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AGGIORNATA AL 5 FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

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AGGIORNATA AL 5 FEBBRAIO 2016

AGENDA IN 10 PUNTIPER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

Amnesty International è un movimento globale di oltre sette milioni di sostenitori, soci e attivisti in più di 150 paesi e territori, impegnati in campagne per porre fine a gravi violazioni dei diritti umani.

La nostra visione è che ogni persona possa godere di tutti i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e altri standard internazionali sui diritti umani.

Siamo indipendenti da qualsiasi governo, ideologia politica, interesse economico o religione e ci finanziamo principalmente grazie ai nostri soci e a donazioni di privati.

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1AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

INTRODUZIONE

L’impegno di Amnesty International per ottenere il pieno rispetto dei diritti umani in Italia non è una novità dell’ultimo periodo. Già negli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo l’organizzazione si era occupata di alcune questioni critiche relative al nostro paese, fra cui l’incarcerazione degli obiettori di

coscienza “totali” al servizio militare (fenomeno di cui si dà conto nei capitoli sull’Italia dei Rapporti Annuali di quegli anni) e la durata eccessiva della detenzione preventiva di persone accusate di reati di terrorismo (un rapporto specifico fu pubblicato sul processo “7 aprile”). Agli stessi anni risale l’interessamento per alcuni casi di tortura praticata nei confronti di detenuti sia politici che comuni, mentre al decennio successivo appar-tiene la vicenda delle torture inflitte da militari italiani in missione in Somalia, i cui seguiti politici e giudiziari Amnesty International ha osservato e commentato.

All’epoca, di diritti umani in Italia si occupavano il Segretariato Internazionale dell’organizzazione ed even-tualmente le sezioni nazionali di Amnesty International diverse da quella italiana. Vigeva infatti una regola, scrupolosamente osservata, in base alla quale le sezioni nazionali non svolgevano attività relative ai diritti umani nel proprio paese (per salvaguardare il carattere internazionale del movimento, assicurarne l’imparziali-tà in ogni circostanza e, last but not least, fare in modo che i suoi iscritti potessero essere attivi senza correre il rischio - un rischio reale in alcuni dei paesi nei quali l’associazione era presente - di mettere in pericolo la propria sicurezza personale).

Oggi quella regola è stata modificata e la sezione italiana di Amnesty International ha in essere, tra gli altri, un importante programma di attività avente per oggetto i diritti umani in Italia. Le attività in questione, da circa tre anni, fanno riferimento a una “Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia”: non un rapporto, nel quale siano documentati casi specifici di violazione ma, piuttosto, un documento politico, che si propone di presentare l’insieme delle posizioni e delle richieste di Amnesty International relative al sistema giuridico e politico italiano, nella misura in cui questo è all’origine di violazioni dei diritti umani, favorendole o non impe-dendole. Molte delle raccomandazioni contenute nell’Agenda riguardano la mancata o insufficiente attuazione di obblighi internazionali in materia di diritti umani, previsti da convenzioni che il nostro paese ha ratificato ed è tenuto, pertanto, a rispettare.

L’Agenda - che non costituisce una lista “chiusa” ed è in continuo divenire - è nata, all’inizio del 2013, nel contesto della campagna “Ricordati che devi rispondere”, lanciata in vista delle elezioni politiche che hanno portato alla formazione dell’attuale parlamento. Nel chiedere un impegno a chi si candidava alla guida del paese, abbiamo presentato, sia pure in estrema sintesi, un programma di riforme, articolando la nostra lista di richieste per temi prioritari. L’Agenda ha ottenuto, alla vigilia delle elezioni, numerose adesioni: cinque leader dei partiti o delle coalizioni in lizza e più di 380 candidati (118 dei quali sono stati eletti) l’hanno sottoscritta, integralmente o per la maggior parte, e così facendo hanno preso un impegno a realizzare, in caso di assunzio-ne di responsabilità istituzionali, attività legislative e di governo nel senso richiesto da Amnesty International.

L’Agenda, peraltro, ha continuato a rappresentare, al di là delle sue ragioni iniziali, un punto di riferimento per le attività svolte in modo continuativo dalla sezione italiana di Amnesty International sui diritti umani in Italia. Tali attività si collocano a livelli diversi, seguendo, in un certo senso, un percorso circolare: partendo dall’osservazione di casi concreti di violazione si giunge alle questioni strutturali che ne sono, il più delle volte, all’origine (spesso si tratta di lacune normative), per approdare alla dimensione culturale dei problemi e ritornare infine alle vicende concrete. Si tratta, peraltro, di attività svolte secondo modalità differenti fra

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loro: dal lavoro di ricerca (condotto talvolta in collaborazione con il Segretariato Internazionale) all’attività di comunicazione attraverso i media e di lobby nei confronti delle istituzioni, dalle azioni “diffuse” degli attivisti di Amnesty International Italia (raccolta di firme, mobilitazioni) alle azioni di informazione e sensibilizzazione tramite i numerosi incontri pubblici organizzati sia dalla sezione nazionale che dalle sue articolazioni terri-toriali, fino allo svolgimento di progetti di formazione e di educazione ai diritti umani con un focus specifico sull’Italia (e alla produzione dei materiali connessi).

Le risposte delle forze politiche e delle istituzioni italiane alle proposte e alle richieste di Amnesty Internatio-nal appaiono, a circa tre anni dall’uscita della prima versione dell’Agenda e dal lancio della campagna ad essa collegata, deludenti: complessivamente insufficienti, talvolta gravemente insufficienti. Non ci soffermiamo qui sui punti specifici, essendo questi l’oggetto del documento che segue. Ci limitiamo a osservare come tali risposte rivelino, tra le altre cose, i limiti della cultura politica e istituzionale dei diritti umani nel nostro pae-se, così come la scarsa attitudine a leggere la realtà, interpretandone i problemi e cercando le soluzioni, “in chiave diritti umani”. Risposte insufficienti o del tutto assenti confermano, in qualche modo, la rilevanza del lavoro di Amnesty International sui diritti umani in Italia e la necessità di un cambiamento di rotta: il bisogno urgente, in altre parole, di attività - legislative, ma non solo - che siano più human rights-oriented.

La progressiva attuazione delle raccomandazioni contenute nell’Agenda che viene qui riproposta in versione arricchita e aggiornata - raccomandazioni concrete, in linea con l’impostazione pragmatica di Amnesty Inter-national, il cui fine è di ottenere miglioramenti reali nella vita delle persone - rappresenterebbe un’efficace smentita della valutazione critica espressa in queste righe. Se questa smentita dovesse arrivare, noi tutti saremmo pronti - e felici - di riconoscere che abbiamo avuto torto e che i diritti umani, al contrario di quello ci sembra oggi, in Italia sono presi sul serio.

Presidente

SEGUE

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Quindici anni dopo il G8 di Geno-va del 2001, benché le violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani commesse in occasione di quell’evento siano state accerta-te da sentenze emesse in primo grado e in appello e confermate sia dalla Corte di Cassazione che dalla Corte europea dei diritti umani, molti fra gli appartenenti alle forze di polizia identifica-ti come responsabili di quelle violazioni sono rimasti impuniti - principalmente per effetto della prescrizione.

In anni recenti, a chiamare in causa le responsabilità di appar-tenenti alle forze di polizia sono, inoltre, diversi casi di persone che hanno perso la vita mentre venivano arrestate o, successiva-mente, mentre si trovavano nelle mani di queste ultime. Gli sforzi dei loro familiari di ottenere l’ac-certamento dei fatti e la punizio-ne dei colpevoli hanno incontrato non poche difficoltà e ostacoli. Per porre fine alle violazioni dei diritti umani che vedono un coinvolgimento di appartenenti alle forze di polizia e riaffermare, al contrario, il ruolo centrale di queste nella protezione dei diritti umani è essenziale che siano affrontati e risolti i problemi che sono all’origine delle difficoltà di accertamento dei fatti e delle responsabilità individuali, e della punizione dei colpevoli, e in particolare che le lacune norma-tive esistenti siano al più presto colmate.

Introduzione del reato di tortura

Fra le lacune legislative da col-mare ben nota è la mancanza di un reato specifico di tortura nel codice penale ordinario, la cui as-senza comporta che gli accusati di tortura o di trattamenti inu-mani siano incriminati per altri reati - generici, sanzionati con pene lievi e soggetti a termini di prescrizione brevi. Oltre a essere nell’interesse generale del paese, l’introduzione di una fattispecie specifica di tortura, correttamen-te definita e sanzionata in modo adeguato, sarebbe nell’interesse delle stesse forze di polizia, la cui credibilità e autorevolezza non traggono alcun giovamento da una situazione, come quella attuale, nella quale coloro fra i propri appartenenti che dovesse-ro compiere violazioni dei diritti umani continuerebbero a non essere adeguatamente puniti.

Dopo l’approvazione con modi-ficazioni da parte della Camera dei Deputati, nell’aprile 2015, di un disegno di legge trasmessole circa un anno prima dal Sena-to, Amnesty International aveva sperato che la seconda lettura da parte di quest’ultimo portasse finalmente - a circa un quarto di secolo dalla presentazione della prima proposta in tal senso nel parlamento italiano - all’intro-duzione della fattispecie penale di tortura. Si sarebbe trattato, oltretutto, dell’adempimento, sia

pure assai tardivo, dell’obbligo internazionale previsto dall’art.4 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1984, che l’Italia ha ratificato nel 1989. Purtroppo, il disegno di legge in questione ha subìto nella Commissione Giusti-zia del Senato alcune modifiche peggiorative, che rendono la de-finizione della tortura contenuta nel testo attualmente in discus-sione incompatibile, in quanto più restrittiva, con quella prevista dall’art.1 della stessa Conven-zione delle Nazioni Unite. La richiesta di Amnesty International è dunque che tale definizione sia modificata e resa compatibile con tale Convenzione. Allo stesso tempo, consapevole dei tempi limitati a disposizione per il com-pletamento dell’iter parlamen-tare (ovvero, del completamento della discussione in Senato e di un’ulteriore passaggio presso la Camera, inevitabile a meno che l’Aula del Senato non preferisca ritornare al testo già approvato, nella primavera del 2015, dalla stessa Camera), Amnesty Inter-national invita le forze politiche a compiere uno sforzo straordi-nario affinché la legislatura non si concluda nuovamente con un ulteriore, vergognoso, nulla di fatto. Invita, altresì, il governo a dimostrare maggiore impegno in vista del rispetto di un obbligo assunto in sede internazionale, prendendo un’iniziativa, finora mancata, al fine di realizzare l’obiettivo del pieno adeguamento del nostro ordinamento a quan-

GARANTIRE LA TRASPARENZA DELLE FORZE DI POLIZIA E INTRODURRE IL REATO DI TORTURA 1

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to stabilito nella Convenzione contro la tortura. Un invito alle istituzioni italiane a rendere più

efficaci gli strumenti di preven-zione e punizione della tortura è giunto, nel 2015, con la sen-tenza, che l’Italia è tenuta ad eseguire, della Corte europea dei diritti umani nel caso Cestaro, che ha accertato nei confronti del nostro paese una violazione dell’art. 3 della Convenzione

europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali (di seguito Convenzione europea). La Corte ha qualificato la violazione in questione, avente per oggetto i fatti della scuola Diaz, come violazione al tempo stesso “mate-riale” (per le condotte tenute dalle forze di polizia) e “procedu-

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In basso: mobilitazione Stop alla tortura,

Roma, maggio 2015.

© Amnesty International

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rale” (per l’inadeguatezza degli strumenti utilizzabili al fine di punire tali condotte). La Corte ha altresì chiarito che non è sufficiente che lo stato riconosca al ricorrente un risarcimento in denaro, dal momento che limitar-si a versare indennizzi in caso di maltrattamenti intenzionalmente inflitti da agenti statali, senza perseguire penalmente i colpe-voli, equivarrebbe ad assicurare l’impunità a questi ultimi. In altri due procedimenti davanti alla Corte di Strasburgo, per certi aspetti simili a quello relativo ai fatti della Diaz - il procedimento relativo ai fatti avvenuti, sempre a Genova nel 2001 (ricorsi Azzo-lina e Kutschkau), nella caserma di Bolzaneto e quello riguardante episodi di tortura avvenuti nel carcere di Asti (ricorso Cirino e Renne contro Italia) - il governo italiano ha offerto di versare ai ricorrenti un risarcimento mone-tario in vista di un “regolamento amichevole”.

Recentemente l’Italia ha altresì rigettato in via definitiva (con sentenza 46634/14 della Corte di Cassazione) una richiesta di estradizione dell’Argentina relati-va a fatti di tortura (qualificati in quel paese come “delitti di lesa umanità”, imprescrittibili) perché l’avvenuta prescrizione in Italia ha fatto venire meno la condi-zione della doppia punibilità, indispensabile alla concessione dell’estradizione. Oltre a compor-tare una violazione dell’obbligo

di punire, l’assenza di una ipo-tesi di reato che si traduca in un termine di prescrizione sufficien-temente lungo (se non nell’im-prescrittibilità) rende, dunque, il nostro paese un possibile “porto sicuro” per persone accusate di tortura in altri paesi. Si segnala, peraltro, come il tentativo com-piuto, in quest’ultima occasione così come in occasione del ricor-so per Cassazione nel caso della scuola Diaz, di fare dichiarare costituzionalmente illegittima la situazione normativa attuale, che conduce, in violazione di norme internazionali (e dunque, indirettamente, dell’art.117, 1 Cost.), all’impunità per fatti di tortura, non abbia avuto succes-so, essendo andata incontro a ostacoli giuridici apparentemente insormontabili.

Amnesty International sollecita il governo ad assicurare la piena attuazione della sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso Cestaro, notando al tempo stesso come l’eventualità che i ricorrenti negli altri casi pendenti davanti alla Corte di Strasburgo (Bolzaneto e Asti) dovessero accogliere proposte di regolamento amichevole non esonererebbe il nostro paese dall’obbligo di colmare la lacune normative che sono all’origine sia della mancata punizione dei responsabili di tortura in Italia sia dell’impossibilità di cooperare nella punizione di quest’ultima altrove.

Misure di identificazione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico

Fra gli altri provvedimenti racco-mandati da Amnesty International al fine di prevenire violazioni dei diritti umani da parte di appar-tenenti alle forze di polizia, vi sono le misure per l’identifica-zione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, la cui identità deve poter essere stabilita in sede di accertamen-to di eventuali responsabilità individuali per violazioni dei diritti umani (identificazione resa impossibile tra l’altro, a causa dei volti coperti e della mancanza di elementi identificativi sui caschi, per molti degli agenti coinvolti nei fatti della scuola Diaz).

Nella primavera 2015, è ripre-so in Senato l’esame di alcune proposte in argomento - esame che, tuttavia, è stato sospeso per via dell’annuncio da parte del governo di voler presentare un proprio disegno di legge in materia. In ottobre, alla ripresa della discussione, il governo, che non aveva ancora presentato una propria proposta, ha reso noto di voler compiere i necessari appro-fondimenti per verificare la possi-bilità di un intervento organico in materia di sicurezza urbana, che tenesse conto anche della neces-sità di tutelare la sicurezza degli operatori coinvolti. È possibile che, laddove non venga presen-tata una proposta in tempi utili a

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consentirne la connessione con gli altri disegni di legge già in discus-sione, il governo formuli proposte di modifica al testo base, una volta che questi sia adottato dalla Commissione, o che intervenga in un momento successivo. Amne-sty International ritiene che la questione debba essere affrontata con urgenza, auspica che i lavori parlamentari proseguano senza dilazioni o inaccettabili ritardi, e chiede al Ministro dell’Interno di proporre tempestivamente, previa consultazione di tutte le parti interessate - compresa la società

civile - una soluzione al problema dell’identificazione degli agenti di polizia impegnati in operazioni di ordine pubblico che sia conforme con gli standard internazionali ed europei.

Regole sull’uso della forza

È fondamentale che tutti gli appartenenti alle forze di polizia impegnati in operazioni di ordine pubblico o nell’effettuazione di arresti vengano adeguatamente preparati all’impiego di metodi non violenti e non letali e a ricorrere solo in caso di assoluta necessità a un uso legittimo e proporzionato della forza e delle armi, in linea con quanto stabilito dagli standard europei e internazionali in materia.

Una speciale attenzione va posta in occasione dell’eventuale uso di armi c.d. “non letali”, tra cui le pistole “taser”, il cui utilizzo ha causato un numero significativo di vittime in altri paesi. Si raccoman-da che queste siano impiegate solo in situazioni nelle quali rappresen-tano l’unica alternativa all’uso di armi da fuoco al fine di salvare vite umane. Inoltre, al pari delle armi da fuoco, le armi in questione do-vranno essere usate secondo moda-lità che ne minimizzino i potenziali effetti dannosi e, segnatamente, per non più di pochi secondi e mai nei confronti di soggetti a rischio. Al loro uso, infine, dovranno fare seguito adeguati controlli medici e la stesura di un rapporto relativo a ciascun episodio in cui queste siano state usate.

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In alto: mobilitazione per l’introduzione

del reato di tortura in Italia, Roma, aprile

2015. © Amnesty International

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FERMARE IL FEMMINICIDIO E LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE2

Secondo fonti attendibili, in Italia la violenza domestica non viene denunciata in oltre il 90 per cento dei casi. Negli ultimi anni, il numero di omicidi com-piuti da uomini su altri uomini è diminuito, mentre è rimasto co-stante il numero di donne uccise, in quanto donne, per mano di un uomo: oltre 100 ogni anno. In circa la metà dei casi, il colpe-vole è un partner o ex partner, mentre solo in circostanze rare si tratta di una persona sconosciuta alla donna.

L’attuazione della Convenzione di Istanbul

Nel giugno 2013 è stata appro-vata in via definitiva, con voto unanime del Senato, la legge di ratifica ed esecuzione del-la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla violenza contro le donne (legge n. 77 del 27 giugno 2013) e nel settembre 2013 l’Italia ha depositato il proprio strumento di ratifica. La Conven-zione, detta anche “Convenzione di Istanbul”, è entrata in vigore il 1 agosto 2014, grazie al raggiun-gimento, nel mese di aprile, delle 10 ratifiche necessarie.

Amnesty International ha accol-to con favore, per la parte che attiene all’attuazione di tale Con-venzione, l’adozione del decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013, convertito in legge, con modifi-che, con legge n. 119 del 15 ot-

tobre 2013. La nuova normativa rappresenta un innegabile passo in avanti in tema di lotta alla violenza contro le donne in Italia. Si rileva, tuttavia, come alcuni obiettivi il cui raggiungimento è imposto dalla Convenzione di Istanbul - che corrispondono in buona misura ad altrettante rac-comandazioni sia della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne che del Comitato sull’eliminazione della discriminazione contro le donne delle Nazioni Unite - siano anco-ra lontani dall’essere raggiunti. In particolare, mentre la centrali-tà degli strumenti di prevenzione e protezione rispetto a quelli di punizione appare evidente nella Convenzione di Istanbul (fondata sulle c.d. tre “p”), questo non accade nella legge italiana, dove l’attenzione è concentrata preva-lentemente sull’aspetto punitivo. Secondo Amnesty International è auspicabile che si vada oltre questo approccio, per sua natura emergenziale, e si definiscano politiche a lungo termine di prevenzione e sensibilizzazione sociale.

In particolare, sorgono dubbi in ordine all’entità delle risorse economiche dedicate al “piano d’azione straordinario” previsto all’art. 5 della legge citata, che secondo le associazioni di settore sono insufficienti a garantire gli obiettivi prefissati e che dovreb-bero, pertanto, essere significa-tivamente aumentate. Un’allo-

cazione di risorse sufficienti è necessaria anche per i centri di accoglienza per donne vittime di violenza, che vanno rafforzati e aumentati. Inoltre, come previsto dalla Convenzione di Istanbul e raccomandato dalla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, deve essere introdotto un sistema effi-cace di raccolta di dati statistici disaggregati sul fenomeno della violenza contro le donne, per garantire analisi standardizzate e periodiche, che ancora mancano nel nostro paese.

Va assicurato un adeguato coor-dinamento tra la magistratura, la polizia e gli operatori socio–sani-tari che si occupano del fenome-no della violenza contro le donne e che sono in contatto diretto con le vittime. Infine, sempre a scopo di prevenzione della violenza, gli organi di informazione italiani dovrebbero essere maggiormente sensibilizzati a promuovere una rappresentazione non stereoti-pata delle donne e degli uomini nell’immaginario collettivo.

Le raccomandazioni di Amnesty International in ordine alle misu-re che è necessario introdurre nel nostro paese al fine di prevenire efficacemente la violenza contro le donne saranno arricchite e aggiornate in vista dell’esame del Settimo rapporto periodico del nostro paese al Comitato sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite (CEDAW).

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Non refoulement e salvataggi in mare

Per diversi anni, le autorità ita-liane, nell’esercitare il controllo delle frontiere marittime, hanno effettuato numerosi respingi-menti di persone verso la Libia, paese nel quale le persone re-spinte hanno spesso subito gravi violazioni dei diritti umani.

La pratica dei respingimenti, che ha portato nel 2012 alla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani nel caso Hirsi Jamaa, è stata successivamente inter-rotta. L’avvio dell’Operazione “Mare Nostrum”, a seguito dei tragici naufragi del 3 e dell’11 ottobre 2013 al largo dell’isola di Lampedusa, ha rappresentato una svolta positiva nel modo di affrontare il fenomeno dell’im-migrazione via mare. Grazie ad essa migliaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo sono stati intercettati e trasferiti in Italia, e in tal modo salvati dal pericolo concreto di perdere la vita durante la traversata del Mare Mediterraneo.

Amnesty International, che ha apprezzato all’epoca lo sforzo dell’Italia nel salvataggio di vite umane in mare, ha espresso disappunto per la conclusione dell’Operazione “Mare No-strum”, dal momento che l’O-perazione “Triton”, dell’agenzia europea Frontex, contrariamente

a quanto da più parti sostenuto, risultava essere del tutto ina-datta a prenderne il posto, in quanto inidonea allo scopo dal punto di vista sia delle finalità e caratteristiche complessive dell’operazione che da quello delle risorse messe in campo (assai più limitate, quantomeno inizialmente, di quelle di “Mare Nostrum”).

Al momento Amnesty Inter-national segue con attenzione l’avvio dell’Operazione congiun-ta europea EUNAVFOR Med, recentemente ridenominata “Sophia”, destinata a integrare il lavoro svolto da Frontex, le cui risorse sono state nel frattempo aumentate. Rimane da chiarire se l’azione combinata di Frontex e di “Sophia”, al cui comando è stata posta la Marina militare italiana, possa costituire una risposta adeguata all’esigenza primaria di salvare la vita - per poi assicurare, qualora ve ne siano i presupposti, protezione internazionale - a coloro che intraprendono la traversata del Mediterraneo.

Assieme al “Comitato 3 otto-bre”, Amnesty International ha promosso l’istituzione di una “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”, prendendo spunto dai tragici naufragi del 2013. La proposta, approvata il 15 aprile 2015 dal-la Camera dei Deputati, attende ora l’approvazione del Senato.

Controllo dell’immigrazione e cooperazione internazionale

In un quadro europeo nel quale il controllo sull’immigrazione verso l’Europa è affidato, in buona misura, alla coopera-zione con stati terzi confinanti - con effetti spesso assai pre-occupanti per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani di migranti, rifugiati e richiedenti asilo - risultano ancora in vigore gli accordi stipulati a suo tem-po dall’Italia con la Libia. La volontà di cooperazione tra i due paesi in materia di immigrazione è stata regolarmente confermata dai governi italiani succedutisi negli ultimi anni, nonostante il fatto che in Libia - un paese che continua a essere caratterizzato da grave instabilità politica - i migranti e i rifugiati andassero e vadano tuttora incontro a stupri, torture e sequestri a scopo di riscatto da parte di trafficanti, allo sfruttamento sistematico ad opera di datori di lavoro, alla persecuzione religiosa e ad altri abusi da parte di gruppi armati e bande criminali.

Nel 2013, Amnesty International ha appreso che l’Italia avrebbe finanziato l’ammodernamento di un certo numero di “centri di trattenimento” per migranti in Libia. Nel corso di una missione svolta in quel periodo, i ricer-catori di Amnesty International hanno potuto constatare come in molti di quei “centri di tratteni-

PROTEGGERE I RIFUGIATI, FERMARE LO SFRUTTAMENTO, LA DISCRIMINAZIONE E LA CRIMINALIZZAZIONE DEI MIGRANTI

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9AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

mento” libici vi fossero scarse condizioni igieniche, presenza di bambini e pestaggi brutali dei detenuti con tubi e cavi elettrici. Neppure in tempi più recenti

la cooperazione italiana con la Libia, principalmente finalizzata alla stabilizzazione di un governo di unità nazionale e al contrasto del terrorismo internazionale di matrice islamica, pare tenere in sufficiente considerazione la questione del rispetto dei diritti umani dei cittadini stranieri. Amnesty International auspica che l’Italia imposti in modo diverso le proprie relazioni con

la Libia, mettendo i diritti umani al centro dei rapporti fra i due paesi e condizionando l’applica-zione di ogni accordo sul con-trollo dell’immigrazione al pieno rispetto da parte delle autorità libiche degli standard internazio-nali in materia.

Gli “accordi informali di riam-missione” con la Grecia sono stati oggetto della sentenza della

In alto: manifestazione per chiedere

all’Europa di mettere le persone prima

delle frontiere, Taranto, giugno 2015.

© Rosa Anna Paladino

10 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

Corte europea dei diritti umani nel caso Sharifi e altri contro Italia e Grecia, accolta con soddisfazione da Amnesty Inter-national. Vi si è accertata una violazione da parte dell’Italia del divieto di espulsioni collettive di cui all’art. 4 del Protocollo n. 4 addizionale alla Convenzione europea, nonché degli articoli 3 (divieto di tortura e di tratta-menti inumani e degradanti) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione stessa, per avere le nostre autorità rimanda-to a forza in Grecia un gruppo di richiedenti asilo afgani, sotto-ponendoli al rischio di essere successivamente rinviati in Af-ghanistan (refoulement c.d. in-diretto), e per avere negato loro l’accesso, in Italia, alla procedu-ra di determinazione dello status di rifugiato (omettendo anche, per alcuni di loro, di accertarne l’identità).

Il reato di “ingresso e sog-giorno illegale sul territorio”

Amnesty International segue con attenzione, a partire dall’inizio della legislatura, i passi compiu-ti verso l’abrogazione dell’artico-lo 10 bis del decreto legislativo 28 luglio 1998 n. 286, che prevede il reato di “ingresso e soggiorno illegale sul territorio”.

L’ingresso e la permanenza irregolari - come dichiarato dalla Relatrice speciale delle

Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti - “non vanno mai considerati reati: non sono reati contro la persona, né contro la proprietà né contro la sicurezza nazionale ... i migranti irregolari non sono criminali e non an-drebbero trattati come tali”.

Il reato in questione, peraltro, non avrebbe, secondo il parere di autorevoli magistrati, prodotto alcuno dei vantaggi ipotizzati in occasione della sua introduzione nel 2009, favorendo semmai lo sfruttamento lavorativo dei migranti. Per queste ragioni Amnesty International ha accolto con favore l’approvazione della legge 67 del 28 aprile 2014, il cui art. 2 delega il governo a trasformare, entro 18 mesi, tale reato in illecito amministrativo (sia pure limitatamente all’i-potesi del primo ingresso sul territorio italiano, ad esclusione della reiterazione del compor-tamento). Ha espresso, invece, rammarico per la notizia se-condo cui, nel gennaio 2016, il governo, non avendo ancora attuato la delega, avrebbe deciso di rinviare ulteriormente la de-penalizzazione. Particolarmente discutibile è apparsa la circo-stanza che tale decisione sia stata presa nonostante lo stesso governo avesse riconosciuto l’i-nutilità della norma, optando per il rinvio - secondo quanto riferito dagli organi di informazione - per ragioni di tipo psicologico e comunicativo.

Accoglienza

Altro aspetto che preoccupa Amnesty International è quello relativo al sistema di accoglienza di migranti, rifugiati e richie-denti asilo in Italia, alla luce dei più recenti sviluppi. A seguito dell’applicazione del cosiddet-to “approccio hotspot”, sono giunte da parte di associazioni di settore segnalazioni preoccu-panti circa nuove prassi adottate nei centri di prima accoglienza e soccorso situati vicino ai prin-cipali punti di sbarco in Sici-lia. Le decisioni 2015/1523 e 2015/1601 del Consiglio dell’U-nione europea in tema di ricol-locazione di rifugiati di alcune nazionalità in altri stati membri, al fine di sostenere lo sforzo di Italia e Grecia sottoposte alla pressione dei flussi migratori, rischia di tradursi in una disap-plicazione di norme interne e in particolare del d.Lgs. 25/2008 (“decreto procedure”).

Le segnalazioni di cui sopra riguardano in particolare il trat-tenimento iniziale dei migranti, le garanzie personali durante il foto-segnalamento, la mancata o insufficiente informativa resa al migrante appena sbarcato circa la possibilità di richiedere la protezione internazionale, la limitazione dell’accesso alle pro-cedure di asilo in base alla sola nazionalità (in assenza di una vera istruttoria personale), l’im-mediata consegna di un decreto

SEGUE

11AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

di respingimento c.d. “differito”, nel quale si ingiunge al migrante di lasciare il paese, ma senza fornire l’assistenza necessaria e il rifiuto di alcune questure di esaminare le domande di asilo successivamente a quest’ul-timo. Amnesty International, che in quanto componente del “Tavolo Asilo” ha condiviso una richiesta di chiarimenti rivolta in proposito da quest’ultimo al Ministro dell’Interno, si riserva di approfondire ulteriormente tali aspetti.

Quanto alle condizioni di vita nei Centri di accoglienza e nei Centri di identificazione ed espulsione, queste devono al più presto essere portate in linea con gli obblighi internazionali dell’Italia, migliorando significa-tivamente l’accoglienza materiale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, molti dei quali sono stati, negli ultimi anni, accolti in condizioni igienicamente deplo-revoli.

Il 4 novembre 2014, la Corte europea dei diritti umani, nella sentenza Tarakhel contro Sviz-zera, ha accertato che, alla luce delle condizioni di accoglienza offerte dall’Italia a richiedenti asilo particolarmente vulnerabi-li, il rinvio dalla Svizzera verso

l’Italia di un nucleo familiare con minori avrebbe costituito un trattamento inumano e degra-dante in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea.

Il 1° settembre 2015, nella sentenza Khlaifia e altri contro Italia, la Corte ha accertato che l’Italia aveva violato, a causa delle condizioni nel Centro di Lampedusa, fra gli altri, l’art. 3 della Convenzione europea (tortura e trattamenti inumani e degradanti) e l’art. 4 del Proto-collo addizionale n. 4 (divieto di espulsioni collettive).

Reinsediamento, assenza di canali sicuri e riforma del “sistema di Dublino”

Amnesty International auspica che le istituzioni italiane si ado-perino al fine di garantire a chi

fugge da conflitti e persecuzioni canali legali e sicuri per rag-giungere l’Europa, aumentando innanzitutto le proprie quote di reinsediamento. L’assenza di ca-nali sicuri favorisce il fenomeno dell’immigrazione irregolare e, con essa, lo sfruttamento lavora-tivo e il mancato rispetto del di-ritto a un alloggio adeguato, del diritto alla salute e del diritto di accesso ai rimedi giurisdizionali di numerosi cittadini stranieri. Al tempo stesso, l’organizzazio-ne chiede al governo italiano di farsi promotore in sede europea di una revisione del c.d. siste-ma di Dublino, attraverso la riduzione dell’applicazione, ai fini dell’attribuzione di compe-tenza a esaminare la domanda di asilo, del criterio del paese di primo arrivo e una maggio-re valorizzazione, fra gli altri, del criterio della riunificazione familiare.

A destra: mobilitazione SOS Europa,

Roma, luglio 2015.

12 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

La situazione nelle carceri e l’attuazione della sentenza Torreggiani

Più volte, nell’ultimo decennio, gli organi internazionali di garanzia dei diritti umani hanno segnalato l’esistenza di un diffuso problema di sovraffollamento nelle carceri italiane, incompatibile con l’ob-bligo internazionale di garantire condizioni di detenzione rispettose della dignità umana e con il diritto di tutti a non essere sottoposti a pene o trattamenti disumani o degradanti. La sentenza della Corte europea dei diritti umani dell’8 gennaio 2013 nel caso Torreggiani contro Italia, oltre a condannare il nostro paese per violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani nei confronti di sette detenuti reclusi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, ha accertato che il problema della sovrappopolazione carceraria in Italia ha “carattere strutturale e sistemico”, essendo il risultato del “malfunzionamento cronico” del nostro sistema penitenziario. La sentenza in questione rientra nella categoria delle c.d. “senten-ze–pilota”, i cui effetti consistono nella sospensione dell’esame dei ricorsi aventi per oggetto situazioni analoghe a quella presa in esame (nel caso specifico particolarmente numerosi) e nell’assegnazione allo Stato parte di un termine di tempo entro il quale dovranno essere introdotte misure idonee a porre fine alla situazione che è all’origine della violazione.

In attuazione della sentenza Torreggiani, le autorità italiane hanno introdotto diverse misure da valutare complessivamente con favore. Nell’estate del 2013 è stato emanato il decreto legge n. 78 del 1 luglio 2013 (detto anche decreto “svuota–carceri” o “primo decreto Cancellieri”), successi-vamente convertito in legge, con modificazioni, nell’agosto 2013 (legge n. 94 del 9 agosto 2013). Questo prevede, in particolare, una riduzione dei casi nei quali può es-sere disposta la custodia cautelare in carcere, un aumento dei casi di sospensione dell’esecuzione della pena e una riduzione dei casi nei quali è escluso o reso più difficile l’accesso ai benefici penitenziari.

Ulteriori misure sono previste dal decreto legge n. 146 del 23 di-cembre 2013 (o “secondo decreto Cancellieri”), convertito con mo-dificazioni con legge n. 10 del 21 febbraio 2014, anch’esso motivato dalla necessità di porre rimedio alla situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari. Il decreto in questione prevede, tra l’altro, la configurazione della detenzione e spaccio di lieve entità come reato distinto punibile con pene ridotte; l’estensione dei casi possibili di concessione delle misure alterna-tive alla detenzione (quali l’affida-mento in prova ai servizi sociali); la stabilizzazione della misura della detenzione domiciliare per le pene detentive non superiori ai 18 mesi; il riconoscimento, per chi abbia commesso reati non partico-

larmente gravi e abbia tenuto una condotta regolare, della liberazione anticipata speciale caratterizzata da una detrazione di 75 giorni di detenzione ogni semestre (anzi-ché 45); l’abolizione del divieto previsto dal testo unico sugli stupefacenti (DPR n. 309 del 9 ottobre 1990) di applicare per più di due volte l’affidamento in prova terapeutico per condannati tossi-codipendenti e, infine, una nuova disciplina dei reclami al magistrato di sorveglianza per violazione dei propri diritti.

Fra le leggi in materia di esecu-zione penale approvate nel corso della legislatura, destinate ad avere effetti sul fenomeno del sovraffollamento carcerario, si segnala anche la legge 67 del 28 aprile 2014 che delega al gover-no l’introduzione di una serie di misure fra le quali l’incremento del ricorso a pene detentive non carcerarie (da eseguire presso la propria abitazione o in altro luogo diverso dal carcere) e la possibi-lità di infliggere la sanzione del lavoro di pubblica utilità consi-stente nella prestazione di un lavoro non retribuito a favore della collettività.

A completare il pacchetto nor-mativo previsto quale risposta alla sentenza Torreggiani, è stato approvato infine il decreto leg-ge n. 92 del 26 giugno 2014, convertito l’11 agosto con la legge n. 117/2014 della quale vanno messi in evidenza due aspetti in

ASSICURARE CONDIZIONI DIGNITOSE E RISPETTOSE DEI DIRITTI UMANI NELLE CARCERI 4

13AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

particolare. In primo luogo, que-sta contiene una disciplina del risarcimento in favore di chi abbia subito un trattamento in violazio-ne dell’articolo 3 della Convenzio-ne europea, la quale prevede che venga concesso uno sconto di un giorno di pena ogni 10 passati in celle sovraffollate, se la pena è ancora da espiare. A chi avrà già espiato la pena andranno invece otto euro per ogni giornata in cui si è subito il pregiudizio. In secondo luogo, la legge interviene ponendo nuovi limiti alla custodia cautelare in carcere escludendone – sia pure con alcune importanti eccezioni – l’applicazione se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irroga-ta non sarà superiore a tre anni. L’Italia, dopo avere presentato al Comitato dei Ministri del Consi-glio di Europa un piano di azione per l’esecuzione della sentenza Torreggiani, ha fornito una serie di aggiornamenti sulle misure adottate. Queste sono state prese in esame dal Comitato dei Mini-stri nel dicembre 2014, che le ha valutate in modo positivo ma non ha ancora chiuso la procedu-ra, invitando le autorità italiane a presentare un nuovo rapporto comprensivo di informazioni sul funzionamento nella pratica dei rimedi introdotti, nonché infor-mazioni statistiche che mostrino un consolidamento del trend positivo. Amnesty International continua a seguire la procedura di supervisione sull’esecuzione della sentenza Torreggiani da parte del

Comitato dei Ministri, riservandosi di formulare eventuali raccoman-dazioni.

La nomina del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale

Il “secondo decreto Cancellieri”, oltre alle misure sopra indicate, prevede all’art.7 l’istituzione della figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o altrimenti private della libertà personale. Amnesty International ha accolto con favore tale previ-sione, che costituisce l’attuazione dell’obbligo di cui all’art.17 del Protocollo aggiuntivo alla Conven-zione delle Nazioni Unite contro la tortura del 2002, ratificato dall’Italia, il quale stabilisce che ogni stato parte dovrà avere “uno o più meccanismi nazio-nali preventivi indipendenti per la prevenzione della tortura a livello domestico”. Mediante decreto n. 36 dell’11 marzo 2015, in vigore dal 15 aprile, è stato adottato il Regolamento che disciplina la struttura e la composizione dell’ufficio del Garante. Sono quindi cominciate le audizioni parlamentari per la nomina del Garante stesso. Dopo avere ricevuto il parere favorevole delle Camere, il Presidente della Repubblica ha nominato Mauro Palma, ex Presidente del Comi-tato europeo per la prevenzione della tortura, Garante delle perso-

ne detenute o private della libertà personale. Amnesty International auspica che la nuova autorità sia posta al più presto nelle condi-zioni di svolgere efficacemente le proprie funzioni.

La chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg)

Stanno finalmente chiudendo, sia pure fra lentezze e ritardi, gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), giudicati incompatibili con gli standard internazionali da diversi organi internazionali di garanzia e oggetto di procedure d’inchiesta nazionali. Dopo l’ap-provazione di successivi decreti in materia a partire dal 2012, il decreto legge n. 52 del 31 marzo 2014 (convertito in legge con la l. n. 81 del 30 maggio 2014) ha previsto infatti un’ultima pro-roga, fissando la data della loro chiusura definitiva al 31 marzo 2015. Ciononostante, alla fine del 2015, nove mesi oltre tale data, quattro ospedali psichia-trici giudiziari risultavano essere ancora aperti, a causa delle inadempienze di alcune Regioni. Amnesty International ritiene la chiusura effettiva degli Opg un atto necessario e urgente, poiché – nella maggior parte dei casi – il trattamento inflitto ai detenuti in queste strutture è contrario alla dignità umana e viola gli stan-dard internazionali in materia di reclusione di soggetti psichiatrici o presunti tali.

14 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

Negli ultimi anni il nostro paese è stato, con allarmante frequen-za, teatro di aggressioni sia verbali che fisiche nei confron-ti di persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate). Alcuni esponenti politici, in certi casi con ruoli istituzionali, hanno incorag-giato un clima d’intolleranza e perfino di vero e proprio odio nei confronti delle persone Lgbti, mediante affermazioni omofo-be e altresì, in tempi recenti, dichiarazioni allarmistiche e infondate sul presunto insegna-mento della “teoria del gender” nelle scuole.

Le norme penali contro l’o-mofobia e la transfobia

Le norme penali contro la discri-minazione attualmente in vigore (la c.d. legge Mancino–Reale) prevedono pene aggravate per i crimini di odio basati sull’etnia, la razza, la nazionalità, la lingua o la religione, ma non pren-dono in considerazione quelli motivati da finalità di discrimi-nazione a causa dell’orienta-mento sessuale o dell’identità di genere. Inoltre, l’incitamento a commettere atti di violen-za omofobica o transfobica non è perseguibile allo stesso modo in cui ciò avviene per altre forme di incitamento alla violenza discriminatoria. Nel

2013 la discussione parlamen-tare relativa all’introduzione di norme penali contro l’omofobia e la transfobia ha superato per la prima volta l’ostacolo delle pregiudiziali di costituzionalità e ha dato luogo a un confronto, sia pure a tratti molto teso, sui contenuti delle proposte avan-zate. Il 19 settembre 2013 è stato approvato dalla Camera il testo di un disegno di legge che estende l’applicazione della legge Mancino–Reale al moven-te d’odio basato sulla discrimi-nazione per motivi di identità di genere e orientamento sessuale. Il testo in questione accoglie le due principali richieste di Amnesty International: ovvero, l’estensione dell’applicazione della legge all’ipotesi dell’odio basato sull’orientamento ses-suale e l’identità di genere con riferimento sia al c.d. discorso d’odio sia all’aggravamento dei reati comuni motivati da odio. Questo risultato non pare vanifi-cato dall’approvazione della c.d. clausola sulla libertà di espres-sione la quale - fatta salva un’ulteriore e più approfondita verifica dei suoi possibili effetti - non sembra avere controindi-cazioni significative. Purtroppo, ed è una circostanza che suscita grave preoccupazione, il disegno di legge approvato dalla Came-ra, assegnato alla Commissione Giustizia del Senato, non è più oggetto di discussione a par-

tire dal luglio 2014. Amnesty International auspica che la discussione in Senato del citato disegno di legge ricominci al più presto e che siano approvate in via definitiva norme efficaci per combattere l’omofobia e la transfobia in Italia.

Il riconoscimento delle fa-miglie costituite da persone dello stesso sesso

Nel momento in cui scriviamo manca ancora nel nostro ordi-namento giuridico qualsivoglia riconoscimento della rilevanza sociale delle famiglie costituite da persone dello stesso sesso e dai loro figli. Tale circostanza im-pedisce a un numero importante di persone di godere di diritti essenziali alla propria autorealiz-zazione e alimenta la stigmatiz-zazione delle persone Lgbti.

Nell’estate del 2015 è entrato nel vivo al Senato il dibattito sul ddl n. 2081 intitolato “Regola-mentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, che tratta in due capi distinti la questione delle coppie omo-sessuali che danno vita a una “unione civile” e quello delle coppie di fatto (sia eterosessuali che omosessuali) che realizzano una “convivenza”. Il ddl, che è andato incon-

COMBATTERE L’OMOFOBIA E LA TRANSFOBIA E GARANTIRE TUTTI I DIRITTI UMANI ALLE PERSONE LGBTI*

5

(*) Lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate

15AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

In alto: Roma Pride 2015.

© Amnesty International

16 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

tro a una forte opposizione e all’ostruzionismo di alcuni parlamentari, dopo sostanziali modifiche è stato approvato dalla Commissione Giustizia del Senato il 12 ottobre 2015. Il testo approvato in Commissione, pur suscitando qualche per-plessità in ragione dei possibili effetti limitativi derivanti dalla definizione delle unioni civili come “formazioni sociali speci-fiche”, rappresenta nondimeno uno sviluppo positivo in quanto prevede l’estensione a queste ultime di molti norme relative al matrimonio. Rimane peral-tro irrisolto il nodo della c.d. stepchild adoption, ovvero della possibilità per l’omosessuale unito o unita civilmente di adot-tare il figlio o la figlia naturale del(la) partner, ipotesi fortemen-te osteggiata da una parte dei parlamentari.

Amnesty International, che da anni si batte affinché l’Italia eli-mini ogni forma di discrimina-zione a causa dell’orientamento sessuale, prevedendo tra l’altro la possibilità di contrarre matri-monio per le coppie dello stesso sesso e garantendo pari diritti ai figli delle persone omosessua-li, ritiene l’introduzione delle unioni civili un passo avanti nella giusta direzione e auspica pertanto che la discussione si concluda tempestivamente con l’approvazione di una legge che equipari i diritti delle coppie omosessuali con quelli delle

coppie eterosessuali nella misu-ra più ampia possibile.La questione del riconoscimento in Italia delle unioni fra per-sone dello stesso sesso è stata oggetto nel 2015 di sviluppi giudiziari contrastanti. Il 21 lu-glio 2015, con la sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso Oliari e altri contro Italia, i giudici di Strasburgo hanno accertato che l’Italia non rispetta l’obbligo “positivo” di garantire a tutti l’effettiva tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare, così come previsto dall’articolo 8 della Convenzione europea. La sentenza, che Amnesty Inter-national ha accolto con grande favore, conferma che le coppie composte da persone dello stes-so sesso hanno il diritto umano a vedere la loro relazione ricono-sciuta e legalmente e protetta. Il 26 ottobre 2015, invece, il Consiglio di Stato ha riformato la decisione del Tribunale am-ministrativo regionale del Lazio (sentenza 9 marzo 2015 n. 3907), il quale aveva affermato, al pari di altri tribunali ammini-strativi regionali, l’illegittimità dei provvedimenti prefettizi di annullamento della trascrizione di matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero.

I diritti delle persone transgender

Le autorità italiane devono

garantire alle persone Lgbti il diritto di esprimere la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale, il diritto a una vita affettiva e familiare libera da interferenze e un equo accesso a tutti i diritti umani riconosciuti dalle convenzioni e dagli standard internazionali.

Entro tale contesto, Amnesty International ritiene che in Italia, così come in molti altri stati europei, vada compiuto uno sforzo maggiore di tutelare i diritti delle persone transgender e intersessuali, in particolare di garantire loro l’accesso alle cure mediche necessarie al benessere, all’integrità e all’au-todeterminazione. Uno svilup-po positivo in questo senso, è rappresentato dalla sentenza n. 221 del 5 novembre 2015 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costi-tuzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), sollevata dal Tribunale di Trento. Ne risulta definitivamen-te chiarita la circostanza che, ai fini della registrazione anagra-fica del cambio di sesso, non è necessario essersi sottoposti a trattamento chirurgico, anche se resta ferma la necessità di un accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo.

SEGUE

17AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

FERMARE LA DISCRIMINAZIONE, GLI SGOMBERI FORZATI E LA SEGREGAZIONE ETNICA DEI ROM 6

I rom continuano a essere, in Italia, vittime di discriminazio-ne, frequentemente esclusi dal godimento di molti diritti umani. È proseguita la loro segregazione in campi mono-etnici e continua a esistere nei loro confronti un diffuso pregiudizio, come eviden-ziato a suo tempo dal Comitato per l’eliminazione della discri-minazione razziale delle Nazioni Unite. Le raccomandazioni rivol-te alle istituzioni italiane dagli organi internazionali di garanzia dei diritti umani in materia di di-ritti dei rom continuano a essere disattese.

Negli ultimi anni centinaia di rom sono stati sottoposti a sgomberi forzati e lasciati senza alloggio. Piani per la chiusura di diversi campi autorizzati o “tollerati” sono stati attuati in assenza delle necessarie garan-zie, mentre le condizioni di vita nella maggior parte dei campi autorizzati sono rimaste grave-mente inadeguate, non avendo le autorità competenti agito – o avendo agito in misura insuf-ficiente – per migliorarle. Nei campi informali la situazione è caratterizzata da scarso accesso (o mancanza di accesso) all’ac-qua, ai servizi igienico-sanitari e all’energia elettrica.

Le politiche dell’Italia in ma-teria hanno avuto, nel recen-te passato, un’impostazione esclusivamente emergenziale, essendo basate sul piano di

intervento straordinario noto, appunto, come “Emergenza nomadi”. Quest’ultimo, piuttosto che promuovere l’inclusione e l’accesso a un alloggio adeguato per donne, uomini e bambini rom, era ispirato a una politica di sgomberi sistematici. La c.d. “Emergenza nomadi” è stata di-chiarata illegittima dal Consiglio di Stato nel 2011. Il governo si è impegnato allora a seguire un approccio diverso, che è stato definito con la “Strategia nazio-nale d’inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti”, presentata alla Commissione europea nel febbra-io 2012. Nel frattempo, la stessa Commissione europea aveva avvia-to sulla questione il monitoraggio finalizzato alla possibile apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Nel maggio 2013 la Corte di cassazione ha confermato l’illegittimità della c.d. “Emergenza nomadi”. Nel frattempo, tuttavia, di fatto la segregazione delle comunità rom in campi isolati, lontani dai centri cittadini e sovente privi di acces-so ai servizi di base è continuata. Sono altresì proseguiti nel 2014, nel 2015 e nelle prime settima-ne del 2016, in diverse città tra cui Roma e Milano, anche gli sgomberi forzati, attuati per lo più senza previa notifica scritta e in assenza di un’offerta di alloggio alternativo adeguato per i nuclei familiari coinvolti.

Il 9 giugno 2015 con un’ordinan-za importante, che Amnesty Inter-

national - la quale aveva contribu-ito all’azione giudiziaria attraverso la presentazione di un parere esperto - ha accolto con favore, il Tribunale di Roma ha stabilito che il Comune di Roma aveva agito in modo illegale trasferendo forzatamente, nel contesto della “Emergenza nomadi”, un gruppo di famiglie rom nel campo etni-camente segregato della Barbuta, nei pressi dell’aeroporto di Ciam-pino. La decisione ha riconosciuto che mettere i rom in condizione di vivere in un campo mono-etnico costituisce trattamento discrimi-natorio. Nonostante il Consiglio di Stato avesse da tempo, come si è visto, dichiarato illegittima la c.d. “Emergenza nomadi”, annullando tutte le misure e le decisioni che ne erano derivate, il Comune di Roma aveva completato il campo e aveva proceduto ad assegnare le unità abitative esclusivamente a famiglie rom.

Secondo Amnesty International, l’ordinanza del Tribunale di Roma deve rappresentare il primo passo verso il completo superamento del sistema dei campi, ponendo fine alla segregazione abitativa subita dai rom in Italia.

Le autorità devono astenersi dal creare altri campi e avviare una consultazione autentica con tutte le famiglie rom che si trovano attualmente nei campi segregati per identificare soluzioni abitative alternative. Queste ultime dovran-no essere rispettose degli obblighi

18 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

internazionali dell’Italia in materia di diritto a un allog-gio adeguato e di non discri-minazione e comprendere, tra l’altro, la rimozione di ogni ostacolo discriminatorio nei confronti di rom e altri gruppi emarginati nell’accesso all’e-dilizia residenziale pubblica.

Infine, anche in considerazio-ne della retorica anti-rom fatta propria da diversi attori politici nel corso della campagna elet-torale per le elezioni regionali

del 2015, Amnesty International esorta il governo ad applicare con urgenza e in tutte le sue parti la “Strategia nazionale

d’inclusione dei Rom, Sinti e Ca-minanti “, evitando che rimanga lettera morta - come al momen-to, purtroppo, sembra essere.

A destra: manifestazione per il diritto

all’alloggio, World Urban Forum 2013,

Napoli. © Amnesty International

SEGUE

19AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

CREARE UN’ISTITUZIONE NAZIONALE INDIPENDENTE PER LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI

7L’Italia non ha ancora creato una Istituzione nazionale per i diritti umani, secondo quanto racco-mandato nei c.d. “Principi di Parigi”, adottati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993. Questi ultimi prevedono che una siffatta istituzione sia indipendente, dotata di poteri e risorse adeguati, pluralista nella composizione, accessibile e con un mandato ampio - ovvero rela-tivo a tutti i diritti umani interna-zionalmente riconosciuti. Un orga-no di questo tipo, qualora fosse istituito, avrebbe, quali compiti minimi, quelli di svolgere un’at-tività di monitoraggio costante sulla situazione dei diritti umani in Italia e di formulare raccoman-dazioni finalizzate al rispetto dei diritti umani nel nostro paese.

La creazione di una Istituzio-ne nazionale per i diritti umani rientra fra gli impegni (“pledges”)

assunti dall’Italia al momento di presentare la propria candida-tura a membro del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite e ribaditi successivamente in sede di Revisione periodica universale (Upr). Le raccomandazioni sulla creazione di una Istituzione nazio-nale indipendente sui diritti umani indirizzate al nostro governo nel 2010, in occasione del primo ciclo dell’Upr, sono state considerate non attuate dal Consiglio dei diritti umani in occasione del secondo ciclo dell’Upr, che si è svolto il 27 ottobre 2014. In quest’ultima occasione all’Italia sono state rivolte raccomandazioni a creare una Istituzione nazionale per i di-ritti umani da ben 25 diversi stati membri del Consiglio.

Nel 2013, in avvio di legislatura e in continuità con i tentativi compiuti nelle scorse legislature, rimasti purtroppo senza esito,

sono stati presentati diversi disegni di legge finalizzati alla creazione di una siffatta Isti-tuzione. Nell’aprile 2015 ne è iniziato l’esame congiunto nella Commissione Affari costituzionali del Senato. La discussione, dopo che si era interrotta in estate, è ripresa nel mese di dicembre con l’adozione di un testo base e la fissazione al 15 dicembre del termine per la presentazione di emendamenti. A seguito delle raccomandazioni presentate, tra gli altri, da Amnesty International alla Commissione, la Presidente di quest’ultima ha proposto di svolgere un’audizione delle prin-cipali organizzazioni per i diritti umani, riservandosi di fissare un nuovo termine per gli emenda-menti.

Non onorare un impegno for-malmente assunto di fronte alle Nazioni Unite in occasione della candidatura a fare parte del Con-siglio dei diritti umani, costitui-rebbe un segnale assai negativo per quanto riguarda l’effettiva serietà dell’impegno italiano in materia di diritti umani e rischie-rebbe di avere gravi ripercussioni sulla credibilità internazionale del nostro paese. Amnesty Internatio-nal auspica pertanto che i lavori parlamentari proseguano in modo celere e che venga approvata, entro la fine della legislatura, una legge istitutiva di una Istituzio-ne nazionale per i diritti umani rispettosa dei criteri previsti dai “Principi di Parigi”.

20 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

L’Italia è sede di aziende mul-tinazionali e di altre aziende di grandi dimensioni il cui operato può avere effetti importanti sul godimento dei diritti umani di molte persone sia all’estero che in Italia.

L’ENI in Nigeria

Fra queste vi è l’Eni, le cui at-tività hanno conseguenze per le popolazioni del delta del Niger, in Nigeria, che Amnesty Inter-national documenta da diversi anni. Le attività in questione si collocano in un contesto globale di assenza di norme e di mec-canismi di controllo adeguati sull’operato delle imprese multi-nazionali, che difficilmente sono chiamate a rispondere in pieno delle proprie azioni e che spesso agiscono, di conseguenza, in una situazione di sostanziale impunità. Secondo Amnesty In-ternational gli stati di sede delle grandi imprese dovrebbero intro-durre una disciplina applicabile anche alle attività extraterrito-riali poste in essere da queste, finalizzata a imporre loro il rispetto dei diritti umani in tutti i paesi nei quali esse operano. Le imprese stesse, da parte loro, dovrebbero adottare misure di “due diligence”, comprensive di una valutazione regolare, anche preventiva, dell’impatto delle proprie operazioni sui dirit-ti umani. Infine, gli stati che hanno partecipazioni proprieta-

rie in aziende o che forniscono loro aiuti economici, dovrebbero condizionare il proprio sostegno a tali aziende al rispetto dei diritti umani, escludendo in tal modo la propria complicità nella commissione di eventuali abusi.

Nella cornice degli sforzi che l’organizzazione compie a livello globale per la realizzazione degli obiettivi suddetti, Amnesty International ha sviluppato con l’Eni un dialogo approfondito, intervenendo altresì, a partire dal 2013, in qualità di “azio-nista critico”, all’Assemblea annuale dell’azienda. Nel 2015 l’organizzazione ha contribuito a indurre la Nigerian Agip Oil Company (Naoc), la consociata dell’Eni in Nigeria, a pubbli-care importanti informazioni relative a progetti di riduzione delle torce di gas (gas flaring), alle fuoriuscite di petrolio, alle valutazioni di impatto ambienta-le e ai progetti per le comunità e il territorio del delta del Niger; sempre nel corso del 2015, ha facilitato il dialogo tra la Naoc e alcune associazioni della società civile locale, facendosi altresì promotrice delle raccomanda-zioni di queste ultime. Amnesty International sollecita l’Eni a valutare l’impatto attuale e po-tenziale delle proprie operazioni sui diritti umani e ad adottare tutte le misure necessarie al loro pieno rispetto nell’ambito delle proprie attività, secondo le mo-dalità previste dai Principi guida

per le imprese e i diritti umani delle Nazioni Unite, approvati nel 2011.

L’ILVA a Taranto

Quanto all’impatto sui diritti umani delle attività d’impresa svolte sul nostro territorio, Am-nesty International sta seguendo il dibattito pubblico e gli svi-luppi politici e giudiziari relativi alle conseguenze sul godimen-to del diritto alla salute della popolazione locale delle attività industriali svolte dall’ILVA di Taranto, che è parte in causa in un processo per disastro am-bientale - il cd. processo “Am-biente svenduto” - iniziato il 20 ottobre 2015.

Sviluppi normativi

Presentano interesse, per quanto riguarda le garanzie del rispetto dei diritti umani da parte delle grandi imprese, al-cuni sviluppi in corso sul piano normativo. Nel mese di luglio 2015 è stata recepita in Italia la Direttiva dell’Unione euro-pea 2014/95/UE che impone a imprese e gruppi d’imprese di grandi dimensioni di includere nella propria relazione sulla gestione una “dichiarazione consolidata di carattere non fi-nanziario”, contenente informa-zioni ambientali, sociali, relative al personale, al rispetto dei

IMPORRE ALLE AZIENDE ITALIANE IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI 8

21AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA

diritti umani e alla lotta contro la corruzione. Amnesty Interna-tional raccomanda al governo di adempiere all’obbligo di attuare tale Direttiva nell’ordinamento statale entro il termine previsto del 6 dicembre 2016, propo-nendosi in seguito di monitorar-ne l’applicazione.

Amnesty International segue inoltre gli sviluppi relativi ai

seguiti del “Piano d’azione nazionale sulla responsabilità sociale d’impresa” (2012/2014) che il Ministero dello Sviluppo economico, insieme a quello delle Politiche sociali e al Punto di contatto nazionale per le linee guida OCSE sulla respon-sabilità sociale delle imprese, dovranno definire. Una prima indicazione di massima sui contenuti del nuovo “Piano di

azione nazionale sulle imprese e i diritti umani”, nella quale sono opportunamente ripresi i “Prin-cipi guida delle Nazioni Unite sulle imprese e diritti umani”, è stata inviata alla Commissio-ne europea il 19 marzo 2014. Il nuovo Piano, tuttavia, deve essere ancora compiutamente elaborato. Amnesty Internatio-nal continuerà a monitorare tali sviluppi.

A sinistra e in basso: Scuola elementare

di Balzico di Cava de’ Tirreni (SA)

realizzano il fiume dei diritti per le

comunità del delta del Niger.

© Amnesty International

22 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

Il rispetto dei diritti umani deve essere uno dei principi ispirato-ri delle relazioni internazionali dell’Italia, nell’ambito sia delle relazioni multilaterali che di quelle bilaterali.

Relazioni multilaterali

Per quanto riguarda le prime, Amnesty International riconosce all’Italia di avere svolto e di svol-gere tuttora un ruolo comples-sivamente positivo in seno alle Nazioni Unite. Tra le iniziative portate avanti in quel contesto, un posto speciale occupa la presentazione di una risoluzione in tema di pena di morte - con-tenente, tra l’altro, un invito agli stati membri ad attuare una moratoria dell’esecuzioni capitali - in favore della quale il governo italiano si è attivamente impegnato anche in occasione dell’Assemblea generale 2015. Amnesty International apprezza, in tale contesto, l’avvenuta costi-tuzione, a seguito di una propo-sta della stessa Amnesty Inter-national prontamente accolta dal Ministero degli Esteri, di una “task force” mista (composta dallo stesso Ministero, Amnesty International Italia, Nessuno Tocchi Caino e la Comunità di Sant’Egidio) con il compito di promuovere la risoluzione. Fra gli altri temi in relazione ai quali Amnesty International apprezza l’impegno del nostro governo in sede multilaterale si segnala

quello dei matrimoni precoci e forzati (il fenomeno delle c.d. “spose bambine”).

Relazioni bilaterali

Quanto alle relazioni bilaterali, Amnesty International racco-manda che sia riservata anche in tale cornice maggiore e più costante attenzione per i dirit-ti umani da parte del governo, indipendentemente dallo Stato con cui tali relazioni si svilup-pano. In particolare, l’organiz-zazione chiede che il tema dei diritti umani, anche ma non esclusivamente con riferimento alle questioni portate avanti in sede multilaterale (a cominciare da quella dell’abolizione della pena di morte), sia sempre parte dell’agenda dei rapporti bilaterali del nostro paese e che questo sia, ogni volta che sarà possibi-le, affrontato nell’ambito degli incontri istituzionali del nostro governo con i rappresentanti di altri stati.

Più specificamente, le conso-lidate relazioni con la Libia e i paesi del Corno d’Africa, così come i rapporti con gli stati dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, impongono all’Italia di compiere ogni sforzo per favorire un’evoluzione in quei paesi verso sistemi in cui i diritti umani siano pienamente riconosciuti e garantiti. Lo stesso livello di attenzione è richiesto all’Italia,

secondo Amnesty International, nelle relazioni con paesi europei (quali la Russia, la Turchia, la Bielorussia e l’Azerbaigian) o extraeuropei (come il Kazaki-stan, l’Iran e l’Arabia Saudita) governati da regimi autoritari, con paesi interessati da fasi di transizione (Tunisia) e, infine, con paesi destinati, soprattutto in ragione della loro importanza economica, a giocare un ruolo sempre più importante sulla sce-na internazionale (come la Cina, l’India e il Brasile). Al momento, il rilievo assunto nell’ambito delle relazioni internazionali dell’Italia dal tema del rispetto dei diritti umani appare insuffi-ciente, soprattutto con riferimen-to ai nostri partner commerciali più importanti.

Diritti umani e cooperazione in materia penale

Oltre che nell’ambito delle relazioni internazionali politiche, sia multilaterali che bilaterali, dell’Italia, il problema dei diritti umani si pone anche nell’ambito della cooperazione fra il nostro paese e altri stati in materia penale: quest’ultima forma di co-operazione, da un lato non deve costituire un ostacolo all’accer-tamento o alla punizione dei re-sponsabili di gravi violazioni dei diritti umani; dall’altro, non deve tradursi in violazioni dei diritti umani delle persone interessate.Per quanto riguarda il primo pro-

LOTTARE CONTRO LA PENA DI MORTE NEL MONDO E PROMUOVERE E RISPETTARE I DIRITTI UMANI NEI RAPPORTI CON GLI ALTRI STATI

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filo, Amnesty International, che in anni passati ha seguito con attenzione gli sviluppi giudiziari relativi al sequestro e al trasfe-rimento illegale in Egitto di Abu Omar (arrestato e sottoposto a tortura una volta giunto in quel paese), ha criticato la decisione dell’aprile 2013 del Presidente della Repubblica Napolitano di graziare Joseph Romano, un ufficiale dell’aereonautica degli Stati Uniti all’epoca di stanza ad Aviano, coinvolto in quel seque-stro. Analoghe critiche sono state rivolte al suo successore, Sergio Mattarella, per la sua decisione del dicembre 2015 di concede-re la grazia (parziale) a Robert Seldon Lady e a Betnie Medero, due ex agenti della Cia, condan-nati in contumacia per il loro ruolo nella medesima vicenda. L’Italia, anziché favorirne l’im-punità, avrebbe dovuto insistere, secondo Amnesty International, affinché l’ufficiale e i due ex agenti fossero estradati nel no-stro paese. Per quanto riguarda il secondo profilo, Amnesty International ha espresso a suo tempo profonda preoccupazione per l’espulsione sommaria dall’Italia, avvenuta il 31 maggio 2013, di Alma Shalabayeva, moglie di un dis-sidente kazako, e di sua figlia. In seguito alla revoca dell’ordine di espulsione, che era stato reso possibile da un provvedimento del giudice di pace successiva-mente dichiarato illegittimo dalla Corte di Cassazione, la Shala-

bayeva e la figlia hanno potuto fare ritorno nel nostro paese, che ha riconosciuto loro, nell’aprile del 2014, lo status di rifugiate. Nel frattempo è stata aperta sui fatti un’inchiesta penale che nel novembre 2015 ha portato la procura di Perugia a contestare i reati di sequestro di persona e falso nei confronti di 11 perso-ne (7 funzionari di polizia, un giudice di pace e 3 funzionari kazaki). Amnesty International, che all’epoca aveva sollecitato sulla vicenda lo svolgimento di un’inchiesta indipendente, non-ché l’accertamento di eventuali violazioni della legge penale, sta seguendo questi sviluppi. Nell’agosto del 2015, l’avvocato e attivista per i diritti umani Ra-chid Mesli, da tempo riconosciu-to rifugiato politico in Svizzera in virtù del fondato timore di perse-cuzione nel suo paese di origine, l’Algeria, è stato arrestato alla frontiera italiana, a seguito di un mandato di cattura internazio-nale emesso su richiesta delle autorità algerine.

Amnesty International Italia ha fornito alle autorità giudiziarie italiane competenti a valuta-re la domanda di estradizione dell’Algeria elementi che hanno contribuito a ottenere il rilascio di Mesli e, successivamente, la revoca dell’obbligo di dimora nei suoi confronti. La Corte d’Ap-pello di Torino ha rigettato la richiesta di estradizione algerina,

riconoscendo il “ruolo da lui pro-fuso (…) nella difesa dei diritti umani”, e confermando l’impor-tanza del tempestivo intervento di Amnesty International a suo sostegno.

24 AGENDA IN 10 PUNTI PER I DIRITTI UMANI IN ITALIA AMNESTY INTERNATIONAL FEBBRAIO 2016

Il 2 aprile 2013, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato interna-zionale sul commercio di armi (ATT), un obiettivo che Amnesty International ha perseguito per quasi 20 anni. L’Italia lo ha tempestivamente firmato e, una volta approvata dal parlamento la legge di ratifica ed esecuzione, il nostro è stato il primo stato membro dell’Unione europea e il quinto in generale a depositare la propria ratifica. A seguito della sua entrata in vigore, avvenuta il 25 settembre 2014 grazie al raggiungimento delle 50 ratifiche necessarie, il Trattato sul com-mercio delle armi è diventato uno strumento fondamentale per porre fine a un commercio inter-nazionale di armi irresponsabile e scarsamente regolamentato, che ha causato finora la viola-zione dei diritti umani di milioni di persone. Amnesty Internatio-nal chiede al governo italiano, che ha svolto un ruolo positivo nel raggiungimento di questo importante risultato da parte della comunità internazionale, di proseguire nel proprio impegno per fare sì che il trattato venga ratificato e pienamente attuato da quanti più stati possibile, in modo tale che il sistema di controllo da esso istituito possa essere realmente efficace.

Amnesty International chiede, al tempo stesso, all’Italia, che è un importante produttore di armi, di tenere una condotta coerente

con il ruolo precedente descritto, astenendosi da ogni fornitura di armi a soggetti che si ritiene che possano usarle contro la popo-lazione civile, in violazione del diritto internazionale umanita-rio. Molto preoccupante, in tale prospettiva, è il ripetuto invio dall’Italia, nel corso del 2015 e anche all’inizio del 2016, di bombe e sistemi militari all’Ara-bia Saudita. Tale paese, infatti, guida una coalizione attualmente impegnata in un’azione militare in Yemen, paese nel quale è in corso un conflitto caratterizzato da attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili (a comin-ciare dalle strutture sanitarie e dalle scuole). Il conflitto aveva già causato, a metà novembre, secondo fonti autorevoli, oltre 5.700 vittime e 20.000 feriti. Il governo dell’Arabia Saudita è, per di più, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, cir-costanza che comporta - secondo l’art.1, comma 6 della Legge n.185 del 1990 - il divieto per Italia di “esportazione e transi-to di materiali di armamento”. Amnesty International - insieme alla Rete Italiana per il Disarmo e all’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (OPAL) - ha chiesto al governo che sia di-sposta l’immediata interruzione di ogni ulteriore consegna di armi all’Arabia Saudita, invitando il parlamento a sostenere tale richiesta. Il 31 ottobre 2015 il gover-no italiano ha annunciato di

aver portato a termine il proces-so di smaltimento di tutte le sue scorte di bombe a grappolo e relative munizioni, secondo gli obblighi previsti dalla Convenzio-ne internazionale sulle munizioni a grappolo del 2008, di cui è parte.

RISPETTARE GLI STANDARD INTERNAZIONALI E NAZIONALI SUL COMMERCIO DELLE ARMI10

Nella pagina seguente: manifestazione

di Amnesty International contro

il commercio di armi, Roma, 2006.

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AGGIORNATA AL 5 FEBBRAIO 2016

AGENDA IN 10 PUNTIPER I DIRITTI UMANI IN ITALIA