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Spazio Crocevia _ via Appiani, 1 _ I-20121 Milano

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A cura digiovanni gazzaneo

Testo introduttivoAntonia Arslan

Progetto grafico marico Factory

referenze fotograficheAurelio Amendolaluca TrascinelliFoto Studio rapuzzi

Stampagalli e Thierry, milano

Segreteria organizzativaTiziana Pampari Antonioni

ringraziamentigiuseppe ed emanuele rivadossi, BresciaSoave Arte moderna e Contemporanea, Alessandria

dal 27 ottobre al 10 dicembre 2010

Spazio Croceviavia Appiani, 1 i-20121 milano+39 392 49 28 569 - +39 339 78 97 989www.federicorui.com

in collaborazione con

Crocevia, Fondazione Alfredo e Teresita Paglione

Pubbliche relazioniClP relazioni Pubbliche, milano

SGUARDI DI LUCEAmendolA | Bergomi | gAlliAni

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mi è sempre stato difficile ricordare i colori.ne conservo in mente l’intensità, non laspecificità. Così mi è capitato una volta didefinire un vestito “verde corallo”, perché iltimbro di quel verde mi pareva lucido comeil corallo, e ancora quell’immagine misplende negli occhi.non posso pretendere di sapere come altriscrittori scelgono, fra le mille immagini checontinuamente il nostro occhio fotografa,quelle che rimarranno in loro, quelle cheprocurano quel tipo speciale di emozioneche brucia- e si ricorda- ed esige di essereraccontato. io so di non avere molta memoria visiva,quella che ricorda e cataloga nel tempo enello spazio ciò che lo sguardo vede; so checonfondo i colori, e di un’intera scena mirimane nell’occhio l’immagine dettagliatadi un particolare, anche se spesso moltointenso. eppure, quando scrivo, i dettaglidelle scene che racconto riaffiorano, qual-che volta fin troppo.Credo che ognuno di noi abbia il propriosguardo, individuale e personale come unaimpronta digitale. Penso che noi compiamoogni momento un processo di selezioneveloce e sommario, e che il nostro sguardo

immediato, il nostro mettere a fuoco conti-nuo, sia al servizio di un potente elaboratoreinterno che analizza, scarta, sintetizza, eporge alla nostra mente il risultato finale,quello che in buona fede crediamo di averveduto. davvero.mille realtà del nostro passato, l’uso deisensi di tutta una vita hanno invece giàscritto sulla nostra lavagna interiore ciòche noi siamo, ciò che noi vogliamo; e losguardo che ogni giorno posiamo sulmondo tutto è, tranne che un albeggiare diinnocenza.eppure gli artisti – poeti, pittori, scultori,fotografi... - ci conducono per mano a unaforma diversa di sguardo. Attraverso laforza e la coesione interna delle loro opere,essi vogliono trasmetterci la loro, di visione,nella speranza appassionata, forte (qualchevolta folle, qualche volta gioiosa!) di condi-viderla con noi, di farcela amare.Quando parliamo di “guardare” un’operad’arte, in realtà cerchiamo di “entrare”nello sguardo proprio del genio di quell’ar-tista: in fondo, di vedere con i suoi occhi,di rinnovare in noi le sue emozioni.Cerchiamo chi ci possa guidare, nel folto diuna foresta, a guardare oltre il verde.

GUARDARE NEL FOLTOAnToniA ArSlAn

giuseppe Bergomi, ilaria e Valentina su parallelepipedo, 2003, bronzo, cm 170,7x58,6x22 (particolare)

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AURELIO AMENDOLA

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lo sguardo può essere tutto, l’orizzonte incui si cala e si gioca una vita.e uno sguardo ha cambiato la vita di AurelioAmendola: quando, in Sant’Andrea a Pistoia,si è lasciato prendere dallo stupore di fronteal pulpito di giovanni Pisano. da allora nullaè stato più come prima. Per Aurelio bambinoquello sguardo è diventato il mondo, la sto-ria, la sua stessa vita. Appena aveva unmomento cercava rifugio in quell’angolod’arte. “Forse non sono un buon cristiano main quella chiesa romanica ritrovavo me stes-so e mi immergevo in una storia millenariafatta di bellezza e preghiera”. giovanni Pisano ha saputo far fiorire nelmarmo l’emozione e il movimento,Amendola l’ha ricambiato facendo fiorire nelbianco e nero quel che l’occhio di chi con-templa neppure sa immaginare. “il punto dipartenza e il punto di arrivo del mio lavoro èla scultura. e i volti, i corpi di marmo o dibronzo sono per me persone viventi”. mezzosecolo è passato da allora, quanto basta perfarci dire che scultura fotografata e AurelioAmendola sono sinonimi.A Pistoia per i tanti che lo conoscono èsemplicemente il “maestro”. da quandomarino se ne è andato, nella bella città

dell'ombrone, è rimasto il solo a meritarequesto titolo d’onore e d’affetto. maAmendola, toscanaccio dal sorriso aperto edalla battuta sempre pronta, non ama esse-re additato artista, nonostante sia statol’unico fotografo vivente a cui l’ermitage diSan Pietroburgo abbia dedicato unamostra. non si erge a personaggio, e nellavita, come nelle parole, traspare un senti-mento di gratitudine.“Avevo dieci anni quando ho cominciato afotografare. Uno studio di Pistoia cercavaun aiutante e chi doveva andare non poté.io lo sostituii. la trafila è la stessa per tutti:matrimoni, comunioni, fototessere, qualcheritratto. Così ho imparato le tecniche delmestiere. non capisco quando i giovani,artisti o fotografi che siano, voglionoinventarsi dal nulla”. Senza lavoro non c’èarte né mestiere: è questo il dramma deinostri tempi. nel 1962 apre uno studiotutto suo e inizia a stampare in proprio. daallora non ha più smesso: l’unica differen-za è che il laboratorio ora ce l’ha nel suobel casale, un tempo proprietà dei Borbonidi Parma, dove abita dal 1982, tra gli ulivi,alle porte della sua città. “Fu una scopertanon mia ma del grande collezionista

Amendola: bellezza in bianco e nerogioVAnni gAzzAneo

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giuliano gori”. lì ha cresciuto i suoi figli enipoti, e lì vive con la moglie Claudia, maper lui è “la lella”, compagna di una vita.“Quando scelsi di andare a vivere in cam-pagna gli amici mi prendevano in giro.Amendola vuol fare l’agricolo, dicevano.ora anche qui nel Pistoiese i poderi vannoa ruba. e gli amici si son zittiti”. zittisce anche noi quando ci troviamo acontemplare le sue immagini che sono uninvito a entrare dentro l’opera per carpirnei segreti e le profondità, a cambiare abitomentale per poter apprezzare quel che lagrande arte ci offre e che sola è capace didarci la sveglia in un mondo dove l’apatiae la noia hanno spento sguardi e menti,bombardati da pubblicità, insulsaggini evuoti chiacchiericci mediatici.“Ho fotografato michelangelo e Canova,donatello e Arnolfo di Cambio. insommatutti i grandi maestri della tradizione italia-na. Amo i classici e mentre fotografo l’ope-ra parlo con loro e cerco di adattarmi alloro linguaggio perché ognuno ha una par-lata diversa. Ho avuto lunghe chiacchiera-te con il Buonarroti e i Pisano. e lororispondono, ed è sempre una scoperta: ilvigore di una mano tesa, un volto reclina-to, la perfetta anatomia del torso, il movi-mento ondulato di un panneggio di marmo,la luce nel bronzo, la morbidezza dellepatine”. Poi mostra il suo lavoro e trepi-dante cerca di immaginare il loro giudizio.“Una cosa è certa: non so se sono matto,ma ai maestri voglio un gran bene. miricambiano guardandomi ineffabili nel lorosilenzio. dall’alto dei cieli spero mi benedi-

cano. i maestri hanno lasciato un tesorocosì straordinario che le generazioni permillenni, se ci saranno ancora millenni,non finiranno di essergli grati”. Aurelio èstato anche il fotografo dei grandi artistiche hanno solcato il novecento: de Chirico,marino, Burri, manzù, Fabbri, dova,Kounellis, Warhol, Vedova, melotti,Cascella, Ceroli, masson... “Con i moderni è diverso. Certo, alcunisono grandissimi, ma a differenza dei mieiamici classici a volte ‘rompono’, soprattut-to quando pensano di saperne della foto-grafia più di chi fotografa”. eppure se tantodeve a Pisano altrettanto deve a marinoche si trovò fra le mani il volume diAmendola sull’opera di giovanni Pisano,pubblicato nel 1969 da electa. gli bastòsfogliarlo per scegliere il fotografo del suonuovo catalogo. “lo incontrai nella suavilla a Forte dei marmi. era l’8 giugno1968, mi sembra ieri. ero intimorito: iogiovincello di fronte al grande marino. miconfortava sapere che non solo era diPistoia come me, ma di San Pietro, la chie-sa in cui sono stato battezzato. non sapevanulla di me e poi c’era poco da sapere. eroal mio secondo libro. entrambi su giovanniPisano. Quei due lavori li devo agianlorenzo mellini, critico d’arte checonobbi quando insegnava a Pistoia. glidissi del mio amore per il figlio del grandenicola e lui di rimando: l’hai fotografato?era la cosa più ovvia eppure non c’avevomai pensato. Forse non mi sentivo degno,ma presi coraggio e passai dai matrimoni,che continuarono a dare pane e compana-

Aurelio Amendola, michelangelo - Tomba di giuliano de medici, 1992, stampa manuale in bianco e nero, cm 50x40

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Aurelio Amendola, mosè, 1999, stampa manuale in bianco e nero, cm 50x40

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tico a me e alla mia famiglia, alla scultura.Fotografai il pulpito a luce naturale, perchéle lampade non me le potevo permettere.realizzai una trentina di scatti che melliniportò a milano all’electa. l’allora editoregiorgio Fantoni, con cui nacque una gran-de amicizia che dura tuttora, le apprezzò:pubblicò un volume su giovanni Pisano aPistoia e mi commissionò il secondo lavo-ro dedicato a tutta l’opera sul figlio delgrande nicola”.le foto di Amendola raccontano non solol’arte, ma anche l’empatia, la vicinanza cheha coltivato con i tanti maestri conosciuti.Questo gli ha permesso di mostrarci il latoumano dell’opera, il creatore e la creaturainsieme, nella continua ricercadell’“incipit” e della forza generativa dellinguaggio. Ci ha offerto prospettive nuoveanche di lavori così famosi che nella ripe-titività della riproduzione hanno finito perdiventare stanchi simulacri dell’originale,incapaci di offrirci la straordinarietà e laforza di novità che ogni capolavoro, delpassato e del presente, custodisce cometesoro geloso.Aurelio ama la bellezza e la sua forma. e innome della bellezza non esita a trasformar-si in un giudice di michelangiolesca memo-ria. “la differenza tra i grandi delnovecento che ho frequentato e gli artistidi oggi è abissale. non voglio discutere ilvalore artistico, non ho neppure gli stru-menti per farlo. ma sul piano umano qual-cosa mi sento di dire. Quel che manca è lamodestia. Con marino, Burri, Fabbri non èmai stato un rapporto di puro lavoro: foto-grafare l’arte non è la stessa cosa del foto-grafare le fasi di un lavoro qualsiasi o un

oggetto finito. nell’arte c’è l’anima di chicrea. Per questo, entrando nel loro mondo,non poteva non nascere un grande rispettoreciproco e spesso una grande amicizia.Con molti di loro siamo andati in vacanzacon le rispettive famiglie. Ad Albisola miricordo le cene con lam, dova, Fabbri,mondino, Carla Tolomeo. e poi a Pistoia lafrequentazione con i carissimi Barni eruffi”.i tempi moderni fa fatica a capirli. Tutto sigioca nell’istante della provocazione e delgioco. “oggi gli artisti fanno una mostra ecredono di essere arrivati. e questo valeanche per certi fotografi che si dannoancora più arie. Vogliono tutto e subito. Holavorato con Paladino, de maria, Clemente,Chia, Cucchi, Finotti. Con molti di loro hoavuto un gran bel rapporto. eppure misembra di far parte di un’altra epoca equell’epoca è finita”. Per i grandi che haconosciuto è tutta un’altra storia, anzi tantestorie che lui è capace di raccogliere inistanti che riassumono una vita. “mi basta-va uno sguardo per capire se l’artista chemi stava di fronte mi stimava, apprezzavaquel che facevo o lo giudicava inadeguato.È stato così con André masson, vecchio esaggio quando lo conobbi, ma animatodalla curiosità di un bimbo. entrai nel suostudio e mi accolse con un gran sorriso eun’enorme sciarpa a cercare di trattenereun pò di calore per il suo corpo provatodagli anni. Sapeva voler bene ai giovani:era un maestro nell’instillare fiducia in sestessi”.“ogni tanto mi appaiono gli occhi ispirati ebirbanti di de Chirico: ironico e sornione.ricordo che camminare con lui era uno

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spasso: quando attraversava la città e lagente non lo riconosceva, era lui, il pictoroptimus, a presentarsi e allora si creava uncapannello e gli chiedevano l’autografo.lui sprizzava gioia come quando ammira-va un’opera d’arte”.“Con Burri è stata un’amicizia lunga venti-cinque anni e mi bastava un attimo percapire se era la giornata giusta o no.Quando fotografavo per lui era come senon ci fossi: non perdeva la naturalezzacon cui realizzava la sua arte, tutto concen-trato nelle sue combustioni e nei suoi sac-chi. Per lui non esisteva altro. devo direche tutt’oggi mi manca”.“Warhol lo incontrai per la prima volta nel1976 alla Factory a new York. Accettò difarsi ritrarre solo quando seppe che ero ilfotografo di marino e di de Chirico. il suosguardo non mi diceva granché. la secon-da volta, nel 1985, era tutto butterato, ilcorpo devastato dal male che gli crescevadentro e il suo sguardo era triste. non erauna persona allegra, non lo è mai stato”.non chiedetegli il segreto della sua arteperché semplicemente vi riderebbe in fac-cia: per lui parlano i suoi tagli, quei parti-colari che han visto solo lo scultore e ilfotografo che dell’artista è diventato amicoe custode di segreti; quella poesia di pietrae di bronzo che i suoi bianchi e neri sannodeclinare in un’essenzialità senza pari;quella forma (in questo mondo così infor-me) che viene esaltata senza mai essereesagerata; quei corpi che ci dicono tuttoquel che siamo, quasi specchio di un’animache si fa materia e la vivifica; quel saperfermare il tempo che è stato tipico dei suoi“classici” e che lui ha avuto in dono (o

forse conquistato) rendendo ogni immagineuna straordinaria icona. la camera oscuraè il suo Santa Sanctorum: nel buio piùtotale avviene la magia e tra carta e acidiecco emergere l’opera. nessuno può entra-re in quel suo angolo d’universo, tranneFrancesca, la figlia che lavora con lui.ride il grande Aurelio, nella sua corporatu-ra esile e scattante che sembra superaresenza imbarazzo le tante primavere chehanno allietato la sua vita, e qualcosa dice. “È la luce che mi guida, per me è importan-te essere lì in un preciso momento. Certo cisono le fasi della preparazione, ma l’attimodello scatto è decisivo. Prediligo il bianco enero perché è classico, è eleganza, è piùvero e anche più difficile: fai tutto da soloprima e dopo, prima dietro l’obiettivo, poinel buio più totale tra acidi e bacinelle. nonho mai corretto una foto al computer, nonso nemmeno come si fa e non mi interessa.non sono contro il progresso. Credo nellamia vecchia Sinar: funzionava benissimocinquant’anni fa e funziona benissimoancora adesso. Così spero per me”.

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Aurelio Amendola, michelangelo - lorenzo de medici, 1992, stampa manuale in bianco e nero, cm 50x40

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Aurelio Amendola, michelangelo - david, 2001, stampa manuale in bianco e nero, cm 50x40

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Aurelio Amendola, Francesco mochi - Santa Veronica, 1998, stampa manuale in bianco e nero, cm 50x40

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Aurelio Amendola, Canova - le grazie, 2008, stampa manuale in bianco e nero, cm 50x40

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Aurelio Amendola, Canova - maddalena penitente, 2008, stampa manuale in bianco e nero, cm 50x40

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Aurelio AmendolaAlberto Burri, 1977, stampa fotografica,, cm 40x30

Aurelio AmendolaAndrè masson, 1986stampa fotografica,, cm 40x30

Aurelio Amendolamarino marini, 1973stampa fotografica,, cm 40x30

Aurelio AmendolaAndy Warhol, 1986stampa fotografica, cm 40x30

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GIUSEPPE BERGOMI

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C’è una forte comunanza tra un vero artistae un qualunque cronista. Qualcuno ha dettoche il giornalista è colui che capisce quelloche può, e scrive quello che vuole. la battu-ta sottolineava la non eccellenza intellettua-le della categoria a cui appartengo. e insie-me il suo grande potere che sempre più spes-so sfocia in arbitrio, falsità e diffamazione:un gioco al massacro dove sembra vinca chiurla di più. Quel che per i cronisti è limiteoggettivo, per i veri artisti, come giuseppeBergomi, è punto di forza: la realtà lettaattraverso il cuore e la mente di chi la con-templa, ci viene offerta nella sua essenza, nelsuo nocciolo duro di bellezza e verità, trasfi-gurata dal potere espressivo del linguaggiocreativo, cioè dalla libertà allo stato puro.l’arte parte dallo sguardo e nello sguardoritorna perché la visione è una questione,prima che fisica, interiore e tutto comprendee accoglie. gli sguardi dell’artista brescianosospendono il tempo, sono oltre lo spazio,rivelano quel che le parole sanno solo bal-bettare, aprono orizzonti: lo sguardo del-l’amata, lo sguardo della figlia, lo sguardo diun addio.Bergomi è un resistente. Ha vissuto la suagiovinezza nel pieno di quell’inciviltà

segnata prima dagli imperativi ideologici epoi dal senso del nulla e della noia. Su dilui è caduto il peso della “condanna amorte” della pittura e della scultura e ditutto ciò che in qualche modo avesse a chefare con la creazione. il suo merito è nonessersi rassegnato ma aver lottato allagrande per se stesso e per tutti noi. “l’arteè stata sempre il mio sogno, ma un sognoinfranto in Accademia a Brera. la frequen-tai a metà degli anni Settanta e allora sifaceva più politica che arte. la figurazioneera messa al bando. mi sentivo ai margini.la mia tesi la dedicai all’iperrealismo ame-ricano e ai realisti europei. i primi annidopo gli studi sono stati i più difficili.All’inizio dominava la voglia di immaginefotografica. mi dedicavo alla pittura e leopere nascevano dall’album di famiglia:piccole immagini in bianco e nero che por-tavo a grandi dimensioni”.nel 1978 la prima mostra alla galleriadell’incisione a Brescia: gli olii erano ilfrutto di una galleria della memoria fattadi picnic, feste di comunione, ritratti disuo padre. “Poi ho cominciato a fotogra-fare e pur avendo un gran bisogno didipingere, mi sembrava un’impresa impos-

Bergomi: lessico familiaregioVAnni gAzzAneo

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sibile. non riuscivo più a concepire il miolavoro senza l’invenzione fotografica.Cominciavo i quadri e molti non arrivavoa concluderli”. nei tre anni a seguiredipinge con sempre maggiore disagio. AParigi, la svolta: “Visitai nel 1981 lamostra les réalismes, curata da JeanClair, al Centre Pompidou. Una straordi-naria carrellata che andava da Picassodegli anni Trenta a morandi. rimasi colpi-to da due terrecotte: ritratto di moglie colcappellino di otto gutfreund e dallaBevitrice di assenzio di Bedrich Stephan.Quindi da il Sogno e la Pisana di Arturomartini. girando per quelle sale immagi-nai il dipinto che stavo realizzando di mio

fratello e della sua ex moglie, che è rima-sto incompiuto, e l’ho visto farsi scultura”. Quella visione interiore ha segnato la vitadell’artista. “Quando ho capito che noncapivo nulla mi sono recato da TullioCattaneo, mio compagno di Accademia, perapprendere le basi per modellare. Ho impie-gato due anni di lavoro per impadronirmidelle tecniche necessarie e reinventarmi unnuovo linguaggio espressivo”. Così nasce laprima terracotta: luciano, il volto di unamico, che nonostante i limiti formali rive-la la forza poetica e il linguaggio originaledi Bergomi. nel 1982 la sua seconda perso-nale sempre alla galleria dell’incisione conle terrecotte policrome. “l’input era sempre

giuseppe Bergomi, ilaria con cappello greco, 2004, marmo, h cm 42. (sopra: particolare)

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legato alle mie emozioni visive dalle qualinascevano immagini, che covavano alungo in me, finchè la necessità di tradur-le in scultura non si faceva urgente”. lasua è una sintesi di anima e materia a par-tire dalle persone a lui più vicine e piùcare, coloro che suscitano i sentimenti piùprofondi: la moglie, le figlie, legami cheesprimono la forza e la bellezza della vita.roberto Tassi parla di “vivezza immobile”:una scultura che è tutta visione e insiemetattilità, figura che si fa metafisica delquotidiano. “Quando concepisco una scultura, il colorenon è mai ornamento, ma è parte integran-te dell’idea, è esso stesso soggetto, cosìcome la forma, il ritmo e la tensione del-l’immagine”. non concepisce la sculturacome una serie di pieni e di vuoti, cheanima gran parte della scultura contempo-ranea, tutta giocata sulla dimensione delbuco che sul vuoto pericolosamente siaggrappa. in Bergomi tutto è ritmo di colore, segnoe superficie. da qui è possibile una sinte-si dove la plastica acquisti senso, dovel’immagine interiore si incarni alimentan-dosi dell’osservazione del vero e riscat-tando così la massa informe e silenziosadella materia. il suo bisogno di immaginesorge dalla luce, alla ricerca di unadimensione in grado di spezzare la fragi-lità e l’apparente nonsenso dell’arco tem-porale. nella luce cultura ed emozione siabbracciano; e alla luce torna a viveretutto quello che ha amato e scelto. mario Botta si trasforma di fronte alle

donne di Bergomi, la sposa e le figlie, in unpoeta della critica d’arte. Scrive l’architettosvizzero: “Hanno una cifra formale assolu-ta, di semplice, netta limpidezza struttura-le, messa in frizione con una grazia sensua-le oscillante tra sfrontata ironia e delicataritrosia, che chiede alle patine di colori dismussare la solennità del bronzo…l’enigma della vita dichiara semplicementese stessa, nella sua presenza assoluta.divinità domestiche che appaiono in unaflagranza ineluttabile”.le immagini sono soggetti che scaturisco-no da legami emotivi, altre volte semplicipretesti perché fiorisca il linguaggio sculto-reo. “Ciò che mi attrae non è il soggetto inquanto tale, ma quella serie di connessioniche scaturiscono dall’empatia con esso eche lo caricano di un valore diverso, che vaa toccare le corde dell’emotività e che cercodi tradurre in elemento plastico: in puraforma.” Per lui la matita viene prima di ogni cosa:è lei la compagna che lo aiuta a elaborarel’immagine. “il bisogno di realizzare unascultura nasce dal tentativo trasferire inlinguaggio quella vitalità che mi deriva daun’emozione visiva”. Cerca la sintesi tra l’umanità di giotto e lafreschezza della Pop Art, il suo immagina-rio è un museo che va dagli egizi aBalthus e oltre. “museo che trova una sin-tesi felice in un’emozione e si traduce inplasticità e luce. l’immagine è debole senon porta in sé tutta la tua sensibilità, latua cultura. Sono cresciuto con il cultodella contemplazione. la base è l’osserva-

giuseppe Bergomi, Tea, 2009, bronzo, cm 29,7x17x21. (pagina seguente: particolare)

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giuseppe Bergomi, ilaria e Valentina su parallelepipedo, 2003, bronzo, cm 170,7x58,6x22 (pagina seguente: particolare)

zione della natura. non mi interessano ter-mini abusati come fruizione, interazione”.non c’è astrazione senza organicità. lacontemplazione come punto di partenza, lacontemplazione come punto di arrivo,prima dell’opera e a opera finita. “il miofilone di riferimento è francese: daPoussin a Chardin, da Courbet a degas,Bonnard, Cezanne, Picasso, matisse.insomma la fiducia nella visione e nellaverità delle cose. nella scultura due sututti: Canova, non per l’innegabile vir-tuosismo, ma per il senso della carne eper quella naturalezza del gesto che tra-spare in tutta l’opera; martini per l’emoti-vità che diventa pura plastica, un geniodelle forme”. l’aspirazione all’eterno che ha animatotutta la grande arte, nasce dal linguaggio:composizione, ritmo, piacere del bello peresprimere la vitalità che anima cose enatura. e questo implica un ritornoall’umano, al volto, alla bellezza delcorpo di donna. la forte componenteaffettiva della sua arte è capace diabbracciare tutto, gioia e dolore e ladimensione tragica della realtà. “di fronte alla Fucilazione di goya nonsmetti di sentire la vitalità dell’arte. labellezza è legata al linguaggio che laesprime, non solo al soggetto rappresen-tato: esso non smette di esercitare il suopotere catartico anche quando presental’orrore. non esiste un canone della bel-lezza, la bellezza semplicemente si mani-festa nelle forme più varie: spetta all’oc-chio di chi guarda trovarla in un oggetto,

in un volto, in un gesto, in una luce, etradurla in linguaggio. C’è sempre unoscarto tra ciò che hai intuito e ciò cherealizzi”. Ha smesso di porsi problemi sulla naturadell’arte contemporanea ma non ha maismesso di guardarla con attenzione e direstare affascinato da artisti da lui lonta-nissimi, come Kapoor. “Sono attento allacomplessità dei diversi linguaggi della con-temporaneità: ho guardato con curiosità adartisti come Beuys, all’arte povera e concet-tuale nelle sue varie forme, ma i miei mae-stri e le mie finalità sono altri. Cerco di farequel che davvero amo e  voglio fare. l’artecontemporanea si gioca nella promiscuitàdei linguaggi, ma col dopoguerra non c’èstato più nessuno capace di una sintesi for-male come quella di Picasso”. eppure a partire dalla fine degli anniSessanta sul grande genio spagnolo è cala-to un cono d’ombra: le correnti artisticheche sono nate (e alcune già sepolte) in que-sti ultimi quarant’anni, quasi tutte accomu-nate dalla deflagrazione del senso compiu-to delle cose, sembrano avere ben poco ache vedere con il padre di guernica. Seguardiamo all’arte che va per la maggiorela sorgente la troviamo piuttosto induchamp. le provocazioni del maestrofrancese hanno certamente creato una rot-tura, spezzando l’aurea dell’arte ufficiale.ma il successo a seguire, di gran lungasuperiore alla qualità dell’opera, si puòspiegare solo collocandolo all’interno dellanostra società mass mediale, dove sembrapossibile cogliere solo la dimensione super-

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giuseppe Bergomi, modella in poltrona decò, 2009, bronzo, cm 72x48,5x39

ficiale dell’essere. la contemplazione, cheha alimentato la tradizione artistica dioriente e occidente, è ormai da decenniritenuta superata. e nulla cambia con ilpassaggio dalla dimensione di massa aquella intimista dei nuovi media (facebook,twitter, blog). Siamo sempre nell’orizzontedel reality show, ma di casa propria. Vieneviolata e resa “liquida” la dimensione perso-nale e privata che si riduce a merce. Ugualedestino ha subito ben prima l’arte messa sulmercato globale come una qualsiasi altramerce. Un gioco squallido che Bergomi nonha mai accettato e con il suo lavoro ne hamostrato insipienza e nonsenso.restiamo sempre in attesa del bimbo intel-ligente e sincero che mostri al mondo che ilre è nudo: dalla fontana di duchamp alle"merda d'artista" manzoniana, come tuttoquel che ne è seguito, articolandosi tra ilgioco e la provocazione in una squallidaripetizione che mai potrà elevarsi ad arte.di fronte alla latrina del francese si puòsorridere. le scatolette con tanto di etichet-ta ci faranno scuotere la testa. ma non c’ènull’altro: un cesso, una latta, gli escre-menti. Storici e critici potranno scriveretutti i libri che vorranno ma l’arte è un’al-tra cosa. duchamp, dopo aver destabilizza-to l’arte ufficiale, pentendosi, mise sull’av-viso, ma era troppo tardi. musealizzare lasua opera era il giusto contrappasso, mache ci fossero una fila infinita di pseudodiscepoli pronti a scimmiottarlo era davve-ro troppo per il maestro francese. il merca-to ha le sue leggi che nulla hanno a chefare col bello, col vero, col giusto. e un

ready made, o un po’ di spazzatura, sonosicuramente più economici del marmo diCarrara. il genio poi, con i suoi alti e bassi,resta molto meno gestibile di chi si autoin-venta, incapace di alcunché, per falso sillo-gismo: “non so disegnare, non so dipinge-re, non so scolpire quindi sono un artista”.la verità è molto più semplice: l’arte nonpuò ridursi alla pura idea come il cesso nonpuò elevarsi a capolavoro. entrambi, ilcesso e l’idea, possono “rompere”, fardiscutere, divertire, far riflettere, comuni-care ma non creano nulla. l’idea per esserecreativa, almeno finché non ci trasformere-mo in dei, ha l’urgenza di incarnarsi. Siamograti a Bergomi capace di suscitare ancorastupore e di invitarci a rientrare nelladimensione della contemplazione.grazie a lui è giunta l’ora di tornare all’ul-tima vera lezione di duchamp, troppointelligente e artista per scambiare un’ope-ra d’arte per un cesso o per una riproduzio-ne di gioconda con un paio di baffi. A noila gioconda piace come leonardo l’hacreata.

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OMAR GALLIANI

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Stupore e speranza sono grandi assentinelle vicende del nostro mondo.l’arte ci sorprende, l’arte ci provoca, tentadi scandalizzarci ma non è più capace disuscitare stupore. il dito medio di Cattelano l’ultimo pupazzo di Koons non sono certoopere da contemplare, si pongono voluta-mente al di fuori dell’orizzonte dello stupo-re, non tengono in nessun conto la bellez-za, anzi la sbeffeggiano. Possono strappar-ci un sorriso, darci un’emozione. Più spes-so una sensazione di vuoto e fastidio.omar galliani sbaraglia i giochi, concet-tuali o provocatori che siano, e torna aldisegno: grazie a lui riprende vita, fre-schezza, splendore e si fa pittura, architet-tura, musica, sogno. da tre decenni è pro-tagonista sulla scena internazionale con lesue tavole di pioppo, spesso di dimensionistraordinarie, come il “grande disegnoitaliano”, stupendo volto di donna, dise-gnato a grafite, di oltre sei metri di altezzaper cinque di base. la forza espressiva epoetica dell’artista emiliano riporta in augela rappresentazione tradizionale legata alvedere, da molti artisti e critici troppo fret-tolosamente giudicata inadeguata dellaciviltà delle macchine, della riproducibilità

tecnica e, in seguito, delle nuove tecnolo-gie che ci fanno vivere nella dimensionedell’interconnessione istantanea nel tempoe nello spazio, dove vediamo in un giornopiù di quanto i nostri progenitori potesse-ro vedere in una vita, ma non contemplia-mo più nulla. Un percorso di negazione delvalore della tradizione e, in particolare, delfigurativo, che porta all’avvento della PopArt: il primo grande fenomeno di globaliz-zazione nel campo dell’arte. l’Americainvade i mercati con i suoi canoni esteticiderivati direttamente dal mercato pubblici-tario e dal suo dominio planetario cheporta la Coca Cola e la nike ai vertici delsapere mondiale. Così il logo, pura etichet-ta commerciale, soppianta il simbolo, lega-to alla dimensione dell’oltre: dove prima siergeva la croce o il mandala ora c’è unabevanda dalla non meglio precisata com-posizione. Tutto è vissuto nel segno dellabanalizzazione. ma a galliani non bastaneppure la via di fuga nell’introspezionesoggettiva che ha animato il lavoro digrandi maestri del novecento. Vuol ripor-tare al centro il disegno, l’arte della linea,a cui il rinascimento fiorentino, elaboran-do la più antica teoria del disegno, ne ha

Galliani: il volto e l’infinitogioVAnni gAzzAneo

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sostenuto il primato sulle altre arti. Unaconsapevolezza che non è andata perdutanei secoli a seguire se de Chirico la defini-va “arte divina”. “il disegno – dice l’arti-sta emiliano – è febbre, spasimo, traspa-rente leggerezza che nasconde il colpovibrato e il palmo trascinando gli occhi achiudersi e ad aprirsi ritmicamente comeuna danza. danza del cuore e dellamano… Vorrei che il disegno finisse lì trai nodi, l’alba illuminasse i tuoi occhi mutaicona senza nome”. Ama leonardo eCorreggio, e, passando per odilon redon,ammira la tradizione tedesca ben viva inAnselm Kiefer, georg Baselitz, Penck. ilsuo sguardo non conosce limiti: edottodallo studio e dalle tecniche, ha saputoereditare la grande tradizione del disegnoitaliano per poi guardare oltre occidenteaffidandosi alla sapienza orientale.

omar, tornando al disegno, ci riproponeil volto, e quindi l’umano, in tutta la suabellezza e la sua forza, liberandosi dallemaschere e dalle deformazioni a cui erastato sottoposto dai maestri (veri e pre-sunti) del novecento. nel volto gallianiincarna lo spirito e spiritualizza la carnee ci offre un orizzonte dove estetica edestasi coincidono. Quei volti, queglisguardi ci risultano inafferrabili, posticome sono in una dimensione che vaoltre e ci invita ad andare oltre. dalla suamatita sprigiona una nuova armonia pos-sibile, una nuova poetica del cielo e dellaterra, un accesso al mistero nel segno diuna bellezza antica e insieme totalmentenuova e a noi contemporanea. i grandiclassici sono riletti con tagli fotograficiin una percezione che, a partire dalledimensioni spesso straordinarie, va oltre

omar galliani, disegno siamese, pastello e tempera su tavola, cm 60x120

pagina precedente: omar galliani, Sguardi, matita e pastello rosso su carta, cm 30x21

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la visione retinica del nostro occhio einsieme supera le possibilità tecnologichedi qualsiasi obiettivo, meccanico o digi-talizzato che sia. i suoi sono volti di“illuminati”. Una luce catturata nellamateria del pioppo, assorbita dall’alberoche si è fatto tavola e poi disegno e, gra-zie alla luce assorbita nelle sue membra,ha vissuto e si è proiettato verso il cielo.ma è anche la luce della sua grafite, chenon appartiene alla famiglia dei pastelli,ma è parente stretto del diamante, ilminerale più puro e trasparente che inmilioni di anni il ventre della terra abbiasaputo forgiare. in questa alchimia ditenebre e luce ha origine l’opera digalliani, nel segno dell’action painting:tutto si produce dal movimento del suocorpo sul corpo del pioppo. Tattile è laforma della creazione: nell’arte, comenella vita, non basta l’idea per creare. latrama dei segni entra in dialogo con lanervatura del legno e la tessitura dellacarta, non nel segno del caos ma dell’or-dine di una trama infinita, inafferrabile,quasi una grande composizione musicalegrazie alla quale un volto è creato e unosguardo è catturato. “la centralità delgesto definisce la mia opera. Accanto alavori di finitezza assoluta ho realizzatoopere di grande essenzialità, come lenuove anatomie, segnate da un impeto,un gesto che è immediato”. nei cicli deinuovi santi e nei disegni siamesi il dise-gno è frutto di una precisa e infinita retedi segni. “in alcuni punti la matita è uti-lizzata con estrema trasparenza, in altriquasi in maniera chirurgica la mina inci-de il legno e poi con il polpastrello creo

aloni, a formare una corona di spineoppure un’aureola”. la dimensione tem-porale della figura tocca i due estremi: dauna parte la pazienza del gesto cherichiede ore, giorni, mesi di lavoro, dal-l’altro il gesto che si realizza nell’istante.d’altronde non basta un istante d’amoreper concepire la vita? “il disegno è la miafollia. Uso anche il carboncino, più leg-gero e volatile. ma amo soffrire lì, sullagrafite. Se si osserva la battuta è sempredata in verticale, non incrocia mai.lavoro sul pioppo, perché è bianco e per-ché è il legno dei miei fiumi, come sefossi di fronte a una pagina”. il segreto di galliani è nello sguardo:verso se stesso, gli altri, il mondo. C’èabbastanza carne e abbastanza spiritonell’arte di galliani per ritrovare noi stes-si, per intuire che il nostro agire nonpossa essere dettato dalla volontà infini-ta di Cartesio o dalla libertà infondata eindifferente di Sartre. “C’è un’anatomia dello sguardo, chenon si risolve solo negli occhi. losguardo può essere dato da un colpo delpalmo della mano mentre disegno, edecco un riverbero luminoso, un puntonevralgico e qualcosa che non si puòesprimere con la descrizione fisica delmezzo: c’è una spiritualità e idealità cheva oltre l’occhio”.l’arte di galliani è donna. la donna èl’incipit, la donna è creazione, la donna èbellezza, la donna è sguardo interiore. isuoi volti sono frutto di un’operazionemediatica sorprendente. i soggetti sonotratti dai rotocalchi, appartengono almondo della pubblicità e della moda,

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sono statuaria mobile da sogno e insiemeda mercato. ma ecco che da simulacri diun marchio o di una griffe riacquistanorealtà, umanità, sacralità fino a diventa-re icona. e’ il cortocircuito della comuni-cazione globale: l’universo femminile daprodotto di consumo è proiettato nelciclo dei nuovi santi: “Hai rinunciatocosì all’abisso di un destino segnato dainumeri per scioglierti in un diveniresospeso e infinito” scrive galliani, sotto-lineando come il passaggio alla condizio-ne della santità, ma anche all’aspirazionedell’immortalità che fino alle avanguar-die animava l’opera di un vero artista,

implichi una sola rinuncia, la logica del-l’utile. e non c’è nulla di etereo: la cari-ca di sensualità del corpo femminileviene esaltata grazie alla tensione spiri-tuale che si esprime nella simbologia del-l’aureola, dei fiori, dei crani, delle stelle einsieme nella solitudine della figura,completamente estraniata dal mondo e daqualsiasi contesto: i suoi sono volti senzacornici, bastano a se stessi e bastano ainostri occhi. nel segno della bellezza edello stupore.

omar galliani, Sguardi,

matita e pastello rosso su carta, cm 30x21

omar galliani, Sguardi,

matita e pastello rosso su carta, cm 30x21

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omar gallianinuovi fiori

pastelli su tavola, cm 130x130

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omar gallianidisegno siamese

matita nera e inchiostro su tavola, cm 120x60

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omar gallianinuovi Santi

matita nera e inchiostro su tavola, cm 150x150

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omar gallianigrande disegno siamesematita nera su tavola, cm 150x150

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omar gallianinuove anatomie

matita e pigmento su tavola, cm 100x100

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omar gallianiSguardi

matita e pastello rosso su carta, cm 30x21

omar gallianiSguardi

matita e pastello rosso su carta, cm 30x21

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omar gallianiSguardi

matita e pastello rosso su carta, cm 30x21

omar gallianiSguardi

matita e pastello rosso su carta, cm 30x21

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BIOGRAFIE

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ANTONIA ARSLAN

laureata in archeologia, è stata professore diletteratura italiana all'Università di Padova. Èautrice di saggi pioneristici sulla narrativapopolare e d'appendice (dame, droga e galline.il romanzo popolare italiano tra ottocento enovecento) e sulla “galassia sommersa” dellescrittrici italiane (dame, galline e regine. lascrittura femminile italiana tra '800 e '900).Attraverso l'opera del grande poeta danielVarujan – del quale ha tradotto (con ChiaraHaiganush megighian e Alfred HemmatSiraky) le raccolte il Canto del pane e mari digrano – ha riscoperto la sua profonda e ine-spressa identità armena. Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio(metz Yeghèrn. il genocidio degli Armeni, diClaude mutafian), una raccolta di testimonian-ze di sopravvissuti rifugiatisi in italia(Hushèr.la memoria. Voci italiane di soprav-vissuti armeni), e le edizioni italiane di moltitesti sull’argomento (è appena uscito, di davidKherdian, lontano da casa). nel 2004 ha pubblicato il suo primo romanzo,la masseria delle Allodole, che è stato tradot-to in tutto il mondo, e tre anni dopo è statoportato sul grande schermo dai fratelli Taviani.nel 2009, sempre con rizzoli, ha pubblicato ilseguito, la strada di Smirne.

AURELIO AMENDOLA

nato a Pistoia, nel corso della sua lunga car-riera di fotografo Aurelio Amendola ha svilup-pato una particolare sensibilità per il mondodella scultura, documentando l'opera diJacopo della Quercia, michelangelo edonatello, e illustrando singoli capolavori emonumenti quali il pulpito pistoiese di

giovanni Pisano, il fregio robbianodell'ospedale del Ceppo, sempre a Pistoia,Santa maria della Spina e il Battistero a Pisa,San Pietro in Vaticano. Quest'ultimo lavoro, primo di una serie dedi-cata ai grandi temi dell'arte italiana visitatisecondo l'ottica personale del fotografo, pre-senta una campagna iconografica completa-mente nuova, calibrata sul "taglio" e sulle esi-genze specifiche del progetto: approfittandodella rara occasione di un contatto senza vin-coli con i monumenti berniniani e, più ingenerale, con i vari elementi architettonici escultorei caratterizzanti la cattedrale, simbolodi tutta la cristianità, Amendola riesce ariprenderne gli scorci e i particolari più ina-spettati. nel 1994 il suo volume Un occhio sumichelangelo – dedicato alla cappella mediceain San lorenzo a Firenze, di recente restaura-ta – ha vinto il “Premio oscar goldoni”. nel1995 una mostra su questo stesso tema vieneorganizzata a milano, a Palazzo reale,dall'Amministrazione Comunale. nel 1997 gli è stato conferito il noto premioalla carriera “Cino da Pistoia”.l'arte contemporanea rappresenta l'altro polodi grande interesse per Aurelio, che negli anniè arrivato a raccogliere una vera e propria gal-leria di ritratti, comprendente i più rinomatimaestri del XX secolo come de Chirico,lichtenstein, Pomodoro, Schifano, Kosuth,Warhol, per ricordarne solo alcuni. Questa col-lezione, che quotidianamente si rinnova conimmutata passione, aggiornandosi sui nomi esulle tendenze più all'avanguardia, acquista unparticolare valore culturale e umano graziealla lunga frequentazione personale del foto-grafo con gli artisti. All'opera di Amendola sidevono infatti numerose monografie dedicateai maggiori scultori e pittori contemporanei,tra cui quelle su marino marini, Burri, manzù,Fabbri, Ceroli, Vangi, Kounellis. Presso la

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Fondazione Arnaldo Pomodoro, sono espostealcune delle foto-ritratto più emblematiche delmaestro pistoiese. nel 2007 è stato il primo artista a esporre unamostra fotografica al museo dell'Hermitage diSan Pietroburgo; il tema affrontato le operescultoree di michelangelo Buonarroti.

GIUSEPPE BERGOMI

nato nel 1953 a Brescia, dopo l’Accademia diBelle Arti di Brera tiene la sua prima persona-le come pittore a Brescia e tre anni dopo iniziaa modellare. da quel momento cominciano irapporti con le più importanti gallerie italianee straniere e il consenso della critica più pre-stigiosa. “la forza, la capacità e la passione diplasticatore di giuseppe Bergomi mi hannosempre fatto ritenere che fosse un artista natu-ralmente destinato alla scultura; plasticatorecome creatore di volumi che posseggono emer-genza plastica, obbligati a occupare spazio.(...) ma la sua scultura non è mai stata iperrea-lista. Un fondamento di spinta alla verità laanima e la fa crescere; non la freddezza del-l’iper; ma il senso dell’aderenza al reale, degliaffetti veri, dell’attrazione per la figura e per ilcorpo. (...) oltre a occupare spazio, le operecreano intorno a sè altro spazio come se stabi-lissero un cerchio di vuoto e di silenzio, chenon si può superare, una protezione e unadistanza; rimangono, così, intatte e intoccabi-li; raggiungono un’assolutezza che sembracontraddire o abolire la realtà di cui sonosimulacri, ma che invece nasce proprio daquella profonda identificazione con il reale.”Così scrive roberto Tassi nella presentazionealla mostra tenutasi nel 1996 a milano. nel 1992-1993 l’Accademia di ChâteauBeychevelle lo invita a vivere e lavorare a

Chateau Beychevelle. in questa occasione rea-lizza una grande terracotta raffigurante l’alle-goria della giustizia con la quale vince ilgrand Prix Château Beychevelle 1993. nel1996 partecipa alla Quadriennale di roma enel 1997 vince il Premio Camera dei deputaticon un’esposizione personale a Palazzo divicolo Valdina a montecitorio. nello stessoanno il Principato di monaco acquisisce duegrandi sculture esposte alla Sesta Biennale diScultura di montecarlo. nel 2000 realizza unascultura monumentale in bronzo dal titoloUomini, delfini e parallelepipedi per l’ingressodell’acquario di nagoya, in giappone. nel2005 espone più di sessanta opere al Chiostrodel Bramante a roma e successivamente aPalazzo martinengo a Brescia. Vive con lamoglie Alma e le figlie ilaria e Valentina inprovincia di Brescia.

OMAR GALLIANI

nato nel 1954 a montecchio emilia, dove vive,omar galliani ha studiato all’Accademia di BelleArti di Bologna e insegna pittura all’Accademia diBelle Arti di Carrara. Agli inizi degli anni ottantaè stato esponente di spicco del gruppo degliAnacronisti e del magico Primario. Ha partecipa-to a tre edizioni della Biennale di Venezia e inquella del 1984 ha avuto una sala personale nellasezione “Arte allo specchio”. Sempre negli anniottanta ha partecipato alla Biennale di San Paolodel Brasile e alla Xii Biennale di Parigi. Ha espo-sto nei musei d’Arte moderna di Tokyo, Kyoto,nagasaki, Hiroshima, alla Hayward gallery dilondra, a due edizioni della Quadriennale diroma, alla galleria d’Arte moderna di Bologna,alla galleria nazionale d’Arte moderna di roma,in quelle di Francoforte e Berlino. negli anninovanta il suo lavoro è stato esposto allo

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Scottsdale Center for the Arts dell’Arizona, allamarian locks di Philadelphia e alla ArnoldHerstand gallery di new York. l’artista ha inoltrepresentato Feminine Countenances alla new YorkUniversity e nel 2000 Aurea al museum of theCentral Academy of Fine Arts di Pechino. Ha poiesposto presso il Palazzo delle Stelline a milano,alla galleria Civica di modena, al museo d’Artemoderna di Budapest, al Palacio Foz di lisbona, alPAC di milano. nel 2003 è stato invitato allaBiennale di Praga e alla prima edizione di quelladi Pechino, dove ha vinto il primo premio con tregrandi opere del ciclo nuove anatomie. nel 2005,all’Archivio di Stato di Torino nell’ambito dellamostra grande disegno italiano, un suo disegno(5 x 6,3 metri), grafite su pioppo, è stato messo aconfronto con il volto dell’angelo di leonardo,preparatorio della Vergine delle rocce, esposto allaBiblioteca reale. A Palazzo magnani di reggioemilia ha presentato la personale nuove anato-mie. Sempre nel 2005 il museo d’ArteContemporanea di guadalajara (messico) ha inau-gurato una sua personale dal titolo nuovi fiorinuovi santi e lo Spazio mazzotta di milano hapresentato la figlia era nuda. dal 2006 una sua personale dal titolo disegnoitaliano ha girato in Cina i più importanti museid’Arte moderna e Contemporanea, da Shangai,Chengdu, Jinan, Xian, Wuhan, Hangzhou,ningbo, a nanchino, dalian, Tientsin, Capitalmuseum di Pechino, e ha concluso il tour alla finedel 2008 a Honk Kong nella prestigiosa galleriad’arte Schoeni Art gallery. Sempre nel 2006l’Università e il museo di Caracas hanno ospitatouna sua personale dal titolo disegnarsi, che nel-l’aprile 2007 è stata portata al museo Hassan dirabat.il grande disegno italiano, la grande operaesposta a Torino nel 2005, è stata poi presentataal Palazzo della Permanente di milano nell’ambi-to della mostra la bellezza nel 2006, quindi aVerona, Palazzo della ragione, all’interno del-l’esposizione il settimo splendore.

nel giugno 2007 si inaugura la mostra Tra orientee occidente. omar galliani e il grande disegnoitaliano in Cina presso la sede della FondazioneQuerini Stampalia, inserita tra gli eventi collatera-li della 52a Biennale di Venezia. l’evento, realiz-zato con il patrocinio dell’Ambasciata Cinese initalia, in collaborazione con il ministero italianoper gli Affari esteri e il governo della repubblicaPopolare di Cina, vedrà la presenzadell’Associazione degli Artisti Cinesi e la collabo-razione dei musei di Shanghai, ningbo, dalian,Xian, Hanghzou, Jinan, Chengdu e Wuhan. nelmese di Aprile 2009 Christian mermoud inaugurauna sua personale alla galleria “Angle Art-ledAttitude & design" a Saint Paul de Vance, il 31 diluglio si inaugura sempre a Saint Paul de Vance unnuovo spazio "Angle Art e design" , all'interno ein permanenza si apre "Space galliani" che racco-glie in permanenza sue opere. la galleria "k 35" dimosca apre una sua personale da maggio a lugliocon un nuovo ciclo di opere. la Fondazionemichetti di Francavilla al mare gli dedica unagrande retrospettiva, catalogo Allemandi. nelmaggio e per tutta l'estate, la galleria "Shangheie"di Shanghai allestisce una sua personale “lontanoda Xian". Sempre in quelle date a Vienna l'istitutoitaliano di Cultura ospita nei propri spazi una suapersonale; a lucca a Villa Bottini e nel museoArcheologico di Palazzo guinigi presenta “dalleStanze dei miei disegni”. nel 2009 è ancheVenezia nella collettiva “dètournemen” nell’anticoospizio di San lorenzo – evento collaterale alla53° Biennale - e Andy Warhol-omar galliani,ospitata nel Chiostro di Santa Apollonia. in otto-bre la galleria dep Art gli dedica un ampio omag-gio retrospettivo. All’istituto italiano di Cultura diBogotà (Colombia) si è tenuta una sua personaledal titolo 21 dibuyos por una noche in Bogota. il 2010 si è aperto con una mostra al museoBorges di Buenos Aires che verrà poi ospitata daaltri 4 musei argentini e, nel 2011, da istituzionibrasiliane.

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stampato in 600 copiein occasione della mostra

Sguardi di luceAmendola | Bergomi | galliani

da galli e Thierrymilano

ottobre 2010