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ai lettori stampe trimestrali - Sped. abb. post. 70% - filiale di Milano - n. 3 - 2007 - registrazione Tribunale di Milano n. 5379, II-8-1960. stampa: Stampamatic Spa - Settimo Milanese (MI) - via Albert Sabin, 20; fotocomposizioni: Artea (Settimo Milanese) - via Albert Sabin, 26; fotolito: Digital Seleprint s.r.l. - Milano - via Cortina d’Ampezzo,12. In questo numero una piccola variazione nell’interesse e nello spazio per quanto riguarda le pagine che periodicamente la rivista dedica alla cultura artistica. Dopo gli ultimi fascicoli dell’annata 2006, ricchi di memorie storiche e, per quanto concerne il primo semestre 2007 correlato a importanti ricorrenze periodiche dall’antico come la Festa del Perdono, ci fermiamo qui in particolare su due presenze d’arte prestigiose, legate entrambe alla nostra città. Pietro Marani, professore straordinario di Storia dell’Arte moderna nel Politecnico di Milano, facoltà del design e mem- bro della Commissione artistica della Fondazione, nel saggio “Le teste grottesche di Leonardo tra anatomia, scienza fisiognomica e arte” descrive il rapporto fra studio della figura umana, fisiognomia e anatomia in Leonardo; sottolinea la differenza fra caricatura, testa caricata e grottesca e, infine, accenna al tema delle grottesche dal ‘500 al ‘700. La dottoressa Sandrina Bandera, direttore della Soprintendenza al patrimonio storico artistico di Milano, con “La pittura giottesca a Milano e la nascita del proto-umanesimo della corte viscontea” allarga la nostra conoscenza dell’influenza di Giotto sull’area artistica milanese e lombarda. Nel fascicolo, in apertura, una “lezione” del prof. Giorgio Cosmacini che tratteggia, in un excursus storico da Ippocrate ai giorni nostri, il ruolo didascalico che hanno svolto in medicina le “sentenze” o “massime” chiamate “aforismi”. “Cuore e salite”: un titolo che suscita interesse sùbito e curiosità. Se poi vi si aggiungono “le scale del Duomo e la pre- venzione delle malattie cardiovascolari”, il lettore è stimolato a percorrere le pagine scientifiche di Fabio Magrini e Ste- fano Carugo con la rivelazione che ne verrà. Lo studio, il brevetto, l’invenzione brevettata: dissertazione della dottoressa Laura Spinardi sui problemi della ricerca, sull’importanza di promuoverne e tutelarne la conoscenza con l’auspicabile progressivo avvicinamento fra il mondo degli enti pubblici e il mondo industriale. Le malattie rare: argomento più che mai di attualità. Sono purtroppo numerosissime e in crescita come numero e tipolo- gia, nonostante gli studi e l’attenzione “provata” nel campo scientifico e di sanità pubblica. L’opportuno richiamo qui e l’informazione sono delle dottoresse Faustina Lalatta e Silvana Castaldi. “Prime riflessioni sul progetto Toyota.... ” probabilmente una sorpresa il titolo di questa trattazione. Ma nella pagina di introduzione gli autori dottori Francesco dellaCroce e Federico Dioni soccorrono con brevi chiare motivazioni la scelta di sistemi tecnico-organizzativi notoriamente sperimentati nell’industria per raggiungere le volute finalità dell’assistenza e della cura di chi le chiede. Con l’articolo di Piero Lotito non siamo certo alle medicine alternative, ma a una pari sorprendente interpretazione di inevitabili gesti quotidiani che non sanno d’essere, in simpatica ironia, un aiuto possibile al nostro “cercar salute”... Una buona e attesa notizia nel settore amministrativo della Fondazione, l’istituzione dell’Ufficio Affari Generali, Legale e delle Assicurazioni. Le motivazioni relative nelle pagine firmate dall’avv. Giuseppina Verga che lo dirige. Riflessioni e considerazioni di Elisabetta Zanarotti Tiranini su due concetti base del vivere quotidiano, da prendere in considerazione per eventuali probabili momenti e accadimenti diversi. Una lettura gratificante che impegna. Il dott. Nino Sambataro si ferma con rigore sulla “saggezza” storicamente intesa anche in rapporto alla nostra attualità. Problema-argomento (“Libertà, un diritto?”) affrontato con passione e consapevolezza da Francesca Maria Eulisse. Affermazioni coraggiose e forse condivisibili. Due personalità del nostro mondo medico purtroppo non sono più fra noi. Le ricordano per tutti affettuosamente due autorevoli colleghi. L’asterisco, le recensioni librarie e le cronache amministrative concludono il fascicolo.

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ai lettori

stampe trimestrali - Sped. abb. post. 70% - filiale di Milano - n. 3 - 2007 - registrazione Tribunale di Milanon. 5379, II-8-1960.

stampa: Stampamatic Spa - Settimo Milanese (MI) - via Albert Sabin, 20; fotocomposizioni: Artea (SettimoMilanese) - via Albert Sabin, 26; fotolito: Digital Seleprint s.r.l. - Milano - via Cortina d’Ampezzo,12.

In questo numero una piccola variazione nell’interesse e nello spazio per quanto riguarda le pagine che periodicamentela rivista dedica alla cultura artistica. Dopo gli ultimi fascicoli dell’annata 2006, ricchi di memorie storiche e, per quantoconcerne il primo semestre 2007 correlato a importanti ricorrenze periodiche dall’antico come la Festa del Perdono, cifermiamo qui in particolare su due presenze d’arte prestigiose, legate entrambe alla nostra città.

Pietro Marani, professore straordinario di Storia dell’Arte moderna nel Politecnico di Milano, facoltà del design e mem-bro della Commissione artistica della Fondazione, nel saggio “Le teste grottesche di Leonardo tra anatomia, scienzafisiognomica e arte” descrive il rapporto fra studio della figura umana, fisiognomia e anatomia in Leonardo; sottolinea ladifferenza fra caricatura, testa caricata e grottesca e, infine, accenna al tema delle grottesche dal ‘500 al ‘700.

La dottoressa Sandrina Bandera, direttore della Soprintendenza al patrimonio storico artistico di Milano, con “La pitturagiottesca a Milano e la nascita del proto-umanesimo della corte viscontea” allarga la nostra conoscenza dell’influenza diGiotto sull’area artistica milanese e lombarda.

Nel fascicolo, in apertura, una “lezione” del prof. Giorgio Cosmacini che tratteggia, in un excursus storico da Ippocrateai giorni nostri, il ruolo didascalico che hanno svolto in medicina le “sentenze” o “massime” chiamate “aforismi”.

“Cuore e salite”: un titolo che suscita interesse sùbito e curiosità. Se poi vi si aggiungono “le scale del Duomo e la pre-venzione delle malattie cardiovascolari”, il lettore è stimolato a percorrere le pagine scientifiche di Fabio Magrini e Ste-fano Carugo con la rivelazione che ne verrà.

Lo studio, il brevetto, l’invenzione brevettata: dissertazione della dottoressa Laura Spinardi sui problemi della ricerca,sull’importanza di promuoverne e tutelarne la conoscenza con l’auspicabile progressivo avvicinamento fra il mondo deglienti pubblici e il mondo industriale.

Le malattie rare: argomento più che mai di attualità. Sono purtroppo numerosissime e in crescita come numero e tipolo-gia, nonostante gli studi e l’attenzione “provata” nel campo scientifico e di sanità pubblica. L’opportuno richiamo qui el’informazione sono delle dottoresse Faustina Lalatta e Silvana Castaldi.

“Prime riflessioni sul progetto Toyota....” probabilmente una sorpresa il titolo di questa trattazione. Ma nella pagina diintroduzione gli autori dottori Francesco della Croce e Federico Dioni soccorrono con brevi chiare motivazioni la sceltadi sistemi tecnico-organizzativi notoriamente sperimentati nell’industria per raggiungere le volute finalità dell’assistenzae della cura di chi le chiede.

Con l’articolo di Piero Lotito non siamo certo alle medicine alternative, ma a una pari sorprendente interpretazione diinevitabili gesti quotidiani che non sanno d’essere, in simpatica ironia, un aiuto possibile al nostro “cercar salute”...

Una buona e attesa notizia nel settore amministrativo della Fondazione, l’istituzione dell’Ufficio Affari Generali, Legale edelle Assicurazioni. Le motivazioni relative nelle pagine firmate dall’avv. Giuseppina Verga che lo dirige.

Riflessioni e considerazioni di Elisabetta Zanarotti Tiranini su due concetti base del vivere quotidiano, da prendere inconsiderazione per eventuali probabili momenti e accadimenti diversi. Una lettura gratificante che impegna.

Il dott. Nino Sambataro si ferma con rigore sulla “saggezza” storicamente intesa anche in rapporto alla nostra attualità.

Problema-argomento (“Libertà, un diritto?”) affrontato con passione e consapevolezza da Francesca Maria Eulisse.Affermazioni coraggiose e forse condivisibili.

Due personalità del nostro mondo medico purtroppo non sono più fra noi. Le ricordano per tutti affettuosamente dueautorevoli colleghi.

L’asterisco, le recensioni librarie e le cronache amministrative concludono il fascicolo.

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Secondo l’accezione usuale, “aforisma”, da aphori-smòs (apò e horòs), significa “limite”, “confine”, cioè“separazione”, “definizione” e, in senso lato, “senten-za”. Isidoro, medico, vescovo di Siviglia vissuto tra il560 e il 636, autore di una enciclopedia in venti libriintitolata Etymologiae o Origines e contenente tuttolo scibile altomedievale, afferma che «aphorismus estsermo brevis» (libro 4, 10), un “breve sermone” espri-mente non una “sentenza assoluta”, ma un pensierosuccinto e concluso, utile e pratico.Un grande medico del Settecento, per lunghi anni incattedra a Padova, Giambattista Morgagni, ebbe adire in una sua lezione che «come il verbo grecoaphorizo presenta, oltre al significato di “separare”anche quello di “costruire” nel senso di “determina-re” e di “scegliere”, così bisogna intendere peraphorismi pensieri non solo isolati fra loro, mascelti per brevità e utilità, e ben formati, ossia conragionatissimo progetto».Ma partiamo da Ippocrate, il gran padre della medi-cina laica occidentale fiorita in Grecia sul finire delV secolo a. C. Tra le settanta e più opere del Corpushippocraticum raccolto dai bibliotecari di Alessan-dria, i libri degli Aforismi compendiano un sapereche per oltre due millenni, cioè da Ippocrate a Mor-gagni, ha avuto una grande fortuna, superiore aquella di ogni altra opera ippocratica. Fino all’Otto-cento essi hanno rappresentato una delle fonti pri-marie dell’arte medica, il pane quotidiano dell’arti-sta o artigiano, cioè del medico pratico, e la “Bib-bia” di questi, cioè il testo sacro sul quale giurare inverba magistri.Non è un caso che gli Aforismi di Ippocrate «al paridella Bibbia conobbero edizioni innumerevoli fin

dall’antichità: 140 manoscritti greci, 232 latini, 70arabi, 40 ebrei, perfino uno siriaco; per non parlaredelle edizioni dal medioevo a noi». Così MarioVegetti, curatore del volume delle Opere scelte diIppocrate (edito nel 1976 dalla UTET). Scriveancora Vegetti: «In realtà, la fortuna degli Aforismidipende, oltreché dall’antica fama secondo la qualelo stesso vecchio maestro si sarebbe dedicato, giun-to al termine della vita, a condensare in essi la pro-pria sapienza, da ragioni più sottili».Una di queste «ragioni sottili» è, a mio avviso,quella che l’ippocratica “arte della cura” o tèchneiatriké era nata dalla Jonia, come la tèchne geome-trica, l’arte di misurare la terra, la tèchne georgica,l’arte di coltivare e curare i campi e le piante, latèchne cibernetica, l’arte di governare e pilotare lanavicella nella tempesta verso l’approdo sicuro. Poiquesta tèchne iatriké, quest’ “arte curativa”, natacome pratica empirica, aveva provveduto a darsi unmetodo, che oggi chiameremmo “metodo clinico” ea darsi addirittura una episteme, una teoria scientifi-ca articolata nei quattro umori corporei (sangue,flegma, bile, atrabile), nei quattro temperamentipsichici (sanguigno, flemmatico, biliare o bilioso,atrabiliare o melanconico), nella loro “eucrasìa” obuona mescolanza e nella loro “armonia” con “leacque, l’aria e i luoghi”, cioè con l’ambiente.Problematizzata in questa scienza psicofisiologicaed ecologica, l’arte primigenia tendeva ad appesan-tirsi di un bagaglio teorico che l’avrebbe distaccatao distanziata dalla sua immediata fruibilità su largascala da parte degli esercenti dell’arte stessa. Tantopiù che alla stessa Esapoli di cui faceva parte l’isoladi Kos, culla dell’ippocratismo, apparteneva lapenisola di Cnido, altro centro d’irradiazione delmestiere di medico, la cui Scuola proponeva unmodello di apprendimento ed esercizio dell’arte piùimmediato e più agevole.Le Sentenze cnidie sono infatti un testo anterioreagli scritti ippocratici, lontane da ogni influenza o

Aforisma e medicina

GIORGIO COSMACINI*

* Dalla ricerca di più autori su La brevità felice. Contributi allateoria e alla storia dell’aforisma (Ed. Marsilio, Venezia 2006) acura di Mario Andrea Rigoni con la collaborazione di Raoul Bruni,pubblichiamo la “lezione” (g. c.) tenuta all’Università di Padovadal professor Giorgio Cosmacini.

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istanza teorica, totalmente orientate in senso empi-rico e pratico. Tali “sentenze” costituiscono, nelloro insieme, un manuale di apprendimento, un bre-viario di consultazione, un catalogo di morbi emedicamenti con rapporto tra gli uni e gli altri.Sono un vademecum utilissimo ai medici itinerantida villaggio a villaggio, formati più da una sveltalettura della parola scritta che da un assiduo ascoltodella parola del maestro.Il testo scritto delle Sentenze cnidie è confacentealla nomenclatura, alla catalogazione, alla memo-rizzazione, ed è bene utilizzato sul campo da partedi medici non certo assillati da preoccupazioni psi-cofisiologiche, patogenetiche, scientifiche. «Prova adare», è l’esordio delle ricette cnidie, all’insegna diun empirismo farmacologico scevro da teorie, Laprecettistica cnidia è fondativa di una prassi ateori-ca; e il testo scritto è un documento che può essereesibito per autenticare il proprio ruolo di curante, odi guaritore, al posto di una patente medica che nonesiste, dal momento che nella Grecia classical’“arte della cura” è un mestiere spontaneo, non isti-tuzionalizzato e non ufficiale.Il vecchio Ippocrate tiene nel debito conto questaconcorrenza cnidia sul mercato delle cure. I suoiaforismi - questo è il mio avviso - sono una medita-ta risposta alla concorrenza. Pubblicati alla fine delV secolo, gli Aforismi ebbero immediatamentefavore e consenso. Peraltro, ridotto il sapere medicodalla sistematicità di altre opere ippocratiche al pra-ticismo, empirismo ed eclettismo di brevi pensiericon il solo marchio dell’utilità, tali pensieri finironoper mettere in secondo piano o addirittura trascura-re quanto di più creativo e fecondo avevano fin lìelaborato la metodologia e l’epistemologia dellaScuola ippocratica.

Scrive ancora Vegetti:«Non si vuole con questo destituire di ogni valore ilibri degli Aforismi. È incerto se essi siano stati pub-blicati vivente il maestro o postumi. È indubbio inve-ce che i migliori degli Aforismi, quelli che derivanopiù da vicino dalle grandi opere ippocratiche, enun-ciano verità importanti, chiariscono punti là soloaccennati, aggiungono qualche sviluppo relativamen-te originale. Resta il fatto che i più sono gratuiti,infondati o addirittura affetti da superstizioni o cre-denze popolari, mentre soprattutto è la forma dogma-

tica, da prontuario, quella che isola i vari contenutidal contesto storico, metodologico, culturale, privan-doli dell’unica garanzia di validità generale e metten-done quindi a nudo le insufficienze e le lacune».

In questo chiaroscuro valutativo, di luci e ombre, gliAforismi di Ippocrate sono stati suddivisi da Galeno,sei secoli dopo la loro scrittura, in sette sezioni,delle quali le più importanti sono la prima, dedicataalla dieta, la seconda, dedicata alla prognosi e tera-pia, la terza, concernente i rapporti tra età delpaziente, stagioni dell’anno ed eventi morbosi.Significative sono anche la quarta, che tratta delleevacuazioni e delle febbri, e la quinta, attinente allemalattie acute e alle malattie delle donne. Di minoreimportanza sono la sesta e la settima sezione, com-prendenti una miscellanea di svariati argomenti.Sull’esempio di Ippocrate e di Galeno, i medici sisono serviti nei secoli degli Aforismi per esprimereaggiunte, modifiche, riflessioni personali. Nell’XIsecolo il Regimen sanitatis salernitanum, elaboratodalla Scuola di Salerno, centro bizantino-longobar-do-normanno definito dai contemporanei hippocra-tica civitas, è una “regola di salute” che appartieneal genere scientifico-letterario del compendium eche, in quanto tale, è una “summa” di precetti com-pendiati in 362 versi facilmente memorizzabili,pronti all’uso e fruibili. I buoni rimedi si alternanoagli utili consigli. Detto anche Flos medicinae, è un“florilegio medico” che, a ben vedere, tende a nega-re se stesso: ha infatti lo scopo d’insegnare a vivereuna vita sobria, senza eccessi né difetti, facendo ameno del medico. Se la salute, in quanto benesommo, è il fine imprescindibile, la medicina è unmezzo dal quale, con un buono stile di vita, è possi-bile prescindere.Valga, a dar conto dell’intero “compendio”, il suoincipit:«Se vuoi vivere sano e senza malischiva gli affanni, guardati dall’irabevi e mangia, ma poco; dopo il pastoalzati tosto e mai non assopirtisvuota i visceri a tempo, senza indugicosì facendo avrai lunga vita».

Non molto diverse sono, in altro ambito culturale,le Regole per la salute del Sultano, scritte nel XII

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secolo dal medico ebreo Mosè Maimonide per ilfiglio del Saladino. È un “compendio” situato nel-l’ambito di una medicina d’élite, come quella dellacorte araba del Cairo. Solo una persona altolocatapuò essere in grado di seguire le regole minuziose epreziose prescritte da Maimonide, medico anch’eglid’alto rango; tuttavia vi si legge, in forma aforistica,un’apertura a più vaste fasce di fruitori, in quanto icomportamenti di vita consigliati rappresentanomodelli largamente imitabili.Molto di quanto detto fin qui, come scrive MassimoBaldini in Medicina: la borsa e la vita (Milano,Mondadori, 1993) è ben sintetizzato in uno scritto diun autore del Cinquecento, il medico Leonardo Fio-ravanti di Bologna. Quest’ultimo, nelle riflessioniche precedono i suoi 77 «dottissimi aforismi: ne’quali con breve e facil modo s’insegna a conoscer etcurare tutte le sorti et qualità di mali», scriveva:«Non sono altro gli aforismi se non una luce che illu-mina la memoria e l’intelletto de’ medici et a cirurgi-ci, mediante la quale col loro giudicio et con granfacilità possono pronosticare le infermità, far giudi-cio della vita et antiveder la morte, cose tutte chesono oltra modo necessarie [a coloro che tal profes-sione vogliono esercitare], percioché se uno mediconon sapesse pronosticare le infermità, far giudiciodella vita et antiveder la morte, non si potria chiamarmedico, ma solamente operaio della medicina».

Commenta Baldini:«Gli aforismi sono, di fatto, una modalità di scritturache porta le stimmate di una cultura orale. L’uomoche vive in tale cultura non ha documenti, ha solo lamemoria. Egli sa ciò che ricorda e per ricordare habisogno di formule. Gli aforismi hanno una forza«oracolare», sono un efficace strumento di semplifi-cazione nella foresta della vita. Ecco perché l’afori-sma, come scrive Howard Fabing, «dai tempi diIppocrate è stato il veicolo letterario della classemedica […]. L’aforisma» egli conclude «rimane l’in-discusso contributo del medico alla letteratura».La prima edizione greca degli Aforismi è quella delleopere complete di Ippocrate pubblicata da AldoManuzio nel 1526; la prima edizione greco-latina èquella di Venezia, dei Giunta, del 1588; la prima edi-zione latina è quella di Roma, di Francesco MinzioCalvo, del 1525. L’edizione più corretta è quella pub-blicata a Parigi nelle opere complete coll’accuratissi-

mo commento del Littrè, nel 1839. Delle traduzioniitaliane meritano di essere citate quelle del Levi(Venezia 1843) e del Cardini (Roma 1927).Dopoché nei secoli XVI e XVII l’arte della stampaha contribuito alla rifioritura e alla divulgazioneamplissima degli Aforismi di Ippocrate, il più gran-de clinico del tempo, l’olandese Hermann Boerhaa-ve, irradiante dall’Università di Leida la scienzamedica neoumoralista e salutato come totius Euro-pae praeceptor, elabora nel 1709 gli Aphorismi decognoscendis et curandis morbis come “compendioparticolare” del proprio “sistema generale”. Si rial-lacciano, nel titolo e nella forma espositiva, ai pro-totipi celeberrimi e sfiorano, nel numero, i millecin-quecento. Costituiscono, nel loro complesso, il frut-to dell’osservazione ripetuta, dell’esperienza al lettodell’ammalato. Sono il prestadio della “rinascitadella clinica”.Cinquant’anni dopo, in piena età di lumières o diAufklärung, Anton de Haën, medico olandese chetrapianta a Vienna il metodo clinico-didattico dellaScuola di Leida, dà alle stampe cinque corposi volu-mi intitolati Commentaria in Hermanni Boerhaaveaphorismos. È press’a poco il tempo in cui a PadovaMorgagni rivendica agli aforismi la citata loro perti-nenza a un “ragionatissimo progetto” utilizzante piùl’intuizione che la logica formale («l’intuizione è lascorciatoia dell’intelligenza» dirà Benedetto Croce)e approdante a risultati di sicura utilità.Scrive ancora Baldini che, a partire dall’Ottocentomaturo, «i medici hanno a poco a poco abbandona-to la scrittura aforismatica e, nel nostro secolo, sol-tanto i consigli etici o quelli metodologici hanno,talora, mantenuto ancora, legittimamente, siffattaforma. Nella polemica contro il pensiero aforismati-co scoppiata tra Ottocento e Novecento, un posto ditutto rilievo spetta ad Augusto Murri (1841 - 1932).I pratici dei secoli passati - egli ha scritto - potevanogodere un po’ meglio di una specie di quieto vivereintellettuale! In quel mondo autoritario d’infaustamemoria la coscienza loro s’acquetava nei precettipromulgati da qualche gran Clinico. Ora nondovrebbe più essere così. Perché l’errore della miamente non potrebbe scusare voi, se non avete cerca-to di preservarvene. Ci sono tuttora dei Clinici cheinsegnano per sentenze, per aforismi, e hanno granfortuna come maestri, perché lo scolaro torna a casacredendo d’avere con sé un tesoro. E sarà ben così

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il più spesso. Ma anche il professore erra e lo stu-dente porta seco anche gli errori del maestro, se nonha l’abitudine di esaminare col proprio cervello lesentenze di tutti.Tuttavia, nonostante questa forte presa di posizionedi Murri contro gli aforismi, due suoi allievi, essen-do ancora lui vivente, trassero dalle sue opere unaserie di brevi pensieri dal valore aforismatico e liraccolsero in un libro che ottenne un qualche suc-cesso editoriale. Come si può vedere da questosignificativo episodio, il desiderio di avere della«saggezza in pillole», come scrive il celebre storicodella scienza George Sarton, è, nonostante tutto,ancora forte nel XX secolo».Forse lo sarà anche nel nuovo millennio.

Asterisco

Frammenti vygotskiani

Se la musica non detta immediatamente gliatti che la devono seguire, da quell’orienta-mento che essa dà alla catarsi dell’animodipende anche quali forze arrecherà allavita, che cosa libererà e che cosa respingerànel profondo. L’arte, più che altro, è un’or-ganizzazione del nostro comportamento invista del futuro, […] che ci costringe a pro-tenderci al di sopra della nostra vita reale,verso quello che giace al di là.

L. S. Vygotskij,Psicologia dell’arte, 1925, p. 344

È assai ingenuo dare al termine “sociale” ilsenso di “collettivo”, quello cioè della pre-senza di una moltitudine di persone. Lasocialità è anche là dove c’è un uomo solo,con le sue personali vicissitudini interiori.[…] Le cose non vanno davvero secondo ilmodello immaginato dalla teoria del conta-gio, per cui il sentimento sorto in un indivi-duo contagerebbe gli altri e diventerebbesociale […]

L. S. Vygotskij,Psicologia dell’arte, 1925, p. 339

La sottomissione alla regola e la rinunciaad agire secondo un impulso immediato è ilcammino verso il massimo piacere. Uncarattere essenziale del gioco è quindi laregola divenuta affetto. «L’idea divenutaaffetto, il concetto trasformatosi in passio-ne» è il prototipo di questo ideale di Spino-za nel gioco, regno della spontaneità edella libertà […]

L. S. Vygotskij,Immaginazione e creatività

in età infantile, 1930, p. 135

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I medici consigliano il movimento

Da parecchi anni i medici di tutto il mondo, e inparticolare quelli che si occupano di malattie car-diovascolari, consigliano di fare regolarmente atti-vità fisica. Questa raccomandazione è per lo piùdiretta a chi sta bene, con l’obiettivo di prevenire il“rischio sedentarietà” e quindi proteggersi controla pressione alta (ipertensione) e l’aterosclerosi(ipercolesterolemia). Queste due condizioni sono,come tutti sanno, la principale fonte di “dannod’organo.” (dall’infarto del cuore all’ictus del cer-vello etc). Anche chi ha già avuto un “danno d’or-gano” viene incoraggiato a fare esercizio fisicosecondo programmi personalizzati con l’obiettivodi favorire la ripresa della funzione circolatoria.Insomma i medici si sono convinti che uno dei fattoridi protezione “naturale” per prevenire ipertensione eipercolesterolemia sia proprio l’attività fisica. Se le cose stanno così diventa utile chiedersi quantisono i milanesi che con continuità, e possibilmentecon piacere (vedremo poi il perché del piacere)usano regolarmente i loro muscoli. Sono in aumen-to? Sono in diminuzione?L’Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli eRegina Elena, Facoltà di Medicina, che d’ora inpoi chiameremo semplicemente Fondazione è l’u-nica Istituzione (per quanto sappiamo) che da cin-que anni raccoglie informazione sul comportamen-to del cuore durante uno sforzo fisico in campionicasuali di popolazione che salgono a piedi, e perproprio piacere sulle terrazze del Duomo di Mila-no. (figg. 1, 2)L’iniziativa chiamata “Cuore e Salite - La salita delDuomo” si ripete ogni anno (per lo più l’ultimosabato di settembre) con l’obiettivo di sapere quan-to sono allenati allo sforzo fisico i cuori dei mila-

nesi, misurando loro i battiti cardiaci prima e dopola salita, Da questa informazione sulla fisiologia(cioè sulla risposta) del cuore all’esercizio musco-lare si può capire quanti sono i cuori allenati, equindi, quanti sono i milanesi e non milanesi(numerosi sul nostro Duomo) che svolgono rego-larmente attività fisica. Se l’abitudine all’eserciziomuscolare diventerà sempre più diffuso a tutte leetà, dai bambini ai meno giovani, la prevenzioneandrà avanti. E questa è la buona notizia che tutti

“Cuore e Salite”Le scale del Duomo e la prevenzione delle malattie cardiovascolari

FABIO MAGRINI, STEFANO CARUGO

fig. 1

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aspettiamo. Se non fosse così sarà opportuno“aggiustare il tiro”delle campagne dei medici e deimezzi di informazione per stimolare a fare più“movimento”.

Le salite fanno bene al cuore?

In salita il cuore batte più in fretta, si respira anchepiù in fretta e si suda. Come mai queste sensazioniche dall’uomo primitivo ad oggi tutti hanno certa-mente provato almeno una volta vengono conside-rate dai medici un “fattore di protezione” per ilnostro apparato cardiovascolare? Diciamo subitoche a questi tre effetti misurabili facilmente, e spe-rimentabili anche in altre condizioni (per esempiodurante una forte emozione) si associa la sensazio-ne soggettiva di fatica. Questa è più difficile damisurare e spesso è influenzata da un’altra sensa-zione complessa, cioè il “piacere” o il “dispiacere”dello sforzo fisico, in questo caso la salita.La sensazione soggettiva di fatica mascherata oenfatizzata dal piacere/dispiacere è un segnale cor-poreo che i medici raccomandano di imparare asentire. Interrompere o rallentare l’esercizio quan-do il segnale stanchezza compare è la prima racco-mandazione per trasformare la fatica della salita inallenamento cardiovascolare e quindi in fattore diprotezione. Fatta questa puntualizzazione, va dettoche salire le scale del Duomo di Milano, quelle dicasa o salire su una montagna è un lavoro: si spostada un punto ad un altro il peso del nostro corpo.Perché fa bene? Per fare questo lavoro bisogna bru-ciare (ossidare) del materiale (immagazzinato nei

muscoli e in altri depositi) trasformando energiachimica in energia meccanica, cioè nel movimento.Questo fa aumentare la temperatura corporea.Poiché le nostre cellule lavorano bene intorno ai37°, vengono attivati i meccanismi di dispersionedel calore, si dilatano le arterie della cute (si diven-ta rossi) e si inizia a sudare cioè a disperdere calorecon l’evaporazione. Il cuore che in condizioni diriposo pompa circa 5 litri di sangue al minutoaumenta la sua portata e può arrivare a far circolarein tutto l’organismo sino a 30-35 litri al minuto,aumentando il numero dei suoi battiti e la forzadelle sue contrazioni. Molte arterie si dilatano, inparticolare le coronarie favorendo così lo scorri-mento veloce del sangue ossigenato, i polmonilavorano più in fretta per fornire ossigeno, ed ilcervello coordina tutti questi cambiamenti in modoistantaneo e automatico.In estrema sintesi può essere utile che il lettore nonmedico riceva questo messaggio: le salite fannobene perché aumentano la domanda di ossigeno deimuscoli e stimolano cuore, arterie e polmoni a fareginnastica. La ginnastica in particolare delle arterieserve a conservare la loro capacità di dilatarsi. Nonè escluso infine (la ricerca nei prossimi anni daràuna risposta chiara) che la ginnastica cardiovasco-lare tenga attive le cellule deputate alla riparazionedei danni dell’endotelio (rivestimento interno dellearterie) coinvolto nello sviluppo di quasi tutti idanni d’organo. Queste cellule fanno parte del“sistema delle staminali dell’adulto”, che per lamedicina preventiva, in particolare cardiovascolare,potrebbe diventare più importante di quanto sinoad ora è stato per la medicina curativa.

L’allenamento migliora il rendimento del cuore

Tutti sanno che una persona adulta ha 60-80 battiticardiaci in un minuto, mentre un neonato ne svi-luppa 130-140 (quasi il doppio).Ogni età ha un numero di battiti del cuore (fre-quenza cardiaca) che la caratterizza, ma a tutte leetà esiste anche una riserva di battiti da utilizzaredurante gli sforzi muscolari o durante altre situa-zioni che richiedono un aumento della portata car-diaca (emozioni, digestione etc). Questa riserva dibattiti (frequenza cardiaca massimale) si può calco-lare in modo approssimativo ma credibile con la

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fig. 2

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preso abitudine a fare movimento), chi utilizza piùdel 75% non ha un cuore allenato (ha preso abitu-dini da sedentario).

Allenati 47%, non allenati 53%

Dal 2003 ad oggi il numero di persone con cuoreallenato (fanno regolarmente attività fisica) è inleggero aumento (fig. 4).

Si è infatti passati dal 45% del 2003 al 48% del2007. Il campione di popolazione che ogni anno èstato testato oscilla tra 300 e 400 persone con una etàcompresa tra 6 e 83 anni, 56% uomini e 44% donne.Pur trattandosi di campioni relativamente piccoli, ilfatto che le percentuali si ripetano nel corso di cin-que anni con una certa stabilità, essendo i parteci-panti ogni anno diversi, consente di vedere una ten-denza all’aumento dell’abitudine a fare attività fisi-ca. Da segnalare che i meno allenati sono gli indi-vidui con età superiore ai 40 anni, età in cui comin-cia ad aumentare il rischio di danno d’organo diorigine circolatoria (ipertensione) e metabolica(ipercolesterolemia) (fig. 5).Le donne risultano meno allenate alle salite degliuomini (39% contro 61%) e i turisti stranieri cheogni anno formano il 30% dei partecipanti hannodei cuori più allenati degli italiani (58% contro42%) (fig. 6).

Cuore e monumenti verticali

“Cuore e salite” vorrebbe stimolare i milanesi enon milanesi a fare attività fisica possibilmente

fig. 3

seguente formuletta: 220 meno l’età. Per esempiouna persona di 50 anni (220-50=170) ha una fre-quenza massimale di circa 170 (fig. 3).

I medici consigliano di utilizzare poco la frequenzamassimale e ritengono buona norma non superareil 75% della massimale durante la salita o l’attivitàsportiva non agonistica. La cosa interessante è statoaver capito che l’esercizio fisico, se fatto con conti-nuità (30 minuti al giorno) nello spazio di circa seimesi ha l’effetto di una medicina. Può consentire difare uno sforzo con un minor utilizzo della riservadi battiti cardiaci. È l’effetto dell’allenamento.L’efficienza cardiovascolare aumenta. Diventa faci-le capire se un cuore è allenato (quindi protetto) onon allenato (meno protetto) misurando la quantitàdi battiti necessaria ad esempio a salire le scale delDuomo. Chi utilizza meno del 75% della riserva dibattiti per fare un dato sforzo è allenato (cioè ha

fig. 4

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divertente. Visitare i numerosi monumenti verticalidel nostro paese può associare alla fatica della sali-ta il piacere di vedere e toccare cose belle.La convinzione che l’esercizio fisico diventa piùfacilmente e più felicemente una abitudine di tuttala vita se associato al divertimento si basa su solideinformazioni di fisiologia cardiovascolare che nonabbiamo il coraggio di presentare al lettore in que-sta sede.

Ringraziamenti

A nome della Fondazione, della Facoltà di Medici-na e Chirurgia, della Associazione “Per il Policlini-co” desideriamo ringraziare tutti i cittadini milane-si e non, che con grande simpatia e collaborazionehanno fornito il loro battito cardiaco.Un ringraziamento speciale a monsignor LuigiManganini, arciprete del Duomo di Milano, al dott.Marco Orombelli, presidente della Veneranda Fab-brica del Duomo, e al signor Renato Russi, econo-mo della Veneranda Fabbrica del Duomo, chehanno reso possibile la “scalata” al Duomo, congrande comprensione per le “ragioni” della salute.

fig. 5

fig. 6

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Gli enti pubblici di ricerca sono storicamenteconsiderati una delle principali fonti di cono-scenze scientifiche e tecnologiche a disposizionedel mondo industriale. È auspicabile pertanto cheil legame fra il mondo degli enti pubblici e ilmondo industriale si consolidi sempre di più, perrappresentare un’opportunità concreta per lo svi-luppo della ricerca e la promozione dell’econo-mia italiana. In tale prospettiva è importante pro-grammare una strategia della proprietà intellet-tuale volta a valorizzare la conversione del patri-monio di conoscenze scientifiche in innovazionee a tutelare i diritti connessi allo sfruttamentocommerciale dei risultati brevettabili. Il successodi questa strategia potrebbe offrire l’opportunitàagli enti pubblici di ricerca di diventare struttureautonome nella scelta e nell’avvio dei progetti diricerca. Enti non più condizionati a fonti difinanziamento di terze parti, ma capaci di finan-ziare i propri progetti di ricerca attraverso lo svi-luppo e la tutela delle intuizioni e dell’intrapren-denza dei ricercatori. Il brevetto rappresenta la base per la valorizza-zione e la tutela delle proprietà intellettuali ecostituisce parte fondamentale nel processo ditrasferimento tecnologico dei risultati della ricer-ca. Prima di rispondere alla domanda “che cosa èun brevetto”, occorre fare una distinzione trascoperta e invenzione. La scoperta porta allaluce, descrive o interpreta un fenomeno, unarealtà fisica che già esistevano in natura, ma cheerano sconosciuti. Rientrano in questa definizio-ne scoperte geografiche, archeologiche, teoriescientifiche, metodi matematici, principi e meto-di per attività intellettuali e commerciali. Le sco-perte in quanto tali sono escluse da brevettabi-lità. L’invenzione invece parte da un’idea origi-nale per arrivare a produrre qualcosa che primanon esisteva. È la soluzione nuova e originale diun problema tecnico. Parimenti, inventore è colui

che ha trovato la soluzione con genialità ed ori-ginalità ad un problema pratico. È necessarionon confondere i concetti di scoperta e invenzio-ne in quanto solo quest’ultima, se risponde airequisiti di brevettabilità (novità, altezza inventi-va e industrialità) può essere brevettata. In alcunicasi, soprattutto nel settore delle biotecnologie,la distinzione tra scoperta e invenzione non ècosì netta. È opportuno porsi la domanda se la realizzazionedell’idea ha portato alla risoluzione pratica di unproblema tecnico. Se sì, diviene opportunorichiedere la concessione di un brevetto.Cosa è quindi un brevetto? Il termine brevettoanticamente definiva un atto documentale diprova per un privilegio o una privativa, la cuipeculiarità era, ed è tuttora, la territorialità, chestabilisce l’indipendenza reciproca fra i brevettiottenuti per la stessa invenzione in paesi diversi.Il brevetto è quindi un titolo legale, che concedediritti di esclusiva per impedire che altri produ-cano, utilizzino, mettano in commercio o venda-no l’invenzione brevettata. Si tratta di un dirittodi esclusiva limitato nel tempo e rientra nel siste-ma del baratto, poiché, a fronte dei vantaggiderivanti dal riconosciuto monopolio, il titolaredel brevetto deve sottoporsi ad alcuni obblighi,quali: pagare le tasse governative; mettere adisposizione del pubblico il contenuto dell’inno-vazione; attuare il trovato in misura adeguata alfabbisogno del paese. Il brevetto rientra in unalogica di trasparenza poiché, offrendo protezionein cambio di divulgazione, il sistema brevettualecrea incentivi ad investire in ricerca e sviluppo,garantendo alla società conoscenza immediatadelle innovazioni. Brevettare significa infineporre le basi per la produzione di reddito addi-zionale per gli enti di ricerca, derivante dall'atti-vità di trasferimento tecnologico dei prodottibrevettati.

Valorizzazione e tutela dei risultati della ricerca

LAURA SPINARDI

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Una componente fondamentale della strategiadella Fondazione è stata la creazione nel 2007 diuna struttura dedicata alla valorizzazione delleidee e dei ricercatori: l’Ufficio Proprietà Intellet-tuali, che accanto al compito di tutelare e diffon-dere i risultati, è impegnato a sostenere i com-plessi processi che portano al successo delleazioni di trasferimento tecnologico alle imprese.Dal 2005, data del primo deposito di un brevettoa titolarità Fondazione, al settembre 2007 sonostate depositate tredici domande di priorità, tutteattive, delle quali quattro sono state estese alivello internazionale .

La Fondazione detiene l’esclusiva titolarità dell85% dei brevetti del portfolio, mentre il restante15% è in co-titolarità con altri enti o istituzioni.La maggior parte delle invenzioni del portfoliodella Fondazione trovano applicazione nellaricerca, cura, prevenzione e diagnostica di pato-logie umane. La restante parte delle invenzionisono collocate nell’area biotecnologica e preve-dono l’uso di dispositivi tecnologici e/o di siste-mi molecolari o cellulari.

L’andamento in crescita registrato con la creazio-ne dell’Ufficio Proprità Intellettuali è di auspicioper far si che il brevetto sia destinato ad affianca-re sempre più la tradizionale produttività biblio-grafica dei ricercatori. Come conciliare l'esigen-za di divulgare i risultati delle proprie ricerche ela riservatezza richiesta per depositare unadomanda di brevetto? L’Ufficio Proprietà Intel-lettuali ha cercato di sensibilizzare i ricercatori avalorizzare i risultati del proprio lavoro offrendoconoscenze sulla materia brevettuale, sullamanutenzione brevettuale e sul suo trasferimentotecnologico all’industria. Quale valorizzazionepuò ottenere il ricercatore affiancando studi discenari tecnologici alla propria bibliografiascientifica? La Fondazione intende salvaguardarel’investimento realizzato nell’attività di ricerca escoperta scientifica. Il processo di valorizzazionesi misura oggi con difficoltà: non esclusivamentequantità dei prodotti tutelati ma valutazione del-

Analisi del portafolio delle domande di brevetto a titolarità Fondazione.

Distribuzione per macroaree di applicazione delle domande di brevetto.

Numero domande di brevetto depositate negli anni 2005, 2006, 2007.

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l’interesse suscitato e prospettive di utilizzo.Diventa di fondamentale importanza strategicaconsiderare di volta in volta le potenzialità disfruttamento e il grado di avanzamento delleinvenzioni per valutare la strategia brevettuale.Gran parte dei ricercatori non sono disponibili opreparati ad introdurre cambiamenti drastici nelloro modo di operare, né a sottrarre tempo alleloro attività per dedicarlo all’approfondimentodelle possibili applicazioni commerciali dei lorostudi. Occorre quindi sensibilizzare i ricercatoriverso la valorizzazione del proprio know howscientifico e individuare gli strumenti giuridicipiù idonei a costruire un portafoglio di cono-scenze.Per fornire risposte a queste ed altre domandecollegate al tema comune dei brevetti, l’UfficioProprietà Intellettuale ha organizzato un corsointitolato “Valorizzazione e tutela dei risultatidella ricerca” che si è svolto presso le aule delPolo Scientifico della Fondazione. I quattromoduli del corso sono mirati ad “informare” iricercatori e il personale coinvolto nella ricercamedica sulla cultura della proprietà intellettualee del diritto brevettuale. Sono stati affrontati dadocenti esperti della materia i temi relativi alregime giuridico delle invenzioni, alla tutela delknow-how, alle procedure per la brevettazione ealla proprietà industriale. Infine partendo da casiconcreti, sono stati forniti spunti e suggerimentiutili ad impostare opportunamente le attività diricerca, a destinarle ad una eventuale valorizza-zione e ad individuare precocemente le potenzia-li applicazioni verso le quali orientare le propriecompetenze. L’ampia pertecipazione al corso dibrevettistica ha evidenziato da un lato il deside-rio di informazione sulla materia di proprietàintellettuale e trasferimento tecnologico da partedei ricercatori, dall’altro lato ha confermato l’op-portunità di ottimizzare il percorso di valorizza-zione dei risultati della ricerca all’interno dellaFondazione.Questo percorso inizia dall’interazione con iricercatori per identificare i risultati da tutelare,prosegue con l’acquisizione di un parere tecnicolegale finalizzato a valutare la brevettabilità delprodotto, attraversando anche la fase di caratte-

rizzazione del mercato per la possibile commer-cializzazione del trovato. Il percorso termina conl’individuazione di potenziali utenti a cui trasfe-rire il brevetto, per mezzo di soluzioni diverseche comprendono la collaborazione, il riconosci-mendo dei diritti o la cessione del brevetto. Promuovere il ricorso alla brevettazione può costi-tuire uno stimolo costante per incentivare la moti-vazione e la risorse intellettuali dei ricercatori nel-l’ambito della ricerca biomedica. Investire sullaconoscenza attraverso la valorizzazione delle com-petenze e dei risultati della ricerca, può produrreinnovazione e creare le premesse per un’interazio-ne stabile tra enti di ricerca ed aziende.

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“De’ visi mostruosi non parlo, perché senza fatica sitengano a mente”. Con questa straordinaria affer-mazione, contenuta in un foglio del Codice Atlanti-co, ora nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, epoi trascritta da Francesco Melzi nel Trattato dellaPittura (Ludwig, paragrafo 290), Leonardo offre unvivido ricordo scritto delle decine e decine di “testemostruose” da lui disegnate, delle quali non ritienenecessario dare giustificazione o fare alcuna tratta-zione, poiché ognuno se ne ricorda e può capire dicosa si tratti dopo averne visto qualcuna. Così, loscopo di meravigliare, di stupire e, forse, anchequello di far sorridere, e, comunque, quello diimprimersi bene nella mente dell’osservatore, sem-brerebbe quello considerato prevalente da Leonar-do. Occorre però distinguere, nel vasto lascito leo-nardiano, fra “visi mostruosi”, o “teste grottesche”,e “teste caricate” e, ancora, fra “teste grottesche” equelle che più tardi, nell’arte veneziana del Sette-cento ad esempio, sono più note come “caricature”.Una “testa caricata” è, nel Rinascimento, e nell’o-pera grafica di Leonardo, una testa umana in cui glielementi espressivi e fisiognomici siano appunto“caricati” o accentuati, insistendo su determinatitratti del volto. Un viso, anche bello o piacevole,può così venir alterato, e reso ancor più bello, persottolinearne alcuni aspetti: gli occhi possono veniringranditi, o resi più tenebrosi; un naso può essereallungato o accorciato; una bocca può subire un’al-terazione al fine di mostrare e rendere più esplicitequelle allusioni al carattere del personaggio o allesue inclinazioni (amarezza, voluttà, erotismo) che ildato reale può celare, e che l’artista è invece ingrado di percepire e rendere perciò più esplicitoattraverso il disegno, “caricandolo” e accentuandolonei suoi tratti esteriori. La “caricatura” è invece ungenere più preciso, ma, al contempo, dal raggio e

dalle intenzioni più circoscritte, che mette in evi-denza, solitamente con un intento derisorio, i lati egli aspetti più deleteri e risibili non solo dell’aspettofisico del personaggio, ma anche della sua segretaindole e del suo carattere. Le “teste grottesche”,infine, sono un’altra cosa ancora. In esse Leonardo,muovendo dall’osservazione diretta, ma saltando ilpassaggio intermedio della “testa caricata”, creaspesso direttamente fisionomie che non hannoriscontro diretto nella realtà e spesso combinandoelementi umani con elementi animaleschi.Quanto alla “caricatura” si può dire ne esistanopochissime nell’opera grafica di Leonardo: unesempio può essere costituito dalla caricatura di unprete che si trova su un piccolo foglio della Biblio-teca Ambrosiana di Milano (cod. F 274 inf. 25).Leonardo si sentì sempre fortemente attratto dalcontrasto tra una forma perfetta, di bellezza assolu-ta, e il suo contrario. L’infinitamente brutto e ilmostruoso lo affascinavano al pari di un viso dallabellezza “divina”. In questo continuo alternarsi, enel rappresentare con pari perizia e dignità questidue aspetti della figura umana, Leonardo rende tan-gibili i due poli entro i quali si muoveva la sua per-sonalità e che costituivano i lati estremi della suapropria natura: attrazione estetica per il bello ideale,ma anche attrazione per i lati sconosciuti della pro-pria indole. Egli poteva quindi contemplare, fuori edentro sé, spettacoli di meravigliosa bellezza, attin-gendo allo spettacolo della natura o alla propria ine-sauribile fantasia, e ricrearli con le sue facoltà diartista tramite la pittura, “nipote di Dio”, ma potevaanche sentirsi irresistibilmente attratto dagli aspettipiù orrendi della realtà e dal buio profondo dellaragione, cioè da quella zona di sé da cui affioravanosegrete, e forse inconfessate, pulsioni. Il suo branofamoso sulla “caverna” testimonia dell’attrazioneper il buio, per l’insondabile, per esperienze “altre”.La serie impressionante di teste e figure mostruoseche egli ci ha lasciato sono anch’esse significative

Le “teste grottesche” di Leonardo tra anatomia,scienza fisiognomica e arte

PIETRO C. MARANI*

* Professore straordinario di Storia dell’Arte moderna nel Politec-nico di Milano, facoltà del design.

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di quest’attrazione e questo conflitto, nel quale unruolo importante è giocato anche dal contrasto tragioventù e vecchiaia, tra carni viste e raffigurate nelfulgore della loro giovinezza, e il corpo mostratonel processo della sua decadenza e della sua trasfor-mazione irreversibile. Ecco dunque presentarsianche l’intreccio tra lo studio dell’anatomia delcorpo umano, e dei processi che portano alla suadegenerazione, alla vecchiaia, con la fisiognomica.Un esempio significativo a questo proposito è offer-to dal celebre foglio degli Uffizi (inv. 423 E) raffi-gurante la testa di un giovane riccioluto efebo diprofilo contrapposta al profilo di un vecchio calvo esdentato dal mento sporgente e dal naso adunco. Sitratta di un disegno a gessetto rosso dei primi anninovanta del Quattrocento, quando Leonardo inizia apercepire questo processo di corruzione del corpoumano. Non sarà forse casuale che il maggior impulso adisegnare “teste grottesche” sia registrato attornoalla metà dell’ultimo decennio del Quattrocento,quando Leonardo era impegnato, fra l’altro, allagrande pittura murale del Cenacolo, per la qualeaveva studiato teste dal vero che sarebbero state tra-sposte nelle Teste degli Apostoli. Ma, mentre alcunedi queste teste sarebbero state trasfigurate, nella pit-tura, in modelli di teste di divina bellezza (Matteo,Filippo, Bartolomeo e Giovanni), altre (Giuda,soprattutto) sarebbero state “caricate” nei loro trattifisionomici per mettere in evidenza i lati più spre-gevoli dell’animo umano. A questi stessi anni risalela gran parte delle “teste grottesche” di Leonardo,molte delle quali conservate nella Royal Library aWindsor, nella Biblioteca Ambrosiana di Milano enel Cabinet des Dessins du Louvre. Ed è dunqueinnegabile, come aveva intravisto Ernst Gombrichin un suo fondamentale studio pubblicato nel 1954(Leonardo’s Grotesque Heads, in Leonardo. Saggi ericerche, Roma, 1954), che Leonardo giungesse aisuoi studi di teste grottesche anche attraverso ilriconoscimento dell’importanza della fisiognomica,intesa come scienza che, dallo studio dei tratti fac-ciali, riesce a determinare “la natura degli uomini,di lor vizi e complessioni” (Trattato della Pittura,par. 292), o, meglio ancora, come “patognomica”, e

cioè come insieme di deduzioni tratte dall’osserva-zione esterna dei tratti del volto al fine di giungerealla formulazione di un giudizio patologico. Piùancora, lo studio delle espressioni poteva condurrenon solo a determinare i vari caratteri umani, maanche a manifestare, attraverso la loro evidenziazio-ne, le intenzioni e il “moto della mente” dell’uomoin un determinato momento, come conseguenza,rintracciabile nella deformazione dei muscoli fac-ciali, di un impulso che ha colpito la mente.Comunque sia, Leonardo registra la mostruosità e labruttezza, che egli solo immaginava con la suamente, con lo stesso acume e la stessa precisioneanalitica del segno grafico ( per la maggior partequesti disegni sono realizzati a penna e inchiostro )con cui rappresentava le cose di natura, con unacapacità di visualizzare oscuri oggetti del suo desi-derio del mostruoso.

La “grottesca” nell’Antico e nel Rinascimento

Non abbiamo certezza del fatto che Leonardocumulasse le sue attrazioni per il mostruoso e l’in-naturale, con un’eventuale conoscenza delle “grot-tesche” antiche e della loro riscoperta durante gliultimi anni del Quattrocento e i primi del Cinque-cento, anche se ciò è possibile. Allora, a Roma, lascoperta, o la “riscoperta” della Domus Aurea diNerone, alla quale si accedeva da buchi praticatinella terra attraverso i soffitti, come se si accedessea delle grotte, aveva rivelato un mondo misteriosopopolato di figure fantastiche, mezzo uomo emezzo animale, con volti dai tratti deformati e spes-so mostruosi, e colte negli atteggiamenti più vari,naturali e innaturali, spesso erotici, lussuriosi olascivi, e aveva colpito la fantasia di molti artistirinascimentali, soprattutto per il gusto di fondereinsieme forme organiche, zoomorfe e vegetali, conforme di assoluta fantasia, in un intreccio di vero edi improbabile (e si rimanda allo studio di PhilippeMorel del 1997 per i vari significati simbolici cuivennero “piegate” le grottesche antiche nel Rinasci-mento). Ma Leonardo, ad esempio, nei suoi disegnidi “omini salvatici” (sparsi fra vari Musei, ma sivedano soprattutto i disegni dei Codici Trivulzianoe Atlantico a Milano), in cui mostra soggetti selvati-ci e bizzarri (“salvatico è quel che si salva”, dirà lostesso Leonardo, sbagliando etimologia), aveva già

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Sulla pagina accanto: Leonardo, Cinque teste grottesche, Windsor,Royal Library, n. 12495.

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percorso ed esplorato, verso il 1490, le possibilità diqueste contaminazioni tra il mondo umano, animalee anche vegetale, forse in connessione con qualcunadelle tante rappresentazioni teatrali o ludiche in cuiera stato coinvolto. È un dato di fatto, però, che inLombardia, in qualche decorazione superstite“all’antica”, dei primi decenni del Cinquecento,dove si dispiegano tutti i motivi della “grottesca”classica (come nelle pitture della Villa Medici aFrascarolo, vicino a Varese, con mascheroni, giralivegetali, animali), vengano incorporate diverse“teste grottesche” riprese proprio dai disegni diLeonardo. Qui, forse, la “grottesca” antica, maaggiornata su Leonardo, riveste quella funzionecomica e licenziosa che era affidata alla “facezia” eal motto spiritoso o volgare in letteratura, generenel quale si era cimentato lo stesso Leonardo.

Figure mostruose, ma di cuor gentile

Uno dei più famosi disegni di Leonardo in questogenere è certamente il Gruppo di cinque teste dellaRoyal Library a Windsor (inv. 12495), databileverso il 1494, in cui si possono forse cogliere tutti igradi dei passaggi intermedi compiuti da Leonardo:dal probabile ritratto di un personaggio laureato(rappresentato dall’uomo di profilo, al centro, inprimo piano), ad una testa “caricata” vista di pro-spetto in fondo a destra, alle due “teste grottesche”ai suoi lati (la figura di una vecchia sdentata a sini-stra, e la testa di un uomo dal grosso labbro spor-gente a destra), e, per finire, alla testa “grottesca” insecondo piano a sinistra, con la bocca spalancata,che è stata giustamente definita “bestiale” dallaCogliati Arano. Qui le teste grottesche intorno alpersonaggio laureato (un poeta ?) possono anchealludere alla derisione delle lettere e del mondodegli umanisti da parte del popolo volgare e incoltoed avere perciò anche un valore moraleggiante. Latesta di vecchia sdentata, a sua volta, si pone comeallusiva della caducità della bellezza e può valerecome l’anticipazione di un tema che sarà poi svoltoanche da Giorgione nella sua Vecchia delle Galleriedell’Accademia di Venezia, dove, infatti, il perso-naggio reca un cartiglio con la scritta “Col Tempo”,in allusione al processo di invecchiamento. Al dise-gno di Windsor, e, particolarmente, proprio allafigura dell’uomo laureato, si collega un bel disegno

a matita rossa, raffigurante una testa di vecchio,conservato nel Cabinet des Dessins du Louvre (inv.2249), in bilico fra testa “caricata” e “grottesca”.Una serie impressionante di teste grottesche (benventicinque) si conservava nella collezione delDuca di Devonshire a Chatsworth. Fra queste, dopola loro parziale dispersione, era il disegno più famo-so e impressionante, oggi nella National Gallery ofArt di Washington (Woodner Collection), raffigu-rante una vecchia deforme, dal grosso labbro supe-riore, quasi priva di mento e col naso adunco, cheviene “abbellita” da un piccolo garofano infilato nelcorpetto fra i due seni. Come a dire: bruttissima, madi cuor gentile. Ovverosia: non fidatevi delle appa-renze. Ne esistono numerose repliche, una dellequali nella stessa National Gallery of Art diWashington, un’altra nel British Museum a Londra.Più o meno lo stesso significato ha il famosissimodisegno di una dama mostruosa, riccamente abbi-gliata e con enorme acconciatura, di cui si conservauna copia del Melzi a Windsor (inv. 12492), rico-piata anche in un dipinto di Quentin Massys (Lon-dra, National Gallery). Il tema della bruttezza com-binato con quello della gentilezza e dell’amorecaratterizza alcune altre prove grafiche di Leonardo,come la composizione nota come La coppia malassortita, nella quale un bel giovane abbraccia unadonna orrenda, conosciuta attraverso copie e deriva-zioni soprattutto fiamminghe.

La fortuna delle “teste grottesche” di Leonardo

Le teste grottesche di Leonardo sono già ricordateda Giorgio Vasari (1550) come “certe teste bizzar-re” di cui egli stesso possedeva (Vasari le avevaincollate nel suo “Libro de’ disegni”) quella diAmerigo Vespucci e quella dello Scaramuccia“capitano de’ Zingari”: quest’ultima è identificatadagli studiosi con lo spettacolare e grande disegno acarboncino ora nella Christ Church di Oxford (inv.0033). Dal gran numero di disegni di Leonardo cir-colanti in Italia, molti artisti cinquecenteschi trasse-ro ispirazione o copie o incisioni (Martino Rota,Agostino Veneziano, Aurelio Luini, Carlo Lasinio,Giovan Paolo Lomazzo). Ma la loro conoscenza ediffusione si deve però soprattutto agli artisti fiam-minghi che quei disegni incisero in stampe cheebbero vasta circolazione: Hieronimus Cock (1570)

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e Hans Liefrinck (1573), per esempio, cui si sovrap-posero le incisioni italiane di Antonio Tempesta(circa 1640). Un gran numero di “teste grottesche”di Leonardo furono incise da Wenzel Hollar (1607-1677) durante la permanenza di questi in Inghilter-ra, quando i disegni di Leonardo si trovavano nellacollezione di Lord Arundel (alcune delle incisionidi Hollar recano infatti la dicitura “ex CollectioneArundelliana”). Il Musée du Louvre a Parigi possie-de inoltre un importante album di disegni di diffe-renti autori dei secoli XVI-XVII (RF 28725-28785), sui cui trentadue fogli sono raccolte sessan-ta “teste grottesche” (più alcuni altri disegni), fracui trentanove, copiate da disegni di Leonardo, cheappartengono alla stessa mano (inv. RF 28725-28763). Alcune di queste copie riproducono i dise-gni originali già appartenuti a Lord Arundel chefinirono poi nella Collezione del Duca di Devonshi-re a Chatsworth, mentre altre sembrano essere statedesunte da originali (o da copie del Melzi) poi con-fluite nelle collezioni Spencer e Pembroke. La cosapiù interessante è che le grottesche contenute inquesto album, appartenuto al collezionista Pierre-

Jean Mariette (morto nel 1775), lui stesso incisoredi disegni di antichi maestri (ad esempio di StefanoDella Bella), furono tutte incise dal Comte de Cay-lus a Parigi nel 1730. Nella mostra sui Disegni eManoscritti di Leonardo tenutasi al Louvre nel2003, erano stati esposti fianco a fianco, sia l’albumappartenuto a Mariette, sia l’esemplare delle inci-sioni di Caylus posseduto dal Museo (Recueil deTestes de caractère & de Charges dessinées parLéonard de Vinci Florentin & gravées par M. le C.de C., MDCCXXX, inv. RF 28786), entrambi studia-ti a fondo da Varena Forcione. Dell’opera del Cay-lus furono edite diverse ristampe: una forse tedesca,del 1750, e una francese, del 1767, ma è statarecentemente ritrovata anche una tiratura anterioreall’edizione del 1730. Con le successive incisioni dialcune teste grottesche da parte del Conte GiuseppeGerli (Milano, 1784), tutte queste stampe danno lamisura del successo crescente dei disegni “grotte-schi” di Leonardo e aprono la via alla rivalutazioneromantica dell’artista di Vinci.

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Leonardo, Testa grottesca, ubicazione ignota.

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Le fonti della presenza di Giotto a Milano nel 1335

Le cronache fiorentine di Giovanni Villani (scrittetra il 1330 e il 1340), quelle milanesi di GalvanoFiamma, e i Commentari di Lorenzo Ghiberti con-cordano nel riportare la notizia che Giotto fu aMilano nel 1335.Nelle sue Cronache (1), Giovanni Villani riporta che,dopo aver ricevuto nel 1334 l’incarico di supervi-sore del Duomo di Firenze, “Maestro Giotto torna-to da Milano, ch’el nostro comune ve l’aveva man-dato al servigio del Signore di Milano, passò diquesta vita a di 8 di gennaio 1336”. Rielaborando iltesto del Villani, poi il Vasari riportò più o meno lestesse parole, aggiungendo qualche accenno sullaqualità dei documenti pittorici lasciati da Giotto aMilano: lavorò anco in Milano alcune cose, chesono sparse per quella città, e che insino a oggisono tenute bellissime.Lo storico Giorgio Giulini, tra i fondatori della sto-riografia lombarda dell’epoca medioevale conside-rato generalmente fonte tra le più attendibili, nel1771, nelle sue Memorie spettanti alla storia, algoverno …della città… di Milano, dedica moltepagine (2) alla descrizione del palazzo di AzzoneVisconti, servendosi delle memorie allora ancorainedite del cronista Galvano Fiamma. In questotesto il Giulini ripropone le parole del Villani, maaggiunge qualche notizia che fino a quell’epoca nonaveva trovato riscontri. Tra le altre, egli descrive laprincipale decorazione del palazzo visconteo: unaGloria mondana, o “vanagloria”, una allegoria dellaFama terrena rappresentata in modo celebrativocome in un trionfo, circondata dai grandi prìncipidella storia: Enea, Attila, Ettore, Ercole, Carloma-gno e lo stesso Azzone. Il Giulini riconosce in tale

affresco quello citato ed esaltato dal Vasari tra leopere di Giotto. Il Ghiberti (3), parlando di Giotto, riferisce che è disua mano una gloria mondana. Su questa notizia(per altro già attinta anche dal Toesca (4) e dal Supi-no nella sua monografia su Giotto (5)) il Gilbert pro-pone di ricostruire l’affresco perduto con l’ausilioiconografico dei frontespizi di due manoscritti delDe Viris Illustribus di Francesco Petrarca (6), consi-derati unanimemente come di Altichiero, il cuimodello potrebbe essere stato, appunto, il Trionfodella Gloria dipinto da Giotto nel Palazzo di Azzo-ne Visconti a Milano nel 1335 (7) (fig. 1). Dell’affresco di Giotto non vi è traccia e nemmenoesiste un riflesso iconografico tra i cicli di affreschi

La pittura giottesca a Milanoe la nascita del proto-umanesimo della corte viscontea

SANDRINA BANDERA*

* Direttore della Soprintendenza al patrimonio storico artistico diMilano, che “dedica questa ricerca a Annamaria Ambrosioni, stu-diosa di notevole calibro e indimenticabile figura dolce e generosa”.

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fig. 1

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della Lombardia tuttora esistenti, inoltre i pochiframmenti ritenuti giotteschi in quello che fu ilPalazzo Ducale sono così ridipinti che questo brevesoggiorno del maestro fiorentino sembrerebbe nonaver lasciato alcun segno. Tuttavia a partire dallapietra miliare della presenza di Giotto si ha nellacittà viscontea un vero e proprio rinnovamento e untotale cambiamento di stile e di tecnica artistica,che coincidono per altro con uno straordinarioperiodo di espansione economica della città viscon-tea e di apertura al commercio con la Francia e coni centri europei della cultura gotica.

La pittura a Milano tra Due e Trecento

Solo per sottolineare lo stacco decisivo della pitturagiottesca rispetto alla tradizione lombarda più diffu-sa basti citare, quale esempio, gli artisti attivi aLodivecchio e a San Franceso a Lodi, tra la fine delXIII e l’inizio del XIV secolo (8): da queste immagi-ni della calotta absidale (fig. 2) di San Bassiano aLodivecchio emerge che nella tradizione padana ildisegno delle figure veniva impostato con un segnoin terra d’ombra, poi rinforzato in rosso e nero, cheil colore era praticamente ridotto a due o tre toni, eche i larghi fondali di azzurrite erano stesi su unapreparazione grigia, e quindi diversamente dalla tra-dizione toscana che usava una preparazione inmorellone (ocre rosse, terra rossa e qualche voltaanche malachite) per dare più luce e tono caldo allascena. La pittura di queste testimonianze inoltre sipresenta abbastanza povera e incapace di rendere laterza dimensione. Dal punto di vista della prassi, lastesura cromatica veniva realizzata attraverso colorialla calce stesi su intonaco in fase di asciugatura incampiture molto larghe, usando la stessa calce

come legante. A partire dalla venuta di Giotto per una quindicinadi anni le imprese artistiche più importanti eseguitea Milano e nel territorio circostante saranno appan-naggio di artisti non milanesi o comunque formatisisui cantieri giotteschi, con la conseguenza di unvero rinnovamento dello stile e naturalmente dellatecnica di cantiere.Fondamentale fu la personalità dei Visconti, a ini-ziare da Azzone, duca dal 1330 al 1339, il quale, sulmodello delle signorie europee, trasformò Milanoin una piccola corte. A lui si deve tra l’altro l’arrivoa Milano del toscano Giovanni di Balduccio, l’auto-re dell’arca di San Pietro Martire in Sant’Eustorgio,perché chiamato per realizzare nella chiesa di SanFrancesco Grande, poco prima del 1334, il monu-mento per la madre Beatrice (9) e per progettare igruppi scultorei che dovevano decorare le varieporte di accesso in Milano. Azzone rinnovò il cen-tro della città con la ricostruzione del palazzo duca-le, da lui improntato secondo modelli francesi, nelcortile del quale fece costruire la lussuosa cappelladi San Gottardo. Qui accanto egli fece innalzare ilcampanile gotico progettato dall'architetto cremo-nese Franceso Pegorari, che a quell’epoca dovevacostituire un riferimento architettonico di grandeprestigio in una città come Milano (fig. 3), il cui

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fig. 2

fig. 3

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assetto probabilmente era ancora romanico. All’in-terno della chiesa, su tutte le pareti, Galvano Fiam-ma registra una straordinaria ricchezza di decora-zioni in azzurro e oro e un altare in lastre metallichee gemme incastonate (10).

La Crocifissione in San Gottardo

L’affresco con la Crocifissione di San Gottardo, cheè la prima opera di impronta giottesca di una certaintegrità tuttora presente a Milano, si trovava origi-nariamente alla base del campanile, costruito in pie-tra, probabilmente all’interno di un ambiente nonsecondario, forse una sala capitolare annessa all’e-dificio sacro (figg. 4, 5). Originariamente inseritoall’interno di una cappella appoggiata alla stessabase in conci del campanile, esso, dopo la trasfor-mazione operata in epoca neoclassica dal Piermari-ni alla chiesa e dopo la distruzione dell’ambienteche lo proteggeva, fu lasciato all’aperto con la con-seguenza di un precipitoso deterioramento nono-stante la scialbatura che lo copriva.La cornice recante motivi geometrici lobati, circon-da la grande scena della Crocifissione, la isola dalcontesto esterno all’affresco e la trasforma quasi inun arazzo gotico figurato, davanti al quale - ai lati -sono raffigurati, inginocchiati, i due committenti,Azzone e la consorte Caterina Visconti. La rappre-sentazione riesce a rendere con illusione spaziale ivari piani della scena, cosicché riunisce tutti i per-sonaggi sacri e profani all'interno di una medesimaregola metrica. L'unica differenza che distingue ipersonaggi profani da quelli sacri è la collocazioneall'esterno della cornice e nella parte più bassa delmuro, quasi sullo stesso piano di chi guarda. Nonostante lo stato larvale dell’affresco, è possibileindividuare ancora oggi alcuni particolari tecnicimolto interessanti e abbastanza inediti nel quadrodella pittura lombarda: per esempio la partizionedell’insieme è stata realizzata con la prassi, tipicadei cantieri giotteschi, della battuta delle corde sul-l’intonaco fresco, ancora facilmente identificabile, eil procedere della decorazione è avvenuto tramiteuna stesura per giornate e quindi secondo la tecnicamoderna tipica dei cantieri del maestro fiorentino edei suoi stretti allievi.Per quanto perdute, numerose dovevano essere leapplicazioni in argento, o in stagno, sembra lavora-

to a mordente, sulle armature dei soldati romani,mentre la doratura delle aureole e dei dettagli degliabiti presentava una gran varietà di disegno di pun-zonatuta nella pastiglia. Un uso, questo della pun-zonatura, introdotto per la prima volta da SimoneMartini nella Maestà di Palazzo Pubblico del1315(11), di evidente ricchezza gotica, assolutamenteestraneo fino a quell’epoca a Milano. Anche l’az-

fig. 4

fig. 5

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zurro del fondo, ormai perduto ma probabilmentecostituito da azzurrite, era steso su una base dimorellone, una preparazione marrone-rossiccia, chein Lombardia non ha precedenti, essendo usuale,per gli artisti locali, come s’è già detto, stenderel’azzurro su una preparazione grigia. La tecnica delbuon fresco permetteva poi di modellare le figurecon strati di colore sovrapposti, fino ad arrivare apennellate sfumate con vigore (12).Le novità stilistiche e tecniche rappresentate daquesto grande riquadro hanno dato il via a un’am-pia discussione critica sul quesito se esso sia statoeseguito da un artista di formazione strettamentegiottesca e non lombardo, oppure da un artista loca-le appartenente alle maestranze giottesche in Lom-bardia. La datazione della Crocifissione di San Gottardo èstata recentemente determinata attraverso il ricono-scimento dei personaggi dei committenti in AzzoneVisconti, morto nel 1339, e nella consorte Caterinadi Savoia Vaud, accompagnata appunto da SantaCaterina. Si tratterebbe di un dipinto realizzato tra il1336, anno della costruzione del campanile e il1339, o al massimo subito dopo, nel caso si tratti diun’opera fatta eseguire da Caterina con il consensodei successori al ducato di Azzone, gli zii Luchino el’arcivescovo Giovanni (fig. 6).

Giusto de’Menabuoi nell’Abbazia di Viboldone

Altro grande ciclo di affreschi giotteschi in Lom-bardia è rappresentato da quello eseguito nel tiburiodell’Abbazia di Viboldone dell’Ordine degli Umi-liati nel 1349 dal toscano Giusto de’ Menabuoi pertre pareti e dall’anonimo “Maestro del 1349” per laparete orientale.Le tre pareti interne del tiburio di Viboldone dipinteda Giusto de’Menabuoi ai suoi esordi mostrano unamaggior scioltezza nella tecnica della pittura adaffresco e una padronanza che lo conducono ancheal di fuori della stretta ortodossia: le giornate sonopiù complesse, comprendenti non una sola figura,ma gruppi di figure, con giunzioni tra una giornata el’altra quasi impercettibili perfino al tatto, evidentitanto nel Giudizio (fig,7) quanto sulle pareti laterali.L’ampiezza delle giornate e la totale assenza di sba-vature o pentimenti presuppongono per Giusto unaprecisa progettazione e una perfetta tecnica esecuti-va attraverso le quali la critica si è spinta a indivi-duare nella sua formazione la frequentazione deicantieri fiorentini di Maso di Banco (13).La scioltezza nel dipingere a fresco lo porta ad ese-guire, per esempio, le schiere angeliche di fondorapidamente, con tocchi abbozzati , quasi senza par-ticolareggiare gli aspetti delle fisionomie.Nella sua composizione si nota un abbondante usodel compasso, e l’abitudine di segnare le cornici egli elementi architettonici con incisioni dirette esottili. Egli si distingue soprattutto per l’estremasicurezza e per la sapienza con cui riesce a rendereuna grandiosità di impronta classica, evidente nelladistribuzione articolata, simmetrica e quasi architet-

fig. 6 fig. 7

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tonica delle figure.Sembrerebbe comunque che Giusto lavorasse insie-me a un altro maestro, il cosiddetto "Maestro del1349", autore della scena orientale rappresentante la"Vergine circondata da Santi". Pur trovandosi pro-babilmente sul medesimo ponteggio e attivi insiemeanche in Santa Maria di Brera (altra chiesa degliUmiliati), essi non appartenevano alla medesimabottega. La loro formazione e il loro apprendimentodelle tecniche della pittura murale appartenevanoinfatti a due mondi diversi. Per il Maestro del 1349si può parlare di una vera e propria ortodossia almodello pittorico e tecnico rappresentato dalla Cro-cifissione di San Gottardo, mentre per Giusto de’Menabuoi appare più logico parlare di uno svilupponaturale, e - potremmo dire - generazionale dellatecnica giottesca nel senso di totale padronanza,velocità e libertà esecutiva.

Il “secondo Maestro di Chiaravalle”

Se poi confrontiamo gli affreschi di Viboldone conquanto circa negli stessi anni, o poco prima, si dipin-geva, rinnovando le superfici già dipinte appena tre-quattro lustri prima, nel tiburio della vicinissimaAbbazia cistercense di Chiaravalle milanese, emergeche il nostro Maestro del 1349 seguiva una prassiesecutiva sicuramente meno libera e più dettagliata,dimostrando veramente di appartenere, almeno perquanto riguarda la tecnica, alla generazione del mae-stro della Crocifissione di San Gottardo. Perciò sem-bra corretto escludere che egli si sia formato, comenormalmente sostengono i partigiani della tesi lom-barda, sui cantieri, strabilianti per virtuosismo tecni-co, per complessità iconografica e per libertà dise-gnativa, degli affreschi con i fatti post-resurrectio-nem di Maria dipinti all’interno della torre dell’Ab-bazia di Chiaravalle, una delle architetture gotichepiù eleganti dell’Italia settentrionale.Fortemente abraso da campagne di restauro esage-ratamente pesanti, e discontinuo nell’esecuzioneper la presenza di almeno due mani, questo ciclo èstato oggetto di discussioni e interpretazioni diver-sissime circa la formazione e la provenienza deimaestri responsabili dell’esecuzione. Dall’acutainterpretazione del Longhi che nel 1940 propose diattribuire al frescante di Chiaravalle anche l’Assun-ta del Camposanto pisano, perduta sotto i bombar- fig. 8

damenti, ma per fortuna nota attraverso la docu-mentazione fotografica, si è fatto il nome di Stefa-no, artista che il Vasari dice aver lavorato a Milano,lodatissimo allievo di Giotto, al quale appunto si èconnessa l’Assunta pisana, sulla base della citazio-ne in un testo in versi di Cristoforo da Volterra del1480. Stefano fu artista fiorentino allievo di Giotto,ma lontano dal rigore formale di questi (14), citatodalle fonti per la sua straordinaria libertà nel dise-gno e per la capacità di rappresentare le emozionidei personaggi tanto da essere chiamato - secondoun’equazione che affonda nel topos antico - “scimiadella natura”. È opportuno ricordare che l'intervento eseguito daStefano a Chiaravalle fu realizzato in ordine crono-logico poco dopo un iniziale intervento visibile neltamburo, databile circa 15- 20 anni prima, da unpittore lombardo chiamato “primo Maestro di Chia-ravalle”, di caratteri più arcaici e comunque connes-so con la pittura locale più tradizionale (fig. 8)

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Dalle primissime iniziali indagini eseguite sui pon-teggi innalzati sul lato della Sepoltura dellaVergine, emerge prima di tutto uno straordinariovirtuosismo nella progettazione generale del ciclo,che - non si dimentichi - doveva decorare superficimolto articolate, disposte su piani differenziati, conl’obiettivo di creare un unicum, una sequenza unita-ria di racconto, al di sopra del luogo dove i cister-censi si riunivano per le loro preghiere corali.Percepiamo sicuramente una sensibilità gotica, nelmodo di rimarcare i profili, che risultano realizzatiattraverso vari passaggi sovrapposti, prima disegnatileggermente, poi ripassati con una più decisa linearosso scura ed infine, per la parte del volto e dellacapigliatura, ridefiniti con una linea incisa - finaliz-zata a circoscrivere l’area dell’aureola - ma con unatale profondità da creare un effetto ottico visibileanche dal basso. Questa continua definizione deiprofili ha portato la critica a ritenere che l’artistaprocedesse attraverso una serie di correzioni o penti-menti (15), che invece - come sembrerebbe dalle primeindagini fotografiche - devono essere lette come ilrisultato di una procedura cantieristica che avanzavaattraverso continue sovrapposizioni di segni, quindidi carattere tecnico, ma con forti riflessi naturalmen-te nell’espressione stilistica (fig. 9).Attratto verso una pittura elegante e gotica, questoartista, chiamato anche il “secondo Maestro di Chia-ravalle”, mostra di interpretare la tradizione giotte-sca in modo particolarmente morbido e umano. Ilsapiente intreccio tra un modo equilibrato di domi-nare la complessa scena e la libertà disegnativainsieme alla naturalezza fisionomica e psicologica,rendono difficile dare una precisa identità a tale arti-sta. Questo maestro si distingue, comunque, per l’e-strema sicurezza e per la sapienza con cui riesce arendere una grandiosità non esente da una imposta-zione classica, ma tuttavia libera ed articolata.Sappiamo che il probabile committente fu l’abateEgidio Biffi, in stretta amicizia con i Visconti, tantoda subire, per la sua appartenenza al partito dei ghi-bellini, una scomunica papale durata tra il 1323 e il1341. Pertanto la datazione delle Storie mariane diChiaravalle può essere posta tra il 1341 e il 1354,ultimo anno in cui vediamo riportato l’abate nelleattestazioni documentarie (16). Sulla scorta della testi-monianza del Vasari, che riporta come Stefanoabbia lavorato per Matteo Visconti, succeduto a

Giovanni nel dominio milanese nel 1354, la datadovrebbe essere appunto prossima al 1354. Peraltrononostante la similitudine nell’impostazione esi-stente tra l’Incoronazione claravallense e l’Assuntadi Pisa, che si ritiene compiuta nel 1343 (17), non siravvisa nel cantiere milanese la stessa insistenzagrafica e analitica, ciò che induce a ritenere il can-tiere di Chiaravalle databile tra la fine del quinto el’inizio del sesto decennio del Trecento.Siamo alle soglie della seconda metà del secoloquando, intorno al 1350, si ebbe una lunga perma-nenza di otto anni (18) del Petrarca a Milano che,ospitato dai Visconti, svolse anche le funzioni disegretario di Stato. È indubbio che, quasi in paralle-lo al medesimo clima letterario, Stefano seppeesprimere da un lato una particolare dolcezza,nonostante il linearismo tagliente del disegno elabo-rato, dall’altra una qualità formale quasi classica,che può essere messa in relazione all’estetica delPetrarca, particolarmente attenta ai valori e allequalità della forma. Non si dimentichi che proprio aMilano il Petrarca portò a compimento molti suoitrattati, tra cui quello che - come ha rilevato ilBaxandall - può essere ritenuto il più completo trat-tato di arte e di estetica, il De remediis utriusquefortunae.Sulla scia del pensiero e della trattatistica del gran-de poeta, anche nell’affresco di Stefano la “forma”sembra intesa in termini di estrema perfezione tec-nica, elaborata quasi sperimentalmente in un eserci-zio di continua ricerca come fosse strumento diliberazione spirituale: perfezione tecnica che diven-ta, quindi, quasi esercizio e “strumento”, essa stes-sa, per raggiungere il fine della rappresentazioneverosimile degli affetti. Così nel secondo maestro diChiaravalle, da riconoscersi nella scena dell’Incoro-nazione e in quella dei Funerali della Vergine sem-bra che la ricerca degli affetti, che nella precedentetradizione pittorica padana risiedeva essenzialmentein un gusto narrativo e novellistico, derivato dall’in-fluenza della miniatura bolognese, ora si avvalga diuna ricerca di ordine, di grandiosità, di gesti digni-tosi, alla volte anche ieratici e di uno stile che perusare le parole del Petrarca potremmo chiamare“clarissimo”, in parallelo al “proto-umanesimo”petrarchesco della corte viscontea (19).

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Note bibliografiche

1 - Giovanni Villani, Cronache, Libro XI, cap. XII. Per l’opera diGiotto a Milano si veda l’ampia dissertazione di G. Gilbert, Thefresco by Giotto in Milan, in “Arte Lombarda”, 1977, pp. 31-72

2 - G. Giulini, Continuazione delle Memorie spettanti alla Storia,al governo e alla descritione della città e delle campagne di Mila-no nei secoli bassi, Milano 1771

3 - L. Ghiberti, Commentari, vol. I, ed. Morisani, 1947, p. 33.

4 - P. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, 1912, ed.cons. Torino 1966, p. 88.

5 - I.B Supino, Giotto, Roma 1920, p. 253.

6 - Parigi, Bibliothèque Nationale, mss. 6069 f e 6069 I (fig. 1),rispettivamente anteriori al 1378 e al 1388.

7 - M. Minazzato, La miniatura a Padova nel Trecento, in Giotto eil suo tempo, a cura di V. Sgarbi, Padova 2000, catalogo, (pp. 234-247) p. 237.

8 - M. Gregori, in AA.VV., Pittura tra Adda e Serio, Lodi, Trevi-glio, Caravaggio e Crema, Milano 1987, pp. 89-91. RingrazioSandro Baroni per il materiale e per le discussioni stimolanti.

9 - E. Carli, Giovanni di Balduccio a Milano, in AA.VV., Il millen-nio ambrosiano, III, Milano, 1989, (pp. 70-103) p. 83.

10 - G. Fiamma, Opusculum de rebus gestis ab Azzone, Luchino etJohanne vicecomitibus ab anno MCCCXXXVIII usque ad annumMCCCLXI in F.L.Muratori, R.I.S., t. XII, parte IV, a cura diC.Castiglioni, , Bologna 1938.

11 - J. Polzer, A Contribution to the Early Chronology of LippoMemmi, in Atti del XXI Congresso Internazionale di Storia del-l’Arte (1979), vol. III, Bologna, 1983, p. 239.

12 - P. Brambilla Barcilon, Note Tecniche, in S. Bandera, Giotto e iVisconti. Il restauro dell’affresco giottesco in San Gottardo alPalazzo, Milano1986, p.24.

13 - Gregori, op. cit., 1999.

14 - Per la ricostruzione dell’opera di Stefano si veda B. Zanardi,Da Stefano Fiorentino a Puccio Capanna, in Storia dell’Arte,1978, n. 33, (pp. 115-127) pp. 119-123. Recentemente la Travi (inAA.VV., Chiaravalle. Storia e Arte, Milano 1992, p. 356) gli haattribuito, ottenendo totale assenso dalla critica, una Crocifissionead affresco nella sacrestia del Duomo di Monza e altre opere,meno significative e più deboli. Si veda anche M. Boskovits, SuGiusto de’ Menabuoi e il Giottismo dell’Italia Settentrionale, inAA.VV., Studi di Storia dell’Arte in onore di Mina Gregori, Firen-ze 1994, (pp. 26-34) p. 27 n. 4, L.M., in AA.VV., Giotto e il suotempo, cit. 2000, pp. 301-302 (per la Velata, del Museo di Budape-st, già pubblicata dallo Zanardi) op. cit., 1978, p. 127.

15 - C. Travi, in AA.VV., Pittura a Milano, cit., 1997, p. 212.

16 - C. Travi, in AA.VV. Pittura a Milano, cit. 1997, pp. 211-212.

17 - L. Bellosi, Buffalmacco e il Trionfo della morte, Torino 1974,p. 57 n. 28.

18 - F. Novati, Il Petrarca ed i Visconti, in AA.VV., F. Petrarca e la

Lombardia, Milano 1904, pp. 9-84; E.H.Wilkins, Pehrarch’s EightYears in Milan, Cambridge (Mass.) 1958; M. Baxandall, Giotto egli umanisti, 1a ed. 1971, ed. cons. Milano 1994, pp. 77-108; L.Secchi Tarugi, Petrarca e l’Umanesimo, in AA.VV., Petrarca e lacultura europea, Milano 1997, (pp. 341-350) pp. 346-347.

19 - M. Baxandall, Giotto e gli umanisti. Gli umanisti osservatoridella cultura italiana e la scoperta della composizione pittorica1350-1450, 1a ed. 1971, ed. cons.Milano 1994, pp. 77-107.Soprattutto nel De remediis utriusque fortunae, scritto dal Petrarcatra il 1354 e il 1366, e che costituisce la più ampia discussione sul-l’arte più ampia del Trecento, si parla del valore del disegno, inte-so come segno, ricerca formale. Questo testo fu fondamentale nel-l’ambiente petrarchesco lombardo, formatosi appunto attorno almaestro, nel quale emersero Gasparino Barzizza e Antonio da Rho.

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Introduzione

Le malattie rare (MR) formano un vastissimo grup-po di patologie, molto eterogenee tra loro, difficilida affrontare in modo sistematico, omogeneo e con-diviso sul piano diagnostico ed assistenziale. L’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità ne ha ricono-sciute circa 6000, la maggior parte delle quali ha unandamento cronico, spesso invalidante.Nell’opinione comune, le malattie rare, soprattutto sedeterminate geneticamente, sono considerate invaria-bilmente gravi, progressive e correlate ad una vitabreve, densa di difficoltà e di necessità assistenziali.Senza dubbio vi sono malattie che si esprimono conun danno irreparabile, a volte generalizzato, didiversi organi e funzioni, limitando le capacità e leprospettive di una vita completa. In questi casi lapersona malata è fortemente condizionata dalla suadiversità. Vi sono però numerose condizioni rare,sia ereditarie che non ereditarie, che, grazie allenuove prospettive terapeutiche, al miglioramentodelle cure e dell’assistenza, possono essere tenutesotto controllo o limitate nei loro effetti negativi,consentendo alle persone affette una vita quasi nor-male, proiettata verso una pienezza sociale che, finoa pochi anni fa, non era ipotizzabile. In questi casi,pensiamo ad esempio alle sindromi talassemiche oai soggetti con displasie scheletriche, è possibileche si concretizzino per i malati, tappe fondamenta-li quali la vita affettiva di coppia, il desiderio di unfiglio e la possibilità di un inserimento lavorativo.Per garantire tutto questo è però indispensabile chei centri di riferimento per la diagnosi e la cura dellemalattie rare siano in grado di offrire una presa incarico globale dei soggetti affetti. La Fondazione Ospedale Maggiore-Mangiagalli hatutte le potenzialità per compiere questo passaggioed offrire un modello di cura rispondente in pienoall’insieme dei bisogni di ogni singola personaaffetta da una delle tante malattie rare.

La normativa in aiuto dei malati di malattia rara

L’Unione Europea identifica come malattia rarauna condizione che ha un’ incidenza al di sotto dei5 casi ogni 10.000 abitanti. Curiosamente, il Con-gresso degli Stati Uniti, ha fissato un limite piùalto, decidendo per una prevalenza entro i 7,5 casisu 10.000 .Allineandosi all’orientamento europeo, l’Italia haindividuato nelle malattie rare un ambito di inter-vento prioritario delle attività di sanità pubblica,recepito nei Piani Sanitari Nazionali 1998-2000,2003-2005 e 2006-2008 che riportano, tra gliobiettivi, la sorveglianza delle MR, inclusa la dia-gnosi corretta e tempestiva, il riferimento a centrispecialistici per il trattamento, la promozione diattività di prevenzione e il sostegno alla ricercascientifica. Uno degli elementi comuni alle MR,che condiziona molti aspetti dell’organizzazionenecessaria per la loro identificazione e trattamen-to, è proprio la loro bassa incidenza nella popola-zione. Questo comporta che i centri, anche alta-mente specialistici, abbiano coorti limitate di sog-getti, dei quali non sempre sono note la variabilitàdi espressione clinica della malattia e la prognosinelle diverse età della vita.L’attività di prevenzione, di diagnosi e la terapiadelle MR sono regolati dal DM 279/2001 che pre-vede che le Regioni scelgano, tra i propri Presidi,quelli accreditati per far parte della Rete Naziona-le delle Malattie Rare e che, tra questi, venga indi-viduato il Centro Interregionale di Riferimentocon funzione di coordinamento tra i presidi regio-nali e la Regione e di organizzazione del flusso didati relativi alle MR.Lo scopo della Rete Nazionale è quello di miglio-rare, come già detto, la tempestività della diagno-si, la qualità dell’assistenza, la prevenzione, maanche di raccogliere i dati epidemiologici relativia queste patologie, tramite l’istituzione del Regi-

La Fondazione è centro di riferimentoper 260 malattie rare

FAUSTINA LALATTA, SILVANA CASTALDI

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stro Nazionale delle malattie rare (collocato pres-so l’ Istituto Superiore d Sanità), utile a program-mare e realizzare interventi di sanità pubblica.Il Decreto, per favorire l’erogazione di prestazionie terapie in regime di esenzione alla partecipazio-ne al costo delle prestazioni sanitarie stesse, haincluso nell’elenco delle “rare” 284 malattie. Que-sto elenco è in corso di aggiornamento ed amplia-mento.In ottemperanza alla normativa nazionale la regio-ne Lombardia, con il D.G.R. n. 7/7328/2001 hacostituito la rete regionale delle MR, individuandoi 29 presidi abilitati ed il Centro di Ricerche Clini-che per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò dell’I-stituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”di Milano, quale centro interregionale. Obiettivo principale della Rete è “quello di facili-tare il paziente nel percorso diagnostico e terapeu-tico, garantendo un elevato livello della qualitàdell’assistenza ed una tempestività di azione”.È ben precisato che “i Presidi della Rete per lemalattie rare devono essere individuati tra quelliin possesso di documentata esperienza di attivitàdiagnostica e terapeutica specifica per i gruppi dimalattie o per le singole malattie, nonché di ido-nea dotazione di strutture di supporto”; in questomodo la Regione vuole garantire che le strutturedi riferimento per i pazienti affetti da MR assicu-rino un adeguato “approccio complessivo clini-co-diagnostico-terapeutico, multidisciplinare”oltre che la capacità di farsi carico del supportosociale e psicologico ai pazienti stessi ed ai lorofamiliari”. L’IRCCS Ospedale Maggiore di Milano (OMP) el’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezio-namento (ICP) sono stati individuati presidi dellarete delle MR già nel 2001 ed hanno condottol’accreditamento per un elevato numero di malat-tie rare, attraverso l’individuazione dell’attivitàdei loro specialisti.Nel gennaio 2005 con la nascita della FondazioneOspedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli eRegina Elena, formata dall’IRCCS Ospedale Mag-giore di Milano e dai presidi Mangiagalli, DeMarchi, Alfieri, Clinica del Lavoro e ReginaElena, si è realizzata l’Istituzione lombarda che èriferimento per il numero più elevato di malattierare (tabella).

Vi è da notare che presso gli ex-ICP un numeroinferiore di specialisti era accreditato per unnumero più elevato d malattie in quanto l’ambitoneonatologico e pediatrico presenta una minorecaratterizzazione super-specialistica e uno spettrodi condizioni cliniche più ampio rispetto ai repartidedicati a singoli gruppi di condizioni cliniche.

Analisi dell’attività degli specialisti dedicatialle malattie rare

Nel corso di questi ultimi due anni sono state rea-lizzate diverse iniziative per censire con maggioreprecisione l’attività degli specialisti coinvolti nel-l’assistenza ai soggetti con malattie rare, per iden-tificare le coorti di pazienti più numerose e permettere in rete gli specialisti che offrono la consu-lenza nei casi che hanno coinvolgimento interdi-sciplinare. A questo proposito è sufficiente elen-care alcuni ambiti diagnostico-assistenziali qualile malattie ematologiche, le malattie neurologi-che, endocrinologiche o le sindromi malformativecon disabilità mentale per rendersi conto dellapotenzialità della Fondazione in questo ambito. Nel 2006 è stata sollecitata la stesura di uno sche-ma del percorso diagnostico terapeutico adottatoper ogni singola patologia; è stato avviato unmonitoraggio del numero di esenzioni rilasciatenel corso degli ultimi anni e soprattutto si è cerca-to di promuovere un maggiore collegamento tra leUnità Operative accreditate per le stesse malattiee che avevano interesse ad integrare i propri inter-venti. Come è facile intuire, questo lavoro hamesso in luce numerose eccellenze ma anchemolte criticità, comuni alla maggior parte delleUnità coinvolte.

Numero delle unità operative, degli specialisti dedicati e numero com-plessivo delle MR di cui i medici sono riferimento. * Questo numero comprende numerosi “doppioni”, cioè più specialistirisultano accreditati per la medesima malattia. Le MR di cui la Fonda-zione è centro di riferimento sono 266.

Presidio UO Medici Malattie coinvolti accreditate

Ospedale Maggiore 12 44 205 Mangiagalli, Alfieri,De Marchi

7 16 213

Fondazione OMPMRE 19 60 418*

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È innanzitutto emerso che nei casi in cui due o piùspecialisti erano accreditati per la medesimamalattia rara, si erano realizzate modalità operati-ve non omogenee. In particolare, presso le diverseUnità, alcuni specialisti avevano privilegiato l’at-tività diagnostica, mentre altri avevano dedicatomaggiore attenzione alla presa in carico assisten-ziale, con un rapporto tra il medico di riferimentoe il soggetto affetto e la sua famiglia prolungatonel tempo. Inoltre i medici che operavano conmalati in ambiti di età diversi (neonato, bambinoo adulto), non sempre avevano sviluppato unacontinuità assistenziale, con difficoltà di passag-gio dall’ambito pediatrico alla medicina interna.Quasi tutti gli specialisti hanno lamentato grossecarenze organizzative, difficoltà nella programma-zione dei controlli nel tempo. perdita di utenti e lanecessità di avvalersi delle Associazioni di fami-glia per la copertura di posizioni amministrative esanitarie.Per affrontare in modo più organico ed efficacel’insieme dei problemi, nel mese di agosto di que-st’anno è nato un gruppo di lavoro interdiparti-mentale che si è impegnato a produrre una docu-mentazione articolata della situazione attuale.

L’impegno dei prossimi anni

Come si può intuire, la diagnosi eziologica dimalattia rara è un obiettivo difficile da perseguire,nonostante lo sviluppo delle nuove tecnologie distudio morfologico e di analisi del genoma. Eppu-re, l’inquadramento diagnostico è solo il punto dipartenza del più ampio e complesso processo dipresa in carico assistenziale. Come già illustrato,l'assistenza fornita sin dalla nascita a soggettiaffetti da malattie rare ha certamente migliorato laloro sopravvivenza e la loro qualità di vita, ma haaperto nuove problematiche per coloro che rag-giungono l’età adulta. Tale complessità è correlataalla natura stessa della maggioranza delle MR incui sono presenti manifestazioni cliniche specifi-che, ma anche numerose potenziali complicanzeche devono essere conosciute ed identificate tem-pestivamente per evitare rischi acuti al pazienteoppure progressione della patologia.L' esperienza maturata in questo contesto, graziead un progressivo lavoro di collegamento tra le

strutture che operano in ambito pediatrico e lestrutture che operano in ambito adulto, lasciaintravedere un modello nuovo, unico per quantoriguarda la nostra Regione, basato sul coordina-mento delle attività di consulenza e sulla conti-nuità assistenziale.Questa opportunità, resa possibile dalla notevoleesperienza clinica, dalla presenza nella Fondazio-ne di quasi tutte le discipline mediche e chirurgi-che, e soprattutto dalla coesistenza dell’ambitopediatrico ed adulto, porterà ad un aumento delleconoscenze riguardo alla storia naturale di moltemalattie rare ma anche ad un miglioramento del-l’assistenza. Naturalmente, per poter fornire sul piano praticoed organizzativo il miglior servizio al paziente ealla sua famiglia, dovranno essere previsti cam-biamenti della programmazione dei controlliambulatoriali, di DH o di ricovero ordinario.Ci auspichiamo che possano essere individuatimomenti di facilitazione per le numerose visitespecialistiche/esami strumentali previsti dai proto-colli di follow-up che dovrebbero essere coordina-ti da poche strutture e concentrati possibilmentein un’unica giornata, con la supervisione dell’e-sperto di quella specifica malattia rara.In questo modo, infatti, egli potrà stabilire unaproficua interazione tra i diversi specialisti,ponendo ad essi quesiti clinici mirati e preparareuna sintesi finale delle valutazioni effettuate abeneficio del paziente, della famiglia e del medicocurante.Questo obiettivo presuppone però alcune sceltestrategiche che possano permettere all’esperto diMR di svolgere con profitto il suo gravoso compi-to. È quindi indispensabile che questa istituzione,che prevede tra le sue linee prioritarie di ricercaed intervento l’ambito delle malattie rare, metta adisposizione degli esperti percorsi privilegiati,corsie preferenziali, dalla prenotazione di accerta-menti e visite specialistiche, alla raccolta degliesiti e al contatto con la famiglia.Si tratta in sostanza di investire per rendere effi-ciente e consona ai tanti bisogni dei malati, unastruttura che possiede le competenze scientifiche,l’esperienza clinica e la motivazione per mantene-re il primato nella diagnosi ed assistenza di oltre250 malattie rare.

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Introduzione

Come in buona parte degli ospedali della città di Milano, il Pron-to Soccorso, nato storicamente come servizio deputato a garanti-re livelli ottimali di assistenza al paziente in condizioni critiche,si è trasformato negli anni in un luogo di cura dove è prestataassistenza in qualsiasi momento della giornata e, soprattutto, achiunque. Ciò significa che agli utenti che ivi accedono vienesempre e comunque garantito un accertamento diagnostico sulproblema presentato, così come sono assicurati gli aiuti necessarialla soluzione del problema stesso.A livello organizzativo il Pronto Soccorso del presidio OspedaleMaggiore Policlinico (OMP) e quello pediatrico del padiglioneDe Marchi, rappresentano le strutture operative del Dipartimen-to di Emergenza-Urgenza e Accettazione.All’interno del Pronto Soccorso del presidio OMP si trovanocollocate le risorse umane e le funzioni più importati per unagestione “urgente” dei problemi: il punto di accettazione delpaziente (triage), il laboratorio d’urgenza, la radiologia sonoalcuni esempi delle funzioni sanitarie che permettono ai medicie agli infermieri del Pronto Soccorso di operare in maniera effi-ciente ed efficace.Negli ultimi anni le condizioni socio-sanitarie della popolazionee i cambiamenti in atto delle politiche sul welfare state hannocreato le premesse per assistere ad un radicale cambiamentonell’uso di questo servizio da parte dei cittadini: se da un lato siè assistito ad un progressivo allungamento della vita e ad unrelativo miglioramento delle condizioni generali di salute dellapopolazione, dall’altro le malattie croniche, il disagio e la fragi-lità sociale ed economica della gente hanno reso il Pronto Soc-corso uno dei punti di snodo nevralgico per il governo dellasalute dei cittadini.Ne è conseguito che nel Sistema Sanitario Nazionale l’ospedalee il Pronto Soccorso, in maniera particolare, sono diventatioggetto di studio e di riflessioni al fine di avviarne un processoimportante di cambiamento e di riadattamento alle “nuove”necessità del cittadino.Ma un ri-disegno razionale dell’ospedale associato ad una ana-lisi della sua identità sociale, di come è valutato o cosa attendela popolazione da questo, portano necessariamente ad un’azio-ne di cambiamento complessivo, da gestire a seconda dei casicon meccanismi di cambiamento rapido o a lungo termine. Anche nel mondo sanitario i cambiamenti organizzativi posso-no essere classificati secondo modelli mutuati dall’organizza-

zione industriale o da quella dei servizi. Lo schema riportato diseguito è tra quelli che più facilmente aiutano a delineare insanità le strategie ed i comportamenti che possono avviarsi infunzione dell’impatto che il miglioramento desiderato puòassumere nell’organizzazione.

In sanità si accetta per principio che alcuni elementi che deter-minano il mutamento possano essere differenziati tra quelli chepossono avvenire unicamente con l’intervento del singolo pro-fessionista rispetto a quelli che dipendono dalla organizzazionenel suo insieme. Si ipotizzano dunque due categorie di cambia-menti: incrementali (che dipendono dal professionista) e strate-gici (che dipendono dall’organizzazione nel suo complesso). Aloro volta queste modifiche comportano due approcci differen-ti: il primo, soft, delicato o discreto, in cui il cambiamentorichiede un semplice intervento di sincronizzazione del propriooperato alle necessità rilevate (cambiamenti anticipativi); ilsecondo, hard, deciso e rigoroso, richiede invece un rimodella-mento sistematico dell’attività. In questo caso, il singolo pro-fessionista o la struttura in genere dovrà investire molto peravviare il cambiamento (cambiamenti reattivi). Per il singolo professionista si passa quindi da piccoli aggiusta-menti del proprio operato per “sintonizzarsi” con le nuoverichieste (tuning) a vere e proprie revisioni dell’operatività(adattamenti); per la struttura invece si passa da strategie disorveglianza e controllo (riorientamenti) a vere e proprie tra-sformazioni organizzative (rifondazioni).Se consideriamo il mondo sanitario, l’ospedale è costantementechiamato a orientare le proprie prestazioni in funzione dei bisognidei pazienti. In Pronto Soccorso, ad esempio, giungono pazienticon diversi gradi d’emergenza e d’urgenza, declinati da quelli dif-feribili a quelli non differibili: non va trascurato il fatto che si pre-sentano in Pronto Soccorso anche soggetti con problematiche chenon presentano il carattere d’emergenza e di urgenza.

Prime riflessioni sul progetto “TOYOTA”del Pronto Soccorso del Padiglione Guardia Accettazione

FRANCESCO DELLA CROCE, FEDERICO DIONI

Cambiamentiincrementali

Cambiamentianticipativi

tuning riorientamento

adattamenti rifondazioniCambiamentireattivi

Cambiamentistrategici

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Regione Lombardia, l’ASL, ecc…), ma possono essere affronta-te all’interno dell’ospedale le criticità locali o specifiche.

L’approccio al Sistema TOYOTA

Nell’ambito di una ricerca bibliografica centrata su esperienzedi soluzioni organizzative che promuovessero il cambiamentoverso gli obiettivi desiderati, ci si è soffermati sull’analisi dialcuni lavori che davano evidenza dell’utilizzo di un modello diapproccio al cambiamento mutuato dal sistema industriale: ilmetodo TOYOTA.Tale metodologia nasce negli anni ’50 nella famosa fabbrica diautomobili, da cui mutua il nome. Gli esperti affermano che ilMetodo TOYOTA, se correttamente applicato, ha consentitonell’industria di fare tutto ciò che si faceva prima riducendo ametà le risorse coinvolte, permettendo alla struttura quindi diutilizzare le risorse “eccedenti” in altri settori di lavoro.La nostra curiosità si è quindi mossa anche nel tentativo di veri-ficare se ciò era possibile nel mondo sanitario. Dove sperimen-tato (laboratori, sale operatorie, ambulatori, ovvero strutture incui l’attività è programmata o programmabile, senza il pesoquindi del pronto intervento), la letteratura scientifica riportarisultati sostanzialmente correlabili a quelli dell’industria.Il metodo TOYOTA stravolge completamente l’approccio clas-sico alle attività caratteristiche di una organizzazione e ne pro-pone uno “innovativo”: il paziente è al centro dell’organizza-zione; è (o deve diventare) il fulcro attorno al quale ruota tutto. Per promuovere questa visione all’interno di un sistema orga-nizzato, industria o ospedale, uno degli ispiratori del modello,Taichi Ohno, ha più volte ricordato come il sistema TOYOTA sibasi su alcuni principi filosofici ed antropologici che si richia-mano ad assiomi universalmente condivisi: • Le risorse umane sono qualcosa al di sopra di ogni misurazione.• Le capacità di queste risorse possono estendersi illimitata-mente quando ogni persona comincia a pensare.• Quello che dobbiamo imparare lo dobbiamo imparare facendo.• Costruire il lavoro come una continua serie di esperimenti chedanno come risultato un apprendimento continuo e di conse-guenza una continua serie di miglioramenti, attribuendo la mag-gior responsabilità possibile al “livello più basso” possibile.• Non esiste l’operatore, ma il membro di un team.Traslando questi principi ad un processo organizzativo del lavoro,Taichi Ohno è poi ricorso alla definizione di tre termini fonda-mentali, che ricorrono in tutto lo sviluppo del metodo TOYOTA:• valore: la ragione d’essere della struttura, ovvero il motivoper cui nasce la struttura, il suo scopo. In sanità, il valore puòessere individuato come il ripristino o il mantenimento dellasalute del cittadino;• spreco: qualsiasi utilizzo di risorse che non aggiunge valore;• flusso: la sequenza delle azioni utili per raggiungere l’obietti-vo individuato e che porti “valore”.Ne consegue che la metodologia propone di fatto un approccioorientato al concetto di qualità totale: se le attività rispondessero

La contrapposizione è evidente: i pazienti si avvicinano e si affi-dano alla struttura ospedaliera con condizioni che variano dalperfettamente sano al prossimo alla morte: ne consegue che lastruttura sanitaria, nel nostro caso il Pronto Soccorso, passa daun’analisi di bisogni pressoché marginali o limitati a situazioniche possono richiedere risorse potenzialmente senza limiti. L’o-spedale, d’altro canto, si trova a fronteggiare risorse (umane,strutturali, funzionali ed economiche) che sono limitate e chenon sono quindi sufficienti a coprire i bisogni dei pazienti. Siamo quindi di fronte ad un’espansione dello iato tra bisogni erisorse disponibili, che deve essere colmato per far sì che l’u-tente finale fruisca del miglior servizio possibile e che ne siasoddisfatto tanto quanto l’operatore che determina il servizio.Ciò nella consapevolezza reciproca che la Medicina, ad esem-pio, non ha potere di migliorare i determinati sociali dellemalattie e si orienta semmai nei casi in cui l’andamento dellamalattia è presumibilmente cronico o dilatato nel tempo a“limitare” il proprio intervento e a “finalizzarlo” sempre di piùverso un miglioramento dello stato di salute, non già alla “gua-rigione”. Ne consegue che la visione sistematica e collettiva delPronto Soccorso va assumendo una connotazione diversa infunzione del fenomeno di invecchiamento e, contestualmente,di impoverimento della popolazione che a questo ricorre.Le strade percorribili sono a questo punto due:1. investimenti: per aumentare il volume di risorse (nuoveassunzioni, interventi strutturali, maggior impiego di risorseeconomiche);2. caccia allo spreco: per aumentare il livello di efficienza aparità di risorse disponibili.

Ci siamo chiesti come la Fondazione, e nello specifico il ProntoSoccorso, potesse rispondere al meglio alla domanda di salutedegli utenti, garantendo la miglior cura al paziente in termini dipatient safety, ovvero di sicurezza, con l’impiego più efficientepossibile delle risorse umane e tecnologiche disponibili. Solita-mente, le strategie per promuovere un corretto utilizzo dei servi-zi di emergenza urgenza vengono decise in altri ambiti (quali la

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a questo principio, ogni attività svolta aggiungerebbe valore alprocesso considerato. Inoltre, il processo di miglioramento conti-nuo così come proposto può essere realizzato soltanto da chi èquotidianamente coinvolto nei problemi affrontati. Il personaleoperativo diviene l’autore principale del cambiamento. È chia-mato a lavorare per obiettivi (ovvero garantire la salute delpaziente, nel miglior modo possibile) e non più a svolgere unaserie di operazioni (mansioni).In accordo con il direttore scientifico, prof. Bonino, ci si èquindi orientati a sperimentare questo metodo in quanto centra-va molto l’attenzione sul “tempo”, ovvero sul suo utilizzo ade-guato, sul suo teorico spreco e quindi sul suo potenziale recu-pero a beneficio dell’efficienza del servizio e dell’efficacia sulpaziente. E dove “sperimentare” se non nel Pronto Soccorso,servizio dove il “tempo” è un requisito essenziale per il gover-no della cura? Gli obiettivi diventavano due: il primo, promuovere la riduzio-ne della distanza tra bisogno del cittadino e risposta della strut-tura, e migliorare la sua realizzazione, in particolare i tempi didefinizione del bisogno (la diagnosi) e le conseguenti azioni (lacura); il secondo, entrando nell’applicazione del metodo, com-prenderne i limiti là dove il costante mutamento dei bisognispesso produce negli operatori burnt out, ovvero stress, sfiduciao voglia di cambiare sede lavorativa, per le difficoltà che spessoquesti incontrano nel tentativo di dare risposte che investono illoro operato ma, a volte, senza adeguate risorse o rispostedall’“Alto”. Nel novembre 2005 si è quindi avviata la pianificazione delprogetto che si è poi avviato nel gennaio 2006.

Il progetto “TOYOTA” del Pronto Soccorso

Nasce dunque il “progetto TOYOTA”, che coinvolge il perso-nale di Pronto Soccorso direttamente responsabile delle attivitàcollegate alla gestione dei pazienti che accedono in Pronto Soc-corso. L’adesione da parte di tutto il personale impiegato inPronto Soccorso è stata necessaria ai fini di un rimodellamentodella gestione del Pronto Soccorso e per l’implementazione diun nuovo, forse semplicemente riadattato, sistema organizzati-vo che rinforzi i principi di buona pratica, ovvero corretta enecessaria, e di soddisfazione del paziente.Individuati i soggetti coinvolti nel progetto, si è chiesta loro ladisponibilità di partecipare per una settimana, la settimana Kai-zen, in maniera continuativa al lavoro in team e per quanto diloro competenza. Il Kaizen ( ) è una metodologia giapponese di miglioramentocontinuo, passo a passo, che coinvolge l'intera struttura coin-volta nel progetto. Il termine Kaizen è la composizione di duetermini giapponesi: KAI (cambiamento) e ZEN (meglio).Dato avvio alla settimana di lavoro, tra le attività propedeutichee funzionali relativamente alla metodologia proposta per il rag-giungimento degli obiettivi legati al progetto, il ruolo fonda-mentale è rimasto la formazione sul campo, soprattutto al fine

di apprendere ed utilizzare quelli che sono individuati comestrumenti essenziali del metodo, poi immediatamente applicatinel corso del lavoro:1. la mappa di flusso del valore: è la rappresentazione grafica delflusso (percorso del paziente). Tale strumento è tipicamentecostituito da un diagramma a lische di pesce (fish-bone) che con-sente di individuare in modo molto semplice, diretto ed imme-diato le varie fasi del processo analizzato, associando a ciascunadi esse le criticità riscontrate. Tutto ciò che impedisce al flusso discorrere fluidamente viene evidenziato e contestualmente sonoindividuate le cause che producono attese ingiustificate.2. evento 3P (Production, Preparation, Process): è l’analisi diprocesso, condotta all’interno della Settimana Kaizen. Partico-larmente efficace in ambito sanitario in quanto considera pre-stazioni, processo produttivo e tecnologie come un unico siste-ma integrato.3. i 7 modi: è lo strumento che consente di individuare le solu-zioni possibili alle criticità rilevate. In modo creativo e senzacondizionamenti, si chiede ai partecipanti al gruppo di lavoro dipensare a sette modi alternativi di gestire le azioni/operazioniman mano considerate.Ogni giorno era scandito dagli obiettivi da raggiungere entro lasera e, in serata, si rappresentavano i risultati raggiunti. Nellagiornata di esordio, in particolare, tutti i partecipanti hannodovuto sottoscrivere un “contratto” che dichiarava, in sintesi, laloro adesione al progetto e, in particolare, la loro assolutadisponibilità ad ascoltare e aderire ad idee o proposte anche senon condivise concettualmente, ma che fossero frutto del lavo-ro di condivisione e originate da operatori che ordinariamentenon entravano nella sfera dei rapporti quotidiani di lavoro.Altro punto chiave, che l’impegno preso dal gruppo fosse pub-blicamente dichiarato alla fine della settimana alla DirezioneStrategica e agli altri operatori dell’ospedale attraverso una pre-sentazione in aula.Con tale premessa, si è quindi giunti a perseguire come proget-to di lavoro i seguenti obiettivi:1. ridurre i tempi di attesa per i pazienti tra la prima visita e ilricovero/dimissioni nei settori chirurgia e medicina specifica-mente per i codici bianchi e verdi;2. introdurre all’interno del Pronto Soccorso nuove metodolo-gie operative;3. orientare il personale verso una gestione delle attività perflussi di valore;4. apportare un graduale cambiamento culturale nell’approccioalle attività di Pronto Soccorso.È stato quindi analizzato il percorso del paziente che giunge inPronto Soccorso al fine di individuare le criticità nell’organiz-zazione che portano alla diminuzione dell’efficienza del servi-zio per attivare, di conseguenza, un processo di miglioramento. L’area d’intervento ha coperto tutte le attività del Pronto Soc-corso (compresi i servizi), dal triage alla dimissione/ricoverodel paziente, con particolare riferimento alle sezioni di medi-

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cina e chirurgia e ai loro pazienti con codici di priorità biancoe verde.Condiviso il concetto di valore dell’organizzazione, ovvero lacapacità di mantenere lo stato di salute del paziente o ristabilir-lo qualora ve ne fosse necessità, e il suo significato a beneficiosia degli utilizzatori (pazienti) sia degli operatori (medici einfermieri), ci si è concentrati sul concetto di spreco.Per fare questo si sono preliminarmente identificate le seguenticriticità, suddivise in interne ed esterne: l’interagire di questifattori critici fra loro comporta la formazione di code nel per-corso del paziente e i punti particolarmente critici assumono lapeculiarità dei classici “colli di bottiglia”.

È stato rilevato come una delle principali cause di inefficienzaall’interno del Pronto Soccorso del presidio Ospedale Maggio-re sia l’inadeguatezza degli spazi. Il nodo principale è costituitodall’astanteria, vero e proprio collo di bottiglia e luogo nelquale confluiscono o i pazienti in attesa di essere visitati o inattesa di decisioni sul loro destino.L’interazione fra i vari operatori è un’altra causa di possibiliinefficienze: è infatti emersa la necessità di ottimizzare alcuni

meccanismi organizzativi che permettano un miglior coordina-mento tra personale medico ed infermieristico, o fra personaledel Pronto Soccorso e altri operatori delle unità specialistiche acui viene chiesta consulenza.La preoccupazione di eventuali denunce o contenziosi è unulteriore elemento di inefficienza: spesso, anche per i casi dinon-emergenza, non si dimette il paziente prima di aver prov-veduto ad una serie di accertamenti volti ad escludere patologierilevanti. Queste considerazioni hanno così prodotto la stesura deglisprechi, di cui alcuni esempi :• sovrapproduzione: richiedere indagini, esami di laboratorioo consulenze non necessarie, utilizzo di più strumenti delnecessario;• tempo: attesa per referti, attesa intervento medico;• trasporto: tracciati stradali non funzionali, struttura organizza-ta a padiglioni;• perdite di processo: trascrizione dei dati dal referto alla cartel-la clinica, mancato utilizzo del computer quando possibile (es.etichette e richieste scritte a mano);• scorte: farmaci accumulati, campioni in attesa di analisi dilaboratorio,indagini diagnostiche in attesa di diventare referti;• movimenti: spostarsi da una stanza all’altra per completareun’operazione;• prodotti difettosi: errore nel risultato di un’indagine diagnostica.Questi sprechi sono stati classificati all’interno delle criticitàqui riportate:

• strutturali• organizzazione del lavoro

e coordinamentotra i vari operatori

• vincoli medico-legali

• utilizzo non appropriatodei servizi diPronto Soccorso

• accessi numerosi

INTERNE ESTERNE

AREA CRITICITA’Accesso 1. mancanza di informazioni per l’utenza

1. rigidità codici di triage2. scarsa competenza utilizzo software dedicato3. carenza di percorsi brevi per pazienti selezionati4. gestione pazienti psichiatrici1. carenza protocolli clinici condivisi2. flussi contorti per gli ambulatori minori3. utilizzo indagini radiologiche non appropriato, richieste incomplete4. stanze non disponibili per mancanza collegamento informatico5. carenza di personale medico in determinate fasce orarie6. difficoltà a procrastinare il percorso ambulatoriamente1. rapporti tra operatori e tra UU.OO. (limitata disponibilità specialisti, consulenza tra medici echirurghi difficoltose, necessità di spostamento dei pazienti per consulenze)2. attesa esami radiologici (lunghe attese in certe fasce orarie, difficoltà di esecuzio ne ecodoppler)3. gestione esami di laboratorio (lunghi tempi di refertazione, mancanza esami tossi cologici ericerca BK su espettorato, limitata disponibilità esami pre-intervento)4. gestione letti (mancanza di posti letto, stanza di isolamento infettivi)5. documentazione (cartella infermieristica cartacea)6. trasporto pazienti

Seconda visita difformità comportamenti medici1. ricerca posto letto2. difficoltà al ricovero in certe fasce orarie3. gestione di più referti in dimissione4. trasporto pazienti

Triage

Prima visita

Astanteria

Dimissione / Ricovero

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La loro identificazione è avvenuta attraverso la mappatura suun diagramma a lisca di pesce delle varie fasi del percorso delpaziente all’interno del Pronto Soccorso (flusso). L’uso di que-sto particolare diagramma ha reso possibile (1) rappresentaregraficamente il percorso del paziente lungo tutte le fasi del pro-cesso (2) chiarire quale sia il flusso di attraversamento (3)approfondire le singole fasi che costituiscono il percorso delpaziente (4) identificare i problemi che rallentano il flusso e leopportunità per migliorarlo. Foglio dopo foglio si è costruito unmurales che ha permesso di individuare, idealizzare e distin-guere i “tempi” utilizzati, ovvero i tempi utili da quelli d’attesae senza valore per il paziente o per il Pronto Soccorso. Questitempi sono stati presi come indicatori per il cambiamento,ovvero sono state considerate le attività e i tempi al fine diavviare dei progetti di miglioramento che potessero poi esseremisurati in termini di guadagno sul tempo di transito e conse-guentemente sull’efficienza dell’attività nel suo insieme.Si è così giunti a definire il processo ottimale, rappresentatotramite un nuovo diagramma a lisca di pesce.

Inoltre, attribuendo un peso a ciascun intervento, i progetti eranostati riprodotti successivamente in una tabella di riferimento cheindicava l’incidenza di ciascuna area sul progetto generale sulPronto Soccorso. Questo approccio evidenziava ancora una voltache l’astanteria aveva il peso maggiore su tutta la pianificazionedel miglioramento: su un peso totale del progetto di 76 punti, gliinterventi in astanteria pesavano 25 (31.64%), mentre le rimanentiaree si spalmavano i restanti punteggi. Sulla base della program-mazione concordata agli inizi di febbraio 2006 è partita la faseoperativa, nella quale mettere in atto le proposte di miglioramentoemerse. Incontri bisettimanali di verifica dello stato avanzamentolavori avrebbero garantito un monitoraggio costante sull’anda-mento dei progetti. Nell’autunno 2006 sono stati sospesi gliincontri di verifica collegiali e ogni progetto è stato gestito auto-nomamente. Questa scelta è derivata dal fatto che per ogni proget-to avviato si erano definiti ormai il loro destino di attuazione o dieventuale sospensione per revisione: non si rendeva cioè piùnecessaria una ri-pianificazione collegiale, in quanto era sufficien-te gestire il buon proseguimento delle iniziative intraprese edeventualmente riaffrontare il problema di quelli in sospeso unavolta che le condizioni si fossero modificate. In quest’ultimo

caso, il team leader e il responsabile del progetto avevano laresponsabilità di monitorarne il possibile riavvio.

Luci ed ombre sul metodo

Nel suo complesso, i risultati che si stanno realizzando sono inlinea con le premesse allo studio e all’utilizzo del metodo, ovverocon l’ipotesi che il sistema TOYOTA si rivela particolarmente effi-cace per gli interventi di tipo tuning e di tipo adattamenti. Si puòaffermare che esistono elementi vincenti che accompagnano nonpoche criticità, brevemente riassunte nello schema sottostante.

TIPOprofessionista organizzazione / azienda

AREA (1) tuning (2) adattamenti (3) riorientamento (4) rifondazione totaleastanteria 3 3 4 10protocolli 1 8 9radiologia 2 1 2 5gestione posti letto 1 1 1 3triage 2 1 3laboratorio 2 1 3infermieri 1 1gestione 1 1sala visite 1 1totale 13 12 5 6 36

I progetti di miglioramento

Attraverso l’evento 3P le criticità emerse hanno dato origine a36 progetti di miglioramento, di cui 10 da raggiungere entro tremesi, definiti prioritari per velocità di realizzazione, facilità disviluppo e basso costo da sostenere. Dopo la conclusione della settimana Kaizen, i progetti sono poistati classificati sinteticamente dal team leader del gruppo per ilprogetto generale secondo le modalità teoriche di impostazionedel cambiamento e della corretta individuazione teorica delresponsabile a cui era attribuita la responsabilità di procederesul progetto assegnato (professionista o organizzazione nel suoinsieme).Ogni gruppo di lavoro, costituito sulla logica del team interfun-zionale, aveva infatti individuato durante la settimana unresponsabile che avrebbe dovuto seguire una programmazionea fasi concordata e condivisa. Le criticità individuate, dislocatelungo le varie fasi del percorso del paziente, alla fine risultava-no così suddivise, per area d’intervento e responsabilità teorica:

• difficile standardizzazione delbisogno (il processo presentaampia variabilità)

• valutazione in funzione soltantodel tempo (che diventa fattoreassoluto e unico indicatore diperformance)

• impegno costante• impatto dei risultati a lungo ter-

mine

ELEMENTI VINCENTI ELEMENTI CRITICI• attenzione rivolta ai processi /

flussi nel dettaglio• valorizzazione dell’autonomia

concordata con i singoli operatoriper la soluzione di problemi orga-nizzativi che derivano dal lororuolo e dall’incarico ricevuto

• sviluppo del lavoro di gruppo• costituzione di una coscienza

comune• meccanismo di realizzazione del

miglioramento “giorno per giorno”

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Possiamo affermare che quando il professionista (medico oinfermiere) è stato chiamato ad implementare un cambiamento,con l’approvazione e il mandato da parte dei responsabiliaziendali, il cambiamento si verifica. La gestione del giornodopo giorno, per piccoli passi, è stata sostenuta e promossa gra-zie all’approccio proposto dal metodo TOYOTA e alla modalitàdi suo recepimento all’interno della Fondazione.Quando si tratta di cambiamenti strategici, invece, il sistemaTOYOTA è apparentemente meno efficace: l’attore del cambia-mento diventa in questo caso l’organizzazione stessa e si escequindi dalla gestione del giorno dopo giorno. Non è possibilepensare ad un cambiamento rapido: l’evoluzione è dunque piùlenta e raggiungibile solo nel medio-lungo periodo. Le variabilida controllare aumentano, i fattori che incidono sul processo dimiglioramento sono di più, più complicati e necessariamente sicomplica lo scenario. Questo accade in funzione del fatto chesono coinvolti più attori, appartenenti a più unità operative ostrutture organizzative dell’ospedale, e diversi sono i responsa-bili, che necessitano di un livello di coordinamento maggiore edi una condivisione delle azioni correttive più estesa.È effettivamente possibile sperimentare l’applicazione di alcuneteorie organizzative di natura industriale nel settore sanitario, macondizione necessaria è applicarle con la dovuta flessibilità. Le organizzazioni sanitarie potrebbero trarre dei grossi beneficiadottando alcuni di questi sistemi di miglioramento nati in fab-brica, soprattutto per aumentare i livelli di efficienza e ridurre icosti, ottimizzando quindi l’utilizzo delle risorse date. In particolare, il metodo TOYOTA viene proposto come meto-do blindato; probabilmente, ci insegna la nostra esperienza,vanno salvati i principi ispiratori, ma il metodo deve necessa-riamente sapersi modellare a seconda delle organizzazioni sullequali viene applicato, soprattutto quando la flessibilità deveessere un prerequisito e gli attori coinvolti hanno necessità edinteressi molteplici, identici nel valore universale (ad esempio,la salute dell’individuo), ma realizzati con flussi diversi che siembricano solo in parte tra loro, come nel caso della necessitàdi ricovero dei pazienti dal Pronto Soccorso, che in alcuni casiinterferisce con quelli programmati, altrettanto importanti, affe-renti ad unità operative che difficilmente si adattano o hannodifficoltà ad adattarsi in quanto la loro vocazione organizzativanon comprende il trattamento in “urgenza”, se non per casimolto selezionati. Il metodo Toyota ha consentito di sensibilizzare gli operatorianche su tematiche non strettamente medico-infermieristiche edi attivare di conseguenza un processo di miglioramento dicarattere organizzativo. È cresciuta l’attenzione ai processi neldettaglio, in particolar modo nella fase analitica. La visionecomplessiva del processo non rende possibile dedicare la giustaattenzione ai particolari anche più piccoli, che senza dubbioincidono sui livelli di efficacia ed efficienza del servizio: grazieal metodo TOYOTA, anche i processi più complicati possonoessere analizzati con semplicità e sufficiente dettaglio. Ovvia-mente, è l’intero processo a trarne beneficio.

Altro punto degno di attenzione è il fatto che il cambiamento,applicando il metodo TOYOTA, nasce “dal basso”, seguendol’approccio bottom-up: gli operatori lavorano in “autonomiaconcordata” per risolvere i problemi organizzativi legati al lororuolo. Appare del tutto evidente che un operatore si senta mag-giormente coinvolto in un progetto per migliore il proprio lavo-ro in autonomia, piuttosto che essere considerato mero esecuto-re di azioni strategiche decise da altri.Tra i punti più critici che emergono dal metodo TOYOTA è ladifficoltà di standardizzare un processo che è di per sé moltovariabile, in particolar modo nella casistica d’accesso al ProntoSoccorso. Quando si tratta di un Pronto Soccorso, la variabilitàè molto elevata, maggiore che in altre sperimentazioni dove leattività risultano più ripetitive (es. sala chirurgica, laboratoriod’analisi, ecc…). Questa può essere una difficoltà nell’applica-zione del metodo TOYOTA in sanità.Inoltre, il tempo non può essere il fattore assoluto e l’unicoindicatore di performance rispetto al quale giudicare i risultatiottenuti. Infatti, l’esperienza del gruppo di lavoro TOYOTApuò essere giudicata positiva a prescindere dal fatto che la veri-fica sulla variazione dei tempi dia risultati positivi.Se l’efficienza di un servizio, ad esempio il Pronto Soccorso,potrà essere espressa certamente dal numero di prestazioni ero-gate in una certa unità di tempo e con pari qualità, dovràcomunque anche fare i conti, per praticità, anche su altri indica-tori, capaci di esprimere la funzionalità ovvero la disfunzionedel servizio.Da quanto esposto fino ad ora si può concludere che certamen-te l’esperienza maturata è ovviamente positiva, ovvero: mutua-re dall’industria metodi o modelli che possano aiutare il cam-biamento anche in sanità è possibile, senza dimenticare cha labuona pratica medica ed infermieristica è frutto di esperienzaed aggiornamento, ma anche di intuizione e motivazione, divolontà e passione. Il metodo TOYOTA aiuta a trovare tutto ciò, se smarrito, inognuno dei componenti il team di lavoro, creando uno spirito dicondivisione e di “complicità” che certamente aiuta nell’affron-tare il quotidiano.Pur se implicito anche nella metodologia e negli strumenti pro-vati, è a ogni buon conto dato all’operatore sanitario manteneresaldo l’obiettivo di tutela nei confronti del paziente in quanto,diversamente da una macchina, qualunque sia il “processo diproduzione” che lo coinvolga, il cittadino che si rivolge comenel nostro caso in un Pronto Soccorso ha imparato o sta impa-rando a valutarlo nella sua immediata realizzazione e non giàdopo una “prova su strada”, dopo la quale può anche decideredi cambiare modello o produttore… e questo ogni operatore inPronto Soccorso lo sa bene.

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Cuor contento, il ciel l'aiuta. Altro che erbe, è que-sta la prima forma di medicina: star sereni, disten-dere l'animo e lo sguardo, osservare la vita come sifa con un dono inaspettato (in effetti, non c'è nessu-no che possa dire di aver capito di essere sul puntodi nascere). Certo, anche i giovialoni finiscono col-l'ammalarsi, ma il detto popolare incoraggia all'ac-cettazione serena della sofferenza, perché se vi siriesce, è come essere mezzo guariti. Al di là di ogni proverbio, c'è tutta una gamma di

rimedi istintivi che un giorno meriterebbero diessere codificati in una sorta di “medicina del rifles-so”, intendendo in questo caso il riflesso comegesto primordiale di sopravvivenza. A dirla così,può anche sembrare materia da antropologi. Si trat-ta invece di un repertorio assolutamente familiare equotidiano. Toccarsi il ginocchio che ha battutocontro il paraurti dell'auto parcheggiata malamente,per esempio, che senso ha? E massaggiarlo, acca-rezzarlo, compulsarlo, come se in quel modo sipotesse annullare o almeno attenuare il dolore?Ecco, questo è il punto: attenuare il dolore. Puòesserci mano più... materna della nostra? Quel calo-re (oggi si parla di energia, è più in voga) può ricor-dare in altre occasioni – non si sa se a torto o aragione – le applicazioni pranoterapeutiche. Un filo robusto lega gli interventi che continueremoa chiamare della “medicina del riflesso”: l'immedia-ta reperibilità degli strumenti (la mano, prima fratutti) e delle sostanze utili al tentativo di guarigione.La saliva, mettiamo. Un graffio al viso, una lieveferita alla mano stessa? Quasi senza pensarci, por-tiamo alle labbra il punto colpito e lo umettiamocon l'accessibilissimo “medicamento”, lasciandoche la ptialina (un po' tutti, a naso, sappiamo che lesorprendenti proprietà dell'enzima vanno ben oltrela semplice funzione amilasica della prima digestio-ne dei carboidrati) disinfetti e cicatrizzi l'offesa. Forse non apriamo subito la finestra, se ci sentiamosoffocare dall'aria viziata del nostro ufficio? Cer-

chiamo ossigeno, ricorriamo a un nuovo afflussoper sopperire alla momentanea carenza. Standoseduti alla nostra scrivania, sentiamo che unagamba si è “addormentata”? Ci viene naturalealzarci, muovere qualche passo e magari battere ilpiede a terra. Non sappiamo perché lo facciamo, maconfidiamo che questi gesti ci aiutino a superare lafastidiosa sensazione. La mano, ancora. Non esiste al mondo apparecchiopiù prodigioso: carezza la pancia indolenzita; strin-ge la fronte afflitta da emicrania; il dorso (più sensi-bile, pare) sente se il calore della guancia segnalauna febbre in arrivo; tocca il polso del debilitatoalla ricerca dei battiti perduti; “stira” l'altra mano,intorpidita dal freddo o dal perdurare di una stretta;massaggia le palpebre affaticate dalla lunga perma-nenza davanti al computer. In più, la mano si fa tra-mite e alleata della medicina ufficiale, applicandocreme e unguenti, iniettando medicinali con lasiringa, portando alla bocca compresse e pozioni. I rimedi esterni “del riflesso”, poi. Qui sappiamoche la letteratura è sterminata. Ugualmente, unesempio potrebbe anche risultare rivoluzionario.Nei tempi difficili della guerra, in alcune zone ruralidel Sud le mamme non si perdevano d'animo difronte al pianto disperato dei loro bambini (soprat-tutto, non li uccidevano): in assenza di biberon,intingevano una pezzolina in un decotto di papaveroe la spingevano tra le labbra del discolo, che in unminuto si assopiva come un angioletto. Il callo da curare con applicazioni di polpa dipomodoro, il vino per una sommaria disinfezionedelle ferite superficiali, una benda imbevuta diaceto per dar sollievo al mal di testa, la moneta(fredda) sulle punture degli insetti, la buccia dipatata sui piccoli ematomi e via così, in un meravi-glioso catalogo dell'inventiva e dell'osservazionenaturale. Tutto questo ha rappresentato fin qui lastrada forzata di un desiderio: far presto, eliminareil malanno nel più breve tempo possibile e con l'au-

La mano, la saliva, l’aceto: quando l’istinto si fa medico

Cuor contento, il ciel l’aiuta (anche in salute?)

PIERO LOTITO

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silio dei mezzi più semplici, perché la semplicità èconsiderata una fondamentale componente dellaterapia (non tanto a garanzia di questa, quanto dellascarsa pericolosità del male).

Il meccanismo psicologico del guarire. Perché ilpiù delle volte i solitari hanno vita breve? Perchénon c'è nessuno che li tranquillizzi, che dica loro:«Sciocchezze, vedrai che domani starai meglio». Laparola buona è il primo e il più efficace dei placebo.Se i bambini smettono (non sempre) di piangere alsolo vedere che la mamma sta per prenderli in brac-cio, gli adulti hanno dovuto sviluppare tutta unaserie di surrogati: abbracci virtuali che li coccolino,li consolino e a volte li guariscano. Lo stesso rac-conto dei propri guai in salute al primo che siincontra, si rivela quasi sempre taumaturgico. E sisa come sia facile che in questi casi i malanni delnarratore si trasferiscano all'incolpevole ascoltatore:quasi sempre sotto forma di emicrania, il più diffu-

so dei transfert. In fondo, nel vasto campo dei piccoli disturbi anchele contromisure possono attingere al trucco, in unasorta di “contrappasso del riflesso”. Così, una voltaindividuata la persona che ha il vizietto di liberarsidei propri mali descrivendoli all'interlocutore, bastaevitarla o, se proprio non si riesce a svoltare alprimo angolo, star bene attenti a limitarsi al buon-giorno, senza minimamente chiederle della salute.Il «come stai?» va insomma bandito. Ne va delnostro benessere.

Mani alla tempia, un gesto istintivo di difesa, quando la testa ci sembrasul punto di scoppiare.

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Il 25 ottobre 2005, con determinazione n. 2457, si ècostituito l’Ufficio Affari Generali, Legale e delleAssicurazioni.Ha preso così corpo l’idea di riunire una pluralità difunzioni e competenze amministrative sino a taledata assegnate ad altre Unità operative.La stessa collocazione in posizione di staff allaDirezione Amministrativa manifesta la nuova logicasottesa a tale modifica organizzativa; quella, cioè, disviluppare una struttura di riferimento e di supportolegale alle sempre più articolate esigenze ammini-strative generali della neo-costituita Fondazione.Infatti, rientrano nella competenza esclusiva del-l’Ufficio le seguenti rilevanti materie:a) Affari generali, volta per volta individuati daldirettore amministrativo;b) Affari legali, con particolare riferimento allagestione delle pratiche legali e rapporti con i legaliesterni patrocinanti l’ente;c) Gestione di rapporti con le assicurazioni;d) Gestione delle convenzioni con enti pubblici oprivati per attività diversa dalla libera professionedei medici;e) Gestione delle consulenze e collaborazioni coor-dinate e continuative non rientranti nell’area dellaRicerca;f) Gestione del repertorio e registrazione dei con-tratti.Un’intuizione riorganizzativa, come si vedrà, lungi-mirante per via dei risultati ottenuti.L’Ufficio Affari generali, Legale e delle Assicura-zioni, e questa è la storia di oggi, rappresenta ilpunto di contatto, il punto nodale del sistema dellerelazioni tra Unità operative e dei processi ammini-strativi.Il diretto rapporto con le direzioni dell’ente amplifi-ca la portata degli interventi e dell’azione ammini-strativa dell’Ufficio, sempre più orientata verso lacondivisione delle conoscenze e la fattiva collabora-zione con le altre strutture dell’ente sia amministra-

tive sia sanitarie.Gli stessi operatori dell’Ufficio sono costantementeimpegnati a non far mancare il supporto a chi, inqualunque momento, lo chieda, in un’ottica di tra-sparenza e fattiva partecipazione e condivisionedelle problematiche.Il senso di affiatamento tra i componenti dell’Uffi-cio viene anche alimentato da periodici incontri eriunioni plenarie in cui vengono esaminate tutte letematiche in essere e si pongono le basi per le piùopportune ed efficaci azioni di intervento.L’attuale organizzazione delle risorse umane impe-gnate è caratterizzata dalla presenza di personaleapicale, professionalmente preparato intorno ai temigiuridici, equamente distribuito nell’ambito deiquattro macro-settori di attività:a) Affari legali: dott.ssa Concetta Oliviero, avv.Nunzio Carusillo;b) Affari generali: dott. Luciano Cetrullo, dott.ssaNadia Scolletta;c) tematiche assicurative: rag. Rosa Silvestri;d) formalizzazione provvedimenti e registrazioneatti: sig.ra Ernestina Orlandi, sig.ra EmanuelaMagni.Tutte le Unità sono coordinate dall’avv. GiuseppinaVerga, dirigente dell’Ufficio, che opera in strettacollaborazione con il direttore amministrativo, dott.Roberto Midolo.La varietà delle attività amministrative assegnateall’Ufficio determina l’interscambio della cono-scenza dei processi amministrativi tra gli operatoridell’Ufficio.Il quadro delle attività svolte è costantemente arric-chito da nuove competenze e funzioni, che determi-nano l’esigenza di aggiornare e sviluppare il nume-ro e la qualità dei processi amministrativi dell’Uffi-cio e la interscambiabilità della loro conoscenza tragli operatori, in modo da ovviare ad eventuali criti-cità, che potrebbero emergere durante le fasi disovraccarico lavorativo.

Il nuovo ruolo e le nuove competenzedell’Ufficio Affari Generali, Legale e delle Assicurazioni

GIUSEPPINA VERGA

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In prospettiva verrà sempre più ampliata la portatadell’attività legale, mediante lo sviluppo di inter-venti diretti nella gestione del precontenzioso e delcontenzioso, con ciò pervenendo ad una gestioneattiva e partecipata capace di ottenere un tendenzia-le contenimento dei costi.Va poi evidenziato il forte impulso dato dall’Ufficioall’azione di recupero dei crediti, già ampiamenteincrementato nell’ambito della gestione del patri-monio immobiliare.Anche in ambito assicurativo sono state promosseazioni positive per lo studio di strategie di conteni-mento del rischio e per l’assunzione, ove possibileed opportuno, della gestione diretta dei reclami edelle richieste di risarcimento, al fine di conteneregli eventuali esborsi, anche mediante l’utilizzo diazioni di conciliazione e transattive.Una particolare attenzione è stata e verrà semprepiù prestata anche all’aggiornamento - secondo glistandard del Sistema Qualità in uso presso l’ente -delle procedure amministrative interne, con partico-lare riguardo alla standardizzazione di quelle comu-ni alle varie Unità operative, operando, in tal senso,anche una meticolosa rivisitazione dei vari regola-menti della Fondazione.Infine, quale ulteriore aspetto qualificante, si regi-stra un costante sviluppo dell’attività di consulenzalegale, normativa ed assicurativa per l’utenza inter-na e, ove attuabile, dell’attività di formazione edaggiornamento indoor per gli operatori della Fonda-zione.Tali attività rivestono notevole importanza alla lucedell’apporto professionale in favore del ComitatoEtico, organismo, ormai ai più conosciuto, chesovrintende ai percorsi diagnostici e terapeutici dinatura sperimentale e del coordinamento del C.V.S.(Comitato di Valutazione dei Sinistri), organismoprevisto specificamente dalla Regione, con compitidi monitoraggio e valutazione dei sinistri derivantida attività medica, con lo scopo di operare una det-tagliata analisi delle singole vicende cliniche edapprontare le più opportune linee di condotta istrut-toria, utili alla definizione del caso.Come ben si può comprendere alla fine di questobreve excursus, l’Ufficio Affari Generali, Legale edelle Assicurazioni rappresenta il corollario di unnuovo modo di interpretare l’azione amministrativa,sempre più rivolta verso una logica di progetto e di

risultato e sempre meno condizionata dalle farragi-nosità di un sistema di regole formali ormai supera-te dall’attuale concetto generale di Pubblica Ammi-nistrazione, che assume valenza sempre più sussi-diaria e di supporto.

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L’essere umano è meraviglioso, ossia capace di susci-tare stupore, perché in sé riesce a concentrare unamiriade di sentimenti e di comportamenti, dal piùsublime fino al più esecrabile. Fra essi, stima e fiduciasono due compagne assolutamente inscindibili, tantoda assumere sempre un’importanza essenziale.Tutta la storia dell’umanità e la letteratura sonodense dell’oggetto di questo argomento, oggetto chedovrebbe essere alla base di ogni rapporto, ma ciòpurtroppo non sempre si verifica proprio a causadella volubilità e precarietà del modo di agire diognuno e delle circostanze.Il filosofo Lucio Anneo Seneca (4 a.C. - 65 d.C) peril quale centrale è il concetto di virtus come vittoriadella ragione sulle passioni, nella sua più celebreopera in 20 libri Epistulae morales ad Lucilium (Let-tere a Lucilio) afferma che è sbagliato sia credere atutti sia non credere ad alcuno: in pratica consigliamolta prudenza, determinata da un innato buon sensoe dall’esperienza.La fiducia viene definita come uno stato rassicurantee di benessere derivante dalla persuasione dell’affida-bilità del mondo circostante percepito come bendisposto verso il soggetto, e questo determina unconsapevole e gradevole abbandonarsi all’altro, met-tendosi sotto la sua egida.Secondo la teoria dello sviluppo psico-sociale enun-ciata nel 1966 dallo psicoanalista statunitense di ori-gine tedesca Erik-Homburg Erikson (1902 - 1994)allievo di Anna Freud e specialista degli stadi di svi-luppo dell'Io, l’intero ciclo di vita è come una suc-cessione di tappe durante le quali l’individuo deverisolvere specifici compiti evolutivi e quindi si trovadi fronte a soluzioni poste in termini di alternativabasilari. Il primo di questi è un senso fondamentaledi fiducia, il che presuppone l’atto del fidarsi nonsoltanto della figura materna e paterna, come degnedi affetto, ma anche di se stesso. È stato notato cheuna deficienza, cioè l’assenza della cosiddetta fiducia

di base, si ritrova nella schizofrenia infantile e nellepersonalità adulte a carattere schizoide o depresse.Altro tipico e assai grave disturbo della personalità siriscontra puntualmente in quegli individui che men-tono coscientemente sempre e su tutto, facendo del-l'inganno il loro bieco e patologico stile di vita, car-pendo la buona fede e la trasparenza altrui, fino almomento in cui vengono smascherati e, prudente-mente, isolati e/o curati.Ma fiducia e stima nascono reciprocamente una dal-l’altra: la seconda è una valutazione positiva che unsoggetto può avere di un altro soggetto in base aparametri soggettivi.Tutto questo conferisce una grande correttezza eserenità al rapporto che può essere fra due o piùparti, incidendo sulla sfera privata oppure anche inquella pubblica in modo assai significativo.Negli Stati democratici, il fatto che il parlamento,organo legislativo e investito dalla volontà della mag-gior parte dei cittadini debba, possa o voglia espri-mere il proprio voto di fiducia o di sfiducia al gover-no, organo esecutivo, dimostra quanta importanzaabbia tale pratica regolamentata dalla giurisprudenza.A Roma e a Bisanzio in età pre-giustinianea, il termi-ne fiducia aveva il valore concreto di garanzia reale (1)

e designava l’effetto prodotto dal trasferimento dellaproprietà dall’alienante (fiduciante) all’acquirente(fiduciario), con l’esplicito accordo denominato pàc-tum fiduciae, in base al quale quest’ultimo si impe-gnava a restituire la cosa ricevuta contro la restituzio-ne del prezzo pagato.Il sentimento della fiducia si può esprimere in unamolteplicità di modi davvero sorprendente. Con rife-rimento all'aspetto spirituale, si disserta di fede equesta accomuna milioni di persone appartenenti apopoli assai differenti, a qualsiasi estrazione sociale,lingua, cultura, religione, setta, età, sesso, e così via.Qualcuno ama definire la fede come un "dono", maparlare di "dono" elargito ad alcuni (gli eletti) e non

La stima, la fiducia: inscindibili fra loro nella vita,nel discorso, nel rapporto?

ELISABETTA ZANAROTTI TIRANINI

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ad altri, presuppone una forte disparità; così, unavisione scettica è favorita proprio da coloro i qualiprediligono razionalizzare tutto ciò che possono,offrendo l'appiglio di un valido sostegno alle loroidee più concrete e di confutazione.D'altra parte e da sempre, la maggioranza dell'uma-nità ha avvertito la necessità quasi fisiologica di affi-darsi a un Essere ritenuto superiore, quindi piùpotente o perfino onnipotente, nel quale riporre tuttele proprie speranze.Secondo i risultati di una curiosa indagine documen-tata da una famosa società multinazionale dell'indu-stria farmaceutica, una ricerca scientifica condottaalcuni anni fa da professori del Dipartimento diScienze antropologiche dell'Università degli Studi diGenova, aveva riscontrato che la preghiera dei fedelicostituisce il "farmaco" più diffuso al mondo. (2)

Così si può spiegare l'autosuggestione collettiva checrede nella virtù taumaturgica soprattutto della pre-ghiera e che è in grado di muovere o smuovereannualmente milioni di persone in pellegrinaggivolontari o coercitivi.Ogni eccesso si trasforma, inevitabilmente, in fanati-smo. In nome della fede religiosa o soprattutto politi-ca e ideologica sono stati compiuti gesti eclatanti, dicui molti al servizio della carità e dell'abnegazione,ma in numero assai più cospicuo anche efferatezze eprevaricazioni di ogni tipo e quasi in ogni luogo otempo.La fiducia negli ideali, finché essi rimangono tali, disolito è positiva; ma concretizzare le idee sappiamoquanto sia difficoltoso, perchè comporta vari sacrifi-ci, anche del genere umano e tutto questo contravvie-ne al principio del rispetto reciproco, della libertà edella giustizia.La fiducia e la stima vanno conquistate, possibilmen-te da subito e vanno alimentate poco per volta macostantemente con un comportamento adeguato, cioèleale. Si tratta di una ricchezza interiore così gratifi-cante che, una volta acquisita, non si deve o non sidovrebbe mai perdere: la stima e anche l'autostimasono essenziali per una esistenza dignitosa, serena edegna di essere vissuta. È assai arduo riconquistare lafiducia persa; talvolta per minare un rapporto sonosufficienti episodi soltanto apparentemente piccoli,banali, ma comunque ripetuti e, ovviamente, impor-tanti per il soggetto che li vive di persona; egli può,suo malgrado, confrontarli e/o confrontarsi con una

realtà che disattende le sue aspettative, sentendosiquindi in difficoltà o a disagio.Senza presunzione, ma per esperienza dovuta all'età,si ritiene che uno degli eventi più dolorosi e più toc-canti che possano succedere ad una persona, oltrealla perdita definitiva e tremenda (sebbene naturale)di congiunti e/o di amici carissimi, sia il tradimentosubìto, di qualsiasi tipo. In questo contesto delicatis-simo e intimo, è opportuno non fare confusione; peresempio, l'infedeltà merita un discorso a parte, per-chè anche pur presentando altre gravi e variegatesfaccettature, mostra però la caratteristica di unamaggiore soggettività, in quanto ogni caso è unasituazione a sé assai particolare.Comunque, sia nel tradimento, sia nell'infedeltà, ildispiacere, l'amarezza, la contrarietà e la collera for-mano un fenomeno così intenso da farci sentire disil-lusi, annientati, increduli e talvolta con un desideriodi vendetta, forse poco cristiano ma pienamentecomprensibile.La storia e la letteratura sono gremiti di esempi realio immaginari, perché assai pregnanti.Per farne uno molto conosciuto, si sa quanto è avvin-cente la lettura critica della Divina Commedia doveDante Alighieri, dedicando la prima cantica all'Infer-no, lo descrive come una voragine di forma conica(ovviamente con l'apice verso il basso) suddividendoil 9° cerchio, quello dei traditori veri, perfino in 4zone, dalla prima all'ultima con gravità crescente delpeccato e della punizione comminata secondo lafamosa legge del contrappasso. (3)

Il custode della Giudecca, dominatore dell'Inferno (epeccatore punito) poteva essere soltanto Lucifero, loimperador del doloroso regno, un tempo angelosplendente e bellissimo quanto poi altrettanto ribellee infame, emblema (costituito di puro spirito) deltraditore del suo Creatore e giustamente precipitatonel punto più orrido dell'abisso infernale. E invececome creatura fatta di corpo materiale, oltre ai con-giurati Marco Giunio Bruto e Cassio Longino, tradi-tori di Giulio Cesare, l'altro traditore per antonoma-sia è Giuda Iscariota apostolo, che da miserabilequal era, barattò per i vili e famosi trenta denari lavita del suo divino Maestro e benefattore. I tre dan-nati citati, i peggiori fra tutti quelli dell'Inferno dan-tesco, non sono immersi nel ghiaccio del fiumeCocito, ma spetta loro la pena più terribile: esseremaciullati rispettivamente dalle tre bocche di Luci-

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fero, per l'eternità! (4)

Ci sarebbero molti altri personaggi da ricordare neivari canti, ma lasciando, seppure con nostalgia, lestupende e suggestive descrizioni di Dante, quasiogni giorno veniamo a conoscenza di fatti reali che cipongono di fronte ad un quesito piuttosto difficile:quando si deve avere fiducia e quando si rischia dicadere in qualche tranello? Tutto ciò fa parte dell'in-cognita della vita, perché le situazioni possono muta-re repentinamente e non sempre si è sufficientementepreparati malgrado l'età e le esperienze. Diffidare ditutto rende insicuri, ansiosi e poco simpatici, mentreaver fiducia di tutto è da temerari. Sottovalutare èrischioso, ma sopravvalutare oltre ad essere comun-que rischioso è anche deludente e frustrante.Se è vero che in medio stat virtus, un po' di fortunaunita alla pazienza di analizzare con cura e discerni-mento i consigli di chi ci dimostra senza soluzione dicontinuità la sua stima e l'affetto disinteressato, non-ché utilizzando da parte nostra il sistema delle cosid-dette "tecniche ingegneristiche" cioè l'esame diincentivi-gratificazioni (assai importanti anche sesolo morali), forse possono costituire una buonagaranzia di tranquillità.

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Note bibliografiche

1 - Garanzia reale deriva dal latino res (cosa). Le più comuni garan-zie reali sono costituite da: pegno, ipoteca e privilegio agrario.

2 - Ricerca resa nota durante il IV Corso superiore di aggiorna-mento in Fisiopatologia e Terapia del Dolore, diretto dal prof.Mario Tiengo, dal 29 al 31 marzo 2001, Milano, Centro Comuni-cazioni Bayer.

3 - La 1a zona, Caina, ospita i traditori dei parenti; la 2a, Antenora,i traditori della patria o del partito; la 3a, Tolomea, i traditori degliamici e degli ospiti; infine la 4a, Giudecca, i traditori dei benefatto-ri. Tutti i dannati di queste 4 zone sono immersi (in posizioni diffe-renti) nel duro ghiaccio del fiume Cocito, perché ebbero animoaltrettanto duro e freddo.

4 - Lucifero o Dite fuoriesce dal ghiaccio dal mezzo del petto in sued è di gigantesca statura. È descritto con tre facce: l'anteriore ver-miglia che maciulla Giuda Iscariota il quale è anche terribilmentegraffiato dalle mani del demonio; la destra gialla e la sinistra nera.

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Nell’immaginario comune, la parola “saggezza”richiama alla mente qualcosa di antico, oppurequalcosa di lontano (anche geograficamente). Giànel Settecento, si parlava della figura, quasi leggen-daria (e spesso oleografica), del “saggio cinese” (1).In Occidente invece, la saggezza ha avuto fortunealterne. I Greci erano sapienti, ma raramentesaggi. Tutta la filosofia dell’“età tragica” ha pocoo quasi nulla a che vedere con la saggezza. Nelletragedie greche, è vero, i cori erano la voce dellasaggezza, o almeno del buon senso. Ma i corierano spesso inascoltati ed impotenti di fronteall’azione che si compiva ineluttabilmente. La saggezza ha infatti contenuti etici, valori mora-li. È conoscenza arricchita da un ethos. Spesso èdotata di senso pratico. Il saggio è spesso ancheuno stratega, un politico, un “uomo di mondo”, inun certo senso. I Greci dell’età classica invece preferivano esseresapienti. Giocavano con la morale e spesso se neritenevano superiori. E questo, di frequente, li por-tava a fare una brutta fine. Ma era il prezzo dapagare alla loro visione della vita: l’Aiace di Sofo-cle, prima di uccidersi, esclama che per il valorosoè conveniente vivere gloriosamente oppure moriregloriosamente (2). Spazio per le vie di mezzo, comesi vede, non ce n’è. Ma a parte questa visione tra-gica, per cui ogni saggezza risultava inutile, laGrecia classica ha prodotto il sofismo, la formapiù spregiudicata di sapienza. Nell’enciclopedica opera di Erodoto sono pochis-simi gli esempi di vera saggezza. In particolare sicita spesso il caso di Tello l’Ateniese, il qualeveniva considerato l’uomo più felice del mondoperché era vissuto in salute sino alla vecchiaia edaveva visto i suoi figli crescere e sposarsi. Era cioèuna persona saggia, perché aveva capito che lafelicità sta nelle “piccole” cose quotidiane e nonnella ricchezza smodata (3).Ma forse più famoso ed esemplificativo del modo

di pensare dei Greci (o almeno dei più Greci tra iGreci) è un altro episodio, citato da Tucidide nellasua “Guerra del Peloponneso”. È celebre come“Discorso degli Ateniesi ai Meli”. Poiché infatti iMeli non avevano subito aderito alla lega di Atenecontro Sparta, ma erano rimasti neutrali, gli Ate-niesi decidono di passare tutti gli uomini per laspada e, di fronte alle rimostranze dei Meli, cheimploravano l’aiuto degli dei e delle leggi, accu-sando gli Ateniesi di venire meno ad ogni conven-zione umana e civile, si sentono rispondere che gliAteniesi potevano permettersi di essere così crude-li semplicemente perché erano più forti. Ed arriva-no addirittura ad affermare che i Meli, nelle stessecondizioni, si sarebbero comportati allo stessomodo. Per Socrate la saggezza consiste nel “sapere dinon sapere”.Più morale è l’impostazione di Platone e di Aristo-tele. Platone considera la saggezza essenzialmentesophrosyne, temperanza. Aristotele la fa rientraretra le virtù dianoetiche, e la considera condizioneindispensabile per ottenere una vera sapienza equindi la felicità (4). Con il sorgere dei grandi sistemi filosofici “mora-li”, l’epicureismo e, soprattutto, lo stoicismo, lasaggezza acquisisce grande importanza. Si può direche lo stoicismo, più che ricerca teoretica, fosseuna filosofia della morale. L’uomo doveva confor-mare la propria vita al logos. E questo implicavauna condotta di vita improntata alla giustizia, all’e-quità ed alla “razionalità”. Per questo lo stoicismo,dopo un’iniziale diffidenza, divenne la filosofia“ufficiale” dei Romani. E Seneca e Marco Aurelio,i massimi esponenti dello stoicismo romano, piùche veri e propri filosofi, furono grandi saggi e,non a caso, si occuparono di politica (5). Il cristianesimo, in parte, si appropria del patrimo-nio della saggezza stoica (anche se non lo ricono-sce volentieri). Ma anche i cristiani non hanno un

La saggezza: un complesso problematico di memorie,di aspirazioni, di esclusioni

NINO SAMBATARO

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rapporto sempre facile con la saggezza. Del restola figura stessa di Gesù, predicando un sovverti-mento generale dei valori, esprime una forma disaggezza che è di qualità diversa e si muove sulpiano del paradosso. Per cui il più povero è inrealtà più ricco ed il più debole più forte (6). Saran-no in parte i Padri della Chiesa e la Chiesa stessaad istituzionalizzare il messaggio cristiano, ren-dendolo più “normale” e “borghese” e rendendolouna forma di “saggezza” più comune e meno para-dossale. Ma i santi, che sono spesso “immagine”di Cristo, ripropongono un ideale di saggezzasocialmente sconveniente. Si può parlare di “santafollia”, ed il caso più eclatante è quello di sanFrancesco, che rinuncia a tutti i beni del mondo,senza moderazione. Dicevamo della saggezza orientale. Dovremmodire, più specificamente, cinese. Lo “stereotipo”del saggio è cinese. Sia esso taoista o confuciano.In effetti, la Cina è stata capace di creare una sin-tesi potente tra speculazione e morale: il taoista(come lo stoico con il logos) conforma la sua vitaal Tao, la via. Molte sono le analogie tra taoismo econfucianesimo da una parte e stoicismo e cristia-nesimo dall’altra. Anche se, in realtà, fondamenta-li sono soprattutto le differenze tra il taoismo ed ilconfucianesimo. Nel Tao Te King si propone unideale di vita appartata, si parla di una filosofiadella non-azione: il saggio vive nascosto, indiffe-rente alle contingenze della vita. Per Confucioinvece l’uomo giusto ha il dovere di occuparsi delbene comune, dell’educazione, dell’amministra-zione, dello Stato (7). Spesso si confondono gli asceti indù, i rishi, con isaggi. In realtà, a differenza dei saggi cinesi, gliasceti indù hanno atteggiamenti e comportamentitutt’altro che ponderati. Essi sono spesso incredi-bilmente irascibili e la loro ira è terribile. Se sivuole ricercare una saggezza nella loro condotta,essa sta proprio nel tentativo di superare la saggez-za stessa (insieme a tutte le altre cose e concezioniumane) (8).L’India produce però il buddismo. Buddha, l’Illu-minato, il Risvegliato, rappresenta il saggio pereccellenza. Ostinatamente contrario alla specula-zione, egli si propone “semplicemente” di liberarel’uomo dalla sofferenza. E la differenza principaletra la sua dottrina e la gran parte delle morali a lui

contemporanee sta nella moderazione e nell’equi-librio proposte dal Bodisattva (9). La saggezza oggi ha subito la stessa sorte dellafilosofia e della religione nella modernità. In alcu-ni casi è stata ridotta ad una serie di conoscenzepratiche (da proporre magari in un master), oppurein un atteggiamento puramente esteriore. Nei paesianglosassoni, più portati al pragmatismo, alla sag-gezza si è sostituito da tempo un solido “commonsense”, “comune buon senso”. Dopo il ciclone romantico, con l’ideale di una vitaeroica e tragica, che disprezzava la saggezza, lastoria del Novecento si è svolta in modo tutt’altroche “saggio”. Le grandi ideologie del secolo scor-so, totalizzanti, pretendevano di regolare anche lavita privata ed intellettuale dell’individuo. La crisi del “pensiero forte”, dall’altra parte, haportato ad un relativismo etico (spesso di bassalega), che, svalutando tutte le esperienze filosofi-che e religiose, finisce con lo svuotare la saggezzadei contenuti etici e morali, per ridurla ad una tec-nica. In questo senso risulta significativo il corso presodall’istruzione anche in Italia. Mentre alla religio-ne si concede al massimo un’ora alla settimana, lafilosofia si insegna solamente in alcune scuolesuperiori. La cultura odierna continua ad esseresostanzialmente di tipo tecnico, specialistico. Amolti individui, in questo modo, non solo mancauna “visione delle cose”, ma si preclude anche lapossibilità di formarsela. Del resto, si parla piùpropriamente di istruzione che di educazione; edun insegnante è tanto più apprezzato quanto piùriesce ad essere asettico e neutro.In questo modo, mancando punti di riferimentoculturali, quando anche il contesto familiare non èin grado di fornire una vera educazione, il risultatoè quello di un conformismo diffuso. La televisione infatti imperversa con le sue risse ela sua volgarità, ammantate di perbenismo e luo-ghi comuni. La parola “saggezza” oggi è più che mai lontana econfusa. Le persone più “intraprendenti” e cultu-ralmente “attrezzate” se ne producono una, glialtri seguono le mode culturali del momento, ade-guandosi.La saggezza, come abbiamo visto, non è fatta solodi saperi; è più complessa, più problematica, più

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ampia (più umana). Se pretendiamo di avere unascienza totalmente asettica, se costruiamo un siste-ma educativo che insegni ma che non educhi, dob-biamo per forza di cose rinunciare alla saggezzastessa.

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Note bibliografiche

1 - L’Europa del Settecento, L. Guerci, Utet, 1988, p. 63

2 - Aiace, Sofocle, 479-480

3 - In Storie, Libro I, XXX, Erodoto, si legge: Proprio per questeragioni dunque e per conoscere, uscito dalla patria, Solone giunsein Egitto presso Amasi, e appunto anche a Sardi presso Creso. Unavolta giunto, fu accolto nella reggia di Creso; e poi, il terzo o quar-to giorno, su ordine di Creso i servitori condussero Solone per itesori e gli mostrarono tutto ciò che era grande e sontuoso. Dopo-ché lui ebbe visto e osservato tutto, quando fu per lui il momentoopportuno, Creso fece queste domande: "Ospite ateniese, ci ègiunta su di te una grande rinomanza sia per la tua saggezza sia peril tuo viaggiare, poiché per amore del sapere hai percorso molteregioni per osservare; ora dunque mi è venuto il desiderio di chie-derti se hai già visto qualcuno più felice di tutti. Mentre lui speran-do di essere il più felice degli uomini gli faceva queste domande,Solone invece senza adularlo affatto ma attenendosi al vero disse:"O re, Tello l'Ateniese". Creso, meravigliatosi per ciò che era statodetto, chiese ansiosamente: "Come stimi che Tello sia il più feli-ce?". E lui disse: "Tello da una parte, mentre era fiorente la città,aveva ottimi figli, e vide a tutti loro nascere figli e rimanere tuttivivi, dall'altra, mentre era in questa buona condizione di vita, comeavviene tra noi, gli sopraggiunse una fine della vita molto gloriosa.Sopraggiunta agli Ateniesi la battaglia contro i vicini a Eleusi,dopo essere accorso e aver volto in fuga i nemici, morì assai glo-riosamente, e gli Ateniesi lo seppellirono a spese dello stato pro-prio là dove era caduto e lo onorarono grandemente".

4 - Platone parla del concetto di “sophrosyne” nel Carmide, nelGorgia e nel IV libro della Repubblica. Aristotele espone i concettirelativi alle virtù dianoetiche principalmente nei trattati EticaEudemia ed Etica Nicomachea.

5 - La bibliografia di Seneca, che fu precettore e consigliere del-l’imperatore Nerone, è molto ampia. Ci basti qui citare l’operamorale, in forma epistolare, Lettere a Lucilio. Di Marco Aurelio,imperatore tra il 161 ed il 180, ricordiamo i bellissimi Pensieri,scritti in greco, nei ritagli di tempo durante le sue campagne mili-tari contro le popolazioni barbariche dei Quadi e dei Marcomanni.

6 - Esemplificativo di questo capovolgimento etico è il celeberri-mo Discorso della montagna.

7 - Storia delle credenze e delle idee religiose, Vol. II, M. Eliade,Bur, 1980, pp. 33-34

8 - Queste figure di asceti indù sono talmente stravaganti da dive-nire spesso soggetto di racconti mitologici. Per questo rimandia-mo, ad esempio, a Miti dell’India, A. Danielou, Bur, 2002, p.273

9 - Buddha e il buddismo, O. Botto, Mondatori, 1974, pp. 24-26

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L’uomo per strani meccanismi percettivi e psicologi-ci tende a vedere negli scenari naturali emozioni,sentimenti e concetti che gli appartengono. La natu-ra, cioè, sembra far specchio ai moti interiori dellasua anima. Una tempesta di neve suscita un senso dipaura, una campagna toscana un senso di pace e tran-quillità, un cielo stellato un senso di amore romanti-co. Ricerco allora nella mia mente un’immagine chepossa corrispondere all’idea di libertà. La primaimmagine che mi salta in mente è quella del mare. Aconferma che questa suggestione non sia del tuttosoggettiva e personale riaffiorano alla memoria leparole del celebre poeta francese Baudelaire: “Uomolibero amerai sempre il mare! Il mare è il tuo spec-chio: contempli la tua anima nel volgersi infinito del-l’onda che rotola e il tuo spirito è un abisso altrettan-to amaro”. Perché dal mare nasce il sentimento dellalibertà? Forse per l’ampiezza delle distese d’acqua,per l’orizzonte lontano ma sempre presente, per l’in-capacità di poter contenere entro uno sguardo unicol’intero scenario.Parlare della libertà significa confrontarsi con untema che percorre tutta la storia della filosofia, dallesue origini greche fino al pensiero contemporaneo,passando per l’età medievale e l’epoca moderna. Lalibertà appartiene a quella grande famiglia di concet-ti astratti, tanto amati dai filosofi, che non si lascianofacilmente racchiudere in una definizione univoca. Isui confini sono sfumati e le sue manifestazioniesteriori sono molteplici: la libertà politica, la libertàdi religione e coscienza, la libertà di parola e opinio-ne. La loro condizione di possibilità è da ricercarsinella libertà dell’individuo, che, considerata persecoli un privilegio per pochi eletti, con la Rivolu-zione francese è diventata un diritto inalienabilericonosciuto a tutti.

Quando si parla di libertà dell’individuo, a che cosasi pensa? Quando si realizza? Credo alla libertà indi-viduale come unione della dimensione teoretica e diquella pratico-morale. La libertà dell’individuo è, dauna parte, “libertà da” limiti e condizionamenti ester-ni e interiori; dall’altra “libertà di” compiere dellescelte consapevoli che orientino l’azione nel mondo.Mi sembra, tuttavia, che al giorno d’oggi questaduplice natura della libertà non sempre sia ricono-sciuta e che si sia diffusa una versione volgarizzata esuperficiale di questo nobile concetto. Viviamo inquella parte di mondo che si proclama a gran voceterra di ogni libertà. In particolare, spesso si fa appel-lo alla libertà dell’individuo per giustificare azioni,comportamenti, stili di vita che colpiscono l’attenzio-ne dell’opinione pubblica. A tale proposito, mi sem-bra che la società dei consumi sia disposta ad accet-tare l’affermazione della libertà individuale comelibertà di “poter fare quello che si vuole”. Credo chequesta visione sia rafforzata dall’idea che ciascunindividuo ha il diritto alla ricerca della felicità perso-nale. Per essere felice è lecito poter fare quello che sivuole. Tuttavia, dal mio punto di vista, la libertà inte-sa come “poter fare tutto quello che si vuole” assumeil valore che può avere uno slogan pubblicitario.In primo luogo, tale seducente concezione è apparen-za e superficialità perché insegue un modello perfettodi vita, quale appunto riceviamo dai cartelloni pub-blicitari, ma poco realistico. Se pensiamo alla libertàindividuale in questi termini, infatti, è evidente cherimangono esclusi tutti coloro che per svariati motivinon possono essere felici e non possono fare quelloche vogliono a causa della loro condizione fisica,psicologica, economica. Penso ai malati, ai poveri,alle vittime di violenze e soprusi e a tanti altri infeliciche affollano le schiere degli emarginati nell’edoni-smo consumistico della società contemporanea.In secondo luogo, l’idea della “libertà di fare quelloche si vuole” genera irresponsabilità, espressione diun antropocentrismo negativo che assegna all’uomo,centro del creato, la possibilità di imporre la propria

Libertà: un diritto?

FRANCESCA MARIA EULISSE

“Cercare e saper riconoscere chi e cosa,in mezzo all’inferno, non è inferno,e farlo durare, e dargli spazio”.(da Le città invisibili, Italo Calvino)

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superiorità rispetto ad ogni altro essere animato onon animato. La libertà del singolo individuo nonpuò prescindere da una parte dalla sua appartenenzaal genere umano e quindi dal rispetto della libertàdegli altri individui e della società di cui gli indivi-dui fanno parte, dall’altra dal riconoscimento delleproprie origini naturali e quindi dal rispetto per glialtri esseri viventi e non viventi. Come Italo Calvi-no, anch’io “propendo per una concezione dell’uo-mo come non staccato dal resto della natura, di ani-male più evoluto in mezzo agli altri animali, e misembra che una tale concezione non abbassi l’uomo,ma gli dia una responsabilità maggiore, lo impegni auna moralità meno arbitraria, impedisca tante stortu-re”. Se, in nome della libertà di poter far quello chesi vuole, l’uomo dimentica le proprie origini natura-li, innalzando falsi pregiudizi antropocentrici, l’ordi-ne che impone al mondo è in realtà un disordineinsensato e colpevole, fondato sulla sopraffazione,sulla violenza e sull’ipocrisia. L’uomo libero non èchiuso egoisticamente in se stesso ma responsabil-mente proteso verso l’esterno e l’avvenire, dispostoal confronto, al dialogo, capace di costruirsi un per-corso d’azione e di conoscenza che passa attraversoscelte consapevoli e meditate. La posizione che l’uo-mo occupa all’interno della natura, come animalenon separato dagli altri esseri viventi ma anche piùevoluto, non rappresenta una ricerca narcisisticaumana, ma è da considerare piuttosto come unostato di maggiore responsabilità e di moralità neiriguardi degli altri viventi: l’ordine da ricercare èquello di una razionalità che stabilisca una integra-zione tra uomo e società e tra uomo e natura, unacontinuità tra tutti gli esseri viventi senza crearefalse dicotomizzazioni. L’uomo libero è colui che sacompiere delle scelte non brancolando nel buio congli occhi bendati, ma dopo aver analizzato la situa-zione da molteplici punti di vista. A tale proposito,mi piace pensare che la conoscenza sia uno dei pila-stri che sorreggono la realizzazione della libertà.Effettivamente, concordo con sir Francis Bacon nel-l’affermare che “sapere è potere”, intendendo que-st’ultimo verbo non come espressione di una autori-taria volontà di comando ma come realizzazione diuna consapevole e razionale condotta di vita. Ogni uomo è immerso in un contesto in qualchemodo deterministicamente caratterizzato: ci sono deifattori che non si possono cambiare a proprio piace-

re, come la condizione fisica, altri che possono subi-re dei mutamenti di diverso grado, come la naturapsicologica, lo stato economico e sociale. Io mi sentolibera se, dopo un lungo percorso di studio e cono-scenza nel mondo interiore e in quello esterno, riescoun pochino a comprendere la mia situazione e aimpostare la mia vita sfruttando al meglio proprioquello che la vita mi ha offerto. La libertà è un per-corso sempre in atto, una ricerca che non conoscesoste, è un orizzonte che sfugge sempre ma che èsempre presente, come quello marino di Baudelaire.È per questo che il sentimento che accompagna lalibertà è la malinconia: desiderio di qualcosa chesappiamo non potrà mai completamente esserenostro perché lontano nel tempo o nello spazio.Mi piace, tuttavia, pensare che ogni tanto anche ildeterminismo che permea le nostre vite subisca degliscacchi e che proprio quelli siano i momenti in cui èpossibile ritagliarsi uno spazio di libertà. È per que-sto che mi è tanto cara l’immagine della libertà offer-ta da Lucrezio in alcune pagine del De rerum natura,grandiosa impresa di offrire in vesti poetiche la filo-sofia di Epicuro. Il mondo degli atomi, perfettamenteordinato e deterministicamente caratterizzato, sem-bra escludere ogni possibilità di libertà. Per poteraffermare la tesi della libertà dell’uomo, Lucrezioinventa un espediente poeticamente affascinante elogicamente attraente, il clinamen. Infatti, l’autorenel momento in cui spiega le rigorose leggi chedeterminano ogni evento, sente il bisogno di permet-tere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dallalinea retta, tali da garantire la libertà tanto alla mate-ria quanto agli esseri umani. Infine: “se sempre ogni moto è connesso agli altri, edal vecchio sorge (sempre) il nuovo, con ordinedeterminato, né con la declinazione, i principi dellecose possono creare una sorta di inizio, che spezzi leleggi del fato, ché da tempo infinito non segua causada causa, donde viene, nel mondo per gli esseri vivila volontà, indipendente dal destino, libera, per cui cimuoviamo là, dove guida ciascuno il piacere, decli-nando i nostri moti non in tempo determinato, né indeterminata porzione di spazio, ma quando decidel’intelligenza?”All’uomo non resta che creare, attraverso un percor-so di ricerca infinita, degli spiragli per l’espressionedella libertà propria e degli altri.

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Il 21 settembre si è chiuso il 41° Convegno di Car-diologia 2007. Quasi 2000 iscritti che hanno riem-pito per cinque giorni il centro congressi della Fieradi Rho. Ormai il “Corso” del De Gasperis è proba-bilmente l’evento più atteso e seguito nel campodella cardiologia e cardiochirurgia italiane.Ma il successo dell’evento che sottolineava il ruolodel Centro De Gasperis nel panorama della sanitàpubblica italiana non riusciva a colmare una sensa-zione di vuoto in tutti coloro che erano presenti.Per la prima volta, dal 1967, non era presente il pro-fessor Alessandro Pellegrini, l’uomo che insieme alprofessor Fausto Rovelli aveva portato il De Gaspe-ris e il suo “Corso” ad essere punto di riferimentonazionale nella cura delle malattie cardiovascolari.Alessandro Pellegrini è mancato all’inizio dell’anno. A dicembre eravamo stati insieme qualche giorno aRoma dove in occasione del congresso nazionale deicardiochirurghi italiani aveva ricevuto l’ennesimopremio alla sua straordinaria carriera. Aveva portatola cardiochirurgia italiana dal pionierismo degli anni50 all’eccellenza della fine degli anni ‘90. È inutile ricordare i suoi meriti scientifici e i tantiprimati raggiunti in 40 anni di lavoro a Niguarda.Tutti, i cittadini, i pazienti, i colleghi, li conosconoa Milano, in Italia e nel mondo. Alessandro Pellegrini è stato un grande chirurgo eun medico fuori dal comune, ma questo è potutoessere perché era prima di tutto una persona ecce-zionale. Ed è di questo che voglio parlare, dell’uo-mo che per me è stato un maestro di vita prima chedi chirurgia.Il suo grandissimo senso di appartenenza al DeGasperis, visto come una squadra che produce cul-tura e cure nello stesso tempo, è stato il primo inse-gnamento che mi ha trasmesso; la consapevolezzache anche il più grande chirurgo, e lui lo era, non ènessuno se non riesce a lavorare e condividere lapropria passione e professionalità con gli altri chegli stanno fisicamente e scientificamente vicini.

Mi ha insegnato la totale dedizione al lavoro intesocome servizio verso il paziente che non poteva esse-re influenzato da nulla se non dalle competenze tec-niche e dalle considerazioni morali.Il professore era particolarmente orgoglioso dellamedaglia d’oro al merito della sanità pubblica rice-vuta in tempi in cui veniva data per meriti non poli-tici; era l’icona di un impegno quotidiano e faticosoa combattere contro le malattie dentro l’Ospedale diNiguarda quando le liste d’attesa erano incompati-bili con la sopravvivenza dei pazienti ed era eviden-te la necessità e la difficoltà di un professionista chedeve interfacciarsi con il potere politico che ha benaltro in testa. Gli ospedali non erano ancora aziendema per potere lavorare, cioè curare, occorreva avererisorse umane e materiali e questo non era semprecosì scontato. Bene, il professor Pellegrini, mante-nendo sempre la sua indipendenza politica, con laforza della sua professionalità, riusciva sempre oquasi a trovare interlocutori che potessero aiutarlo acurare i suoi pazienti.Ma la vera forza di Alessandro Pellegrini è stata lasua onestà intellettuale. La capacità di essere sincerocon se stesso e con i suoi interlocutori, fossero essi icolleghi, i pazienti, le istituzioni, i collaboratori o gliamici. Dire la verità e pensare di conseguenza è dif-ficile, oggi quasi impossibile, ma è l’unica cosa chepaga. Forse per questo il De Gasperis, Pellegrini e lasua scuola sono stati sempre visti come una sorta digaranzia nella cardiochirurgia italiana, la certezza diun mondo, un’opinione e una posizione super partesin senso scientifico, tecnico e morale.Il concetto che se le cose vanno bene è merito ditutti ma se qualcosa non va è colpa del capo non ècosì scontato. Io l’ho appreso da lui e non me nedimenticherò mai.Se sono il più giovane presidente della Società Ita-liana di Cardiochirurgia, ospedaliero in una realtàda sempre fortemente condizionata dalla compo-nente universitaria, lo devo a lui e all’immagine che

Nel ricordo di Alessandro Pellegrini

ETTORE VITALI

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lui ha trasmesso della sua scuola. È come se il pre-sidente fosse lui. Permettetemi una considerazione molto personalema che mi ha fatto meditare tante volte in questianni: Pellegrini a 36 anni, primario della prima car-diochirurgia d’Italia con in carico il fardello di farlafunzionare. Mi sono immaginato le notti insonni a pensareall’intervento del giorno dopo, senza rete, lui era ilmigliore e non c’era nessuno a cui poter chiedereun eventuale aiuto; un uomo solo al comando. Soloun grande chirurgo e un uomo eccezionale potevanosuperare questa prova.E voglio concludere con le sue parole pronunciate al30° corso del Gasperis e che rappresentano il passa-to, il presente ed il futuro del De Gasperis: … “Nelcorso degli anni il nostro atteggiamento è semprestato quello di privilegiare l’apertura verso ilmiglioramento e verso il progresso. In questo per-corso siamo stati sostenuti dalla consapevolezza disvolgere una professione che trova in se stessa unasufficiente gratificazione , capace di annullare qua-lunque sensazione di fatica, di stimolare versoacquisizioni sempre più avanzate , di vivere il pro-gresso come una condizione intrinseca della nostraattività.” In queste parole c’è il senso di quanto ci ha lasciatoe del suo valore umano e professionale.Per finire, il professore mi aveva chiesto tante voltedi dargli del tu e io non sono mai riuscito, Lui era ilMaestro, lasciatemelo fare adesso, lo apprezzerà.Ciao Sandro, cerca di starci vicino.

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Settembre, andiamo, è tempo di migrare…

Il tempo del vivere di Vincenzo Bevacqua è finitol’8 settembre; il tempo del suo morire è durato duemesi, scandito in fretta da un male inguaribile. Inlui, medico e uomo di lettere, il supremo incontro èstato vissuto sull’esempio di molti grandi, conse-gnatoci dalla letteratura: in silenzio. L’aurea taci-turnitas, propria dell’anzianità importante elogiatada Cicerone, è stata l’estremo làscito di Bevacqua aisuoi conoscenti e amici. Se n’è andato con un silen-tium loquens più eloquente e struggente di ogniaddio scritto o parlato.Vincenzo Bevacqua, vocato a una medicina nobile,sintesi di scienza e umanità, è stato negli anni gio-vanili uno dei migliori allievi, al Granelli, di EnricoPoli, maestro di metodo clinico. Da lui ha imparatoil rigore metodologico, la saggezza dell’homosapiens e l’umiltà socratica di “sapere di non sape-re”. Libero docente di patologia speciale medica,Bevacqua ha dato al Policlinico tutti quanti i suoianni di professione valente e intemerata, spesa incorsia, in laboratorio, in aula di lezione. Egli è statosoprattutto - e tale si sentiva - un “medico di sala”,legato ai malati, molti dei quali lo ricordano comevero “curante”.Con lo stile riservato, amichevole, appartenente alsuo genoma, ha fatto più volte “da spalla” a questoe quel direttore sanitario, particolarmente vicino alcompianto Luigi Marangoni. Dalla finestra del suoambulatorio, che negli anni precedenti il pensiona-mento s’affacciava dall’alto sulla via FrancescoSforza, indicava a un visitatore come me, nei beigiorni di sole, l’armonia cromatica tra cosmo earchitettura, tra l’azzurro del cielo e il rosseggiaredei mattoni dell’antica Ca’ Granda.Bevacqua l’era ôn sciôr. Milanese “di origine con-trollata” e di rango elevato, amava molto la propriacittà. Aveva incominciato ad amarla fin da bambino,guardandola dall’alto, dalla terrazza in cima alla

sua casa di famiglia, in corso Buenos Aires. Avevafatto i suoi studi di adolescente all’Istituto Gonzaga,in via Vitruvio, e gli piaceva rievocare gli anni pre-bellici e la sorridente presenza in Istituto di donCarlo Gnocchi, padre spirituale. Dopo essersidistaccato dall’attività ospedaliera, peraltro, Milanoaveva iniziato a guardarla non più dall’alto, ma dasotto in su. Nei suoi tre libri intitolati Milaninaria(l’ultimo dei quali, postumo, è sotto i torchi dell’e-ditore Viennepierre) egli ci mostra una Milano“aerea”, librata sul paesaggio “terreno” della con-vulsa metropoli di cui facciamo esperienza ognigiorno.Per vedere quest’altro paesaggio, come Bevacquac’insegna, bisogna alzare la testa. “Ho incominciatoa conoscere Milano cominciando dalla parte chestava per aria”, scrive all’inizio di un itinerario “per-corso a naso in su”, per lungo tempo, “come seMilano fosse città da fiutare”. Il suo metodo è statotanto semplice quanto originale: andare per via, daviandante cittadino, a leggere targhe, insegne, nume-ri civici, a osservare ringhiere, finestre, poggioli,timpani, a curiosare attraverso spiragli di verde e diazzurro, apparentemente insignificanti. “Questopunto insignificante”, scrive Bevacqua citandoPascal, “può comprendere l’universo intero”.In questo universo della memoria continua a vivereVincenzo Bevacqua, in una durata esistenziale cheva ben oltre il tempo oggettivo, fisico, serbatogli daldestino. È in questo luogo metafisico che a noipiace pensarlo, a noi della rivista “la ca’ granda”che ne ha ospitato tante pagine sapide e sapienti.Riteniamo d’essere interpreti, dal direttore respon-sabile a tutti i collaboratori, del pensiero di quanticonservano di lui, grato, il ricordo. Lo testimonia-mo alla signora Rebecca Bevacqua Behar, che serbacon l’eredità di affetti un patrimonio intellettuale emorale a lungo condiviso.

Ricordiamo insieme Vincenzo Bevacqua

GIORGIO COSMACINI

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Livia Crozzoli Aite, Roberto Man-der (a cura di), I giorni rinasconodai giorni. Condividere la perditadi una persona cara in un gruppodi auto-mutuo aiuto. Paoline Edi-toriale Libri, Milano 2007, pagg.423, euro 20,00.

Col suggestivo titolo “I giornirinascono dai giorni”, tratto dauna lirica di Mario Luzi, i curatoridel volume Livia Crozzoli Aite(analista junghiana, fondatrice epresidente dell’AssociazioneGruppo Eventi) e Roberto Mander(formatore e membro della sud-detta Associazione) interpretano inmodo poetico il senso di unariflessione sul tema del lutto checoinvolge le persone colpite dauna grave perdita.La possibilità di condividere e dirielaborare il lutto personale vieneproposta attraverso un processodefinito di Auto-Mutuo Aiuto(AMA), vale a dire mediante l’in-terazione in gruppo di persone chevivono una medesima condizionedi sofferenza che si riunisconovolontariamente per affrontareinsieme il loro disagio.Questa forma di sostegno in grup-po ha conosciuto anche in Italiaun notevole sviluppo nell’ultimodecennio e ha dato luogo a nume-rose iniziative in campo medico epsicosociale, con distinti obbietti-vi correlati a diverse situazioni dicrisi esistenziale, dalla lotta controle dipendenze patologiche all’ela-borazione del lutto; con diversimetodi organizzativi, se gestiti da

formazione in tempi recenti rispet-to alla più lunga tradizione propriadel contesto anglo-americano?Come mai si è affermata la pun-tualizzazione sul tema della mortee del lutto?Per quanto concerne il lavoro digruppo, tale esperienza conobbiettivi di socializzazione, dieducazione popolare era giàdecollata in Italia negli anni 50/60in uno specifico ambito operativo,quello del Servizio sociale, attivitàche aveva mutuato dalla prassiamericana il metodo operativofondato sulle nuove scienze psico-sociali, a superamento delle vec-chie forme di assistenzialismo.Si trattava di un lavoro innovativonella nostra società dove mancavala cultura del lavoro di gruppo subase democratica, mentre l’espe-rienza popolare era piuttosto lega-ta alla piccola comunità di paese,di parrocchia, dove tutti si cono-scevano e gli eventi della vitaerano condivisi.Nel dopoguerra il lavoro di grup-po era utilizzato prevalentementenegli ambienti di edilizia popola-re, spesso coacervi di personesenza un comune passato, alloscopo di favorire l’integrazionedei partecipanti e il loro ruolo atti-vo nella soluzione dei problemicollettivi.Questo filone si è spento a seguitodell’evolversi dell’organizzazionesociale, delle innovazioni portatedal progresso tecnologico e scien-tifico nonché dall’appropriarsi del“sociale” da parte di professioni

operatori o autogestiti; in collega-mento o meno con le strutturepubbliche.In particolare la diffusione deiGruppi AMA per il lutto è testi-moniata oltre che da un crescendodi pubblicazioni, di corsi di for-mazione per organizzatori/condut-tori, anche da siti italiani ed esteridi lutto on-line (Appendice I, pag.399) dove gli interessati possonotrovare informazioni e sostegno.Il testo comprende il contributo diuna quarantina di autori di variaprofessionalità e di volontari detti“facilitatori”, tutti appartenenti adiversi Gruppi AMA, con sedi dif-fuse in tutta Italia (appendice II,pag. 403).Va precisato che, sebbene prevalgal’apporto di psicoterapeuti, ilGruppo AMA non viene propostocome strumento clinico, né legatoalla professionalità degli operatoriche lo gestiscono. Come indicanole definizioni, i Gruppi AMA: “…sono di solito costituiti da pari chesi riuniscono per assicurarsi reci-proca assistenza”. E ancora: “Ilgruppo di auto-mutuo aiuto non èuna forma di trattamento o unatecnica, ma piuttosto un contestodi cura e di costruzione di unafilosofia dell’uomo e dell’azionesociale e una valorizzazione dellepotenzialità e delle risorse umaneesistenti” (pag. 23).Di fronte al rapido sviluppo ditanti Gruppi AMA per il lutto,vengono spontanee due domande:come mai tale forma di aiuto haricevuto interesse, organizzazione,

Recensioni

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emergenti in campo psicologico esociologico, ciò che ha favorito unapproccio più clinico ai problemipsicosociali delle persone.Tuttavia, di fronte alla crescentepluralità dei bisogni, non sosteni-bili economicamente dai Servizicon interventi professionali indivi-dualizzati, si è fatta strada, neglianni ’90, l’idea di dover meglioutilizzare le risorse presenti nellacomunità attraverso un lavoro direte per affrontare, in collabora-zione tra attori sociali e istituzio-nali, i diversi problemi emergenti,in particolare quelli di sostegnopsicologico nei confronti di perso-ne accomunate da medesime diffi-coltà emotive, ma non di strettanatura patologica. Si riteneva cioèdi dover trovare adeguata rispostae supporto nell’uso delle risorsedelle persone stesse e del loroambiente.È interessante notare, come scri-vono E. Nutile e F. Tulli (pag.161) che l’idea di utilizzare lametodologia dell’auto-mutuoaiuto come esperienza innovativain un dipartimento di salute men-tale, si fosse affermata non soloper l’esigenza di rinnovare ilrepertorio degli interventi di fronteagli aumentati e diversificati biso-gni della gente, ma anche a moti-vo delle ridotte risorse economi-che del Servizio.Come spesso accade, il bisognospinge a cercare e a scoprirenuove risorse, magari disponibili,ma non riconosciute, a valorizzareinsospettate energie con la conse-guenza di aumentare la capacitàdei singoli di far fronte agli eventicritici e di far sperimentare, altre-sì, come è proprio dei GruppiAMA, l’appartenenza sociale,l’aiuto reciproco contro l’emargi-

nazione, la solitudine e l’indivi-dualismo che caratterizzano lacultura del nostro tempo.L’altra riflessione che la letturapuò suscitare riguarda i motivi percui la metodologia dei GruppiAMA si sia sviluppata con parti-colare intensità sul tema del lutto.Come argomentano G. Morelli eG. Ferrarese (pag. 182) la morte,nella società moderna, non costi-tuisce più un’esperienza sociale ecollettiva, mentre nel passato illutto con i suoi riti rappresentavala partecipazione della comunitàal dolore per la perdita di un suocomponente.Oggi l’esperienza del lutto sembraessere celata. Tutto ciò che riguar-da la morte deve essere espletatorapidamente; la partecipazione alcordoglio tende ad evitare le emo-zioni eccessive; l’aiuto ai dolenti èvolto a far reagire, a ripristinaresubito il normale ritmo quotidiano.Il lutto diventa un problema indi-viduale e ciascuno deve farsenecarico senza autocommiserazione;anzi, deve cancellarne i segni, l’e-sternazione per non sentirsi inade-guato alle richieste della societàche stigmatizza la tristezza e illutto prolungato. Ma la ferita c’è,poiché l’evento luttuoso coinvolgetutto l’essere umano, corpo, intel-ligenza, emozioni.Reprimere il lutto può diventareuna malattia.Contro questo rischio si muovonoi Gruppi AMA.Il testo rispecchia la complessitàdel tema dell’auto-mutuo aiutonon riducibile alla dispensa disemplici e scontati consigli.Per aiutare le persone ad usare leloro risorse personali, ad esprime-re i loro sentimenti senza il timoredi essere giudicati, ad accogliere

le emozioni altrui senza giudicare,occorre essere preparati a viverel’esperienza di gruppo e a farlavivere ad altri promuovendo unpositivo processo di elaborazionedel lutto fino a modificare le nega-tive premesse mentali che sosten-gono la sofferenza irriducibile.L’opera pertanto si divide in treparti.La prima, di carattere teorico tecni-co, riguarda la definizione deiGruppi AMA, la loro organizzazio-ne e diffusione. Molto spazio è datoalla formazione e al ruolo dei “faci-litatori”, non psicoterapeuti ma“mediatori della comunicazione”.È una parte didattica molto impor-tante per coloro che intendono coo-perare all’organizzazione e almonitoraggio dei Gruppi AMA.Vengono messe in rilievo le abilitàrichieste al facilitatore, come quel-le di prendersi cura degli altri, disaper ascoltare, di comunicare conempatia. C’è anche una messa inguardia contro i possibili rischi psi-coemotivi derivanti dall’eccesso dicoinvolgimento personale fino alcosì detto burn-out in cui puòincorrere il facilitatore nella suaprolungata relazione con personesofferenti, depresse, sovente reseaggressive ed ostili dal dolore.La seconda parte verte sull’espe-rienza di lutto e sul travaglio checolpisce coloro che restano, sianoessi adulti o bambini; sulle loroangosce, rimpianti, rabbie, fontespesso di inguaribili ferite poiché,come affermano G. Morelli e G.Ferraresi (pag. 184) “… il morirenon è un evento statico, ma dina-mico, le cui vicissitudini sonoinfluenzate da fattori che preesi-stono alla morte, intercorrono e sisviluppano durante l’esperienzadel morire e hanno luogo dopo la

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morte del proprio caro”.La morte apre una crisi perchéinterrompe il flusso di relazioni, haripercussione sulla vita di chi rima-ne, scompiglia ruoli precostituiti edè spesso segnata in modo dramma-tico da una pluralità di fattori rela-tivi, sia alle circostanze dellamorte, se improvvisa, per lungamalattia, per eventi tragici connessia incidenti, violenza, suicidio; siaal luogo della morte, in casa, inospedale o in luogo lontano; siaancora all’età, al ruolo del defuntoin famiglia e nella comunità.In particolare l’elaborazione dellutto è influenzata dal modo concui il familiare che ha subito laperdita ha vissuto personalmenteil processo di malattia o il tempoprecedente alla morte, avendopotuto o meno comunicare con lapersona significativa in vicinanzafisica e psicologica o in solitudinedissimulando i propri sentimenti;partecipando alle cure e all’assi-stenza o sentendosi estraniato dalrapporto specie in situazioni tera-peutiche affidate alle macchine.La terza parte riferisce numeroseesperienze di facilitatori e di par-tecipanti ai Gruppi AMA e cogliele infinite sfaccettature del doloree del lutto connesse al tipo di per-dita. Fra le più angoscianti perdite,quella di un figlio specie se tragi-ca, umanamente incomprensibileed inaccettabile, detta le più acco-rate testimonianze.Di fronte all’evento morte, diversisono i modi di reagire. C’è chi siriprende gradatamente, chi gridala sua rabbia, la sua esasperazionecontro i Servizi sanitari o la suadisperata negazione di Dio.I Gruppi AMA si propongono diconsentire a ciascuno un liberosfogo dei propri sentimenti, di

rebbe capita, ma solo compatita,giudicata confusa dal suo strazio,mentre avrebbe bisogno di parlaree di essere ascoltata, e di dare unsenso al mistero del dolore.Il Gruppo AMA può offrire allepersone in lutto non solo il confor-to, ma anche il riconoscimentosociale di una condizione criticaaltrimenti negata.Oltre alla possibilità di esprimersi,di essere aiutata nel difficile per-corso dell’elaborazione del lutto,la persona che partecipa ai gruppipuò avvantaggiarsi dell’esperienzaaltrui in un processo di crescita edi maturazione personale fino aproporsi, come talvolta accade,come facilitatore.E così l’esperienza di chi ha rice-vuto aiuto va a beneficiare altrisofferenti.“Solo in questo modo” conclude ilsuo personale contributo la curatri-ce Livia Crozzoli Aite (pag. 217)“l’assenza diventa pensabile edelaborabile e la morte può diventa-re parte della vita, facendosi rela-zionalità e memoria, ‘eredità diaffetti’ che continuano a vivere e aesprimersi in chi rimane”.

Milena Lerma

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Luciano Verdone - La terapia deivalori. Come raggiungere unbenessere psicofisico - PaolineEditoriale Libri, Milano 2007; pp.126. Euro 9,50.

L'autore, professore di psicologiae filosofia, ha redatto questo suolavoro, frutto della riflessione edella didattica, concentrando l'at-

rispettarne il dolore fino a condi-viderlo e, soprattutto, di far parla-re di sé, in modo che la partecipa-zione al gruppo risulti un’espe-rienza di vero aiuto.Le testimonianze sono splendide,di grande finezza e profondità leriflessioni dei facilitatori, diprofonda spiritualità e generositàl’elaborazione di coloro che sonoriusciti a superare la disperazionee ad offrire la loro esperienza adaltri più bisognosi di aiuto.Ma il percorso di rielaborazionedel lutto diventerà ancora piùarduo per altre dolorose incertezzeche caratterizzano ormai la nostrasocietà nel suo rapido evolversisul piano tecnico e scientifico.La prospettiva dell’eutanasiaaumenterà il tormento di chi viveil processo di malattia e di mortedi un proprio congiunto.Si vuole la vita, ma questa non èpossibile senza un apparato per farrespirare, nutrire, introdurre far-maci in un corpo martoriato. Finoa quando? Con quale diritto o pre-tesa di prolungare o di porre fineall’esistenza?Oggi se ne discute molto e l’esa-sperata rivendicazione del propriodiritto di decidere sulla vita è soste-nuta dalla razionalità scientifica.Ma di ciò che appartiene all’inte-riorità della persona umana, alleradici dell’esistenza, al bisogno diconfidare che la vita non si estin-gua con la morte, è difficile eanche imbarazzante parlare in unasocietà così detta evoluta che evitadi chiedersi che cosa ci sia oltre ildecesso e che senso dare al nostrostare al mondo.Di questo profondo tormento spes-so una persona in stato di sofferen-za non può parlare in famiglia onel suo ambiente poiché non ver-

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tenzione sui valori intesi comenuclei, tipicamente umani, chedanno significato all'esperienza.Elementi di primaria importanzasono la salute mentale e la mente,strettamente connesse al senso deivalori, ricordando che il pensarerappresenta un livello più progre-dito del conoscere, perché trattasidi un'elaborazione complessa deidati recepiti. Su un gradino ancorasuperiore si colloca il capire, inaltre parole ricondurre il mondo auna visione il più possibile unita-ria, secondo la definizione delfrancescano san Bonaventura daBagnorègio (XIII sec.) “ordinatioad unum” (unificazione dellamente in relazione ad un assoluto).In una visione più moderna e peresperienze personali, lo psicoanali-sta austriaco Viktor Frankl (1905 -1997) ha sottolineato il rapportodiretto esistente fra valori incarna-ti, autostima e benessere interiore,come gratificazione. Mentre Sig-mund Freud (1856 - 1939) eraconvinto che tutte le nevrosi fosse-ro di origine psicogena, relative adun conflitto emotivo fra sfera nor-mativa e pulsionale, Viktor Franklha dimostrato che questo fatto nonè così frequente. Molte sono inve-ce noogene (dal greco nous =mente), in quanto radicate nell'Egosuperiore. L'oscuramento dei valo-ri è pari ad una malattia, quindicrea e provoca malessere indivi-duale e sociale, insicurezza e diso-rientamento. Se anche l'uomo nonsoffre più del cosiddetto sensod'inferiorità studiato da AlfredAdler (1870 -1937), comunquepercepisce un sentimento di futilitàe di vuoto esistenziale. Ecco, dun-que, subentrare la frustrazione chesi tenta di arginare con azioni non

merito di compiere una distinzio-ne fra i vari tipi di amore: eros perattrazione fisica, philia per simpa-tia, amicizia, predisposizione einfine agàpe come espressione distima sublime, rispetto della sog-gettività altrui; nonché quello dioccuparsi di bellezza al serviziodell'amore, come di uno strumentoper superare i limiti del finito eraggiungere l'eterno, in altre paro-le, la felicità.

2. La libertà

Vengono considerati due tipi dilibertà: la possibilità di scegliere(concezione astratta) e la sceltaeffettuata (concezione concreta).Giovan Battista Vico (1668 -1744) affermava essere vero sol-tanto ciò che accade (verum estfactum). Seguono ipotesi e alcuneverifiche affinché il lettore possacontrollare la propria reazione. Ledefinizioni di libertà sono infinitecome tutte le grandi idee umane,inoltre variano nel tempo.Numerosi i riferimenti ai concettidi trascendenza e di anima, mente,intelligenza (psiché); di spirito,consapevolezza, universo di valori(pneuma); di corpo, bisogni, pul-sioni (soma) già elaborati dai filo-sofi greci e successivamente aquello elaborato dai teologi cristia-ni, come per esempio san Tomma-so d'Aquino (1224 c.a. - 1274). Perquest'ultimo l'uomo possiede trepeculiarità: l'universalità, la tra-scendenza e l'assoluto. Interessantianche le teorie del famoso psicolo-go svizzero Jean Piaget (1896 -1980) sull'esistenza di stadi eticirelativi alle fasi dello sviluppocognitivo che porta ad una moralitàeteronoma (tipica del bambino dai2 ai 7 anni) e poi della morale auto-

significative e/o con gratificazioniartificiali o estrinseche, (cercatefuori dalle azioni).Nel libro vengono indicate alcuneutili “esercitazioni” (in inglese trai-ning) che ognuno di noi può mette-re in pratica per autoesaminarsi.Sappiamo che i valori sono infi-niti e soggettivi; in questo saggiovengono presi in considerazione,fra i più importanti, cinque fon-damentali: amore, libertà, lavoro,politica e fede.

1. L'amore

È forse il tema universale piùcomplicato da affrontare, perché sirischia di essere o troppo profondio di cadere in edulcoranti banalità.Vengono riportate citazioni diautori assai importanti ma fra lorodiversi, come differente in modosostanziale è il tipo o la qualitàdell'amore. Un legame indissolu-bile unisce l'amore alla felicità oal suo contrario. Spesso compareall'improvviso, ci colpisce dall'e-sterno e poiché è molto difficiledarne una spiegazione, per noi èpiù comodo parlare di impondera-bile. Il più grande poeta della lati-nità Publio Virgilio Marone (70 -19 a.C.), in modo forse ottimisticoasseriva “omnia vincit amor” (l'a-more vince tutto). L'amore, essen-do una fonte di energia, dà grandeforza e coraggio, ma non immu-nità contro le avversità terribilidell'esistenza; in compenso è unrimedio assai efficace contro ilsenso di solitudine. Nell'altra crea-tura si cerca tutto ciò che è affinee che ci unisce in una sorta di rap-porto complice. Fra i filosofigreci, particolarmente Platone(428 - 347 circa a.C.), indubbia-mente il più raffinato, ha avuto il

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noma (oltre i 7 - 8 anni). Trent'annidopo Jean Piaget, Lawrence Kohl-berg (1927 - 1987) psicologo statu-nitense docente all'Università diHarvard, studiando il comporta-mento degli adulti enunciava la suaparola chiave: convenzionale, con-sistente nella comprensione delcarattere non assoluto delle norme,bensì funzionale alla convivenzasociale e frutto di una negoziazionedinamica.

3. Il lavoro

Alcuni schemi fondamentali chia-riscono le motivazioni individualie complessive che spingono lamaggioranza delle persone allavoro. Qualsiasi quadro di rispo-sta racchiude sempre una metafisi-ca che è pari a una visione dellarealtà riconducibile a modelli sto-rici di pensiero. Questi sono sva-riati, ma i più importanti fannocapo a tre:- liberista, che propende verso laproprietà privata, la creativitàimprenditoriale e il libero mercato;- marxista/collettivista, dove èauspicato lo statalismo volto con-tro lo Stato capitalista e classista;- personalista/cristiano, che sicolloca fra i due precedenti: l'uo-mo non è schiavo bensì padronedel suo lavoro e non può esseretrattato come uno strumento diproduzione.La proprietà privata è un dirittonaturale e al posto della marxistalotta di classe si deve avere comeobiettivo la logica della solidarietàe della sussidiarietà fra le classi. Illavoro deve avere più scopi, fracui: assicurare il sostentamento ela sicurezza, il miglioramentodello stile di vita e il rafforzamen-to della dignità umana, l'espressio-

ne di creatività, genialità e ilrispetto reciproco con compren-sione e aiuto verso gli altri.

4. L'impegno politico

Da sempre, molti pensatori si sonochiesti perché l'uomo debba sotto-stare a regole e ad altre persone:paura di sanzioni, calcolo di van-taggio-svantaggio, sentimentosociale costruttivo, tranquillitàdella coscienza (e in pace con Dioper i credenti). Infinite le risposte e le considera-zioni. Essenziali i caratteri delloStato: trascendenza del potere,perché secondo Socrate (469 - 399a.C.) le leggi possiedono un valoresocialmente generativo; mentreper il suo allievo, testimone eamico Platone spetta all'arte politi-ca creare l'armonia fra le partidello Stato.Per Jean Jacques Rousseau (1712- 1778), lo Stato possiede unavolontà generale intesa comeentità morale superiore. Il potere èconcepito come una creazione del-l 'uomo e non come volontàsoprannaturale (invece tipica del-l'età medioevale).Già Aristotele (384 - 322 a.C.)concepiva lo Stato secondo unavisione democratica, quindi l'uo-mo non deve essere suddito, macittadino.Sono pagine da leggere con moltaattenzione.

5. La fede

È forse l'argomento più delicato sepensiamo che non esistono popoliatei, ma che i codici religiosi,quasi dovunque, sono potentissimi.Plutarco, famoso scrittore grecodel I sec. a. C., asseriva che ogniluogo, anzi ogni popolo ha la sua

religione, anche se nomade, oilletterato, o senza monete.È la religione uno dei tratti distinti-vi essenziali dell'uomo dalla bestia,secondo la concezione espressa dalfilosofo ateo Ludwig Feuerbach(1804 - 1872) principale esponentedella sinistra hegeliana.Per il francese Emile Durkheim(1858 - 1917), padre della sociolo-gia, “la vita religiosa è l'espressio-ne concentrata della vita collettivanella sua interezza... L'idea disocietà è l'anima della religione”. Poche concezioni sono così sog-gettive come l'idea di religione e,anche per questo, l'autore ha pre-disposto delle analisi che vannolette con serenità, senza pregiudi-zi, comunque sia orientato ilnostro pensiero su fede e fedeli.Questo saggio, scritto in modoscorrevole e avvincente, coinvol-gerà coloro che abbiano già acqui-sito cognizioni filosofiche e/o psi-cologiche, ma anche persone chedesiderino confrontare le proprieidee e convinzioni con quelledocumentate accuratamente escientificamente dall'autore, dalpassato al presente.

Elisabetta Zanarotti Tiranini

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Il Consiglio di Amministrazione della Fondazioneha, tra altro, adottato le seguenti deliberazioni:

a - direzione amministrativa- sentenza n. 270/2005 della Corte Costituzionale econseguenti modifiche statutarie;- riconoscimento e presa d’atto della presenza delleseguenti Associazioni all’interno della Fondazione:“La Ginestra”; “Progetto Alice Onlus – Associazioneper la lotta alla Sindrome Emolitica Uremica (SEU);“Associazione italiana familiari e vittime della stradaOnlus (AIFVS)” e, per quest’ultima, creazione di unpunto di ascolto;- ratifica dell’ordinanaza presidenziale d’urgenzadel 23.5.2007 avente ad oggetto: “D.P.R. 12.4.2006n. 184; regolamento recante disciplina in materia diaccesso ai documenti amministrativi; provvedimentigenerali organizzatori per l’esercizio del diritto diaccesso ex art. 1, comma 2, approvazione del rego-lamento”.

b - direzione sanitaria- presa d’atto della deliberazione della Giunta Regio-nale n. VIII/004744 del 16.5.07 avente ad oggetto lacomunicazione dell’Assessore alla Sanità sull’atti-vità libero-professionale intramuraria.

c - direzione scientifica - costituzione società per attività formative.

d - unità operativa amministrazione e finanza- proposta di regolamento delle immobilizzazioni.

e - unità operativa patrimonio- cessioni volontarie in procedura espropriativa di ter-reni necessari per la realizzazione di piste ciclo-pedo-nali a favore della provincia di Lodi (Comune ZeloBuon Persico – s. p. 138 “Pandina”) e a favore delComune di Ossona (lungo la via Roma).

f - contributi e beneficenzaÈ stata accettata la donazione di un ecografo perl’Unità operativa ostetricia e ginecologica III – steri-lità di coppia e andrologia, del valore di 65.000,00Euro oltre Iva da parte della Società Industria Farma-ceutica Serono S.p.a.

****Il Direttore generale della Fondazione ha, tra altro,adottato le seguenti determinazioni:

a - direzione amministrativa- Associazione Amici dell’Ospedale Maggiore Poli-clinico di Milano Donatori di Sangue: modifiche alloStatuto e contributo per l’anno 2007:- D. G. R. 7987/2002 e 12845/2003: “Riorganizza-zione delle attività di prelievo a scopo di trapianto”:conferma del coordinatore locale;- convenzione con l’Associazione FormazioneDomani di Milano per lo svolgimento di tirociniopratico per operatori socio sanitari, autorizzazioneallo svolgimento di tirocini;- progetto di utilizzo di fondi regionali destinati alCentro di riferimento Fibrosi cistica per l’anno 2006:indizione di selezione pubblica;- convenzione con l’Università degli Studi di Milano(Istituto di Medicina legale e delle Assicurazioni) perlo svolgimento di stages formativi presso il CentroSoccorso Violenza Sessuale (SVS) della Fondazione,nell’ambito del master di I livello di infermieristicaed ostetricia legale e forense A. A. 2007/2008 attiva-to dall’IPAVSI – Milano – Lodi;- indizione di gara mediante procedura aperta perl’affidamento del servizio di consulenza e brokerag-gio assicurativo – proroga dell’attuale contratto;- comodato d’uso gratuito di una pompa centrifugaJostra Rotaflow e di un riscaldatore HU35 concessodalla società Maquet Italia S.p.a. da destinare al dipar-timento di anestesia, rianimazione e terapia intensiva.

Cronache amministrative

terzo trimestre 2007a cura del Consiglio di Amministrazione

e del Direttore generale della Fondazione IRCCS OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena

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b - unità operativa funzioni tecniche- progetto “una culla per la vita”: accettazione delladonazione di una culla videosorvegliata da parte del-l’Associazione Venti Moderati;- aggiudicazione della gara d’appalto mediante pub-blico incanto per le opere edili occorrenti per lamanutenzione delle strutture della Fondazione perdue anni.

c - unità operativa sviluppo e promozione- convenzioni attive con la Fondazione IRCCS Istitu-to Neurologico Carlo Besta per: prestazioni speciali-stiche di ostetricia e ginecologia (periodo 15.4.2007– 14.4.2009); prestazioni specialistiche dismorfolo-giche e di chirurgia vascolare (periodo 1.1.2007 –31.12.2008); prestazioni di broncopneumologia(periodo 1.6.2007 – 31.5.2009); prestazioni di nefro-logia (periodo 1.6.2007 – 31.5.2009);- convenzioni per l’esecuzione di prestazioni ecogra-fiche a favore dell’Associazione Amici dell’Ospeda-le Policlinico Donatori di sangue e a favore dipazienti dell’Istituto Auxologico Italiano IRCCS diMilano;- convenzione attiva con l’Istituto Europeo di Onco-logia srl IRCCS (rinnovo 2007 – 2010), la Casa diCura Villa Letizia e la Casa di Cura Privata Capita-nio per il servizio di medicina trasfusionale per glianni 2007 – 2008;- convenzione attiva con la SDRX S.a.s. per presta-zioni in materia di radioprotezione;- convenzione passiva con l’Azienda Ospedaliera “L.Sacco” per consulenze ambulatoriali psichiatricheper pazienti seguiti dalla UOOML – CEMOC perl’anno 2007;- convenzioni con la CRIS S.r.l. e l’Ortopedia S.n.c.per una collaborazione finalizzata alla valutazione efabbricazione di ausili e ortesi personalizzate perbambini con disabilità in carico al servizio di abilita-zione e riabilitazione della Fondazione;- attività svolta dal Dipartimento di Medicina rigene-rativa (già Centro trasfusionale e di immunologia deitrapianti) per l’esecuzione di indagini per l’indivi-duazione dei soggetti idonei a ricevere il trapianto diorgani ai sensi della L. 91/99 a favore del Centroregionale trapianti del Friuli Venezia Giulia;- convenzione attiva con l’Azienda sanitaria Ospeda-liera San Giovanni Battista di Torino per la cessionedel radiofarmaco 18F-fdg;- convenzione attiva con l’A. O. Istituti clinici di per-

fezionamento per l’esecuzione di test di biologiamolecolare per il programma di screening neonataledella fibrosi cistica (periodo 1.6.2007 – 31.5.2008);- accordo integrativo al contratto stipulato con l’ A.O. Istituti clinici di perfezionamento per l’attuazionedel progetto regionale “piano urbano” sottoprogetton. 2 “le cure intermedie tra Ospedale e territorionella città di Milano”;- convenzione passiva con la Fondazione Don CarloGnocchi per l’effettuazione di prestazioni di diagno-stica per immagini (ecografie) a favore di pazientiseguiti dalla UOOML – CEMOC per l’anno 2007;- convenzione attiva per il Servizio di medicina tra-sfusionale per l’anno 2007 con: la Casa di cura SanCarlo – Eukos Spa, l’Istituto Stomatologico Italiano,la Casa di Cura La Madonnina e la Casa di CuraCittà di Milano;- convenzione attiva con l’Azienda OspedalieraOspedale Fatebenefratelli e Oftalmico per la cessio-ne di sangue ed emocomponenti per l’anno 2007;- convenzione passiva con l’Unità Operativa di Pro-tezione Civile per il trasporto di midollo osseo emateriali biologici per l’anno 2007;- convenzione passiva con l’ASL della Città di Mila-no per la gestione del Centro Medico Specialistico diAssistenza per i problemi della violenza sessuale alledonne e ai minori (centro SVS) per il periodo 1.1.07– 31.12.09;- prestazioni sanitarie effettuate dal Dipartimento dimedicina rigenerativa a favore di pazienti provenien-ti da enti esterni all’Ente dal 2002 al 31.12.2006;- convenzione attiva per l’esecuzione di prestazionidi cardiologia a favore di pazienti dell’Istituto Auxo-logico Italiano per l’anno 2007;- convenzione attiva con la Fondazione SalvatoreMaugeri Clinica del lavoro e della riabilitazione perla cessione del radiofarmaco 18F-fdg;- convenzione attiva con l’Istituto Auxologico Italia-no per prestazioni di chirurgia plastica (periodo datadi sottoscrizione – 31.12.08);- convenzione attiva con l’INAIL per indagini clini-che e strumentali finalizzate all’accertamento di pato-logie ascrivibili ad eventuale genesi lavorativa per gliassicurati dell’Istituto medesimo (1.1.06 – 31.12.08);- contratto di associazione in partecipazione tra lanostra Fondazione e Eckert & Ziegler f-con PharmaItalia s.r.l.: affidamento dell’incarico dell’espertoqualificato ai sensi del D. Lgs. 17.3.1995 n. 230;- convenzioni attive con: l’Azienda ospedaliera Isti-

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