esterni” dell’AIKIDŌ, i movimenti e

le tecniche principali, rimaste invariate, unita-mente a IRIMI, TENKAN, SHI HO NAGE.

– 1° gruppo di esercizi: compressione del pol-so. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AI-KITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). IKKYO OSAE. – “Prima immobilizzazione”. IKKYO UNDO. – “Parata alta”. Fa parte degli e-sercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). IKKYO UNDO IRIMI TENKAN. – Passo, IKKYO UNDO e rotazione. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). IKKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di prima classe”. [si veda KYUDAN]. IKO-KOKORO. – “Esperto” o “Maestro”. Conven-zionalmente, è la qualifica che spetta alla Cintura Nera, 7° e 8° DAN, praticante d’Arti Marziali, o all’insegnante di 9° e 10° DAN. [si veda KYUDAN].

– Nel WA-JUTSU indica lo studio dell’aspetto spirituale, riservato ai praticanti di grado molto elevato. IKU. – “Formazione e sviluppo”. È un metodo edu-cativo che unisce corpo e spirito. Trasforma l’AIKIDŌ in una sorta di via ascetica, che indica il cammino verso la perfezione dell’umanità per mezzo, appunto, della formazione e sviluppo dell’essenza (KI-IKU), della saggezza e virtù (TU-KU-IKU) e del corpo (TAI-IKU). IKUTA. – Scuola di musica per KOTO. Risale al 1600 e, insieme alla scuola YAMADA, detta lo stile dominante dell’epoca. IMI. – “Astensione” dalle cose impure, che pos-sono essere il sangue, la malattia, la morte. È uno dei tre metodi di purificazione (gli altri sono l’e-sorcismo, HARAI e l’abluzione, MISAGI) praticati dai fedeli shintoisti, soprattutto dai sacerdoti, che devono essere sempre pronti alle cerimonie di culto. IN. – È la traduzione del cinese Yin e identifica anche il principio URA. [si veda la voce “ommyodo”, nella Terza Parte].

– È la traduzione del sanscrito “mudra”. [si veda]. INAKI. – “Fortificazione di riso”. È una palizzata difensiva – risalente al secolo VI – formata da fa-scine di piante di riso sovrapposte. La struttura così formata, spessa e robusta, ripara da frecce e proietti in genere.

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INAZO NITOBE. – (1862-1933) Scrittore. È merito suo se il termine BUSHIDO acquista la po-polarità, in Giappone e fuori, di cui ancora gode: nel 1905, infatti, pubblica l’opera omonima, che ha straordinaria risonanza. È questo scritto che fa conoscere – in verità nobilitandolo parecchio – il “codice d’onore” dei SAMURAI, l’ideale del nobile, coraggioso, integerrimo guerriero, abile in tutte le Arti Marziali, sincero, retto, dedito al dovere ed incurante di ricchezze e onori, custode dell’o-nore del proprio Signore, del Clan e del suo, inte-merato nell’affrontare la morte. [si veda anche BUSHIDO]. INAZUMA. – “Fianchi”, “costole flottanti”. Punto dell’ipocondrio, destro e sinistro, e del fegato. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure DENKO. INKA. – “Certificato di trasmissione”. Si veda MOKUROKU. INNO. – “Scroto”. INNO-KUATSU. – “Percussione perineale” (tra ano e pube). Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU particolari, adatti a traumi e dolori pelvici – quindi sia di rianimazione sia antalgici – attuati con percussioni riflessogene. INOSHISHI-NO-YARI. – “Spiedo”, usato nella caccia al cinghiale. La struttura è simile a quella d’analoghe armi europee del XV e XVI secolo: a-sta massiccia, lama larga e pesante, spesso con una traversa robusta, a difesa del cacciatore ed impedire che il ferro penetri troppo. INTOKU. – “Il bene fatto in segreto”. Secondo il Maestro TOHEI KOICHI, chi ha appreso e realizza-to i principi dell’universo – attraverso l’AIKIDŌ – ha l’obbligo di agire senza nulla chiedere in cam-bio, operare senza sperare in una ricompensa, così facendo del bene, appunto, in segreto. INU. – “Cane”. INU OI-MONO. – “Tiro al Cane”. È un particola-re tipo d’allenamento al tiro con l’arco da cavallo (KYUBA), praticato soprattutto nel Periodo KAMA-KURA (1185-1333). Il BUSHI, cavalcando, deve col-pire dei cani, lasciati liberi in un recinto dal dia-metro di una ventina di metri. Inizialmente i cani (o scimmie o daini) sono uccisi, in quella che è una vera e propria caccia (TAKA-INU). S’iniziano poi ad utilizzare frecce non letali (HIKIME) e l’abilità dell’arciere consiste nel far cadere gli animali senza ferirli (almeno, non gravemente), in quel ti-po d’allenamento che diventa complementare allo YABUSAME.

INUGAMI NAGAKATSU. – È il fondatore del KUSHIN RYU, scuola di JU-JUTSU, a EDO, nel 1650 circa. INUGAMI NAGAYASU. – Detto GUBEI, è il ni-pote e continuatore d’INUGAMI NAGAKATSU. È ri-cordato per aver perfezionato le tecniche del nonno, nel 1720. IPPA RYU. – Antica scuola di KEN-JUTSU, fondata da Moroka Kagehisa ed ancora in attività. La tra-dizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. IPPAN-GEIKO. – “Studio classico” o “addestra-mento generico”. È un modalità di allenamento, contro un solo avversario: TORI ed AITE ripetono la tecnica 4 volte ciascuno. IPPEN SHONIN. – (1239-1289) Monaco buddi-sta, è il fondatore della setta JODO. IPPON. – “Uno”, per contare oggetti particolar-mente lunghi (HON). In sino-giapponese è ICHI, in giapponese puro si dice HITOTSU, per le persone (NIN) s’usa HITORI. IPPON NUKITE. – “Punta del dito teso”. IPPON-KEN. – “Pugno chiuso, con nocca sporgen-te”. Pure NAKA-YUBI. IRI. – “In entrata”. Da HAIRU, “entrare”. IRIMI. – “Lineare”, “entrante”, “di fronte”. Viene da HAIRU, “entrare”.

– “Mettere il corpo”. “Entrata diretta in a-vanti”. “Entrare nella guardia del compagno”. Al-lorquando eseguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli e-sercizi fisici specializzati (AIKITAISO) che si pra-ticano in coppia, senza caduta. “Entrare nell’at-tacco dell’avversario”. Tecnica diretta, in avanti, in forma positiva (Yang, OMOTE): il movimento di contrattacco è simultaneo all’attacco. È il metodo di “non urto”: TORI esegue la tecnica portando il suo corpo in contatto (o quasi) con il corpo di AITE e si posiziona dietro alla linea di attacco di AITE, guidando il suo KI. IRIMI (che uno dei più impor-tanti “fattori esterni” dell’AIKIDŌ, i movimenti e le tecniche principali, rimaste invariate, unita-mente a TENKAN, SHI HO NAGE e SUWARI IKKYO), in-sieme ad IRIMI ISSOKU, nasce dallo studio di spa-da e lancia fatto da UESHIBA MORIHEI, che dice: «Quando siete di fronte ad un avversario armato di spada, vi trovate fra la vite e la morte. Restate calmi, senza farvi confondere dal nemico o dalla sua arma. Senza aprirvi a nulla, muovete decisa-mente in Irimi e cancellate le cattive intenzioni dell’avversario». Ciò significa che, non appena ini-

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zia il combattimento, è necessario evitare l’at-tacco ed “entrare” immediatamente nell’apertura che l’attacco stesso provoca nella guardia e nello spirito dell’avversario. Alcuni DOKA di O-SENSEI spiegano meglio di molte parole: «Vedendomi di fronte/il nemico attacca,/ma in un lampo/io sono già/dietro di lui». «Senza la più piccola apertu-ra,/senza mente, ignora/la spada del nemico/che attacca:/entra e taglia!». «Destra e sinistra,/ e-vita tutti/i tagli e le parate;/afferra la mente dell’avversario/ed entra direttamente!». [si veda anche “ Considerazioni sul KI”]. IRIMI ATE. – “Lancio in IRIMI”. IRIMI ISSOKU. – “Entrata con un solo passo”. Si può anche trovare issoku-irimi. IRIMI NAGE. – “Proiezione frontale, in avanti”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA), con TORI che porta il suo corpo in contatto, o mol-to vicino, a quello di AITE. Si esegue, normalmen-te, su presa al polso (ai polsi), dal davanti o da dietro e su fendente o colpo alto. La caduta di AI-TE è indietro. IRIMI OTOSHI. – “Entrata decisa”, per annien-tare l’avversario. IRIMI TENKAN. – “Spostamento base” (TAI SA-BAKI) dell’AIKIDŌ. Passo avanti e TENKAN. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Allorquando eseguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati che si praticano in coppia, senza caduta. L’IRIMI TENKAN è simboleg-giato da un cerchio. IRIMI TSUKI. – “Proiezione di difesa”. Colpo frontale in entrata. Si esegue, normalmente, su presa al gomito e su fendente alto. IRORI. – È il “focolare”, quadrato ed interrato, presente in tutte le abitazioni dei contadini e dei cittadini comuni. Attorno all’IRORI, per approfit-tare del suo tepore, nella stagione fredda si riu-nisce tutta la famiglia, mentre nobili e guerrieri, per scaldarsi, indossano più vestiti, l’uno sull’altro e si rintanano sotto coperte imbottite. Nelle case del Giappone feudale quasi non esistono sistemi di riscaldamento, fatti salvi piccoli bracieri di legno, foderati di terra o metallo; con questi mezzi è impossibile riscaldare le dimore dell’epoca, dai muri sottili e dai tetti estesi, aperte a tutti i ven-ti. Il combustibile, tanto dell’IRORI quanto dei bracieri, è costituito da pezzi di legno, dato che il carbone di legna, fino al secolo XIV, è articolo di lusso, accessibile solo ai ricchi.

ISHIGAKI. – “Muro di pietra”. È il muro a secco che costituisce la struttura di base del castello feudale, il DOSHINEN. È formato da un massiccio terrapieno, composto da grossi massi e terra, rafforzato da pietre più piccole a riempire gli in-terstizi. Una simile struttura, oltre a garantire maggiore stabilità al castello nel suo insieme, rie-sce a dissipare più agevolmente l’energia sviluppa-ta dai frequenti terremoti. I massi di base, il alcuni casi, sono enormi, come quelli utilizzati nella costruzione del Castello di EDO (1604): i blocchi di pietra vengono dalle cave dell’isola Izu ed ognuno deve essere maneggiato da oltre 100 uomini e possono essere trasportati sulle navi solo due per volta. ISHIZUKE. – Parte del fodero della spada TACHI. ISHIZUKI. – “PUNTALE”. Fornimento dell’asta di lancia (YARI o NAGINATA). ISO MATAEMON MINAMOTO-NO-MASA-TARI. – (…-1862) È il fondatore – ad OSAKA, ver-so il 1830 – dello stile TENJIN SHIN’YO RYU di JU-JUTSU. Ha numerosissimi allievi (più di 5.000, si dice), attratti dall’efficacia degli ATEMI, degli strangolamenti (SHIME) e delle immobilizzazioni (OSAE) insegnate. ISOGAI RYU. – Scuola di JU-JUTSU fondata, pa-re, da un allievo del Maestro cinese Chen Yuan Bin verso il 1670. Risulta ancora in attività. ISSHIN KO RYU. – Scuola di KUSARIGAMA-JUTSU. ISSHIN RYU. – Scuola di KARATE-DO. È fondata da Tatsuo Shimabuku, allievo del GOJU RYU di O-KINAWA e dello SHORIN RYU KARATE-DO. ITE. – “Arciere”. ITO ITTOSAI KAGEHISA. – (1560-1653) Fa-moso spadaccino, è il fondatore dell’ITTO RYU e l’ispiratore di numerosi altri Maestri, tra cui YA-MAOKA TESSHU. ITO ITTOSAI KAGEHISA – che pre-dilige l’uso di una sola spada, impugnata a due mani – nel combattimento enfatizza lo SHIN-KI-RYOKU: agisce solo quando ha purificato lo spirito da ogni pensiero cattivo o impuro e dalla paura. ITOSU RYU. – Stile di KARATE, ideato da ITOSU YASUTSUNE ANKO, che deriva direttamente dello SHURI-TE. ITOSU YASUTSUNE ANKO. – (1830-1915) Ma-estro di KARATE, ad OKINAWA. Secondo Caposcuo-la della scuola SHURI-TE, è l’inventore dello stile che porta il suo nome, l’ITOSU RYU. ITOSU YASU-TSUNE ANKO – che innova e semplifica i KATA, ag-giungendone anche altri di provenienza cinese – è il precursore del KARATE moderno, quello poi idea-

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to da FUNAKOSHI GICHIN, ed uno dei Maestri di MABUNI KENWA, il fondatore dello SHITO RYU. ITOSU-KAI. – Nome con cui è conosciuta la Zen Nihon Karate-do Itosu-kai, fondata nel 1953 dal Maestro SAKAGAMI RYUSHO. ITSUSAI CHOZANSHI. – (1659-1741) Maestro di KEN-JUTSU. Valente spadaccino (vero nome Ni-wa Jurozaemon) è l’autore di una nota opera sulle Arti Marziali, il TENGU GEI-JUTSU-RON, “Trattato sulle Arti Marziali dei Tengu” (i TENGU sono esse-ri mitologici dell’antico Giappone, esperti d’Arti Marziali). ITSUTSU. – “Cinque” in giapponese puro. In sino-giapponese è GO, per contare le persone (NIN) si dice GONIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa GOHON. ITTO RYU. – “Scuola di una sola spada”. È fon-data, nel secolo XVI, da ITO ITTOSAI KAGEHISA. L’ITTO RYU insegna a dominare il sistema cuore-spirito (SHIN), il soffio vitale (KI) e l’energia, la forza (RYOKU), in modo da agire – in combattimen-to – solo quando l’animo è puro, senza paure o pen-sieri negativi. Principio fondamentale di questo metodo di combattimento – che non solo influenza fortemente il KENDO, ma è punto di riferimento per altri RYU, contemporanei o successivi – è l’u-chi-gachi: difesa e attacco si concretizzano in un solo colpo, che dà la vittoria. L’ITTO RYU è ancora attivo. ITTO RYU SEIUNKAN. – Scuola di tradizione culturale. In questo RYU ancora sono proposte le antiche danze rituali, come il KEN-BU, eseguito in-dossando abiti da cerimonia e brandendo una KA-TANA. ITTO SHODEN MUTO RYU. – “Il Sistema della Non-Spada secondo la Corretta Trasmissione di Ito Ittosai”. È il nome con cui YAMAOKA TESSHU chiama la propria scuola, la MUTO RYU, dopo esse-re stato designato 10° Caposcuola della ONO-HA ITTO RYU da Ono Nario. Nello Shumpukan, il DOJO di YAMAOKA TESSHU, gli allievi entrano non per af-frontare i combattimenti e sconfiggere gli avver-sari, ma per cercare l’illuminazione – e, in questa

ricerca, devono essere disposti anche a rischiare la vita! La scuola è ancora in attività. IWAMA. – Cittadina a nord-est di Tokyo, dove UESHIBA MORIHEI trova rifugio durante la Secon-da Guerra Mondiale. Dal 1948 al 1956, anno in cui riapre quella di Tokyo, è anche la sede effettiva dell’AIKIKAI HONBU DOJO. Nel 1943 O-SENSEI vi edifica un sacrario dedica-to all’AIKI, a simboleggiare la sua fede nell’AIKIDŌ come disciplina trascendente (oltre che per riaf-fermare la propria adesione alla religione OMOTO-KYO). Ancora oggi nel sacrario (considerato il cen-tro spirituale dell’AIKIDŌ e riedificato nei primi anni ’60) è commemorata la morte del Fondatore, con un rito celebrato da religiosi dell’OMOTO-KYO. IWAMA RYU AIKIDŌ. – Scuola d’AIKIDŌ, in IWAMA. La fonda Saito Morihiro, 9° DAN. IWA-NO-MI. – “Il Corpo come una Roccia”. Così MIYAMOTO MUSASHI chiama nella sua scuola, l’EM-MEI RYU, il concetto FUDO-NO-SEISHIN (“Spirito Imperturbabile”), elaborato da TAKUAN SOHO, monaco e Maestro ZEN. IZANAGI-NO-MIKOTO. – Divinità della mito-logia shintoista. Incarna il principio maschile e, in coppia con IZANAMI-NO-MIKOTO, è considerato l’artefice dell’Arcipelago Giapponese, creato sca-gliando la “Lancia Gioiello del Cielo” (NU-BOKO) nell’oceano. È anche il creatore del Sole (AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI), della Luna (Tsuki-yomi-no-kami) e dell’uragano (TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO). IZANAMI-NO-MIKOTO. – Divinità della mito-logia shintoista. Incarna il principio femminile e, in coppia con IZANAGI-NO-MIKOTO, è considerata l’artefice dell’Arcipelago Giapponese, creato sca-gliando la “Lancia Gioiello del Cielo” (NU-BOKO) nell’oceano. IZUMO-NO-KANJA YOSHITERU. – (1429-1441) È il fondatore della scuola SHINDEN FUDO RYU di YARI-JUTSU. La tradizione vuole che ap-prenda i segreti della scherma con la lancia da al-cuni TENGU (esseri mitologici dell’antico Giappone, esperti d’Arti Marziali).

- J -

JI. – È il coro del teatro NŌ, composto da un nu-mero variabile di persone, da otto a dieci, dispo-

ste su due file. Compito del coro è commentare l’azione ed evocare il paesaggio. Unitamente al

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suono di tre tamburi ed un flauto (l’insieme è chiamato HAYASHI), costituisce la musica tipica di tale forma teatrale.

– “Carattere” (calligrafico). JICHIN. – Si veda JIEN. JIEN. – (1155-1225) Monaco buddista e poeta. Appartiene alla setta esoterica TENDAI. È chia-mato anche JICHIN. JIGANE. – “Corpo principale” della lama. JIGEN RYU. – Stile per tagliare con la spada. Ad OKINAWA questo stile origina la scuola JIGEN RYU nella quale MATSUMURA SOKON, di ritorno dalla Ci-na, elabora lo SHURI-TE, la forma di KARATE che poi insegna nel suo RYU, che ha lo stesso nome.

– Scuola di KEN-JUTSU fondata da TOGO SHI-GEKURA BIZEN-NO-KAMI. Risale alla fine del Perio-do MOMOYAMA (1573-1603) e la tradizione vuole che derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. Quasi tutti gli al-lievi di questa scuola si uniscono ai 9.000 ribelli (7.000 dei quali SAMURAI) che combattono contro le truppe imperiali, durante l’“Insurrezione di Sa-tsuma”. La ribellione scoppia (1877) nella penisola di SATSUMA, nel sud dell’isola di Kyushu, contro la proibizione di portare le armi tradizionali e con-tro la coscrizione obbligatoria decretata dall’Imperatore. Alla testa degli insorti c’è SAIGO TAKAMORI, l’ex “Maresciallo di Campo” dell’Impe-ratore e già allievo dello JIGEN RYU, che applica anche le tecniche apprese alla scuola, senza alcun successo. Anche questa scuola è tuttora in attivi-tà. Ad OKINAWA lo JIGEN RYU ha dato origine alla scuola di KARATE omonima. JIGO HONTAI. – Posizione difensiva di base. Può essere eretta (TACHI) o seduta (ZA), destra (MIGI) o sinistra (HIDARI). Fa parte delle SHISEI (“posture”). Anche JIGO-TAI. JIGO-TAI. – Si veda JIGO HONTAI. JIKIDEN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e IAI-JUTSU, fondata verso il 1250 da Onkeibo Chochen. Anche questo RYU, secondo tradizione, nasce per ispirazione divina (TENSHIN SHO). Si dice che il settimo Maestro di questa scuola sia IIZASA CHOISAI IENAO, il fondatore del TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU. Il RYU è ancora attivo. JIKISHIN KAGE RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e NAGINATA-JUTSU. La fonda, nel secolo XVI, YA-MADA HEIZAEMON, che introduce la spada di legno (BOKKEN) per l’allenamento. È attiva ancora oggi, insegnando le varianti “morbide”: KENDO e NAGI-NATA-DO.

JIKISHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. Il fonda-tore è TERADA KAN-EMON, SAMURAI di basso rango che, nell’ambito del KITO RYU, sviluppa tecniche di JU-JUTSU che non hanno lo scopo di uccidere l’av-versario, chiamandole JUDO. È questa la prima scuola di BUDO classico che non usa armi. Il JIKI-SHIN RYU è ancora attivo. JIME. – Suffisso per “strangolamento” (SHIME). JINMU TENNO. – “Divino Imperatore Guerrie-ro”. Per la mitologia SHINTO è il discendente della dea del sole, AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, il creato-re – l’11 febbraio del 660 a.C. – dell’Impero giap-ponese, il fondatore della Dinastia imperiale e, quindi, l’antenato di tutti gli imperatori succedu-tisi sul trono. JIN. – “L’amore universale”; anche “benevolenza”, “carità”, “umanità”. Uno dei punti del BUSHIDO. [si veda]. JINBAORI. – Sopravveste, di seta o cotone, in-dossata dai BUSHI sopra l’armatura; è variamente decorata. JINCHU. – “Base del naso”; “punto del filtro”. Punto alla base del naso, al centro del solco naso-labiale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. JINGASA. – Caratteristico elmo aperto: assomi-glia all’europeo “cappello di ferro”. È di cuoio, di rame o di ferro (di legno o cartapesta laccata, se impiegato come complemento dell’uniforme ceri-moniale) e, nella forma, imita i tradizionali cappel-li orientali, di paglia di riso. Inizialmente è indos-sato dai guerrieri di basso rango, dai fanti (ASHI-GARU, ZUSA) e dai dipendenti dei nobili, ma in se-guito lo adottano anche i SAMURAI, inizialmente durante l’addestramento e nel corso dei viaggi, poi in modo continuativo, al posto del complesso e pesante KABUTO. I primi esemplari documentati (secolo XVI), in un pezzo solo, hanno cono alto, con TEHEN alla sommi-tà. Nei secoli XVIII e XIX spesso sono in ferro sbalzato, rotondi od ottagonali, piatti o con alto coppo cilindrico. La TESA è larga, talvolta rialzata sul davanti. Lo JINGASA è guarnito con un CIMIERO nella parte anteriore e con un fiocco (agemaki) in quella posteriore. Per fissare l’elmo si usa una cordicella morbida che, infilata attraverso dei cappi imbottiti che scendono sotto le orecchie, si lega sotto il mento. Anche KASA. JINGO. – Vedova dell’imperatore Chuai, regge il trono (o regna effettivamente) dal 201 al 269. La tradizione vuole che JINGO, pur incinta, intorno al 200 guidi un’invasione della Corea, aiutata nella

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strategia di conquista dal figlio, il futuro impera-tore OJIN. Per farlo nascere in Giappone, JINGO impedisce il parto con un sasso sotto il ventre e lo mette al mondo dopo 14 mesi di gravidanza. JINJA. – “Tempio”, “santuario”. JINNOSUKE. – Si veda HAYASHIZAKI JINSUE SHIGENOBU. JINNOSUKE RYU. – Celebre scuola di IAI-JUTSU, conosciuta anche con il nome di MUSO JI-KIDEN RYU. La fonda, nel 1560, HAYASHIZAKI JIN-SUE SHIGENOBU, del Clan HOJO. Dal secolo XVIII è conosciuta come MUSO JIKIDEN EISHIN RYU, do-po l’opera di perfezionamento condotta dal Mae-stro HASEGAWA CHIKARA-NO-SUKE EISHIN, quindi diventa MUSO SHINDEN RYU all’inizio del secolo XX, con il Maestro NAKAYAMA HAKUDO ed infine MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU nel 1933, per i-niziativa del 17° Caposcuola, Morimoto Tokumi, della branca Tanimura-ha. È ancora in attività. JINZO. – “Lombi”; zona dell’incavo renale. JINZO-KUATSU. – “Percussioni lombari”. Tecni-ca di rianimazione che fa parte della serie di KUA-TSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni ri-flessogene (TSUKI-KUATSU). JIPPON. – “Dieci”, per contare oggetti partico-larmente lunghi (HON). In sino-giapponese è JU, in giapponese puro si dice TO, per le persone (NIN) si usa JUNIN. JISAI MICHIIE. – (1576-1615) Fonda, ispiran-dosi allo stile CHUJO RYU di Chujo Nagahide, la scuola KANEMAKI RYU di KEN-JUTSU. JI-SAMURAI. – È il samurai-contadino, il colti-vatore guerriero, il SAMURAI di campagna, solita-mente di bassa estrazione sociale, che vive colti-vando la terra e partecipa alle campagne militari del suo Signore quando convocato. Questi SAMU-RAI sono anche indicati con il termine ICHIRYO GU-SOKU, “un feudo e un’armatura”. JITA-KYO-EI. – “Amicizia e mutua prosperità”. È un concetto che si rifà alla “Via suprema”, il WA: il bene comune, la prosperità, si ottiene solo se gli esseri umani si uniscono in un’unica volontà d’in-tenti. JITE. – Si veda MAGARI-YARI. JITE-JUTSU. – Tecniche di maneggio del JITE. L’allenamento, simile a quello con il bastone lungo (BO), si effettua utilizzando un simulacro di legno ed oggi rientra nel NAGINATA-JUTSU, poiché lo JITE-JUTSU non è quasi più praticato. JITO. – Amministratore di uno SHOEN. Sostitui-sce il funzionario di corte (taira), di nomina impe-riale, nel Periodo KAMAKURA (1185-1333). È incari-

cato dallo SHOGUN di assicurare l’ordine, control-lare il corretto funzionamento dell’intero SHOEN e riscuotere le imposte, una parte delle quali costi-tuiscono il suo compenso. Con lo JITO collabora il governatore militare (SHUGO). JITSU. – Si veda JUTSU. JITTE. – Bastone (o mazza) di ferro o acciaio, usato per parare i colpi, a punta smussata (ma tal-volta acuminata, laddove serve quale stocco), lun-ga da 25 a 30 cm, con impugnatura e rebbi latera-li (quasi ad uncino) sporgenti in avanti, per blocca-re l’arma avversaria. La verga, nella variante più semplice, è lunga quanto l’avambraccio dell’utiliz-zatore ed ha un’impugnatura allungata ed un ca-ratteristico uncino squadrato, posto al tallone. È ignota la vera origine di quest’arma, anche se al-cune cronache la dicono proveniente dalle isole Ryukyu, dov’è conosciuta con il nome di SAI. Gli a-bitanti dell’arcipelago, sottoposti alle brutali for-ze giapponesi d’occupazione, che li hanno comple-tamente disarmati, s’inventano metodi difensivi fantasiosi ed efficaci (come gli indigeni d’OKI-NAWA, con il KARATE, il TONFA ed i NUNCHAKU) ed utilizzano come armi attrezzi agricoli, in uso o in-ventati. Lo JITTE, ad esempio, si dimostra eccel-lente strumento di difesa per neutralizzare l’arma principale degli invasori: la spada. Pare che i SAMURAI medesimi, ammirati dall’efficacia dello JITTE, lo importino in patria, per utilizzarlo – co-me accade con l’HACIWARA – contro le spade degli avversari: in mani esperte, quest’arma può spez-zare la lama preziosa di una KATANA. Si trovano JITTE di varie forme: un ventaglio di ferro, con impugnatura e gancio per appenderla alla cintura; tre lame pieghevoli, due pugnali e una sega; con forma e guarnizioni tipiche di una spada, ma con una sbarra lunga 45 cm, di ferro, curva, al posto della lama. L’uso ufficiale dello JITTE classico, nell’età feudale (Periodo EDO, 1603-1867), è ri-servato agli ufficiali di polizia (dei quali diventa anche simbolo di posizione sociale), che sono do-tati di una coppia di tali armi. Possiamo trovare anche JITTEI, in luogo di JITTE. Anche JUTTE. JITTEI. – Si veda JITTE. JITTE-JUTSU. – “Arte di usare il JITTE”. La tecnica principale consiste nello spezzare la lama nemica – bloccata dai rebbi dell’elso (guardia) – con un singolo movimento (torsione) del polso. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali princi-pali) ed appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”].

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JIYU WAZA. – È la serie completa delle tecni-che previste per un dato attacco. JO. – “Bastone medio”. Indica il bastone di lun-ghezza media, da 126 a 128 cm (per la precisione 4 SHAKU e 2 SUN: 127,27 cm), di norma con un diametro di 2,6. Di solito è in legno di quercia bianca o rossa.

– “Superiore”; “alto”. – È il documento rilasciato dal Signore (SHO-

GUN o DAIMYO) al suo vassallo per confermarlo nei diritti sui possedimenti ricevuti in dono. Il prece-dente proprietario non ha modo di ricorrere con-tro la nuova donazione, ma nemmeno il nuovo può stare tranquillo: le elargizioni sono revocabili e la revoca è senza appello.

– “Superficie” di combattimento. – “Principio”, “norma dottrinale”, “insegna-

mento”. Anticamente, le cinque “tecniche-base di immobilizzazione” (KIHON KATAME WAZA) dell’AI-KIDŌ (IKKYO, NIKYO, SANKYO, YONKYO e GOKYO) so-no chiamate IKKA-JO (primo principio o insegna-mento), NIKA-JO (secondo insegnamento.), SANKA-JO (terzo insegnamento.), YOKKA-JO (quarto inse-gnamento.), GAKA-JO (quinto insegnamento).

– “Corda”. Si pronuncia anche NAWA. – “Lento”.

JO DORI. – “Tecniche su attacco di bastone”. Neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con il basto-ne. Anche JO TORI. JO MOCHI NAGE WAZA. – “Tecniche di proie-zione con presa del JO”. JO TORI. –. Si veda JO DORI. JOCHO. – Soprannome di YAMAMOTO TSUNETO-MO. JODAN. – “Livello alto”. Nelle Arti Marziali indi-ca l’altezza di un attacco o di una parata. È il li-vello compreso fra lo sterno e la sommità del ca-po.

– “Alto”. Posizione alta della mano. È la parte superiore del corpo, corrispondente al capo. JODAN KAMAE. – “Guardia alta”. Allorquando si riferisce a posizione di guardia con armi (la cui punta è tenuta alta), è più corretto jodan-no-kamae. Anche JODAN-GAMAE. JODAN MAE-GERI. – “Calcio frontale al livello alto”. JODAN TSUKI. – “Pugno diretto al capo”. Colpo diretto alto (testa, viso, collo). AITE attacca sferrando un pugno al capo. JODAN-GAMAE. – Si veda JODAN KAMAE. JODO. – “La Terra di Purezza”. È il luogo, paradi-siaco, dove rinascono i fedeli di AMIDA, il Buddha

della salvezza. È anche il nome di un ordine (o setta) buddista, fondato da IPPEN SHONIN. [si ve-da anche la voce “amidismo”, nella Terza Parte].

– “La Via del Bastone”. Così è ribattezzato lo JO-JUTSU nel 1955, quando dodici tecniche-base di maneggio del bastone – provenienti dalle oltre sessanta tipiche della tradizione della scuola SHINDO MUSO RYU – sono codificate come KATA dalla KATORI SHINTO RYU. Normalmente, l’eserci-zio dello JODO si esegue all’aperto: i praticanti (detti SHIJO) indossano, sopra il KEIKOGI, HAKAMA ed HAORI, senza protezione alcuna. Sei delle tec-niche-base rientrano nel livello superiore d’ap-prendimento (JO-MOKUROKU). JO-HA-KYU. – “Lento, normale, veloce”. È la progressione nella pratica, durante l’allenamento, uno dei concetti primari delle Arti Marziali.

– “Introduzione, sviluppo in varie direzioni, conclusione precipitata”. È la distinzione ternaria in cui s’articola la musica giapponese classica, in particolare quella del teatro NŌ. JO-JUTSU. – “Arte di usare il bastone”; “tecni-che di bastone”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). Si racconta che MUSO GON-NOSUKE KATSUYOSHI codifichi quest’Arte Marziale nel secolo XVI, quando, in luogo del bastone lungo (BO), inizia ad utilizzare quello di media lunghezza (JO), più efficace contro un avversario armato di spada. Normalmente, le tecniche di JO-JUTSU hanno lo scopo di neutralizzare l’avversario met-tendolo fuori combattimento, ma senza ucciderlo, anche se alcuni colpi possono essere davvero mi-cidiali. L’efficacia di uno JO ben manovrato diven-ta lampante quando MUSO GONNOSUKE KATSUYO-SHI vince in duello MIYAMOTO MUSASHI, nell’unica sconfitta, si dice, da questi mai patita. La SHINDO MUSO RYU – scuola di bastone fondata da MUSO GONNOSUKE KATSUYOSHI – insegna oltre una ses-santina di tecniche-base di JO-JUTSU, sotto for-ma di KATA; dodici sono le tecniche di maneggio dello JO insegnate oggi dalla KATORI SHINTO RYU, sempre come KATA. JOKAMACHI. – “Città sotto il castello”. Nel pe-riodo feudale è così definita l’insieme di abitazio-ni, la cittadella sviluppatasi in prossimità di un ca-stello. Lì vivono e lavorano mercanti ed artigiani e, spesso, anche SAMURAI. JO-MOKUROKU. – Nel moderno sistema di gra-duazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Ne-ra di 2° grado”. Anche NIDAN. [si veda KYUDAN]. JOMON. – Era preistorica del Giappone; va dal 7500 circa (12.000, per altre fonti) al 300 a.C.

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circa. È caratterizzata da una cultura nomade, basata sulla caccia e sulla raccolta (paleolitico e mesolitico). Si trovano ceramiche con impressioni a corda e figurine in terracotta (neolitico). JONIN. – Sono i capi dei Clan o Famiglie NINJA. Mantengono i contatti con il resto della società giapponese. Ai loro ordini si trovano i preparatori delle missioni (CHUNIN) e gli esecutori (GENIN). JO-NO-AWASE. – Movimenti di armonizzazione di AITE e TORi, entrambi muniti di JO. JO-NO-SUBURI. – “Colpi base di bastone”. JORAN-ZUMO. – È la “versione marziale” del SUMO originale. Nasce con la progressiva assimi-lazione dei combattimenti di SUMO – fino a quel momento di carattere squisitamente religioso – all’Arte marziale, processo iniziato nella seconda metà del secolo IX e conclusosi nel secolo XII. Nel secolo XVII lo JORAN-ZUMO si combina con la variante rimasta “sacra”, lo SHINJI-SUMO, per dar vita al moderno SUMO. JORURI. – “Teatro delle marionette”. È una tipi-ca e duratura forma d’arte teatrale, risalente all’inizio del Periodo Edo (1603-1867) ed ancora oggi molto popolare. Le marionette (BUNRAKU), mosse da tre abili artisti, hanno due terzi della grandezza naturale e conservano un incredibile realismo. Uno dei maggiori autori teatrali del tempo è Chikamatsu Monzaemon (1653-1725), che scrive molte tra le migliori opere per questo tipo d’intrattenimento. La musica di accompagnamento per questo genere teatrale – che è fornita nor-malmente dal liuto SHAMISEN – raggiunge il mas-simo del virtuosismo nel genere gidayu, così chia-mato dal nome del suo fondatore, Yakemoto Gida-yu (1651-1714). JOSEKI. – “Lato superiore”. È la parte più onori-fica del TATAMI (a sinistra, visto dal KAMIZA), è il “lato d’onore” della sede allievi; nel DOJO, è il po-sto destinato agli eventuali ospiti o agli assistenti del SENSEI. [si veda “ Etichetta e comporta-mento: il Dojo”]. JOSHI JUDO GOSHINHO. – Metodo di difesa personale. Destinato soprattutto alle donne, il si-stema deriva dal JUDO, ed utilizza specialmente tecniche di liberazione da prese (RIDATSU-HO) e contrattacchi immediati (SEIGO-HO). JU. – “Dieci” in sino-giapponese. In giapponese puro è TO, per contare le persone (NIN) si dice JUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa JIPPON.

– “Morbido”, “flessibile”; “equilibrato”, “adat-tabile”; “in scioltezza”.

– Indica il principio di non-resistenza o di ce-devolezza (elasticità). Spesso, e poco corretta-mente, è tradotto con “dolcezza” quando riferito allo JUDO, mentre il suo senso più profondo è quello di “flessibilità”, di corpo e di spirito. Gli esempi figurati del bambù e del salice rendono bene il concetto di JU, che implica elasticità, ce-devolezza, forza e rapidità. Il bambù, sotto l’in-furiare della tempesta, si flette per poi raddriz-zarsi. I rami del salice si curvano, sotto il peso della neve, lasciandola cadere a terra, ma poi ri-prendono la propria posizione. L’uno e gli altri si raddrizzano con tanto maggior vigore e grande energia quanto più si piegano inizialmente. Il prin-cipio JU è opposto al concetto GO, “forza” (inteso come “bruta”). JU TAI. – Lo “stato fluido”. È il secondo dei li-velli di allenamento. L’attacco di AITE non è molle, inconsistente, ma TORI – giunto ad una buona pra-tica di KO TAI - è in grado di muoversi con legge-rezza, senza contrazioni, seppur preso o attacca-to bruscamente. Più è potente l’attacco di AITE, minore è la sua efficacia e TORI lo conduce a fare ciò che vuole. JU YOKU GO O SEI SURU. – “La morbidezza contro la forza”, o, anche, “la flessibilità domina la rigidità”. Questo concetto è alla base di tutto il BUDO, tant’è vero che a questa massima si danno pure i significati di “la forza è nel cedere”, “il duttile devia il forte” ed anche “il duttile scon-figge il duro”. JUBAN-NO-MA-AI. – È la “corretta distanza” tra due avversari disarmati: 2-3 passi; le mani, a braccia distese, si sfiorano. JUDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 10° grado”. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’individuo usa la propria illumina-zione per il bene degli altri: vive una vita spiritua-le volta soprattutto ad aiutare gli altri, magari anche un giovane SHODAN… (ed il cerchio è com-pletato!). JUDO. – “La Via della cedevolezza” o “La Via del-la flessibilità”. È una forma di combattimento sportivo a contatto, basato sulla lotta a corpo a corpo in piedi (TACHI WAZA) o al suolo (NE WAZA), ed ha origine dallo JU-JUTSU praticato dai BUSHI. Lo JUDO, nella sua forma moderna, è “creato” da KANO JIGORO, che sintetizza diverse delle tecni-che di JU-JUTSU e codifica un certo numero di movimenti delle gambe, delle braccia e del corpo, aventi lo scopo di squilibrare (KUZUSHI)

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l’avversario, per immobilizzarlo e renderlo inof-fensivo. Il termine JUDO, in realtà, è già utilizza-to, nel 1600 circa, dallo JIKISHIN RYU, una scuola di JU-JUTSU, ad indicare una serie di tecniche di combattimento a mani nude, non mortali. Per que-sto motivo KANO definisce la sua Disciplina “KO-DOKAN JUDO” – dove il termine KODOKAN significa “il Luogo per Studiare la Via”, da KO (lettura, stu-dio, esercizio), DO (via, metodo, dottrina) e KAN (sala o luogo) – quando, nel 1882, fonda il suo pri-mo DOJO a Tokyo, all’interno del tempio buddista d’Eisho-ji: dodici TATAMI sui quali s’allenano pochi allievi. Ben presto il numero degli allievi aumenta e la reputazione della Disciplina cresce: già nel 1886 il KODOKAN JUDO ottiene una brillante vitto-ria in un torneo organizzato della polizia di Tokyo dove, contro una scuola di JU-JUTSU, su quindici incontri registra solo due sconfitte ed un abban-dono. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo JUDO riprende il suo cammino di diffusione mondiale: dal 1951 si disputano i Campionati d’Europa ma-schili (femminili 1982), dal 1956 quelli del Mondo; dal 1964 lo JUDO è Disciplina olimpica. Lo JUDO moderno è comunemente inteso sia come arte di difesa a mani nude sia, soprattutto, come attività sportiva agonistica e competitiva. Quest’ultima definizione, però, si allontana dai dettami originali di KANO JIGORO che, più propriamente, intendono lo JUDO come una filosofia, un’arte di vivere il quotidiano, un’esperienza assolutamente soggetti-va con cui allenare la mente e il corpo (egli è con-trario alle competizioni pubbliche!). Le tecniche prevedono proiezioni, immobilizzazioni al suolo, strangolamenti, leve articolari. In palestra (JU-DOJO), nella pratica, “chi subisce” (la tecnica) è UKE, “chi proietta” al suolo ed immobilizza è TORI. Nello JUDO sono attentamente studiati i KATA, le “sequenze formali”, le tecniche di base, eseguite con un partner e si pratica il combattimento libe-ro non arbitrato (RAN DORI). Molto utilizzati sono gli spostamenti (TAI SABAKI, TSUGI e AYUMI ASHI) e le ripetizioni dei movimenti (UCHI-KOMI); le tec-niche – che partono comunemente dalla presa allo JUDOGI – possono essere in piedi (TACHI WAZA) o al suolo (NE WAZA) e consistono in proiezioni (NAGE WAZA), forme di controllo (KATAME WAZA), immo-bilizzazioni a terra (osaekomi waza), strangola-menti (SHIME WAZA), lussazioni articolari (KANSE-TSU WAZA). Sono altresì studiate alcune tecniche di difesa contro avversari armati (kime-no-kata). Nelle competizioni, arbitrate (shiai), ci sono divi-sioni per sesso, per categorie di peso e per livello

d’abilità. Il JUDOKA (come tutti i praticanti d’Arti Marziali) allenandosi impara ad essere rapido nei TAI SABAKI e si addestra a concentrare l’energia nell’HARA, controllando la respirazione. Ogni allie-vo, nel combattimento, deve cercare di mantene-re HONTAI (“allerta permanente”), MUSO (“spirito libero”) e MUSHIN (“mente vuota”), senza che oc-corrano “tempi morti” (BONNO). Il perfetto JUDOKA, pertanto, deve essere calmo e sereno, avere il controllo del corpo, dello spirito, delle emozioni: essere, in altre parole, un BUSHI ideale. In Italia lo JUDO si diffonde dal 1922. JUDOGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nella pratica dello JUDO”. Consiste in un KEIKOGI, com-posto di: ampi pantaloni (ZUBON), giacca a manica larga (UWAGI), cintura (OBI) di colore differente secondo il grado ricoperto (da bianca a nera, pas-sando per gialla, arancione, verde, blu e marrone). Per gli spostamenti fuori del TATAMI si usano san-dali (ZORI). JUDOJO. – “Luogo d’allenamento” allo JUDO. È abbreviato in DOJO. JUDOKA. – “Chi pratica lo JUDO”. JUGO AWASE. – Tecniche nelle quali si fondono “flessibilità” (JU) e “forza” (GO). JUHO. – “Metodo passivo”. “Metodo della flessi-bilità”. Sono le “tecniche passive” previste nell’al-lenamento del NIPPON SHORINJI-KEMPO a scopo puramente difensivo. Lo JUHO è l’opposto del GO-HO, il “metodo attivo”, le “tecniche attive” utiliz-zate in attacco o contrattacco. JUJI. – “Incrociato”; “a croce”. JUJI GARAMI. – “Mantenere in croce”. “Proie-zione con le braccia incrociate”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA) in avanti, con scar-so intervento delle braccia. Sorta di controllo in-crociato (JUJI) applicato normalmente contro prese alle spalle (RYO KATA DORI) od ai polsi (RYO TE DORI) – pure da dietro (USHIRO RYO KATA DORI, USHIRO RYO TE DORI) – ed anche se c’è un tentativo di strangolamento (USHIRO KATA TE DORI KUBI SHI-ME). Anche JUJI NAGE. JUJI NAGE. – Si veda JUJI GARAMI. JUJI UKEMI. – “Caduta incrociata”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). JU-JUTSU. – “Arte della cedevolezza”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve

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eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). L’origine dello JU-JUTSU pa-re risalire al Periodo KAMAKURA (1185-1333) ed alla lotta a mani nude chiamata KUMI-UCHI, le cui tecniche devono consentire al BUSHI, rimasto di-sarmato, di affrontare un avversario ancora in possesso delle proprie armi. Ciò significa che l’esperto di JU-JUTSU deve essere in grado di va-lutare a colpo d’occhio l’avversario e la sua forza (e deve essere capace di sfruttarla a proprio van-taggio), deve riuscire, se possibile, ad evitare il combattimento, piuttosto che squilibrare l’attac-cante, proiettarlo, immobilizzarlo al suolo (a mez-zo di torsioni, leve, lussazioni, strangolamenti). Essenziale è la conoscenza dei punti vitali (KYU-SHO), bersaglio degli ATEMI, che hanno lo scopo di intontire, ferire o uccidere l’avversario: il risulta-to finale di tutte le tecniche di JU-JUTSU è scon-figgere o, meglio, eliminare il nemico utilizzando ogni mezzo ed impiegando la minor energia possi-bile. Innumerevoli Scuole – tra gli oltre 9.000 RYU esistenti in epoca prefeudale e feudale, apparte-nenti al KYUBA-NO-MICHI, la “Via dell’arco e del cavallo” – elaborano, sviluppano, insegnano metodi di lotta senz’armi, come il KOGUSOKU-JUTSU, ad esempio, insegnato al TAKENOUCHI RYU (e cono-sciuto anche come HISAMORI RYU) ed il KEMPO (o HAKUDA). Queste Scuole inglobano anche mosse e movimenti, contromosse e tecniche che arrivano dalla Cina (come il Kung-fu) o da OKINAWA (come il KARATE e le sue varianti). Lo sviluppo dello JU-JUTSU come vera e propria Arte Marziale indi-pendente, però, avviene nel Periodo EDO (1603-1867): la relativa tranquillità assicurata dai TO-KUGAWA, unita alla proibizione di portare armi, consente a numerosi SAMURAI, soprattutto RONIN, di fondare Scuole aperte al pubblico, dove inse-gnano Arti Marziali a mani nude. La codificazione “moderna” di quest’Arte Marziale, comunque, av-viene dopo la Restaurazione MEIJI, nell’omonima Era (1868-1912), quando moltissimi SAMURAI (ri-masti vittime di un vero e proprio SEPPUKU ideolo-gico e ritrovatisi senza proprietà, lavoro, ruolo e funzione, ridotti al rango di RONIN), per sopravvi-vere, organizzano pubbliche dimostrazioni di Arti Marziali ed aprono Scuole, insegnando anche alcu-ne tecniche fino a quel momento custodite gelo-samente e trasmesse nel più assoluto segreto. Un alone negativo, seppur immeritato, circonda lo JU-JUTSU del Periodo EDO – dapprima patrimonio dei soli BUSHI poi, molto spesso, di NINJA, popola-ni e briganti – ed i suoi metodi, spesso pericolosi,

talvolta dagli esiti mortali. È anche per merito di KANO JIGORO, che adotta alcune tecniche e me-todiche di JU-JUTSU per il suo “nuovo” JUDO, dif-ferenziando la “disciplina” dall’”arte guerriera”, se lo JU-JUTSU “tradizionale” – per un certo tempo e soprattutto in ambienti militari e di polizia – ri-conquista la considerazione che merita: un meto-do di combattimento a corpo a corpo estrema-mente efficace, propedeutico all’impiego reale, sul campo. Ancora oggidì lo JU-JUTSU – che tutto-ra conserva il fascino di “progenitore” di moltis-sime tecniche, non solo di JUDO e d’AIKIDŌ – è considerato, più che uno sport, come un metodo di preparazione al combattimento reale. Lo JU-JUTSU degli stili YOSHIN RYU, TENJIN SHIN’YO RYU, Takeuchi Ryu appartiene al KO-BUDO (“Anti-che Arti Marziali”). [si veda anche “ Antiche ar-ti da guerra”]. JUKAI. – È la cerimonia buddista durante la qua-le il discepolo ZEN s’impegna ad osservare e man-tenere i precetti. JUKEN. – “Baionetta”. JUKEN DORI. – “Tecniche su attacco di baio-netta”. JUKENDO. – “Tecniche di scherma con la baio-netta”. Al solito, il suffisso “DO” caratterizza una versione “addolcita” dello JUKEN-JUTSU. Lo JU-KENDO è piuttosto povero di tecniche, ed il suc-cesso di un attacco dipende dal tempismo nell’an-ticipare l’avversario. Il segreto principale consi-ste nel riuscire a percepire immediatamente qual è il punto vulnerabile dell’altro, per attaccare con decisione fulminea, piuttosto che schivare e con-trattaccare. Per la pratica si utilizza un facsimile di fucile sormontato da baionetta, il MOKUJU. JUKEN-JUTSU. – “Tecniche sull’uso della baio-netta”. Quest’Arte Marziale si sviluppa contem-poraneamente all’introduzione delle baionette (secolo XVII), inastate sulle armi da fuoco “lun-ghe” per utilizzarle similmente a lance. È nell’Era MEIJI (1868-1912) che lo JUKEN-JUTSU conosce la sua massima diffusione, con la necessi-tà di addestrare le migliaia di coscritti arruolati nell’esercito imperiale, dove la capacità ci com-battimento all’arma bianca gode di alta considera-zione. L’allenamento, quando non fatto con armi vere, opportunamente protette, si effettua uti-lizzando il MOKUJU, e prevede, di massima, parate ed affondi (SHITOTSU). In un filmato del 1935 UESHIBA MORIHEI dimo-stra l’uso di tecniche di questa Disciplina, che,

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comunque, poco influisce nello sviluppo dell’AIKI-DŌ. JUKI RYU. – Antica (1600 circa) scuola d’Arti Marziali, soprattutto JU-JUTSU, tuttora attiva. JUKI SHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. JUKU-GASHIRA. – “Discepolo Principale”. È quello a cui il Maestro fondatore del RYU tra-smette tutti i segreti della propria Arte Marzia-le. Lo JUKU-GASHIRA può essere il figlio (naturale o adottato) del Maestro od il migliore e più affi-dabile degli allievi. JU-KUMITE. – “Allenamento libero al combatti-mento” (soprattutto nel KARATE). Deriva da KUMI-TE, “combattimento”, con prefisso JU, inteso come “tecniche eseguite in scioltezza”. JUMBI DOSA. – “Esercizi di preparazione”, sia fisica che mentale. Solitamente, ogni seduta di al-lenamento, nell’AIKIDŌ come in altre Arti Marzia-li, s’apre con questo insieme d’attività, che mirano a forgiare il corpo e lo spirito, sviluppando la sta-bilità mentale. JUMBI DOSA si compone di esercizi fisici specializzati (AIKITAISO) e movimenti di ba-se del corpo (TAI SABAKI) e gli esercizi possono essere praticati tanto singolarmente (TANDOKU DOSA) quanto in coppia (SOTAI DOSA), con serietà ed intensità: tra questo lavoro e le tecniche, in-fatti, la relazione è profonda e costante. Il me-todo JUMBI DOSA – che è anche detto jumbi undo, junbi undo e junbi taiso – si basa su esercizi re-spiratori (KOKYU) e di mobilità articolare (TEKUBI UNDO); cadute (UKEMI); torsioni e rotazioni corpo-rali (TENKAN HO); stiramento dei muscoli dorsali e rilassamento della colonna vertebrale (HAISHIN UNDO); forza della respirazione (KOKYU RYOKU) ed irradiamento del KI (KI-NO-NAGARE); sviluppo della postura (SHISEI, che è anche attitudine all’ese-cuzione delle tecniche). [si veda anche, nella Pri-ma Parte, il Capitolo “Glossario, Esercizi di prepa-razione”]. JUMON-JI-YARI. – “Lancia a croce”. Altro no-me della MAGARI-YARI. JUN KATA SODE DORI. – “Prima presa alle maniche”. JUN KATA TE DORI. – “Prima presa di polso (o di braccio)”. JUNAN SHIN. – “Leggerezza dello Spirito”. In-dica una tra le più importanti qualità che un prati-cante d’Arti Marziali deve possedere o, meglio, maturare: l’accettazione di quanto il Maestro (che oggi, non dimentichiamo, è liberamente scelto!) insegna e la contemporanea astrazione dal proprio ego. Significa accettare, con letizia e spirito umi-

le, sia le tecniche proposte sia la didattica pre-scelta dal Maestro, astenendosi da giudizi, sterili critiche o dubbi. Anche NYUNAN SHIN. JUNIN. – “Dieci”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è JU, in giapponese puro si di-ce TO, per oggetti particolarmente lunghi (HON) si usa JIPPON. JU-NO-GEIKO. – Tipo di allenamento. Rientra nello studio classico (IPPAN-GEIKO). [si veda, nella Prima Parte, il Capitolo “Il metodo d’allenamen-to”]. JU-NO-RI. – “Morbidezza e flessibilità”. È il principio che coniuga la posizione adeguata con l’azione senza furia, senza violenza: TORI, mante-nendo il proprio equilibrio, sfrutta la forza di AI-TE, non vi si oppone, ma l’utilizza per squilibrare l’attaccante. JUNSHI. – “Suicidio per seguire il proprio Si-gnore nella morte”. È pratica rituale, spesso col-lettiva, che viene da un’epoca in cui è molto stret-to il rapporto tra il DAIMYO ed i propri SAMURAI (famigli, gregari, servitori): siccome questi non possono avere due padroni, quando muore il loro Signore anch’essi devono morire. Questo sistema si traduce nella perdita di moltissimi personaggi (nel 1651, alla morte dello SHOGUN, tredici fun-zionari anziani si tolgono la vita), tanto che lo JUNSHI è proibito dal 1662 e chi lo compie mette in pericolo i propri familiari, come Okudaira Ta-damasa. Questi, nel 1688, segue il proprio Signore nella morte, ma i suoi figli sono giustiziati e l’HAN confiscato. Uno degli ultimi JUNSHI “eccellenti” è quello compiuto dal Generale NOGI KITEN MARESU-KE nel 1912, alla morte dell’imperatore MUTSUHI-TO. JUSHIN RYU. – Scuola di IAI-JUTSU. JUTAI. – “Morbido”, “cedevole”. JUTAI-JUTSU. – “Arte del combattimento a corpo a corpo”. È compresa nel TAI-JUTSU. JUTSU. – “Sincero”.

– “Tecnica”, “arte”, “metodo”; “abilità”. Termine applicato alle Arti Marziali “violente”, “da guerra”; sta ad indicare un’arte, una scienza o una tecnica, appresa dopo anni d’allenamento e pratica, basata sulla tradizione di una scuola (RYU). È un termine applicato a tutte le Arti Mar-ziali “violente” o “da combattimento”, mentre il suffisso “DO” distingue quelle che non sono desti-nate alla guerra. Tutti gli “JUTSU” (tranne lo JU-JUTSU) prendono il nome dall’arma o attrezzo uti-lizzato [si veda “ Antiche arti da guerra”]. Tal-volta JUTSU si trova anche scritto JITSU.

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JUTTA. – Si veda JUTTE. JUTTE. – Possiamo trovare scritto anche JUTTA. Si veda JITTE. JUYU. – “Libero”.

JUYU WAZA. – “Tecniche applicate liberamen-te”. TORI applica una tecnica qualsiasi (libera), re-agendo a AITE.

- K -

K.K.K. – Abbreviazione per KYOKUSHINKAI-KAN. [si veda]. KA. – “Inspirazione”.

– “Fuoco”. – Suffisso per “chi”, “coloro che”.

KABUKI. – Genere teatrale. Sorto nel secolo XVI (la prima rappresentazione pare risalga al 1603) ed affermatosi pienamente nel XVIII, dapprima consiste in spettacoli di danze e canti eseguiti da donne. È proprio la presenza di attrici che, se da un lato attira il pubblico, dall’altro provoca anche disordini sociali, con duelli sanguinosi e sperpero di ricchezze per la conquista dei favori di queste donne, dai costumi, pare, non irreprensibili. Al 1628 risale il primo divieto a recitare, per le don-ne; altri bandi si hanno nel 1629, 1639, 1640, 1645, 1646 e, quello definitivo, nel 1647. Già dal 1612, comunque, in alcune compagnie teatrali at-tori maschi recitano in tutti i ruoli, compresi quel-li femminili (ONNAGATA), dove riscuotono grande successo. La popolarità degli ONNAGATA, dopo il bando definitivo delle donne, è sempre maggiore e suscita quasi gli stessi sconvolgimenti prima regi-strati per la presenza delle attrici. Affermatosi come genere popolare, più ardito (è addirittura tollerata un velato accenno di satira politica) e spettacolare del teatro NŌ, il KABUKI s’è poi evo-luto verso la rappresentazione di vicende storico-sociali ed eroiche dove, sia pure in modo stilizza-to, sono messi in scena tutti gli aspetti delle Arti Marziali applicate ai combattimenti di SAMURAI. Celebri e popolari ancora oggi sono le opere Koku-senya e CHUSHINGURA. Nel sistema classista TO-KUGAWA il teatro KABUKI è mal considerato dalle classi dominanti, sia perché destinato alla gente di città, sia perché recitato da attori e gli attori, in quel Periodo, sono considerati di livello bassis-simo, appena poco più in alto degli ETA. Il KABUKI, comunque, è sempre tollerato dalle classi al pote-re, anche perché è un divertimento destinato ai mercanti (e CHONIN, in generale) e contribuisce a mantenerli tranquilli. Accade anche, addirittura,

che sotto lo shogunato di TOKUGAWA IEMITSU (1623-1651) nel Castello di EDO siano chiamate a recitare alcune compagnie di attori KABUKI, nono-stante la minaccia alla moralità dei SAMURAI rap-presentata dagli ONNAGATA. L’indispensabile ac-compagnamento musicale combina i generi lirici HAUTA e KOUTA con la pratica strumentale HAYA-SHI, tipica del teatro NŌ. Oggi nel teatro KABUKI sono utilizzati diversi tipi di musica e gli esecuto-ri possono sedere in scena o fuori e la posizione del complesso, sulla scena, dipende dal tipo di rappresentazione. KABUKIMONO. – “Eccentrici”. Sono così chiama-ti gruppi di SAMURAI, gregari diretti (katamoto) dei TOKUGAWA, che, stanchi degli ozi della guarni-gione, si danno al furto e all’assassinio, unendosi a bande di malfattori. Il soprannome deriva dall’a-bitudine di indossare abiti stravaganti e farsi crescere lunghe basette. KABURA-YA. – “Freccia fischiante” o “risonan-te”; fa parte delle frecce non letali. È di origine mongolo-cinese: se ne hanno attestazioni nella Ci-na della Dinastia Han, II secolo a.C. - II d.C. Un involucro di legno, oblungo e perforato, costitui-sce la cuspide (YA-NO-NE) del dardo: l’aria, duran-te il volo, penetra nelle perforazioni e produce si-bili acuti, fischi o altri suoni, dipendenti da nume-ro e conformazione dei fori. Le KABURA-YA sono lanciate prima delle battaglie, per spaventare i nemici, allontanare gli spiriti maligni e, più util-mente, comunicare l’inizio delle manovre. Utilizza-te anche come mezzo di segnalazione, sono impie-gate nei riti SHINTO (ad esempio DOSHA e REI-SHA). KABUTO. – “Elmo”. È termine generico che indica l’elmo dell’armatura da guerra. Ogni elmo, in veri-tà, ha una designazione supplementare, che iden-tifica la forma, l’epoca o addirittura la scuola dell’armaiolo che lo fabbrica. I primi elmi com-paiono in epoca preistorica, e si trasformano poi, ininterrottamente, fino al secolo XVI, con la pro-duzione di un numero incalcolabile di esemplari,

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moltissimi decorati con ottone, pelle, lacca, oro, argento: questo accessorio, infatti, è anche un simbolo, ed ha la funzione di indicare rango e fun-zione di chi lo indossa. L’unico ordine che possia-mo seguire è tipologico. La parte basilare dell’elmo è il coppo (HACHI); per determinarne il valore occorre valutarne materia prima, forma e tecnica costruttiva. Abitualmente, gli elmi sono fatti di piastre unite con rivetti. Fino al secolo X prevalgono COPPI semisferici, con piastre orizzon-tali o con file intermedie di piastre verticali (SHOKAKUFU-HACHI). Talvolta è adottato il modello mongolo, a cono acuto, costellato di rivetti (moko-hachigyo). L’HOSHI-KABUTO compare alla fine del secolo X: rivetti dalla grossa testa fissano le pia-stre, decorandone la superficie; alla sommità del coppo è presente un largo foro (TEHEN). La visiera (MABEZASHI) molto pendente diventa una caratte-ristica degli elmi giapponesi. Il SUJI-KABUTO è una variante tipica del secolo XIV: alla forma ideale (segue la linea del cranio, un po’ più alto dietro, avvallato in cima; è molto moderno, insomma) uni-sce ingegnose soluzioni tecniche. Le piastre verti-cali che lo compongono sono di larghezza ridotta, sempre unite da rivetti – ma a testa piccola – e quasi si sovrappongono l’una all’altra: tra le ester-ne, convesse, e le interne c’è dello spazio, che serve ad attutire i colpi (una corazzatura “spazia-ta” ante litteram, quasi!). Non solo: i bordi delle piastre (SUJI) sono rialzati, a formare una sorta di nervatura di rinforzo. Dal secolo XVI inizia la moda degli elmi fatti con grosse piastre (come il tipo hineno) e addirittura, sull’influenza europea, in pezzo unico, talvolta talmente pesanti da esse-re a prova di proiettile. È nel Periodo EDO (1603-1867) che l’HACHI assume forme sia di fantasia, prendendo il nome dall’oggetto che imita (il to-kamurai assomiglia al kamuri, cappello da cerimo-nia, il kimen raffigura una testa di demonio, il momonari imita una pesca) sia curiose (il tatami-kabuto è pieghevole: fatto unendo anelli orizzon-tali, si può chiudere appiattendolo, quasi come un classico cappello a cilindro della “Belle Epoque”). La gronda (SHIKORO), a protezione della nuca, ge-neralmente di generose dimensioni e composta da piastre, è parte essenziale di tutti gli elmi giap-ponesi. Quasi sempre dotata di alette o risvolti (FUKIGAYESHI), spesso dà il nome all’elmo, come il GOMAI-KABUTO (elmo a cinque piastre) o il sanmai-kabuto (elmo a tre piastre). Sul davanti di quasi tutti i KABUTO è presente una gorbia (haridate), nella quale si inseriscono CIMIERI od altri orna-

menti (MAIDATE), spesso a forma di corna; nella parte posteriore c’è un anello per un emblema (kasajirushi) o per il fiocco rituale (agemaki). I KABUTO più antichi non hanno fodera: per assorbi-re i colpi si usa un copricapo (HACHIMAKI). Più tar-di compare una fodera aderente, di pelle o tessu-to, fissata all’orlo dell’HACHI e rinforzata con cin-ghie. Il KABUTO si assicura alla testa con delle cordicelle, fissate ad anelli presenti sulla tesa dell’elmo, lunghe da 180 a 270 cm e legate con di-versi e particolari stili. A completare il KABUTO, normalmente, è una maschera d’arme (MEN – ter-mine generico – oppure HAMBO, HAPPURI, HOATE, MENPO eccetera, secondo il tipo di protezione of-ferto), sempre nello stile dell’armatura. KACHI. – “Vittoria”. GACHI, come suffisso. KACHIGUN. – “Castagne”. Sono usate, tra l’altro, come oggetti di buon auspicio nel DOHYO-MATSURI (“cerimonia propiziatoria”) del SUMO. KACHIKAKE. – “Punta del mento”. Punto della punta del mento. KYUSHO, “punto vitale” o “debo-le” per gli ATEMI. KACHU. – Altro nome della YOROI. [si veda]. KADO. – Si veda IKEBANA. KAESHI. – “Scambio”; “trasformazione”; “con-trattacco”. Viene da KAESU, “capovolgere”. GAE-SHI, come suffisso. KAESHI WAZA. – “Controtecniche”, “tecniche di contrattacco”. TORI approfitta di una qualsiasi “apertura” – od errore nell’esecuzione – di AITE per applicare una tecnica adeguata alla situazione ed alle condizioni dinamiche. KAESU. – “Capovolgere”; “gettare”. KAGAMI BIRAKI. – È la celebrazione per il Nuo-vo Anno, che tradizionalmente si festeggia con il taglio di torte di riso. Molti DOJO tradizionali commemorano questa so-lennità con una festa che, tipicamente, segue di-scorsi ufficiali e dimostrazioni. KAGATO. – “Tallone”. Pure ENSHO, KAKATO. KAGE RYU. – Famosa scuola di KEN-JUTSU, ancora in attività. Il fondatore è AIZU IKO, un celebre spadaccino nato nella provincia di AIZU e la scuo-la, pertanto, è anche conosciuta come AIZU KAGE RYU. A questo RYU s’ispirano altre Scuole o stili di combattimento, tra cui: SHIN KAGE RYU, YAGYU RYU, TAISHA RYU, SHINKAN RYU, HIKITA KAGE RYU, OKUYAMA RYU, KASHIMA SHINTO RYU.

– Scuola di BATTO-JUTSU. Fondata verso il 1550 da Yamamoto Hisaya Masakatsu, è ancora in attività.

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KAGI. – “Gancio”, “uncino”; “a gancio”. Pure KAKE. GAKE, come suffisso. KAGURA. – “Dramma sacro”, tipico delle funzioni shintoiste. Si tratta di danze e musiche mistiche, che celebrano e glorificano i KAMI. I KAGURA, nel tempo antico, accompagnano le esibizioni d’Arti Marziali tradizionali, soprattutto i combattimenti di SUMO, ritenute cerimonie sacre. KAGURABUE. – Flauto utilizzato nell’esecuzione di musiche sacre, durante le celebrazioni shintoi-ste. KAHEI. – Si veda FUKUI HEIEMON YOSHIHARA. KAHO. – “Forma” [si veda KATA]. KAI. – “Norma pratica fondamentale”; “precetto” (anche morale).

– “Mare”. KAIAKU. – Punto sul palmo della mano, al 1° inte-rosseo palmare. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KAIDEN. – Titolo attribuito al Maestro che in-segna e che ha ottenuto il MENKYO KAIDEN. [si ve-dano KYUDAN, MENKYO]. KAIKEN. – Corto pugnale. Si veda KWAIKEN. KAIKEN-JUTSU. – “Arte di usare il KAIKEN”. È sinonimo di TANTO-JUTSU. KAIKI. – “Recupero della vita” (composto di KI). KAIRYU. – “Drago di mare”. Sommergibile tasca-bile per azioni suicide. Mai usato nel corso della Seconda Guerra Mondiale. KAISEKI. – “Arte culinaria”. KAISHAKU. – È la decapitazione di chi commette SEPPUKU, eseguito dall’assistente del suicida, il KAISHAKUNIN.

– Strumento a percussione: due parallelepi-pedi di legno duro, che sono percossi l’uno contro l’altro. KAISHAKUNIN. – Assistente del suicida, duran-te il SEPPUKU. È compito del KAISHAKUNIN por termine alle sofferenze provocate dal suicidio ri-tuale: con un ben assestato colpo di KATANA deca-pita il suicida. KAISO. – “Fondatore”. KAITEN. – “Lancio”, “caduta rotolata”.

– “Cambio del fronte d’attacco”, Può essere di 90 o 180° e si ottiene ruotando il corpo sulla parte anteriore del piede.

– “Terremoto Divino”. Denominazione poetica con cui è indicato il siluro a guida umana utilizzato nella Seconda Guerra Mondiale. KAITEN NAGE. – “Proiezione in rotazione, cir-colare”. “Proiezione a ruota”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). Il corpo di AITE è

fatto girare una volta prima della proiezione. So-litamente questa proiezione è usata contro presa ai polsi (RYO TE DORI), fendente al capo (SHO MEN UCHI) o colpo frontale al viso (SHO MEN TSUKI). KAJI. – “Maestro forgiatore”. È il fabbricante della lama di un’arma e, spesso, incide il proprio nome (MEI) sul codolo (NAKAGO). KA-JUTSU. – Tecniche per l’uso del moschetto. Le tecniche per insegnare il tiro con armi da fuo-co in generale – mai molto popolare tra i BUSHI – e l’uso degli esplosivi, sono particolarmente svilup-pate nella scuola DAIDO RYU, ad AIZU. Il KA-JUTSU, conosciuto anche come HO-JUTSU, appar-tiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). KAKARI KEIKO. – Neutralizzazioni d’attacchi portati, in successione, da uno o più AITE. Anche KAKARI-GEIKO. KAKARI-GEIKO. – Si veda KAKARI KEIKO. KAKATO. – “Tallone”. Pure KAGATO, ENSHO. KAKE. – “Gancio”, “uncino”; “a gancio”. Pure KAGI. GAKE, come suffisso. KAKKO. – Piccolo tamburo a barile, suonato con due bacchette da chi dirige il gruppo nell’esecu-zione di musiche TOGAKU. Fa parte della strumen-tazione di base del GAGAKU. [si veda la voce “Giap-pone. Musica”, nella Terza Parte]. KAKUDO. – “Angolo”. KAKUN. – “Istruzioni per la Famiglia”. È una rac-colta di istruzioni destinate a HOJO Nagatoki, di-ciottenne figlio di HOJO Shigetoki, nominato vice SHOGUN nel 1247. È uno dei primi testi scritti as-similabile ad un codice di comportamento, anche se – destinato com’è ad uno che deve comandare e rappresentare i SAMURAI innanzi ai cortigiani – contiene soprattutto norme di etichetta, di buone maniere e di principi di buon governo. Pochi sono gli accenni al coraggio ed alla fedeltà – ritenuti connaturati al personaggio – mentre è richiamata l’attenzione sul dovere (GIRI), sull’effetto del KARMA, sulla fede nei KAMI e nei Buddha. KAKUSHI. – “Armi nascoste”. Sotto questa voce vanno tutte le armi di piccole dimensioni, facil-mente occultabili, da usare a distanza ravvicinata o da lanciare: coltelli e pugnali (KWAIKEN); armi da lancio (SHURIKEN) a forma di stella, SHAKEN, o ago, FUKUMI-BARI; anelli aculeati (BANKOKU-CHOKI). È raro, per un BUSHI, utilizzare armi di questo ge-nere, considerate non nobili e quindi adatte al po-polo, ai briganti, ai NINJA. KAKUSHI-JUTSU. – Arte di utilizzare le “armi nascoste”. KAKUTO. – “Parte superiore del polso”.

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KAKUTO BUGEI. – “Arti Marziali”. Sono le Arti Marziali principali e se ne contano – secondo il metodo di classificazione: per alcuni devono com-prendere solo quelle che prevedono l’uso di armi – da diciotto a più di cinquanta. [si veda “ Antiche arti da guerra”]. KAKUTOGI. – “Arte da combattimento”, “tecni-che di lotta”. KAMA. – “Falcetto”. È quello utilizzato dai conta-dini per tagliare la paglia di riso e, in caso di biso-gno, spesso in coppia, per difesa contro banditi (e SAMURAI!). Dal KAMA hanno origine la KAMA-YARI ed i suoi derivati, come, ad esempio, la KUSARI-GAMA. GAMA, come suffisso. KAMAE. – “Postura”. “Guardia”. “Posizione di guardia” assunta all’inizio di una tecnica: il busto è di profilo, rispetto all’avversario. La guardia può essere destra (MIGI KAMAE) o sinistra (HIDARI KA-MAE); alta (JODAN KAMAE), media (CHUDAN KAMAE) o bassa (GEDAN KAMAE). KAMAE indica anche l’atti-tudine alla posizione. GAMAE, come suffisso. KAMA-JUTSU. – “Arte di usare il KAMA“ (e de-rivati). KAMAKURA. – Città a sud est della moderna To-kyo. Nel 1192 MINAMOTO-NO-YORITOMO la sceglie come capitale del suo BAKUFU, dopo aver distrutto a Dan-no-ura, nel 1184, il Clan rivale dei TAIRA (o HEIKE).

– Indica il Periodo storico del Medioevo giap-ponese, la fase storica “prefeudale” che va dal 1185 al 1333, e segna l’inizio dell’era degli SHO-GUN. Il Periodo KAMAKURA – caratterizzato, tra l’altro, dall’introduzione del Buddismo ZEN, dall’influenza cinese della Dinastia Song (960-1279) e dalle figure dei Reggenti (Shikken) del Clan HOJO – registra un sostanziale equilibrio tra KYOTO, la città dei KUGE e degli imperatori, cen-tro culturale del Paese, e KAMAKURA, la sede del BAKUFU, l’apice della gerarchia feudale. I Mongoli, conquistata la Cina, insieme ai Coreani tentano di invadere il Paese nel 1274 e nel 1281, senza suc-cesso. Risalgono a quest’epoca storica opere let-terarie che esaltano l’ideale del BUSHI, come l’Hogen Monogatari (“Racconto della Guerra di Hogen”), il Gempei Seisuiki (è il racconto dell’ascesa e della caduta delle Casate MINAMOTO e TAIRA), l’Heike Monogatari (“Storia della Fami-glia TAIRA”), l’AZUMA KAGAMI (“Lo Specchio della Terra Orientale”), l’Heiji Monogatari (“Storia del-la Guerra degli Heiji”). KAMA-YARI. – Arma in asta. È dotata di lama di falcetto (o ferro a piccone) infilata ad angolo

retto su un’asta diritta. Appartiene alla famiglia dei becchi e martelli d’arme e nasce, come spesso accade, dalla trasformazione e adattamento di un attrezzo agricolo, il falcetto (KAMA) usato dai contadini per tagliare la paglia di riso. Esistono due versioni di quest’arma, la piccola e la grande, chiamata O-KAMA-YARI. La lama è munita di codolo – anche se esistono esemplari in cui il ferro è ri-piegabile all’interno del manico: un manicotto scorrevole di metallo lo blocca in posizione aperta o chiusa – ed il taglio misura da 15 a 25 cm di lun-ghezza. Unita ad una palla di ferro con una cate-na, diventa un KUSARI-GAMA, eccellente arma da difesa. KAMI. – “Sopra”; “al di sopra”. Parte di sopra del corpo, epigastrio.

– “Capelli”. La zona del cuoio capelluto è con-siderata un KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

– “Ciò che è sopra gli uomini”, “spirito divino”; “santità”; “anima”. GAMI, come suffisso. Sono le divinità della religione SHINTO, presenti e venerate in tutte le cose, luoghi, elementi o fe-nomeni naturali. È la generica denominazione di qualunque aspetto o forza vitale (umana o animale o vegetale), cui è attribuito un carattere divino. Alcuni luoghi, come le cime dei monti, “possiedo-no” il KAMI: ciò li trasforma in ambienti dove gli dei possono essere adorati. Pochissimi KAMI sono venerati in quasi tutto l’Arcipelago Giapponese: tra questi Inari, KAMI del riso. Ogni KAMI, a somi-glianza degli esseri umani, ha un proprio carattere ed un suo modo di vivere; esso è il protettore non solo della cosa o del fenomeno (e con questo si i-dentifica), ma anche di un gruppo, di un Clan, di una famiglia o di un luogo particolare. Ad esempio: un KAMI protegge la vita coniugale, un altro la cul-tura; alcuni KAMI impersonano le forze della natu-ra, altri rappresentano i pianeti mentre altri, an-cora, sono concepiti come spiriti dei mari, di bo-schi, villaggi. Alcuni sono ritenuti antenati delle diverse Famiglie nobili, dei Clan UJI (UJIGAMI) ed altri sono invece personaggi reali, trapassati e di-vinizzati: guerrieri e poeti, letterati ed imperato-ri. L’Imperatore è un caso specifico: questi, se regnante, “possiede” il KAMI. Ciò non significa che è venerato come un dio, ma che la sua stirpe è in una posizione religiosa tale da essere considerata sacra. È su questa base che lo shogunato, al tem-po, controlla l’Imperatore regnante, rendendo sempre più importante il suo ruolo religioso, a di-scapito di quello politico: la funzione quotidiana

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del TENNO, supremo sacerdote, è un rituale pe-renne, una cerimonia continua che assolve ai dove-ri spirituali, mentre lo SHOGUN ha il “dovere” di dominare il Paese. Spesso i KAMI hanno un aspetto terrifico, ma si possono placare con appropriati riti. Un esempio illuminante di come i KAMI sono considerati nella spiritualità giapponese, si trova in una missiva del 1591 che TOYOTOMI HIDEYOSHI invia al viceré portoghese di Goa: «Il nostro è il Paese dei Kami, e Kami è lo spirito. (…) Senza Ka-mi non può esservi spiritualità. Senza Kami non c’è Via. Kami regna in tempo di prosperità come in tempo di decadenza. Kami è positivo e negativo e insondabile (…) è la fonte di ogni esistenza». KAMI DORI. – “Presa per i capelli”. Può essere frontale (MAE KAMI DORI) o da dietro (USHIRO KA-MI DORI); in entrambi i casi, normalmente, la tec-nica difensiva prevede un KOTE GAESHI. KAMI-DANA. – “Altare dei KAMI”. [si veda la vo-ce “Shintoismo. Le funzioni shintoiste”, nella Ter-za Parte]. KAMIKARI. – “Arte di intagliare la carta”. Anti-co e affascinante metodo per ritagliare figure (umane, animali, mitologiche) e paesaggi da un (o in un) foglio di carta di riso. KAMIKAZE. – “Vento divino”; “Vento (KAZE) degli dei (KAMI)”. È la tempesta, l’uragano che nel 1281 disperde e distrugge l’enorme flotta mongola d’invasione – oltre 4.000 navi! – dinanzi alle coste dell’isola Kyushu. In realtà, il fallimento di questa impresa è per gran parte imputabile alla fretta con cui la flotta cino-mongola è allestita: nell’in-tento di fare presto, sono armate in gran numero navi a chiglia quasi piatta, da fiume, inadatte quindi ad affrontare anche un solo fortunale, fi-gurarsi un tifone tropicale.

– È l’appellativo con cui sono indicati i piloti che, nella Seconda Guerra Mondiale, tentano di affondare le navi nemiche in un attacco suicida, colpendole con il proprio apparecchio imbottito d’esplosivo. Il fenomeno dei KAMIKAZE nasce spon-taneamente durante la campagna in difesa delle Filippine (battaglia nel Golfo di Leyte, ottobre 1944), quando gli stormi di prima linea delle forze aeree della Marina costituiscono unità d’attacco suicida. Il Giappone ha perso le sue ultime portae-rei il 25 di quel mese e non può più affrontare gli statunitensi in uno scontro aereonavale; i migliori piloti, quindi, tentano di affondare o danneggiare gravemente le navi nemiche – soprattutto le por-taerei – colpendole con i propri apparecchi. Il ra-teo di perdite è elevatissimo: nelle dieci Opera-

zioni KIKUSUI, “crisantemo galleggiante” condotte durante gli sbarchi americani ad OKINAWA, ad e-sempio, dal 6 aprile al 21 giugno ‘45, sono distrut-ti 1.500 velivoli della Marina e oltre 1.000 dell’Esercito e circa 3.300 aviatori muoiono per colpire 146 navi americane – delle quali 60 affon-date o non riparabili – e provocare la morte di ol-tre 4.000 americani. Gli Alti Comandi decidono di impiegare praticamente tutti gli aerei rimasti e tutti i piloti, compresi gli allievi in addestramento, per difendere il territorio metropolitano con “at-tacchi suicidi”, anche se le gerarchie militari non definiscono così queste tattiche (il viceammiraglio Kawabe Masakatsu dichiara alla commissione d’in-chiesta statunitense, dopo la guerra: «Fino alla fine credevamo di avere la meglio sulle vostre ri-sorse e sulla vostra superiorità scientifica, in vir-tù della nostra etica e delle nostre convinzioni spirituali»). Il 15 agosto 1945, giorno dell’armistizio, sono pronti 5.900 aerei della Ma-rina e 4.800 dell’Esercito, mentre altri 2.500 ve-livoli sono in via di consegna e circa 5.000 giovani, tutti assegnati alle squadre suicide, sono in adde-stramento intensivo. Gli oltre 4.600 attacchi sui-cidi hanno colpito, affondandole o danneggiandole, solo 250 navi alleate. Il nome KIKUSUI è in ricordo del pennacchio di crisantemi che costituisce il KUWAGATA (cimiero) di KUSUNOKI MASASHIGE, citato esempio di fedel-tà all’Imperatore, dedizione assoluta al dovere e coraggio estremo. Ufficialmente, gli Stati Uniti non hanno mai riconosciuto nei KAMIKAZE dei com-battenti valorosi: chi combatte per vincere, non riesce a credere che altri combattano per morire! Chi vuole vincere e sopravvivere, ha una psicologia troppo distante e diversa da chi, sapendo di non poter vincere, combatte solo per uccidere il pro-prio nemico, morendo con lui.

– Con questo termine, oggi, si definiscono quelle persone che compiono azioni spettacolari e temerarie, mettendo nel conto la certezza di perdere la propria vita. Sono quindi così chiamati, assai impropriamente, quei folli che – per un qual-siasi loro ideale – cercano di provocare il maggior numero di vittime, soprattutto civili, facendo brillare cariche esplosive occultate sulla propria persona o nei veicoli da loro stessi condotti. Para-gonare tali “bombe umane” con i KAMIKAZE è im-proprio ed ingiusto, come afferma l’allora allievo pilota Hamazono Shigeyoshi, oggi ultraottanten-ne, che per tre volte (maltempo, guasto meccani-co, abbattimento) non è riuscito a compiere la

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missione suicida: «… noi combattevamo contro un nemico militare, mentre il loro scopo è di uccidere il maggior numero possibile di civili. E questo si chiama omicidio». KAMI-KUATSU. – “Percussioni epigastriche”. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU). KAMISOGI. – “Cerimonia del taglio dei capelli”. I bambini subiscono l’accorciatura dei capelli – tranne che tra i contadini, dove il taglio è somma-rio o non fatto del tutto – quando iniziano a parla-re abbastanza bene (cinque anni i maschi, quattro le femmine). Le ciocche tagliate sono conservate; le ragazze, di solito, conservano l’intera capiglia-tura, salvo che non rinunciano al mondo entrando in un ordine religioso o, vedove, non vogliono ri-sposarsi. KAMIZA. – “II Seggio degli dei”; il “Muro Alto”; il “Lato d’Onore”. Nel DOJO è la cosiddetta “sede superiore” (d’onore) dove trova posto il SENSEI. Possibilmente è orientato a Nord ed al suo centro trova normalmente posto, in Occidente, un ritrat-to del fondatore dell’Arte o Disciplina Marziale insegnata, a simboleggiare la trasmissione dell’in-segnamento ed anche, spesso, l’insegna del DOJO (in Oriente c’è sempre un KAMI-DANA). Il KAMIZA, normalmente, si colloca sul lato opposto all’entra-ta. [si veda “ Etichetta e comportamento: il Do-jo”]. Nelle case giapponesi il KAMIZA è il luogo in cui sono posti gli altari dedicati agli antenati ed al KAMI di famiglia. KAMMURI. – È il copricapo dei nobili di rango e-levato, in servizio alla Corte imperiale. È costitui-to da una calotta bassa, con dietro un tubo rigido (alto 15 cm circa) che racchiude il ciuffo di capelli alla sommità del cranio. Due code piatte, di garza di seta laccata o crine di cavallo, pendono sulla schiena; talvolta le code si arrotolano e si fissano al tubo con un cordone; il colore dell’acconciatura indica il rango del nobile. Il nobile, durante il ser-vizio a palazzo, spesso lungo giorni e notti conse-cutive, mai si toglie il KAMMURI (neppure per dor-mire) e, per riposare senza rovinare l’acconciatu-ra, utilizza un MAKURA. KAMURAITA. – Piastra del KOTE. Protegge la spalla e serve anche per assicurare i cordoni che fissano il KOTE al corpo. KAN. – “Intuizione”. È la capacità (che diventa istintiva dopo anni di pratica e di studio delle forme) di liberarsi da schemi e forme. GAN, come suffisso. [si veda YOMI].

– “Sala” o “luogo”, con riferimento al “luogo dove studiare la Via”. Si veda JUDO.

– Misura di peso: equivale a 3,75 kg (= 1.000 momme).

– Moneta importata dalla Cina, dal 958 alla fine del 1500. Vale 1.000 MON.

– “Inverno”. – “Cina”, secondo un’antica denominazione.

KAN RYU. – Scuola di SO-JUTSU, che si richiama all’OWARI KAN RYU. KANA. – “Carattere preso a prestito”. Indica i caratteri fonetici giapponesi che deriva-no dai KANJI, per mezzo di un procedimento di semplificazione e di scelta dei KANJI più semplici. I grafemi scelti sono utilizzati unicamente come simboli fonetici, tralasciando il loro significato ideografico, dato che un ideogramma, esprimendo un concetto, un’idea o un oggetto da “vedere”, non rappresenta un suono fonetico da “leggere”. KANA-BO. – Mazza (o bastone) di ferro. Anti-camente è usata soprattutto dagli YAMABUSHI, i monaci-guerrieri. KANAOKA KOSENO. – Rinomato artista, attivo nella Corte imperiale di Heian-kyo agli inizi del secolo IX. È tra i massimi esponenti dello stile pittorico detto yamato-e, del tutto autoctono, nato nella regione attorno a NARA (lo YAMATO, ap-punto), culla della civiltà nipponica. È lui, secondo la tradizione, a formalizzare il canone SHUNGA. KANEIYE. – Celebre Maestro fabbricante di TSUBA. Vive, probabilmente, nel secolo XV e la scuola che porta il suo nome, attiva a Fushimi (KYOTO), è famosa per i bassorilievi e le scene in miniatura di chiara influenza cinese (Dinastia Song). KANEMAKI RYU. – Antica scuola di KEN-JUTSU – tuttora attiva – fondata da JISAI MICHIIE. Risale all’inizio del Periodo MOMOYAMA (1573-1603). KANESADA IDZUMI. – Valente armaiolo, ope-rante nel Periodo EDO, a metà dell‘Ottocento. KANGAKUSHA. – Movimento, corrente di strenui ammiratori della cultura cinese; è attivo dal seco-lo X in poi. I suoi appartenenti giungono a vergo-gnarsi del loro essere Giapponesi, abbandonano lo SHINTO per il Buddismo, adottano comportamenti ed atteggiamenti tipicamente cinesi. Violento è il contrasto con il movimento nazionalista ed estre-mista dei WAGAKUSHA. KAN-GEIKO. – “Allenamento d’Inverno”. È l’alle-namento (KEIKO) del BUDOKA, fatto in inverno (KAN), nel mese più freddo, per saggiare la resi-stenza psicofisica: serve ad acquisire la totale

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padronanza dei movimenti attraverso il controllo delle reazioni corporali, vincendo il freddo. Que-sto tipo d’allenamento completa l’ASA-GEIKO (esti-vo, fatto di mattino presto) e l’HATSU-GEIKO (fat-to all’inizio dell’anno). KANGEN. – Musica solo strumentale, eseguita al-la Corte imperiale (GAGAKU). [si veda anche la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. KANI. – “Granchio”. KANJI. – “Ideogramma”. Viene da KAN, l’antico nome della Cina, e da JI, “carattere”. Un KANJI, come tutti gli ideogrammi, esprime un’idea, un concetto piuttosto che un oggetto da “vedere” e non rappresenta un FONEMA da “legge-re”. In altre parole, il disegno di un fiume ci fa di-re “fiume” in italiano, “river” in inglese e KAWA in giapponese. A complicare vieppiù le cose, ogni KANJI ha due letture (YOMI): una basata sulla pro-nuncia cinese (on, da cui on-yomi) ed una ottenuta applicando la parola giapponese al KANJI del me-desimo significato (kun, da cui kun-yomi). Oggi i KANJI –spesso usato come sinonimo di “cal-ligrafia” – è uno dei tre sistemi di scrittura uti-lizzati in Giappone, unitamente all’HIRAGANA ed al KATAKANA. KANJIN-SUMO. – Con questo termine si indica un torneo di SUMO organizzato per raccogliere fondi a favore di un santuario o di un tempio (shintoista o buddista). I primi KANJIN-SUMO di cui si ha notizia risalgono alla fine del 1500: fi-nanziano la ricostruzione di un tempio di KYOTO. KANNUSHI. – “Sacerdote” shintoista. KANO JIGORO. – (1860-1938) Fondatore del moderno JUDO, KANO JIGORO nasce in una famiglia di produttori di SAKÈ e funzionari imperiali onora-ri nel villaggio di Mikatse, presso Kobe. Notevole figura di sportivo, studioso e poi Maestro d’Arti Marziali, educatore (è Decano della scuola Nor-male Superiore di Tokyo nel 1893) ed illustre personaggio (nel 1909, primo asiatico, è membro del comitato Olimpico Internazionale), pratica fin da giovane lo JU-JUTSU con vari Maestri i cui RYU – TENJIN SHIN’YO RYU e KITO RYU, tra questi – in-segnano tecniche di percussione, di controllo e immobilizzazione, strangolamenti, tecniche basa-te sulle proiezioni e atterramenti e “forme di studio definite” (KATA). L’infanzia di KANO JIGORO corrisponde all’inizio della Restaurazione MEIJI (1867/68), anni di una confusa fase d’apertura all’Occidente, modernizzazione accelerata e rifiu-to di tutto ciò che è sentito come “vecchio”: con-suetudini, istituzioni e tradizioni, Arti Marziali

comprese. KANO deplora l’oblio in cui è caduto lo JU-JUTSU classico e vuole non solo restituirgli di-gnità, ma anche farne sia una moderna (e poco pe-ricolosa) disciplina sportiva marziale per la gio-ventù, sia un’attività culturale nazionale. Fonda perciò nel 1882 il KODOKAN JUDO, nel tempio bud-dista d’Eisho-ji a Tokyo: su nemmeno 20 metri quadrati (12 TATAMI) si allenano nove allievi. Vero e proprio “missionario” dello JUDO nel mon-do, KANO, con i suoi viaggi, contribuisce alla dif-fusione internazionale della nuova Disciplina: al 1899, quando nel KODOKAN di Tokyo già praticano oltre 600 allievi, risale il primo dei suoi viaggi in Europa, con dimostrazioni a Marsiglia; nel 1928 è a Roma per una manifestazione/gara, mentre l’ultima “missione”, al Cairo, è nell’anno della mor-te. È anche grazie a questo celebre Maestro che l’AIKIDŌ si afferma in Giappone: nel 1930, infatti, dopo aver assistito ad una dimostrazione di UE-SHIBA MORIHEI, entusiasta di questa nuova Arte Marziale, gli manda numerosi dei suoi migliori JUDOKA. KANSETSU. – “Leva”.

– “Articolazione”; “giuntura”. KANSETSU WAZA. – “Tecniche sulle articola-zioni”. Si applicano torsioni e lussazioni delle arti-colazioni delle braccia d’AITE (soprattutto il pol-so). Comprendono tecniche di gomito (HIJI WAZA), chiavi articolari al braccio (UDE HISHIGI e UDE GA-RAMI) e chiavi articolari al polso (TEKUBI WAZA, di-stinte in KOTE HINERI e KOTE GAESHI.). KANTO. – Zona del Giappone orientale, terra di coraggiosi SAMURAI. KANZASHI. – “Spillone” di legno, osso o metallo, a due punte. Lungo da 12 a 20 cm, serve a fissare, dall’interno, l’acconciatura delle donne e, oltre che elemento decorativo, può servire come arma. Il KOGAI, lo spillone ad una sola punta, è anch’esso talvolta usato per mantenere l’acconciatura, ma infilato orizzontalmente nella crocchia, sporgen-done. KAO. – “Viso”. Sul viso ci sono parecchi KYUSHO, “punti sensibili” per gli ATEMI. KAPPO. – “Metodo di rianimazione”. KAPPO è con-trazione degli ideogrammi KUATSU (“Tecnica di vi-ta”) e HO “metodo”, “insieme”. Il KAPPO è il filone maggiore del SEI-FUKU-JUTSU, “tecnica di restau-rare i traumi”, “traumatologia”. Le tecniche di rianimazione KAPPO si applicano a stati d’inco-scienza (o SINCOPE, addirittura) provocati da CHOC respiratori, nervosi o traumatici. È opportuno che

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tali attività siano esercitate solo da esperti, con conoscenza d’elementi di Medicina Tradizionale Cinese e d’agopuntura o shiatsu. È indispensabile che l’azione di chi pratica (TORI, “colui che offre”) s’identifichi con lo stato di “colui che riceve” (U-KE), soprattutto attraverso il respiro (KIAI), ren-dendo i procedimenti del KUATSU (massaggi, pres-sioni, percussioni sui punti vitali – KYUSHO – o sui TSUBA di shiatsu e agopuntura) un tutt’uno armo-nico. Il KAPPO fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – del-le “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere) [si veda “ Antiche arti da guerra”]. Nei tempi antichi l’apprendimento del KAPPO, nelle Arti Marziali, av-viene in segreto e l’iniziazione ai KUATSU è trau-matica: l’adepto, di notte, è condotto al DOJO (che spesso si trova in un tempio) e, immediata-mente, è portato alla sincope, con strangolamento per compressione dei seni carotidei (cordoni ner-vo-vascolari). Il cervello subisce la momentanea interruzione del flusso sanguigno e, soprattutto, il brusco stimolo della zona genera un riflesso ini-bitorio che blocca la respirazione e arresta il battito cardiaco. La sincope è rapida e indolore e, se la compressione è sufficientemente lunga, si ottiene una sorta di “amnesia retrograda”, che cancella il ricordo angosciante degli ultimi respiri; il neofito, “resuscitato” poi con opportuna tecni-ca, deve giurare di mantenere il segreto. Solo gli allievi migliori, che danno garanzia di riservatezza e sono moralmente degni, possono ricevere questa istruzione segreta, che concede potere di morte (strangolamento) e di vita (KUATSU). Studi svolti in varie parti del mondo, condotti soprattutto con JUDOKA (le tecniche di strangolamento, nella pra-tica di JUDO, sono molto praticate, in allenamento ed in gara), hanno dimostrato la facilità con cui è possibile indurre la sincope, per compressione sia della carotide sia della trachea (ostruzione delle vie respiratorie), piuttosto che per forte inibizio-ne riflessa provocata dalla brusca stimolazione del seno carotideo. Altrettanto facilmente, si è sperimentato, da tali stati di sincope si può uscire con l’applicazione dell’appropriato KUATSU. Anche KWAPPO. KARA. – “Cina”.

– “Nudo”; “vuoto”. – “Da”.

KARADA. – “Corpo umano”. KARAMU. – “Intrecciare”, “imbrigliare”.

KARA-SHINO-SUNEATE. – Variante di gambali SUNEATE, senza fodera. Sono composti di numero-se strette piastre metalliche, unite da maglia di ferro. KARASU-TENGU. – Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone, a forma di corvo. [si veda TENGU]. KARATE. – “Via della Mano Vuota”. Antica forma di lotta, originaria dell’isola d’OKINAWA, ma di de-rivazione cinese (KEMPO). Per difendersi durante i lunghi periodi d’occupazione straniera, quando è loro proibito di portare armi, gli isolani sviluppano una forma di combattimento basato su un perfe-zionato metodo per colpire i punti vitali del corpo umano, usandone le “armi naturali”, secondo una dottrina molto semplice: “Ci proibiscono le lance, e noi facciamo diventare ogni dito una lancia; ci proibiscono i bastoni, e noi facciamo d’ogni pugno un bastone; ci proibiscono le spade, e noi facciamo d’ogni mano una spada!”. Alla base del KARATE di questi primi tempi c’è, evidentemente, solo la ri-cerca della massima efficacia, senza indulgenze all’etica né, tanto meno, all’estetica: è, in pratica, una tecnica guerriera (JUTSU), i cui numerosi stili prendono il nome delle località in cui sono pratica-ti [si veda OKINAWA]. Il KARATE fa parte – secon-do la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (ol-tre alle danze rituali che ognuno di loro deve co-noscere; si veda “ ANTICHE ARTI DA GUERRA”). Il Maestro FUNAKOSHI GICHIN, all’inizio degli anni Venti del 1900, disciplina questo modo di lottare a mani nude (conosciuto soprattutto come OKI-NAWA-TE), ne codifica le tecniche e lo battezza KARATE, unione di due ideogrammi: KARA, “nudo” e TE, “mano”. L’ideogramma KARA, però, richiama an-che il concetto di “vuoto” che, oltre a riferirsi al-la mano, indica anche lo stato mentale del prati-cante, che deve essere in una particolare condi-zione di quiete, «come una silenziosa valle, in cui anche i più piccoli suoni possono essere percepi-ti», permettendo così una reazione immediata a qualunque stimolo. È da notare che, inizialmente, Karate-jutsu, “leggendo” gli ideogrammi cinesi o-riginari, significa “Arte della Mano Cinese”: KARA, infatti, sta per “Cina”, “cinese”. È solo nel 1936 che all’ideogramma “Cina”, “cinese” se ne sostitui-sce un altro, con la stessa pronuncia, ma che si-gnifica “nudo”, “vuoto”. Nel corso dei secoli, dalla forma originaria d’arte di combattimento per la vita, il KARATE, come tutte le Arti Marziali tradi-

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zionali, si è trasformato ed oggi è un esercizio sportivo dove la tremenda distruttività delle tec-niche originarie si è mitigata nella forma control-lata del combattimento agonistico. Il KARATE è un’Arte Marziale prevalentemente “esterna” di stile “duro”: rientra nella categoria dei sistemi che si fondano sul colpire e non sul a corpo a cor-po, come nello JUDO o nel JU-JUTSU. Comprende una quantità di tecniche per portare a segno pu-gni, colpi e calci; per bloccare, parare e deviare; per schivare, con movimenti in avanti, indietro, la-terali e abbassamenti improvvisi. L’essenza del colpire consiste nel generare uno slancio nel pro-prio corpo e trasmetterlo, mediante un arto e un’area d’impatto, al fisico dell’avversario. L’energia cinetica trasmessa dipende tanto dalla massa dell’oggetto che colpisce quanto dalla sua velocità: raddoppiando la massa l’energia raddop-pia, mentre quadruplica (secondo la nota formula: Ec = ½ m.v²) raddoppiando la velocità. Il metodo più usato per produrre lo slancio consiste in una rotazione rapida dei fianchi, che si trasmette alle spalle o alle gambe: il risultato è allora un pugno (l’avambraccio è in linea retta con la direzione d’impatto), un colpo (l’avambraccio è ad angolo retto) o un calcio (a spinta, a scatto; avanti, in-dietro, laterale; volante, rovesciato…), portato con velocità, coordinazione e concentrazione ed utilizzando tutte le parti degli arti, dalla spalla al-le dita del piede. Nel KARATE moderno dei primi tempi, complice lo spirito bellicoso assai diffuso, tanto l’allenamento quanto i combattimenti sono condotti con violenza estrema ed i colpi “affonda-ti”, portati al bersaglio, con i praticanti che non indossano protezioni. È merito di FUNAKOSHI YO-SHITAKA – figlio e successore di FUNAKOSHI GI-CHIN, ma morto prima del padre – se il KARATE di-venta a tutti gli effetti KARATE-DO, una “Via Mar-ziale” educativa, di sviluppo fisico e spirituale: i colpi sono portati senza “toccare” e nelle gare la vittoria è assegnata per la somma di punti ottenu-ti durante il combattimento. È prevista una suddi-visione in gradi (KYU) e livelli (DAN) dei praticanti (KARATEKA), che in allenamento e gara indossano il KARATEGI. Gare e tornei possono essere di com-battimento (kumite) – ed allora si adottano le ca-tegorie di peso – o di forme (KATA). KARATE-DO. – Si veda KARATE. KARATEGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nella pratica del KARATE”. Consiste in un KEIKOGI, composto di: pantaloni (ZUBON), giacca a manica larga (UWAGI), cintura (OBI) di colore differente

secondo il grado ricoperto (come per lo JUDO) e sandali (ZORI) per gli spostamenti fuori del TATA-MI. Il tessuto (di cotone) del KARATEGI non è ro-busto quanto quello dello JUDOGI, poiché i KARATE-KA non si misurano nel corpo a corpo. KARATEKA. – “Chi pratica il KARATE”. KARATE-SHINTO. – Scuola di KARATE. È fonda-ta, nel 1955, da YAMAGUCHI GOGEN, già Caposcuola del GOJU RYU. Egli cerca di amalgamare, armoniz-zandoli, i principi di KARATE-DO, ZEN, YOGA e SHINTO, per fare del KARATE una specie di reli-gione “spiritualista”. KARI. – “Falciata”. Viene da KARU, “falciare”. GA-RI, come suffisso. KARIGANE. – “Oca selvaggia”. KARO. – “Anziano”. Decimo grado “superiore” all’interno della classe SAMURAI. KAROSHI. – “Morte da superlavoro”. Può essere tanto la conseguenza dalla “furia stakanovista” dei lavoratori [si veda, al proposito, la voce “Giap-pone. L’economia, oggi”, nella Terza Parte] quanto il suicidio derivante dalla depressione che spesso colpisce i pensionati. KARU. – “Falciare”. KARUMA. – “Circolare”. KARUMI-JUTSU. – “Arte di rendersi leggeri” nel salto, nell’arrampicata, nello schivare colpi. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali princi-pali). KARYUKAI. – “Il mondo del fiore e del salice”. È così definita la società delle GEISHE, fino alla fine del Periodo EDO ed oltre. È, soprattutto agli occhi di un occidentale, un mondo misterioso e talvolta incomprensibile, almeno fino al 1983, anno nel quale l’antropologa americana Liza Dalby riesce a farsi ammettere in una scuola preparatoria e vive per oltre un anno la vita comunitaria delle GEISHE, raccontandone poi in un libro il modo di vivere, i riti mondani e l’erudizione all’arte di compiacere il maschio. KASA. – “Capelli”.

– Elmo aperto di forma caratteristica. Si ve-da JINGASA. KASA-GAKE. – Esercizio d’allenamento al tiro con l’arco, da cavallo. Bersagli sono dei cappelli (KASA) posati su paletti che il guerriero, galop-pando, deve colpire da distanza ravvicinata con frecce non letali (HIKIME) e far cadere. Quando i bersagli sono posti più lontano, si parla di TOKASA-GAKE. KASAN’. – “Mamma”.

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KASHIMA SHIN RYU. – Scuola d’Arti Marziali risalente al 1450 ed ancora in attività. S’insegna-no tecniche con armi (KEN, NAGINATA, BO) e senza (JU-JUTSU). KASHIMA SHINDEN JIKISHINKAGE RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Matsumoto Bi-zen-no-Kami Naokatsu (1467-1524). Sono utiliz-zate sia la spada lunga (O-DACHI) sia quella corta (KO-DACHI). La scuola è tuttora attiva. KASHIMA SHINTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, che utilizza sia la spada lunga (O-DACHI) sia quella corta (KO-DACHI). È analoga al più famo-so e di poco precedente KATORI SHINTO RYU, che la tradizione vuole abbia ispirato anche questa scuola. La fonda, nel santuario SHINTO di Kashima (Pre-fettura d’Ibaraki), verso il 1530, TSUKAHARA BO-KUDEN, famosissimo SAMURAI. Particolarità della scuola è il Mutekatsu Ryu, lo stile di “non-combattimento”, secondo il quale uno scontro si può vincere anche non combattendo: evitandolo o impedendo l’attacco del nemico con la forza di ca-rattere e la capacità di sapersi comportare con-venientemente oppure con lo “schivare con lo spi-rito” (MUTEKATSU). Questo RYU – unitamente alla dozzina di HA, Scuole derivate – è ancora attivo ed insegna numerose Arti Marziali, nel primitivo spirito del BUJUTSU: KEN-JUTSU, BATTO-JUTSU, NAGINATA-JUTSU, SO-JUTSU, SHURIKEN-JUTSU, JU-JUTSU, KEMPO, BO-JUTSU, KAIKEN-JUTSU e TANTO-JUTSU. La particolarità – o ritorno alle ori-gini – è che ciascuna, nell’uso, è appresa ed inte-grata con tutte le altre, perché ciascuna contiene i principi di tutte e nessuna è completa senza le altre. È certa l’influenza di questa scuola nello sviluppo delle tecniche di AIKI-KEN (e non solo) dell’AIKIDŌ. KASHIRA. – “Testa”; “colonna”. GASHIRA, come suffisso. Anche MEN, ATAMA, TSU, TO.

– Cappetta dell’impugnatura di spada o pugna-le. Una cordicella, che passa attraverso due fes-sure, assicura alla TSUKA la KASHIRA, le cui deco-razioni sono nello stesso stile di quelle del FUCHI. La KASHIRA, di solito, è di bronzo decorato od al-tro metallo, spesso prezioso, talvolta in corno o cuoio. Pure questo dettaglio è realizzato da arti-giani specializzati ed è spesso un’opera d’arte, co-sì come FUCHI e MENUKI. KA-SO. – È la variante giapponese del FENG-SHUI [si veda la relativa voce, nella Terza Parte]. KASUMI. – “Tempie”. Punto della tempia. KYU-SHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

KATA. – “ Modello”, “forma”, “sequenza tecnica”; “combattimento immaginario”. È la “forma", speci-fica ed originale, d’ogni Arte Marziale. Nel BUDO, di solito, s’intende una successione di movimenti e tecniche di base o una sequenza preordinata d’at-tacchi/difese, da eseguirsi da soli (ma anche in coppia) oppure una serie codificata d’esercizi, ob-bligatoriamente invariati nel tempo, che consen-tono di preservare la purezza delle tecniche. La pratica dei KATA non solo permette di perfeziona-re lo stile e di meglio comprenderlo, ma consente anche di ricostruire l’insegnamento del Maestro. Se WAZA è l’applicazione pratica delle tecniche e DO la Via spirituale, KATA è la forma rituale. Pure KAHO. In AIKIDŌ i KATA sono poco utilizzati, se non nella pratica con JO e BOKKEN.

– “Parte”. – “Spalla”. – “Singolo”, “con uno”.

KATA DORI. – “Presa alla spalla”. Presa ad una spalla con una mano. AITE afferra TORI ad una spalla (normalmente in GYAKU HANMI); questi, di solito, compie subito un TAI SABAKI di squilibrio ed un ATEMI per “fissare” l’attenzione dell’attaccan-te, la cui intenzione è colpire. Con le armi, la spal-la deve servire come bersaglio “di lusinga”, offer-to all’avversario: mentre AITE mira alla spalla, TO-RI colpisce. KATA DORI MEN UCHI. – “Presa alla spalla con colpo”. AITE afferra TORI ad una spalla e lo colpi-sce al volto o al capo con un MEN TSUKI. KATA TE. – “Una mano”; “con una mano”. KATA TE DORI. – “Presa alla mano” generica. AITE attacca afferrando il polso o l’avambraccio di TORI. Da ricordare che è fondamentale l’unità di mano, piede e bacino, ricercata attraverso lo studio di tutte le tecniche di presa al polso. AITE è guidato con una mano ed “abbattuto” con l’altra. KATA TE DORI AI HANMI. – “Presa al polso con guardia uguale”. Presa ad una mano con una mano, simmetrica, in diagonale. AITE attacca af-ferrando con la mano destra (o sinistra) il polso – o l’avambraccio – destro (o sinistro) di TORI. KATA TE DORI GYAKU HANMI. – “Presa al polso, con guardia opposta”. Presa ad una mano con una mano, sullo stesso lato. AITE attacca af-ferrando con la mano destra (o sinistra) il polso – o l’avambraccio – sinistro (o destro) di TORI. KATA TE DORI HANTAI. – “Presa al polso cor-rispondente”. È come KATA TE DORI AI HANMI. An-che KOSA DORI.

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KATA TE DORI KUBI SHIME. – “Presa al polso con strangolamento”. AITE, afferra sia il polso di TORI sia il suo collo, per strangolarlo. KATA TE JIME. – “Strangolamento con una ma-no”. KATA TE KATA. – “Presa a spalla e polso”. AITE afferra contemporaneamente polso e spalla di TO-RI. KATA TE MUNE DORI. – “Presa ad un polso ed al petto”. AITE afferra un polso di TORI e, con-temporaneamente, anche il suo petto. KATA TE RYO TE DORI. – “Presa con entrambe le mani ad un polso”. Presa ad una mano con due mani. AITE afferra con le due mani un polso di TO-RI. Anche RYO TE MOCHI. KATA TE WAZA. – “Presa della spada con una mano sola”. Questo termine indica il maneggio del-la spada – soprattutto dello SHINAI, nel KENDO – fatto usando solo una mano. Ciò richiede lungo al-lenamento e grande forza del polso e della mano. KATAGINU. – “Tunica”. Rigida, senza maniche, è indossata dai SAMURAI nelle cerimonie. KATAHA. – È la sbarra dalla quale sono forgiate le lame. Si ottiene saldando fra loro due strisce d’acciaio, uno duro ed uno tenero. KATAKANA – “Caratteri prestati in parte”. Viene da KATA, “parte”, e KANA, “carattere preso a prestito”. È un alfabeto fonetico che deriva, pa-re, dalla necessità degli studenti buddisti di uti-lizzare, durante le loro lezioni, semplici segni gra-fici (una sorta di “stenografia”), ideati per una lettura chiara e veloce, avendo problemi a seguire tutti i KANA. A differenza dello HIRAGANA, si pre-senta più angolare e poco adatto all’arte calligra-fica (SHODO). Il KATAKANA – che è uno dei tre si-stemi di scrittura utilizzati in Giappone, unita-mente allo HIRAGANA ed ai KANJI – è in continua evoluzione, tanto per gli ambiti in cui è utilizzato quanto per i suoi valori fonetici e presenta delle combinazioni che nell’HIRAGANA non esistono. KATAKI. – “Avversario”. KATAME. – “Controllo”, “immobilizzazione”. GA-TAME, come suffisso. Viene da KATAMERU, “strin-gere”. Sinonimo, per “immobilizzazione”, è OSAE. KATAME WAZA. – “Tecniche di controllo” (con immobilizzazione). Le forme di controllo si ese-guono: sui gomiti (IKKYO o UDE OSAE); con torsione esterna del polso (NIKYO o KOTE

MAWASHI); con torsione del polso (SANKYO o KOTE HINERI);

con pressione sulla parte alta del polso (YON-KYO o TEKUBI OSAE); con trazione del braccio (GOKYO o UDE NOBA-

SHI); con chiave articolare del braccio sotto l’ascella

(UDE HISHIGI o HIJI SHIME). Anche OSAE WAZA. KATAMERU. – “Stringere”. KATANA. – Una delle più importanti armi giappo-nesi, se non la più importante in assoluto. È il sim-bolo del SAMURAI, del suo onore, del suo ruolo nel-la società feudale e, unitamente all’arco (YUMI), costituisce l’armamento tipico del guerriero, il BUSHI. Appartiene alla classe DAI-TO (spade con lama di lunghezza superiore a 60 cm e curvatura più o meno accentuata) ed i SAMURAI – gli unici au-torizzati a farlo – sono soliti portarla con la WA-KIZASHI, classe SHO-TO (spade con la lama di lun-ghezza compresa fra 40 e 60 cm, leggermente in-curvata), a formare il DAI-SHO. In tempi PREISTO-RICI e PROTOSTORICI (Periodi YAYOI – 300 a.C. -300 d.C. circa – e KOFUN – secolo IV-VII) le spa-de giapponesi (TSURUGI, KEN) sono diritte, ad uno o due TAGLI, dapprima in bronzo quindi in ferro: semplici riproduzioni d’armi cinesi e coreane. La forma è la più adatta a colpire principalmente di punta, nei combattimenti a piedi. In seguito (se-colo VIII circa, tempi storici, dunque) appare la TACHI, con lama curva, ad un filo [SCIABOLA, nella classificazione Occidentale], che si porta appesa alla cintura, con taglio rivolto a terra. Quest’arma è ideale, nella forma, per i combattimenti a caval-lo e pare che sia proprio la necessità di affronta-re gli Emishi – cacciatori, abili cavalieri ed arcieri, autoctoni del Nord-Est, sovente in rivolta – a far propendere per una lama ricurva, di facile estra-zione, adatta soprattutto a colpire di taglio. Inol-tre, si affievoliscono i contatti con la Cina (decli-na la Dinastia Tang) e la Corea (preda di disordi-ni): isolati dalle correnti culturali continentali, i Giapponesi – fabbri compresi – si orientano a mo-delli culturali (e d’armi) autonomi. Nel corso dei secoli la TACHI diventa spada rituale ed è sosti-tuita in battaglia, all’inizio del Periodo ASHIKAGA, verso il 1340, da un’altra arma da combattimento. Questa, simile nella forma, è meno incurvata, leg-germente più corta (poco più di 60 cm, ma rientra sempre nella classe di spade DAI-TO), dotata di numerosi fornimenti, da portarsi infilata nella cintura (OBI), con il taglio verso l’alto: la KATANA. Le lame di TACHI e KATANA sono molto simili, ma recano la firma (MEI) del fabbro-forgiatore (KA-

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JI) sulle facce opposte del codolo (NAKAGO): o-gnuna sempre sul lato “esterno, quando l’arma è portata (e la firma diventa, rispettivamente, ka-tana-mei e tachi-mei). TACHI e KATANA possono essere entrambe dotate di KOGAI (sorta di spillo-ne o stiletto, vero e proprio attrezzo “mille usi”) e di KOZUKA (piccolo coltello da lancio, ma non so-lo). La lama (MI) – che per la tradizione shintoista è sede di un KAMI e, molto spesso, riceve un nome proprio – è l’elemento principale di questa come di quasi tutte le altre armi bianche giapponesi. La lama, quando di buona qualità, è trasmessa per generazioni e può essere dotata più volte di nuovi fornimenti ed accessori, sia per ragioni pratiche (dovendo sostituire, ad esempio, parti ormai usu-rate) sia per seguire la moda del momento: si cambia impugnatura (TSUKA), fodero (SAYA) e SA-GEO, elso (TSUBA) eccetera. Normalmente, quando la spada non è portata, si smontata: un modello di legno sostituisce la lama che, pulita, è fissata ad un supporto di legno di magnolia e posta sul KATA-NA KAKE. Il SAMURAI non si separa mai dalla pro-pria spada: condizionato fin dall’infanzia a consi-derarla parte di sé, la KATANA ne ha disciplinato lo spirito e coltivato il carattere; di notte, spes-so, il BUSHI dorme con la spada a fianco del giaci-glio, sempre pronta all’uso. La KATANA, unitamente alla TACHI e ad altri tipi di spade, è oggetto di un elaborato galateo. È nel Periodo TOKUGAWA (o E-DO, 1603-1868) che s’instaura un vero e proprio “culto della spada” – tanto che TOKUGAWA IEYASU scrive «la spada è l’anima del samurai; se qualcuno la dimentica o la perde, non sarà scusato» – e si crea una nuova Etichetta (REI-GI). L’Etichetta prevede rigidi rituali concernenti sia il modo di maneggiare, presentare, ammirare una KATANA [si veda anche DAI-SHO], sia per provocare con que-sta un avversario al combattimento (e basta dav-vero poco: toccare l’arma di un altro o urtarne il fodero è considerata offesa grave, meritevole di morte). In pratica, in questo lungo periodo di for-zata pacificazione, la KATANA accresce il proprio valore simbolico: oltre che ricompensa al guerrie-ro che si distingue in battaglia – com’è sempre stato – diventa anche dono per occasioni partico-lari. Letale e bella, elegante e talvolta splendida-mente decorata, la KATANA è considerata un vero e proprio tesoro ed un segno di benessere ed ele-vato rango sociale raggiunto. La lama di una KATANA è formata da strati com-pensati d’acciaio (dolce, medio e duro) o d’acciaio e ferro, in proporzioni varie secondo il tipo di la-

ma da eseguire. La sezione di una lama presenta un nucleo centrale, una COSTA, contrapposta al ta-glio e due sottili lamine parallele (definite “pelle”) a formare il PIATTO e chiudere il tutto. In rappor-to alla composizione della lama, si hanno quattro tipi di sezione: maru-kitae, tutto duro; wariha-tetsu kitae, duro solo il filo; kobuse san mai kitae, nucleo e dorso teneri; shihozume kitae, nucleo te-nero, con pelle e dorso di media durezza. I mas-selli di metallo che compongono la lama sono ripie-gati e saldati a caldo da quindici a più volte: gli strati risultanti, quindi, sono da 32.000 a quattro milioni, ma il lavoro di stratificazione deve essere regolare in ogni parte della lama. La lama è poi temperata in modo differente, per dare al ta-gliente il massimo della tempra, mantenendo al resto – con una tempera media e minima – una ro-bustezza eccezionale. La foggia della KATANA, in pratica, è invariata dal secolo IX, ed a quell’epoca risale la fittissima codificazione che riguarda se-zione, forma della punta, attaccatura della TSUBA, fornimenti e fodero. Basti pensare, ad esempio, che il solo KISSAKI (la punta vera e propria, di-stinta dal BOSHI e spesso separata dal resto della lama – MI – da una nervatura trasversale, YOKOTE) è suddiviso, a sua volta, in ben quindici distinti e particolari componenti, ognuno con il suo nome proprio, mentre il codolo (NAKAGO) ne conta “ap-pena” otto. La medesima, ossessionante, codifica-zione si ha nella “prova” che ogni lama deve supe-rare: quella del taglio (TAMESHI-GIRI), spesso fat-ta su corpo umano (già cadavere o condannato da giustiziare che sia). I tipi di taglio considerati, dal meno impegnativo (polso) al più difficile (colpo trasversale, all’altezza della regione pelvica), sono sedici. Un solo fendente, in tutti i casi, deve troncare o scindere di netto la parte [si veda an-che TAMESHI-GIRI]. La lunghezza della lama di una KATANA deve essere in proporzione alla statura del committente, quando è forgiata su ordinazio-ne. Ancora oggi, nella pratica del DOJO, si calcola la lunghezza della lama sottraendo 90 cm (98, per un uso più facile) all’altezza del praticante. Le KA-TANE (o, meglio, le lame) appartenenti alle tradi-zionali “spade giapponesi” (NIPPON-TO) sono clas-sificate in base al periodo di fabbricazione, se-condo la seguente suddivisione: KO-TO, “spade antiche”: forgiate dal 900 circa

fino a circa il 1530 (oppure al 1603 o 1614, secon-do fonti diverse). Il Governo giapponese le consi-dera veri e propri tesori nazionali.

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SHIN-TO, “spade nuove”: prodotte dal 1530 (o 1603 o 1614), fino al 1716 circa. SHIN-SHIN-TO, “spade nuovissime”: forgiate

dal 1717 al 1870. GENDAI-TO, “spade moderne”: fabbricate dal

1871 alla fine della seconda Guerra Mondiale. SHINSAKU-TO, “spade recenti”: prodotte dal

secondo dopoguerra in poi. In questa classificazione non rientrano le spade militari, fabbricate dopo la Restaurazione MEIJI, indicate con i termini Murata-to e Showa-to, che gli studiosi non considerano degne di grande at-tenzione. [si vedano anche TSURUGI, KEN, e la voce “lama”, nella Terza Parte]. Nota Bene: talvolta, nei testi, KATANA, TACHI e WAKIZASHI sono considerati di genere maschile. KATANA KAKE. – Tipica “rastrelliera”, normal-mente in legno di magnolia, per riporre spade, da-ghe e pugnali. Nella KATANA KAKE di tipo verticale, destinata soprattutto alla TACHI, la spada è posta con la punta in alto. Nella rastrelliera orizzontale, l’elso va a destra e l’arma deve avere il filo rivolto in basso (TACHI) o in alto (tutte le altre). Nor-malmente queste rastrelliere sono in legno lacca-to, di varie forme e talvolta hanno cassetti per i fornimenti supplementari delle armi. Esistono an-che KATANA KAKE da viaggio, pieghevoli. KATANA ZUTSU. – “Cassetta”, che serve a tra-sportare la KATANA. È di legno laccato e decorato con le insegne del proprietario. KATANA-GARI. – “Confisca della KATANA”. È il provvedimento con cui, nel 1588, TOYOTOMI HIDE-YOSHI proibisce a chiunque non sia SAMURAI il possesso di una spada. In questo modo tutti i civili sono disarmati e si elimina il pericolo delle rivolte, fomentate principalmente da monaci e contadini. Prima di TOYOTOMI HIDEYOSHI – e per lo stesso motivo – è SHIBATA KATSUE a far sequestrare le armi possedute dagli abitanti della sua Provincia. KATARIBE. – “Corporazione dei narratori”. Per la tradizione, il suo maggior rappresentante è HIE-DA-NO-ARE, che riceve dall’imperatore Temmu (681) l’incarico di dettare ad uno scrivano (O-NO-YASUMARO) i più antichi miti popolari. Ne risulta (712) il KOJIKI. KATAYAMA HOKY RYU. – Scuola di KEN-JUTSU (soprattutto con O-DACHI) e IAI-JUTSU fondata, nella seconda metà del secolo XV, da Katayama Hoki-no-Kami Isayasu nel santuario di Katayama, sulla montagna di Atago. Il RYU è ancora in attivi-tà.

KATORI SHINTO RYU. – È la più antica (inizio del secolo XV) scuola di KEN-JUTSU tuttora atti-va, il cui nome originario completo è TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU. [si veda]. KATSU. – Si veda KIAI. KATSUJIN-NO-KEN. – “La Spada che dà la Vi-ta”. Anticipo dell’azione dell’avversario. È grazie all’attitudine mentale (HEI-HO) che il combattente può “sentire”, “leggere” (YOMI) il pensiero dell’av-versario, anticipandone i movimenti in modo tale da non essere costretto ad ucciderlo. In caso contrario, la Via della Spada è solo “la Spada che Uccide”, SATSUJIN-NO-KEN. KATSUSATSU. – Zona della 5^ vertebra dorsale. Punto tra le scapole. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KAWA. – “Fiume”. KAWAGASA. – Elmo dei soldati di rango più bas-so e dei servi. È di cuoio speciale molto resistente (neri-gasa), laccato nero. Imita il SUJI-KABUTO: coppo basso, tondeggiante, con nervature ed una visiera imponente. KAWAISHI MIKONOSUKE. – Maestro di JUDO, vissuto in Francia prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. È ricordato per il metodo d’insegna-mento “francesizzato” – che da lui prende nome – dove anche l’originale terminologia giapponese è sostituita da una in francese. KAWARA. – Termine generico per armatura. In-dica l’arcaica armatura del primo Periodo HEIAN (794-1156), normalmente fatta di spesso cuoio. KAWASHI. – Schivata, compiuta con una rota-zione del corpo, un movimento di base (TAI SABA-KI), contro un colpo od una tecnica d’attacco. KAZE. – “Vento”.

– “Soffio”. KAZOKU. – “Nobile”. È la nuova classe sociale che emerge dalla semplificazione del sistema, dopo la Restaurazione MEIJI: ne fanno parte DAIMYO e cortigiani. KEBIISHI. – Funzionario imperiale. Ha il compito di catturare e punire i criminali. Le sue notifiche hanno il valore di ordinanze imperiali. KEBIKI. – Tipo di allacciatura dell’armatura ODO-SHI. KE-BO. – “Bastone corto”. Si veda TAM-BO. KEGA. – “Ferita”. KE-GUTSU. – “Calzature” dell’armatura. Sono, spesso, in pelle d’orso. Anche KO-GAKE. KEI-BO. – “Bastone corto”. Oggi indica un tipo di manganello in dotazione alla polizia giapponese.

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KEIBO-SOHO. – “Tecniche di difesa”. Il termine si riferisce, soprattutto, ai metodi d’impiego dei bastoni corti (manganelli, sfollagente) utilizzati dalla polizia giapponese (TAIHO-JUTSU). KEICHU. – “Nuca”. 3^ e 4^ vertebra cervicale. Punto della nuca. KYUSHO, “punto vitale” o “debo-le” per gli ATEMI. KEI-JO. – “Bastone corto”. Oggi indica un tipo di sfollagente in dotazione alla polizia giapponese. KEIJO-JUTSU. – “Arte di maneggiare il bastone corto”. KEIKO. – “Esercizio”; “allenamento”; “pratica” nel DOJO. È quello fatto per migliorare, perfezionare un’arte o una tecnica, al fine di “superare” (kei) gli “antichi” (KO). In AIKIDŌ, il KEIKO prevede tre fa-si: TAI SABAKI, KOKYU e RAN DORI. GEIKO, come suffisso.

– “Tibia”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

– “Dita a becco d’aquila”. – Armatura protostorica, utilizzata tra il V e

l’VIII secolo, fino ai primi tempi del Periodo HEIAN (890 circa). Costituita da lamelle legate fra loro, a formare una sorta di giubba senza ma-niche, aperta sul davanti (sull’esempio cinese) è adattata al TANKO. La giubba, retta da spalline di cotone, presenta lamelle concave in vita e sul bordo della falda, che copre la parte alta delle cosce; gli arti superiori sono protetti da aderenti bracciali, in scaglie metalliche o tubolari. Alla KEI-KO, inizialmente in dotazione ai reparti di cavalle-ria, si accompagna un elmo di forma nuova: coppo tondeggiante, piatta e larga visiera, gronda for-mata da strisce di ferro curve. Sulla cima dell’el-mo, che è fatto con cerchi orizzontali alternati a segmenti triangolari, il tutto fissato con rivetti, un terminale a tazza ha fori per il fissaggio di un cimiero. Dalla KEIKO si sviluppa l’armatura YOROI. KEIKO HO. – “Forma di allenamento”. KEIKO OBI. – “Cintura del KEIKOGI”. In AIKIDŌ è bianca per i gradi bassi (dal 1° al 6° KYU) e nera per i DAN. Torna ad essere bianca per i Maestri. In molte ARTI e Discipline MARZIALI il colore del-la cintura indica il grado del praticante. KEIKOBA. – “Luogo d’allenamento”. KEIKOGI. – “Abito d’allenamento”. È termine ge-nerico che indica la divisa, il costume da indossare per la pratica di numerose Discipline (per l’AIKI-DŌ, più propriamente, si parla d’AIKIDOGI, per lo JUDO di JUDOGI, per il KARATE di KARATEGI ecce-tera). Il KEIKOGI è formato da pantaloni (ZUBON) e casacca (GI), normalmente bianchi, con cintura

(KEIKO OBI) alla vita. In AIKIDŌ e, spesso, in altre Discipline, sopra il KEIKOGI s’indossa l’HAKAMA (keikoba kama). Sinonimo di DOGI. KEIKO-NAGINATA. – Variante da addestra-mento della NAGINATA. KEIKO-YARI. – Variante da addestramento, in legno, della YARI. KEKKA FUZA. – Postura tradizionale della medi-tazione ZEN: a gambe incrociate, nella posizione del “loto completo”; è anche ammesso il “mezzo loto”, HANKA FUZA, e, in casi particolare la postura SEIZA. KEKOMI. – “Colpo penetrante”. Indica l’azione di-retta verso un punto, situato oltre il bersaglio, nel quale si focalizzano le forze psicofisiche di chi attacca. [si veda KIME]. KEMPO. – “Pugilato”; “la Via del Pugno”. Tecniche di percossa (calci e pugni) d’origine cinese, giunte in Giappone attraverso l’isola di OKINAWA dove, introdotte verso il 1600, influenzano profonda-mente l’originale OKINAWA-TE. Gli esperti di KEM-PO (conosciuto anche con i termini HAKUDA e Shu-haku) sono usi colpire con forza ed estrema velo-cità, movendosi con incessante agilità durante il combattimento. Da quest’Arte Marziale, nel tem-po, emerge il KARATE. Il KEMPO fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Mi-natsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BU-GEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve cono-scere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. KEN. – “Spada”. Tipo di spada comparso in tempi protostorici (Periodo KOFUN, secolo IV-VII). Ha forma d’origine cinese e la lama, di ferro forgiato (e normalmente di scarsa qualità), è diritta, a due tagli, lunga non più di 40 cm; a volte s’allarga leg-germente alla punta. I fornimenti sono anch’essi di ferro, con lunga impugnatura – di solito a ner-vature – POMO spesso ad anello ed elso con bracci terminali arricciati. La forma è ripresa nelle spa-de votive ed in quelle per le cerimonie nei templi. Proprio alcuni templi, in particolare quello di To-dai-ji, a NARA, custodiscono eccellenti esemplari di spade dei secoli VII e VIII, la maggior parte delle quali ad un solo filo, a dimostrare l’evoluzio-ne nelle tecniche di combattimento. È sinonimo di TSURUGI. [si veda anche la voce “lama”, nella Terza Parte].

– “Tagliare”. – “Attaccare”.

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– “Prefettura”. Suddivisione territoriale e amministrativa.

– “Pugno”. – Misura di lunghezza. Equivale a 6 SHAKU e

corrisponde a 1.757 cm a EDO, 1.818 cm a Nagoya, 1.908 cm a KYOTO. KEN DORI. – “Tecniche su attacco con spada”. Neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con la spada. Anche KEN TORI. KEN TAI JO-NO-AWASE. – Movimenti di ar-monizzazione in cui TORI impugna il KEN e AITE il JO. KEN TORI. – “Tecniche su attacco di spada”. Anche KEN DORI. KEN-BU. – “Danza rituale”. Fa parte – con le al-tre danze rituali – del patrimonio di conoscenza proprio d’ogni SAMURAI, così come le “otto Arti da Guerra” del BUGEI [si veda “ Antiche arti da guerra”]. Il KEN-BU, eseguito prima (come forma propiziatoria) e dopo ogni battaglia (per celebra-re le gesta guerresche), è accompagnato dal can-to di un poema in onore dei KAMI. È probabile che questa danza abbia influenzato lo YUMITORI-SHIKI dei SUMOTORI, oltre che le rappresentazioni sce-nografiche nel teatro sia KABUKI sia NŌ. [si veda anche la voce “Giappone. Danza”, nella Terza Par-te]. KENDO. – “La Via della Spada”, “la Via che ta-glia”. [si veda KEN]. È la Disciplina Marziale, un tempo conosciuta anche come GEKKEN e, ancor prima, come KEN-JUTSU, relativa al maneggio della spada. Il termine KENDO è utilizzato dal 1900 in poi – per opera di Abe Tate, dell’omonima Famiglia SAMURAI e della scuola ABE RYU – in luogo del più “guerresco” KEN-JUTSU, ancora usato per indicare quello che, dal 1876, è divenuto in pratica uno sport. È merito di SAKAKIBARA KENKICHI, dello JI-KISHIN KAGE RYU, se l’antichissima forma di com-battimento con la spada riesce a sopravvivere nei tempi nuovi che seguono alla Restaurazione MEIJI. Dapprima reso facoltativo (1871) quindi proibito (1876) il porto della spada, ai SAMURAI non resta che allenarsi con lo SHINAI ed il KEN-JUTSU pian piano si trasforma in una forma di combattimento codificato, una sorta di attività sportiva, che co-munque contribuisce all’addestramento psicofisi-co e spirituale dei giovani. Al 1909 risale la prima Accademia di KENDO, fon-data a Tokyo, destinata all’insegnamento di quella Disciplina che, da allora, mai ha cessato di incar-nare la più profonda spiritualità marziale legata al maneggio della spada, da sempre simbolo del BU-

SHI. Il KENDO, come tutte le Arti e Discipline Marziali del BUDO, si propone di plasmare gli allie-vi, di far loro sviluppare uno spirito pronto e de-terminato, un fisico armonico e vigoroso attra-verso un allenamento rigoroso ma legato alla tra-dizione, alla cortesia, alla sincerità. In ogni modo, sono ancora le tecniche del KEN-JUTSU, opportunamente adattate da SAKAKIBARA KENKICHI e dai suoi successori, alla base delle re-gole del KENDO: colpi rapidi, netti e decisi, portati su bersagli predeterminati, considerati validi. In allenamento ed in gara i KENDOKA indossano un equipaggiamento protettivo, che è una versione moderna dell’antica armatura TAKE GUSOKU: casco (MEN), con maschera d’acciaio a griglia (MEN-GANE), imbottitura per la gola (TSUKI-DARE) e pro-tezioni per le spalle; corsaletto metallico o di bambù laccato per il petto (DO); protezione a grembiule per il ventre (TARE e TARE-OBI); brac-ciali e manopole imbottite (KOTE). Al di sotto, un pesante KEIKOGI (KENDOGI), normalmente bianco o blu, completo di HAKAMA, ampia abbastanza da na-scondere il movimento dei piedi nudi (il DOJO, normalmente, ha pavimento a parquet). Il KENDOKA deve entrare in uno stato psicofisico ideale (KIKENTAI-NO-ICHI) per realizzare un at-tacco efficace, lo deve eseguire con totale parte-cipazione, e deve esprimere con il KIAI l’energia interna, focalizzata nella tecnica. Sono ammessi solo fendenti (UCHI) e stoccate (TSUKI) ed il colpo è valido soltanto se eseguito con la punta (KEN-SEN) o con l’ultimo terzo (NAKAYUWAI) [la terza parte della “lama”, verso la punta] dello SHINAI e se l’attaccante indica il bersaglio mirato urlando-ne il nome, mentre colpisce. Nel combattimento i bersagli validi sono: la testa (MEN, di fronte; MI-GI-MEN, il lato destro; HIDARI-MEN, quello sini-stro) e la gola (TSUKI); l’avambraccio destro (MI-GI-KOTE) e, in alcuni casi, quello sinistro (HIDARI-KOTE); il corpo (DO, frontale; MIGI-DO, il fianco destro; HIDARI-DO, quello sinistro). Per colpire si utilizza lo SHINAI, la classica spada da scherma che ha peso e lunghezza diversi, in funzione dell’età del praticante ed è munita di TSUBA. È possibile impugnare lo SHINAI a due mani (ryote) o con una mano sola (katate), così come è consentito l’uso di due SHINAI, uno per mano, di lunghezza differente. I KATA di KENDO sono ese-guiti utilizzando una KATANA, non lo SHINAI né il BOKKEN: per questo molti considerano lo IAIDO il complemento naturale del KENDO.

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KENDO SHUGYO-NO-SHIORI. – “Allenamento al Kendo”. Importante opera sul KENDO, scritta nel 1930 circa da MAKINO TORU, Maestro della scuola HOKUSHIN ITTO RYU. KENDOGI. – “Abito per l’allenamento (KEIKO) nel-la pratica del KENDO”. Al normale KEIKOGI, di pe-sante cotone bianco o blu, completo di HAKAMA, si sovrappone l’equipaggiamento protettivo (DOGU). KENDOKA. – “Chi pratica il KENDO”. KENGI. – “Tecnica di spada”. KENGO. – “Esperto di tecniche di spada”. Pure kenkaku e kenshi. KENIN. – “Uomo di casa”. È il SAMURAI che, pur non legato da vincoli parentali con il Signore, vive all’interno del Clan, come se questo fosse una grande famiglia, la sua. Il KENIN, in cambio della sua fedeltà, riceve protezione ed il diritto ad una parte delle terre dello SHOEN. Nel Periodo KAMA-KURA (1185-1333) il rango di KENIN è considerato eccellente, una condizione dalla quale, però, si può decadere per punizione. Accade anche, più spesso di quanto si creda, che in un Clan siano accettati come KENIN dei SAMURAI provenienti da Clan in precedenza nemici; in questi casi si cerca di ac-centuare il legame contrattuale per mezzo di ma-trimoni combinati. È prerogativa dei KENIN pro-porre allo SHOGUN la nomina di propri seguaci, guerrieri validi e meritevoli, al rango ufficiale di SAMURAI, il livello superiore di combattente. KEN-JUTSU. – “Arte di usare la Spada”; “scherma”; “tecnica di spada”. È il termine che in-dica l’Arte di combattere utilizzando la spada ed anche le antiche Scuole che ne insegnano l’uso, come quella creata da Nodo nel 1346, anche se già dal secolo X i BUSHI considerano quella della spa-da – simbolo e “anima” del guerriero – l’Arte Mar-ziale per eccellenza, da tutti loro studiata e pra-ticata. È nella forma KEN-JUTSU, conosciuta anche come KEN-NO-MICHI, “la Via della Spada”, che il maneggio della spada e la scherma con quest’arma entrano nel patrimonio di conoscenze dei BUSHI: saper usare il KEN, la KATANA, e usarla al meglio, risulta essenziale e risolutivo tanto nei duelli quanto nelle battaglie, dove lo scontro tra guer-rieri di rango, spesso, si trasforma in tenzone in-dividuale. È evidente che nel novero delle tecni-che di KEN-JUTSU rientra anche lo IAI-JUTSU o BATTO-JUTSU, vale a dire l’arte di sfoderare e colpire immediatamente l’avversario. Già all’inizio del Periodo EDO (1600 circa), sono centinaia le Scuole (RYU) dove si insegna a combattere con la spada: in pratica ogni BUKE [Famiglia Militare] svi-

luppa un proprio metodo, uno stile particolare di KEN-JUTSU, insegnato da istruttori qualificati ai membri del Clan. Secondo un censimento ordinato dallo SHOGUN nel 1843, rispetto agli oltre 9.000 RYU catalogati in epoca prefeudale esistono anco-ra oltre 1.000 Scuole, ma solo 159 sono ufficiali: 61 di spada (prima erano oltre 2.000 e ben 400 erano dedicate allo studio del IAI-JUTSU), 29 di combattimento a mani nude, 14 di tiro con l’arco, 9 di equitazione e 5 in cui si praticano Discipline diverse. Dal 1876, in pratica, quando è proibito a tutti di portare armi, il KEN-JUTSU si evolve in KENDO, e l’antica Arte di combattimento si tra-sforma in un’attività di tipo sportivo. Ancora oggi, tuttavia, alcune Scuole di KEN-JUTSU e KENDO, di IAI-JUTSU e IAIDO sopravvivono, a testimonianza di una tradizione culturale (ed anche religiosa) in Giappone sempre meno “sentita”, ma non per que-sto da obliare. Tra queste si possono ricordare, ad esempio: ITTO RYU, ITTO SHODEN MUTO RYU, JIGEN RYU, KAGE RYU, MANIWA-NEN RYU, TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU. Il KEN-JUTSU – sia l’Arte sia il metodo – è noto come (o chiamato an-che) GEKKEN, HEI-HO, HYODO, KEN-NO-MICHI, TO-JUTSU, rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte, secondo la “Storia delle Ar-ti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714), delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. KEN-NO-AWASE. – Movimenti di armonizzazio-ne di TORI e di AITE, entrambi muniti di KEN. KEN-NO-MICHI. – “La Via della Spada”. Altra denominazione del KEN-JUTSU. KEN-NO-SEN. – “Prendere l’iniziativa”. Indica il concetto di assumere l’iniziativa in un attacco. KEN-NO-SHINZUI. – “Arte di risolvere i pro-blemi senza usare la Spada”. Ben applicata da TSUKAHARA BOKUDEN, quest’arte è tipica della dottrina “senza spada”, MUTO. Anche NUKAZU NI SUMU. KEN-NO-SUBURI. – “Colpi base di spada”. KENSAKI. – Punta della lama di spada. Anche KI-SAKI e KISSAKI. [si veda]. KENSAKI. – Si veda KISSAKI. KENSEI. – Tecnica di espressione dell’energia (KIAI), ma realizzata in modo silenzioso, in alcuni esercizi di meditazione.

– “Il santo della Spada”. Altro appellativo di MIYAMOTO MUSASHI.

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KENSEN. – “Punta” dello SHINAI. È ricoperta dal-la SAKIGAWA, di cuoio. KENSHIKAN. – Moderno stile di KARATE, prati-cato soprattutto nella zona di KYOTO. È analogo allo stile SHITO RYU e, come quello, si basa princi-palmente sullo studio, l’applicazione e l’interpre-tazione (bunkai) dei KATA. Il riferimento dottri-nale è agli antichi stili dell’OKINAWA-TE. KENSHIN RYU. – Moderno stile di KARATE. Lo elabora il Maestro HAYASHI TERUO, del KITO RYU. KENSHO. – “Vedere dentro la propria natura”. È l’esperienza ZEN del SATORI (di cui è sinonimo), la realizzazione del Buddha in sé (DAIGO TETTEI). [si veda ZEN]. KENSHO-MAWASHI. – “Grembiule da cerimo-nia” dei SUMOTORI. Spesso di notevole valore, è lungo, di seta, ricamato d’oro e argento, frangiato ai bordi. I SUMOTORI lo indossano prima del com-battimento, durante la presentazione rituale (DO-HYO-IRI). KEN-TO. – “Parte anteriore del pugno”. Pure SEI-KEN. KEN-TSUI. – “Pugno chiuso a martello”. Pure TE-TSUI. KEPPAN. – “Giuramento di sangue”. Antica tradi-zione dei RYU marziali: il nuovo allievo, alla sua ammissione nella scuola, sigilla col proprio sangue il giuramento di custodire per tutta la vita gli in-segnamenti ricevuti, senza rivelarli agli estranei. Con il KEPPAN, inoltre, sottolinea la serietà del suo impegno di tirocinante. Il nome di UESHIBA MORI-HEI compare nei registri del KASHIMA SHINTO RYU con un KEPPAN datato 16 maggio 1937. KERI. – “Calcio”. GERI, come suffisso. KERI-GOHO. – “Percossa” sui KYUSHO (“punti vi-tali”). L’attacco può essere di pugno o di piede. Comprende le seguenti “tecniche attive” (GOHO): colpo con il palmo della mano (IKI-TSUKI), il pugno (TSUKI) od il pugno opposto (GYAKU TSUKI); colpo con il gomito (HINERI UCHI); calcio frontale (MAE-GERI), all’indietro (URA-GERI o USHIRO-GERI), late-rale (YOKO-GERI) o circolare (MAWASHI-GERI). KESA. – “Fascia”. “Trasversale”. KESA è la stola, la fascia del monaco buddista, che, portata di traverso, dalla spalla all’anca opposta, simboleggia la povertà d’abbigliamento del Buddha. Indica an-che, per estensione, il bavero del KIMONO o del KEIKOGI. GESA, come suffisso. KESA-GIRI. – “Taglio del KESA”. Taglio eseguito avendo il bavero come obiettivo. Altro nome dello YOKO MEN UCHI.

KI. – “Energia”. “Energia interna del corpo”; “soffio vitale”, “respirazione”. “Energia dell’uni-verso”. “Vita”. È la contrazione della parola KAMI (“anima”, “spirito”). In un’accezione metafisica può intendersi come “il fiato originale”. Il concet-to espresso da questa parola (in Cina si dice QI, in India prana) è basilare nella cultura asiatica e s’identifica in tre livelli: universale, della specie e individuale. Il KI universale è all’inizio di ogni cosa e dà origine alla vita, mentre dal KI della specie, che è funzio-ne del precedente, dipende il mantenimento delle caratteristiche della razza e la sua propagazione. Il KI individuale è la manifestazione, in ciascun essere vivente, del KI universale e di specie; dal suo stato dipendono vita e salute dell’essere, ad ogni livello. Secondo il convincimento – e l’esperienza – di mol-ti, la concentrazione e la forza mentale, unite a questa energia “creatrice”, possono essere proiettate all’esterno, attraverso il KIAI. Altro importante aspetto che riguarda il concetto di KI è la cosiddetta “arte del respiro vitale” (KO-KYU): la concentrazione con cui si esegue il norma-le atto respiratorio, durante gli esercizi dedicati (KOKYU HO), “carica” di “qualità vitale” l’aria respi-rata, attivando il KI. Anche il potere del KI, come tutti quelli dati agli esseri umani, espresso com’è attraverso le sue a-zioni, può essere positivo o negativo. Per questo motivo, in Giappone, non si domanda, a chi s’incontra, “come stai”, bensì “come sta il tuo KI” e di un uomo si afferma che ha un KI forte (TSUYO-KI) o debole (YOWAKI) a seconda che la sua perso-nalità sia determinata e vivace oppure scialba, u-mile. Il KI, così come il KOKYU, è una forza neutra, che chiunque può padroneggiare, a prescindere da mo-ralità individuale e qualità spirituale. Si dice che UESHIBA MORIHEI sia uno dei pochis-simi uomini in grado di unire ed armonizzare i tre livelli di KI, l’universale, quello della specie e l’in-dividuale. Tra i molti che riguardano la sua padro-nanza del KI, si raccontano anche gli episodi che seguono. Pubblicamente sfidato da un giovane – e fanatico! – KARATEKA, pesante oltre 80 kg, O-SENSEI (che ne pesa meno di 57) accetta di essere colpito con un pugno al nudo petto. Al primo colpo, sferrato con slancio, UESHIBA MORIHEI nemmeno vacilla e, sorridendo, invita l’avversario a riprovarci. Il se-condo colpo, sferrato con slancio ancor maggiore,

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non solo lascia immobile il Fondatore, ma causa la frattura del polso del KARATEKA. Nel primo caso il Maestro, con la non-resistenza, ha assorbito il pugno; al secondo colpo, invece, riflette l’energia usata per colpirlo contro l’avversario, come un’on-da di ritorno. Un filmato in 35 mm, databile alla fine degli anni Cinquanta o inizio dei Sessanta, relativo ad una esibizione pubblica, mostra O-SENSEI attaccato da due robuste cinture nere di JUDO, che veloce-mente gli si scagliano contro con l’intento di af-ferrarlo. Il Fondatore, ultrasettantenne, alto po-co più di un metro e mezzo, resta tranquillamente in attesa, mentre i due si avventano, per poi spo-starsi ad una velocità tale che gli aggressori colli-dono violentemente. Solo un esame alla moviola consente di verificare che lo spostamento avviene nel “tempo” di due fotogrammi, quindi alla velocità di circa un quattordicesimo di secondo! Pare una alterazione alle leggi della fisica, ma non è altro che l’unione della mente e del corpo, in fusione con l’Universo… Un giorno, ormai gravemente ammalato e verso il termine della vita, si assopisce ed un discepolo cerca di sollevarlo per metterlo a letto. Non riu-scendoci, chiama un altro ad aiutarlo, poi un altro in aiuto ed un altro ed ancora uno. In cinque non riescono a smuovere UESHIBA MORIHEI, che sem-bra incollato a terra… Destatosi finalmente dal suo profondo torpore, O-SENSEI si scusa: incon-sciamente, ha unito («ho annodato con me») il cie-lo e la terra con sé. Rilassatosi, diviene leggero ed è facilmente sollevato da uno di loro. Il Maestro TOHEI KOICHI riassume in questo modo l’essenza del KI: «Nel contare, tutte le cose co-minciano col numero uno; è impossibile quindi che uno possa venire ridotto a zero. Come qualsiasi cosa non può essere fatta dal nulla, così uno non può essere fatto dallo zero. KI è come il numero uno; KI è formato da particelle piccolissime, più piccole di un atomo. Il KI universale diventa un in-dividuo, che, condensandosi, a sua volta diventa il punto nel basso addome [SEIKA TANDEN], che, an-cora infinitamente condensato, non diventa mai zero, ma uno con l’universo. Questa è l’essenza del KI». KI AIKIDŌ. – È un termine informale per indica-re la scuola fondata da TOHEI KOICHI nel 1974, la SHINSHIN TOITSU AIKIDŌ (“AIKIDŌ con la coordi-nazione mente-corpo”).

KI AWASE. – “Incontro del KI”. È l’armonizza-zione di TORi con AITE, mentre entrambi esprimo-no il proprio KI. KI TAI. – Lo “stato gassoso”. Quarto dei livelli di allenamento, è l’ultimo stadio, quello della perfe-zione. TORI induce AITE ad attaccarlo, ma quando questi arriva, egli non c’è più. Praticare KI TAI consiste nell’avviluppare AITE come in una nebbia, che sfoca il contorno degli oggetti. Guidando AITE sulla via dei suoi desideri, non è più necessario nemmeno toccarlo. La pratica di KI TAI è un eser-cizio d’incontro del KI (KI AWASE). KIAI. – “Unione delle energie”, realizzata nello HARA. “Unione delle anime”. È l’”espressione dell’energia”: realizza in sé il principio attivo dell’universo, l’AIKI; può essere in forma silenziosa quanto vocalizzata. È principal-mente di tre tipi ed ha altrettante accezioni: è un grido di vittoria (alto, acuto), al termine dell’a-zione; è un ”urlo paralizzante” (basso e grave), emesso dal combattente, mentre l’energia si e-sprime nello scontro; è la tecnica (respiro normale ma intenzionale) per risvegliare il KI e ridare la vita. Non è scientificamente dimostrata l’effica-cia del KIAI nel combattimento, a parte l’eventua-le disorientamento provocato nell’avversario, ma chi emette il KIAI durante l’azione, sicuramente riesce ad eliminare ogni altro pensiero dal suo spirito, concentrando tutta l’energia (KI) nell’atto. Le vibrazioni emesse nel grido, si dice, riescono a paralizzare per alcuni istanti l’avversario, sopraf-facendone le analoghe vibrazioni attraverso la forza mentale e fisica liberata in un solo, esplosi-vo istante. Di certo, soltanto chi esegue appro-priati esercizi (KOKYU) riesce ad emettere KIAI efficaci, che nascono dal TANDEN, dal “cuore [cen-tro] dell’individuo”, non certo dalle corde vocali. Proprio la possibilità di influenzare e modificare le vibrazioni altrui, è alla base di quelle tecniche di rianimazione (KAPPO, KUATSU) attivate da e-sperti in caso di stati d’incoscienza provocati da strangolamenti o traumi. L’operatore (TORI) prati-ca i KUATSU con un tempo sottolineato dal respiro intenso, acuto o grave, secondo le tecniche e l'o-peratore. Il KIAI si realizza in modo silenzioso (KENSEI) nel caso d’alcuni esercizi di meditazione. Il “grido del guerriero” non è certo prerogativa originale dell’Oriente. Già Marco Porzio Catone (234-149 a.C., detto “il Censore” perché ricopre tale carica nell’anno 184) – che inizia a servire Roma come semplice legionario – e di cui resta il celebre “delenda Chartago”, consiglia ai commili-

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toni: «un buon grido ed uno sguardo duro vi fa-ranno uccidere più nemici della spada». KIAI-JUTSU. – “Arte di sconfiggere un avver-sario con il KI ed il potere del KOKYU”. “Arte del grido che incontra lo spirito”. Come il KOTODAMA, è probabilmente nata in Cina – dove si narra che i monaci dell’originale SHAO LIN-SI siano capaci, con un potente grido, di far cadere un uccello in volo – per poi diffondersi anche in Giappone, dove gli antichi Maestri sono in grado sia di ferire sia di guarire, con il proprio KIAI. Sempre in Cina, nel-la terapeutica tradizionale del QI GONG [si veda], le vocalizzazioni, i suoni, sono utilizzati per diri-gere l’energia del paziente lungo i meridiani. Da sempre il KIAI-JUTSU è considerata un’Arte esoterica, oggi certamente quasi del tutto perdu-ta. KIBA-SEN. – “Arte del combattimento a cavallo” (a piedi: TOHO-SEN). KICHO. – “Cortina (di gala)”. Nel Periodo HEIAN (794-1156) è costume, per le Dame di rango, rice-vere visite al riparo di un tendaggio portatile: due aste, alte 120 cm. e montate su una base di legno laccato, reggono un bastone di oltre 2 metri, da cui pendono tende di seta. KI-GA-NUKERO. – “Perdere il KI”. [si veda “ Considerazioni sul KI”]. KIGO. – Negli HAIKU, è la parola od espressione posta ad indicare la stagione in cui è ambientata la composizione poetica. È, unitamente alla metri-ca di diciassette sillabe, tratto caratteristico – e rigoroso – degli HAIKU. KIHON. – “Base”; “basico”. È lo studio e la ripe-tizione continua di un movimento di base o di una tecnica fondamentale di un’Arte Marziale, con lo scopo di poterli eseguire istintivamente, senza che intervenga il pensiero cosciente. KIHON DOSA. – “Movimento di base (o fonda-mentale)”. KIHON KATAME WAZA. – “Tecniche-base di immobilizzazione”. Sono cinque: IKKYO, NIKYO, SANKYO, YONKYO e GOKYO. KIHON KUMITE. – Studio – fatto individualmen-te – dei movimenti di base di un’Arte Marziale, simulanti un combattimento (KUMITE). KIHON NAGE WAZA. – “Tecniche-base di proiezione”. Le principali sono tredici: - IRIMI NAGE, - KOTE GAESHI, - SHIHO NAGE, - UDE KIME NAGE, - KAITEN NAGE, - TEN CHI NAGE, - KOSHI NAGE, - KOKYU NAGE, - AIKI NAGE, - SUMI OTOSHI, - JUJI GARAMI, - UDE GARAMI, - USHIRO KIRI OTOSHI.

Anche KOKYU WAZA. KIHON WAZA. – “Tecnica di base”. KI-IKU. – “Formazione e sviluppo (IKU) dell’es-senza (KI)”. Si veda IKU. KIKAI. – “Coscienza”; “riprendere coscienza”.

– “Oceano del KI”. Indica quell’istante che se-para due movimenti, di difesa o attacco, durante un combattimento. Uno dei combattenti – perce-pendolo e concentrando il proprio KI nell’HARA – può approfittare del momento di relativa debo-lezza dell’avversario. [si vedano HARA, TANDEN]. KIKAI-SO-KUATSU. – Procedimento integrale addomo-toracico. È un KUATSU ad azione globale. [si veda SO-KUATSU]. KIKENTAI-NO-ICHI. – È quella condizione ot-timale nel combattimento, ora soprattutto nel KENDO, in cui energia (KI), spada (KEN) e corpo (TAI) sono uniti, fusi, armonizzati. I tre elementi, in pratica, costituiscono una cosa sola, volta all’at-tacco. KIKI. – Misura di lunghezza per i tessuti. Vale 2 TAN. KIKKA. – “Fiore d’arancio”. È il nome del prototi-po di velivolo a reazione – allo studio dal 1936 - collaudato nel 1945 e mai utilizzato operativa-mente. KIKKO. – “Corazza di tartaruga”. Armatura leg-gera, utilizzata (secoli XV e XVI) soprattutto da persone a piedi, nei viaggi o in occasioni particola-ri. Si tratta, in pratica, di una corta giacca di tes-suto trapuntato, al cui interno ci sono piccole pia-stre esagonali, forate al centro. Le piastre, di cuoio duro, osso o acciaio, sono tenute con legacci che passano dal foro centrale. KIKUSUI. – “Crisantemo galleggiante”. È il nome attribuito alle prime dieci missioni suicide, con-dotte durante gli sbarchi americani ad OKINAWA, dal 6 aprile al 21 giugno 1945. Il nome è un omag-gio a KUSUNOKI MASASHIGE, in ricordo del pennac-chio di crisantemi che costituisce il suo cimiero (KUWAGATA). KUSUNOKI MASASHIGE è un sempre citato esempio di fedeltà all’Imperatore, dedizio-ne assoluta al dovere e coraggio estremo. KIMARITE. – Termine che indica le 48 prese au-torizzate, utilizzate nel SUMO per far cadere l’avversario o spingerlo fuori del “cerchio sacro”. Pare che la codificazione di queste prese risalga a SHIGA SEIRIN, il primo arbitro (GYOJI) nominato prima NUKIDE-NO-TSUKASA, quindi “giudice” (HO-TE) dall’Imperatore, nel 740. Anche SHIJUHATTE. KIMBEI KUSAKABE. – Pare sia il primo fotogra-fo giapponese, con studio a Yokohama. È ancora

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oggi famoso per le immagini minuziosamente com-poste, che ritraggono i costumi tipici del suo tem-po, e per le diligenti vedute panoramiche – accu-ratamente dipinte a mano, ad acquarello, alla ri-cerca di un’assoluta verosimiglianza – eredi della precisa, particolareggiata iconografia delle clas-siche stampe giapponesi. Inizia come assistente del barone tedesco Raimund von Stillfried, che è tra primi stranieri a poter viaggiare nel Giappone della Restaurazione MEIJI. Il barone predilige ri-tratti in studio, con fondali neutri, per focalizza-re l’attenzione sull’interiorità e sui costumi sociali dei soggetti fotografati, che paiono osservati con il tipico sguardo di chi esplora usi, abitudini e stili di vita inusuali. Ogni fotografia è poi accurata-mente dipinta a mano, come spesso usa in quegli anni, non solo per avvicinarla il più possibile al reale, ma anche per riallacciarsi alla tradizione artistica giapponese, in cui la stesura del colore è un fondamentalmente un elemento culturale. È anche grazie alla diffusione in Europa di queste immagini, che evocano la realtà ed il ricordo di un mondo lontano e fantastico, che si afferma lo JA-PANISME. KIME. – “Estensione dell’energia”. “Determina-zione”. È la focalizzazione delle energie psicofisi-che e può essere fatta sia nel proprio HARA sia in un punto oltre il bersaglio (KEKOMI). È lo “spirito di decisione”, tipico delle tecniche delle antiche Arti Marziali e fatto proprio dal Fondatore nell’AIKIDŌ. Il KIME, unitamente agli spostamenti rapidi e coordinati del corpo (TAI SABAKI), alle schivate, alle leve articolari, è il solo adatto alla difesa contro uno o più avversari, contro i quali è usata la loro stessa forza.

– Piegare una giuntura secondo il movimento naturale. KIMITAKE HIRAOKA. – Si veda MISHIMA YU-KIO. KIMOCHI. – “Intenzione aggressiva”. KIMONO. – “Abito tradizionale” giapponese, ma-schile e femminile, normalmente ampio, lungo, con maniche a “tre quarti”. “Status”, temperatura e occasione determinano tipo di tessuto (esistono – rarissime – vesti da cerimonia in fibra di banano!), quantità, qualità, spessore e colore dei numerosi KIMONI INDOSSATI, essendo questo, spesso, anche un tangibile segno del rango e della carica rivesti-ta. Il KIMONO può essere più o meno lungo, anche con strascico, ed avere le maniche ampie o stret-te. Le nobili, a Corte, usano indossarne molti, l’uno sopra l’altro (il numero è fissato ad un massimo di

cinque, nel secolo XII, ma le principesse di rango elevato giungono a sovrapporne anche diciotto!), di tinte diverse, disposti in modo tale che tutti i colori sovrapposti sono visibili. Le popolane usano un KIMONO semplice, protetto da una gonna-grembiule (yumaki) e spesso, d’estate, nei campi, sfilano le maniche e lavorano a torso nudo, senza peraltro destare curiosità alcuna, tanto meno scandalo. KIN. – “Testicoli”. Anche KOGAN. KIN HIN. – “Meditazione in cammino”. Può esse-re sia una sorta di intervallo tra due sedute di ZAZEN, per “sgranchire le gambe”, sia una forma autonoma di meditazione. KIN-GERI. – “Calcio ai testicoli”. KIN-KUATSU. – Massaggio antalgico pelvico. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU particolari: percussioni riflessogene adat-te per traumi pelvico-addominali. Si attuano per regolare turbe neuro-vegetative, sollevare da stati sincopali e migliorare la funzionalità dopo la rianimazione. KI-NO-KENKYUKAI. – “Società per la Ricerca del Ki”. È fondata da TOHEI KOICHI nel 1971, quando ancora è Istruttore Capo all’AIKIKAI HON-BU DOJO. Egli, attraverso questa Associazione, vuole diffondere la sua metodologia d’insegna-mento, che enfatizza il concetto del KI, al fine di raggiungere l’unificazione mente-corpo. Quando poi, nel 1974, si dimette dall’AIKIKAI, il Maestro TOHEI KOICHI fonda la sua scuola, la SHINSHIN TOITSU AIKIDŌ. Oggi i termini KI-NO-KENKYUKAI e SHINSHIN TOI-TSU AIKIDŌ sono praticamente intercambiabili, anche se la prima, in effetti, è l’Associazione che rappresenta la scuola. KI-NO-MICHI. – “La Via del Ki”. Moderno stile di AIKIDŌ, ideato nel 1979 da un allievo di O-SENSEI, Noro Masamichi, come forma idealizzata e perfezionata di tecnica difensiva. KI-NO-MUSUBI. – “Unire se stesso all’altro”. Indica il fondersi del KI dei praticanti, in un’unità senza soluzione di continuità. È uno dei più impor-tanti “fattori interni” dell’AIKIDŌ, unitamente ad AIKI (che gli somiglia), KI-NO-NAGARE e KOKYU HO. KI-NO-NAGARE. – “Corrente dello spirito”. “Flusso del KI”. È uno dei più importanti “fattori interni” dell’AIKIDŌ, unitamente ad AIKI, KI-NO-MUSUBI e KOKYU HO. Normalmente KI-NO-NAGARE s’affronta dopo un allenamento di tecniche fon-damentali: serve a sensibilizzare i praticanti sul fluire del KI tra loro. KI-NO-NAGARE è uno dei

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concetti primari delle Arti Marziali. [si veda an-che “ Considerazioni sul KI”]. KI-NO-NAGARE WAZA. – “Tecnica fluida”. KINTEKI. – “Testicoli”. Punto dei testicoli. KYU-SHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure TSURIGANE. KIRA KOZUKENOSUKE. – Maestro delle Ceri-monie alla Corte dello SHOGUN TOKUGAWA TSUNA-YOSHI, a EDO. Il suo ferimento da parte del DAIMYO ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI, co-stretto poi a compiere SEPPUKU, origina la rappre-saglia dei gregari di questi, quella che, poi, è ri-cordata coma la “Saga dei Quarantasette Ronin”. [si veda la relativa voce, nella Terza Parte]. KIRI. – “Tagliare”. Esprime “l’azione del tagliare” (con arma bianca) o il rapido movimento di brac-cio, mano, pugno, o piede. GIRI, come suffisso. KIRIKAMI. – “Primo certificato”. Diploma di pri-mo grado, nell’antico sistema di classificazione del BUGEI. KIRISUTE-GOMEN. – È il diritto del SAMURAI ad abbattere un appartenente a classe inferiore che lo offende. Così recita: «La gente comune che si comporta male nei confronti dei membri appar-tenenti alla classe militare, o che dimostra poco rispetto per i vassalli diretti o indiretti, può es-sere uccisa sul posto». Pare che questo diritto non sia frequentemente applicato, ma, in ogni ca-so, è il simbolo di un’autorità che non può, e non deve, essere messa in discussione. KIRITSU. – “Alzarsi in piedi”. KIRI-TSUKE. – “Tagliare”. È l’azione di tagliare con la spada, dopo averla sguainata (NUKI-TSUKE). È una delle tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO e precede CHIBURI (“pulire la lama”) e NOTO (“rin-foderare”). KIRU. – “Tagliare”. KISAKI. – Punta della lama di spada. Anche KEN-SAI e KISSAKI. [si veda]. KISERU. – “Pipa”. È la tipica pipa dal lungo can-nello (rao), con bocchino (suikochi) e piccolo for-nello metallico (gankubi). Alla pipa – generalmente trasportata in un portapipa (KISERU-ZUTSU) s’ac-compagna una scatola (TONKOTSU) o una borsa (TABAKO-IRE) di pelle o stoffa, per il TABACCO. Il cannello di una pipa da uomo è lungo da 15 a 20 cm; le donne usano pipe con cannello che arriva a 60 cm. Nei secoli XVI e XVII, però, si diffondono pipe tutte di metallo, con cannello lungo fino a 120 cm – spesso munite di una vera e propria TSU-BA – che talvolta sono addirittura trasportate da un servitore apposito. Nel 1609 il BAKUFU di EDO

proibisce tanto il fumo in sé (è un’attività antie-conomica e troppi sono gli incendi provocati da fumatori distratti) quanto, nello specifico, il por-to delle lunghissime pipe, vere e proprie armi da botta che tanta parte hanno nei disordini cittadi-ni. Dal 1610, per aggirare l’editto che ne vieta produzione e vendita, il tabacco da fumo è chia-mato “tè di lunga vita”. KISERU-ZUTSU. – “Portapipa”. Spesso laccato e decorato, serve a proteggere la pipa. KISHA HASAMI MONO. – Scuola di YABUSAME, fondata dall’ottavo SHOGUN TOKUGAWA, Yoshimu-ne (1716-1745). KISHIN. – “Patrocinio”, “raccomandazione”. È la pratica adottata, durante la Reggenza FUJIWARA (890-1185), per non pagare tasse, da molti possi-denti terrieri. Alcuni proprietari di SHOEN hanno il privilegio di non pagare tasse per le loro pro-prietà private, ad esempio perché non soggetti al controllo dei funzionari incaricati della riscossio-ne o perché si tratta di templi. Altri proprietari, soggetti alle imposte, ricorrono allora al KISHIN: fanno nominalmente dono delle proprie terre ad un possidente esente (che può così ingrandire il proprio SHOEN), ad un monastero o ad un centro religioso.

– “Ritorno alla Testa del dio”. Stato di unione mistica con il divino. Si veda CHINKON-KISHIN. KISOKU. – “Respirazione prolungata” (è compo-sto di KI). KISSAKI. – Punta della lama di spada. Nel caso di SHINAI si chiama, più propriamente, KENSEN e la copertura di cuoio è la SAKIGAWA. Per la sola KA-TANA il KISSAKI è composto di quindici distinti e-lementi, ognuno con il suo nome proprio. Anche KISAKI e KENSAI. KISURIYUBI. – “Dito anulare”. KITAI. – “Con il KI”. KITANOMARU-KŌEN. – È il parco, al centro di Tokyo, consacrato ai caduti nella Seconda Guerra Mondiale. Circonda il tempio shintoista di YASU-KUNI-JINJA. KITO. – “Cadere e rialzarsi”. Più poeticamente: “sorgere e tramontare”. Nome di un’antica scuola di JU-JUTSU. KITO RYU. – Antica e celebre scuola d’Arti Marziali. Sono materie d’insegnamento, all’inizio, soprattutto KEN-JUTSU, BO-JUTSU, JU-JUTSU, IAI-JUTSU e KUSARIGAMA-JUTSU. Pare che l’abbia fondata, alla fine del secolo XVI, IBARAGI SEN-SAI, discepolo dello YAGYU SHIN-KAGE RYU. La ba-se filosofica dell’insegnamento si trova in due te-

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sti antichi, HONTAI e SEIKO, conservati dal mona-co e Maestro TAKUAN SOHO, propugnatore della teoria MUTEKATSU (“schivare con lo spirito”), che tenta di trasformare lo JU-JUTSU in un’Arte meno violenta e più “estetica”. TERADA KAN.EMON, SA-MURAI di basso rango, nell’ambito del KITO RYU sviluppa una forma di combattimento senz’armi e non mortale, chiamata JUDO e impianta quindi una propria scuola, denominata JIKISHIN RYU. Il KITO RYU dà origine anche ad altre Scuole d’Arti Mar-ziali, tra cui il TEISHIN RYU di TERAMA HEIZAEMON ed il Fukuno Ryu di FUKUNO SHICHIROEMON, il KENSHIN RYU di HAYASHI TERUO. UESHIBA MORI-HEI, nel 1901, studia JU-JUTSU al KITO RYU con il Maestro Tozawa Tokusaburo. Ancora oggi – nel KODOKAN JUDO, col nome di KOSHIKI-NO-KATA – sono insegnati i cinque principali KATA preservati di questo stile. KI-WO-DASU. – “Realizzare il KI”. [si veda “ Considerazioni sul KI”]. KI-WO-KIRU. – “Interrompere il KI”. [si veda “ Considerazioni sul KI”]. KI-WO-NERU. – “Esercitare il KI. [si veda “ Considerazioni sul KI”]. KI-WO-TOTONOERU. – “Preparare il KI”. [si veda “ Considerazioni sul KI”]. KO. – “Piccolo”; “anziano”, “antico”. Nel significa-to di “piccolo”, un sinonimo è SHO.

– “Lettura”, “studio”; con riferimento al “luo-go dove studiare la Via”. Si veda JUDO.

– “Artigiano”. Anche SHOKUNIN. – “Pietà filiale”. Uno dei punti del BUSHIDO.

[si veda]. – “Donna nobile”. È il carattere che, tradizio-

nalmente, entra nel nome delle donne appartenen-ti alla Casa imperiale, come, ad esempio Mako e Kako, figlie di Akishino, secondogenito dell’impe-ratore Akihito.

– È la versione fonetica di un ideogramma ci-nese, che indica la connotazione pubblica. In Giappone è utilizzato e identifica la “dimensione pubblica” della cultura nazionale, che è distinta da quella “militare” (BU) e da quella “civile” (BUN). KO, nella variante fonetica KU, compare nei termini composti KUGE e KUGYO, che si riferiscono ai “no-bili pubblici”, distinti da BUKE e BUMON, che iden-tificano le “famiglie militari”. KO TAI. – Lo “stato solido” È il primo dei livelli di allenamento: solido e preciso. La forza fisica, impiegata sinceramente, serve a rafforzare mu-scoli ed ossa, mentre studiare ed eseguire le tec-

niche con precisione permette di forgiare un ani-mo immutabile. KOAN. – Il significato originale è: “caso giuridico che stabilisce un precedente legale”; “principio di governo”. Nello ZEN indica un principio di verità eterna trasmesso da un Maestro, ma soprattutto designa una massima enigmatica, una storia appa-rentemente irragionevole o paradossale, un pro-blema contraddittorio dell’esistenza, che il ROSHI assegna ad un discepolo come argomento di medi-tazione. L’allievo dovrebbe risolvere il KOAN, per aiutare il proprio “risveglio” piuttosto che per e-saminarne la profonda attuazione, mettendoci ore o giorni interi per analizzarlo. Quasi sempre, pe-rò, l’interpretazione del discepolo non è accettata dal Maestro, che lo manda nuovamente a medita-re, per trovare la “risposta”. Poco alla volta il di-scepolo capisce che il KOAN non può essere analiz-zato o interpretato analiticamente, ma la mancan-za di una risposta è essa stessa una soluzione, una soluzione che si conosce solo vivendola. La vera meditazione KOAN mette l’allievo in una si-tuazione tale per cui s’identifica talmente con il rompicapo propostogli, che sente se stesso, il suo “io”, come un indovinello senza risposta, fino al giorno in cui non si rende conto che la sua incapa-cità (o l’impossibilità) di comunicare agli altri una risposta oggettiva al KOAN è non un problema, ma fonte di gioia: ha raggiunto l’”illuminazione”, si ac-cetta per quello che è. Il KOAN ZEN è un “mezzo” educativo, che porta lo studioso – sotto la guida del suo ROSHI ed attraverso una pratica interiore severa e intensa – ad uno stato di “coscienza pu-ra”, che non è più “coscienza di”. I KOAN documentati sono circa 1700; un esempio è il seguente. Allievo: «Se tutti i fenomeni ritor-nano all’UNO, dove ritorna l’UNO?». Maestro Jo-shu: «Quando vivevo a Seiju feci un mantello di canapa che pesava dieci libbre». Le parole di Bas-sui, ROSHI vissuto nel secolo XIV, aiutano forse a capire meglio: «Quando i tuoi interrogativi diver-ranno sempre più profondi, non otterrai risposta, finché giungerai in un vicolo cieco, con il pensiero del tutto arrestato. Non troverai nulla che si pos-sa chiamare “mente” o “io”. (…) Continua a prova-re, e svanirà la mente che s’accorge che non c’è nulla: non avrai più coscienza dei tuoi interrogati-vi, ma solo del vuoto. Quando anche la consapevo-lezza del vuoto scomparirà, scoprirai che non c’è nessun Buddha al di fuori della mente e nessuna mente al di fuori del Buddha (…) scoprirai che quando non odi con le tue orecchie odi veramente

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e quando non vedi con i tuoi occhi vedi veramente i Buddha del passato, del presente e del futuro, ma non attaccarti a qualcuno di questi, solo spe-rimentalo per te stesso». KOBAYASHI KOEMON TOSHINARI. – Maestro di IAI-JUTSU. Fonda la scuola MIZUNO SHINTO RYU. KOBO-ICHI. – “Unità in attacco e difesa”. È il concetto alla base dello JU-JUTSU classico: attac-co e difesa, nel combattimento, sono la medesima cosa, assumendo priorità diversa in base alle cir-costanze. KOBORE. – “Tibia”. KO-BUDO. – “Antiche Arti Guerriere”. Prendono il nome di KO-BUDO le Arti Marziali insegnate in alcune determinate Scuole, come lo JU-JUTSU de-gli stili YOSHIN RYU, TENJIN SHIN’YO RYU, Takeu-chi Ryu, ed anche certe particolari Discipline, co-me TAI-JUTSU, HOGU-JUTSU, HO-JUTSU, SO-JUTSU, YOROI-KUMIUCHI, KYU-JUTSU dell’OGASA-WARA Ryu. Il termine di KO-BUDO va anche a quel-le Arti Marziali in cui si utilizzano armi non con-venzionali (o d’origine non convenzionale), tanto indigene (per esempio KUE, KUSARI-GAMA, NAGINA-TA) quanto importate da zone esterne al gruppo principale dell’Arcipelago Giapponese, come le iso-le Ryukyu (NUNCHAKU, TONFA e JITTE). KOBU-JUTSU. – Metodo di difesa personale. Lo inventa HOSHI TETSUOMI, allievo di UESHIBA MO-RIHEI; per questo motivo alcuni considerano il KO-BU-JUTSU come una scuola (stile) di AIKIDŌ. KO-BU-JUTSU. – “Antiche Arti da Guerra”. Rientrano in questa classificazione tutte le anti-che forme di tecniche destinate all’utilizzo in guerra: la KUSARI-GAMA, ad esempio, impiegata sul campo di battaglia. KOBUKAN. – “Palestra del Valore Marziale Impe-riale”. È il primo, vero DOJO d’AIKIDŌ del Maestro UESHIBA MORIHEI, completato ed inaugurato nel mese di aprile del 1931 a Tokyo, grande 80 TATA-MI. La pratica è intensa: al mattino dalle 6 alle 7 e dalle 9 alle 10, il pomeriggio dalle 14 alle 16 e dal-le 19 alle 20, ma accade che gli UCHI DESHI, gli al-lievi residenti – veri e propri “attendenti” del Ma-estro, che si occupano di tutti i servizi: non paga-no retta, ma portano in dote denaro o cibo, mate-riali o lavoro – siano svegliati in piena notte per provare le nuove tecniche che O-SENSEI s’è so-gnato. “Erede” amministrativo (e spirituale) del KOBUKAN è AIKIKAI HONBU DOJO di Tokyo. KOBUSHO. – È la scuola d’Arti Marziali degli SHOGUN TOKUGAWA.

KOCHO. – “Farfalla”. KOCHU. – “Base del cranio”. 1^ vertebra cervica-le. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATE-MI. KO-DACHI. – “Piccola sciabola”. Altro nome del WAKIZASHI. KODANSHA. – È il praticante d’Arti Marziali, Cintura Nera. In alcune Scuole e Discipline è dal 5° DAN in su, in altre dal 3° in poi. KODENKO. – Zona della 4^ vertebra lombare; estremità inferiore della colonna vertebrale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KODO. – “La Via dei Profumi”. È la Via dell’incen-so, del legno profumato che si consuma bruciando. KODO-BORI. – È lo sfruttamento delle miniere per mezzo di pozzi e gallerie orizzontali. KODOKAN. – “Il Luogo per Studiare la Via”. Il termine deriva da KO (lettura, studio, esercizio), DO (via, metodo, dottrina) e KAN (sala o luogo) ed è il nome che il fondatore dello JUDO, il Maestro KANO JIGORO, dà nel 1922 al Centro da lui fonda-to, a Tokyo. È qui che si forma il maggior numero di istruttori, anche stranieri, ed è al KODOKAN che i KODANSHA arrivano per perfezionarsi. Dal 1962 la sede del KODOKAN è un fabbricato, chia-mato BUDOKAN (meglio, NIPPON BUDOKAN) che o-spita Maestri non solo di JUDO, ma anche di Arti e Discipline Marziali affini, come AIKIDŌ ed alcu-ne Scuole di JU-JUTSU. Il KODOKAN ha per em-blema il SAKURA, il fiore di ciliegio; la sua regola è quella dello JUDO, che ogni JUDOKA deve sotto-scrivere: «una volta entrato nel Kodokan, non in-terromperò i miei studi senza valido motivo; non disonorerò mai il Dojo; senza autorizzazione non insegnerò lo Judo, non svelerò e non mostrerò i segreti appresi; da allievo o da insegnante, segui-rò sempre le regole del Dojo». KŌEN. – “Parco”, “giardino”. KOFUN. – Enorme tumulo funerario. Sono tombe megalitiche, dove viene sepolta l’élite del tempo, i primi imperatori, i capi dei Clan dominanti (UJI) del Periodo YAYOI (dal 300 a.C. al 300 d.C.). Con-tengono statuine di varie forme (HANIWA), prime rappresentazioni artistiche dei guerrieri dell’e-poca e, talvolta, primitivi esemplari d’armature di ferro (TANKO) ed armi, come spade TSURUGI e KEN.

– È il nome del Periodo protostorico del Giap-pone, dal IV al VII secolo., conosciuto anche come Periodo YAMATO. KOGA RYU. – Scuola di NINJUTSU. Pare sia atti-va nell’omonima Provincia, culla – con quella d’Iga – di quest’Arte.

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KOGAI. – Sorta di spillone o stiletto; coltello ad ago. È fatto in un pezzo solo, di rame, ferro o lega metallica, intarsiato e decorato (MON, animali, piante, figure umane o fantastiche); la lama, smussata, ha impugnatura piatta. Generalmente è abbinato alle spade SHO-TO, unitamente al KOZUKA e spesso inserito, con questi, nel fodero (SAYA) delle spade DAI-TO. Il KOGAI, vero e proprio at-trezzo “mille usi”, è utilizzato sia per impieghi quotidiani – mangiare (esistono modelli con la lama divisa in due nel senso della lunghezza, a formare una sorta di forcina o un paio di bacchette) o ac-conciarsi i capelli; come una specie di lesina, per riparare oggetti di cuoio o come arma – sia per trasportare la testa mozzata del nemico, infilato nella crocchia dei capelli o negli occhi. Si racconta anche che, spesso, il KOGAI serva ad uccidere compagni d'armi, feriti senza speranza, incidendo loro le vene. Con il passare del tempo quest’og-getto si trasforma in una presenza simbolica, tradizionale. KO-GAKE. – “Calzature” dell’armatura. Sono, spesso, in pelle d’orso. Anche KE-GUTSU. KOGAKU OSHO. – (1465-1548) Monaco della setta esoterica buddista RINZAI. Insegna lo ZEN a Go-Nara, imperatore nel 1526 e dal 1536 al 1557. KOGAN. – “Testicoli”. Anche KIN. KOGAN-KUATSU. – “Percussioni del piede”. Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU par-ticolari, adatti a traumi e dolori pelvici – quindi sia di rianimazione sia antalgici – attuati con per-cussioni riflessogene. KOGATANA. – Coltellino, fornimento di spada o pugnale, nel cui fodero è inserito. Anche KOZUKA. [si veda]. KOGEKI. – “Attacco”. KOGEN ITTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU (spa-da sia lunga, O-DACHI, sia corta, KO-DACHI) e NA-GINATA-JUTSU. la fonda, nel 1783 circa, Henmi Tashiro Yoshitoshi ed è tuttora in attività. KOGUSOKU. – Armatura leggera. È la tipica pro-tezione dei soldati a piedi (ZUSA), completata da un elmo aperto (JINGASA o KASA), di cuoio laccato, rame, legno o ferro. KOGUSOKU-JUTSU. – Forma di combattimento ideata da TAKENOUCHI CHUNAGON DAIJO HISAMO-RI nel 1532. In questo tipo di lotta si utilizza un bastone – o altra arma corta – contro guerrieri protetti da armatura leggera. Lo stile è anche detto TORITE-KOGUSOKU.

KOHAI. – “Minore”. Chi ha meno anzianità, anche nella pratica di un’Arte Marziale. Sovente è affi-dato ad un SEMPAI (“maggiore”), che gli è “supe-riore” e che egli può imitare, quando non sa come muoversi o cosa fare. Ancora oggi, nella cultura giapponese, è forte il senso del rapporto, della relazione tra “inferiore” e “superiore”, in ogni settore e ad ogni livello del-la società civile. KOHO. – “Rotolare indietro”. KOHO KAITEN UNDO. – Si veda KOHO UKEMI UNDO. KOHO TENTO UNDO. – “Cadere indietro e rial-zarsi proiettando il KI avanti”. Fa parte degli e-sercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). KOHO UKEMI UNDO. – “Rotolamento continuato e controllato indietro”. Fa parte degli esercizi fi-sici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Anche KOHO KAITEN UNDO. KO-HYOTEKI. – “Bersaglio”. Sommergibile ta-scabile a propulsione elettrica. Progettato negli anni ’30 del ‘900, è utilizzato fino al maggio 1942 (operazione contro il porto di Sidney). KO-INAZUMA. – Zona “sotto i glutei”. Punto dell’inserzione del nervo sciatico. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KOJIKI. – “Memoria degli Antichi Fatti”; “Memo-rie degli Avvenimenti dell’Antichità” (o “Storia Antica”, o anche “Registro delle Questioni Anti-che”). Sono gli annali ufficiali del Periodo NARA, in tre volumi, compilati dal 712. La tradizione vuole che sia l’imperatore Temmu, nel 681, ad ordinare allo scriba O-NO-YASUMARO di redigere l’opera ed egli trascrive fedelmente le parole di HIEDA-NO-ARE, il miglior rappresentante della Corporazione dei Narratori (KATARIBE). Il KOJIKI è tra le prime opere della letteratura giapponese, unitamente a cronache e gazzette: gli “Annali del Giappone”, NIHONJI, 720; i “Libri dei luoghi e dei costumi”, FUDOKI, inizio secolo VIII. In pratica, il KOJIKI è la trascrizione, in ideo-grammi cinesi, dei più antichi miti tradizionali e popolari, prima tramandati solo oralmente, che narrano la creazione del Giappone e la storia dei primi 33 Imperatori. Il KOJIKI, tra l’altro, è noto in particolare per il racconto che fa del leggendario combattimento (KUNI-YUZURI SUMO) tra i due KAMI (o, molto più probabilmente, due capi Clan) Takemikazuchi e Takemi-no-kata, per assicurarsi il dominio dello

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YAMATO. È da questo combattimento, per la tra-dizione, che nasce il SUMO. [si vedano anche SHINTO e la voce “Giappone, Lingua e letteratu-ra”, nella Terza Parte]. Pare che anche O-SENSEI, quando tiene confe-renze sull’AIKIDŌ, citi ed alluda a personaggi del KOJIKI, copiosa fonte di metafore per la presen-tazione dei suoi concetti. KOJIRI. – “Puntale” della SAYA. KOKONOTSU. – “Nove” in giapponese puro. In sino-giapponese è KU o KYU, per contare le perso-ne (NIN) si dice KYUNIN, per oggetti particolar-mente lunghi (HON) s’usa KYUHON. KOKORO. – “Cuore”; “spirito”, “anima”. Sinonimo di SHIN, si riferisce sia a persone sia a cose. Nella tradizione orientale – medica, filosofica, religiosa – sede dello spirito è il cuore, non la testa [il cer-vello da solo non è nemmeno considerato, nella Medicina Tradizionale Cinese, che parla di siste-ma “cuore-cervello”]. KOKORO, pertanto, è l’es-senza di un uomo (o di una cosa); nessuno può riu-scire a compiere qualcosa se non è permeato, condizionato da KOKORO, che rappresenta la realtà assoluta d’ogni cosa ed incarna l’interesse “disin-teressato”, fine a se stesso (addirittura l’AI, in-teso come essenza dell’amore). KOKORO, in AI-KIDŌ, richiama un invito: ame tsuhi-no-hajimè ni oite kudasai (“Poni la tua mente all’inizio del cielo e della terra”). [si vedano MUSHIN, MIRU-NO-KOKORO, MIZU-NO-KOKORO, TSUKI-NO-KOKORO].

– “Esperto”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla Cintura Nera, 5° e 6° DAN, prati-cante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN]. KOKORO-E. – “Vero Spirito della Comprensione”. KOKORO-NO-JUMBI DOSA. – “Esercizi di con-centrazione”. KOKOTSU. – Parte mediana, interna, della tibia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KOKU. – Unità di misura di capacità (equivale a circa 180 litri). È usata anche come un indicatore di ricchezza del feudo (HAN) di un DAIMYO: corri-sponde alla quantità di riso necessaria a nutrire un uomo per un anno intero.

– “Spazio vuoto”. – Tipo di TSUBA, a forma di quadrato.

KOKUGIKAN. – “Palestra Centrale” (HONBU DO-JO) del SUMO. È a Tokyo ed è, quasi, un tempio. KOKYU. – “Respirazione”. Anche “respiro vitale” e “respiro cosmico”. KOKYU e KI sono uniti indisso-lubilmente: il KI irradia dal KOKYU ed il KOKYU è la forza vivificante che attiva il KI. Il principio idea-le dell’AIKIDŌ è unire il proprio respiro al flusso

cosmico di KOKYU affinché, respirando con l’uni-verso, ci possa permeare la “potenza (o forza) del respiro”, KOKYU RYOKU. Il KOKYU, così come il KI, è una forza neutra, che chiunque può padroneggia-re, a prescindere da moralità individuale e qualità spirituale. Nella respirazione (del BUDO, in gene-rale), l’espirazione è circolare, una funzione dell’elemento acqua, mentre l’inspirazione è qua-drata, una funzione dell’elemento fuoco. Si veda FUKUSHIRI KOKYU, “respirazione addomina-le profonda”. [ed anche “ Considerazioni sul KI”].

– Liuto ad arco. Unitamente a KOTO, SHAKU-HACHI e SHAMISEN, è utilizzato nell’esecuzione di musica da camera (sankyoku). KOKYU DOSA. – Esercizio eseguito in posizione seduta (SEIZA). AITE afferra i polsi di TORI; que-sti, concentrando l’energia nell’HARA ed esprimen-dola con la respirazione – attraverso le braccia – lo proietta a terra. Il KOKYU DOSA è analogo al principio hakko-dori, applicato nelle tecniche da seduti (SUWARI WAZA) del WA-JUTSU, dove TORI deve liberare i polsi, afferrati da AITE. Nel caso l’azione difensiva di TORI si concluda con un paio di ATEMI, portati a costato e collo di AITE, si trat-ta di un KATA di base, chiamato hiza-gatame. KOKYU HO. – “Esercizio o metodo (HO) di respi-razione (KOKYU)”. Gruppo di esercizi respiratori. Allorquando eseguiti come un esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientrano tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO) che si praticano in coppia, senza ca-duta.

– Arte di coordinare il respiro tra noi, il Cie-lo, la Terra ed il partner. È uno dei più importanti “fattori interni” dell’AIKIDŌ, unitamente a KI-NO-NAGARE, KI-NO-MUSUBI e AIKI.

– È la forza che viene dal KI e consente, a chi pratica l’arte del KOKYU, di influire sugli altri. KOKYU HO HENKA. – “Cambio con respirazione”. KOKYU HO UNDO. – “Guida dell’energia nei pol-si, con rotazione”. Allorquando eseguito come un esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO) che si praticano in cop-pia, senza caduta. KOKYU NAGE. – “Proiezione fluida del respiro”. “Proiezione con la potenza del respiro”. “Proiezio-ne dell’energia centralizzata”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la caduta di AITE può avvenire in tutte le direzioni (avanti, indietro, laterale, dall’alto). Allorquando eseguito come un

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esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO) che si praticano in cop-pia, senza caduta. È la proiezione di AITE fatta sincronizzando mente e corpo (respiro) ed utiliz-zando il suo slancio, senza leve alle articolazioni. Normalmente si applica a presa a polsi e spalle, colpi e fendenti al volto.

– È la forza che viene dal KI e consente, a chi la domina, di proiettare “morbidamente” un avver-sario. KOKYU RYOKU. – “Potenza (o forza) del respiro”. È la potenza dell’universo, accumulata nel SEIKA TANDEN. È la forza che emana da una mente sere-na e calma e da un corpo rilassato, entrambi pron-ti a rispondere, in ogni necessità, in ogni momen-to, nella direzione voluta. KOKYU RYOKU è un dono del cielo, che non può esprimersi se teniamo spal-le, nuca e braccia contratte, o se ci s’immagina molto forti (o molto deboli), o se non crediamo che questa forza esista. Queste sono tutte impu-rità, del corpo o dello spirito, sono sbarramenti al fluire del KI. Non basta, però, capire KOKYU RYOKU con l’intelletto, occorre impararlo ogni giorno, at-traverso il corpo, perché, come dice O-SENSEI: «Un lavoro di tre giorni non è che un lavoro di tre giorni; il lavoro di un anno non è che il lavoro di un anno; un lavoro di dieci anni accumula la forza di dieci anni». Senza passare dalle tecniche non è possibile imparare KOKYU RYOKU, ma senza KOKYU RYOKU può esistere solo la forma della tecnica, una forma vuota. KOKYU WAZA. – “Tecniche-base di proiezione”. Si veda KIHON NAGE WAZA. KOMABUE. – Flauto che fa parte della strumen-tazione di base del GAGAKU ed è utilizzato nell’e-secuzione di musiche KOMAGAKU. [si veda la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. KOMAGAKU. – Musica eseguita alla Corte impe-riale (GAGAKU), che proviene da Corea e Manciuria. [si veda anche la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. KOMBU. – “Alghe marine”. Sono usate, tra altro, come oggetti di buon auspicio nel DOHYO-MATSURI (“cerimonia propiziatoria”) del SUMO. KOMI. – “Interno”.

– “Contro”. KOMONO. – “Gente modesta”. Sono gli individui, di bassissima condizione sociale e di provenienza contadina, che accompagnano i contingenti milita-ri, occupandosi degli approvvigionamenti e di pic-coli lavori. Sono chiamati anche ARASHIKO.

KOMORI. – “Ritirarsi”. KOMUSO. – “Monaco errante”, soprattutto del Periodo EDO (1603-1867). È riconoscibile per il copricapo, a forma di cesto, che copre l’intera faccia e per l’immancabile flauto (SHAKUHACHI) che l’accompagna; normalmente appartiene alla setta fuke. KONBANWA. – “Buona sera”. KONGO. – “Stabilità e invincibilità [del Buddi-smo]. KONGO-ZEN. – “ZEN del Diamante”. Particolare forma di pratica ZEN, che annovera oltre 600 tecniche marziali, tra movimenti difensivi e schi-vate, spostamenti, parate, posizioni, ATEMI. Il KONGO-ZEN influenza fortemente il NIPPON SHO-RINJI-KEMPO. KONNICHIWA. – “Buon giorno”; si usa dalla tar-da mattinata fino al tramonto. KONSHA-TENGU. – Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone, dal lungo naso. [si veda TEN-GU]. KOOTSUNIN. – Si veda BONGE. KOPPO. – Tecniche di difesa mediante un basto-ne più corto del TAM-BO. Si può utilizzare sia un bastoncino (di legno, di metallo) – talvolta munito di un anello al centro, in cui s’infila il dito medio – sia un qualsiasi altro oggetto, anche d’uso comune, maneggevole e facile da impugnare. Il bastoncino serve tanto a moltiplicare la forza degli ATEMI in-ferti quanto a rendere più dolorose le tecniche di leva. KOPPO-JUTSU. – “Arte di usare il bastone cor-to”. KORI. – “Collo del piede”. Parte sporgente del dorso del piede. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Anche SOKKOTSU. KORINDO. – Stile d’AIKIDŌ e scuola di difesa personale. La scuola, fondata da Hirai Minoru, U-CHI DESHI di O-SENSEI, fa capo all’Associazione Nihon Korinkai, costituita nel 1954. KORYU. – “Drago scaglioso”. Sommergibile ta-scabile per azioni suicide. Mai usato nel corso del-la Seconda Guerra Mondiale. KOSA DORI. – Si veda KATA TE DORI HANTAI. KOSHI. – “Vita”, “busto”, “zona della cinta”; “an-che”, “fianchi”. È la parte inferiore del tronco, che va dall’ombelico in giù. GOSHI, come suffisso.

– “Palla del piede”: parte carnosa sotto le di-ta, serve per colpire in alcune tecniche di calcio, soprattutto in KARATE. Pure CHUSOKU.

– Rinforzo posteriore dell’HAKAMA: protegge la zona lombare.

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KOSHI NAGE. – “Proiezione circolare dell’anca”. “Proiezione con movimento di torsione del busto o delle anche”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la caduta di AITE è dall’alto. Normal-mente si applica contro prese a polsi e spalle. KOSHI SABAKI. – Studio degli spostamenti di anche e bacino. Fa parte dei TAI SABAKI. KOSHIATE. – “Portaspada”. È un originale ed e-sclusivo congegno, formato da grandi pezzi di cuoio e cinghie incrociate che li attraversano: in-trodotta la spada, questa rimane bloccata nella cintura e fissata nella giusta posizione. Esistono anche contenitori tubolari, addirittura doppi, per il DAI-SHO.

– Protezione dei fianchi, utilizzata dagli ar-cieri: ripara dalle cuspidi (YA-NO-NE) delle frecce (YA). KOSHI-ITA. – “Cintura”, annodata posterior-mente, che regge l’HAKAMA. KOSHI-KUATSU. – “Percussioni sacro-iliache”. Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU par-ticolari, adatti a traumi e dolori pelvici – quindi sia di rianimazione sia antalgici – attuati con per-cussioni riflessogene. KOSHI-NO-MAWARI. – Pare sia il più antico termine che identifica la lotta a mani nude. In se-guito diventa TAI-JUTSU e quindi JU-JUTSU. KOSHIRAE. – L’insieme degli accessori (forni-menti) per spada, soprattutto per l’uso di guerra. KOSHO SHOREI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e JU-JUTSU. Risale, per la tradizione, al 1235 ed è ancora attiva. KOTAI. – “Duro”. KOTE. – “Polso”. Pure TEKUBI.

– “Avambraccio”. Pure UDE e ZEN-WAN. – Manica corazzata dell’armatura. Se ne parla

già nel Periodo Kofun (IV – VII secolo), quando sono costituite da bracciali tubolari, ma gli esem-plari giunti a noi sono soprattutto d’armature mo-derne. Il KOTE è formato da una manica aderente, di tessuto imbottito o pelle o seta, assicurata al braccio con lacci. Cordicelle, che girano attorno al petto, l’assicurano al corpo. La manica - che in al-cune parti è ricoperta da maglie di ferro, scaglie e piastre – protegge la spalla (KAMURAITA), scende a coprire braccio (GAKU-NO-ITA), gomito (HIKI-GANE) ed avambraccio (IKADA), per terminare con una mezza manopola, a protezione della mano (TE-TSU-GAI). Ogni elemento o variante del modello di base ha un nome particolare e specifico, così co-me ogni particolare combinazione di maglia di fer-ro, piastre e scaglie ed ogni tipo di legaccio. Que-

sto rende il KOTE uno dei mezzi di protezione più elaborati, complicati e complessi mai messi a pun-to. Spesso gli elementi costitutivi del KOTE sono decorati o guarniti.

– Manopole dell’armatura per scherma TAKE GUSOKU, usata nel KENDO. Si definiscono anche UCHI-KOTE e ONI-KOTE. KOTE GAESHI. – “Proiezione su torsione del polso”; può essere verso l’interno o verso l’ester-no. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA) che fa parte, insieme alla KOTE HINERI, delle “tec-niche di polso” (TEKUBI WAZA). La caduta di AITE è laterale. Si può applicare a tutte le prese TE-HODOKI, ai fendenti ed agli attacchi di pugno. KOTE HINERI. – “Torsione del polso”; può esse-re verso l’interno o verso l’esterno. Terza tecnica di controllo con immobilizzazione (KATAME WAZA), effettuata sul polso. Insieme al KOTE GAESHI fa parte delle “tecniche di polso” (TEKUBI WAZA) e normalmente si applica contro prese ai polsi e go-miti e contro fendenti. [si veda SANKYO]. KOTE MAWASHI. – “Torsione interna del pol-so”. Seconda tecnica di controllo con immobilizza-zione (KATAME WAZA), effettuata sul polso. [si ve-da NIKYO]. KO-TENGU. – “Piccoli TENGU”. Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone, muniti d’ali. [si ve-da TENGU]. KOTETSU OKISATO. – Maestro armaiolo di Ye-do, operante alla fine del secolo XVII. Forgia la-me di qualità eccellente. KOTO. – Cetra semitubolare: ha cassa di riso-nanza leggermente rastremata, lunga circa 2 me-tri e tavola armonica arcuata, con 13 corde di se-ta che poggiano su 13 ponticelli mobili; è detta anche gakuso. Deriva dal cinese k’in e fa parte della strumentazione di base del GAGAKU. Si suona poggiata in terra, con l’esecutore inginocchiato che pizzica le corde con plettri d’avorio infilati sulle dita della mano destra; la sinistra preme la corda vicino al ponticello, modificando l’intona-zione. Unitamente a KOKYU, SHAKUHACHI e SHAMI-SEN, è utilizzato nell’esecuzione di musica da ca-mera (sankyoku). [si veda anche la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. KO-TO. – “Spada antica”; “vecchia lama”. Il ter-mine indica le spade forgiate prima del 1530 (op-pure al 1603 o 1614, secondo le diverse fonti), dal 900 circa. Le spade prodotte fino al 1716 circa sono le SHIN-TO (“spade nuove”), quelle fabbrica-te dal 1717 al 1870 si chiamano SHIN-SHIN-TO (“spade nuovissime”), mentre le “spade moderne”,

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GENDAI-TO, sono quelle forgiate dal 1871 alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le spade prodot-te dal secondo dopoguerra sono le “spade recen-ti”, SHINSAKU-TO. La classificazione si riferisce alla tradizione delle NIPPON-TO, le “spade giappo-nesi”. KOTO RYU. – Scuola di KOPPO-JUTSU. KOTODAMA. – “Verbo sincero”. È la “scienza sa-cra dei suoni” cinese, ma di provenienza indiana, che il monaco buddista KUKAI – il fondatore della setta esoterica SHINGON – importa in Giappone all’inizio del secolo IX. Alla base di questa scien-za, che non poco influenza le tecniche di KIAI, c’è la teoria che la vibrazione acustica è all’origine della vita. DEGUCHI ONISABURO, il co-fondatore della religione OMOTO-KYO, è un esperto di questa scienza, grazie all’istruzione ricevuta dalla nonna, “iniziata" dal di lei padre, il maggior esperto del tempo. Anche UESHIBA MORIHEI diviene esperto di KO-TODAMA, tanto che elabora il suo sistema nei ter-mini propri di questa Disciplina. KOTO-EIRI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. Gli al-lievi si specializzano nel combattimento contro più avversari. KOTSU. – “Osso”. KO-TSUZUMI. – Tamburo a forma di clessidra, con due pelli legate. È utilizzato per accompagna-re la danza nel teatro NŌ e fa parte dell’insieme HAYASHI – con gli altri tamburi TAIKO e O-TSUZUMI ed il flauto NOKAN – il cui suono, unita-mente al canto degli attori, costituisce la musica tipica di tale genere teatrale. Si utilizza caricato sulla spalla destra, retto dalla mano sinistra e percosso con quella destra. KO-UGI. – Pugnale di piccole dimensioni, normal-mente celato nel fodero della NINJA-TO, la spada dei guerrieri NINJA, gli SHINOBI. KOUTA. – Genere musicale lirico, tipico – come l’HAUTA – dei “quartieri del piacere” nelle città del Periodo EDO (1603-1867). All’epoca, è patrimonio quasi esclusivo delle GEISHE. KOWAMI. – È uno stile di JU-JUTSU particolar-mente duro. Il suo ideatore, ICHIKAWA MONDAI-YU, ha definito un metodo di combattimento basa-to sull’applicazione della forza fisica, con esercizi intensi e faticosi. KOYO GUNKAN. – Opera del secolo XVII – es-senziale per conoscere quale deve essere lo spiri-to di un BUSHI, in pace e in guerra – che, in 59 ca-pitoli, descrive tutto quanto si riferisce alla vita dei SAMURAI. L’attribuzione e dubbia: autore può

essere Obata Kagenori (1572-1662), erudito con-fuciano al servizio dello SHOGUN, oppure Kosaka Danjo Nobumasa, samurai al servizio di TAKEDA SHINGEN, famoso DAIMYO. KOYUBI. – “Dito mignolo”. KOZANE. – Piastre che formano l’ODOSHI. KOZUKA. – È un piccolo coltello, utilizzato princi-palmente, ma non solo, come coltello da lancio. Si porta normalmente inserito nel fodero di una spa-da o pugnale. Ha lama dritta, lunga da 12 a 25 cm e taglio singolo, senza TSUBA, ricavata da una KA-TAHA. Il lato d’acciaio duro è piatto e levigatissi-mo; quello d’acciaio morbido (o ferro) è lasciato ruvido, quasi grezzo e assottigliato verso il filo. L’impugnatura del KOZUKA – che di solito è di me-tallo o lega metallica, ma può anche essere di cor-no, legno, osso, avorio – come accessorio della spada, è seconda solo alla TSUBA, come importan-za. Ornamenti, intarsi, incisioni, smalti, scritte possono arricchire la faccia anteriore dell’impu-gnatura, estendendosi talvolta a quella posterio-re. Il KOZUKA è spesso inserito nella SAYA della KATANA, assieme al KOGAI oppure portato in una tasca laterale del fodero dell’AIKUCHI. Quando il coltello è chiamato KOGATANA, il vocabolo KOZUKA indica solo l’impugnatura. KRO. – “Nero”. KU o KYU. – “Nove” in sino-giapponese. In giappo-nese puro è KOKONOTSU, per contare le persone (NIN) si dice KYUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa KYUHON. Anche KYU. KU. – Variante fonetica di KO. [si veda].

– “Cielo”. – “Strofa”, di RENGA collettivi. – “Vuoto”, “vacuità” (in riferimento, soprat-

tutto, alla filosofia ZEN). – “Nove” in sino-giapponese. In giapponese

puro è KOKONOTSU, per contare le persone (NIN) si dice KYUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa KYUHON. Anche KYU. KUA. – “Vita”. KUATSU. – “Tecnica di vita”. “Tecnica di ritorno alla vita”. Metodo di rianimazione. KUATSU è con-trazione fonetica (secondo una trascrizione an-glosassone) di due caratteri: KUA, “vita” e tsu, a sua volta riduzione di JUTSU, “tecnica”. È parte – compreso nella metodologia KAPPO, secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere; si veda “ Antiche arti da guerra”). Il KUATSU

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(per correttezza e precisione, però, dovremmo sempre parlare di KAPPO) consiste di un insieme di procedimenti manuali – o, più in generale, non strumentali – messi in atto per rianimare soggetti in stato d’incoscienza, causata, normalmente, da traumatismo o strangolamento. Percussioni, pres-sioni e massaggi sono eseguiti in zone che corri-spondono agli TSUBA dello shiatsu o dell’agopun-tura. Si massaggia con la punta delle dita; si pre-me con il palmo della mano; si percuote con pugno, gomito, ginocchio, tallone. Le zone sollecitate di-pendono dal tipo di trauma; quelle maggiormente stimolate sono: i dischi intervertebrali, i punti pa-ravertebrali della colonna, la zona epigastrica, l’a-pofisi spinosa, la pianta del piede. L’effetto otte-nuto può essere sedativo, stimolante o inibitorio. Uno stesso principio d’azione può essere applicato al soggetto sdraiato (supino o bocconi) o seduto e si caratterizza secondo l’intensità ed il tipo di a-zione. La corretta applicazione dei KUATSU (che dovrebbe essere nota ad ogni Maestro d’Arti Marziali, se vero e completo) non può prescindere da una buona conoscenza di anatomia – sistema nervoso centrale e periferico, soprattutto – e d’elementi di Medicina Tradizionale Cinese, ago-puntura o shiatsu. Le tecniche di rianimazione KUATSU – che si possono apprendere unicamente con un allenamento continuo – si dividono in: KUATSU ad azione elettiva: o KUATSU con percussioni riflessogene (TSU-KI-KUATSU); o KUATSU respiratori (HAI-KUATSU); o KUATSU cardiaci (SHINZO-KUATSU).

KUATSU ad azione globale o KUATSU maggiori (SO-KUATSU). KUATSU particolari, per: o traumi cranico-cervicali (AMON-KUATSU); o traumi pelvico-addominali (KIN-KUATSU); o annegamenti.

Non possiamo dimenticare, infine, che i KUATSU sono applicabili non solo nei trattamenti di riani-mazione, ma anche per il trattamento rapido del dolore (KUATSU antalgici). KUATSU-JIN-KEN. – “Ricondurre l’uomo alla Via della Spada”. È un antico adagio giapponese e si riferisce all’idea di ritornare alla vera essenza dell’uomo, eliminando tutto ciò che è inutile, sba-gliato o cattivo. Per il Maestro UESHIBA MORIHEI, che adotta questa massima per la sua Arte Mar-ziale, è da eliminare tutto quello che contrasta con il principio ed il concetto di AI: l’egoismo, l’o-dio, il “volere”; la spada richiamata non è la KATA-

NA, ma quella “spada dello spirito” che deve arma-re la mano di chi persegue il bene. KUBI. – “Collo”. Nel collo ci sono alcuni KYUSHO, “punti sensibili” per gli ATEMI. KUBI SHIME. – “Strangolamento”. AITE afferra per strangolare. KUBOTAN. – Piccolo cilindro di metallo, utilizza-to soprattutto dai NINJA, sia come “tirapugni” sia per tecniche di KOPPO. Portato appeso alla cintura, può essere cavo e contenere diverse FUKUMI-BARI (armi da lancio ad ago). KUCHI. – “Bocca”. KUDAKU. – “Rompere”, “spaccare”, “frantumare”. KUDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 9° grado”. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’individuo non ha nemmeno più il bisogno dell’illuminazione: la vita acquista una di-mensione spirituale, senza pensieri ed affanni, senza desideri, senza angosce. KUDA-YARI. – “Guida-lancia”. È un corto cilindro di ferro che, posto sopra l’asta di una lancia ed impugnato con la mano sinistra, consente di guida-re l’arma con precisione, equilibrandola. Per assi-curare il KUDA-YARI alla mano, si utilizza la cordi-cella kuda-no-utomo.

– Arma insidiosa. Una lancia è contenuta in una corta asta cava: la punta fuoriesce grazie ad un brusco movimento in avanti, come nell’occiden-tale BRANDISTOCCO. Per la tradizione, l’inventore di tale arma è ancora il monaco HOZO-IN EI, di NARA, alla metà del secolo XVI. KUDEN. – “Trasmissione orale”. Insegnamento tipico delle antiche Scuole. KUE. – “Zappa”. Anche questo attrezzo agricolo si può trasformare in arma, come dimostrato dai soliti contadini di OKINAWA. Lo studio dell’uso di quest’arma non convenzionale rientra, natural-mente, nel KO-BUDO. KUGE. – “Nobili di Corte”. Il termine indica le Famiglie aristocratiche affermatesi dal Periodo HEIAN (794-1156). Al tempo dello shogunato TO-KUGAWA (1603-1867), le Famiglie Nobili rimaste – circa trecento, mantenute con modeste donazioni – sono in pratica prigioniere nel palazzo imperiale di KYOTO (così come l’Imperatore) e la loro attivi-tà è limitata al cerimoniale ed ai rituali. Anche HONKE. [si veda anche BUKE]. KUGYO. – “Nobile pubblico”, “di Corte”. KUJI-KIRI. – “Nove Simboli”. Sono mudra utiliz-zati dai monaci-guerrieri (YAMABUSHI), nel Buddi-smo esoterico (sette TENDAI e SHINGON) e nella

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pratica d’alcune Scuole d’Arti Marziali, soprattut-to di NINJUTSU. Secondo la tradizione, la corret-ta esecuzione di questi particolari mudra, unita alla recitazione di specifici mantra, assicura una forza fisica magica, se non l’invisibilità, addirittu-ra. I KUJI-KIRI sono più efficaci se praticati du-rante la meditazione sotto una cascata (TAKI-SHUGYO). KUJIKU. – “Torcere”, “slogare”. KUJI-NO-IN. – ”Iscrizione delle Nove Lettere (o dei Nove Segni)”. Formula magica e pratica a-scetica del Buddismo esoterico MIKKYO (delle set-te TENDAI e SHINGON) nell’ambito dell’HEI-HO (il “Metodo del Soldato”) che anche molti praticanti d’Arti Marziali – come, ad esempio, i seguaci del KATORI SHINTO RYU – eseguono. Consiste nel ripe-tere la serie dei nove movimenti caratteristici delle mani (IN) – ciascuno dei quali ha un nome proprio (rin, pyo, to, sho, kai, jin, retsu, zai, zen) – concludendo il rito con un decimo movimento, se-greto. Il tutto accompagnato dal canto di un ap-propriato mantra. KUJIRA-SHAKU. – Misura di lunghezza per i tessuti. Vale 1 SHAKU più ¼. KUJU DO. – “90 gradi”. KUKAI. – Monaco buddista. È uno dei più impor-tanti personaggi del Buddismo giapponese. Nato nel 774 nell’isola Shikoku, attuale Prefettura di Kagawa, all’età di 15 anni si reca a Nagaoka, la ca-pitale, per studiare. A diciotto anni entra all’uni-versità, ma a 22, insoddisfatto della vita quoti-diana ed alla ricerca della propria “via”, l’abbandona e prende gli ordini sacerdotali, assu-mendo il nome di cielo-mare (Ku-kai). Nell’802, in-sieme a SAICHO, è inviato a studiare in Cina, sto-rica fonte culturale, soprattutto nel Periodo NA-RA, ma con inizio dal Periodo ASUKA, quando il Buddismo è introdotto in Giappone. Qui KUKAI, che è particolarmente dotato, impara il sanscrito in sei mesi e, con il compagno, si avvicina al Buddi-smo esoterico (MIKKYO), importandolo poi in pa-tria, dove entrambi erigono monasteri, sedi di scuole della setta SHINGON. Lui fonda il suo mo-nastero, il Kongobu-ji, sul monte Koya (vicino a Tanabe, luogo natale di UESHIBA MORIHEI), il compagno uno sul monte Hiei, vicino a KYOTO. En-trambi i monasteri sono sotto la protezione dell’Imperatore e presto diventano importanti centri culturali. A 86 anni dalla morte gli è attribuito il nome di Kobo Daishi.

KUKI-NAGE. – Particolare tecnica di proiezione, inventata da MIFUNE KYUZO, adatta a JUDOKA di piccola statura. KUKI-SHIN RYU. – Scuola segreta degli YAMA-BUSHI delle montagne di Kumano. È un’Arte Mar-ziale di combattimento che usa molto il bastone ed è praticata anche dai NINJA. Pare che anche UESHIBA MORIHEI sia stato iniziato a quest’Arte, all’età di 42 anni. KUMADE. – “Palmo della mano, con le dita ripie-gate attorno”.

– “Grappino d’abbordaggio”. È usato nelle battaglie navali, sia per l’abbordaggio vero e pro-prio sia per demolire barriere. Il ferro – munito di forte codolo e montato su asta lunga fino a 250 cm – si compone di una lama curva, ben rifinita, ed uno o due ganci. KUMAZASA-NO-OSHIE. – “L’insegnamento del piccolo bambù”. Serie di brevi storie, patrimonio della scuola KATORI SHINTO RYU, che si riferisco-no ad un tipo di insegnamento implicito, impartito dal fondatore IIZASA CHOISAI IENAO, ai SAMURAI che si recano a trovarlo, con l’intento di sfidarlo per provarne l’abilità. A tutti gli sfidanti giunti nel suo DOJO, il Maestro propone di prendere un tè insieme, prima del confronto, e fa preparare due piccole sedie di fragile bambù, su una delle quali si accomoda tranquillo, nonostante il preca-rio equilibrio. È il momento, questo, in cui lo sfi-dante si rende conto di trovarsi di fronte ad un essere superiore e rinuncia al confronto, diven-tando, magari, allievo di cotanto Maestro. KUMI. – “Afferrare”. KUMI TSUKI. – Serie di quattro prese alla cin-tura (MAE UTATE KUMI TSUKI, MAE SHITATE KUMI TSUKI, USHIRO UTATE KUMI TSUKI e USHIRO SHITA-TE KUMI TSUKI), cui corrispondono altrettanti tipi di difesa, che prevedono normalmente tecniche di ROFUSE. Fanno parte dei TE-HODOKI (“liberare le mani”). KUMI-JO. – Sequenze preordinate di attac-co/difesa, da eseguirsi in coppia, armati di JO. KUMI-KEN. – “Tecniche di coppia”, con la spada. Si veda KUMI-TACHI. KUMI-TACHI. – “Tecniche di coppia”. Sequenze preordinate di attacco/difesa, da eseguirsi in coppia, normalmente armati di spada (KEN, TACHI). In alcuni KUMI-TACHI elaborati da IIZASA CHOISAI IENAO per la sua scuola, la TENSHIN SHODEN KA-TORI SHINTO RYU, solo uno dei praticanti è armato di spada, mentre l’altro è fornito di arma diversa (lancia, bastone o altro) e l’intento è colpire uno

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dei punti deboli dell’armatura piuttosto che i KYU-SHO. KUMI-TACHI è anche il nome dello stile di combattimento con la spada elaborato da CHIBA SHUSAKU SHIGEMASA per la sua scuola, l’HOKUSHIN ITTO RYU. Anche KUMI-KEN. KUMITE. – “Combattimento”. KUMIUCHI. – Tecniche sviluppate dallo YAGYU SHINGAN RYU. Si veda YOROI-KUMIUCHI. KUMI-UCHI. – “Lotta senz’armi” (da KUMI, “af-ferrare” e UCHI, “chi colpisce”). Rientra nel KAKU-TO BUGEI (le Arti Marziali principali). È praticata con indosso l’armatura, e serve per allenare i guerrieri a continuare il combattimento pur aven-do perduto, o non potendo utilizzare, le proprie armi. Questo metodo di combattimento pare de-rivi – attraverso il SUMO – dall’antichissimo SU-MAI. Si ritiene che dalle tecniche KUMI-UCHI – ben descritte in un’opera letteraria del secolo XIII, il Konjaku-monogatari – si sia poi sviluppato lo JU-JUTSU. Oggi, più semplicemente, il termine KUMI-UCHI indica una tecnica di presa alla giacca dell’avversario, all’inizio del combattimento. An-che YAWARA. KUNI-YUZURI SUMO. – Leggendario combat-timento per assicurarsi il dominio dello YAMATO, narrato nel KOJIKI (“Memoria degli Antichi Fat-ti”), tra due KAMI (o, molto più probabilmente, due capi Clan): Takemikazuchi e Takemi-no-kata. Per la tradizione, è da questa lotta che nasce il SUMO. KURAI. – Termine che definisce chi, pur nello stato di “allerta permanente” (HONTAI), ha “spiri-to libero” (MUSO) e “mente vuota” (MUSHIN), sì che può dare l’impressione di “cedere” l’iniziativa all’avversario ed alla sua forza, per poi ritorcer-gliela contro. Si intende anche la forza della “non-resistenza”: ad un avversario che spinge o tira, non si oppone una forza uguale e contraria, bensì lo si asseconda, tanto da indebolirne la spinta o la trazione. KURAMA RYU. – Antica scuola di KEN-JUTSU (con la spada lunga, O-DACHI), fondata verso il 1547 da Ono Shokan. È ancora attiva e vi s’insegna il KEN-DO. KURIGATA. – Aletta forata, sporgente dal lato interno del fodero (SAYA). A questa si fissa il cordoncino piatto di seta (SAGEO), che vincola il fodero della spada (escluso la TACHI) o pugnale al-la cintura. KURIIRO. – “Marrone”. KURIMATA. – “Freccia biforcuta”. Cuspide (YA-NO-NE) di freccia a doppia punta.

KURO. – “Giallo”. KURUMA. – “Circolare”; “ruota”. Indica una rota-zione secondo il piano verticale. GURUMA, come suffisso. KUSANAGI. – Base del polpaccio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KUSARI. – “Catena”. GUSARI, come suffisso. Anche l’utilizzo, come arma, di una semplice cate-na rientra nel KAKUTO BUGEI, le Arti Marziali prin-cipali, sia pure “collaterali”. Una catena è versati-le e flessibile (quindi manipolabile in qualsiasi po-sizione), ha una grande capacità di bloccare armi bianche, sia corte sia lunghe e pure in asta, anche con lame ben affilate e temprate (soprattutto se la catena è d’acciaio) e serve per infliggere duri colpi. Usata per attacco e difesa e con le estre-mità spesso appesantite (MANRIKI-GUSARI), la KU-SARI, fondamentalmente, si divide in tre classi: corta, media e lunga, con distanze d’uso che vanno dalla corta alla lunga. Molto spesso la catena è as-sociata ad altre armi, dando vita, ad esempio, a FERUZE, GEKIKAN, KAMA-YARI, KUSARI-GAMA ecce-tera. KUSARI-GAMA. – È un’arma caratteristica, ap-partenente alla categoria delle mazze articolate, che nasce dall’unione di una KAMA-YARI con una lunga corda (o catena), agganciata al tallone della lama; la corda è quasi sempre collegata ad una palla di ferro. La KUSARI-GAMA si può usare sia nel combattimento ravvicinato sia nella difesa delle mura, durante gli assedi. Negli scontri, ad esem-pio, la catena serve tanto a bloccare i fendenti quanto ad avvolgere la spada (per disarmare) o le gambe dell’avversario (per farlo cadere) mentre la palla di ferro può assestare micidiali botte e la lama è usata per colpire di punta o taglio. Negli assedi la KUSARI-GAMA può essere lanciata dall’al-to e recuperata per mezzo della catena. I mag-giori utilizzatori della KUSARI-GAMA, nel corso dei secoli, sono i NINJA e la polizia. Pare che il più a-bile utilizzatore di KUSARI-GAMA, in Periodo EDO (1603-1867), sia Yamada Shinryukan, noto per a-ver ucciso molti spadaccini. Il Maestro ARAKI MA-TAEMON MINAMOTO-NO-HIDETSUNA, per sconfig-gerlo, lo attira e lo blocca in un boschetto di bambù: mancando lo spazio per far roteare la ca-tena o per aggredire alle spalle, con la lama, l’av-versario, Yamada Shinryukan non ha scampo. Altra storia ricordata è quella di Baiken Shishido, abile spadaccino convertitosi alla KUSARI-GAMA: verso il 1607 affronta MIYAMOTO MUSASHI, che lo uccide. Anche NAGE-GAMA.

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KUSARIGAMA-JUTSU. – “Arte di usare il KUSA-RI-GAMA”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Mar-ziali principali). Pare che il monaco Nen Ami Jion sviluppi, verso il 1408, il primo stile riconosciuto di KUSARIGAMA-JUTSU. Oggi solo pochi RYU – come, ad esempio, l’ARAKI RYU e l’ISSHIN KO RYU – prati-cano quest’Arte. Negli allenamenti si usa un fal-cetto con lama di legno, la catena è sostituita da una corda e la palla di ferro è sostituita da una in gomma pesante. KUSARI-JUTSU. – “Arte di usare il KUSARI”. Se la catena ha una palla di ferro, si tratta del GEKI-KAN-JUTSU, se s’aggiunge un manico si ha il CHIGI-RIKI-JUTSU, un falcetto e c’è il KUSARIGAMA-JUTSU. KUSAZURI. – “Erba fregante”. Struttura a for-ma di gonnellino, divisa in settori separati (da quattro a nove), che costituisce la falda dell’ar-matura. Lamelle di cuoio laccato o metallo, colle-gate fra di loro – e raggruppate a formare sezioni più ampie, allargate verso il basso – sono appese alla corazza con cordoncini. Nella O-YOROI i KUSA-ZURI coprono la parte anteriore, quella posteriore ed i fianchi, due sezioni per ogni parte. Nelle ar-mature posteriori le sezioni aumentano di numero (fino a nove), ma si restringono, costringendo all’uso dello HAIDATE. KUSEMONO. – È un termine utilizzato da YAMA-MOTO TSUNETOMO, nell’HAGAKURE, per indicare un coraggioso, una persona audace e intraprendente. Oggi, curiosamente, ha assunto un significato ne-gativo ed è sinonimo di delinquente, mascalzone. KUSEN. – “Insegnamento orale”. È quello impar-tito agli allievi dal Maestro Zen (ROSHI) durante la pratica della meditazione (ZAZEN). KUSHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. È fondata a EDO da INUGAMI NAGAKATSU, nel 1650 circa. Suo nipote, INUGAMI GUBEI NAGAYASU, ne perfeziona le tecniche, simili a quelle del KITO RYU, nel 1720. Il KUSHIN RYU è tuttora attivo. KUSUNOKI. – Clan militare, che appoggia l’impe-ratore GO-DAIGO e la sua discendenza nella ses-santennale guerra civile – guerra Nambokucho, 1336-1392 – contro la Corte di KYOTO (Corte set-tentrionale) e gli SHOGUN ASHIKAGA. KUSUNOKI MASASHIGE. – Considerato la per-fetta incarnazione dell’ideale SAMURAI , è il più famoso della sua Casata. Egli, nel 1333, quando ancora il suo Clan è alleato degli ASHIKAGA e tutti combattono per GO-DAIGO contro i Reggenti HO-JO, pur consapevole di non poter vincere una bat-taglia (quella di Minatogawa), vi s’impegna ugual-

mente, sia per obbedire agli ordini ricevuti sia per fedeltà all’Imperatore. Sconfitto, mostrando un coraggio estremo ed un’esemplare spirito di dedi-zione, compie SEPPUKU. KUWAGATA. – Ornamento anteriore (cimiero) dell’elmo (KABUTO). In genere è fatto con sottile piastra metallica dorata o stecca di balena. Preva-le la forma ad imitazione di corna, anche enormi, piuttosto che quella di foglie chiuse di piante ac-quatiche. È anche simbolo del rango del guerriero. KUZURE. – “Squilibrio”. Deriva da kuzureru, “ca-dere”. KUZUSHI. – “Squilibrare”; “rompere” (l’equilibrio dell’avversario). Viene da KUZUSU, “spezzare”. È importante, nel combattimento a corpo a corpo, riuscire a squilibrate l’avversario, per proiettarlo al suolo. Un buon BUDOKA, dotato di quell’attitudi-ne mentale definita come SEN o SEN-NO-SAKI [si veda], riesce a muoversi in modo tale da costrin-gere l’avversario a rompere il proprio equilibrio, spostando l’HARA [qui inteso come baricentro del corpo], mettendosi nella posizione migliore per essere proiettato. Il movimento di TORI – che è opportuno sia nella condizione di KURAI – è frutto di un accorto TAI SABAKI. KUZUSU. – “Spezzare”. KWAIKEN. – Corto, affilatissimo pugnale. Lo u-sano soprattutto le donne delle Famiglie Militari (BUKE e BUMON), che lo portano nascosto tra le pieghe del KIMONO. Lungo in genere 20-25 cm, senza TSUBA, ha lama leggermente curva, ad uno o due FILI, con TSUKA e SAYA di legno laccato, sem-plici, e fornimenti di corno o argento. È utilizzato per difesa personale o, in particolari circostanze, per il suicidio rituale, mediante taglio della caro-tide (arteria del collo). Anche KAIKEN. KWAPPO. – Si veda KAPPO. KYO. – “Principio”; “gruppo di movimenti”. Ci sono cinque KYO principali (dal primo al quinto): IKKYO (o UDE OSAE), NIKYO (o KOTE MAWASHI), SANKYO (o KOTE HINERI), YONKYO (o TEKUBI OSAE), GOKYO (o UDE HISHIGI).

– “Mascella”. KYOEI. – Zona tra la 5^ e la 6^ costola. Punto sulla linea ascellare anteriore. KYUSHO, “punto vi-tale” o “debole” per gli ATEMI. KYOGETSU-KOGE. – Arma NINJA. Si veda KYO-TETSU-KOGE. KYO-JUTSU. – “Menzogna e verità”. Indica un inganno, una finta, un movimento di schivata e contrattacco immediato. È concetto utilizzato, soprattutto, in KENDO, KEN-JUTSU e KARATE.

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KYOKAI. – “Società”. KYOKAKU. – “Uomo virile”, “uomo coraggioso”. Si veda OTOKODATE. KYOKUSHINKAI-KAN. – Stile di KARATE (ab-breviato in K.K.K.), ideato da MASUTATSU OYAMA nel 1955. Variante dello stile GOJU RYU, è molto duro ed altrettanto efficace, basato com’è su forza fisica, tecniche velocissime – e pericolose! – e posizioni naturali, il tutto amalgamato dallo spi-rito ZEN. Caratteristiche del KYOKUSHINKAI-KAN, come già dello stile GOJU RYU, sono la respirazio-ne enfatizzata (IBUKI, NOGARE) e gli esercizi re-spiratori (YOI-IBUKI). KYOSEN. – “Apofisi xifoide sternale”. “Plesso solare”. Punto sporgente dello sterno. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. KYOSHI. – “Istruttore”. Nell’antico sistema di classificazione del BUGEI, si ottiene la qualifica di KYOSHI solo con il grado minimo di 7° DAN e si ri-mane tale anche nell’8°. La qualifica corrisponde, altresì, al raggiungimento di un livello di perfezio-ne interiore. In alcune Scuole, KYOSHI è la Cintura Nera 6° DAN. [si veda KYUDAN]. KYOSHIN MEICHI RYU. – Scuola di Arti Mar-ziali, soprattutto KEN-JUTSU, cui appartiene MO-MONO-I SHUNZO. È ancora in attività. KYOSHI-NO-KAMAE. – Posizione inginocchiata. KYOSUI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Minowa Kurando. KYOTETSU-KOGE. – Tipica arma da NINJA. È un pugnale a due lame, una dritta ed una curva, alla cui impugnatura è fissata una lunga corda, con un disco di ferro all’altra estremità. Il KYOTETSU-KOGE serve come arma bianca o da lancio e può fungere da rampino, per scalare muri. La corda, inoltre, lanciata col disco che funziona da con-trappeso, può servire per far cadere un avversa-rio ed è utilizzata per legarlo. Anche KYOGETSU-KOGE e KYOTETSU-SHOGE. KYOTETSU-SHOGE. – Arma NINJA. Si veda KYOTETSU-KOGE. KYOTO. – Città che l’imperatore Kammu (781-806) edifica tra il 792 ed il 794 sull’isola Honshu, a sud-ovest del lago Biwa, ispirandosi alla planime-tria rettangolare del modello urbanistico cinese. Capitale dell’Impero dal 794 al 1868, è tra i più popolosi (400.000 abitanti a fine 1600) e princi-pali centri culturali e artistici del paese, sede di un’importante biblioteca e dell’università imperia-le. La residenza imperiale, il Byodoin (monastero dal 1052), è a sud della città, mentre ad ovest si trova la villa imperiale di Katsura (secolo XVII).

KYOTOTSU. – “Sterno”. Punto della parte infe-riore dello sterno. KYUSHO, “punto vitale” o “debo-le” per gli ATEMI. Pure CHUDAN. KYU. – “Classe”.

– “Grado” o “livello inferiore” delle Arti Mar-ziali. Ne esistono da 6 a 10, secondo Arte Marzia-le e scuola. Il KYU, fino al raggiungimento della Cintura Nera, può essere attribuito per esame, come accade normalmente, oppure a giudizio del Maestro. Di solito, è il colore della cintura che in-dica il livello di pratica dell’allievo; in Giappone, a differenza di quanto accade fuori del Paese, i co-lori sono solo due: bianco dal 6° al 4° KYU e mar-rone dal 3°al 1° [si veda KYUDAN]. Nell’AIKIDŌ, la cintura è di color bianco per i KYU dal 6° al 2° e marrone per il 1° in Giappone, men-tre altrove si segue la regola giapponese piutto-sto che quella dello JUDO (un colore diverso per ogni grado), oppure tutti indossano la cintura bianca. I praticanti con solo i gradi KYU sono detti MUDANSHA (senza DAN).

– “Arco”. – “Veloce”, “rapido”. – “Nove” in sino-giapponese. Si veda KU.

KYU SHIN KYU. – “Dirigere lo spirito”. Questa pratica, comune ad Arti Marziali e ZEN, insegna a penetrare i fenomeni, gli elementi, senza rispar-mio d’energia e con creatività, per raggiungere l’obiettivo. È necessario concentrarsi unicamente sul “qui” e sull’”ora”, tanto quando si pratica un’Arte Marziale quanto vivendo la vita quotidia-na: donandosi completamente [già l’imperatore romano Marco Aurelio Antonino (121-180), studio-so di retorica e filosofia, ammiratore e conosci-tore della cultura greca, sostiene: «Compi ogni a-zione della tua vita come se fosse l’ultima»]. Nel combattimento non si può vincere se si risparmia energia e non si è creativi: per sopravvivere, non si può dipendere dalle tecniche. KYUBA. – Arte Marziale. Comprende sia il tiro con l’arco (KYU) sia l’equitazione (BA). Il metodo d’allenamento tipico di quest’Arte è lo YABUSAME, ancora oggi popolare e praticato a KAMAKURA. KYUBA-NO-MICHI. – “Via dell’arco e del caval-lo”. Deriva da KYU, “arco”, BA, “cavallo” e MICHI, “cammino”. È un codice di comportamento, non scritto, che risale al secolo XIII, antesignano del BUSHIDO. KYUDAN. – È l’insieme dei gradi, inferiori e su-periori (KYU e DAN), attribuiti nelle Arti Marziali. È un sistema di graduazione – adottato da tutte le Discipline del BUDO moderno e derivato del BU-

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JUTSU e dal BUDO classico – per indicare il livello tecnico raggiunto; un diploma (GAKU), spesso, uf-ficializza l’attribuzione del grado. La progressione della conoscenza, unita all’evoluzione dell’abilità, è il fattore decisivo per il riconoscimento del gra-do. Nei tempi antichi – ed ancora oggi, nel BUJU-TSU e nel BUDO classici – il sistema d’insegnamen-to, con la trasmissione della conoscenza di tecni-che segrete (o dei segreti dell’Arte Marziale, che dir si voglia) condiziona l’attribuzione dei gradi, fatta ad insindacabile giudizio del Maestro. Questa l’antica classificazione BUJUTSU: SHODEN: è la trasmissione iniziale; quello che

serve per cominciare. CHUDEN: è la trasmissione mediana; la metà del

cammino è compiuta. OKUDEN: è la trasmissione profonda; gli inse-

gnamenti esoterici (HI-GI).

MENKYO KAIDEN: certificato e titolo; chi lo ri-ceve ha appreso tutti i segreti; può succedere al Maestro o fondare un HA del RYU. MOKUROKU, INKA. Certificato di trasmissione.

Normalmente, nel BUDO, si considerano i gradi in-feriori (KYU, da 6 a 10, secondo Arte Marziale e scuola) come fasi dell’apprendimento e quelli su-periori (DAN, da 5 a 12, secondo Arte Marziale e scuola) come livelli di pratica e perfezionamento. Le tabelle che seguono sintetizzano il “sistema” KYUDAN – in ordine crescente di livello – ed anche il “valore” convenzionale espresso dal grado, con l’ovvia notazione che, come anche per altri casi, le diverse Discipline e le differenti Scuole possono attribuire nomi, livelli e qualifiche in modo dif-forme.

Categoria Grado Cintura Titolo Qualifica

6° Bianca ROKKYU Studente di 6^ classe 5° Gialla GOKYU Studente di 5^ classe 4° Arancione SHIKYU o YONKYU Studente di 4^ classe 3° Verde SANKYU Studente di 3^ classe 2° Blu NIKYU Studente di 2^ classe

KYU

1° Marrone IKKYU Studente di 1^ classe 1° SHODAN; SHO-MOKUROKU C. n. di 1° grado 2° NIDAN; JO-MOKUROKU C. n. di 2° grado 3° SANDAN; HON-MOKUROKU C. n. di 3° grado

Discepolo

4° YODAN; HON-MOKUROKU; SHIHAN C. n. di 4° grado 5° GODAN o MENKYO o tasshi C. n. di 5° grado 6° ROKUDAN o MENKYO C. n. di 6° grado

Assistente Istruttore (RENSHI)

7° SHICHIDAN C. n. di 7° grado 8° HACHIDAN C. n. di 8° grado

Istruttore (KYOSHI)

9° KUDAN C. n. di 9° grado

DAN

10°

Ner

a

JUDAN C. n. di 10° grado Maestro (HANSHI)

Grado Qualifica Titolo Grado Qualifica Titolo 1° DAN Studente SEN 5° DAN KOKORO; HANSHI 2° DAN Discepolo GO-NO-SEN 6° DAN

Esperto d’alto grado KOKORO; HANSHI

7° DAN IKO-KOKORO 3° DAN Discepolo confermato oppure Al-lievo esperto 8° DAN

Esperto spe-cializzato IKO-KOKORO

4° DAN Esperto SEN-NO-SEN

9° e 10° DAN Maestro IKO-KOKORO Il titolo onorifico di HANSHI è dato agli “esperti” IKO-KOKORO, che hanno raggiunto il perfetto con-trollo dello spirito; quello di KYOSHI agli Istrutto-ri esperti (6° e 7° DAN), con un alto livello di per-fezione interiore. È chiamato RENSHI (5° DAN) chi

ha raggiunto l’autocontrollo, unito alla perfetta conoscenza delle tecniche. Un altro “metro” di classificazione, che inserisce fattori, simboli ed elementi legati alla mistica fi-losofica orientale, è questo:

grado DAN la Pratica i Simboli il Sentire SHO- 1 blocca gli attacchi e crea opposizione prima di terra – OMOTE e URA come

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MOKUROKU realizzare una tecnica; azioni scomposte, angola-ri; lavoro muscolare

quadrato tecnica; volontà di “fare” (ego)

JO-MOKUROKU 2

realizza spostamenti circolari: può assorbire, in-dirizzare, guidare le energie sul cerchio del suo mondo e neutralizzare l’attacco

acqua – cerchio

tecnica, più negativo e positivo in forma cir-colare; c’è ancora l’ego

HON-MOKUROKU 3 – 4

amplifica l’azione nello spazio-tempo, senza sta-gnazione; non si lascia agganciare da violenza e aggressività dell’attacco

fuoco – triangolo

tecnica, cerchio, men-te libera: lascia l’ego, percepisce il fluire del KI

MENKYO 5 – 6

inizia a muoversi in coordinazione con gli attacchi, per rapidi e improvvisi che siano; l’intuizione gui-da a neutralizzare il pensiero aggressivo dell’av-versario

aria – vento

unione come amore; controllo dei propri sensi; ritmo e armonia

KAIDEN 7 – 8 – 9

non esiste dualità fra attacco e difesa, non hanno significato; agisce e vive spontaneamente nel presente; realizza il non-attaccamento

etere – spazio – vuoto

non c’è dualità e rea-lizza l’unità con l’uni-verso

KYUDO. – “La Via dell’Arco”. È l’”Arte del tiro con l’arco tradizionale” e deriva dal KYU-JUTSU. Si sviluppa (dal secolo XVI) quando la precisione nel tiro assume un’importanza relativa, poiché l’arco è dapprima affiancato e quindi, in pratica, soppian-tato, dalle armi da fuoco – nonostante il venerato YUMI rimanga in dotazione alle truppe imperiali fi-no al 1868. Nell’allenamento di questa “via”, in luo-go della precisione, assumono grande importanza l’armonica gestualità, la ritualità, la padronanza di una mente serena sul corpo, l’equilibrio psico-fisico, il valore spirituale di un pensiero elevato. Numerosissimi sono i DOJO, in Giappone ed in altri Paesi, dove si perpetua l’insegnamento dei Mae-stri, antichi (come MORIKAWA KOZAN) e moderni (tra tanti: AWA KENZO ed il suo discepolo ANZAWA HEIJIRO). Il praticante di KYUDO (KYUDOKA) indos-sa, come KEIKOGI, un KIMONO – di tipo particolare durante alcune cerimonie, nelle quali porta anche un EBOSHI – ed un’HAKAMA; è prevista la solita suddivisione in KYU e DAN (10) dei gradi. Negli al-lenamenti – quello fisico ha lo stesso nome della Disciplina, KYUDO, mentre quello di tipo spirituale si chiama SHADO – si usano bersagli particolari (MAKIWARA), posti a 2-3 metri; nelle gare la di-stanza dai bersagli arriva a 60 metri. Sono sette le posizioni-azioni di base (yugamae) che formano la sequenza di tiro: ashibumi, dozukuri, uchi-okoshi (o kikitori), hikiwake, kai (o jiman), hanare e zanshin (o daisan). Si deve all’opera di MORIKA-WA KOZAN, della YAMATO RYU, la codificazione (1644) dello studio di questa Disciplina, che da al-lora comprende sei parti: kyu-ri (“logica dell’ar-co”), kyu-rei (“etichetta”), kyu-ho (“tecnica“), kyu-ko (“impugnatura”), kyu-ki (“analisi meccani-

ca”) e, per finire, she-mei (“le quattro virtù dello sviluppo dello spirito dell’arco”). KYUDOKA. – “Chi pratica il KYUDO”. KYUHON. – “Nove”, per contare oggetti partico-larmente lunghi (HON). In sino-giapponese è KU o KYU, in giapponese puro si dice KOKONOTSU, per le persone (NIN) s’usa KYUNIN. KYU-JUTSU. – “Arte del tiro con l’Arco da guer-ra”; “tecnica dell’arco da guerra”. È una delle Arti Marziali più antiche, come antichissimo è l’uso, in caccia e in guerra, di questo strumento ed anche lo “status” sociale di chi l’arco lo usa. L’arciere, ITE, chiamato anche YUMI-TORI, “colui che impu-gna l’arco”, da sempre è un guerriero di rango, tanto è vero che, per il BUSHI, “guerra” (BU) e “arco e frecce” (yumi-ya), sono sinonimi; anche il primo codice di comportamento dei guerrieri, il KYUBA-NO-MICHI, “Via dell’arco e del cavallo”, fa riferimento a quest’arma. Il KYU-JUTSU, per im-portanza, è la prima di quelle comprese dal KAKU-TO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). L’allenamento quotidiano in quest’arte deve far acquisire all’arciere non solo la precisio-ne nel tiro (e 1.000 tiri al giorno sono il minimo previsto), ma anche la corretta postura in batta-glia. Anche se non mancano esemplari di foggia ci-nese, l’arco tradizionale, YUMI [si veda], a strut-tura mista, ha la caratteristica foggia asimmetri-ca, molto utile per tirare con un ginocchio poggia-to a terra (è solo dal secolo XII che gli arcieri scoccano cavalcando) ed è lungo da 180 a 240 cm,

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per uno spessore di circa 5 cm. Enorme è l’assor-timento di cuspidi, YA-NO-NE [si veda] che posso-no essere montate sulle frecce (YA): dalle più semplici a vere e proprie opere d’arte, ce ne sono per tutti gli usi, per tutti i gusti e per tutte le ta-sche. È soprattutto dal secolo XIV che nascono numerose Scuole dove l’uso dell’arco tradizionale è codificato ed insegnato, anche se già dal secolo X il tiro con l’arco da cavallo è praticato come di-vertimento o allenamento sportivo, in manifesta-zioni (INU OI-MONO, YABUSAME, KASA-GAKE, TOKA-SA-GAKE, ad esempio) di carattere anche sacro o religioso, talvolta giunte sino ai nostri giorni. Do-po l’introduzione delle armi da fuoco (1543) e la loro diffusione, soprattutto nei contingenti di contadini-soldati e SAMURAI di basso rango, la precisione nel tiro con l’arco perde relativamente d’importanza ed il KYU-JUTSU si trasforma in KYUDO. Il KYU-JUTSU insegnato nell’OGASAWARA RYU appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marzia-li”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”]. KYUNIN. – “Nove”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è KU o KYU, in giapponese puro si dice KOKONOTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa KYUHON.

KYUSHAKU-BO. – “Bastone lungo”. Indica il ba-stone lungo 280 cm (per la precisione 9 SHAKU: 272,72 cm). KYUSHIN RYU. – Scuola di YARI-JUTSU. KYUSHO. – “Punto vitale” o “sensibile”; “punto debole”. Sono i numerosi punti vulnerabili, distri-buiti su tutta la superficie del corpo umano (e coincidenti con gli TSUBA), che ogni praticante e-sperto d’Arti Marziali dovrebbe ben conoscere. Sono appunto i KYUSHO il bersaglio (MATO) delle ATEMI WAZA che, con la loro percussione, possono causare molteplici effetti, dalla paralisi da dolore al trauma più o meno grave, dalla perdita di cono-scenza alla morte. Non ogni KYUSHO, se colpito, provoca effetti devastanti quali paralisi o morte, così come non tutti gli ATEMI sono mortali, natu-ralmente: dipende dall’energia impiegata, ma non solo [si veda oltre]. Scopo degli ATEMI, in ogni ca-so, è mettere l’avversario fuori combattimento. La tabella che segue riepiloga, in ordine di posi-zione, solo alcuni dei KYUSHO principali ed i loro possibili effetti. [si veda anche la voce “corpo”, nella Terza Parte].

Punti che, se colpiti, possono provocare perdita di conoscenza, lesioni permanenti o morte.

KYUSHO della testa e loro possibile effetto

1 TENDO (fontanella anteriore, bregma) - frattura cranica; svenimento; morte 2 TENTO (fontanella posteriore) - frattura cranica; svenimento; morte 3 CHUTO, UTO (radice del naso) - lesione cerebrale; morte 4 GANSEI (globo oculare) - forte dolore; svenimento 5 SEIDON (zigomi, orbite oculari) - perdita d’equilibrio; cecità (transitoria o meno) 6 JINCHU (base del naso) - frattura; svenimento 7 GEKON (mento) - forte dolore; svenimento 8 KACHIKAKE (punta del mento) - svenimento 9 KASUMI (tempie) - lesione cerebrale; morte

10 MIMI (orecchie) - forte dolore; lesione timpano; svenimento 11 DOKKO (apofisi mastoidea) - morte 12 MIKAZUKI (mascella) - svenimento 13 MURASAME, MATSUKAZE (carotidi) - svenimento 14 HICHU (trachea, pomo Adamo) - svenimento 15 KOCHU (base del cranio) - morte 16 KEICHU (nuca) - frattura; svenimento

KYUSHO della parte anteriore e loro possibile effetto

1 SONU (base del collo, tra clavicole) - morte 2 TANCHU (parte superiore dello sterno) - lesione cardiaca; svenimento; morte 3 KYOTOTSU (parte inferiore dello sterno) - lesione cardiaca; svenimento; morte 4 KYOSEN (apofisi xifoide sternale) - paralisi sistema nervoso; svenimento; morte 5 GANKA (pettorali, tra 4^ e 5^ costola) - arresto respiratorio; svenimento; morte 6 KYOEI (tra 5^ e 6^ costola) - arresto respiratorio; svenimento (a dx.); morte (a sx.)

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7 GANCHU (plesso cardiaco) - svenimento 8 DENKO, INAZUMA (fianchi, costole fluttuanti) - arresto respiratorio; svenimento; morte 9 SUIGETSU (bocca dello stomaco) - blocco respiratorio; svenimento

10 MYOJO (ombelico) - svenimento 11 YAKO (spina pubica) - svenimento 12 KINTEKI, TSURIGANE (testicoli) - svenimento; morte 13 HIZA-KANSETSU (rotula) - svenimento 14 KOKOTSU (parte interna della tibia) - svenimento 15 UCHI-KUROBUSHI (caviglia, malleolo interno) - svenimento 16 KORI, SOKKOTSU (collo del piede) - svenimento 17 SO-IN (tubercolo del 5° metatarso) - svenimento

KYUSHO della parte posteriore e loro possibile effetto

1 SODA (base delle scapole) - arresto respiratorio; svenimento; morte 2 KATSUSATSU (tra le scapole) - svenimento 3 HIZO (reni) - choc nervoso; svenimento; morte 4 KODENKO (base della colonna) - svenimento 5 BITEI (coccige) - lesione midollo spinale; paralisi; morte 6 KO-INAZUMA (sotto i glutei) - paralisi transitoria della gamba; svenimento 7 SHITSU-KANSETSU (cavità poplitea) - paralisi transitoria della gamba; svenimento 8 SOBI (base del tricipite) - svenimento 9 AKIRESUKEN (tendine d’Achille) - svenimento

Punti che, se colpiti, provocano dolore, anche paralizzante, ma non danni permanenti. È da ricordare

che ogni muscolo di braccia e gambe, se percosso con sufficiente energia, si contrae spasmodicamente, provocando forte dolore e temporanea paralisi dell’arto. In particolare, si considerano i seguenti.

KYUSHO del braccio

1 WANJU - interno del braccio, verso l’ascella

2 CHUKITSU - articolazione interna del gomito 3 SANTCHI - parte superiore esterna dell’a-

vambraccio 4 SHAKUTAKU - parte superiore esterna del polso 5 USHIRO-

SHAKUTAKU - parte superiore interna del polso 6 SHUKO - palmo della mano, a sx tendine

del 2° radiale

7 KAIAKU - palmo della mano, sul 1° interos-seo palmare

KYUSHO della gamba

1 FUKUTO - parte sup. esterna della coscia 2 YAKO - parte sup. interna della coscia 3 KEIKO - tibia 4 KUSANAGI - base del polpaccio 5 NAIKE - caviglia

Sopra ho scritto che, nel colpire i KYUSHO, si deve utilizzare sufficiente energia [si veda, in proposi-to, anche la voce “energia”, nella Terza Parte]. Ciò non significa assolutamente che è obbligatorio colpire sempre e comunque con devastante inten-sità! È fuori discussione che forza, rapidità e precisio-ne sono indispensabili nel colpire, unitamente alla consapevolezza dell’esatta posizione dei KYUSHO ed all’impostazione del corretto angolo d’inciden-za del colpo; ciò che è ancor più importante, però, è conoscere il giusto modo di percuotere.

Evidentemente, colpire una struttura morbida (addome, cosce, braccia…) è ben diverso che cen-trarne una dura, come la testa per esempio, per-ché non solo è diversa la superficie, ma il vero bersaglio dell’ATEMI, l’impianto nervoso sottostan-te, è situato a profondità diversa e diversamente protetto da muscoli, ossa, tendini, adipe eccetera. Senza entrare nello specifico, in quanto non rien-tra negli scopi di quest’opera, basti dire che il concetto è quello di applicare, con adeguata com-binazione di forza e velocità (che può anche signi-ficare lenta progressione) una pressione (che può essere istantanea o prolungata) in un unico punto

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piuttosto che in una zona allargata (o – contempo-raneamente invece che in successione – in punti diversi), una sola volta o ripetutamente, in modo tale che l’energia trasmessa vada ad interferire con il regolare fluire del KI dell’avversario, provo-

candone (immediatamente od in un tempo succes-sivo, anche di molto) ristagni o dispersioni, di-sfunzioni fisiche o, addirittura, shock neurologici tali da provocare lesioni più o meno gravi, transi-torie o permanenti, come sopra illustrato.

- L -

- M -

MA. – “Spazio” (l’ideogramma significa, concet-tualmente, “attraverso qualcosa”). “Distanza”. “Intervallo”; “in mezzo”. “Ritmo”. È un concetto fondamentale, tal quale quello di EN, per quanto riguarda il concetto di separazio-ne-unione intesi come una sola cosa. Tutte le Arti Marziali, non solo quelle orientali, abbinano al concetto di “distanza” – quella che se-para dall’avversario – anche la nozione di “tempo” – necessario ad esprimere una tecnica. Tipica del-la mentalità orientale, invece, è la concezione del principio di interazione ed integrazione di tutte le cose con la natura e con l’universo, che porta ad un concetto di “spazio-tempo” (caratteristico, i-nimitabile e non delimitato) fra due momenti, due oggetti, due spazi, due persone. MA, quindi, indica un “intervallo” in senso sia spa-ziale sia temporale: è tanto la pausa tra le parole o tra le note musicali quanto la distanza tra le ri-

ve di un fiume o gli stipiti di una porta o di un cancello. O tra due persone. Consideriamo, inoltre, che è tipico d’ogni essere umano concepire come “vitale” lo spazio attorno a sé e qualunque intrusione in questo “spazio vitale” è percepita come azione aggressiva. È immutabile il concetto di una sorta di sfera – privata e vir-tuale e impenetrabile – della quale noi siamo il centro; quello che cambia, naturalmente, è il rag-gio di quest’area. Sono i tempi, i luoghi e le circo-stanze che modificano la distanza alla quale per-cepiamo come ostile la presenza degli altri. Pen-siamo, ad esempio, alla ressa sui mezzi di traspor-to, nell’ora di punta o alla calca durante spettacoli e manifestazioni: nessuno accetterebbe, in condi-zioni diverse, una vicinanza così pressante di per-sone estranee, potenzialmente pericolose. In rapporto al centro di questa sfera – il nostro TANDEN – in ordine logico possiamo valutare e classificare i punti dello spazio come segue.

destra: MIGI

sinistra: HIDARI davanti: MAE dietro: USHIRO

laterale: YOKO, hen lato superiore: JOSEKI lato inferiore: SHIMOSEKI

grande: O, oki piccolo: KO, SHO livello: DAN

alto: JO medio: CHU basso: GE, shimo

interno: UCHI esterno: SOTO

diritto, diretto: IRIMI circolare: TENKAN di fronte: OMOTE

opposto, contrario: URA angolo: SUMI

fluttuante: UKI sopra: OMOTE, KAMI

sotto: SHITA, URA piatto: HIRA

obliquo: NANAME uncino, interno: KOMI

a gancio: KAGI, KAKE circolare: KURUMA

semicircolare: MAWASHI lontano: TO

MA-AI. – La “distanza (MA) che unisce (AI)”. La “giusta distanza” dall’avversario.

La distanza corretta tra due avversari disarmati (2-3 passi: le mani, a braccia distese, si sfiorano) è detta JUBAN-NO-MA-AI.

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TO-MA è una distanza troppo ampia. CHIKA-MA (distanza di un passo) è quella troppo corta. NISSOKU-ITTO-NO-MA-AI è la “distanza ideale” tra due avversari armati di spada: 4-5 passi circa, le punte delle spade distano una decina di centime-tri. [si veda anche “ Considerazioni sul KI”]. MABEZASHI. – “Visiera”. È termine di massima: indica la visiera dell’elmo in genere (KABUTO). Va-riamente ornata o sormontata da figure ornamen-tali (okimono), oltre a proteggere la fronte dell’u-tilizzatore bilancia il notevole peso della larga falda protettiva posteriore (SHIKORO, gronda). MABIKI. – “Assottigliamento delle giovani piante di riso”. È un eufemismo che, durante il Periodo TOKUGAWA, indica la pratica dell’infanticidio. Le risorse agricole di ogni appezzamento di ter-reno, infatti, bastano a sfamare un determinato numero di persone e non di più; i bambini indesi-derati sono quindi abbandonati all’aperto ed espo-sti alle intemperie. Non si dimentichi che il Giap-pone di questo periodo storico è praticamente privo di scambi commerciali con l’estero e per so-pravvivere dipende unicamente dal proprio raccol-to di riso. MABUNI KENWA. – (1889-1952) Maestro d’Arti Marziali. Vissuto ad OKINAWA al tempo di FUNA-KOSHI GICHIN, a 13 anni inizia a studiare OKINA-WA-TE sotto il Maestro ITOSU YASUTSUNE ANKO, della scuola SHURI-TE, passando a 20 anni con HI-GAONNA KANRYO, della scuola Naha-te. MABUNI KENWA, nel 1928, concepisce lo stile SHITO RYU e nel 1929 si trasferisce ad OSAKA, dove apre un DOJO per insegnare il suo metodo. Nel 1937, quando è secondo Caposcuola dello stile ITOSU RYU, cerca di unificare il suo stile con il Tomari-te, razionalizzando e sistematizzando i rispettivi metodi d’allenamento. MACHI. – “Associazioni urbane”. Si tratta dell’u-nione volontaria di centri abitati vicini o quartieri della stessa città o, addirittura, più abitazioni del medesimo rione. È lo spirito di comunità, che ca-ratterizza la zona di KYOTO all’inizio del secolo XV, a favorire la formazione delle associazioni MACHI. Quelli che vivono in un MACHI, si compor-tano come se facessero parte di un’unica comunità ai fini della prevenzione dei crimini, del soccorso reciproco, della difesa contro gli incendi (fre-quentissimi, in città fatte di legno). Dalla metà del secolo XV, inoltre, ai compiti precedenti si aggiunge la formazione di milizie per la difesa

delle città contro scorrerie e saccheggi operati dagli IKKI. MACHI-DOJO. – DOJO privato, dove si pratica il BUDO. MADE. – “Fino a”. MAE. – “Davanti”; “in avanti”; “frontale”. MAE KAMI DORI. – “Presa per i capelli, fronta-le”. MAE RYO TE DORI. – “Quinta presa di polso (o di braccio)”. Presa ad entrambi i polsi, frontale. [si veda RYO TE DORI]. MAE RYO TE ERI SHIME AGE. – “Quarta pre-sa al bavero”. AITE afferra, con entrambe le mani, il bavero di TORI, per strangolarlo. L’azione difen-siva di TORI normalmente comprende lo sbilancia-mento di AITE attraverso un abbassamento del busto, con rotazione. MAE RYO TE KATA SODE DORI. – “Terza pre-sa alle maniche”. Aite afferra, con entrambe le mani, le maniche di TORI. L’azione difensiva di TO-RI normalmente porta allo sbilanciamento di AITE attraverso un ampio movimento rotatorio delle braccia, unito ad un TENKAN. MAE SHITATE KUMI TSUKI. – “Seconda presa alla cintura”. L’azione difensiva di TORI prevede, normalmente, una tecnica di lussazione o chiave articolare (ROFUSE). MAE TATE MITSU. – “Perizoma” (FUNDOSHI) di seta, aderente, annodato sotto la cintura (MAWA-SHI) dei SUMOTORI. MAE UKEMI. – “Caduta in avanti”. MAE UTATE KUMI TSUKI. – “Prima presa alla cintura”. L’azione difensiva di TORI prevede, nor-malmente, una tecnica di lussazione o chiave arti-colare (ROFUSE). MAE WAZA. – “Tecniche su attacchi frontali”. MAE-DATE. – “Posto davanti (anteriormente)”. Con questo termine si indica la parte anteriore del KABUTO, posta sopra la visiera (MABEZASHI) e spesso decorata con figure ornamentali (okimono) MAE-GERI. – “Calcio diritto, frontale”. Si inten-de ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KE-RI-GOHO. MAGARI-YARI. – Anche JITE. Arma in asta a forma di spiedo, tridente. Il ferro ha i due rebbi affilati, due lame laterali che sporgono a croce e l’arma, pertanto, è chiamata anche JUMON-JI-YARI, assomigliando al carattere che, in giappone-se, esprime il numero “10”, una croce appunto. Le prime citazioni di quest’arma risalgono al secolo VIII e, sicuramente, la utilizzano i combattenti a cavallo del Periodo MOMOYAMA (1573-1603), men-

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tre in seguito si trasforma in oggetto da parata, da cerimonia: con il fodero decorato dal MON del Clan, precede in corteo il DAIMYO. Numerosissime sono le varianti dell’arma, ottenute cambiando le dimensioni del ferro (lungo anche meno di 10 cm, ma sempre dotato di lungo codolo inserito nel ma-nico) e/o dell’asta (varia da 210 a 270 centime-tri). Varia anche posizione e forma delle lame, con quella centrale che può essere molto allungata o con triplice sguscio ed i rebbi laterali diritti, ar-cuati o asimmetrici. La MAGARI-YARI è tra le armi in dotazione ai guerrieri a piedi (ASHIGARU, ZUSA), i quali imparano tecniche (JITE-JUTSU) e maneggio di questa lancia utilizzandone un simulacro di le-gno. L’allenamento è simile a quello con il bastone lungo (BO) ed oggi rientra nel NAGINATA-JUTSU, poiché lo JITE-JUTSU non è quasi più praticato. MAI. – “Piastra”, “piastre”, metalliche [si veda GOMAI-KABUTO]. MAIDATE. – È termine generico, che indica qual-siasi ornamento (cimiero) portato sul davanti dell’elmo. Fatto di legno laccato o dorato, di stec-che di balena o metallo, normalmente il MAIDATE ha forma di creatura mitica, insetto o animale e dovrebbe anche rappresentare il carattere di chi lo indossa. Il nome particolare indica dove il MAI-DATE trova posto, sull’elmo: kashira-date (sulla sommità), ushiro-date (dietro), waki-date (due, uno per lato). MAIKO. – “Abile nella danza”. La danza, in effet-ti, ha un ruolo fondamentale nella preparazione di ogni adolescente allieva GEISHA, che – anche at-traverso il MINARAI – impara le arti proprie del KARYUKAI, dal sapersi muovere e, appunto, danza-re, al servire a tavola all’arte della conversazione. [si veda anche la voce “Giappone. Danza”, nella Terza Parte]. Oggi sono ormai poche le esclusive scuole per GEISHE, dato l’alto costo della loro formazione; vi sono ammesse solo giapponesi pu-rosangue, che si sottopongono a non meno di cin-que anni di studi e duro tirocinio. MA-ITTA. – “Mi arrendo”. Dichiarazione di resa durante gli incontri delle Arti Marziali da com-battimento. MAKE. – “Sconfitta”, relativamente agli incontri delle Arti Marziali da combattimento. Anche MA-KETA. MAKE-KATA. – Chi ha subito una sconfitta (MA-KE) durante un incontro delle Arti Marziali da combattimento. MAKETA. – “Sconfitta”. Si veda MAKE. MAKI. – “Avviluppato”, “avvolto”.

MAKIKOMU. – “Avvolgere”. MAKI-KOTE. – “Cambiamento”. MAKIMONO. – È il “registro delle tecniche” di un RYU classico. Rappresenta non solo la tradizione della scuola (definendo i contenuti tecnici che la caratterizzano e documentando sia i metodi di combattimento tipici, sia le credenze e la storia del RYU), ma anche il suo tesoro, perché riflette l’ispirazione (spesso affermata divina) che ne è all’origine. In principio, nessun MAKIMONO può u-scire dal RYU (il loro studio è riservato ai soli a-depti) ed anche in tempi recenti è molto difficile consultare tali registri, quelli rimasti, almeno. Infatti, oltre a tutti i testi andati perduti (per-ché dispersi o bruciati all’estinzione della famiglia dell’ultimo Maestro) i MAKIMONO rimasti, se di-sponibili, sono difficilmente decifrabili: i simboli incomprensibili, i diagrammi, il linguaggio spesso criptico, consentono l’interpretazione solo a chi è discepolo del RYU e possiede la conoscenza e l’e-sperienza necessarie. In senso lato, i MAKIMONO suggellano e definisco-no un retaggio marziale tradizionale: chi li possie-de è l’erede di un RYU (o di un casato…).

– È il “diploma” o “certificato” rila-sciato dal Maestro di un RYU agli allievi, secondo l’antico metodo di graduazione del BUGEI. [si veda MENKYO]. MAKINO TORU. – Maestro di spada, apparte-nente allo HOKUSHIN ITTO RYU, scuola di KEN-JUTSU. È ricordato per un’opera scritta verso il 1930, il KENDO SHUGYO-NO-SHIORI (“Allenamento al Kendo”), in cui si sofferma sullo stato di SEI-SHI-O CHOETSU, sottolinea l’importanza di adem-piere ai doveri di lealtà e predica il rispetto delle virtù filiali. MAKI-OTOSU. – Controllo del braccio di AITE, quando questi è finito a terra. MAKIWARA. – “Bersaglio”. Nel KARATE consiste di una tavola di legno, elastica, rivestita di paglia o gomma, infissa nel terreno o fissata al muro. Nel KYUDO è un cilindro di paglia di riso compres-sa, profondo circa 100 cm e con un diametro di 60. Il MAKIWARA è montato su di un supporto, a 150 cm dal suolo, e serve unicamente ad affinare la tecnica di tiro, poiché l’arciere si posiziona a 2-3 metri di distanza. MAKKI. – “Parata”. MAKOTO. – “Sincerità totale”, “sincerità di com-portamento”, “verità”. Uno dei punti del BUSHIDO [si veda]. Questo sentimento di assoluta fran-chezza non può prescindere da uno spirito puro,

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magnanimo e, riguardando tanto la purezza fisica quanto quella morale, è tipico dell’etica giappone-se e di ogni praticante di Arti Marziali. Il MAKOTO ha il suo simbolo nel fiore di ciliegio (SAKURA: ca-ducità di tutte le cose) e nella neve (assoluta pu-rezza) ed è rappresentato dal pino (SHO). MAKURA. – “Cuscinetto di legno”, talvolta imbot-tito leggermente. È usato per riposare, appog-giandovi la nuca, senza rovinare l’acconciatura dei capelli. MAKURA-NO-SOSHI. – “Appunti del Guanciale” o “Racconti del Cuscino”. Scandaloso – per l’epoca – diario di Shonagon Sei, scritto nel secolo X o XI, dove sono raccontati intrighi, misteri ed abi-tudini dell’ambiente della Corte imperiale, raffi-nata e licenziosa. MAMORI-GATANA. – “Spada da difesa”, “spada di protezione”. È la spada che portano i figli dei BUSHI, modello in scala della KATANA paterna, più segno d’appartenenza ad una casta che arma vera e propria. MAN. – “Diecimila”.

– “Frammentario”, “privo di un seguito”, “ciò che è interrotto”. MAN’Y OSHU. – “Raccolta delle Innumerevoli (o “Diecimila”) Foglie”. Antologia di 4.500 poesie, scritte tra il 670 ed il 759: testi brevi, caratte-rizzati dall’alternanza di versi di cinque e sette sillabe. Autori sono tanto umili artigiani e pesca-tori quanto monaci od altolocati nobili e cortigia-ni; tra questi si contano almeno una settantina di donne. In questa, come in tutte le opere lettera-rie dell’epoca, abbondano i riferimenti all’antica cultura militare. Nel MAN’Y OSHU, in particolare, si menziona il “combattente di valore”, il MASURA-O. MANABU. – “Imparare copiando”. È il tipico ap-prendistato di tipo pragmatico: l’allievo apprende imitando le tecniche del Maestro, praticando, ap-plicando. Quello che davvero importa è l’efficacia delle tecniche, senza eccessiva preoccupazione per i concetti che, sottaciuti, diventano palesi so-lo in un secondo tempo. MANDKORO. – È l’ufficio di amministrazione ge-nerale del BAKUFU. Unitamente al SAMURAI DOKO-RO (quartiere generale militare e di polizia) ed al MONCHUJO (l’ufficio legale), costituisce la snella e semplice struttura organizzativa iniziale dello SHOGUNATO. MANGA. – È termine composto e significa “ciò che è interrotto in disegno”, vale a dire (però in senso riduttivo) “fumetto”.

MANIWA-NEN RYU. – Scuola di Arti Marziali risalente, pare, al 1368. La fonda Soma Shiro Yo-shimoto, più tardi conosciuto come Nen Ami Jion. È ancora oggi operante, dopo la radicale trasfor-mazione “etica” del secolo XVII: le discipline in-segnate (JU-JUTSU, KEN-JUTSU, KUSARIGAMA-JUTSU, tra le altre, ed ogni forma di BUDO con le armi) “sono Arti di combattimento pacifico”, per-ché “preservano la Via anziché imboccarla”. Una tipica forma di allenamento con la spada, tuttora praticata, consiste nel deviare – o tagliare – con la KATANA le frecce scagliate contro lo spadaccino. MAN-JI. – “SVASTICA”. Figura geometrica spes-so utilizzata per decorare oggetti, abiti ed adot-tata anche come emblema di famiglia, blasone (MON). Quando i bracci uncinati della croce hanno andamento orario (destrogiro), la svastica si de-finisce migi man-ji, quando la rotazione è antiora-ria, si parla di hidari man-ji. Talvolta il MAN-JI è adottato quale simbolo di buon augurio ed anche impiegato per indicare un gran numero di anni, per esempio diecimila (10.000 = MAN). MANRIKI-GUSARI. – “Catena dei 10.000 pote-ri”. È una catena di ferro, con due pesi alle e-stremità e con una lunghezza variabile dai 70 cm ai 4 metri. Quest’arma, che può facilmente essere nascosta negli abiti, ha molteplici usi: può blocca-re eventuali assalitori, legando loro le braccia; impedisce l’uso delle armi (tenuta tra le mani, può fermare le lame); immobilizza un uomo in fuga, usata come le bolas. Pare che sia MASAKI TOSHI-MITSU DANNOSHIN, nel secolo XVII, a servirsi per primo di quest’arma, per fermare briganti o RO-NIN senza ucciderli. È, anche, attrezzo usato dai NINJA. MAPPO. – È il periodo di catastrofi, agitazioni sociali ed orrori che i monaci buddisti profetizza-no debba realizzarsi dal 1052. In effetti, l’ultimo terzo del Periodo HEIAN (794-1156) è caratteriz-zato da continue guerre, che vedono affermarsi i primi guerrieri di professione, i SABURAI. MARU. – “Cerchio”. MARUI. – “Movimento circolare”. È quello che caratterizza l’AIKIDŌ: un attacco portato in linea retta, può essere affrontato – con relativa facili-tà – incanalandone la forza in un movimento circo-lare, fino al completo controllo dell’attaccante. MARUME KURANDO. – (1540-1629) Spadaccino, nel 1610 circa fonda la scuola TAISHA RYU di KEN-JUTSU, ispirandosi all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. MASA-KARI. – “Ascia da battaglia”. Di ferro, è più piccola e maneggevole dell’ONO.

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MASAKATSU AGATSU. – “La Giusta Vittoria”; “la vittoria su sé stessi”. È un'espressione coniata da UESHIBA MORIHEI e che spesso appare nelle sue calligrafie. MASAKI RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU, fondata agli inizi del secolo XX ed ancora in atti-vità. I suoi insegnamenti assomigliano a quelli del-la TODA-HA BUKO RYU.

– Scuola che insegna i principi per l’uso della MANRIKI-GUSARI, la “catena dei 10.000 poteri”. La fonda MASAKI TOSHIMITSU DANNOSHIN, nel seco-lo XVII e pare che sia famosa per l’abilità mo-strata dai suoi allievi nel fronteggiare numerosi avversari armati. MASAKI TOSHIMITSU DANNOSHIN. – SA-MURAI, custode di una delle porte di EDO nel seco-lo XVII. Pare sia il primo ad utilizzare la MANRIKI-GUSARI, la “catena dei 10.000 poteri”, per ferma-re briganti o RONIN senza ucciderli. MASAMUNE GORO. – (1264-1343) Considerato il miglior fabbricante di lame di tutti i tempi (uni-tamente a Go-Yoshihiro), è attivo nella provincia di Sagami nell’ultimo fase del Periodo KAMAKURA (1185-1333). Sembra sia il primo a trovare la combinazione ottimale d’acciaio, ferro dolce e ferro duro che rende perfetta una KATAHA. Oltre a ciò, sviluppa una tecnica di martellamento della superficie in modo da renderla simile alla grana del legno: in questo modo, all’imponente e splendi-da colorazione bianco-blu, dovuta all’affilatura ed all’accurata lucidatura, s’abbina uno splendido di-segno. MASURAO. – “Combattente di valore”. Il primo riferimento al prode guerriero dall’onore senza macchia, che reputa il dovere al di sopra del di-ritto, si ha nella raccolta di poesie MAN’Y OSHU, del secolo VIII. MASUTATSU OYAMA. – È l’ideatore (1955) del-lo stile KYOKUSHINKAI-KAN di KARATE (abbreviato in K.K.K.), duro, veloce, efficace, pericoloso. MATA. – “Interno della coscia”.

– “Di nuovo”. MATCHA – È il tè verde, schiumoso, naturale e non fermentato, utilizzato nella CHA-NO-YU. È in-trodotto in Giappone nel secolo XVII dai monaci ZEN che tornano dalla Cina, completati i loro stu-di. MATO. – “Bersaglio”. MATSU. – “Aspettare”. MATSUKAZE. – “Carotide sinistra”. Punto della carotide. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

MATSUMURA SOKON. – (1808-1899). Maestro di Arti Marziali, nativo dell’isola di Kyushu. È al-lievo dello JIGEN RYU di KEN-JUTSU ed apprende in Cina le Arti Marziali di quel Paese. Tornato in Giappone, a Shuri (OKINAWA), MATSUMURA SOKON fonda una scuola di KARATE, dove insegna un suo stile, lo SHURI-TE, lo stesso nome che da al RYU. Alla sua morte diventa Caposcuola il discepolo I-TOSU YASUTSUNE ANKO, che ottiene d’inserire questa Disciplina tra le materie di studio scola-stiche a Shuri. MATSUO MUNEFUSA. – Detto BASHO (1644-1694) È considerato il padre della forma poetica chiamata HAIKU. Il soprannome deriva da un albe-ro di banano (BASHO, appunto) avuto in dono da un allievo dopo alcuni KU di RENGA collettivi e pianta-to vicino alla sua dimora. Celebre è l’Elogio della quiete, una raccolta di brevi prose inframmezzate da HAIKU, in cui egli – gran camminatore, protago-nista di una vita vagabonda – narra le sue lunghe peregrinazioni in un Giappone incantato ed incan-tevole, tra piccoli templi e stagni, villaggi sperduti ed isolette. Questo il suo ultimo componimento: «Mi sono ammalato in viaggio./ I miei sogni vaga-no/ per i campi spogli». MATSUURA SEIZAN. – (1760-…) DAIMYO dell’o-monima Famiglia, nella provincia di Hizen (Naga-saki), nell’isola di Kyushu. Esperto di diverse Arti Marziali, fonda una scuola di KEN-JUTSU, la SHIN-KEITO RYU (“scuola della Tecnica e dello Spirito della Spada”), rimasta attiva fino al 1908. MATTE. – “Aspettate!”. Durante gli incontri delle Arti Marziali da combattimento è l’espressione usata dall’arbitro in attesa di una decisione. MA-UKEMI. – “Caduta all’indietro”. Fa parte de-gli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Anche USHIRO UKEMI. MAWARU. – “Girare”. MAWASHI. – “Semicircolare”; “in cerchio”. Viene da MAWASHU, “ruotare”.

– “Cintura” dei SUMOTORI. Si tratta di una lunga (11 metri) e pesante (13 - 15 kg) striscia di seta, generalmente nera, alta sessantun centime-tri che, piegata sei volte, i SUMOTORI si avvolgono attorno ai fianchi, sopra un perizoma di seta (MAE TATE MITSU). Numerosi cordoncini rigidi di seta (sagari) pendono dalla MAWASHI, a scopo orna-mentale. MAWASHI-GERI. – “Calcio circolare”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO.

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MAWASHU. – “Ruotare”. MAWATTE. – “Girate!”. ME. – “Occhio”; “sguardo”; “visione”. MEI. – È il nome, la “firma”, che il forgiatore (KAJI) spesso appone sul codolo (NAKAGO) della lama, della KATANA di pregio, soprattutto. Il MEI si trova sempre sulla faccia del NAKAGO posta all’esterno, quando l’arma è portata, al fianco. Si definisce katana-mei quando la lama forgiata è destinata ad una KATANA (quindi filo della spada rivolto in alto), tachi-mei in caso la lama sia per una TACHI, portata quindi appesa, col taglio verso il basso. MEIJI. – “Governo Illuminato”. Indica il Periodo storico (Era) dell’Età Moderna del Giappone, che va dal 1867 al 1912, regnante l’imperatore MU-TSUHITO. Sotto di lui, dal 1868, è restaurata l’au-torità imperiale ed il Giappone si modernizza. MEIMEI-NO-GI. – È il rituale durante il quale è imposto il nome all’erede maschio al trono impe-riale. La cerimonia avviene a sette giorni dalla na-scita: il padre lascia sotto il cuscino dell’erede una scatoletta di legno bianco, all’interno della quale è posto un foglietto di carta, fatta a mano, su cui è vergato sia il nome stabilito, che dev’es-sere approvato dall’Imperatore, sia il simbolo scelto per lui. [si veda anche, nella Terza Parte, la voce “nomi”]. MEIYO. – “L’amore e la gloria”. Uno dei punti del BUSHIDO. [si veda]. MEKUGI. – È il piolo che, trapassandolo, fissa al codolo (NAKAGO) della lama l’impugnatura (TSUKA). MEKUGIANA. – È il foro – sempre presente nel codolo (NAKAGO) delle lame – che, attraversato dal piolo MEKUGI, consente di fissare l’impugnatu-ra (TSUKA). MEN. – “Faccia”, “volto”. “Testa” in senso gene-rale. Anche TSU, ATAMA, KASHIRA, TO. Sul volto ci sono parecchi KYUSHO, “punti sensibili” per gli A-TEMI.

– Casco imbottito, a protezione di testa e vi-so, dell’armatura per scherma (DOGU) usata nel KENDO.

– Termine generico per indicare la maschera d’arme.

– “Tecnica di percossa eseguita sopra la fronte”. MEN TSUKI. – “Colpo al viso”. MEN UCHI. – “Fendente verticale al capo”. “Col-po frontale al viso, con taglio dall’alto al basso”. È lo stesso che SHO MEN UCHI. [si veda].

MENDARE. – L’insieme delle protezioni per testa (MEN, MEN-GANE) e spalle (falde pesanti) dell’armatura per scherma (DOGU), usata nel KEN-DO. MEN-GANE. – “Maschera a griglia”, posta a pro-tezione del viso, che completa il casco, MEN, dell’armatura per scherma (DOGU) usata nel KEN-DO. MEN-HIMO. – “Cordoni” che legano la maschera MEN-GANE al casco MEN e fissano questo alla testa del KENDOKA. MENKYO. – “Licenza (d’insegnare)”. È l’antico metodo di graduazione del BUGEI: il Maestro del RYU, ritenendo abile e degno un suo discepolo, gli rilascia un diploma (MAKIMONO) che, certificando-ne le qualità e le attitudini, lo abilita all’insegna-mento. MENKYO KAIDEN. – “Io ho dato tutto a…”. È la trasmissione finale, nell’antico sistema di classifi-cazione del BUGEI, il Diploma di terzo grado. Chi lo riceve ha appreso tutti i segreti e ottiene i di-plomi o certificati (MAKIMONO, da 3 a 5, secondo attitudine e capacità) dal Maestro, cui può succe-dere, o può fondare un HA (“specialità”, “branca”) del RYU. MENPO. – Tipo di maschera d’arme completa. Usata dall’inizio del secolo XVI e conservata fino al XIX, copre tutto il volto. È di ferro, quasi sem-pre laccato ed ha foggia fantastica (riproduce a-nimali, spiriti, visi di monaci…) o di volto umano, molto spesso ritratto con espressione furente o terrificante (ressei menpo), con addirittura piz-zetti e/o lunghi baffi di canapa. Si porta aggan-ciata alla parte anteriore del KABUTO: non solo protegge il viso, ma è di sostegno all’intera strut-tura di protezione della testa. Particolare carat-teristico: di solito ha il nasale staccabile. Anche SOMENPO. MENUKI. – Guarnizioni metalliche nella impugna-tura di spada o pugnale. La funzione iniziale è di copertura del piolo MEKUGI, ma presto si trasfor-mano in manufatti raffinati – che riproducono og-getti, insetti, animali, demoni, figure umane, dra-ghi, piante – prodotti da artigiani specializzati, spesso in metalli preziosi. METSUBUSHI. – “Colpire gli (o agli) occhi”. Normalmente, un ATEMI del genere è portato con-tro un punto al centro degli occhi con la nocca del dito medio.

– “Lanciapepe”. È una scatola, di lacca o bron-zo, munita di un grosso boccaglio da un lato ed un tubo dall’altro: contiene pepe in polvere, che i po-

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liziotti del Periodo EDO (1603-1867) soffiano ne-gli occhi di chi vogliono catturare, per bloccarlo. Anche GANTSUBUSHI. METSUKE. – “Penetrare con lo sguardo”, “occhi che vedono tutto”. Con questo termine si defini-sce una particolare categoria di funzionari, il cui compito è controllare i dipendenti pubblici – per scoprire, soprattutto, casi di peculato – e tenere sotto controllo singoli individui o gruppi che pos-sano costituire una minaccia per l’autorità shogu-nale. Per estensione, il termine identifica non solo le spie, la polizia segreta, ma tutti coloro che, se-condo quanto sancisce la norma 7 del BUKE-SHO HATTO, si fanno parte diligente nel riferire quan-to avviene nel feudo. La loro opera interessa l’in-tera società giapponese: tutti si occupano degli affari di tutti gli altri. MI. – “Corpo”. Pure TAI.

– “Espirazione”. – “Lama”. – “Acqua”.

MI-ATERU. – “Combattere a corpo a corpo”. MICHI. – “Cammino”. “Via”. Si veda DO. MIDORI. – “Verde”. MIFUNE KYUZO. – (1883-1965) Maestro di JU-DO, allievo di KANO JIGORO. È ricordato soprat-tutto quale inventore di una particolare tecnica di proiezione, adatta a JUDOKA di piccola statura (come lui stesso): KUKI-NAGE. MIGI. – “Destra”. Anche U. MIGI HANMI. – “Posizione naturale destra”. Il piede destro è avanzato. MIGI KAMAE. – “Guardia destra”. Anche MIGI-GAMAE. MIGI-DO. – Attacco al fianco destro. [si veda KENDO]. MIGI-GAMAE. – “Guardia destra”. Anche MIGI KAMAE. MIGI-KOTE. – Attacco all’avambraccio destro. [si veda KENDO]. MIGI-MEN. – Attacco al lato destro del capo. [si veda KENDO]. MIJIKAI-MONO. – “Cose corte”. Così sono det-te le armi quali pugnali, coltelli, falcetti, bastoni corti. Sono invece chiamate NAGAI-MONO, “cose lunghe”, le armi come lance, alabarde, spade, ba-stoni lunghi eccetera. MIJIN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Negishi Tokaku. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO.

MIKADO. – “Alta Porta”. Altro termine che iden-tifica l’Imperatore. Il primo MIKADO, col titolo di TENNO (“re del cielo”) è JINMU, il nipote e di-scendente della dea del sole AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, identificato appunto come JINMU TEN-NO. MIKAZUKI. – “Massetere” (angolo della mascel-la). Punto della mascella, leggermente di lato ri-spetto al mento. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. MIKKYO. – “Dottrina segreta”. Culto esoterico del Buddismo mistico SHINGON e TENDAI. Sta an-che per Yoga. MIKO. – Specie di “sacerdotessa” SHINTO. Ha talvolta nozioni mediche (più spesso di stregone-ria) ed è chiamata a scacciare, per mezzo d’in-cantesimi, i demoni (ONI) responsabili di una ma-lattia, quando altri rimedi non hanno avuto effet-to. MIMI. – “Orecchie”. Punto dell’orecchio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

– Bordo della TSUBA. MINAMOTO. – Celebre Clan militare. Il nome pare derivi da quello (“Casata Minamoto”) che il principe TAKAAKIRA riceve da quello che dovrebbe essere suo padre Daigo, Imperatore dal 930 al 986. Già nel secolo XI, unitamente ai TAIRA, conquista la supremazia sulle altre casate guerriere, prima-to esteso con l’eliminazione dei Clan Abe (Prima Guerra dei Nove Anni, 1051-62) e Kiyowara (Guerra dei Tre Anni, 1083-87) dall’isola di Hon-shu. Durante la Guerra GEMPEI (1180-85), nel 1184 sconfigge ed annienta il Clan rivale dei TAIRA (o HEIKE), dopo che questi hanno dominato il Periodo ROKUHARA (1156-1185). Nel 1192 MINAMOTO-NO-YORITOMO si proclama SHOGUN e fissa la sede del Governo a KAMAKURA, dando inizio all’omonimo Pe-riodo, protrattosi fino al 1333. Dei MINAMOTO sono molti personaggi illustri – guerrieri, politici, amministratori, fondatori di RYU – della storia giapponese e da questo Clan discendono, in linea retta, sia i TOKUGAWA sia i TAKEDA. Anche GENJI, dalla lettura dei due caratteri che compongono il nome di “Casata Minamoto”. MINAMOTO KIYOMARO. – Rinomato armaiolo della prima metà del 1800 (Periodo EDO). MINAMOTO TAKAAKIRA. – (914-982) Figlio, pare, dell’imperatore Daigo e di una concubina. Con lui dovrebbe iniziare ufficialmente l’omonima famiglia: dal padre riceve il nome di «casata Mi-namoto», i cui caratteri si leggono anche «Genji».

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È anche, a quanto sembra, il modello cui s’ispira SHIKIBU MURASAKI per il principe Hikaru (“Splen-dente”), il protagonista iniziale del suo GENJI MONOGATARI. MINAMOTO-NO-HIDETSUNA. – Si veda ARA-KI MATAEMON MINAMOTO-NO-HIDETSUNA. MINAMOTO-NO-MASAYOSHI. – Si veda TA-KEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI. MINAMOTO-NO-SONECHIKA. – Si veda SEKI-GUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO-SONECHIKA. MINAMOTO-NO-YANAGI. – Maestro della scuola YOSHIN RYU. Nel secolo XVIII razionalizza insegnamento e tecniche di combattimento della scuola, riducendo queste ultime a 124, dalle oltre 500 che lo YOSHIN RYU conta alla fine del secolo XVII. MINAMOTO-NO-YORITOMO. – (1147-1199) Primo SHOGUN (1192) del Giappone prefeudale. Con l’aiuto insostituibile del fratello minore, MI-NAMOTO-NO-YOSHITSUNE – il più famoso condot-tiero dell’epoca, poi caduto in disgrazia – annienta il Clan TAIRA (Dan-no-ura, 1184) e si insedia a KA-MAKURA, da dove ha provveduto a tessere strate-giche alleanze, mentre il fratello conduce vitto-riosamente la Guerra GEMPEI. Il merito maggiore di MINAMOTO-NO-YORITOMO è l’aver esteso all’in-tera nazione il sistema feudale proprio dei MINA-MOTO. Egli è ricordato anche come ideatore dello stile “classico” di YABUSAME: da 7 a 36 cavalieri che, indossando un abito da caccia, cavalcano lun-go 220 metri di pista, scoccando frecce contro bersagli posti ogni 3 metri. A causa dell’inettitu-dine dei suoi due figli, lo shogunato cade sotto il controllo degli HOJO, che però si proclamano solo Reggenti. MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU. – (1045-1127) SAMURAI di eccezionale abilità, fratello minore di quel Yoshiie che elimina il Clan Kiyowara dal set-tentrione dell’isola Honshu. È un attento studioso di tecniche marziali e d’anatomia umana (si rac-conta che la sua esperienza derivi anche dalla dis-sezione dei corpi di morti in guerra o giustiziati) e sembra che elabori una forma di AIKI-JUTSU, il DAITO AIKIJUTSU – poi divenuta patrimonio della sua Famiglia, anche se la tradizione domestica ne fa risalire l’origine al principe Teijun, sesto figlio dell’imperatore Seiwa (859-877) ed alla sua scuo-la, la GENJI-NO-HEI-HO – osservando con quale a-bilità un comune ragno sia in grado di intrappolare gli insetti, anche grossi, nella sottile trama della propria ragnatela. Il nome, DAITO AIKIJUTSU, di

questa forma di AIKI-JUTSU, si riferisce a quello della residenza di MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU, “Villa Daito”. Pare che molti WAZA dell’AIKIDŌ de-rivino da una serie di KATA da lui codificati. MINAMOTO-NO-YOSHITSUNE. – (1159-1189) Celeberrimo guerriero e condottiero dell’epoca prefeudale. È fratello di MINAMOTO-NO-YORITOMO e con lui sopravvive al quasi completo sterminio del proprio Clan, che poi guida alla vit-toria contro il rivale Clan TAIRA. Narra la tradi-zione che MINAMOTO-NO-YOSHITSUNE apprenda sia l’Arte della Spada (KEN-JUTSU) sia l’Arte del ventaglio (TESSEN-JUTSU) da alcuni TENGU, le di-vinità silvane. E si racconta che, ancora adole-scente, proprio con un ventaglio di ferro, sul pon-te Gojo di KYOTO, sconfigge BENKEI, il leggendario monaco che poi diventa suo fedele compagno. Su-scitata la gelosia del potente fratello, che anche grazie a lui ha potuto affermare il proprio domi-nio a KAMAKURA, fugge con alcuni seguaci. Rag-giunto, per non cadere vivo nelle mani degli inse-guitori, come narrano le cronache dell’epoca «si pugnalò da solo sotto il seno sinistro (…) poi, dopo aver esteso l’incisione in tre direzioni, trasse le sue interiora dalla ferita e asciugò la daga sulla manica della giacca». Non ha ancora compiuto i trent’anni. La moglie si fa uccidere da un vassallo, il quale uccide poi i figli del suo Signore, dà fuoco alla casa e si getta tra le fiamme. MINAMOTO-NO-YOSHITSUNE incarna il prototipo del SAMURAI ed è considerato uno dei personaggi più famosi del Giappone. MINARAI. – “Apprendimento imitativo”. È il pe-riodo – più o meno lungo – durante il quale l’allievo neofita è affiancato da un allievo più esperto, che quello deve imitare per imparare. MINEGUMO. – “Nuvole sulle cime”. Classe di navi della Seconda Guerra Mondiale. MINO. – Giubba fatta con le foglie lunghe e lar-ghe di un’erba. È usata da contadini e barcaioli per protezione contro la pioggia. MINO-ODORI. – “La danza del MINO”: macabra forma di tortura messa in atto durante una rivol-ta a Harima, nel secolo XVII. I contadini – e tra loro molti gregari del precedente feudatario, pri-vato di rendite e terreni dal successore – che non riescono a produrre la quantità di riso arbitra-riamente stabilita dal DAIMYO, sono legati e rive-stiti da un MINO, poi incendiato. Chi non s’uccide battendo il capo a terra, muore carbonizzato. MIRU-NO-KOKORO. – “Spirito della visione”. È la “visione globale”: dell’avversario e di quel che lo

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circonda, unita alla corretta valutazione del suo spazio/tempo. [si vedano KOKORO, MA-AI]. MISAGI. – “Abluzione”, “lavacro del corpo”. È uno dei tre metodi di purificazione (gli altri sono l’esorcismo, HARAI e l’astensione dalle cose impu-re, IMI) praticati dai fedeli shintoisti. La convin-zione è che, sporcata la natura originale di ognuno dal contatto con le impurità del mondo, MISAGI riesce a purificare e ripristinare il contatto con il divino. Questo metodo è diventato un’abitudine quotidiana, ripetuta spesso durante la giornata, per eliminare ogni forma di contaminazione. Tal-volta, si aggiunge del sale all’acqua usata per la purificazione, ed è usanza comune mettere muc-chietti di sale sulla soglia delle case. Nei templi ci sono sempre bacili d’acqua: servono per sciac-quarsi la bocca e lavarsi le mani prima della pre-ghiera. Oltre al lavaggio con acqua fredda, che purifica l’esterno, esiste un MISAGI “interno”, ri-generante, che pulisce lo spirito attraverso il re-spiro. Anche MISOGI. MISHIMA YUKIO. – È lo pseudonimo di KIMITA-KE HIRAOKA (14.1.1925 – 25.11.1970). Tra i più ori-ginali scrittori giapponesi contemporanei, rappre-senta la "scuola della letteratura moderna" ed è famoso tanto per le opere quanto – se non di più – per la morte, spettacolare e forse inutile. Aperto alla cultura occidentale ma fortemente legato alla millenaria tradizione del suo Paese, si ispira all’estetica ed all’etica dei SAMURAI. I temi conduttori della sua filosofia letteraria sono la guerra, l’erotismo (in tutte le sue declinazioni e varietà) e la morte, gli eventi “focali” della storia, l’Occidente classico e la religiosità. La sua infanzia e l’adolescenza sono caratterizza-te dall’isolamento e dalla fuga in un mondo fatto di libri. Negli anni ’60 del Novecento, già scritto-re affermato, approda ad un nazionalismo esaspe-rato e fonda la “Società dello Scudo” (Tate-no-Kai), una sorta di scuola militarizzata, un esercito personale composto da suoi giovani – ed aitanti – ammiratori. Il 25 novembre del 1970, con quattro suoi fede-lissimi, entra in una caserma e, con il pretesto di fargli ammirare una KATANA, sequestra il coman-dante. Più che un tentato colpo di Stato è un ge-sto dimostrativo che finisce in tragedia (od in pa-gliacciata, secondo i detrattori): gli 800 militari presenti, adunati nel cortile, non lo seguono, non lo appoggiano e, anzi, lo deridono mentre, ritto sulla balaustra di un balcone, tenta di pronunciare

il suo discorso, che richiama l’orgoglio nazionale ed i valori dello spirito. MISHIMA YUKIO sceglie quindi di compiere subito il suicidio rituale, peraltro già deciso: il suo SEPPU-KU (che, per i soliti detrattori, è più uno SHINJU) è completato dalla decapitazione, eseguita da un altro congiurato, il suo tremebondo assistente, Morita. Questi riesce solo ad infliggergli due or-ribili ferite a nuca a spalle e, poi, neppure ha la forza di seguirlo nel suicidio, ma chiede ed ottie-ne di essere decapitato. Tra i suoi scritti – oltre ad opere teatrali ed arti-coli – questi i maggiori: “Confessioni di una ma-schera” (1949), “Colori proibiti” (1951-52), “La coppa di Apollo” (1952), “Il padiglione d’oro” (1956), “Patriottismo” (1960), “Il sapore della gloria” (1963), “La via del samurai” (1967), “Sole e acciaio” (1968). MISOGI. – “Abluzione”. Si veda MISAGI. MITSU. – “Tre” in giapponese puro. In sino-giapponese è SAN, per contare le persone (NIN) si dice SANNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa SAMBON. MIURA RYU. – Scuola di JU-JUTSU e KEN-JUTSU. Secondo alcuni è fondata, verso il 1740, da un al-lievo di MIURA YOSHIN. Il RYU è tuttora attivo. MIURA YOSHIN. – Medico di Nagasaki del se-colo XVIII. Una tradizione gli attribuisce la figu-ra d’ispiratore dello YOSHIN RYU, fondato da un suo allievo. Può darsi che MIURA YOSHIN e AKIYA-MA SHINOBU (cui un’altra tradizione attribuisce la paternità dello YOSHIN RYU) siano la stessa per-sona. MIYABI. – “Cortesia”; “raffinatezza”. È un ter-mine che indica il tranquillo stile di vita dei nobili, predominante a KYOTO, nel Periodo HEIAN (794-1156), alla Corte imperiale. Durante il successivo Periodo KAMAKURA (1185-1333) l’espressione MI-YABI è utilizzata in rapporto al comportamento ideale che deve avere un BUSHI: pensieri elevati, tratto elegante, abilità nel maneggio delle armi “nobili”, arco e spada. MIYAGI CHOJUN. – (1888-1953) Maestro di KARATE. È allievo di HIGAONNA KANRYO, della scuola Naha-te; nel 1930 fonda lo stile GOJU RYU. MIYAI GANZAEMON. – È il SUMOTORI che, vin-citore di un torneo organizzato da ODA NOBUNAGA nel 1575 e premiato con riso (500 KOKU) ed un ar-co, improvvisa una danza di ringraziamento e gioia, in onore del Signore. Ancora oggi tale fatto è commemorato, nei tornei di SUMO, con la “Danza con l’arco” (YUMITORI-SHIKI).

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MIYAMOTO MUSASHI. – (1584-1645) Celeber-rimo SAMURAI, definito KENSEI, “il santo della Spada”, anche per l’austerità con cui vive: pare non dorma mai sul morbido, non si lava mai né mai si pettina, non si sposa, non ha figli. Impara l’Arte della Spada (KEN-JUTSU) dal padre, Munisai Shimmen che, in seguito, è sconfitto in duello da SASAKI KOJIRO (il fondatore del GAN RYU) ed uc-ciso. MIYAMOTO MUSASHI diventa tanto esperto nel maneggio della spada – anche grazie agli inse-gnamenti, pare di TAKUAN SOHO – che per duella-re con SASAKI KOJIRO ed ucciderlo, vendicando il padre, dicono si limiti ad usare un EKKU, un remo da pescatore (ma forse è solo una delle sue armi preferite, il BOKKEN di legno, da lui usato con to-tale maestria). Si racconta che MIYAMOTO MUSA-SHI abbia patito una sola sconfitta in duello, per opera di MUSO GONNOSUKE KATSUYOSHI, l’inven-tore dello JO-JUTSU, armato proprio di uno JO. L’errabonda, avventurosa, quasi leggendaria vita di MIYAMOTO MUSASHI, spadaccino insuperabile, stratega imbattibile, perfetto esempio della “spada che uccide” (e, da giovane, ossessionato da un’idea: vincere ogni scontro) ispira lavori teatrali e romanzi. Uno dei più riusciti, intitolato “Musa-shi”, è opera di Yoshikawa Eiji ed esce a puntate sull’autorevole quotidiano Asahi Shinbun, negli an-ni dal 1936 al 1939. MIYAMOTO MUSASHI è so-prannominato NITEN, con riferimento al tipo di combattimento da lui prediletto, quello con una spada per ogni mano, una lunga (DAI-TO, KATANA) nella destra ed una corta (SHO-TO, WAKIZASHI) nella sinistra. È questa sua caratteristica che as-segna il nome popolare di “Scuola delle due Spa-de” (NITO RYU oppure NITEN ICHI RYU) allo stile da lui ideato ed alla scuola di KEN-JUTSU dove in-segna a combattere usando due spade, l’EMMEI RYU, conosciuta anche come HYOHO NITEN ICHI RYU. In questo stile non solo sono teorizzati alcu-ni principi basilari originali, ma sono anche svilup-pati ed applicati concetti propri d’altri Maestri e pensatori. Ad esempio il TANREN (l’”allenamento continuo”, che porta alla perfezione dei movimenti ed al completo autocontrollo), l’HISHIRYO (la coor-dinazione mente-corpo senza intervento del pen-siero cosciente), il FUDO-NO-SEISHIN (lo “Spirito Imperturbabile”, al NITO RYU chiamato IWA-NO-MI, “il Corpo come una Roccia”), l’HYOHO (“metodo della strategia”). I metodi d’allenamento dell’EM-MEI RYU sono duri quanto rigido ed austero è lo stile di vita del suo fondatore, tanto che, pare, i suoi discepoli diretti sono soltanto tre. Anche

MIYAMOTO MUSASHI – come tanti altri guerrieri che lo precedono e lo seguono, ma forse prima di molti altri: a 29 anni d’età e dopo oltre sessanta combattimenti vinti – realizza che c’è molto più che sconfiggere un nemico. Capisce che la Via del-la Spada non è solo “la Spada che Uccide” (SATSU-JIN-NO-KEN), ma anche “la Spada che dà la Vita” (KATSUJIN-NO-KEN) e si ritira in meditazione in una grotta, a Reigando, alla ricerca di ciò che tra-scende la vittoria e la sconfitta: la vera Via. A cinquant’anni MIYAMOTO MUSASHI (che, come tut-ti i SAMURAI d’alto livello, ha dimestichezza anche con lettere e belle arti) è anche Maestro di calli-grafia, poesia, scultura, pittura e forgiatura. Egli è autore d’alcuni testi, come il DOKUKODO, che tratta dello spirito del BUSHIDO, l’HYOHO-KYO (“Lo specchio della vita”), in 28 capitoli, sulla strategia nel combattimento, l’HYOHO SANJUGO KAJO (“Trentacinque Capitoli sullo Hyoho”) ed il GORIN-NO-SHO, il diffusissimo “Libro dei Cinque Anelli”, scritto all’età di sessant’anni. MIZOGUCHI-HA ITTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU (sia O-DACHI sia KO-DACHI). È fondata da Mizoguchi Jingozaemon Masanori verso il 1630 ed è tuttora operante. MIZU. – “Acqua”. MIZUKI. – “Fortificazione d’acqua”. opera di di-fesa costituita da un largo terrapieno posto a sbarrare un corso d’acqua per formare un ostaco-lo contro forze attaccanti. MIZUNO SHINTO RYU. – Scuola di IAI-JUTSU. Fondata da KOBAYASHI KOEMON TOSHINARI verso il 1600, è ancora attiva. Oltre alle tecniche di spada, è insegnato lo JU-JUTSU, nello stile tipico della provincia d’AIZU. MIZU-NO-KOKORO. – “Il cuore come l’acqua”: indica la calma perfetta di uno spirito non aggres-sivo, la sua resistenza passiva. Chi possiede il MI-ZU-NO-KOKORO ha un KI che vibra in armonia con l’universo e, per questa ragione, è sensibile a tut-te le percezioni esterne. [si vedano AIKI, KOKORO, MIRU-NO-KOKORO]. MOCHI. – “Presa”; “prendere con le mani”; “af-ferrare”. MOCHIZUKI HIRO. – (1936) Figlio di MOCHIZU-KI MINORU, fonda lo YOSEIKAN BUDO, moderno si-stema di combattimento. MOCHIZUKI MINORU. – (1907-…) JUDOKA dall’età di cinque anni, nel 1925 entra nel KODO-KAN di KANO JIGORO e da questi, nel 1930, è man-dato a studiare da UESHIBA MORIHEI. È il fonda-tore della scuola YOSEIKAN AIKIDŌ.

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MOGAMI-DO. – “Corazza a lame”. È in piastre di ferro, incernierata in modo tale da permettere l’apertura delle quattro parti che la formano (an-teriore, posteriore, laterali). Verso la fine del Pe-riodo TOKUGAWA (1603-1867) l’uso è soprattutto cerimoniale. MOKKO. – Tipo di TSUBA, con quattro lobi. MOKSO. – “Concentrazione e rilassamento”. Cor-risponde a quegli istanti – all’inizio (ed alla fine) d’ogni lezione – quando liberiamo la mente dai pen-sieri del mondo esterno (o ci prepariamo a rien-trarvi) e concentriamo attenzione ed energia (KI) nel TANDEN, realizzando, attraverso noi stessi, un ideale “ponte” fra cielo e terra. Seduti in SEIZA – o nella posizione “del loto”, KEKKA FUZA – ad occhi chiusi, con la colonna vertebrale diritta e le spalle rilassate, le mani poggiano sulla parte alta delle cosce, con dita e gomiti non allargati (oppure sono posate l’una sull’altra, pollici a contatto e palmi volti in alto). Tra le ginocchia lo spazio di due pu-gni (uno per le donne); il respiro, ventrale, è cal-mo, lungo, profondo. La lingua poggia al palato, la mascella non è serrata e la fronte è distesa: l’espressione del viso è serena. La mente si svuo-ta, lo spirito si calma, la tensione sparisce. Anche MOKUSO. MOKUJU. – Facsimile, in legno, di fucile con baionetta, per gli allenamenti di JUKEN-JUTSU e JUKENDO. MOKUROKU. – “Catalogo (elenco) delle tecni-che”. È quello – normalmente scritto su un rotolo di carta – che il Maestro consegna all’allievo, a te-stimonianza dei ciò che gli ha insegnato. Vale per “Certificato di trasmissione”.

– Nell’antico sistema di classificazione del BUGEI è il Diploma di secondo grado. MOKUSO. – Si veda MOKSO. MOMONO-I SHUNZO. – (1826-1886) SAMURAI, appartenente alla scuola KYOSHIN MEICHI RYU, partecipe alla vita politica del suo tempo e coin-volto negli avvenimenti che portano alla Restaura-zione MEIJI. Maestro in numerose Arti Marziali, organizza a EDO lo Shigaku-kan Dojo, dove allena SAMURAI ostili, come lui, allo shogunato. MOMOYAMA. – Località nei pressi di KYOTO. TOYOTOMI HIDEYOSHI vi fa costruire un castello, famoso per le decorazioni, distrutto alla sua mor-te.

– Indica il Periodo storico dell’Età Premoder-na del Giappone, che va dal 1573 al 1603. Si met-tono in luce grandi condottieri, che edificano im-ponenti castelli e fortezze. Emergono i Dittatori,

come TOYOTOMI HIDEYOSHI (che riesce ad unifi-care il Paese e disarmare la popolazione) e TOKU-GAWA IEYASU (che inizia lo shogunato del suo Clan a EDO). La repressione dei cristiani prelude alla totale chiusura del Giappone al mondo esterno.

– Indica una corrente artistica – meglio, una stagione di splendore – in auge a cavallo dei secoli XVI e XVII. Dopo secoli di incessanti lotte per il potere tra i vari Clan (SENGOKU JIDAI, “Era del Paese in Guerra”, 1467- 1568), il Giappone assa-pora un periodo di pace e di conseguente frenesia di vita, di ricerca del piacere. È il momento ideale per l’affermazione delle SHUNGA. MON. – “Emblema” della Famiglia o del Clan.

– “Domanda”. – “Porta”. – Moneta importata dalla Cina dal 958 alla fi-

ne del 1500. MONCHUJO. – È l’ufficio di inchieste, legate a-gli affari legali, del BAKUFU. Unitamente al SAMU-RAI DOKORO (quartiere generale militare e di poli-zia) ed al MANDKORO (l’amministrazione generale), costituisce la snella e semplice struttura organiz-zativa iniziale dello SHOGUNATO. MONDO. – “Riunione formale”. È quella tra un Maestro ed i suoi discepoli (MONJIN) ed allievi (MONTEI), fatta nel DOJO, nella quale si discute dello spirito del BUDO.

– “Domande e risposte”, da MON (“domanda”) e DO (“risposta”). Metodo di insegnamento nel Buddismo ZEN, basato sul dialogo, con domande e risposte, tra discepoli e Maestro, che spesso pro-pone KOAN [si veda] su cui meditare. MONJIN. – “Discepolo” di un Maestro o di un Ryu marziale. Anche MONTEI, come sinonimo. MONJU-BOTATSU. – “Bodhisattva della Sag-gezza” (Manjusri in sanscrito). MONOGATARI. – “Storia di cose”. MONTEI. – “Allievo” di una scuola d’Arti Marziali (RYU) o “discepolo” di un Maestro. Anche MONJIN, come sinonimo. MONTO. – Setta di monaci, feroci oppositori di TOKUGAWA IEYASU ed abili combattenti. Il loro spirito in battaglia si riassume nel motto dipinto sulle bandiere: «Colui che avanza è certo del Pa-radiso, colui che indietreggia è certo dell’eterna dannazione». MORIKAWA KOZAN. – Celebre Maestro di KYU-JUTSU. È opera sua il riadattamento (1644) delle tecniche insegnate nella YAMATO RYU, che porta-no, in pratica, alla nascita del moderno KYUDO.

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MORO TE. – “Due mani”, “con due mani”. Pure KATA TE. MOROTE DORI. – “Presa al polso con entrambe le mani”. MO-SUKOSHI. – “Ancora un po’”, “un po’ di più”. È la richiesta, fatta dall’arbitro durante gli incon-tri delle Arti Marziali da combattimento, di pro-lungare l’incontro. MU. – “Senza”.

– Esprime un concetto di negazione totale, con un richiamo alla filosofia buddista della vacui-tà (SHUNYA): ciò che “sembra essere” è unito a ciò che “non è”, in modo imperscrutabile.

– “Vuoto”, “vacuo”. Il “niente assoluto”. MUDANSHA. – Allievo di un’Arte Marziale che ancora non è qualificato ad indossare la Cintura Nera (DAN), possedendo soltanto un KYU. MUFUDA-KAKE. – Tavoletta di legno, con inciso il nome di un defunto. È usanza, in alcuni DOJO, onorare la memoria del fondatore di un RYU o dei Maestri trapassati, ponendo MUFUDA-KAKE a loro dedicati sul lato KAMIZA. MUGA. – Condizione di estrema concentrazione, praticamente in assenza di ego. In questo stato – della mente e dello spirito – nulla e nessuno riesce a disturbare il BUDOKA, che riesce ad eseguire la tecnica o compiere l’azione soggiogando, in prati-ca, l’avversario. MUGAI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda, nel 1695, TSUJI GETTEN SAKEMOCHI ed è tuttora attiva. Alla base dell’insegnamento di questo RYU – dove il combattimento si intende prettamente di-fensivo – vi è il principio HYODO, il cui fine ultimo è la perfetta vacuità (SHUNYA), l’unificazione dell’essere umano con il nulla cosmico, non certo l’uccisione dell’avversario. MUGAKU. – (1226-1286) Monaco buddista cine-se. Appartenente alla scuola Linji-zong del Buddi-smo CHAN (in giapponese, rispettivamente: RIN-ZAI e ZEN), arriva in Giappone nel 1278, su invito di Hojo Tokimune. È famoso per un episodio che pare incredibile: mentre un guerriero mongolo – durante una sommossa in Cina, nel 1275 – sta per trafiggerlo, egli lo mette in fuga recitando un GA-THA! MUHEN INOUE. – Monaco buddista e guaritore. Il suo nome significa “senza limiti” o “infinito” (da uno dei quattro voti del Bodhisattva: shu-jo mu-hen seigan-do, vale a dire “infinite sono le forme di vita, faccio voto di curarle tutte”) e, infatti, MUHEN INOUE vive in Giappone, India, America, Europa, sempre curando chi ha bisogno. Nasce agli

inizi del 1900 e, rimasto presto orfano, è accolto in un tempio buddista, dove pronuncia i voti; la sua ultima residenza è la Francia. Apprende l’arte di “soffiare” sul dolore, fino a farlo scomparire, da uno yogi (Maestro di Yoga) vissuto in Nepal, capa-ce d’imprese incredibili (accendere una candela distante alcuni metri concentrandovi il KI, ferma-re il cuore per un paio d’ore…). Il metodo di cura si basa, in pratica, sull’applicazione del KI su TSU-BA o altri “punti dolorosi” corrispondenti alla ma-lattia da guarire. MUKA MAE. – Posizione naturale. Posizione e-retta normale, di base. Anche SHIZEN HONTAI o SHIZEN-TAI. Fa parte delle SHISEI (“posture”). MUKADE TSUBA. – Tipo di TSUBA. [si veda SHINGEN TSUBA]. MUKEN. – Posizione (tipicamente del KENDO) con la spada: le lame (o gli SHINAI) non si toccano. Questa posizione è opposta a YUKEN, con le lame che, toccandosi, s’incrociano. MUKYU. – È l’allievo di un’Arte Marziale, di cui non possiede ancora alcun KYU. MUNE. – “Petto”, “torace”. Anche muna.

– “Dorso” della lama di una spada. Più pro-priamente, con riferimento alle lame in genere, si dovrebbe parlare di “costa”. MUNE DORI. – “Presa al petto”. Presa al petto con una mano. AITE afferra TORI al petto (in GYA-KU HANMI). Questa presa, di solito, prelude ad una spinta o ad una trazione, soprattutto se fatta a due mani (MUNE MOTO). TORI asseconda AITE: se tirato, entra in IRIMI, se spinto, ruota, assorbe e controlla. MUNE DORI MEN UCHI. – “Presa al petto con colpo”. Presa al petto con una mano, più fendente al capo. AITE afferra TORI ad una spalla e lo colpi-sce al volto o al capo con un MEN TSUKI. MUNE MOTO. – “Presa in pieno petto”. È la “presa al petto” – di solito a due mani – che equi-vale, in pratica, ad essere colpiti da una stoccata di spada o lancia. Normalmente TORI agisce prima che AITE concluda MUNE MOTO. MUNE TSUKI. – “Colpo al petto”. Colpo diretto al petto. AITE attacca sferrando un pugno al to-race. MUNE-ATE. – Corazza per il petto, fatta con bambù laccato o metallo, indossata dai KENDOKA. Fa parte del DOGU (equipaggiamento protettivo, versione modernizzata della leggera armatura TAKE GUSOKU). Anche DO. MUNEN-MUSHIN. – Viene dall’unione di MU (“senza”, “vuoto”), NEN (“coscienza”) – perciò,

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“senza coscienza”, “senza pensiero” – ed ancora MU con SHIN (“cuore”, “spirito”, “pensiero”) – quindi “non-pensiero” –; tutto insieme richiama lo “stato mentale di vacuità” (SHUNYA). Si veda an-che MUSO. MURAKAMI TETSUJI. – (…-1987) Maestro di Karate, dello stile SHOTOKAN. È tra gli artefici della diffusione, in Europa, prima della stile SHO-TOKAN e poi di quello SHOTOKAI. MURAKU RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e IAI-JUTSU, fondata da Nagano Muraku Kinrosai. MURAMASA ISE. – (1340 circa) È considerato tra i migliori fabbricanti di lame giapponesi. La sua scuola, attiva nella provincia di Ise, è famosa per il bellissimo disegno ondulato (notare-ha) e l’accuratezza della YAKIBA, che produce un HAMON identico sulle due facce della lama delle YARI pro-dotte. Narrano le leggende che le lame prodotte da MURAMASA siano tanto assetate di sangue da spingere i loro proprietari ad uccidere indiscrimi-natamente, fino a impazzire e suicidarsi. MURASAME. – “Carotide destra”. Punto della ca-rotide. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. MURATA. - È il nome di uno dei primi fucili mo-derni prodotti in Giappone, nel 1889. In calibro 8 mm, con sistema di chiusura di palese derivazione occidentale, è arma di ordinanza dell’esercito im-periale nell’ultimo decennio dell’800, prima dell’adozione del modello ARISAKA. MUROMACHI. – È il quartiere di Tokyo dove lo shogunato ASHIKAGA stabilisce la propria sede, che dà nome al relativo Periodo storico.

– Indica il Periodo storico del Medioevo giapponese (parzialmente inclusa in quella ASHI-KAGA), che va dal 1392 al 1573, caratterizzata, tra l’altro, dai primi contatti con i Portoghesi, la predicazione di San Francesco Saverio e l’intro-duzione della armi da fuoco. La parte finale di questo periodo (fino al 1568) è definita “Era del Paese in guerra” o “Era della Guerra”, SENGOKU JIDAI. Alla fine di questa fase storica le battaglie sono combattute da truppe, anche armate alla leggera (ASHIGARU, ZUSA), che lottano schierate: le sca-ramucce tra guerrieri d’alto rango, i duelli tra SAMURAI o Signori comuni sono sempre più rari. MUSHA-E. – “Incisione su legno”: raffigura sce-ne di guerrieri, spesso in combattimento. MUSHA-SHUGYO. – Diffuso e antico metodo, utilizzato dai BUSHI per apprendere e padroneg-giare il maggior numero possibile di tecniche mar-

ziali: seguire, nel tempo e successivamente, diver-si Maestri in molti RYU. Questa pratica è criticata e censurata dai tradizionalisti, secondo cui un al-lievo (meglio, un adepto) deve seguire, per tutta la vita, uno solo Maestro, il suo primo, ed una sola scuola, quella che lo ha accolto. In massima parte, quindi, sono RONIN o SAMURAI indipendenti e for-temente decisi ad allargare la propria conoscenza a seguire questa pratica. Solo RYU a forte im-pronta ZEN – con il loro rifiuto del formalismo, nella trasmissione del sapere – accolgono volen-tieri questi allievi atipici. MUSHIN. – “Non-pensiero”; “mente vuota”. È lo “stato mentale originale”: lo spirito non si fissa su nulla, è aperto, sì disponibile a tutte le cose, che, però, riflette come fosse uno specchio; pertanto, è l’opposto di USHIN. L’aneddoto sotto riportato ben illustra questo concetto, che dovrebbe essere comune ai prati-canti di tutte le Arti Marziali, in ogni tempo e luogo. Chang Dsu Yao (1918-1992) è un famoso Maestro cinese, esperto sia degli stili “morbidi” (NEIJIA) del suo Paese, sia di quelli “duri” (WEIJIA), dove raggiunge il grado massimo nel Kung-fu: Cintura Rossa 10° Chien. Nel 1949, a seguito della procla-mazione della Repubblica Popolare, emigra a Tai-wan (Repubblica della Cina Nazionale), dove diven-ta Istruttore Capo di Kung-fu in Polizia e nelle Forze Armate ed insegnante universitario. Un giornalista, un giorno, assiste al combattimen-to del Maestro Chang Dsu Yao contro una banda di malviventi che spadroneggiano nel mercato di Taipei, nell’isola di Formosa. Questi, giovani, nu-merosi, armati di bastoni e coltelli, aggrediscono il Maestro che, con sbalorditiva facilità li sgomina in brevissimo tempo. Il giornalista, impressionato, cerca immediatamente di intervistarlo e gli chie-de: «Ma come ha fatto?». La risposta è laconica: «Non lo so, non mi ricordo» e ben rappresenta lo stato mentale di vuoto del praticante di un’Arte Marziale. MUSHIN MU-GAMAE. – “Posizione di guardia con la mente vuota”. Si riferisce ad uno stato di assoluta rilassatezza della mente e del corpo: non si assume nemmeno una postura di guardia (as-senza di posizione). Dovrebbe rappresentare l’atteggiamento – mentale e fisico – di ogni BUDO-KA di livello elevato. MUSHOTOKU. – “Non-coscienza”. “Indifferen-za” (al raggiungimento di qualcosa).

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È lo stadio finale – secondo la filosofia ZEN – di chi vive in perfetta armonia con sé, con la natura e con l’universo: indifferente a ricompense, pro-fitti, scopi, obiettivi. Premessa indispensabile al MUSHOTOKU è l’aver raggiunto uno stato mentale HISHIRYO (“oltre il pensiero”, “pensiero senza pensiero”), con la mente “pura” ed il vuoto totale nello spirito che, così, è totalmente ricettivo e “disponibile”. È la scuola ZEN SOTO-SHU, soprat-tutto, che ha l’obiettivo di perseguire il mokusho-zen, l’illuminazione silenziosa e graduale mediante ZAZEN. MUSO. – “Stato mentale di vacuità” (SHUNYA). La mente è vuota e non si fissa su alcun pensiero (MUSHIN), lo spirito, non turbato dall’apparenza delle cose, è totalmente disponibile. Nel BUDO, è la posizione senza movimento, la “non-posizione”. Anche MUNEN-MUSHIN. MUSO GONNOSUKE KATSUYOSHI. – La leg-genda vuole che sia l’inventore del bastone medio (JO) – adottato, in luogo del più lungo, pesante, in-gombrante BO, su ispirazione divina – e l’ideatore dell’Arte Marziale nota come JO-JUTSU (“tecni-che di bastone”, secolo XVI); è anche il fondatore della scuola SHINDO MUSO RYU. La tradizione vuo-le che MUSO GONNOSUKE KATSUYOSHI sia l’unico ad aver sconfitto in duello il celeberrimo MIYA-MOTO MUSASHI, utilizzando, appunto, un JO. MUSO JIKIDEN EISHIN RYU. – Scuola di IAI-JUTSU e IAIDO. È il nome assunto dalla scuola MU-SO JIKIDEN RYU di IAI-JUTSU nel secolo XVIII, quando il Maestro HASEGAWA CHIKARA-NO-SUKE EISHIN (7° Caposcuola) v’insegna il suo stile, l’HA-SEGAWA EISHIN RYU, che segna una notevole evo-luzione tecnica. Da questa, nascono molte specia-lità o scuole derivate (HA), che spesso rielaborano i KATA; tra le più note vi sono la Shimomura-ha e la Tanimura-ha, un cui Maestro, Morimoto Toku-mi, diventa il 17° Caposcuola del MUSO JIKIDEN EISHIN RYU e nel 1933 rinomina la scuola MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU. MUSO JIKIDEN RYU. – Celebre scuola di IAI-JUTSU. La fonda, nel 1560 circa, HAYASHIZAKI JINSUE SHIGENOBU, del Clan HOJO, con il nome JINNOSUKE RYU. In questa scuola, ancora oggi at-tiva, non si pratica il TAMESHI-GIRI (“prova di ta-glio”). Un’evoluzione tecnica si ha nel secolo XVIII, con l’arrivo del famoso Maestro HASEGA-WA CHIKARA-NO-SUKE EISHIN (che diviene suo 7° Caposcuola): da allora la scuola prende il nome di MUSO JIKIDEN EISHIN RYU. All’inizio del secolo XX, con il 17° Caposcuola (Morimoto Tokumi), la

scuola assume il nome di MUSO SHINDEN RYU BAT-TO-JUTSU e quindi, nel 1955, confluisce nel MUSO SHINDEN RYU del Maestro NAKAYAMA HAKUDO. MUSO SHINDEN RYU. – Scuola di IAIDO. È il nome assunto dalla scuola MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU di IAI-JUTSU nel 1955, quando con-fluisce nell’omonima scuola del Maestro NAKAYA-MA HAKUDO. Nel MUSO SHINDEN RYU si fonde an-che lo stile OMORI RYU del Maestro Omori Soe-mon Masamitsu. I KATA praticati sono molti: 11 in SEIZA, 10 in tatehiza [seduti su un tallone, l’altra gamba è sollevata: piede a terra, ginocchio piega-to a 90°] e 21 rientrano tra gli OKU-IAI [8 da po-sizione SUWARI, 13 in TACHI]. MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU. – È il nome assunto nel 1933 dalla scuola MUSO JIKIDEN EISHIN RYU – già MUSO JIKIDEN RYU – di IAI-JUTSU e KEN-JUTSU, per opera del suo 17° Capo-scuola, Morimoto Tokumi, della branca Tanimura-ha. La scuola è ancora attiva. MUSOKEN. – Tipico movimento, di difesa o d’at-tacco, eseguito nel combattimento con la spada (soprattutto nel KENDO): è automatico, senza in-tervento del pensiero cosciente (HISHIRYO) ed anticipa un attacco avversario. MUSUBI. – “Nodo”, “cravatta”. Esprime il con-cetto – simile ad AWASE – di una sorta di collega-mento tra AITE e TORI, tale che l’esecuzione delle tecniche avviene senza sforzo, in modo “liscio”. MUTEKATSU. – “Schivare con lo spirito”. È un principio ZEN attribuito al monaco TAKUAN SOHO, ma già prima applicato [si veda TSUKAHARA BOKU-DEN], secondo cui è possibile sconfiggere il nemico senza usare mani o armi: “Colpire non è colpire, uccidere non è uccidere”. Nei limiti del possibile, infatti, occorre evitare ogni forma di combatti-mento, facendo in modo che il nemico sia impossi-bilitato ad attaccare. Sono numerose le scuole che seguono espressamente questo principio filo-sofico, diventato un vero e proprio stile (Muteka-tsu Ryu, lo stile di “non-combattimento”); tra que-ste: MUTO RYU, KATORI SHINTO RYU, SHIN KAGE RYU e KASHIMA SHINTO RYU. MUTEKI RYU. – Scuola di JU-JUTSU, fondata verso il 1650 ed ancora attiva. Tra i principi adot-tati c’è l’uso simultaneo di “forza” (GO) e “iniziati-va” (SEN o SEN-NO-SAKI). MUTO. – “Senza (MU) spada (TO)”. È la dottrina spirituale di combattimento sostenuta da YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI, secondo cui non è necessaria la spada per vincere un duello, basta che lo spirito sia puro e desideroso di evitare il

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combattimento (piuttosto che a morire senza paura). MUTO RYU. – “Sistema della Non-Spada”. È la scuola di KEN-JUTSU fondata, all’inizio dell’Era MEIJI, da YAMAOKA TESSHU. Quando questi diven-ta 10° Caposcuola della ONO-HA ITTO RYU, chiama la propria scuola ITTO SHODEN MUTO RYU. MUTSUHITO. – (3.11.1852-29.7.1912) Impera-tore del Giappone, detto Meiji Tenno, “Imperato-re Illuminato”. Succede quindicenne, nel 1867, al padre Komei ed affronta con decisione ed effica-cia la crisi dello shogunato: grazie alla sua opera il Giappone inizia a diventare un paese moderno. Con il sostegno di capaci collaboratori e la fattiva collaborazione della grande borghesia, avvia nu-merose riforme in campo economico, politico e so-ciale. Con l’abolizione di istituzioni – carica di SHOGUN compresa – e privilegi feudali, il potere imperiale è restaurato, moderato dalla Costitu-zione del 1889, entrata in vigore l’anno successi-vo: l’Imperatore, sacro ed inviolabile, è capo su-premo del Paese, che governa d’intesa con il Par-lamento (Dieta). La capitale è trasferita da KYOTO a EDO (ribat-tezzata Tokyo) nel 1868 ed è formato un esercito di leva, con coscrizione obbligatoria, che riesce a

reprimere le resistenze dei SAMURAI (1874 e 1877, rivolte a Kagoshima). Il rafforzamento politico, economico e tecnologi-co del paese, favorito anche dall’alfabetizzazione e dall’introduzione delle tecniche occidentali, ali-menta una politica estera d’espansione (guerra con la Cina per la conquista di Taiwan nel 1894-95, guerra con la Russia nel 1904-05 per la con-quista di parte della Manciuria e della Corea, an-nessa poi nel 1910). Il regno di MUTSUHITO assu-me il nome di Era MEIJI (“Governo Illuminato”). MUTTSU. – “Sei” in giapponese puro. In sino-giapponese è ROKU, per contare le persone (NIN) si dice ROKUNIN, per oggetti particolarmente lun-ghi (HON) s’usa ROPPON. MYOCHIN.– Scuola di eminenti armaioli, famosi fabbricanti di spade, elmi ed armature. S’afferma all’inizio del secolo XVI. MYOCHIN NOBUIYE. – (1486-1564) Maestro armaiolo e celebre fabbricante di TSUBA. Membro della Famiglia omonima, è il primo ad aver firmato i suoi prodotti, TSUBA decorate a traforo. MYOJO. – “Ombelico”, “ipogastrio”. Zona addo-minale posta sotto l’ombelico. Punto della parte inferiore del ventre. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

- N -

NABESHIMA. – Clan dell’isola di Kyushu, con feudo a Hizen (attuale provincia di Saga, vicino a Nagasaki), avversario dei TOKUGAWA per tre ge-nerazioni. Lo fonda NABESHIMA Naoshige (1538-1618), cui succede il figlio Katsushige (1580-1657). NABESHIMA Mitsushige (1632-1700), nipo-te di Katsushige, diventa DAIMYO quando ormai le guerre civili sono terminate ed è ricordato più come uomo colto e valido amministratore che co-me guerriero. È proprio il nuovo periodo di pace e prosperità, con il fiorire dell’economia e l’affer-marsi della classe mercantile, che sancisce la crisi della classe militare, i SAMURAI: ai DAIMYO servo-no buoni amministratori, non rudi guerrieri. È proprio questo stato di cose, il declinare delle virtù guerriere, che YAMAMOTO TSUNETOMO poco accetta, tanto da dedicare a NABESHIMA Katsu-shige, valoroso nonno del suo Signore il famoso HAGAKURE (“Nascosto tra le foglie”).

NAE-EBOSHI. – Cappello floscio, nero. I popola-ni lo indossano quando sono in servizio. NAGAI-MONO. – “Cose lunghe”. Così sono dette le armi quali lance, alabarde, spade, bastoni lunghi eccetera. Le armi come pugnali, coltelli, falcetti, bastoni corti sono chiamate MIJIKAI-MONO, “cose corte”. NAGAMAKI. – Arma bianca in asta. La sua lama ha forma a metà tra spada e NAGINATA. È anche detta “NAGINATA dritta”. La lama è sempre fab-bricata come quella di una spada: leggermente curva, con costa e YOKOTE (corta nervatura al tal-lone, trasversale) ed il codolo è lungo da 50 a 60 centimetri. Sono previsti TSUBA e SAYA, di legno laccato, mentre la TSUKA è costituita da un’asta. Non è chiara l’origine di quest’arma: alcuni la fan-no derivare dalle lunghissime (possono oltrepassa-re i 2 metri!) spade TACHI e NO-DACHI dei periodi Yoshino (1337-1392) e tardo KAMAKURA (inizi del secolo XIV). Altri ritengono che essa abbia origi-

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ne dalla NAGINATA lunga (lama anche di 120 cm) sempre del Periodo KAMAKURA (1185-1333). Nel Giappone dell’epoca si trovano spesso sia lame di spada, inastate per essere utilizzate come lance sia, viceversa, lame da lancia usate come spade. Le NAGAMAKI, invece, anche se di forma atipica, sono vere e proprie spade, da non confondere con lame a codolo lungo forgiate per le lance. Anche NAGATSUKA-NO-KATANA. NAGAO KENMOTSU. – SAMURAI, allievo dello YAGYU SHIN-KAGE RYU e dell’ITTO RYU. Nel secolo XVII fonda la scuola che porta il suo nome. NAGAO RYU. – Scuola di TAI-JUTSU. Il fondato-re, nel secolo XVII, è NAGAO KENMOTSU. La scuola insegna anche KAKUSHI-JUTSU (l’uso, nei combat-timenti reali, dei KAKUSHI, le “armi nascoste”). I KAKUSHI non sono considerati “onorevoli”, degni d’uso da parte dei SAMURAI: pertanto gli allievi sono, soprattutto, TAMI e KOOTSUNIN, la “gente comune”. Pare che il NAGAO RYU sia tuttora attivo. NAGARE. – “Flusso”; “corrente”. NAGARI. – Si veda NAGE-YARI. NAGATSUKA-NO-KATANA. – Si veda NAGAMA-KI. NAGAYE. – Asta della YARI. È normalmente di le-gno di quercia sempreverde (kashi, bianca o ros-sa) ed è fornita di un puntale terminale (HIRUMAKI o ISHIZUKI) di ferro od ottone. NAGE. – “Chi guida”. È chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini SHITE, TORI e UCHI.

– “Proiezione”. Viene da NAGERU, “gettare”. In AIKIDŌ sono previste dieci “tecniche di proiezio-ne” (NAGE WAZA), chiamate anche “forme di proie-zione” (NAGE-NO-KATA). NAGE WAZA. – “Tecniche di proiezione”. NAGE-GAMA. – Si veda KUSARI-GAMA NAGE-NO-KATA. – Forme di proiezione di TORI nei confronti di AITE. Comprendono 10 movimenti (o tecniche, NAGE WAZA) di proiezione:

IRIMI NAGE - frontale, in avanti IRIMI TSUKI - di difesa, in entrata

JUJI GARAMI - con le braccia incrociate KAITEN NAGE - in rotazione, circolare

KOKYU NAGE - dell’energia centralizzata KOSHI NAGE - circolare dell’anca

KOTE GAESHI - su torsione del polso SHIHO NAGE - nelle quattro direzioni

TEMBIN NAGE - con braccio ad angolo TEN CHI NAGE - cielo – terra

NAGERU. – “Proiettare”, “gettare”.

NAGE-YARI. – GIAVELLOTTO o lancia corta. Un corto e pesante ferro è posto su una breve asta. È utilizzato per la difesa durante i viaggi. Anche NAGARI. NAGINATA. – “Coltello per falciare”; “alabarda”, in senso lato. È un’arma in asta assolutamente ti-pica: la lama è molto curva e allargata verso la punta, ha nervatura, ma è priva di quella al tallone (YOKOTE). Il lungo codolo (NAKAGO) si inserisce in un’altrettanto lunga asta a sezione ovale. In origi-ne (VII-VIII secolo), come per moltissime altre armi, si tratta di un adattamento di attrezzi a-gricoli, tanto che i primi esemplari di vere NAGI-NATA (fine secolo IX) sono del tipo a gorbia (e per questo motivo lo studio sull’uso della NAGINA-TA rientra nel KO-BUDO). Perfezionata durante il Periodo HEIAN (794-1156), la NAGINATA è l’arma preferita dalle truppe arruolate dai monasteri (nel 1100 circa) e trova il suo utilizzo migliore in campo aperto, contro nemici a cavallo, mentre in terreni boscosi o spazi angusti ha uso limitato. In seguito il suo impiego si diffonde fra tutti i soldati, a piedi e a cavallo, quasi a scapito della spada ed anche le donne delle Famiglie militari ne apprendono l’uso. Le NAGINATA del tardo Periodo KAMAKURA (inizi del secolo XIV), chiamate shobu-zukuri-naginata, hanno una lama lunga fino a 120 cm ed un codolo altrettanto lungo. Dopo una breve fase di declino, la NAGINATA torna popolare nel secolo XVI: le continue guerre civili rendono ne-cessario l’approvvigionamento d’armi di tutti i tipi. È questa l’età in cui appare la NAGINATA ad asta corta (da 150 a 270 cm), con lama ben curva e di lunghezza normale (da 30 a 60 cm), talvolta muni-ta di TSUBA: l’ampio movimento circolare che la sua forma permette, è efficace e funzionale. Con l’avvento del Periodo EDO (1603-1867) e l’im-posizione della pace, pure la NAGINATA diventa più arma da parata che da guerra: lama accorciata e ornata; asta – sempre a sezione ovale – laccata, guarnita, incrostata di madreperla. È presente un fodero di legno, in genere magnolia, laccato, de-corato con insegne e ricoperto con fodera di seta. Sotto i TOKUGAWA la lama della NAGINATA è lunga 40-50 cm e l’asta 180. Le donne, nei loro allena-menti, utilizzano una versione alleggerita e con lama ridotta. NAGINATA-DO. – “Scherma con la NAGINATA”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali princi-pali). NAGINATA-JUTSU. – “Scherma con la NAGINA-TA”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali

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principali). Nelle competizioni e per addestramen-to si impiegano modelli speciali, chiamati KEIKO-NAGINATA e shiai-naginata, talvolta con la lama costituita – a somiglianza degli SHINAI – da lamel-le di bambù legate insieme. È ovvio che, come ac-caduto per quasi tutte le altre Arti Marziali tra-dizionali, al NAGINATA-JUTSU si è prima affianca-to – per poi sostituirlo quasi del tutto – il NAGI-NATA-DO, oggi molto diffuso, soprattutto fra le donne, e che non prevede la graduazione in DAN. Nella pratica del NAGINATA-DO sono utilizzate protezioni analoghe a quelle del KENDO, così come da questa Disciplina (e dal BO-JUTSU) derivano molte tecniche. Ancora oggi, come già ai tempi (fine del Periodo EDO) di CHIBA SHUSAKU SHIGE-MASA, fondatore dell’HOKUSHIN ITTO RYU di KEN-JUTSU, in Giappone le competizioni tra praticanti muniti di SHINAI o BOKKEN (chiamati UCHI-DACHI) contro avversari armati di NAGINATA (e detti SHI-DACHI) sono molto apprezzate. JIKISHIN KAGE RYU, KATORI SHINTO RYU, TENTO RYU e TODA-HA BUKO RYU, tra le maggiori scuole ancora attive di NAGINATA-DO. NAHA-TE. – “Mano di Naha”. Si veda OKINAWA. NAIKE. – “Caviglia”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. NAKAGO. – “Codolo” della lama. Per la sola KATA-NA sono previsti otto diversi particolari, ognuno con la propria nomenclatura. Spesso reca il nome (MEI) del forgiatore (KAJI). NAKAKURA KIYOSHI. – Si veda UESHIBA MORI-HIRO. NAKAMURA RYU. – Scuola di IAI-JUTSU. Fonda-ta nella prima metà del secolo XX dal Maestro Nakamura Taisaburo – già allievo dell’Accademia Militare Toyama, dove apprende lo stile TOYAMA RYU di IAI – è tuttora attiva. Caratteristica di questa scuola e di questo stile – talvolta chiamato Nakamura Batto-jutsu – è la pratica eseguita solo dalla stazione eretta. Otto sono le posizioni di base (KAMAE) ed altrettante le tecniche di taglio messe in pratica (tra cui HAPPO-GIRI, TAMESHI-GIRI, KIRI-TSUKE), con velocità d’esecuzione ed efficacia come scopo principale. NAKANISHI CHUTA. – SAMURAI, Maestro di KEN-JUTSU. Allievo di ONO JIROU UEMON TADAAKI, fonda una scuola di KEN-JUTSU, la NAKANISHI-HA ITTO RYU, antesignana del più moderno KENDO. NAKANISHI-HA ITTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU fondata da NAKANISHI CHUTA verso il 1600 ed ancora in attività. Gli allievi, durante l’allena-mento, sono protetti da una variante dell’armatu-

ra leggera TAKE GUSOKU, con corazza di bambù (MUNE-ATE o DO), protezione a grembiule (TARE), bracciali e manopole (KOTE) ed utilizzano una spa-da particolare, la FUKURO SHINAI. NAKANO MICHIOMI. – (1911-1980) Nome laico del monaco SO DOSHIN che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, prendendo spunto dalla scuola HAKKO RYU, elabora e codifica lo SHORINJI KEMPO. NAKAYAMA HAKUDO. – (1869-1958) Maestro di spada, conosciuto anche come HIROMICHI. Dopo aver studiato ed insegnato in numerose scuole (tra cui l’OMORI RYU, il MUSO JIKIDEN EI-SHIN RYU, lo SHINDO MUNEN RYU e lo Yushinkan Dojo), nel 1955 circa fonda il MUSO SHINDEN RYU, scuola di IAIDO, che assorbe, modificandone lo stile, la scuola MUSO SHINDEN RYU BATTO-JUTSU – già MUSO JIKIDEN EISHIN RYU, già MUSO JIKIDEN RYU – di IAI-JUTSU e KEN-JUTSU. NAKAYAMA MASATOSHI. – (1913-1987) Mae-stro di KARATE. È anche grazie a lui che il KARATE conosce popolarità e successo. È allievo di FUNA-KOSHI GICHIN e, dopo la Seconda Guerra Mondia-le, partecipa alla fondazione dell’Associazione Giapponese di Karate, che contribuisce all’opera di promozione di questa Disciplina inviando esper-ti nelle palestre d’Europa ed America. Non solo: è lui che organizza i primi campionati di KARATE – ma solo dopo la morte (1957) di FUNAKOSHI GI-CHIN che, come tutti i grandi Maestri, aborre la spettacolarizzazione ed ogni forma di competi-zione – trasformando definitivamente questa Di-sciplina in attività sportiva. NAKA-YUBI. – “Dito medio”. Vale inoltre per “pugno chiuso, con nocca sporgente” (anche IPPON-KEN). NAKAYUWAI. – È l’ultimo terzo, la Terza Parte della “lama”, verso la punta, dello SHINAI. NAMBAN TSUBA. – Tipo di TSUBA. NAMBU. – Pistola in calibro 8 mm progettata a partire dal 1902 da Nambu Kijiro (1869-1949). Prodotta in numerose versioni e modelli, resta in dotazione ad Esercito e Marina fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. NAMBU BUDO. – Si veda NAMBU-DO. NAMBU YOSHINAO. – Maestro di KARATE. Nel 1984 fonda l’omonima scuola di KARATE, mentre in precedenza ha ideato lo stile SANKUKAI, sempre di KARATE. é anche grazie alla sua opera che, nella seconda metà del secolo XX, in Europa si conosce lo stile SHUKOKAI, una sorta di KARATE “danzante”. NAMBU-DO. – Moderno stile di KARATE, fondato da NAMBU YOSHINAO nel 1984. Più che Arte Mar-

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ziale o sport competitivo, si tratta di esercizi d’armonizzazione con la natura, basati su tecniche di respirazione addominale. Anche NAMBU BUDO. NANA. – “Sette” in sino-giapponese. In giappo-nese puro è NANATSU, per contare le persone (NIN) si dice SISHININ, per oggetti particolar-mente lunghi (HON) s’usa NANAHON. Anche SHICHI. NANADAN. – Nel moderno sistema di graduazio-ne, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 7° grado”. Anche SHICHIDAN. [si veda KYUDAN]. NANAHON. – “Sette”, per contare oggetti par-ticolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è SHICHI o NANA, in giapponese puro si dice NANA-TSU, per le persone (NIN) s’usa SISHININ. NANAME. – “Obliquo”, “obliquamente”. Direzione diagonale. NANAME TSUGI ASHI. – Movimento TSUGI ASHI in diagonale. NANATSU. – “Sette” in giapponese puro. In si-no-giapponese è SHICHI o NANA, per contare le persone (NIN) si dice SISHININ, per oggetti parti-colarmente lunghi (HON) s’usa NANAHON. NARA. – Capitale del Giappone nel secolo VIII. È famosa per l’architettura buddista.

– Indica il Periodo storico dell’Età Antica del Giappone, che va dal 645 al 794 ed è caratteriz-zato dell’influenza cinese della Dinastia Tang. Tal-volta la parte finale di questo Periodo e l’inizio del successivo (HEIAN), tra il 710 e l’800 circa, è in-dicata come Periodo TEMPYO. NARABI. – “A fianco a fianco”. NARITOMI HYOGO. – Valoroso generale del se-colo XVI. Prende parte alle campagne militari per l’unificazione del Paese. NATSUME SOSEKI. – (1867-1916) Famoso scrittore. In realtà il suo nome è Kinnosuke, che significa “salvatore di denaro” e che gli viene im-posto dai genitori per scaramanzia, dal momento che i nati il 9 febbraio, come lui, corrono il rischio di diventare dei ladri; Soseki significa “pietra de-gli sciacqui”. Ultimo di otto figli, prima è affidato ad una balia ed in seguito cresciuto da una coppia senza discendenti. I suoi primi romanzi sono di i-spirazione umoristica, satirica e psicologica (“Io sono un gatto”, 1905, “Il signorino”, 1906). In se-guito predilige un genere narrativo più introspet-tivo, che si richiama allo ZEN ed alla poesia HAIKU, di cui è uno specialista (“Guanciale d’erba”, 1906, “Papavero”, 1908, “Sanshiro”, 1909, “Anima”, 1914). Per molti anni docente universitario, NA-TSUME SOSEKI, oltre che interessarsi di lettera-tura inglese fonda un circolo idealista (Yoyu-ha,

“Più che sufficiente”) nel quale alleva un’intera generazione letteraria. “Il signorino”, sua seconda opera, fino al 2005 è testo scolastico ufficiale ed è tra i romanzi più letti di sempre, in Giappone. NAWA. – “Corda”. Si pronuncia anche JO. NAWA-JUTSU. – “Arte di combinare una corda con armi diverse”. NAYASHI. – Movimento difensivo effettuato con la spada, soprattutto nel KENDO. È una rispo-sta ad un affondo (TSUKI) dell’avversario: con la propria arma si abbassa la sua verso terra. NE. – “Suolo”. NE WAZA. – “Tecniche al suolo”. Sono tecniche eseguite con TORI e UKE entrambi a terra (soprat-tutto nel JUDO). NEI-WAN. – “Bordo interno” dell’avambraccio. NEJI. – Altro nome dell’HINERI. NEKO. – “Gatto”. NEMBUTSU. – È l’abbreviazione di «Namu Amida Butsu», “sia lode al Buddha AMIDA”. NEN. – “Coscienza”. “Concentrazione”. Indica an-che un atteggiamento mentale d’estrema atten-zione verso qualche cosa.

– “Anno”. NEN RYU. – Scuola di IAI-JUTSU. NERI TSUBA. – Antico tipo di TSUBA, laccata su entrambe le facce. NETSUKE. – Maschera teatrale di legno. Si usa nelle rappresentazioni NŌ.

– Bottone che, cucito sull'OBI, regge la TABA-KO-IRE od una borsa porta pillole. Durante lo sho-gunato TOKUGAWA solamente gli aristocratici – per stirpe o divenuti tali per censo – sono auto-rizzati ad indossare ornamenti personali: i NETSU-KE diventa non solo oggetto indispensabile dell’abbigliamenti maschile, ma, molto spesso, ve-ra e propria opera d’arte, la cui bellezza e com-plessità nella lavorazione accrescono il prestigio del proprietario. D’avorio o altro materiale pre-giato, i soggetti spaziano dal regno vegetale agli animali ed agli esseri umani, ritratti in tutte le attività: dalla guerra all’amore, dal parto alla mor-te. NI. – “Due” in sino-giapponese. In giapponese pu-ro è FUTATSU, per contare le persone (NIN) si dice FUTARI, per oggetti particolarmente lunghi (HON) si usa NIHON. NIDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 2° grado”. Anche JO-MOKUROKU. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’allievo ricerca la conoscenza, tra-endola da tutte le fonti a lui disponibili.

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NIHON. – “Due”, per contare oggetti partico-larmente lunghi (HON). In sino-giapponese è NI, in giapponese puro si dice FUTATSU, per le persone (NIN) s’usa FUTARI.

- “Paese del Sol Levante”. È la lettura giap-ponese del termine cinese Jihpûn, abbreviazione di Jihpûnkuo: paese (kuo) del sole (jin) che sorge (pûn). È adottato ufficialmente nel 1932, quando il Giappone esce dalla Società delle Nazioni. An-che NIPPON. NIHON AIKIDŌ KYOKAI. – ”Associazione Giapponese di AIKIDŌ. NIHON KARATE KYOKAI. – ”Associazione Giapponese di Karate”. Ha origine dallo SHOTOKAI, nel 1937. NIHON KATANA. – “Tecnica con due spade”. È il metodo di combattimento – codificato da MI-YAMOTO MUSASHI – con una spada per ogni mano, solitamente una lunga (DAI-TO, KATANA) ed una corta (SHO-TO, WAKIZASHI). NIHON NUKITE. – “Dita a forcella”. NIHON TEIKOKU KAIGUN. – “Marina Imperia-le del Giappone”. Così è chiamata la nuova Marina da guerra giapponese sorta, dopo la Restaurazio-ne MEIJI, dall’unione delle flotte dei vari Clan. NIHONJI. – “Annali – o Cronache – del Giappo-ne”. Conosciuta anche come Nihon shoki, è tra le prime opere della storiografia ufficiale giappone-se (risale al 720), unitamente a KOJIKI (“Memoria degli Antichi Fatti”) e FUDOKI (“Libri dei luoghi e dei costumi”). Si veda anche SHINTO. NIJUSHI-HO. – “Ventiquattro passi” [da niju, 20, SHI, 4 e HO, passo]. Originale KATA di KARATE, di provenienza incerta, caratterizzato dal parti-colare ritmo di tempi rapidi alternati a tempi len-ti. NIKAIDO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. Fondata da Matsuyama Mondo nel 1600 circa, è ancora at-tiva; s’ispira allo stile CHUJO RYU di Chujo Naga-hide. NIKA-JO. – “Secondo principio”, “secondo inse-gnamento”. È un termine che, nel DAITO RYU AIKI-JUTSU, indica il NIKYO. È in uso nella scuola YO-SHINKAN AIKIDŌ. NIKYO. – “Tecnica numero due”. “Secondo prin-cipio” [si veda KOTE MAWASHI]. Immobilizzazione del braccio di AITE con torsione del polso. Nor-malmente utilizzata contro prese ai polsi ed al petto, fendenti e tecniche di pugno.

– 2° gruppo d’esercizi: torsione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAI-

SO), quelli di base, che si praticano da soli (TAN-DOKU DOSA). NIKYO OSAE. – “Seconda immobilizzazione”. NIKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato dal BUJUTSU, è lo “Studente di seconda classe”. [si veda KYUDAN]. NIN. – “Persone”. NININ. – “Due persone”. NININ DORI. – “Due persone prendono”. NININ-GAKE. – Due AITE attaccano TORI. NINJA. – “Guerriero delle tenebre”. Caratteri-stico insieme di leggendari combattenti, di volta in volta straordinari guerrieri, abilissime spie, spietati assassini prezzolati, briganti da strada… Normalmente di bassa estrazione sociale, sono considerati l’antitesi dei SAMURAI, per quanto ri-guarda il BUSHIDO, anche se pare assai probabile abbiano un proprio codice d’onore. Già tra la fine del Periodo HEIAN (794-1156) e l’inizio del Perio-do ROKUHARA (1156-1185) i NINJA formano uno scelto corpo di specialisti [oggi diremmo “corpo speciale per operazioni non convenzionali”], adde-strandosi sulle montagne intorno a KYOTO, dove spesso vivono in contatto con gli YAMABUSHI, i temibili monaci-guerrieri. Nonostante i BUSHI li disprezzino apertamente, non mancano le occasio-ni in cui si rivelano indispensabili ai DAIMYO, in guerra contro Clan nemici o impegnati in lotte in-testine. Sono allora assoldati per condurre opera-zioni di sorveglianza o colpi di mano o penetrare nelle fortezze avversarie per spiare e magari uc-cidere, in silenzio, i nemici del loro temporaneo padrone. Alcune (poche) famiglie, in maggioranza delle Province d’Iga e Koga sono specializzate in quest’Arte – solitamente tramandata di padre in figlio – e formano gli SHINOBI (questo è il vero nome dei guerrieri NINJA) attraverso un adde-stramento duro e particolare, che consente loro di compiere imprese ai limiti del possibile. La tra-dizione popolare vuole i NINJA, invulnerabili al fuoco, capaci di camminare sull’acqua e scalare pareti verticali, rendersi invisibili ed uccidere con un soffio o un tocco. Naturalmente una spiegazio-ne razionale c’è: i NINJA sono tutti abili nel nuoto, anche subacqueo (e, quando serve, usano delle specie di canotti gonfiabili), nel travestimento, nell’uso di veleni e prodotti chimici vari, polvere pirica inclusa (sono degli alchimisti veri e propri, molto progrediti per l’epoca). Inoltre, sono in grado di impiegare un’impressionante panoplia d’attrezzi ed armi, convenzionali ed occulte: SHU-KO ed ASHIKO, KAKUSHI, KYOTETSU-KOGE, KO-UGI,

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SHURIKEN, cerbottane, piccoli archi… I NINJA u-sano indossare, soprattutto di notte, un partico-lare costume nero con cappuccio (SHINOBI-SHOZUKU), ideale per confondersi nelle tenebre, ma sono in grado di rendersi praticamente “invisi-bili” fino al momento di entrare in azione, mime-tizzandosi tra la gente di tutte le classi sociali, grazie allo SHINOBI-JUTSU (“Arte del travesti-mento e dell’inganno”), nel quale sono maestri. Di-sprezzati ma ricercati, temuti e detestati dagli appartenenti alla classe “alta” (BUKE o KUGE, BU-MON o BUSHI che siano), i NINJA suscitano terro-re nella gente comune e, se catturati vivi, sono torturati brutalmente, con l’intento di carpire i segreti della loro Arte, il NINJUTSU. All’interno dei Clan esistono tre classi di SHINOBI: i capi, quelli che comandano, mantengono i contatti for-mali con il mondo esterno (e, quindi, i potenziali committenti), chiamati JONIN. Ci sono poi i “manager”, gli organizzatori e pianificatori delle missioni (CHUNIN) ed infine gli esecutori materiali, i GENIN. ODA NOBUNAGA, nella sua lotta per ripri-stinare l’autorità imperiale ed unificare la Nazio-ne, nel 1573 depone Yoshiaki, l’ultimo SHOGUN de-gli ASHIKAGA, eliminando in pratica il potente Clan. Nel 1581 egli decide di annientare anche i Clan NINJA della provincia d’Iga, ma gli è neces-saria un’armata di oltre 45.000 guerrieri per aver ragione di circa 4.000 SHINOBI, quasi tutti uccisi in battaglia o crocifissi dopo la cattura (ed un po’ di tortura). L’epoca d’oro dei NINJA si chiude con l’avvento del Periodo EDO. La situazione sociale e politica del Giappone, forzatamente pacificato, offre loro scarso spazio di manovra e gli SHINOBI, quelli rimasti, diventano fuorilegge, banditi, as-sassini a pagamento, briganti da strada, contri-buendo ancor di più ad alimentare l’avversione del popolo nei loro confronti. NINJA-TO. – “Spada NINJA”. È la spada tradi-zionale degli SHINOBI, portata normalmente sulla schiena. Ha lama diritta, più corta di quella di una KATANA, con un solo filo; spesso la TSUKA (impu-gnatura) nasconde un puntale, avvelenato. Il fode-ro (SAYA) talvolta è particolare: oltre a celare un pugnale (KO-UGI) di piccole dimensioni, può anche essere usato come cerbottana. NINJUTSU. – “Arte del NINJA”. Durissima e molto particolare è la preparazione completa di uno SHINOBI. Il NINJA è un esperto, sia nel ma-neggio di tutte le armi della sua epoca (conven-zionali e no: bianche, da lancio e da fuoco, com-prese alcune di sua invenzione) sia di attrezzi ed

utensili particolari. Deve conoscere i prodotti chimici – dai veleni alla polvere esplosiva, alle so-stanze fumogene e piriche – dall’uso dei quali, spesso, dipende il successo della missione. Atleta, acrobata, equilibrista, si serve di codici per co-municare con i membri del gruppo ed impara ad utilizzare i “Nove Simboli” (KUJI-KIRI), per assi-curarsi una magica forza fisica, se non, addirittu-ra, l’invisibilità. È maestro nell’”Arte dell’inganno” (SHINOBI-JUTSU) nonché di scienze “occulte” co-me l’ipnosi (SAIMIN-JUTSU) e “segrete” (HIDEN) come la KUKI-SHIN RYU. Sviluppa, con l’addestra-mento, sensi acutissimi ed un sentimento d’ap-partenenza al Clan così forte che, in caso (o peri-colo) di cattura si uccide immediatamente, per non rivelare né i segreti del NINJUTSU né il Clan di provenienza (e, tanto meno, il mandante). È solo nel secondo dopoguerra che quest’Arte è idealizzata dai suoi adepti (NINJUTSUKA), con un’aggregazione di mistica buddista ZEN e prati-che Yoga. Del vero, originale NINJUTSU si conosce ben poco, in realtà. Questo, nonostante l’esisten-za di scuole tradizionali, dove è tuttora praticato, come ad esempio la TOGAKURE RYU, fondata nel secolo XII da Daisuke Nishina. Nemmeno ci sono di molto aiuto i testi che ne parlano, come l’antico (1676) BANSENSHUKAI (“Cento, mille Fiumi”) di Fu-jibayashi, appartenente al TOGAKURE RYU, che del NINJUTSU descrive gli aspetti psicofisici. Il NINJUTSU si basa su furtività, trucchi e inganni e, addirittura, si potrebbe considerare come an-titesi dell’AIKIDŌ! Eppure, anche UESHIBA MORI-HEI ha praticato il KUKI-SHIN RYU, sulle montagne di Kumano, insieme agli YAMABUSHI, gli asceti del-la montagna. Si racconta che in seguito, richiesto di dimostrare qualche tecnica NINJA, O-SENSEI inviti una decina di allievi ad attaccarlo con spade e bastoni. Non appena questi lo aggrediscono, si-multaneamente, hanno l’impressione d’essere sfio-rati da una corrente d’aria, mentre il Maestro li chiama da una scala, 20 passi più in là. Alla richie-sta di un bis, UESHIBA MORIHEI risponde: «Voi cercate di uccidermi solo per passare il tempo! Ogni volta che si usano queste tecniche NINJU-TSU, la lunghezza della vita si riduce di 5 o 10 an-ni». Anche NINPO. NINJUTSUKA. – “Chi pratica il NINJUTSU”. È termine moderno. NINOMARU. – “Secondo cerchio”. È la cerchia di mura intermedia del tipico castello feudale (DO-SHINEN), disposta fra l’interna (HONMARU) e l’esterna (SANNOMARU).

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NINPO. – “Arte del NINJA”. Si veda NINJUTSU. NINYO. – “Umanità”. È quella che, secondo INA-ZO NITOBE, il vero BUSHI deve possedere. [si veda BUSHIDO]. NIPPON. – “Paese del Sol Levante”. Si veda NI-HON. NIPPON BUDOKAN. – Si veda BUDOKAN. NIPPON SHORINJI-KEMPO. – È il nome assun-to nel 1972 dallo SHORINJI KEMPO, quando questo si giapponesizza completamente, nella terminolo-gia (con piccole varianti) e nell’abbigliamento: KEI-KOGI bianco – adorno di un emblema del Buddismo esoterico, il MAN-JI, la svastica, ricamata sulla falda sinistra del GI – con sovrapposta una tunica nera, senza maniche, legata in vita da un grosso cordone a mo’ di cintura. Gli adepti (non soltanto monaci ZEN!), attraverso l’addestramento nel KEMPO e la meditazione ZAZEN, allenano corpo e spirito, secondo l’insegnamento del KONGO-ZEN. Il tempio principale (più che Arte Marziale, questa è una forma di pratica filosofico-religiosa) del NIP-PON SHORINJI-KEMPO è nell’isola Shikoku, a Tada-tsu, Prefettura di Kagawa. NIPPON-TO. – “Spada giapponese”. È il temine generico che indica tutte le armi bianche giappo-nesi, sia da punta sia da taglio. La classificazione usuale è in base alla lunghezza della lama: si veda TO. NISHIKI. – “Broccato”. NISSOKU-ITTO-NO-MA-AI. – “Distanza ide-ale” tra due avversari armati di spada. Corrispon-de a circa 4-5 passi. [si veda MA-AI]. NITEN. – Soprannome attribuito a MIYAMOTO MUSASHI, per l’abitudine che ha di combattere con una spada per ogni mano, una lunga (DAI-TO, KATANA) ed una corta (SHO-TO, WAKIZASHI). È an-che il soprannome del suo stile di KEN-JUTSU e della scuola da lui fondata, l’EMMEI RYU, conosciu-ta anche come NITO RYU oppure HYOHO NITEN ICHI RYU. NITEN ICHI RYU. – Altro nome, popolare, con cui è conosciuto l’EMMEI RYU. NITO. – “Due spade”. NITO RYU. – “Scuola delle due Spade”. È il nome popolare con cui è conosciuta l’EMMEI RYU (nota anche come HYOHO NITEN ICHI RYU), la scuola di KEN-JUTSU fondata da MIYAMOTO MUSASHI. NIWA JUROZAEMON. – Vero nome di ITSUSAI CHOZANSHI, autore del TENGU GEI-JUTSU-RON (“Trattato sulle Arti Marziali dei Tengu”). NO. – “Di”. Particella possessiva; preposizione con significato d’appartenenza.

NŌ. – Genere teatrale. È creato da Kannami Kyo-tsugi (1333-1384) e sviluppato, soprattutto, da suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1444), i quali danno forma definitiva a rappresentazioni prece-denti, come il SARUGAKU, che si rifanno a manife-stazioni artistiche cinesi. Zeami Motokiyo fissa la forma canonica – ad oggi immutata – del NŌ in una serie di trattati, che stabiliscono le basi teoriche di questa forma teatrale. Il NŌ, unitamente al ge-nere GEINOH, decisamente più popolare, rappre-senta il modello dello stile teatrale giapponese tra i secoli XIII e XIV. Il NŌ ha carattere for-temente simbolico e si compone di danza (RANBU), recitazione e musica. La musica consiste nel canto intonato dagli attori principali, nel coro (JI) e nel suono di tre tamburi ed un flauto (nel loro insieme chiamati HAYASHI), che forniscono l’accompagna-mento. Due sono gli attori principali: il protagoni-sta (SHITE) ed il suo avversario (WAKI); a loro si affiancano attori secondari (tsure, “accompagna-tori” e tomo, “compagni”). Tutti sono, rigorosa-mente, uomini: le donne non sono ammesse in sce-na e le parti femminili sono interpretate da attori opportunamente mascherati. Alla scenografia es-senziale fanno riscontro vesti sontuose e masche-re artistiche (se ne conosce una settantina di ti-pi). Regole tonali e melodiche di queste rappre-sentazioni sono rigorose: non sono ammesse im-provvisazioni, benché le stesse composizioni siano diversamente interpretate dalle diverse scuole, che impiegano anche differenti stili vocali. Il tea-tro NŌ – che è una sorta di riproduzione astratta e idealizzata della realtà – trae i propri argomenti dalla storia feudale e da leggende nazionali, con finalità soprattutto d’educazione spirituale. Più stilizzato del teatro KABUKI, il NŌ ha subito ben pochi cambiamenti nel tempo e le 500 opere giun-te fino ai nostri giorni sono rappresentate ancor oggi per un pubblico selezionato d’intenditori. Nel Periodo EDO (1603-1867) questa forma teatrale, classica e discreta, è ritenuta seria e quindi l’uni-ca adatta ai SAMURAI e degna dell’aristocrazia. Il teatro NŌ ben riflette gli ideali ZEN. Anche NOH. NOBORI. – “Pendio”.

– “Bandiera”, “insegna”. In uso dal terzo quarto del secolo XVI come segno distintivo per-sonale del SAMURAI di alto rango o del suo Clan, è costituita da una bandiera rettangolare, montata su un’asta di bambù e mantenuta tesa da una bac-chetta perpendicolare all’asta (in pratica, una L rovesciata). Il drappo è solitamente decorato con

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il MON della casata. L’insegna di dimensioni più ri-dotte, “portatile” per così dire, è il SASHIMONO. NOBUKUNI. – Celebre fabbro attivo nella prima metà del 1700. NOBUSHI. – “Coloro che dormono in pianura”. “Guerrieri delle Pianure”. Sono monaci-guerrieri, appartenenti principalmente ai grandi monasteri buddisti delle pianure, contrapposti – almeno nelle opere letterarie di contenuto epico del secolo X – ai “Guerrieri dei Monti”, gli YAMABUSHI. NODA HANKEI. – Armaiolo attivo alla metà del 1600. NO-DACHI. – “Spada da battaglia”. È molto lun-ga (da 90 fino a 180 cm) e pesantissima. Pare che l’uso della NO-DACHI risalga alla guerra civile Nambokucho, combattuta tra i sostenitori dell’im-peratore GO-DAIGO e quelli degli SHOGUN ASHI-KAGA (1336-1392). È questo un periodo di innova-zioni belliche. Tra queste: la sostituzione della classica YOROI con la più maneggevole DO-MARU e l’introduzione di cosciali e ginocchiere; l’uso di sandali di paglia in luogo di stivali pesanti ed an-che il sollevamento della gronda (SHIKORO) dell’el-mo, per rendere più agevole il maneggio delle ar-mi. In battaglia la NO-DACHI si porta sulla schiena, appesa ad una tracolla, con TSUKA (elso) sporgen-te sopra la testa, a sinistra e taglio in basso. La NO-DACHI, come tutte le armi da combattimento, ha fornimenti semplici, TSUBA di ferro e SAYA di legno. Di solito è trasportata, prima della batta-glia e durante i trasferimenti, da un apposito in-caricato. Anche O-DACHI. NODACHI-JUTSU. – È un’antica forma di com-battimento, praticata a cavallo. Il BUSHI è armato della spada da battaglia NO-DACHI, lunga almeno un metro e mezzo, che normalmente rotea in ampi fendenti. Il NODACHI-JUTSU, adesso, dovrebbe essere insegnato nell’ARAKI RYU. Anche O-DACHI-JUTSU. NODO. – “Gola”. NODOWA. – GORGIERA dell’armatura. I primi modelli, di cuoio ricoperto con pelle di RAZZA (SA-MÉ), sono foderati di broccato. In seguito sono u-tilizzate placche laccate e allacciate, piastre di metallo trapunte e legate o anche maglia di ferro. La NODOWA si chiude dietro il collo con cordonci-ni, mentre alcune varianti utilizzano ganci (megu-riva) o fibbie (eriva). NOGARE. – Tecnica di respirazione rapida, prati-cata soprattutto dai KARATEKI (stile KYOKUSHIN-KAI-KAN) nelle parate. S’inspira dal naso e si espi-ra, attraverso la bocca socchiusa, con percepibile

suono gutturale, ventrale, come nell’IBUKI e, come per l’IBUKI, la respirazione violenta dà luogo al KIAI. NOGI KITEN MARESUKE. – (1849-1912) Gene-rale. È ricordato non soltanto per la brillante car-riera (nella guerra contro Cina, nel 1894/95, di-venta governatore di Taiwan; in quella contro la Russia del 1904/05 vince a Port Arthur e Mu-kden), ma soprattutto per l’ultimo atto della sua vita, lo JUNSHI (suicidio rituale). Alla morte del suo imperatore, MUTSUHITO, si uccide insieme con la moglie. NOH. – Genere teatrale. Si veda NŌ. NOJO-JUTSU. – Metodo di lotta. Consente di legare un avversario utilizzando due corde. È an-cora insegnato in alcune scuole, come il TAKENOU-CHI RYU. NOKAN. – Flauto utilizzato nel teatro NŌ. Que-sto strumento non esegue melodie vocali, ma è utilizzato per sottolineare i passaggi tra le varie scene del dramma – definendone l’atmosfera – e per accompagnare le danze. NOROSHI-JUTSU. – “Arte di segnalare col fuoco”; “tecniche di segnalazione col fuoco”. Rien-tra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) ed appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marzia-li”). [si veda anche “ Antiche arti da guerra”]. NOTO. – È l’azione di rinfoderare la spada, dopo averla pulita (CHIBURI), scolando il sangue dalla lama. Il NOTO è l’ultima fase, quella che segue NU-KI-TSUKE (“sguainare”), KIRI-TSUKE (“tagliare”) e CHIBURI. È una delle tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO. NU-BOKO. – “Lancia Gioiello del Cielo”. Appar-tiene alla mitologia dell’antico Giappone, secondo la quale la coppia di dei IZANAMI-NO-MIKOTO ed IZANAGI-NO-MIKOTO crea le isole giapponesi sca-gliando questa lancia nell’oceano. Per la leggenda, la NU-BOKO è a forma di WA-BASHIRA (“colonna di maschio”). NUHI. – Si veda GENIN. NUKAZU NI SUMU. – “Arte di risolvere i pro-blemi senza usare la Spada”. Anche KEN-NO-SHINZUI. NUKI UCHI. – Tecnica di taglio “diagonale”. NUKI WAZA. – “Tecniche di finta”. NUKIDE-NO-TSUKASA. – Carica ufficiale isti-tuita, nel 719, dall’imperatrice Gensho (715-724). È suo il compito di ricercare i migliori SUMOTORI del Paese, in vista del torneo SECHI-E-ZUMO. NUKI-TSUKE. – “Sguainare”. È l’azione di e-strarre la spada dal fodero, per colpire (“taglia-

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re”: KIRI-TSUKE) immediatamente l’avversario. Il movimento deve avvenire prima che questo possa estrarre a sua volta. Al NUKI-TSUKE seguono CHI-BURI (“pulire la lama”) e NOTO (“rinfoderare”). È una delle tecniche di base (SHODEN) dello IAIDO. NUNCHAKU. – Arma da botta, flagello. Deriva dall’attrezzo agricolo destinato a battere la pa-glia di riso (SO-SETSU-KON) ed è originaria dell’i-sola d’OKINAWA. Il NUNCHAKU, formato da due ba-stoncini (in legno o metallo) uniti fra loro da una catena o una corda, è molto efficace anche contro un avversario armato di spada. Il Nunchaku-jutsu, l’”Arte di usare il NUNCHAKU”, appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). Il NUNCHAKU a tre sezioni si chiama SAN-SETSU-KON. NYOTAIMORI. – “Corpo decorato di una donna”. È un vero e proprio rito, per la tradizione, la fase

estrema dell’arte di servire a tavola. Consiste nel-l'utilizzare il corpo nudo di una donna (una GEI-SHA, in passato) quale piatto, a tavola. In Giappo-ne (ma non solo!) è praticato ancora oggi: ricchi uomini d’affari sborsano migliaia di YEN per con-sumare il cibo disposto sul corpo nudo di una ra-gazza, spesso una vergine. Il compito di queste ragazze è duro: non è facile restare immoti a lun-go, “cosparse” di cibo. Il loro addestramento, quindi, è altrettanto rigoroso: imparano a rimane-re distese ed immobili per ore (fino a quattro!), con sei uova appoggiate in vari punti del corpo. Cubetti di ghiaccio cadono all’improvviso sulla pel-le mettono alla prova il loro autocontrollo: se cade un uovo, si ricomincia il “collaudo”. NYUNAN SHIN. – “Leggerezza dello Spirito”. Si veda JUNAN SHIN.

- O -

O. – “Grande”; “grosso”, OBI. – “Cintura”. Nelle Arti Marziali, normalmen-te, s’indossano cinture – di tessuto spesso, lunghe tanto da girare intorno alla vita un paio di volte ed alte circa 5 cm – di un colore corrispondente al livello d’apprendimento [si veda KYUDAN]. OBI-KUATSU. – Massaggio lombare, alla cintura. Rientra nella gamma dei KIN-KUATSU: KUATSU par-ticolari, adatti a traumi e dolori pelvici – sia di rianimazione, quindi, sia antalgici – attuati con percussioni riflessogene. OBITORI. – Anello dell’occhiello di SAYA per TA-CHI. OBOERU. – “Ricordare”; “memorizzare”. O-BOSHI. – Elmo di tipo HOSHI-KABUTO. ODA NOBUNAGA. – (1534-1583) Esponente di spicco della Famiglia feudale Oda. Avversario del Buddismo, occupata KYOTO (1568) tenta non solo di unificare il Paese, ma anche di ripristinare l’autorità imperiale – tanto che, pur avendo il tito-lo di “generalissimo”, non si fa nominare SHOGUN, dopo aver sconfitto e deposto (1573) l’ultimo SHOGUN del Clan ASHIKAGA, Yoshiaki; fino al 1603 non ne sono nominati altri. Morto suicida (per cause ignote), alla guida dell’esercito imperiale gli succede TOYOTOMI HIDEYOSHI. Memorabile, tra le altre sue imprese, la campagna di sterminio condotta nel 1581 contro i Clan NINJA della pro-vincia d’Iga: 45.000 guerrieri faticano ad aver

ragione di circa 4.000 SHINOBI, quasi tutti uccisi in battaglia o crocifissi dopo varie torture. O-DACHI. – “Grande spada da battaglia”. È usa-ta per combattere da cavallo. [si veda TACHI]. O-DACHI-JUTSU. – Si veda NODACHI-JUTSU. ODOME. – Pratica di combattimento a mani nude. Si veda OSHIKI-UCHI. ODORI. – “Danze tradizionali”. [si veda la voce “Giappone. Danza”, nella Terza Parte]. ODOSHI. – Termine che indica il sistema di u-nione delle piccole piastre (KOZANE) che costitui-scono la corazza dell’armatura giapponese. L’ar-matura giapponese è caratterizzata da numero-sissime peculiarità: il materiale dei cordoncini (o stringhe o trecce) che uniscono le piastre (ed il loro colore e le varie combinazioni di colori…), il numero e la posizione delle piastre e addirittura dei fori nelle piastre. Soprattutto, però, è il tipo d’allacciatura che contrassegna i diversi periodi d’uso (antico, medio, moderno) in cui si divide l’ar-matura giapponese; in tali epoche abbiamo solo tre tipi d’allacciatura: KEBIKI, SUGAKE (o arame) e SHIKIME (o chikiri odoshi). Variano dimensione e posizione delle KOZANE, numero e collocazione dei fori di fissaggio e, di conseguenza, numero dei passaggi di cordoncino nei fori. Pare che sia pro-prio il sistema d’unione delle piastre – le trecce di tessuto, appunto – a garantire quella flessibilità

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che permette di deviare od ammortizzare i colpi di spada, lancia o freccia. OGASAWARA RYU. – Antichissima scuola di YA-BUSAME (“tiro con l’arco da cavallo”), fondata du-rante il Periodo KAMAKURA (1185-1333); è tuttora attiva. L’abbigliamento dei praticanti è il caratte-ristico costume da caccia feudale.

– Scuola di KYU-JUTSU (“tiro con l’arco da guerra”). Fondata verso il 1500, è ancora attiva ed il Caposcuola è anche ora un discendente della Famiglia OGASAWARA, nell’omonima isola. Nel RYU è tuttora osservata l’etichetta (REI-SHIKI) origi-naria, che influenza il comportamento degli allievi non solo nella scuola, ma anche nella vita privata. OGATA-JINJA. – “Santuario di Ogata”. Sorge nei pressi di Nagoya. È un tempio della fertilità shintoista. Vi si venera il Principio femminile, rap-presentato dalla Grande Pietra, bianca, ormai senza riconoscibile forma, ma simbolo di un orga-no sessuale femminile. Qui giungono, in annuale processione, i simboli fallici provenienti dal san-tuario di Tagata (TAGATA-JINJA) per una sorta di accoppiamento rituale, che favorisca la fecondità della terra e degli esseri umani. Nel Giappone antico gli organi genitali, soprattut-to quelli femminili, sono venerati come oggetti sa-cri: ospitano la saggezza di Kuan Yin, dea della pietà, in cui si manifesta la potenza del Buddha. Si veda anche SHUNGA. OGI. – “Ventaglio di tipo pieghevole”. È simile ad un settore di disco; può avere sia un utilizzo fun-zionale sia una valenza rituale e può essere d’uso personale o “da guerra”. Pare che l’origine dei ventagli pieghevoli sia giapponese: durante la Di-nastia cinese Song, le cronache narrano le conti-nue importazioni di tali accessori, chiamati appun-to “ventagli giapponesi”. Anche SENSU. OGURI NIEMON. – SAMURAI. Nel 1616 fonda l’omonima scuola di JU-JUTSU e adatta tecniche di KUMI-UCHI (lotta senz’armi, praticata con indosso l’armatura) ad allievi in abiti normali. OGURI RYU. – Scuola di JU-JUTSU. La fonda O-GURI NIEMON nel 1616; per alcune fonti è ancora in attività. I praticanti di WA-JUTSU (“Arte della Pace”) fanno risalire a questo RYU l’origine (idea-le) della propria scuola. OHAYÒ GOZAIMASU. – “Buon giorno”; si usa la mattina presto, quasi come “ben alzato”. O-ICHO-MAGE. – Acconciatura dei SUMOTORI. [si veda]. OISHI SHINKAGE RYU. – Scuola di KENDO fon-data da Oishi Susumu (1798-1865), Maestro di

KEN-JUTSU che appartiene allo SHIN KAGE RYU. Le tecniche della scuola si basano più sull’uso della forza, che su agilità e flessibilità. Gli allievi dello OISHI SHINKAGE RYU, negli incontri, indossano ca-schi (MEN) dalla forma particolare ed impugnano, con una sola mano (katate) uno SHINAI molto lun-go. La scuola è ancora in attività. OISHI YOSHIO. – È il capo dei celeberrimi “Quarantasette Ronin” [si veda, nella Terza Parte, la relativa voce]. OJI WAZA. – Tecniche di difesa ed immediato contrattacco (soprattutto in KENDO). OJIGI. – “Grande saluto” (cerimoniale) nel KEN-DO. OJI-KAESHI. – “Contrattacco immediato”: ri-sposta che segue una parata (soprattutto in KA-RATE e KENDO). OJIN. – È il 16° imperatore, che regna dal 270 al 310. Figlio dell’imperatore Chuai e di JINGO, sug-gerisce alla madre – incinta di lui ed impegnata nell’invasione della Corea – la miglior strategia per la conquista. Divinizzato ed eletto protettore del Clan MINAMOTO, è il KAMI della guerra. OJO. – “Buona morte”. È quella che – per la reli-gione buddista d’impronta AMIDISTA – garantisce la rinascita nel paradiso di AMIDA, il Buddha della salvezza, “colui che accoglie le anime nel Paradiso dell’Ovest”, “la Terra di Purezza” (JODO). Ai Giap-ponesi del tempo feudale importa soprattutto fa-re, dopo una vita spesa bene, una buona morte. I BUSHI, come tutti i loro contemporanei, del resto, sono tradizionalmente tolleranti, dal punto di vi-sta religioso, non formulano dottrine esclusive, accettano culti stranieri e traggono da ogni cre-denza idee, concetti, elementi che possono soddi-sfarli moralmente e spiritualmente. Così, possono dirsi allo stesso tempo shintoisti, buddisti e con-fuciani (anche cristiani, più tardi). Sono fedeli ai KAMI del Clan (perciò shintoisti) e, all’occorrenza, sono grandi uccisori di nemici e mangiatori di car-ne (quindi, secondo la morale religiosa, nocivi al prossimo). Osservano i principi morali di sotto-missione, fedeltà ed amore filiale (quindi confu-ciani), ma venerano le divinità buddiste e credono nella transitorietà delle cose, nella retribuzione del bene e del male in una vita futura e nella rina-scita ultima in paradiso (perciò sono anche buddi-sti). È piuttosto comune che, dopo una vita passa-ta al servizio di qualche Signore, i BUSHI si fac-ciano monaci, ritirandosi in qualche tempio. OKADA MORIHIRO. – (1893-1984) Maestro di KENDO, IAIDO, JUDO, KARATE e SHODO.

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O-KAMA-YARI. – Tipo di KAMA-YARI. OKEGAWA-DO. – “Corazza dai lati a botte”. En-tra in uso nel tardo Periodo MUROMACHI (1392-1573), probabilmente su modello di coeve armatu-re portoghesi. Comprende petto e schiena ed è costituita da lame orizzontali rivettate e non più unite da lacci. Capace di (parziale) protezione an-che contro armi da fuoco, ha diverse varianti, tra cui alcune a lame verticali (sendai-do). OKHA. – “Fiore di ciliegio”. Soprannome di un ve-livolo con propulsione a razzo, prodotto nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale per attac-chi suicidi. OKINAWA. – È l’isola più estesa dell’arcipelago delle Ryukyu, il cui nome significa, letteralmente, “una corda gettata nell’acqua”, a descriverne il profilo stretto e contorto. Le Ryukyu sono il se-condo gruppo d’isole, per grandezza, a sud di quel-lo principale – che è costituito dalle isole Hokkai-do, Honshu, Kyushu e Shikoku – ed a metà strada tra Kyushu e Taiwan. Invasa prima dai Cinesi (se-colo XVI) e poi dai Giapponesi (Clan SATSUMA di Kyushu, secolo XVII), è sottoposta ad una ferrea occupazione militare, tanto dura quanto contra-stata. La resistenza degli abitanti l’arcipelago è così tenace che gli occupanti decidono di proibire agli indigeni la detenzione di qualsiasi tipo d’arma, tanto che – si racconta – gli abitanti d’ogni villag-gio possono servirsi di un unico coltello, incatena-to ad un palo e sorvegliato da un guerriero. Con-tadini e pescatori – alcuni di questi ultimi hanno anche imparato, in Cina, tecniche di KEMPO – tra-sformano con successo i propri attrezzi in armi (EKKU, TONFA, NUNCHAKU, JITTE…), elaborandone anche i criteri d’uso, ma, soprattutto, s’inventano fantasiosi ed efficaci metodi di combattimento a mani nude. Lo studio delle tecniche di combattimento a corpo a corpo, soprattutto di derivazione cinese, è così sviluppato che ogni zona ha un proprio stile ed i metodi prendono nome dalle città dove sono pra-ticati: NAHA-TE (“mano di Naha”), SHURI-TE (“ma-no di Shuri”), TOMARI-TE (“mano di Tomari”) ecce-tera. L’insieme dei diversi stili va sotto il generico nome d’OKINAWA-TE (“Mano d’OKINAWA”) o TO-DE (“Mano Cinese”). I SAMURAI verificano in fretta, sulla loro pelle, l’efficacia di questi sistemi di lot-ta e presto se ne impadroniscono, dando origine – in patria – a tutta una serie di stili d’Arti Marzia-li, tra cui spicca il KARATE. Elemento di curiosità – e, oggi, di attento studio – è la longevità, accompagnata dalla buona salute,

degli odierni abitanti dell’isola, dove l’aspettativa media di vita è la più alta al mondo, con 81,2 anni (87 per le donne), contro i 79,7 del Giappone, al secondo posto. A seguire Hong Kong (79,1) e Sve-zia (79); l’Italia (78,6) è all’ottavo posto, gli Stati Uniti (76,8) al 18°. Ogni centomila abitanti ci sono 54 centenari (per confronto: negli Stati Uniti sono 5-10), di cui il 90% sono donne; almeno la metà di loro gode di una salute buona, se non ottima. Il segreto? Innanzi tutto un forte sistema immu-nitario, caratteristica “genetica” degli isolani ma, soprattutto, uno stile di vita esemplare, in cui giocano un ruolo determinante l’alimentazione, la forte struttura sociale e l’esercizio fisico. La dieta è a base di soia (è anti invecchiamento e fornisce proteine) e pesce (proteine), verdure (ricche di polifenoli, ne consumano quasi 1 kg al giorno) e patate dolci rosse (danno i carboidrati), tè verde con curcuma (ha effetti immunostimo-lanti, neuroprotettivi e antistress) ed è ipocalori-ca (tutti si alzano da tavola con ancora un po’ di appetito, mai “pieni”, secondo il motto HARA HACHI BU). Inoltre, il carattere degli isolani rivela una sorprendente capacità di adattamento, di ottimi-smo e di volontà di non arrendersi mai; bevono al-colici con moderazione e quasi nessuno fuma. Il lavoro – anche duro, nei campi ed a pesca – fino a tardissima età, l’indipendenza, l’attività sportiva (il Maestro Uehara Seikichi, a 97 anni, ancora in-segna KARATE), contribuiscono a rendere gli abi-tanti di OKINAWA longevi e sani: la vecchiaia dei centenari, in pratica, inizia a 95 anni e quando muoiono hanno ancora cuore ed arterie in condi-zioni pressoché perfette! OKINAWA KARATE-DO. – È il termine che i-dentifica il gruppo di tutte le tecniche di KARATE originarie d’OKINAWA. Gli stili insegnati nell’isola sono raggruppati nell’associazione Okinawa Kara-te-do Renmai. OKINAWA TO-DE. – Si veda OKINAWA-TE. OKINAWA-TE. – “Mano d’OKINAWA” o “Mano Ci-nese”. È il termine che indica l’insieme delle tec-niche di combattimento a mani nude originarie d’OKINAWA. In sostanza, si tratta della versione originale del KARATE, poi codificato da FUNAKOSHI GICHIN e modernizzato dal figlio, FUNAKOSHI YO-SHITAKA. Anche OKINAWA TO-DE. OKUDEN. – “Insegnamento segreto”. È la “tra-smissione profonda”, prevista nell’antico sistema di classificazione del BUGEI. Il Maestro imparti-sce gli insegnamenti esoterici (HI-GI) solo a quegli

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allievi – da lui scelti – ritenuti meritevoli ed affi-dabili, il cui comportamento si confà alle regole del gruppo e che giurano di custodire gli insegna-menti ricevuti per tutta la vita, senza rivelarli agli estranei. OKU-IAI. – KATA di Iaido, eseguito in posizione eretta (TACHI, 13 movimenti) o seduta (SUWARI, 8 movimenti). L’OKU-IAI rientra tra gli “insegnamen-ti segreti” (OKUDEN). OKURI. – “Coppia”; “entrambi”. OKURI ASHI. – “Spostamento base” (TAI SABA-KI) dell’AIKIDŌ. Si esegue, mantenendo la guardia, facendo scivolare in avanti il piede anteriore, mentre il posteriore, prima che l’altro completi il passo, scivola avanti. I talloni quasi si toccano, i piedi non si sollevano dal suolo. Può essere in a-vanti o indietro. Fa parte degli esercizi fisici spe-cializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si prati-cano da soli (TANDOKU DOSA). OKUYAMA MAGOJIRO. – (1525-1602) Fondato-re dell’OKUYAMA RYU, scuola di KEN-JUTSU. OKUYAMA RYU. – È la scuola di KEN-JUTSU che OKUYAMA MAGOJIRO fonda, ispirandosi all’AIZU KAGE RYU d’AIZU IKO. Pare sia ancora attiva. OKUYAMA TADENOBU. – È il fondatore dello SHINKAN RYU, scuola di KEN-JUTSU ispirata all’AI-ZU KAGE RYU d’AIZU IKO. OKUYAMA YOSIJI. – Adepto del DAITO RYU AIKI-JUTSU, è il fondatore (1938) dell’HAKKO RYU, scuola di JU-JUTSU. OMICHI. – Armaiolo attivo alla fine del 1700. OMORI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU; stile e KATA di IAIDO. Fondata dal Maestro OMORI SOEMON MASAMITSU, è poi confluita nel MUSO SHINDEN RYU, che predilige tecniche da posizione seduta (SEIZA o SUWARI). Il KATA, composto di dodici mo-vimenti di base, con partenza dalla posizione assi-sa, permette di assimilare i principi (JO) dello IAI. Ogni movimento comprende le quattro fasi tipiche dello IAIDO – NUKI-TSUKE (“sguainare”), KIRI-TSUKE (“tagliare”), CHIBURI (“pulire la lama”), NOTO (“rinfoderare”) – che costituiscono lo SHODEN, l’insegnamento base dello IAIDO. OMORI SOEMON MASAMITSU. – È il fonda-tore dello stile, e della scuola, OMORI RYU di IAI-DO. OMOTE. – “Fronte”; “di fronte” (rispetto all’av-versario). “Esterno”. “Positivo”. “Sopra”. Tecnica eseguita “in entrata”. È un metodo d’esecuzione delle tecniche che, in AIKIDŌ, quasi sempre, si possono eseguire tanto in OMOTE WAZA [di fronte, entrando davanti

all’avversario, in forma diretta] quanto in URA WA-ZA [da dietro, entrando dietro l’avversario, in forma circolare]. OMOTE rappresenta principal-mente l’aspetto apparente delle cose, l’esterno, la loro facciata. È sinonimo, concettualmente, di I-RIMI.

– È l’insegnamento impartito a quegli allievi ancora non in grado di ricevere la “trasmissione profonda” (OKUDEN) del loro Maestro. OMOTO. – “Grande origine”. OMOTO-KYO. – Religione fondata da DEGUCHI ONISABURO (o WANISABURO) e DEGUCHI NAO. Si afferma nel 1913 ed è potentissima tra il 1919 ed il 1921, sconfinando nell’attivismo politico e paramilitare, tanto che le autorità intervengono pesantemente contro la chiesa ed i suoi fedeli. Nel 1921 avviene il “Primo Incidente”, ad AYABE: la polizia assale la sede della setta e la casa di DEGUCHI ONISABURO; lui ed altri sono arrestati, mentre edifici e sacrari sono distrutti. Dal 1935, quando i seguaci sono già oltre due milioni (e si verifica il “Secondo Incidente”) alla prima metà degli anni ’40, la repressione è duro: i capi ed i semplici adepti sono arrestati, perseguitati, op-pressi, imprigionati per lungo tempo (DEGUCHI O-NISABURO resta in galera dal 1935 al 1942). UESHIBA MORIHEI – che si avvicina a questa dot-trina nel 1919 e per 15 anni partecipa a tutte le attività, lecite o meno, della chiesa (compresi il viaggio in Mongolia nel 1924 e la funzione d’I-struttore capo nel DAI NIHON BUDO SENYO-KAI), ricoprendovi ruoli di tutto rilievo – pur allentando i legami con la setta, fino alla morte rimane fede-le ai principi della filosofia OMOTO-KYO. In Giappone, dalla morte di DEGUCHI ONISABURO, avvenuta nel 1948, l’OMOTO-KYO non ha più signifi-cativa rappresentanza né particolare influenza, divisa com’è in numerose fazioni. ONAJI. – “Stesso”. ONAJI KAKUDO. – “Stesso angolo”. ONAKA. – “Addome”. ONEGAISHIMASU. – “Per favore”. ONI. – “Demone”, “diavolo”. ONI-KOTE. – Manopole dell’armatura per scherma TAKE GUSOKU; sono usate nel KENDO. Si definiscono anche UCHI-KOTE o, semplicemente, KOTE. ONNA. – “Donna”. ONNAGATA. – Attore del teatro KABUKI che in-terpreta un ruolo femminile. Il successo di questi attori, dopo il bando definitivo delle donne (1647), è assoluto: i teatri sono affollati da un

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pubblico pronto a compiere follie per i bei giovani sul palcoscenico, come altri, prima, hanno fatto per le attrici. Per ovviare all’imposto taglio del ciuffo sulla fronte – cosa che fa somigliare gli ONNAGATA ai SAMURAI, rendendoli meno attraenti – gli attori iniziano ad usare parrucche, abuso che nessun decreto shogunale riesce a reprimere. ONO. – “Scure da guerra”. Il grande ferro, a ta-glio convesso da 25 cm e grossa penna spiralifor-me, è montato su un’asta lunga fino a 210 cm, mentre la SAYA copre unicamente il taglio. Si tro-vano anche ONO dalla forma d’ascia d’arme all’eu-ropea. A volte l’ONO è unita ad una SU-YARI, per formare una sorta d’alabarda. Tra le non molte scuole ad insegnare l’uso di quest’arma è la SHIN-DEN FUDO RYU, antica scuola tradizionale di YARI-JUTSU. ONO JIROU UEMON TADAAKI. – (1565-1628) Maestro di spada. È discepolo di ITO ITTOSAI KA-GEHISA, fondatore dell’ITTO RYU, del quale diven-ta poi Caposcuola. ONO JIROU UEMON TADAAKI è il Maestro di NAKANISHI CHUTA ed anche Maestro d’armi (a vita) dello shogunato. ONOGOROJIMA. – “Isola della Goccia Congela-ta”. È la prima isola creata dalla coppia IZANAGI-NO-MIKOTO e IZANAMI-NO-MIKOTO mentre pla-smano il mondo. Come narra il KOJIKI, «Fermi sulla Gradinata del Cielo [il fantastico ponte che colle-ga il Cielo e la Terra], essi immersero NU-BOKO [“Lancia Gioiello del Cielo”] nella verde pianura del mare e rimescolarono le acque tutt’intorno. Quando la estrassero, dalla sua punta caddero al-cune gocce, che si consolidarono in un’isola. La coppia solare scese allora sull’isola, conficcò NU-BOKO nel suolo e vi costruì attorno un palazzo: es-sa era il pilastro centrale. NU-BOKO diventò l’asse del mondo, destinato a ruotare a causa dell’inizia-le rimescolamento.» Il fatto che si parli di “goccia congelata” e di un palazzo, richiama l’idea di un Atlantide ridislocato al Polo Sud, teoria scientifi-ca recente ma ampiamente condivisa. ONO-HA ITTO RYU. – Branca (HA) della scuola ITTO RYU. Fondatore è ONO JIROU UEMON TADAA-KI, allievo di ITO ITTOSAI KAGEHISA. È una scuola che insegna l’uso della spada lunga (O-DACHI) e corta (KO-DACHI). Frequentata anche dagli SHO-GUN, gode d’estremo prestigio. Caratteristica principale dello stile è la ricercata capacità di e-liminare l’avversario con un unico colpo di spada. È ancora attiva. O-NO-YASUMARO. - È lo scrivano che trascri-ve, in ideogrammi cinesi, i miti tradizionali e popo-

lari più antichi, prima tramandati oralmente. Glieli detta il miglior rappresentante della Corporazione dei Narratori (KATARIBE), HIEDA-NO-ARE, su ordi-ne dell’imperatore Temmu. ONSEN. – “Bagni”; “stabilimenti balneari”. ONSHITSU. – “Bagni caldi” (di vapore). ORENAI TE. – “Braccio inflessibile”. [si veda “ Considerazioni sul KI”]. ORIGAMI. – Tecnica artistica, diffusa soprat-tutto dal secolo XVII. Consiste nel piegare più volte un foglio di carta, di regola senza l’uso di forbici e colla, in modo da ottenere figure bi- o tridimensionali di persone, fiori, animali, oggetti diversi. ORU. – “Spezzare”. OSAE. – “Pressione”. “Immobilizzazione”; “con-trollo”. Viene da OSAERU, “premere verso il bas-so”, “tenere”. Sinonimo, per “controllo”, è KATAME. OSAE WAZA. – “Tecniche di controllo”. Si veda KATAME WAZA. OSAERU. – “Tenere”; “premere in basso”. OSAFUNE. – Villaggio nella provincia di Bizen. È noto per il fatto che, durante il “Periodo del Pae-se in Guerra” (SENGOKU JIDAI), praticamente tutti i suoi abitanti sono spadai, impegnati a soddisfare la continua domanda d’armi. OSAKA. – Città fondata nel secolo V, come porto ausiliario di KYOTO. Sorge sull’omonima baia della costa meridionale dell’isola Honshu. Capoluogo della Provincia omonima, è ampliata sotto TOYO-TOMI HIDEYOSHI; vi sorge il principale Castello del Clan. Alla fine del 1600 conta 350.000 abitanti. Dopo la Restaurazione MEIJI, in virtù dei traffici marittimi con l’Europa si sviluppa ulteriormente. Diventa, grazie all’opera del fabbricante di spade Tsuta Sukehiro e dei suoi allievi, importante cen-tro di produzione armiera. Ancora oggi è un porto tra i principali del paese e sede d’importanti indu-strie; ospita lo Shitenno-ji, il più antico (593) tempio buddista del Giappone e l’Ishiyama-Hongan, ricostruzione del Castello di TOYOTOMI HIDEYOSHI (l’originale, risalente al 1496, è di-strutto nel 1615, dopo l’ultima battaglia contro i vincenti TOKUGAWA. O-SEI-KUATSU. – “Grande procedimento au-tentico”. È un KUATSU ad azione globale, praticato su paziente in posizione seduta, che richiede l’in-tervento di due operatori. [si veda SO-KUATSU]. O-SENSEI. – “Grande Maestro”. È titolo attri-buito a pochi, eccezionali personaggi, tipicamente il fondatore di una scuola come, ad esempio, UE-SHIBA MORIHEI, KANO JIGORO, FUNAKOSHI GICHIN.

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I caratteri si possono anche leggere DAI SENSEI. OSHI. – “Spingere”, “premere”. OSHI TAOSHI. – “Chiave articolare di braccio (UDE HISHIGI), con spinta”. Si esegue applicando una pressione sul gomito di AITE. Fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME – od OSAE – WAZA). OSHIERU. – “Insegnare”. OSHIKI-UCHI. – “Tecniche segrete”. Tecniche di combattimento senz’armi che la Famiglia TAKE-DA sviluppa seguendo la dottrina AIKI-IN-YO-HO. L’insegnamento di questo sistema – noto anche come ODOME o AIZU-TODOME – è inizialmente ri-servato ai SAMURAI di rango superiore. Uno dei più famosi Maestri d’OSHIKI-UCHI è TA-NOMO SAIGO HOSHINA CHIKAMASA, insegnante an-che di TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, che inserisce queste tecniche nel suo sistema di combattimento, lo YAMATO RYU poi DAITO RYU JU-JUTSU quindi DAITO RYU AIKI-JUTSU. O-SOTO. – “Grande esterno”. OTAKEBI. – Movimento per concentrare imme-diatamente tutte le energie. Segue normalmente ad un esercizio o ad una serie d’esercizi respira-tori. Le mani sono all’altezza della fronte, le dita intrecciate, i palmi verso il basso: esprimendo un KIAI (ei!) potente, si spingono con forza le mani in basso, fino all’HARA. OTAKEBI può paragonarsi ad una forma d’autosuggestione, che provoca l’im-mediata concentrazione di tutte le energie. OTAKU. – Così sono chiamati gli adolescenti per i quali la passione per i videogiochi si trasforma in ossessione. OTANI SHIMOSA KAMI SEIICHIRO. – (1789-1844) Celebre spadaccino. Appartiene allo JIKI-SHIN KAGE RYU, dirige il KOBUSHO (scuola shoguna-le d’Arti Marziali) ed è il Maestro di CHIBA SHU-SAKU SHIGEMASA. Gli è attribuito il titolo di “Grande spadaccino” (CHO-ICHI-RYU). OTEN. – “Rotolare di lato. OTOKO. – “Uomo”. OTOKODATE. – “Uomo virile”, “uomo coraggio-so”. È l’uomo che ha raggiunto il perfetto auto-controllo, grazie anche alla pratica delle Arti Marziali. Nell’immaginario collettivo della sua e-poca è l’uomo di forte carattere ed animato da spirito cavalleresco, difensore di deboli e perse-guitati. Anche KYOKAKU.

OTOKOSHI. – È l’unica figura maschile con un ruolo definito nel KARYUKAI, “il mondo del fiore e del salice”. È l’assistente alla vestizione di una GEISHA: l’aiuta nell’indossare i vari strati di KIMO-NI il cui peso complessivo, spesso, oltrepassa i 20 kg. OTONASHI-NO-KEN. – “La spada silenziosa”. OTOSHI. – “Far cadere”. Viene da OTOSU, “ca-dere”, “gettare”. OTOSU. – “Cadere”, “lasciar cadere”. “Gettare”; “abbattere”. OTSUBO RYU. – Antica (secolo XV) scuola di BA-JUTSU. L’OTSUBO RYU, che utilizza lo YUMI e la NO-DACHI, è la più famosa scuola d’equitazione milita-re destinata ai BUSHI. O-TSUCHI. – “Mazza ferrata”. Tra le non molte scuole ad insegnare l’uso di quest’arma è la SHIN-DEN FUDO RYU, antica scuola tradizionale di YARI-JUTSU. OTSUKA HIDENORI. – (1892-1982) Studioso di JU-JUTSU allo SHINDO YOSHIN RYU e quindi allievo di FUNAKOSHI GICHIN, è il fondatore (1939) dello stile WADO RYU di KARATE. Questo stile predilige agilità, morbidezza e flessibilità alla forza, nell’e-secuzione delle tecniche. OTSUKA HIDENORI vuole rendere il KARATE una disciplina essenzialmente spirituale. O-TSUZUMI. – Tamburo a forma di clessidra, con due pelli legate. È utilizzato per accompagna-re la danza nel teatro NŌ e fa parte dell’insieme HAYASHI (con gli altri tamburi TAIKO e KO-TSUZUMI ed il flauto NOKAN) il cui suono, unita-mente al canto degli attori, costituisce la musica tipica di tale genere teatrale. Si utilizza appog-giato sul fianco sinistro e percosso con quella de-stra. O-UCHI. – “Grande interno”. OWARI. – “Fine”. OWARI KAN RYU. – Scuola di Arti Marziali, so-prattutto scherma con la lancia (YARI-JUTSU, uti-lizzando KUDA-YARI e SU-YARI) e con la spada (KEN-JUTSU), lunga e corta (O-DACHI, KO-DACHI). Fondatore, nel 1671, è Tsuda Gonnojo Taira No-buyuki (1654-1698). È ancora in attività. OYASUMINASAI. – “Buona notte”. OYAYUBI. – “Dito pollice”. OYAYUBI NUKITE. – Tecnica d’affondo, con il pollice, agli occhi dell’avversario. OYO WAZA. – “Tecniche applicate”. O-YOROI. – “La Grande Armatura”. È un tipo di armatura YOROI [si veda] complessa e costosa, in-dossata da SAMURAI di rango elevato e dai coman-

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danti tra la metà del secolo XII e l’inizio del XIV (successivamente ha uso cerimoniale). È costituita da tre parti, a protezione di petto, schiena e lato sinistro (quello destro è difeso da una separata sezione corazzata). Una pettorina (protezione ag-giuntiva: tsurubashiri), in cuoio lavorato, è appli-

cata al petto. Tutti gli elementi che la compongo-no – elmo (KABUTO), corazza (DO); spallacci (SODE), falde (KUSAZURI) e protezione a grembiule (HAI-DATE), maniche corazzate (KOTE), gambali (SUNEA-TE) – sono di notevoli dimensioni.

- P -

PAO. – Schermo rigido, imbottito, solitamente rettangolare (cm 30x60). È utilizzato come ber-saglio per tecniche di pugno o calcio, retto da un altro praticante o fissato al muro. PARASAITO. – Neologismo che indica le “single parassite”, vale a dire donne nubili dai venticinque agli oltre quarant’anni, che non intendono sposarsi né, tantomeno, mettere al mondo figli. Quasi sempre “in carriera”, abitano spesso, anco-ra, con i genitori e preferiscono vivere il presente (carriera, appunto e poi acquisti, viaggi, vacanze…) piuttosto che programmare il futuro e progettare una famiglia.

In effetti, anche questa è una forma atipica di HIKIKOMORI [si veda], una sorta di “sciopero dell’utero” dettato anche da ragioni pratiche: gli uomini non aiutano in casa né si occupano dei figli che, tra l’altro, costano un occhio della testa (crescere un figlio impegna oltre il 16% del bilan-cio familiare, il 20% se va alla scuola media). Inol-tre, per le consuetudini nipponiche, una donna che diventa madre (ma non da single, è disonorevole) deve lasciare il lavoro. Fonti ufficiali accreditano a questa categoria quasi il 90% delle giapponesi trententenni ed il 60% delle quarantenni.

- Q -

- R -

RAIFU. – “Ascia di pietra”. RAN DORI. – Neutralizzazioni d’attacchi, in di-namica, di più AITE. “Combattimento libero”, inte-so contro più avversari. Può essere in TACHI WAZA, SUWARI WAZA, HANMI HANTACHI WAZA, USHIRO WAZA o combinazioni varie. È la lettura giappone-se di due caratteri cinesi: louan (confuso) e tsiu (presa). RAN DORI AIKIDŌ. – “AIKIDŌ da combattimen-to”. È un termine talvolta utilizzato in Giappone per indicare il TOMIKI AIKIDŌ, come anche AI-KIDŌ KYOGI. RANBU. – Danza eseguita durante le rappresen-tazioni del teatro NŌ. REI. – “Rispetto”, “venerazione”. “Saluto”. L’Eti-chetta del DOJO (REI-SHIKI) prevede che i BUDO-

KA salutino l’Istruttore e si salutino tra loro pri-ma e dopo ogni allenamento; inoltre, devono salu-tarsi tra loro all’inizio ed alla fine di un incontro. Questo “saluto secondo le regole” (RITSU-REI) può avere denominazione diversa, secondo l’Arte o Di-sciplina Marziale praticata, e si può eseguire in piedi (TACHI-REI) o seduti (in ginocchio), con il ca-po diritto e leggera inclinazione del corpo (HAI-REI) piuttosto che con mani e fronte a terra (ZA-REI). Reigi-sa-ho è un sinonimo di REI.

– “Il giusto comportamento”, “rispetto”. Uno dei punti del BUSHIDO. [si veda]. REI-GI. – “Etichetta”. Espressione del mutuo ri-spetto all’interno della società. Osservare rigida-mente l’etichetta è anche il modo attraverso il quale si prendere coscienza della propria posizio-

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ne – che normalmente non è sovvertibile – nel con-testo sociale. Retaggio di tempi antichi, il rispet-to del REI-GI è abituale anche nel Giappone mo-derno: dai commessi ai fattorini, dai camerieri ai casellanti autostradali agli impiegati pubblici e privati, un sorriso ed un inchino ossequioso non mancano mai, unitamente al ringraziamento for-male DOMO ARIGATŌ GOZAIMASHITA! Frutto di zelo professionale (e duri esercizi!), questa gentilezza spesso fredda e la cortesia automatica appaiono quasi spontanee, non forzate ma sono, in ogni ca-so, un ben migliore trattamento di quello che su-biamo nel mondo occidentale! [si vedano anche DAI-SHO; KATANA]. REIROSHU. – “Il Tintinnio Cristallino delle Gemme”. Saggio scritto da TAKUAN SOHO [si ve-da]. L’autore induce a riflettere sulla natura dell’essere umano e teorizza come chiunque – sia esso SAMURAI, DAIMYO o comune popolano – può comprendere cos’è il “bene” e come questo possa essere differente dal semplice individualismo. So-lo in questo modo è possibile spazzar via incer-tezze, dubbi e perplessità circa il problema di fondo per ogni Giapponese: sapere come, quando e perché morire. REISHA. – “Tiro cerimoniale” (nel KYUDO, ma non solo). È un rito shintoista, con l’officiante, l’ar-ciere, in costume tradizionale (ma si scopre la spalla sinistra, per evitare impaccio nel tiro), E-BOSHI compreso. Si celebra lo “spirito” della freccia, che è tramite fra arciere e bersaglio, u-niti nell’”armonia del KI” (AIKI). La prima freccia scoccata è una “freccia fischiante” (KABURA-YA), a scacciare gli spiriti maligni. Il tiro cerimoniale, quando la cerimonia è particolarmente importan-te, si chiama DOSHA. REI-SHIKI. – “Regole del Cuore”. “Cerimoniale”. È l’”Etichetta” del DOJO, che alcune scuole tradi-zionali osservano con rigore assoluto. Numerose sono le regole di comportamento che un pratican-te deve seguire all’interno del DOJO. Tra le più importanti – e comuni a tutte le Discipline – ci so-no l’educazione, la correttezza ed il rispetto, ver-so il Maestro o Istruttore, verso gli altri allievi, verso il DOJO in sé. Non si tratta di compiere so-lamente gesti rituali, ma di riscoprire (attraverso un atteggiamento modesto, generoso, compassio-nevole) proprio quelle “Regole del Cuore” che con-sentono di vivere l’esperienza del DOJO come un arricchimento costante. REN RAKU. – “Successione d’attacchi”.

RENGA. – Gara poetica di versi incatenati, cui partecipano vari autori. Da questo tipo di compo-sizione, all’inizio del secolo XVI, con Sokan e Mo-ritake, inizia lo sviluppo della forma HAIKU: EMI-STICHI iniziali dei RENGA. RENSA-SANKAKU. – “Tecnica dei tre bastoni”. È un particolare metodo di difesa contro un av-versario armato di spada, ideato nella scuola TA-KAGI RYU nel secolo XVIII. RENSHI. – “Chi ha il controllo di sé”. “Maestro Esterno”. “Assistente Istruttore”; “aiutante e-sperto”. Nell’antico sistema di classificazione del BUGEI, si ottiene la qualifica di RENSHI solo con il grado minimo di 4° DAN e tale si rimane fino al 6°. [si veda KYUDAN]. RENSHU. – “Pratica d’allenamento”. Normalmen-te indica, in un’Arte Marziale, un periodo di adde-stramento. REN-TSUKI. – Tecniche alternate di pugno (so-prattutto nel KARATE). Anche RENZUKI. RENZAN. – “Catena montuosa”. Soprannome di aereo da bombardamento strategico della Secon-da Guerra Mondiale. RENZOKU. – “Continuativo”, “ripetuto”. RENZOKU-GERI. – Serie di successivi e continui attacchi con tecniche di calcio (soprattutto nel KARATE). RENZOKU-TSUKI. – Serie di successivi e conti-nui attacchi con tecniche di pugno (soprattutto nel KARATE). RENZUKI. – Si veda REN-TSUKI. REPPU. – “Uragano”. Soprannome di velivolo da caccia della Seconda Guerra Mondiale. RI. – “Morale”.

– “Teoria”. – Misura agraria di lunghezza. Vale 36 CHO ed

equivale, secondo le Regioni, da 3.900 a 4.300 metri. Un RI quadrato vale 36 CHO quadrati, cioè 16 km2 circa. RIDATSU-HO. – Tecniche di liberazione da pre-se, cui normalmente seguono contrattacchi imme-diati. Sono utilizzate, soprattutto, nello JOSHI JUDO GOSHINHO. RI-GI-ITTAI. – È il principio dell’unità fra teo-ria (RI) e tecnica (GI). RIN. – Unità base di lunghezza. Corrisponde a 0,303 millimetri. RINZAI-SHU. – (cinese: Linji-zong) Scuola ZEN, appartenente alla corrente del Buddismo mahâ-yâna. È una delle due principali rimaste: l’altra è la SOTO-SHU o SOTO.

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La tradizione vuole che sia fondata, nel 1191, dal monaco EISAI. In questa scuola (od ordine, che dir si voglia), per raggiungere il SATORI, sono mol-to utilizzati sia i KOAN sia lo ZAZEN, che si pratica rivolti al Maestro, al centro del DOJO, perseguen-do quindi il kanna-zen, lo ZEN della meditazione sulle parole, basato sullo studio dei KOAN. Anche, semplicemente, RINZAI. RITSU. – Uno degli aspetti intervallari delle mu-siche di Corte; l’altro è il RYO. RITSU ZEN. – Pratiche ZEN eseguite in piedi. RITSU-REI. – “Saluto secondo le regole”. “Salu-to rituale in piedi” nell’AIKIDŌ. Si esegue a talloni uniti, mani lungo le cosce, busto leggermente fles-so in avanti verso la persona cui è destinato. [si veda REI]. RITSURIN-KŌEN. – “Parco di Ritsurin”, a Taka-matsu. È un parco-giardino,tra i più belli e rinoma-ti del Giappone. La sua costruzione, iniziata alla metà del 1600, è termina nel 1745 dalla Famiglia Matsudaira; il parco resta in loro possesso fino all’Era MEIJI, quando viene aperto al pubblico. È l’esempio di come, in Giappone, siano intesi i giardini: evidenzia il rapporto organico tra la na-tura e l’uomo, applicando i principi del Feng-shui. RO. – “Vecchio”. Si veda ROSHI. ROFUSE. – Tecniche di lussazione o chiave arti-colare. Si eseguono, sia con le mani sia con le braccia, agli arti superiori, all’altezza del gomito. ROJU. – “Presidente del Consiglio dello SHOGUN”. ROKKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di sesta classe”. [si veda KYUDAN]. ROKU. – “Sei” in sino-giapponese. In giapponese puro è MUTTSU, per contare le persone (NIN) si dice ROKUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa ROPPON. ROKUDAN. – Nel moderno sistema di graduazio-ne, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 6° grado”. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’allievo è un individuo che si rilas-sa, è spontaneo, non si preoccupa, non pensa. ROKUHARA. – Indica il Periodo storico dell’Età Antica del Giappone, che va dal 1156 al 1185. È caratterizzato dal dominio del Clan TAIRA (o HEI-KE). Inizia Età dei Baroni feudali e della nobiltà militare (BUKE), che si protrae fino al 1868. ROKUNIN. – “Sei”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è ROKU, in giapponese puro si dice MUTTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa ROPPON.

ROKUSHAKU-BO. – “Bastone lungo”. Indica il bastone lungo 190 cm (per la precisione 6 SHAKU: 181,81 cm). RONIN. – “Uomo onda”. Così è chiamato (prima del secolo X) il contadino che abbandona il villag-gio e si sottrae all’autorità del proprietario (nobi-le o religioso che sia) della terra. Il termine, soprattutto nel Periodo EDO (1603-1867) indica il SAMURAI senza padrone, il soldato senza mestiere, come anche un guerriero il cui Signore ha perduto le proprietà (perché morto o caduto in disgrazia). Molti RONIN diventano inse-gnanti d’Arti Marziali, fondando diverse scuole (assolvendo quindi l’obbligo di mantenersi in eser-cizio), altrettanti intraprendono attività compati-bili con il proprio rango (guardie del corpo, pro-tettori di villaggi eccetera) ed altri ancora si de-dicano ad attività altrimenti prima proibite (il commercio, ad esempio). Parecchi si danno al bri-gantaggio. I RONIN diventano un problema nel 1651, quando, guidati da SHOSETSU YUI, tentano un colpo di sta-to, che deve iniziare con l’incendio di EDO e con l’occupazione del castello; scoperto il loro piano, SHOSETSU YUI compie SEPPUKU. Se le rivolte dei RONIN sono comunque rare, più frequenti sono in-cidenti e duelli fra RONIN ubriachi o aggressioni ai danni di CHONIN indifesi; questi sono spesso uccisi con la scusa di un’offesa patita: il SAMURAI, infat-ti, proclama il diritto (KIRISUTE-GOMEN) di abbat-tere sul posto qualsiasi appartenente alle classi inferiori che lo insulti! Altrettanto frequenti sono gli episodi di brigantaggio. Si racconta anche di SAMURAI gregari diretti (katamoto) dei TOKUGA-WA che, stanchi degli ozi della guarnigione, si uni-scono a bande di malfattori, dandosi al furto e all’assassinio: sono soprannominati KABUKIMONO, per l’abitudine di indossare abiti stravaganti e farsi crescere lunghe basette. I nomi che questi gruppi di malviventi si danno sono fantasiosi (Dai-sho-jingi-gumi, ad esempio, “la Banda di tutti gli Dei”) ed è notevole l’interesse che suscitano, nella loro qualità di SAMURAI che combattono per se stessi, fra gli autori di KABUKI e JORURI (sono so-prannominati, piuttosto ingenuamente, OTOKODA-TE, “uomini coraggiosi che si fanno giustizia da so-li”). I più famosi, popolari e onorati RONIN dell’epopea feudale giapponese – oltre al più cele-bre di tutti, MIYAMOTO MUSASHI – sono i cosid-detti “Quarantasette Ronin”, la cui tragica storia è ricordata ancora oggi come la più autentica in-terpretazione del BUSHIDO. [si vedano AKO-GISHI

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ed anche la voce “Quarantasette Ronin”, nella Terza Parte]. ROPPO. – Movimento opposto ad AYUMI ASHI. ROPPON. – “Sei”, per contare oggetti partico-larmente lunghi (HON). In sino-giapponese è ROKU, in giapponese puro si dice MUTTSU, per le persone (NIN) s’usa ROKUNIN. ROSHI. – Titolo onorifico ZEN. È conferito ai grandi Maestri, responsabili di un tempio, soprat-tutto ZEN. Deriva da RO, vecchio e SHI, Maestro. Significa anche “Insegnante principale” ed è, normalmente, il Maestro che segue l’evoluzione di discepolo, assegnandogli, di volta in volta, un KOAN su cui meditare. RYO. – “Entrambi”. “Doppio”, “con due”.

– Moneta d’oro, in uso nel Periodo EDO (1603-1867).

– Territorio, “feudo” di un SAMURAI. – Uno degli aspetti intervallari delle musiche

di Corte; l’altro è il RITSU. RYO ERI JIME. – “Presa al petto con le due ma-ni incrociate”. AITE afferra i baveri di TORI in-crociando le braccia. RYO HIJI DORI. – “Presa ad entrambi i gomiti”. AITE afferra i gomiti i TORI. RYO KATA DORI. – “Presa ad entrambe le spal-le”. Presa alle due spalle con due mani. AITE af-ferra le spalle di TORI. RYO MUNE DORI. – “Doppia presa al petto”. Presa al petto con due mani. AITE afferra con le due mani il petto di TORI. RYO TE. – “Due mani”, “con due mani”. Pure MORO TE. RYO TE DORI. – “Presa ad entrambi i polsi”. Presa alle due mani con due mani. AITE afferra con le mani entrambi i polsi di TORI (come avere due GYAKU HANMI contemporaneamente). RYO TE ERI DORI. – “Terza presa al bavero”. Aite afferra, con entrambe le mani, il bavero di TORI; questi inserisce un braccio tra quelle di AI-TE e lo sbilancia, sia mediante un passo indietro sia abbassando il proprio braccio, con movimento circolare, sopra un braccio di AITE. L’azione di-fensiva prosegue con l’abbassamento del gomito di AITE ed il bloccaggi a terra. RYO TE JIME. – Strangolamento (JIME) a due (RYO) mani (TE), non incrociate. RYO TE KATA DORI. – “Quarta presa di polso (o di braccio)”. RYO TE MOCHI. – Si veda KATA TE RYO TE DORI. RYOKE. – Suddivisione interna della classe socia-le dei contadini, nel Giappone feudale. Fanno parte

degli abitanti delle campagne e sono proprietari di terre, che affittano ai GESAKUNIN. RYOKU. – “Forza”; “energia”. RYOSAIKENBO. – “Buona moglie e madre sag-gia”. Così vengono definite le giovani donne “per bene”, pronte ad accasarsi. RYO-SHINOGI-YARI. – Tipo di YARI, con lama a sezione romboidale. RYU. – “Drago”.

– “Tradizione marziale”. – “Scuola”, “stile”, “sistema”. Così si chiamano

le antiche (talvolta antichissime) scuole dove i SAMURAI imparano le Arti Marziali, spesso retag-gio d’insegnamenti segreti, trasmessi di padre in figlio e rivelati solo ai membri del Clan o della Famiglia. Il RYU, a tutti gli effetti, è una corpora-zione di Maestri, che si perpetua per consangui-neità (SEI, in linea diretta o collaterale) oppure no (DAI). Ma è anche una sorta d’entità autonoma, dotata di una personalità (che condensa quelle degli appartenenti) e che, pertanto, quasi vive di vita propria. Nella tradizione classica, un RYU na-sce per un volere divino (TENSHIN SHO) trasmesso al fondatore (SHOSEI o SHODAI) e perpetuato ne-gli insegnamenti che, pertanto, mantengono ele-menti di misticismo sovrannaturale. Nella pratica, invece, a far sorgere una scuola d’Arti Marziali può essere tanto il nobile SAMURAI – all’interno delle grandi Famiglie Militari (quindi riservata gli appartenenti al Clan), piuttosto che aperta a tutti i BUSHI – quanto il RONIN, stanco di girovagare. Accade che anche appartenenti alla “gente comu-ne” (BONGE, HEIMIN, KOOTSUNIN, TAMI) aprano scuole “marziali”, riservate ai membri della mede-sima classe sociale. Una stessa Arte Marziale può essere insegnata in numerosi, diversi RYU, in o-gnuno dei quali, magari, s’insegna uno stile (RYUGI) differente: in epoca prefeudale e feudale, infatti, ogni Maestro – alla ricerca dell’efficacia assoluta nella propria Disciplina – elabora un metodo per-sonale, studia nuove tecniche, s’inventa variazioni stilistiche. Questo non solo porta al proliferare di “specialità” o “branche” o perfino “scuole deriva-te” (HA), ma anche alla nascita di un numero sem-pre maggiore di RYU d’Arti Marziali. Normalmente il RYU ha sede nel luogo dove vive il fondatore, meglio se in provincia, lontano dagli “occhi che ve-dono tutto” (METSUKE: le spie, la polizia segreta dello SHOGUN). Il numero di allievi (RYUSHA, MON-JIN o MONTEI) può variare da poche unità (non a caso esiste la tradizione dello SHISODEN, la “tra-smissione ad un solo allievo”) a centinaia se non

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migliaia. Ogni Maestro insegna il proprio RYUGI (stile), sia con una “trasmissione profonda” (OKU-DEN, destinata agli allievi che sono in grado di ri-ceverla), sia con una trasmissione più elementare, superficiale (OMOTE), per tutti gli altri. Ai SAMU-RAI, in queste scuole, spesso non s’insegna solo a difendersi, ad uccidere: la nozione di “tecnica marziale” (JUTSU, WAZA) è integrata con rifles-sioni etiche e religiose e studi filosofici, dando quindi spazio al concetto di “Via” (DO). Molti sono i Maestri che lasciano scritti e registri (MAKIMO-NO), con l’essenza delle loro tecniche – anche le più segrete, spesso codificate in maniera ermeti-ca, incomprensibili quindi agli estranei – destinati, sovente, ad essere gelosamente conservati negli archivi dalle rispettive scuole. Nel 1843, secondo un censimento ordinato dallo SHOGUN (e riportato nel “Trattato sulle Arti Marziali”, BUJUTSU-RYU SOROKU), in Giappone esistono ancora oltre un mi-gliaio di RYU, rispetto agli oltre 9.000 catalogati in epoca prefeudale. Di questi RYU, appena 159 sono ufficiali; i più importanti sono così ripartiti:

61 (o 66, secondo altre fonti) di spada (KEN-JUTSU, IAI-JUTSU);

20 di scherma con la lancia (SO-JUTSU, NA-GINATA-JUTSU);

29 (o 20) di combattimento a mani nude (KA-RATE-JUTSU, JU-JUTSU);

19 di tiro con armi da fuoco (HO-JUTSU, KA-JUTSU);

14 di tiro con l’arco da guerra (KYU-JUTSU); 9 di equitazione (BA-JUTSU); 5 in cui si praticano Discipline diverse.

Tutte le altre scuole sono piccole o sperdute, clandestine ed esoteriche oppure erranti (BUSHI che insegnano occasionalmente, vagando nel Pae-se). Oggi, in pratica, nulla resta del loro patrimo-nio di tecniche (spesso occulte), esperienze, ca-pacità: estinte le famiglie dei Maestri, i libri, i MAKIMONO ed i testi segreti sono stati distrutti. La più antica scuola giapponese, tra quelle tuttora attive, insegna KEN-JUTSU: è il KATORI SHINTO RYU, fondata da IIZASA CHOISAI IENAO.

La Restaurazione MEIJI è responsabile di un vero e proprio SEPPUKU ideologico, per i SAMURAI: rima-sti senza proprietà, lavoro, ruolo e funzione. Mol-tissimi di loro, quindi, iniziano ad organizzare pubbliche dimostrazioni di Arti Marziali e si esi-biscono in tecniche fino a quel momento gelosa-mente custodite, sovente trasmesse nel più asso-luto segreto. Il successo ottenuto spinge molti Maestri al gran passo: non solo aprirono i propri RYU, ma riversano una maggiore spiritualità nelle Arti insegnate. KANO JIGORO nel 1882 apre la sua prima scuola di JUDO, elaborando nel tempo un metodo (KODOKAN JUDO) che è evoluzione e adat-tamento dello JU-JUTSU. Al 1922 risale la prima esibizione pubblica di FUNAKOSHI GICHIN; nel 1924 l’Università di Keio istituisce il primo DOJO di KARATE del Giappone. È nel 1927 che UESHIBA MORIHEI fonda la sua prima scuola d’AIKIDŌ. Un recente censimento ha accertato che il numero di scuole d’Arti Marziali, in territorio giapponese, sfiora (ancora!) il migliaio. Ogni anno le autorità di Governo scelgono, fra tutte le scuole considerate appartenenti alla “tradizione originale” giappone-se, 46 RYU, che partecipano al “Grande Incontro” (TAIKAI) delle scuole tradizionali, al BUDOKAN di Tokyo. RYUGI. – Lo “stile” insegnato in un RYU. RYUKO-NO-MAKI. – “Libro del Drago e della Tigre”. È un trattato – d’incerta datazione, ma pare il più antico in assoluto – sulle Arti Marziali tradizionali. RYU-NO-GEIKO. – Tipo di allenamento. Rientra nello studio classico (IPPAN-GEIKO). Si veda, nella Prima Parte, il Capitolo “Il metodo d’allenamento”. RYUSHA. – “Praticante, “discepolo” di un Mae-stro, all’interno di una scuola. Il Maestro gli inse-gna direttamente la Disciplina. RYUTAI. – “Fluido”. RYUTEKI. – Flauto; fa parte della strumentazio-ne di base del GAGAKU ed è utilizzato nell’esecu-zione di musiche TOGAKU. [si veda la voce “Giappo-ne. Musica”, nella Terza Parte].

- S -

SA. – “Sinistra”. [si veda HIDARI]. SA SOKU. – “Piede sinistro”; “lato sinistro”.

SABAKI. – “Movimento”, “spostamento”. L’ideo-gramma SABAKI è composto di due elementi: la mano ed il verbo SABAKU, “separare”. Significa e-

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ludere un attacco, compiendo una schivata con un movimento del corpo, circolare o diretto. Omofo-no di SABAKI, scritto però con altro carattere, si traduce con “giudicare” ed anche “tagliare un ve-stito”, con il significato di tagliare la (preziosa) stoffa destinata ad un KIMONO, senza spreco di gesti e materiale. [si veda TAI SABAKI]. SABAKU. – “Separare”; esprime l'idea di separa-re con un coltello. Per estensione: vendere, di-stribuire, sbrigare un affare; anche riordinare, fare ciò che si deve, decidere ciò che è giusto o falso. SABURAI. – “Quelli che stanno a lato" (s’intende del Signore). Proprietari terrieri e capi dei Clan delle Province settentrionali e del KANTO, sono in genere vassalli diretti (GO-KENIN) del primo SHO-GUN, MINAMOTO-NO-YORITOMO, che nel 1192 pro-clama il BAKUFU di KAMAKURA. Si tratta anche di militari di professione, con incarichi importanti nel BAKUFU, che possiedono truppe – quasi tutte d’origine contadina – e servitori ed in guerra ci vanno a cavallo. Dal secolo XIV in poi il titolo di SABURAI spetta unicamente ai “capi di guerra”, al-le dirette dipendenze dello SHOGUN ASHIKAGA di MUROMACHI, ed ai nobili guerrieri in servizio alla Corte imperiale (GOSHOZAMURAI). SABURARU. – “Tenersi, stare a lato”, “servire”. È da questo termine che nasce il nome originale dei SAMURAI, cioè SABURAI. SADO. – “La Via della Meditazione”. È la Discipli-na che insegna a meditare, soprattutto in posizio-ne seduta. SAGEO. – È un “cordoncino piatto”, normalmente di seta, che vincola il fodero (SAYA) alla cintura (OBI). Fissato all’aletta forata KURIGATA, impedi-sce che il fodero della KATANA esca del tutto dal-la cintura, quando si sfodera, anche rapidamente, la lama. È presente in tutte le spade delle classi TO (DAI-TO, SHO-TO, TAN-TO), ad eccezione della spada TACHI e di alcuni piccoli pugnali. I SAMURAI esperti nello HOJO-JUTSU, in caso di necessità, utilizzano il SAGEO per legare i prigionieri; lo svi-luppo di queste particolari tecniche dà vita al Sa-geo-jutsu. SAI. – Corto tridente. Si veda JITTE. SAICHO. – Monaco buddista. È uno dei più im-portanti personaggi del Buddismo giapponese. Na-to nel 767 ad Omi-no-Kuni (attuale Otsu, Prefet-tura di Shiga), a 11 anni entra in monastero e stu-dia con il monaco Gyohyo nel tempio di Omi-Kokubun-ji. Ordinato prete nel 780, assume il no-me con cui è conosciuto. Nell’802, insieme a KU-

KAI, è inviato a studiare in Cina e, con il compagno, si avvicina al Buddismo esoterico (MIKKYO), impor-tandolo poi in patria, dove entrambi erigono mo-nasteri, sedi di scuole della setta SHINGON. Lui fonda il proprio monastero sul monte Hiei, vicino a KYOTO, il compagno l’edifica sul monte Koya (vici-no a Tanabe, luogo natale di UESHIBA MORIHEI). Entrambi i monasteri sono sotto la protezione dell’Imperatore e presto diventano importanti centri culturali. SAIGO SHIRO. – (1868-…) Allievo della scuola TENJIN SHIN’YO RYU di JU-JUTSU, diventa disce-polo di KANO JIGORO. È grazie al talento ed all’a-bilità di quest’allievo – che, tra l’altro, modifica il suo nome originario, SHIDA SHIRO, in SAIGO SHIRO – che il KODOKAN riesce a vincere numerosi tornei, tra cui quello, celebre, organizzato dalla polizia di Tokyo nel 1886. Nel 1888 SAIGO SHIRO è nomina-to direttore del KODOKAN, ma presto abbandona la pratica dello JUDO per dedicarsi al KYU-JUTSU, dove diventa HANSHI (Maestro di 9° DAN). SAIGO TAKAMORI. – (1827-1877) SAMURAI del Clan SATSUMA, della provincia di Kagoshima, isola di Kyusho, è al servizio del DAIMYO della Famiglia Shimazu. È fautore dell’autorità imperiale e nel biennio 1867/68 collabora alla restaurazione del potere dell’imperatore MUTSUHITO, del quale di-venta Maresciallo di Campo e comandante la Guardia. Sostenitore di un esercito ideale, forma-to da soli SAMURAI, è contrario alla coscrizione obbligatoria e si ritira nelle terre del Clan, nella penisola di SATSUMA, provincia di Kagoshima, quando questa è approvata (1873), seguito da mi-gliaia di giovani SAMURAI. Pretesto è il lavoro in una comunità agricola, ma in realtà tutti si adde-strano nella pratica d’armi. Nel 1874 SAIGO TA-KAMORI è raggiunto dall’ex vice Ministro all’Edu-cazione, Eto Shimpei, sconfitto dopo che, per protesta contro la politica governativa in Corea, ha organizzato una sommossa nell’isola, alla testa di 2.000 SAMURAI. Nel 1877 scoppia l’”Insurre-zione di Satsuma”, nell’isola di Kyushu, per prote-sta tanto contro la coscrizione obbligatoria quan-to – e soprattutto – contro la proibizione gover-nativa al porto d’armi di qualsiasi tipo per i civili, compresi i SAMURAI con le loro KATANE. SAIGO TA-KAMORI si ribella al Governo e guida 9.000 uomini (7.000 dei quali SAMURAI, allievi delle scuole pri-vate d’Arti Marziali da lui organizzate) contro le truppe dell’armata imperiale, formata da “conta-dini-coscritti”. I ribelli utilizzano anche armi da fuoco e artiglieria, ma sono sconfitti entro pochi

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mesi e SAIGO TAKAMORI compie SEPPUKU. Per il po-polo egli incarna la figura ideale del nobile SAMU-RAI, virtuoso, coraggioso, leale, eroico. SAIGO TAKAMORI è riabilitato nel 1891. SAIGYO. – (1118-1190) Monaco della setta eso-terica buddista SHINGON. Stimato come poeta, è famoso per il suo vagabondare. SAIHAI. – “Scacciamosche”. “Bastone di Coman-do”. Lo portano, sul campo di battaglia, i coman-danti militari feudali, come segno distintivo e per impartire ordini. Ad un corto manico di legno, con puntale di metallo, è unito un corposo fiocco di robuste striscioline colorate di carta oleata oppu-re una nappa di cuoio. Dall’instaurazione del domi-nio MINAMOTO (1192) e, poi, dei Reggenti HOJO (1210) – nel Periodo KAMAKURA, 1185-1333 – lo SAIHAI diventa intercambiabile con il GUMBAI che, in seguito (Periodo EDO, 1603-1867), lo soppianta. SAIMIN-JUTSU. – “Ipnosi”. È uno dei campi in cui si specializzano i NINJA, le cui conoscenze nel campo della psicologia pratica sono evolute, com-plesse e segrete. SAIUN. – “Nuvola dipinta”. Soprannome di velivo-lo da ricognizione della Seconda Guerra Mondiale. SAKAGAMI RYUSHO. – (1915-1993) Maestro di KARATE. È allievo, tra altri, dei Maestri Tamagu-suku (scuola Tomari-te), Yabiku Moden (allievo di-retto di ITOSU YASUTSUNE ANKO) e MABUNI KEN-WA, cui subentra nel 1952 come Caposcuola, il terzo, dell’ITOSU RYU. Nel 1953, a Yokohama, con la dichiarata intenzione di preservare il vero in-segnamento del Maestro ITOSU YASUTSUNE ANKO, fonda la scuola Zen Nihon Karate-do Itosu-kai, comunemente conosciuta come ITOSU-KAI. SAKAKIBARA KENKICHI. – (1830-1894) Mae-stro di KEN-JUTSU e di KENDO. È discepolo di O-TANI SHIMOSA KAMI SEIICHIRO ed è famoso per aver inventato una tecnica di SHINAI analoga al fendente diagonale (TEMESHI-GIRI) eseguito con la KATANA. Appartiene allo JIKISHIN KAGE RYU e con-tribuisce, con una lunga serie di dimostrazioni in tutto il Giappone, dal 1873 in poi, a rendere popo-lare il KENDO, trasformato in attività sportiva do-po che la proibizione di portare armi impedisce, in pratica, l’allenamento nel KEN-JUTSU. Pare che SAKAKIBARA KENKICHI abbia avuto come allievo TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI. SAKÈ. – “Vino di riso”. Detta anche “acquavite di riso”, è una bevanda moderatamente alcolica, ot-tenuta dal riso fermentato per tre mesi. Di solito si beve caldo. SAKI. – “Iniziativa”. Si veda SEN-NO-SAKI.

SAKIGAWA. – Rivestimento della punta (KENSEN) della SHINAI. È di cuoio duro. SAKKI. – “Intuizione istantanea”. È quella sorta di “campanello d’allarme” che l’altrui intenzione aggressiva fa scattare nel subconscio di un BUDO-KA ben allenato. È questo che gli permette di rea-gire ancor prima che l’avversario trasformi l’in-tenzione in azione. SAKOTSU. – “Clavicola”. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SAKURA. – “Ciliegio”. Albero del ciliegio. Il fiore di ciliegio è uno degli emblemi del SAMURAI: ne simboleggia la vita transitoria e precaria, con la sua fragilità e caducità. SAKURI-HA KOHGEN ITTO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. SAMA. – Suffisso formale per signora, signore, signorina. Anche SAN. SAMBON. – “Tre”, per contare oggetti partico-larmente lunghi (HON). In sino-giapponese è SAN, in giapponese puro si dice MITTSU, per le persone (NIN) s’usa SANNIN. SAMÉ. – Pelle di razza o di squalo. È usata per ricoprire sia l’impugnatura (TSUKA) sia – spesso anche laccata – il fodero (SAYA) d’armi bianche. La pelle di questi pesci, ricoperta da fitti tubercoli calcarei levigati, è non solo resistente, ma aderi-sce bene al contatto ed è di bell’aspetto, tanto che la qualità del SAMÉ dipende sia dal colore sia dalle dimensioni delle protuberanze e dalla loro distribuzione. Cronache cinesi antichissime già ri-feriscono sull’uso di pelle di pesce, per ornare l’impugnatura delle spade. SAMPAI. – Posizione che si assume davanti al Buddha o al Maestro. L’allievo o il discepolo ZEN si prosterna, fronte a terra e mani ai lati della te-sta, palmo in alto. È il modo simbolico di “ricevere i piedi (l’impronta) del Buddha”. SAMURAI. – “Uomo di servizio”; “colui che ser-ve”; “che è al servizio di”. Il termine deriva da SABURAI, quelli, cioè, che “stanno a lato” del Si-gnore, per servirlo (e proteggerlo). Più propria-mente, SAMURAI è la pronuncia del termine GO-SHOZAMURAI, dopo un’evoluzione fonetica. Il titolo di SAMURAI, in seguito, spetta ai guerrieri (SHI) di rango piuttosto elevato, che nascono nelle “Fami-glie o Case Militari” (BUKE, BUMON). È il guerriero feudale giapponese per antonomasia [si veda an-che BUSHIDO], legato da un rapporto di vassallag-gio e dedizione assoluta al DAIMYO, il Signore. Scelti tra la piccola nobiltà rurale, dal secolo IX i SAMURAI costituirono una casta militare esclusiva

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e privilegiata, caratterizzata dall’elaborazione e dalla (non sempre rigorosa!) osservanza di principi ideali e morali particolarmente – ed anche utopi-sticamente – austeri. Di qualsiasi grado egli sia, comunque, tra tutti i sudditi dell’Imperatore, il SAMURAI è l’unico autorizzato a portare la coppia di spade DAI-SHO. All’inizio dell’epoca “prefeuda-le” (Periodo KAMAKURA, 1185-1333), gli uomini de-diti unicamente alle attività guerresche, nelle Province centrali, sono un’esigua minoranza. Nelle Province settentrionali e nel KANTO, invece, dove quasi tutti i guerrieri vengono dalla “gente comu-ne” (BONGE, KOOTSUNIN) – ed il pungente freddo dei mesi invernali spinge ad una pratica fisica (guerra compresa) continua – è più consistente la presenza di uomini dediti alle attività marziali, guidati dai loro capi, i SABURAI. Ai tempi della splendida Corte di Heian-kyo (Periodo HEIAN, 794-1156) i guerrieri dell’Est – semplici, rudi, frugali, esperti d’Arti Marziali e, poi, seguaci del KYUBA-NO-MICHI, chiamati “barbari” – hanno in comune con quelli del Nord la frammentazione in Clan, che solo occasionali alleanze riuniscono. La devozione incondizionata del SAMURAI al suo Si-gnore (così come la mistica del coraggio e del va-lore in battaglia, il rispetto per la parola data e il disprezzo per la morte) è certamente in relazione con il suo modo di vedere il futuro. Questa visione tanto si accorda con la concezione buddista del karma quanto si accompagna alla pietà filiale rac-comandata dalla filosofia e dall’etica confuciana e neo-confuciana; la morte, in ogni caso, non è ri-cercata inutilmente. Formalmente, il BUSHI di-sprezza agi, comodità, denaro, proprietà e la vita stessa gli è indifferente, avendo a cuore unica-mente la reputazione e l’onore, il proprio e del suo Signore. In realtà, dai tempi delle continue lotte per la supremazia locale (dal Periodo KAMAKURA, 1185-1333, in poi), prima del dominio TOKUGAWA, non si contano i casi di tradimenti, bassezze, fel-lonie, sotterfugi, inutili crudeltà, avidità, scorret-tezze... Sono fatti documentati anche nella lette-ratura cavalleresca dell’epoca – che, pure, tende a dare un giudizio lusinghiero della classe militare e delle buone qualità dei BUSHI – e ben illustrano le reali condizioni di vita dei guerrieri (il guerriero ideale, anche in Giappone, esiste solo nei roman-zi). Scomparsa l’austerità dei costumi e la frugali-tà del vivere quotidiano, sono sempre più apprez-zati agi, lussi, comodità. La guerra, in questo, aiu-ta: non più ragione di vita per il BUSHI, essa diven-ta l’opportunità per acquisire meriti, accampare

pretese, pretendere ricompense, ricchezze e ti-toli. I Clan guerrieri non s’immischiano formal-mente con gli affari della Corte fino a quando, dopo le tentate (e respinte) invasioni mongole, de-lusi dalle mancate ricompense attese, trovano nell’imperatore GO-DAIGO (che regna dal 1318 al 1339) la forza unificatrice, il catalizzatore di tutti gli scontenti. La nuova lotta per la suprema-zia porta all’accentramento nelle mani dei nuovi SHOGUN del Clan ASHIKAGA di tutto il potere, sia militare sia civile: i SAMURAI, esigua minoranza nel Paese, controllano, di fatto, l’intero Giappone. Nel Periodo TOKUGAWA il SAMURAI si trasforma da guerriero in burocrate – seppur armato – e la sua condizione di abitante della città (l’inurbamento dei SAMURAI risale agli anni dal 1580 al 1610, epo-ca di costruzione intensa dei castelli e, conse-guentemente, delle città-castello) si fa irreversi-bile, pur se in apparente contrasto con l’ideale ru-rale del sistema TOKUGAWA. Tale sistema – che è basato sul modello filosofico confuciano – esalta la nobiltà dell’agricoltura, afferma il diritto del SAMURAI a governare ed assegna alla posizione sociale più bassa il prototipo del cittadino: il mer-cante. Invero, la nuova realtà economica imposta dai tempi, costringe spesso SAMURAI e mercanti ad essere soci, sia pure riottosi. È il mercante, in-fatti, che non solo assume il ruolo di trasformare il riso (usuale remunerazione del SAMURAI, so-prattutto se di basso rango, come i piccoli funzio-nari) nel più stabile denaro, ma funge anche da mediatore tra il SAMURAI del Periodo TOKUGAWA ed il BAKUFU, ritirando dai magazzini della Capita-le il riso e poi distribuendolo ai SAMURAI, piutto-sto che pagando loro l’equivalente in moneta o an-ticipandolo a titolo di prestito. All’inizio dell’Era MEIJI (1867), i SAMURAI rappresentano, ancora, quasi il 5% della popolazione e mantengono un ruo-lo di prestigio, seppure ormai divisi in SAMURAI di alto e basso rango (semplicemente BUSHI o BU-JIN, quindi) e distaccati dal possesso della terra. Il processo di modernizzazione accelerata - unito a misure specifiche, come la coscrizione obbliga-toria, ad esempio – emargina istituzionalmente gli uomini della guerra: quelli di livello inferiore van-no a formare la piccola burocrazia statale, men-tre quelli d’alto rango, appartenenti alle Famiglie di più antica nobiltà, costituiscono l’élite ammini-strativa, economica e militare del Paese. Il BUSHI, in ogni modo, rappresenta uno dei motivi dominan-ti dell’ideologia nazionalista e militarista del Giap-

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pone moderno. [si veda anche la voce “classi socia-li”, nella Terza Parte]. SAMURAI DOKORO. – “La Carica dei Samurai”. È istituito come quartiere generale militare e di polizia da MINAMOTO-NO-YORITOMO, all’inizio del-la Guerra GEMPEI, ma dopo la disfatta dei TAIRA acquisisce anche un ruolo politico. Il SAMURAI DO-KORO pianifica il reclutamento e l’ordinamento delle truppe, controlla le necessità strategiche del Governo militare e, in generale, dirige gli af-fari dei KENIN. Unitamente al MANDKORO (l’amministrazione generale) ed al MONCHUJO (l’ufficio legale), costituisce la snella e semplice struttura organizzativa iniziale dello shogunato. SAN. – “Tre” in sino-giapponese. In giapponese puro è MITTSU, per contare le persone (NIN) si di-ce SANNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa SAMBON.

– Suffisso colloquiale per signore, signora o signorina. Per i SUMOTORI di rango elevato si usa, al posto di SAN, il suffisso seki (o zeki). Anche SAMA. SANDAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 3° grado”. Anche HON-MOKUROKU. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’allievo, pur avvicinandosi alla co-noscenza della natura, la comprende solo in parte. SANGO-KEN. – Nella pratica dello SHORINJI KEMPO indica varie forme di parate e contrattac-chi. SANJAMATSURI. – Festa religiosa shintoista. Si tiene, alla metà di maggio (anticamente il 15 gennaio), nel santuario di Asakusa di Tokyo (EDO, un tempo) ed è accompagnata da gare di tiro con l’arco da cavallo (KASA-GAKE, YABUSAME) e spetta-coli d’antiche musiche mistiche e danze sacre (KA-GURA). SANKA-JO. – “Terzo insegnamento”, “terzo principio”. È un termine che, nel DAITO RYU AIKI-JUTSU, indica il SANKYO. È in uso nella scuola YO-SHINKAN AIKIDŌ. SANKAKU. – “Triangolo”. SANKAKU KAMAE. – Posizione di guardia con i piedi a “T”. SANKAKU TAI. – Posizione triangolare dei pie-di, tipica dell’HANMI: la pancia è l’ipotenusa. SANKAKU-YARI. – Tipo di YARI. La lama ha se-zione triangolare. SANKIN-KOTAI. – “Presenza Alternata”. È un metodo di controllo adottato dallo SHOGUNA TO-KUGAWA IEMITSU: i DAIMYO sono costretti a tra-scorrere con regolarità un certo periodo nella Ca-

pitale, in visita alla Corte dello SHOGUN, per ren-dergli omaggio, affrontando viaggi talvolta lunghi, ma sempre costosi (per non parlare poi della di-spendiosa vita a EDO). I FUDAI-DAIMYO nella zona del KANTO (quella più vicina) devono risiedere al-ternativamente sei mesi a EDO e sei mesi nel loro HAN; per gli altri Signori la permanenza si alterna ogni anno, mentre per i DAIMYO che vivono più lontano e che hanno quindi responsabilità – e peri-colosità! – inferiore il periodo è ridotto: i So di Tsushima, ad esempio, devono risiedere nella Ca-pitale quattro mesi ogni tre anni. Nel 1663, sotto Ietsuna, il SANKIN-KOTAI si evolve: diventa norma obbligatoria una prassi antica e abbastanza comu-ne tra i SAMURAI, quella di inviare loro familiari al castello del lontano Signore, a pegno della propria fedeltà. Lo SHOGUN obbliga quindi tutti i DAIMYO a lasciare permanentemente a EDO mogli e figli, in ostaggio. SANKUKAI. – Moderno stile di KARATE. È fonda-to, nella seconda metà del secolo XX, da NAMBU YOSHINAO e, oltre che in Giappone, si diffonde soprattutto negli Stati Uniti. NAMBU YOSHINAO, in seguito, fonda lo stile NAMBU-DO di KARATE (più esercizi d’armonizzazione con la natura, basati su tecniche di respirazione addominale che Arte Marziale o sport competitivo) e pubblicizza in Eu-ropa la scuola SHUKOKAI, sempre di KARATE. SANKYO. – “Tecnica numero tre”. “Terzo princi-pio” [si veda KOTE HINERI]. Immobilizzazione del braccio di AITE con torsione del polso. È anche possibile proiettare AITE (SANKYO NAGE), che ese-gue una caduta indietro. Normalmente utilizzata contro prese (anche da dietro) ai polsi, ai gomiti, al bavero ed al petto e fendenti.

– 3° gruppo di esercizi: torsione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAI-SO), quelli di base, che si praticano da soli (TAN-DOKU DOSA). SANKYO OSAE. – “Terza immobilizzazione”. SANKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di terza classe”. [si veda KYUDAN]. SAN-NEN GOROSHI. – “Tecniche segrete a tempo” (SAN-NEN: “tre anni”). Questo termine de-signa quelle tecniche di ATEMI che provocano una morte ritardata. La tradizione vuole che sia suf-ficiente, talvolta, sfiorare l’avversario o colpirlo col leggerezza, ma in punti ben determinati dell’a-natomia, per causargli danni i cui effetti egli po-trà avvertire a distanza di tempo. Solo alcune an-tiche Discipline del BUJUTSU studiano questo tipo

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di tecniche, ma forse è più fantasia che realtà, anche se è ben vero che certi colpi subiti possono provocare traumi ritardati. SANNIN. – “Tre”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è SAN, in giapponese puro si dice MITTSU, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa SAMBON. SANNIN DORI. – “Tre persone prendono”. SANNIN-GAKE. – Tre AITE attaccano TORI. SANNOMARU. – “Terzo cerchio”. È la cinta di mura esterna del tipico castello feudale (DOSHI-NEN), che chiude l’interna (HONMARU) e l’interme-dia (NINOMARU). SAN-NO-TSUZUMI. – Tamburo di medie di-mensioni, a forma di clessidra. È suonato, con una bacchetta e su solo lato, da chi dirige il gruppo nell’esecuzione di musiche KOMAGAKU. Fa parte della strumentazione di base del GAGAKU. [si veda la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. SAN-SETSU-KON. – Particolare variante di NUNCHAKU, a tre sezioni. SAN-SO-KUATSU. – “Tre procedimenti inte-grali”. Serie di KUATSU ad azione globale. [si veda SO-KUATSU]. SANTCHI. – Parte superiore esterna dell’avam-braccio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SAOTOME. – Scuola di famosi fabbricanti di spade, dapprima specializzati nella costruzione d’elmi ed armature. S’afferma all’inizio del secolo XVI. SARUGAKU. – “Musica da scimmie”. Antica forma teatrale drammatica, d’origine cinese, a carattere mimico-musicale, che precede la formalizzazione del teatro NŌ. SASAKI KOJIRO. – SAMURAI del Clan Mori. È un esperto di “spada da battaglia” (NO-DACHI) e di TESSEN-JUTSU (”Arte del Ventaglio di ferro”). Verso il 1600 fonda la scuola GAN RYU. È soprat-tutto noto per aver assassinato Munisai Shimmen, padre di MIYAMOTO MUSASHI, il quale poi lo af-fronta in duello, uccidendolo con un EKKU. SASHIBA. – “Ventaglio da cerimonia”. Si tratta di un grande, imponente oggetto simbolico, usato in cerimonie o come ornamento. Le prime tracce documentate sull’uso del SASHIBA cerimoniale (a forma di foglia, color vermiglio, issato su un’asta lunga), si trovano negli annali del regno di Yurya-ku, imperatore dal 457 al 479. In effetti, più che di ventagli, si tratta di scudi, grandi e tondeg-gianti, fatti di vimini intrecciati e portati su di un lungo manico.

SASHI-MEN. – Attacco alla gola, con una stoc-cata. [si veda KENDO]. SASHIMONO. – “Insegna araldica”, “bandiera”. È un drappo rettangolare, montato su un’asta di bambù e mantenuto teso da una bacchetta per-pendicolare all’asta. Il SASHIMONO – il cui uso ri-sale al 1573 (Periodo MOMOYAMA) – è fissato al dorso del guerriero mediante attacchi di metallo, all’altezza dei reni, ed un occhiello tra le spalle. La bandiera riproduce, di solito, il MON del Clan o quello personale del Signore. L’insegna di maggiori dimensioni, solitamente retta da un servitore, è il NOBORI. SASHIYUBI. – “Dito indice”. SASOI. – “Far tornare in sé”. SASOI-KUATSU. – “Schiacciamento addomina-le”. Tecnica respiratoria che fa parte della serie di KUATSU respiratori (HAI-KUATSU), con associate percussioni riflessogene. SASUMATA. – Arma in asta. Ha ferro simile a forcone, ma con due lame anziché punte. È monta-ta su asta lunga 2,5 m, laccata, con fasce ferma-mano. Diffusa nel secolo XVI ed utilizzata anche per bloccare il nemico, alla fine del Periodo EDO (o TOKUGAWA, 1603-1867) è adottata dai vigili del fuoco. Anche FUTOMATA-YARI. SASUMATA-JUTSU. – “Arte di usare la SASU-MATA”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). SATORI. – “Risveglio” alla verità cosmica. “Illu-minazione”. “Lucidità”. È uno stato particolare dello spirito e della mente, un’esperienza diretta: la realizzazione della propria vera natura. Il SA-TORI può essere tanto un’esperienza improvvisa, quasi esplosiva, quanto il culmine di un graduale processo d’accumulo di conoscenze ed esperienze, che porta – in un caso e nell’altro – a comprendere la realtà delle cose e le loro interazioni con le leggi dell’universo. Nel corso della vita è possibile sperimentare diversi SATORI – che nulla hanno a che fare con le “estasi” dei mistici cristiani – dato che ogni “illuminazione”, normalmente, riguarda uno spazio-tempo definito e delimitato. La pratica costante, sincera e accurata di una qualsiasi Di-sciplina del BUDO (così come l’incessante medita-zione ZAZEN per alcuni o la riflessione KOAN per altri) può trasformare l’essenza del pensiero del praticante: il SATORI. Così UESHIBA MORIHEI rac-conta il suo SATORI, la sua esperienza mistica: «Ho iniziato a praticare attorno ai quindici anni, visitando molti Maestri di spada e di Ju-jutsu. Ho padroneggiato in pochi mesi le tecniche segrete

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di queste scuole, ma nessuna mi soddisfaceva. Co-sì mi avvicinai a diverse religioni, senza peraltro ottenere una risposta concreta. Nella primavera del 1925, nel giardino, sentii tremare l’Universo; uno spirito mi apparve e coprì di un velo dorato il mio corpo. Mente e corpo divennero luce e com-presi il cinguettio degli uccelli, essendo consape-vole della mente del Creatore. Fui illuminato: l’o-rigine del Budo è l’amore di Dio, lo spirito paterno verso tutti gli esseri. Lacrime di gioia mi scorre-vano le guance. Da allora sono consapevole che la Terra è la mia casa e sole, luna e stelle sono ciò che io possiedo; mi sono liberato da ogni desiderio di posizione sociale, di nome, di ricchezza e anche di essere forte». [N.B. Esistono diverse versioni dell’esperienza mi-stica: questa è tratta da “Pace Doviziosa”, di J. Stevens ]. SATSUJIN-NO-KEN. – “La Spada che Uccide”. È uno dei modi di interpretare la Via della Spada, quando ancora non si è abbastanza maturi da ca-pire che c’è molto più che sconfiggere un nemico: esiste anche “la Spada che dà la Vita” (KATSUJIN-NO-KEN). SATSUMA. – Estremità sud-occidentale dell’iso-la Kyushu, protesa verso Sud a delimitare, con la penisola di Osumi, la baia di Kagoshima.

– Clan della penisola omonima, nella provincia di Kagoshima. I guerrieri del Clan, celebri per abi-lità e coraggio, prendono parte attiva, alleati con i Choshu (di quella che ora è la provincia di Yama-guchi) alla lotta per restaurare l’autorità imperia-le, dal 1866 al 1868, sotto la guida, anche, di SAI-GO TAKAMORI, all’epoca uno dei capi del Clan. Da questo Clan, dotatosi di navi da guerra moderne sin dall’inizio degli anni ’60 del 1800 (e che af-fronta nel 1863, ad armi impari, una dimostrazio-ne della “politica delle cannoniere” britannica: il bombardamento della città di Kagoshima dopo che i capi locali hanno assalito alcuni mercanti inglesi) escono quasi tutti i quadri della Marina Imperiale Nipponica. I membri della Famiglia Shimazu, DAIMYO della Provincia (al cui servizio sono i SA-TSUMA), dopo la Restaurazione MEIJI occupano posizioni prestigiose nel nuovo Governo, ma SAIGO TAKAMORI [si veda] organizza una rivolta, non riu-scita, contro la proibizione governativa al porto d’armi di qualsiasi tipo per i civili e contro la co-scrizione obbligatoria. Sconfitto, commette SEP-PUKU. SAYA. – “Fodero”. È per arma bianca, sia mane-sca (lunga o corta) sia in asta. Di solito è in legno

(possibilmente di magnolia, honoki), in due parti; talvolta è di metallo foderato di legno. La SAYA per arma manesca, normalmente laccata, ha guar-nizioni che corrispondono a quelle della TSUBA; ad un’aletta forata (KURIGATA), sporgente dal lato in-terno, si fissa il cordoncino SAGEO, che vincola il fodero alla cintura. La spada TACHI ed alcuni pu-gnali di piccole dimensioni non hanno KURIGATA. Sulla cima è presente un anello o puntale (koiguchi kanagu), mentre una striscia di metallo o corno protegge la custodia per KOZUKA e KOGAI (uraga-wara). Un puntale (KOJIRI) e, sovente, altre guar-nizioni (MENUKI) sono fissate al SAYA. Per una sola spada, spesso, esistono parecchi foderi: dal più semplice, di legno naturale, per quando non è usa-ta, a quello quotidiano, modesto nei fornimenti; da quello ricoperto di ferro, per la guerra, a quello, lussuoso, da cerimonia. Ad ogni fodero, natural-mente, corrisponde una TSUBA appropriata. Ac-corgimento particolare: sono previsti foderi dop-pi, l’esterno ornato – e costoso – l’interno, che en-tra perfettamente nel primo, rinnovabile, in caso di successive molature della lama. Nel rigido Pe-riodo EDO (1603-1867), quando s’instaura un vero e proprio “culto della spada”, la nuova Etichetta (REI-GI) formalizzata – che contempla rigidi ritua-li concernenti il modo di maneggiare, presentare, ammirare una KATANA – prevede anche che l’urta-re un altro SAMURAI con la SAYA della propria spa-da (SAYA-ATE) o sfiorare il fodero dell’altrui arma è offesa grave, un atto di sfida che, immancabil-mente, conduce al duello mortale. SAYA-ATE. – “Urto con il fodero”. È un gesto che l’Etichetta (REI-GI) considera grave affronto, passibile di morte o, almeno, di duello. Diventa co-sì, talvolta, il pretesto o l’occasione per sfidare o farsi sfidare, al fine di “lavare con il sangue” l’of-fesa patita. Evidentemente, è anche l’occasione giusta per mettere in pratica lo IAI-JUTSU appre-so! SAYO. – “Sinistro/destro”. SAYO UNDO. – “Oscillazione laterale”, con o senza passo: il corpo si bilancia di lato, da sinistra a destra e viceversa. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). SAYONARA. – “Arrivederci”. SE. – Misura di superficie. Vale 30 TSUBO ed e-quivale a circa 1 ara. SECHI-E-ZUMO. – Grandioso torneo annuale di SUMO, che si tiene dal Periodo NARA (710-794); vi partecipano SUMOTORI di tutte le Province giap-

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ponesi. I combattimenti si svolgono nei santuari SHINTO della Corte imperiale e, sotto l’imperato-re Mommu (697-707), alla sua presenza (da cui Sechi-e, “visto dall’Imperatore”), dal 7 luglio. Gli incontri sono accompagnati da musiche mistiche e danze sacre (KAGURA) ed hanno un carattere prettamente religioso, apotropaico: servono ad ingraziarsi i KAMI ed avere raccolti abbondanti. Dal 719 il compito di reclutare i migliori SUMOTO-RI del Paese spetta all’ufficio del NUKIDE-NO-TSUKASA, carica istituita dall’imperatrice Gensho (715-724). È con l’assimilazione del SECHI-E-ZUMO ad Arte soprattutto militare (dall’anno 868, con un processo concretizzatosi poi nel secolo XII) che il SUMO si divide in due stili, l’uno che acquisi-sce una connotazione prettamente marziale da un lato (JORAN-ZUMO) e l’altro che mantiene un ca-rattere sacrale (SHINJI-SUMO). I due stili si fon-dono nel secolo XVII, per dar vita al SUMO attua-le. SEI. – “Vero”, “autentico”; “come prima” (come una volta).

– È la discendenza per consanguineità – di-retta o collaterale – del Maestro di un RYU. SEIDOKAN AIKIDŌ. – Moderno stile di Aikidō, iniziato nel 1981 da Kobayashi Roderick. Enfatiz-za la pratica equilibrata di principi e tecniche e risente fortemente della scuola SHINSHIN TOI-TSU AIKIDŌ di TOHEI KOICHI. SEIDON. – “Zigomi”. Orbite oculari. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SEI-FUKU. – “Rimettere (come prima) a posto. Ristabilimento dai traumi. SEI-FUKU-JUTSU. – “Tecnica di restaurare i traumi”, “traumatologia”. Deriva da SEI, “vera”, “autentica”, FUKU “restituire”, “ristabilire” e JU-TSU, tecnica. Comprende tutte le tecniche di ria-nimazione che si utilizzano in caso di collasso o svenimento. [si veda KUATSU]. SEIGAN. – Posizione di guardia (media, CHUDAN) con la spada, utilizzata soprattutto nel KENDO. I combattenti si studiano reciprocamente, in pre-parazione (o attesa) di un attacco. SEIGO-HO. – Contrattacchi immediati, che se-guono a tecniche di liberazione da prese (RIDA-TSU-HO). Sono utilizzate, soprattutto, nello JO-SHI JUDO GOSHINHO. SEI-HO. – È la scienza medica tradizionale giap-ponese, che si basa sulla Medicina Tradizionale Cinese.

– È il nome con cui ITO ITTOSAI KAGEHISA chiama il KEN-JUTSU nella sua scuola, l’ITTO RYU. Anche HEI-HO. [si veda]. SEI-I-TAISHOGUN. – “Generalissimo per aver vinto i barbari”. È il titolo completo dello SHOGUN, da MINAMOTO-NO-YORITOMO (1192) in poi. SEIKA TANDEN. – È il “punto centrale” del TANDEN. È qui che si accumula la “potenza del re-spiro” (KOKYU RYOKU) [si veda anche HARA]. SEIKA-NO-ITTEN. – “Punto unico”, “centro dell’uomo”. [si vedano HARA, TANDEN]. SEI-KEN. – “Parte anteriore del pugno”. Pure KEN-TO. SEIKI. – “Spirito Energia” (è composto di KI). SEIKO. – È il titolo di un antico testo che è alla base dell’insegnamento del KITO RYU. Si dice sia conservato da TAKUAN SOHO, monaco ZEN e Mae-stro di varie Discipline. SEI-KUATSU. – “Tecnica completa”. Tecnica di rianimazione respiratoria, che fa parte della serie di KUATSU respiratori (HAI-KUATSU), con associate percussioni riflessogene. SEIRYOKU ZEN.YO KOKUMIN TAI-IKU-NO-KATA. – “Forme di cultura nazionale basate sui principi di massima efficacia”. È un metodo di al-lenamento fisico alle Arti Marziali [si veda IKU], che comprende due gruppi d’esercizi, TANDOKU RENSHU e SOTAI RENSHU, gli uni da eseguirsi da so-li, gli altri in coppia. SEIRYOKU-ZEN.YO. – “Efficace utilizzazione dell’energia”. Principio (applicabile tanto alle Arti Marziali quanto a tutte le umane attività) che consiste nell’avvalersi, in modo totale e compiuto, del KI e del WA, partendo dall’HARA. SEISHIN TANREN. – “Formazione Spirituale”. Lo spirito di un uomo, così come la lama di una spada, deve essere forgiato e purificato, per giungere alla perfezione. SEISHI-O CHOETSU. – Stato di trascendenza [al di fuori del mondo oggettivo], oltre la vita e la morte. È una delle virtù predicate dal BUSHIDO, essenziale per un SAMURAI. SEIZA. – “Sedere” (sopra i talloni). Anche sei-za. È la tipica maniera formale, protocollare, di sede-re, usata anche nelle lezioni d’Arti Marziali, sia durante le spiegazioni sia per praticare esercizi di respirazione: inginocchiati, la schiena eretta, i glutei appoggiati sui talloni, le mani poggiate sulle ginocchia o sulle cosce. Corrisponde anche alla pratica spirituale (medita-zione, concentrazione) effettuata in questa po-stura; in questo caso meglio si definisce ZA-HO.

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Il modo di sedere non protocollare, con le gambe distese o incrociate davanti, è detto AGURA. SEIZA-HO. – “Muoversi in posizione seduta formale”. SEKIGAHARA. – Località teatro, nel 1600, di una celebre battaglia. TOKUGAWA IEYASU, appoggiato dai FUDAI-DAIMYO, sconfigge Ishida Mitsunari che, con i “Signori Occidentali”, difende la Casata TOYOTOMI. Con la successiva formazione del nuo-vo BAKUFU (1603), il terzo shogunato nella storia giapponese, s’inizia il dominio dei TOKUGAWA, che dura fino al 1868. SEKIGUCHI HACHIROZAEMON. – Figlio di SE-KIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO-SONECHIKA. Nel secolo XVII fonda, a Hiroshima, una scuola di JU-JUTSU e BO-JUTSU: lo SHIBUKA-WA RYU. SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINA-MOTO-NO-SONECHIKA. – (1647-1711) Nativo di Suruga, è il fondatore della scuola SEKIGUCHI RYU di JU-JUTSU, allora da lui chiamato YAWARA. SEKIGUCHI RYU. – Scuola di JU-JUTSU. La fon-da, verso il 1650, SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROE-MON MINAMOTO-NO-SONECHIKA, che utilizza il termine YAWARA per indicare l’Arte Marziale in-segnata. Nella scuola si sviluppano e s’insegnano anche tecniche di BATTO-JUTSU. Il RYU pare sia tuttora attivo. SEKIGUCHI SHINSHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU, KEN-JUTSU e IAI-JUTSU. Fondata da Seki-guchi Yarokuemon Ujimune nel 1640 circa, è anco-ra attiva e guidata dal 13° discendente del fonda-tore. SEKISHUSAI MUNEYOSHI. – Nome originario di YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI. [si veda]. SEME. – “Minaccia”. È l’atteggiamento minaccioso assunto dal combattente armato di spada, subito dopo aver sguainato. Normalmente segue il movi-mento di FURI-KABURI, con la spada sollevata sopra la testa, prima di colpire (nel KENDO), o di esegui-re la tecnica principale (il taglio, KIRI-TSUKE, nello IAIDO e nello IAI-JUTSU). SEMEITE. – Così è chiamato il praticante di KA-RATE e KENDO che, nell’esecuzione di un KATA a coppie, sferra l’attacco a SHI-TACHI o ne subisce il contrattacco. SEMPAI. – “Maggiore”. Chi ha più anzianità, an-che nella pratica di un’Arte Marziale. Sovente gli è affidato un KOHAI (“minore”), che gli è “inferio-re” e che a lui può guardare per apprendere. Ancora oggi, nella cultura giapponese, è forte il senso del rapporto, della relazione tra “superiore”

ed “inferiore”, in ogni settore e ad ogni livello della società civile. Anticamente è così definito il Maestro d’armi di un DOJO, i cui allievi sono spesso chiamati KOHAI. SEN. – “Studente”. Convenzionalmente, è la quali-fica che spetta alla Cintura Nera, 1° DAN, prati-cante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN].

– “Prima di prima”. Si veda SEN-NO-SEN. SENAKA. – “Schiena”. SENDAI KUJI HONGI. – “Annali degli Antichi Avvenimenti” in dieci volumi, detto Kujiki. Risale al 620. [si veda anche SHINTO]. SENGOKU JIDAI. – “Periodo (o Era) del Paese in guerra” o “Era della Guerra”. È l’epoca che va dal 1467 al 1568 – coprendo la parte finale del Periodo MUROMACHI – caratterizzata da incessan-ti lotte per il potere fra i Signori locali. È in que-sto periodo storico che, privati dei propri mezzi di sussistenza dalle continue lotte tra i Signori feudali, molti contadini sono spinti ad arruolarsi come truppe mercenarie o in contingenti di ASHI-GARU o ZUSA. SENGOKU-DAIMYO. – “Signore guerreggiante”. È lo SHUGO-DAIMYO che, nel periodo che va dal 1467 al 1568 (SENGOKU JIDAI, “Era del Paese in Guerra”), si trova coinvolto nelle lotte per il pote-re fra i feudatari locali, alla ricerca dell’assoluta egemonia nella propria Provincia e – soprattutto – tra le Province vicine. I DAIMYO più forti attacca-no e sottomettono i Signori vicini, ingrandendo i propri territori. SENI RYU. – Antica scuola di NAGINATA-JUTSU. SENJO-JUTSU. – “Arte di disporre le truppe in battaglia”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) ed appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda anche “ Anti-che arti da guerra”]. SENKEN. – È un movimento che anticipa l’attacco avversario. SENMAI. – “Riso purificato”. È usato, tra l’altro, come oggetto di buon auspicio nel DOHYO-MATSURI (“cerimonia propiziatoria”) del SUMO. SEN-NO-RIKYU. – (1520-1591) Monaco ZEN ri-cordato quale Maestro di CHADO ed ideatore della CHA-NO-YU, nella forma in cui ancora oggi è cele-brata. SEN-NO-SAKI. – “Iniziativa”. È l’attitudine mentale che un buon BUDOKA deve possedere e che gli consente di dominare la situazione nel combattimento. È grazie a quest’attitudine che il BUDOKA, tanto se decide di anticipare l’avversario (SENKEN, si muove ancor prima che l’avversario

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possa esprimere la sua tecnica; KEN-NO-SEN, “prendere l’iniziativa” e SEN-NO-SEN, “prima di prima” – attacca immediatamente, non appena percepisce l’altrui volontà di attaccare) quanto se attua tecniche di contrattacco (GO-NO-SEN, “dopo di prima” – para un attacco e contrattacca imme-diatamente – e ATO-NO-SEN, “iniziativa difensiva” – si muove non appena intuisce la volontà di attac-care dell’avversario) può vincere un combattimen-to. Anche, semplicemente, SAKI. SEN-NO-SEN. – “Prima di prima: preparazione all’attacco”. È lo stato di vigilanza permanente ed intuizione immediata. Consente di percepire la vo-lontà aggressiva di un avversario, prima che que-sti riesca a metterla in pratica. Per estensione, indica anche il concetto di un attacco eseguito in anticipo rispetto al movimento dell’avversario (in pratica, più propriamente, ATO-NO-SEN), una sorta di “contrattacco preventivo”. Anche, semplice-mente, SEN.

– “Esperto”. Convenzionalmente, è la qualifica che spetta alla Cintura Nera, 4° DAN, praticante d’Arti Marziali. [si veda KYUDAN]. SENSEI. – “Nato prima”. “Maestro”. “Professo-re”. Anticamente il titolo di SENSEI è attribuito, con deferenza, solo a chi ha la reputazione d’aver completato un’opera importante. Nelle Arti Mar-ziali è riservato al Caposcuola, normalmente un 10° DAN, o al fondatore di un RYU. Nella pratica il titolo identifica chi dirige un DOJO o un insegnan-te affermato. Solo pochi, eccezionali, personaggi hanno diritto al titolo di O-SENSEI (oppure DAI-SENSEI), “Grande Maestro”: UESHIBA MORIHEI, FUNAKOSHI GICHIN, KANO JIGORO, ad esempio. SENSU. – “Ventaglio d’uso personale”. Si veda OGI. SEOI. – “Sulla schiena”, “prendere sul dorso”. Viene da SEOU, “caricare sulla schiena”. Anche ZEOI. SEOIE. – “Dorso”, il dorso. SEOIE-KUATSU. – “Percussioni dorsali”. Tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni rifles-sogene (TSUKI-KUATSU). SEOU. – “Caricare sulla schiena”. SEPPA. – Spessori, che bloccano la TSUBA. Sono interposti fra TSUBA e, da un lato, la lama, dall’al-tro la TSUKA. SEPPA DAI. – Fascetta che circonda l’HITSU del-la TSUBA. SEPPUKU. – “Suicidio rituale”. Il SEPPUKU – che è tipico, ma non esclusivo, degli appartenenti alle

classi elevate, sia uomini sia donne (le quali, però, preferiscono tagliarsi la gola o affogarsi) – è co-munemente detto HARA-KIRI, “taglio del ventre”, quando eseguito mediante taglio cruciforme dell’addome. Il suicidio dei SAMURAI, nei primi tempi, avviene soprattutto per evitare l’onta della cattura, nel caso il guerriero non sia riuscito a farsi uccidere in combattimento. Il BUSHI può a-prirsi il ventre con un pugnale, gettarsi sulla pro-pria spada o scegliere di morire nell’incendio della propria casa, spesso insieme ai familiari, ai servi-tori, ai vassalli più fedeli (JUNSHI, suicidio collet-tivo). Il SEPPUKU di un SAMURAI, nella forma ritua-le HARA-KIRI, è normalmente eseguito con la WA-KIZASHI e prevede che il BUSHI si fenda il ventre da sinistra a destra per poi risalire dal basso in alto, a dimostrare l’assoluta volontà di morire con il “taglio” del centro vitale (HARA o TANDEN). Que-sto, evidentemente, in teoria. È ben difficile, in-fatti, che la pur straordinaria forza d’animo del guerriero gli consenta un gesto tanto plateale, come la totale perforazione ed il successivo taglio del ventre; ciò provocherebbe una lunghissima, dolorosa ed inutile agonia, per evitare la quale un amico od un assistente (KAISHAKUNIN) è autoriz-zato a decapitare (KAISHAKU) il suicida, non appe-na questi reclina la testa. Il BUSHI, per tradizio-ne, si accomiata dalla vita componendo un breve poemetto (HAIKU) in 17 sillabe, quindi – vestito di bianco e seduto il SEIZA su un telo bianco – s’apre il ventre, alla presenza di testimoni e del KAISHA-KUNIN. L’aiutante o l’amico è autorizzato a decapi-tare il suicida (il cui corpo viene poi sepolto o bruciato) non appena questi s’è inferto il primo taglio, terminando così il rito. Ricordiamoci che, per la cultura del tempo, il sui-cidio – che può essere tanto imposto dal Signore quanto scelto come espressione d’estrema prote-sta o rivendicazione per un torto subito oppure per salvare l’onore (proprio, del Clan, del Signo-re…) – non è praticamente mai un gesto indotto dalla disperazione o dal rifiuto della realtà, bensì una manifestazione di lealtà ed una esaltazione di ideali morali. Le donne delle Famiglie Militari e Nobili si tolgono la vita, quando il caso lo richiede, mediante taglio della carotide (arteria del collo), utilizzando di preferenza l’affilato KWAIKEN piut-tosto che il “simpatico compagno” AIKUCHI. Il pri-mo SEPPUKU documentato risale al 1170 e molti so-no i suicidi plateali, fedelmente riportati dalle cronache: devono servire sia ad onorare la memo-ria del protagonista sia all’edificazione dei di-

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scendenti [si veda, ad esempio, MINAMOTO-NO-YOSHITSUNE]. Una delle descrizioni più raccapric-cianti riguarda il suicidio di SON-UN [si veda], se-condogenito dell’imperatore GO-DAIGO. SESSHIN. – “Raccogliere e regolare la mente”. Periodo di pratica ZAZEN, molto intensa. Si tratta di uno o più giorni di vita collettiva nel DOJO: con-centrazione, silenzio, ore di ZAZEN (4 o 5) inter-vallate da conferenze, MONDO, lavori manuali. SETE-IAI. – KATA di IAIDO, che nascono nella scuola OKI RYU di IAI-JUTSU. In numero di sette, sono considerati fondamentali per la pratica della Disciplina e quindi studiati dai praticanti di IAI-DO, a qualunque tipo scuola o stile essi apparten-gano. SETSU. – “Aiutare”; “assistere”. SETSUDO. – “Insegnare la Via dell’Universo”. Secondo il Maestro TOHEI KOICHI, dopo aver ap-preso e realizzato i principi dell’universo – attra-verso l’AIKIDŌ – ciascuno ha l’obbligo di spiegarli al mondo, per aiutare gli altri esseri umani, troppo spesso preda dell’egoismo. SETSUMEI. – “Spiegazione”. SETSUMEI SURU. – “Spiegare”. SHADO. – “Allenamento spirituale” nel KYUDO. SHAGAKUSEIDO. – È la denominazione giappo-nese di un’opera cinese sulle tecniche di tiro con l’arco, che risale alla Dinastia Ming (1368-1644). SHAKEN. – Arma da lancio (SHURIKEN), normal-mente a forma di stella. Rientra nel gruppo delle KAKUSHI, le “armi nascoste”, è d’acciaio polito o brunito, ha un diametro variabile (5-10 cm), così com’è vario il numero di punte. Lo SHAKEN, al pari di tutti gli altri SHURIKEN, è utilizzato soprattut-to dai NINJA: lanciato spesso in gruppo (3 o 5 alla volta), può causare ferite gravi, talvolta mortali se le punte sono avvelenate, come sovente accade. Lo SHAKEN piatto e stellato, con foro centrale, è chiamato semban-shaken. SHAKU. – “Piede”. Misura di lunghezza. Equivale a 10 SUN e corrisponde a 30,303 centimetri.

– Unità di misura di capacità. Equivale a 1,8 centilitri.

– Piccolo bastone piatto, d’avorio o legno. Il suo uso risale ai tempi in cui, alla Corte imperiale, è forte l’influenza cinese e coreana (dal Periodo ASUKA, 525-645 in poi). I cortigiani del tempo (e del successivo Periodo NARA, 710-794) lo portano infilato nell’OBI, contro la parte inferiore del pet-to, in posizione leggermente obliqua, per avere un “comportamento dignitoso”. È poi sostituito dal

CHUKEI, un “ventaglio di corte” ideato apposta e d’uso obbligatorio. SHAKUDO. – Lega di bronzo. È composta di ra-me, oro e antimonio ed utilizzata per fornimenti di spade e lavori decorativi. SHAKUHACHI. – Flauto dritto, con cinque fori – quattro anteriori ed uno posteriore – per le dita. Ricavato dal tratto iniziale di una grossa canna di bambù e rifinito con un velo di lacca, pare sia sta-to inventato nel secolo XIV. Combinato a KOKYU, KOTO e SHAMISEN, è utilizzato nell’esecuzione di musica da camera (sankyoku), ma spesso è stru-mento solista. Il suo suono accompagna anche, di frequente, il girovagare dei KOMUSO, i “monaci er-ranti” del Periodo EDO (1603-1867). SHAKUJO-YARI. – Arma in asta, con lama na-scosta. È simile al bastone usato da monaci que-stuanti, che in cima è fornito di una sorta di pun-tale con anelli pendenti ed è usato sia dai monaci stessi sia da SAMURAI in incognito. Quest’acces-sorio, nello SHAKUJO-YARI, altro non è che un fo-dero, tolto il quale lo SHAKUJO-YARI diventa quasi un SU-YARI. SHAKUTAKU. – Parte superiore esterna del pol-so. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATE-MI. SHAMISEN. – Liuto a tre corde, essenzialmente femminile, introdotto in Giappone nel secolo XVI dalla Cina (lì si chiama san hsien). Ha manico lungo e cassa armonica quadrangolare, coperta di pelle. Le corde, di seta, sono pizzicate da un grosso plettro d’avorio. Unitamente a KOTO, SHAKUHACHI e KOKYU, è utilizzato nell’esecuzione di musica da camera (sankyoku). SHAREIROKU. – È, in buona sostanza, il “libro dei pagamenti” del titolare di un RYU. Contiene in-formazioni simili a quelle dell’EIMEIROKU, con in più l’ammontare di quanto paga l’allievo. Il nome di UESHIBA MORIHEI compare diverse vol-te nello SHAREIROKU di TAKEDA SOKAKU MINAMO-TO-NO-MASAYOSHI e suscita curiosità ed interes-se una sua annotazione del marzo 1931, quando e-gli conduce un seminario nel primo, vero DOJO di O-SENSEI, il KOBUKAN di Tokyo, per la somma ri-cevuta, notevolissima per i tempi: ben 300 YEN. SHASHIN. – “Finta”. È l’errore simulato durante un combattimento, per trarre l’avversario in in-ganno. SHI. – “Guerriero”.

– “Dito” (anche YUBI). “Indicare”. – “Maestro”. Si veda ROSHI.

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– “Vincitore”. Ruolo assunto – negli allenamen-ti a coppie della scuola KATORI SHINTO RYU – dal meno esperto dei praticanti.

– “Quattro” in sino-giapponese. In giapponese puro è YOTTSU, per contare le persone (NIN) si di-ce YONNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa YONHON. Anche YON. SHIAI. – “Contesa”, “competizione”. “Combatti-mento arbitrato”. È un combattimento d’allena-mento o una competizione. SHIAI-JO. – Sinonimo di DOJO, nel KARATE. SHIBARI. – Sistema di cattura e legatura di un prigioniero, analogo allo HOJO-JUTSU, ma utilizza-to soprattutto in battaglia. Le tecniche utilizzate immobilizzano il nemico in una posizione che ne rende impossibile la fuga. SHIBARU. – “Legare”, “prendere”. “Ormeggiare”. SHIBATA KATSUE. – (1523-1583) DAIMYO, ri-cordato per la confisca di tutte le KATANE (KATA-NA-GARI) presenti nella sua Provincia: mette così fine alle rivolte di monaci e contadini. Il suo prov-vedimento anticipa quello assunto poi da TOYOTO-MI HIDEYOSHI nei riguardi di tutti i Giapponesi (1588). SHIBORI. – “Strangolamento”. SHIBUICHI. – “Quattro parti”. Lega di bronzo. È composta d’argento unito a stagno, rame, piombo o zinco ed utilizzata per fornimenti di spade e la-vori ornamentali. SHIBUKAWA RYU. – Scuola di JU-JUTSU, BO-JUTSU e KUSARIGAMA-JUTSU. La fonda nel secolo XVII, ad Hiroshima, SEKIGUCHI HACHIROZAEMON, figlio di SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINA-MOTO-NO-SONECHIKA, a sua volta fondatore del SEKIGUCHI RYU di JU-JUTSU, allora da lui chiamato YAWARA. SHICHI. – “Sette” in sino-giapponese. In giappo-nese puro è NANATSU, per contare le persone (NIN) si dice SISHININ, per oggetti particolar-mente lunghi (HON) s’usa NANAHON. Anche NANA. SHICHIDAN. – Nel moderno sistema di gradua-zione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 7° grado”. Anche NANADAN.[si veda KYUDAN]. In questa fase l’individuo ha lampi d’illuminazione dentro di sé e, conscio della spontanea fusione della mente con il corpo, è appagato. SHIDA SHIRO. – (1868-…) Allievo (1881 circa) della scuola TENJIN SHIN’YO RYU di JU-JUTSU, di-venta discepolo di KANO JIGORO e modifica il suo nome in quello di SAIGO SHIRO. SHI-DACHI. – Sono i praticanti muniti di NAGI-NATA, contrapposti a quelli armati di SHINAI o

BOKKEN (detti UCHI-DACHI), nelle competizioni tuttora apprezzate in Giappone. SHIDOIN. – “Istruttore”. È il livello intermedio dei tre in cui, alla metà degli anni Settanta del 1900, è diviso il corpo insegnante dell’AIKIKAI HONBU DOJO. Corrisponde approssimativamente alla Cintura Nera di 4° e 5° DAN. In ordine cre-scente i livelli sono: FUKU SHIDOIN (Aiutante I-struttore), SHIDOIN (Istruttore) e SHIHAN (Ma-estro Istruttore). SHIGA SEIRIN. – Antico SUMOTORI. È ricordato per essere stato il primo arbitro (GYOJI) nomina-to prima NUKIDE-NO-TSUKASA, quindi “giudice” (HOTE) dall’Imperatore, nel 740. SHIHAN. – “Modello”, inteso anche come “Gran-de Esperto”. Titolo attribuito nelle Arti Marziali, normalmente a chi è 9° DAN. In alcune scuole, SHIHAN è la Cintura Nera 4° DAN. [si veda KYU-DAN].

– “Maestro Istruttore”. È il livello più alto dei tre in cui, alla metà degli anni Settanta del 1900, è diviso il corpo insegnante dell’AIKIKAI HONBU DOJO. Corrisponde approssimativamente alla Cintura Nera dal 6° DAN in su. In ordine cre-scente i livelli sono: FUKU SHIDOIN (Aiutante I-struttore), SHIDOIN (Istruttore) e SHIHAN (Ma-estro Istruttore). SHIHO. – “Quadrato”.

– “Quattro lati”, “quattro membra”, “quattro direzioni”.

– “Certificato di trasmissione” della dottrina; “attestato di successione” conferito da un Mae-stro ZEN. SHIHO NAGE. – “Proiezione nelle quattro dire-zioni”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la caduta di AITE è indietro o – ma è molto pericoloso – laterale. Normalmente si applica a presa a polsi e spalle, colpi e fendenti al volto. Al-lorquando eseguito come un esercizio, con un compagno che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati (AI-KITAISO) che si praticano in coppia, senza caduta. SHIHO NAGE è uno dei più importanti “fattori e-sterni” dell’AIKIDŌ, i movimenti e le tecniche principali, rimaste invariate, unitamente ad IRIMI, TENKAN e SUWARI IKKYO. Per O-SENSEI, in questa tecnica, il “quattro” simboleggia le Quattro Grati-tudini: per il Divino, che dà lo Spirito; per i geni-tori, che danno il corpo; per la natura, che ci so-stenta; per i nostri simili, da cui riceviamo la vita quotidiana. Lo SHIHO NAGE è simboleggiato da un quadrato.

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SHIHO-GIRI. – “Taglio su quattro lati”. Fa par-te degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Un “padre nobile” è il “Servizio ai Punti Cardinali” (shiho-hai) di un’antica cerimonia di Corte. L’Imperatore, il primo giorno del nuovo an-no, si rivolge alle Quattro Direzioni e ringrazia i Poteri del Cielo e della Terra per i doni ricevuti e prega perché non cessino. SHIJO. – Il praticante di JODO. SHIJUHATTE. – Termine che indica le 48 prese autorizzate, utilizzate nel SUMO per far cadere l’avversario o spingerlo fuori del “cerchio sacro”. Si veda KIMARITE. SHIKAKU. – “Punto, angolo morto”. SHIKANTAZA. – “Star seduti”. Il sedersi, con-centrati esclusivamente sulla pratica dello ZAZEN. SHIKARE WAZA. – Rapido ed improvviso attac-co che, soprattutto nel KENDO, “riempie” il “vuoto” che si determina quando l’avversario abbassa la guardia. SHIKI. – “Risolutezza” (termine composto di KI). È quella che, secondo INAZO NITOBE, il vero BU-SHI deve possedere. [si veda BUSHIDO].

– “Forme”, “fenomeni”, “oggetti” visibili. SHIKIBU MURASAKI. – (973-1014 per alcune fonti, 978-1015 per altre). È una cortigiana di medio livello, che nel 999 sposa un uomo più an-ziano di lei. Eccellente letterata, il suo nome è le-gato ad una raccolta di poesie, ad un diario e, so-prattutto, al GENJI MONOGATARI (“Storia di Gen-ji”), scritto tra il 1002 ed il 1008. SHIKIME. – Tipo d’allacciatura dell’armatura ODOSHI. SHIKIRI. – “Cerimonia iniziale” che precede i combattimenti di SUMO. Caratteristica e immuta-ta da secoli, dura da tre a quattro minuti ed è ri-petuta quattro volte. I SUMOTORI, accosciati (chi-ri) all’interno del “cerchio sacro” (DOHYO), si fronteggiano con i pugni a terra e si concentrano, fissando l’avversario. Si risollevano per spargere manciate di sale per poi riaccosciarsi, battendo ripetutamente i piedi a terra (shiko). SHIKKO. – “Camminare (muoversi) sulle ginoc-chia”. “Passo del SAMURAI”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). In AIKIDŌ si pratica spesso: così s’acquista stabilità e sciol-tezza di movimento, utile anche nella posizione eretta. SHIKORO. – Gronda dell’elmo (laterale e poste-riore), a protezione di collo, spalle e parte latera-

le del volto. È formata da lamelle (da tre a cinque, anticamente anche sette) di metallo o cuoio, al-lacciate fra loro. La lamella superiore, in età anti-ca, è unita al coppo con borchie, mentre poi si uti-lizzano lacci intrecciati o di pelle. La forma dello SHIKORO varia con l’epoca, in ogni caso la lamina superiore (tra il 1532 ed il 1570) o le quattro la-mine superiori si ripiegano a formare i risvolti di protezione (FUKIGAYESHI). SHIKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di quarta classe”. [si veda KYUDAN]. Anche YONKYU. SHIMABARA. – È la penisola dove sorge il Ca-stello di Hara. Nel 1637 oltre cinquantamila tra contadini e mercanti, con famiglie al seguito, cui s’uniscono parecchi RONIN, vi trovano rifugio, dando vita alla rivolta che passa alla storia come “Ribellione di SHIMABARA”. Tra i fuggiaschi molti sono i convertiti al cattolicesimo, che si ribellano alle persecuzioni in atto dal 1614. È la prima volta che un’insurrezione popolare avviene non per fa-me, ma in nome della libertà religiosa e dell’ugua-glianza degli uomini davanti a Dio. Gli oltre 100.000 uomini dello SHOGUN che asse-diano il castello, ci mettono mesi ad espugnarlo, nonostante i bombardamenti delle navi olandesi; gli Spagnoli non si muovono dalle Filippine per soc-correre i correligionari. La ribellione di SHIMABA-RA si conclude con un immane massacro.

– Così sono chiamati i quartieri “a luci rosse” delle città, durante il Periodo MOMOYAMA (1573-1603). Sono talmente diffusi che il Governo è co-stretto a regolamentarli.\ SHIME. – “Strangolamento”. JIME, come suffis-so. Viene da SHIMERU, “stringere”. SHIME WAZA. – “Tecniche di strangolamento”. SHIMENAWA. – “Cordone di paglia di riso”. È posto all’ingresso dei santuari SHINTO e identifi-ca il luogo come sacro. SHIMERU. – “Chiudere”.

– “Stringere”, “premere”, “torcere”. – Esercizio per tonificare ed irrobustire gli

avambracci, usato soprattutto nel KENDO: mentre si eseguono fendenti (SHO MEN UCHI), si serrano fortemente le mani, contraendo i muscoli degli avambracci, solo nel momento di colpire. SHIMIZU JASHITARO. – Tecnico. Tra le due Guerre Mondiali inventa la mitragliatrice a forza centrifuga. La carica di lancio non è esplosiva, ma costituita dalla forza centrifuga che un motore a benzina, ad alto numero di giri, imprime ad un di-sco rotante. I proiettili, contenuti nel disco, sono

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liberati e lanciati ad una cadenza che può supera-re i 9.000 colpi al minuto. SHIMMEI MUSO RYU. – Scuola di IAI-JUTSU, fondata da HAYASHIZAKI JINSUE SHIGENOBU ver-so il 1565. SHIMO. – “Basso”, “inferiore”. Anche GE. SHIMOSEKI. – “Lato inferiore” della sede allie-vi. Nel DOJO è di fronte allo JOSEKI. [si veda “ Etichetta e comportamento: il Dojo”]. SHIMOZA. – “La sede inferiore”. Nel DOJO è il posto gli allievi, che si dispongono di fronte al SENSEI, partendo dalla sua destra con quelli di grado meno elevato. [si veda “ Etichetta e com-portamento: il Dojo”]. SHIN. – “Ago metallico” per agopuntura.

– “Cuore”. “Mente”. Anche “anima” e “spirito”; “intuizione”. È analogo al termine KOKORO. Per gli orientali, cuore e mente formano un insieme unico.

– “Sincerità”. Uno dei punti del BUSHIDO. [si veda].

– Indica il valore morale del DANSHA. [si veda SHINGITAI].

– “Cielo”. Anche TEN. – “Nuovo”.

SHIN BUDO. – “Nuova Via Marziale”. È così chiamato il BUDO dopo la Restaurazione MEIJI, per distinguerlo da BUJUTSU (“tecniche di com-battimento”) e BUGEI (“Arti da guerra”), che han-no un orientamento assolutamente strumentale, d’utilità. Per brevità, comunque, resta il nome BU-DO. SHIN KAGE RYU. – “Nuovo KAGE RYU”. È la scuo-la fondata da FUJIWARA-NO-NOBUTSUNA, già allie-vo del KAGE RYU e del KATORI SHINTO RYU. È nota, tra l’altro, per l’uso in allenamento di una spada, analoga al BOKKEN, di legno duro. Oltre che KEN-JUTSU, s’insegnano anche tecniche di combatti-mento a corpo a corpo, senz’armi (JU-JUTSU), al fine di integrare e migliorare lo stile KAGE RYU. È YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI che aggiunge alcuni precetti e principi ZEN all’insegnamento dello SHIN KAGE RYU, come il “non-pensiero” (MU-SHIN) e la “vacuità totale” (MUSO o MUNEN-MUSHIN) – e da allora la scuola è conosciuta anche come YAGYU SHIN-KAGE RYU. UESHIBA MORIHEI, nel 1922-24, studia KEN-JUTSU allo SHIN KAGE RYU, scuola ancora in attività. SHIN MUSO HAYASHIZAKI RYU. – Scuola di IAI-JUTSU, fondata da HAYASHIZAKI JINSUE SHI-GENOBU verso il 1550. È ancora attiva.

SHIN SEKIGUCHI RYU. – Scuola di Arti Mar-ziali. Vi s’insegnano KEN-JUTSU, IAI-JUTSU e JU-JUTSU. SHINAI. – Spada da scherma. Quattro stecche di bambù, legate insieme, formano una “lama” dritta, munita di lunga impugnatura (TSUKA) ed el-so (TSUBA) rotondo, in plastica o cuoio. Si usa so-prattutto nel KENDO e le sue misure (dimensione, peso) variano in funzione dell’età del praticante. SHINDEN FUDO RYU. – Antica scuola tradizio-nale di YARI-JUTSU. Fondatori sono IZUMO-NO-KANJA YOSHITERU ed il suo allievo Izumo-no-Kanja Yoshikane. Gli insegnamenti di questa scuola – a lungo rimasti segreti ed i cui Maestri sono, so-prattutto YAMABUSHI – comprendono lo studio della scherma con diversi tipi di lance, NAGINATA compresa, e l’uso di ONO (“scure da guerra”), O-TSUCHI (“mazza ferrata”) e FERUZUE. Pare che la scuola sia ancora attiva. SHINDEN MUNEN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da FUKUI HEIEMON YOSHIHARA nel 1750 circa. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZA-SA CHOISAI IENAO. SHINDO ITEN RYU. – Scuola d’AIKIDŌ fondata da discepoli di UESHIBA MORIHEI. SHINDO MUNEN RYU. – Scuola di KENDO. Risa-le alla fine del secolo XIX. SHINDO MUSO RYU. – Scuola di JO-JUTSU. La fonda, verso il 1640, MUSO GONNOSUKE KATSUYO-SHI, dopo aver vinto in duello MIYAMOTO MUSASHI nell’unica sconfitta da questi mai patita. La tradi-zione vuole che anche questo RYU sia stato ispira-to dal TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. Sono sessantaquattro le tecniche-base di maneggio del bastone, formaliz-zate da MUSO GONNOSUKE KATSUYOSHI ed inse-gnate nella sua scuola come KATA. Da queste deri-vano le dodici tecniche che – codificate dalla scuola KATORI SHINTO RYU nel 1955 – danno origi-ne allo JODO. Lo SHINDO MUSO RYU, come scuola, non esiste più. SHINDO ROKUGO RYU. – Stile di AIKIDŌ, idea-lo da un allievo di O-SENSEI, Noguchi Senryuken. Questo stile adotta solo tecniche totalmente di-fensive. SHINDO SHIZEN RYU. – Scuola e stile di KA-RATE. Artefice è un allievo dei “Grandi Maestri” FUNAKOSHI GICHIN e UESHIBA MORIHEI, Konishi Yasuhiro. Lo stile punta al maggior sviluppo spiri-tuale degli allievi, che studiano numerosi KATA.

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SHINDO YOSHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. Risale al secolo XIX e tra i suoi allievi celebri fi-gura OTSUKA HIDENORI, poi discepolo di FUNAKO-SHI GICHIN e fondatore (1939) dello stile WADO RYU di KARATE. SHINGEN TSUBA. – Tipo di TSUBA. Hanno deco-razioni che ricordano il millepiedi e sono diffuse nel secolo XVI. Sono così chiamate – oltre che con il nome MUKADE TSUBA (il termine mukade in-dica appunto un tipo di millepiedi) – perché ap-prezzate e ricercate da TAKEDA SHINGEN, famoso DAIMYO morto nel 1573. SHINGITAI. – È il “triplo valore” di chi ha ac-quisito la Cintura Nera. SHIN è il valore morale, il carattere; GI indica la capacità tecnica; TAI la forza ed il vigore fisico; le qualità costituenti lo SHINGITAI sono complementari ed inseparabili. Il DANSHA che arriva a possiede lo SHINGITAI – at-traverso il principio SEIRYOKU-ZEN.YO (“efficace utilizzazione dell’energia”) ed il concetto JITA-KYO-EI (“amicizia e mutua prosperità”) – riunisce in sé il cielo (SHIN), la terra (GI) e l’uomo (TAI): egli è un “essere umano completo”. SHINGON. – “Vero Suono” o “Vera Parola”. È la traduzione sino-giapponese del sanscrito mantra ed identifica la setta esoterica buddista, intro-dotta in Giappone all’inizio del secolo IX dai mo-naci SAICHO e KUKAI. La setta basa i propri fon-damenti sullo studio del KOTODAMA, la “sacra scienza dei suoni” cinese, ma di provenienza india-na. Caratteristica del Buddismo SHINGON, come e più del TENDAI, è il sistematico ricorso a mantra, IN (mudra) – per purificare e portare a perfezio-ne parola, gesto e pensiero –, l’impiego di MANDA-LA e la pratica del KUJI-NO-IN (”Iscrizione delle Nove Lettere”). SHINGYOTO RYU. – Scuola di Arti Marziali, fondata da Iba Josuiken Hideaki nel 1682. È an-cora attiva. Materie d’insegnamento sono: KEN-JUTSU (sia O-DACHI sia KO-DACHI), IAI-JUTSU, NA-GINATA-JUTSU. SHINIKUCHI. – “Richiamo dell’anima dall’aldilà”. È uno dei più importanti compiti magici, affidati normalmente alle donne. [si vedano anche MIKO e le voci “magia” e “sciamanesimo”, nella Terza Par-te]. SHINJI-SUMO. – È la “versione sacra” del SU-MO originale. Si sviluppa parallelamente alla pro-gressiva assimilazione dei combattimenti di SUMO – in origine di carattere squisitamente religioso – all’Arte marziale, processo iniziato nella seconda metà del secolo IX e conclusosi nel secolo XII.

Nel secolo XVII lo SHINJI-SUMO, che mai si è mi-schiato alle cose di guerra, si combina con la va-riante “marziale”, lo JORAN-ZUMO, per dar vita al moderno SUMO. SHINJU. – “Suicidio a due”. Di solito è compiuto da coppie di amanti (omo od eterosessuali che siano) e non s’addice alla condizione SAMURAI. È frequentemente riproposto nei drammi KABUKI. SHINKAI INOUYE. – Celebre fabbro attivo nel-la seconda metà del 1600. SHINKAN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. La fonda OKUYAMA TADENOBU, che s’ispira all’AIZU KAGE RYU di AIZU IKO. SHINKEITO RYU. – “Scuola della Tecnica e dello Spirito della Spada”. scuola di KEN-JUTSU – fon-data alla fine del secolo XVII da MATSUURA SEI-ZAN, DAIMYO della provincia di Hizen – rimasta attiva fino al 1908. SHINKEN. – “Combattimento reale”. SHINKEN-SHOBU. – “Combattimento all’ultimo sangue”. SHIN-KI-RYOKU. – Concetto espresso, tra gli altri, da ITO ITTOSAI KAGEHISA. Indica la volontà di agire solo dopo aver purificato i propri senti-menti da ogni cattivo pensiero e dal timore, pa-droneggiando SHIN (il “cuore”), KI (il “soffio vita-le”) e RYOKU (l’”energia”). SHIN-NO-DACHI. – Si veda SHOZOKU-DACHI. SHIN-NO-SHINDO RYU. – Scuola di JU-JUTSU, che insegna numerosissime tecniche (pare 166). Per la tradizione risale al secolo XVI. SHINOBI. – È il termine che indica un NINJA. SHINOBI-JUTSU. – “Arte del travestimento”, “Arte dell’inganno”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e, ovviamente, ne sono maestri i NINJA, famosi per l’abilità con cui rie-scono a mimetizzarsi (con travestimenti, camuf-famenti), rendendosi anonimi tra la gente, per portare a compimento le proprie missioni. SHINOBI-SHOZUKU. – È il particolare “costu-me dei NINJA”: tutto nero, compreso il cappuccio che serve a nascondere il viso; è l’ideale per mis-sioni notturne. SHINOGI. – Dorso di una lama. È lo spigolo lon-gitudinale che corre lungo il dorso della lama (MU-NE) della KATANA. Con questo si parano i colpi. A mani nude, così come il TE-GATANA è utilizzato si-milmente al filo della lama, si usa il dorso della mano in modo paragonabile allo SHINOGI. SHINO-SUNEATE. – Variante di gambali SUNE-ATE. Sono composti di una dozzina di piastre me-talliche verticali, unite da maglia di ferro, fode-

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rati di tessuto. Alla gamba, come tutti i SUNEATE, sono fissati con cordoncini. SHINSAKU-TO. – “Spada recente”. Con questo termine si definiscono le spade prodotte dal se-condo dopoguerra in poi, con la ripresa di interes-se – e non solo in Giappone – verso la tradizionale produzione di questi oggetti d’altissima qualità costruttiva. KO-TO sono le “spade antiche”, pro-dotte dal 900 circa al 1530 circa (o 1603 oppure 1614); le “spade nuove”, SHIN-TO, sono quelle pro-dotte dal 1530 (o 1603 o 1614) al 1716 circa. Quelle fabbricate dal 1717 al 1870 si chiamano SHIN-SHIN-TO (“spade nuovissime”), mentre le “spade moderne”, GENDAI-TO, sono quelle forgiate dal 1871 alla fine della seconda Guerra mondiale. SHINSHIN TOITSU AIKIDŌ. – “AIKIDŌ con la coordinazione mente-corpo”. Scuola fondata da TOHEI KOICHI nel 1974, dopo la sua fuoriuscita dall’AIKIKAI. Gli insegnamenti impartiti nella scuo-la hanno come fine ultimo il raggiungimento dell’unificazione mente-corpo attraverso la “rea-lizzazione” del KI. Per questo motivo si eseguono esercizi sia di respirazione sia per sviluppare il KI, combinati con tecniche di AIKIDŌ. I termini SHIN-SHIN TOITSU AIKIDŌ e KI-NO-KENKYUKAI, oggi, sono praticamente intercambiabili, anche se la seconda, in effetti, è l’Associazione che rappre-senta la scuola. SHIN-SHIN-TO. – “Spada nuovissima”; “nuovis-sima lama”. Il termine indica le spade forgiate dal 1717 al 1870. Le “spade antiche”, fabbricate dal 900 circa al 1530 circa (oppure al 1603 o 1614, secondo le fonti), sono chiamate KO-TO. Le “spade nuove”, SHIN-TO, sono quelle prodotte dal 1530 (o 1603 o 1614) al 1716 circa, mentre le “spade mo-derne”, GENDAI-TO, sono quelle forgiate dal 1871 alla fine della seconda Guerra mondiale. Le spade prodotte dal secondo dopoguerra sono le “spade recenti”, SHINSAKU-TO. La classificazione si rife-risce alla tradizione delle NIPPON-TO, le “spade giapponesi”. SHINTAI. – “Passo”; “avanzamento”. Tecniche di spostamento del corpo: i piedi scivolano al suolo, in modi diversi (TSUGI ASHI, AYUMI ASHI eccete-ra), ma con appoggio prevalente sul bordo esterno (TSURI ASHI). SHINTAI-DO. – Movimento culturale, con im-pronta religiosa. Nasce negli Stati Uniti d’Ameri-ca, nella seconda metà del secolo XX, per opera di Aoki Hiroyuki, Maestro di KARATE. Questi, riadat-tando i concetti della Rakutentai (un’associazione per lo studio della Bibbia, costituita a Tokyo nel

1966), fonda un proprio sistema d’educazione, che ha lo scopo di plasmare e sviluppare armonicamen-te corpo, spirito e volontà degli allievi, in modo che essi possano esprimere la propria originalità. Tecniche e movimenti sono mutuati da KENDO, BO-JUTSU e JO-JUTSU, ma, pur fondato sullo studio di KATA (seppur interpretati quale sorta di danza gestuale) è difficile considerare lo SHINTAI-DO come una Disciplina del BUDO, anche se il fondato-re si richiama ad antichi RYU marziali. Per i loro esercizi, i seguaci di questa Disciplina indossano un KEIKOGI bianco e praticano calzando TABI o a piedi nudi. SHINTO. – “Trauma”; “impatto”.

– “La Via dei KAMI (o degli Dei)”. È la religio-ne autoctona giapponese, anteriore alla diffusione (nel secolo VI d.C.) del Buddismo e, poi, del CON-FUCIANESIMO. Inizialmente, in epoca preistorica, questa è una forma di politeismo naturalistico, una credenza secondo la quale gli spiriti animano ogni cosa (una sorta di ANIMISMO, quindi) e non ha neppure un nome: semplicemente, è la religione del popolo, sintesi di numerosi culti sciamanici locali che si fondono tra loro. Il nome SHINTO, “la Via dei KAMI”, comincia a dif-fondersi in opposizione a BUTSU-DO, “la Via del Buddha” (BUKKYO, Buddismo); infatti, quando il Buddismo, nel secolo VI, penetra in Giappone, con il suo carattere più spirituale ed una dottrina evoluta, mette in crisi lo Shintoismo, che perde seguaci, e potere. Nel tentativo di assorbire il culto dei KAMI in quello del Buddha, questi è dap-prima considerato un nuovo KAMI; poi si afferma che i KAMI sono manifestazioni del Buddha e dei Bodhisattva, ma nel secolo X, ormai, lo SHINTO sopravvive solo in pochi templi e piccole comunità. È solo tra il XVI ed il XVIII secolo che lo Shin-toismo si riprende dalla profonda crisi, seppure al prezzo della distruzione di meravigliosi templi buddisti ed opere d’arte non shintoiste, a causa del movimento nazionalista ed estremista dei WAGAKUSHA. Questi, opponendosi violentemente ai KANGAKUSHA (ammiratori assoluti della cultura cinese), esaltano lo SHINTO come religione su cui è fondata l’unità nazionale e si battono per un ri-torno alle origini nell’estetica letteraria e nella lingua. La presenza del Buddismo, comunque, è sempre molto forte – tanto che nel 1872 è rico-nosciuto ufficialmente pari allo SHINTO, come im-portanza – perché solo questo culto, con le sue esperienze mistiche, soddisfa l’anelito religioso

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popolare. È per ovviare a questo che è decisa la secolarizzazione dello Shintoismo: il culto dei KAMI è dichiarato Istituzione di

Stato, allo scopo di accrescere il sentimento na-zionale e stimolare la devozione per l’Imperatore; i riti shintoisti si trasformano in cerimonie uf-

ficiali dello Stato ed i sacerdoti diventano fun-zionari statali e cerimonieri. le dottrine SHINTO sono insegnate a scuola. l’Imperatore stesso è considerato un KAMI.

È la disfatta militare del 1945 che fa crollare lo Shintoismo: l’anno successivo, con la nuova Costi-tuzione, l’Imperatore perde la sua connotazione divina ed allo Shintoismo è negato il riconosci-mento statale. Oggi, in Giappone, rimane uno Shintoismo popola-re, simile a quello sviluppatosi dal secolo XVI: è definito “Religione delle Sette” ed è diffuso tra le masse grazie, soprattutto, alla efficiente orga-nizzazione missionaria, che assiste i fedeli – circa quattro milioni – nei loro bisogni, non solamente religiosi. Lo SHINTO, più che una religione vera e propria, è un insieme di credenze e di riti strettamente col-legati alla storia ed alla cultura nipponica (e quindi difficilmente “esportabile”). Non c’è un fondatore e non esiste una “scrittura sacra”, tanto è vero che sono considerati libri religiosi anche i testi storici o di natura mitologica. I testi cultuali più importanti – non tutti conservatisi – dello SHIN-TO, sono redatti dall’inizio del secolo VIII: del 712 è il KOJIKI, in tre volumi (“Memorie degli Av-venimenti dell’Antichità”); il NIHONJI (o Nihon shoki, “Annali – o Cronache – del Giappone”), in trenta tomi, è compilato a partire dal 720. Qui si ricostruisce la storia della coppia divina, IZANA-GI-NO-MIKOTO e IZANAMI-NO-MIKOTO, creatori delle isole giapponesi e progenitori, attraverso AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, la dea del Sole, della Dinastia imperiale (TENNO), ancora oggi sul trono. Tra il XII e il XVI secolo sono compilati i cosid-detti “Cinque Libri dello Shintoismo” (Shinto Go-busho), tentativo di fissare organicamente e si-stematicamente la dottrina, dandole anche solide basi storiche. Notizie sui culti antichi e sui miti shintoisti si possono trovare in altre importanti opere, tra cui:

SENDAI KUJI HONGI (detto Kujiki, “Annali degli Antichi Avvenimenti” in dieci volumi, il cui origina-le risale al 620).

FUDOKI (“Libri dei luoghi e dei costumi”, del 713); Kagoshui (“Raccolta di ciò che resta di Vec-chie Storie”, 807).

Engi-shiki (“Cerimoniale dell’Era Engi”, del 927, in ottanta volumi). Lo SHINTO non ha una concezione organica del mondo o una propria filosofia e poco si preoccupa dell’aldilà e della sfera morale personale, mentre essenziale è il concetto di KAMI. Da notare che nel Giappone antico non c’è un vero e proprio “senso della moralità” (soprattutto come in Occi-dente comunemente inteso), solo un grande ri-spetto reciproco ed una costante preoccupazione per la purezza, fisica e spirituale. È proprio la sua ”elasticità ideologica” che ha permesso allo SHINTO di convivere accanto al Buddismo, nonostante i fortissimi contrasti in età feudale. Oggi non è infrequente che un individuo si dichiari seguace al contempo delle due religioni, che, fondamentalmente, non presentano aspetti incompatibili tra loro. [si vedano anche KAMI, O-GATA-JINJA, TAGATA-JINJA e le voci “animismo”, “sciamanesimo” e “shintoismo”, nella Terza Parte]. SHIN-TO. – “Spada nuova”; “nuova lama”. Il termine indica le spade forgiate dopo il 1530 (o, secondo altri, il 1603 oppure il 1614), fino al 1716 circa. KO-TO sono le “spade antiche”, prodotte dal 900 circa al 1530 circa (o 1603 oppure 1614); quelle fabbricate dal 1717 al 187 si chiamano SHIN-SHIN-TO (“spade nuovissime”), mentre le “spade moderne”, GENDAI-TO, sono quelle forgiate dal 1871 alla fine della seconda Guerra mondiale. Le spade prodotte dal secondo dopoguerra sono le “spade recenti”, SHINSAKU-TO. La classificazione si riferisce alla tradizione delle NIPPON-TO, le “spade giapponesi”. SHINTO RYU. – Si veda TENSHIN SHODEN KATO-RI SHINTO RYU. SHINWA TAIDO. – Metodo di autodifesa basa-to sull’AIKIDŌ; è definito da Inoue Kyoichi, allievo di UESHIBA MORIHEI. SHINZAN. – “Recesso montano”. Soprannome di aereo da bombardamento/trasporto tattico della Seconda Guerra Mondiale. SHINZO. – “Cuore”. SHINZO-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUATSU). Serie di KUATSU ad azione elettiva, per rianimazione cardiaca. Il procedimento può avva-lersi di pressione diretta, pressione indiretta (massaggio transdiaframmatico) oppure percus-sione. SHIO. – “Marea”.

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SHIODA GOZO. – (1915-…) Discepolo di UESHI-BA MORIHEI e suo UCHI DESHI per otto anni, dal 1932. È il fondatore (1955) della YOSHINKAN AIKIDŌ, scuola dove, rifacendosi allo stile “duro” dell’AI-KIDŌ dei primi tempi, si insegna lo YOSHIN AIKIDŌ. Nel 1990 organizza la Federazione Internazionale YOSHINKAI AIKIDŌ, e designa a succedergli il fi-glio Yasuhisa. Secondo SHIODA GOZO – che è uno degli artefici della riscoperta dell’AIKIDŌ in Giappone - il suo AIKIDŌ è tratto da ciò che O-SENSEI elabora nel periodo più fecondo del proprio insegnamento, quello anteriore alla seconda Guerra Mondiale, quando raggiunge l’apice di un virtuosismo tecnico mai più eguagliato. SHIRAI TORU. – (1783-1850) Maestro di spada. Appartiene alla scuola Kijin Ryu di KEN-JUTSU ed è seguace della ITTO RYU. È ricordato, oltre che per un’opera sulle tecniche della sua arte, lo HYO-HO MICHI SHIRUBE (“Fondamenti della Via della Spada”), anche per la pesantezza del suo BOKKEN d’allenamento. SHIRASAYA. – “Fodero bianco”. Tipo di SAYA per spada. Semplice, generalmente in legno di magno-lia (honoki), è utilizzato per custodire le spade di qualità appena forgiate – prima che il proprietario decida come e da chi far preparare i fornimenti – e quando queste non sono usate. Talvolta sul fo-dero compaiono informazioni concernenti la lama, compreso il nome del fabbricante. SHIRAZAYA. – Tipo di SAYA per TACHI. È rive-stito di pelle (cinghiale, daino, tigre o leopardo) e, anticamente, portato solo in viaggio o in guerra. Talvolta con questo termine s’indica tutta la spa-da con fodero ricoperto di pelle.

– Fodero di semplice legno, talvolta coperto di scritte, destinato a proteggere il ferro della YARI o dell’HOKO. SHIRIZAYA-DACHI. – Fodero per TACHI, rico-perto di pelle d’orso. È segno distintivo per i BU-SHI d’alto rango, quando si recano a Corte: indos-sano l’abito cerimoniale (dapprima il SOKUTAI, il “grande costume ufficiale”, quindi l’IKAN) e porta-no la spada cerimoniale SHOZOKU-DACHI. SHIRO. – “Bianco”. SHIROBO. – “Bastone bianco”. Così è chiamata la spada di legno, ricoperta di stoffa bianca, usata nell’allenamento di KEN-JUTSU alla scuola ARAKI RYU. SHISEI. – “Postura” assunta da un combattente. Può essere una posizione naturale, di base, nor-

malmente eretta (SHIZEN HONTAI o SHIZEN-TAI o MUKA MAE), piuttosto che difensiva (JIGO HONTAI o JIGO-TAI). Indica anche l’attitudine alla esecu-zione delle tecniche. SHISHI. – “Uomini di grandi intenti”, “patrioti”. Così sono chiamati i SAMURAI che si battono per la restaurazione imperiale, dopo l’apertura del Giap-pone al mondo (1853, sbarco del Commodoro Perry) e la fine del feudalesimo. SHISODEN. – “Trasmissione ad un solo allievo”. Tipico metodo d’insegnamento delle antiche scuo-le. SHITA. – “Sotto”. Anche URA. SHI-TACHI. – Così è chiamato il praticante di KARATE e KENDO che, nell’esecuzione di un KATA a coppie, subisce l’attacco di SEMEITE o lo contrat-tacca. SHITE. – È chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini TORI, UCHI e NAGE.

– Attore principale del teatro NŌ, il protago-nista. Il suo avversario è chiamato WAKI. SHITO RYU. – Scuola di KARATE. La fonda nel 1928 il Maestro MABUNI KENWA, allievo dei Mae-stri ITOSU YASUTSUNE ANKO (della scuola SHURI-TE, ideatore dell’ITOSU RYU) e HIGAONNA KANRYO (della Naha-te), in onore dei quali dà il nome al suo stile [“shi“ è la prima lettera di ITOSU, “to” la prima di HIGAONNA], debitore d’entrambe le scuole. L’intensa preparazione fisica prevista nello SHITO RYU è propedeutica alla necessaria potenza corporea, basilare in questo stile e che consente l’esecuzione degli oltre cinquanta KATA studiati. Questo stile, un tempo, è conosciuto come HAKKO. SHITOTSU. – “Affondo”, “stoccata”. SHITSU-KANSETSU. – “Poplite”, “cavità popli-tea”. Regione posteriore del ginocchio, punto al centro della parte interna del ginocchio. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SHITSUMON. – “Domanda”. SHITSUMON KEIKO. – Parte dell’allenamento riservato alle domande. SHITSUMON SURU. – Fare domande. SHIUN. – “Nube violetta”. Soprannome di idrovo-lante da ricognizione della Seconda Guerra Mon-diale. SHIWARI. – È la pratica delle “tecnica di rottu-ra” (HISIGI). Questa spettacolare pratica è diffu-sa in parecchie Arti Marziali tradizionali, compre-so il KARATE (anche se non tutte le scuole lo ac-cettano), ed enfatizzato in alcune moderne. SHIZEN HONTAI. – Posizione naturale. Posi-zione eretta normale, di base. Anche MUKA MAE.

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Fa parte delle SHISEI (“posture”). Anche SHIZEN-TAI. SHIZEN-TAI. – Si veda SHIZEN HONTAI. SHIZOKU. – “Gentiluomo di campagna”. È la nuo-va classe sociale che emerge dalla semplificazione del sistema, dopo la Restaurazione MEIJI: ne fan-no parte quei SAMURAI che non sono SOSTUZOKU. SHO. – “Piccolo”. È sinonimo di KO.

– “Pino”. Rappresenta “la sincerità totale” (MAKOTO).

– “Mercante”. Anche AKINDO. – Organo a bocca, dotato di serbatoio d’aria

e 17 canne di bambù. Fa parte della strumenta-zione di base del GAGAKU. SHO MEN. – “Parte frontale”, “davanti”, “di fronte”. “Colpo diretto alla testa”. SHO MEN TSUKI. – “Colpo frontale al viso, con il pugno”. SHO MEN UCHI. – “Fendente verticale al capo”. “Colpo frontale al viso, con taglio dall’alto al bas-so”. Eseguendo SHO MEN UCHI, AITE deve conside-rare il TE-GATANA (bordo inferiore della mano, quello che colpisce) come fosse il filo tagliente di una spada; deve anche unirsi al KI del cielo e della terra, per concentrare l’energia sulla mano, come se volesse separare l’universo. TORI, da parte sua, assumendo la “giusta distanza” (MA-AI), deve sen-tirsi animato dall’intenzione di “unirsi” al suo av-versario, per condurlo nella direzione prescelta. TORI si armonizza con la respirazione di AITE e – con il cuore stabile come una montagna, il corpo morbido come l’acqua – lo guida in IRIMI o s’apre in TENKAN. Anche MEN UCHI. SHO MEN UCHI IKKYO TSUGI ASHI. – Passo seguito, parata alta e rotazione. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). SHOBU. – “Combattimento” – normalmente di ga-ra – tra due praticanti d’Arti Marziali.

– “Duello”. Può anche essere “all’ultimo san-gue” (SHINKEN-SHOBU). SHOBU-ARI. – “Terminate il combattimento”. Espressione arbitrale, utilizzata in gara per porre fine ad un combattimento. SHOBU-HAJIMÈ. – “Iniziate il combattimento”. Espressione arbitrale, utilizzata in gara per dare inizio ad un combattimento. SHOCHIKUBAI. – È il termine che vuole descri-vere un combattimento con la spada, che mescola, armonizzandoli, movimenti d’AIKIDŌ e di KENDO. È insegnato solamente in alcune scuole d’AIKIDŌ ed il vocabolo è parola composta da SHO (“pino”, rap-

presenta il MAKOTO), CHIKU (“bambù”, simbolo di flessibilità) e BAI (“susino”, simbolo dell’amore). È la pratica di questa forma d’Arte Marziale che, si dice, consente di sviluppare al meglio il SAKKI (“in-tuizione istantanea”) e lo YOMI (“intuizione”, “pre-veggenza”, legato ai concetti di MA-AI, “distanza” e HYOSHI, “ritmo”), per giungere alla capacità di sferrare un contrattacco immediato e fulmineo, non appena l’avversario matura la propria “inten-zione aggressiva” (KIMOCHI). SHODAI. – Il fondatore di un RYU d’Arti Marzia-li. Anche SHOSEI. SHODAN. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 1° grado”. Anche SHO-MOKUROKU. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’allievo neo “cinturato” possiede sì un poco di tecnica ma, ancora incerto, si appoggia alla sua guida, forse un anziano JUDAN… (ed è l’i-nizio del cerchio!). SHODEN. – È la trasmissione iniziale nell’antico sistema di classificazione del BUGEI: quello che serve per cominciare.

– Insegnamento base dello IAIDO. Comprende quattro tecniche, che costituiscono altrettante fasi: NUKI-TSUKE (“sguainare”), KIRI-TSUKE (“ta-gliare”), CHIBURI (“pulire la lama”), NOTO (“rinfo-derare”). SHODO. – “La Via della Scrittura”. Pratica e scienza della calligrafia. Nel Giappone antico – ed anche in tutto l’Oriente, dove la scrittura è “dise-gnata” con ideogrammi – un guerriero abile e ca-pace non può che essere anche un provetto calli-grafo e, spesso, pure valente pittore. Il tratto del pennello, come il maneggio di una spada, ri-chiede attenzione, concentrazione, rapidità d’e-secuzione e padronanza perfetta del gesto. Non è un caso che gli adepti del BUJUTSU (e poi del BU-DO), da sempre, si allenano anche a scrivere poemi o trascrivere massime: serve per migliorare la co-ordinazione neuro-muscolare e disciplinare lo spi-rito. Eccellente combattente, esperto calligrafo, buon pittore: così deve essere il SAMURAI. Non per nulla il BUKE-SHO HATTO prescrive, alla norma numero 1: «Devono essere sempre praticate: lo studio della letteratura e le arti umanistiche (BUN), quelle delle armi (BUKI), l’arcieria (KYU-JUTSU) e l’equitazione (BA-JUTSU)». Vale la pena di notare che, in Estremo Oriente, non è netta la distinzione tra calligrafia e pittura. SHODO è an-che detta BOKUSEKI. SHOEN. – Vasta proprietà terriera destinata al-la coltivazione del riso. Nasce dal fallimento del

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progetto TAIHO di riforma della proprietà terrie-ra, nella prima metà del secolo IX. L’ingrandirsi delle proprietà, formalmente assegnate dall’Im-peratore, con l’acquisizione di nuove terre (boni-ficate o acquistate, assorbite illegalmente – quel-le pubbliche – o arrivate con il KISHIN), unitamen-te alla perdita d’autorità e potere del Governo centrale, costringe i proprietari degli SHOEN a proteggersi da soli, anche unendo le forze. I pro-prietari più piccoli, cedendo terre ai più grossi, in cambio di protezione, promettono d’essere fedeli sostenitori e si autodefiniscono “coloro che ser-vono”, i SAMURAI. Il Giappone torna ad avere una élite militare. SHOGUN. – “Generalissimo”. Il titolo completo è SEI-I-TAISHOGUN, ovverosia “Generalissimo per aver vinto i barbari”, “Generale che sottomette i barbari”. È usato per la prima volta nel 200 d.C. circa, ad indicare i quattro generali inviati da Su-jin, decimo imperatore, a sedare le ribellioni, du-rante la fase di consolidamento del potere. Ini-zialmente il titolo, conferito al capo di una spedi-zione militare, vale solo per la durata della cam-pagna. La nomina formale dello SHOGUN spetta sempre all’Imperatore, che sceglie tra i DAIMYO più ricchi e più forti militarmente, da MINAMOTO-NO-YORITOMO che, in verità, s'auto-proclama tale nel 1192 in poi. Lo SHOGUN, supremo capo militare, è anche Mae-stro di Palazzo ed a lui spetta scegliere la sposa dell’Imperatore e educarne i figli. Tre sono i BA-KUFU (“Governo della Tenda”, questo il termine con cui s’indica lo shogunato, il Governo militare dello SHOGUN) nella storia del Giappone: lo shogu-nato di KAMAKURA (1185-1333), quello di KYOTO, con gli ASHIKAGA (1336-1573) ed i Reggenti HO-JO, ed infine lo shogunato dei TOKUGAWA, a EDO (1603-1867). Inizialmente, l’istituto dello shogu-nato giustifica la propria esistenza con la delega formale e legale del potere ricevuta dall’Impera-tore: è pressoché perfetto l’equilibrio politico e culturale tra KAMAKURA, sede del BAKUFU, e KYO-TO, il centro culturale nazionale, la città degli im-peratori e dei KUGE. La carica di SHOGUN è abolita nel 1868; entro il 1870 tutte le istituzioni feudali fanno la stessa fine. [si veda anche la voce “Cro-nologie. Shogun”, nella Terza Parte]. SHOIN-ZUKURI. – È lo stile abitativo che si af-ferma dal 1400 in poi, adottato dai SAMURAI ric-chi e dai DAIMYO. La dimora di un capo Clan o di un DAIMYO – spesso vero e proprio palazzo forti-ficato – comprende cortili, giardini, sale di rice-

vimento ed alloggi per gli ospiti; non può mancare una scuderia (UMAYA) cui, spesso, s’aggiunge una piccola cappella buddista (jibutsudo) all’interno del recinto. Questo, ampio, è circondato dal TSUI-JI, e racchiude spazi liberi, destinati all’adde-stramento dei guerrieri: equitazione, maneggio delle armi, tiro con l’arco. Distinti edifici (tooza-murai), all’interno del recinto, sono destinati ad alloggiare i fanti, mentre i SAMURAI di basso ran-go abitano nei sajiki, capanne di modeste dimen-sioni, con pavimento in terra battuta, muri di bambù intrecciato o paglia (solo paraventi, d’e-state), tetto d’assi e divisori interni costituiti da tende. Man mano che cresce l’importanza, il ran-go, del padrone di casa, la sua abitazione si tra-sforma in un vero e proprio castello [si veda la voce “castello”, nella Terza Parte]. SHOJI. – “Porta”. Pannello scorrevole a riquadri, di carta translucida, su telaio di legno. È presente nelle case giapponesi tradizionali; la tradizione vuole che sia essere aperto con entrambe le mani, stando in SEIZA. È adatto come porta finestra per esterni.

– Indica il ciclo di morte e rinascita. Equivale al sanscrito SAMSARA. SHOJITSU KENRI KATACHI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU (con O-DACHI), BATTO-JUTSU e JO-JUTSU. Fondata da Imaeda Sachu Ryodai verso il 1646, è tuttora attiva. SHOJU. – “Guerrieri al seguito” (di un SAMURAI). Sono antichi contadini di classe NUHI che, ormai svincolati dalla terra (dall’inizio del Periodo ASHI-KAGA), prestano servizio armato alle dipendenze di un BUSHI. SHOKAKUFU-HACHI. – Piastre tipiche dell’elmo KABUTO. SHOKAKUFU-NO-HACHI. – “Coppo ad ariete”. È termine che indica lo spigolo frontale, accen-tuato dal becco, del coppo della TANKO. SHOKO. – Piccolo gong sospeso. Fa parte della strumentazione di base del GAGAKU. [si veda la vo-ce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. SHOKUNIN. – “Artigiano”. Anche KO. SHO-MOKUROKU. – “Cintura Nera di 1° grado”, secondo il moderno sistema di graduazione, deri-vato del BUJUTSU. Anche SHODAN. [si veda KYU-DAN]. Nel WA-JUTSU indica lo “studente esperto”. SHORIN RYU KARATE-DO. – È il nome che as-sume nel 1920, per opera del Maestro CHIBANA CHOSHIN, l’antica scuola SHURI-TE di KARATE, ad OKINAWA. Oggi la SHORIN RYU KARATE-DO fa par-te dell’associazione Okinawa Karate-do Renmai,

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che rappresenta tutti gli stili insegnati sull’isola. [si veda, anche, OKINAWA]. SHORINJI KEMPO. – Particolare stile di KARA-TE. È un misto di JUDO, JU-JUTSU e KARATE – più pratica religioso-filosofica che Arte Marziale – che SO DOSHIN, monaco buddista ZEN (al secolo NAKANO MICHIOMI), elabora e codifica, dopo la Seconda Guerra Mondiale, prendendo spunto dalla scuola HAKKO RYU. I religiosi ZEN vi ricorrono co-me complemento fisico alla loro meditazione in posizione seduta (ZAZEN), giacché l’insegnamento di SO DOSHIN, che lega indissolubilmente corpo e spirito, prescrive che sia l’uno sia l’altro devono essere allenati, proprio attraverso KEMPO e ZA-ZEN. Nel 1972 lo SHORINJI KEMPO – che segue l’in-segnamento dello “Zen del Diamante” (KONGO-ZEN) – assume il nome di NIPPON SHORINJI-KEMPO, e si giapponesizza completamente. Il nome di que-sta Disciplina deriva dalla lettura giapponese dei caratteri “Shao Lin-si“ e “Quanfa”, che identifi-cano un tipo di lotta, simile alla boxe, praticata nell’omonimo, famoso monastero buddista cinese. SHOSEI. – Il fondatore di un RYU d’Arti Marzia-li. Anche SHODAI. SHOSETSU YUI. – Esperto di arte militare, di-venuto RONIN; campa insegnando Arti Marziali È autore di un trattato, La Via dei Tre Assoluti (che sono il Cielo, la Terra, l’Uomo) me è ricordato soprattutto per il tentato – e fallito – colpo di stato del 1651, che lo vede alla testa di RONIN come lui. L’insurrezione deve iniziare con l’incen-dio di EDO e con l’occupazione del castello, ma il piano è scoperto e SHOSETSU YUI compie SEPPUKU. SHOSHITSU RYU. – Antica scuola di scherma con la spada, usata indossando l’armatura. Risale al 1646 circa. SHOTEI. – “Palmo della mano”. Pure SHU-WAN. SHO-TO. – “Piccola spada”. Classe di spade con la lama di lunghezza compresa fra 40 e 60 cm, leggermente incurvata. I SAMURAI sono soliti por-tarla con la KATANA, classe DAI-TO, a formare il DAI-SHO. [si veda anche TO]. SHOTOKAI. – Nome dello stile di KARATE ideato da FUNAKOSHI YOSHITAKA, figlio di FUNAKOSHI GICHIN, e della scuola da lui fondata a Tokyo ver-so il 1946. Intenzione del fondatore è aiutare i praticanti a raggiungere lo stato di MUSHIN, il “non pensiero”, sviluppandone maggiormente lo spirito e trasformare il KARATE in un modo di vita, piuttosto che in un’attività sportiva. L’”Associa-zione Giapponese di Karate” (NIHON KARATE KYO-KAI) ha origine dallo SHOTOKAI, nel 1937.

SHOTOKAN. – “Il Luogo di Shoto” (dal sopran-nome del fondatore). È la scuola di KARATE-DO fondata da FUNAKOSHI GICHIN ed anche il nome dell’HONBU DOJO (la “Palestra Centrale”), impian-tato a Tokyo nel 1938. Lo stile messo a punto da FUNAKOSHI GICHIN preferisce i rapidi spostamen-ti di base (TAI SABAKI), attacchi profondi, pene-tranti e bassi, tecniche leggere. Questo stile è poi elaborato e modificato dal figlio del fondato-re, FUNAKOSHI YOSHITAKA, che subentra al padre nella direzione del DOJO alla fine della guerra. Lo SHOTOKAN (distrutto nel 1945 e ricostruito subi-to dopo la Seconda Guerra Mondiale) ha lo scopo di promuovere la diffusione del KARATE-DO ed e-quivale al BUDOKAN. SHOTOKU. – Imperatrice dal 764 al 770, è la terz’ultima donna a salire al trono. Infatuata del molto ambizioso abate DOKYO, di cui pare sia suc-cube, lo porta a Corte nel 764 e lo nomina mini-stro; poi – e del tutto illegittimamente – gli con-ferisce il titolo di HOO. Quando l’abate pretende d’essere nominato Imperatore, lei rifiuta d’abdi-care in suo favore. A spingerla in questo senso sono non soltanto gli oracoli consultati, ma anche la consapevolezza che mai sarebbe stato accetta-to quale TENNO un semplice suddito: solo i quat-tordici secoli di continuità ereditaria legittimano il carattere divino dell’Imperatore. Alla morte di SHOTOKU l’abate è esiliato in provincia. SHÔWA. – “Pace luminosa”. Indica il Periodo sto-rico (Era) dell’Età Moderna del Giappone, che va dal 1926 al 1989, regnante l’imperatore Hirohito. SHOYA. – “Capo villaggio”. Con l’inurbamento dei SAMURAI, endemico durante la dominazione TOKU-GAWA, l’amministrazione rurale è tutta nelle mani degli SHOYA, che sono al più basso gradino tra i funzionari dell’HAN, ma al più alto della gerarchia che, da sempre, esiste anche nei più sperduti vil-laggi. Lo SHOYA deve stimare la terra, riscuotere le tasse, badare alla moralità pubblica, mantenere l’ordine. Verso la metà del 1800 gli SHOYA contri-buiscono non poco a ridimensionare il ruolo e la fi-gura dei SAMURAI che, addirittura, sentono loro inferiori. Dimostrano, con petizioni all’Imperato-re, che il loro ruolo di “capo del popolo comune”, è più antico dell’istituto dei SAMURAI, “i piedi dei nobili” e che l’evoluzione del loro gruppo [oggi di-remmo “figura professionale”] è precedente agli SHOGUN. Inoltre, nella pratica, gli SHOYA danno prova di essere in grado di amministrare il 95% della popolazione – quella delle campagne – senza alcun intervento della cosiddetta classe gover-

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nante, i SAMURAI, appunto. In sintesi, oltre a pre-tendere cambiamenti, reclamano anche alcuni pri-vilegi, il più comune dei quali è la nomina al rango di SAMURAI (?!). SHOZOKU-DACHI. – “Spada cerimoniale”, parte dell’abito indossato a Corte dai nobili (dapprima il SOKUTAI, il “grande costume ufficiale”, quindi l’I-KAN). Quando il fodero (SAYA) della TACHI è rico-perto di pelle d’orso, segno distintivo per BUSHI d’alto rango, la spada prende il nome di SHIRIZA-YA-DACHI. Anche SHIN-NO-DACHI. [si veda TACHI]. SHU. – “Mano”. Pure TE.

– “Scuola”, “setta”. Anche “pratica”. SHUCHU. – “Concentrazione”. SHUCHU RYOKU. – “Concentrazione dell’ener-gia” o “della forza”. SHUGENDO. – Complesso di pratiche magiche – che caratterizzano soprattutto le scuole (o set-te) esoteriche buddiste SHINGON e TENDAI – e superstizioni personali proprie degli YAMABUSHI, i “Guerrieri dei Monti”. Questa setta, per la tradi-zione, ha un fondatore (l’eremita EN.NO GYOJA, “En il Praticante”), una data di nascita (il 700, cir-ca) ed una lunga serie di patriarchi fino al 1872, anno in cui è soppressa d’autorità, ma, nella real-tà, l’insieme di credenze e di pratiche esoteriche si sono amalgamate nel tempo e, sedimentando, hanno dato credito a leggende, superstizioni, opi-nioni e fedi diverse. Numerose sono le divinità buddiste e shintoiste (KAMI) venerate dai rudi (e spesso incolti) YAMABUSHI, i quali sono convinti – riprendendo, in parte, un concetto del Buddismo ZEN – che, se restano fedeli all’idea di un’assoluta uguaglianza tra gli uomini, tutto ciò che fanno in vita è opera di Buddha. Dalla soppressione uffi-ciale del 1872, nonostante un tentativo di “resur-rezione” nel secondo dopoguerra, tutti i seguaci dello SHUGENDO sono rientrati nelle sette TENDAI o SHINGON. SHUGI. – “Conservare l’energia” (è composto di KI). SHUGO. – “Governatore militare”. È il governato-re di una delle Province – o gruppo di Province pic-cole – istituite dal BAKUFU di KAMAKURA, dopo il 1192. Di classe SAMURAI, ha il compito di provve-dere, a livello locale, alle funzioni militare e di po-lizia e di proteggere le attribuzioni civili e ammi-nistrative dello JITO, compresa la riscossione del-le tasse. La designazione degli SHUGO compete al-lo SHOGUN, che dovrebbe nominarli per la loro abi-lità nel governare, non per ricompensa o alleanza, com’è chiaramente specificato nel Kemmu-shiki-

moku (il Codice ASHIKAGA) del 1336. Nel 1370 e-sistono, in tutto, venti famiglie SHUGO – metà del-le quali imparenta con gli ASHIKAGA – che gover-nano il Giappone in nome dello SHOGUN. Lo SHUGO ha il diritto-dovere di reclutare truppe nel suo dominio, per formare, quando richiesto, un con-tingente militare al servizio dello SHOGUN. Que-sto, unitamente alle funzioni già concentrate nelle sue mani (militari, di polizia e civili, con lo JITO praticamente esautorato), lo rende sempre meno burocrate e sempre più simile ad un vero e pro-prio Signore, che governa la Provincia come fosse un possedimento privato, quasi un regno indipen-dente, senza riferimento all’autorità shogunale o imperiale. È la fine del secolo XIV: nasce lo SHU-GO-DAIMYO. SHUGO-DAIMYO. – Si veda SHUGO. SHUGYO. – “Purificazione”.

– “Addestramento solenne”. Chi pratica que-sta forma d’addestramento austero, è chiamato shugyosha. SHUIN TACHI. – “Spada di legno con iscrizioni”. Una delle più famose SHUIN TACHI conosciute è quella fabbricata da ITO ITTOSAI KAGEHISA e tra-smessa, attraverso oltre quattordici generazioni di discendenti Capiscuola dell’ONO-HA ITTO RYU, fino a YAMAOKA TESSHU ed ai suoi eredi. Sulla spada sono scritte, con inchiostro rosso, cinque frasi o parole relative alla scherma, tra cui “il tempismo del non tempo”. SHUKO. – Punto sul palmo della mano, a sinistra del tendine del 2° radiale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI.

– Particolari “manopole” o guanti, usate dai NINJA. Di cuoio, hanno rinforzi in metallo muniti di ganci. Utilizzati per scalare e arrampicare (mu-ri, pareti scoscese, cinte murarie, alberi eccete-ra), in caso di necessità servono a parare fenden-ti o sono adoperati come artigli. Anche TEGAKE. SHUKOKAI. – Stile (e scuola) di KARATE, molto coreografico, quasi “danzante”, ideato da TANI CHOJIRO nel 1948 e conosciuto in Europa grazie all’opera divulgativa di NAMBU YOSHINAO. Alla ba-se di tutti i movimenti dello SHUKOKAI – che pun-tano comunque alla massima efficacia – c’è un ac-curato studio scientifico, ma gli incontri, assai scenografici, assomigliano più a rappresentazioni che a combattimenti, tant’è vero che i praticanti indossano accessori tipici delle forme teatrali classiche giapponesi, KABUKI e NŌ. SHUMATSU DOSA. – Movimento per “fissare”.

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SHUN. – “Primavera”. In Giappone questo termi-ne è ricco di sfumature metaforiche ed ha un alto valore simbolico, trasmettendo un senso di emo-zione erotica, di tensione mistica: è la vita che ri-nasce. SHUNGA. – “Pitture della primavera”. Il termine deriva da GA, “pittura”, “disegno” e da SHUN, “pri-mavera”. È un’antica forma pittorica, importata dalla Cina delle Dinastie Tang e Song (secoli dal VII al XIII), ma che in Giappone giunge ad una tale perfezione da rientrare a pieno titolo nelle belle arti figurative, soprattutto nell’ambito della corrente artistica MOMOYAMA, a cavallo dei secoli XVI e XVII, unitamente alle opere UKIYO-E ed al-lo stile pittorico yamato-e. Si tratta di dipinti, stampe e disegni a carattere erotico [e talvolta, secondo i nostri criteri, cru-damente pornografico quando non anche caricatu-rale: le dimensioni dei genitali riprodotti – soprat-tutto maschili – sono quasi sempre abnormi], dove gli artisti riescono ad esprimere, stilizzandolo, il fascino, la seduzione del desiderio e dell’atto ses-suale. La tradizione delle SHUNGA vive per circa mille anni, dal secolo IX alla fine del XIX, ed il suo successo deriva anche dal fatto che, nel Giappone antico, non esiste un vero e proprio “senso della moralità”, soprattutto come noi lo intendiamo co-munemente, ma solo una costante preoccupazione per la purezza, fisica e spirituale ed un grande ri-spetto reciproco. Nella cultura giapponese, inoltre, non c’è alcuna dottrina – sociale, etica o teologica che sia – ad imporre una morale ufficiale alla vita di gruppo, nel campo del sesso e della passione carnale: le abitudini sessuali sono vissute con naturalezza e grande libertà. Si vedano anche OGATA-JINJA e TAGATA-JINJA. SHUNYA. – “Vacuità”. La perfetta vacuità è l’u-nificazione dell’essere umano con il nulla cosmico. È un principio buddista: ciò che sembra essere è unito, in modo imperscrutabile, a ciò che non è. SHUNYA è il fine ultimo del metodo HYODO, si tro-va richiamato nel concetto MU di negazione totale e, quindi, nello “stato mentale di vacuità” MUSO (e MUNEN-MUSHIN). SHURIKEN. – Armi da lancio. Rientrano nel grup-po delle KAKUSHI, le “armi nascoste”. Piccole (5-10 cm di diametro), appuntite ed affilate, sono uti-lizzate soprattutto dai NINJA ed hanno forma di-versa: a stella (SHAKEN, con da tre e otto punte), ad ago (FUKUMI-BARI), a coltello (BO-SHURIKEN)

eccetera. Gli SHURIKEN spesso sono lanciati in gruppo (3 o 5 alla volta) e possono causare ferite gravi, talvolta mortali, se, come sovente accade, sono avvelenati. SHURIKEN-JUTSU. – “Arte di lanciare gli SHU-RIKEN“. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). SHURI-TE. – “Mano di Shuri”. Scuola di KARATE. Creata nel 1830 ad OKINAWA da MATSUMURA SO-KON, è sviluppata in seguito da alcuni suoi discepo-li, tra cui ITOSU YASUTSUNE ANKO e CHIBANA CHOSHIN che, nel 1920, la rinomina SHORIN RYU KARATE-DO; oggetto particolare di studio è l’ap-plicazione dei KATA. Oggi fa parte dell’associazio-ne Okinawa Karate-do Renmai, che rappresenta tutti gli stili insegnati sull’isola. [si veda, anche, OKINAWA]. SHUTO. – “Taglio della mano”. Bordo esterno della mano. Anche TE-GATANA. SHUTO UCHI. – Attacco diretto, fendente, con il TE-GATANA o con la spada (soprattutto nel KEN-DO). SHUTO UKE. – Parata, eseguita con il TE-GATANA o con il dorso della spada (soprattutto nel KENDO). SHU-WAN. – “Parte inferiore” dell’avambraccio; “palmo della mano”. Pure SHOTEI. SHUYO SHOSEI-RON. – “Trattato sull’inse-gnamento dello Spirito e della Vita”. È un’opera di YAMADA JIROKICHI, Maestro di KENDO, sulla sua Arte. SINGETSU. – “Epigastrio”. Zona dell’addome si-tuata sopra l’ombelico. Punto dell’epigastrio. KYU-SHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SISHININ. – “Sette”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è SHICHI o NANA, in giapponese puro si dice NANATSU, per oggetti par-ticolarmente lunghi (HON) s’usa NANAHON. SO. – “Primo”, “maggiore”

– “Integrale” o “unico”; “completo”. – “Violenza”.

SO DOSHIN. – Monaco ZEN. Si veda NAKANO MICHIOMI. SOBI. – “Tricipite surale”. Base del muscolo tri-cipite o tibiale posteriore. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SODA. – Zona della 7^ vertebra cervicale. Punto alla base delle scapole. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SODE. – “Manica” della casacca GI.

– SPALLACCI dell’armatura. Introdotti nei tempi antichi – ma considerati d’impaccio e quindi, in seguito, aboliti – tornano con l’armatura moder-

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na, sempre decorati. Forma e dimensioni variano molto, ma in genere sono quasi quadrati, larghi da 15 a 35 cm e fatti in un’unica piastra di metallo oppure di piastre metalliche, scaglie o lamelle uni-te da cordoncini di seta. All’armatura si allacciano mediante lacci, cordoncini o fettucce, colorati, che danno un senso estetico di prolungamento dello SHIKORO. SODE DORI. – “Presa alla manica”. AITE afferra la manica o l’interno del gomito di TORI (in GYAKU HANMI). In alcuni stili d’AIKIDŌ, si contano cinque serie di prese, cui corrispondono altrettanti tipi di difesa: JUN KATA SODE TORI (“prima presa di maniche”), DOSOKU KATA SODE DORI (“seconda pre-sa”), MAE RYO TE KATA SODE DORI (“terza presa di maniche”), USHIRO ERI KATA SODE DORI (“quarta presa”), USHIRO RYO KATA SODE DORI (“quinta presa di maniche”). SODE GUCHI. – “Imboccatura della manica”. SODE GUCHI DORI. – “Presa all’imboccatura della manica”. SODE-GARAMI. – “Aggroviglia maniche”. Tipica arma in asta, utilizzata per catturare, disarciona-re o disarmare un avversario, facendo presa sulle larghe maniche dei vestiti. [si veda HINERI]. SODEGARAMI-JUTSU. – “Arte dell’uso della SODE-GARAMI”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). SODO. – “Sala della meditazione” (anche ZENDO). [si veda]. SOHEI. – “Monaci-samurai”. Sono ordinati con una cerimonia piuttosto superficiale, dato che, in fondo, si tratta di guerrieri arruolati per incre-mentare le truppe monastiche. La necessità di a-vere un buon numero d’armati deriva dalla volontà di difendere le proprietà – inizialmente dichiarate esenti da imposte – dei centri religiosi, sempre più vaste man mano che il sistema KISHIN (la do-nazione di terre, per evitare le tasse ed ottenere protezione) si diffonde. La rivalità tra i maggiori centri religiosi aumenta con l’aumentare dei loro possedimenti ed è grande l’allarme sociale che de-sta il loro continuo guerreggiare, durante la Reg-genza FUJIWARA (890-1185, ma anche dopo: il ruolo militare dei templi cessa solo nel 1571, quando ODA NOBUNAGA espugna il monte Hiei). Non si tratta solo di lotte fra monasteri – che, generalmente, si concludono con l’incendio del tempio sconfitto –, ma di vere e proprie interfe-renze nell’attività della Corte imperiale. SO-IN. – “Base delle dita” dei piedi. Zona corri-spondente al tubercolo del 5° metatarso, sul bor-

do esterno del piede. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SOJOBO. – Sovrano dei TENGU [si veda], popolari esseri mitologici dell’antico Giappone. SO-JUTSU. – “Arte della scherma con l’alabar-da”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – del-le “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). Il SO-JUTSU, che si pratica indossando l’armatura, appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). [si veda an-che “ Antiche arti da guerra”]. SOKE. – Il successore “di sangue” di un RYU d’Ar-ti Marziali. Anche SOKEI. SOKE KYOJU DAIRI. – “Istruttore munito di certificato”, delegato ad insegnare come rappre-sentante del Direttore di un RYU. SOKEI. – Il successore “di sangue” di un RYU d’Arti Marziali. Anche SOKE. SOKKOTSU. – “Collo del piede”. Anche KORI. SO-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUA-TSU) molto complesse. È una serie di KUATSU ad azione globale (o KUATSU maggiori), che unisce gli effetti delle percussioni riflessogene (TSUKI-KUATSU) a quelli delle pressioni addomo-toraciche (manovre respiratorie, HAI-KUATSU) alle stimola-zioni cardiache (SHINZO-KUATSU). Tradizional-mente, i SO-KUATSU si praticano con l’utilizzo del KIAI. Della serie fanno parte tre gruppi: SAN-SO-KUATSU (“tre procedimenti integrali”):

applicano lo stesso principio, ma il paziente è su-pino (USHIRO-SO-KUATSU), bocconi (TANDEN-SO-KUATSU) o seduto (AGURA-SO-KUATSU). KIKAI-SO-KUATSU: procedimento integrale ad-

domo-toracico; procedimenti che necessitano di un aiutante:

AIIRE-SO-KUATSU, O-SEI-KUATSU. SOKUMEN. – “Lato”. SOKUMEN DORI. – “Presa di lato”. SOKUTAI. – “Grande costume ufficiale”. È una specie d’uniforme, che tutti gli alti funzionari di Corte devono indossare. È composto, essenzial-mente, da HAKAMA molto larghi, con biancheria a manica corta (kosode), e casacca (HO). Norme stabilite nel 1212 regolano colore delle vesti (leg-gere o pesanti secondo stagione) e lunghezza del-lo strascico, obbligatorio. Nel secolo XIII il co-stume si semplifica e diventa simile a quello chia-mato IKAN.

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SOKUTO. – “Bordo esterno” del piede. Pure A-SHI-GATANA. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SOMABITO. – “Boscaiolo”. Il legno è la materia prima più importante, nel Giappone storico, ma chi procura il legno, i SOMABITO appunto – che vivono nelle foreste, abbattono gli alberi necessari all’e-dificazione di palazzi, templi e case, raccolgono legna da ardere e preparano il carbone di legna – sono normalmente molto poveri. Ricco diventa chi il legno lo commercia, mentre chi lo lavora – car-pentiere, maestro d’ascia, falegname, scultore – talvolta è conosciuto e ricercato artigiano, quando non artista addirittura. SOMENPO. – Tipo di maschera d’arme completa. Si veda MENPO. SONSHI. – Nome giapponese di Shun Tzu (il Ma-estro Shun) o Shunzi, celeberrimo stratega Cine-se del secolo IV a.C. È l’autore – tra l’altro – del più antico trattato d’arte militare conosciuto, lo Shunzi Bingfa. SONU. – “Base del collo”. Punto della base del collo, tra le creste clavicolari. KYUSHO, “punto vi-tale” o “debole” per gli ATEMI. SON-UN. – Secondogenito dell’imperatore GO-DAIGO, all’epoca della fuga di questi da KYOTO (1336). Dopo aver indossato gli abiti del padre, per ingannare il nemico, SON-UN si rifugia sulla torre di una porta cittadina e, dal parapetto di una finestra, si mostra agli inseguitori, grida il proprio nome e la posizione sociale ed annuncia l’intento suicida. Toltosi l’armatura e la casacca, si squarcia l’addome da sinistra a destra, getta le sue interiora sul parapetto, s’infila la spada in bocca e si lancia dalla torre, a testa in giù. SORASHI. – “Finta”, “falso attacco”. SORI. – “Curvatura della lama”. SOROBAN. – “ABACO”. Strumento per eseguire operazioni aritmetiche. SO-SETSU-KON. – Attrezzo agricolo per bat-tere la paglia di riso. È questo strumento, utiliz-zato come arma da botta, che i contadini di OKI-NAWA traggono il NUNCHAKU. SOSHO-TAI. – “Scrittura vegetale”. È una va-riante dell’alfabeto HIRAGANA, ed è considerata la scrittura delle donne e della poesia. SOSTUZOKU. – “Soldato”. È la nuova classe so-ciale che emerge dalla semplificazione del siste-ma, dopo la Restaurazione MEIJI: ne fanno parte quei SAMURAI che non sono SHIZOKU. SOSUICHI RYU. – “Scuola delle Acque Pure”. Antica scuola di KOSHI-NO-MAWARI (e, poi, JU-

JUTSU) e di KOGUSOKU-JUTSU. Fondata da FUGA-TAMI MISANORI HANNOSUKE nel 1650 circa, è tut-tora attiva. SOTAI DOSA. – “Esercizi preparatori, eseguiti a coppie”. SOTAI RENSHU. – Pratica d’allenamento alle Arti Marziali (principalmente JUDO), a coppie, che rientra nel SEIRYOKU ZEN.YO KOKUMIN TAI-IKU-NO-KATA. Consta in 20 esercizi, in apparenza “dolci”, che richiedono rapidità d’esecuzione e decisione fulminea. SOTO. – “Fuori”, “esterno”. SOTO KAITEN. – TORI esegue la tecnica re-stando “esterno” ad AITE. SOTO KAITEN NAGE. – “Proiezione rotatoria esterna”. La caduta di AITE è in avanti. SOTO-SHU. – (in cinese: Caodong-zong) Scuola ZEN, appartenente alla corrente del Buddismo MAHÂYÂNA. È una delle due principali rimaste: l’al-tra è la RINZAI-SHU o RINZAI. La tradizione vuole che sia fondata, nel 1227, dal monaco DOGEN KIGEN. Questa scuola (od ordine, che dir si voglia) ritiene che per raggiungere il SATORI sia indispensabile lo ZAZEN – che si pratica col viso rivolto al muro – e poca importanza asse-gna allo studio dei testi sacri o alla risoluzione dei KOAN. Il Maestro, in effetti, non assegna siste-maticamente dei KOAN agli allievi, perchè sono le sue risposte alle loro domande a diventare KOAN! Lo ZAZEN è praticato senza alcun fine né interessi personali, perseguendo quindi il mokusho-zen, lo ZEN dell’illuminazione silenziosa e graduale. Anche, semplicemente, SOTO. SOTTO. – “Svenimento”, “sincope”. SUBURI. – Movimenti individuali con le armi. SUDARE. – “Tenda”. È composta da cilindretti di bambù infilati in cordicelle. SUGAKE. – Tipo d’allacciatura dell’armatura O-DOSHI. SUGAWARA-NO-MICHIZANE. – Poeta, calli-grafo, studioso: è considerato il patrono dei let-terati. SUIEI-JUTSU. – “Arte (tecniche) per combat-tere in acqua indossando l’armatura”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”].

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SUIGETSU. – “Bocca dello stomaco”. Punto sotto il plesso solare. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. SUIJOHOKO-JUTSU. – “Arte (tecniche) per attraversare i corsi d’acqua”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – se-condo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Ta-ka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. SUIO RYU. – Scuola di Arti Marziali, fondata verso il 1615 da Mitsuma Yoichizaemon Kagenobu. Molte sono le materie d’insegnamento: IAI-JUTSU, KEMPO, KEN-JUTSU (con O-DACHI, KO-DACHI, TAN-TO, AIKUCHI, KWAIKEN), JO-JUTSU, KUSARIGAMA-JUTSU, KOGUSOKU-JUTSU. Il RYU risulta ancora at-tivo. SUISEI-MUSHIN. – Concezione della vita: è un “sogno ad occhi aperti”. Questo concetto filosofi-co è in contrasto con l’idea di SATORI e di MUSHIN. SUI-SEN. – È il diploma che conferisce la Cintu-ra Nera di 1° DAN a quello studente (SEN) il quale, talvolta non più giovane, partecipa con entusia-smo, costanza e gioia alla pratica dell’Arte Mar-ziale ed offre qualcosa di sé alla Disciplina ed ai suoi compagni d’allenamento. Il SUI-SEN è una Cin-tura Nera a tutti gli effetti: lo studente che lo riceve ha probabilmente raggiunto la massima ca-pacità tecnica di cui è capace o che l’età e la con-dizione fisica gli consentono. SUISHINSHI MASAHIDE. – (1750-1825) Mae-stro spadaio. Riesuma il vecchio stile delle scuole di Bizen e Sagami. Grazie a lui – che istruisce molti allievi e pubblica numerosi libri sull’argo-mento – ha termine il periodo di decadenza nella produzione delle lame, che caratterizza tutto il secolo XVIII. SUJI. – “Bordo della piastra” metallica [si veda SUJI-KABUTO]. SUJI-KABUTO. – Elmo. Ideato nella prima metà del secolo XIV, utilizza rivetti a testa piccola e dalla superficie dell’HACI sporgono solo i bordi rialzati delle piastre (SUJI), che formano una sor-ta di nervatura di rinforzo. Nella gronda (SHIKO-RO) con risvolti (FUKIGAYESHI), il SUJI-KABUTO as-somiglia all’antico HOSHI-KABUTO, ma è reso robu-stissimo dalle piastre verticali che compongono il coppo, di larghezza ridotta, sempre unite da ri-vetti (a testa piccola, però, o addirittura senza) e quasi sovrapposte l’una all’altra.

SUKI. – “Apertura” (è composto di KI). Indicando anche l’opportunità, l’occasione da cogliere al volo – complementare del “momento d’assenza dello spirito”, di mancata concentrazione – è sinonimo di BONNO. Indica quella sensibilità, tipicamente giapponese, relativa allo “spazio vuoto” (suki-ku) ed alla libertà di spirito di occuparlo oppure no. Il BUDO è l’”Arte di vedere i SUKI”. SUKI-O MITSUKERU. – “Attendere e vederlo arrivare”. È la capacità di osservare ed attendere l’attacco dell’avversario, per poterlo anticipare o per contrattaccare. SUKIYA. – “Sala da tè”. Può far parte della casa del Giappone feudale o esserne separata. La clas-sica SUKIYA misura quattro TATAMI e mezzo, con il mezzo TATAMI al centro, dove è posta la teiera; gli ospiti (non più di cinque, normalmente) si di-spongono sui lati. Unico arredo, di solito, è un TO-KO-NO-MA. SUKUI. – “Cucchiaio”. SUMAI. – Con questo nome è chiamato il SUMO nella mitologia. Il racconto di come – da uno scon-tro sulla spiaggia di Izumo, nel 23 a.C. – il SUMAI inizi ad essere uno stile di lotta, si ha nel NIHON-JI (o Nihon shoki, “Annali – o Cronache – del Giap-pone”). Il combattimento vede opposti Tajima-no-kohaya e Nomi-no-sukune, di Izumo, con il secon-do che, vincitore, è considerato il fondatore del SUMAI; Tajima-no-kohaya muore, a seguito di un calcio che gli frattura le costole. Il SUMAI, infat-ti, pur sostanzialmente identico al SUMO nelle prese e nelle proiezioni, contempla anche pugni, calci e colpi d’ogni genere, al fine d’indurre alla resa senza condizioni l’avversario, anche al prezzo della sua vita. A combattersi sono dei campioni scelti dai vari Clan, atleti che gareggiano in tornei organizzati dai Governatori, o dall’Imperatore stesso, in onore dei KAMI shintoisti, ma senza al-cuna finalità marziale. È con l’affermarsi della classe dei BUSHI che il SUMAI – diventato meno cruento e ribattezzato SUMO – è studiato per fi-nalità belliche (lotta sul campo di battaglia, quan-do, per un motivo qualsiasi, non è possibile usare le armi) anziché religiose, ludiche o sportive. Da questa forma di SUMAI, divenuta SUMO, si svilup-pano le tecniche di lotta senz’armi note come KU-MI-UCHI o YAWARA (praticate con indosso l’arma-tura) e, in seguito, lo JU-JUTSU. SUMI. – “Angolo”. SUMI OTOSHI. – “Proiezione angolare”. “Proie-zione nell’incavo del braccio”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA).

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SUMIKIRI. – “Chiarezza di mente e di corpo”. È un concetto shintoista, che prevede la purezza per la mente ed una sorta di “stato di grazia” per il corpo. Si raggiunge dopo aver praticato MISAGI, sia esterno sia interno, che “riallinea” con la “fon-te della vita”. È anche l’obiettivo che i BUDOKA do-vrebbero prefiggersi di raggiungere. SUMO. – È la più antica delle Arti Marziali giap-ponesi e pare certo che da questa derivi lo JU-JUTSU. Per la tradizione, a lottare a mani nude per il dominio del Paese sono, inizialmente, due KAMI, anche se è molto probabile che si tratti della trasposizione mitologica della lotta per la supremazia fra due capi guerrieri, uno coreano e l’altro già “giapponese”, in periodo protostorico (Periodo KOFUN?). Di certo già nel Periodo ASUKA, 525-645, sono documentati tornei di SUMO o, me-glio, di SUMAI [si veda]. I combattimenti di SUMO, almeno fino all’inizio della Reggenza FUJIWARA (seconda metà del secolo IX), hanno carattere prettamente religioso e apotropaico, per avere raccolti abbondanti: fanno parte dei riti shintoi-sti, servono ad ingraziarsi i KAMI e si svolgono du-rante tornei. I tornei, ogni anno, richiamano SU-MOTORI da tutte le Province del Giappone e l’Im-peratore vi assiste [si veda SECHI-E-ZUMO]. Con la progressiva assimilazione di questa forma origina-le all’Arte militare (iniziata nell’868 e concretiz-zatasi nel secolo XII, con la creazione dello JO-RAN-ZUMO, antenato dello JU-JUTSU), in parallelo si sviluppa uno stile unicamente religioso, lo SHINJI-SUMO. La versione attuale del SUMO risale al secolo XVII, dalla fusione dello stile “marziale” (JORAN-ZUMO) con quello “sacro” (SHINJI-SUMO). Il SUMO rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Mar-ziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze ri-tuali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. Il SUMO incontra una prima, grande, diffusione nel Periodo EDO (1603-1867): con il Paese “pacificato”, incontri e tornei di lotta acquisiscono quegli aspetti cerimoniali e marziali che ancora oggi conservano, così come anche oggi il SUMO è un popolarissimo sport na-zionale. L’incontro, il combattimento (TORI-KUMI) è preceduto dalla “presentazione” (DOHYO-IRI), dalle cerimonie “propiziatoria” (DOHYO-MATSURI) e “iniziale” (SHIKIRI) e seguito dalla “danza con l’arco” (YUMITORI-SHIKI). Il TORI-KUMI si svolge nel DOHYO e, in teoria, ha regole molto semplici:

vince – accumulando punti – il lottatore che spinge l’avversario fuori del “cerchio sacro” o gli fa toc-care terra con una qualsiasi parte del corpo, piedi esclusi, ovviamente. È consentito l’uso delle sole 48 prese autorizzate (KIMARITE) – anche alla cin-tura (MAWASHI), ma non al perizoma (MAE TATE MITSU) – e sono vietati pugni, calci, strangolamen-ti. Non esistono categorie di peso, perciò capita che un lottatore affronti un avversario pesante il doppio. Nei tornei vige un rigido rituale, che si ri-chiama alle cerimonie feudali ed ai riti SHINTO. SUMOTORI. – Il praticante di SUMO. Il peso dei lottatori, alimentati in modo particolare, può su-perare i 230 chilogrammi. Nel SUMO non esistono suddivisioni per categorie di peso, ma di espe-rienza e la gerarchia all’interno delle scuole (HE-YA) è rigida e con un’etichetta assai complessa. I lottatori combattono indossando unicamente un perizoma di seta (MAE TATE MITSU) ed una lunga e pesante “cintura” (MAWASHI), da cui pendono nu-merosi cordoncini rigidi di seta (sagari). I capelli sono acconciati all’antica, in modo diverso per le diverse categorie d’appartenenza dei SUMOTORI. L’acconciatura dei lottatori d’alto rango è la O-ICHO-MAGE: i capelli sono raccolti in una crocchia a forma di ventaglio, che ricorda la foglia dell’al-bero ginkgo biloba (icho). Tutti gli altri portano i capelli, intrecciati con striscioline di carta, anno-dati nella CHON-MAGE. SUN. – Misura di lunghezza. Equivale a 10 BU e corrisponde a 303 millimetri. SUNEATE. – “Gambali”, “schinieri”, parastinchi dell’armatura. Prima del 1573, inizio del Periodo MOMOYAMA, le tre piastre verticali – di cuoio o ferro laccato – che costituiscono il SUNEATE, sono allacciate fra loro, senza le cerniere poi introdot-te. Adatti al combattimento a cavallo, presentano spesso un’altra piastra, a protezione del ginocchio e della coscia, che sporge in alto. I SUNEATE si modificano, alleggerendosi, quando il combatti-mento a piedi inizia ad avere maggior rilievo. [si vedano KARA-SHINO-SUNEATE e SHINO-SUNEATE]. SURI ASHI. – “Scivolare sui piedi”. SURIMONO. – Piccola stampa augurale, di vario carattere e soggetto. SUSA-NO-WO. – Così è anche chiamato TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO, “Sua Altezza il Ma-schio Violento”, l’uragano. SUSHI. – Tipico piatto della cucina giapponese: pesce fresco, crudo, tagliato in piccoli pezzetti e servito con vari condimenti. SUTE. – “Abbandono”, “abbandonare”.

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SUTEMI. – Deriva da SUTE, “abbandono” e MI, “corpo” e significa “Lasciare, abbandonare il cor-po”, tanto nel senso di “rischiare la vita” o “sacri-ficarsi” (per vincere), quanto “abbandonare, di-menticare l’ego”. È dal secolo VI, attraverso l’accettazione della concezione (religiosa e filoso-fica) buddista della caducità di tutte le cose, che il BUSHI affronta con animo lieto (KOKORO) il sa-crificio estremo della vita, al servizio del proprio Signore. La morte – quando non inutile, involonta-ria e inattesa – giustifica l’intera vita del guerrie-ro, trascorsa al servizio del Signore o di una cau-sa, e dà origine ad una nuova esistenza, nell’eter-no ciclo della rinascita. Oggi SUTEMI è inteso, so-prattutto, come sacrificio. SUTEMI WAZA. – “Tecnica di sacrificio”, utiliz-zata quale espediente per vincere. Oggi si chia-mano “tecniche di sacrificio” quelle in cui un com-battente, per sviluppare o potenziare la propria

tecnica di proiezione dell’avversario, si getta a terra. SUWARI. – “Seduto” (in ginocchio). “Da seduto” (inginocchiato). SUWARI IKKYO. – “Primo principio di controllo”, praticato in ginocchio. Per il Maestro UESHIBA MORIHEI questa tecnica è importantissima, dato che – come tutte quelle eseguite in SUWARI – non consente alcun rilassamento. SUWARI IKKYO è uno dei più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDŌ, i movimenti e le tecniche principali, rimaste inva-riate, unitamente ad IRIMI, TENKAN e SHI HO NA-GE. SUWARI WAZA. – “Tecniche da seduti”. Tecni-che eseguite con TORI e AITE entrambi seduti (in-ginocchiati). SUWARU. – “Sedersi”. SU-YARI. – Tipo di YARI. La lama è lunga, a se-zione piatta, con facce diritte e parallele.

- T -

TABAKO-IRE. – “Borsa per il tabacco”, di stoffa o pelle, che ogni fumatore di pipa (KISERU) porta con sé. TABI. – “Calzatura”. Parte dell’armatura a prote-zione del piede. Si portano con i sandali (ZORI, ASHINAKA) e sono fatti di maglia di ferro o picco-le piastre (di ferro o cuoio laccato), unite a maglia di ferro. Alcuni esemplari hanno anche una suola.

– Caratteristiche calzature (quasi una sorta di calzettoni), normalmente di cotone: alte fin so-pra la caviglia, hanno l’alluce separato dalle altre dita del piede. Indossati in casa, i TABI sostitui-scono le pantofole e consentono comunque di infi-lare i sandali (ZORI). Ne esistono anche in tessuto pesante, muniti di suola di gomma, utilizzati sul lavoro. TACHI. – “In piedi”; “stare in piedi”. DACHI, come suffisso.

– “Tagliare”. – “Spada”. DACHI, come suffisso. Con questo

termine s’indica un’arma di tradizione antichissi-ma (secolo VIII circa), appartenente alla classe DAI-TO: è sia l’antica spada, sempre ad un solo filo [sciabola, nella classificazione Occidentale], dalla lama molto curva (usata dai guerrieri che combat-tono a cavallo; in genere è portata con l’armatura), sia la più recente spada da cerimonia.

In tempi successivi la curvatura della lama (lunga 60-70 cm) si riduce, ma l’arma è sempre portata appesa alla cintura, con il taglio verso il basso. E-lemento distintivo rispetto alla KATANA – che le subentra come arma da guerra – è la firma del fabbricante, apposta sulla faccia rivolta all’e-sterno del codolo della lama, quindi sul lato oppo-sto rispetta alla KATANA. Con il passare dei secoli, la lama si riduce ulteriormente, a circa 50-60 cm e la TACHI conserva esclusivamente le funzioni di splendida spada per cerimonia, portata a Corte (SHOZOKU-DACHI o SHIN-NO-DACHI, shirizaya-dachi) ed in occasioni particolari. I fornimenti della TACHI, per lo più, sono di forma particolare ed hanno nomi loro propri, diversi da quelli usati per i corrispondenti fornimenti d’altre spade: la cappetta dell’impugnatura, ad esempio, non è KA-SHIRA, ma kabuto-gane; invece dei MENUKI ci sono i tsuka-ai, i “compagni dell’impugnatura” e così via. Pure la TSUBA, spesso, è di tipo particolare (aoi-tsuba o shitogi). Il fodero (SAYA) è normalmente di legno laccato e decorato (con MON, figure, mo-tivi floreali ecc.), talvolta rivestito di metallo. Naturalmente, non ha l’aletta KURIGATA: sulla sua lunga cappetta (ishi-zuke) ci sono due occhielli (i-chi-no-ashi), ognuno dei quali ha un anello (OBITO-RI) cui si fissano i due sostegni (kawasaki, cinghie

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in tessuto o pelle, catenelle) che reggono la spada alla cintura. La TSUKA, in genere, è rivestita con pelle di pesce (SAMÉ), ma il cordoncino intrecciato raramente è presente. Con la TACHI non si portano né KOZUKA né KOGAI né WAKIZASHI: l’arma ausilia-re è il TAN-TO, portato infilato nella cintura (OBI) e con il filo verso l’alto. [si veda anche la voce “la-ma”, nella Terza Parte]. TACHI DORI. – “Presa della spada”. “Tecniche su attacco di spada”. Tecniche per neutralizzare (disarmare) un avversario che attacca con la spa-da. Anche TACHI TORI. TACHI OYOGI. – “Nuoto verticale”. Tecnica di nuoto con armi e armatura: il guerriero, in acqua, si mantiene in verticale, movendo le gambe “a ra-na” e le braccia “a cane”. Fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. TACHI TORI. – “Presa della spada”. “Tecniche su attacco di spada”. Tecniche per neutralizzare (disarmare) un avversario che attacca con la spa-da. Anche TACHI DORI. TACHI WAZA. – “Tecniche in piedi”. Tecniche eseguite con TORI e AITE entrambi in piedi. TACHIKAZE. – “Soffio della spada”. Classe di navi della seconda Guerra mondiale. TACHI-REI. – “Saluto rituale in piedi”. È un “sa-luto secondo le regole” (RITSU-REI). Si esegue dal-la posizione eretta normale (SHIZEN HONTAI), con i piedi ravvicinati e le mani aderenti al corpo, pie-gando testa e busto verso l’oggetto del nostro ri-spetto. L’inclinazione del busto varia secondo il tipo di saluto: da 5 a 15° se è normale, ad esempio quando scambiato tra compagni (prima e dopo un allenamento) o quando si sale e si scende dal TA-TAMI e quando si saluta un SEMPAI o l’Istruttore. Il movimento è più accentuato (30° circa) se è di gentilezza o esprime gratitudine – quando, ad e-sempio, si saluta un Maestro – e diventa profondo (fino a 45°), con le mani che scivolano fino alle gi-nocchia, per esprimere delle scuse od un profondo rispetto – verso un grande Maestro od un perso-naggio importante, per esempio. [si veda REI]. TADAKUNI. – Noto armaiolo, attivo tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700. TAE. – “Piede“. TAGATA-JINJA. – “Santuario di Tagata”. Sorge nei presi di Nagoya. È un tempio della fertilità shintoista. Vi si venera il Principio maschile, sim-

boleggiato dal Grande Fallo Sacro di legno di ci-presso (3 metri di lunghezza, mezzo metro di diametro, dipinto di rosso) e dal minuscolo (20 cm) Fallo Sacro di pietra, custodito in un prezioso forziere cinese. Fino alla metà del 1950 gli stra-nieri non sono ammessi né in visita al santuario né alla processione annuale che porta queste rappre-sentazioni al vicino tempio della fertilità femmini-le di OGATA-JINJA. Nel Giappone antico gli organi genitali sono vene-rati come oggetti sacri, in quanto ospitano il po-tere del Buddha e la saggezza della dea della pie-tà, Kuan Yin, in cui egli si manifesta. Ed è nell’e-spressività degli organi sessuali che si ritrova il credo animistico del Giappone. Si veda anche SHUNGA. TAI. – “Corpo”. Indica l’attitudine alla corretta postura, unita ad un perfetto stato di lucidità e coscienza. Anche MI.

– “Uomo”, “essere umano”. Indica la “mecca-nica” del corpo umano: sistemi osseo, sanguigno, nervoso, muscolare.

– “Grande”. Anche DAI. – Indica la forza, il vigore fisico del DANSHA.

[si veda SHINGITAI]. TAI A KI. – “La Spada Sublime”. È un saggio, in forma di lungo scritto, che TAKUAN SOHO [si ve-da], realizza su richiesta dell’amico YAGYU TAJI-MA-NO-KAMI MUNENORI, raccontando la storia della spada Tai A – di affilatura e levigatezza senza paragoni – gesta annotate e trasmesse da ONO JIROU UEMON TADAAKI, Istruttore dello SHOGUN e della sua Famiglia e Caposcuola dell’IT-TO RYU. L’opera analizza i rapporti con gli altri e contiene indicazioni pratiche, tecniche e dottri-nali, unitamente ad esortazioni e consigli tratti dalla filosofia confuciana. Anche in questo scritto TAKUAN SOHO spiega come la spada debba dare la vita, non la morte e descrive quale sia l’incessante sforzo che occorre compiere per padroneggiare la strategia. TAI SABAKI. – Tecniche di “spostamento del corpo”, comuni a tutte le Arti Marziali. Permetto-no di avanzare, indietreggiare, ruotare, schivare, preparare una tecnica di difesa o d’attacco. Nel momento in cui un avversario attacca, possiamo ristabilire una situazione di vantaggio compiendo il giusto TAI SABAKI, sia con uno spostamento sia con il semplice movimento di una parte del corpo. Ristabilire la situazione non significa solo mante-nere l’equilibrio e difendersi, ma anche mettersi in un’opportuna posizione d’attacco [si veda anche

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SABAKI]. In AIKIDŌ il corretto TAI SABAKI richie-de che l’equilibrio di AITE sia sconvolto nel mo-mento stesso dell’azione, per non essere più ri-preso. Concettualmente, TAI SABAKI sono i movi-menti, diretti e circolari, che fanno parte sia de-gli AIKITAISO (esercizi fisici specializzati di ba-se), che si praticano da soli (TANDOKU DOSA), sia dei metodi basilari della Disciplina, insieme ai TE-HODOKI (“liberare le mani”). L’apprendimento dei TAI SABAKI passa attraverso lo studio di: KOSHI SABAKI (spostamento di anche e bacino), ASHI SA-BAKI (spostamento di piedi e gambe), TE SABAKI (posizione di mani e braccia). TAIBOKU. – “Grande albero”. TAIHEN-JUTSU. – “Arte di muoversi in silen-zio, cadere ed utilizzare le SUTEMI WAZA”. È com-presa nel TAI-JUTSU. TAIHO. – (Codice) Insieme di leggi, entrato in vigore nel 702, per codificare la riforma Taika del 645. Il codice cerca di riformare il sistema della proprietà terriera, sul modello cinese: tutte le terre appartengono all’Imperatore, che le di-stribuisce ai sudditi. La distribuzione avviene per nucleo familiare, l’ampiezza è in proporzione al numero dei membri, secondo il sesso e per la ter-ra si pagano tasse in natura: riso, tessuti, corvé, servizio militare a turno (un anno in servizio a NARA, tre anni ai confini). Tutti i maschi, inoltre, dai venti ai cinquantanove anni sono soggetti alla coscrizione obbligatoria in caso di necessità, con spese d’armamento e mantenimento a carico della famiglia. Il fallimento è totale (sia perché incon-tra l’ostilità dei guerrieri di professione, sia per-ché chi già possiede la terra certo non la restitui-sce affinché sia ridistribuita – e la Corte non ha forze sufficienti ad imporsi). Il progetto è ab-bandonato nell’anno 840. TAIHO-JUTSU. – Metodo di difesa e attacco, studiato per le forze di polizia giapponesi. Amal-gama numerose tecniche di AIKIDŌ, JU-JUTSU, JUDO, BO-JUTSU, KARATE e KENDO, ritenute parti-colarmente efficaci per il controllo dell’ordine pubblico ed il fermo di individui sospetti. Risale al secondo dopoguerra ed è soggetto a con-tinue revisioni. Nel TAIHO-JUTSU si ricorre molto al bastone corto (KEI-BO), oggetto di un’appro-priata metodologia d’impiego (KEIBO-SOHO), ed al bastone telescopico (TOKUSHU-KEIBO). TAI-IKU. – “Formazione e sviluppo (IKU) del cor-po (TAI)”. Si veda IKU. TAIJU. – “Peso”. È la manifestazione della forza di gravità: se ben controllato, il TAIJU non solo

mantiene eretto il combattente, ma gli permette di centralizzare l’equilibrio nell’HARA. TAI-JUTSU. – È una forma di combattimento, molto antica, della quale non si conosce quasi nul-la, praticamente. Pare che, ancor prima, si chia-masse KOSHI-NO-MAWARI e molti sostengono che, da questa, siano derivate tutte le Arti Marziali a mani nude, in particolare lo JU-JUTSU. È certo, in-vece, che nel secolo XVI un certo Nagao “risco-pra” il TAI-JUTSU, codificandone le tecniche che, ancora oggi, sono utilizzate. Il TAI-JUTSU odierno – che fa parte del KO-BUDO – comprende: il DO-KEN-JUTSU (“Arte di eseguire gli ATEMI”), lo JU-TAI-JUTSU (“Arte del combattimento a corpo a corpo”), il TAIHEN-JUTSU (“Arte di muoversi in si-lenzio”). TAIKAI. – “Grande Incontro” (o Torneo o Cam-pionato). Il Governo giapponese, ogni anno, invita 46 RYU – tra il migliaio in attività – al TAIKAI del NIPPON BUDOKAN (il vecchio KODOKAN) di Tokyo. Le scuole invitate sono quelle che le autorità giu-dicano appartenere alla “vera” tradizione nipponi-ca in materia d’Arti Marziali. TAIKEI. – Stimato armaiolo della prima metà del 1800. TAIKO. – È la posizione nella quale due combat-tenti si fronteggiano.

– Tamburo a barile, dotato di due pelli legate con cinghie e percosso con due bacchette. È uti-lizzato per accompagnare la danza nel teatro NŌ e fa parte dell’insieme HAYASHI – con gli altri tam-buri KO-TSUZUMI e O-TSUZUMI ed il flauto NOKAN – il cui suono, unitamente al canto degli attori, co-stituisce la musica tipica di tale genere teatrale. TAI-NO-HENKA. – “Cambio di posizione”. Ne esistono quattro tipi, il più comune è un movimen-to di rotazione del corpo (TENKAN), al termine del quale TORI si trova di fianco ad AITE e guarda nel-la sua stessa direzione. Serve, innanzi tutto, ad assorbire e neutralizzare l’energia dinamica di un attacco. TAI-NO-SEN. – Prendere l’iniziativa sull’attac-co dell’avversario. TAIRA. – Clan guerriero. Nel secolo XII, ha il controllo della Corte, ma è poi annientato dai riva-li MINAMOTO. Anche HEIKE. TAISHA RYU. – Scuola di KEN-JUTSU. Fondata da MARUME KURANDO verso il 1610, è ancora atti-va. TAISHI. – “Grande Maestro”. TAISHO. – “Capitano”, di una squadra impegnata in gara o torneo.

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TAISHÔ. – Indica il Periodo storico (Era) dell’E-tà Moderna del Giappone, che va dal 1913 al 1926, regnante l’imperatore Yoshihito, sotto la reggen-za del principe ereditario Hirohito. TAISO. – “Ginnastica”, “preparazione”. TAKAGI RYU. – Scuola di Arti Marziali (soprat-tutto BO-JUTSU). Risale al 1656 ed è tuttora in attività. È famosa una particolare tecnica di dife-sa contro un avversario armato di spada, la “tec-nica dei tre bastoni” (RENSA-SANKAKU), ideata nel secolo XVIII. TAKAGI YOSHIN RYU. – Scuola di JU-JUTSU. TAKA-INU. – “Caccia al cane”. [si veda INU OI-MONO]. TAKATSUKI. – “Tavola di servizio”. Classe di na-vi della Seconda Guerra Mondiale. TAKE. – “Bambù”. È il simbolo di flessibilità: for-za unita a cedevolezza. Anche CHIKU. TAKE GUSOKU. – Armatura per scherma. È messa a punto nel secolo XVIII ed è composta, in origine, da piccoli pezzi di bambù collegati da cin-ghie (HIMO). Comprende piastra per il petto (DO), protezione a grembiule (TARE), bracciali e mano-pole (KOTE) e casco (MEN). Oggi, chiamata DOGU, è usata nel KENDO. TAKE HOKO. – È un’arma in asta del tipo più pri-mitivo: un cappio – poi sostituito da un lungo fer-ro piatto, affilato – su di un bastone di bambù lungo 2-2,5 metri. In genere è usata dalla “gente comune” (KOOTSUNIN). Detta anche TAKE YARI. TAKE YARI. – Arma in asta. Si veda TAKE HOKO. TAKECHI ZUIZAN. – (1829-1865) Maestro di KEN-JUTSU. Dopo aver studiato a EDO, fonda una sua scuola nella natia provincia di Tosa, ma nel 1861 torna a EDO, per organizzare alcuni sosteni-tori dell’imperatore Komei. Rientrato a Tosa, si mette alla guida di un gruppo di SAMURAI fedeli all’Imperatore, formando un piccolo esercito. Ar-restato dalla polizia dello SHOGUN, TAKECHI ZUI-ZAN compie SEPPUKU. TAKEDA. – Celebre Famiglia SAMURAI, discen-dente in linea retta dal Clan MINAMOTO. È Yoshi-kiyo, secondo figlio di MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU, che agli inizi del secolo XII, vivendo a Takeda, nella provincia di Kai, prende questo nome come quello della sua Casata.

– Moderna scuola di AIKIDŌ. TAKEDA HEI-HO. – Nome attribuito, nel secolo XV, alla scuola GENJI-NO-HEI-HO. Da questa scuo-la, a far tempo dal secolo XVII, originano altri RYU, tra cui il DAITO RYU AIKI-JUTSU.

TAKEDA NOBUMITSU. – (1162-1248) SAMURAI. È noto per aver rielaborato le tecniche della GEN-JI-NO-HEI-HO, la tradizione marziale della Fami-glia (che origina dal Clan MINAMOTO). TAKEDA RYU. – Scuola di YABUSAME. Conosciuta anche come HOSAKAWA RYU, è tuttora attiva. Lo YABUSAME è un metodo d’allenamento al tiro con l’arco da cavallo, di tipo sportivo.

– È la denominazione iniziale della scuola di AIKI-JUTSU fondata da TAKEDA SOKAKU MINAMO-TO-NO-MASAYOSHI in AIZU, alla fine del secolo XIX. In seguito la scuola diventa il DAITO RYU AI-KI-JUTSU. TAKEDA SHINGEN. – (1521-1573) Signore di Kai, è il primo DAIMYO in grado di disciplinare i propri ASHIGARU, inculcando nei suoi contadini ar-mati un principio di fedeltà assai simile a quello dei SAMURAI e trasformandoli in una forza com-battente disciplinata e fedele. È anche famoso sia perché il suo nome è associato ad un tipo di TSUBA [si veda SHINGEN TSUBA], sia perché autore di un codice di leggi provinciali, lo Shingen Hatto. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYO-SHI. – (1859-1943) Famoso spadaccino, è repu-tato l’ultimo guerriero dei vecchi tempi, ed ha fama di schermitore invincibile, ma è anche con-siderato persona di scarsa moralità. Nasce in AIZU (oggi Prefettura di Fukushima), ce-lebre per i suoi temuti guerrieri e chiamata “scri-gno del BUGEI”; preferisce una vita errante, quasi da RONIN, piuttosto che subentrare al padre So-kichi, sacerdote shintoista, nella custodia del tempio affidato alla Famiglia. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, nipo-te di TAKEDA TAKUMI-NO-KAMI SOEMON, ha natu-ralmente piena conoscenza delle tecniche segrete (OSHIKI-UCHI) di famiglia – l’AIZU-TODOME, erede diretto del DAITO AIKIJUTSU – ed è allievo di TA-NOMO SAIGO HOSHINA CHIKAMASA, ma frequenta anche le scuole ONO-HA ITTO RYU, HOZO-IN RYU e JIKISHIN KAGE RYU. È anche allievo di Shibuya Toma e, forse, di SAKAKIBARA KENKICHI. Dopo il matrimonio, contratto nel 1912, fonda una scuola d’Arti Marziali, la TAKEDA RYU, dove insegna il suo sistema di combattimento, lo YAMATO RYU. Verso il 1922-23 allo stile viene cambiato il nome in DAITO RYU JU-JUTSU quindi in DAITO RYU AIKI-JUTSU; nella scuola sono insegnati anche JU-JUTSU e KEN-JUTSU. TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI è uno dei Maestri di UESHIBA MORIHEI, che lo frequen-

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ta e lo mantiene per lungo tempo, ottenendone il diploma di Maestro di AIKIJUTSU nel 1916. I due si incontrano nel 1915 a Engaru, nell’isola Hokkaido, presentati dallo scrittore, giornalista, attivista di destra – ed allievo di TAKEDA – Yoshi-da Kotaro (1886-1964). TAKEDA TAKUMI-NO-KAMI SOEMON. – (1758-1853) SAMURAI ed erudito neo-confuciano. Elabora una dottrina dell’armonia dello spirito, basata sui concetti di Yin e Yang, per meglio inse-gnare le Arti Marziali. TAKEDA TOKIMUNE. – Figlio ed erede di TAKE-DA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, cui suben-tra nella conduzione del DAITO RYU AIKI-JUTSU, da lui denominato DAITO RYU AIKI-BUDO. Fonda la Palestra Centrale (HONBU DOJO) della scuola, il DAITOKAN, ad ABASHIRI, città dov’è sepolto il pa-dre, nell’isola Hokkaido. TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO. – “Sua Altezza il Maschio Violento”. È l’uragano, figlio di IZANAGI-NO-MIKOTO. È anche chiamato, più sem-plicemente, SUSA-NO-WO. TAKEMUSU. – “Marziale creativo”: è una delle definizioni date da UESHIBA MORIHEI, negli ultimi anni della sua vita, ad uno dei tanti aspetti dell’AIKIDŌ. TAKEMUSU AIKI. – È la spontanea esecuzione delle tecniche, nel modo appropriato a ciascuna specifica situazione. Per O-SENSEI, il TAKEMUSU AIKI è la vera Arte Marziale, il “cuore” del BUDO giapponese: libero e capace di trasformazioni illi-mitate. «Nel vero Budo – egli sostiene – non ci so-no nemici. Il vero Budo è una funzione dell’amore. Non è per uccidere o combattere, ma per nutrire tutte le cose e portarle al loro scopo. L’amore protegge e nutre la vita. Senza l’amore niente può essere compiuto. L’Aikidō è la manifestazione dell’amore». Take si pronuncia anche BU [si veda] e indica i “valori marziali”, che per UESHIBA MO-RIHEI sono: il coraggio, la saggezza, la compassio-ne e l’amore, che nutrono e proteggono tutte le cose. Musu deriva da musubu, che indica la forza procreatrice dell’esistenza. Uniti, questi due ter-mini esprimono la creatività illimitata dell’AIKIDŌ. TAKENOUCHI CHUNAGON DAIJO HISAMO-RI. – SAMURAI del tardo Periodo MUROMACHI (1392-1573). Conosciuto anche come TOICHIRO, è il fondatore del TAKENOUCHI RYU. TAKENOUCHI RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fon-data da TAKENOUCHI CHUNAGON DAIJO HISAMORI (TOICHIRO) verso il 1532. Insegna a combattere contro i guerrieri in armatura. La forma di lotta è

chiamata KOGUSOKU-JUTSU ed anche TORITE-KOGUSOKU: si usano armi corte (MIJIKAI-MONO) contro avversari che indossano l’armatura leggera (KOGUSOKU). In seguito la scuola, oltre che inse-gnare l’uso della spada (KEN-JUTSU e IAI-JUTSU, con O-DACHI, KO-DACHI, TAN-TO, AIKUCHI e KWAI-KEN), adotta anche altre tecniche e metodi di combattimento: a mani nude (KOSHI-NO-MAWARI e poi JU-JUTSU) e con bastone (BO-JUTSU, con JO e ROKUSHAKU-BO), con ventaglio da guerra (TESSEN-JUTSU) e di legamento dell’avversario con corde (NOJO-JUTSU ed HOJO-JUTSU); di scherma con la NAGINATA (NAGINATA-JUTSU). Il TAKENOUCHI RYU (noto anche come HISAMORI RYU) è ancora attivo e sempre sotto la guida di un rappresentante del-la Famiglia TAKENOUCHI, sebbene la maggior parte degli insegnamenti sia andata perduti: oggi si co-noscono e si praticano “appena” 150 tecniche, ri-spetto alle oltre 630 un tempo insegnate. TAKI-SHUGYO. – “Meditazione sotto una casca-ta”. È una pratica ascetica, assai diffusa un tempo ed ora attuata soprattutto in alcune sette reli-giose ed esoteriche. L’adepto rimane immobile sotto il getto di una cascata (taki), meditando ed eseguendo, spesso, particolari mudra. Il fine ulti-mo dell’esercizio è acquisire virtù particolari, ma-giche. NINJA e YAMABUSHI – unitamente ai segua-ci d’Arti Marziali esoteriche – sono, da sempre, convinti sostenitori di questa pratica. O-SENSEI UESHIBA MORIHEI ha sempre praticato questo ti-po di meditazione. TAKUAN SOHO. – (1573-1645) Nasce in un an-tichissimo villaggio, Izushi, provincia di Tajima, in una Famiglia SAMURAI del Clan Miura. Nonostante l’origine, a 10 anni entra in un mona-stero buddista dell’ordine Jodo, per poi passare, quattordicenne, all’ordine ZEN RINZAI. In questa scuola diventa dapprima Maestro (ROSHI) e poi, ad appena 35 anni, abate del Daitoku-ji, uno dei più importanti templi ZEN di KYOTO. Esiliato per aver sostenuto la separazione (e quindi l’indipendenza) della religione dal potere politico, gli è consentito di tornare grazie ai buoni uffici di YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI, consigliere di TOKUGAWA IE-MITSU, terzo SHOGUN, cui, in seguito, impartisce lezioni sullo ZEN. È anche pittore, poeta, Maestro di KENDO e KEN-JUTSU, CHADO e SHODO; fonda il tempio Todai-ji, a Shinagawa. Si narra che TAKUAN SOHO abbia an-che istruito MIYAMOTO MUSASHI, ma di certo è autore di alcuni saggi, tra i più importanti dei qua-li troviamo FUDOCHI SHINMYO ROKU e TAI A KI – in

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forma epistolare – e REIROSHU. Tutti concentrano l’attenzione dell’individuo sulla conoscenza di se stesso, sul raggiungimento della “consapevolezza di vivere”. Il FUDOCHI SHINMYO ROKU (secondo le traduzioni: “Il Libro Divino sulla Saggezza Imper-turbabile” o “Documento Misterioso della Sag-gezza Immobile”; “Il Segreto Misterioso del non-movimento”, “La Testimonianza Segreta della Saggezza Immutabile”, “Il Miracolo della Saggez-za Immobile)) è indirizzato all'amico YAGYU TA-JIMA-NO-KAMI MUNENORI e tratta non solo delle tecniche di scherma, ma anche di come lo spirito della Spada può unificarsi allo spirito ZEN. Il TAI A KI (“La Spada Sublime”) è dedicato, come gli al-tri saggi, ai SAMURAI, cui dispensa indicazioni pra-tiche, tecniche e dottrinali. Il REIROSHU (“Il Tin-tinnio Cristallino delle Gemme”) è centrato sulla natura dell’essere umano: ciascuno, indipendente-mente dal proprio ruolo, può apprendere la diffe-renza tra individualismo e “bene”; ognuno può ca-pire il “perché” del morire. Si racconta che que-sto incredibile ROSHI – oltre che sviluppare il con-cetto di MUSHIN e propugnare il principio MUTEKA-TSU, “schivare con lo spirito” [si veda] – abbia an-che diffuso due opere d’Arti Marziali che tratta-no di “scienze occulte” (HIDEN), intitolati HONTAI e SEIKO. È soprattutto merito di TAKUAN SOHO se l’Arte della spada – prima espressione di sola tec-nica – e lo ZEN meditativo – già comunque affer-mato, in Giappone, dalla fine del secolo XII – si fondono, per consentire all’uomo di usare la spada non come strumento di morte ma quale mezzo per realizzarsi spiritualmente e giungere all’illumina-zione. TAKUAN SOHO è popolare anche per aver in-trodotto nelle abitudini alimentari l’uso del rava-nello daikon, comunemente detto takuan-zuke. TAMA-NO-IREBURI. – Rilassamento di collo e spalle (respirazione). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TAM-BO. – “Bastone corto”. Il termine indica i bastoni con lunghezza variabile da 69 a 36 cm circa (per la precisione: da 2 SHAKU e 3 SUN – 69,69 cm – ad 1 SHAKU e 1 SUN – 33,33 cm). Anche TANBO e KE-BO. TAM-BO JUTSU. – “Arte di usare il bastone corto”. “Tecniche di scherma con il bastone cor-to”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). TAMESHI-GIRI. – “Prova di taglio”, allenamento di spada. Il TAMESHI-GIRI, nel Periodo TOKUGAWA, consente di saggiare il filo e la tempra di una KA-

TANA, oltre che di mettere alla prova l’abilità tec-nica dello spadaccino. Si utilizzano corpi umani – già cadaveri oppure giustiziando condannati a morte – che devono essere tagliati in modo per-fetto, secondo la tipologia prevista da appositi trattati. Tramontata l’epoca feudale (e venuta anche meno la disponibilità di corpi!), il TAMESHI-GIRI si pratica tagliando canne di bambù verde oppure – ed è sistema più facile e sicuro – fascine di paglia di riso pressata, sorrette da sostegni in-fissi nel terreno. Lo scopo di questo allenamento, oltre che certificare l’abilità dello spadaccino (il taglio deve avvenire con un solo colpo), consiste nel verificare l’efficacia di tecniche di KEN-JUTSU o IAI-JUTSU. Ora il TAMESHI-GIRI non è molto praticato, se non in occasione di pubbliche esibi-zioni. TAMI. – “Gente comune”, popolo. TAMIYA RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e Iai-JUTSU. È fondata, verso il 1590, da Tamiya Heibei Shigemasa, discepolo di HAYASHIZAKI JINSUE SHIGENOBU ed allievo delle sue scuole (SHIN MU-SO HAYASHIZAKI RYU, JINNOSUKE – o MUSO JIKI-DEN – RYU, SHIMMEI MUSO RYU). Il TAMIYA RYU è tuttora attivo. TAN. – Misura di lunghezza per i tessuti. Vale da 25 a 30 SHAKU.

– Misura di superficie. Vale 10 SE ed equivale a circa 10 are. TANAKA GOSHIN-JUTSU. – Recente (1952) forma di JU-JUTSU, concepita da Tanaka Tatsu a Tokyo. I movimenti-base, che non prevedono tec-niche di calcio, sono 150 circa. TANBO. – “Bastone corto”. Si veda TAM-BO. TANCHU. – “Sterno”. Punto della parte superiore dello sterno. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure CHUDAN. TANDEN. – “Ventre”, “addome”. È la traduzione dell’espressione cinese tantien (o tan t’ien, secon-do la trasposizione fonetica utilizzata) “campo di CINABRO”. Per il Buddismo è il centro delle attività psichiche – posto sulla linea mediana dell’addome, della larghezza di un dito, sotto l’ombelico – e s’i-dentifica con l’HARA [si veda]. Il TANDEN (che è anche detto KIKAI, “oceano del KI”, o SEIKA-NO-ITTEN, “punto unico”, ed il cui punto centrale è il SEIKA TANDEN), corrisponde anche al baricentro del corpo umano. È dimostrato che uno sforzo ini-ziato a questo livello si propaga verso le estremi-tà delle membra, da una parte e dall’altra: è da qui, pertanto, che possiamo coordinare ogni azio-ne del nostro corpo. Il TANDEN è il centro motore

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di tutte le nostre attività psicofisiche; pertanto, convogliando e riunendo tutte le nostre energie nell’HARA, siamo in grado di far agire e gestire il nostro KI, per esprimerci al meglio non solo nelle Discipline del BUDO, ma anche nel GEIDO (“la Via delle Arti”) e nel SADO (“la Via della Meditazio-ne”). Per alcune scuole taoiste, il TANDEN è il pun-to esatto in cui risiede la mente. TANDEN-SO-KUATSU. – “Procedimento ven-trale”. Tecnica integrale di rianimazione (SO-KUATSU), che si applica al ventre del soggetto, sdraiato supino (sulla schiena). TANDOKU DOSA. – “Esercizi preparatori di ba-se, individuali”. Considerando che possiamo rite-nere innumerevoli le tecniche dell’AIKIDŌ, moltis-simi possono essere i movimenti preparatori. Un corpo equilibrato si costruisce con il metodo della respirazione (KOKYU HO) e con gli esercizi del cor-po. Una volta "costruito" il corpo, è necessario concentrarsi sui movimenti in avanti, all’indietro ed in rotazione, finché tali movimenti – che sono alla base di tutte le tecniche dell’AIKIDŌ – non hanno “impregnato” il corpo. TANDOKU RENSHU. – “Pratica d’allenamento individuale alle Arti Marziali”. Rientra nel SEIRYO-KU ZEN.YO KOKUMIN TAI-IKU-NO-KATA, principal-mente di JUDO. Consta in 28 movimenti, che ser-vono per allenarsi ad attaccare i punti vitali (KYU-SHO) dell’avversario. TANEDA RYU. – Scuola di scherma con la lancia (YARI-JUTSU). Fondata da Taneda Jubei nel 1600 circa, risulta ancora in attività. TANI CHOJIRO. – Ideatore (1948) di uno stile di KARATE, molto coreografico, quasi “danzante”: lo SHUKOKAI. I movimenti di questo stile, che pun-tano comunque alla massima efficacia, hanno alla base un accurato studio scientifico, ma gli incon-tri, assai scenografici, assomigliano più a rappre-sentazioni del teatro giapponese (KABUKI e NŌ.) che a combattimenti veri e propri. TANINZU. – “Più persone”. TANINZU DORI. – “Più persone prendono”. Neutralizzazioni d’attacchi simultanei di più AITE. TANINZU WAZA. – “Tecniche contro più perso-ne”. TANINZU-GAKE. – Più AITE attaccano TORI. TANJOBI. – Primo compleanno di un nuovo nato. È occasione di festa per tutti ed ai bimbi sono donati i loro primi giocattoli. Alla nascita, per i Giapponesi, il bambino ha già vissuto un anno (la gestazione) e, all’inizio dell’anno successivo a quel-lo di nascita, al bambino è attribuito un altro an-

no. Per assurdo, chi nasce l’ultimo giorno dell’anno, dal giorno dopo ha l’età di due anni! TANKEN. – “Pugnale”. Sinonimo di TANTO. TANKEN DORI. – “Presa del pugnale”. TANKO. – “Lago d’acqua dolce”. Armatura proto-storica, usata nel Periodo KOFUN (IV - VII seco-lo). L’elmo della TANKO è arrotondato ed è forma-to da lamine orizzontali di ferro, unite con strin-ghe di cuoio o ribattini. La gronda è laminata, con piastre legate; il cimiero è un pennacchio di piu-me. Una sorta di visiera a forma di becco munisce l’elmo e lo spigolo frontale di cui è fornito, accen-tuato dal becco, è detto SHOKAKUFU-NO-HACHI (“coppo ad ariete”). La corazza è sagomata da un’intelaiatura alla quale, con stringhe o rivetti, sono unite piastre orizzontali, a formare una spe-cie di tunica aderente al corpo. Un’apertura cen-trale, davanti, consente di divaricare la corazza, per indossarla; i lembi, che possono anche essere incernierati, si chiudono con lacci di cuoio, mentre altri lacci, di cotone, la fissano sulle spalle. Parte alta del petto e gola sono protette da una goletta (uwa-manchira) in due pezzi, con spallacci di lami-na di ferro incurvata. Bracciali tubolari (KOTE) co-prono gli avambracci e il dorso della mano è pro-tetto piccole lamelle unite da stringhe. Non sono previste protezioni per le gambe e la TANKO si completa con una gonna di strette lamine incurva-te – allacciate all’interno, come la gronda e gli spallacci – riunite in due parti, anteriore e poste-riore. TANOMO SAIGO HOSHINA CHIKAMASA. – (1829-1905) Funzionario del Clan AIZU e sacerdo-te SHINTO, è il più celebre tra i Maestri di OSHI-KI-UCHI. Tra i suoi allievi figura TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI. TANREN. – “Allenamento continuo”; “allenamento dell’energia contro la forza”. È la pratica continua nella Disciplina. Solo così, attraverso la conoscen-za ed il progresso fisico, spirituale, psichico e morale, ci si riesce ad educare al mutuo rispetto e si può raggiungere la totale coordinazione fra mente e corpo, senza che intervenga il pensiero cosciente (HISHIRYO). Tra i primi a teorizzare la necessità di un allenamento continuo, per giunge-re alla perfezione dei movimenti ed al completo autocontrollo, è MIYAMOTO MUSASHI. TANTO. – “Coltello”, “pugnale”. Si usa indiffe-rentemente con TAN-TO. TAN-TO. – Classe di spade (sciabole) con lama ad un solo tagliente, sia leggermente ricurva sia, talvolta, dritta; di lunghezza inferiore ad 1 “pie-

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de” (1 SHAKU, 303 mm), sono dotate quasi sempre di piccolo elso a disco (TSUBA) [si veda TO]. Il TAN-TO è l’arma ausiliare della TACHI, quando si indossa l’armatura. Lama e fornimenti sono simili, nello stile e nella fattura, a quelli di KATANA e WAKIZASHI; la TSUKA, rivestita di SAMÉ, ha KASHI-RA e MENUKI e la SAYA è di legno laccato ed è mu-nita di tutti gli accessori. Il TAN-TO, spesso dota-to di KOZUKA e KOGAI, si porta infilato nell’OBI, cui è assicurato mediante un cordoncino attaccato al-la TSUBA o infilato nel KURIGATA. Oggi, il termine TAN-TO è genericamente sinonimo di “pugnale”, oppure si riferisce ad un tipo ben i-dentificabile di lama: larga, con tipica punta squa-drata, di elevata qualità e prodotta in numerosi Paesi, non solo in Giappone. In effetti, essendo la lama leggermente curva, a taglio singolo, lunga da 25 a 30 cm, nella classifi-cazione occidentale si dovrebbe parlare, più cor-rettamente di “coltello”. Con un’impugnatura di 10 cm ed una lama di venti, questa è un’arma tra le più maneggevoli esistenti. [si veda anche la voce “lama”, nella Terza Parte]. TANTO DORI. – “Tecniche su attacco con pu-gnale”. Neutralizzazioni d’attacchi eseguiti con il pugnale. Anche tanto tori. TANTO TORI. – Si veda TANTO DORI. TANTO-JUTSU. – “Arte di combattimento con il TAN-TO”. Il TANTO-JUTSU, che non è praticato come sport, rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze ri-tuali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. TAOSU. – “Atterrare”. Da TAOSU viene taoshi di HIKI TAOSHI e OSHI TAOSHI. TARE. – Protezioni a grembiule per il ventre. Si utilizzano con l’equipaggiamento protettivo dei KENDOKA (DOGU), che deriva dall’armatura TAKE GUSOKU. TARE-OBI. – Protezioni aggiuntive per il basso ventre. Si utilizzano con l’equipaggiamento pro-tettivo dei KENDOKA (DOGU), che deriva dall’arma-tura TAKE GUSOKU. TATAMI. – “Stuoia”. Tradizionalmente è di paglia pressata, ricoperta con una stuoia – sempre di pa-glia di riso – intrecciata e con i bordi di tessuto cucito. Alta da 6 ad 8 cm, la stuoia misura circa 90 x 180 cm (94 x 188, per la precisione) e dal secolo XVII è usata per coprire i pavimenti di pa-

lazzi e case nobiliari, mentre, prima di tale epoca, gli assiti sono nudi e per sedere s’usano cuscini di paglia intrecciata (ZABUTON). Alla fine del secolo XIX risale l’uso generalizzato di queste stuoie – comunque già ampiamente utilizzate per ammor-tizzare, negli allenamenti, le cadute dei praticanti d’Arti Marziali – per coprire il pavimento delle stanze in tutte le case giapponesi. In Giappone il TATAMI è ancora unità di misura per la superficie di un vano abitativo: due stuoie affiancate danno origine ad un quadrato con lato di 188 cm, la cui superficie – che è valida a definire le dimensioni di case e giardini – equivale a più di uno TSUBO (vale a dire 1 KEN quadrato, circa 3,35 metri qua-dri). Sui TATAMI, normalmente, si cammina a piedi nudi oppure indossando calze o TABI; questo sia per non rovinarli o sporcarli, sia in ossequio all’e-tica giapponese, al suo grande rispetto reciproco ed alla costante preoccupazione per la purezza fi-sica (e spirituale). Oggi il termine TATAMI indica anche la “materassina” di materiale sintetico, spesso rivestita di tela, utilizzata per ricoprire il pavimento delle palestre dove si praticano Arti Marziali. TATAMI-DO. – Armatura di tipo DO-MARU. È formata da numerose grandi piastre in cuoio lac-cato, unite da maglie di ferro, con petto e schiena in due parti. Le placche che coprono i fianchi sono sovrapposte e incernierate. È usata in occasione di lunghi viaggi potendo essere piegata a pacchet-to. TATAMI-GUSOKU. – Armatura di tipo GUSOKU [si veda]. TATE. – “PALVESE”. È utilizzato, nei secoli dal XI al XIX, per formare barriere difensive, non solo a terra, ma anche sulle mura dei castelli e sulle mu-rate delle navi. Il TATE, che è trasportato a spalla dai soldati, normalmente è in un sol pezzo (ma e-sistono anche esemplari piegabili al centro), di le-gno dipinto a strisce nere e, talvolta, con il MON del Clan; per il sostegno ha un puntello, incernie-rato posteriormente.

– “Tenersi diritto”, “stare in verticale (in piedi)”. Anche TATSU. TATE-GYOJI. – “Giudice-arbitro” nelle gare e tornei di SUMO. È il “Capo degli Arbitri” ed anche il celebrante della DOHYO-MATSURI (“cerimonia propiziatoria”), la funzione shintoista che prece-de i combattimenti. Inoltre, dà inizio ai combat-timenti ed arbitra gli incontri più importanti. TATE-HIZA. – Posizione assunta durante la le-zione, se l’Istruttore interrompe l’allenamento

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per ulteriori spiegazioni. Si mette a terra un gi-nocchio e, seduti sul tallone, l’altra gamba è in a-vanti, piede al suolo, ginocchio sollevato e piegato; gamba e coscia formano un angolo di 90° (oppure ci si siede in SEIZA). In questa postura deve at-tendere l’allievo che l’Istruttore invita ad esegui-re un esercizio o una tecnica con lui: accorre, sa-luta, attende (anche con solo un ginocchio a ter-ra).

– Posizione difensiva assunta nel KENDO. TATSU-JIN. – “Uomo che non cade”, “uomo ver-ticale”. È il titolo che merita un esperto di spada (KENDO o KEN-JUTSU che sia). TATSUMI RYU. – Scuola di Arti Marziali. Fon-data da Tatsumi Sankyo verso il 1550, è tuttora attiva. Materie d’insegnamento sono: uso della spada (KEN-JUTSU, IAI-JUTSU), lunga e corta (O-DACHI, KO-DACHI, FUKURO SHINAI), singola o doppia (NITO); SO-JUTSU e BO-JUTSU, con bastone lungo (ROKUSHAKU-BO) e medio (HAN-BO). Inoltre: YA-WARA, SHURIKEN-JUTSU, HOJO-JUTSU e KYU-JUTSU. TAWARA. – “Balla di paglia” (di riso). TAYU. – Cortigiana, prostituta d’altissimo livello che – al pari della misera TEPPO – abita i quartieri del piacere, gli SHIMABARA, “dove le lanterne non si spengono mai”, le “città della notte” come YO-SHIWARA, al tempo del “Mondo Fluttuante” (UKI-YO). La TAYU è molto costosa: per un’ora del suo tempo chiede 10 RYO (qualcosa come 6.000 euro di oggi), ma sembra ne valga la pena! È colta, esperta di CHADO, IKEBANA e SHODO quale una GEISHA, ma in più è anche una maestra dell’arte amatoria. I-noltre, deve pur mantenere le venti persone del seguito, da cui è sempre accompagnata agli incon-tri! Procurarsi un appuntamento con una TAYU ri-chiede talvolta fino a tre mesi d’attesa ed i primi incontri sono platonici (il primo sempre, assoluta-mente): si conversa e si compongono poesie, si be-ve il tè. Ottenere le grazie di una TAYU costa una fortuna. TAYU-JIAI. – Così è chiamata una gara tra pra-ticanti di stili o RYU differenti. TE. – “Mano”. Pure SHU. TE DORI. – “Presa di mani (o di braccia o di pol-si)”. TE SABAKI. – Studio della posizione di mani e braccia. Fa parte dei TAI SABAKI. TE WAZA. – “Tecniche di mano”. “Tecniche ese-guite con le mani”. TEGAKE. – “Manopole artigliate”; sono usate dai NINJA per scalare, arrampicare ed anche come

armi, in caso d’emergenza. Da TE, “mano” e GAKE, “uncino”. Anche SHUKO. [si veda]. TE-GATANA. – “Taglio della mano”. “Mano a spada”. È il bordo inferiore della mano, dal lato del mignolo al gomito (solitamente fino al polso): con questo si assesta l’ATEMI o s’immobilizza o si proietta (NAGE). Quando il KI fluisce attraverso le braccia, le dita, le mani diventano “un’arma senz’arma”. Anche SHUTO. TEHEN. – Apertura, spesso a forma di crisante-mo, posta alla sommità dell’elmo. L’elmo può esse-re un HOSHI-KABUTO, un SUJI-KABUTO, un GOMAI-KABUTO. Circondata da una cornice d’ottone (HA-CHI-MANZA), vi passa attraverso il codino del SA-MURAI, quando è di moda. Pare non serva all’aerazione, ma una mistica interpretazione lo vuole come una “porta” verso l’universo. Negli elmi moderni, in ogni caso, il TEHEN è chiuso dalla fo-dera interna e resta solo quale elemento estetico tradizionale, non pratico. TE-HODOKI. – “Liberare le mani”. Metodi basi-lari dell’AIKIDŌ, unitamente agli “spostamenti del corpo”, TAI SABAKI. Sono movimenti difensivi che hanno lo scopo di liberarsi dalla presa di un avver-sario. Serie di prese a diverse parti del corpo. Comprendono 7 prese alle mani (o polsi o braccia: TE DORI), 5 alle maniche (SODE DORI), 9 al collo (E-RI DORI), 2 ai capelli (KAMI DORI), 4 alla cintura (KUMI TSUKI). Ad ognuna di queste prese si con-trappongono numerose tecniche, sia di controllo sia di proiezione. TEISHIN RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e JU-JUTSU, fondata da TERAMA HEIZAEMON. La scuola è fortemente influenzata dalle tecniche e dalla filosofia del KITO RYU; pare sia ancora attiva. TEISHO. – “Base del palmo” della mano. TEISHO UCHI. – ATEMI sferrato con la base del palmo della mano; generalmente è diretto al viso dell’avversario. TEISOKU. – “Pianta del piede”. Pure ASHI-URA. TEKI. – “Nemico”. Ruolo assunto – negli allena-menti a coppie della scuola KATORI SHINTO RYU – dal più esperto dei praticanti. TEKKO. – “Ferro”, “acciaio”. Con questo termine si indica la struttura in ferro della manopola che protegge dorso della mano e dita. TE-KUATSU. – “Pressione dorsale manuale”; semplice manovra di decontrazione. È una tecnica di rianimazione che fa parte della serie di KUATSU ad azione elettiva: KUATSU con percussioni rifles-sogene (TSUKI-KUATSU). TEKUBI. – “Polso”. Pure KOTE.

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TEKUBI JOHO KOSA UNDO. – “Guida in alto dell’energia nei polsi”. Le mani sono unite davanti agli occhi. Fa parte degli esercizi fisici specializ-zati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TEKUBI KOSA. – “Polsi incrociati”. TEKUBI KOSA UNDO. – “Guida dell’energia nei polsi, da fermo” (mani unite davanti al TANDEN). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKI-TAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TEKUBI OSAE. – “Immobilizzazioni al polso”. Quarta tecnica di controllo con immobilizzazione (KATAME WAZA); è eseguita sulla parte alta del polso. I TEKUBI OSAE, normalmente, si utilizzano contro attacchi SHO MEN UCHI e prese MUNE DORI. [si veda YONKYO]. TEKUBI SHINDO UNDO. – “Scuotimento dei polsi”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da so-li (TANDOKU DOSA). TEKUBI UNDO. “Esercizi di mobilizzazione e flessibilità dei polsi”. Fanno parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TEKUBI WAZA. – “Tecniche di polso”. Chiavi ar-ticolari applicate al polso: KOTE HINERI e KOTE GA-ESHI. Rientrano nelle KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”). TEMBIN NAGE. – “Proiezione con braccio ad an-golo”. Tecniche di difesa utilizzate soprattutto contro fendenti o prese ali polsi (o mani o brac-cia). TEMOTO. – Parte rigida di uno SHINAI (nel KEN-DO) o della lama di una spada. TEMOTO indica an-che l’atto di “impugnare con energia”, “stringere in mano” l’impugnatura (TSUKA) di una spada. TEMPYO. – Con questo termine, talvolta, s’indica la parte finale del Periodo NARA e l’inizio del suc-cessivo HEIAN, tra il 710 e l’800 circa. TEN. – “Cielo”. Anche SHIN. TEN CHI. – “Cielo e terra”; “su e giù”. TEN CHI NAGE. – “Proiezione cielo – terra”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA); la caduta di AITE è indietro. Fa parte delle “tecniche di proiezione” (NAGE WAZA), ed è applicata, soli-tamente, contro prese a polsi, gomiti o braccia e contro fendenti al capo. TEN SHIN NAGE. – “Proiezione netta”. [si veda TEN CHI NAGE]. TENDAI. – Setta esoterica buddista, fondata da Dengyo Daishi. Base della sua dottrina è la con-

vinzione dell’identità dell’anima individuale con quella del Buddha. Anche gli adepti di questa set-ta ricorrono, per purificare e portare a perfezio-ne parola, gesto e pensiero, a mantra e IN (mu-dra). TENDO. – “Bregma”, “fontanella anteriore”. Su-tura ossea tra i parietali ed il frontale. Punto del bregma. KYUSHO, “punto vitale” (o “debole”) per gli ATEMI. TENDO RYU. – Scuola d’Arti Marziali, fondata da Saito Hangan Denkibo Katsuhide il 21 novem-bre 1582. È ancora in attività. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATO-RI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. Diverse sono le materie d’insegnamento: dall'uso della spada (KEN-JUTSU, IAI-JUTSU), lunga e corta (O-DACHI, FUKURO SHINAI, KO-DACHI), singola o doppia (NITO) allo JO-JUTSU al KUSARIGAMA-JUTSU. TENGU. – Popolari esseri mitologici dell’antico Giappone: abitano e proteggono le montagne ed i luoghi inaccessibili e sono grandi Maestri d’Arti Marziali. Alcuni di loro sono dotati d’ali (KO-TENGU, “piccoli Tengu”) ed altri hanno forma di corvo (KARASU-TENGU); spesso hanno un lungo naso (KONSHA-TENGU). SOJOBO, il loro sovrano, come emblema ha un ventaglio con sette piume. Per la leggenda sono stati loro i maestri di personaggi famosi, come Izumo-no-Kanja Yoshiteru e MINA-MOTO-NO-YOSHITSUNE. Nella realtà, è probabile che alla base delle leggende sui TENGU ci siano gli YAMABUSHI, eremiti delle montagne. TENGU GEI-JUTSU-RON. – “Trattato sulle Arti Marziali dei Tengu”. Celebre opera sulle Arti Marziali, chiaramente influenzata dalla filosofia ZEN e da quella neoconfuciana. L’autore è ITSU-SAI CHOZANSHI. TENJIN SHIN’YO RYU. – Stile di JU-JUTSU. Lo codifica – verso il 1830, ad OSAKA – ISO MATAE-MON MINAMOTO-NO-MASATARI, fondendo tecni-che dello YOSHIN RYU e dello SHIN-NO-SHINDO RYU. Lo stile annovera oltre 120 tecniche di soli ATEMI, ma è celebre anche per l’efficacia degli strango-lamenti (SHIME) e delle immobilizzazioni (OSAE) insegnate. Questo stile è una delle fonti tecniche del moderno JUDO e, probabilmente, un qualche influsso sull’AIKIDŌ, dato che UESHIBA MORIHEI lo studia per qualche mese a Tokyo, nel 1900 circa. TENKAN. – “Rotazione”. “Circolare”. “Opposto”; “di schiena”.

– “Girare”. Spostamento base (TAI SABAKI) dell’AIKIDŌ. È la rotazione sul piede avanzato, di

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guardia, o su quello arretrato (USHIRO TENKAN). Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAI-SO), quelli di base, che si praticano da soli (TAN-DOKU DOSA). È il cambio di posizione con movimen-to circolare della gamba posteriore (o anteriore). È il metodo per ruotare esternamente alla linea d’attacco di AITE, guidando il suo KI in una nuova direzione. Tecnica applicata su perno di rotazione, in forma negativa (Yin, URA). Allorquando eseguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specia-lizzati che si praticano in coppia, senza caduta. TENKAN – unitamente ad IRIMI, SHI HO NAGE e SUWARI IKKYO – è uno dei più importanti “fattori esterni” dell’AIKIDŌ, i movimenti e le tecniche principali rimaste invariate. [si veda anche “ Considerazioni sul KI”]. TENKAN HO. – “Gruppo di movimenti circolari”. Fanno parte degli esercizi fisici specializzati (AI-KITAISO), quelli di base, praticati in coppia, senza caduta (SOTAI DOSA). TENNO. – “Re del Cielo”, “re celeste”. È il titolo che spetta all’Imperatore. Con lo stesso termine, per estensione, s’indica la Nazione e/o lo Stato giapponese, il Trono imperiale, la Casa regnante. Dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, il 1° gennaio 1946 l’Imperatore rinuncia formal-mente e pubblicamente alla propria origine divina; tale “umanizzazione” è anche recepita nella nuova Costituzione, di stampo occidentale, approvata nel 1946 (il testo originale è redatto dal Governatore Militare, generale Mac Arthur, novello SHOGUN). Nella coscienza del popolo, comunque, l’Impera-tore continua ad essere il discendente della dea del sole, AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI e l’erede di JINMU, il “divino Imperatore Guerriero”. Anche i riti shintoisti sottolineano tale ascendenza divina, tanto che il complesso rituale destinato alla futu-ra sposa dell’Imperatore prevede una particolare cerimonia, affinché lei sia pronta ad unirsi con la divinità: nuda ed immobile davanti ad uno specchio posto sull’altare, è “purificata” dal KANNUSHI, che le passa sul corpo una scopa simbolica, costituita da un manico di legno da cui pendono strisce di carta bianca. L’Imperatore, in effetti, oggi come già ai tempi dello shogunato, più che il “Re celeste” è pratica-mente il prigioniero di una burocrazia opprimente e di stretti obblighi cerimoniali. Vive, come ospi-te, in un palazzo che appartiene allo Stato, come tutte le ex-proprietà della Casa imperiale, ed è il bilancio statale a coprire le sue spese, controllate

da funzionari dipendenti dal Primo Ministro. Non è mai solo, come, del resto, tutti i componenti della Famiglia imperiale: sono i consiglieri che or-ganizzano le giornate, gli impegni, le visite, i dove-ri di tutti i membri. TENNO HEIKA BANZAI! – “Lunga vita all’Im-peratore!”. È il grido di battaglia e di esultanza delle truppe giapponesi, nella Seconda Guerra Mondiale, abbreviato in BANZAI. Secondo la vulga-ta, è quanto urlano anche i KAMIKAZE, lanciandosi contro le navi nemiche. Molto più prosaicamente, invece, sembra che gridino KASAN’, “mamma” (pa-rola di quanti sono sopravvissuti, perché hanno abortito la missione). TENRI-KYO. – Religione fondata il 26 ottobre 1832. In quella data, a Tenri, Nakayama Miki rive-la la volontà del “dio genitore”, creatore del mon-do: l’unica via di salvezza è l’impegno nel Servizio. Unica religione fondata da una donna, il TENRI-KYO conta attualmente quasi 2,4 milioni di fedeli, sparsi tra Giappone, Corea del Sud, Hawaii, Brasi-le. TENSHIN SHO. – “Ispirazione (o “Volere”) Divi-no”. È quella che, per la tradizione classica, ispira la nascita di un RYU [si veda] e lo sviluppo delle sue tecniche. TENSHIN SHODEN KATORI SHINTO RYU. – “La Divina Tradizione Marziale del Santuario Shinto di Katori” od anche “La scuola di Katori Shinto ispirata dal Cielo”. È il nome originario e completo della più antica scuola di KEN-JUTSU tut-tora attiva. La fonda, tra il 1447 ed il 1450, IIZA-SA CHOISAI IENAO e la prima sede è nel tempio SHINTO di Katori-jjingu, nella provincia di Chiba. Le tecniche di scherma con la spada, principale materia d’insegnamento, sono integrate con i principi del Buddismo ZEN. Nei KATA della scuola sono utilizzati gli IN (“mudra”, in sanscrito: gesti mistici delle mani) e gli allievi, spesso, eseguono il KUJI-NO-IN, (”Iscrizione delle Nove Lettere”). Due, tra le molte caratteristiche, sono peculiari di questa scuola: la tradizione del KEPPAN (il “giu-ramento di sangue”) tuttora praticato, ed i ruoli “nemico”/”vincitore”, TEKI/SHI, nel lavoro di cop-pia. Nei KATA della scuola, sempre, il progresso tecnico di un allievo è affidato ad un compagno più esperto, che impersona il ruolo del “nemico”, TEKI. L’allievo meno esperto, SHI (il “vincitore”), ha il ruolo di chi conclude il KATA sconfiggendo l’avversario; in questo modo, oltre che migliorare la destrezza ed affinare l’abilità, SHI non abbatte il proprio spirito subendo sconfitte. Nel RYU, ol-

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tre che della spada (KEN-JUTSU, IAI-JUTSU) – sia lunga (O-DACHI) sia corta (KO-DACHI) – s’insegna l’uso d’altre armi: NAGINATA e YARI, SHURIKEN e BO. Sono inoltre insegnati NINJUTSU, JU-JUTSU e CHIKUJO-JUTSU. Da questa scuola derivano nume-rosi altri RYU, tra cui: ARIMA SHINTO, HONMA SHINTO, HOZO-IN, IPPA, JIGEN, KASHIMA SHINTO, MIJIN, SHINDEN MUNEN, SHINDO MUSO, TENDO e TENSHIN-SHO. Oggi la scuola è conosciuta come KATORI SHINTO RYU. TENSHIN-SHO RYU. – Scuola di KEN-JUTSU, fondata da Icchu Kagehisa. La tradizione vuole che questo RYU derivi dal TENSHIN SHODEN KATO-RI SHINTO RYU di IIZASA CHOISAI IENAO. TENSHU. – “Mastio”. È la struttura più interna del castello (DOSHINEN). TENTO. – “Fontanella posteriore”. Punto della sommità del cranio. KYUSHO, “punto vitale” o “de-bole” per gli ATEMI. TENTO RYU. – Antica scuola di NAGINATA-JUTSU, frequentata soprattutto dalle donne delle Famiglie militari. È attiva ancora oggi e vi si pra-tica il NAGINATA-DO. TENUGUI. – “Salvietta” di cotone. È bianca, leg-gera, stretta, lunga e d’uso comune. È spesso pre-sente sul KEIKOGI dei BUDOKA, infilata nella cintu-ra: serve per detergere il sudore e, nel caso, co-me fasciatura d’emergenza. La TENUGUI, quando ha dimensioni maggiori e s’indossa sulla testa, an-nodata attorno alla fronte, prende il nome di HA-CHIMAKI. TEPPO. – Termine indicante le “armi da fuoco” in genere, introdotte in Giappone dai mercanti Por-toghesi nel 1543. L’utilizzo d’armi da fuoco porta-tili appare in contrasto con il BUSHIDO e pertanto esse non hanno vasta popolarità nell’esercizio “nobile” della guerra, mentre presto diventano l’arma principale dei fanti, i guerrieri appiedati di basso rango (ASHIGARU, ZUSA). Nobili e BUSHI, fi-no ai tempi moderni, limitano l’utilizzo delle armi da fuoco allo sport ed alla caccia. La prima occa-sione d’uso massiccio di TEPPO è lo scontro tra gli eserciti di ODA NOBUNAGA ed il Clan TAKEDA nel 1575, a Nagashino. Fino alla metà del secolo XIX è utilizzata la piastra a miccia (seppure meccani-camente perfezionata), montata su armi in tutto simili agli archibugi e moschetti europei; poi si passa direttamente ai sistemi a percussione. I fucili hanno cassa molto corta e calcio abbassato – l’ideale per far fuoco dal fianco – oppure sono del tipo pesante (fino a 25 kg, con calibro di circa 30 mm), con cassa lunga fino alla volata, usati in

postazione; le pistole sono, in pratica, fucili di ri-dotte dimensioni. Le canne – generalmente di tipo pesante, ad anima liscia e sezione tonda od otta-gonale – sono capolavori di metallurgia; i fusti, re-alizzati in legno duro, sono spesso decorati con fasce d’ottone inciso ed intarsi. Cannoni e mortai, di bronzo, pur d’ottima qualità, sono piccoli – nor-malmente 1 metro di lunghezza – hanno calibro ri-dotto e sono utilizzati soprattutto contro fortifi-cazioni. I centri principali di produzione di TEPPO sono: KYOTO, Tanegashima, SATSUMA, Amakusa, Sakai (OSAKA), Higo e Hizen.

– Termine gergale, spregiativo, per indicare le prostitute di basso rango, di solito malmesse, puzzolenti – ma almeno a “buon mercato”! – che popolano le “città senza notte”, gli SHIMABARA, i quartieri del piacere come YOSHIWARA, al tempo del “Mondo Fluttuante” (UKIYO). TEPPO YUMI. – Leggera “balestra” destinata a sport e gioco. L’arco è in corno o stecca di balena lungo circa 70 cm, il fusto di legno, a forma di fu-cile, poco più lungo di 60 cm. TERADA KAN.EMON. – SAMURAI di basso rango. Seguace della scuola KITO RYU di JU-JUTSU, svi-luppa una forma di combattimento non mortale e senz’armi, chiamandola JUDO. In seguito fonda lo JIKISHIN RYU, scuola di JU-JUTSU dove non sono usate armi. TERAMA HEIZAEMON. – Fonda, ispirandosi al KITO RYU, la scuola d’Arti Marziali TEISHIN RYU. TERAO KATSUNOBU. – È uno dei pochissimi (si dice siano solo tre) discepoli di MIYAMOTO MUSA-SHI e lo aiuta a scrivere il GORIN-NO-SHO (“Il Li-bro dei Cinque Anelli”) quando questi, verso il 1643, si ritira in una grotta per meditare e segui-re una vita contemplativa. TESSEI-NO-YARI. – Lancia da battaglia, tutta di metallo. [si veda YARI]. TESSEN. – “Ventaglio di ferro”. È del tipo piatto e pieghevole, di forma normale, con le bacchette esterne (ma a volte tutte e otto o dieci che lo compongono) d’acciaio pesante. La copertura è di pergamena, decorata con il simbolo del sole su campo di colore diverso (nero, oro, rosso). Lo por-tano i funzionari (SAMURAI) di livello inferiore con l’abbigliamento quotidiano, ma anche i civili, per difesa personale. Anche TETSU-SEN. TESSEN-JUTSU. – “Arte del Ventaglio da guer-ra”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). Sono molte le scuole dove – soprattut-to con lo stimolo dei diversi Clan – s’ideano, col-laudano e migliorano i modi d’uso del TESSEN o del

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GUNSEN, i cui vari stili di combattimento sono si-mili a quelli di scherma con la spada, ma non solo. Il ventaglio, infatti, può assolvere una molteplici-tà di scopi: il BUSHI lo usa per tirare di scherma, per deviare le KAKUSHI o le frecce, per colpire un bersaglio volante e, in ogni caso, per sviluppare la capacità di coordinazione psicofisica. Un episodio, forse inventato, che risale all’epoca di ODA NO-BUNAGA, rende bene l’idea dell’uso che un guerrie-ro ben addestrato può fare del proprio ventaglio. ODA NOBUNAGA convoca Araki Murashige (o è A-RAKI MATAEMON MINAMOTO-NO-HIDETSUNA? Di preciso non si sa), ritenuto responsabile di un complotto. Deposte, come d’obbligo, le armi all’in-gresso, al convocato resta unicamente il TESSEN che egli, al momento dell’inchino rituale sulla so-glia, pone d’istinto (preveggenza? Prudenza?) nella scanalatura dove scorrono i FUSUMA, i pesanti pannelli della porta che divide l’anticamera dalla sala delle udienze. È fragoroso lo schianto dei pannelli, che s’infrangono contro il ventaglio di ferro, come grande è la sorpresa dei gregari di ODA NOBUNAGA: loro intenzione, infatti, è spezza-re il collo di Araki! Questi, ad ogni modo, si com-porta come nulla sia accaduto e la sua determina-zione, il suo autocontrollo gli valgono la rappacifi-cazione con il potente NOBUNAGA e nuovi favori. TETSUBISHI. – Sorta di “chiodi a più punte”, da 3 a 6. Sono usati – soprattutto dai NINJA – per interdire passaggi obbligati o proteggersi da in-seguitori. Sparsi al suolo, almeno una delle punte resta sempre verticale e può ferire il piede, non protetto, di un nemico. TETSUBO-JUTSU. – “Arte dell’uso di una sbar-ra di ferro lunga”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). TETSU-GAI. – Parte del KOTE, a protezione della mano. Arrotondata e laccata, segue la forma del dorso della mano ed è munita di cappi, attraverso i quali passano le dita. TE-TSUI. – “Pugno chiuso a martello”. Pure KEN-TSUI. TETSU-SEN. – “Ventaglio di ferro”. Si veda TES-SEN. TO. – “Spada”. È termine generico. Ha lama leggermente ricurva, ad un solo filo [quindi sciabola, nella classificazione Occidenta-le], anche se esistono versioni a doppio taglio, im-pugnatura (TSUKA) di sezione ovale ed elso (TSU-BA) a disco, di diametro variabile e normalmente inciso, decorato e ornato di simboli. Le spade

giapponesi si possono dividere in tre classi, se-condo la lunghezza della lama misurata al filo: DAI-TO, con lama lunga oltre 606 mm (KATANA,

per esempio); SHO-TO, con lama lunga da 303 a 606 mm (per

esempio WAKIZASHI); TAN-TO, con lama inferiore a 303 mm (vari tipi

di daghe corte, pugnali, coltelli). Nel fodero (SAYA) delle spade DAI-TO spesso sono inseriti KOZUKA e KOGAI. SHO-TO e TAN-TO, spes-so, sono portate insieme al KOZUKA; il KOGAI s’ab-bina anche alle SHO-TO.

– “Dieci” in giapponese puro. In sino-giapponese è JU, per contare le persone (NIN) si dice JUNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa JIPPON.

– “Testa”. Anche MEN, ATAMA, KASHIRA, TSU. – “Cina”, dalla lettura “giapponese” di Tang,

Dinastia regnante dal 618 al 907. – “Lontano”.

TOBI. – “Salto”. TOBIAGERU. – “Saltare”. TOBI-GERI. – “Calcio eseguito saltando”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. TODA-HA BUKO RYU. – Scuola di NAGINATA-JUTSU, fondata verso il 1560 da Toda Seigen ed ancora attiva. Altre Arti Marziali insegnate sono: KEN-JUTSU (utilizzando anche la NAGAMAKI), BO-JUTSU, SO-JUTSU e KUSARIGAMA-JUTSU. TO-DE. – “Mano Cinese” o “Mano di OKINAWA”. È il termine che indica l’insieme delle tecniche di combattimento a mani nude originarie d’OKINAWA. Si vedano anche OKINAWA-TE e OKINAWA. TOGAKU. – Musica eseguita alla Corte imperiale (GAGAKU); proviene da India e Cina. [si veda anche la voce “Giappone. Musica”, nella Terza Parte]. TOGAKURE RYU. – Scuola di NINJUTSU. Pare che la sua fondazione, per opera di DAISUKE NI-SHINA, risalga all’inizio del secolo XII. Sembra che la scuola sia tuttora attiva, nella provincia di Iga; ed è pertanto conosciuta, anche, come IGA RYU. TOGO SHIGEKURA BIZEN-NO-KAMI. – (1563-1643) SAMURAI dell’isola di Kyushu. Nasce nella provincia di SATSUMA e fonda la scuola JI-GEN RYU di KEN-JUTSU. TOHEI KOICHI. – (1920-…) Uno tra i più impor-tanti Maestri di AIKIDŌ, che pratica dall’età di 19 anni, dopo aver raggiunto sia il 5° DAN di JUDO sia una profonda conoscenza dello ZEN.

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UCHI DESHI di O-SENSEI, dopo la seconda Guerra Mondiale si reca spesso all’estero, soprattutto negli USA, per diffondere la conoscenza dell’AI-KIDŌ. È tra i pochissimi cui l’AIKIKAI assegna il 10° DAN – nel 1970, l’anno successivo alla morte del Fonda-tore – per la sua dedizione alla Disciplina (o, come qualcuno sostiene, per distoglierlo dall’idea di porsi alla testa dell’Associazione, di cui è istrut-tore Capo, al posto di UESHIBA KISSHOMARU). Il rifiuto dei suoi metodi d’insegnamento ed i con-trasti con altri Maestri lo spingono a fondare nel 1971 la KI-NO-KENKYUKAI (“Società per la Ricerca del Ki”) e nel 1974, dimessosi dall’AIKIKAI, la SHINSHIN TOITSU AIKIDŌ (“AIKIDŌ con la coordi-nazione mente-corpo”). TOHO-SEN. – “Arte del combattimento a piedi” (a cavallo: KIBA-SEN). TOI. – “Lontano”. Con questo termine si definisce un avversario “fuori portata”. TOICHIRO. – Si veda TAKENOUCHI CHUNAGON DAIJO HISAMORI. TO-JUTSU. – Altro termine per indicare il KEN-JUTSU. TOKAI. – “Mare orientale”. Soprannome di aereo da pattugliamento marittimo della Seconda Guer-ra Mondiale. TOKASA-GAKE. – Esercizio d’allenamento al tiro con l’arco, da cavallo. Bersagli sono dei cappelli (KASA) posati su picche che il guerriero, galoppan-do, deve colpire da lontano (TO, 80-100 metri) con frecce non letali (HIKIME) e far cadere. Quando i bersagli sono posti più vicino, si parla di KASA-GAKE. TOKKO. – Così è chiamato il vajra, l’arma d’origi-ne indiana a forma di saetta simbolica buddista, che molti monaci e sacerdoti portano con sé. Le punte, ad entrambe le estremità, variano in nume-ro da una (TOKKO, dakkosho) a tre (sankosho, san-ko) a cinque (gokosho, goko). Quest’arma – di bronzo o ferro e che talvolta funge da elso, in spade cerimoniali – è usata per bloccare la lama dell’avversario e per spezzarla, ma serve anche per colpire i KYUSHO, secondo le regole della scherma con il ventaglio (TESSEN-JUTSU). TOKKOTAI. – “Corpo speciale d’attacco”. È il nome del primo reparto di KAMIKAZE [si veda], fondato dall’ammiraglio Takejiro Onishi il 25 di-cembre 1944. TOKO-NO-MA. – “Panello decorativo” verticale. Può ospitare una composizione floreale oppure un dipinto; solitamente è l’unico arredo della Sala da

Tè (SUKIYA). Sembra che l’origine del TOKO-NO-MA sia, semplicemente, un’asse di legno incassata nel muro.

– Nella casa giapponese, normalmente sempli-ce, quasi spoglia, è uno spazio ritenuto quasi sa-cro. All’interno si pone qualcosa che per la fami-glia è importante: un’opera d’arte, ma anche, sem-plicemente, dei fiori… In origine, nelle dimore di lusso, indica forse quello spazio riservato al letto del visitatore importante: l’ospite alloggia in una grande stanza ed il suo letto è disposto in una rientranza della parete, dal pavimento leggermen-te rialzato. È termine composto di MA (“spazio-tempo”). [si veda]. TOKUGAWA. – Famosa Famiglia di guerrieri: di-scende dai MINAMOTO ed è protagonista della storia giapponese. Il capostipite del Clan è TOKU-GAWA IEYASU – già comandante militare sotto TO-YOTOMI HIDEYOSHI – che l’imperatore Go-Yozei nomina SHOGUN nel 1603; ed è Yoshinobu (il 15° SHOGUN della Dinastia, del ramo collaterale Keiki del Clan) che, dimettendosi nel 1867, restituisce il potere amministrativo al TENNO. Il dominio dei TOKUGAWA – distinti in tre rami: Kii, Mito e Owa-ri, tra i quali scegliere lo SHOGUN, in caso d’e-stinzione del ramo principale – è di carattere e-reditario e dura due secoli e mezzo, nel corso dei quali essi riescono a centralizzare e consolidare il potere, dando al Giappone la pace interna, seppu-re al prezzo dell’isolamento internazionale e di un rigido conservatorismo socio-culturale. Fra gli SHOGUN di questa Famiglia sicuramente ci sono uomini assai capaci, come TSUNAYOSHI, ad esempio, ma spesso si tratta di personaggi “di facciata”, che lasciano il potere reale ed il con-trollo degli affari pubblici ai propri consiglieri. TOKUGAWA IEMITSU. – (1603-1651) Diventa SHOGUN nel 1623, a soli vent’anni, quando abdica il padre, Hidetada. Sotto il suo governo è regola-mentato il controllo delle classi sociali e s’instau-ra una severa politica d’isolamento: il Paese è chiuso al resto del mondo, tranne limitati com-merci a Nagasaki con mercanti Olandesi e Cinesi. Oltre che proibire la costruzione di navi adatte a lunghi viaggi, un decreto shogunale stabilisce che nessun vascello straniero può lasciare il Giappone senza regolare licenza e nessun suddito giappone-se può allontanarsi dal territorio nazionale per recarsi in un altro paese (i Giapponesi che ritor-nano in patria sono giustiziati). TOKUGAWA IEMI-TSU promulga la legge SANKIN-KOTAI (“Presenza Alternata”) per controllare i DAIMYO, reprime nel

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sangue la Ribellione di SHIMABARA (1637/38) e perseguita i cristiani (37.000 cattolici sono uccisi solo a Nagasaki, nel 1638), mentre protegge Bud-dismo e Confucianesimo. Il Giappone è isolato e “congelato”: nelle classi alte domina lo spirito re-pressivo, in quelle basse la paura, su tutti pesa il potere shogunale, che monopolizza il commercio estero e ricopre con lo sfarzo la grettezza inte-riore. Quando TOKUGAWA IEMITSU muore, dieci DAIMYO compiono lo JUNSHI. TOKUGAWA IEYASU. – (1542-1616) Nel 1600, appoggiato dai FUDAI-DAIMYO, sconfigge a SEKI-GAHARA Ishida Mitsunari che, con i “Signori Occi-dentali”, difende la Casata TOYOTOMI, che egli stesso, in precedenza, ha servito come generale. Nel 1603 riceve la nomina a SHOGUN ed egli riesce a renderla ereditaria, in favore dei propri discen-denti. Fissata la capitale del BAKUFU a EDO, la mo-derna Tokyo, inaugura la fase dello “shogunato autoritario”. Negli ultimi anni di vita, e di potere, favorisce la setta buddista esoterica TENDAI che, dopo una fusione con lo SHINTO, adora il misterio-so dio Sanno (“Signore della Montagna”), protet-tore e custode della “Porta dei Demoni”. Nel 1615 – stesso anno in cui promulga i BUKE-SHO HATTO (“Leggi delle Case Militari”) – riesce infine a di-struggere l’ultima roccaforte del Clan TOYOTOMI, il Castello di OSAKA, rimediando però una ferita che si rivelata fatale. Dopo la morte gli è attri-buito il nome di Tosho Dai-Gongen (“Grande Divina Manifestazione Splendore d’Oriente”) ed è consi-derato un KAMI, così com’è ritenuto il vero inizia-tore di quel “culto della spada” instauratosi nell’intero Paese. TOKUGAWA TSUNAYOSHI. – (governa dal 1680 al 1709) È ricordato come “lo SHOGUN dei cani” (o, meno gentilmente, “lo SHOGUN cane”), nonostante sia uno studioso ed un mecenate, ge-neroso con l’Imperatore ed i nobili. Non ha un e-rede maschio, dato che l’unico figlio muore bam-bino ed un monaco afferma che questo è dovuto ad uccisioni commesse in una vita precedente, piuttosto che alla crudeltà dei suoi antenati. TSUNAYOSHI, devoto buddista, per espiare deve dedicarsi a proteggere tutte le cose viventi, so-prattutto le bestie e sommamente i cani, poiché egli è nato nell’anno del Cane, secondo lo zodiaco tradizionale. Nel 1687 sono emanate severissime norme volte alla protezione degli animali, editti che, per una ventina d’anni, hanno fastidiose ripercussioni sulla vita della popolazione. Gli abitanti di EDO devono

chiamare i cani con il titolo di O-inu Sama (“Ono-revole Signor Cane”). Chi provoca la morte di ani-mali (uccelli compresi) deve risponderne; il deces-so di un cane dev’essere riferita alle autorità, co-strette ad investigare su ora e causa della morte; e la morte, talvolta, è comminata al responsabile. Nel 1695, sono costruiti enormi canili alla perife-ria della città di EDO, dove sono mantenuti ben 50.000 di tali animali, colà spesso trasportati in portantina, come DAIMYO minori. Negli ultimi anni del suo shogunato si ha la breve “età Genroku”: a EDO ed OSAKA la vita è partico-larmente brillante, ma contemporaneamente de-clinano le antiche virtù SAMURAI di fedeltà, au-sterità, eccellenza militare. È pertanto singolare che, verso la fine del suo governo, si verifichi l’e-pisodio noto come la “Saga dei Quarantasette Ro-nin” [si veda la relativa voce, nella Terza Parte] e sia proprio lui a dover giudicare un tale atto. TOKUI. – “Particolare”, “favorito”. TOKUI WAZA. – È la “tecnica preferita” di un BUDOKA. TOKUSHU-KEIBO. – “Bastone telescopico”. È u-tilizzato, nell’ambito del TAIHO-JUTSU, dalla poli-zia, anche in abiti civili. Può essere rigido o avere la parte centrale, sempre telescopica, formata da una sorta di mollone. Normalmente si estende con un brusco movimento del polso. TO-MA. – “Lontano”.

– È la distanza di 4-5 passi tra due avversari. Con le KATANE, le cui punte si sfiorano, va bene, ma è troppo ampia se i contendenti sono disarma-ti. TOMARI-TE. – “Mano di Tomari”. Si veda OKI-NAWA. TOMERU. – “Bloccare”, “fermare”. TOMIKI AIKIDŌ. – Stile di lotta competitiva che s’ispira alle tecniche di AIKIDŌ, ideato da TOMIKI KENJI. La competizione può essere sotto forma di esecuzione di KATA oppure combattimen-to libero, RAN DORI: toshu RAN DORI (a mani nude) e TAN-TO RAN DORI (con un simulacro di coltello, che è scambiato a metà incontro). Il primo Torneo internazionale di questo sport risale al 1989: a NARA si incontrano oltre 200 atleti di 9 Paesi. TOMIKI KENJI. - (1900-1979) Allievo sia di KANO JIGORO sia di UESHIBA MORIHEI ed autore di numerosi libri su AIKIDŌ, JUDO e metodi di au-todifesa. All’inizio degli anni Cinquanta sintetizza uno stile di AIKIDŌ sportivo, da competizione, che da lui prende nome: il TOMIKI AIKIDŌ. TOMOE. – “Cerchio”; “tondo”. “Linea curva”.

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– “Virgola grande”. – “Tegola a forma di virgola”. – È un’immagine simbolica, a forma di virgola,

utilizzata per decorare armi e strumenti vari. Può rappresentare il segno del Tao (con due virgole, futatsu-tomoe), con la combinazione delle energie Yin e Yang [si vedano le voci “ommyodo” e “Tao”, nella Terza Parte] ed anche (con tre virgole, mi-tsu-tomoe) un segno analogo a quello che caratte-rizza il TRISMEGISTO greco. In quest’ultimo caso, la disposizione delle tre virgole in un cerchio pare rappresenti il simbolo delle Tre Energie, la meta-fora della Creazione nel perenne ciclo di distru-zione e rinnovamento subitaneo. TOMOE NAGE. – “Proiezione circolare”. TONFA. – Arma da botta, “mazza”. È originaria dell’isola d’OKINAWA e deriva dall’attrezzo agrico-lo destinato a mondare il riso, schiacciare i semi di soia, praticare piccoli buchi nel terreno, per piantare o seminare. È formato da un bastone di legno duro, lungo 45-60 cm e pesante circa 1 kg, con un piolo fissato perpendicolarmente a 3/4 della lunghezza: il piolo consente una presa sicura ed il bastone serve a proteggere l’avambraccio. Il TONFA, che si utilizza sempre in coppia, uno per mano, è usato anche per colpire: il piolo diventa perno per rotazioni veloci e colpi micidiali. Dal se-colo XVII, con l’occupazione militare nipponica ad OKINAWA resa sempre più rigida, lo studio delle tecniche di maneggio del TONFA (spesso usato dai KARATEKI) s’intensifica. Il TONFA classico appar-tiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). Anche TUIFA. TONKOTSU. – “Scatola per il tabacco”, che ogni fumatore di pipa (KISERU) porta con sé. TORI. – “Colui che prende”: dal verbo TORU, “prendere”. In AIKIDŌ Sarebbe forse meglio tra-durre con “colui che offre” (il suo corpo, la sua disponibilità, la sua tecnica), come avviene nello shiatsu: è chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini UCHI, SHITE e NAGE. L’at-taccante, che poi subisce la tecnica, è AITE o UKE.

– “Presa”, “prendere”. “Catturare”, “afferra-re”. Anche DORI. TORI FUNE. – Esercizio del “remare”. Movimen-to della voga. Fa parte degli esercizi fisici specia-lizzati (AIKITAISO), quelli di base, che si pratica-no da soli (TANDOKU DOSA). Il movimento è simile al remare su una barca con il remo fissato verso poppa: in piedi, fronte alla prua, una gamba avan-zata rispetto all’altra. La propulsione è data da un movimento dei polsi, a forma di "otto". L’esercizio

va ripetuto tre volte (verso sinistra, destra, an-cora sinistra), con ritmi differenti (lento, veloce, più veloce) e vocalizzando ei…ho, ei…sa, ei…ei; si può immaginare che la meta del rematore, sia dapprima lontana, poi in vista, quindi più vicina ed il ritmo si intensifica man mano che la riva s’avvi-cina. Normalmente a questo esercizio segue FURI-TAMA, per stabilire il KI. Anche FUNAKOGI UNDO. TORII. – “Portale d’entrata” dei santuari shin-toisti. TORI-KUMI. – “Incontro”, “combattimento” di SUMO. TORI-TE. – Forma antica di JU-JUTSU. TORITE-KOGUSOKU. – Altro nome del KOGUSO-KU-JUTSU. TORU. – “Prendere”, “afferrare”. TORYU. – “Uccisore di draghi”. Soprannome di velivolo da caccia della Seconda Guerra Mondiale. TOSEI-GUSOKU. – Si veda GUSOKU. TOSHIHIDE. – Noto armaiolo attivo nel 1800. TOSHU-KAKUTO. – Metodo militare di allena-mento al combattimento ravvicinato. Prende spun-to dal TAIHO-JUTSU e risale al 1955. TOSHUNOBU. – “Attacco a mani nude”. L’attac-co a mano armata è BUKINOBU. TOYAMA RYU. – Scuola di IAIDO e IAI-JUTSU. La fonda, nel 1925 circa, Toyama Rikugun Gakko. Non risulta sia ancora in attività. TOYOTOMI HIDEYOSHI. – (1536-1598) Suc-cessore di ODA NOBUNAGA e Dittatore. La leggen-da lo vuole d’oscure origini (figlio di un modesto ASHIGARU, forse?), tanto che il suo soprannome è Kinoshita – significa “(trovato) sotto un albero” – prima che l’Imperatore lo doti di un cognome. Tra il 1582 ed il 1598 riesce a dare una certa coeren-za politica al Paese, che unifica e disarma (tranne i BUSHI) nel 1588 (KATANA-GARI, “confisca della KATANA”). Affronta il problema della distribuzio-ne delle terre (nasce il catasto) e cerca di conqui-stare la Cina partendo dalla Corea (invasa nel 1592). Diffida dei Cristiani e li perseguita, poiché sono portatori di un sistema filosofico potenzial-mente sovversivo: dà speranza agli umili. Gli Olan-desi, inoltre, gli fanno inoltre credere che i mis-sionari preparano il terreno alla conquista da par-te dell’Impero spagnolo. A MOMOYAMA, presso KYOTO, TOYOTOMI HIDEYOSHI fa costruire un ca-stello, famoso per le decorazioni, distrutto alla sua morte (1615), al pari della roccaforte del Clan, il Castello di OSAKA. Un suo generale, TOKU-GAWA IEYASU, nel 1603 riesce a farsi nominare SHOGUN dall’imperatore Go-Yozei ed inaugura la

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fase dello “shogunato autoritario” destinato a du-rare fino al 1867. TOZAMA-DAIMYO. – “Signori dell’Esterno”. Sono i DAIMYO che, fedeli a TOYOTOMI HIDEYO-SHI, s’oppongono ai TOKUGAWA IEYASU, sono da questi sconfitti a SEKIGAHARA nel 1600 e gli sot-tomettono. Rientrano nei TOZAMA-DAIMYO anche tutti quei feudatari rimasti neutrali nella lotta per il potere fra i Clan TOYOTOMI e TOKUGAWA (alcuni di questi dominano i propri territori da lungo tempo, come gli Shimazu di SATSUMA, che risultano investiti nel 1196 da MINAMOTO-NO-YORITOMO). La politica di controllo dei TOKUGAWA consiste in un continuo avvicendamento e scambio fra DAIMYO, in modo tale che i TOZAMA – sempre potenzialmente ostili – si ritrovino divisi e lontani, impossibilitati a formare alleanze e coalizioni du-rature. TSU. – Contrazione fonetica di JUTSU, “tecnica”. [si veda KUATSU].

– “Testa”. Anche MEN, ATAMA, KASHIRA, TO. TSU ATE. – “Colpo dato con la testa”. Deriva da ATERU, “colpire” e TSU, “testa”; si può infliggere in avanti, verso dietro o di lato. TSUBA. – “Guardia”. Elso a piastra. Di solito è piatta e di forma circolare, ovale o quadrata. Ol-tre che accessorio essenziale – sia per difesa del-la mano sia, soprattutto, per bilanciare la lama – è straordinaria guarnizione delle armi bianche da fianco giapponesi. Dalla sua comparsa, nel tardo Periodo YAYOI (II secolo, ritrovamenti in tombe e dolmen), la TSUBA ha subito una costante evolu-zione, nella forma e nella decorazione, secondo una varietà incalcolabile di stili. Dall’iniziale pia-stra in un solo pezzo, a foggia d’aquilone, nel cor-so dei secoli la TSUBA si è trasformata in un ac-cessorio con forme, profili, tecniche di lavorazio-ne e decorazioni molto varie. Generalmente di ferro (piuttosto che in cuoio laccato, con schele-tro di ferro, nei primi tempi), le TSUBA sono rea-lizzate anche in rame o leghe particolari (SHAKU-DO, shibuichi, sentokudo ecc.). Ci sono TSUBA ro-tonde, ottagonali, o quadrate (KOKU), a quattro (MOKKO) o tre lobi, romboidali, rettangolari; sono lavorate in alto, mezzo e bassorilievo, piuttosto che a traforo o incise o scolpite a tutto tondo, laccate, intarsiate... I soggetti variano da sagome fantastiche a soggetti geometrici o astratti, da motivi floreali a profili d’animali, simboli eccetera. Nella TSUBA, oltre al foro centrale (HITSU, cir-condato dalla fascetta SEPPA DAI), oblungo, per il passaggio del codolo (NAKAGO), possono esserci

una o due altre aperture (RIOBITSU), ai lati della SEPPA DAI, per ulteriori inserimenti (normalmente i manici dei coltellini KOZUKA e KOGAI), secondo il tipo d’arma. Il bordo (MIMI) è alzato e rovesciato e può essere liscio o lavorato. Nei modelli più an-tichi compaiono, talvolta, altri due piccoli fori: servono per farvi passare un cordoncino (udenu-kiana) destinato a bloccare l’arma. La TSUBA – che è prodotta da artigiani specializzati e, spesso, ac-quistata separatamente dall’arma cui è destinata – può essere adattata a piacimento, secondo il gu-sto del proprietario o la moda del momento. Mae-stri celebri sono MYOCHIN NOBUIYE, GOTO-YUJO, KANEIYE. Scuole famose sono: NARA, Hamano, So-ten, Yokoya.

– Punti dell’agopuntura, situati lungo i “meri-diani” [Canali Energetici]; sono utilizzati anche per lo shiatsu. TSUBAZERI-AI. – È l’espressione che indica due duellanti, impegnati nel combattimento (soprat-tutto nel KENDO) ed a così stretto contatto che le rispettive TSUBA si toccano. TSUBO. – Unità di misura di superficie. Vale 1 KEN quadrato ed equivale a circa 3,35 metri qua-dri. Anche BU. TSUCHI. – La terra. TSUDA KAN RYU. – Scuola di scherma con la lancia, SO-JUTSU. S’ispira all’OWARI KAN RYU. TSUGI. – “A seguire”. TSUGI ASHI. – “Passo seguito”. “Spostamento base” (TAI SABAKI). Si esegue, mantenendo la guardia, facendo scivolare in avanti il piede ante-riore, mentre il posteriore segue, sino quasi a toccare l’anteriore; i talloni non vengono a contat-to ed il posteriore mai supera l’anteriore. I piedi non si sollevano dal suolo. Può essere in avanti o indietro (USHIRO TSUGI ASHI). Fa parte degli e-sercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). TSUGIKANE. – Armaiolo attivo nella seconda metà del 1600. TSUGU. – “Unire”. TSUIJI. – Muro di legno e terra che, spesso, circonda la casa di un BUSHI, soprattutto se si tratta di SAMURAI di rango o capi di Famiglie Mili-tari o di Clan. TSUJI GETTEN SAKEMOCHI. – (1650-1729) È il fondatore (1695) della scuola MUGAI RYU di KEN-JUTSU. TSUJI GETTEN SAKEMOCHI, che non appartiene alle classi alte (pare sia figlio di un contadino), è iniziato tredicenne al KEN-JUTSU e, dopo trent’anni di pratica ininterrotta, elabora un

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metodo di combattimento che cerca di conciliare e fondere arti umanistiche e guerresche, l’atti-tudine spirituale militare con quella civile, la me-ditazione ZEN con l’etica confuciana: l’HYODO. È forte il richiamo alla filosofia cinese, all’intera-zione reciproca di Yin e Yang [si veda la voce “ommyodo”, nella Terza Parte], che dovrebbe con-sentire la perfetta sintesi tra arti guerriere ed umanistiche, tra meditazione ZEN ed etica civile. Il fine ultimo del principio HYODO propugnato da TSUJI GETTEN SAKEMOCHI – e che è alla base del suo insegnamento – è la perfetta vacuità (SHUN-YA), l’unificazione dell’essere umano con il nulla cosmico, non certo l’uccisione dell’avversario. TSUKA. – “Impugnatura” delle spade classe TO. A sezione ovale, la sua lunghezza è proporzionale alla lama; nelle spade classe DAI-TO e SHO-TO la sua lunghezza consente l’impugnatura a due mani: ciò consente di sferrare poderosi fendenti. È normalmente di legno – in due parti, collegate da pioli (MEKUGI) che attraversano il codolo (NAKAGO) – e ricoperta con pelle di razza (SAMÉ); di rado si trovano TSUKA d’osso o avorio. È fasciata, quando ricoperta, con cordone (tsukaito), secondo diversi modelli, ma sempre in modo tale da lasciare visibi-li la coppia di guarnizioni o piastre ornamentali la-terali (MENUKI: in principio servono a coprire i ME-KUGI) e zone di SAMÉ a forma di losanga. La TSUKA è chiusa da cappetta (KASHIRA) e ghiera (FUCHI). TSUKAHARA BOKUDEN. – (1489-1571) Leggen-dario SAMURAI, figlio di un sacerdote SHINTO. Il suo vero nome è URABE TOMOTAKA e fonda la ce-lebre scuola KASHIMA SHINTO RYU. È famoso per l’applicazione dell’”Arte di risolvere i problemi senza usare la Spada” (KEN-NO-SHINZUI), dello “schivare con lo spirito” (MUTEKATSU) e l’adozione di un animo imperturbabile nel combattimento (FUDO-NO-SEISHIN). Notissima è una sua avventu-ra, che qui ripresentiamo. Una volta, viaggiando su un traghetto, TSUKAHARA BOKUDEN si addormenta, mentre un altro SAMURAI, un gradasso, si vanta della propria bravura. Costui, infuriato, lo scuote e pretende di sapere a quale scuola appartiene. BOKUDEN risponde «La scuola che vince senza usa-re la spada (MUTEKATSU)». L’altro, allora, lo sfida a duello, affinché possa mostrare la sua bravura e BOKUDEN acconsente, ma suggerisce di sbarcare a terra, in modo da non ferire gli altri passeggeri. Il traghetto dirige quindi su un’isola vicina e, ap-pena giunti vicino a riva, il gradasso balza a terra, ansioso di battersi e, sguainata la spada, si mette in guardia. TSUKAHARA pare volerlo seguire, invece

afferra d’improvviso un remo e sospinge il battel-lo nella corrente del fiume, gridando all’altro: «È questo il modo di vincere senza usare la spada!». TSUKERU. – “Fissare”, “aderire”. TSUKI. – “Pugno”, “colpo diretto”. Viene da OTO-SU, “abbattere”.

– “Spinta”. “Colpo di punta”, “affondo”, anche con le armi. Viene da TSUKU, “affondare”, “spinge-re”. ZUKI, come suffisso.

– “Percussione localizzata”. Può essere bene-fica (KUATSU) o malefica (ATEMI), nel qual caso s’intende indirizzata ad un KYUSHO (“punto vitale”) e rientra nelle KERI-GOHO.

– “Gola”. – “Luna”.

TSUKI-DARE. – Imbottitura del casco (MEN) usato nel KENDO; protegge la gola. TSUKI-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUATSU). Serie di KUATSU ad azione elettiva, con percussioni riflessogene. TSUKI-NO-KOKORO. – “Lo spirito come la lu-na”. Indica uno stato d’animo rilassato e distacca-to – caratteristico della conoscenza (e visione) globale dell’ambiente circostante – in grado di percepire tutto. È la concentrazione dello spirito, in un combattente esperto, prima di un attacco od anche di un singolo movimento. TSUKI-NO-KOKORO si richiama alla luce riflessa dalla luna, che ri-schiara quello che ha intorno pur restando immo-bile e distaccata, senza coinvolgimento emotivo. [si vedano KOKORO, MIRU-NO-KOKORO, MIZU-NO-KOKORO]. TSUKI-YOMI-NO-KAMI. – “Padrone delle Notti di Luna”. È il dio della Luna, figlio di IZANA-GI-NO-MIKOTO. TSUKOMI JIME. – “Quinta presa al bavero”. AITE afferra il bavero di TORI per farlo girare; questi arretra, passa con il proprio braccio sopra le braccia di AITE e, con una pressione al suo go-mito, lo costringe a terra. TSUKU. – “Affondare”, “spingere”. TSUKUBO. – Arma in asta. È simile all’HINERI. TSUKURI. – “Rottura di posizione”. TSUMA. – “Dita” dei piedi. TSUMASAKI. – “Punta delle dita” dei piedi. TSUMI. – “Peccato”, nella religiosità SHINTO. Il peccato può essere di tre tipi: la cattiva azione o l’offesa, la contaminazione o l’oltraggio alla pu-rezza, la disgrazia o la sventura, che spesso colpi-sce l’uomo quale divina punizione. È da ricordare che nel Giappone, soprattutto antico, non esiste un vero e proprio senso della moralità, ma solo un

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elevato rispetto reciproco ed una costante preoc-cupazione per la purezza. Tutto ciò che è impuro, dal punto di vista fisico, offende gli dei e quindi – per accostarsi ai luoghi sacri, per entrare nei templi, per pregare le divinità – è essenziale puri-ficarsi, sia per far cosa gradita ai KAMI sia per non offenderli ed incorrere nelle loro punizioni. La purificazione si può attuare in tre modi: con l’esorcismo (HARAI o hare), con l’abluzione (MISA-GI), con l’astensione (IMI). TSUNA. – “Corda di canapa bianca ritorta”, mol-to spessa al centro. La indossano solo i grandi campioni di SUMO prima dei tornei. È molto pesan-te (13-15 kg), ornata con strisce di carta piegate (gohei: simbolizzano le offerte fatte un tempo ai KAMI) e vuole richiamare il cordone SHIMENAWA. TSUNAMI. – “Onda del porto”. Maremoto, con onde di superficie di grande altezza, lungo fronte e notevolissima velocità. Solitamente causa di-struzioni catastrofiche. [si veda la medesima vo-ce, nella Terza Parte]. TSURERU. – “Affiancare”. TSURI. – “Pescare”, “sollevare”. TSURI ASHI. – “Bordo esterno del piede”. TSURIGANE. – “Testicoli”. Punto dei testicoli. KYUSHO, “punto vitale” (o “debole”) per gli ATEMI. Pure KINTEKI. TSURUGI. – “Spada”. È un termine antichissimo, che indica una spada con lama diritta o legger-mente allargata in punta, di ferro forgiato, ma di scarsa qualità, lunga da 30 a 40 cm. Cenni a quest’arma si trovano nelle cronache più antiche, mentre esemplari sono stati rinvenuti in tombe megalitiche protostoriche (KOFUN). Può avere uno o due fili e impugnatura con pomo ad anello, nella classica fattura delle spade cinesi e coreane. Pro-babilmente sono proprio cavalieri coreani che, dal III secolo, introducono le TSURUGI in Giappone, così com’è documentata la richiesta ai Re coreani della Dinastia Paekche affinché inviino numerosi fabbri. È questa l’arma degli dei che scendono dal cielo (kotsuchi-no-tsurugi) ed AMA-NO-MURAKUMO-NO-TSURUGI, uscita dalla coda di un drago con otto teste, è la Spada Sacra, uno dei Sacri Tesori del Giappone, unitamente allo Spec-chio Sacro ed alla Collana Sacra. È sinonimo di KEN.

NOTA – Secondo gli annali ufficiali del Periodo NARA (710-794) – KOJIKI, “Memorie degli Avve-nimenti dell’Antichità” – l’origine della TSURUGI è divina. È, infatti, la spada, lunga 80 centimetri, che TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO (“Sua Altez-za il Maschio Violento”, l’uragano) utilizza sia per far nascere tre divinità femminili dalla sorella AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, sia per uccidere e squartare il drago che, nella coda, cela AMA-NO-MURAKUMO-NO-TSURUGI. [si vedano anche le voci “lama” e “Shintoismo”, nella Terza Parte].

– Soprannome di velivolo per operazioni sui-cide della Seconda Guerra Mondiale. TSUTSUI IOMYO MEISHU. – YAMABUSHI (mo-naco-guerriero) protagonista di un celebre episo-dio della Guerra GEMPEI. All’inizio delle ostilità, nel 1180, le sorti del conflitto paiono volgere al peggio per i MINAMOTO; questi sono sulla difensi-va sul fiume Uji e, insieme a contingenti di YAMA-BUSHI loro alleati, e presidiano un ponte, ben pre-sto assalito dalle truppe TAIRA. TSUTSUI IOMYO MEISHU, dopo aver scoccato venti delle sue ven-tuno frecce (con le quali ha ucciso dodici SAMU-RAI, ferendone undici), getta via l’arco, la freccia rimasta, le calzature e corre sul ponte conteso. Uccide sei nemici con la NAGINATA, che si spezza. Otto sono i caduti sotto i suoi colpi di spada, pri-ma che anche la lama di questa s’infranga sull’elmo del nono, caduto comunque morto. Afferrata a questo punto l’ultima arma rimastagli, il pugnale, se ne serve per riguadagnare le linee amiche, al riparo delle quali conta sessantatre frecce con-ficcate nella sua armatura, trapassata solo da cinque di queste. TSUYOKI. – Indica una persona con un potente KI e, quindi, dal forte carattere. Chi, invece, ha un KI debole, è chiamato YOWAKI. [si veda KI]. TSUZUMI. – Tamburo a clessidra. Ha due mem-brane fissate a cerchi di legno con diametro mag-giore del corpo dello strumento. Le membrane so-no bloccate al corpo da tiranti di corda, la cui tensione è regolata dalla mano che impugna, al centro della legatura, il tamburo. Esistono due ti-pi di TSUZUMI, di grandezza diversa: il piccolo (KO-TSUZUMI) ed il grande (O-TSUZUMI). TUIFA. – Si veda TONFA. TUKU-IKU. – Formazione e sviluppo (IKU) della saggezza e virtù (TUKU). Si veda IKU.

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U. – “Destra”. Anche MIGI. UBUYU. – Primo bagno di un neonato. Per le classi elevate è quasi un rito, che avviene sette giorni dopo la nascita, in una tinozza di legno di cedro. Dopo il bagno, il neonato riceve i suoi primi vesti-ti, tra cui l’HAKAME, la tunica tradizionale. UCHI. – “Chi colpisce”. È chi, attaccato, esegue la tecnica. Si usano anche i termini TORI, SHITE e NAGE.

– “Colpo”, “fendente”. Viene da UTSU, “colpi-re”.

– “Dentro”, “interno”. UCHI DESHI. – “Discepolo interno”, “discepolo diretto”. Per essere accettato nel KOBUKAN come studente, ai tempi di UESHIBA MORIHEI, occorre che il candidato sia presentato da due responsa-bili conosciuti e superi un colloquio con O-SENSEI condizione essenziale per essere accettato è la sincerità totale. Le lezioni non si pagano, ma l’al-lievo accettato come UCHI DESHI porta una dote (cibo o materiali, denari o lavoro), serve come at-tendente del Maestro e si occupa di servizi e pu-lizie. L’allenamento quotidiano si svolge dalle 6 al-le 7 e dalle 9 alle 10 del mattino, poi dalle 14 alle 16 e dalle 19 alle 20. Gli allievi lavorano sulle tec-niche che O-SENSEI sperimenta e sviluppa ed ac-cade anche che siano svegliati di notte, per pro-vare qualche nuova tecnica sognata dal Maestro. UCHI KAITEN. – TORI esegue la tecnica passan-do all’“interno” dello spazio dinamico di AITE. UCHI KAITEN NAGE. – “Proiezione rotatoria interna”. La caduta di AITE è in avanti. UCHI-DACHI. – Chi attacca e colpisce con il BOKKEN. Chi si difende è chiamato UKE-DACHI.

– Sono i praticanti muniti di SHINAI o BOKKEN, contrapposti – nelle competizioni, tuttora apprez-zate in Giappone – a quelli armati di NAGINATA (detti SHI-DACHI). UCHI-JO. – Chi attacca e colpisce con il JO. Chi si difende è chiamato UKE JO. UCHI-KOMI. – “Allenamento all’attacco”. È un esercizio di studio delle tecniche in movimento, utilizzato in molte Arti e Discipline Marziali, dal KENDO allo JUDO. Nel KENDO, in particolare, con-siste in colpi ripetuti diretti al MEN dell’avversa-rio, portati senza sosta e senza esitazione. È det-to anche BUTSUKARI. [si veda]. UCHI-KOTE. – Manopole dell’armatura per scherma TAKE GUSOKU, usata nel KENDO. Si defini-

scono anche ONI-KOTE. Anche, semplicemente, KO-TE. UCHI-KUROBUSHI. – “Caviglia”, “malleolo inter-no”. Parte interna della caviglia. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. UCHI-MAJIRI. – “Rissa”. È in rischio che si cor-re praticando il combattimento libero (RAN DORI): che tutto finisca in una zuffa. UCHI-NE. – “Dardo da combattimento”. Può ave-re anche un impennaggio di piume. UCHI-NE JUTSU. – “Arte del lancio di frecce con le mani”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali). UCHI-TACHI. – Chi attacca e colpisce con la spada (TACHI, KEN). UCHIWA. – “Ventaglio di tipo rigido”, non piega-bile. Ha forma aperta e tondeggiante ed è fatto di legno e pelle, laccati, o di ferro sbalzato. Può avere sia un utilizzo funzionale sia una valenza ri-tuale e può essere d’uso personale o “da guerra” (GUMBAI, GUNSEN). Il fusto dell’UCHIWA – normal-mente a forma di violino o farfalla o foglia, con guarnizioni di metallo, scritte, insegne – è monta-to su di un manico; la lunghezza complessiva varia da 35 a 50 centimetri. Le prime tracce documen-tate sull’uso di questo tipo di ventaglio risalgono al 763, quando l’imperatrice Koken ammette alla sua presenza Jozo, un saggio vecchio ed infermo, munito sia di bastone sia del proprio UCHIWA. Lo usano i funzionari di grado alto o medio. Anche DANSEN. UDE. – “Avambraccio”. Pure KOTE e ZEN-WAN. UDE FURI. – “Rotazione a perno del braccio”. UDE FURI CHOYAKU UNDO. – Esercizio della giravolta (come una trottola), con l’aggiunta di un movimento avanti e indietro. Fa parte degli eser-cizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). UDE FURI UNDO. – “Esercizio della giravolta” (come una trottola): movimento a spirale del cor-po, con le braccia distese, a bilanciere. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). UDE GAESHI. – “Chiave articolare di braccio (U-DE HISHIGI), eseguita con leva”. È un’UDE GARAMI (“chiave articolare alle braccia con lussazione dell’articolazione”) e fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articola-

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zioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME – od OSAE – WAZA). UDE GARAMI. – “Chiave articolare alle braccia con lussazione dell’articolazione”. È del gruppo delle UDE HISHIGI (“chiavi articolari alle braccia”) e fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME – od OSAE – WAZA). Comprende sia torsioni (UDE HINERI) sia leve arti-colari (UDE GAESHI).

– “Proiezione circolare del gomito”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). UDE HINERI. – “Chiave articolare di braccio (U-DE HISHIGI), eseguita con torsione”. È un’UDE GA-RAMI (“chiave articolare alle braccia con lussazio-ne dell’articolazione”) e fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articola-zioni”), che rientrano nelle pratiche di controllo (KATAME – od OSAE – WAZA). UDE HISHIGI. – “Chiave articolare alle braccia”. Fa parte delle HIJI WAZA (“tecniche eseguite ai gomiti”), a loro volta della gamma KANSETSU WAZA (“tecniche sulle articolazioni”), che rientrano nelle KATAME – od OSAE – WAZA (“tecniche di control-lo”), di cui UDE HISHIGI rappresenta la sesta tec-nica. Normalmente si utilizza contro attacchi SHO MEN TSUKI (“colpo frontale al viso, con pugno”) ed USHIRO ERI DORI (presa al bavero/collo, da die-tro). L’UDE HISHIGI è anche chiamata HIJI SHIME, “strangolamento con il gomito”. UDE KIME NAGE. – “Proiezione su leva sotto il braccio”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WAZA). La caduta di AITE è in avanti. UDE NOBASHI. – “Immobilizzazione con leva sul braccio”. Quinta tecnica di controllo con im-mobilizzazione (KATAME WAZA), effettuata con trazione del braccio. [si veda GOKYO]. UDE OSAE. – “Immobilizzazione del braccio a terra”. Prima tecnica di controllo con immobiliz-zazione (KATAME WAZA), eseguita sul gomito. [si veda IKKYO]. UE. – “Alto”. UECHI RYU. – Scuola di KARATE, ad OKINAWA. La fonda, nel 1897, Uechi Kambun, un contadino che in Cina ha imparato il Wu-shu. I KATA, da combat-timento, insegnati dalla scuola sono otto. UEDA KISABURO. – È il vero nome del predica-tore DEGUCHI ONISABURO. UESHIBA KISSHOMARU. – (27 giugno 1921 – 4 gennaio 1999) Quarto figlio del Fondatore. Dalla

fine degli anni Trenta del 1900 accompagna il pa-dre ed appare come suo UKE in manifestazioni e pubblicazioni tecniche. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale ha la responsabilità dell’HONBU DOJO, a Tokyo. È soprattutto merito suo se l’AIKIDŌ sopravvive nel Giappone dell’immediato dopoguerra, quando le dure leggi dell’occupante militare proibiscono l’in-segnamento delle Arti Marziali. La sua opera di diffusione dell’AIKIDŌ è incessan-te, sia in patria, quando viene meno il divieto im-posto, sia all’estero, con l’invio in America ed in Europa dei migliori allievi dell’AIKIKAI quali rap-presentanti ufficiali dell’HONBU DOJO, negli anni ’60. Grazie a tali allievi sono fondati i vari AIKIKAI nazionali. Indiscusso è anche il lavoro prettamen-te “tecnico”, con la riduzione del numero di tecni-che previste nell’insegnamento e la standardizza-zione della nomenclatura. UESHIBA KISSHOMARU diviene la seconda Guida (DOSHU) del movimento aikidoistico mondiale alla morte di O-SENSEI, nell’aprile del 1969: eredita il compito di diffondere sempre più la conoscenza e la pratica dell’AIKIDŌ, anche attraverso la pubbli-cazione di numerose opere tecniche, filosofiche e morali. UESHIBA MORIHEI. – (Tanabe, 14 dicembre 1883 – IWAMA, 26 aprile 1969) È l’AIKI KAISO (“Fondatore”) e 1° DOSHU (“Guida”) dell’AIKIDŌ. Nasce, prematuro, nel Distretto di Kumano, vicino Kii (oggi Prefettura di Wakayama), unico maschio di quattro figli, da Yoroku e Yuki Itogawa (lui prospero agricoltore d’origine SAMURAI ed impe-gnato nella politica locale, lei donna colta e reli-giosa, imparentata al Clan TAKEDA). Dapprima impiegato e poi piccolo commerciante a Tokyo, presta servizio militare dal 1904 (inizio della guerra contro la Russia) al 1907, parteci-pando anche alla spedizione in Manciuria. La moglie Hatsu Itokawa (1881-1969), sua lontana parente, sposata nel 1903, gli dà quattro figli, una femmina, Matsuko, e tre maschi,Takemori e Kuni-haru (morti giovanissimi) e KISSHOMARU (1921-1999). Dal 1911 al 1919 UESHIBA MORIHEI è a capo di un gruppo di famiglie provenienti dal suo villaggio na-tale che tentano, con successo, di colonizzare l’e-stremo nord dell’isola di Hokkaido, stabilendosi nella cittadina di Shirataki (oggi, per inciso, conta meno abitanti dei tempi della colonizzazione!). È in questo periodo che conosce, frequenta e con-tribuisce a mantenere – studiando a pagamento il

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suo AIKI-JUTSU – la leggenda vivente del BUSHI-DO, TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI, uno dei tre uomini – con il monaco Fujimoto Mitsu-jo, che lo istruisce, e DEGUCHI ONISABURO, cono-sciuto nel 1919 – destinati a cambiargli la vita. Stabilitosi ad AYABE nel 1920, apre il suo primo DOJO, di 20 TATAMI, chiamato Ueshiba-juku, nel recinto del tempio OMOTO-KYO (religione di cui è ormai fervente seguace) dove insegna un suo me-todo di combattimento – all’epoca conosciuto con il nome di DAITO RYU JU-JUTSU – solo ai membri della setta. Dal 1922 al 1924-25 la Disciplina è chiamata Ueshiba Ryu Ju-jutsu ed anche Ueshiba Ryu Aiki-jujutsu, abbandonando il riferimento al DAITO RYU. Il termine AIKI-JUJUTSU resta in uso fino ai primi anni Trenta e tutt’oggi richiama alla mente le tecniche “dure” di quegli anni, in contra-sto con quelle dell’AIKIDŌ odierno, decisamente più “morbide”, più “rotonde”. Nel 1924 UESHIBA MORIHEI partecipa, con il pre-dicatore DEGUCHI ONISABURO ed altri, ad una spedizione in Mongolia, formalmente per trovare un luogo dove instaurare un nuovo Stato di tipo teocratico ma, più probabilmente, per spiare la Manciuria, obiettivo dell’espansionismo giapponese dell’epoca. Rientrato in Giappone, si occupa di a-gricoltura e si dedica all’evoluzione ed all’inse-gnamento della sua Arte Marziale, divenuta molto nota, che chiama dapprima Ueshiba Ryu Aiki Bu-jutsu e quindi AIKI BUDO. È in questi anni, mentre è chiamato più volte a dimostrazioni nella Corte imperiale ed insegna in alcune Accademie militari, che UESHIBA MORIHEI perfeziona il suo metodo, anche grazie all’applicazione delle tecniche KOTO-DAMA ed all’esperienza mistica, vissuta all’età di 42 anni, che egli – dopo averla raccontata in di-verse versioni, negli anni seguenti – in tarda età riassume in questi termini. Nella primavera del 1925, in AYABE, riceve la visi-ta di un ufficiale della Marina Imperiale, esperto di KENDO, che lo sfida. O-SENSEI accetta, ma non si arma. L’ufficiale, offeso dal suo atteggiamento, lo attacca con tanta foga, e senza riuscire mai a colpirlo, da essere ben presto esausto. Chiesto quale sia il segreto di tale abilità, si sente rispon-dere che ogni suo movimento è preceduto da una striscia di luce che indica la direzione dell’attac-co, luce visibile solo al suo avversario, ovviamente! Dopo tale incontro, UESHIBA MORIHEI si reca nel giardino, per rinfrescarsi al pozzo ma, improvvi-samente immobilizzato, comincia a tremare, men-

tre la terra si scuote e raggi di luce scendono dal cielo, immergendolo in una nebbia dorata. È questo il suo SATORI ed è in questo momento che egli cambia la percezione di sé e capisce di “essere l’universo”: cade la barriera tra mondo materiale, mondo nascosto e mondo divino, men-tre avverte che il cuore del BUDO non è lotta ma amore, un amore che nutre e protegge ogni cosa. Nel 1927 UESHIBA MORIHEI si trasferisce defini-tivamente nella capitale, per insegnare sia in alcu-ni DOJO di Tokyo (comprese due stanze di casa sua) ed OSAKA, sia, ancora, in Accademie militari. Nel 1931, a Wakamatsu-cho, è completato il nuovo DOJO, la “Palestra del Valore Marziale Imperiale”, il KOBUKAN. Gli Anni ’30 del 1900, in effetti, sono quelli della fama e del successo, per UESHIBA MO-RIHEI: innumerevoli sono gli allievi, sovente altolo-cati, spesso già esperti d’altre Discipline, che si sottopongono ad un durissimo lavoro per imparare questa nuova forma di BUDO, che vuole unificare corpo, mente e spirito. Gli anni della Seconda Guerra Mondiale vedono UESHIBA MORIHEI trarsi in disparte, ad IWAMA, dove coltiva la terra (indicando le sue proprietà come AIKIEN, “la fattoria dell’Aiki”) e perfeziona la sua Disciplina, che continua ad insegnare anche dopo la capitolazione (ma in segreto, però, dato il bando imposto dai vincitori). Riaperti i RYU marziali nel 1948, nello stesso anno nasce anche la prima scuola ufficiale dell’AIKIDŌ (che ha questo nome dal 1942), l’AIKIKAI, a Wa-kamatsu-cho, Tokyo, dove ancora oggi si trova la “Palestra Centrale” (HONBU DOJO). Nonostante i fasti dei decenni precedenti, la ri-presa è dura, dopo la guerra: occupazione militare straniera, ristrettezze economiche, i migliori al-lievi presi in altre faccende, gli istruttori alla ri-cerca di un lavoro per sopravvivere… Solo negli anni Cinquanta e Sessanta del 1900, grazie a corsi per le forze di polizia, dimostrazio-ni pubbliche, sponsorizzazioni di grandi Società – ed all’impegno degli UCHI DESHI di O-SENSEI e di suo figlio UESHIBA KISSHOMARU – l’AIKIDŌ torna alla ribalta del BUDO moderno ed inizia ad essere conosciuto anche all’estero (con l’invio di rappre-sentanti dell’AIKIKAI HONBU DOJO in numerosi Pa-esi di tutti i continenti). Fino alla fine UESHIBA MORIHEI continua ad inse-gnare: l’ultima lezione ufficiale di O-SENSEI, ad IWAMA, è del 10 marzo 1969, appena due giorni dopo aver subito un collasso, segno evidente di quel tumore al fegato – tardivamente diagnostica-

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to e per il quale rifiuta di sottoporsi ad interven-to chirurgico – che lo uccide in poco più di un me-se, il mattino del 26 aprile 1969. Ed è in aprile, pochi giorni prima di morire, che sparisce dalla stanza dove giace, infermo, per andare ad inse-gnare ad un gruppo di bambini nel vicino DOJO, dove poi i discepoli lo trovano. Nel corso della sua vita, il Fondatore, come acca-de spesso in Giappone, cambia nome più volte. Do-po la spedizione in Mongolia, da Morihei (“Pace Doviziosa” o “Abbondante”) diventa Moritaka, dal-la pronuncia giapponese di un appellativo cinese che significa “Guardiano dell’Alto”. All’apertura del KOBUKAN il suo soprannome è Seigan (“Vera Visione”), poi, sotto l’influenza del KOTODAMA, Tsunemori (“Eterna Abbondanza”), per tornare, infine, al natio Morihei. L’ultimo nome, buddista, non lo sceglie, ma gli è assegnato postumo: Aiki-in Seibu Enyu Daidoshi. [si veda anche la voce “no-mi”, nella Terza Parte]. Nato in un Distretto conosciuto come “la porta verso il divino”, ricco di santuari e importante centro della religiosità SHINTO, UESHIBA MORIHEI è immerso da subito in un’atmosfera esoterica e misteriosa, mistica e divina. Alla devozione ai KAMI unisce presto l’adesione al-la setta buddista esoterica SHINGON, sotto la guida del monaco Fujimoto Mitsujo, con cui studia anche i classici cinesi. Si avvicina poi, trentacinquenne, alla religione OMOTO-KYO, ed al suo fondatore, il predicatore DEGUCHI ONISABURO. A questa religione – ed anche setta politica, in cui ricopre pure ruoli di tutto rilievo – UESHIBA MO-RIHEI rimane sempre fedele. È dall’età di quindici anni che O-SENSEI – anche per sopperire alla debole ed inferma costituzione fisica – studia e pratica lo JU-JUTSU con il Mae-stro Tozawa Tokusaburo del KITO RYU. I successivi venticinque anni li trascorre a studia-re numerose Arti Marziali giapponesi, sia tradi-zionali sia moderne, in diverse scuole, quali TEN-JIN SHIN’YO RYU (1900), DAI-TO AIKIDŌ, KITO RYU (1901), YAGYU SHIN-KAGE RYU, GOTO-HA YAGYU SHINGAN RYU (1903), DAITO RYU AIKI-JUTSU (1911), SHIN KAGE RYU (1922), HOZO-IN RYU (1924). Tra le Arti Marziali apprese, oltre allo JU-JUTSU, ci sono TAI-JUTSU, AIKI-JUTSU, JO-JUTSU, KEN-JUTSU, JU-JUTSU, SO-JUTSU, JUKEN-JUTSU e JUDO. Presto però, dopo aver ben sviluppato il fisico, e-gli s’accorge che lo “spirito guerriero” sia delle

varie discipline praticate sia dei molti Maestri in-contrati è troppo (e inutilmente!) forte. Concepisce quindi, nel corso dei primi quarant’anni della sua vita, un metodo assolutamente difensivo, seppur ispirato alle tecniche di combattimento con la spada. È attraverso l’esperienza mistica [si veda sopra ed anche le voci KI e SATORI] del 1925 che O-SENSEI percepisce la propria unità con l’universo e comprende appieno che l’origine del BUDO è nell’amore di Dio. In concreto, egli unisce allo spi-rito di decisione (KIME) la capacità di sfruttare i movimenti del corpo (TAI SABAKI) per schivare gli assalti ed alla rapidità d’esecuzione delle tecniche fonde una profonda conoscenza dell’anatomia u-mana, cosa che gli consente la puntuale applica-zione d’efficaci leve articolari. Contro uno o più avversari, armati o meno, egli ri-torce la forza che questi usano nell’attacco, po-tenziata dal proprio KI. La morte, per fortuna, risparmia ad O-SENSEI il triste spettacolo delle diatribe, delle scissioni, delle defezioni, delle lotte feroci tra numerosi ed illustri Maestri dell’AIKIKAI che caratterizzano gli anni Settanta del 1900. Ad amici e discepoli – ed anche a noi tutti – lascia un ultimo messaggio: «L’Aikidō è per il mondo in-tero e non per uno scopo egoistico e distruttivo. Lavorate e praticate incessantemente per il bene di tutti». UESHIBA MORIHIRO. – (1910-…) Questo è il nome assunto da NAKAKURA KIYOSHI per il tempo in cui rimane – dal 1932 al 1938– nella famiglia UESHIBA. NAKAKURA KIYOSHI sposa Matsuko, figlia di O-SENSEI, che lo adotta, pensando di farne il suo erede. Il nuovo nome, assunto con l’adozione, è abbandonato con il divorzio da Matsuko e NAKA-KURA KIYOSHI torna a praticare KENDO e IAIDO, di cui è Maestro affermato. UESHIBA MORITERU. – (2.4.1951) Secondo fi-glio di UESHIBA KISSHOMARU e di Sakuko. Dal 18 gennaio 1999 è il nuovo DOSHU, il terzo, succe-dendo al defunto genitore. UESHIBA YOSHITERU. – (1948) Primo figlio di UESHIBA KISSHOMARU. Non è attivo nell’AIKIDŌ. UJI. – “Tribù”, “Clan”, “Famiglia”. Sono grandi gruppi di famiglie imparentate fra loro, che si considerano tutte discendenti da un unico, antico, talvolta mitologico Capo Famiglia, spesso venerato come una divinità (KAMI). Rappresentano la domi-nante élite aristocratica del tempo, il Periodo preistorico YAYOI (dal 300 a.C. circa al 300 d.C.

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circa), appunto l’età mitica dei primi Clan eredita-ri. Il capo dell’UJI è re e sacerdote al tempo stes-so, rappresentando l’autorità civile e militare e-reditaria e quella religiosa. Sotto l’aristocratico UJI si collocano i BE, i lavoratori e gli artigiani, raggruppati non per ereditarietà, ma per occupa-zione e luogo di residenza. Gli UJI si alleano con i confinanti (come, dopo di loro, accade ai SAMURAI) e, assorbendo i vicini più deboli e sconfiggono i gruppi rivali, estendendo le proprietà terriere. Da questo processo d’aggregazione ed espansione emerge un UJI dominante, che si proclama discen-dente della dea del sole, AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, attraverso JINMU TENNO. È il modo per le-gittimare, religiosamente ed eticamente, il pre-dominio militare e politico già raggiunto: l’UJI do-minante, il Clan Mikoto, della “Stirpe del Sole”, si trova in una posizione inattaccabile e, nel 200 d.C. circa, la discendenza della Famiglia imperiale da AMA-TERASU è un dogma della religione SHINTO. UJIGAMI. – Sono le “divinità protettrici” del Clan. UKE. – “Colui che riceve”, dal verbo UKERU “rice-vere”. Chi attacca e, nella esecuzione di una tec-nica, è guidato o lanciato o immobilizzato. Nella pratica dell’AIKIDŌ, di volta in volta, si è UKE (l’attaccante) e TORI (chi esegue la tecnica). Pure AITE.

– “Parata”. UKE-DACHI. – Chi riceve l’attacco sferrato con la spada (TACHI, KEN) e si difende. Chi attacca è chiamato UCHI-DACHI. UKE-JO. – Chi riceve l’attacco sferrato con il JO e si difende. Chi attacca è chiamato UCHI-JO. UKEMI. – “Rottura di caduta”. “Caduta controlla-ta”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da so-li (TANDOKU DOSA). È un metodo per proteggere il corpo (cadendo al suolo e rotolando, si attutisce il colpo ricevuto), ma non solo: un’UKEMI al momento giusto consente di ripristinare la distanza di sicu-rezza. Le cadute si distinguono in MAE UKEMI (a-vanti), USHIRO UKEMI (indietro, anche MA-UKEMI), YOKO UKEMI (laterale), JUJI UKEMI (incrociata). Tutte o quasi le Arti e Discipline Marziali preve-dono l’apprendimento delle UKEMI. Non è facile vincere la paura di cadere, perciò occorre impara-re progressivamente, un poco alla volta; la capaci-tà di padroneggiare UKEMI, normalmente, si acqui-sisce non prima di tre anni di pratica. UKERU. – “Ricevere”.

UKE-WAZA. – “Tecniche di difesa”: ad un attac-co si risponde con un ATEMI, diretto ad un “punto vitale” (KYUSHO), piuttosto che con uno squilibrio e susseguente proiezione. UKI. – “Fluttuante”, “galleggiante”. UKIYO. – “Il Mondo Galleggiante” (o “Fluttuan-te”). Il significato originale di questo termine buddista raffigura il senso di fugacità provocato dall’attaccamento ai beni terreni, attaccamento che determina unicamente sofferenza – e che il saggio deve assolutamente disdegnare. Nel Giap-pone forzatamente pacifico degli SHOGUN TOKU-GAWA (1603-1867), la profonda crisi del mondo feudale, aristocratico, unita alla “carica vitale” della nuova classe borghese e cittadina (CHONIN), dà origine ad una ricerca quasi spasmodica proprio di quei divertimenti – fuggevoli, effimeri – prima disprezzati: poiché tutto passa, tutto si consuma, tanto vale abbandonarsi al piacere del momento! Ecco, allora, la vita notturna nei quartieri dove mai le lanterne si spengono (le “città senza notte” come YOSHIWARA): gli spettacoli, gli amori merce-nari e clandestini, il bere ed il mangiare. Nella se-conda metà del 1600 nasce così una forma di cul-tura cittadina, basata sul teatro KABUKI e su quel-lo delle marionette (JORURI), sulle GEISHE e sulle prostitute, sui cantastorie ed i funamboli, sugli incontri di SUMO e sulle rivendite di SAKÈ e pasta. Un’ottima rappresentazione di tale cultura si ha nei dipinti di genere popolare UKIYO-E, nelle deco-razioni d’arredi, nelle illustrazioni di libri, manife-sti e carte geografiche; e nelle poesie, nei rac-conti. Asai Ryoi, alla fine del 1600, scrive: «…vivere momento per momento… volgersi inte-ramente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e al-le rosse foglie dell’acero, cantare canzoni, bere SAKÈ… essere come una zucca vuota che galleggia sull’acqua, nella corrente: questo io chiamo ukiyo». Il punto più alto della cultura UKIYO si ha tra il 1688 ed il 1705 ed i centri principali sono EDO (500.000 residenti fissi, cui s’aggiungono gli o-staggi permanenti – mogli e figli – dei DAIMYO e gli stessi Signori con relative scorte, quando ob-bligati a risiedervi), KYOTO (400.000 abitanti), ed OSAKA (350.000 abitanti). Un altro periodo for-tunato della cultura UKIYO è quello compreso tra il 1804 ed il 1829, con EDO quale città letteraria per eccellenza. UKIYO-E. – "Immagini (o “Pittura”) del Mondo Mutevole" (o “Fluttuante” o “Galleggiante”). For-ma d’arte associata alla cultura UKIYO. Si tratta soprattutto d’incisioni su legno (quindi facilmente

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duplicabili) di soggetto mondano, volti ad esaltare la vita terrena, al tempo considerate di scarso va-lore artistico. [si veda anche la voce “Giappone. Arte”, nella Terza Parte]. UKIYO-SOSHI. – Così sono chiamati i romanzi – erotici e di costume, soprattutto – che si diffon-dono con l’affermarsi della cultura UKIYO, all’inizio del Periodo EDO (1603-1867). UKO. – È termine anatomico che indica il nervo laterale del collo. UMABARI. – “Ago di cavallo”. Pugnale, lungo da 15 a 30 cm, con lama a due fili, a sezione triango-lare o quadrangolare appiattita. La lama è forgia-ta in un solo pezzo con l’impugnatura, che spesso è intarsiata e, talvolta, a forma di vajra (saetta simbolica buddista). Si porta con la KATANA, al po-sto del KOGAI, ed è usato anche come sprone per il cavallo. UMA-SHIRUSHI. – “Insegna del cavallo”. Ven-taglio da cerimonia, stendardo di rappresentanza; deriva dal ventaglio SASHIBA. Gli SHOGUN TOKU-GAWA si fanno precedere da un UMA-SHIRUSHI “da processione” a forma di ventaglio – fatto in modo da girare con il vento – di carta (18 fogli incollati), ricoperto di seta e da una lamina d’oro, montato su un’asta di 4,5 metri. Gli UMA-SHIRUSHI degli al-tri principi e dei capi Clan sono di seta, non così grandi come il vessillo dello SHOGUN, ma raggiun-gono dimensioni comunque ragguardevoli e sono montati su aste lunghe 150 centimetri. Sono de-corati con ciuffi di fibra o crine di cavallo (in o-maggio alla tradizione marziale dei BUSHI, nobili cavalieri) e sono portati, in battaglia, sopra gli stendardi personali. UMAYA. – “Scuderia”. È quella che non manca mai nell’abitazione di un BUSHI, che si tratti di un sa-murai-contadino (JI-SAMURAI) o di un DAIMYO. UMETADA MIOJU. – Armaiolo del 1600. UMI. – “Mare”. UNDO. – “Esercizio”. UNDO KOTE GAESHI. – Torsione interna e compressione del polso. Fa parte degli esercizi fi-sici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). UNDO NIKYO. – 2° gruppo d’esercizi: torsione esterna e compressione del polso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). UNDO SANKYO. – 3° gruppo d’esercizi: torsione e stiramento del polso. Fa parte degli esercizi fi-sici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA).

URA. – “Retro”; “di dietro” (rispetto all’avversa-rio). “Opposto”, “contrario”, “negativo”. Tecnica eseguita in “assorbimento”. È un metodo d’esecu-zione delle tecniche che, in AIKIDŌ, quasi sempre, si possono eseguire sia in URA WAZA [da dietro, entrando dietro l’avversario; circolare] sia in O-MOTE WAZA [di fronte, entrando davanti all’av-versario; diretta]. URA rappresenta principalmen-te l’aspetto nascosto delle cose, il retro, il loro rovescio. È sinonimo, concettualmente, di TENKAN.

– “Esterno”; “rovescio”, “rovesciato”, “rove-sciato sul dorso”.

– “Sotto”. Anche SHITA. URABE TOMOTAKA. – Vero nome di TSUKAHARA BOKUDEN, il leggendario SAMURAI. URA-GERI. – “Calcio eseguito all’indietro”. S’in-tende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. Anche USHIRO-GERI. URAKEN. – “Rovesciato”. URAKEN UCHI. – “Pugno rovesciato, di dorso”. URA-KUATSU. – Tecniche di rianimazione (KUA-TSU) praticate a livello dorsale. URUSHI. – “Laccatore”. Dal Periodo JOMON (cir-ca 7500-300 a.C.) in poi, la lacca è usata sia per decorare gli oggetti sia per impermeabilizzarli (quelli di vimini, soprattutto). La corporazione dei laccatori (urushi-be) è una delle più antiche ed importanti tanto che, nel Periodo NARA (710-794), il Governo incoraggia la coltivazione dell’albero urushi-no-ki (Rhus vernicifera), la cui linfa serva a produrre la base della lacca. Lo stile dei decori, d’impronta cinese e coreana fino al Pe-riodo HEIAN (794-1156), acquisisce uno spiccato carattere giapponese ed i prodotti degli artigiani laccatori diventano vere e proprie opere d’arte. USHIN. – “Pensiero fisso”. Indica un atteggia-mento mentale superficiale, di fissità. MUSHIN è il suo opposto. USHIRO. – “Indietro”. “Dietro”, “retro”; “dorsa-le”. USHIRO DORI. – “Prendere da dietro, immobi-lizzando”. AITE attacca circondando, da dietro, le spalle. USHIRO DORI UNDO. – Estensione frontale (semicaduta). Fa parte degli esercizi fisici specia-lizzati (AIKITAISO), quelli di base, che si pratica-no da soli (TANDOKU DOSA). USHIRO DORI ZENGO. – “Cinturamento”, da dietro, all’altezza del plesso solare. Anche USHIRO UWATE DORI. USHIRO ERI DORI. – “Presa al bavero/collo, da dietro”. Presa al bavero/collo con una mano, da

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dietro. AITE afferra TORI al bavero (o al collo), standogli alle spalle. Anche USHIRO ERI KUBI DORI. USHIRO ERI DORI MEN UCHI. – “Presa al ba-vero, con colpo, da dietro”. Presa al bavero con una mano, più fendente al capo, da dietro. AITE afferra TORI al bavero e lo colpisce al capo con un MEN USHIRO ERI KATA SODE DORI. – “Quarta presa alle maniche, da dietro”. USHIRO ERI KUBI DORI. – Si veda USHIRO ERI DORI. USHIRO ERI OBI DORI. – “Ottava presa al ba-vero, da dietro”. AITE, da dietro, blocca TORI af-ferrandogli il collo. L’azione difensiva di TORI comprende un passo in avanti, un abbassamento del busto, con rotazione, in modo da ritrovarsi con l’aggressore di fronte; un ATEMI al costato di AITE contribuisce a distrarlo, prima della definiti-va proiezione a terra. USHIRO GERI. – “Calcio all’indietro”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. Anche URA-GERI. USHIRO HIJI DORI. – “Presa al gomito, da die-tro”. Presa ad un gomito con una mano, da dietro. AITE afferra l’esterno del gomito di TORI, stan-dogli alle spalle. USHIRO HIJI-ATE. – “Percossa di gomito, all’indietro”. USHIRO KAMI DORI. – “Presa per i capelli, da dietro”. USHIRO KATA DORI. – “Presa alla spalla, da dietro”. Presa ad una spalla con una mano, da die-tro. AITE afferra TORI ad una spalla, standogli dietro. USHIRO KATA DORI MEN UCHI. – “Presa alla spalla con colpo, da dietro”. AITE afferra TORI ad una spalla e lo colpisce al capo con un MEN TSUKI, standogli dietro. USHIRO KATA TE DORI. – “Presa al polso, da dietro” generica. Presa ad una mano con una mano, da dietro. AITE afferra il polso o l’avambraccio di TORI, standogli alle spalle. USHIRO KATA TE DORI ERI JIME. – “Nona presa al bavero, da dietro”. AITE, oltre alla presa al polso, da dietro, blocca TORI afferrandogli il collo. L’azione difensiva di TORI comprende un col-po al piede di AITE, con il tallone, un abbassamen-to del busto, con rotazione, in modo da ritrovarsi con l’aggressore di fronte; un ATEMI al suo viso contribuisce a distrarlo, prima della definitiva proiezione a terra.

USHIRO KATA TE DORI KUBI SHIME. – “Pre-sa al polso con strangolamento, da dietro”. Presa ad una mano con una mano, da dietro, più strango-lamento. AITE, afferra il polso di TORI e stringe il suo collo, per strangolarlo, standogli alle spalle. USHIRO KATA TE KATA. – “Presa a spalla e polso, da dietro”. AITE afferra contemporanea-mente polso e spalla di TORI, standogli dietro. USHIRO KATA TE MUNE DORI. – “Presa ad un polso ed al petto, da dietro”. AITE afferra un pol-so di TORI e, contemporaneamente, anche il suo petto, standogli alle spalle. USHIRO KATA TE RYO TE DORI. – “Presa con entrambe le mani ad un polso, da dietro”. AITE af-ferra con le due mani un polso di TORI, standogli alle spalle. USHIRO KIRI OTOSHI. – “Proiezione che rove-scia AITE sul dorso”. “Caduta in diagonale da die-tro”. Tecnica-base di proiezione (KIHON NAGE WA-ZA). USHIRO KUBI SHIME. – “Strangolamento stando alle spalle”. AITE stringe il collo di TORI, standogli alle spalle, per strangolarlo. USHIRO MUNE DORI. – “Presa al petto, da die-tro”. AITE afferra TORI al petto, standogli alle spalle. USHIRO OSHI-AGE TE DORI. – “Settima pre-sa di polso (o di braccio), da dietro”. USHIRO RYO ERI DORI. – “Presa al bave-ro/collo, da dietro, con entrambe le mani”. Presa al bavero/collo con due mani, da dietro. AITE af-ferra con due mani TORI al bavero (o al collo), standogli alle spalle. USHIRO RYO ERI JIME. – “Presa al petto con le due mani incrociate, da dietro”. AITE afferra i baveri di TORI incrociando le braccia, standogli al-le spalle. USHIRO RYO HIJI DORI. – “Presa ad entrambi i gomiti, da dietro”. Presa ai due gomiti con due mani, da dietro. AITE afferra i gomiti i TORI, standogli alle spalle. USHIRO RYO KATA DORI. – “Presa ad en-trambe le spalle, da dietro”. Presa alle due spalle con due mani, da dietro. AITE afferra le spalle di TORI, standogli dietro. USHIRO RYO KATA SODE DORI. – “Quinta presa alle maniche, da dietro”. USHIRO RYO TE DORI. – “Sesta presa di polso (o di braccio), da dietro”. “Presa ad entrambi i polsi, da dietro”. Presa alle due mani con due mani, da dietro. AITE afferra con le mani entrambi i polsi di TORI, standogli alle spalle.

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USHIRO RYO UDE DORI. – “Cinturamento”, da dietro, che blocca le braccia. USHIRO SHITATE DORI. – “Cinturamento”, da dietro, al disotto delle braccia. USHIRO SHITATE KUMI TSUKI. – “Quarta presa alla cintura, da dietro”. L’azione difensiva di TORI prevede, normalmente, una tecnica di lussa-zione o chiave articolare (ROFUSE). USHIRO SODE DORI. – “Presa alla manica, da dietro”. AITE afferra la manica o l’interno del go-mito di TORI, standogli alle spalle. USHIRO TEKUBI DORI KOTAI UNDO. – E-stensione rovesciata dei polsi in basso. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). USHIRO TENKAN. – “Spostamento base” (TAI SABAKI) dell’AIKIDŌ. Rotazione sul piede arretra-to. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AI-KITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Allorquando eseguito con un compagno, che tiene o afferra il polso, rientra tra i SOTAI DOSA, gli esercizi fisici specializzati che si praticano in coppia, senza caduta. USHIRO TSUGI ASHI. – Movimento TSUGI A-SHI fatto all’indietro. USHIRO UKEMI. – “Caduta all’indietro”. Fa par-te degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Anche MA-UKEMI. USHIRO UTATE KUMI TSUKI. – “Terza presa alla cintura, da dietro”. L’azione difensiva di TORI prevede, normalmente, una tecnica di lussazione o chiave articolare (ROFUSE).

USHIRO UWATE DORI. – Si veda USHIRO DORI ZENGO. USHIRO WAZA. – Tecniche in cui AITE attacca TORI alle spalle. AITE è convinto di credersi fuori pericolo, ma da dietro è pericoloso tanto essere presi quanto afferrare. È necessario che TORI tenga costantemente aperte le “finestre dello spirito”, come avesse occhi dietro la testa: solo così può allenarsi ad acuire la sensazione che, poi, gli consente di prevedere ciò che accade dietro di lui. USHIRO-SHAKUTAKU. – Parte superiore inter-na del polso. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. USHIRO-SO-KUATSU. – “Procedimento dorsa-le”. Tecnica integrale di rianimazione (SO-KUATSU), che si applica al dorso del soggetto, sdraiato bocconi (sulla pancia). UTE. – “Colpite!” UTO. – “Radice del naso”. Punto naso-frontale. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. Pure CHUTO. UTSU. – “Colpire”. UTSUBO. – Tipo di faretra. È di legno laccato o vimini, rivestita di pelle, di forma particolare e con coperchio. Si porta appesa al fianco. UTSUI. – “Spostamento”. UTSURU. – “Spostare”. UWAGI. – “Casacca” del KEIKOGI (anche GI). UWATE. – “La mano migliore”. UZUSHIO. – “Marea vorticosa”. Classe di som-mergibili contemporanei d’attacco.

- V -

- W -

WA. – ”Pace”, “accordo”, “armonia”. È considera-to, così come il Tao, il principio essenziale dell’u-niverso: l’eterno equilibrio di Yin e Yang, attivo e passivo, positivo e negativo, che crea e che di-strugge. WA è anche “il” DO, la “Via suprema” che gli esseri umani devono seguire per giungere alla

perfetta unione con l’universo ed è quindi espres-sione di Dio, dell’Essere Supremo, dell’Energia co-smica. È il “Principio divino”, l’armonica serenità dello spirito unito con l’universo.

– ”Io”, in giapponese antico.

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– “Nano”. È l’ideogramma con cui, negli antichi testi cinesi, s’indicano i Giapponesi. Pare sia la trascrizione ideogrammata del fonema con cui i Giapponesi indicano se stessi. WA-BASHIRA. – “”Colonna di maschio”. Questo termine indica i pilastri terminali ed i pali di una ringhiera o del parapetto di un ponte. È anche la forma della mitologica “Lancia Gioiello del Cielo” (NU-BOKO), utilizzata dalla coppia di dei IZANAMI-NO-MIKOTO ed IZANAGI-NO-MIKOTO per creare le isole giapponesi. Tale forma sottintende non solo un qualche tipo di culto fallico, nel Giap-pone preistorico (vestigia di tale culto sono anco-ra presenti in cerimonie tradizionali, come la pro-cessione da TAGATA-JINJA a OGATA-JINJA), ma anche il “pilastro centrale” che rappresenta l’asse terrestre. WABI SABI. – È uno stile estetico spesso rap-presentato nella costruzione delle Case per il tè, le CHA-NO-YA. Wabi identifica il silenzio, la sem-plicità un po’ rustica, la freschezza. Sabi è la serena bellezza che accompagna l’avan-zare dell’età. WADO RYU. – “Scuola della Via dell’Armonia”. È una scuola di KARATE fondata, nel 1939, da OTSU-KA HIDENORI, discepolo di FUNAKOSHI GICHIN. Lo stile insegnato è meno violento che quello SHOTO-KAN, usa poche tecniche di calcio, ha movimenti naturali e prende i movimenti di base dallo JU-JUTSU. Il KARATE di questa scuola predilige la “Via dell’Armonia” (WA-NO-MICHI) e le schivate. WAGAKUSHA. – Movimento politico, classicista e nazionalista. Attivo dal secolo XVIII, si oppone violentemente ai KANGAKUSHA, mirando ad esalta-re integralmente l’anima, la cultura, la storia giap-ponese; grazie a questo movimento può rinascere lo SHINTO. WA-JUTSU. – “Arte della Concordia”; “Arte del-la Pace”. È una recente (1983) Disciplina, sintesi – operata dal francese Jaques Quero – d’altre Arti Marziali del BUDO moderno, tra cui AIKIDŌ, JUDO, KARATE, alle cui terminologie fa riferimento. Alle tecniche proprie di queste Discipline, si aggiungo-no caratteristiche proprie di Yoga, ZEN e Tao: esperienziali, filosofiche, mistico-esoteriche. Non esistono gare, spettacoli o competizioni: fine dell’allenamento è l’armonico sviluppo fisico-spirituale dei praticanti, che cercano di realizza-re il WA (l’”armonia universale”) in sé e nella pro-pria vita, privata e pubblica. Gli allenamenti sono concentrati soprattutto nello studio dei KATA e nel RAN DORI e si svolgono normalmente, sul TATA-

MI del DOJO. Al tipico KEIKOGI si può sostituire una giacca (UWAGI) con HAKAMA; titoli e gradi (ri-lasciati dalla Federazione Francese di WA-JUTSU) differiscono dai corrispondenti riconosciuti dagli altri BUDO, così come i colori delle cinture sono diversi. WAKA SENSEI. – “Giovane Maestro”. Di norma è titolo che compete al giovane successore – quasi sempre il figlio – del fondatore di un DOJO o di un’Arte Marziale. WAKABAYASHI KEIKO. – (1931) Cantante lirica e pianista, è Maestra di spada, lancia, bastone,JU-JUTSU e di AIKIDŌ (allieva di UESHIBA KISSHOMA-RU dal 1960 circa). Da quando, nel 2000, è andata in pensione, s’è stabilita in Toscana, a Rosignano, ma è spesso chiamata a tenere corsi in molti Paesi europei. Dal 2001 insegna AIKIDŌ e JU-JUTSU (forse più adatto ai militari, dato che, più pro-priamente, è un’Arte di combattimento) ai para-cadutisti della Folgore, a Cecina e nella caserma di Livorno e tiene corsi per bambini a Rosignano. A chi le domanda quando intende smettere, ri-sponde: «Continuerò fino all’ultimo giorno. Far vo-lare paracadutisti è un divertimento che tiene giovani…». WAKARU. – “Tagliare in due”, “separare”, “com-prendere”. È con riferimento al fatto che ci sen-tiamo separati dal Tutto finché non comprendia-mo che il Tutto siamo noi stessi. WAKATO. – “Ufficiale istruttore”. WAKI. – “Difesa di lato”.

– Attore principale del teatro NŌ: è l’av-versario del protagonista, chiamato SHITE. WAKI GATAME. – Chiave articolare di braccio, eseguita lateralmente (al suolo). WAKI KAMAE. – “Guardia laterale”, con la spada. L’arma è tenuta orizzontalmente, di lato. WAKIZASHI. – “Compagno di cintura”: spada corta classe SHO-TO. Per legge, unicamente i SA-MURAI possono portare le due spade, questa e la KATANA, a formare il DAI-SHO. La lama della WA-KIZASHI, di circa 45 cm, ha tutte le caratteristi-che tecniche della spada più lunga che accompa-gna, così come i suoi accessori – spesso accompa-gnato da KOZUKA e KOGAI – sono elaborati quanto quelli della KATANA. Questa spada, che non è mai abbandonata, essendo motivo d’orgoglio per il proprietario, è anche chiamata “guardiana del suo onore”: serve, infatti, per il suicidio rituale, il SEP-PUKU. Solo in determinate circostanze è consenti-to che i non appartenenti alla classe SAMURAI por-tino, come arma, la sola WAKIZASHI.

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WAKO. – “Ladri nani”: così i cinesi chiamano i pi-rati giapponesi. Le scorrerie dei pirati contro le coste coreane e cinesi – tra la fine del 1300 e l’i-nizio del 1400 – si trasformano, spesso, in vere e proprie spedizioni, talvolta condotte da SAMURAI, con WAKO a cavallo che razziano anche l’interno di quei Paesi. WAN. – “Braccio”. ZEN-WAN è l’avambraccio. WANJU. – Parte interna del braccio, verso l’a-scella. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. WA-NO-MICHI. – “La Via dell’Armonia”. WASA DAIICHIRO. – (1663-1713) Celeberrimo – e tuttora imbattuto – arciere, nativo della pro-vincia di Kii. La tradizione vuole che dall’alba al tramonto di un giorno dell’aprile 1686, nel santua-

rio Sanjusangendo (KYOTO), WASA DAIICHIRO rie-sca a scoccare 13.053 frecce, delle quali 8.133 colpiscono il bersaglio, lontano 63 metri. Ancora oggi, ogni anno, nella stessa località e nelle mede-sime condizioni di gara si svolge un torneo tra i migliori arcieri: nessuno, ancora, è riuscito a far meglio di WASA DAIICHIRO. WASHIDE. – “Dita a becco d’aquila”. WASURERU. – ”Dimenticare”. WAZA. – “Tecnica”. Può anche intendersi come la pratica applicazione dei KATA, sia in attacco sia in difesa. Indica, anche, una “tecnica superiore”, trasmessa direttamente dal Maestro al discepolo, per elevarlo sopra gli altri uomini e dargli una forza di là della sua forza.

- X -

- Y -

YA. – “Freccia”. L’asta è di legno leggero – o, più spesso, bambù stagionato –, di norma lunga da 90 a100 cm, ma anche più lunga. Ha sempre triplice impennaggio di penne (d’aquila, falco o avvoltoio) ed è molto adatta al tiro teso, che la rende mici-diale sulle brevi distanze. La freccia può avere cuspidi (YA-NO-NE) di numerosissime fogge e di-mensioni; normalmente, per la guerra, sono d’acciaio e con lungo codolo. In combattimento, in caso di necessità, le frecce possono anche essere scagliate a mano od utilizzate, nel combattimento a corpo a corpo, come piccole lance. Le frecce so-no trasportate in apposite e caratteristiche fa-retre, che possono essere aperte (EBIRA) o chiuse (UTSUBO, YADZUTSU), portate appese alla spalla o al fianco o trasportate per mezzo d’intelaiature. YABURI-DOJO. – È un’antica usanza, in vigore dal secolo XV in poi: la sfida tra RYU che pratica-no la medesima Arte, magari con stili differenti. Il Maestro di un RYU, accompagnato o meno dai suoi allievi, talvolta sfida pubblicamente quello di un’altra scuola, sia per metterne alla prova il valo-re e la competenza tecnica, sia per ragioni di “concorrenza” (non si dimentichi l’imponente dif-

fusione di scuole marziali, sparse in tutto il Pae-se). Lo sconfitto, oltre a “perdere la faccia” (il prestigio), se non addirittura la vita, è spesso ab-bandonato dai propri allievi che, non è raro, se-guono il vincitore. Oggi lo YABURI-DOJO – chiamato anche DOJO-ARASHI, “tempesta nel DOJO” – esiste ancora, ma solo come amichevole competizione fra palestre. Anche DOJO-YABURI. YABUSAME. – Metodo d’allenamento al tiro con l’arco, da cavallo. Lo YABUSAME, inizialmente, è pensato, alla Corte di Heian-kyo (KYOTO), come forma d’intrattenimento spettacolare, basato sull’abilità degli arcieri a cavallo (Periodi HEIAN e ROKUHARA, dal 794 al 1185). Del metodo, durante il successivo Periodo KAMAKURA (1185-1333), si servono poi i BUSHI che seguono il KYUBA-NO-MICHI (la “Via dell’arco e del cavallo”), per l’adde-stramento. Questo stile “classico” di YABUSAME è ideato dal primo SHOGUN del Giappone prefeuda-le, MINAMOTO-NO-YORITOMO, e prevede che nu-merosi cavalieri (da 7 a 36), indossando un abito da caccia, mentre cavalcano al galoppo entro una corsia lunga 220 metri, delimitata da due staccio-nate, colpiscano piccoli bersagli, posti ogni 3 me-

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tri lungo il percorso. I bersagli sono dei quadrati di legno, collocati su paletti alti 150 cm infissi nel terreno, oppure posati sulla testa di coraggiosi assistenti. TOKUGAWA Yoshimune – SHOGUN dal 1716 al 1745 ed ottimo arciere egli stesso – fonda lo stile e la scuola KISHA HASAMI MONO e lo YABU-SAME diventa rito ufficiale della Corte shogunale. Ancora oggi lo YABUSAME è popolare ed è pratica-to – nella forma “classica”: più che attività sporti-va è una cerimonia religiosa tradizionale, con la presenza di sacerdoti Shintoisti – da due scuole, l’OGASAWARA RYU e quella di EDO. Naturalmente sono utilizzate frecce non letali (HIKIME). Varianti di questa Disciplina sono il KASA-GAKE ed il TOKA-SA-GAKE. YADZUTSU. – Tipo di faretra. È adatta per pro-teggere le frecce da pioggia e umidità: infatti, è una lunga cassetta, di legno laccato, con piccolo coperchio laterale. Per trasportare la YADZUTSU si usa un’intelaiatura. YAGURA. – Termine generico per “torre”, “tor-retta di difesa”. Indica la torretta a balcone che sormonta o fiancheggia il portone d’ingresso al recinto (HATAITO, TSUIJI) in cui sorge la casa del BUSHI (vi prendono posto gli arcieri). Indica an-che le piccole torri in muratura edificate sulle mura dei castelli, per difesa, residenza o deposi-to. In questo caso si distinguono in tamon yagura (galleria coperta continua), sumi yagura (torre d’angolo), tsuzuki yagura (torre di collegamento) e watari yagura (torre di avvistamento). YAGYU. – Villaggio natale dell’omonima Famiglia di SAMURAI, nei pressi di NARA. YAGYU MITSUYOSHI. – (1607-1650) Celebre spadaccino monocolo, conosciuto come JUBEI. È figlio di YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI e ni-pote di YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI. È seguace, naturalmente, dello YAGYU SHINGAN RYU e dello YAGYU SHIN-KAGE RYU. YAGYU RYU. – Scuola di TAI-JUTSU (poi JU-JUTSU), TESSEN-JUTSU, KEN-JUTSU e IAI-JUTSU, BO-JUTSU, NAGINATA-JUTSU. I fondatori sono YA-GYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI e suo figlio YA-GYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI, che nel 1603 le attribuisce il nome di YAGYU SHINGAN RYU. La scuola è ancora attiva. YAGYU SEIGO RYU. – Scuola di BATTO-JUTSU, fondata da Nagaoka Torei Fusashige tra il 1690 ed il 1700. È ancora in attività. YAGYU SHINGAN RYU. – È il nome assunto nel 1603 dalla scuola YAGYU RYU. In questa scuola le

Discipline (JU-JUTSU e KEN-JUTSU, tra le altre) si praticano con indosso l’armatura classica da SA-MURAI, la YOROI. La scuola è ancora attiva. Nel 1903, al tempo del suo servizio militare, UE-SHIBA MORIHEI studia KEN-JUTSU e JU-JUTSU con il Maestro Nakai Masakatsu, dello GOTO-HA YAGYU SHINGAN RYU, “scuola derivata” dello YAGYU SHIN-GAN RYU,. YAGYU SHIN-KAGE RYU. – È l’altro nome della scuola SHIN KAGE RYU, così conosciuta dopo l’ope-ra d’innovamento condotta da YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI. YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI. – (1571-1647) SAMURAI, Maestro ZEN (ROSHI) e di KEN-JUTSU. È il quinto figlio di YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI e padre di YAGYU MITSUYOSHI JUBEI. Maestro d’armi nella Famiglia TOKUGAWA – dove entra al servizio del secondo SHOGUN, Hide-tada, come istruttore di HEI-HO – acquisisce il rango nobiliare nel 1636, grazie allo SHOGUN TO-KUGAWA IEMITSU, di cui è consigliere, amico e, pa-re, capo dei suoi METSUKE (non si spiega altrimenti il favoloso stipendio di 12.000 KOKU annui di riso: ONO JIROU UEMON TADAAKI, Maestro d’armi a vita dello shogunato e suo contemporaneo, ne percepi-sce 700). YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI – che è tra i fondatori dello YAGYU RYU, cui nel 1603 attribuisce il nome di YAGYU SHINGAN RYU – è autore d’alcune opere sul KEN-JUTSU, tra cui l’HEI-HO-KADEN-SHO (“Tradizione familiare sull’Arte dei Guerrieri”) ed il Gyokusei-shu. Ecco un paio delle sue riflessioni. «Con la mente fissa da nessuna parte, non c’è posto dove il male possa attaccarsi. Diventare ciò che si ha imparato ad essere, andare oltre alla memorizzazione e alla conoscenza, è il segreto di padroneggiare ogni ar-te». «L’arte della guerra consiste nel riconoscere la gravità di determinati eventi prima che questi accadano. L’arte della guerra nel tempo di pace consiste nel non chiudere gli occhi… nel prevedere certe situazioni prima che si manifestino». YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI. – (1527-1606) SAMURAI e Maestro di KEN-JUTSU, nasce a Yagyu, villaggio presso NARA, come SEKI-SHUSAI MUNEYOSHI. È il propugnatore della dot-trina spirituale di combattimento MUTO (“senza spada”), in accordo con il principio MUTEKATSU (“schivare con lo spirito”) del monaco ZEN e Mae-stro d’Arti Marziali TAKUAN SOHO, e con il KEN-NO-SHINZUI, l’”Arte di risolvere i problemi senza usare la spada”. È padre di YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNENORI – che riesce a “sistemare” come

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Maestro d’armi nella Famiglia TOKUGAWA – ed an-che tramite, pare, fra TOKUGAWA IEYASU ed i Clan NINJA, che questi arruola per azioni di spionaggio e sabotaggio, nelle fasi finali della lotta per la riunificazione nazionale (inizi del 1600). YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI è uno dei fondatori dello YAGYU RYU di KEN-JUTSU – che s’ispira all’AI-ZU KAGE RYU di AIZU IKO – e innova la scuola SHIN KAGE RYU, conosciuta poi anche come YAGYU SHIN-KAGE RYU. YA-HAKI. – “Fabbricante di frecce”. Spesso è un vero artista, talvolta geniale nelle sue creazio-ni ed offre un assortimento vastissimo di frecce (YA) e, soprattutto, di punte (YA-NO-NE, “cuspidi”) al BUSHI. YAKIBA. – “Taglio indurito, temprato, di una la-ma”. L’aspetto è quello di una striscia screziata, perlacea, larga da 8 a 13 mm, che corre lungo il taglio della lama ed il cui disegno è chiamato HA-MON [si veda]. La perfetta preparazione della YA-KIBA (considerata una delle più importanti opera-zioni nella fabbricazione di una spada, se non quella fondamentale) dipende da numerosi fattori: dalla composizione della miscela d’argilla, sabbia e polvere di carbone con cui si ricopre la lama alla temperatura del fuoco che serve a riscaldarla, dalla temperatura dell’acqua di raffreddamento alla sua qualità. L’unione di un taglio temprato ab-binato ad un corpo di lama relativamente tenero, dolce, è quella che rende le lame giapponesi giu-stamente famose e tecnicamente insuperabili. L’affilatura della parte terminale della lama (BO-SHI) è particolarmente importante e lì i contorni hanno nomi particolari. Sul codolo della lama, tal-volta, oltre che firma del Maestro ed anno di fabbricazione, è impresso il numero corrispon-dente al mese il cui la lama è stata temprata: ga-rantisce che l’acqua ha la temperatura ottimale (il migliore, pare, è l’ottavo). YAKO. – “Cordoni testicolari”. Parte superiore in-terna della coscia, in corrispondenza della spina pubica. KYUSHO, “punto vitale” o “debole” per gli ATEMI. YAKU. – “Rovesciato”; “inverso”. YAKÙ. – “Bruciare”. YÀKU. – “Traduzione”. YAKU YOKO MEN UCHI. – “Fendente rovescia-to diagonale al capo”. YAMA. – “Montagna”. YAMABUSHI. – “Coloro che dormono sulla Mon-tagna”. “Guerrieri dei Monti” (a volte sottintende “Eremiti delle Montagne”). Sono i monaci-

guerrieri, appartenenti principalmente ai grandi monasteri buddisti delle montagne – soprattutto a Kumano, Omine, Kimbusan – legati specialmente alle scuole esoteriche SHINGON e TENDAI o se-guaci dello SHUGENDO. Chiamati a volte Yamabu-shi-no-gyoja oppure shugenja, spesso vivono in romitaggio, praticando ascesi ed Arti Marziali, per fortificarsi nello spirito e nel corpo. Gli YA-MABUSHI – che di norma hanno i capelli totalmente rasati, oppure incolti – in pratica non montano mai a cavallo, tranne quando sono capi di guerra. Come tutti i guerrieri usano l’arco e la spada, ma la loro arma preferita è la NAGINATA, cui talvolta s’ac-compagna la mazza di ferro. Il popolo li reputa dotati di poteri magici e, probabilmente, a loro si deve la nascita della figura mitologica dei TENGU. Al secolo X risalgono le menzioni, in opere di let-teratura epica, delle prime confraternite YAMA-BUSHI, contrapposte ai NOBUSHI, “Coloro che dormono in pianura”. I monaci-guerrieri sono bel-licosi al pari – se non di più (e quindi ben lontani dagli ideali buddisti!) – degli altri combattenti e non esitano a difendersi contro chiunque accampi pretese sui loro territori. Come qualsiasi altro guerriero, gli YAMABUSHI indossano armature (con sopra, a volte, lunghe tuniche dai caratteristici colori) e seguono un codice di comportamento che prevede il SEPPUKU. La ricerca di poteri magici, soprannaturali, li spinge alla pratica assidua nelle Arti Marziali, con l’uso di IN e mantra [si veda KU-JI-KIRI]. Nel secolo XV, ormai invasi i templi da impostori e imbroglioni, falsi monaci e fattucchie-ri, i veri YAMABUSHI si raggruppano in speciali congregazioni e cercano di mettere ordine nelle varie comunità del Paese. La fine delle confrater-nite YAMABUSHI si ha, in pratica, con la Restaura-zione MEIJI e, soprattutto, l’abolizione ufficiale dello SHUGENDO, nel 1872. Gli YAMABUSHI, comun-que, restano tra i maggiori protagonisti della sto-ria giapponese dal secolo X al XVI, unitamente ai monaci-samurai SOHEI ed agli “uomini dei templi” (shinjin). Il loro ruolo militare ha termine solo nel 1571, quando ODA NOBUNAGA, per porre fine alle rivolte nelle campagne che caratterizzano l’intero secolo XVI, distrugge i monasteri del monte Hiei ed uccide tutti quelli che si trovano sulla “monta-gna”. YAMADA. – Scuola di musica per KOTO. Risale al secolo XVIII ed il suo repertorio – che si distin-gue per alcuni aspetti stilistici da quello della scuola IKUTA – è quello che domina il campo della

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musica strumentale (insieme, appunto, a quello di IKUTA). YAMADA HEIZAEMON. – (...-1578) Famoso spadaccino. Fonda, verso il 1560, lo JIKISHIN KA-GE RYU, scuola di KEN-JUTSU e NAGINATA-JUTSU. Gli allievi, per l’allenamento, usano la spada di le-gno (BOKKEN). YAMADA JIROKICHI. – (1863-1931) SAMURAI, e 15° Caposcuola dello JIKISHIN KAGE RYU, scuola di KENDO e NAGINATA-DO. È conosciuto soprattutto per le sue opere divulgative sul KENDO, inteso più come disciplina fisico-spirituale che attività spor-tiva o Arte Marziale: lo SHUYO SHOSEI-RON (“Trattato sull’insegnamento dello Spirito e della Vita”) e BUDO: KENDO RON (“Trattato di Kendo”). In questi libri YAMADA JIROKICHI – che tiene in gran conto la moralità individuale e sociale – riba-disce un concetto caro a molti altri Maestri: la spada, come lo ZEN, ha lo scopo di uccidere l’ego. YAMAGA RYU. – Scuola di KEN-JUTSU e JU-JUTSU fondata da YAMAGA SOKO. YAMAGA SOKO. – (1622-1685) Erudito confu-ciano, filosofo e SAMURAI. Appartiene al Clan AI-ZU ed è discepolo del filosofo confuciano Hayashi Razan. È autore di numerose opere – tra cui Sei-kyo Yoroku, Buke-jiri, Chucho Ju-jutsu – che gli valgono notorietà e prigionia (dieci anni circa, per aver criticato il comportamento dei funzionari dello SHOGUN). Negli scritti di YAMAGA SOKO – che non sono una guida pratica per i BUSHI – il termine BUSHIDO non compare mai, pur essendo le sue opere alla base di questa filosofia nel tempo di pace. Egli considera i SAMURAI responsabili mo-rali della società e, nelle sue opere, li sollecita a propugnare e realizzare i principi confuciani nella società del tempo. Allo scopo di meglio insegnare le sue teorie filosofiche, applicate praticamente, YAMAGA SOKO fonda una scuola d’Arti Marziali, la YAMAGA RYU. Ancora oggi la sua tomba, nel tempio di Sosan-ji a Shinjuku (Tokyo), è visitata e vene-rata. [si veda BUSHIDO]. YAMAGUCHI GOGEN. – (1909-1989) Maestro di KARATE, detto “il Gatto”. Già Caposcuola del GOJU RYU fonda, nel 1955, lo stile KARATE-SHINTO. Al pari di altri, prima e dopo di lui, YAMAGUCHI GO-GEN tenta di infondere alla pratica del KARATE una carica spirituale, mistica, per farne una specie di religione, amalgamando i principi di KARATE-DO, ZEN, Yoga e SHINTO. YAMAJIRO. – “Castello di montagna”. Luogo for-tificato, edificato in posizione elevata (sommità di montagne o colline, valichi montani) a rinforza-

re posizioni già naturalmente predisposte alla di-fesa. YAMAMOTO TSUNETOMO. – (1659-1717) Det-to JOCHO, è l’ispiratore dell’HAGAKURE. Appartiene al feudo di Hizen (attuale provincia di Saga, vicino a Nagasaki, nell’isola di Kyushu), pro-prietà del Clan NABESHIMA. Il padre, Nakano Ji-nuemon, adottato dagli YAMAMOTO, ne assume il cognome e, con lui, tutta la famiglia. Nato in un periodo di pace, al termine delle guer-re civili, sotto il DAIMYO NABESHIMA Mitsushige, YAMAMOTO TSUNETOMO mal si adatta al nuovo pe-riodo storico e, vivendo nel pieno rispetto del BU-SHIDO, rimpiange – ed idealizza – un passato nem-meno troppo lontano, in cui il BUSHI incarna le mi-gliori virtù umane e guerriere. Entrato al servizio del DAIMYO all’età di nove anni, verso i venti in-contra Tannen, un monaco ZEN d’assoluta integri-tà e forte volontà, il cui pensiero riecheggia in numerosi passi dello HAGAKURE. Un altro modello di un’estrema fedeltà al Signore ed al sistema, ol-tre che suo Maestro, per JOCHO è Ittei Ishida, monaco buddista, erudito neo-confuciano, consi-gliere del DAIMYO. Alla morte di NABESHIMA Mi-tsushige, nel 1700, egli vorrebbe seguirlo, ma, poiché il suo stesso Signore ha proibito lo JUNSHI (con un decreto del 1661, ripreso dai TOKUGAWA nel 1662), gli è solo consentito di prendere i voti, diventare monaco buddista e di ritirarsi in isola-mento nel monastero di Korotsuchibaru, ad una dozzina di chilometri da Hizen. È qui che, nel 1710 accoglie come allievo TASHIRO TSURAMOTO, il qua-le trascrive, per sette anni, le loro conversazioni, raccogliendole infine negli undici volumi che costi-tuiscono l’HAGAKURE. YAMAOKA TESSHU. – (1836-1888) Leggendaria figura dell’ultimo Giappone feudale. Maestro ZEN e di KEN-JUTSU, fondatore del MUTO RYU (il “Si-stema della non-spada”) e Consigliere dell’Impe-ratore, è anche tra i più grandi e prolifici (si dice abbia composto oltre un milione di opere!) calli-grafi giapponesi mai esistiti. È ritenuto tra i mi-gliori seguaci di tre DO: KENDO, la Via della Spa-da, SHODO, la Via della Calligrafia e ZEN. Da Asari Gimei riceve (1881) il certificato formale che lo designa 13° Caposcuola della NAKANISHI-HA ITTO RYU. Designato (1885) 10° Caposcuola dell’ONO-HA ITTO RYU da Ono Nario, YAMAOKA TESSHU chiama la propria scuola ITTO SHODEN MUTO RYU, “il Si-stema della Non-Spada secondo la Corretta Tra-smissione di ITO ITTOSAI”, continuando ad inse-gnare nel DOJO denominato Shumpukan, la “Sala

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(KAN) del Vento di Primavera” (Shumpu, con rife-rimento alla poesia di un monaco buddista cinese del secolo XIII). Il concetto della “non-spada” non è nuovo [si vedano MUTO e YAGYU TAJIMA-NO-KAMI MUNEYOSHI], e YAMAOKA TESSHU, fedele al principio confuciano «Non creare un tuo insegna-mento, ma mantieni le strade degli antichi», si considera più restauratore che innovatore. YAMA-OKA TESSHU enfatizza, come UESHIBA MORIHEI, lo spirito piuttosto che la tecnica, consapevoli en-trambi che “se la mente è corretta, la tecnica sa-rà corretta”. YAMATO. – Antica regione del Giappone, a sud di NARA. È qui che, per la tradizione, JINMU TENNO fonda l’Impero giapponese, l’undici febbraio 660 avanti Cristo, dando origine alla Dinastia ancora oggi sul trono giapponese. Ed è sempre qui che, al-la fine del secolo VII/inizio dell’VIII opera AMA-KUNI, il primo fabbricante di spade di cui si cono-sce il nome.

– Nome delle tribù che, invadendo e conqui-stando sempre maggiori porzioni di territorio me-tropolitano, nel secolo I d.C. si evolvono in regno.

– Altro nome con cui è designato il Periodo KOFUN, epoca protostorica del Giappone, dal IV al VII secolo d.C.

– Classe di navi da battaglia della Seconda Guerra Mondiale, all’epoca tra le migliori al mon-do. YAMATO RYU. – Scuola d’Arti Marziali tradizio-nali, risalente al secolo XVII (1640 circa). Nel 1664 il Maestro MORIKAWA KOZAN riadatta e ri-maneggia le tecniche di KYU-JUTSU insegnate, dando vita al moderno KYUDO.

– Nome inizialmente attribuito al sistema di combattimento formalizzato da TAKEDA SOKAKU MINAMOTO-NO-MASAYOSHI. Egli, in seguito, chia-ma tale stile DAITO RYU AIKI-JUTSU, alla ricerca di una patente di “nobiltà” (DAITO è il nome della Casata di MINAMOTO-NO-YOSHIMITSU, che codifi-ca uno stile AIKI-JUTSU, il DAITO AIKIJUTSU, alla fine del secolo XI). YAMATO-DAMASHII. – Lo “Spirito Giappone-se”, che impregna l’intera cultura del Giappone feudale. YAMAUCHI SUKEMASA. – Spadaio del secolo XIII. Ha scritto: «Non è corretto pensare che la Katana sia usata solo per tagliare. Una vera Kata-na dovrebbe essere imbevuta con una fiamma sa-cra, per consumare le impurità, per acquisire il potere di togliere il destino negativo agli ostacoli e per assistere nel governo dello Stato. Così,

quando si prepara a lavorare su una Katana, un fabbro dovrebbe convince se stesso che egli è il Dio dell’Universo e, come il Dio del Fuoco, do-vrebbe guardare in tutte le direzioni e ottenere uno stato mentale incrollabile». YAMÈ. – “Interrompete”; “basta”, “fermi!”. È il comando per fermare l’allenamento e procedere nella lezione. Espressione arbitrale, è utilizzata per interrompere un combattimento e far tornare i contendenti nelle loro posizioni iniziali. YANAGI RYU. – Altro nome dello YOSHIN RYU. [si veda].

– È una forma di AIKI-JUJUTSU, poco cono-sciuta, derivata dal DAITO RYU AIKI-JUTSU; pre-vede anche l’utilizzo di armi quali pugnali, spade, e lance. YANKI. – Così sono chiamate le ragazze ribelli, nella moderna società nipponica, quelle che si truccano in modo eccessivo, esibizionista e mari-nano o abbandonano la scuola. Spesso fanno parte di un gruppo e trascorrono il tempo tra risse e droga. YA-NO-NE. – “Cuspide” (di freccia). Il fabbri-cante di frecce (YA-HAKI) offre al BUSHI un e-norme assortimento di dardi, con aste di varia lunghezza e, soprattutto, cuspidi d’ogni materiale, di tutte le forme immaginabili, adatte a qualsivo-glia scopo. Ci sono punte per la guerra e per l’al-lenamento, per tiro al bersaglio fisso ed al cane, per gli assedi o cerimoniali. Fischianti, a due o tre punte, ad arpione; a foglia di salice, normale o stretta, od a lingua di drago; incendiarie o “stra-zia carne”, a scalpello o “trapassa tende”, a punta segata o a punta di spada... Naturalmente, ogni ti-po di cuspide ha un suo nome particolare (KURIMA-TA, HIKIME, watakushi, ryokai, yanagi-ha, sankaku, togari-ya, kira-ha-hirane, tsubeki-ne, KABURA-YA, maku-nuki, kompaku-gata, eccetera). Ancora non esiste una classificazione organica di tutti i tipi di YA-NO-NE, seppure è possibile raggrupparle in quattro grandi gruppi: ▪ a foglia di salice (tanagi-ya); ▪ a punta di lancia (togari-ya); ▪ dentellata (watakushi). ▪ a due lame (KURIMATA); Le punte di freccia giapponesi, spesso, sono delle vere e proprie opere d’arte. YARI. – Termine generico per “lancia”. Identifi-ca, soprattutto, la lancia con ferro a lama diritta, dotato di lungo codolo, raramente di gorbia. La YARI – i cui primi esemplari, con ferro di bronzo, risalgono alla preistoria – è molto usata sia dai

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monaci-samurai SOHEI, abilissimi nel suo uso, sia dai guerrieri a piedi e a cavallo nel Periodo KAMA-KURA (1185-1333). Durante la Guerra di Onin (1467-1477) va di moda la YARI normale, mentre il modello a lama lunga è molto richiesto alla fine del secolo XVI, nel tardo Periodo MUROMACHI (1392-1573). Dei modelli prodotti prima del 1573, cioè prima del Periodo MOMOYAMA (1573-1603), due sono i tipi fondamentali, seppure con numero-se varianti: con lama a sezione triangolare (SAN-KAKU-YARI) e con lama a sezione romboidale (RYO-SHINOGI-YARI), cui in seguito s’aggiunge il tipo a sezione piatta (SU-YARI). Il triangolo può avere un lato più lungo degli altri e sgusciato, o i lati scana-lati; la sezione romboidale può essere con facce lisce o romboide con due lati sgusciati e due lisci; gli sgusci possono essere larghi o stretti, profon-di o superficiali, singoli o doppi, con estremità squadrate o tonde e così via. Alcune incisioni (HO-RIMONO) presenti sulla YARI hanno valore decora-tivo o simbolico: soggetti floreali, draghi, BONJI, fiamme, brevi poesie; spesso il fabbricante della lama appone la sua firma. L’asta di legno di quest’arma (NAGAYE), che può raggiungere i 4 me-tri, è di sezione normalmente rotonda, talvolta poligonale o a pera, è preferibilmente di quercia sempreverde (kashi bianca: è compatta, forte, resistente, elastica), ma si usa anche il bambù e la kashi rossa. La lama (la cui lunghezza varia dai 10-12 cm della YARI per i cavalieri ai 50 cm della SU-YARI) è montata sull’asta con estrema precisione; il lungo codolo inserito è legato con corda e rin-forzato con una fascetta di metallo (HABAKI). Quando la lama è dotata di gorbia, questa è si-stemata sull’estremità aguzza dell’asta e inchio-data di lato. Un manicotto di metallo (FUCHI) è in-filato sulla cima dell’asta; il FUCHI può essere di materiale diverso rispetto all’HABAKI ed entrambi sono spesso decorati con il MON del Clan o con in-cisioni a motivi floreali. Talvolta è presente, sull’asta, un fermamano di corda, mentre all’e-stremità inferiore è posta una sorta di calzuolo, una ghiera (HIRUMAKI o ISHIZUKI) di ferro od ot-tone, che funge sia da contrappeso sia (in certi modelli) da sostegno per una lanterna notturna ed anche da corpo contundente. Una sbarra d’acciaio o d’ottone (HADOME), con bracci irregolari, è spesso applicata sotto il ferro: serve a parare i colpi dell’avversario ed anche a spezzarne la lama. Il fodero della YARI, nelle sue varie forme, può essere di semplice legno (SHIRAZAYA) o lacca de-corata (SAYA). La scherma con la lancia (SO-JUTSU

o YARI-JUTSU) ha sempre avuto larga diffusione ed è insegnata – già dalla fine del secolo VIII – all’Accademia di Scienza Militare di KYOTO, uni-tamente all’uso della spada; gli allenamenti sono condotti utilizzando lance con cuspidi a palla di cuoio (KEIKO-YARI). YARI-ATE. – “Portalancia” o “poggialancia”. È in cuoio, ferro o rame e si assicura alla staffa (ABU-MI), alla sella o alla gamba, sempre a destra. Tal-volta la funzione di YARI-ATE è svolta da un foro nell’ABUMI. YARIDO. – Addestramento nella pratica dello YARI. YARI-JUTSU. – “Arte della scherma con la lan-cia a lama dritta”. Rientra nel KAKUTO BUGEI (le Arti Marziali principali) e fa parte – secondo la “Storia delle Arti Marziali” di Shige Taka Minatsu (1714) – delle “otto Arti da Guerra” del BUGEI, nelle quali ogni SAMURAI deve eccellere (oltre alle danze rituali che ognuno di loro deve conoscere). [si veda “ Antiche arti da guerra”]. YARI-KAKE. – “Rastrelliera” per lance. È in legno ed è verticale quando usata nei posti di guardia o altre installazioni militari mentre, se utilizzata nelle case – data anche la limitata altezza dei lo-cali – è orizzontale: le aste sono sorrette da file di pioli, il che consente anche un rapido uso delle lance in caso di necessità. YASUKUNI-JINJA. – “Il Santuario del Paese Pacifico”. È il tempio shintoista, in legno nero, che sorge accanto al KITANOMARU-KŌEN, il parco di Tokyo consacrato ai caduti nella Seconda Guerra Mondiale. Si racconta che, all’interno del tempio, scritti su foglietti di carta di riso, sono conserva-ti i nomi di tutti gli oltre tre milioni di morti giap-ponesi del conflitto, militari e civili. I foglietti, a rotazione, sono esposti in un cortile interno, ap-pesi ad un pannello: il vento muove i leggeri fogli ed i nomi “continuano a vivere”. Nel tempio, luogo di contatto con le anime dei ca-duti, questi sono tutti divinizzati, assurti al ruolo di KAMI, senza distinzione per i criminali di guerra giustiziati, al tempo, dagli Alleati. Questo fatto, unitamente alla commemorazione annuale cui partecipa il Governo, tuttora provoca le proteste dei Paesi aggrediti nella prima metà del secolo scorso. YASUMI. – “Riposo”. Normalmente indica l’inter-vallo tra due combattimenti d’allenamento o gara. YASURI. – È la serie di caratteristiche linee sgraffiate, con varie direzioni, ma sempre paral-lele, presenti sul codolo (NAKAGO) delle lame con

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lo scopo, rendendo scabrosa la superficie, di mi-gliorare l’aderenza della TSUKA. Queste linee sono praticate utilizzando una lima apposita (yasuri-me), con tecnica particolare, nelle fasi iniziali di fabbricazione della lama, quando il fabbro modella il codolo. Un esperto, esaminando le YASURI, può identificare sia l’epoca di fabbricazione della lama sia il fabbro. YASUTSUNA. – Mitico spadaio della provincia di Hoki, morto, pare, nell’anno 806. La tradizione vuole che dia alla KATANA la forma che ancora conserva, la caratteristica linea curva. YATTSU. – “Otto” in giapponese puro. In sino-giapponese è HACHI, per contare le persone (NIN) si dice HACHININ, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa HICHIHON. YAWARA. – Altro nome della lotta senz’armi KU-MI-UCHI. È da questa forma di combattimento, ri-salente al Periodo KAMAKURA (1185-1333) e prati-cata con indosso l’armatura, che si sviluppa lo JU-JUTSU, tanto che, nel Periodo EDO (1603-1867), i due vocaboli sono sinonimi. Pare che sia SEKIGUCHI JUSHIN HACHIROEMON MINAMOTO-NO-SONECHIKA ad utilizzare per primo il termine YAWARA nella sua scuola, il SEKIGUCHI RYU. YAYOI. – Era preistorica del Giappone; va dal 300 circa a.C. al 300 d.C. circa. È l’età mitica de-gli antichi Clan (UJI), dove si trasmettono i primi titoli ereditari. L’economia è sempre a base agri-cola e predomina la coltivazione del riso. Si hanno lavorazioni di bronzo e ferro, con la fusione di grandi campane. La lavorazione della ceramica ve-de l’introduzione della tecnica della ruota. YEFU-NO-DACHI. – Spada riservata unicamen-te a nobili di rango elevato, i “Nobili di Corte” o “Famiglie Nobili” (HONKE, KUGE) ed alle guardie del Palazzo imperiale. [si veda TACHI]. YEN. – Unità monetaria giapponese. Lo YEN è in-trodotta nel 1870, in sostituzione del dollaro d’argento messicano, che è ampiamente utilizzato in tutta l’Asia orientale. All’inizio emesso alla pari col dollaro statunitense, già nel 1897 subisce una svalutazione del 50%. Nel secondo dopoguerra di-venuta una delle monete più forti, grazie allo straordinario sviluppo economico del Paese. YO. – È la traduzione del cinese Yang e identifica anche il principio OMOTE. [si veda la voce “ommyo-do”, nella Terza Parte]. YO RYU. – Scuola che insegna l’uso delle armi da fuoco (HO-JUTSU, KA-JUTSU). Risale al secolo XVII (1660 circa) ed è ancora in attività.

YOBI-DASHI. – “Araldo”. È il “presentatore” nei tornei e combattimenti di SUMO. È compito dello YOBI-DASHI fare l’appello dei SUMOTORI, control-larne la corretta disposizione sul DOHYO (mante-nendovi l’ordine), distribuire loro acqua e sale, da-re il segnale d’inizio del combattimento e, infine, annunciare le gare del giorno successivo. Il sale, in particolare, viene sparso in abbondanza dai combattenti sul DOHYO, poiché la tradizione gli attribuisce la facoltà di scacciare spiriti maligni, combattere le cattive influenze, proteggere i SU-MOTORI dai traumi e guarirli rapidamente. YODAN – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è la “Cintura Nera di 4° grado”. Anche HON-MOKUROKU. [si veda KYUDAN]. In questa fase l’allievo è più vicino ad intendere sia la natura sia se stesso, ma talvolta è confuso, perché la comprensione pare come scivolargli tra le mani, come acqua. YOFUKU. – Con questo termine sono indicati gli abiti di foggia europea. YOI. – “Pronti!”. Tanto in BO-JUTSU quanto in al-tre Arti e Discipline Marziali, è il comando che fa assumere agli allievi la posizione iniziale – con l’ar-ma sotto il braccio destro, la punta volta al suolo – e che precede il saluto rituale (REI) nei KATA. YOI-IBUKI. – “Respirazione ventrale profonda”. È simile al KOKYU (o FUKUSHIRI KOKYU), ma senza movimento. Come il KOKYU, serve a concentrare nell’HARA l’energia, il KI. YOKI. – “Coltivare l’energia (termine composto di KI)”. YOKKA-JO. – “Quarto insegnamento”. È un ter-mine che, nel DAITO RYU AIKI-JUTSU, indica lo YONKYO. È in uso nella scuola YOSHINKAN AIKIDŌ. YOKO. – “Lato”, “laterale”. YOKO MEN. – “Parte laterale”; “lato”. YOKO MEN UCHI. – “Fendente diagonale al ca-po”. “Colpo laterale a viso/collo/tempia, con taglio dall’alto al basso”. Si dice anche KESA-GIRI, da KE-SA, “stola del monaco” e GIRI, “taglio”: tagliare lungo la linea tracciata dalla fascia, da una spalla all’anca opposta. Normalmente l’attacco YOKO MEN UCHI va dalla spalla sinistra all’anca destra e – se eseguito con la spada – a questo primo colpo, do-vrebbe seguirne un secondo, al contrario (GYAKU KESA, dall’anca alla spalla), dopo aver girato l’arma, ed ancora un terzo, per tagliare l’avversario da dietro. Di solito a YOKO MEN UCHI si oppone SHO MEN UCHI.

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YOKO UKEMI. – “Caduta laterale”. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). YOKO WAZA. – Tecniche eseguite di lato. YOKO-ARUKI. – “Marcia di lato”. È un modo di spostarsi, rasentando i muri, tipico dei NINJA. YOKOI SHOICHI. – Passa alla storia come l’ul-timo dei militari nipponici ad arrendersi, nell’isola di Guam, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Non avendo ricevuto ordini diretti dai suoi co-mandanti e non credendo agli annunci dei soldati americani circa la fine della guerra, si nasconde nella foresta con alcuni commilitoni. Unico soprav-vissuto, YOKOI SHOICHI è catturato agli inizi del 1972 ed accolto in patria con tutti gli onori, come esempio vivente della fedeltà all’Imperatore ed attaccamento al dovere portato alle conseguenze estreme. YOKO-GERI. – “Calcio laterale”. S’intende ad un KYUSHO (“punto vitale”). Rientra nelle KERI-GOHO. YOKOTE. – Parte di una lama. YOKOZUNA. – “Grande Campione”. Cintura del campione di SUMO. È il massimo titolo conseguibile da un SUMOTORI. YOMI. – “Lettura”. “Divinazione”. È la capacità di prevedere il futuro attraverso la divinazione, ma anche la facoltà di “leggere il pensiero” di un av-versario, ancor prima che questi lo completi. Nelle Arti Marziali è intimamente legato ai concetti di MA-AI (“distanza”) e HYOSHI (“ritmo”), ma non so-lo. Dato che YOMI consente di intuire (prevede-re?) l’embrione di un attacco, si ricollega ad una profonda consapevolezza della cultura nipponica: nei rapporti interpersonali le parole sono spesso insufficienti, occorre valersi dell’ishin-den shin, “da uno spirito all’altro”. YON. – “Quattro”. Anche SHI che però, avendo la medesima espressione fonetica di “morte”, è me-no usato. YONHON. – “Quattro”, per contare oggetti par-ticolarmente lunghi (HON). In sino-giapponese è SHI o YON, in giapponese puro si dice YOTTSU, per le persone (NIN) s’usa YONNIN. YONHON NUKITE. – “Quattro dita tese, a fer-ro di lancia”. YONKYO. – “Tecnica numero quattro”. “Quarto principio” [si veda TEKUBI OSAE]. Immobilizzazione del braccio di AITE, con pressione della parte alta del polso (il tendine contro l’osso) del polso. Il punto di pressione è uno TSUBA d’agopuntura e shiatsu, sul meridiano detto “mastro del cuore”. YONKYO OSAE. – “Quarta immobilizzazione”.

YONKYU. – Nel moderno sistema di graduazione, derivato del BUJUTSU, è lo “Studente di quarta classe”. [si veda KYUDAN]. Anche SHIKYU. YONNIN. – “Quattro”, per contare le persone (NIN). In sino-giapponese è SHI o YON, in giappo-nese puro si dice YOTTSU, per oggetti particolar-mente lunghi (HON) s’usa YONHON. YONNIN DORI. – “Quattro persone prendono”. YONNIN-GAKE. – Quattro AITE attaccano TORI. YOROI. – È l’armatura giapponese classica, che si formata dopo l’anno 858 (medio e tardo Periodo HEIAN, 794-1156). È usata dai BUSHI e dai SAMU-RAI (che, fino al secolo XV, sono soprattutto ar-cieri a cavallo) ed evidenzia caratteristiche de-terminate dalle tattiche di cavalleria, tanto è ve-ro che questo tipo d’armatura cade in disuso nel momento in cui i SAMURAI adottano, per lo più, tattiche da fanteria. L’armatura comprende: elmo (termine generico: KABUTO), spesso dota-

to di cimiero, di foggia, materiale e dimensioni di-verse; maschera d’arme (termine generico: MEN), per

meglio assicurare l’elmo alla testa e rendere più sinistro l’aspetto del guerriero. Il nome varia se-condo il tipo di protezione fornito:

○ MENPO, maschera completa; ○ HOATE, HAMBO, HAPPURI, mezze maschere; ○ sarubo, copri-guance; ○ tsubame-gata, copri-mento.

Quasi sempre è presente anche una gorgiera (NO-DOWA); corazza (DO); spallacci (SODE); falde (KUSAZURI) e protezione a grembiule ag-

giuntiva (HAIDATE); maniche corazzate (KOTE); gambali (SUNEATE).

La YOROI è anche detta KACHU, mentre O-YOROI (“la grande armatura”) è quella indossata dai ge-nerali e dai guerrieri di rango elevato. YOROI DOSHI. – Corto e robusto pugnale. È utilizzato per perforare le armature (YOROI) nei combattimenti a corpo a corpo e talvolta, pare, per infliggere il colpo di grazia. YOROI-KUMIUCHI. – È l’insieme delle tecniche sviluppate dallo YAGYU SHINGAN RYU. Lo YOROI-KUMIUCHI appartiene al KO-BUDO (“Antiche Arti Marziali”). Anche, semplicemente, KUMIUCHI. YOSEIKAN AIKIDŌ. – Scuola fondata da MO-CHIZUKI MINORU, allievo sia di KANO JIGORO sia di UESHIBA MORIHEI. L’Arte Marziale insegnata è un

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composito di principi tratti da discipline del KO-BUDO, come lo JU-JUTSU, uniti ad elementi di JU-DO, AIKIDŌ (quello “prima maniera”), KARATE, KEN-JUTSU. YOSEIKAN BUDO. – Moderno sistema di com-battimento, ideato da MOCHIZUKI HIRO, figlio di MOCHIZUKI MINORU. Lo YOSEIKAN BUDO (talvolta chiamato anche YOSEIKAN AIKIDŌ o YOSEIKAN KO-BUDO) è un sistema “sincretico” che liberamente incorpora le tecniche ritenute più efficaci sia di moltissime Arti Marziali orientali sia della tradi-zione marziale europea. È prevista anche una forma di competizione, in stile RAN DORI, con as-segnazione di un punteggio. YOSHI. – “Buono”. YOSHIDO. – “Graticcio”. È di giunco e si mette nei FUSUMA, al posto della carta di riso, per far circolare l’aria. YOSHIN AIKIDŌ. – Stile d’AIKIDŌ, messo a punto da SHIODA GOZO, UCHI DESHI di O-SENSEI, ed insegnato nella scuola da lui fondata nel 1955, la YOSHINKAN AIKIDŌ. Lo YOSHIN AIKIDŌ si rifà all’antico stile “duro” dell’AIKIDŌ, quello dei primi tempi. Questo stile “indipendente”, orientato ver-so la tecnica pura, è materia di studio nella Polizia Metropolitana di Tokyo. YOSHIN RYU. – “Scuola del Cuore di Salice”. Scuola di JU-JUTSU e KEN-JUTSU; è fondata, se-condo alcuni, nel 1732 da AKIYAMA SHINOBU, me-dico di Nagasaki, di ritorno da un viaggio in Cina. Per altri, invece, la fondazione è dovuta al disce-polo di un altro medico, sempre di Nagasaki, MIU-RA YOSHIN (nel 1750 circa), un cui secondo allievo fonda il MIURA RYU. Lo stile di questa scuola si basa sul principio della non-resistenza, raffigura-to dai rami dal salice: sotto il peso della neve si curvano, lasciandola cadere a terra, ma poi ri-prendono la propria posizione, con tanto maggior vigore quanto più sono piegati inizialmente. La stessa immagine deve aver avuto in mente KANO JIGORO, il fondatore del moderno JUDO, quando sintetizza diverse tecniche di JU-JUTSU, dopo a-ver frequentato lo YOSHIN RYU, prima del 1882. Nel secolo XVIII il Maestro MINAMOTO-NO-YANAGI razionalizza insegnamento e tecniche di combattimento, riducendo queste ultime a 124, dalle oltre 500 che la scuola conta alla fine del secolo XVII. Oggi la scuola è anche conosciuta come YANAGI RYU e Ten.yo Kai. YOSHINKAI AIKIDŌ. – Federazione interna-zionale organizzata nel 1990 da SHIODA GOZO. Pare che al suo interno non abbia rigidi vincoli di

subordinazione – come invece l’AIKIKAI – e rag-gruppa circa 300 DOJO sparsi nel mondo. YOSHINKAN AIKIDŌ. – Scuola di AIKIDŌ fon-data SHIODA GOZO nel 1955; vi è insegnato il suo stile, lo YOSHIN AIKIDŌ. Il nome della scuola deri-va da quello usato dal padre di SHIODA GOZO per il DOJO di famiglia. Le tecniche insegnate nello YOSHINKAN AIKIDŌ – molte delle quali, special-mente a livello iniziale, in forma di KATA – riflet-tono lo stile appreso dal fondatore nel primo, vero DOJO di O-SENSEI, il KOBUKAN di Tokyo, inaugura-to nell’aprile 1931. YOSHISADA NITTA. – Leggendaria figura di guerriero. Il mito vuole che, mortalmente ferito da una freccia, trova la forza non solo di tagliarsi la testa, ma pure di seppellirla, prima di morire. YOSHIWARA. – È uno SHIMABARA, un quartiere a “luci rosse” della EDO dell’omonimo Periodo, abi-tato da donne di piacere (dalle TEPPO alle TAYU). YOTTSU. – “Quattro” in giapponese puro. In si-no-giapponese è SHI o YON, per contare le persone (NIN) si dice YONNIN, per oggetti particolarmente lunghi (HON) s’usa YONHON. YOWAKI. – Indica una persona con un KI debole e, quindi, con poca personalità, di carattere umile. Chi, invece, ha un KI forte, è chiamato TSUYOKI. [si veda KI]. YOYO-SHONIN. – “Mercanti muniti di patente”. Sono mercanti – molti d’origine SAMURAI – che go-dono d’alcuni privilegi, come una certa esenzione dalle tasse e la possibilità di vivere molto vicino al castello del Signore. La loro attività maggiore è la fornitura di equipaggiamenti militari. YU. – “Esistere”; “essere”.

– “Bravura tinta d’eroismo”, “coraggio”. Uno dei punti del BUSHIDO. [si veda].

– Acqua. YUBI. – “Dito” (anche SHI). YUBI-JUTSU. – Particolare metodo, utilizzato dai NINJA del Gyokku Ryu, per sferrare colpi mortali utilizzando le dita delle mani. YUBISAKI. – “Punta delle dita”. YUDANSHA. – Praticante d’Arti Marziali che è Cintura Nera, avendo conseguito uno o più DAN. In alcune scuole e Discipline è dal 3° DAN in su, in al-tre dal 1° in poi. Anche DANSHA. YU-GAKE. – “Guanti da arciere”. Sono di tessuto e cuoio, assicurati al polso da lunghe cinghie. Il guanto per la mano sinistra, che regge lo YUMI, è di pelle o tessuto, ricoperto con maglia di ferro. Quello per la mano destra, di cuoio, ha pelle più morbida per indice e medio e doppio spessore per

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il pollice, al fine di compensare l’usura (si tira “al-la mongola”). Spesso anche la colorazione è diver-sa: le parti che proteggono indice e medio hanno colore diverso rispetto alla colorazione del guan-to. Alcuni modelli di YU-GAKE coprono solo pollice, in-dice e medio, con una larga fascia attorno al pol-so; altri hanno un foro, a forma di cuore, sul pal-mo, per la traspirazione. YUKEN. – Posizione (tipicamente del KENDO) con la spada: le lame (o gli SHINAI) sono a contatto, s’incrociano. Questa posizione è opposta a MUKEN, con le lame che non si toccano. YUKI. – “Coraggio” (termine composto di KI). YUMI. – “Arco”. L’arco giapponese, di concezione antichissima – rinvenimenti archeologici di archi laccati fanno risalire la comparsa di quest’arma almeno al secolo V a.C. –, appartiene all’ampia fa-miglia degli archi asiatici a struttura mista, ma è diverso dagli altri in dimensioni (è lungo da 180 a 240 cm, per uno spessore di circa 5 cm) e fabbri-cazione. Poiché gli antichi arcieri tirano con un gi-nocchio a terra (solo in un secondo tempo, dal se-colo XII circa, lo fanno cavalcando – e nasce, ap-punto, il KYUBA-NO-MICHI, la “Via dell’arco e del cavallo”), la parte superiore dell’arco è quasi dop-pia rispetto all’inferiore, con l’impugnatura molto sotto il centro. Se una forma siffatta consente l’uso di frecce lunghe, il tendere l’arco “alla mon-gola” [la corda si prende nella piega del pollice e la cocca si trova molto dietro l’orecchio; si usano guanti speciali, gli YU-GAKE] va a scapito della pre-cisione, nonostante quello che raccontano le leg-gende [si veda WASA DAIICHIRO]. Lo YUMI è pie-gato alle estremità in due curve costanti, che si rovesciano, quando, molto sopra l’orecchio, si ten-de l’arco. Dapprima in legno di bosso, lo YUMI in seguito è fabbricato con strisce di bambù (di di-versa stagionatura) con aggiunta di legno Rhus succedanea, malacca, colla di pesce, cuoio, lacche particolari (irrobustiscono e impermeabilizzano). Il tipo shige-to-yumi (legno laminato, legato con malacca e laccato) è considerato arma da nobili, mentre il tipo maru-ki è di tipo semplice. Le tipi-che frecce (YA), di canna colorata con tre impen-naggi, lunghe da 90 a 100 cm, pesanti, distruttive, sono adatte alle brevi distanze [la gittata dell’ar-co tipico si aggira sui 100 metri] e lanciate nor-malmente, quindi, con traiettoria tesa. Le cuspidi da guerra sono d’innumerevoli forme, con dimen-sioni variabili (da 1 a 15 cm) e con lungo codolo. Esistono anche archi più piccoli, come quello alto

90 cm circa, utile per tirare dalla lettiga, o quello ancora più corto (circa 75 cm), di tipo mongolo simmetrico, a doppia curvatura, usato soprattutto dai NINJA nel Periodo EDO. L’arco giapponese per eccellenza, comunque, rimane quello lungo e asim-metrico, ancora presente come arma d’ordinanza delle truppe imperiali fino al 1868, anche se dal secolo XVI numerosi contingenti sono dotati di armi da fuoco. L’arco e la spada sono sempre stati le venerate armi del nobile militare, il BUSHI, rap-presentandone ed incarnandone qualità e preroga-tive, fin dai tempi eroici dei KUGE (Periodo HEIAN, 794-1156). L’arciere (ITE), anche chiamato YUMI-TORI, “colui che impugna l’arco”, è da sempre un guerriero di rango, tanto è vero che “guerra” e “arco e frecce” (yumi-ya), per il BUSHI, sono sino-nimi. Per qualche esperto, lo YUMI è l’arma da get-to più bella dell’Estremo Oriente. Ci sono anche gli YUMI sacri e cerimoniali, anch’essi di legno, in due pezzi, normalmente uniti all’impugnatura da un manicotto metallico ed arricchiti con decorazioni in lacca. Da sempre guaritori e preti shintoisti u-sano gli archi quali strumenti magici: il caratteri-stico suono della corda vibrante è considerato in sintonia con le vibrazioni divine dell’universo. An-che i tornei di SUMO vedono – almeno dal secolo XVI – la presenza di un arco cerimoniale, brandito da un SUMOTORI di rango basso che esegue, ap-punto, la “danza con l’arco”, la YUMITORI-SHIKI. YUMI-TORI. – “Chi impugna l’arco”. È sinonimo di arciere (ITE) e, quindi, del guerriero di rango elevato. YUMITORI-SHIKI. – “Danza con l’arco”. È la ce-rimonia conclusiva d’ogni torneo di SUMO e serve a commemorare un fatto del 1575: la danza di rin-graziamento eseguita da MIYAI GANZAEMON, il SUMOTORI vincitore di un torneo organizzato da ODA NOBUNAGA. Come ricompensa per il valore e la bravura dimostrati, MIYAI GANZAEMON riceve 500 KOKU di riso ed un arco, impugnando il quale improvvisa una danza in onore di ODA NOBUNAGA. Oggi è un SUMOTORI di rango basso ad eseguire la YUMITORI-SHIKI sul DOHYO. È probabile che que-sta danza richiami il KEN-BU, l’antico ballo rituale dei SAMURAI, eseguito prima (come forma propi-ziatoria) e dopo (per celebrare le gesta guerre-sche) ogni battaglia. YUSAI. – Metodo informale di preghiera, prati-cato nel contesto della religione OMOTO-KYO. Pare che UESHIBA MORIHEI, nel periodo in cui vive ad AYABE, segua questo metodo, praticando intensa-mente.

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- Z -

ZA. – “Sedile”, “seggio”. – Posizione seduta. – “Gilda”, associazione di mercanti. – “Rione” di una città. È normalmente circon-

dato da canali, mura o recinzioni, con porte che si chiudono di notte ed in caso di disordini. Di solito, nel Periodo EDO (1603-1867), uno ZA è un’area ampia più di due strade ed è sorvegliato da nume-rosi funzionari locali: l’addetto ai registri familia-ri, delle tasse e della residenza, il capo dei vigili del fuoco, i custodi alle porte. Ogni strada o trat-to di strada, inoltre, è sorvegliata da un pubblico ufficiale, che abita nella via da lui controllata; un ufficiale della comunità, con l’ausilio di vari assi-stenti, controlla i sorveglianti. ZABUTON. – “Cuscino di paglia intrecciata”. È u-tilizzato, prima della diffusione dei TATAMI (seco-lo XVII), per sedere sui nudi assiti di legno levi-gato che costituiscono i pavimenti delle case nobi-liari e dei palazzi. ZAFU. – “Cuscino”. Rotondo e rigido, imbottito di kapok. È utilizzato per la pratica di ZAZEN (la me-ditazione ZEN), nella quale occorre poter poggiare a terra le ginocchia, per mantenere ben dritta la colonna vertebrale. Lo ZAFU si poggia sul tappeto da meditazione ZAFUTON. Già il Buddha, per me-ditare, si confeziona un cuscino d’erba secca. ZAFUTON. – Tappeto per la meditazione, di forma quadrata. Vi si appoggia lo ZAFU. ZA-HO. – Modo di sedere sui talloni (SEIZA). Corrisponde anche alla pratica spirituale (medita-zione, concentrazione) effettuata in questa po-stura. ZAIDAN HOJIN AIKIKAI. – “Fondazione AIKI-KAI”. Risale al 9 febbraio 1948 ed è l’ente legale nel cui ambito opera l’HONBU DOJO. ZAN-MAI. – “Concentrazione”. ZANSHIN. – “Lo spirito che permane”,. “presen-za di spirito”. “Estensione dell’energia”. È la giu-sta e costante attenzione, che non si affievolisce durante e dopo l’azione; è lo stato di allerta del combattente. Prima e dopo aver eseguito la tecni-ca, si resta sul chi vive, mantenendo la “consape-volezza”: dell’ambiente circostante, della situa-zione e dell’avversario (per evitarne la eventuale reazione).

ZAN-TOTSU. – “Avvicinarsi e colpire”. ZA-REI. – “Saluto rituale in ginocchio”. È un “sa-luto secondo le regole” (RITSU-REI). Si esegue se-duti (sulle ginocchia), con le mani posate al suolo e la fronte che le sfiora. Così come per il saluto in piedi (TACHI-REI), anche in questa posizione l’in-clinazione del busto varia secondo l’interlocutore e le circostanze: da leggero movimento del busto, a capo diritto (HAI-REI), fino, appunto, a toccare il TATAMI con la testa. [si veda REI]. ZAZEN. – “Postura di risveglio”. Anche za-zen. È quella formale, la posizione del “loto completo”, KEKKA FUZA (o del “mezzo loto”, HANKA FUZA; in ca-si particolare è ammessa la postura SEIZA). Sedu-ti a gambe incrociate, la schiena eretta, sul TA-TAMI o su di un particolare cuscino (ZAFU); nor-malmente le mani sono posate una sull’altra (dorso della sinistra sul palmo della destra), i pollici a contatto, l’uno contro l’altro. Nella pratica ZEN è sedere alla ricerca della illuminazione: occorre raggiungere lo stato mentale HISHIRYO (“oltre il pensiero”, “pensiero senza pensiero”), con il vuoto totale nello spirito, che così è totalmente ricetti-vo. Solo allora si giunge al pensiero MUSHOTOKU, lo stadio finale di chi vive in perfetta armonia con sé, con la natura e con l’universo, indifferente a ricompense, profitti, scopi, obiettivi. Entrambi gli ordini più importanti dello ZEN, RINZAI e SOTO, praticano ZAZEN (il secondo più del primo) nella postura KEKKA FUZA (o, in subordine, HANKA FUZA), ma non tutte le scuole ZEN hanno dato la medesi-ma importanza a tale pratica, come questa nota, e antica storiella, dimostra. «Un Maestro si rivolge ad un suo discepolo, molto zelante nella medita-zione, e gli dice: “O virtuoso, che scopo hai nel praticare zazen?”. Il discepolo risponde: “Il mio scopo è diventare un Buddha”. Il Maestro allora prende una tegola e comincia a strofinarla con una pietra. Il discepolo chiede: “O Maestro, cosa stai facendo?”. Lui risponde: “Strofino questa tegola per farla diventare uno specchio”. Il discepolo di-ce: “Come puoi fare uno specchio strofinando una tegola?”. Il Maestro ribatte: “Come puoi fare un Buddha praticando zazen?”». Il BUSHI, con la pra-tica costante dello ZAZEN – la cui corretta appli-cazione equivale al SATORI, la libertà dello spirito

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– riesce a raggiungere la perfezione nella propria Arte Marziale. ZAZEN FUSETSU. – Malattie causate da disor-dini respiratori. Si possono produrre durante l’e-sercizio per raggiungere l’illuminazione. ZEMPO. – “Cadere in avanti, rialzarsi e proietta-re il KI” (avanti o indietro). ZEMPO KAITEN. – “Caduta in avanti”. ZEMPO KAITEN UNDO. – “Rotolamento conti-nuato e controllato in avanti”. Fa parte degli e-sercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). Anche ZEMPO UKEMI UNDO. ZEMPO UKEMI UNDO. – Si veda ZEMPO KAITEN UNDO. ZEN. – “Totalità”, “tutto”.

– “Vero e profondo silenzio” (cinese: Chan o Ch’an, sanscrito: Dhyâna). È spesso tradotto an-che con “concentrazione” e “meditazione senza oggetto”. È una filosofia buddista [i primi contatti dei Giap-ponesi con il Buddismo risalgono al 538 d.C.] che indica il ritorno allo spirito originario, puro, dell’essere umano; per la tradizione è introdotta in Giappone dal monaco EISAI nel secolo X. Gli insegnamenti ZEN derivano dal Buddismo medi-tativo indiano mahâyâna e dal TAOISMO cinese e, “contaminati” dall’influsso SHINTO, influ-enzano profondamente la cultura e la politica giapponese, trovando vasto seguito in tutte le classi sociali, soprattutto le più elevate (tra i BUSHI, in modo particolare: qualcuno sostiene che senza lo ZEN non sarebbe sorto il BUSHIDO). Ai tempi del monaco ENO, 6° Patriarca dopo Bo-dhidharma, le scuole principali (talvolta definite, impropriamente, “sette”) sono cinque, tra loro di-verse in base ai metodi d’insegnamento ed ai luo-ghi ove sorgono; tutte, però, praticano ZAZEN. Oggi ne restano, in pratica, solo due: RINZAI-SHU, fondata proprio da EISAI verso

il 1191, che prende il nome dalla scuola cinese Lin-ji-zong, fondata dal Maestro Lin-chi (morto nel 867) a Hopei (Cina del Nord); persegue il kanna-zen, lo ZEN della meditazione sulla parola: studio dei KOAN per arrivare all’immediato SATORI. SOTO-SHU, fondata dal monaco DOGEN KIGEN

nel 1227 circa, che prende il nome dalla scuola ci-nese Caodong-zong; persegue il mokusho-zen, l’il-luminazione silenziosa e graduale mediante ZAZEN. Lo ZEN è più filosofia di vita che religione: non si preoccupa di avere molti contenuti metafisici, ma ha come aspirazione la conoscenza completa della

realtà, raggiungibile attraverso il SATORI (KEN-SHO). Lo ZEN afferma che la trasmissione della saggez-za tra Maestro e discepolo può avvenire solo me-diante un rapporto intimo e diretto (come lo SHI-SODEN degli antichi RYU marziali), senza il ricorso alle scritture buddiste, anzi: è particolarmente enfatizzato proprio il fatto di non avvalersi della parola scritta e di trasmettere la dottrina senza indicazione alcuna. E la dottrina sottolinea che occorre guardare dentro la propria natura, piut-tosto che seguire i testi o gli insegna-menti al-trui. Lo Zen, infatti, è un’esperienza estremamen-te personale: è difficile insegnarlo ed il Maestro, più che altro, è un punto di riferimen-to per il no-vizio, cui egli illustra i metodi per una corretta meditazione, dalla respirazione alla postura alla recitazione di SUTRA e KOAN. Lo ZEN poco si presta all’analisi logica occidentale: celebri sono i suoi KOAN [paradossi e proposizioni apparentemente assurde, che non possiamo inqua-drare, se non riguardo alla “consapevolezza” inde-finita e indefinibile propria di questa filosofia] ed i suoi MONDO [dialoghi, con domande e risposte, tra discepoli e Maestro]. Lo ZEN persegue la liberazione da quella che è o può essere la soggezione ai sistemi di pensiero, alla tecnica, all’esercizio, a programmi sociali dogmatici e ristretti, a forme specifiche di af-fermazione della spiritualità individuale; tale o-biettivo è perseguito con metodi diversi, secondo le differenti scuole esistenti. La pratica ZEN mira soprattutto ad approfondire, a purificare, a tra-sformare la coscienza e, come affermato dal ce-lebre studioso giapponese D.T. Suzuki, «… lo ZEN aspira sempre a far sì che noi vediamo diretta-mente dentro la realtà, cioè siamo la realtà stes-sa…». La parola cinese Chan o Ch’an, secondo la traspo-sizione fonetica (traslitterazione) utilizza-ta, da cui deriva il termine giapponese ZEN, è il riflesso fonetico del sanscrito Dhyâna (“pura meditazione” o “illuminazione interiore”) ed è il nome della scuola fondata in Cina dal primo Patriarca ZEN, il monaco indiano Bodhidharma. Egli rifiuta sia ogni formalismo nella trasmissione della conoscenza, sia l’esperienza d’illuminazione di un Buddha; la sua scuola, in pratica, nasce dal sincretismo [fu-sione di teorie filosofiche o dottrine religiose di-verse] tra il Buddismo mistico indiano ed il prag-matico Taoismo cinese.

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È il patriarca Huineng (638-713) ad incrementar-ne la diffusione. Per gli adepti, lo ZEN è shoden-no-buppo, “il Dharma ininterrottamente e correttamente tra-mandato”, attraverso una successione – senza so-luzione di continuità – che dal Buddha giunge ai Maestri (ROSHI) attraverso i Patriarchi. Quattro, in sintesi, sono i punti dottrinali ZEN: 1. trasmissione diretta della dottrina, da Mae-stro a discepolo; 2. indipendenza dello spirito verso le scritture buddiste; 3. realizzazione della natura di Buddha in ciascun essere umano (DAIGO TETTEI); 4. comunicazione diretta fra essere umano ed “Entità suprema”. Un breve aneddoto, forse, riesce ad illustrare meglio lo spirito ZEN. Un professore universitario si reca a trovare Nan-in (1868-1912), Maestro ZEN, per interrogar-lo sulla sua disciplina. Prima di cominciare a di-scorrere, Nan-in serve il tè e, versando la be-vanda nella tazza del suo ospite, la colma e conti-nua a versare. Il professore, vedendo che il tè trabocca, avverte il suo ospite: «La tazza è piena, non ce ne sta più!». Nan-in ribatte: «Tu sei come questa tazza, colmo delle tue opinioni e delle tue supposizioni. Se prima non vuoti la tua tazza, co-me posso spiegarti lo Zen?». Non v’è certezza sull’influenza che la filosofia ZEN può aver avuto sullo sviluppo dell’AIKIDŌ. ZENDO. – “Sala della meditazione” (anche SODO). Luogo per la pratica ZAZEN; è, quindi, un DOJO. ZENGO. – Indica movimenti in avanti e indietro. ZENGO UNDO. – IKKYO UNDO e rotazione in due o quattro direzioni. Fa parte degli esercizi fisici specializzati (AIKITAISO), quelli di base, che si praticano da soli (TANDOKU DOSA). ZENJI. – “Maestro Zen”. È il titolo onorifico at-tribuito ai Maestri di grande e riconosciuto valo-re.

ZENSHO MASATSUGU. – Maestro di KYU-JUTSU. Fonda la scuola HOKI RYU di tiro con l’arco; a lui si devono le prime codificazioni (secolo X) di tecniche e posizioni di tiro. ZEN-WAN. – “Avambraccio”. GAI-WAN è il suo “bordo esterno”, NEI-WAN quello “interno”. La “parte superiore” dell’avambraccio è HAI-WAN, quella “inferiore”, il “palmo della mano” è SHU-WAN o SHOTEI. ZEOI. – “Sulla schiena”, “prendere sul dorso”. Viene da SEOU, “caricare sulla schiena”. Anche SEOI. ZOMIN. – Suddivisione interna della classe so-ciale dei contadini, nel Giappone feudale. Fanno parte, al livello più basso, degli abitanti delle campagne e sono equiparabili a servi della gleba, quasi schiavi. Non sono specializzati e svolgono mansioni di poco conto o lavori agricoli, come braccianti. ZORI. – “Sandali”. Fissati al piede con una stri-scia di cuoio infradito, tradizionalmente sono fat-ti di paglia intrecciata, mentre oggi sono, normal-mente, di plastica o gomma. ZUBON. – “Pantaloni” del KEIKOGI. ZUIUN. – “Nuvola di buon augurio”. Soprannome di idrovolante da ricognizione della Seconda Guerra Mondiale. ZUKI. – Suffisso per “gola” (TSUKI). ZUSA. – “Fante”. Guerriero a piedi, di basso li-vello. Proviene dalla classe contadina ed utilizza una gran varietà d’armi, talvolta di fortuna; tra quelle in asta le preferite sono JITE e NAGINATA. A protezione del capo pone un elmo aperto (JIN-GASA o KASA) – dalla caratteristica forma a cap-pello di paglia – ed indossa un’armatura leggera (KOGUSOKU), quando può permetterselo. In realtà, almeno nei primi tempi, più che veri e propri com-battenti gli ZUSA sono aiutanti o serventi. Gli ZU-SA sono tra i primi, unitamente agli ASHIGARU, ad utilizzare le armi da fuoco (TEPPO) sul campo di battaglia.

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Aikidō, filosofia della vita

Il fine dell’Aikidō è superare l’attaccamento al proprio IO egoistico ed affermare l’amore e l’armonia con l’Universo. In armonia con l’Universo nasce il bambino ed il vecchio muore. Questo è il viaggio nella vita. Il percorso della vita serve a sperimentare i sei sensi e l’attaccamento. Ed a liberarci da que-sti limiti. Il tempo è come una macchina, che ci trasferisce da un luogo ad un altro, ma in verità questo viaggio deve farci tornare al punto di partenza, deve cioè farci tornare bambini. La macchina è guidata dai sei sensi e dai nostri attaccamenti: ma noi stessi dobbiamo diventa-re i conduttori del nostro tempo, per poter scendere all’ultima fermata senza rimpianti né le-gami, in perfetta armonia con l’Universo.

Sandro, aikidoka

Non guardare l’avversario negli occhi, altrimenti la tua mente sarà afferrata. Non guardare la spada del tuo avversario, o questa ti ucciderà. Non guardare la persona del tuo avversario, o sarai distratto.

Il Budo è il potere di attrarre l’avversario e nell’Aikidō controlliamo la mente dell’avversario prima di vederlo.

Ciò significa che lo attiriamo a noi. È questa capacità di attrazione dello spirito che porta ad una visione completa del mondo.

Ueshiba Kisshomaru

Quando un nemico si scaglia contro di te per colpirti, spostati di lato e colpisci di taglio istantaneamente.

Nei tempi remoti lo spadaccino lasciava che il nemico gli tagliasse la pelle superficialmente, per poterlo colpire a fondo.

Talvolta sacrificava la sua carne per poter arrivare a penetrarlo all’osso. Nell’Aikidō questa attitudine è inaccettabile.

Noi vogliamo che attaccante e attaccato escano entrambi senza lesioni. Dovete imparare a condurre il vostro partner, piuttosto che rischiare di essere feriti

per ottenere la vittoria. Controllate l’avversario, ponendovi in un luogo sicuro e riparato.

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PER APPROFONDIRE UN POCO DI PIÙ

Questa sezione è dedicata a quei vocaboli specificatamente tecnici, piuttosto che di cultura generale, evidenziati dal CARATTERE MAIUSCOLETTO CORSIVO nella Seconda Parte dell’opera. Sono altresì illustrati lemmi, concetti e termini nei quali mi sono imbattuto e che, sia pure non citati in precedenza, risultano comunque attinenti o correlati all’opera nel suo insieme. Oppure quelli che, avendo suscitato la mia cu-riosità, mi auguro stimolino anche quella dei lettori.

o Elenco dei lemmi. ABACO. ACCIAIO. ADI-BUDDHA. AFORISMA. AGOPUNTURA. AIKI RYU D’ITALIA. ALIMENTAZIONE. AMIDISMO. ANIMISMO. ANTALGICO. APPRENDIMENTO. ARCITRONITO. ARMA. ARMATURA. ARTE MARZIALE. ARTIGIANO. ATTACCO. BAIONETTA. BARBARO. BARDA. BIACCA. BLOCCAGGIO. BODHI. BODHICITTA. BODHIDHARMA. BODHISATTVA. BONSAI. BRANDISTOCCO. BUDDHA. BUDDISMO. CALZUOLO. CAPPETTA. CASTELLO. CHAN. CHING. CHIOSSONE E. CHOC. CIMIERO. CINABRO. CINQUE ELEMENTI. CLASSI SOCIALI. CODOLO.

COLTELLO. CONFUCIANESIMO. CONFUCIO. CONTADINO. COPPO. CORPO. CORSALETTO. COSMOGONIA. COSTA. CROCIERA. CRONOLOGIE. CURRY, RETICOLO DI. DAO. DHARMA. DHYÂNA. ELSA. EMISTICHIO. ENERGIA. ENO. ESOTERISMO. EUFONIA. FENG-SHUI. FERRO. FILO. FONEMA. FORNIMENTO. FUDO MYOO. GATHA. GEOBIOLOGIA. GEOMANZIA. GIAINISMO. GIAPPONE. GIAPPONESE. GIAVELLOTTO. GLOVER, THOMAS

BLAKE. GORBIA. GORGIERA. GRAFEMA. GRIDO. GRONDA. GUARDIA.

GURU. HARTMANN, RETE

GLOBALE DI. HINAYÂNA. HUIGUO. I-CHING. IDIOFONO. IMMOBILIZZAZIONE. IMPUGNATURA. INSEGNAMENTO. JAPANISME. KALARI PAYAT. KANNON. KARMA. KARMAN. LAMA. LANCIA. LAO TZU. LESSEMA. MAESTRO. MAGIA. MAHÂYÂNA. MANA. MANDALA. MANTRA. MARA. MASSELLO. MATRIARCATO. MERCANTE. METEMPSICOSI. MOKUGYO. MORFEMA. MU YU. MUDRA. NEIJIA. NIRVANA. NOMI. OMMYODO. OMOSESSUALITÀ. ONOMATOPEA. PALVESE. PATRIARCATO.

PERSONA E SOCIETÀ. PIATTO. POMO. POMOLO. PREISTORIA. PROTOSTORIA. PUGNALE. PUNTALE. QI. QI GONG. QUARANTASETTE

RONIN. RABDOMANZIA. RADIOESTESIA. RAJA. RAZZA. SAMADHI. SAMSARA. SANGHA. SCIABOLA. SCIAMANESIMO. SCIMITARRA. SEMANTEMA. SGUSCIO. SHAKYAMUNI. SHAO LIN-SI. SHIATSU. SHINTOISMO. SHOGUNATO. SHUNYATA. SIDDHARTA GAUTA-

MA. SINCOPE. SISMA. SNAPHANCE. SPADA. SPALLACCIO. STAGE. STORIA. SUTRA. SVASTICA. TABACCO.

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TAGLIO. TAI JI QUAN. TALLONE. TANTRISMO. TAO.

TAO TE CHING. TAOISMO. TERREMOTO. TESA. TESTA.

TRAUMA. TRISMEGISTO. TSUNAMI. TZU. VENTAGLIO.

WEIJIA. YANG. YI JING. YIN. YOGA.

ABACO. – Strumento per l’esecuzione di calcoli, d’antichissima origine. Inizialmente l'abaco è co-stituito da una tavoletta, suddivisa in colonne in-tagliate corrispondenti ai vari ordini delle gran-dezze, in cui sono poste delle pietruzze; diventa poi un telaio, corredato da bacchette in cui sono infilate palline o dischetti. La forma più perfezionata, diffusa ancora oggi in Cina e Giappone, è suddivisa in due sezioni: la maggiore per le unità, la minore per un suo multi-plo, in genere cinque. La rapidità con cui un buon contabile giapponese usa il suo SOROBAN è stupe-facente. ACCIAIO. – Composto del ferro, contenente carbonio per circo lo 0,005%. L’acciaio, arroven-tato e raffreddato più o meno bruscamente (pro-cedimento detto tempra o tempera), acquista du-rezza ed elasticità, mentre il ferro, che fonde solo a temperature molto alte, è tenace, duro, duttile, malleabile e, con il calore, rammollisce e può essere piegato, lavorato, saldato. Anticamente il ferro, con il suo contenuto di car-bonio in percentuali assai alte (fino al 3%), altri elementi chimici (zolfo, manganese, fosforo ecc.) e impurità, è chiamato ferraccio (oggi ghisa); pur difficilissimo da lavorare a martello o saldare, è molto usato per costruire pezzi in stampi, grazie alla sua fusibilità. È il colore assunto nel processo di riscaldamento dall’acciaio che consente all’occhio allenato dell’e-sperto fabbro-armaiolo di riconoscere il momento giusto per raffreddare il pezzo in lavorazione, per ottenere una tempera, e quindi una durezza, adatta all’uso. Segreto ed accurato è il “bagno” adatto ai vari tipi d’acciaio ed ai pezzi destinati ai diversi usi: acqua pura, acqua con aggiunta di sale, acqua con acidi, grasso animale, petrolio, olio ec-cetera. Diffusa anche la tempera ad aria: il pezzo si raffredda agitandolo in aria più o meno fredda e umida. Per ottenere una durezza maggiore, poi-ché l’acciaio temprato può essere fragile, è possi-bile ricorrere alla “ricottura”: il riscaldamento ad una temperatura adeguata alla durezza desidera-ta.

L’acciaio può essere lavorato solo se non è tem-prato; in questo caso il raffreddamento deve av-venire lentamente e senza contatto con l’aria, ma-gari sotto sabbia calda o cenere. ADI-BUDDHA. (sanscrito) – “Il primo Illumina-to”. Nel Buddismo mahâyâna è il Buddha primor-diale, colui che «è prima di tutto»: senza principio e senza fine, onnisciente, infinito; ma non è un dio creatore. Secondo la mitologia indiana, tutto è vuoto, quando si manifesta il mistico suono om, dal quale, per sua stessa volontà, si produce l’ADI-BUDDHA, manifestandosi sotto forma di fiamma che ha origine da un fiore di loto. È dall’Adi-Buddha che nascono i cinque Dhyani-Buddha (Buddha emanati da pensiero, riflessione, medita-zione) i quali, a loro volta, emanano cinque Dhyani-Bodhisattva. In aggiunta, esistono anche otto Bo-dhisattva con funzione di protettori. AFORISMA. – Deriva, attraverso il latino apho-rismus, dal greco aphorismós, “definizione”, com-posto da apó, “da”, ed horízo, “separare”. L’afori-sma segna dunque il senso della parola, così come l’orizzonte, cui il termine è “imparentato”, fissa il limite dello sguardo. AGOPUNTURA. – (HARI-RYOJI, in giapponese) Metodo di trattamento, curativo e preventivo. Nato in Cina, utilizza stimoli puntuali, realizzati con aghi o ventose, o passaggi, sempre puntuali. Le origini storiche di questa tecnica si perdono nella leggenda, così come altre, proprie della Me-dicina Tradizionale Cinese, con i suoi contenuti fi-sioterapici e ginnico-kinesiterapici. Una teoria ne attribuisce la nascita alla Dinastia Xia (~ XXI - XVI sec. a.C., ma nelle grotte di Chukutien, abita-te nella preistoria dall’”Uomo di Pechino” per cen-tinaia di migliaia d’anni, sono state rinvenute pie-tre aguzze – pietre “Bian” – che gli studiosi clas-sificano come primitivi cutistimolatori puntiformi. L’agopuntura, quindi può aver avuto origine da ri-tuali tribali preistorici o da un’evoluzione di prati-che praniche e massoterapiche. AIKI RYU D’ITALIA. – Moderna scuola di AI-KIDŌ, fondata dal M° Riccardo Rampado, 5° DAN.

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ALIMENTAZIONE. – Nutrimento è ogni cosa, non solo cibo. Ma come dobbiamo nutrirci? Nella nostra società occidentale, spesso, si evi-denziano due aspetti antitetici: obesità e ma-grezza eccessiva. L’obesità, molte volte, deriva da impossibili compensazioni alimentari: insoddisfatti della nostra realtà quotidiana, cerchiamo un bi-lanciamento riempiendoci senza tregua (e senza misericordia!) bocca e stomaco. Per contro, accade che si rifiuti la realtà, rifiu-tando la nostra immagine, avendone in mente una che è irreale, ma che prendiamo per vera: non ac-cettiamo più il cibo, scegliendo il deperimento piuttosto che provare a vivere; ed ecco la ma-grezza eccessiva. Ancora oggi, in società per noi arretrate, essere grassi significa esibire la propria influenza socia-le: avere più di ciò che serve, ostentare potere, ricchezza ed anche buona salute. L’obesità come ostentazione, da noi, non funziona più: quanto mai dovrebbero ingrassare, i ricchi e potenti, per dimostrare di esserlo? Per assurdo, l’espressione sociale di potere, ricchezza, posses-so, può trasformarsi nella magrezza eccessiva: superato l’irrazionale timore della mancanza di ci-bo, si supera anche la necessità di cibo quale compensazione, surrogato d’altre carenze. Quan-do non si soffre più la fame, quando il rischio è di avere troppo e non troppo poco, ci si diletta in diete di tutti i tipi. Ipocaloriche o dissociate, ela-stiche o strette, monofasiche o bilanciate; e poi i cibi complementari e gli incompatibili, il calcolo calorico e quant’altro. In pratica, non esiste più equilibrio e noi facciamo i conti solo con gli ecces-si. La tradizione orientale, cinese in particolare, con-sidera anche il nutrimento come il compimento dell’eterno equilibrio fra Xing, la Forma, la massa

corporea (lo Yin) ed il Qi (KI), il Soffio Vitale, l’energia che sostiene l’organismo (lo Yang). Una forma corporea essenziale, non gravata da peso eccessivo (e quindi, nella logica orientale, non appesantita da ristagni d’energia) è non solo salutare, ma garantisce un metabolismo efficien-te. Per questo motivo lo Yin, il peso del corpo, non deve eccedere lo Yang, l’energia vitale. All’estremo opposto, anche lo Yin insufficiente, che non riesce a sostenere lo Yang (da cui l’ec-cessiva magrezza), è uno squilibrio cui occorre rimediare. Da queste considerazioni nasce sia la scelta di un’alimentazione sobria, talvolta frugale, mai eccessiva, ma sempre varia, nutriente ed at-tenta al contributo ed al contenuto energetico d’ogni singolo alimento, sia l’esercizio del digiuno, periodico e abituale (già pratica alimentare tipica della tradizione antica d’ogni popolo, compreso il nostro). In Oriente, ad ogni modo, il nutrimento non è solo il cibo, ma anche il respiro. Noi respiriamo in mo-do automatico, senza pensarci, per necessità; loro lo fanno consapevolmente, adeguando ritmo e pro-fondità del respiro all’attività compiuta. Un esem-pio? Chuang Tzu, antico Maestro taoista, ha la-sciato scritto: «Chi, soffiando ora con forza, ora con dolcezza, espira ed inspira, espelle l’aria vi-ziata ed assorbe l’aria pura, e si appende come l’orso, e si stira come l’uccello, ricerca la longevi-tà». Lo stesso ideogramma cinese che rappresen-ta il Qi (KI), il Soffio Vitale, ritrae, stilizzato, un pugno di riso in cottura, col vapore che sale: cibo, il riso, e respiro, il vapore. Non è tutto. Per la tradizione orientale, tutto ciò che entra in con-tatto con un individuo, entra in lui, attraverso gli organi di senso; e, entrando in lui, ogni cosa lo nu-tre.

ORGANO/SENSO ELEMENTO ORGANO/VISCERE Orecchio/udito Acqua Rene/Vescica Occhio/vista Legno Fegato/Vescica biliare Polpastrelli/

tatto Fuoco Pericardio/Triplice Riscaldatore

Bocca/gusto Terra Milza/Stomaco Naso/olfatto Metallo Polmone/Grosso Intestino

Tutti gli organi sensoriali (vere e proprie “porte” del nostro organismo verso l’esterno) sono collegati, at-traverso i Canali Energetici, ad Or-gani e Visceri profondi ed in rappor-to ai CINQUE ELEMENTI [si veda].

AMIDISMO. – È una forma semplificata di Bud-dismo, diffusasi fin dal secolo X. Consiste nella pietistica credenza in AMIDA, il Buddha della sal-vezza, che, nell’ultimo istante di vita, accoglie l’anima pia del fedele nel suo Paradiso dell’Ovest,

“la Terra di Purezza” (JODO). È una credenza che rende più accettabile il Buddismo al popolo, sle-gando la religione da difficili studi e basando la teoria della salvezza sulla pura fede.

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Tra i primi a diffondere questa fede è Kuya, un principe imperiale fattosi monaco itinerante, che canta il nome di AMIDA nelle campagne e nelle cit-tà. Dopo di lui altri monaci tentano di sfrondare le sette esoteriche TENDAI e SHINGON dagli eccessi di mistico ritualismo, da sostituire con l’immedia-ta fede salvifica in AMIDA. ANIMISMO. – È una concezione filosofica in ba-se alla quale l’anima rappresenta il fondamento sia delle funzioni vegetative sia di quelle intellettuali. L’animismo, per gli evoluzionisti, è la prima forma religiosa umana, caratterizzata dal considerare ogni cosa come sede di un principio vitale (anima, spirito, divinità), da onorare, venerare, adorare e, spesso, temere. ANTALGICO. – “Opposto al dolore”, che lo di-strugge. APPRENDIMENTO. – Si veda INSEGNAMENTO. ARCITRONITO. - Macchina propulsiva (arma) inventata da Archimede. Consente il lancio di pie-tre attraverso un tubo, grazie al vapore prodotto da acqua calda. ARMA. – Termine generico che indica: a) qualsiasi arnese più o meno complicato e/o ingegnoso, costruito con lo scopo di offendere o di difendere (dalla fionda al missile, dallo scudo alla fortezza); b) qualunque sostanza od oggetto, strumento o forma d’energia impiegabile all’occorrenza quale mezzo d’offesa o difesa (dal sasso al coltello, dal bastone all’olio bollente, dal laser alle onde di particelle); c) qualsiasi sostanza (o mistura di sostanze) chimica, biologica o radiologica, quando usata per scopi bellici (dagli esplosivi agli aggressivi chimici, dai defolianti ai gas agli aggressivi biologici agli agenti nervini ①); d) tutti quei sistemi non letali (meglio, a bassa letalità), basati su tecnologie chimiche, cinemati-che o elettromagnetiche, che mirano a neutraliz-zare o distruggere i sistemi avversari minimiz-zando i danni al personale o all’ambiente. Possono essere anche armi e sistemi inabilitanti, destinati

① I nervini aggrediscono i centri nervosi, utilizzando esteri fosforici organici inibitori dell’enzima colineste-rasi, che trasmette gli impulsi nervosi. Letali se in alta concentrazione, se a bassa concentrazione (come nel 1995, in Giappone) provocano comunque disturbi alla re-spirazione, nausea, cefalea, vomito, sudore, senso di oppressione; i soggetti più deboli decedono.

al controllo della folla (antisommossa, per sgom-bero forzato d’aree o installazioni). Numerose e diverse sono le classificazioni adot-tate per ordinare la materia. Nell’uso militare, ad esempio, si suddividono in offensive e difensive e sono normalmente ripartite in terrestri, maritti-me, aerospaziali. Armi di difesa sono quelle da riparo o protettive: vale a dire qualunque oggetto usato a difesa del proprio corpo o della cavalcatura montata, quindi tutti i tipi di scudo e le varie parti d’armature, corazze, BARDE. Per estensione, ma in modo im-proprio, così è chiamata qualunque arma o attrez-zatura difensiva mobile o fissa. Pure le armi offensive, all’occorrenza, possono es-sere usate a scopo difensivo. Armi d’offesa sono quegli oggetti o strumenti, di qualsiasi natura, usati per arrecare danno agli av-versari. Si dividono in armi da colpo, per il com-battimento ravvicinato, e armi da getto (o lancia-toie) per quello da lontano. Le armi da colpo sono normalmente bianche. Quelle da getto possono essere bianche, da cor-da, pneumatiche o da fuoco, a reazione. Armi bianche da colpo sono quelle offensive, sia manesche sia in asta (o d’asta), con manico più o meno lungo, per colpire l’avversario a distanza. Possono essere: da botta o immanicate. Destinate a ferire per

concussione, ammaccatura: mazze, martelli d’ar-me, azze, scuri, mannaie; da punta e da taglio. Atte a colpire solo o pre-

valentemente di punta e di taglio: spade, coltelli, pugnali, daghe; sciabole e scimitarre; lance, gia-vellotti, tridenti, alabarde. Per comodità di catalogazione, nelle armi bianche si comprendono anche quelle difensive: corazza, scudo, elmo ecc. Armi da getto o lanciatoie sono quelle armi (e re-lativi strumenti di lancio) utilizzati per colpire l’avversario con oggetti o proiettili, mantenendosi a distanza di sicurezza. Dal braccio umano si è passati ai meccanismi ba-sati sull’elasticità di flessione o di torsione o si-stemi a gravità, dai sistemi che sfruttano l’ener-gia del vapore o quella degli esplosivi si è giunti al-le bombe nucleari ed ai laser. Semplici armi da lancio sono i sassi (gettati ma-nualmente), bastoni da lancio e boomerang; coltel-li e pugnali da tiro; lance, giavellotti; asce, accet-te.

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Armi da corda sono la fionda, l’arco, la balestra e tutte le antiche macchine d’assedio (catapulte, baliste, mangani, trabocchi). Armi pneumatiche (a soffio, a gas, a vapore) sono quelle che, per lanciare a distanza proiettili (palli-ne, dardi, piombini), utilizzano la forza propulsiva di un qualche gas (dal fiato del tiratore all’aria compressa, dal vapore acqueo all’anidride carboni-ca al gas liquefatto) piuttosto che di un esplosivo. Esse vanno dalla cerbottana al fucile ad aria com-pressa o a gas, all’ARCITRONITO. Armi da fuoco, indipendentemente da forma e dimensioni, sono quelle che lanciano proiettili uti-lizzando l’energia sviluppata dalla combustione di sostanze esplosive; vanno dalla pistola al fucile al-la mitragliatrice ed a tutta l’artiglieria. La armi a reazione sono quelle in cui il proiettile ha in sé la carica di lancio: razzi, missili. Inoltre, esistono armi elettriche, elettroniche, a radiofrequenza (funzionano in base al movimento degli elettroni nel vuoto, nei gas, in circuiti con-duttori o nel corpo umano, cervello compreso) e ad energia diretta od a microonde (impiegano flussi concentrati di fasci di particelle ad alta energia), basate anche su satelliti. Ancora: le armi insidiose (tutti quegli oggetti che celano o mascherano armi, sia bianche sia da fuo-co, come il bastone animato od il brandistocco), quelle illecite (tutte messe al bando dalle Conven-zioni internazionali perché arrecano sofferenze inutili o sproporzionate) ed infine le armi per la distruzione di massa, ossia quelle per la guerra nucleare, chimica, radiologica e biologi-ca/batteriologica. In aggiunta a quanto sopra riportato, possiamo menzionare tutte le parti del corpo umano, quando utilizzate nelle tecniche particolari di percussio-ne (ATEMI WAZA) delle Arti Marziali, durante il combattimento a mani nude. Normalmente, i bersagli sono i cosiddetti “punti vitali” o “deboli” (KYUSHO) e le “armi” utilizzate sono: dita, mani (aperte o chiuse a pugno), polsi, avambracci, gomiti, ginocchia, piedi e testa. Non si dimentichi che gli ATEMI, se portati da un esperto, possono scalfire, intontire, paralizzare dal dolore, ferire seriamente o, addirittura, ucci-dere. Ogni Arte Marziale individua con precisione la parte del corpo utilizzata per colpire l’avver-sario, assegnandole uno specifico nome. ARMATURA. – È termine generico. Indica il no-me collettivo di tutte le pezze d’armi difensive

che ricoprono uomini e cavalli (per questi, il ter-mine più appropriato è barda). Dai primitivi modelli di pelle (poi cuoio) fino alle versioni sofisticate dei giubbotti antiproiettile con piastrelle in ceramica di oggi, passando attra-verso le complesse realizzazioni della tecnica me-tallurgica medioevale, l’armatura accompagna l’e-voluzione dell’arte bellica dell’uomo. ARTE MARZIALE. – «Attività che si riferisce alla guerra, compiuta con l’ingegno e nel rispetto di regole dettate da studio ed esperienza». Ciò è quanto riporta un qualsiasi dizionario. L’appellativo “Arti Marziali” compete, in realtà, a tutte le attività – fisiche e mentali – che hanno lo scopo di addestrare alle tecniche ed alle arti del-la guerra, sia con le armi sia senza. Tutte le culture hanno una propria tradizione marziale, molto spesso collegata allo sforzo spiri-tuale, tant’è vero che i Greci includono da subito la lotta nei giochi olimpici. Inoltre, l’eroe che combatte e sconfigge il demone, il mostro o il ti-ranno, rappresenta un importante ed universale archetipo mitologico. Pare – anche se poco sappiamo di questa prima fa-se – che le Arti Marziali, nate in India, si siano poi diffuse, come (e, forse, con) il Buddismo, in Cina. Qui, l’orientamento alla natura ed al corpo della filosofia taoista, con il suo misticismo, e l’atteg-giamento pratico della cultura cinese, favoriscono lo sviluppo di una quantità di tecniche di combat-timento strettamente connesse con le scuole d’e-sercizio spirituale. Dal “Celeste Impero” le arti marziali si diffondo-no verso la Mongolia e l’Indonesia, Java e l’Indo-cina, la Corea, OKINAWA ed il Giappone, dove s’in-tegrano con i sistemi marziali e religiosi locali, dando vita a nuove ed autonome entità. È in O-riente, dunque, che le Arti Marziali raggiungono le vette più alte e le più ampie elaborazioni: nella so-la Cina si stima l’esistenza di circa 1500 stili di combattimento, 850 sono quelli giapponesi. Dall’avvento delle armi da fuoco in poi, comunque, la capacità fisica e le conoscenze tecniche per un reale combattimento ravvicinato, a corpo a corpo, non hanno quasi più ragione d’essere. Fanno ecce-zione, è ovvio, i casi specifici, che vanno dai mili-tari dei contingenti d’élite alle forze dell’ordine, da chi ha necessità di praticare la difesa a mani nude o ne trae soddisfazione (o guadagno). Una differenza importante fra quello che può es-sere combattimento, difesa personale o lotta per la vita ed una vera Arte Marziale esiste comun-

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que. La distinzione non riguarda tanto la tecnica o la competenza, quanto la specificità delle Arti Marziali: tutte nascono come parte di un sistema globale d’educazione, il cui scopo finale è una ra-dicale trasformazione dell’intero essere del pra-ticante. Queste radici, spesso, sono trascurate o sottova-lutate, talvolta abbandonate del tutto, ma ciò no-nostante, la dimensione spirituale è il cuore d’ogni Arte Marziale. In altre parole, l’arte del combat-timento si è trasformata da tecnica per uccidere il nemico in un sistema (codificato) di progresso fisico, mentale e spirituale oppure è virata verso approdi sportivi, dando luogo a Discipline agoni-stiche. È fuor di dubbio che gran parte del fascino eser-citato dalle Arti Marziali sia dovuto al fatto che esse rappresentano una reale possibilità di difesa ed eventualmente, a fronte di un pericolo o grave provocazione, un’efficace arma d’attacco. Inoltre, il successo di parecchie Discipline Mar-ziali, soprattutto orientali, si basa su fatti certi: sono accessibili a tutti, uomini e donne, bambini, adulti e anziani; si praticano facilmente nelle pa-lestre, a costi contenuti, durante tutto il giorno e di sera e con margini di rischio limitati, equipara-bili a quelli di altri sport; sono state collaudate in pratica, sul campo, talvolta per millenni. Tra tutte le Arti Marziali dell’Oriente, è innega-bile la maggior diffusione di quelle tradizionali giapponesi, le prime non solo ad essere conosciute in Occidente, ma anche a modificare un adde-stramento specificatamente destinato alla guerra in esercizi sia fisici sia spirituali. Molte delle Arti Marziali giapponesi oggi pratica-te, nate come BUGEI secoli fa e sviluppate attra-verso il BUJUTSU d’innumerevoli RYU, si possono ascrivere al BUDO, che le ha arricchite di una con-notazione etica e filosofica, talvolta marcatamen-te spirituale. La pratica del BUDO consente di acquisire tecni-che marziali (anche d’autodifesa) che però svilup-pano anche mente e coscienza del BUDOKA, al fine di consentirgli la vittoria contro l’avversario più temibile in assoluto: se stesso. L’essenza del BU-DO, attraverso l’allenamento costante nelle Arti Marziali, è quella di consentire al praticante un perenne (e non-cosciente) stato d’attenzione psi-cofisica, utile nel DOJO, indispensabile nel quoti-diano, non per respingere aggressori armati, ma per fronteggiare le difficoltà della vita.

Una buona capacità corporea (coordinazione mu-scolare, flessibilità, elasticità, rapidità, potenza, equilibrio e concentrazione) sicuramente aiuta, ma non serve senza il supporto dello spirito e un adeguato ed equilibrato controllo della mente: es-sere un bravo atleta non garantisce di essere un bravo praticante di Arti Marziali. Rischi del BUDO possono essere, da un lato, la for-te spinta allo sport, all’agonismo ed al miglior ri-sultato, dall’altro la spettacolarizzazione, il fana-tismo, la scissione totale dall’essenza originale. Il vero campione, il Maestro d’Arti Marziali, in ogni caso, non è quello che vince tutti gli avversa-ri, ma chi riesce a dominare se stesso. ARTIGIANO. – Si veda la voce “Classi sociali”. ATTACCO. - È l’insieme di tutte le svariate for-me che un’azione aggressiva, distruttiva, può as-sumere. Nella pratica dell’AIKIDŌ, più propria-mente, si dovrebbe pensare ad una forma di con-tatto, dal momento che AITE non ha, né può avere, alcun intento distruttivo (coscientemente, alme-no!).

BAIONETTA. – Corta arma bianca, da punta. Ha lama d’acciaio di varia forma, lunga da 20 ad oltre 60 cm, da innestare all’estremità del fucile negli scontri ravvicinati. Il nome viene da bayonnette e deriva dalla città francese di Bayonne, in cui – pa-re – si producono i primi esemplari, nel secolo XVII. L’importanza di quest’arma – essenziale ai tempi dell’avancarica, quando, esploso il colpo, il fucile con baionetta inastata diventa una sorta di lancia (lunga fino a 240 cm), che consente di fronteg-giare il nemico – si attenua con il passare dei se-coli; oggi, spesso, ha valore simbolico o cerimonia-le. BARBARO. – Chi appartiene ad una nazione con-siderata arretrata e incivile. Per Greci e Romani dell’antichità indica “chi non sa parlare”, ovverosia lo straniero; il termine assume la connotazione negativa di “inferiore” nella Grecia del secolo IV a.C. Barbaro, per quasi tutti i popoli antichi, è chi non appartiene alla propria stirpe e/o civiltà ma, ancora nella seconda metà del 1800, per i Giappo-nesi tutti gli stranieri sono barbari (GAIJIN). Nella “Storia degli Han posteriori” (Cina, secolo V d.C.) esiste una sezione dedicata ai Giapponesi, chiamati “barbari dell’est”. Per la cosmogonia ci-nese, il cielo è rotondo e la terra, più estesa, qua-

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drata: la proiezione del cielo sulla terra configura un cerchio inscritto in un quadrato. Il cerchio è “il Paese di Mezzo” (Zhongguo, nella moderna tra-slitterazione), dove vivono i sudditi del Figlio del Cielo – ovviamente sono loro, i Cinesi – mentre i quattro angoli del quadrato-terra sono occupati da tutti gli altri popoli, i barbari appunto. BARDA. – Armatura protettiva completa per il cavallo. In Giappone è adottata nel Periodo EDO (1603-1867) ed è usata solo per parata, non in battaglia. Le protezioni sono di cartapesta, cuoio laccato e dorato, sottile lamina di ferro. BIACCA. – Forma basica del carbonato di piombo (cerussite). Pochissimo solubile, fin dall’antichità è usato come colore bianco: già Plinio ne descrive il metodo di preparazione e le proprietà. Tossico, oggi non è più usato, ma è causa d’intossicazione cronica (saturnismo) tra le GEISHE del Giappone feudale. BLOCCAGGIO. – Per “bloccaggio”, in AIKIDŌ, si intende lo stadio finale di una tecnica che, attra-verso una “immobilizzazione” [si veda più avanti], blocca totalmente AITE e lo rende incapace di compiere qualsiasi movimento aggressivo. BODHI. (sanscrito) – La condizione, raggiunta l’illuminazione, di essere un Buddha. In giappone-se: BODAI. BODHICITTA. (sanscrito) – La mente del Bud-dha; indica la saggezza intrinseca. In giapponese: BODAI SHIN. BODHIDHARMA. (sanscrito) – (460-534 ?) Mo-naco buddista indiano, nato a Ceylon [Sri Lanka dal 1972]. È il 28° Patriarca della setta buddista Dhyâna (“pura meditazione”, in sanscrito), che pratica un più diretto approccio al Buddismo, un nuovo modo di culto che impone anche lunghi pe-riodi di stasi meditativa in ZAZEN. Verso il 520, regnante l’imperatore buddista Wu Ti, Dinastia Liang della Cina del Sud, pare sog-giorni nel tempio e monastero cinese di Shao Lin-si. Lì fonda una vera e propria scuola di filosofia buddista, introducendo anche la pratica dello ZA-ZEN e diventando il primo Patriarca del Buddismo Chan (o Ch’an, ZEN in giapponese). Bodhidharma, a Shao Lin-si, non solo definisce le sue tesi, ma insegna anche tecniche di respirazio-ne (derivate dal Prânâyama?) ed esercizi destina-ti a fortificare spirito e corpo dei monaci. Secondo una tradizione secolare, inoltre, pare che metta a punto un metodo di lotta a mani nude derivato dai principi del sistema di combattimen-to indiano KALARI PAYAT e ciò per consentire ai

religiosi di difendersi dai banditi da strada, pur senza spargere sangue: sembra sia questa la base delle tecniche del Kung-fu cinese. Alcuni storici moderni (che, talvolta, dubitano ad-dirittura della reale esistenza del monaco) esclu-dono che Bodhidharma abbia insegnato forme di combattimento. Bodhidharma in giapponese si traduce BODAI-DARUMA o, semplicemente, DARUMA e Damo (o Ta Mo) in cinese. BODHISATTVA. (sanscrito) – “Essere illumina-to”, “Buddha vivente”. Chi pratica la “Via del Bud-dha“, ma rimanda la propria Illuminazione e rinun-cia temporaneamente al nirvana per aiutare gli al-tri esseri senzienti a liberarsi; egli partecipa, quindi, alla realtà sociale. Un Bodhisattva – che può essere sia monaco sia laico – non si distingue dagli altri esseri umani, ma la sua anima è Buddha, il suo spirito è quello del Buddha. È l’ideale di santità per il Buddismo ma-hâyâna, dove la compassione per gli altri, per chi soffre, prevale sul proprio desiderio di SATORI. BONSAI. – Antica pratica di coltivare e mante-nere in dimensioni ridotte (dai 30 ai 40 centime-tri) alberi che solitamente possono raggiungere i 20 o 30 metri (pini, cipressi, faggi, ciliegi, aceri). Per riuscire nell’impresa, oltre ad una pazienza certosina, sono indispensabili potature adeguate e contenimenti con fili metallici. BRANDISTOCCO. – Arma bianca. Una lama, na-scosta all’interno di un robusto bastone cavo, e-sce quando l’asta è “brandita” (cioè le viene im-presso un movimento brusco). La lama – che si blocca in posizione grazie ad un dente d’arresto, con scatto a molla – può essere di tipo e dimen-sione diversa. Il brandistocco, databile al secolo XIV ed ante-nato del bastone animato, è l’evoluzione del vec-chio bordone, il “bastone del pellegrino”. BUDDHA. (sanscrito) – “Il Risvegliato”, “l’Illumi-nato”. Dalla radice sanscrita budh-, che significa “risvegliarsi”. Così è chiamato per primo il perso-naggio storico, SIDDHARTA GAUTAMA, detto SHA-KYAMUNI, fondatore del Buddismo [si veda]. Tutti quelli che raggiungono la verità più alta, la vera libertà, sono Buddha. Una via per diventare Buddha (via molto facile, secondo il Maestro Zen Taisen Deshimaru) è seguire questo “ottalogo”: 1. Non pensare al male, non fare il male. 2. Non causare dispiacere, non disturbare gli al-tri.

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3. Non detestare, non scegliere, non fare cate-gorie tra la vita e la morte. 4. Abbi: compassione per l’umanità, rispetto per gli anziani, simpatia per i giovani. 5. Non avere repulsione o preferenza verso alcu-no. 6. Non avere desideri, di qualsiasi natura. 7. Non pensare con la tua coscienza. 8. Non avere paura. BUDDISMO. – È la dottrina etica e filosofica predicata dal Buddha ed anche la forma religiosa che essa ha assunto in molti paesi, soprattutto o-rientali, nel corso dei secoli. L’insegnamento del Buddha si basa fondamental-mente sulle cosiddette quattro “Nobili Verità", che sono, in pratica, la premessa del Buddismo: 1) Esiste la sofferenza. Nascita e morte, vecchiaia e malattie sono soffe-renza: l’intera vita è dolore (dukkha). Tutte le emozioni negative – ansia, timore, invidia, ira, tri-stezza, paura, disperazione – danno dolore. La presenza di ciò che odiamo e l’assenza di ciò che amiamo sono sofferenza. Sono sofferenza anche avversione e, soprattutto, desiderio; il desiderio nasce dall’attaccamento al mondo materiale, ma indica anche la strisciante insoddisfazione che ciascuno, nella vita, sente e prova. 2) La sofferenza ha una causa. L’attaccamento è la causa della sofferenza ed a causare l’attaccamento è l’ignoranza: ignoriamo la realtà ed ignoriamo che la realtà è impermanente. L’attaccamento, che nasce perchè crediamo per-manente ciò che è impermanente, genera ansia, timore, invidia, ira, tristezza, paura, disperazione. 3) Esiste il modo, la via, per sopprimere la causa della sofferenza, del dolore. La sofferenza si estingue annullando la sua causa, cioè l’ignoranza e quindi l’attaccamento. 4) Tale via è l”Ottuplice Sentiero” (gli “Otto No-bili Sentieri”). Gli “Otto Nobili Sentieri” sono anche chiamati “Retti Sentieri” perché non negano la sofferenza, ma indicano proprio nella diretta esperienza della sofferenza il mezzo per superarla. Sono regole che conducono alla comprensione, alla liberazione, alla pace: alla salvezza, insomma. 1) Retta comprensione. È la consapevolezza del continuo cambiamento, della interdipendenza delle cose (e, quindi, la con-sapevolezza del non attaccamento). È la compren-sione della vera natura delle cose, la conoscenza della vera natura della realtà: è l’illuminazione.

2) Retto pensiero. È l’eliminazione del pensiero volontario negativo, che produce sofferenza; è la costruzione del vo-lontario pensiero positivo. 3) Retta parola. 4) Retta azione. 5) Retti mezzi di sussistenza. Sono tre precetti morali. Si tratta di norme di vi-ta che mettono in condizione di non generare sof-ferenza e che si concretizzano nei “Cinque Pre-cetti” della tradizione buddista: non uccidere, non rubare, non fare violenza, parla secondo verità, non assumere sostanze che oscurano la mente. 6) Retto sforzo. È la volontà di attuare la retta concentrazione. 7) Retta presenza mentale. È l’attenzione alla realtà, l’interazione con essa; è la presenza nella realtà. 8) Retta concentrazione. È l’osservazione distaccata della mente. Non si tratta, ancora, di una religione, ma di una via di guarigione dal dolore, con obiettivo la sal-vezza del singolo, per raggiungere la quale culti e devozione non servono: l'unico mezzo è la ricerca individuale. È questo, in sostanza, il Buddismo HINAYÂNA (“Piccolo Veicolo”, in sanscrito), quello più antico e conservatore, detto anche theravada (“Dottrina degli Anziani”). Alla fine del II secolo d.C. si diffondono le tesi di Nagarjuna, l’apostolo del mahâyâna (“Grande Vei-colo”, in sanscrito), da molte scuole buddiste giapponesi considerato il Patriarca per eccellenza. Secondo queste teorie, anche la ricerca della sal-vezza individuale è frutto d’egoismo, poiché ogni uomo è un essere destinato alla “Illuminazione”, vale a dire è un Bodhisattva. Pertanto, a tale ri-cerca occorre sostituire la pratica della carità e l’amore universale. Il Buddismo tantrico o vajrayâna (“Veicolo di Diamante”) si afferma dopo il VII secolo: assorbe elementi culturali e rituali, anche iniziatici, origi-nariamente estranei al Buddismo, come la recita-zione di mantra, la devozione a varie forme divine, anche femminili, pratiche Yoga. Il Buddismo quasi scompare dall’India a causa dell’invasione islamica, verso la fine del XII seco-lo, sopravvivendo nello Sri Lanka e nell’Indocina (forma hinayâna) ed in Tibet, Cina, Corea, Giappo-ne (mahâyâna, tantrico, ZEN). In Giappone il Buddismo (chiamato BUTSU-DO “La Via del Buddha”) è noto dal 538. In quell’anno il re

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coreano Syongmyong invia all’imperatore Senka Tenno i “Tre Tesori” del Buddismo: una statua di Siddharta Gautama Shakyamuni, il Buddha, una selezione di scritti dottrinali (sutra), monaci, a simboleggiare Buddha, Dharma (la legge buddi-sta), SANGHA (la comunità dei credenti). La diffusione di questa religione è favorita dal Clan Soga, ma contrastata dai Clan rivali dei Mo-nonobe e dei Nakatomi ed il culto – per i gravi di-sordini scoppiati all’inaugurazione, nel 585, della pagoda di Toyoura – può essere praticato solo pri-vatamente. Nel 594, dopo la sconfitta degli anti-buddisti (587), il Buddismo è proclamato religione di stato. Sono il carattere – più spirituale, rispetto allo SHINTO – e l’evoluta dottrina che permettono al Buddismo di penetrare e permeare la società giapponese: lo Shintoismo è in crisi, perde seguaci e potere tanto che, nel secolo X, è ormai vivo solo in pochi templi e piccole comunità. Numerosi sono i tentativi per ridare vigore al vecchio culto: Buddha, dapprima, è considerato un nuovo KAMI; poi si afferma che lui non lo è, ma che i KAMI sono manifestazioni del Buddha e dei Bodhisattva, nel tentativo di assorbire il culto dei KAMI in quello del Buddha, ma non funziona. La progressiva perdita di prestigio ed influenza dello Shintoismo (nonostante la elaborazione di nuove teorie che, pur estranee al Buddismo ed al Confucianesimo, nel secolo XVIII gli consentono una certa ripresa) culmina con il riconoscimento ufficiale del Buddismo, nel 1872: è dichiarato di pari importanza rispetto allo SHINTO. Le maggiori sette buddiste, dal Periodo KAMAKURA (1185-1333) in poi, sono la Nichire, la Jodo, la RINZAI-SHU (e, quindi, ZEN), la Shinsu, la SHIN-GON, la SOTO-SHU, la TENDAI, ma nessuna ha più seguaci della filosofia ZEN.

CALZUOLO. – Fornimento delle armi in asta. È la parte che protegge l’estremità inferiore, quella che si appoggia al suolo. Il calzuolo serve a piantare l’asta nel terreno ed anche a bilanciare l’arma, quando il ferro è pesan-te. CAPPETTA. – Fornimento d’arma bianca. È una piastrina metallica o falda di cuoio, sagomata, che copre la bocca del fodero; spesso un analogo ele-mento, anch’esso definito cappetta, copre la cro-ciera dell’arma.

CASTELLO. – I castelli giapponesi dell’era dei SAMURAI sono un esempio illuminante di com’è la vita al tempo dei baroni feudali, i DAIMYO. Oggi, di tali edifici, ne restano pochi, appena una ventina, alcuni dei quali splendidamente restaura-ti. La gran parte dei castelli giapponesi d’epoca feudale, infatti, è stata distrutta nel corso delle numerosissime guerre intestine o per ordine degli SHOGUN, oppure è stata devastata da incendi di-sastrosi od abbattuta dagli altrettanto disastrosi bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mon-diale. I castelli, nei secoli XIII e XIV, altro non sono che semplici luoghi fortificati, spesso trincera-menti provvisori, sorti a protezione di punti ob-bligati di passaggio, confluenze di fiumi e guadi, sommità di colline, valichi montani (YAMAJIRO). Dalle primitive palizzate di legno (HATAITO) o mu-ra di legno e terra (TSUIJI), rafforzate da pietre, che circondano l’abitazione – anch’essa di legno – del feudatario del luogo, presto si passa ad un e-dificio in muratura, ubicato in pianura (hirajo), sulla più importante via commerciale che attra-versa la Provincia. Le dimensioni dei fabbricati sono tali da poter contenere l’intero esercito del Signore. Le difese sono incrementate con alte, possenti mura (HON-MARU, SANNOMARU, NINOMARU), munite di torri di guardia e da un mastio. Il torrione centrale (spes-so edificato su una sopraelevazione del terreno, protetta da enormi blocchi di pietra) è su vari piani, ciascuno dei quali arretrato rispetto all’in-feriore ed ognuno munito di un tetto indipenden-te. Tutte le costruzioni – di legno, tranne le fon-damenta di pietra e le mura – adottano uno stile quasi da fiaba: tetti ricurvi di tegole colorate, or-namenti di bronzo a forma di delfino od animali marini (shibi, “mostri del mare”), larghe gronde spioventi di un cupo nero o d’un bianco abbaglian-te. Dalla fine del secolo XVI il castello del DAIMYO – sempre più poderoso, anche per resistere alle ar-mi da fuoco, alle artiglierie – domina la città-castello che lo circonda ed è il centro economico dell’HAN: grande, bello, decorato, di un’opulenza ostentata che deve intimorire i nemici. Il castello centrale, l’abitazione del Signore, che diventa piazzaforte in caso di conflitto, è spesso difeso da bastioni, cinte murarie talvolta estese, forti e fortezze in quantità. Molti castelli, che derivano da ben più semplici fortificazioni campali, sono all’origine di città co-

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me OSAKA o addirittura Tokyo, il cui nucleo origi-nario (EDO) sorge laddove Ota Dokan, SAMURAI al servizio del Clan Uesugi, nel 1457 costruisce una fortezza provvisoria, un campo trincerato. CHAN. (cinese) – “Vero e profondo silenzio”; “meditazione”. Equivale al giapponese ZEN ed al sanscrito Dhyâna. A seconda della traslittera-zione, si trova anche Ch’an. La storia documentata della scuola Chan inizia con il “sesto patriarca”, Hui-neng (638-713): prima, la figura di maggior rilievo è il primo Patriarca, il monaco indiano Bodhidharma, cui segue il monaco cinese Eka (487-593). Pare che questi, per farsi accettare come discepolo da Bodhidharma – che, durante i primi tre anni di permanenza in Cina, pratica ininterrottamente ZAZEN rivolto alla pare-te della grotta presso il monastero di Shao Lin-si, ignorandolo – decide di tagliarsi il braccio sini-stro, a dimostrare la propria determinazione nella ricerca della Via. CHING. (cinese) – Parola che traduce non solo il termine “classico”, inteso come libro, opera clas-sica, ma anche “i libri”, ad indicare un “veicolo” della tradizione, spesso complementare, talvolta in contrasto con altri “veicoli”, come l’antica tra-dizione orale. CHIOSSONE EDOARDO. – (1833-1898) Artista genovese, incisore di gran talento, è assunto dal Governo giapponese nel 1875, per dirigere la “di-visione incisoria” del Poligrafico nazionale e Zecca dello Stato, al Ministero delle Finanze, in Tokyo. Nei 23 anni di permanenza laggiù, produce oltre 500 lastre per banconote (le prime del Giappone moderno), carte valori, titoli di stato e francobol-li; ritrattista ufficiale della Corte Imperiale, è anche autore di oltre 185 illustrazioni che ritrag-gono gli uomini più potenti del Paese, all’epoca del-la Restaurazione MEIJI (1867/68). Alla morte, avvenuta in quel Paese, lascia gran parte dei propri averi ai poveri di Yokohama, men-tre all’Accademia Linguistica di Belle Arti di Ge-nova dona oltre 14.000 oggetti della tradizione nipponica: pitture, stampe policrome, oggetti ar-cheologici, bronzi, monete, suppellettili liturgiche buddiste, lacche, smalti, maschere teatrali, sta-tue lignee e bronzee, porcellane, armi ed armatu-re, complementi d’abbigliamento, tessuti, costumi, strumenti musicali… Tutti questi oggetti sono oggi riuniti – anche se non tutti esposti – nel Museo d’Arte Orientale a lui intitolato.

CHOC (stato di). – È una sindrome [insieme di se-gni e sintomi patologici] clinica e cronica, provo-cato da una brusca aggressione, in particolare un trauma. CINQUE ELEMENTI. (cinese: wu hsing) – Non potendo né volendo qui proporre un trattato di Medicina Tradizionale Cinese (conosciuta, diffusa e praticata, come noto, in tutto l’Oriente), sarà sufficiente ricordare solo alcuni aspetti riguar-danti i cosiddetti Cinque Elementi: Legno, Fuoco, Terra, Metallo, Acqua. Gli Organi e Visceri profondi sono connessi, at-traverso i Canali Energetici, agli Organi di Senso, secondo precise relazioni legate ai Cinque Ele-menti, la cui funzione è il risultato d’influssi com-plementari ed opposti. I Cinque Elementi sottostanno a reciproci legami, che costituiscono rigorosi Cicli Fisiologici: nel Ci-clo Sheng (“generazione Madre-Figlio”) ogni Ele-mento genera e nutre l’Elemento che lo segue, mentre nel Ciclo Ke (“moderazione Nonno-Nipote”) limita l’esuberanza dell’Elemento Figlio del Figlio. Queste sono le successioni:

Ciclo Sheng: Fuoco → Terra → Metallo → Ac-qua → Legno (per tornare al) → Fuoco.

Ciclo Ke: Fuoco → Metallo → Legno → Terra → Acqua (per tornare al) → Fuoco. L’esatta funzione d’ogni Elemento, quindi, dipende tanto da una sua corretta generazione da parte dell’Elemento precedente (Madre), quanto dalla puntuale limitazione dei suoi eccessi da parte dell’Elemento che precede la Madre (Nonno). Un’alterazione dei Cicli Fisiologici porterà quindi all’insorgere di Cicli Patologici: un Elemento Nonno squilibrato può inibire l’Elemento Nipote anziché moderarlo (ed è il Ciclo Cheng, “repressione Non-no-Nipote”). Se l’Elemento Nipote è iperattivo, invece, può ri-voltarsi al Nonno, impedendogli di ben funzionare (è il Ciclo Wu, “ribellione Nipote-Nonno”, nella successione: Fuoco → Acqua → Terra → Legno → Metallo → Fuoco). I Cinque Elementi, in effetti, rappresentano al-trettanti modi dinamici della realtà, il cui reci-proco equilibrio dà forma e sostanza alle cose. Queste sono perciò cinque categorie fondamenta-li, cinque principi interdipendenti che inquadrano l’intera realtà, dal macrocosmo al microcosmo, collegandola con i Cinque Elementi. Nella tabella che segue sono riportate le principali associazioni

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tra i Cinque Elementi e stagioni, animali, sapori, emozioni, organi eccetera.

elementi corrispondenze LEGNO FUOCO TERRA METALLO ACQUA

PUNTI CARDINALI est sud centro ovest nord

STAGIONI primavera estate passaggio esta-te-autunno autunno inverno

COLORI blu-verde rosso giallo bianco nero TEMPO vento caldo umido secco freddo

ANIMALI drago uccello uomo tigre tartaruga EVOLUZIONE nascita crescita trasformazione declino morte

CORPI CELESTI stelle sole terra costellazioni luna NUMERI 3 2 5 4 1 SAPORI aspro amaro dolce piccante salato ORGANI fegato cuore milza polmoni reni

VISCERI vescica bi-liare

intestino te-nue stomaco intestino

crasso vescica

ALTRE PARTI DEL CORPO

muscoli, tendini arterie, vene carne pelle, peli ossa, tendini,

midollo EMOZIONI collera gioia timore, desiderio tristezza paura ANIMALI pecora pollo bue cane maiale

L’ideogramma che esprime il concetto dei Cinque Elementi, in realtà, è composto di due caratteri: Wu, cinque, e Xing. Xing indica due piedi che pro-cedono, passo a passo. L’esatto e più profondo si-gnificato dell’ideogramma, quindi, è: “I Cinque Modi di Camminare”, normalmente tradotto con “I Cinque Movimenti” oppure “I Cinque Elementi” che, però, non rende bene il concetto di movimen-to-azione-dinamismo. È rilevante che la tradizione cinese abbia scelto, per indicare un elemento fondamentale, un con-cetto basilare, la camminata, archetipo del movi-mento. CIMIERO. – È un elemento decorativo, ornamen-tale dell’elmo. Spesso assolve anche funzioni aral-diche e può essere sia parte integrante dell’elmo, sia elemento aggiunto. CINABRO – È un minerale [solfuro di mercurio, che cristallizza in aggregati microcristallini o terrosi; raramente in piccoli cristalli] tenero e pesante (peso specifico 8,1), di colore rosso san-gue; è il principale minerale del mercurio ed è u-sato anche come pigmento (vermiglione). Simbo-leggia la forza vitale. CLASSI SOCIALI. – È soprattutto sotto i TO-KUGAWA, nel Periodo EDO (1603-1867), che la po-polazione giapponese si trova vincolata – e soffo-cata – in un ferreo e teoricamente insuperabile sistema di classi sociali.

Tutta la vita di una persona, dalla nascita alla morte, è definita secondo il rango, nel Giappone del tempo: ciascuno conosce la propria posizione e, di conseguenza, il suo ruolo nella società, la funzione, addirittura il modo in cui deve vestire (ed anche se e quando può portare un ombrello!). Anche la collocazione geografica non deve mutare e, se non basta l’autodisciplina, si scoraggiano i contatti tra i feudi e si rendono difficili sia i viaggi tra Province diverse (posti di blocco, ne-cessità di passaporti, ponti resi inagibili…) sia gli spostamenti immotivati all’interno delle stesse città (coprifuoco notturno, porte interne, senti-nelle…). Ai funzionari addetti al controllo è ordi-nato di sorvegliare in particolare de onna, iri dep-po (“le donne che escono, le armi che entrano). La società è divisa in quattro classi sociali princi-pali: SAMURAI, CONTADINI, ARTIGIANI e MERCANTI; inoltre ci sono preti, monaci, dottori e, privi d’ogni diritto e senza alcuna garanzia, mendicanti (HI-NIN), attori e “non umani” (ETA). Ogni fatto della vita quotidiana evidenzia la dif-ferenza di classe, ciascuna addirittura con pro-prie leggi, che sono diverse per i SAMURAI o per i contadini, per i mercanti o gli artigiani (esiste perfino il diritto del KIRISUTE-GOMEN: chi offen-de un appartenente alla classe militare può essere ucciso sul posto). Il sistema di classe dura anche dopo la Restaura-zione MEIJI, con una semplificazione: cortigiani e

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DAIMYO sono classificati KAZOKU (“nobile”), i SA-MURAI diventano SHIZOKU (“gentiluomo di campa-gna”) o SOSTUZOKU (“soldato”), tutti gli altri sono HEIMIN, la “gente comune”. SAMURAI. [si veda anche la specifica voce nella Seconda Parte]. Anche all’interno d’ogni classe sono previste suddivisioni. Tra i SAMURAI, ad esempio, primi vengono i DAIM-YO – e, primi fra tutti, i FUDAI-DAIMYO (“Signori dell’Interno), che occupano i gradi più alti del BA-KUFU, servendo direttamente la Famiglia TOKUGA-WA – cui seguono i KARO (“anziani”), che tendono a sposarsi nella Famiglia del DAIMYO, mantenendo una posizione ereditaria. A questi seguono gli HA-TAMOTO (“sotto la bandiera”), che servono nell’esercito, presidiano i castelli più importanti, formano corpi di guardia e occupano posizioni di comando nell’amministrazione TOKUGAWA; a loro sono attribuite terre o salari, con extra per la carica ricoperta. Vengono quindi i GO-KENIN (“ono-rabili uomini di casa”), i famigli, che occupano i gradi più bassi dell’amministrazione centrale o lo-cale. Un modello illuminante è dato dal Clan Yamauchi di Tosa dove, per i SAMURAI, sono previsti dieci gradi, cinque “superiori” e cinque “inferiori”. Ai ranghi superiori (che godono di una certa mobilità al loro interno) sono attribuite terre; quelli infe-riori (che molto difficilmente possono aspirare a salire la gerarchia) sono remunerati in natura, con riso. Subito sotto il DAIMYO ci sono i KARO: ammini-stratori nel tempo di pace e generali in guerra, hanno terre che valgono dai 10.000 ai 1.500 KOKU e possono usare il nome della Famiglia Yamauchi, da loro servita in totale fedeltà. Gli altri quattro gradi costituiscono gli ufficiali comandanti in guerra e possiedono terre da 1.500 a 50 KOKU. I cinque gradi “inferiori” scendono fino agli ASHI-GARU e ricevono un salario che va da 7 a 3 KOKU (finché non è introdotto il pagamento in contanti, al valore di mercato del riso): in tempo di pace svolgono servizi di manovalanza. Non deve stupire più di tanto una separazione co-sì rigida, talvolta spietata, anche all’interno di una stessa classe sociale (SANKIN-KOTAI, “Presenza Alternata”, con ostaggi; METSUKE; passaporti…): il codice etico confuciano (e poi neo-confuciano) è attuale ed accettato, nel Giappone dell’epoca, ba-sti pensare al BUNJI-SEIJI, il “Governo attraverso la persuasione morale”.

I principi confuciani, basati sull’utopia di una so-cietà ideale – dove ognuno occupa il proprio posto particolare, in base ad un ordine naturale delle cose – forniscono anche la legittimazione morale all’autorità, dapprima paterna (l’amore ed il ri-spetto filiale), poi di chi governa. Alla base della società umana ci sono l’ordine mo-rale e la ragione: compito di chi governa è realiz-zare e mantenere questo equilibrio tra il popolo. Dall’amore filiale, che si trasforma in rispetto per gli anziani ed i “superiori” in genere, si passa rapi-damente al principio di fedeltà assoluta verso il Signore, al “dovere morale” del SAMURAI, che è al-la base del BUSHIDO. Bene si adattano i principi confuciani allo scopo dello shogunato: mantenere un ordine sociale e politico stabile. CONTADINI. Si deve partire da un presupposto fondamentale: nel Giappone antico le condizioni economiche si fondano sulla distribuzione della terra e il potere si basa sul suo possesso. Chi ha i diritti sulla terra, possiede gli elementi del potere, ma dovendo far coltivare e rendere la terra, deve appoggiarsi ai contadini, dai quali di-pende pur dominandoli. Ed i contadini sono la par-te più consistente della popolazione giapponese, arrivando al 99% del totale. Il regime della piccola proprietà terriera – la scarsissima superficie coltivabile del territorio non permette coltivazioni estensive – inizia nel secolo VII e continua durante tutta la storia del Giappone. [si veda “Giappone. Attività primarie attuali”]. Il contadino considera legittimamente sua la ter-ra che coltiva – per la quale lui paga l’imposta al Signore, cui deve anche le corvé – anche se essa appartiene al latifondista SHOEN, al nobile KUGE che risiede nella lontana KYOTO oppure ad un SA-MURAI di un grado qualsiasi. Durissima è la vita dei contadini, il cui lavoro è soggetto ad un clima capriccioso ed a ricorrenti disastri (gelate, siccità e inondazioni, TERREMOTI, maremoti, tifoni ed altre catastrofi naturali), tanto che, normalmente, solo la terza o quarta parte dei terreni è coltivata in permanenza, con rendimenti comunque molto bassi. Oltre a ciò, le comunicazioni – e quindi gli scambi – tra le sessantasei (in teoria) Province dell’Impero sono molto difficili: natura impervia, strade im-praticabili, lotte tra feudatari, pesanti dazi su merci e persone alle barriere erette ai confini dei diversi HAN.

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Gli abitanti delle campagne sono comunemente chiamati BONGE o KOOTSUNIN (“gente qualunque”) e, come per le altre classi sociali giapponesi, si suddividono in ulteriori classi: in basso ci sono gli ZOMIN ed i GENIN (“gente inferiore”). I primi non hanno specializzazione, svolgono man-sioni umili, da operaio agricolo o bracciante, sono quasi schiavi o servi della gleba; gli altri, chiamati anche NUHI, possono essere sia stranieri e loro discendenti, sia contadini di classe più alta ridotti in miseria o, addirittura, agricoltori vendutisi per fame. I NUHI abbandonano abbastanza presto la terra per mettersi al servizio di Signori e BUSHI, diven-tando essi stessi guerrieri, piuttosto che artigia-ni. All’inizio secolo XIV (Periodo ASHIKAGA) quasi tutti i GENIN sono ormai diventati o guerrieri al seguito di un SAMURAI (SHOJU) o uomini liberi. Seguono, a salire, i GESAKUNIN, piccoli coltivatori: molto spesso sono guerrieri senza titoli né pro-prietà che, per sopravvivere in tempo di pace, coltivano la terra. I GESAKUNIN affittano terre (sulle quali si stabiliscono con la famiglia), spesso con contratti a termine, da RYOKE o da contadini proprietari comuni o da SAMURAI che vogliono va-lorizzare i propri terreni. In cima alla “piramide” troviamo i RYOKE (proprie-tari d’alto rango), gli agricoltori ed i proprietari di terre sfruttate personalmente (anche se affit-tate: nel caso, la metà del raccolto spetta al pro-prietario). ARTIGIANI. L’evoluzione della società, nel Giappo-ne feudale come dappertutto, si basa sulla specia-lizzazione in un’arte, una scienza, una professione. È normale che, nella società civile, uomini con ta-lenti affini si associno per dar vita a corporazioni, all’interno delle quali sono tramandati i segreti dell’arte o del mestiere. È questo il terreno dal quale sorgono, nel Giappo-ne storico, i raggruppamenti di artigiani, BE, spes-so familiari, altrettanto spesso uniti da vincoli non di sangue, ma d’occupazione e di residenza. I lavoratori specializzati – dai carpentieri ai fab-bricanti di carta, di ventagli e d’oggetti in bambù, dai laccatori (URUSHI) ai fabbricanti di ceramiche e d’ombrelli, ai conciatori a tutti gli artigiani im-pegnati nella lavorazione dei metalli – costituisco-no corporazioni talvolta molto ricche e potenti. MERCANTI. L’attività mercantile, soprattutto nel Periodo EDO (1603-1867), è assolutamente indi-spensabile tanto per assicurare la sopravvivenza degli HAN quanto per garantire i rifornimenti

all’interno del feudo. Non si dimentichino, infatti, sia le difficoltà di movimento di merci e persone (e l’intento di rendere ogni sistema BAKU-HAN e-conomicamente indipendente), sia il fatto che tutto il commercio di un HAN si svolge nella città-castello sede del DAIMYO, mentre nei villaggi si pratica solo l’agricoltura e l’artigianato. La funzione dei mercanti, formalmente disprezza-ta dalle classi elevate, è tuttavia preminente nella nuova realtà economica emersa nel Periodo TOKU-GAWA, e costringe spesso SAMURAI e mercanti ad essere soci, sia pure riottosi. È il mercante, infatti, che non solo assume il ruolo di trasformare il riso nel più stabile denaro, ma anche funge da mediatore tra il SAMURAI TOKU-GAWA ed il BAKUFU: ritira dai magazzini della Ca-pitale il riso e poi lo distribuisce ai SAMURAI, op-pure paga loro l’equivalente in moneta (pratica o-vunque diffusa), talvolta anticipandolo, a titolo di prestito. È sul riso (misurato in KOKU), che si valuta la ric-chezza di un HAN, ma la produzione dipende dai fattori climatici ed il riso è merce deperibile, la cui conservazione può essere influenzata da fat-tori esterni, climatici e non. Il SAMURAI del Periodo TOKUGAWA è ancora retri-buito in riso e pagato tre volte l’anno: ¼ del dovu-to nel 2° mese, ¼ nel 5° e l’ultima metà nel 10°. Enormi, talvolta, sono i prestiti concessi dai mer-canti ai SAMURAI di tutti i ranghi, anche ai DAIM-YO: se ciò consente agli uni d’avere disponibilità di contanti, da destinare alle spese di un manteni-mento consono al rango, per gli altri rappresenta una fonte di guadagno, anche se talora effimero. Confische dei beni e cancellazione dei debiti per decreto shogunale, prestiti forzosi: queste alcune delle misure utilizzate, più volte, dalla classe dei BUSHI per togliersi d’impiccio; si racconta che, nel 1705, TOKUGAWA Ienobu ordina la confisca della proprietà di Yodoya Saburoemon nel momento in cui il credito da questi vantato verso i DAIMYO giunge a 100 milioni di RYO (monete d’oro), vale a dire più dell’intero reddito nazionale dell’epoca! Altra notevole fonte di guadagno, per i mercanti, è rappresentata dal cambio di denaro. Quasi tut-to il commercio al dettaglio si fa con monete di rame, mentre all’ingrosso si usano monete d’ar-gento e d’oro. Il tasso di cambio è variabile, anche a breve ter-mine, ed il sistema di coniazione non facilita certo la stabilità del mercato; in tutte le città-castello è possibile trovare agenti di cambio, muniti dei lo-

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ro abachi (SOROBAN), utilizzati a velocità sor-prendente. Sempre nelle città-castello, sono mercanti di fi-ducia del DAIMYO a controllare i depositi di riso dell’HAN, anche se presto gli stessi Signori trova-no più conveniente accentrare i propri depositi nei magazzini di EDO o di OSAKA, città che così diventano i centri di un’economia nazionale che u-nifica quelle dei diversi HAN. Anche i mercanti, come i SAMURAI, devono obbe-dire a severi codici familiari, che dettano le rego-le di vita: frugalità, lavoro diligente, obbedienza all’autorità, protezione del buon nome del negozio o dell’emporio. Queste regole non impediscono di certo ai mer-canti di arricchirsi, anzi! E la ricchezza rappre-senta, spesso, una via di fuga dalla prigionia della classe sociale di nascita: il figlio di un ricco mer-cante può essere adottato da una famiglia SAMU-RAI, così come un SAMURAI decaduto o indebitato può vendere il proprio titolo. La tariffa di queste pratiche, fortemente e inutilmente contestate dall’ottavo SHOGUN TOKUGAWA, Yoshimune (1716-1745), si aggira sui 50 RYO – che diventano 100 in caso d’urgenza – per ogni 100 KOKU di rendita tas-sabile. Oltre al denaro, l’attrattiva esercitata dalla clas-se mercantile sui SAMURAI dipende anche da altri fattori: i divertimenti della cultura UKIYO, tipica della borghesia cittadina. I mercanti, terminato il lavoro, sanno divertirsi e con loro i CHONIN, che con i mercanti spartiscono la ricchezza; quando possono, anche i SAMURAI as-saporano piaceri per loro proibiti, in teoria, come il teatro KABUKI o la compagnia di GEISHE o prosti-tute. La prostituzione, proprio come il teatro KA-BUKI, è considerata un male necessario, destinato a mantenere tranquille le classi inferiori. CODOLO. – È la parte della lama avvolta dall’impugnatura ed opposta alla punta. È di varia forma, secondo il sistema di fissaggio del manico. COLTELLO. – Utensile d’uso domestico, costitui-to da una lama, solitamente appuntita, ad un filo (più raramente due), fissata ad un manico. Il coltello è tra i primi utensili fabbricati dagli esseri umani e la sua storia inizia nell’età della pietra, quando i nostri progenitori ricavano stru-menti taglienti da ossa, corna o legno. Questi at-trezzi, nell’era preistorica, si evolvono via via, con l’utilizzo di selci ed altre pietre scheggiate nei periodi paleolitico, mesolitico e neolitico, per

giungere all’uso dei metalli nelle età del bronzo e ferro. La lunghezza complessiva di un coltello dipende dall’uso e varia dai pochi centimetri ai 30-35. La variante militare ha di solito dimensioni mag-giori ed il suo utilizzo è il più differenziato: da utensile ad attrezzo ad arma, sia d’ordinanza sia occasionale. Come tutte le cose che hanno rilievo nella vita de-gli uomini, i coltelli sono oggetto di studio, colle-zione e catalogazione. Una suddivisione categori-ca, con riferimento all’uso non domestico (e senza parlare di forma della lama e della punta, mate-riale dell’impugnatura e qualità dell’acciaio della lama, eventuale tipo di chiusura, ornamenti e de-cori di lama, impugnatura e fodero…) può essere la seguente: - baionetta; - coltello a farfalla, a molla (o a scrocco), a ser-ramanico (o “molletta”); - coltello da caccia, da esploratore, da lancio, da sopravvivenza, da stivale, da tasca (o temperino); - coltello militare, pieghevole; - pugnale, pugnale-coltello; - push dagger (la corta lama è perpendicolare al manico, che sta nel palmo della mano; la lama fuo-riesce tra le dita); - stiletto. CONFUCIANESIMO. – Scuola cinese, filosofica e di pensiero. Tradizionalmente, si ritiene fonda-ta da Kung Tzu (il Maestro Kung, o CONFUCIO), tramandata e ampliata da Meng Tzu (il Maestro Meng, latinizzato in Mencio, secolo IV a.C.), Zhu Xi (secolo XII) e Wang Yanming (XV - XVI seco-lo). È una dottrina morale e politica, con alcune valenze religiose, che per la Cina rappresenta il razionalismo, il giudizio ed il senso etico, e spesso sconfina anche nel rigido ritualismo. Il Confucianesimo, pur non avendo alcuna valenza metafisica, diventa la dottrina-base dello Stato cinese fin dalla Dinastia Han, proprio per il forte senso etico espresso, assumendo addirittura con-notazioni religiose. Il principio ordinatore dell’universo è l’armonia (li), che rappresenta anche il fine ultimo cui deve tendere l’uomo, sia attraverso il culto del divino e degli antenati, sia con il rispetto degli altri uomini e dei superiori, sia con la cultura, l’altruismo e la pratica assidua della virtù. Alla base della strut-tura sociale vi è il nucleo familiare ed anche lo Stato è considerato un’unica, grande, famiglia.

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Per mandato celeste, è l’Imperatore che assicura l’armonico accordo fra ordine sociale e universale. “I Cinque Classici” (Wu Jing o Wu Ching) e “I Quattro Libri” (Sishu) sono i testi che racchiudo-no l’insieme delle dottrine confuciane. I primi, at-tribuiti a Confucio e raccolti dai suoi discepoli (ma egli, in verità, non ha lasciato alcuno scritto) risalgono al II e I secolo a.C. e compongono il ca-none etico, filosofico, morale e politico del Confu-cianesimo. Essi sono: Yi Jing (“Libro dei Mutamenti”), Shu Jing (“Libro della Storia”), Shi Jing (“Libro delle Odi”), Chung Quiu (“Annali della Primavera e dell’Autunno”) e Li Ji (“Canone dei Riti”). I secondi comprendono i seguenti testi: “I Dialo-ghi di Kung Tzu” (raccoglie l’insegnamento di Con-fucio e risale al secolo IV a.C.), “Il Mezzo”, “La grande scienza”, “Il Libro di Meng Tzu”. Il Confucianesimo sostiene il principio gerarchico e, di fatto, garantisce il perpetuarsi di uno Stato burocratico: per questo motivo ottiene sempre l’appoggio ufficiale dell’apparato statale, per tut-ta la durata dell’Impero cinese. Il massimo esempio dell’etica confuciana si trova nell’Hsiao Ching (“Classico dell’amore filiale”). In questo testo – che, più che contrapporsi al Taoi-smo [si veda], può ben rappresentare un tipo con-fuciano di Taoismo – sono elencate le cinque rela-zioni basilari che, se apprese e praticate, rendono l’uomo un buon cittadino. Queste le cinque rela-zioni (con, tra parentesi, il loro tratto caratteriz-zante).

1. da padre a figlio (giustizia); 2. da madre a figlio (compassione o amore pieto-so); 3. dal figlio ai genitori (amore filiale); 4. dal fratello maggiore al minore (amicizia); 5. dal fratello minore al maggiore (rispetto). Per le donne è previsto unicamente un modello femminile d’obbedienza e sottomissione: dapprima al padre, poi al marito, quindi al figlio. Un primo divieto ufficiale del culto confuciano si ha dopo la rivoluzione nazionalista del 1912, ma è l’avvento della Repubblica Popolare, comunista (1949), a scatenare violente e reiterate campagne repressive contro questa dottrina, così come con-tro tutte le ideologie non marxiste. Ciò nonostan-te, il Confucianesimo è tuttora radicato in Cina. CONFUCIO. – (551-479 a.C.) Pensatore e filoso-fo Cinese. È la forma latinizzata di Kung Tzu, “il Maestro Kung”. Dopo aver ricoperto varie cariche pubbliche, per quattordici anni è letterato itinerante attraverso le Corti dei diversi Regni. Stabilitosi infine a Lu, insieme con alcuni discepoli attua quella verifica e sistemazione degli antichi testi classici che, ar-ricchita e riproposta come sistematica dottrina etico-sociale (Wu Jing, “I Cinque Classici”), diven-ta la base del Confucianesimo. CONTADINO. – Si veda la voce “classi sociali”. COPPO. – È la parte dell’elmo che protegge di-rettamente il cranio.

CORPO. – La conoscenza del corpo (TAI, MI) è essenziale in tutte le Arti Marziali; tra l’altro serve sia per la corretta localizzazione dei KYUSHO (“punti vitali”) da colpire, sia per individuare il più efficace mezzo di percussione. Nella prima delle tabelle che seguono si riportano i termini anatomici giapponesi che si riferiscono al corpo umano; nelle successive, iniziando dalla testa, sono anche indicati – in carat-tere CORSIVO – i “punti sensibili“ o “vitali”, i KYUSHO.

anche - KOSHI, GOSHI bocca d/stomaco - SUIGETSU

braccio - WAN clavicola - SAKOTSU coccige - BITEI gamba - ASHI mano - TE piede - ASHI

plesso solare - KYOSEN

reni - HIZO schiena - KYOEI (tra 4^ e

5^ costola) schiena - SODA (7^ verte-

bra cervicale) schiena

- CHELANG (7^ ver-tebra dorsale)

schiena - KODENKO (verte-bre lombari)

spalla - KATA sterno - KYOTOTSU, TANCHU

testicoli - KINTEKI testa - TO, TSU, ATAMA (li-

vello alto: JODAN) torace - MUNE (livello medio:

CHUDAN) ventre - HARA (livello basso:

GEDAN) La testa umana (ATAMA, TO, TSU), nelle Arti Marziali è, con tutta evidenza, obiettivo privilegiato per

i colpi (ATEMI), sede com’è di numerosi “punti vitali”, ma non solo. Spostare dal proprio asse la testa dell’avversario, ad esempio, significa sbilanciarlo, squilibrarlo e renderlo incapace di pronta reazione (come numerose tecniche d’AIKIDŌ insegnano).

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apofisi mastoidea - DOKKO

base del cranio - KOCHU base del naso - JINCHU

bregma, fontanella anteriore - TENDO

capelli - KAMI carotidi, destra

e sinistra - MURASAME e MATSUKAZE

collo - KUBI

globo oculare - GANSEI massetere (an-golo mascella) - MIKAZUKI

mento - GEKON nuca - KEICHU

orecchie - MIMI pomo d’Adamo,

trachea - HICHU punta del mento - KACHIKAKE

radice del naso - CHUTO, UTO sommità del cra-

nio, fontanella posteriore - TENTO

tempie - KASUMI viso, volto - MEN, KAO

zigomi, orbite oculari - SEIDON

Oltre che la testa, bersaglio immediato è quello cosiddetto “grosso”: tronco, busto, schiena.

apofisi xifoide sternale - KYOSEN

base del collo, tra clavicole - SONU base della colonna - KODENKO base delle scapole - SODA

bocca dello stomaco - SUIGETSU coccige - BITEI

fianchi, costole fluttuanti - DENKO, INAZUMA ombelico - MYOJO

pettorali, tra 4^ e 5^ costola - GANKA

pettorali, tra 5^ e 6^ costola - KYOEI plesso cardiaco - GANCHU

reni - HIZO spina pubica - YAKO

sterno: parte inferiore - KYOTOTSU sterno: parte superiore - TANCHU

testicoli - KINTEKI, TSURIGANE tra le scapole - KATSUSATSU

Nelle Arti Marziali le mani sono indispensabili, sia per afferrare sia per colpire.

a una sola mano - KATA TE

a due mani - RYO TE, MORO TE base del palmo - TEISHO

bordo esterno della mano - TE-GATANA, SHUTO bordo esterno della mano, sopra il

pollice - HAITO dita - YUBI, SHI

dita a “becco d’aquila” - WASHIDE, KEIKO

dita a forcella - NIHON NUKI-TE

dorso - HAISHU palmo - SHU-WAN,

SHOTEI palmo, a sx tendine del 2° radiale - SHUKO

palmo, con dita ripiegate - KUMADE palmo, sul 1° interosseo palmare - KAIAKU

polso - TEKUBI polso, parte superiore - KAKUTO polso, parte sup. est. - SHAKUTAKU polso, parte sup. int. - USHIRO-SHAKUTAKO

pugno chiuso a martello - TE-TSUI, KEN-TSUI pugno chiuso e nocca

sporgente - IPPON-KEN, NAKA-YUBI

pugno semichiuso - HIRA-KEN pugno, parte anteriore - SEI-KEN, KEN-TO

punta del dito teso - IPPON NUKITE punta delle dita - YUBISAKI

quattro dita tese, a lancia - YONHON NUKITE

In tutte le Arti Marziali, le tecniche eseguite con le braccia sono essenziali.

articolazione interna del gomito - CHUKITSU

articolazione, giuntura - KANSETSU avambraccio - ZEN-WAN, KOTE, UDE

avambraccio, bordo esterno - GAI-WAN avambraccio, bordo interno - NEI-WAN

avambraccio, parte inferiore - SHU-WAN avambraccio, parte superiore - HAI-WAN

avambraccio, parte superiore est. - SANTCHI braccio - WAN

braccio, interno, verso l’ascella - WANJU gomito - HIJI, EMPI

polso - TEKUBI spalla - KATA

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Il buon equilibrio e la mobilità, assicurati dalle gambe e dai piedi, sono fattori essenziali nel combat-timento; inoltre, nelle Discipline in cui le ATEMI WAZA hanno maggior peso, le tecniche eseguite con i piedi sono molto usate.

piede - ASHI base delle dita

(tubercolo 5° metatarso)

- SO-IN

bordo esterno - SOKUTO, A-SHI-GATANA

caviglia - ASHI-KUBI

caviglia, malleo-lo interno

- UCHI-KUROBUSHI

collo del piede - KORI, SOK-KOTSU

dita - TSUMA dorso - HAISOKU, ASHI-ZOKU pianta - TEISOKU, ASHI-URA

punta delle dita - TSUMASAKI tallone - KAKATO, KAGA-

TO, ENSHO tendine

d’Achille - AKIRESUKEN zona carnosa sotto le dita

- KOSHI, CHUSO-KU

CORSALETTO. – Corazza, di ferro o altro mate-riale; protegge solo petto e schiena. COSMOGONIA. – Dottrina mitologico-religiosa: spiega l’origine dell’universo. La maggior parte dei miti delle origini, presenti in ogni cultura, si rifà al concetto di una divinità che crea dal nulla o di un demiurgo [l’Ordinatore, il Costruttore dell’Universo] che trae gli elementi costitutivi da materiali amorfi o dal caos preesi-stente. La speculazione filosofica e scientifica sulla natu-ra e l’origine dell’universo rientra propriamente nel campo della cosmologia, la scienza che studia la nascita, l’evoluzione e la struttura del cosmo considerato nel suo insieme.

COSTA. – Parte d’arma bianca. È la parte dorsale (e chiamata pertanto anche dorso), opposta al ta-glio, che – talvolta anche ingrossata – conferisce rigidità alla lama. CROCIERA. – Parte del fornimento d’arma bianca manesca. Posta di traverso alla lama, è attraver-sata dal codolo, che poi s’incastra nell’impugnatu-ra. Il nome deriva dalla forma, a croce, dei suoi ele-menti (il “braccio di guardia” e il “braccio di para-ta”). In armi con difese nel piano dell’elso (anelli o altri elementi), questo, più propriamente, si defi-nisce MASSELLO, poiché è più spesso dei bracci. CRONOLOGIE.

– Dinastie cinesi.

Xia: ~ XXI – XVI sec. a.C. Shang: ~ XVI – XI sec. a.C.

Zhou occidentale: ~ XI sec. – 771 a.C. Zhou orientale:

Periodo delle Primave-re e degli Autunni

770 – 476 a.C.

Periodo dei Regni Com-battenti

475 – 221 a.C.

Qin: 221 – 207 a.C. Han occidentale: 206 a.C. – 25 d.C.

Han orientale: 25 – 220 Tre Regni (Wei, Shu, Wu): 220 – 265

Jin occidentale: 254 – 316 Jin orientale: 317 – 420

Dinastie del nord e del sud: 420 – 589 Sui: 581 – 618

Tang: 618 – 907 5 Dinastie e 10 Regni: 907 – 960 Song settentrionale: 960 – 1127

Song meridionale: 1127 – 1279 Yuan: 1260 – 1368 Ming: 1368 – 1644 Qing: 1644 – 1911

- Cronologia fondamentale giapponese.①

① Non tutti gli storici concordano con questa suddivisione, o sono d'accordo sull’anno di inizio/fine dei singoli Pe-riodi o mantengono le identiche denominazioni, come risulta dalle successiva e più dettagliata tabella “Periodi stori-ci del Giappone”. Alcuni, ad esempio, non considerano i Periodi Hakuho (compreso in quello Nara: protraggono l’Asu-ka fino al 710), Rokuhara (incluso nel Kamakura) e Ashikaga (parte del Muromachi). Per gli scopi di quest’opera, li ritengo dettagli trascurabili.

Preistoria: fino al 537 Asuka: 538–644 Nara: 645-781

Hakuhô: 645-710 Tempyô: 711-781

Heian: 782-1184

Jôgan: 782-897 Fujiwara: 898-1184

Kamakura: 1185-1332

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Nanbokuchô: 1333-1391 Muromachi: 1392-1572 Momoyama: 1573-1599

Edo: 1600-1867 Meiji: 1868-1912

Taishô: 1912-1926

Shôwa: 1926-1989 Heisei: dal 1989

– Periodi storici del Giappone.

PREISTORIA

Jomon: ~ 7500 – 300 a.C. Yayoi: ~ 300 a.C. – 300 d.C.

PROTOSTORIA

Kofun: IV – VII secolo

STORIA

Periodi dell’ETÀ ANTICA. Asuka: 525-645

Hakuho: 645-710 Nara: 710-794

Heian: 794-1156 Rokuhara: 1156-1185

Periodi del MEDIOEVO. Kamakura: 1185-1333 Ashikaga: 1336-1568

Muromachi: 1392-1573 Periodi dell’ETÀ PREMODERNA. Momoyama: 1573-1603

1° Edo: 1603-1672

Medio Edo: 1673-1750 Tardo Edo: 1751-1800

Fine Edo: 1801-1867 Ere dell’ETÀ MODERNA.

Meiji: 1868-1912 Taishô: 1913-1926 Shôwa: 1926-1989 Heisei: dal 1989

– Imperatori e Imperatrici (f) Giapponesi (gli anni sono quelli di regno).

Jinmu: (660)-585 a.C. Suizei: (581)-549 a.C. Annei: 549-511 a.C. Itoku: (510)-477 a.C. Kosho: (475)-393 a.C. Koan: (392)-291 a.C. Korei: (290)-215 a.C. Kogen: (214)-158 a.C. Kaika: 158-98 a.C.

Sujiùn: (97)-30 a.C. Suinin: (29)-70 d.C. Keiko: (71)–130

Seimu: (131)–190 Chuai: (192)–200

Jingo (f): 201–269 Ojin: (270)–310

Nintoku: (313)–399 Richu: (400)–405

Hanzei: (406)-410 Ingyo: (412)-453 Anko: 453-456

Yuryaku: 456-479 Seinei: (480)-484 Kenzo: (485)-487

Ninken: (488)-498 Buretsu: 498-506

Keitai: (507)-531 Ankan: 531 (534)-535 Senka: 535-539

Kimmei: 539-571 Bidatsu: (572)-585

Yomei: 585-587 Sushun: 587-592

Suiko (f): 593-628 Jomei: (629)-641

Kogyoku (f): (642)-645 Kotoku: 645-654 Saimei (f): (655)-661

Tenji: 661 (668)-672 Kobun: 672

Temmu: 672 (673)-686 Jito (f): 686 (690)-697 Mommu: 697-707

Gemmei (f): 707-715 Gensho (f): 715-724

Shomu: 724-749 Koken (f): 749-758

Junnin: 758-764 Shotoku (f): 764 (765)-770

Konin: 770-781 Kammu: 781-806 Heizei: 806-809

Saga: 809-823 Junna: 823-833

Nimmyo: 833-850 Montoku: 850-858

Seiwa: 858-876 Yozei: 876 (877)-884 Koko: 884-887 Uda: 887-897

Daigo: 897-930 Suzaku: 930-946

Murakami: 946-967 Reizei: 967-969 En’yu: 969-984

Kazan: 984-986

Ichijo: 986-1011 Sanjo: 1011-1016

Go-Ichijo: 1016-1036 Go-Suzaku: 1036-1045 Go-Reizei: 1045-1068 Go-Sanjo: 1068-1072

Shirakawa: 1072-1086 Horikawa: 1086-1107

Toba: 1107-1123 Sutoku: 1123-1141 Konoe: 1141-1155

Go-Shirakawa.: 1155-1158 Nijo: 1158-1165

Rokujo: 1165-1168 Takakura: 1168-1180

Antoku: 1180-1185 Go-Toba: 1183 (1184)-1198 Tsuchimikado: 1198-1210 Juntoku: 1210 (1211)-1221 Chukyo: 1221

Goshira-kawa: 1221 (1222)-1232 Shijo: 1232 (1233)-1242 Go-Saga: 1242-1246

Go-Fukakusa: 1246-1259/60 Kameyama: 1259/60-1274

Gouda: 1274-1287 Fushimi: 1287 (1288)-1298

Go-Fushimi: 1298-1301 Go-Nijo: 1301-1308

Hanazono: 1308-1318 Go-Daigo: 1318-1339

Go-Murakami: 1339-1368

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Chokei: 1368-1383 Go-

Kameyama: 1383-1392 La Corte del Nord

Kogon: 1331 (1332)-1333 Komyo: 1336 (1337/38)-1348 Suko: 1348 (1349/50)-1351

Go-Kogon: 1351 (1353/54)-1371

Go-Enyu: 1371 (1374/75)-1382 Go-Komatsu: 1382-1392 Go-Komatsu: 1392-1412

Shoko: 1412 (1414)-1428 Go- 1428 (1429/30)-

Hanazono: 1464 Go-

Tsuchimikado: 1464 (1465/66)-1500

Go-Kashiwabara:

1500 (1521)-1526

Go-Nara: 1526 (1536)-1557 Ogimachi: 1557 (1560)-1586 Go-Yozei: 1586 (1587)-1611

Go-Mizunoo: 1611-1629 Meisho (f):

1629 (1630)-1643

Go-Komyo: 1643-1654 Go-Sai:

1654/55 (1656)-1663

Reigen: 1663-1687 Higashiyama: 1687-1709 Nakamikado:

1709 (1710)-1735

Sakuramachi: 1735-1747 Momozono: 1747-1762

Go-Sakuramachi (f):

1762 (1763)-1771

Go-Momozono: 1771-1779 Kokaku: 1780-1817 Ninko: 1817-1846 Komei: 1846 (1847)-1866

Mutsuhito (Era Meiji): 1867 (1868)-1912 Yoshihito (Era Taishô): 1912 (1915)-1926

Hirohito (Era Shôwa): 1926 (1928)-1989 Akihito (Era Heisei): 1989-oggi

– Shogun (gli anni sono quelli di governo).

Periodo Kamakura.

Minamoto Yoritomo: 1192-1199 Minamoto Yoriye: 1202-1203

Minamoto Sanetomo: 1203-1219 Fujiwara Yoritsune: 1226-1244 Fujiwara Yoritsugu: 1244-1252

Shinno Munetaka: 1252-1266 Shinno Koreyasu: 1266-1289

Shinno Hisaaki: 1289-1308 Shinno Morikuni: 1308-1333

Periodo Ashikaga (o Muromachi).

Takauji: 1338-1358 Yoshiakira: 1358-1367 Yoshimitsu: 1368-1394 Yoshimochi: 1394-1423 Yoshikazu: 1423-1425 Yoshinori: 1429-1441

Yoshikatsu: 1442-1443 Yoshimasa: 1449-1473 Yoshihisa: 1473-1489

Yoshitane (1^): 1490-1493 Yoshizumi: 1494-1508

Yoshitane (2^): 1508-1521

Yoshiharu: 1521-1546 Yoshiteru: 1546-6155 Yoshihide: 1568

Yoshiaki: 1568–1573

Periodo Tokugawa.

Ieyasu: 1603-1605 Hidetada: 1605-1623

Iemitsu: 1623-1651 Ietsuna: 1651-1680

Tsunayoshi: 1680-1709

Ienobu: 1709-1712 Ietsugu: 1712-1716

Yoshimune: 1716-1745 Ieshige: 1745-1760 Ieharu: 1760-1786

Ienari: 1786-1837 Ieyoshi: 1837-1853 Iesada: 1853-1858

Iemochi: 1858-1866 Yoshinobu 1866-1867

– Gli UCHI DESHI di Ueshiba Morihei (l’anno è quello d’inizio della pratica).

I GENERAZIONE (1921-1935)

Inoue N. - 1921 Tekeshita I. - 1925

Tomini K. - 1925 Kamata H. - 1929

Iwata I. - 1930 Funahashi K. - 1930

Mochizuki M. - 1930 Hashimoto H. - 1931 Murashige A. - 1931

Shirata R. - 1931 Yukawa T. - 1931

Yonekawa S. - 1931 Shioda G. - 1932

Akazawa Z. - 1933

Hisa T. - 1935 II GENERAZIONE

(1936-1945) Tanaka B. - 1936

Tohei K. - 1939 Tenryu - 1939

Hirai M. - 1939 Osawa K. - 1940

Sunadomari K. - 1942 Abe T. - 1942

III GENERAZIONE (1946-1955)

Saito M. - 1946 Tada H. - 1947

Arikawa S. - 1947 Nishio S. - 1951

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Yamaguchi S. - 1951 Hikitsuchi M. - 1951

Noro M. - 1951 Abe S. - 1952

Tamura N. - 1953 Kuroiwa Y. - 1954

Kobayashi Y. - 1955

A. Nocquet - 1955 IV GENERAZIONE

(1956-1969) Tohei A. - 1956

Yamada Y. - 1957 Asai K. - 1958

Chiba K. - 1958

Sugano S. - 1959 Kanai M. - 1959

Sagome M. - 1959 Maruyama S. - 1959

T. Dobson - 1960 Ichinashi N. - 1960

Masuda S. - 1960

Suganuma M. - 1962 Imaizumi S. - 1962

Maruyama K. - 1962 Endo S. - 1962

Shimizu K. - 1963

CURRY, Reticolo di. – Si veda GEOBIOLOGIA.

DAO. – Si veda TAO. DHARMA. (sanscrito) – “Legge”. Questo termine può indicare sia l’insegnamento del Buddha sia la verità universale, cosmica e tanto la natura di sé quanto, semplicemente, “la Via”. DHYÂNA. (sanscrito) – “Pura meditazione” o “il-luminazione interiore”.

ELSA o ELSO. – Parte del fornimento d’arma bianca manesca. Nella sua forma più semplice è una barretta – dritta o curva, posta a difesa della mano – attraversata nel centro dal codolo della lama. L’elsa, nel corso dei secoli ha assunto le forme più diverse, assolvendo sempre lo scopo di proteggere la mano, fermando la lama dell’avver-sario. Viene dall’antico tedesco helza. Anche coc-cia e paramano. EMISTICHIO. – Nella metrica greca e latina, ciascuna delle parti in cui la cesura [pausa inter-na, che non spezza la parola, o pausa ritmica in-terna al verso, che cade in fine di parola] divide in testo. Così si dice, anche, di verso incompleto o citato parzialmente. ENERGIA. – Il concetto di energia – termine am-piamente utilizzato in queste pagine – merita un piccolo approfondimento. Di solito, il termine “energia” è seguita da un ag-gettivo qualificativo, tipo “elettrica”, “cinetica”, “vitale”, “chimica”, “eolica”, “magnetica”, “nuclea-re”, “calorica” eccetera. Noi viviamo letteralmente “immersi” nell’energia, che permea ogni cosa della natura, dell’ambiente, del nostro mondo, dell’universo che conosciamo. In alcuni casi possiamo percepire, con i nostri sensi, le diverse forme di energia (luce, calore, suono…); in altri casi, al più, siamo solo in grado di verificarne proprietà e conseguenze (energia e-

lettrica, elettromagnetica…). In altri casi ancora possiamo constatarne ed anche misurarne gli ef-fetti, con strumenti idonei (la forza gravitaziona-le, un’esplosione, un terremoto…). Ci sono tuttavia forme d’energia di cui non possiamo consapevol-mente e tempestivamente cogliere gli effetti, da-to che questi sfuggono alla nostra percezione spontanea (le emissioni radioattive, per esempio); la presa di coscienza, quindi, avviene solo quando il lento accumulo supera una determinata soglia, spesso patogena [capace, cioè, di indurre una ma-lattia], se non addirittura mortale. Tutti questi tipi di energia, nondimeno, possono essere considerati la manifestazione di un princi-pio fondamentale, quello che è all’origine dalle creazione: l’”Energia Essenziale”. È questa Ener-gia Essenziale quella che si manifesta sotto tutte le forme di energia note (o ancora da scoprire) ed è all’origine di tutti i fenomeni naturali, compresi quelli alla base del funzionamento del corpo uma-no. L’Energia Essenziale è una e indivisibile, ma in sé ha un dualismo – o bipolarismo – che si manife-sta in tutti i fenomeni della vita e della materia. Ed è l’opposizione dei due poli di questa Energia Essenziale, positivo e negativo, indissolubilmente legati a sviluppare il ciclo generativo e quello di-struttivo della vita. [si vedano anche le voci “ommyodo” e “Cinque Ele-menti”, in questa parte del dizionario]. ENO. – (638-713, Hui Neng in cinese) È il 6° Pa-triarca del Buddismo Chan ed anche il vero e pro-prio artefice del suo sviluppo in Cina. ESOTERISMO. – È una dottrina destinata uni-camente agli iniziati, quindi a carattere non pub-blico, segreto. Elementi esoterici si trovano in molte realtà (dalla magia all’alchimia alle religioni misteriche e gnostiche) e sono presenti in tutti i riti di iniziazione, non soltanto delle culture pri-mitive. Il contrario di esoterismo è essoterismo. EUFONIA – Suono gradevole (che, quindi produce anche un piacevole effetto), ottenuto grazie ad un appropriato accostamento degli elementi tim-brici e melodici delle parole in una frase o in un verso. L’effetto contrario è la cacofonia.

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FENG-SHUI. (cinese; si pronuncia feng shuei) – “Vento e acqua”. Anticamente è conosciuta come Ti-Li, l’arte “dell’uccello nero”, che è il simbolo dello spirito del sole, protettore dell’astronomia e della geografia e, di conseguenza, vitale per l’or-ganizzazione del territorio e per le pratiche agri-cole. Sembra che il Feng-shui – la cui variante giapponese è il KA-SÒ – sia d’origine cino-tibetana e risalga ad oltre cinquemila anni fa. Quest’arte si basa sul presupposto che l’universo intero sia pervaso di Qi (KI in Giappone, prana in India), la forza che muove e governa il mondo; il Qi, che entra in noi attraverso il respiro ed il ci-bo, influenza pure i luoghi dove viviamo e, pertan-to, il Feng-shui è l’arte della sistemazione degli spazi, per bilanciare e migliorare l’ambiente in cui ci troviamo, adattandolo alla nostra personalità ed alle attività che in quell’ambiente svolgiamo. Ciò si ottiene rispettando le “leggi” che armoniz-zano forme, elementi e materiali. Gli esperti di quest’arte antichissima tentano di modificare, incanalare e sviluppare il Qi ambien-tale per migliorare il Qi umano e così incrementa-re vitalità, felicità e ricchezza di chi utilizza que-gli spazi. Lo strumento principale utilizzato dagli esperti di Feng-shui è una sorta di “bussola geomantica” (bussola Pa Tzu, composta in realtà da 8 mini-bussole) che consente la diagnosi degli effetti, positivi o negativi, dell’ambiente sui residenti. La bussola è usata tanto in fase di progettazione (di un edificio come di una città, di una singola stan-za, di un mobile…) che di ricognizione (di una casa, di un terreno…). Nell’ipotesi di progettazione di una casa, ad e-sempio, con il Feng-shui non solo si determina l’o-rientamento rispetto ai punti cardinali, accertan-doci, in più, che tre lati siano “protetti” (ad est basta una siepe od un’altra casa, a nord ci vuole un muro od una collina, ad ovest è necessaria una montagna…), mentre il lato a sud dev’essere libero (e, possibilmente, con “vista acqua”!), ma se ne stabilisce anche la polarizzazione. E questo sia attraverso le “funzioni” (qual è il centro di vita dello spazio interno?) sia attraverso il Qi (il sim-bolismo dei luoghi e degli oggetti). Negli interventi per così dire “di riparazione”, gli strumenti utilizzati vanno da mantra rituali, in combinazione con alcuni mudra (per benedire od

esorcizzare un luogo o una persona) ad appropria-te cerimonie, che prevedono anche l’uso di so-stanze minerali: è una specie di “cura sacrale”, per una sorta di “medicina mistica”. FERRO. – È così detta la parte metallica della punta di qualsiasi arma bianca, sia manesca sia d’asta. FILO. – Indica la parte tagliente (taglio) del fer-ro (lama) nelle armi bianche. Si dicono ad un filo (o taglio singolo) le lame che hanno il taglio da una sola parte, per tutta la lun-ghezza; ad un filo e mezzo quelle che hanno il ta-glio da una parte per tutta la lunghezza e dall’al-tra per metà lunghezza; a due fili (o doppio taglio) le lame che hanno il taglio su entrambi i margini, per tutta la lunghezza. Nel caso un ci sia un lato tagliente ed il suo opposto affilato solo per un terzo, la lama è definita a taglio e falso taglio (oppure ad un taglio e un terzo). FONEMA. – In una sequenza parlata, è l’unità fo-nica elementare individuabile, che è caratterizza-ta da alcuni tratti distintivi. In un sistema lingui-stico un suono è considerato un fonema quando la mancata realizzazione di uno dei suoi tratti di-stintivi genera una parola diversa. FORNIMENTO. – Termine generico: è tutto ciò che serve a completare, proteggere o corredare una qualsiasi arma. In quelle bianche manesche, in particolare, indica tutto ciò che, guarnendo il co-dolo di una lama, ne consente l’utilizzo. FUDO MYOO. – (sanscrito: Achala) “Il Re Illumi-nato Immutabile”, “il Re Inamovibile ed Illumina-to”. È una delle Cinque Divinità della Saggezza e, nel Buddismo ZEN, rappresenta la vera natura de-gli esseri viventi.

GATHA. – Inno o canto metrico, che è spesso presente nei sutra buddisti. GEOBIOLOGIA. – Scienza che studia l’influenza esercitata dalle radiazioni elettromagnetiche (EM), sia cosmiche sia telluriche, sulle forme di vita animali e vegetali. Alla base di questa scienza, relativamente moder-na, ci sono dati fisici e considerazioni. 1) Tutti i materiali vibrano ed irradiano. 2) Il campo radiante naturale è la base perché la vita nasca, si conservi, si sviluppi. 3) Alle radiazioni naturali si aggiungono, oggi, quelle artificiali, che possono interferire anche negativamente.

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4) Il nostro pianeta può essere considerato co-me l’armatura, di segno elettrico negativo, di un immane condensatore, il cui polo positivo è il co-smo. L’”armatura” terrestre, che continuamente si scarica, altrettanto continuamente è ricaricata dai fulmini dei temporali (da 1.000 a 2.000 ogni secondo). I valori elettrici sono:

● amperaggio totale da 1.500 a 1.800 Ampere per tutto il pianeta;

● potenziale elettrico di circa 130 Volt per ogni metro d’altitudine. 5) Tutti gli organismi viventi sono sensibili ai campi elettromagnetici (CEM), anche di basso li-vello e, quindi, alle loro variazioni. L’omogeneità del campo magnetico terrestre è alterata da vari tipi di radiazioni telluriche, quali:

● correnti d’acqua sotterranee. Lo scorrimen-to d’acqua di falda provoca attrito ed elettricità, che in superficie forma un CEM;

● crepe geologiche. Dalle faglie si hanno e-missioni amplificate di raggi gamma e neutroni;

● giacimenti di carbone, gas, minerali, petro-lio nel sottosuolo. Modificano il campo radioattivo terrestre;

● campi magnetici reticolari, i più importanti e conosciuti dei quali sono:

o Rete Globale di Hartmann; fasce di circa 21 cm avvolgono la Terra in direzione Nord-Sud (2 m l’una dall’altra) ed Est-Ovest (a 2,5 m di distan-za), formando una griglia.

o Reticolo di Curry; le fasce sono larghe 75 cm e distano 3,5 m tra loro, sia in direzione Nord-Est che in direzione Sud-Ovest. 6) Le fasce, sia di Hartmann sia di Curry, sono molto conduttive per le radiazioni, naturali ed ar-tificiali; i punti d’incrocio formano Nodi che pos-sono essere biologicamente dannosi, cioè geopa-togeni (gli antichi Cinesi – che arrivano ad indivi-duarli con le pratiche del Feng-shui – li chiamano “porte d’uscita del Drago”), ma:

● non tutte le zone perturbate sono patoge-ne, dipende dal tipo di radiazione e dalla sua in-tensità;

● gli effetti variano da persona a persona e gli individui sani ne patiscono di meno;

● la resistenza ai campi patogeni dell’uomo “civilizzato” è più debole, a causa dello stress e della vita innaturale;

● la probabilità di ammalarsi cresce aumen-tando il tempo di esposizione;

● nelle nostre abitazioni possiamo essere soggetti ad inquinamento per eccesso (radiazioni

d’intensità superiore od estranee a quelle natura-li) o per difetto (abitazioni troppo schermate). Per tenere sotto controllo gli effetti delle radia-zioni naturali ed artificiali, possiamo ricorrere al-la bioarchitettura oppure al Feng-shui, che della Geobiologia è l’antenato. GEOMANZIA. – Antichissima forma di arte o tecnica divinatoria. Di probabile origine persiana e diffusa in gran parte del Medio Oriente, pare che in Europa arrivi da Costantinopoli attraverso gli arabi, che ne codificano i metodi. Il nome è greco (lingua ufficiale dell’antica Bisan-zio) e deriva da ghé, “terra” e manteίa, “predizio-ne”: vale a dire “divinazione per mezzo della ter-ra”. Consente di ottenere pronostici osservando i segni (naturali o, talvolta, artificiali) del terreno, piuttosto che rapportando la posizione dei luoghi agli astri. La GEOMANZIA, non ha unicamente scopo divinato-rio, ma tenta anche di propiziare e migliorare l’e-quilibrio tra l’energia dei luoghi e quella delle per-sone che ci vivono. [si veda, più avanti, RADIOE-STESIA.] A riprova del sincretismo delle pratiche divinato-rie d’Oriente e d’Occidente, evidenti sono le ana-logie tra questa forma di arte divinatoria e lo Yi Jing cinese. In geomanzia, ad esempio, si trovano 16 figure geomantiche, rese graficamente con l’alternanza di uno o due punti mentre la base del Libro dei Mutamenti è il concetto di Yang e Yin, simbolizzati dalle lineette intere o spezzate che formano i 64 esagrammi (multiplo di 16). In en-trambi i casi, per comporre le figure da interpre-tare o si getta qualcosa (monete o fiammiferi per lo Yi Jing, semi o sassolini per la geomanzia) oppu-re si tracciano dei punti (su un foglio, sulla sab-bia…) nella geomanzia. GIAINISMO o JAINISMO. – Religione indiana. Il nome deriva da Jina, titolo onorifico conferito ai suoi ventiquattro antichi Maestri. L’ultimo (e unico di cui si abbia qualche notizia biografica storicamente accertata) è Vardhamana o Mahavi-ra, vissuto tra il 540 e il 468 a.C. (oppure, secon-do la tradizione giainista tra il 599 e il 527 a.C.), praticando un rigido ascetismo. Il Giainismo (che eredita dal Bramanesimo la no-zione della trasmigrazione delle anime (METEMPSI-COSI) per l’influsso negativo del karma) considera essenziale, per la liberazione dell’uomo da questo ciclo, il rispetto delle “Tre Gemme”: retta fede, retta conoscenza, retta condotta. I membri della

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comunità monastica devono attenersi a cinque vo-ti: 7) rispetto assoluto per qualsiasi essere vivente; 8) sincerità; 9) rispetto della proprietà altrui; 10) castità; 11) non attaccamento ai beni materiali. Il Giainismo annovera qualche milione di seguaci ed è oggi diffuso soprattutto nell’India del Nord-Ovest. GIAPPONE. – È costituito dall’omonimo arcipela-go, compreso tra l’Oceano Pacifico ad Est e Sud, le isole Curili a Nord-Est, lo stretto di La Pérouse e l’isola di Sakhalin a Nord, il Mar del Giappone, lo Stretto di Corea e il Mar Cinese Orientale ad O-vest. È formato da circa 3.000 isole (per complessivi 372.824 km2) allineate in tre gruppi: il principale, un arco concavo a Nord-Ovest, si estende per circa 2.500 km tra la Siberia orientale e la peni-sola di Corea, comprendendo le isole Hokkaido, Honshu, Kyushu e Shikoku, che assieme costitui-scono il 97% del territorio. Il secondo arco, for-mato dalle isole Ryukyu e orientato come il primo, si estende per circa 1.200 km tra le isole Kyushu e Taiwan. Il terzo, formato dalle isole Izu, Bonin (Ogasawara) e Volcano (Kazan), si estende per circa 1.300 km, dall’isola Honshu in direzione Sud. I tre archi sono bordati, ad Est, da profonde de-pressioni del fondale oceanico: Fossa del Giappo-ne, Fossa delle Ryukyu e Fossa delle Bonin. Morfologia. Il territorio giapponese, in prevalen-za montuoso, è caratterizzato da un intreccio di complessi sistemi orografici, le cui spinte genera-trici, iniziate nell’archeozoico e riprese nelle ere geologiche successive, sono ancora in atto. L’ar-cipelago, infatti, è un segmento della cosiddetta “cintura circumpacifica”, dove il fondale oceanico, lungo le fosse, è subdotto al continente asiatico. L’instabilità della situazione tettonica si manife-sta con terremoti molto frequenti, tsunami spes-so di forte intensità e con una notevole attività magmatica, provocata dai quasi 200 vulcani – il Monte Fuji, alto 3776 m è il più famoso – di cui oltre 50 attivi. I massicci vulcanici e parte delle catene montuose sono allineati in fasce parallele ai contorni dell’ar-co, mentre altri sistemi li intersecano bruscamen-te seguendo diverse direttrici tettoniche o zone di frattura; ne consegue che le pianure sono meno del 20% del territorio, e si concentrano nelle zo-ne costiere delle isole Honshu e Hokkaido. Dai ri-

pidi versanti montuosi scendono numerosi fiumi, generalmente larghi e brevi, caratterizzati da un regime irregolare; numerosi anche i laghi, d’origi-ne lagunare o, sui rilievi, vulcanica, glaciale e tet-tonica. Le coste dell’arcipelago si sviluppano per circa 27.000 km: ad Est e Sud, in prevalenza, sono alte e assai articolate, quelle bagnate dal Mar del Giappone sono generalmente più basse e uniformi. Fittissime sono le isole minori nel Mare Interno, compreso tra l’ampia insenatura meridionale dell’i-sola Honshu e l’isola Shikoku. Clima e vegetazione. Notevole è la varietà clima-tica, dovuta sia all’ampia estensione in latitudine sia ai vari influssi, talvolta contrastanti, delle correnti aeree e marine cui l’arcipelago è sogget-to. Le zone settentrionali sono esposte ai gelidi venti siberiani ed hanno inverni rigidi e nevosi, mentre il mare ghiaccia lungo le coste nord di Hokkaido, lambite dalla corrente fredda Oya Sci-vo. Il clima è più temperato nelle zone centrali fi-no ad assumere caratteri tropicali in quelle meri-dionali, specie lungo le coste, lambite dalle cor-renti calde di Tsushima e Kuro Scivo; le coste o-rientali, in ogni caso, sono più ventilate e asciutte che quelle occidentali. Le precipitazioni, distribui-te per tutto l’anno, sono più abbondanti nelle re-gioni meridionali, interessate dal monsone estivo. Al cambio di stagione, specie in autunno, frequen-ti sono i tifoni, talvolta disastrosi. Le foreste (168 specie arboree) coprono il 67% circa del territorio; al Nord prevale la selva boreale (coni-fere), al centro il bosco misto (pini, cipressi, ace-ri, betulle, querce), che passa verso Sud alla fo-resta tropicale (palme, bambù, lecci, canfori, lo-to). Storia. [si vedano anche: “ Cronologia: periodi storici del Giappone, fatti importanti”, e la voce “Cronologie – Imperatori e Imperatrici giappone-si; – Shogun”]. I reperti archeologici testimoniano la presenza d’insediamenti che risalgono al paleo-litico inferiore nell’isola Honshu, presso Tokyo. Ad una primitiva cultura mesolitica, diffusa in tutto l’arcipelago, si sostituisce quella JOMON (7500-300 a.C. circa), probabilmente importata dagli antenati dei Giapponesi attuali, sovrapposti-si agli autoctoni AINU. L’agricoltura si diffonde con la cultura YAYOI (dal III secolo a.C. a circa il II secolo d.C.), poi evolutasi in quella KOFUN (dal IV al VII secolo, circa), che dà origine ad una fe-derazione di nuclei tribali coordinata da un’auto-rità religiosa.

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La mitologia shintoista fa risalire al 660 a.C. circa la fondazione dell’Impero giapponese e l’attribui-sce a JINMU TENNO, discendente di AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI, dea del sole. Dati cronologici attendibili si hanno solo dal seco-lo VI in poi. L’intensificarsi dei contatti con la Cina porta all’introduzione del Buddismo (538, prima impor-tazione; 552, espansione sotto l’imperatore Kim-mei) ed alla lotta tra le famiglie aristocratiche dei Soga, suoi sostenitori, e dei Mononobe, difen-sori della religione tradizionale (SHINTO). La pre-minenza dei Soga (587) porta (riforma Taika, 645) alla costituzione di uno stato accentrato, sul modello cinese, con capitale prima a NARA (710) poi a Heian-kyo (794), l’odierna KYOTO. Il Clan FUJIWARA inizia l’ascesa al potere nell’anno 858, esautorando, di fatto, la Dinastia imperiale ("Im-peratori in ritiro", 1086). Ai FUJIWARA si sostituisce prima il Clan TAIRA (1159), poi il Clan MINAMOTO (1185), una Famiglia appartenente all’aristocrazia guerriera provincia-le, che stabilisce il proprio Governo (“Governo della Tenda”, BAKUFU) a KAMAKURA, assumendo, con il titolo di SEI-I-TAISHOGUN (SHOGUN per brevità), poteri civili e militari (1192). Si apre così quello che può definirsi il “medioevo giapponese” (1185-1615), caratterizzato dall’instaurarsi di rapporti feudali, con il conseguente frazionamen-to del potere politico-amministrativo e continue guerre civili. I pur falliti tentativi d’invasione da parte dei Mongoli (1274 e 1281), aggravano la crisi politica interna e provocano l’ulteriore indebolimento del-lo shogunato, che si vede costretto a cedere ter-re alla classe dei guerrieri (BUSHI), composta dal-la nobiltà provinciale (DAIMYO) e da milizie mer-cenarie (SAMURAI). Dopo una fase (1336-1392) di bipolarismo politico (Corte del Nord a KYOTO, Corte del Sud a Yoshi-no), inizia il Periodo MUROMACHI (1392-1573), ca-ratterizzato da un intensificarsi dei traffici in-ternazionali e dalla scalata economica della bor-ghesia (CHONIN), fattori di nuovo indebolimento del potere shogunale, detenuto dal Clan ASHIKA-GA. L’arrivo di commercianti portoghesi (1543) e di missionari gesuiti (1545; l’apostolato di san Fran-cesco Saverio va dal 1549 al 1551) coincide con i tentativi di riaffermazione del potere imperiale per opera di ODA NOBUNAGA (1534-82). Questi incoraggia i missionari perché utili al suo tentati-

vo di controllare il clero buddista ed i suoi YAMA-BUSHI, i temibili monaci-guerrieri: basta infatti la conversione di un DAIMYO perché l’intero HAN di-venti cristiano. TOYOTOMI HIDEYOSHI (1536-98) prima e TOKU-GAWA IEYASU (1542-1616) poi, riportano nelle ma-ni dello SHOGUN il potere. TOYOTOMI HIDEYOSHI inizia le persecuzioni contro i Cristiani, dei catto-lici in particolare, perché ne diffida: sono porta-tori di un sistema filosofico potenzialmente sov-versivo: dà speranza agli umili. Gli Olandesi, Pro-testanti, gli fanno inoltre credere che i missionari spagnoli preparano il terreno alla conquista da parte dell’Impero spagnolo. TOKUGAWA IEYASU, che inaugura la fase dello "shogunato autoritario" (Periodo TOKUGAWA, 1603-1868, con capitale a EDO, Tokyo), ha l’o-biettivo, tra gli altri, di monopolizzare il commer-cio estero e garantire la sicurezza interna. Dap-prima sono espulsi tutti i missionari (ed è proibita la religione cristiana, 1614), poi sono scacciati gli Spagnoli (1624) ed i Portoghesi (1639), mentre dal 1633 i porti sono chiusi al commercio d’oltre-mare. Più di tutto, oltre che a regolare stretta-mente il controllo delle classi sociali, dal 1636 i TOKUGAWA chiudono il Paese al resto del mondo: tutti gli stranieri sono espulsi (1640). Unica ecce-zione è una rappresentanza della Compagnia Olan-dese delle Indie, confinata (1641) sulla piccola i-sola artificiale di Deshima, a Nagasaki, dove ope-rano, in concessione, anche mercanti cinesi. Nonostante tutto questo, l’incremento economico è notevole, sotto la spinta della nuova classe bor-ghese, attiva soprattutto a EDO, KYOTO, OSAKA. La popolazione triplica, si recuperano nuovi terre-ni all’agricoltura con lavori di sistemazione idrau-lica (tra il 1600 ed il 1730, la produzione di cerea-li raddoppia, anche grazie all’uso di fertilizzanti), si allentano le strutture feudali e l’aristocrazia ereditaria perde un po’ di smalto e potere. I SAMURAI diventano burocrati e amministratori di terre, perdendo un po’ i caratteri di casta guerriera (ma non certo l’arroganza del ruolo!), pur mantenendo la specifica funzione di guerrieri, con l’obbligo di praticare le Arti Marziali (in que-sto periodo perfezionate, codificate, classificate come non mai). La stagnazione e la crisi nella seconda metà del secolo XVIII, provocano tensioni che sfociano in rivolte rurali e urbane, mentre s’intensificano le pressioni internazionali per la riapertura dei por-ti.

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Il 1853 è un anno importante nella storia del Giappone moderno: gli HAN del Nord-Ovest sono ormai fuori del controllo centrale ed il ministro Mizuno Tadakuni fallisce il tentativo di varare un consistente programma di riforme. In più, arriva-no gli americani: una squadra di quattro navi sta-tunitensi (ricordate come le Navi Nere), al co-mando del commodoro Matthew C. Perry, penetra nella baia di EDO: lo SHOGUN è costretto ad ac-cettare la fine dell’isolamento e l’apertura di re-lazioni commerciali a Shimoda e Hakodate. Il potere shogunale è incapace di guidare il Giap-pone verso l’inevitabile modernizzazione e, nella sua rapida disgregazione, passa dalla netta con-trapposizione alle pretese occidentali a compro-mettenti accordi economici (“Trattati Commer-ciali Ineguali”, 1858), percepiti come un tradimen-to della fedeltà dovuta all’Imperatore: giovani SAMURAI degli HAN occidentali gettano il Paese di un quindicennio di caos e disordini violenti. Sotto l’imperatore MUTSUHITO, salito al trono a quindici anni d’età, nel 1867 (inizio dell’Era MEIJI) – e con la fattiva collaborazione della grande bor-ghesia (le vecchie Famiglie nobili, trasformate in zaibatsu) e dell’alta classe dirigente (di prove-nienza SAMURAI) – è restaurato il potere imperia-le, con la conseguente abolizione tanto della cari-ca di SHOGUN quanto delle istituzioni feudali (1868). Oltre a ciò, è formato un esercito di leva, e si favoriscono sia l’alfabetizzazione sia l’intro-duzione delle tecniche occidentali. Represse le resistenze dei SAMURAI (1874 e 1877, rivolte a Kagoshima), ma pure soffocate le richie-ste democratiche, nel 1889 è promulgata una Co-stituzione simile a quella tedesca, che entra in vi-gore nel 1890: l’Imperatore, sacro ed inviolabile, è capo supremo del Paese, che governa d’intesa con il Parlamento (Dieta). La Dieta si compone di due rami: la Camera Alta (dei Pari, nominati dall’Imperatore) – con diritto di veto su ogni proposta di legge – e la Camera Bassa, dei Deputati, elettiva (le elezioni sono in base al censo), senza potere d’iniziativa. È accolta nella Costituzione la legge salica: la successione al trono è limitata ai maschi. Il rapido decollo dell’industria spinge e sostiene l’espansione politica internazionale del Giappone, che si sostanzia nell’azione colonialista sul conti-nente asiatico: il Giappone modernizzato si af-ferma, si espande e vince, sempre. Batte la Cina nella guerra del 1894-95; i primi colpi del confitto sono esplosi (25 luglio ‘94: in-

crociatori giapponesi attaccano un convoglio cine-se nel porto di Asan) a dichiarazione di guerra non ancora formalizzata (1° agosto ‘94). Occupa Taiwan e conquista – con gravi perdite – la base strategica e commerciale di Lüshun (o Port Ar-thur, affittata poi dal Celeste Impero alla Russia, nel 1898). Sconfigge la Russia nella guerra (1904-5), scop-piata per il controllo di Manciuria e Corea. La di-chiarazione di guerra, anche in questo caso, è successiva ai primi scontri del 9 febbraio 1904; occupa la Manciuria meridionale e riconquista Port Arthur. La battaglia di Tsushima del 28 maggio 1905, con la distruzione della flotta russa, sia della Squadra del Pacifico sia di quella che arriva dal Mar Balti-co, è la prima vittoria navale di uno Stato asiatico contro uno Stato europeo. La Corea, invasa nel 1905, dal 1910 è colonia. Durante la Prima Guerra Mondiale il Giappone è alleato della “Triplice Intesa” (Gran Bretagna, Francia, Russia e, poi, Italia) contro gli “Imperi Centrali” (Germania e Austria-Ungheria). Uscito dal conflitto come potenza vincitrice – do-po aver occupato le colonie tedesche del Pacifico, conquistato il protettorato germanico in Cina ed aver ottenuto da questa anche notevoli conces-sioni commerciali e politiche – il Giappone si ritro-va con un apparato industriale di tutto rispetto ed una potente forza militare. La Corte imperiale, i militari, la burocrazia, le grandi concentrazioni monopolistiche industriali (zaibatsu), dopo il 1929, sono corresponsabili di una politica d’espansione imperialistica e realizza-no un’originale forma di conservatorismo naziona-lista estremo, che presto trova naturale l’alleanza con i Governi totalitari di Berlino e Roma, già fuo-ri – come ormai anche il TENNO – dalla Società delle Nazioni di Ginevra. La Manciuria è tutta occupata nel 1931 e l’anno successivo nasce lo Stato satellite del Manciukuo; nel 1934 è ufficialmente adottato il nome di NI-HON (o NIPPON), lettura giapponese del termine cinese Jihpûn, abbreviazione di Jihpûnkuo: paese (kuo) del sole (jin) levante (pûn). Firmato nel 1936 il “Patto anti-Comintern” con la Germania, contro l’espansionismo ideologico comu-nista, il Giappone pretende dal Governo nazionali-sta cinese (Kuomintang) non solo facilitazioni per lo sfruttamento delle risorse naturali nella parte settentrionale del paese e nella Mongolia interna, ma anche impegni politici in funzione anticomuni-

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sta. La successiva guerra d’invasione (1937: presa l’allora capitale, Nanchino) porta le armate impe-riali ad occupare territori dalla Corea al Sud-Est Asiatico – compresa l’Indocina francese, luglio 1941 – con la parola d’ordine "l’Asia agli Asiatici". In reazione all’asfissiante embargo commerciale anglo-americano, il Giappone attacca di sorpresa le Hawaii (Pearl Harbor, 7 dicembre 1941) e, di conquista in conquista (Tailandia, Filippine, Hong Kong, Malesia, Indonesia, Singapore, Birmania, Nuova Guinea, isole della Micronesia), entro la prima metà del 1942 giunge a controllare gran parte dell’Asia sud-orientale e quasi tutto il Paci-fico. Il nord dell’Australia è a portata di mano (e di bombardiere…). La superiorità economica e, di conseguenza, belli-ca degli USA, ed il suo sostanziale isolamento, determinano però un ribaltamento degli equilibri e, dalla seconda metà del 1942, il Giappone è co-stretto a ripiegare su tutti i fronti, subendo dure sconfitte, soprattutto aereonavali (Mar dei Coral-li, Midway) e patendo perdite spaventose. Il 7 luglio gli Americani iniziano la riconquista del Pacifico con lo sbarco a Guadalcanal e proseguono per tutto l’anno successivo a liberare isole: Gil-bert, Marshall, Marianne, Filippine (dove, per la prima volta, entrano in azione i KAMIKAZE). Lo stesso territorio metropolitano giapponese è ormai obiettivo d’incursioni aeree sistematiche, massicce, distruttive, micidiali, soprattutto dopo la sanguinosa conquista di Iwo Jima (isole Bonin, febbraio ‘45) e OKINAWA (aprile ‘45). È proprio la fanatica determinazione dei difensori, già speri-mentata, che induce il Governo statunitense (ti-moroso delle eventuali, eccessive perdite, nella concreta ipotesi di una difesa ad oltranza del territorio metropolitano) al bombardamento ato-mico di Hiroshima e Nagasaki, 6 e 9 agosto 1945. Di sicuro, non è estranea alla decisione l’opportu-nità di sperimentare sul campo, “dal vero”, i nuovi ordigni all’uranio (“Little Boy”, Hiroshima) ed al plutonio (“Fat Man”, Nagasaki). L’8 agosto 1945 l’Unione Sovietica invade Manciu-ria e Corea e dichiara guerra al Giappone, che firma l’armistizio dopo una settimana, il 15 ago-sto, e accetta la capitolazione senza condizioni il successivo 2 settembre, dopo aver perso oltre tre milioni di cittadini. Prostrato demograficamente ed economicamente, sottoposto al regime d’occupazione militare sta-tunitense (fino al 1952), il Giappone deve ratifi-care nel 1946 una nuova Costituzione di stampo

occidentale, il cui testo originale è redatto dal Governatore, il generale Douglas Mac Arthur. L’articolo 9 della Costituzione, entrata in vigore il 3 maggio 1947, impone all’Impero il ripudio della guerra e la rinuncia alle forze armate (terrestri, marittime, aeree) ed a qualsiasi potenziale belli-co; le spese per la difesa sono quasi azzerate ed il Paese è legato ad un pacifismo assoluto, che com-porta un ruolo subalterno sullo scenario interna-zionale. Il Giappone, per risolvere le controversie internazionali, non solo rinuncia alla forza, per sempre, ma rinuncia anche alla minaccia di ricor-rervi come, invece, prevede il diritto internazio-nale. I militari giapponesi, inoltre, non possono es-sere impiegati fuori del territorio nazionale. Dal 1954 le forze armate giapponesi, definite “forze d’autodifesa”, dipendono dall’Agenzia di Difesa, il cui budget annuale ammonta, come mas-simo, all’1% del prodotto interno lordo (P.I.L.). All’inizio del 3° millennio cambia il quadro strate-gico e geopolitico di riferimento, per il Giappone: guerra al terrorismo internazionale, minaccia nu-cleare della Corea del Nord, potenziamento dello strumento militare cinese e assunzione di nuove responsabilità “regionali”. Con una decisione che ha un profondo significato politico e simbolico, nel novembre 2006 l’Agenzia di Difesa è elevata a Ministero (alla cui testa, pe-rò, c’è sempre un civile), le forze giapponesi – 250.000 volontari – sono autorizzate anche alla difesa attiva, oltre che allo schieramento all’e-stero. Il Governo, infine, non esclude di potersi dotare di armi nucleari “difensive”, in aggiunta al-le difese antimissile in apprestamento: per Tokyo è finito il lunghissimo dopoguerra. Il bilancio annuo della difesa – pur restando pari solo all’1% del P.I.L. – colloca formalmente il Giap-pone al 3° posto nel mondo, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna (la Cina è ufficialmente al 5° posto ma, secondo stime ufficiose, balza al 1°, desti-nando alle spese militari il 4,3% del proprio P.I.L.). La sovranità è assegnata al popolo, che elegge il Parlamento. La nuova Costituzione, soprattutto, attribuendogli unicamente un ruolo simbolico e rappresentativo, “umanizza” l’Imperatore che, dal canto suo, il 1° gennaio 1946 ha già smentito pub-blicamente le proprie origini divine in un discorso radiotrasmesso (ed è la prima volta che i suoi sudditi ne sentono la voce). Il Governo risponde all’unico organo legislativo, il Parlamento, composto dalla Camera dei Consiglieri

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(i senatori) e dalla Camera dei Rappresentanti (i deputati). I diritti dei cittadini sono proclamati eterni ed inviolabili, la parità dei sessi è tutelata, ma le donne sono ancora escluse dalla successione al trono. Il trattato di pace è firmato l’8 settembre 1951, tranne che con Cina e India. Meriti del Partito liberal-democratico, lungamen-te al Governo (seppure periodicamente coinvolto in scandali finanziari) sono tanto la ricostruzione industriale (completata entro il 1958) quanto l’im-ponente sviluppo economico dei decenni successi-vi. Netta la scelta filo-occidentale in politica estera, che, in ogni modo, non ha impedito la ratifica del trattato di pace (agosto 1978) e la collaborazione economica con la Cina, mentre è ancora aperta una vertenza con la Federazione Russa sulla sovranità sulle isole Curili meridionali. Dal 1989 è imperatore Akihito, succeduto al pa-dre Hirohito (1901-1989), sul trono dal 1926, a sua volta succeduto al genitore Yoshihito. Erede al trono è il principe Naruhito, la cui figlia Aiko (nata il 1° dicembre 2001), per la vigente co-stituzione resta esclusa dalla successione. La nascita, nel settembre 2006, di un figlio ma-schio, Hisahito, al principe Akishino, rende super-flua la raccomandazione della Commissione gover-nativa che, a fine 2005, propone la modifica del diritto di successione, affinché sia consentito che al trono ascenda una donna in mancanza d’erede maschio. Popolazione. Pare che l’attuale gruppo etnico do-minante, fra gli oltre 126 milioni di Giapponesi, derivi dall’incrocio di successive ondate migrato-rie, provenienti da opposte direzioni: popoli di ceppo mongolo giungono dal continente, attraver-so la Corea, mentre gruppi indonesiani arrivano dal Sud, attraverso Taiwan e le isole Ryukyu. Tracce di queste migrazioni si trovano nei miti che narrano della fondazione dell’Impero giappo-nese, raggruppati in due cicli, uno collegato alla migrazione da Sud, l’altro a quella da Nord [si ve-da, più avanti, la voce “Shintoismo. L’origine del Giappone nella mitologia shintoista”]. Dopo aver lottato contro gli indigeni AINU, di tipo paleoeuropide (che sopravvivono, come minoranza, nell’isola Hokkaido), questi gruppi si fondono tra loro. La densità per km quadro è tra le maggiori del mondo (quasi 340 abitanti/Km2) e rilevante è la disomogeneità nella distribuzione: oltre la metà

della popolazione è concentrata in una stretta fa-scia, che si estende lungo la costa Sud-Est dell’i-sola Honshu, allungandosi fino alla parte Nord-Ovest di Kyushu. Il tasso annuo di crescita, un tempo assai elevato, si è ridotto per effetto della rapida evoluzione economica, col risultato di un marcato invecchia-mento della popolazione. Il tasso d’urbanizzazione è altissimo, con molte città che superano il milio-ne d’abitanti (ma già nel 1730 EDO ne conta un mi-lione e mezzo!); l’espansione dei centri maggiori ha ormai saldato le conurbazioni di Nagoya-Gifu, Tokyo-Yokohama-Kawasaki (Kanto), Osaka-Kobe-Kyoto (Kinki) e Kitakyushu-Fukuoka e in un’unica megalopoli. Nella metropoli di Tokyo la densità di popolazione supera i 5.000 abitanti per km2. Lo Stato, oggi. Il Giappone, dal 1946, è una mo-narchia costituzionale. Organo supremo dello Sta-to è la Dieta – composta dalla Camera dei Consi-glieri (252 membri) e da quella dei Rappresentan-ti (500), eletti con suffragio diretto – che detie-ne il potere legislativo. Al Governo spetta il pote-re esecutivo; il Primo Ministro è scelto dalla Dieta e riceve l’investitura formale dall’Imperatore. L’economia, oggi. Dalla metà del secolo XX il Giappone ha conosciuto un ritmo di crescita eco-nomica superiore a quello d’ogni altro paese svi-luppato e una straordinaria espansione commer-ciale e finanziaria sui mercati internazionali. Lo sviluppo economico ha potuto contare su di una vasta disponibilità di manodopera e su uno stretto rapporto tra il potere politico e le imprese, nono-stante fattori strutturalmente sfavorevoli (le ca-ratteristiche del territorio, la generale scarsità di materie prime, la pesante sconfitta subita nella Seconda Guerra Mondiale), mentre la debolezza sindacale ha consentito di mantenere bassi i livelli salariali e quindi i prezzi delle esportazioni. Solo negli anni ‘60 del Novecento i salari hanno cominciato ad aumentare, permettendo lo sviluppo di un mercato interno ed una crescente parteci-pazione del risparmio privato agli investimenti. Il retaggio culturale, inoltre, porta spessissimo i lavoratori ad una pressoché totale identificazione con l’azienda. Quasi tutti i lavoratori dipendenti sostengono orari di lavoro, inconcepibili per il mondo occidentale, che li portano a trascorrere più tempo in ditta che in famiglia. C'è addirittura chi – talvolta complice anche la distanza tra casa e luogo di lavoro – passa la notte in alloggi improv-visati, su brandine in ufficio o in modeste came-

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rette, affittate dal “padrone”; moltissimi, poi, u-sufruiscono solo della metà delle ferie pagate, garantite per legge (18 giorni annui, dagli anni ’70 del secolo scorso). Questa sorta di “furia stakanovista” provoca dan-ni alla struttura sociale del Paese, con tre feno-meni in evidenza, allarmanti ed in forte crescita: il crollo della natalità [si veda PARASAITO], gli HI-KIKOMORI [si veda] ed i suicidi [si veda KAROSHI]. ▪ Nel 2005, per la prima volta in sessant’anni, si è riscontrata una diminuzione della popolazione (meno 19mila unità), il tasso di natalità nel 2006 è diminuito da 1,28 a 1,26 per coppia e la tendenza è a scendere. Se fossero confermate le previsioni a lungo termine, la decresciuta forza lavoro non sarà in grado di reggere né il sistema pensionisti-co, già sotto pressione e neppure un sistema fi-scale come quello attuale, nemmeno troppo onero-so. ▪ Nel 2007 si stima esistano tre milioni di HIKI-KOMORI in Giappone [si veda] ed è un fenomeno in crescita. Giovani maschi auto-reclusi in casa, sen-za contatti col mondo reale, che rifiutano. ▪ Dal 2005 oltre 30mila persone l’anno, in media, si sono tolte la vita, non reggendo all’impatto di una vita stressante e sempre sotto esame. Deve intervenire il Governo, con una legge (in Parlamen-to nel 2007) per costringere le imprese a convin-cere i propri dipendenti ad utilizzare tutto il pe-riodo di ferie, a “staccare la spina” e trascorrere più tempo in famiglia. Gli stretti legami esistenti tra uomini politici, alti funzionari statali e imprenditori privati sono par-ticolarmente evidenti nel caso degli zaibatsu, le potenti concentrazioni finanziarie sorte nel XIX secolo e solo temporaneamente smantellate dopo il 1945, nel corso dell’occupazione militare statu-nitense. Non si può dimenticare che, dopo la Restaurazio-ne MEIJI, l’Imperatore concede alle potenti fami-glie dell’alta borghesia – d’origine SAMURAI o KUGE – i privilegi della conquista economica. Ogni zaiba-tsu (oggi zaikai), da cui dipende una moltitudine di imprese, che sono attive nei più svariati settori, fa capo ad una grande Famiglia (Mitsubishi, Mi-tsui, Sumitomo, Sanwa ecc.). L’intervento dello Stato (sovvenzioni, prestiti, protezioni doganali, pianificazione regionale, al-lacciamento di relazioni commerciali e finanziarie con paesi stranieri), è stato puntuale, efficace, flessibile, consentendo alla programmazione eco-nomica di privilegiare i settori più vantaggiosi pur

mantenendo la capacità di operare rapide ricon-versioni. Un medesimo dinamismo ha caratteriz-zato la struttura commerciale, orientata alla con-quista dei mercati esteri. Tale integrazione ha iniziato a mostrare i suoi li-miti negli anni ´90, quando si sono sommati gli ef-fetti del rafforzamento dello YEN (che ha pena-lizzato le esportazioni), e la riduzione della pro-duzione industriale, dovuta soprattutto all’affac-ciarsi sul mercato di nuove potenze regionali, co-me la Cina. La crisi finanziaria che ha colpito l’A-sia orientale negli anni 1997-98, ha coinvolto pro-fondamente il Giappone, mettendo in luce la fragi-lità del sistema bancario e gli effetti negativi della tradizionale chiusura del mercato interno. La crisi, oggi, ancora non è superata. Attività primarie attuali. La superficie coltivabi-le è di poco superiore al 10% del territorio. Tra le colture dominano quelle a carattere intensivo e la proprietà della terra è generalmente molto fra-zionata; solo sull’isola Hokkaido prevalgono le grandi aziende e le colture estensive. La fertilità dei suoli d’origine vulcanica, l’uso di fertilizzanti, l’elevata meccanizzazione e accura-te selezioni genetiche sulle varietà coltivate per-mettono rendimenti tra i più alti del mondo; tut-tavia, circa 1/5 del fabbisogno alimentare deve essere importato. Solo il riso, che occupa oltre il 50% della superficie coltivata, è prodotto in quantità sufficiente. Il reddito dei coltivatori su-pera quello degli addetti agli altri settori, grazie anche alle forti barriere protezionistiche. Si col-tivano: frumento e orzo; patate e batate; soia, arachidi, colza; legumi, ortaggi e frutta (special-mente agrumi); barbabietola e canna da zucchero; luppolo; tabacco; canapa, lino; gelso. È abbastanza sviluppato l’allevamento di suini, bo-vini, pollame; diffusa è la bachicoltura, pur consi-derando l’esiguità degli spazi disponibili. Lo sfrut-tamento forestale fornisce sia cellulosa sia legno pregiato. Di fondamentale importanza è la pesca, praticata in tutti i mari del mondo con una moderna flotta; tuttora è esercitata la caccia alla balena – cibo di cui i Giapponesi sono ghiotti – purtroppo con me-todi intensivi e con campagne pseudo scientifiche di studio, volte ad aggirare le convenzioni inter-nazionali per la protezione dei cetacei. Lungo le coste meridionali dell’arcipelago si rac-colgono perle (naturali e coltivate) e coralli. Dal sottosuolo si estraggono carbone (la metà circa del fabbisogno nazionale) e quantità più mo-

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deste di petrolio, gas naturale, lignite, ferro, ra-me, zolfo, piombo, zinco, mercurio, stagno, arse-nico, oro, argento. Industria moderna. Il Giappone ha prodotto – fi-no alla recente crisi – circa il 10% del prodotto lordo mondiale, primeggiando nella cantieristica e nella fabbricazione di veicoli industriali e civili, elettronica di consumo, macchine fotografiche, nella produzione d’acciaio, ghisa e ferroleghe, fi-bre artificiali, seta greggia, carta. La produzione copre ampiamente tutti i settori: metallurgia e meccanica (macchine utensili, tessi-li, per cucire, cuscinetti a sfere, strumenti ottici e di precisione, biciclette); chimica (di base, fo-sfati, coloranti, fertilizzanti, materie plastiche, resine e gomma sintetiche) e petrolchimica; elet-tronica (semiconduttori, calcolatori, sistemi per telecomunicazioni, orologi, strumenti di misura) e tessile (cotone, fibre sintetiche e cellulosiche); dell’abbigliamento e del legno e pasta di legno; a-limentare (pesce conservato, birra, zucchero), del tabacco, del vetro, della porcellana. Gli impianti maggiori sono insediati lungo le coste meridionali dell’isola Honshu e nella parte nord-occidentale dell’isola di Kyushu, dove l’afflusso delle materie prime è favorito dalla presenza di porti e di bacini carboniferi. Lo sviluppo delle in-dustrie e dei porti è avanzato di pari passo con l’accentramento della popolazione e con l’espan-sione urbana; nella fascia più popolata si concen-trano le industrie manifatturiere e una miriade di piccole imprese e laboratori artigianali. Terziario. È il settore produttivo più importante del Paese, sia come lavoratori occupati sia come reddito prodotto. Accanto alle banche, società finanziarie e assicu-rative, di marketing, eccetera, operano numerosi e qualificati istituti di ricerca, in cui lavora un numero di addetti simile a quello statunitense. La penetrazione economica è evidente soprattut-to nell’Asia sud-orientale, dove molti paesi hanno nel Giappone il principale partner commerciale. Gli investimenti all’estero sono destinati soprattutto alla costituzione di joint-venture per il montaggio di prodotti industriali. La rete di comunicazioni è moderna ed efficiente. Importantissima è la navigazione commerciale; assai attivo il cabotaggio, che assorbe il 40% dei trasporti interni. La rete ferroviaria è ben svilup-pata (oltre 20.000 km) e consente collegamenti efficienti grazie alle linee ad alta velocità, so-prattutto lungo l’asse della megalopoli; meno effi-

ciente la rete stradale, che pure vanta oltre 1.128.000 km. L’isola Honshu è collegata a Kyushu tramite una galleria sottomarina ferroviaria e stradale, ed all’isola Hokkaido attraverso il tunnel sottomarino più lungo del mondo (53 km). Lingua e letteratura. [si veda anche la voce “Giapponese”]. Lingua ufficiale è il giapponese, che trova codificazione scritta dal secolo V, con l’adozione degli ideogrammi cinesi. Le prime opere della letteratura giapponese con-sistono nella trascrizione in ideogrammi cinesi di materiali tramandati, in precedenza, per via orale. Al Periodo NARA risalgono la “Memoria di antichi fatti” (KOJIKI, 712) e i trenta volumi degli “Annali del Giappone” (NIHONJI, 720), testi che fondono materiali mitologici con descrizioni analitiche d‘eventi storici. Notevoli sono pure i “Libri dei luoghi e dei costu-mi” (FUDOKI, inizio secolo VIII), che descrivono le caratteristiche geografiche e culturali delle varie Province del paese. La “Raccolta delle Diecimila Foglie” (MAN’Y OSHU, 2^ metà del secolo VIII) è un’antologia di più di 4.500 poesie, in parte risalenti al secolo IV e te-stimonia l’autonomia della tradizione poetica giap-ponese rispetto a quella cinese: testi brevi, ca-ratterizzati dall’alternanza di versi di 5 e 7 silla-be, solo apparentemente semplici (HAIKU). Nel Periodo HEIAN (794-1156) i ceti dirigenti as-sumono il cinese come lingua ufficiale e, in ambito letterario, si determina una dicotomia tra le poe-sie redatte in cinese e la prosa in giapponese, ti-pica delle Dame di Corte, le quali inventano un proprio alfabeto per schivare il divieto di appren-dere gli ideogrammi cinesi. Il genere narrativo (MONOGATARI), probabilmente sviluppatosi sulla tradizione dei diari (Nikki), ha come argomenti privilegiati la Corte, le Famiglie aristocratiche, gli eroi. Raggiunge un vertice no-tevole con la “Storia di Genji” (GENJI MONOGATA-RI, composto fra il 1002 ed il 1008) di SHIKIBU MURASAKI, mentre gli “Appunti del Guanciale” (o “Racconti del Cuscino”), MAKURA-NO-SOSHI, di Shonagon Sei (secolo X o XI) sono un esempio di produzione saggistica. In ambito poetico, Ki-no-Tsurayuki, curatore della “Raccolta di poesie an-tiche e moderne” (Kokin-waka-shu, 905), antologia di liriche brevi di trentuno sillabe (tanka), sostie-ne la necessità di tornare all’uso della lingua giap-ponese come rimedio all’eccessivo formalismo, ar-tificiosità e uniformità delle produzioni in cinese.

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Durante il "Medioevo Giapponese" (1185-1615), la decadenza del potere imperiale è accompagnata dal declino della letteratura di Corte, affiancata da nuovi generi: il dramma NŌ ed il racconto epico. Nell’epopea, generalmente cantata con accompa-gnamento del liuto BIWA, prevalgono i temi caval-lereschi e i racconti delle vicende dei principali Clan familiari (“Storia della Guerra degli Heiji”, Heike Monogatari, secolo XIII). A Kannami Kyotsugi (1333-1383) ed a suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1444) si deve la definitiva formalizzazione dei canoni estetici del teatro NŌ, un genere colto, destinato ad un pubblico aristo-cratico, di cui rimangono circa 500 testi, più di 200 dei quali tuttora rappresentati (notevole è il Kagekiyo, probabilmente dello stesso Zeami). Caratteristiche essenziali del NŌ sono i testi, sia in prosa che in poesia, l’uso di maschere, un ri-stretto numero di attori (2 o 3) affiancati dal co-ro, l’accompagnamento musicale con tamburi e flauto (HAYASHI). Gli argomenti sono simili a quelli dell’epopea, ma la narrazione è semplificata per la brevità delle rappresentazioni (un’ora circa). Nel Periodo TOKUGAWA (1603-1867) si sviluppa un nuovo genere di poesia, molto sintetico, di conte-nuto apparentemente naturalistico ma denso di valenze psicologiche: l’haikai. Carattere essenzia-le di questo ciclo storico è la progressiva demo-cratizzazione della produzione letteraria, sia per quanto concerne gli autori che il pubblico, costi-tuito in buona parte dalla nuova classe mercantile. Poesie HAIKU sono composte anche da contadini e artigiani, mentre si diffondono sia i romanzi ero-tici e di costume (UKIYO-SOSHI, per opera di Iha-ra Saikaku, 1642-1693), sia nuovi generi teatrali come il dramma popolare (KABUKI), che è composto dagli stessi attori, e il teatro delle marionette (JORURI), elaborato da Chikamatsu Monzaemon (1653-1725). In seguito all’intensificarsi dei contatti con l’Oc-cidente, con l’avvento del MEIJI (1868), gli intel-lettuali giapponesi devono affrontare il problema di una possibile integrazione di temi e tecniche nuove entro un patrimonio di tradizioni e valori culturali che si ritiene non deve andare perduto. L’opera di modernizzazione si deve principalmente a tre personaggi: Fukuzawa Yukichi (1834-1901), NATSUME SOSEKI (1867-1916) e Mori Ogai (1862-1922). Il primo, attraverso il proprio lavoro di giornalista (“Cronache”, 1882), introduce la riflessione sulle filosofie occidentali.

Il secondo – la cui vita, in pratica, coincide con gli anni di regno dell’imperatore MUTSUHITO – si in-teressa di letteratura inglese e produce romanzi a carattere sia umoristico (“Io sono un gatto”, 1905) sia satirico (“Il signorino”, 1906) che psico-logico (“Papavero”, 1908), seguiti da opere intro-spettive che si richiamano allo ZEN ed alla poesia HAIKU. Il terzo adatta alla sensibilità giapponese lo stile narrativo occidentale, scrivendo racconti (“Anitra selvatica”, 1913) e romanzi biografici (Heihachiro Oshio, 1914). In ambito teatrale si realizzano traduzioni e a-dattamenti di testi europei, ma non hanno fortuna i tentativi di rappresentare sulle scene i caratteri del Giappone moderno. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’interesse dei letterati giapponesi si è diretto essenzialmente verso il genere narrativo, sviluppato secondo tre linee di tendenza. Al primo filone, radicato nella tradizione religiosa e culturale del paese, appartengono gli autori più conosciuti in occidente: Kawabata Yasunari, fau-tore del "neosensualismo", MISHIMA YUKIO, rap-presentante della "scuola della letteratura mo-derna", e Tanizaki Junichiro. Vi è poi una narrativa sociale, proletaria, talvolta anarchica, rappresentata da Hayashi Fumiko, I-noue Yasushi, Ooka Shohei, Fukazawa Shichiro. Le ultime tendenze sono costituite dai romanzi storici popolari (Shiba Ryotaro, Osaragi Jiro) che hanno gran successo di pubblico, come pure da aperture alle impostazioni delle avanguardie occi-dentali (Abe Kobo, Oe Kenzaburo). Musica. Fonti cinesi e reperti archeologici del se-colo III a.C. forniscono notizie su usanze musicali giapponesi. La storia documentata, invece, risale al 435 (Periodo KOFUN), quando ottanta musicisti coreani sono chiamati ad esibirsi in un funerale alla Corte imperiale, mentre risale al secolo VIII la più antica scrittura musicale mai ritrovata: un frammento di notazione per liuto. L’importazione d’elementi della musica continen-tale, cinese e coreana, aumenta durante tutto il secolo VI, ed arriva a fare uso dello shomyo (il canto buddista), in concomitanza con la proclama-zione del Buddismo quale religione di stato (594). È nel Periodo NARA (710-794) che si stabiliscono i fondamenti teoretici e la nomenclatura della mu-sica giapponese, adattando alle necessità della cultura locale le pratiche religiose e delle Corti cinese e coreana.

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GAGAKU (“musica elegante”) è il termine con cui è comunemente indicato il genere di musica esegui-ta alla Corte imperiale, genere che si può classifi-care in base alla regola d’esecuzione oppure all’origine storica delle opere. TOGAKU è definita la musica originaria da India e Cina, KOMAGAKU invece quella che viene da Corea e Manciuria. Naturalmente, il repertorio musicale comprende anche composizioni indigene e musiche provenienti dall’intero Sud-Est asiatico, ma i termini TOGAKU e KOMAGAKU restano sostanziali nella classifica-zione. La distinzione basata sulla prassi esecutiva della GAGAKU, invece, distingue tra BUGAKU – musica di accompagnamento per la danza – e KANGEN – musi-ca solo strumentale. Da notare che la musica è insegnata come “fatto sonoro” più che “grafico”: l’allievo impara dal Mae-stro una composizione per via orale, prima di riu-scire a “leggere” la partitura; la notazione GAGA-KU, pertanto, è soprattutto un aiuto mnemonico per l’esecutore. Danza. Nel Giappone antico (ed è una notazione che vale sia per le culture antiche sia per quelle, ancora oggi, cosiddette “primitive”) la danza non è quasi mai “divertimento”, ma ha finalità cerimo-niali od estetiche, è un vero e proprio “linguaggio rituale” che si “parla” in tutti i momenti fonda-mentali o iniziatici dell’esistenza: l’entrata nell’età matura ed i cicli stagionali, la caccia e la guerra, la nascita, l’iniziazione e la morte. Molto spesso la danza, così come in Cina, ha un carattere marcatamente didattico (è quindi fun-zionale all’educazione ed elevazione morale dello spettatore) piuttosto che narrativo (accompagna, ad esempio, le forme teatrali NŌ e KABUKI, che abbondano di elementi di danza mimica, il cui stile trae origine dalle antiche danze della Corte impe-riale). Non mancano certo le danze popolari tradizionali (ODORI) e quelle di carattere mistico (come nella rappresentazione KAGURA) o rituale (come il KEN-BU). Non si dimentichi che gli stessi guerrieri, i SAMURAI, devono conoscere – come afferma Shige Taka Minatsu nel suo “Storia delle Arti Marziali” del 1714 – oltre alle otto Arti Marziali anche le danze rituali. Arte. Le prime manifestazioni artistiche giappo-nesi risalgono al neolitico e sono costituite da va-sellame in ceramica e da statuette fittili decora-te a "corda ritorta"; testimoniano una cultura

fortemente impregnata dai temi magici e vitali dello Shintoismo. A questo primo Periodo, detto JOMON, segue quello YAYOI (300 a.C. circa - 300 d.C. circa), ca-ratterizzato da figure e vasellame in ceramica e da bronzi a forma di campana (dohoko o dotaku) con decorazioni sottili e lineari, particolarmente raffinate. Il successivo Periodo KOFUN (o "delle antiche se-polture"), protrattosi fino alla prima introduzione del Buddismo (538), vede un notevole sviluppo dell’arte funeraria: sono edificate grandi tombe a tumulo, con sarcofagi in terracotta o in pietra, arricchite da statuette fittili, oggetti d’orefice-ria e armi di ferro. Nell’architettura si abbozzano gli elementi essen-ziali dei templi shintoisti, concepiti come abita-zioni degli antenati e quindi mutuati dalle capanne dell’epoca YAYOI: edifici lignei semplici e austeri, poggianti su una piattaforma sopraelevata e con tetti spioventi. Dal secolo VI (Periodo ASUKA, 525-645), il Buddi-smo diffonde le forme proprie della contempora-nea arte cinese: i tetti dei templi assumono forma incurvata, sono sovrapposti e sostenuti da capi-telli ad incastro (kumimono), le pareti si arricchi-scono di decorazioni policrome; gli edifici religiosi si caratterizzano secondo differenti tipologie (templi, pagode, refettori, sale). Il più antico monastero Buddista giapponese è lo Horyu-ji (607), presso NARA, comprendente la “Sala d’oro” (Kondo), il chiostro e una pagoda a cinque piani, racchiusi da un recinto quadrangola-re in cui si apre il portale principale (Chumon). La “Triade di Shakyamuni” (623), gruppo bronzeo conservato nel Kondo, testimonia lo sviluppo delle arti figurative, secondo i modelli ieratici dell’arte Tang cinese. Importanti sono anche le statue li-gnee (Kwannon, Kondo: secolo VII) e le prime raf-figurazioni pittoriche, solitamente lacche in stile cinese (“Tabernacolo di Tamamushi”). Il Periodo NARA (710-794) è caratterizzato da profondi influssi culturali e artistici continentali (cinesi in primo luogo, ma anche indiani e iraniani), che introducono il gusto per la grandiosità e la monumentalità: esempi sono sia la struttura urba-nistica della capitale NARA sia il tempio Todai-ji, il maggior edificio ligneo esistente. La statuaria, oltre ad assumere dimensioni colos-sali, si fa più plastica e naturalistica, pur restan-do di soggetto religioso (“Buddha Roshana”, sta-tua bronzea conservata nel Todai-ji, risalente al

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749, ma è restaurata più volte; “Triade di Yaku-shi” in bronzo dorato, fine secolo VII). Sono introdotti nuovi materiali, come la creta di-pinta (sozo; Shikkongoshin, 733) e la lacca secca (kanshitsu; Fukukensaku Kwannon, 746; statue-ritratto dei monaci Gyoshin e Ganjin, 763). La pittura si arricchisce di particolari realistici (Horyu-ji di NARA, affreschi del Kondo, secolo VIII, nello stile pittorico autoctono yamato-e) e narrativi (“Illustrazione del sutra delle cause e degli effetti”, 735, primo esempio di emakimono, pittura su rotolo di carta). Durante l’epoca HEIAN (794-1156), con la diffu-sione del Buddismo mahâyâna, diminuisce l’impor-tanza dei modelli cinesi. Le statue, prevalente-mente lignee, assumono tratti mistici ed enigma-tici: degne di nota sono quella di Yakushi Nyorai (fine secolo VIII) e quella, aristocraticamente raffinata, d’Amida Nyorai (1053) dovuta a Jocho. A fianco della pittura religiosa si sviluppa lo stile yamayo-e, decorativo, prospettico, delicato nei colori (“Storia di Genji” su rotolo di seta, secolo XII). I modelli architettonici tendono ad un’armonica fusione con il paesaggio naturale: i templi assumo-no pianta asimmetrica, adattandosi alle caratteri-stiche del suolo (Enryaku-ji, presso KYOTO; Kon-gobu-ji, sul monte Koya), il giardino integra le abi-tazioni aristocratiche. L’aumentata importanza dell’aristocrazia guerrie-ra, che caratterizza il Periodo KAMAKURA (1185-1392), sul piano artistico si traduce in forme d’austero realismo, poco inclini alla raffinatezza. Nella statuaria lignea si presta attenzione alla ca-ratterizzazione espressiva dei volti (ritratti dei monaci Muchaku e Seshin; “Statue dei Guardiani” del Todai-ji di NARA, 1203, di Unkei). La pittura si arricchisce di nuovi soggetti, traen-do spunto dall’agiografia, dall’aneddotica e dai racconti popolari; ampio sviluppo ha il genere ri-trattistico nise-e (MINAMOTO-NO-YORITOMO e Taira-no-Shigemori, di Takanobu, secolo XIII). Con l’introduzione dell’uso del tè e lo sviluppo del rituale connesso (“Cerimonia del Tè” CHA-NO-YU), assume particolare rilievo l’arte ceramica: la re-gione di Seto diventa centro produttivo di cera-miche invetriate color giallo ocra, derivate da modelli cinesi. Il Periodo MUROMACHI (o ASHIKAGA finale, 1392-1573), caratterizzato dalla diffusione del Buddi-smo ZEN (introdotto verso il 1215), segna il recu-pero di valori essenzialmente interiori e spirituali.

La scultura decade, mentre nella pittura preval-gono le rappresentazioni paesaggistiche mono-cromatiche a china (suiboku-ga), opera di monaci (gaso), quali Sesshu (“Paesaggio invernale”, fine secolo XV), Josetsu e Shubun, che traggono spun-to dai dipinti cinesi delle dinastie Song e Yuan. Col tempo prevalgono i motivi decorativi, sviluppati dalla scuola laica di Kano, che detta i modelli della pittura ufficiale. Anche l’architettura tende alla realizzazione d’e-difici e templi austeri e disadorni (“Padiglione d’Oro”, nei pressi di KYOTO); nei giardini sono uti-lizzati elementi naturali, con funzione simbolica (“Giardino di sola ghiaia e roccia” del Ryoan-ji di KYOTO, secolo XVI). Durante il Periodo MOMOYAMA (1573-1615) torna a prevalere nell’architettura lo stile monumentale: l’uso della pietra si fonde con quello del legno (Ca-stello Himeji a Hyogo, 1608) e gli interni si arric-chiscono di decorazioni policrome e paraventi (nanban byobu), testimonianti l’avvenuto contatto con l’Occidente (ritratti di missionari e mercanti). Il Periodo TOKUGAWA (o EDO, 1603-1868), vede costanti infiltrazioni di tecniche occidentali – no-nostante la chiusura formale del paese agli stra-nieri – che portano al formarsi di correnti con-trapposte alla pittura ufficiale di Kano. Emerge la scuola decorativa Rimpa, con i Maestri Sotatsu (“Racconto di Genji”, secolo XVII) e Ogata Korin (“Susini rossi e bianchi”), e la Maruyama (XVIII-XIX secolo), di tendenza realistica. Si diffonde rapidamente anche il genere popolare UKIYO-E ("Immagini del Mondo Mutevole" o “Gal-leggiante”, XVIII-XIX secolo), di soggetto mon-dano, volto ad esaltare la vita terrena; l’espres-sione preferita è costituita da quelle xilografie stilizzate, monocrome e policrome (Harunobu, Sharaku, Utamaro, Hokusai), che tanto influenza-no, poi, gli impressionisti francesi. L’architettura esprime santuari-mausolei in forme shinto-buddiste (complesso di Nikko); nell’arte plastica, alle tradizionali maschere teatrali si af-fiancano sculture di piccole dimensioni e soggetto profano. La ripresa dei contatti con l’Occidente (Era MEI-JI, 1868-1912) ha significativi influssi, soprattut-to sulla produzione architettonica, che si muove tra la salvaguardia dei modelli tradizionali e l’in-troduzione di materiali e stili tipici dell’800 euro-peo (rinascimentale, gotico, neoclassico). Dopo la Prima Guerra Mondiale, si affermano mo-vimenti d’avanguardia, come il gruppo Bunriha

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(“Secessione”) e l’Associazione giapponese per il disegno industriale. Nel Secondo dopoguerra è particolarmente forte l’influsso del funzionalismo americano, adattato alle esigenze locali, cui segue l’attività del gruppo “Metabolism” (Kikutake, città galleggianti; Kuro-kawa, cellule abitative) e della cosiddetta New Wave giapponese. In pittura si distinguono il gruppo Gutaj di Osaka ed il movimento Mono-ha, che propugna un ritorno all’arte povera e che ha innescato, come reazione, ricerche figurative in direzione più intellettualistica. GIAPPONESE. – Lingua parlata in Giappone, for-se appartenente alla famiglia uralo-altaica. Presenta attinenze sia con le lingue dell’area poli-nesiana sia con il coreano. La lingua giapponese ha 5 vocali (a, i, u, e, o) e gruppi bisillabici formati da una consonante ed una vocale. Le consonanti sono 9 (k, s, t, n, h, m, y, r, w); l’unica consonante che può non avere una vo-cale al seguito è la n. Le 9 consonanti unite alle 5 vocali danno 45 suoni di base (più uno, la n senza vocale), detti “suoni puri”, seion. Aggiungendo a 20 caratteri base un particolare segno (specie di virgolette – nigori – in alto a de-stra), si ottengono le combinazioni con le conso-nanti g, z, d e b; i 20 grafemi così ottenuti sono detti “suoni impuri”, dakuon. Aggiungendo a 5 caratteri base un altro segno particolare (un cerchietto – handakuten - in alto a destra), si ha la combinazione delle vocali con la consonante p; i 5 grafemi così ottenuti sono detti “suoni semipuri”, handakuon. Unendo ai caratteri base tre lettere, chiamate “piccole”, si ottengono altri 36 suoni, che sono detti “suoni contratti”, yôon. Agglutinante e polisillabica, la lingua giapponese è priva di pronomi relativi ed articoli, mentre i nomi mancano di genere (maschile/femminile) e numero (singolare/plurale); non ha preposizioni ma pre-senta posposizioni (teniwoha) aventi valore logico. Manca anche il verbo “essere”: tale concetto è espresso da un sistema di “nome-verbo” e “agget-tivo-verbo”, tanto che gli aggettivi si coniugano. La struttura sintattica del periodo situa il verbo alla fine della frase e antepone l’elemento qualifi-cante al qualificato. Altre caratteristiche ortografiche sono: - si può scrivere sia in verticale (con andamento da destra a sinistra) sia in orizzontale (da sini-stra a destra);

- non c’è spazio tra i componenti la frase, che ri-sultano tutti uniti l’uno all’altro. È l’uso dei KANJI per SEMANTEMI che aiuta ad individuare i compo-nenti la frase; - sono sì usati il punto e la virgola, ma spesso rap-presentano la pausa fonica (o, meglio, “respirato-ria”) anziché la cesura, la pausa metrica logica della frase; - non esiste il trattino, tra una sillaba e l’altra e nemmeno la distinzione tra maiuscola e minuscola. La scrittura è uno dei sistemi più complicati esi-stenti e si avvale di ben tre “alfabeti”. 1. I KANJI, ideogrammi cinesi introdotti verso il V-VI secolo, utilizzati per nomi propri, sostantivi e semantemi (nomi e radici di verbi e aggettivi). 2. Il sillabario fonetico polisillabico HIRAGANA, per i segni grammaticali (desinenze, suffissi, par-ticelle, ausiliari). 3. Il sillabario fonetico polisillabico KATAKANA, riservato alle parole straniere (nomi propri com-presi), per il moderno linguaggio tecnico e per le ONOMATOPEE, frequenti nella lingua giapponese. Nel tempo, i segni ideografici cinesi KANJI sono stati usati, di volta in volta, come ideogrammi (se esprimono un’idea vicina all’oggetto rappresentato dal carattere) o come fonemi (assumendo il suono della parola cinese equivalente). In aggiunta a ciò, a causa del variare nel tempo della pronuncia della lingua cinese, ai medesimi segni sono stati attri-buiti nuovi valori fonetici, in giapponese. Si stima esistano circa 50.000 KANJI e di questi circa 3.000 sono di normale utilizzo in Giappone. Al 1981 risale la razionalizzazione nell’uso dei KANJI, dei quali circa 2.000 sono ritenuti fonda-mentali (jōyōkanji); di questi, la metà è insegnata nelle scuole elementari. Verso il secolo IX, una serie di caratteri prende un valore puramente fonetico: ogni segno rappre-senta il suono di una sillaba e più segni collegati rappresentano il suono di una parola. Nel secolo X è codificata la differenza tra la lin-gua parlata e quella scritta che, ancora usando i caratteri cinesi, mal si adatta al fluire sintattico del giapponese; si struttura così un sillabario di 48 segni, ognuno derivato da un carattere cinese in forma corsiva: nasce lo HIRAGANA. Dal XX la lingua parlata è utilizzata anche per le comunicazioni ufficiali e letterarie. Oggi accade che, in una frase, sostantivi, verbi e aggettivi siano espressi con i segni ideografici KANJI, mentre desinenze, proposizioni e particelle siano rappresentati foneticamente da HIRAGANA e

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KATAKANA. L’uso dei KANJI, inoltre, oltre che faci-litare la distinzione semantica tra omofoni (ab-bondanti, in giapponese) è un indicatore del livello culturale dell’autore. GIAVELLOTTO. – Arma da lancio. Formata da un’asta in legno di medie dimensioni (al massimo due metri di lunghezza e 3-7 cm di diametro), è dotata di cuspide a lancia o a costole taglienti. Usata fin dall’età paleolitica come arma da lancio, è ben bilancia, per avere una traiettoria il più possibile regolare. GLOVER, THOMAS BLAKE. – Commerciante, viaggiatore ed avventuriero scozzese. Sbarcato a Nagasaki nel 1859, dopo la forzata apertura dei confini nipponici, riesce a capire la mentalità dei giapponesi e li fa innamorare della tecnologia eu-ropea. Tratta con i Clan SATSUMA e Choshu – alle-ati, in lotta dal 1866 al 1868 per restaurare l’au-torità imperiale – la fornitura di moderni arma-menti, che consentono loro di sbaragliare le trup-pe shogunali, ancora armate all’antica. È l’unico GAIJIN dell’epoca ad essere decorato con l’onorificenza imperiale del “Sole nascente”. GORBIA. – Parte della testa delle armi in asta. Normalmente di forma conica, con fori per inseri-re perni di fissaggio, vi s’incastra l’estremità su-periore dell’asta. Il ferro della gorbia, quando le armi sono destina-te a colpire di taglio, si prolunga in due bandelle, per aumentare la resistenza, anch’esse con fori di fissaggio. GORGIERA. – Parte dell’armatura posta a prote-zione della gola. GRAFEMA. – Dal greco gráphein “scrivere”. Indi-ca la più piccola unità distintiva corrispondente ad un carattere alfabetico. GRIDO. – L’uso di urlare, durante un combatti-mento, od il grido di battaglia che risuona minac-cioso prima della battaglia, risale alla notte dei tempi ed è diffuso in tutti i luoghi e tra le culture d’ogni tempo. Il grido del guerriero serve a diver-si scopi. È la potente espressione di chi s’impegna per la vittoria, ma serve anche ad intimorire il nemico ed a compattare, esaltandole, le proprie schiere. È utile a controllare la paura e concen-trare la mente sul combattimento, mentre il cor-po – potenziato dall’adrenalina liberata dal cervel-lo, che valuta il pericolo – risponde rapido e poco si cura dei colpi ricevuti: dopo la battaglia ci sarà tempo per curarsi. Concentrare e rilassare la mente, dirigere l’energia, controllare il corpo: so-no anche gli obiettivi di monaci e sciamani, guari-

tori ed asceti; infatti, anch’essi usano il canto, la recitazione cadenzata, i suoni (le grida, talvolta) per influenzare la mente ed il corpo, ma di certo non con lo scopo marziale del guerriero! [si veda anche KIAI]. GRONDA. – Parte posteriore dell’elmo, che pro-tegge nuca e collo. Formata da una o più lamine, talvolta articolate fra loro, in senso stretto è un’appendice distinta dal coppo, cui è fissata. La gronda, in alcuni modelli, non è altro che la parte terminale, a falda, del coppo. GUARDIA. – Parte d’arma bianca manesca. Ac-comuna tutto ciò che serve a difendere la mano: elso, coccia, guardamano. Più esattamente, nelle armi occidentali, è quella difesa che, dal massello della crociera, si protende verso il pomo, con un andamento ad arco più o meno accentuato. GURU. – In India è il Maestro spirituale, saggio, sapiente e di eccezionali virtù, posto a guida di un gruppo di discepoli nell’educazione religiosa e sul-la via dell’illuminazione.

HARTMANN, Rete Globale di. – Si veda Geo-biologia. HINAYÂNA. (sanscrito) – “Piccolo Veicolo”. È la forma più antica e conservatrice del Buddismo in-diano, quello detto anche theravada (“Dottrina degli Anziani”), che spesso è contrapposto al ma-hâyâna (“Grande Veicolo”). HUIGUO. – (746-805) Settimo patriarca della scuola poi conosciuta in Giappone come SHINGON (traduzione sino-giapponese del sanscrito “man-tra”): “Vero Suono” o “Vera Parola”. È ritenuto la massima autorità sui temi esoterici ed insegna al monaco KUKAI i mantra Yoga.

IDIOFONO. – È così detto uno strumento nel quale il suono è prodotto dalla vibrazione del ma-teriale di cui è fatto lo strumento stesso (non ci sono parti in tensione). Gli strumenti idiofoni pos-sono essere a percussione, a raschiamento, a fri-zione, a pizzico, ad aria, a scuotimento. I-CHING. – Si veda Yi Jing. IMMOBILIZZAZIONE. – Per “immobilizzazio-ne”, in AIKIDŌ, s’intende una presa o un movimen-to di leva articolare, che diventa efficace quando comincia a causare dolore. In altre parole: TORI costringe AITE, attraverso la leva o la presa, in

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una posizione tale per cui, se tenta di uscirne, si provoca da sé un intenso dolore. Il movimento di immobilizzazione porta, normalmente, allo stadio finale del “bloccaggio”. IMPUGNATURA. – È quella parte dell’arma che consente di utilizzarla. Nelle armi bianche può es-sere di svariati materiali, diverse dimensioni e numerosissime fogge; la forma e le protezioni so-no condizionate dal modo di impugnare l’arma e portare il colpo. Al fine di migliorare la presa, l’impugnatura pre-senta di solito un andamento fusiforme, tondeg-giante, a tortiglione o scanalato. INSEGNAMENTO e APPRENDIMENTO. – In o-rigine, l’insegnamento (delle Arti Marziali, soprat-tutto) può essere impartito solo direttamente, dal Maestro al discepolo (accettato ed accolto) e l’allievo deve meritare questa “rivelazione”. I segreti dell’Arte (in questo caso intendo tutte le Arti, dalle guerresche alle artistiche alle arti-gianali) si tramandano unicamente a coloro il cui comportamento si confà alle regole del gruppo. Ed il gruppo assume la valenza di società segreta, chiusa, in cui l’autorità appartiene al “capo” (della scuola, del Clan o della Famiglia, della corporazio-ne…) e della società segreta mantiene il principio dell’iniziazione cui deve sottoporsi l’adepto, l’al-lievo, l’apprendista. È una norma, una regola, che ritroviamo in tutta la cultura asiatica, ma che in un Paese come il Giap-pone, dove il modo di pensare filosofico e religio-so proprio della casta degli “Uomini della Guerra”, i BUSHI, è punto di riferimento per l’intera socie-tà, assume caratteristiche assolutamente pecu-liari. Oltre all’iniziazione c’è l’apprendistato che, nor-malmente e tradizionalmente, è di tipo pragmati-co: si apprende, cioè, praticando, operando, appli-cando; quello che davvero importa è l’efficacia, senza soverchia preoccupazione per i concetti, sottaciuti, che diventano palesi solo in un secondo tempo. Questo modo di intendere il rapporto Mae-stro/discepolo, comunque, non ha quasi più senso, oggi, quando troppi hanno dimenticato cosa signi-fica “Maestro”, titolo con cui molto spesso sono chiamati Allenatori ed Istruttori. Essi, general-mente, sono ben inseriti nella società consumisti-ca, dove l’aspetto che più conta è quello commer-ciale e la “merce” che si offre, l’Arte Marziale, prescinde dai contenuti e dai valori etici e morali

di una tradizione talvolta intesa come sterile ed antiquata. Per l’AIKIDŌ, in particolare, ricordiamo l’opinione di UESHIBA MORIHEI: «Un Istruttore mostra sol-tanto una piccole parte dell’Aikidō. È attraverso un allenamento continuo e diligente che l’allievo ricerca pazientemente il legame che unisce le tecniche, piuttosto che accontentarsi di accumu-larne in quantità». Ed ancora: «Impara e dimenti-ca, impara e dimentica! Rendi le tecniche parte del tuo essere». Il metodo d’apprendimento, in AIKIDŌ, è costitui-to da quattro passaggi: 1. s’impara con gli occhi (MA-AI, la distanza che unisce); 2. s’impara con il respiro (TORI ed AITE respirano all’unisono); 3. s’impara con il ritmo (nasce l’unione); 4. s’impara con l’intuizione (il KI di TORI è unito a quello di AITE).

JAPANISME – Termine che identifica il periodo della storia dell’arte europea che, iniziato nella seconda metà del 1800, dura oltre cinquant’anni. Il momento storico coincide con il pieno affer-marsi della “rivoluzione industriale”. Con quest’e-spressione, coniata nel 1837 da L. A. Blanqui – e poi ripresa da K. Marx e F. Engels – si definisce il processo storico di diffusione (dapprima in In-ghilterra poi in altri Paesi europei e del mondo) del modo di produzione capitalistico e la conse-guente formazione della borghesia industriale e della classe operaia moderna. Le conseguenze di questa “rivoluzione” sono estese: nuovi processi e sistemi produttivi, con diverse tecnologie innova-tive; incremento della produzione e riduzione dei costi; nascita, appunto, di nuove classi sociali, con dinamiche di sviluppo molto spesso antagoniste. Inoltre, si modifica sia il rapporto dell’uomo con la natura sia l’uso del territorio. A fronte di fenomeni complessivi difficilmente accettabili (dalla “questione sociale” alle disumane condizioni di lavoro, dalla dissoluzione della socie-tà pre-industriale – con il conseguente aumento di comportamenti sociali devianti – all’esproprio, nei lavoratori, d’ogni strumento di lavoro e di ogni progettualità individuale), non solo si registrano manifestazioni di violenta protesta, ma anche la nascita del moderno sindacalismo e di una legisla-zione sociale. Nel campo dell’arte, accanto al

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“primitivismo” ed all’”esotismo”, che manifestano la tentazione di una fuga verso mondi sconosciuti e lontani, si afferma la ricerca di luoghi inconta-minati, di una naturalità perduta: è manifesta l’ac-cettazione di motivi figurativi nipponici, soprat-tutto dopo che, con la Restaurazione MEIJI, gli Europei possono rimettere piede e viaggiare in Giappone.

KALARI PAYAT. – Il nome deriva da due parole in lingua malabar: Kalari, che indica “luogo” o “campo di battaglia” e Payat, che significa “prati-ca” o “addestramento”; si può quindi tradurre con “addestramento per il campo di battaglia”. Questa è, in assoluto, una tra le più antiche Arti Marziali di cui si abbia notizia e che siano tuttora praticate: semisconosciuta in Occidente, è pro-fondamente legata alla vita sociale e religiosa dei contadini dell’India meridionale, dov’è ancora stu-diata, sovente ad un profondo livello esoterico. Originaria di Kerala, nell’India del sud-ovest, dove è conosciuta anche come Vajra mushti, “pugno di diamante”, comprende tecniche per colpire e pa-rare e per disarmare gli avversari o immobilizzarli al suolo e metodi di proiezione, presa e leva. Le tecniche si eseguono a mani nude o con svaria-te (lance, forconi, spade, mazze, bastoni…) e tal-volta assai particolari armi locali. Le tecniche – che si eseguono utilizzando una caratteristica forma di respirazione controllata, il Prânâyama – spesso hanno come obiettivo uno dei 108 marman (“punti deboli”) del corpo umano, analoghi ai più noti KYUSHO. Un buon allievo deve esercitarsi quotidianamente, praticare delle “forme” (analoghe ai KATA) ed ese-guire una ginnastica di riscaldamento faticosissi-ma, che serve non solo ad assicurare agilità, forza e resistenza impressionanti, ma consente di rag-giungere e mantenere un’ottima salute psicofisica. Oggi quest’Arte Marziale si è (quasi) trasformata in una sorta di stile di combattimento rituale, lega-to a feste e cerimonie e dedicato principalmente a Kâlî, la dea indiana della guerra. L’importanza del Kalari Payat deriva dal fatto che, secondo la tradizione, da esso origina la mag-gior parte di quelle che oggi conosciamo come Ar-ti Marziali orientali tradizionali. Inoltre, pare che Bodhidharma, a Shao Lin-si, si ispiri a questo si-stema di combattimento per mettere a punto il metodo di lotta a mani nude che consente ai reli-

giosi di difendersi dai banditi da strada senza spargere sangue. KANNON. – (sanscrito: Avalokitesvara) È la dea della Misericordia, raffigurata, in una delle rap-presentazioni iconografiche più comuni, con mille occhi e mille mani. Descritta in origine come enti-tà maschile, è il Bodhisattva che realizza la pro-pria natura grazie alla capacità di ascoltare gli al-tri. KARMA. (sanscrito) – “Azione”. Concatenazione di cause ed effetti. È l’effetto, in questa o in al-tre vite, delle azioni passate. Nella mistica del Buddismo, dell’Induismo e del Giainismo, indica l’effetto ineluttabile conseguen-te ad ogni azione. Il karma è determinato dalla qualità delle azioni che ciascuno compie durante la o le vite, quindi ognuno, con pensieri e azioni, de-termina il proprio destino e la qualità della vita successiva, all’interno del perenne ciclo della rina-scita (samsara). Anche KARMAN. KARMAN. – Si veda karma.

LAMA. – È la parte di un’arma bianca, sia da mano sia in asta, destinata a ferire. La lama – che, da sempre, testimonia il grado d’e-voluzione tecnica dell’arma intera – è costituita da una striscia metallica più o meno flessibile (a sezione generalmente triangolare o romboidale), inserita tramite un‘appendice (codolo) nell’impugnatura oppure, soprattutto per le armi in asta, fissata con una gorbia. La lama è formata da un bordo tagliente (filo, ta-glio), atto a ferire e da un dorso, spesso smussa-to. Talvolta, entrambi i lati sono taglienti, per tutta la lunghezza della lama o solo in parte, tanto che una primissima classificazione si ha in base a questo elemento, e si parla di lame a taglio singo-lo, a doppio taglio, ad un filo e mezzo ed anche lame a taglio e falso taglio [si veda anche la voce “filo”]. Nella classificazione Occidentale, procedendo dalla impugnatura verso la punta, si distinguono tre parti: 1. primo terzo (o terzo superiore; anche terzo forte), 2. secondo terzo (anche centrale o medio terzo), 3. ultimo (o terzo) terzo (o inferiore; anche ter-zo debole). La lama può essere dritta, per colpire soprattutto di punta (baionetta, spada; lancia), oppure curva,

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per colpire prevalentemente di taglio (sciabola, scimitarra; falcione, ronca). Scanalature (sgusci), spesso presenti nella strut-tura della lama, ne aumentano la resistenza ren-dendola nel contempo più leggera. Nel Giappone antico, più che in qualsiasi altro am-bito geografico ed epoca storica, le lame delle armi bianche sono il prodotto di una scienza della metallurgia sviluppatasi e progredita ininterrot-tamente nel corso dei secoli. Dai primi, mediocri esemplari del III secolo d.C. (imitazioni di spade cinesi, veicolate dalla cultura coreana) si arriva alle lame forgiate con raffinate tecniche, nel secolo VIII, per giungere – attra-verso l’opera dei Maestri forgiatori dei Periodi HEIAN (794-1156) e KAMAKURA (1185-1333) – ai manufatti del Periodo MUROMACHI (1392-1573). Sono, questi, veri capolavori, espressione di una tecnica metallurgica al culmine della perfezione, mai più superata (e nemmeno eguagliata) nei secoli seguenti. Durante tutta l’epoca prefeudale e feudale ed an-che dopo, nell’Era MEIJI, la produzione di lame è proseguita ininterrotta, in ultimo destinata ad armare gli ufficiali delle Armate imperiali e della polizia. Si tratta, soprattutto, di spade, nell’ulti-mo scorcio di tempo, ma non solo: rinomati spadai hanno spesso prodotto eccellenti lame di pugnali e sovente firme famose si trovano su lame che di spada non sono. La qualità dei prodotti finiti, co-me detto, è calata, dopo l’apice del secolo XVI, ma non per questo le lame giapponesi risultano mediocri: ancora oggi un logo nipponico impresso sul tallone di una lama è sinonimo d’eccellenza. So-lo esperti veramente capaci sono in grado di rico-noscere, comprendere e descrivere i particolari che fanno della scienza metallurgica del Giappone feudale una vera e propria arte, unica ed assolu-tamente complicata. Di seguito sono fornite alcu-ne tracce, per avvicinarsi a questo specialissimo settore. Un’osservazione, innanzi tutto. Nel Giappone anti-co i fabbricanti di spade, i fabbri forgiatori non sono dei semplici artigiani, ma personaggi pubblici importanti, che possiedono uno “status” sociale molto elevato. Altrettanto degni di considerazione sono i nume-rosi e diversi artigiani che concorrono alla realiz-zazione di una spada completa. Ognuno è specia-lizzato nelle diverse fasi: dalla battitura, forgia-tura e tempra alla lucidatura; dalla preparazione delle leghe, utilizzate nelle decorazioni, all’ese-

cuzione delle stesse ed alla realizzazione del fo-dero. I Maestri spadai, nell’ambito della propria attivi-tà, sono quasi ministri di un culto antico e solenne (non a caso, spesso, fanno parte di santuari SHIN-TO e talvolta sono anche sacerdoti di quella reli-gione), tanto che ogni loro operazione, dalla pre-parazione degli utensili alla scelta dell’acciaio all’esecuzione delle diverse fasi produttive, è preceduta da rituali di purificazione. I fabbri, ad esempio, si astengono dalle cose im-pure (come le donne e le carni di animali selvatici) fino a tre mesi prima dell’inizio della forgiatura di una KATANA. I riti di purificazione e la prepara-zione mentale del fabbro forgiatore sono essen-ziali: quando i primi sono mal eseguiti, la lama vie-ne storta o non si riesce a lucidare; se la mente del fabbro divaga, la KATANA assume il malefico potere d’indurre il proprietario ad uccidere indi-scriminatamente (almeno, così afferma la tradi-zione). La loro attività, quindi, si colloca nel pieno di quei fenomeni cosmogonici che vedono la presenza e l’influenza dei KAMI in ogni oggetto, evento, luogo, manifestazione. Numerose sono le Famiglie di maestri forgiatori, che solitamente appartengono a ben determinate “scuole” regionali. Anche in queste Famiglie, come in molti altri casi, i segreti dell’Arte – qui le tec-niche di forgiatura e tempra – sono trasmessi dal Maestro al figlio (naturale o adottivo) o all’ap-prendista – meglio, al discepolo [si veda la voce “insegnamento”, in questa parte del Dizionario] – il cui tirocinio non è certo privo di rischi. Si narra di un allievo, impaziente di imparare, che immerge la mano nell’acqua destinata al raffreddamento delle lame, per saggiarne la temperatura; il suo Maestro, che sta rifinendo una KATANA, nel vede-re questo gesto non ci pensa due volte e con un solo colpo gli mozza il braccio. Un’altra versione vuole che l’allievo voglia rubare questo importante segreto al Maestro e questi, accortosi del fatto, l’uccida immediatamente. Fino al secolo XV il minerale di ferro necessario alla produzione delle lame è fornito da miniere a cielo aperto o pozzi poco profondi: la tecnologia necessaria all’escavazione di gallerie è assoluta-mente primitiva, contrariamente a quella necessa-ria ai lavori di purificazione, raffinatura, forgia-tura, decorazione del metallo. Lo stesso materiale è utilizzato per la produzione d’altre armi, pezzi d’armature e di bardature e al-

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tri accessori; attrezzi agricoli ed utensili vari; specchi (EKAGAMI) e aghi; ancore e ami; serrature e chiodi eccetera. Solo dalla fine del secolo XVI s’inizia ad utilizza-re il KODO-BORI (sfruttamento delle miniere per mezzo di pozzi e gallerie orizzontali), nel quale sono impiegati uomini delle classi inferiori, i reietti HININ ed ETA. Piccoli altiforni, fondendo magnetite impura, pro-ducono acciaio, con massa molto dura o molto morbida. Secondo la destinazione, l’acciaio è scel-to e, saldando tra loro acciai con massa diversa, si ottiene una sbarra che rappresenta un capolavoro metallurgico: la KATAHA. Diversi (ed ognuno con uno specifico nome) sono i metodi per saldare, fu-cinare, piegare, scorticare la sbarra, ma alla fine si ottiene una stanga che da un lato è dura, tene-ra dall’altro. Ripiegata la KATAHA su se stessa e compattata (per un minimo di quindici volte), si ottiene una sbarra omogenea, con strati variabili, che arriva-no da 1.024 (dieci piegature) a 32.000 (con 15 piegature) e più, secondo lavorazione. Se pensia-mo che 32.000 strati si possono trovare in una barra spessa solo 2,5 cm, ogni strato giunge ad avere uno spessore molecolare! Una prima forgiatura dà forma e curvatura inizia-le alla lama, che raggiunge il profilo definitivo solo con i successivi riscaldamenti. È in queste fasi iniziali che il fabbricante modella il codolo (NAKAGO) che, limato con tecnica partico-lare, assume una serie di caratteristiche linee sgraffiate con varie direzioni (YASURI), ma sem-pre parallele, ed anche tagli irregolari e punti (è dall’esame delle YASURI che un esperto può iden-tificare sia l’epoca di fabbricazione sia il fabbro). Nel codolo è sempre presente il foro MEKUGIANA che, attraversato dal piolo MEKUGI, consente di fissare l’impugnatura (TSUKA). Quando la lama – che può avere sezione di tipo di-verso, con dorso piatto o arrotondato [si veda KA-TANA] – è di qualità elevata, si aumenta il conte-nuto di carbonio sul taglio, mediante stuccatura, così da rendere possibile l’indurimento e la tem-pera (YAKIBA). La preparazione di una lama si avvia a conclusione con molatura, lucidatura, decorazione (dorature, incisioni, intarsi, intagli); spesso l’incisione (HORI-MONO) serve ad eliminare difetti superficiali. Per la decorazione si utilizzano soggetti tratti dalla mitologia oppure caratteri in sanscrito

(BONJI), ma anche motivi delle antiche spade KEN o draghi. L’ultima operazione compiuta dal forgiatore (KAJI) è l’incisione, sul NAKAGO, della propria firma (MEI), con l’aggiunta, talvolta, d’informazioni integrative. Non sempre, però, compare la firma dell’autore: gli esemplari meglio riusciti, i veri capolavori dei Maestri, non hanno certo bisogno di essere iden-tificati attraverso un nome! Una lama eccellente (oltre al TAMESHI-GIRI, tipico per la KATANA) deve superare altre due prove di taglio: recidere, stando immersa nell’acqua cor-rente, lo stelo di una ninfea che, galleggiando, la urti e tranciare di netto una lama normale, senza che il filo subisca danni. Le lame, quando non usate, sono dotate d’impu-gnature di semplice legno e riposte in foderi dello stesso materiale, avendo come unica guarnizione l’HABAKI, anch’esso, spesso, di legno [si veda anche KATANA]. Le parti fondamentali di una lama (di spada, so-prattutto) sono: il corpo principale (JIGANE), con il dorso (SHINOGI) ed il taglio temperato (YAKIBA); la punta (BOSHI) con l’apice appuntita (KISSAKI); la nervatura (YOKOTE) che separa l’estremità dal corpo principale ed il codolo (NAKAGO). Altro ele-mento importante è la curvatura (SORI) della la-ma: si misura sulla massima distanza tra il dorso della lama (MUNE) stessa e la linea retta immagi-naria che congiunge la punta con l’elso, NAKAGO escluso. Per finire, alcune osservazioni. Non è certo pensabile che tutte le lame delle ar-mi giapponesi, lunghe o corte, siano il prodotto dell’accurata opera di un insigne artigiano o di un Maestro affermato. Ci sono momenti, come nel Periodo MUROMACHI, dal 1392 al 1573, in cui la domanda è altissima, sia per uso interno sia per l’esportazione in tutta l’Asia (30.000 spade in una sola ordinazione dalla Cina, ad esempio). Si può allora ipotizzare una produzione “a catena”, con gli apprendisti che si occupano delle opera-zioni minori ed il Maestro che interviene per i la-vori che richiedono particolare abilità, come la tempera, ma senza nemmeno avere il tempo per trasmettere ai discepoli tutti i segreti dell’arte. Solo per ordinazioni particolari, in numero limita-to, la lama di una spada subisce il lungo (talvolta un intero anno, addirittura) procedimento rituale, che la porta ad essere, anche, un’opera d’arte. Non si dimentichi, infine, che già nel 1600 circa i segreti degli antichi fabbricanti di spade sono

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perduti, purtroppo definitivamente, tant’è vero che le lame sono classificate in base al periodo di fabbricazione, secondo la seguente suddivisione: KO-TO, “spade antiche” o “vecchie lame”: for-

giate dal 900 circa fino a circa il 1530 (oppure al 1603 o 1614, secondo fonti diverse). Il Governo giapponese fa di tutto per reperirle, ovunque sia-no, e conservarle nei musei del Paese, consideran-dole veri e propri tesori nazionali. SHIN-TO, “spade nuove”; “nuove lame”: prodot-

te dal 1530 (o 1603 o 1614), fino al 1716 circa. SHIN-SHIN-TO, “spade nuovissime”; “nuovissime

lame”: quella forgiate dal 1717 al 1870. GENDAI-TO, “spade moderne”; “lame moderne”:

fabbricate dal 1871 fino al termine della Seconda Guerra Mondiale. SHINSAKU-TO, “spade recenti”: quelle prodotte

dal secondo dopoguerra ad oggi. Questa classificazione si riferisce unicamente al-la tradizione delle NIPPON-TO, le “spade giappone-si”, in cui non rientrano le spade militari (destina-te alle Forze Armate ed a quelle di Polizia), fab-bricate dopo la Restaurazione MEIJI ed indicate con i termini Murata-to e Showa-to, che gli stu-diosi non considerano degne di grande attenzione. Per finire, ecco l’opinione sulle spade di valore ec-cessivo, contenuto nelle “Leggi familiari” del DAIMYO Asakura, 1480 circa: «Non desiderate eccessivamente pugnali e spade di maestri famosi. Se anche possedete una spada che vale 10.000 MON, tale valore può essere sconfitto da cento lance del valore di 100 MON l’una. Usate quindi i 10.000 MON per ottenere 100 lame, e con queste armate 100 uomini. Così potrete difendervi in guerra». LANCIA. – Arma in asta. Formata da un’asta di notevoli dimensioni, terminante con una punta, è utilizzata fin dall’età preistorica per il combatti-mento corpo a corpo, oppure come arma da lancio. L’uso dipende dalle diverse epoche e culture sto-riche, ma normalmente la lancia è brandita sopra la testa (impiego della forza del braccio) o posta sotto l’ascella (sfrutta maggiormente la spinta del corpo). Di vastissima tipologia, generalmente la lancia misura poco più di due metri, quindi più lun-ga del giavellotto e più corta della picca. Dall’età moderna è considerata quasi esclusivamente arma della cavalleria, risolutiva nelle cariche equestri. È formata da un’asta a sezione tonda o ellittica (in principio di legno, poi anche di metallo), dap-prima semplicemente appuntita ad una estremità, poi con inserita una punta (cuspide) di materiali

diversi (pietra, osso, corno, metallo). Opposto alla punta è applicato un rinforzo (calcio o calciolo) che bilancia e rinforza l’arma. Una classificazione immediata delle lance si ha in base al sistema di fissaggio della lama (a prescindere dalla sua for-ma): con punta a codolo (inserita direttamente nell’asta) e con punta a gorbia (la base del ferro è sagomata per contenere l’estremità dell’asta). LAO TZU. (cinese) – (VI o V secolo a.C.) "Vec-chio Maestro". Filosofo cinese, che la tradizione vuole contemporaneo di Confucio, seppur più an-ziano. Le notizie sulla sua vita non sono complete: pare nato nel villaggio di Quran, distretto di Li, provincia di Hu, regno di Zhou. Il cognome è Li, il nome Er e l’appellativo Boyang; il nome postumo è Dan. Storiografo e bibliotecario negli archivi rea-li, abbandona il paese amareggiato dalla sua deca-denza morale. Lasciando il regno, diretto ad occi-dente, al confine il doganiere Yinxi gli chiede di scrivere un libro per lui – quasi una sorta di gabel-la – e Lao Tzu compone un’opera di oltre cinquemi-la caratteri, in due parti, dove parla del significa-to della Via e della sua virtù: il Tao Te Ching (o Daodejing), il “Libro della Via e del suo (nascosto) potere”, conosciuto come “Il Libro del Tao”. Nes-suno sa dove il Vecchio Maestro sia andato a fini-re. LESSEMA. – È l’unità minima, di base, del lessico, che contiene un significato indipendente. Per e-sempio: “fanciull-“ di “fanciullo“ o “brutt-“ di “brutto”. Si contrappone a MORFEMA.

MAESTRO. – Come sostantivo, per un qualsiasi dizionario, tra numerosi altri ha significato di persona che conosce profondamente qualcosa, qualche disciplina, ed è tanto preparata e abile da poterla insegnare ad altri. È anche qualcuno che, con l’insegnamento, l’esem-pio, le opere, gli scritti, riesce a fondare una scuola, a costituire nuove correnti di pensiero, fi-losofie o movimenti religiosi, a proporsi come mo-dello agli altri, diventando un capo, una guida. È chi fornisce prova di grande accortezza, e pos-siede abilità, destrezza e altre simili qualità. È latina l’origine della parola: magistrum, derivato di magis, “più”, “che vale di più”. Chi è “maestro” (e, in questo caso, limito il discor-so alle Arti Marziali) pertanto, non solo ha l’ob-bligo di saperne di più, ma deve anche essere ca-pace di trasmettere la sua conoscenza agli allievi,

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spronandoli, motivandoli, consolandoli e condivi-dendo, senza riserve, sia ciò che già conosce sia tutto quello che ancora ha da imparare. Un Maestro d’Arti Marziali, infine, non deve pre-occuparsi di far raggiungere agli allievi il proprio livello o, addirittura, come spesso si sente dire, farsi superare in bravura! Compito del Maestro è accompagnare i suoi allievi nel lungo cammino che porta alla comprensione (all’illuminazione?). MAGIA. – È l’insieme di pratiche rituali o atteg-giamenti mentali tendenti a dominare le forze oc-culte della natura, per sfruttarne la potenza, tan-to a scopo benefico, con la magia “naturale” (o “bianca”), quanto malefico (magia “nera”). Una precisa distinzione, per quanto riguarda il mondo Occidentale, risale al 1230 ed al pensiero di Gu-glielmo d’Alvernia, vescovo di Parigi, che discrimi-na tra la magia intesa come rapporto (negativo) con forze demoniache e la magia in quanto scienza (“naturale”, chiaramente). È ovvio che anche la magia “bianca” opera con le forze occulte della natura, ma affidandosi, per così dire, a quella be-nevola forza vitale che governa l’universo. La magia “nera” si rivolge e s’affida, con rituali e formule, ai demoni (dai quali, peraltro, ci si difen-de con cerchi magici, amuleti, talismani eccetera), per assoggettarli ed utilizzarne il potere a fini egoistici di dominio e supremazia. È la china – im-boccata volontariamente e cosciente-mente – verso l’ombra ed il rifiuto delle leggi na-turali, di Dio e della Sua opera. Ancora oggi quelle magiche sono pratiche comuni nelle società considerate “primitive, dove lo stre-gone o lo sciamano n’è il depositario. Pure nella nostra società, che ci pare tanto evolu-ta, la magia spesso si presenta come un metodo d’indagine della natura, alternativo a quello scien-tifico. Altrettanto spesso (se non più, purtroppo) è sistema per abusare delle umane debolezze. Talvolta, nella società moderna, la funzione magi-ca rappresenta il catalizzatore d’inquietudini, frustrazioni e turbamenti di fronte al modello culturale predominante. Dal punto di vista etnolo-gico essa è vista sia come forma originaria di cul-to, precedente allo stadio della religione, sia come sviluppo successivo di un primordiale monoteismo. Nel Giappone antico l’arte magica è praticata per lo più da donne, che molto spesso sono cieche dal-la nascita; quando “toccate” dal dono divino, esse predicono la sorte, guariscono malattie ed affe-zioni varie, interrogano le anime di parenti, amici

ed amanti defunti e danno pure informazioni su oggetti smarriti. Il severo periodo d’apprendistato, sotto la guida di una sciamana, può durare fino a sette anni e spesso l’iniziazione prende la forma di sposalizio con la divinità, il KAMI protettore. Al termine del-la cerimonia d’accoppiamento simbolico con il KAMI (il cui posto, talvolta e più prosaicamente, è preso da un celebrante in carne ed ossa), la “donna sa-cra” è pronta a svolgere le sue funzioni. Pure in Giappone è noto il fenomeno della “prosti-tuzione sacra”: spesso le donne consacrate sono al servizio non di una divinità fissa, ma di un dio er-rante (marebito), che riconosce la casa della sua “sposa di una notte” grazie alla freccia piumata che orna il comignolo. L’occasionale compagno può certo essere l’incarnazione di un KAMI, più spesso si tratta di un sacerdote che lo surroga o, addi-rittura, un viandante fortuito e fortunato. [si ve-da anche SHINIKUCHI e la voce “sciamanesimo”]. MAHÂYÂNA. (sanscrito) – “Grande Veicolo”. È una corrente innovatrice (per l’epoca, il II secolo d.C.) del Buddismo. La salvezza dell’umanità si realizza sia attraverso l’amore universale sia at-traverso l’azione, in modo operoso: è una Via atti-va. Uno dei testi fondamentali del Buddismo ma-hâyâna è il Sutra della Suprema Saggezza, una raccolta di circa 600 volumi contenenti sutra fra i più importanti e profondi. Spesso è contrapposto allo hinayâna (“Piccolo Veicolo”). MANA. (sanscrito) – “Conoscenza”, concepita come “sesto senso”, vale a dire in grado di coglie-re tutte le funzioni mentali. MANDALA. (sanscrito) – "Cerchio". È un dia-gramma tracciato sul terreno con polveri o sabbie colorate (oppure dipinto su stoffa o carta), costi-tuito da un insieme di cerchi e quadrati, varia-mente combinati. Il mandala, che in molte religioni orientali rappre-senta un simbolo del cosmo e le diverse relazioni fra le sue forze vitali e le divinità, è impiegato spesso come ausilio al raccoglimento ed alla medi-tazione. MANTRA. (sanscrito) – “Strumento del pensie-ro”. È una formula rituale, mistica (soprattutto della cultura tradizione indiana e tibetana), cui si attribuisce un valore evocativo, quasi magico. I suoni, le vibrazioni che si ottengono nel recitarli hanno effetti benefici, non solo sulla mente – pro-teggendola da pensieri, emozioni, influenze nega-tive – ma anche sul corpo: cantare, infatti, è una riconosciuta terapia di guarigione.

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Nel Buddismo ed altre pratiche orientali, come Yoga, TANTRISMO eccetera, la recitazione dei mantra è associata alla meditazione. Nel Buddismo esoterico e nella pratica d’alcune Arti Marziali, i mantra (recitati contemporanea-mente all’esecuzione di gesti delle mani, mudra) contribuiscono alla concentrazione. MARA. (sanscrito) – “Ladro di Vita”. Nella mito-logia buddista è addirittura il Re del Male, che cerca, senza riuscirvi, di distruggere il Buddha. In origine Mara è il demone indù Namuchi (“colui che non lascia passare l’acqua”, conosciuto anche come Vrita), che combatte contro il dio delle tempeste, Indra, al fine di provocare la siccità sulla terra. Mara è chiamata anche Papiyan, “la più malvagia” e Varshavarti, “che esaudisce i desideri”, nel senso che esaudisce il desiderio di potenza, di piacere. È in questa veste che Mara compare, nelle leg-gende buddiste, come il primo tentatore del Bud-dha ed il termine acquista il valore di sostantivo: indica qualsiasi cosa che ostacola l’Illuminazione. Le allucinazioni, nello ZEN, si chiamano “immagini di Mara” (Makyuo). MASSELLO. – Parte del fornimento d’arma bian-ca manesca. È formato da un blocchetto di metal-lo, trapassato dal codolo della lama, il cui tallone vi s’appoggia, spesso inserito in una sede apposita. Inizialmente è solo un elemento intermedio, posto tra lama e impugnatura, ma poi, con la comparsa dell’elso, si caratterizza: dal massello si estendo-no i bracci dell’elso e tutti gli altri elementi de-stinati alla difesa della mano. MATRIARCATO. – È il modello di società – la cui documentazione storica è assai scarsa – in cui la donna ha il dominio sul gruppo. Nelle società in cui vige la discendenza matrilineare è l’istituzione che prevede la gestione del potere da parte della donna, a partire della struttura più semplice, la famiglia. Rappresenta il periodo primitivo della organizzazione umana ed è collegato con la fase di evoluzione sociale che coincide con lo sviluppo dell’agricoltura. Oggi, in forme attenuate, si con-serva in alcune popolazioni primitive. Il matriarcato, come modello di società, si oppone al PATRIARCATO. La donna in Giappone. Pur alla presenza di una documentazione storica incompleta ed incerta, molti racconti mitologici e tante leggende (unita-mente a rare testimonianze in annali cinesi) con-fermano che nel Giappone antico la presenza al potere di donne è ricorrente, se non costante. La

donna, in questo, è agevolata dalla devozione tra-dizionale giapponese ai KAMI: la venerazione dei KAMI riguarda sia avi familiari, divinizzati, sia le diverse manifestazioni della natura. Tra queste primeggia la fertilità: la capacità di procreare at-tribuisce alla donna una grande autorità, tanto che è l’uomo ad entrare nella famiglia della moglie. La figura materna è il centro della vita del grup-po, nel quale le abitudini sessuali sono vissute con naturalezza e grande libertà. Fino alla Restaura-zione MEIJI – quando (1872) il Governo impone una sorta di puritanesimo “vittoriano”, per non urtare la suscettibilità morale degli stranieri – ovunque compaiono simboli fallici ed immagini da “dea ma-dre”, con gambe divaricate e grossi seni. Già nel Periodo preistorico YAYOI (dal 300 a.C. circa al 300 d.C. circa), la mitica età dei primi Clan (UJI) ereditari, si ha notizia di una certa Hi-miko – sacerdotessa vergine e regina – che, eser-citando la magia, mantiene unito il popolo. Costei, per gli storici, potrebbe essere JINGO [si veda], vedova dell’imperatore Chuai, che regge il trono dal 201 al 269. Nello spazio di tempo che va dal 593 al 770, tra la fine del Periodo ASUKA e la fine del Periodo NARA, su 16 imperatori ben 8 sono donne. È in questo periodo che, in pratica, nasce la storiografia ufficiale del Giappone e sono com-pilate le prime raccolte di leggi, dalla “Costituzio-ne dei 17 Articoli” (604) al Codice TAIHO (702) ai KOJIKI, FUDOKI e NIHONJI (databili tra il 712 ed 720). Lo scandaloso comportamento dell’impera-trice SHOTOKU (764-770), compromessasi con il monaco DOKYO, spinge la Corte imperiale ad evita-re di conferire il potere alle donne, tanto che si trovano appena altre due imperatrici nella storia giapponese, Meisho (secolo XVII) e Go-Sakuramachi (secolo XVIII). La successione al trono, con la Costituzione MEIJI del 1889, è uffi-cialmente limitata ai maschi. Sembra, comunque, che la progressiva esclusione femminile dal potere sia maggiormente imputabile alla crescente influenza che Buddismo e Confu-cianesimo, dal secolo VI in poi, esercitano sull’in-tera società giapponese, modificando ruolo e po-sizione sociale della donna. Per la dottrina morale e politica e per l’etica confuciana, vale il principio di rispetto verso gli altri uomini ed i superiori; la donna deve obbedienza e sottomissione agli uomi-ni. Per i buddisti, le donne appartengono ad una categoria inferiore, la cui massima aspirazione, dopo una vita esemplare, è la reincarnazione in un uomo di modesta condizione. Solo le Dame delle

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Famiglie Nobili (KUGE) mantengono l’antico presti-gio, una notevole libertà di costumi ed un’indi-pendenza di spirito che consente loro di dominare la scena culturale dell’epoca, tanto che, tra gli au-tori del MAN’Y OSHU figurano una settantina di donne. Non solo: nel Periodo HEIAN (794-1156) le Dame di Corte compongono alcuni capolavori della letteratura classica – come MAKURA-NO-SOSHI e GENJI MONOGATARI – utilizzando un alfabeto da loro stesse inventano (per schivare il divieto di imparare gli ideogrammi cinesi, introdotti nel 450 circa, attraverso la Corea). L’affermarsi della società feudale registra il de-clino della presenza femminile anche nel campo letterario. Il consolidato potere shogunale del Pe-riodo TOKUGAWA limita la presenza delle donne all’interno della casa e della famiglia: mogli e ma-dri devote, ancelle fedeli e caste, che tanto, per il divertimento, ci sono le “città della notte”. Sempre più marcata, la separazione fra i sessi e la divisione dei ruoli: gli uomini sono il gruppo so-ciale dominante, con assoluto diritto di preceden-za; e questo fino alla Costituzione che entra in vi-gore il 3 maggio 1947. Da quella data in poi: dirit-to di voto, uguaglianza con il marito, non più ma-trimoni imposti, più nessuna discriminazione, pari opportunità d’impiego. In verità ancora oggi i rap-porti di potere tra i due sessi nella famiglia e, molto spesso, sul lavoro, vedono la donna in posi-zione subordinata. Nella società giapponese si av-verte la coesistenza di due gruppi, maschile e femminile, che non si mescola totalmente, ciascu-no con proprie regole e compiti. La donna, sul la-voro, ancora deve contenere i gesti, essere socie-vole e garbata, “occupare” poco spazio ed ha scarse prospettive di carriera. Inoltre, la feroce competizione che, tuttora, caratterizza il mondo del lavoro (dove le donne sono sì accettate, ma ri-coprono poi ruoli sempre secondari: per la cultura nipponica sono da elogiare soprattutto le donne che, senza mettersi in vista, sostengono gli uomi-ni!) impone orari, rinunce e sacrifici poco adatti ad una madre di famiglia, per non parlare della vergogna che alcuni mariti provano nel vedere la propria moglie lavorare “come un uomo”… Alle donne restano la gestione della famiglia, la prati-ca – oltre che l’insegnamento – di professioni arti-stiche dove hanno praticamente soppiantato gli uomini, come KADO, SHODO, CHADO, danza ed il cosiddetto “commercio dell’acqua”: la gestione – praticamente solo al femminile – di locali notturni, bar e case d’appuntamenti.

MERCANTE. – Si veda la voce “Classi sociali”. METEMPSICOSI. – Dottrina della trasmigrazio-ne delle anime in altri esseri viventi (corpi umani, animali, piante, insetti), dopo la morte. Originale del pensiero filosofico indiano, prevede che, dopo la morte, la particella di energia fisica indistrut-tibile (ataman), contenuta in ciascun essere viven-te, si reincarna in un altro essere vivente, a meno che il suo possessore non riesca a sfuggire al ciclo eterno di morti e rinascite (samsara). Nell’Occidente classico si trova una teoria della reincarnazione in dottrine quali orfismo, pitagori-smo e gnosticismo; più recentemente, filosofi e teosofi fanno ancora riferimento a questa teoria. In Oriente questa è un’importante verità di fede nella mistica di Buddismo, Induismo e Giainismo. In popolazioni primitive di Africa ed Australia si riscontrano credenze – in parte diverse – in for-me di reincarnazione o parziale rinascita. MOKUGYO. – “Pesce di legno”. È una sorta di tamburo, di legno: serve a ritmare la recitazione dei sutra nelle cerimonie buddiste. Anche MU YU. MORFEMA. - È la minima unità linguistica porta-trice di un significato. In altre parole, è il minimo elemento che ha un significato individuabile in una espressione, tanto che la sua scomposizione impli-ca un passaggio al livello fonologico. Per esempio: in “pratic-ate”, la desinenza "-ate" è il morfema della seconda persona plurale del verbo praticare. Si contrappone a lessema. MU YU. (cinese) – “Pesce di legno”. Strumento IDIOFONO di legno, usato nella musica rituale bud-dista e taoista. È un blocco di legno di forma qua-si sferica, sagomato in forma di pesce stilizzato, laccato in rosso ed oro, scavato attraverso una stretta fessura; si trova all’ingresso dei templi, posato su un cuscino. I monaci, dandosi il cambio, lo suonano ininterrottamente: costituisce il pe-renne invito alla divinità. Anche MOKUGYO. MUDRA. – (sanscrito; giapponese: IN) Gesti mi-stici delle mani. Derivano dal Buddismo esoterico, secondo il quale la posizione delle dita e delle ma-ni (ed anche i gesti con le mani compiuti) simbo-leggiano tanto i poteri occulti e le virtù di una di-vinità quanto la divinità stessa. Non solo: la cor-retta esecuzione dei mudra consente di acquisire ed esercitare i poteri e le virtù di cui sopra. L’esecuzione dei mudra deve essere accompagna-ta da apposite vocalizzazioni o dalla recitazione di mantra, a voce alta o bassa. È notevole lo sforzo di concentrazione richiesto per praticare alla perfezione questi esercizi, pa-

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trimonio, una volta, di YAMABUSHI, iniziati di set-te esoteriche (come TENDAI e SHINGON) e mistici. Alcune scuole d’Arti Marziali adottano la recita-zione di mantra e l’esecuzione di mudra (soprat-tutto KUJI-KIRI) come pratica per il controllo del-la paura e dell’emotività degli allievi (oltre che per far loro acquisire virtù particolari, magiche).

NEIJIA. (cinese) – “Metodo interno”. Secondo una classificazione tradizionale – som-maria ed un po’ superficiale ma sostanzialmente corretta – i metodi di combattimento cinesi si di-vidono in due grandi gruppi: gli stili «morbidi» o «metodi interni» (Neijia) e quelli «duri» o «meto-di esterni» (Weijia). I Neijia – ad esempio TAI JI QUAN, Xing Yi e Ba Gua – sono caratteristici del Sud della Cina e ba-sano la propria efficacia sull’uso del Qi (l’energia interna del corpo) e sullo studio della medicina tradizionale, della filosofia e dei punti vulnerabili, mentre i Weijia enfatizzano l’uso di forza, veloci-tà e potenza. NIRVANA. (sanscrito) – “Estinzione”. È lo stato di beatitudine, di perfetta tranquillità, l’ultimo stadio della perfezione cui tende l’essere umano nelle tre grandi religioni indiane (Buddismo, Giai-nismo, Induismo), pur con attributi trascendenti e descrittivi in parte differenti. A volte, con que-sto termine, si indica la morte. NOMI. – La regola anagrafica giapponese preve-de che il cognome (nome della famiglia) preceda sempre il nome proprio. Anticamente, solo i SAMURAI d’alto rango ed i no-bili che appartengono ad un Clan importante o ad una grande Famiglia o che rivestono cariche uffi-ciali hanno diritto al cognome ereditario. Tutti gli altri devono accontentarsi di nomignoli o soprannomi di fantasia [si, veda, per esempio, BONGE], cui si accompagna un nome proprio che, spesso, cambia in relazione all’età, alle eventuali “imprese” compiute, all’occupazione. Accade spes-so, in campagna, che tutti gli abitanti di un villag-gio siano designati con nome della località: il topo-nimo diventa così un vero e proprio cognome, che accomuna gli individui per luogo di nascita e non per vincolo di parentela. Il nome completo di un nobile è composto dalla denominazione del Clan, dal ruolo o carica all’in-terno del Clan stesso, dal nome della Famiglia ed

infine dal nome proprio (ma anche i nobili cambia-no il nome proprio durante il corso della vita). Oggi, dopo il cognome ufficiale (di solito uno solo, per fortuna) od il nome proprio, in segno di ri-spetto si usa – indifferentemente per uomini o donne – il suffisso SAN o SAMA. Un caso particolare ed ancora attuale è quello dei SUMOTORI (i lottatori di SUMO) d’alto rango: o-gnuno di loro – cui ci si rivolge con il suffisso seki o zeki, in luogo dell’ordinario SAN – possiede, oltre al proprio, un nome poetico “di battaglia” (shikona, che generalmente termina con il suffisso HAMA, spiaggia; RYU, drago; KAWA, fiume; YAMA, monta-gna; eccetera) ed un altro, che usa da quando, ri-tiratosi dall’attività agonistica, ha diritto al titolo di toshiyori. Speciale è il caso del nome assegnato – nella ce-rimonia MEIMEI-NO-GI – all’erede maschio al trono imperiale. La scelta non è certo facile, visto che la tradizione prevede un nome mai prima usato dai precedenti imperatori e che termini con il carat-tere HITO – “apice di virtù”, “persona virtuosa” – che rappresenta il più alto livello di moralità (que-sto dall’inizio dell’Epoca MEIJI). Il nome è il risul-tato di una combinazione di ideogrammi, fra i 2.928 esistenti. Dal punto di vista augurale, hanno importanza sia il significato sia il numero delle sil-labe scelte. Hisahito, nome del terzogenito del principe cadetto Akishino (maschio, e pertanto destinato a succedere allo zio Naruhito), ad e-sempio, antepone all’ideogramma HITO quello che significa “eterno” ed anche “sereno”, HISA, da in-tendersi come auspicio di “lunga e serena esisten-za”.

OMMYODO. – È la “dottrina dei contrari”, tipica della cosmogonia orientale. Yang (giapponese YO) è il principio maschile, l’ini-zio delle cose, l’attività. Yin (giapponese IN) è il principio femminile, la fine delle cose, la passività. Il concetto espresso in questo dualismo, come quasi tutto ciò che riguarda le teorie orientali, è semplice e complesso nello stesso tempo: nulla e-siste se non in virtù dell’incessante azione reci-proca dei due principi fondamentali, Yin e Yang, categorie antitetiche e complementari che pola-rizzano tutta la realtà. Attenzione, però: uno dei termini, in questo duali-smo, è Yang solo in rapporto al suo termine oppo-sto Yin, o positivo solo in rapporto al suo opposto

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negativo. L’accezione dei termini, il loro significa-to, il valore insomma, è naturale e certo non segue i criteri di un giudizio di merito o culturale: è solo accettazione di un principio energetico primèvo, che postula la necessità di due poli naturali affin-ché si trovi l’equilibrio nell’unità. Yang e Yin si esprimono in un’alternanza, una con-trapposizione armonica (che è, anche, integrazio-ne): un’alternanza che sviluppa il ciclo costruttivo ed il ciclo distruttivo. Yin e Yang regolano il ritmo vitale dell’universo, dell’ uomo e d’ogni cosa e si esprimono nel simbolo

del Tao cinese: ☯. È un cerchio, in cui una linea sinuosa (sigmoide) separa due parti, una bianca e una nera, ciascuna contenente entro di sé il germe del proprio oppo-sto (la bianca un punto nero, la nera un punto bianco). Ciò significa che nulla può essere total-mente Yang, nulla del tutto Yin, ma ogni cosa con-tiene una parte, sia pur piccola, del proprio con-trario. Le tabelle che seguono esemplificano due classifi-cazioni di cose e concetti e proprie dell’AIKIDŌ, nelle categorie Yang (Principio maschile) e Yin (Principio femminile).

Cose / concetti YANG YIN

agitazione riposo alto basso

analisi sintesi attivo, dinamico passivo, statico

bianco nero caldo freddo cielo terra

coltello cucchiaio dare, donare prendere, ricevere

destra, emisfero ce-rebrale destro

sinistra, emisfero cere-brale destro

dilatazione, estensione contrazione, ritrazione dita palmo duro soffice

elettricità magnetismo emissivo ricettivo

espansione concentrazione esterno, esteriorità interno, interiorità

freddo caldo fronte occhi

naso mento numero 1 numero 0

padre madre palese nascosto

positivo negativo pieno vuoto punto circonferenza

rapidità, leggerezza lentezza, pesantezza rumore, suono, parlare silenzio, ascoltare

salato dolce solido liquido

sole, giorno, luce luna, notte, buio (ombra) superficiale profondo

uomo (mascolinità) donna (femminilità) verticale orizzontale

eccetera… eccetera…

AIKIDŌ YANG YIN

attivo passivo maestro allievi

TACHI WAZA USHIRO WAZA OMOTE URA

IRIMI TENKAN TORI AITE

MAE UKEMI USHIRO UKEMI esperto principiante tecnica saluto

SHO MEN UCHI YOKO MEN UCHI BOKKEN JO

linea cerchio apertura chiusura

lato destro lato sinistro testa ventre

tensione rilassamento espirazione inspirazione

KATA TE DORI AI HANMI KATA TE DORI GYAKU HANMI

OMOSESSUALITÀ. – Tendenza a trovare intesa sentimentale e soddisfazione sessuale con perso-ne dello stesso sesso. Per secoli è considerata come una manifestazione abnorme dell’affettivi-tà, anche per la posizione mantenuta nei suoi con-fronti dalle Chiese e per la sua inclusione nella gamma delle perversioni sessuali da parte degli psicoanalisti. Oggi si tende a considerarla come una forma di manifestazione della sessualità. Condanna, emarginazione ed ostracismo degli o-mosessuali sono determinati da fattori di carat-tere socio-culturale, tant’è vero che esistono so-cietà (il mondo arabo, nonostante l’esplicito divie-to coranico) e sono esistite civiltà (la Grecia clas-sica, l’antica Roma, il lontano Oriente) in cui essa è od è stata normalmente praticata. Comporta-menti omosessuali ed eterosessuali coesistono

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nella maggior parte delle persone, almeno in qual-che momento della loro vita (soprattutto nell’età dello sviluppo), mentre particolari condizioni am-bientali (caserme, carceri, collegi…) possono in-durre a pratiche omosessuali soggetti general-mente orientati verso un comportamento etero-sessuale. ONOMATOPEA. – È un’unità lessicale che imita un suono, un rumore naturale. È una parola che, foneticamente, evoca un oggetto o un’attività imi-tandone il suono.

PALVESE o PAVESE. – È un grande scudo ret-tangolare, inizialmente di legno e poi di metallo, destinato alla protezione d’arcieri e balestrieri, ed utilizzato dalle fanterie tardomedievali e rina-scimentali. Al centro, all’interno, è presente una scanalatura verticale (canala), cui di solito corri-sponde un rigonfiamento esterno; entro la scana-latura scorre un’asta che, infissa nel terreno, so-stiene lo scudo. Gli angoli sono smussati, i lati so-no dritti o s’allargano un po’ in basso ed il bordo inferiore, talvolta, presenta denti di ferro o di legno per garantire il fissaggio a terra. Il palvese è trasportato da soldati specializzati, poggiato sul dorso e retto con un paio di catene o corregge attorno alle spalle. Da non confondere con i simi-lari (per dimensione) targone e tavolaccio. PATRIARCATO. – È il modello di società – stori-camente prevalente – in cui l’uomo ha il dominio sul gruppo. L’organizzazione della famiglia, nella società di questo tipo, prevede che l’autorità e le principali funzioni siano accentrate nell’uomo più anziano, che trasmette ai soli discendenti maschi – spesso unicamente al primogenito – l’eredità. Il patriarcato, come modello di società, si oppone al matriarcato. PERSONA E SOCIETÀ. – Tra le molte possibili, queste le definizioni di “persona” e di “società”.

Persona: essere umano in quanto tale ed in quanto membro del consorzio umano, di una socie-tà, nella quale è investito di specifiche funzioni oppure è dotato di particolari qualità.

Società: gruppo di esseri umani, uniti da tradi-zioni e convenzioni, usi e costumi, norme e leggi; all’interno della società, essi hanno tra loro parti-colari strutture gerarchiche e specifiche relazio-ni. Questa definizione vale soprattutto in riferi-mento, principalmente, ad uno specifico territorio e ad un determinato periodo storico.

Come si coniugano tra loro, nel Giappone antico, persona e società? Senza voler tratteggiare un saggio storico-sociologico, basti dire che la strut-tura sociale giapponese, pur con le sue precipue caratteristiche, è conforme all’idea molto orien-tale, molto cinese, molto confuciana, di apparte-nenza: ad un clan, gruppo, casta o popolo che sia. L’essere umano, sia esso Imperatore, guerriero o contadino, non è un “individuo” ① come da noi inte-so: in Oriente non esiste il concetto di status giu-ridico attribuito alla “persona” dotata di coscien-za individuale. La fisionomia della società del mondo occidentale ricalca infatti – nel bene e nel male – l’impo-stazione dell’impero romano, basata sulla legge (ed anche sull’esercito!). L’impero cinese, da parte sua, è invece basato su-gli amministratori, sulla burocrazia e sull’idea di “armonia”, principio ordinatore dell’universo. L’ar-monia è il fine ultimo cui ogni uomo deve tendere, attraverso il culto del divino e degli antenati, ri-spettando gli altri uomini ed i superiori, pratican-do assiduamente la virtù. Nell’impero giapponese, che si modella su quello cinese già agli albori della Storia, sotto l’Impera-tore (che incarna la suprema entità spirituale, di-scendente com’è da AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI ed è il Protettore della Nazione, anche se non il Le-gislatore) esistono due entità: l’aristocrazia ed il popolo. Il potere secolare è appannaggio dell’ari-stocrazia (SHOGUN e Reggenti, Dittatori e mini-stri, i nobili e la maggioranza degli ecclesiastici), mentre il popolo non ha alcun potere, in nessun campo. Fuori quota i monaci, che di volta in volta appoggiano gli uni o gli altri, secondo i propri inte-ressi. L’interesse del gruppo, della collettività – dalla famiglia al clan, dal villaggio all’HAN alla Na-zione – comunque, sovrasta quello del singolo, che a tale interesse sacrifica, inconsciamente, se non volontariamente, anche la vita. PIATTO. – Parte d’arma bianca. È la superficie (spesso piana, altrettanto spesso con sguscio o scanalatura) che completa la lama, unitamente alla costa e al taglio. POMO. – Parte d’arma bianca, corta o lunga. È la parte terminale dell’impugnatura che, nell’uso,

① Non dimentichiamo, comunque, che l’”io” non esiste automaticamente (se non come “ego”): va educato, at-traverso la conoscenza, finché l’individuo non diventa “persona”, col suo carattere e con i suoi pregi e difetti.

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svolge funzione di bilanciamento o equilibratura o di più salda presa. Può essere di forma diversa, dipendente dall’epo-ca e dall’area geografica (a disco, lenticolare, ci-lindrico, ad anello – chiuso o trapassato –, a pera; piatto, rigonfio; a forma di testa d’animale o di cappetta e così via). Il pomo può essere parte in-tegrante della struttura dell’impugnatura, oppure essere applicato successivamente al manico. In tal caso è inserito e fissato sul codolo; la ribattitura di questo (o il dado di blocco) è coperta da un pic-colo fornimento a cupola, chiamato bottone. POMOLO. - Parte d’arma bianca. È un ingrossa-mento, sferoidale od ovoidale, presente sulle armi da botta o da taglio. Come il pomo, serve a bilan-ciare l’arma durante l’uso e consente una presa migliore. Normalmente è solidale all’impugnatura, anche se può essere inserito sul codolo e fissato con ribattitura. PREISTORIA. – Anteriore al tempo storico co-nosciuto. Per convenzione, è il periodo di tempo che inizia circa 2 milioni e mezzo d’anni fa (com-parsa dell’uomo sulla Terra) ed arriva ai secoli della civiltà sumerica. Sempre convenzionalmente, precede sia l’invenzione della scrittura sia l’affermazione della civiltà urbana ed è documen-tata solo da reperti paleontologici e paletnologici. Secondo uno schema proposto nel 1836 dallo scienziato danese C. J. Thomsen, la preistoria è suddivisa in “età”: della pietra, da circa 2.500.000 anni fa fino

al termine della quarta e ultima glaciazione, quella di Würm, 8.500 a.C. circa; del bronzo, 1700-800 a.C. circa; del ferro, dall’800 a.C. circa.

L’età della pietra, in seguito, è stata ancora ripar-tita in: paleolitico (inferiore o alto, medio e supe-riore o tardo), mesolitico, neolitico e calcolitico. Lo schema, naturalmente, è molto “eurocentrico”, tanto che solo con difficoltà è stato poi adattato a tutte le aree della Terra: in vaste zone del mondo, infatti, sono assenti alcune fasi (in Ameri-ca manca sia un’età del bronzo sia un’età del fer-ro, per esempio, mentre nell’Africa subsahariana non c’è l’età del bronzo, e così via); queste condi-zioni, inoltre, non si sono sviluppate in contempo-ranea. Diverge poi, e di molto, l’epoca del passaggio dalla preistoria alla storia – attraverso la protostoria – nelle varie regioni: IV millennio a.C. per Mesopo-tamia ed Egitto, VIII-VII secolo a.C. per l’Italia,

VII-IX secolo d.C. nell’Europa settentrionale ec-cetera. Le età paleolitica e mesolitica si distinguono per un’economia basata su caccia e raccolta (nomade), mentre agricoltura, allevamento (stanziali) e, con-seguentemente, primi agglomerati urbani, datano dal neolitico, che normalmente si fa coincidere con l’inizio della fase storica. L’epoca preistorica, da quanto ne sappiamo, si ca-ratterizza dalla mancanza (oltre che della scrit-tura) sia di una precisa suddivisione sociale del la-voro sia di vere e proprie classi sociali; sono as-senti, anche, organismi politici superiori al piccolo villaggio autosufficiente. Dal punto di vista artistico, tipica manifestazione della preistoria sono le incisioni rupestri, i cui re-perti più antichi finora scoperti datano dal IX millennio a.C. PROTOSTORIA. – Periodo di tempo intermedio tra la preistoria e la storia. Il termine, la cui definizione scientifica non è uni-voca, è generalmente impiegato per indicare i se-coli immediatamente precedenti la comparsa delle prime testimonianze della scrittura (in Egitto, Mesopotamia e Cina, tra il IV ed il II millennio a.C.). A causa delle profonde divisioni cronologiche esi-stenti tra le varie zone della terra nel passaggio dall’età preistorica a quella storica, la protostoria ha datazione e ampiezza differente, seconda la regione cui si riferisce. PUGNALE. – Arma bianca manesca, formata da una lama – in genere non più lunga di 30 cm (se di maggior lunghezza, si parla di daga) – a due tagli e punta acuminata. Il manico è solitamente provvi-sto di pomo, talvolta anch’esso acuminato ed usa-to per colpire, nel combattimento ravvicinato. Arma conosciuta già dal Neolitico, si evolve e per-feziona insieme all’evoluzione della metallurgia. Forme, dimensioni e varianti sono legate all’epoca e all’area geografica. Come arma militare perde importanza (tranne che nei Corpi per operazioni speciali) sia con l’affermarsi delle armi da fuoco sia con l’evolversi della baionetta. Oggi è più spesso complemento coreografico di alcune uni-formi. PUNTALE. – Fornimento metallico d’arma bianca. Opposto alla punta o cuspide dell’arma (e spesso anch’esso appuntito), protegge il fondo di un fo-dero o di una guaina. Nelle armi lunghe, quando c’è il rischio che striscino per terra, è spesso munito

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di bottoncino o anello oppure di un segmento mo-dellato (detto cresta). Nelle armi in asta è una punta di ferro, ottusa, u-nita al calzuolo quale riparo aggiuntivo per la par-te appoggiata a terra; talvolta è ben aguzzo, in modo da fungere da punta supplementare, quando necessario.

QI. (cinese; si pronuncia ci) – Significa, al pari del giapponese KI, energia interna del corpo, sof-fio, vita, fiato originale, respiro cosmico. QI GONG. (cinese, si pronuncia ci kung) – Indica quell’insieme di tecniche ed esercizi che servono a vivere bene, a migliorare la propria esistenza, a guarire dalle malattie (o, meglio, a non ammalarsi mai!), curando noi stessi e, quand’è il caso, gli al-tri. Entrambi i termini, Qi e Gong, possono assumere numerosi significati. Di Qi s’è detto, mentre Gong significa allenamento, metodo, abilità, movimento ed altro ancora. Nel corso dei secoli (le prime notizie certe sul Qi Gong risalgono ad oltre 3.000 anni fa) i metodi, i movimenti si sono arricchiti e le tecniche sono state migliorate, ma i principi fondamentali sono rimasti immutati e la base di tutto resta il con-trollo: del respiro, del corpo, della mente. Nella pratica curativa si utilizzano anche i suoni, per dirigere l’energia verso – o dagli – organi e vi-sceri interessati alla cura. Nella tradizione cinese il Qi Gong è indicato come yang shen shun e cioè “l’arte per nutrire la vita”: definizione sintetica, completa e, soprattutto, ve-ritiera. QUARANTASETTE RONIN. – Gregari del DAIMYO ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI (1667-1701). La rappresaglia da loro portata a termine per vendicare la morte del padrone scuo-te il Giappone dell’epoca (dove è conosciuta come AKO-GISHI, “Storia dei Valorosi di Ako”), facendo ben intendere a tutti come i SAMURAI interpreta-no il BUSHIDO. ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI, di un ramo cadetto degli Asano, possiede un feudo (HAN) da 55.000 KOKU ad Ako, provincia di Harima. Nel 1700 riceve, unitamente ad altri DAIMYO, l’incari-co d’intrattenere i messaggeri imperiali nelle loro visite alla Corte dello SHOGUN, TOKUGAWA TSUNA-YOSHI, a EDO. A supervisionare l’opera di ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI (cerimoniale e regole

d’etichetta sono assai complicati) è KIRA KOZUKE-NOSUKE, anziano Maestro delle Cerimonie. L’uso prevede che al Maestro siano fatti doni, in cambio dei consigli, ma ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI non fa alcun regalo, ritenendo che le prestazioni del Maestro delle Cerimonie gli siano dovute per disposizione dello SHOGUN e KIRA KO-ZUKENOSUKE non perde occasione per farsi beffe di lui. All’ennesimo rimbrotto, fatto addirittura in pubblico, ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI per-de la pazienza, estrae il WAKIZASHI e colpisce KI-RA KOZUKENOSUKE: non l’uccide, com’è sua inten-zione, ma lo ferisce alla fronte. Estrarre un’arma alla Corte dello SHOGUN è con-siderato gesto gravissimo, tanto che ad ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI – dopo una indagine accurata e documentata – è confiscato l’HAN e lui è invitato a compiere SEPPUKU. I suoi gregari sono ridotti alla condizione di RO-NIN, ma quarantasette di loro – anelando alla ven-detta, per riscattare l’onore del loro Signore – complottano sotto la guida del loro capo OISHI YOSHIO. Per non destare sospetti si disperdono ed apparentemente si dedicano a tutt’altre attivi-tà (OISHI, addirittura, si finge alcolizzato). Dopo due anni di simulazione, nella notte del 14 dicembre 1702, i quarantasette si riuniscono, as-salgono la residenza di KIRA KOZUKENOSUKE e lo uccidono. OISHI YOSHIO, mozzato il capo del Ma-estro delle Cerimonie, lo depone sulla tomba di ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI, a riprova del dovere compiuto e poi si costituisce, assieme ai quarantacinque compagni sopravvissuti. Le autorità sono in grande imbarazzo: OISHI YO-SHIO è stato allievo di YAMAGA SOKO, la cui opera [si veda BUSHIDO] è considerata essenziale nella definizione della vera “Via del Guerriero”, soprat-tutto dove richiama al GIRI. Come conciliare la missione assolta “per dovere”, da veri SAMURAI e che merita un premio, e l’omicidio commesso, che deve essere punito? Come punire chi, come OISHI YOSHIO, rompe la pace, ma rispetta il principio confuciano secondo cui nessuno può lasciare in-vendicata la morte del padre o di un immediato superiore? Lo SHOGUN TOKUGAWA TSUNAYOSHI, come la maggior parte della popolazione, vorrebbe perdonare gli autori di un atto così nobile, ma gli studiosi di Corte sono del parere che solo un ono-revole suicidio può corrispondere alle esigenze sia dell’ordine pubblico sia della legge; inoltre ciò di sicuro corrisponde al desiderio dei gregari di A-

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SANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI, ansiosi di riu-nirsi al proprio Signore! Quindi il BAKUFU, per non correre rischi appro-vando implicitamente una vendetta, decide di ap-plicare la legge: ai RONIN superstiti è ordinato il SEPPUKU, che essi compiono, il 4 febbraio 1703, sulla tomba di ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI, accanto al quale sono poi sepolti. Ancora oggi la memoria dei “Quarantasette RO-NIN” è viva, la loro fine esaltata come impresa guerriera tipica del BUSHIDO e la loro tomba, nel giardino del tempio Sangaku-ji a Tokyo, onorata con fiori e sacrifici. Un particolare, forse, spiega ancor meglio i motivi della vendetta consumata. ASANO TAKUMI-NO-KAMI NAGANORI, come molti altri DAIMYO, ha e-messo biglietti di banca (è assai costosa, la vita a EDO), garantiti in oro; quando la sentenza contro il suo Signore è pronunciata, OISHI YOSHIO ne e-samina il tesoro e scopre che l’oro a garanzia co-pre solo il 60% dei biglietti di banca. Rientrato a precipizio al Castello di Ako (400 miglia in cinque giorni), riesce a cambiare le banconote a quel tas-so, permettendo di salvare il salvabile, prima che l’ordine di confisca sia eseguito.

RABDOMANZIA. – “Divinazione con la bacchet-ta”, dal greco rhabdomanteίa. Altra forma di arte o tecnica divinatoria geomantica, risale alla me-diorientale civiltà Caldea (secolo XI a.C.). È im-portante non solo per individuare sorgenti d’acqua o giacimenti minerali, ma anche per decidere il si-to di una nuova casa e determinarne l’orienta-mento. RADIOESTESIA. – “Sensibilità alle radiazioni”. È un concetto sviluppato dall’abate francese Boully, che, da religioso, non ammette l’uso del termine greco manteίa (“predizione”) in quanto viene da mάntis, “indovino”. In pratica, però, è la stessa cosa della geomanzia [si veda la relativa voce], avendone gli stessi scopi: conciliare, miglio-randolo, l’equilibrio tra l’energia dei luoghi e quella delle persone che ci vivono. Scopi della radioeste-sia sono anche la ricerca di acque sotterranee, di minerali e la rilevazione di radiazioni, nocive per la salute, generate da faglie geologiche o sorgenti sotterranee. RAJA. – Si veda razza. RAZZA. – Genere di pesce cartilagineo, delle specie Rhinobatus, dal corpo piatto, lungo fino a

2,5 metri, di forma romboidale o discoidale per il notevole sviluppo delle pinne pettorali, aderenti al capo e al tronco; occhi e spiracoli si trovano nella parte dorsale, più scura e spesso mimetica; bocca e fessure branchiali sono in quella ventrale, liscia e chiara. La pelle di questi pesci è ricoperta da fitti tuber-coli calcarei levigati; ciò la rende non solo resi-stente, ma anche ben aderente al contatto e le conferisce un bell’aspetto. La qualità del SAMÉ di-pende sia dal colore sia dalle dimensioni delle pro-tuberanze e dalla loro distribuzione. Anche RAJA.

SAMADHI. (sanscrito) – “Concentrazione”. In giapponese è ZAN-MAI. SAMSARA. (sanscrito) – Termine che indica il ciclo di morte e rinascita, ovvero il processo della trasmigrazione delle anime (metempsicosi), rego-lato dal karma; è uno dei punti basilari delle dot-trine buddista e induista. Solo chi riesce a sfug-gire a tale ciclo può entrare nel nirvana. SANGHA. (sanscrito) – Nel Buddismo, è un grup-po composto dal Maestro e dai suoi discepoli. Per estensione, indica la comunità dei credenti. SCIABOLA. – Arma bianca manesca, da taglio e da punta, impiegabile con una sola mano. La lama, più o meno lunga, è asimmetrica, con sguscio sui due terzi della lunghezza del ferro, che normal-mente si presenta “a taglio e falso taglio” [si veda la voce “filo”]: affilato tutto nella parte convessa ed un terzo in quella concava. La sciabola è ideale per il combattimento a cavallo, grazie all’efficacia dei fendenti, ha fornimenti, forme, dimensioni e varianti legate all’epoca e all’area geografica. SCIAMANESIMO. – Insieme di pratiche magico-religiose, ancora oggi tipico di popolazioni – cosid-dette primitive – in Asia centrale, Siberia, Au-stralia, Africa, Americhe. La figura centrale è lo sciamano [dal sanscrito sramana], sorta di tramite, intermediario, tra gli esseri umani e l’universo (ed i mondi “al di là”), che spesso svolge le proprie funzioni oracolari e divinatorie in stato di trance. Lo sciamano – che solitamente è anche erborista e mago, psicologo e sacerdote – è dotato di poteri eccezionali ed inesplicabili, per noi “moderni”. Egli è in grado di controllare e utilizzare energie solo a lui note, che mette al servizio della comunità: guarisce le malattie, scaccia gli spiriti maligni, aiuta a ritrovare oggetti smarriti, accompagna le

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anime nel mondo dei morti, interpreta i sogni. [si vedano anche MIKO, SHINIKUCHI, la voce “magia”]. SCIMITARRA. – Arma bianca manesca, da punta e, soprattutto, da taglio, impiegabile con una sola mano. Il ferro, generalmente ingrossato verso la punta, ha notevole lunghezza, talvolta ragguarde-vole curvatura e si presenta a un taglio e un ter-zo. È la progenitrice orientale della sciabola e presenta fornimenti, forme, dimensioni e varianti legate all’epoca e all’area geografica. SEMANTEMA. – È quell’elemento, quella parte di una parola, che ne racchiude ed esprime il signifi-cato essenziale. Per esempio: “stud-“ in “studen-te”. È distinta dagli elementi puramente gramma-ticali come il morfema o il LESSEMA. SGUSCIO. – Scanalatura, solco incavato per un tratto della lunghezza di una lama. Serve non solo per alleggerire la lama e renderla più elastica, ma anche per agevolarne il ritiro dal-la ferita inflitta, facendovi entrare aria. In ag-giunta ai precedenti, può anche avere scopo deco-rativo. SHAKYAMUNI. – È il titolo attribuito, dopo la sua illuminazione, a Siddharta Gautama. SHAO LIN-SI. (cinese) – “Piccola Foresta”. Tempio e monastero buddista cinese. Secondo la tradizione è Xiaowen, re di Wei, che nel 495, per onorare il monaco buddista indiano Batuo (Fo Tuo in cinese), fa erigere un tempio alle pendici dei modesti rilievi di Song Shan (“Monta-gne Centrali”), nella provincia di Henan. Nella stessa zona già esistono templi taoisti, risa-lenti all’età dei “Regni combattenti” (475-221 a.C.), dove gli uomini di guerra spesso si ritirano per meditare, insegnare le Arti Marziali e prati-care esercizi destinati alla ricerca della longevità. Laggiù, al centro della circonferenza formata da quattro delle maggiori catene montuose cinesi, sorge il monastero della “Piccola (o Giovane) Fo-resta”, Shao Lin-si. È formato da una stupa, una struttura rotonda, che funge da santuario e da una terrazza, sopra la quale i monaci indiani tra-ducono in cinese la letteratura buddista ed i su-tra. In questo tempio pare soggiorni, verso il 520, Bo-dhidharma (DARUMA in giapponese, Damo o Ta Mo in cinese) il quale, oltre ad insegnare tecniche di respirazione ed esercizi destinati a fortificare spirito e corpo dei monaci, vi fonda la propria scuola di filosofia, il Buddismo ZEN (Chan in cine-se). Vuole la tradizione che, oltre filosofia ZEN, esercizi e tecniche Yoga, Bodhidharma addestri i

monaci in tecniche di combattimento d’origine in-diana. Alcuni storici moderni escludono che egli abbia insegnato forme di combattimento, ma è pur vero che, dal secolo VI, i monaci di Shao Lin-si acquisiscono fama di combattenti invincibili, in-superabili nelle tecniche di autodifesa e temprati da lunghi anni di allenamenti durissimi, che ne forgiano fisico e carattere. SHIATSU. – “Tecnica della punta del dito”. Tec-nica digitopressoria, da SHI (dito) e ATSU (preme-re). È un massaggio eseguito premendo, con dita, pal-mi, gomiti sia i “meridiani” [Canali Energetici] sia particolari punti corrispondenti agli TSUBA dell’a-gopuntura. Le pressioni possono essere puntuali o lineari e servono – come in agopuntura – a tonificare l’e-nergia circolante (KI) piuttosto che a disperderla, se in eccesso, con effetto antalgico, rinvigorente (per azione nervosa riflessa) o terapeutico. SHINTOISMO o SCINTOISMO. – Religione na-zionale del Giappone, anteriore al Buddismo. È fondata sul culto delle forze naturali e sull’origine divina dell’Imperatore. L’origine del Giappone nella mitologia shintoista. Spiriti e divinità, nella mitologia shintoista, abita-no sia il Cielo sia la Terra, mondi collegati fra loro da un fantastico ponte, la “Gradinata del Cielo”. Il Cielo o, per meglio dire, “gli Altipiani del Cielo” (Taka-ama-hara), sono pensati come uno spazio immenso, attraversato dal fiume della Via Lattea, sulle cui sponde conversano e si consultano i KAMI. Le divinità della Terra possono salire al Cielo per-correndo la “Gradinata”. In principio, Cielo e Ter-ra sono uniti in una massa caotica, a forma d’uovo, con i margini incerti. Il Cielo deriva dalla parte più chiara, e pura, di questo “uovo cosmico”, men-tre quella più pesante, più massiccia, che si conso-lida lentamente, diventa la Terra. Le divinità più antiche sono concepite come single, le coppie arrivano più tardi. All’inizio si conoscono appena cinque dei ed i primi tre hanno origine dal-la divisione dell’”uovo cosmico”. La prima divinità che si forma è quella del centro del Cielo [riflette il concetto cinese del Cielo, T’ien, che influenza la cosmogonia giapponese ed è forse all’origine del termine nipponico TENNO per “Imperatore”], mentre le altre due rappresentano l’Energia ed il Potere Generativo (o Evoluzione Creativa) che, nell’oceano di fango originario, at-traverso una sostanza simile al giunco – simbolo della vita germogliante – dà la vita a tutte le cose.

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Il gruppo di questi cinque dei (che costituiscono le “Divinità Celesti Separate”) è di una categoria speciale, quella degli “Dei Celestiali”. Seguono sette generazioni di divinità celesti, due singole e cinque a coppie, conosciute con nomi diversi se-condo le fonti. L’ultima coppia, quella temporalmente più vicina a noi, ha un nome uguale per tutte le fonti: IZANA-GI-NO-MIKOTO (il principio maschile) e IZANAMI-NO-MIKOTO (quello femminile). Essi, come narra il KOJIKI, creano non solo l’arcipelago giapponese, nato grazie alla “Lancia Gioiello del Cielo” (NU-BOKO) scagliata nell’oceano, ma anche ONOGORO-JIMA, l’”Isola della goccia congelata”. [si veda]. IZANAMI, partorendo il fuoco, si brucia, muore e si ritrova nel “Luogo delle Radici”, oscuro e pro-fondo. IZANAGI non riesce a vivere senza di lei e può sal-varla, con la forza del suo amore, a patto che non la osservi nel “Luogo delle Radici”; perciò la segue, per riportarla alla vita. Con un dente del suo pettine magico, però, si fa luce e vede il corpo corrotto della compagna IZA-NAMI. Sconvolto e atterrito, fugge, incontrando ostacoli ed affrontando lotte, tutte vinte. Giunto nell’isola di Kyushu, IZANAMI si bagna nel fiume Otto, per purificarsi. È in questo momento che nascono altre divinità: quando si lava l’occhio sinistro, scaturisce il Sole, la “Grande Augusta Dea che Illumina il Cielo” (AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI); quando si lava l’occhio destro, genera la Luna, il dio “Padrone delle Notti di Luna” (TSUKI-YOMI-NO-KAMI); quando si soffia il naso, infine, nasce “Sua Altezza il Maschio Violento”, l’uragano (TAKE-HAYA-SUSA-NO-WO-MIKOTO o, semplicemen-te, SUSA-NO-WO). Secondo il volere d’IZANAMI, AMA-TERASU deve governare il cielo, TSUKI-YOMI il regno della not-te, mentre spetta a SUSA-NO-WO il dominio dei mari e di tutte le cose profonde. Quest’ultimo è però scontento e si accorda con la sorella AMA-TERASU: insieme, fanno nascere otto principi (per la tradizione, gli antenati delle Famiglie aristo-cratiche), tre divinità femminili dalla spada di SUSA-NO-WO e cinque divinità maschili dai gioielli di AMA-TERASU. Ancora non soddisfatto, SUSA-NO-WO compie azioni riprovevoli (peccati “cele-sti”) contro AMA-TERASU, arrivando a gettare un cavallo scorticato nella sala dove lei, con altre di-vinità, tesse abiti per gli dei. AMA-TERASU, indignata, si rinchiude in una grotta e lascia il mondo al buio; risultati vani tutti gli al-

tri tentativi per farla uscire, la dea Izume inizia a danzare in modo così goffo da far ridere tutti gli dei. Incuriosita, AMA-TERASU s’affaccia dalla grotta: il dio Taji-kara-wo “dalla mano forte” l’af-ferra e la luce ritorna. Dura, la punizione per SUSA-NO-WO: strappatigli le unghie di mani e piedi, è per sempre bandito dal Cielo. Disceso sulla Terra ad Izumo, di fronte alla Core-a, SUSA-NO-WO si riscatta dal male commesso aiutando due vecchi, dai quali un serpente (o un drago) con otto teste e otto code pretende, ogni anno, una figlia. Ubriacato il mostro col SAKÈ contenuto in otto giare, lo uccide, lo squarta e all’interno, verso co-da, trova la spada AMA-NO-MURAKUMO-NO-TSU-RUGI, poi una delle insegne del potere imperiale. Sposata la sopravvissuta ultima figlia dei vecchi, la non bella Kushinada, ha da lei un figlio; si rispo-sa poi con la figlia di una divinità, avendone altri due rampolli. Di generazione in generazione, da SUSA-NO-WO s’arriva al “Signore del Gran Paese”, O-kuni-nushi (chiamato anche O-na-muji, “Colui che ha un Gran Nome”), Signore di Izumo. AMA-TERASU, nel frattempo, ha deciso di affidare il governo del Giappone ad Ama-no-oshi-ho-mimi-no-mi-koto (“Sua Altezza dalle Grandi Orecchie Celesti”), uno dei cinque figli generati, grazie a SUSA-NO-WO, dai suoi gioielli. Il Giappone, in quel periodo, è preda di lotte, ri-volte, disordini. Per riportare la pace scendono sulla Terra il dio del tuono (Take-mika-zuki) e quello del fuoco (Futsu-nushi), che “convincono” il Signore di Izumo e suo figlio a cedere il trono a “Sua Altezza dalle Grandi Orecchie Celesti”. Ama-no-oshi-ho-mimi-no-mi-koto, però, rinuncia al trono a favore del figlio Ninigi, il quale scende dal Cielo portando le tre insegne del potere imperia-le, i tre emblemi divini (Sanju-no-shingi) avute dalla nonna AMA-TERASU: la Collana Sacra (i gioielli curvi, lunghi otto piedi), lo Specchio Sacro (lungo otto ata, vale a dire otto volte la distanza tra la punta di medio e indice, allargati al massimo) e la Spada Sacra AMA-NO-MURAKUMO-NO-TSURUGI, la “Spada che Taglia l’Erba”, la stessa estratta dallo zio SUSA-NO-WO dalla coda del drago con otto te-ste. Ninigi sposa Sakuya-hime, figlia di un KAMI locale, ma questa, la prima notte di nozze, già gli partori-sce un figlio. Dubitando della paternità, Ninigi ri-corre alla prova del fuoco, ma tra le fiamme la moglie mette al mondo tre altri figli, cui sono im-

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posti i nomi di Ho-deri (“Splendore del fuoco”), Ho-suseri (“Fuoco vivo”) e Ho-wori (“Fuoco mo-rente”). Ho-suseri e Ho-wori, diventano l’uno pescatore e cacciatore l’altro, ma pensano bene di scambiarsi gli attrezzi del mestiere. Accade che Ho-wori perda l’amo e, cercandolo, giunge al palazzo del dio del mare, della cui figlia s’innamora, tornando con lei sulla terra. Al momento di partorirgli un figlio, la sposa chie-de a Ho-wori di costruirle una capanna e di allon-tanarsi. Lui, curioso, sbircia dentro e s’accorge che la moglie si trasforma in mostro marino; lei, per la vergogna, fugge. Del bambino si prende cu-ra la di lei sorella, che poi finisce per sposare Ho-wori, dandogli altri quattro figli. L’ultimo di questi è JINMU TENNO, il “Divino Impe-ratore Guerriero” che, nello YAMATO, fonda la Di-nastia imperiale ancora oggi sul trono: è l’11 feb-braio dell’anno 660 prima di Cristo. In effetti, la complicatissima storia sopra ripor-tata nasce dalla fusione di due distinti cicli epici, che appaiono chiaramente legati all’invasione delle isole giapponesi da parte di flussi migratori pro-venienti da opposte direzioni: popoli di ceppo mongolo giungono dal continente, attraverso la Corea, mentre gruppi indonesiani arrivano dal Sud, attraverso Taiwan e le isole Ryukyu. Dobbiamo al flusso “settentrionale” la leggenda, chiaramente improntata a modelli cinesi, dell’”uo-vo cosmico”, della divinità al centro del Cielo, d’I-ZANAGI-NO-MIKOTO (il principio maschile) e IZA-NAMI-NO-MIKOTO (il principio femminile), fino ad arrivare ad AMA-TERASU-OHO-MI-KAMI. Il flusso “meridionale” si lega al precedente at-traverso la narrazione delle vicende d’AMA-TERASU e dei suoi discendenti, fino a giungere al “Divino Imperatore Guerriero” JINMU TENNO che fonda la Dinastia imperiale. Le tre insegne hanno un significato di fondo (mi-tico, politico e religioso) comune anche a molte al-tre popolazioni, dall’altopiano iranico all’Asia Cen-trale alla Siberia. I gioielli rappresentano il sim-bolo delle divinità che “producono” e sono perciò l’emblema di contadini ed artigiani; lo specchio è il simbolo di sciamani e sacerdoti (il potere spiri-tuale), mentre la spada è l’emblema della casta guerriera (il potere regale). L’Imperatore riunisce nella sua figura e nella propria persona le tre fun-zioni indicate, in particolare di quella guerriera e sacerdotale. Ancora oggi le tre sacre insegne so-

no conservate nel Tesoro imperiale e nei templi di Ise e di Atsuta. Il tempio shintoista (JINJA). Anticamente non si avverte l’esigenza di erigere templi alle divinità. Lo Shintoismo ha una base naturalistica, conside-ra la natura come ambiente adatto allo svolgimen-to dei riti, quindi è sufficiente delimitare, con pietre, zone sacre all’interno dei boschi. In seguito sorgono recinzioni di legno con, al cen-tro, un albero sacro, il sakaki, mentre si stendono corde decorate con bandierine di carta colorata (shide). Più tardi, i templi sono concepiti come abitazioni degli antenati e quindi mutuati dalle capanne dell’epoca YAYOI: edifici lignei semplici e austeri, poggianti su una piattaforma sopraelevata e con tetti spioventi, che contengono e proteggono l’og-getto del culto. Soltanto in seguito è aggiunta una sala per i visitatori; anche il portale (TORII) è semplice e lineare. Una gerarchia esiste anche fra i templi: ve ne so-no di nazionali (come Ise), provinciali, distrettuali e locali. Caratteristica essenziale del tempio SHINTO, ol-tre alla struttura lignea, è che ogni vent’anni è demolito e ricostruito; il legno vecchio è utilizza-to per fabbricare oggetti sacri destinati ai fede-li. Il clero shintoista. I KANNUSHI, i sacerdoti shin-toisti, vivono appartati (quasi evitati dalla gente dei villaggi), mangiano cibo puro ed evitano con-tatti con i malati, il sangue, i cadaveri, tanto che, generalmente, sono i religiosi buddisti a prendersi cura dei defunti. I KANNUSHI non costituiscono una casta, ma sono semplicemente dei funzionari, non tenuti al celi-bato, che esercitano la funzione (ereditaria) di custodire un tempio; durante i riti indossano gli abiti dell’antica Corte imperiale. Otto sono i livelli della gerarchia, in rapporto all’importanza del tempio amministrato. Lo Shintoismo non ha organizzazioni monastiche. Le funzioni shintoiste. Le pratiche pubbliche di culto – invero assai limitate – consistono soprat-tutto nelle purificazioni rituali [si vedano HARAI, MISAGI, IMI] e nel tentativo di richiamare (con in-chini, battito di mani, danze sacre) l’attenzione degli spiriti, elevando anche preghiere (alcune an-che d’influenza buddista). I KAMI sono venerati – e non adorati – nei templi e santuari a loro dedicati. Nella casa giapponese, ol-tre all’altare per gli antenati, molto spesso esiste

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anche una piccola ara (KAMI-DANA), dedicata ad un KAMI particolare, protettore della famiglia (che, spesso è proprio un avo divinizzato), colloca-to in un luogo peculiare. È davanti a questi altari che la famiglia celebra le cerimonie religiose pri-vate, comunemente evocazioni mitologiche della vita dei KAMI, accompagnate da offerte rituali. Altrettanto spesso, accanto a questi due si trova anche un altare buddista (non si sa mai…). Lo Shintoismo non richiede una fedeltà assoluta e riconosce una larga libertà di culto. Non c’è alcun servizio religioso a cadenza fissa, tranne l’HARAI collettivo, il 30 giugno ed il 31 dicembre, ed il quotidiano MISAGI (ma questo è più abitudine che rito.). Il fedele visita il tempio SHINTO secondo deside-rio o necessità, ma altrettanto liberamente può frequentare i luoghi di culto d’altre fedi. Normalmente i Giapponesi si recano al tempio shintoista per le nascite e lieti eventi in genere (attribuiti ai KAMI), mentre per i decessi e altre circostanze tristi vanno in quello buddista. SHOGUNATO. – Governo militare (BAKUFU) dello SHOGUN. L’iniziale organizzazione del BAKUFU è semplice e snella, contando appena su tre strut-ture: il SAMURAI DOKORO (“la Carica dei Samurai”, il quartiere generale militare, di polizia e ammini-strativo), il MANDKORO (l’amministrazione genera-le) ed il MONCHUJO (l’ufficio legale). Questa for-ma di dittatura ha termine con le dimissioni (1867) dell’ultimo SHOGUN TOKUGAWA, Yoshinobu – che rimette il potere amministrativo nelle mani dell’imperatore MUTSUHITO – ed è formalmente abilita nel 1868, al termine della cosiddetta Re-staurazione MEIJI. SHUNYATA. (sanscrito) – “Vacuità”. Indica un fondamentale concetto del Buddismo mahâyâna e dello ZEN: il vuoto. KU, in giapponese. SIDDHARTA GAUTAMA detto SHAKYAMUNI. – Principe della stirpe dei Sekaya, nato in Nepal, a Kapilavastu, nel 565 a.C. circa e morto a Kusina-gara nel 486 a.C. circa. È il Buddha storico, il fon-datore del Buddismo. Si narra che, alla nascita, Siddharta Gautama fa sette passi in ognuna delle quattro direzioni, pun-ta la mano destra al cielo e dice: «In alto nel Cielo e in basso sulla Terra, io sono il solo Uno Glorifi-cato». Nel 535 a.C. circa, all’età di trent’anni, de-cide di cercare una via di salvezza tramite l’ascesi e la meditazione ed abbandona il mondo. Ad Uru-vela raggiunge l’”Illuminazione” e inizia a predica-re la sua dottrina nella valle del medio Gange; gli

è attribuito il titolo di Shakyamuni. Alla sua mor-te sono già presenti e attive in tutta l’India nu-merose comunità, sia monacali sia di laici. SINCOPE. – Arresto delle funzioni vitali (cardia-ca, respiratoria). In generale, si parla di sincope alla presenza di una grave diminuzione delle fun-zioni vitali; tale riduzione porta ad uno stato di morte apparente, spesso rapidamente irreversibi-le in mancanza di rianimazione. Si riconoscono, secondo la gravità, diversi tipi di sincope: stato sub-sincopale preliminare: la perdita di

coscienza non è totale, ma il paziente è prostrato, suda, si lamenta e – se la causa è un colpo a testi-coli o plesso solare – è concentrato sul dolore e gli manca l’aria; sincope primaria con spasmi: perdita di co-

scienza; scosse di tipo epilettico, movimenti di-sordinati e sobbalzi, normalmente circoscritti alle gambe; muscoli contratti, respiro bloccato in in-spirazione forzata (torace gonfio); sincope secondaria con rilassamento: muscoli

atonici, sfinteri rilassati, labbra e palpebre aper-te, con pupille dilatate; pelle da fredda a livida, con polso e battito non percettibili; mancano mo-vimenti respiratori; torace bloccato in espirazio-ne. SISMA. – Si veda la voce “terremoto”. SNAPHANCE. – Sistema d’accensione delle armi da fuoco. Il cane stringe tra due ganasce un pez-zo di selce o pirite che, quando il cane colpisce la martellina [lamina d’acciaio imperniata sopra lo scodellino, contenente la polvere d’innesco], pro-voca scintille. Il sistema, in Europa, risale alla prima metà del ‘500; in Giappone non è stato mai utilizzato. SPADA. – arma bianca manesca, da punta e da taglio, costituita da una lama d’acciaio rettilinea, con uno o (soprattutto) due fili e, solitamente, sgusci più o meno profondi. La punta può essere acuminata od ogivata, secondo l’impiego. Arma co-nosciuta già in epoca preistorica, si evolve e per-feziona insieme all’evoluzione della metallurgia. Fornimenti, forme, dimensioni e varianti sono le-gate all’epoca e all’area geografica.①

① Molto spesso, nella pratica dell’AIKIDŌ, si fa riferi-mento alla spada (quella giapponese, DAI-TO, da impu-gnare a due mani). Ciò deriva dal fatto che molte delle tecniche “aikidoke” s’ispirano a metodi propri della scherma con questo tipo d’arma. Alcuni movimenti richiesti per eseguire diverse tecni-che sono gli stessi che fanno i praticanti di KENDO; un

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SPALLACCIO. – Parte dell’armatura: protegge spalla e braccio, fin sopra il gomito. STAGE. – È ormai invalso l’uso, in campo aikidoi-stico, di chiamare stage quegli incontri di allena-mento che spesso gli insegnanti organizzano, da soli od in collaborazione con altri. Di norma questi incontri – quasi sempre a pagamento e la cui dura-ta varia dalla singola mezza giornata ad un intero fine settimana, se non di più – sono aperti a tutti, indipendentemente da Scuola od organizzazione di appartenenza: è sufficiente, infatti, essere as-sicurati contro gli infortuni. Partecipare agli stage è sempre interessante, a prescindere da chi organizza o conduce l’allena-mento. È possibile incontrare chi pratica in modo diverso dal nostro, conoscere altri insegnanti e confrontarsi con sistemi didattici differenti, im-battersi in”fisicità” cui non siamo abituati e ma-gari scoprire cose che nel nostro DOJO mai ab-biamo immaginato… Anche in occasione di questi stage, comunque, de-ve animarci lo JUNAN SHIN: senza criticare, senza giudicare, accettiamo quanto ci viene proposto: tecniche e didattica, “letture” della Disciplina di-verse da quelle abituali ed approfondimenti inu-suali. Male che vada, in quel gruppo o con quell’in-segnante non praticheremo più! STORIA. – Dal latino histŏriam, greco historía, “ricerca”. Deriva dalla radice indoeuropea wid-, “vedere” e, quindi, propriamente, “cognizione ac-quisita per avere visto”. È l’insieme degli eventi, o di determinati eventi e fatti memorabili della collettività umana, conside-rati nel loro svolgimento e narrati in base ad un metodo d’indagine critica. È la narrazione di fatti d’ordine politico, sociale, militare, religioso, economico eccetera, relativi ad una determinata epoca, ad una determinata col-lettività umana. SUTRA. (sanscrito) – “Norma”. Massima scienti-fica, filosofica, morale o religiosa, tipica della letteratura indiana. Per estensione, indica il trat-tato che contiene tali norme. È l’insegnamento del Buddha – trascritto dai suoi discepoli – e sono gli scritti dottrinali, l’insieme delle dottrine buddiste, a partire dalla prima predicazione del Buddha.

esempio per tutti: sollevare un braccio (o entrambe le braccia), sull’asse del corpo. Il movimento parte sempre dall’HARA, attraverso le anche, che è come se spinges-sero verso i gomiti, facendoli sollevare.

I fedeli li recitano cantilenando, spesso al ritmo di un mokugyo. SVASTICA. – Dal sanscrito su-asti “buon augu-rio” o “apportatore di salute” È un simbolo religio-so e magico antichissimo – spesso utilizzato per decorazioni e come immagine araldica – composto di una croce con quattro bracci d’uguale lunghez-za, ciascuno con un prolungamento ad angolo ret-to, che può avere andamento orario (destrogiro) od antiorario (levogiro); talvolta i prolungamenti sono curvi e spesso l’intera croce è iscritta in un cerchio. La svastica è propria di numerose culture, non so-lo di ceppo linguistico indoeuropeo. Diffusa dall’A-sia centrale al Mar Egeo, è considerata simbolo religioso e portafortuna nella civiltà dell’Elam (sviluppatasi nel sud dell’odierno Iran nel 5° mil-lennio a.C.) ed è nota sia nell’America precolom-biana sia nel Tibet, dove, ancora oggi, è segno portafortuna e simbolo con funzione di talismano. Nella Cina antica è simbolo del quadruplice orien-tamento (wan-tsu) dei punti cardinali e dal 700 d.C. assume anche il significato del numero dieci-mila (inteso come “infinità”). Conosciuta dalla valle dell’Indo alla Mesopotamia, la svastica si ritrova tanto su antichissime mone-te celtiche e scandinave (in quella cultura rappre-senta il “martello di Thor”) quanto su anfore e-trusche e manufatti egizi. Nell’area mediterranea gli uncini, talvolta, si pre-sentano rivolti in dentro o spezzati, a formare un meandro. Intesa come quadruplicazione della let-tera dell’alfabeto greco gamma (Γ), la svastica è anche chiamata crux gammata. Nel Giainismo in questo simbolo sono rappresen-tati i diversi piani dell’esistenza: mondo degli dei, dell’uomo, mondo animale e infero. Per la tradizione Indù, la svastica è "un simbolo assiale", indica cioè l’asse cosmico e, con esso, l’immutabile e l’eterno nel suo rapporto con il mondo manifestato. La svastica, di solito, è intesa come simbolo del sole, quando gli uncini sono o-rientati a destra, mentre è emblema d’ira fatale se questi sono orientati a sinistra. La svastica è una metafora di vita, pur nella di-versità delle culture: rappresenta sia il movimen-to solare (la ruota del sole) sia le quattro direzio-ni cosmiche (simbolo spaziale) che le quattro sta-gioni (simbolo temporale). Molte statue di Buddha hanno una svastica sulle dita dei piedi – con rota-zione sia oraria sia antioraria – e sul petto, allu-

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dendo, nell’area indobuddista, al “sigillo sul cuore del Buddha”. L’esaltazione romantica del “germanesimo”, tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX, riporta in auge questo simbolo nell’area di cultura tedesca e nel 1910 la svastica, con orientamento destrogiro, è assunta quale simbolo di “arianità” da alcuni gruppi antisemiti tedeschi, per diventare, nel 1918, insegna della brigata Ehrhardt. Nel 1919 di-venta simbolo araldico dell’associazione (dapprima segreta, poi politica) Thule-Geselschaft, fondata nel 1918. Dalle fila di questa emerge, come leader, Adolf Hitler che della svastica, in seguito, fa dap-prima il turpe emblema del Partito Nazional-Socialista germanico (è il simbolo «della battaglia dell’uomo ariano») e poi – sormontata dall’aquila imperiale – il vessillo del Terzo Reich.

TABACCO. – In Giappone compare alla fine del secolo XV, accompagnato da tipiche pipe (KISERU) a cannello lungo (rao; il nome forse deriva dal La-os, luogo di supposta provenienza), con piccolo fornello di metallo (gankubi) e bocchino (suikochi). Il BAKUFU di EDO proibisce il fumo nel 1609, sia perché è un’attività antieconomica (e troppi sono gli incendi provocati da fumatori distratti!) sia per il disinvolto uso che i fumatori di pipa fanno dei loro lunghissimi arnesi, spesso vere e proprie armi da botta. Nel 1610 è proibita produzione e vendita del ta-bacco da fumo che però, chiamato “tè di lunga vi-ta” da allora in poi, continua ad essere coltivato e venduto. TAGLIO. – Parte d’arma bianca. È la parte, as-sottigliata e tagliente, di uno o entrambi i margini laterali della lama di un’arma bianca manesca e del ferro di una in asta. [si veda la voce “filo”]. TAI JI QUAN. – Antica Arte Marziale cinese. L’ideogramma che dà il nome a quest’Arte remota, deriva dall’unione di caratteri diversi: “tai” significa supremo, massimo, il più elevato; “ji” indica aspetto, polarità, livello, con riferi-

mento all’universo ed ai flussi delle maree; “quan”, infine, è un pugno chiuso, indica il mo-

vimento di una mano chiusa a pugno e suggerisce l’idea di volontà, azione, energia dinamica, movi-mento. Possiamo quindi tradurre Tai Ji Quan con Pugno della Suprema Vetta oppure, come fanno i Cinesi, definirlo Ginnastica di Lunga Vita.

Secondo le diverse traslitterazioni, possiamo an-che trovare scritto Taiji Quan o T’ai Chi Ch’uan, ma è sempre la stessa cosa: un’Arte Marziale di origine monacale buddista (alcuni sostengono ta-oista) databile all’alba dell’Era cristiana. Arte antica quanto il Qi Gong, il Tai Ji Quan ne rappresenta l’aspetto marziale e rientra nel nove-ro degli stili Neijia. Il Tai Ji Quan è basato sul movimento più o meno lento, a seconda degli stili, ma sempre fluido e armonico, di tutto il corpo; i movimenti seguono meticolose sequenze stilizzate. Tre sono gli ele-menti canonici, fondamentali nelle pratiche ener-getiche cinesi, utilizzati: il respiro, la posizione, qui intesa come movimento, la concentrazione. Scopo principale del Tai Ji Quan è la ricerca dell’equilibrio, interiore e con l’universo, affinché si possa vivere lungamente ed in buona salute. L’insegnamento dell’Arte si basa sulla conoscenza di tre principi taoisti: lo Jing, l’essenza vitale che ciascuno riceve alla nascita; il Qi, il soffio vitale, l’energia; lo Shen, l’entità suprema da cui tutto origina. È necessario nutrire il soffio vitale interiore (su-blimare lo Jing in Qi) e quindi trasformare l’e-nergia in potenza spirituale (convertire il Qi in Shen), per cogliere l’essenza dello Shen e rag-giungere la vacuità (Xi). Restando sul pratico, se non interessano i principi filosofici taoisti, possiamo considerare il Tai Ji Quan come una serie di tecniche per ottenere una decontrazione ideale dei muscoli, con un ritmo re-spiratorio essenziale, in sintonia con i movimenti. Questo porta alla perfetta conoscenza del corpo e delle leggi della natura che lo governano, e con-sente di apprendere un’efficace Arte Marziale puramente difensiva. Chiunque può praticare il Tai Ji Quan, perfino chi ha problemi di salute, dato che non è richiesto impegno fisico o l’uso di forza muscolare. L’azione di quest’Arte sul corpo ne aumenta le ca-pacità di difesa e resistenza alle malattie, miglio-ra le funzioni respiratorie e cardiovascolari, raf-forza e tonifica la muscolatura, favorisce il rilas-samento psicofisico, migliora il funzionamento delle articolazioni e combatte lo stress. Attraverso la pratica del Tai Ji Quan, l’organismo si riallinea alle leggi naturali e, nel rispetto delle energie Yin e Yang, ritrova l’equilibrio. L’AIKIDŌ, a mio parere, deve molto allo studio del Tai Ji Quan che O-SENSEI ha sicuramente fatto durante il suo soggiorno cinese.

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TALLONE. – È la parte della lama che sporge dal codolo, verso la punta. Non è affilato, si presenta compatto e massiccio; in Occidente, spesso, vi trova posto la firma dello spadaio. TANTRISMO. – Dottrina eterodossa del Brama-nesimo. Si tratta, più esattamente, di un insieme di dottrine fondate su testi (Tantra) delle tre correnti dell’Induismo (Shivaismo, Vishnuismo, Shaktismo). Si diffonde dal secolo V ed influenza anche set-tori del Buddismo, mirando però al raggiungimento dello stato di Buddha “in questo stesso corpo” ed avendo come ideale il raggiungimento dello stato di siddha (“mago”). Presto, però, perde ogni seguito: troppi sono gli elementi contrari alla morale tradizionale Indù, come l’apertura alle caste inferiori, la liceità di determinate pratiche sessuali, l’assunzione di carne e vino eccetera. Alcuni aspetti della dottri-na sono però acquisiti nella religione ufficiale, come la recitazione dei mantra. - Brahma: dio del pantheon Indù. È la personifi-cazione del brahman (l’entità pura, immutabile ed eterna, principio e fine di tutto ciò che esiste) ed è associato a Shiva e Vishnu nella Trimurti. Non è molto in voga nel culto popolare, per il suo carat-tere astratto. - Bramanesimo (o Brahmanesimo): è un complesso di dottrine filosofico-religiose ed ordinamenti po-litici e sociali, elaborati nei secoli X-VI a.C. dalla casta dei bramini, in India. Si fonda principalmen-te sulla gerarchia delle caste (bramini; ksatrya, guerrieri con potere politico; vaisya, contadini e artigiani; sudra, gli impuri), sulla legge della rein-carnazione e sulla dottrina del sacrificio. - Bramino (o brahmano): membro della una casta sacerdotale indiana. I bramini (che anticamente hanno il monopolio dell’istruzione) sono da sempre i detentori della scienza sacrificale, cioè della fa-coltà di piegare gli dei ai voleri dell’uomo. Si af-fermano come casta dominante in India nel secolo X a.C. e la loro supremazia è contrastata (tra i secoli. VI e V a.C.) dal diffondersi di Buddismo e Giainismo. - Shiva: divinità suprema dell’Induismo. È associa-ta a Brahma e Vishnu nella Trimurti. Figura ambi-valente e misteriosa, è la potenza cosmica che ora crea il mondo con la sua danza sfrenata, ora lo di-strugge per poi ricrearlo. Sua rappresentazione simbolica è il lingam (“fallo”).

- Shivaismo: è una delle tre correnti dell’Indui-smo, assieme a Vishnuismo e Shaktismo; i suoi se-guaci adorano Shiva come dio supremo. Si diffon-de in tutta l’India nei primi secoli d.C. ed è già do-cumentato nel Mahabharata. - Vishnu: divinità vedica, associata a Brahma e Shiva nella Trimurti. Collegata ad antiche divinità (preariane) di tipo solare, ha assunto la funzione di conservare e armonizzare il cosmo. Tra le sue numerose reincarnazioni (avatara), Rama e Kri-shna sono le più popolari e venerate. Generalmen-te è rappresentato con quattro mani che reggono una conchiglia, un disco, una mazza e un fiore di loto. - Vishnuismo: assieme a Shivaismo e Shaktismo è una delle tre correnti dell’Induismo. Diverse set-te convivono al suo interno, e tutte venerano Vi-shnu come dio supremo. Risale a prima del secolo XIII. - Shakti: è termine sanscrito che indica la divina energia creatrice, spesso impersonata dalla divi-nità madre, in particolare dallo Shaktismo. - Shaktismo: assieme a Vishnuismo e Shivaismo, è una delle tre correnti dell’Induismo; i suoi seguaci considerano la Shakti quale principio assoluto, i-dentificandola con la sposa di Shiva. TAO. (cinese) – "Via”, “sentiero"; “scopo”, “mez-zo”. È il principio ultimo, di là della discriminazio-ne tra l’“io” ed il “non-io”. È concetto basilare della filosofia cinese: indica il processo del divenire di tutte le cose, esseri vi-venti compresi, in un’alternanza di Yin e Yang, di forze opposte ma complementari ed inseparabili. Il concetto del Tao – che in realtà è indefinibile – si può intendere come un flusso, l’infinito divenire che allo stesso tempo è “unicità”, immutabile e in-condizionata. L’essere umano non è in grado di in-tendere questa contraddizione apparente («Il Tao di cui si può parlare / non è l’eterno Tao / il nome che può essere nominato / non è l’eterno nome»), ma può adattarsi al suo flusso e, aiutato dell’intuizione, comprendere d’essere lui stesso in sintonia con il Tao. Lao Tzu, il “Vecchio Maestro”, nel suo sistema fi-losofico-religioso, lo considera l’indefinibile prin-cipio vitale che ha dato origine al cosmo e lo reg-ge, e distingue un Tao noto da un Tao ignoto, in-nominato e inconoscibile, mistico e soprannatura-le: «Lo guardate, ma non riuscite a vederlo! Il suo nome è Senza forma. Lo ascoltate, ma non riusci-te a sentirlo! Il suo nome è Senza suono. Lo pren-

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dete, ma non riuscite ad afferrarlo! Il suo nome è Incorporeo». Il segreto della vita è tutto qui, nella scoperta di questo Tao – allo stesso tempo perfetta attività e riposo perfetto – che mai sarà scoperto, perché noi possiamo solo “raggiungere” il Tao e lo rag-giungiamo se “diventiamo come” il Tao: «Chi colti-va il Tao è col Tao; chi pratica la Virtù è con la Virtù e chi va incontro alla Rovina è con la Rovi-na». La via della rovina è quella dell’ambizione, della condotta sconsiderata, dell’accumulo di “ricchez-ze estranee”, dell’aggressione, del successo. La via del Tao, invece, è quella della suprema sponta-neità, virtuosa in senso trascendente poiché sen-za sforzo. “Saggio” è chi ha scoperto il segreto del Tao, ma non per questo acquisisce una conoscenza esote-rica che lo rende “più importante” degli altri, anzi. Egli appare, esteriormente, meno notevole, poco visibile: «Chi ha trovato il Tao (…) non ha abita-zione, e non ha nome sulla terra (…) è dolce come l’oceano, senza scopo come la brezza errante». La via del saggio è di non affannarsi troppo per rag-giungere i propri scopi, giacché egli realizza mol-to, poiché il Tao agisce in lui e per mezzo di lui; il saggio non agisce da sé ed ancor meno per sé solo. Anche DAO. TAO TE CHING. – (o Daodejing) Libro della Via e del suo (nascosto) potere”. Meglio conosciuto come “Il Libro del Tao”, è un testo poetico e filo-sofico – ed anche un trattato sull’arte di governa-re – attribuito al filosofo Lao Tzu. Nel libro ritroviamo una saggezza che conduce al-lo ZEN ed alla sua trasmissione senza CHING: l’in-segnamento passa da Maestro a discepolo non per mezzo di parole scritte, ma attraverso KOAN ap-parentemente assurdi, come questo: «L’alta virtù è non-virtuosa; perciò ha virtù. La bassa virtù non si libera mai dal virtuosismo, perciò non ha virtù». Nel Tao Te Ching molto si parla di guerra e di pa-ce ed una delle osservazioni più sagaci è che, in un conflitto, sarà vincitore chi va a combattere con il dolore più grande: «Gioire di una vittoria è gioi-re del massacro degli uomini. Chi quindi gioisce del massacro degli uomini, non può sperare di aver fortuna nel mondo degli uomini. (…) ogni vittoria è un funerale». TAOISMO. – Scuola filosofica cinese, incentrata sul concetto del Tao. Il Taoismo, a differenza del Confucianesimo [si veda], è anche una forma reli-giosa (perfino magico-esoterica, fondata sulle

norme della “non-azione”) e parte dalla natura, non dall’uomo, per sostenere l’aspetto della mente immaginativa e intuitiva, la spontaneità e l’intro-spezione. Alcune scuole taoiste, spesso monasti-che (ed ovviamente maschili), ritengono nociva per la salute, la pratica sessuale tradizionale, con la sua dispersione del seme. Il “principio vitale” si nutre trattenendo l’eiaculazione: solo chi è in grado di avere più coiti al giorno (si parla di deci-ne…), senza lasciar fluire la propria essenza vita-le, mantiene la miglior salute ed è longevo [si veda anche la voce “Yoga”]. TERREMOTO. – Rapida ed improvvisa liberazione d’energia meccanica dal sottosuolo. L'energia si propaga sotto forma d’onde sismiche (ondulatorie, in senso orizzontale e sussultorie, in senso verticale), attraverso la crosta terrestre e gli involucri sottostanti, manifestandosi in forma di scosse o vibrazioni. L’energia delle spinte tet-toniche si accumula lentamente nelle rocce, fino a superarne il limite di resistenza meccanica e a provocarne la rottura (faglia) o la rimobilizzazio-ne lungo una precedente linea di frattura (faglia attiva). Benché le onde sismiche interne si gene-rino lungo tutta la superficie di rottura, si assume che esse partano dal punto centrale, detto ipo-centro: sulla sua verticale si trova il primo punto della superficie raggiunto dalle onde, detto epi-centro, da cui si propagano le onde superficiali. La distinzione dei terremoti in base all’origine (tettonica, vulcanica, di crollo – o da collasso) è ormai superata, poiché ogni terremoto è un even-to tettonico (micro o macro che sia), la cui inten-sità dipende principalmente dalla resistenza mec-canica delle rocce interessate, dalla quantità d’e-nergia liberata, dalla distanza dall’epicentro e, in parte, dalla profondità dell’ipocentro. L’intensità dei terremoti è valutata mediante la scala Richter o la scala Mercalli modificata. La prima, logaritmica, misura l’energia (magnitudo) sviluppata dal SISMA all’epicentro e fornisce una valutazione obiettiva della quantità totale d’e-nergia liberata; ogni grado corrisponde ad un’in-tensità pari a 10 volte quella del grado preceden-te. La seconda assegna un grado (da I a XII) agli effetti dannosi provocati sull’ambiente e quindi dipende dalla distanza dell’osservatore dal cen-tro. Nella tabella che segue si riportano i gradi di entrambe le scale egli effetti prodotti dal terre-moto.

Gradi Richter Definizione – effetti prodotti

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(Mercalli) 2,5

(I - II) Strumentale – registrato solo dai sismografi;

3,5 (III - IV)

Debole – avvertito ai piani alti degli edifici;

4,5 (V - VI)

Moderato – vetri rotti, oggetti spostati;

5,5 (VII)

Forte – muri danneggiati, mobili spostati;

6,0 (VIII - IX)

Distruttivo – muri crollati, danni alle fondamenta:

7,0 (X)

Disastroso – edifici e costruzio-ni distrutte;

8,0 (XI - XII)

Catastrofico – distruzione tota-le;

Oltre 8,0 Apocalittico – rarissimo; una scossa del genere può provocare lo spostamento dell’asse di ro-tazione terrestre.

La distribuzione geografica dei terremoti indica la loro concentrazione in fasce sismiche ben defi-nite, larghe qualche centinaio di chilometri e lun-ghe migliaia, nettamente associate alle catene montuose più recenti (fascia alpino-himalayana e cintura circumpacifica) e alle dorsali oceaniche. Tali fasce sono interpretate come corrispondenti ai confini tra placche litosferiche contigue, se-condo la teoria della tettonica a zolle (o delle placche). È questo un processo di “fratturazione” – iniziato alla fine del paleozoico (230 milioni di anni fa), con il massimo sviluppo nel cretaceo (da 130 a 65 milioni d’anni fa) e che dura ancora oggi – di un unico grande supercontinente (Pangea), circondato da un unico oceano (Pantalassa), che ha portato alla formazione degli attuali continenti. Risalendo all’indietro nel tempo, i terremoti più violenti e disastrosi di cui si ha memoria storica, documentata, sono i seguenti (tra parentesi il nu-mero di vittime dirette). 12 maggio 2008 (oltre 80.000): magnitudo 8

della scala Richter, epicentro nella regione del Sichuan, Cina del sud-ovest. 8 ottobre 2005 (oltre 86.000): regione hima-

layana del Kashmir, al confine tra Pakistan e In-dia, con magnitudo 7,6 della scala Richter. 26 dicembre 2004 (oltre 283.000): epicentro

al largo di Sumatra, in Indonesia, con ipocentro a 40 km di profondità. Magnitudo 9 della scala Ri-chter (come un milione di bombe atomiche “stile Hiroshima”): la faglia si frattura in verticale, ver-so nord ed il fondale sprofonda, per quasi mille

chilometri, di decine di metri. Lo tsunami indotto colpisce, con onde alte fino a 30 metri, Africa, India, Maldive, Sri Lanka, Myanmar (Birmania), Thailandia, Malaysia, Indonesia e, dopo 10 giorni, Brasile, ma per fortuna senza altri danni. Dopo 3 mesi, il 28 marzo, nella stessa zona si verifica un nuovo terremoto, con magnitudo 8,7: non si è avu-to un altro tsunami (le onde hanno raggiunto solo i due metri e mezzo) unicamente per la maggior profondità dell’ipocentro; le vittime sono comun-que oltre 4.000. 26 dicembre 2003 (oltre 40.000): epicentro

nella provincia di Kerman, Iran meridionale. Ma-gnitudo 6,6 della scala Richter; l’antica città di Bam è totalmente distrutta. 26 gennaio 2001 (30.000): Gurajat, stato set-

tentrionale dell’India; 7,9 della scala Richter. 17 agosto 1999, Turchia (15.500): magnitudo

7,4 Richter. 1998: febbraio e maggio, provincia di Takhar,

Afghanistan (quasi 10.000). 17 gennaio 1995, Giappone: il più violento ter-

remoto degli ultimi cinquant’anni provoca “solo” 6.340 vittime. 21 giugno 1990 (quasi 50.000): magnitudo 7,7

della scala Richter, epicentro a Gilan, sul Mar Ca-spio, Iran. 7 dicembre1988, Armenia (oltre 25.000): ma-

gnitudo 6,9 Richter; la cittadina di Spitak è rasa al suolo. 19 settembre 1985 (oltre 10.000): Città del

Messico, magnitudo 8,1. 1970: Perù (66.000). 1976: Tangshan, Cina (655.000). 1948: Turkmenistan (110.000). 1935: Pakistan (60.000). 1932: Cina (70.000). 1927: regione dello Xining, Cina (200.000). 1923: regione del Kanto, Giappone (142.000). 1920: regione del Gansu, Cina (200.000). 1908: Messina (70-100.000, anche per la con-

seguente onda anomala). Anche sisma. TESA. – Parte dell’elmo. È destinata a protegge-re il viso dai colpi dall’alto e gli occhi dal sole. TESTA. – Parte terminale delle armi da botta. Inizialmente si tratta solo d’un ingrossamento dell’estremità, poi si passa a rinforzi di vario tipo (ghiere, anelli) ed iniziano a comparire creste, punte, brocchi, lame.

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TRAUMA. – Stato risultante da un’aggressione violenta. È anche il fattore che provoca, per este-so, questo stato. TRISMEGISTO. – “Tre volte grandissimo”. È l’attributo del dio egizio Thot (Ermete o Ermes per i Greci), raffigurato come un uomo con testa d’ibis. Thot è divinità lunare, legata all’arte, alla scrittura, alla scienza, al conto del tempo. È questo dio che, alla presenza d’altre divinità (A-nubi, Iside, Osiride, Nephtis) esegue la “pesatura dell’anima” (psicostasia, in greco), il giudizio cui ogni defunto deve sottostare appena giunto nell’aldilà. Thot è ritenuto autore di numerose opere lette-rarie, filosofiche e di magia ed è il protettore degli inventori e degli astuti. La sua figura è pre-sente anche nel Mazdeismo [o Zoroastrismo, reli-gione della Persia preislamica che risale a tempi precedenti la predicazione di Zarathustra (o Zo-roastro, secolo VI a.C.), ancora presente in India] e nel Lamaismo [Buddismo tibetano]. TSUNAMI. – “Onda del porto”. Onda anomala. Maremoto, caratterizzato da onde di superficie di grande altezza (spesso un vero muro d’acqua), lungo fronte e notevolissima velocità. Solitamente causa distruzioni catastrofiche. Lo tsunami è un fenomeno caratteristico, spe-cialmente dell’Oceano Pacifico settentrionale. Il fatto che abbia nome giapponese indica la fre-quenza con cui investe quel Paese: si è calcolato 1 volta ogni 30 anni, negli ultimi 2000. L’onda ano-mala si forma in seguito ad una di queste cause: terremoto, con epicentro sul fondale marino o

nelle immediate vicinanze; eruzione vulcanica; movimenti tettonici sottomarini o frane ed e-

splosioni; più raramente, per l’impatto di un meteorite.

Qualunque sia l’evento scatenante dello tsunami, la perturbazione da esso provocata nell’equilibrio della massa d’acqua ne causa l’iniziale spostamen-to. Una grande quantità d’acqua inizia a spostarsi, per recuperare il proprio equilibrio energetico; gli effetti iniziali sono appena percettibili, con un’on-da lunghissima [la “lunghezza” è la distanza tra due onde consecutive, che talvolta si susseguono a centinaia di chilometri l’una dall’altra e con ore d’intervallo], centinaia di volte maggiore rispetto all’altezza e quindi con una pendenza d’onda quasi impercettibile. La perdita di energia del moto on-doso è correlata all’inverso della sua lunghezza d’onda; la propagazione dello tsunami, pertanto,

avviene con piccolissime dispersioni su enormi di-stanze. Avvicinandosi le onde alla costa, col dimi-nuire della profondità del mare le onde “rallenta-no”: per mantenere costante l’energia, deve quindi aumentare l’ampiezza del moto ondoso e l’altezza delle onde, il cui “run-up” (la massima altezza rag-giungibile) è di solito 10 volte maggiore dell’onda d’origine. Lo tsunami, in pratica, è l’unico fenomeno naturale i cui effetti si fanno sentire da un continente all’altro, dato che le onde di superficie superano spesso i 700 km/h di velocità, ma pare che possa-no raggiungere anche i 1.000 km/h: nel giro di po-che ore riescono a percorrere distanze incredibi-li. L'altezza dell’onda può arrivare anche ai 30 metri: quanto un edificio di 5 piani! Anche un’onda con velocità decisamente più bassa, di soli 50 km/h, tenendo conto che l’acqua ha densità molto superiore a quella dell’aria, provoca un “vento re-lativo” che raggiunge velocità pazzesche! Ma non è certo il vento a provocare danni: le onde che si abbattono sulla costa hanno una devastante capa-cità di erosione, “inglobano” tutto ciò che incon-trano – barche, case, automezzi, rottami, detriti – e, agendo come un ciclopico bulldozer, spianano vegetazione, spiagge, edifici vicini alla costa e provocano allagamenti nell’entroterra, talvolta per decine di chilometri,. In linea teorica s’ipotizza l’esistenza dei cosid-detti “super tsunami”, causati dalla caduta di a-steroidi di massa non eccessiva, ad esempio, o da terremoti d’origine tettonica con elevata magni-tudo: il fronte dell’onda viaggerebbe a velocità superiore ai 1.200 km/h e potrebbe superare l’al-tezza di oltre 300 metri! Gli tsunami più violenti, di cui si conserva memoria documentata, sono i seguenti. 26 dicembre 2004: lo tsunami indotto da un

terremoto di magnitudo 9 della scala Richter, con epicentro al largo di Sumatra, in Indonesia, colpi-sce le coste di Kenya, Somalia, Maldive, India, Sri Lanka, Myanmar (Birmania), Thailandia, Malaysia, Indonesia, con onde alte fino a 30 metri, causan-do oltre 310.000 vittime. Dopo 10 giorni, in Brasi-le, distante più di 15mila chilometri, onde anoma-le, sotto forma d’alta marea, investono le coste, facendo alzare il livello del mare di oltre 30 cm. Tale fenomeno – durato circa 40 minuti e mai prima segnalato – non provoca danni. 1998, costa nord di Papua-Nuova Guinea: tre

onde di 20 metri radono al suolo 7 villaggi, con ol-tre 2.000 morti.

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1993, isola d’Okushiri, Giappone settentriona-le: distrutta. 1992, Nicaragua: 10.000 abitazioni distrutte.

Bali (Indonesia): alcune migliaia di morti. 1964: un terremoto in Alaska, con magnitudo

oltre 8 della scala Richter, provoca uno tsunami con onde alte più di 30 metri; dopo 8 ore quelle onde raggiungono la California. 1960: un terremoto al largo delle coste cilene

produce onde che arrivano alle Isole Hawaii ed al Giappone. 1933, Giappone orientale: 23.000 vittime. 1908, Messina: fra 70 e 100.000, anche per il

terremoto all’origine dell’onda anomala. Una curiosità. Alle 10 di mattina del 31 gennaio 1906 un terremoto di grande intensità, lungo ben dieci minuti, provoca un’onda anomala che s’ab-batte sulle coste dell’America centro-meridionale affacciate sull’oceano Pacifico. Nella minuscola isola di Tumaco, al largo della Colombia, gli abi-tanti del villaggio – costruito in un avvallamento del terreno, sotto il livello dell’oceano – vanno in processione alla spiaggia, al seguito di padre Ge-rardo e padre Julián, i due sacerdoti dell’unica chiesa del villaggio, che recano l’ostia “grande”. Giunti al bagnasciuga, con l’onda enorme a pochi metri e l’acqua ormai all’altezza della vita, p. Ge-rardo traccia con l’ostia un gran segno di croce. L’onda si ferma, torreggia minacciosa per qualche istante e comincia a ridursi, l’acqua defluisce e torna al livello normale, senza provocare alcun danno. L’intera costa occidentale sudamericana è invece devastata: a Panama, per esempio, alla fine di tutto, le navi prima ormeggiate in porto sono ritrovate a qualche chilometro all’interno, nel mercato cittadino. TZU. (cinese) – “Maestro”.

VENTAGLIO. – Accessorio, che può essere an-che arma. Il Giappone è considerato il luogo d’o-rigine dei ventagli in genere, di quelli pieghevoli in particolare: una tradizione locale ne attribuisce infatti l’invenzione alla vedova di Atsumori, un va-loroso SAMURAI vissuto nella seconda metà del se-colo XII. In Giappone l’uso di questo accessorio è da sem-pre generalizzato, in tutte le classi sociali. Il ven-taglio, d’ogni dimensione e d’ogni forma e materia-le – anche se sono poco usati quelli organici – fa parte dell’abbigliamento (quotidiano, di Corte, da

cerimonia…) ed è usato nelle rappresentazioni (sportive, spettacoli, danza, poesia…). È utilizzato nei rapporti sociali ed anche in guerra (simbolo di rango, mezzo di saluto e segnalazio-ne…) e pure – in forme particolari – come un’arma vera e propria. I ventagli possono essere di tipo rigido, come l’U-CHIWA (o DANSEN) o pieghevoli, come l’OGI (o SEN-SU). Ancora oggi il ventaglio accompagna l’abito tradizionale ed è un ambito e gradito riconosci-mento, che – gesto arcaico e simbolico – premia i campioni di lotta vincitori.

WEIJIA. (cinese) – “Metodo esterno”. Secondo una classificazione tradizionale – som-maria ed un po’ superficiale ma sostanzialmente corretta – i metodi di combattimento cinesi si di-vidono in due grandi gruppi: gli stili«duri» o «me-todi esterni» (Weijia) e quelli «morbidi» o «me-todi interni» (Neijia). I Weijia – quali, tra molti altri: Shaolin Quan, Hongjia Quan, Quanfa e Zhong Quan – enfatizza-no l’uso di forza, velocità e potenza, mentre i Nei-jia basano la propria efficacia sull’uso del Qi (l’e-nergia interna del corpo) e sullo studio della me-dicina tradizionale, della filosofia e dei punti vul-nerabili.

YANG. (cinese) – “Luce”. Si veda la voce “om-myodo”. YI JING. (cinese) – “Libro dei Mutamenti” (o “delle mutazioni”). È uno dei “Cinque Classici” (Wu Jing o Wu Ching) cinesi, che racchiudono l’insieme delle dottrine confuciane e compongono il canone etico, filosofico, morale e politico del Confuciane-simo. Questa, in particolare, è un’opera (tanto co-nosciuta quanto troppo spesso travisata, in Occi-dente, dove è nota anche come I-CHING) che, at-traverso la divinazione, aspira a rendere com-prensibile il mondo. Sessantaquattro esagrammi – gruppi di sei lineet-te intere (che rappresentano lo Yang) o spezzate (che simboleggiano lo Yin), sovrapposte – concre-tizzano tutte le “possibilità”, materiali e spiritua-li. Ogni “carattere”, fisico e psichico, può essere quindi rappresentato da un numero caratteristico di componenti Yang o Yin [si veda la voce “ommyo-

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do”], ottenuto gettando asticelle di achillea, fiam-miferi o monete che danno i numeri i cui sotto-multipli base formano gli esagrammi. Il responso fornisce al consultante un consiglio sul comporta-mento da tenere, desumibile dal Libro. Lo Yi Jing, per alcuni, è un trattato di matematica a base binaria, mentre secondo altri la versione originaria dell’opera risale alla Dinastia Zhou (che, nei suoi elementi “occidentale” e “orientale”, re-gna in Cina dal secolo XI a.C. al 221 a.C.). YIN. (cinese) – “Ombra”. Si veda la voce “om-myodo”. YOGA. (sanscrito) – Dalla radice yuj, che signifi-ca “unione”, “legame” (dell’anima con Dio). Di deri-vazione religiose, è uno dei sei sistemi ortodossi della filosofia induista, che tende alla completa padronanza del corpo, per favorire la concentra-zione e la meditazione. Questo scopo si ottiene attraverso una serie di pratiche: esercizi fisici e posture particolari (a-sana), con riduzione delle attività sensoriali; e-sercizi di controllo del respiro (pranayama); con-trollo dei pensieri e meditazione (Dhyâna). Il fine ultimo di queste pratiche, che hanno anche risvolti terapeutici, è, comunque, la mistica unione con l’”Essere Supremo” (Paramatma), il “Signore” (Ishvara). Tale unione può anche avvenire – come insegna lo yoga tantrico, affermata scuola indiana di medi-tazione sessuale – attraverso il coito cerimoniale (maithuna), in cui la coppia umana rappresenta, in terra, il connubio fra Radha e Krishna. In ogni ca-so l’elevazione spirituale, l’annullamento dell’io, si ottiene solo con l’astensione dall’orgasmo maschi-

le: solo la passione senza eiaculazione rende pos-sibile l’estasi perfetta! Lo Yoga è inserito negli insegnamenti del Giaini-smo e del Buddismo, oltre che in quelli dell’Indui-smo. L’origine di questa disciplina filosofica è an-tichissima e la sua formulazione compiuta si trova nello Yoga Sutra ("Regole dello Yoga": 185 afori-smi sullo Yoga) attribuito al grammatico e filosofo indiano Patanjali (III secolo a.C.?). Precise e vincolanti sono le prescrizioni di carat-tere morale di questa dottrina, per altro assolu-tamente pragmatica, che yogi (o yogin, gli uomini) e yogini (le donne) devono rispettare per raggiun-gere la “salvezza”: non-violenza e aderenza al vero; astensione da particolari cibi e bevande; rinuncia alla bramosia del possedere e libera-

zione dall’avidità; rifiuto di ciò che può danneggiare gli altri; castità (quasi sempre).

È notizia recente che alcuni maestri vogliono ul-teriormente tramutare lo Yoga, che da disciplina spirituale per una ristretta élite s’è già trasfor-mato in moda di successo. L’intenzione sarebbe quella di ottenere una disci-plina competitiva, agonistica, in vista delle Olim-piadi di Londra del 2012: i contendenti avrebbero a disposizione tre minuti per esibirsi in 8 esercizi (5 posizioni obbligatorie e 3 libere), scelti tra i 28 (una sequenza di 26 asana e 2 pranayama) co-dificati da Bikram Choudhury, GURU delle star di Hollywood.

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La Vita

Noi entriamo nel mondo in forma circolare. E siamo uno con l’Universo.

Iniziamo a crescere e, progressivamente, ci stacchiamo dal bambino che è in noi. Problemi e distrazioni, gioie e dolori sono i nostri compagni di viaggio, in un procedere d’alti e bassi. Il no-stro inizio è solo un ricordo. Arriva il tramonto della vita e percepiamo, nel profondo, d’aver bisogno di quel bimbo che e-ra/è in noi. Ritroviamo, dopo il lungo percorso dell’esistenza, la forma circolare più completa, perché ricca del vissuto.

E siamo uno con l’Universo.

L’Artista

Una sensazione, un’intuizione. La capacità tecnica, che serve a far nascere in modo concreto e visibile la forma, non è fine a se stessa, ma è la Via per trasmettere il cuore dell’idea. Il visibile ci trasmette le sensazioni interne e la luce dell’anima, che possiamo sentire e rivive-re attraverso l’intuizione.

Sensazione, luce, intuizione: siamo uno con l’opera dell’artista.

L’Aikidō

È un modo di essere, di là del dualismo: è il modo di essere uno con l’Universo. Da qui nasce in noi il desiderio di percorrere la Via tracciata da O-Sensei. Attraverso le tecniche, impariamo a conoscere la mente ed i sensi, che proiettano su noi, con-tinuamente, gioie e dolori, egoismo, presunzione ed ogni genere di attaccamento. Il percorso della tecnica non è altro che il percorso della vita e, come uno strumento, serve a superare il nostro io/egoismo, che c’impedisce d’essere uno. La tecnica, quindi, non è fine a se stessa, ma serve come strumento d’evoluzione della nostra coscienza. In nostro vivere cambia e noi non siamo più attori ma testimoni della capacità della men-te/cuore di vivere nel presente e di condividere con gli altri l’esperienza da cuore a cuore.

E siamo uno con l’Universo. Sandro, aikidoka

L’Aikidō è come un compasso. In un compasso un’asta fa da perno, immobile al centro, mentre l’altra, ruotando,

descrive un cerchio. Così, ognuno che realizzi in sé l’Aikidō, sarà incrollabile nel proprio centro, punto di

forza della sua personalità, ma saprà anche descrivere intorno a sé un cerchio d’unione e amore.

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Io sono l’universo.

L’universo è il nostro più grande insegnante, il nostro più grande amico. Guardate come il fiume segue la propria strada attraverso la valle, trasformandosi e

piegando intorno alle rocce.

L’universo stesso ci insegna costantemente l’Aikidō, ma noi non riusciamo a percepirlo. Ognuno pensa solamente a se stesso ed è questa la ragione per cui nel

mondo vi sono tanta discordia e contese. Se soltanto potessimo mantenere i nostri cuori puri, tutto andrebbe bene.

Fate che il cuore di Dio sia il vostro cuore: è un grande amore sempre presente in ogni parte ed in ogni tempo dell’universo.

Nulla esiste senza amore: l’amore è il principio protettore di tutte le cose. L’Aikidō è la realizzazione dell’amore.

Non pensate che il divino esista lassù, nell’alto dei cieli. Il divino è qui, dentro e attorno a noi. […]. Scopo dell’Aikidō e ricordarci che viviamo in uno stato di grazia.

L’Aikidō è per il mondo intero e non per uno scopo egoistico e distruttivo. Lavorate e praticate incessantemente per il bene di tutti

Pratica per conoscere.

Quando io pratico l’Aikidō, mi dimentico e l’ego scompare.

Impara e dimentica, impara e dimentica! Rendi le tecniche parte del tuo essere.

Io non sono niente.

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BIBLIOGRAFIA

La saggezza del mondo è contenuta nei libri: studiandoli è possibile creare innumerevoli nuove tecniche.

Nella bibliografia che segue, assolutamente non esaustiva, cito – in ordine alfabetico per autore –

tanto opere riguardanti specificatamente l’Aikidō quanto scritti che si riferiscono a temi correlati od attinenti agli argomenti trattati. Una precisa scelta (“filosofica”, oserei dire) mi ha portato ad esclude-re dalla bibliografia libri che – sia pure, spesso, assai interessanti – sono dedicati specificatamente ad altre Arti e Discipline Marziali.

Le opere elencate sono solo quelle in lingua italiana e comprendono anche taluni romanzi a carattere storico, alcune biografie romanzate, testi letterari e di cultura orientale.

L’elenco include non soltanto tutti i libri consultati durante la composizione di quest’opera – tanto nella prima stesura quanto nel corso dei vari aggiornamenti e delle successive revisioni – ma anche altri testi che mi sento di suggerire.

Per tutti i volumi ho riportato, se rilevabili dalle copie consultate, tanto l'editore quanto la data di stampa. - ATLANTE STORICO, Il Giornale Multimedia, Milano 2001. - ENCICLOPEDIA ZANICHELLI 2001, Opera Multimedia, Milano 2001. - IL GUERRIERO, IL MONACO, L’ARMONIA. IMMAGINARIO E REALTÀ DELLE ARTI MARZIALI

CINESI, Interbooks, Padova 1993. - L’UNIVERSALE, LA GRANDE ENCICLOPEDIA TEMATICA, Il Giornale, Milano 2004. - WUMENGUAN. I PRECETTI SEGRETI DEI KOAN ZEN, Mondadori, Milano 2002. S. Aïssel, ZEN IN MOVIMENTO. L’ARTE DELLA MEDITAZIONE DINAMICA, Xenia Edizioni, Milano

1999. A. Alabisio, I SAMURAI, Newton & Compton editori, Roma 1997. R. Alexandre, GEOBIOLOGIA, Red Edizioni, Como. Anonimo, OCHIKUBO MONOGATARI, LA STORIA DI OCHIKUBO, Marsilio, Venezia 1992. L. V. Arena, SAMURAI, ASCESA E DECLINO DI UNA GRANDE CASTA DI GUERRIERI, Mondadori,

Milano 2002. M. Ardemagni, L’EPOPEA DEI SAMURAI NELL’ARTE DELLA SPADA, Roma 1957. I. Barocci (a cura di), MEMORIE DELLA LUNA, STORIE E LEGGENDE DELL’ANTICO GIAPPONE, Ugo

Guanda Editore, Parma 1991. C. Belliti e S. Vinci (a cura di), ARTI MARZIALI, Adnkronos Libri, Roma 1998. S. Benedetti, AIKIDŌ, IL LIBRO DEL PRINCIPIANTE, Edizioni Mediterranee, Roma 1998. R. Benedict, IL CRISANTEMO E LA SPADA, Dedalo Libri, Bari 1954. R. Bersihaud, STORIA DEL GIAPPONE DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI, Cappelli, Firenze 1961. M. Bertamè (a cura di), FENG-SHUI. TAO, BIOLOGIA ED ECOLOGIA APPLICATE ALL’ARCHITET-

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Doka dell’Aiki Kaiso, Ueshiba Morihei, con il commento di Sandro, aikidoka.

Il penetrante splendore della spada, maneggiata da un uomo della Via, colpisce il nemico che sta in agguato

nella profondità del corpo e della mente.

Il Nemico è in noi. Noi siamo il nostro Nemico!

Colui che è sempre pronto a qualunque cosa possa accadere, non sfodera la spada in fretta.

Così è il Guerriero che non è sconfitto!

Il progresso arriva per coloro che praticano e praticano. Confidare nelle tecniche segrete non porta a niente. L’Aikidō non è la tecnica!

Tenendo Yang nella mano destra e girando con Jin nella sinistra, puoi condurre il tuo avversario.

Le tue mani formano il cerchio: usalo!

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ALLA FINE

Concludo questo mio lavoro dando ancora voce al Fondatore…

Mettete il cuore a posto ogni mattina, dedicandolo al Creatore ed offrendolo agli esseri che incontrerete. Riprendetelo alla sera, coperto delle lacrime, della collera e dei sorrisi che vi sono rimasti attaccati.

… cui aggiungo il suggerimento di un Saggio…

Per oggi, non ti arrabbiare. Per oggi, non ti preoccupare.

Guadagnati da vivere onestamente, onora sempre i tuoi genitori, gli Anziani, i Maestri

ed esprimi la tua gratitudine a tutti gli esseri viventi.

… ed un pensiero del poeta coreano Lee Kwang Su.

Non dite che siamo pochi e che l’impegno è grande per noi. Dite forse che due o tre ciuffi di nubi sono pochi, in un angolo di cielo d’estate?

In un momento si stendono ovunque. Guizzano i lampi, scoppiano i tuoni e piove su tutto.

Non dite che siamo pochi. Dite solo che siamo.

Di mio, aggiungo un ringraziamento ed una richiesta.

Grazie di cuore ai tanti incontrati “seguendo la Via”. Ai Maestri, Insegnanti ed ai semplici praticanti – principianti o di livello avanzato, oggi ancora attivi piuttosto che ormai “pensionati” – dico soltanto che condividere con tutti loro le tante

ore di pratica, accumulate in oltre cinque lustri d’attività, ha non solo ispirato quest’opera, ma contribuito anche a rendere un poco più lieve la fatica di incessanti revisioni ed aggiornamenti.

Ai molti allievi che, nel corso degli anni, non sono riuscito a far innamorare dell’Aikidō o che, delusi, hanno abbandonato la pratica, chiedo perdono per la mia pochezza d’insegnante.

Non imitatemi.

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Nota autobiografica.

Nato a Milano il 25 ottobre 1952, inizio a praticare Aikidō nel 1983 con Guglielmo “Mimmo” Masetti, nel mitico Nippon Club di Via Termopili, a Milano.

Negli anni seguo poi assiduamente Umber-to Tufo e Claudio Bosello, ormai scomparsi, Cristiano Duesimi, Riccardo Rampado e San-dro Peduzzi.

Ai corsi regolari con questi insegnanti si aggiungono, nel tempo, lezioni, stage e semi-nari con altri Maestri, tra cui ricordo Florin-do Baldo, Goro Hatakeyama, Daniel Leclerc, Kunijuchi Kai, Motokage Kawamukai, Franco e Sergio Morstabilini, Giorgio Oscari, Carlo Pellandra, Toshiro Suga, Renato Visentini.

Completano il mio iter formativo corsi pro-pedeutici di Shiatsu e Massaggio Antistress (metodo Leanti-La Rosa) e corsi di Qi Gong, Tuina e Tai Ji Quan – questi ultimi seguiti dapprima in Cina (“Istituto Scientifico di Qi Gong” di Chengde, negli anni 1993 e 1995) e successivamente in Italia – e corsi di Iaido (Seitei Iai).

Nel 1999 inizio la mia avventura di istrut-tore, ottenendo l’abilitazione all’insegnamen-to nella Scuola “Aiki Ryu d’Italia” che, nel 2005, mi conferisce il 3° Dan.

Attualmente insegno Aikidō e continuo a seguire corsi di Qi Gong, Tai Ji Quan e Iaido.

AI

KI [firmato] MORIHEI

L’essenza dell’Aikidō è zero.

Ueshiba Morihei, Aiki Kaiso.