AFLATOSSINE NEL LATTE E NEGLI ALIMENTI ZOOTECNICI · analisi di laboratorio e interpretazione dei...

73
AFLATOSSINE NEL LATTE E NEGLI ALIMENTI ZOOTECNICI: metodiche analitiche e anamnesi di allevamento (progetto in convenzione Regione Lombardia / ARAL Delibera n. 44575 del 30-7-1999) QUADERNI DELLA RICERCA 2001 RegioneLombardia Agricoltura S.A.T.A. Sezione Bovini Università Cattolica del Sacro Cuore

Transcript of AFLATOSSINE NEL LATTE E NEGLI ALIMENTI ZOOTECNICI · analisi di laboratorio e interpretazione dei...

AFLATOSSINE NEL LATTE

E NEGLI ALIMENTI ZOOTECNICI:metodiche analitiche e anamnesi di allevamento

(progetto in convenzione Regione Lombardia / ARAL Delibera n. 44575 del 30-7-1999)

QUADERNI DELLA RICERCA2001

RegioneLombardiaAgricoltura

S.A.T.A.Sezione Bovini

Università Cattolicadel Sacro Cuore

SINTESI DEGLI INTERVENTIDELL’INCONTRO TECNICO

Lunedì 7 maggio 2001Palazzo della Regione Lombardia

Presentazione dei risultati del

Progetto regionale:“Ricerca dei determinanti

la qualità del latte per l’applicazionedel Reg. CE 1525 del 16 luglio 1998”

Introduzione pag. 05

Ringraziamenti » 6

Perché il progetto, quali i risultati, quali le problematiche » 7 D.ssa Paola AmodeoCoordinatore del Progetto

Specialista SATA - settore Alimentazione

Metodologie di campionamento, trattamento,analisi di laboratorio e interpretazione dei referti » 29D.ssa Nicoletta RizziLaboratorio agroalimentare ARAL

Aflatossine e gestione aziendale:relazioni tra performance della mandriae contaminazione di alimenti e latte » 47 Prof. Giuseppe SucciDott. Alberto TamburiniD.ssa Anna Sandrucci Istituto di Zootecnia Generale - Stazione Sperimentale di Zootecnia -

Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano

Contaminazione di alimenti da aflatossine:risultati dello studio, aspetti pratici e proposte di controllo » 59Prof. Amedeo PietriIstituto Scienze degli alimenti e della nutrizione

Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza

Legislazione di riferimento » 72

3

INDICE

Di seguito vengono discusse le modalità di svolgimento ed i ri-sultati ottenuti da un progetto di ricerca oggetto di convenzionetra la Regione Lombardia – Direzione Generale Agricoltura – el’Associazione Regionale Allevatori della Lombardia dal titolo “Ri-cerca dei determinanti la qualità del latte per l’applicazio-ne del Reg. CE 1525 del 16 luglio 1998”.

Questo Regolamento, com’è noto, stabilisce i valori massimi dicontaminanti negli alimenti ed in particolare la pericolosità dellapresenza di Aflatossina M1 nel latte.

Fine della ricerca era individuare azioni o iniziative in grado dieliminare la presenza di micotossine nel latte o almeno di conte-nerle entro i limiti di legge attraverso l’individuazione di alimentiportatori delle stesse nel latte e la messa a punto di protocollisemplici e operativi su idonee metodologie di produzione e conser-vazione degli alimenti in azienda, siano essi di autoproduzione oacquistati all’esterno.

Il progetto ha visto l’Associazione Regionale Allevatori dellaLombardia (ARAL) quale Ente proponente nonché coordinatore eresponsabile sia tecnico che operativo del progetto, con la collabo-razione scientifica della Stazione Sperimentale di Zootecnia del-l’Università degli Studi di Milano, e dell’Istituto di Scienze degliAlimenti e della Nutrizione dell’Università Cattolica del SacroCuore di Piacenza.

5

INTRODUZIONE

L’intero comparto agricolo nazionale e comunitario vede al cen-tro dell’attenzione diverse emergenze di carattere igienico sanita-rio che, oltre a gravare il carico delle problematiche da gestire inallevamento, risultano di fortissimo impatto su un consumatoresempre più sensibile ed allarmato rispetto alla salubrità delle pro-duzioni agricole e zootecniche.

L’impegno degli allevatori è quello di sviluppare e documentarela massima capacità di gestione di tutti gli aspetti del processoproduttivo, quindi anche delle emergenze di qualunque natura, agaranzia di una qualità alimentare che è obiettivo intrinseco allapropria capacità imprenditoriale.

In questo contesto è particolarmente sentito il ringraziamentoalla Direzione Generale Agricoltura della Regione Lombardia e, ri-spetto al tema qui affrontato, alla Struttura Ricerca, TecnologieInnovative e Supporto Fitosanitario, per la costante attenzione, lapromozione ed il supporto di occasioni di approfondimento chesempre offre al settore.

Nello specifico dell’argomento oggetto di questo studio, congrande tempestività rispetto all’emanazione della norma comuni-taria sulla presenza di Aflatossina M1 nel latte (Reg. CE 1525 - 16luglio 1998), è stato avviato un progetto di ricerca particolarmentesignificativo per l’immediato possibile ritorno di conoscenze utiliad allevatori e tecnici di campagna.

Un’ampia base di allevamenti coinvolti, il monitoraggio neltempo del contenuto di tossine nel latte e negli alimenti, la cono-scenza dettagliata e storica delle razioni alimentari, dei dati pro-duttivi e riproduttivi e l’anamnesi relativa ad alcune patologiepossibilmente correlate all’assunzione di tossine, hanno costituitocriteri di pianificazione del progetto, premessa di sicuro interessee preziose indicazioni rispetto alla situazione sul territorio, finaliz-zato alla definizione di possibili protocolli di intervento.

Un cordiale ringraziamento dell’ARAL va perciò sia alle Asso-ciazioni Provinciali Allevatori della Lombardia ed ai Tecnici SA-TA, che con la loro collaborazione e diretto coinvolgimento hannoreso possibile la realizzazione delle fasi operative di campo e ladisponibilità delle informazioni tecniche, che alle Facoltà di Agra-ria delle Università di Milano e Piacenza che hanno offerto la con-sulenza scientifica e sviluppato parte delle analisi statistiche deirisultati.

6

RINGRAZIAMENTI

PREMESSA

La Comunità Europea con il Regolamento CE 1525 del 16 luglio 1998ha stabilito i tenori massimi ammissibili per alcuni contaminanti pre-senti nei prodotti alimentari. In particolare, il legislatore si è soffermatoa considerare la pericolosità della presenza di aflatossine M1 nel latte.

La soglia di tasso di aflatossine M1 nel latte è stata fissata, per l’Eu-ropa a 50 ppt (parti per trilione o nanogrammi/chilo) pena la non com-merciabilità del latte. Il Regolamento è obbligatorio in tutti i suoi ele-menti e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri con de-correnza dal 1° gennaio 1999 (Fig. 1). Il Regolamento, inoltre, fa riferi-mento alla Direttiva 98/53 CE, sempre del 16 luglio 1998, che fissa me-todi per il prelievo di campioni e metodi d’analisi per il controllo ufficialedei tenori massimi di taluni contaminanti dei prodotti alimentari.

La legislazione italiana, in recepimento delle Direttive CEE 92/88,CE 94/16 e CE 96/6, ha emesso il decreto 11 maggio 1998 n° 241 relativoalle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli ani-mali fissando i contenuti massimi di sostanze indesiderabili per le variecategorie di prodotti nelle diverse specie animali, ed ha poi emesso undecreto che sostituisce alcuni allegati del 241, con entrata in vigore il 22maggio 1999 (Fig. 2).

La legge 123, di recente applicazione, norma la gestione in stabili-mento di produzione fino alla conservazione ed all’utilizzo diretto pressol’azienda zootecnica degli alimenti e viene così in aiuto ad un sistemaglobale di monitoraggio delle derrate zootecniche.

Fino a qui il quadro legislativo.Dal punto di vista scientifico, invece, sappiamo che le micotossine, so-

no metabolici fungini secondari non essenziali per la crescita fungina.L’elenco delle tossine identificate come metaboliti fungini avanza di

pari passo con l’avanzare delle ricerche. Infatti numerosi sono i ceppifungini in grado di produrre tossine e numerose sono le tossine ad oggiidentificate (Fig. 3). Questo massiccio dispendio di energie per la ricercae per la messa a punto di nuove tecniche di diagnosi e terapia post-con-taminazione è indotto da un forte legame tra la presenza di micotossinee cancerogenicità nell’uomo.

L’ampia zona di possibile contaminazione degli alimenti che può ini-ziare in campo e mantenersi durante le fasi di coltivazione e raccoltasenza subire modifiche, anzi, spesso rinforzandosi, durante la posa inmagazzino, e nelle diverse fasi di trasformazione, di stoccaggio e di tra-sporto rendono obbligatoria l’attenzione ad ogni fase della produzione etrasformazione di un alimento (Fig. 4).

Inoltre l’elevata stabilità termica di questi metaboliti fa sì che i pro-

7

PERCHÉ IL PROGETTO,QUALI I RISULTATI,QUALI LE PROBLEMATICHEDott.ssa Paola Amodeo

Coordinatore del Progetto

Specialista Alimentazione S.A.T.A. Bovini

cessi di trasformazione, come pellettatuta, fioccatura, tostatura ecc. nonsiano in grado di ridurne la tossicità.

Infine, l’ampio range di condizioni di crescita e sviluppo dei ceppi fun-gini tossigeni (temperatura compresa tra 15 e 30°C, umidità > 60%, unapercentuale di acqua libera (AW) molto variabile ed una acidità del sub-strato con valori di pH compresi tra 4 e 8) rende il problema di più diffi-cile controllo.

LE AFLATOSSINE

Sono un gruppo di micotossine con struttura molecolare molto similetra loro, altamente tossiche, mutagene e cancerogene, prodotte da ceppidi Aspergillus Flavus e A. Parasiticus. La loro identificazione risale sola-mente agli anni compresi tra il 1963 e 1966.

Le Aflatossine riscontrate nelle derrate alimentari di origine vegetalesono 4: B1, B2, G1 e G2. Le B sono prodotte da entrambi i ceppi mentrele G solo da A. Parasiticus. L’AFB1 è quella presente in maggior quanti-tà e quella su cui è stato focalizzato l’interesse della ricerca a causa del-la sua elevata tossicità acuta e cronica e per l’attività cancerogena cheesplica sugli animali, oltre che per i potenziali effetti sull’uomo. Le Afla-tossine provocano il cancro del fegato e, a volte, anche del rene, in tuttele specie animali studiate; l’AFB1 è l’epatocancerogeno, attivo per inge-stione, più potente che si conosca.

Le temperature limite di produzione di aflatossina sono tra i 12 ed i41° C, con una temperatura ottimale tra i 25 ed i 32° C. L’umidità otti-male si colloca tra l’87 ed il 91% di UR in relazione al contenuto in awdel substrato (aw = acqua libera, ovvero la parte attiva del contenuto inumidità rispetto all’umidità totale, che comprende anche l’acqua legata,di un certo substrato in relazione alla presenza di gruppi idrofili e idro-fobi del substrato stesso). Ogni derrata ha una sua specifica curva di as-sorbimento che regola la relazione tra aw e umidità e ciò spiega comel’aw da non superare per garantire una buona conservabilità sia diffe-rente: 13-13,5% per i cereali e 7-8% per i semi oleosi.

Le infestazioni in campo (per esempio mais) sono favorite da altatemperatura ed Umidità Relativa connesse a condizioni che favorisconolo stress della pianta come la siccità o danni da insetti.

Poiché si tratta di funghi a diffusione pressoché ubiquitaria, è ovvioche possono contaminare diversi alimenti destinati agli animali.

Gli alimenti che contengono AF con maggior frequenza sono: arachidie derivati, mais e derivati, pistacchi, mandorle, noci brasiliane, fichi sec-chi, cotone ed alcune spezie.

Il regolamento 1525/98, sopra citato, fissa il tenore massimo in afla-tossine di frutta secca, cereali e derivati. Non sono, comunque, esenti dacontaminazione alimenti quali i foraggi, i panelli oleosi e altre derrateche in fase di produzione o di stoccaggio possono sviluppare la tossina.

Rispetto alla tossicocinetica, si sa che le aflatossine assunte con l’ali-mento vengono rapidamente assorbite dal tubo gastroenterico e passanonel torrente circolatorio dove si legano alle albumine seriche. Negli epa-tociti esse si legano all’acido desossiribonucleico ed altre macromolecoleenzimatiche ed ai siti recettoriali degli steroidi (Booth N.H. e McDonaldL.E., 1982). LAFB1 viene metabolizzata a livello epatico ed i suoi meta-boliti, tra cui la M1 e la M2, sono secreti per via biliare (la maggior par-te), per via urinaria e per via mammaria

Il meccanismo d’azione prevede l’inibizione della sintesi del DNA checausa blocco della sintesi proteica e alterazione della crescita e della mol-tiplicazione cellulare. L’azione cancerogena e citotossica della micotossinanon sarebbe provocata direttamente da essa ma dai suoi epossiderivati

8

contro cui l’organismo attua un processo di detossificazione. Quindi la di-versa sensibilità delle diverse specie animali a questa tossina deriva pro-prio dalla diversa entità di produzione di epossidi ma anche da una di-versa efficacia di strumenti di detossificazione nei loro confronti.

Questa ipotesi troverebbe conferma nella maggior efficacia delle rea-zioni di detossificazione che si riscontrano nei ruminanti, che risultanorelativamente refrattari agli effetti cancerogeni delle Aflatossine. Oltreagli effetti sopra ricordati, l’Aflatossina è in grado di inibire la respira-zione cellulare (blocco dei citocromi) e di sviluppare immunodepressioneoltre ad anoressia, anemia, e dispnea.

Infine bisogna ricordare che l’inibizione della sintesi proteica coinvol-ge anche la produzione dei fattori della coagulazione di origine epaticagiustificando così la presenza di emorragie diffuse in caso di avvelena-mento acuto degli animali.

Le varie specie animali, come già detto, non presentano la stessa sen-sibilità nei confronti delle AF: gli animali monogastrici sono più sensibilidei ruminanti anche se in questi ultimi si possono presentare sintomisubclinici legati sia all’aspetto sanitario che a quello economico. Tra imammiferi monogastrici, particolarmente sensibili risultano il coniglio,il ratto, il cane ed il suino. Tra i ruminanti, ancor più resistente del bovi-no sembra essere l’ovino, specie in cui non sono descritti episodi di intos-sicazione naturale.

La popolazione umana può essere esposta alle AF per il consumo dilatte, carne e uova ottenuti da animali cha hanno ingerito prodotti con-taminati. Anche la manipolazione di alimenti contaminati può portaread assunzione di micotossine da parte dell’uomo attraverso la pelle o perinalazione.

L’AFB1è classificata dallo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricer-ca sul Cancro) come 1, cioè cancerogena per l’uomo, mentre la AFM1 èclassificata come 2B, cioè possibilmente cancerogena per l’uomo e quindida tenere sotto controllo.

In relazione al passaggio di aflatossine dall’alimento al latte, secondoFrobish et al, 1986, la bovina da latte secerne l’1,7% della B1 totale as-sunta in razione come Aflatossina M1 nel latte, secondo un rapportoB1/M1 pari a 66:1. Altri parlano di passaggi pari all’1-3% della B1 inge-rita, e, ancora, secondo altri studi (Veldman et al. 1992) sull’insieme del-la mandria il cosiddetto carry-over sarebbe:

AFM1(ng/Kg latte) = 1,19 X AFB1 (µµg ingeriti/capo/giorno) + 1,9

Quindi, sarà sufficiente un’ingestione media di AFB1 inferiore a 40µg/capo/giorno per produrre un latte con un contenuto in AFM1 < 50ng/kg, ovvero ppt.

Tuttavia sappiamo che esiste un elevata variabilità individuale tragli animali. Inoltre all’inizio della lattazione le bovine manifestano uncarry-over 3,3 – 3,5 volte maggiore rispetto alla lattazione avanzata e,infine, le infezioni mammarie influenzano il carry over, nel senso che al-l’aumentare della conta cellulare aumenta il tasso di passaggio.

IL PROGETTO

Quanto detto finora fornisce un quadro generale dello scenario legis-lativo entro cui ci muoviamo in Europa quando affrontiamo un problemadi contaminazione da Aflatossine e delle conoscenze scientifiche che nedescrivono, ad oggi, comportamenti, problematiche e possibili soluzioni.

Il nostro progetto ha inteso fornire un ulteriore supporto tecnico e scien-tifico a quanti, tecnici operanti nel settore, allevatori e indotto, si trovino ad

9

affrontare questo tipo di problema in azienda, mediante una verifica dellaproblematica in campo. Le ricerche fino ad ora affrontate non hanno maistudiato in una ampia situazione di campo, la diffusione del problema dellacontaminazione del latte in relazione alla qualità ed alla quantità degli ali-menti zootecnici. Inoltre, non si è mai valutato l’andamento nel tempo (unanno) della contaminazione del latte di più mandrie in relazione al variaredella contaminazione degli alimenti disponibili. In ultimo, non si è mai va-lutato, su un numero così elevato di aziende (145), l’entità del danno sani-tario, produttivo e riproduttivo indotto dalla presenza di aflatossina B1 ne-gli alimenti: in questo studio, invece, disponevamo di una gran quantità diinformazioni attuali e storiche relativamente alla razione somministrata,alle performance produttive e riproduttive ed alle patologie rilevate negliallevamenti. Ciò risulta particolarmente interessante se si pensa all’enor-me quantità di fattori di variabilità che, come abbiamo visto prima, circon-dano il problema e che, in una situazione di campo, possono essere presentitutti contemporaneamente: dalle condizioni ambientali in cui l’alimento èstato prodotto (climatiche, pedologiche e di livello di infestazione parassita-rio oltre che relative alla tecnica colturale) che determinano l’entità dell’at-tacco fungino in campagna ed una prima possibile produzione della tossi-na, a tutti i trattamenti post-raccolta legati al trasporto, trasformazione estoccaggio del prodotto, che determinano il proliferare della tossina stessaed il suo accumulo nell’alimento (parliamo sia di alimenti autoprodotti cheacquistati all’esterno dell’azienda); dalla difficoltà di campionamento perl’esatta valutazione della contaminazione delle derrate, alle difficoltà dianalisi (tempi, costi, scelta del Kit ed interpretazione del risultato); dallavariabilità tra mandrie e tra individui di una stessa mandria nella rispostaalla contaminazione da aflatossine in termini sia di passaggio nel latte(carry-over) che di sensibilità alla tossina in termini di patologie o dismeta-bolie o semplicemente cali di performance.

Il progetto si inserisce in un’attività già in atto di screening dei pro-dotti aziendali da parte dei tecnici S.A.T.A. laddove ci sia il sospetto dipresenza di tossine negli alimenti o nel latte, all’interno del monitorag-gio continuo della qualità che è parte costantemente presente negli in-terventi in azienda di Agronomi, Alimentaristi e Veterinari.

Lo svolgimento del progetto ha quindi previsto la collaborazione deitecnici S.A.T.A regionali, l’Università degli Studi di Milano, e l’Universi-tà del Sacro Cuore di Piacenza.

L’ Ente Proponente del progetto è l’Associazione Regionale Allevatoridella Lombardia

I referenti del progetto sono:Responsabile scientifico:

Prof. Giuseppe Succi – Università degli Studi di Milano – Facoltà diAgrariaCoordinatore del Progetto:

Dott. Massimo Battaglia – Direttore ARALResponsabile tecnico:

Dott.ssa Paola Amodeo – Specialista Alimentazione SATA BoviniResponsabile Operativo:

Dott.ssa Nicoletta Rizzi - ARAL

Obbiettivi del Progetto

Gli obbiettivi del progetto possono così essere riassunti:

• Conoscere le dimensioni del problema sul territorio Lombardo trami-te un prelievo di latte di massa in un campione di aziende “problema”(individuate come tali per sospetto e già avvenuto rilevamento di

10

Aflatossine nel latte), seguite in assistenza tecnica all’interno delS.A.T.A. Regionale, e determinazione dell’Aflatossina M1. Non si trat-ta quindi di uno screening randomizzato per determinare l’incidenzadel problema, ma di uno screening su aziende problema

• Monitorare nel tempo gli allevamenti campione in cui si sia riscontra-ta presenza di Aflatossine M1 per verificare l’andamento della conta-minazione

• Individuare gli alimenti che possono aver generato la presenza diAFM1 nel latte per valutare gli alimenti a maggior rischio

• Individuare dei protocolli operativi in grado di eliminare o contenerela contaminazione degli alimenti in fase di produzione e di conserva-zione, norme di utilizzo, diluizione o eliminazione dalla razione di ali-menti contaminati, norme di campionamento per la corretta valuta-zione analitica delle derrate zootecniche e dei foraggi

• Verificare il tasso di passaggio dell’AFB1 ingerita con gli alimenti adAFM1 nel latte (carry-over)

• Valutare i dati produttivi, riproduttivi ed anamnestici delle aziendepositive all’M1 per verificare le patologie o dimetabolie osservabili eriferibili alla contaminazione di Aflatossine

• Verificare il contenimento della contaminazione da AFM1 nel latte aseguito di azione correttiva sulla razione e/o sugli alimenti

• Valutare i risultati analitici confrontando le diverse metodiche (KitElisa e HPLC)

• Valutare i risultati di campo con quanto riscontrato in letteratura

Materiale e metodi

Le dimensioni del progetto sono indicate in tabella 1.Il criterio di individuazione delle aziende, sparse su tutto il territorio

regionale, si è basato sul sospetto di presenza di AFM1 da parte del Tec-nico SATA operante, laddove la performance della mandria risultava pro-blematica senza l’individuazione di una precisa causa manageriale o sa-nitaria, oppure sulla base della presenza di alimenti in stalla (sia acqui-stati che autoprodotti) di scarsa qualità, o, ancora su segnalazione dellalatteria o primo conferente. Tutte le aziende inserite nel progetto sono as-sistite dal SATA ed iscritte al Libro Genealogico ed ai Controlli Funzio-nali per poter disporre di tutti i dati di allevamento necessari allo studio.

Il progetto ha previsto due fasi di attuazione:

una prima fase in cui si è analizzato il latte di 115 allevamenti. Quellirisultati positivi sono stati ricampionati per 3 volte a distanza di 15giorni circa e confermati con metodo di riferimento in HPLC. Contempo-raneamente, dopo il primo prelievo di latte, per le aziende positive si èproceduto al campionamento degli alimenti in uso, partendo dai più so-spetti. Anche in questo caso, gli alimenti sono stati analizzati con testimmunoenzimatico (Elisa) e alcuni dei campioni risultati positivi sonostati riconfermati in HPLC.

Nella seconda fase, è stato ripetuto il protocollo previsto per la fase 1 suun gruppo di 85 aziende costituite da 55 aziende della prima fase in cuiera stata rilevata presenza quantitativa di AFM1 superiore a 10 ppt peralmeno due campionature e da ulteriori 30 aziende scelte con gli stessicriteri indicati prima. Ciò significa che per ben 55 allevamenti disponia-mo di un monitoraggio di B1 e M1 per un arco di tempo di 10 mesi tra laprima e l’ultima analisi. Si tratta di quelle aziende in cui, nonostantel’attenzione alla qualità degli alimenti mediante il monitoraggio conti-

11

nuo del loro contenuto in AFB1, oltre che l’eliminazione dalla razionedegli eventuali alimenti inquinati, il problema non era ancora stato ri-solto ed è stato quindi mantenuto in fase di controllo.

Anche nella seconda fase, alcuni campioni sia di latte che di alimentisono stati riconfermati in HPLC.

Le modalità di campionatura di latte ed alimenti, l’ identificazionedei campioni, i dati aziendali da fornire per le aziende positive alle M1,relativi a situazione gestionale, razione alimentare, situazione produtti-va, situazione riproduttiva ed IGS (Indice Gestionale SATA) per le duefasi di attuazione del progetto, oltre alla check list sanitaria, sono defini-te nel Protocollo Operativo riportato negli Allegati 1 e 2.

Sempre all’interno della fase 2 del progetto, per 5 aziende che manife-stavano contenuti estremamente alti e persistenti di M1 nel latte (sem-pre superiori a 50 ppt) si è invece utilizzato un protocollo diverso cheprevedeva la ricampionatura in 3 giornate successive per tre settimaneconsecutive del latte e di alcuni degli alimenti individuati come poten-ziali responsabili dell’alterazione al fine di valutare le fluttuazioni, perintervalli ristretti di tempo, del livello di contaminazione del latte e de-gli alimenti.

In relazione, invece, alla metodica di analisi, sono stati previsti alcuninuovi accorgimenti per le procedure analitiche atti ad individuare anchele condizioni del campione di latte che possono interferire con il risultatoanalitico in HPLC, quali la presenza o no di conservante (bronopol) e lasgrassatura del campione prima o dopo il congelamento. Infatti, si è no-tata una non completa separazione del grasso in caso di campione pre-viamente congelato, dovuta probabilmente alla spaccatura dei globuli digrasso durante il congelamento con conseguente presenza di micro-glo-buli di grasso in sospensione nella fase sgrassata che creano “disturbo”all’analisi in HPLC.

Per quanto invece riguarda gli alimenti non si è osservato alcun pro-blema collegato con il congelamento quindi non verranno inserite varia-zioni nelle procedure analitiche. Per queste problematiche, comunque, sirimanda alla sezione dedicata alle analisi di laboratorio. (Dott.ssa Nico-letta Rizzi)

Risultati:

DatabaseSulla base delle analisi e dei dati raccolti dai tecnici S.A.T.A. e di

quelli contenuti negli elaborati APA, è stato possibile:• Strutturare un database sulla base del monitoraggio delle M1 nel lat-

te secondo l’analisi con Kit immunoenzimatico e relativa verifica conmetodica ufficiale in HPLC su 158 dei 436 campioni di latte crudoprelevati ed analizzati con test Elisa.

• Strutturare un database sulla base delle 832 analisi della B1 neglialimenti campionati, con Kit immunoenzimatico (Elisa), utilizzato co-me metodica di screening. Su 112 di questi alimenti, i valori sono sta-ti riconfermati con metodica ufficiale in HPLC e contemporaneamen-te si è testata una nuova metodica di screening che utilizza colonne diimmunoaffinità e successiva lettura in fluorimetro.

• Confrontare le diverse metodiche ed il loro grado di affidabilità siaper quanto riguarda la determinazione delle M1 che delle B1.

• Strutturare un database sulla base dei risultati analitici relativa-mente agli alimenti suddivisi per categoria ed effettuare un’analisistatistica al fine di identificare quelle a maggior rischio per inquina-mento da aflatossine.

• Strutturare un database relativo agli apporti di B1 alimentare sulla

12

base dell’effettiva razione somministrata al fine di determinarne iltasso di passaggio nel latte sotto forma di Aflatossina M1.

• Strutturare un database sulla base dello stato sanitario degli animaliin relazione al contenuto di M1 nel latte ed ai numerosi parametri ge-stionali e sanitari registrati dai tecnici. L’ elaborazione e l’interpreta-zione di questi dati sono stati affidati al Prof. Succi, dell’Istituto diZootecnia dell’Università degli Studi di Milano.

LattePer quanto riguarda i risultati dello screening effettuato sui 145 di-

versi allevamenti inseriti nel progetto in relazione al contenuto in M1 idati sono confortanti. (Figg. 5, 6, 7)

Nonostante si tratti di un campione di allevamenti “sospetti” o già ri-levati come problematici, la distribuzione degli allevamenti testati sianella prima che nella seconda fase in funzione del contenuto in ppt diAFM1 alla prima campionatura rileva la presenza, rispettivamente, disolo un 6 ed un 8 % degli allevamenti del campione nella fascia oltre illimite di legge, ovvero i 50 ppt. Si tratta di allevamenti (7 aziende nellaprima fase di cui 5 mantengono l’alto livello di contaminazione anchenella seconda fase) in cui sono stati identificati gli alimenti responsabilidel passaggio di tossine nel latte, tuttavia l’allevatore non è stato in gra-do di correggere il problema per scarsa sensibilità o per rapporto com-plesso con il fornitore di mangime o perché non disponibile ad eliminareil proprio mais contaminato per acquistarne di più sano sul mercato. Sitratta inoltre di aziende mediamente piccole e a scarso livello gestionale.

C’è poi un 52% degli allevamenti, sia in fase 1 che in fase 2 che si po-sizionano tra 11 e 49 ppt di AFM1. Si tratta genericamente di alleva-menti di varie dimensioni e livelli gestionali, che hanno avuto in aziendauna o più fonti di contaminazione da AFB1, in qualche caso non rileva-ta, ma che hanno poi controllato il problema, guidati dal tecnico e si so-no portati in una zona di maggior sicurezza, in genere sotto i 20 ppt.Tuttavia bisogna rilevare che ci sono ampie fluttuazioni dei contenuti inAFM1 nel latte in funzione del fatto che gli alimenti stessi non sono uni-formemente contaminati, ma la tossina si posiziona “a zone” e, poiché so-no sufficienti 12 ore per il passaggio di B1 ingerita ad M1 nel latte, edun ugual tempo per riabbassare il tasso di M1, è verosimile che un ali-mento non fortemente contaminato produca nel latte fluttuazioni fre-quenti di M1 in funzione della somministrazione di parti contaminate omeno dell’alimento.

In entrambe le fasi, infine, si è rilevato un 42% di allevamenti situatiin “zona di sicurezza”, in cui, quindi il livello di contaminazione da B1degli alimenti è estremamente contenuto e spesso non rilevabile.

Rispetto alla variazione nel tempo del contenuto in M1 nel latte dellevarie aziende analizzate nell’insieme delle due fasi, a seguito di correzio-ne della razione o di eliminazione degli alimenti inquinati su indicazio-ne del nutrizionista, abbiamo rilevato quanto riportato in Fig. 8: del to-tale delle aziende dello studio, il 46,6% è risultato costantemente sottole 10 ppt; un 15% delle aziende si sono portate dalla zona di attenzione alivelli inferiori alle 10 ppt, il 6,8% si è stabilizzato entro le 25 ppt ed un26,7% è rimasto in zona di attenzione (11-49 ppt) decidendo di non eli-minare gli alimenti inquinati ma di monitorarli insieme al latte per nonsuperare i livelli di legge. Rimane un 4,1% di allevamenti con valori ol-tre il livello di legge, di cui 5 persistenti e 2 di nuovo problema (recenteimmissione di alimento inquinato).

Sul totale delle analisi effettuate su latte con Kit immunoenzimatico,invece, per la prima fase abbiamo riscontrato solo un 8,81% di risultati su-periori alle 50 ppt e nella seconda fase un 10,41%, valore più alto in quan-to in questa fase si concentrano gli allevamenti cosiddetti persistenti.

13

AlimentiL’analisi statistica degli alimenti evidenzia, per ciascuna categoria, i

valori medi di contaminazione di AFB1 e la deviazione standard, cioè lavariabilità all’interno della stessa categoria, sia per fase che per tutti glialimenti analizzati nel progetto (832 analisi Elisa) (Fig. 9-14).

Dai grafici risulta chiaramente che esistono gruppi di alimenti, qualiil mais ed i suoi derivati, i panelli proteici ed i concentrati e nuclei, amaggior rischio di contaminazione e su cui deve quindi essere orientatal’attenzione laddove si intenda investigare sulla qualità degli alimenti osulla causa di contaminazione nel latte. In particolare, il seme di cotoneintegrale si dimostra alimento a rischio ( raggiunge anche valori eleva-tissimi di contaminazione) sebbene abbia una deviazione standard mol-to elevata che ci dice che non tutte le partite sono contaminate.

Gli alimenti, suddivisi per tipologia, cioè foraggi, mangimi e nuclei,materie prime, mais e unifeed, sono poi analizzati per classe di contenu-to in B1: <2, ovvero limite di legge per il consumo umano, 2-5 ppb, ovve-ro limite di legge per consumo zootecnico di mangimi finiti, 5-20 ppb, ov-vero limite di legge per alimenti semplici zootecnici, >20ppb, ovvero ali-menti non inseribili nell’alimentazione della bovina da latte. (Fig. 15-20). Da qui si rileva che la problematica legata agli alimenti è consisten-te soprattutto in relazione a nuclei e mangimi ed alcune materie primedi largo consumo quali mais, cotone e panelli oleosi, come atteso. Moltoinferiore risulta invece il rischio di contaminazione derivabile dai forag-gi, secchi o insilati che siano.

Un commento a questi dati è contenuto nella sezione a cura del Prof.Pietri dell’Istituto di scienza degli alimenti e della nutrizione dell’ Uni-versità Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

CONCLUSIONI

Da quanto risulta dal presente studio, è chiaro che il problema dellacontaminazione da Aflatossine nel latte risulta essere un problema didimensione gestibile. Il problema in sé, una volta rilevato risulta di faci-le e veloce correzione. La difficoltà è di tipo diagnostico: individuare pertempo la contaminazione del latte e prevenire l’inserimento di alimenticontaminati nella razione delle bovine da latte. Ciò impone un monito-raggio continuo, sebbene dilazionato nel tempo del latte prodotto ed unaazione di controllo delle forniture alla stalla, siano esse di autoproduzio-ne che acquistate, che prevenga l’entrata nel processo produttivo di ali-menti contaminati da Aflatossine B1.

Tuttavia non è possibile analizzare tutte le consegne dei vari alimen-ti costituenti le razioni né possiamo essere certi, una volta analizzati glialimenti, che non ci siano stati errori di campionatura.

Riteniamo, quindi, che solo un approccio quale quello fornito da un si-stema di “autocontrollo” che individui un punto critico nella qualificazio-ne dei fornitori e delle forniture, insieme alla loro tracciabilità, possa co-stituire un valido sistema di prevenzione dalle contaminazioni.

Il problema della contaminazione da Aflatossine nel latte è un proble-ma di filiera e come tale va affrontato, partendo quindi dai fornitori, perquanto riguarda gli alimenti acquistati, selezionandone la capacità dieseguire controlli a monte sulle derrate in entrata, e di gestire le derratestesse in modo adeguato (stoccaggi, essiccazione, manipolazione del pro-dotto, trasporto ecc.).

In relazione agli alimenti di autoproduzione, invece, è necessario met-tere in atto una serie di misure preventive per garantirne la qualità.Queste misure verranno meglio descritte nell’intervento del Prof. Pietri.

14

ALLEGATO 1

RICERCA DEI DETERMINANTI LA QUALITÀ DEL LATTEIN APPLICAZIONE DEL REG. CE 1525 del 17/07/1998

PROTOCOLLO OPERATIVO

Campionamento del latte: il latte sarà campionato in doppio. Un campio-ne, (sono sufficienti 10 cc o una provetta Eppendorf) sarà destinato al test Elisa(Kit), e l’altro (almeno 150 cc in barattoli ARAL per analisi caseifici o altro) sa-rà destinato alla conferma in HPLC, quando operativo, solo su positività dell’a-nalisi su Kit.

Le aziende risultate positive, saranno ricampionate dopo 15 giorni con lestesse modalità sopra indicate. Chiameremo positiva un azienda il cui latte ri-sulti avere un contenuto in M1 superiore ai 10 ppt.

I campioni di latte non devono contenere conservante e vanno fatti pervenireall’ARAL senza mai interrompere la catena del freddo o congelati, in caso ditempi di consegna più lunghi.

I campioni, cartellinati come sotto indicato, devono essere contenuti entram-bi in un unico sacchetto cartellinato anch’esso.

Campionamento degli alimenti: in corrispondenza dei prelievi di latte,anche gli alimenti sospetti vanno campionati e/o congelati (per unifeed e insila-ti) per poter essere analizzati in caso di risultato positivo sul latte.

È necessario campionare l’unifeed (in modo più omogeneo e rappresentativopossibile!!) in tutte le aziende in cui sia presente (1 Kg di prodotto). Si trattadell’unifeed del 1° gruppo in caso di gruppi di alimentazione.

Per prelievo di insilati è necessario inviare 1/2 Kg di prodotto.Per tutte le farine e concentrati è necessario inviare 1/2 Kg di prodotto.Anche i campioni di alimenti della stessa azienda devono essere cartellinati

e riuniti in un sacchetto cartellinato anch’esso come sotto indicato.

Identificazione dei campioni: tutti i campioni relativi al progetto ed ilsacchetto che contiene quelli della singola azienda, dovranno essere identificatirigorosamente come segue:APA di …………………….……..…………………………………………….……..Nome Tecnico …………………….……..…………………………………………….……..Codice e Nome Allevatore …………………….……..…………………………………………….……..Data prelievo …………………….……..…………………………………………….……..Campione di …………………….……..…………………………………………….……..Analisi Richiesta* …………………….……..…………………………………………….……..

PROGETTO M1

* In caso di richiesta di altre analisi oltre alle M1 per il latte e le B1 per glialimenti, il costo delle ulteriori analisi verrà fatturato all’APA di provenienza inquanto non rientra nel finanziamento dal progetto.

Dati aziendali: per ogni azienda è necessario raccogliere i dati sottoindicati.1) Situazione gestionale:

a) presenza di unifeed;b) razione alimentare 1° gruppo o gruppo unico coi seguenti parametri qui

indicati: SS, PG%, Amidi, NDF, NDFF, %CONC, UFL, LG. Tutti i parame-tri vanno espressi sul secco.

c) uso di zeoliti o altri adsorbenti2) Situazione produttiva: Prod /v in latt., % grasso, % proteina e cellule

(dati Aral).3) Situazione riproduttiva*: gg. Parto-1a fec gg. Parto-conc, Fec/grav, gg.

Interparto4) Situazione sanitaria* (Vedi check list allegata)5) Mscore aziendale*

* Questi dati verranno richiesti solo sulle aziende risultate positive alle M1

15

ALLEGATO 2

SITUAZIONE SANITARIA – CHECK LIST

Stato generale della mandria:

Aspetto del pelo lucido □ opaco □

Capacità d’ingestione alta □ nella norma □ bassa □

Presenza del problema:

Problemi in lattazione: assente nella norma in aumento

Blocco ruminale □ □ □

Diarrea □ □ □

Stipsi □ □ □

Zoppie Dermatite □ □ □

Ulcera soleare □ □ □

Codone □ □ □

Mastiti acute

Ipofertilità Ritorni irregolari □ □ □

Cisti □ □ □

Calori silenti □ □ □

Ipoplasia ovarica □ □ □

Riassorbimentiembrionali/aborti □ □ □

Altro _________________________ □ □ □

_________________________ □ □ □

_________________________ □ □ □

Problemi nel puerperio: assente nella norma in aumento

Ritenzione di placenta □ □ □

Inappetenza pre-parto □ □ □

post-parto □ □ □

Dislocazione dell’abomaso □ □ □

Metriti □ □ □

Mastite pre-parto □ □ □

post-parto □ □ □

16

17

Figura 1

Figura 2

18

Figura 3

Figura 4

19

Tabella 1

Figura 5

20

Figura 6

Figura 7

21

Figura 8

Figura 9

22

Figura 10

Figura 11

23

Figura 12

Figura 13

24

Figura 14

Figura 15

25

Figura 16

Figura 17

26

Figura 18

Figura 19

27

Figura 20

28

METODOLOGIA DI CAMPIONAMENTO

Le modalità di prelievo del campione rappresentano un passaggiofondamentale per ottenere un dato analitico corretto. Si può, infatti, ese-guire alla perfezione l’analisi ma se il campione in esame non è rappre-sentativo si otterrà un dato che non rispecchia la realtà.

Le modalità corrette di campionamento sono state oggetto di una nor-mativa che indica i passaggi, le quantità e le modalità di campionamen-to per l’analisi di micotossine. Tuttavia, nella realtà aziendale, tale pras-si, sicuramente molto corretta, non è di facile esecuzione sia per le diffi-coltà di attuazione, sia per la mancanza di mezzi tecnici ma soprattuttodi tempo che tale metodo necessita.

Per ottenere un buon campionamento bisogna innanzi tutto conside-rare la matrice che si vuole analizzare: è infatti diverso campionare unafarina rispetto ad un unifeed.

L’omogeneità del campione di partenza è un buon presupposto per uncampione significativo ma anche in questo caso vanno presi accorgimen-ti relativi all’omogeneità della partita.

Di seguito vengono riportati alcuni consigli per il campionamento divarie matrici.

LatteÈ la matrice forse più facile da campionare in quanto è di per sé omo-

genea. L’accorgimento da adottare è quello di prelevare il campione sullatte di massa, se possibile dopo agitazione nel tank di raccolta, a finemungitura.

Nel caso di prelievo individuale ricordarsi di prelevare il latte dellamungitura complessiva evitando il latte dei primi getti e quello di sgoc-ciolatura.

Pellet e sfarinati (farine, mangimi, ecc.)Anche in questo caso la matrice è omogenea e l’attenzione va rivolta

più alla significatività del campione nel senso che va valutato come av-viene lo stoccaggio del campione.

Farine insilate in silos verticali possono presentare differenze nelcontenuto di micotossina se preleviamo il campione dal centro del silo odai bordi, soprattutto se il silo presenta differenze nei vari punti d’umi-dità o di temperatura dovute all’esposizione (a nord, al sole, ecc.). In talcaso, infatti, si possono sviluppare funghi, e quindi micotossine, all’inter-no del silo ma solo in alcune parti e quindi il campione potrebbe non es-sere rappresentativo.

Sacchi di farine ammucchiati o cumuli di materia prima possono pre-

29

METODOLOGIE DI CAMPIONAMENTO,TRATTAMENTO, ANALISI DI LABORATORIOE INTERPRETAZIONE DEI REFERTIDott.ssa Nicoletta Rizzi

Laboratorio agro-alimentare A.R.A.L.

sentare punti critici per la presenza d’acqua piovana o eccessi d’umiditàdel terreno che potrebbero predisporre ad attacchi fungini in zone parti-colari.

FieniRappresentano un tipo di campione abbastanza critico per la possibi-

lità che la micotossina, se presente, si distribuisce in maniera diversanello spessore della balla, in particolare se questa è tenuta in ambientinon riparati o con forte umidità.

Il prelievo del campione dovrebbe essere fatto quindi prelevando pic-cole quantità di fieno nei diversi punti della balla (interno, esterno) e dadiverse balle, se necessario.

InsilatiNel caso d’insilati in trincea orizzontale (silomais) il prelievo dovreb-

be essere rappresentativo di tutto il fronte di taglio, tenendo presenteche il cappello può essere molto diverso dal centro o dalle porzioni late-rali. Tuttavia bisogna ricordare che gli insilati in genere sono matriciche presentano solo in rari casi quantità espressive d’aflatossine.

UnifeedÈ sicuramente una matrice critica per la forte disomogeneità che pre-

senta. Vi sono notevoli differenze da campione a campione dovute allacomposizione dell’unifeed e dalla percentuale d’insilato e fieni che lo co-stituiscono. Bisogna ricordare che la probabilità di trovare aflatossine èmaggiore nei concentrati che rappresentano la parte a granulometriapiù fine dell’unifeed e quindi quella che maggiormente si perde nell’ese-guire il campionamento.

Eseguire un campione veramente rappresentativo di unifeed è moltodifficile considerato anche il fatto che solo una piccola parte del campio-ne prelevato sarà destinato all’analisi.

SemiSono i più critici per le modalità con le quali la micotossina, se pre-

sente, si distribuisce nel prodotto.Non è improbabile, nell’ambito della stessa partita o dello stesso lot-

to, ottenere risultati analitici molto diversi ripetendo l’analisi: ciò è do-vuto alla forte difficoltà di rendere omogeneo il campione prelevato perl’analisi e alla matrice stessa a volte molto critica per la presenza digrassi, di peluria, ecc.

Un aspetto importante del campionamento riguarda la quantità delcampione che viene consegnata per l’analisi: campioni molto scarsi (sot-to i 100 grammi) rischiano di non essere rappresentativi specie nei casidi matrici disomogenee; di contro quantitativi molto elevati (sopra i 500grammi) creano grosse difficoltà al momento della miscelazione primadel prelievo per l’analisi rischiando una difformità del quantitativo pre-levato.

La buona conservazione del campione dopo il prelievo è importanteper garantire un buon risultato analitico. In genere tutti i campioni van-no tenuti in luogo fresco e asciutto fino alla consegna al laboratorio, sepossibile in frigorifero, cosa peraltro necessaria nel caso del latte.

Il tempo che intercorre tra il prelievo e la consegna per l’analisi do-vrebbe essere il più breve possibile e, comunque, non eccedere le 24-36ore. In caso di tempi più lunghi potrebbe essere necessario provvedere alcongelamento del campione previo accordo con il laboratorio.

30

METODOLOGIE ANALITICHE

Le metodologie che si possono adottare nel caso dell’analisi di aflatos-sine si possono fondamentalmente dividere in due gruppi:a – metodi chimico-fisici: TLC, HPLCb – metodi biologici: prove su animali, RIA, ELISA, Fluorimetrici

Prenderemo in esame solo i metodi scritti in grassetto che sono statiutilizzati nel progetto.

ELISA

La procedura prevede la sgrassatura del campione per il latte mentreper i foraggi è necessaria l’estrazione, solitamente con metanolo, una fil-trazione e l’analisi vera e propria. Il risultato ottenuto può essere di tipoqualitativo (presenza o assenza dell’aflatossina rispetto ad un valorediscriminante) o quantitativo se è prevista una curva standard.

Una particolare attenzione va posta nella scelta del kit da utilizzare:la matrice da analizzare, la sensibilità che si vuole ottenere, la velocitàdi analisi ma soprattutto la qualità del kit sono parametri determinantinella scelta di ciò che offre il mercato.

Le caratteristiche dell’analisi ELISA sono le seguenti:• buona sensibilità (anche di ppt)• buona attendibilità dei risultati• semplici da eseguire• veloci (in genere intorno alle 4 ore)• non richiede apparecchiature complesse• si possono analizzare più campioni contemporaneamente• non è possibile discriminare tra i sottotipi di aflatossina (m1-m2; b1-

b2 g1-g2)• i costi sono contenuti

Il risultato ottenuto rappresenta la sommatoria dei sottotipi di afla-tossina considerata (m1-m2 per il latte b1-b2-g1-g2 per gli alimenti zoo-tecnici); si possono tuttavia trovare kit analitici che presentano maggio-re affinità per un sottotipo (ad esempio per l’aflatossina b1) ma che co-munque non escludono la determinazione degli altri tipi anche se in mi-nima parte.

Questa metodologia deve essere considerata come metodica di scree-ning per i vantaggi sopra citati tenuto conto che si verificano molto dirado dei falsi negativi mentre i risultati positivi tendono in genere adessere sovrastimati.

HPLC

È oggi la tecnica di riferimento per l’analisi delle aflatossine per l’ele-vata sensibilità e specificità analitica, in particolare con l’utilizzo di unrivelatore fluorimetrico. Se abbinata ad una buona purificazione delcampione (ad esempio con colonna di immunoaffinità) consente di arri-vare a limiti di sensibilità di 0.1 ppb per l’AFB1 negli alimenti e di 1-2ppt di M1 nel latte.

Le caratteristiche dell’analisi HPLC sono le seguenti:• ottima sensibilità• richiede personale qualificato ed esperto

31

• i tempi sono determinati dalla metodica ma sono in genere piuttostolunghi

• richiede apparecchiature complesse e costose• si può analizzare un campione alla volta• si possono determinare i sottotipi di aflatossina (m1-m2; b1-b2 g1-g2)• i costi sono elevati

È la metodica da riservare alla conferma di campioni “sospetti” o ri-sultati positivi a tecniche di screenig e tutte le volte che si vuole deter-minare con precisione la presenza del sottotipo di tossina presente. For-nisce sempre un risultato quantitativo.

CONSIDERAZIONI

Nell’esecuzione del progetto e in base all’esperienza maturata, si sonoriscontrati i seguenti punti:

a) Il latte da analizzare può essere conservato anche in congelatore a–25°C.

Per tale matrice è richiesta la scrematura poiché l’analisi è effettuatasul latte sgrassato; abbiamo potuto verificare che tale operazione, se ese-guita prima di un eventuale congelamento, favorisce i successivi stepanalitici in particolare il passaggio del campione su colonna di immu-noaffintà, se previsto.

b) La determinazione dell’aflatossina M1 nel latte mediante metodoELISA utilizza una curva di taratura compresa tra 5 e 100 ppt. Tale cur-va viene però garantita dal fornitore del kit fino a 50 ppt (limite di leg-ge) e ciò è stato da noi confermato poiché la parte alta della curva (tra50 e 100 ppt) tende ad essere troppo piatta. La diluizione del campioneper rientrare nella parte centrale della curva non ha migliorato in modosignificativo il risultato ottenuto. È consigliabile quindi testare i campio-ni che in ELISA presentano valori superiori a 50 ppt con metodo HPLC.

c) La scelta di un kit ELISA è fondamentale per assicurare il migliorrisultato analitico. Testando alcuni kit in commercio si ottengono per al-cuni di essi valori positivi su campioni che in HPLC danno risultati ne-gativi. Ciò è dovuto a un effetto della matrice che può presentare analiti(diversi dalla micotossina) o condizioni (pH) in grado di occupare i siti dilegame o di alterare l’anticorpo adeso sul fondo del pozzetto: questo fe-nomeno dà luogo ai cosiddetti “falsi positivi”.

Abbiamo quindi cercato di annullare quest’effetto scegliendo tra i kitofferti dal mercato quelli che ovviavano a questo inconveniente.

È stata inoltre presa in considerazione la sensibilità dei kit ELISAdisponibili, in particolare per matrici che presentano bassi livelli di mi-cotossina.

Per le analisi eseguite nel progetto sono quindi stati utilizzati 2 kitELISA per la determinazione dell’AF B1: uno per le matrici insilate (si-lomais, fieni silos, fieni) e un altro per le restanti matrici (farine, concen-trati, pastone, ecc.)

d) Utilizzare l’unifeed per determinare la quantità di aflatossina in-gerita dall’animale non porta ad un risultato soddisfacente per i motivitrattati nel capitolo campionamento: in pratica l’unifeed non è rappre-sentativo della reale razione ingerita dall’animale.

È quindi consigliabile verificare la presenza di aflatossine nell’alleva-mento prima di tutto con un campione di latte: ciò porta a individuareimmediatamente se c’è aflatossina in azienda in quanto se il campione

32

risultasse negativo non è necessario procedere oltre nella ricerca; se in-vece viene riscontrata la presenza della micotossina M1 si può avereun’idea dell’ampiezza del problema in base al valore ottenuto e calcolarein via teorica i ppb di aflatossina B1 che ci si aspetta negli alimenti checompongono la razione. La ricerca di AF B1 può essere condotta parten-do dagli alimenti più a rischio con la possibilità di verificare man manose si raggiungono i ppb di AF B1 teorici. In tal modo il numero di analisiper focalizzare il problema viene ridotto al minimo con forte risparmioeconomico e di tempo.

e) Per verificare la precisione e la correttezza dei dati ottenuti conmetodica ELISA, 112 campioni di alimenti e 158 campioni di latte sonostati testati anche con metodica HPLC.

Di seguito vengono riportati i due grafici relativi a questa prova.I risultati ottenuti dimostrano che i dati relativi all’AF B1 risultano

più dispersi rispetto alla curva ottenuta con l’AF M1: si può ipotizzareche ciò sia dovuto alla maggiore omogeneità dei campioni di latte rispet-to a quelli di foraggio.

Si fa presente che sia per la M1 sia per la B1 il dato fornito dallametodica ELISA è dato dalla sommatoria dei sottotipi (M1+M2 –B1+B2+G1+G2) mentre nel caso dell’HPLC sono stati utilizzati i valori diaflatossina M1 e B1 poiché si sono presi come discriminanti i rispettivilimiti di legge.

33

Fig. 1 Confronto tra la metodica Elisa e HPLC per analisidi aflatossina M1

� = Considerato come discriminante il valore di legge (50 ppt), la maggior par-te dei campioni (89%) di AF M1 analizzati con test ELISA ha fornito lo stes-so risultato che si è ottenuto con il metodo HPLC (sopra o sotto il limite dilegge).

� = I rimanenti campioni (11%) ha dato risultati superiori ai 50 ppt in ELISAche sono risultati inferiori a tale limite in HPLC: tali campioni sarebberostati comunque da confermare col metodo di riferimentoInteressante è il fatto che nessun campione ha dato un “falso negativo” cioèun dato basso in ELISA e alto in HPLC (quadrante in basso a destra).

34

Fig. 2 Confronto tra la metodica Elisa e HPLC per analisidi aflatossina B1

� = Considerato come discriminante il valore di legge (5 ppb), la maggior partedei campioni (88.5%) di AF B1 analizzati con test ELISA ha fornito lo stessorisultato che si è ottenuto con il metodo HPLC (sopra o sotto il limite di leg-ge).

� = Il 8% dei campioni ha dato risultati superiori ai 5 ppb in ELISA ma sonorisultati inferiori a tale limite in HPLC: tali campioni sarebbero stati co-munque da confermare col metodo di riferimento.

� = Il 3.5% dei campioni ha dato risultati inferiori ai 5 ppb in ELISA ma sonorisultati superiori a tale limite in HPLC: tali campioni sarebbero sono i co-siddetti “falsi negativi”.Si può quindi affermare che, in base ai risultati ottenuti, la probabilità dicommettere un errore che utilizzando una metodica di screening rispetto aquella di riferimento è del 4%.

35

36

Dal problema alla sua soluzione:le fasi del percorso

37

38

39

40

41

42

43

44

45

46

PREMESSA

La presenza di aflatossine negli alimenti che compongono la razionedi bovine da latte preoccupa principalmente per il passaggio nel lattedell’aflatossina M1, un idrossiderivato dell’aflatossina B1 che si forma alivello epatico nelle lattifere, anch’esso dotato di elevata tossicità. Il tas-so di rilascio dell’aflatossina nel latte (µg totali di M1 escreti giornal-mente con il latte su µg di B1 ingerita con la razione) è variabile in fun-zione di numerosi fattori quali il livello produttivo delle bovine, lo stadiodi lattazione, lo stato sanitario delle bovine e dell’apparato mammarioin particolare: i valori indicati per il tasso di rilascio variano general-mente tra il 2 e il 3% per bovine che producono circa 20 kg di latte algiorno (Veldman et al., 1992).

Oltre ai gravi risvolti in termini di salubrità del prodotto latte, la pre-senza di aflatossine nell’alimentazione delle lattifere può comportareconseguenze negative sulla salute e sulle prestazioni produttive deglianimali.

Il ruminante rispetto al monogastrico è in grado di sopportare elevatilivelli di aflatossine nella razione in virtù dell’azione detossificante svol-ta dal rumine. Tuttavia, nel caso di dosaggi elevati o di bassi dosaggi as-sunti per lunghi periodi, tale azione può non risultare sufficiente. I sin-tomi segnalati in caso di aflatossicosi nelle bovine da latte sono: calo del-la produzione di latte, ridotta ingestione, alterazione della funzionalitàruminale, sintomi gastroenterici, lesioni epatiche, patologie podali, peloopaco (Cook et al., 1986; Diekman e Green, 1992). Inoltre la tossicosi daaflatossine comporterebbe riflessi negativi sulle difese immunitarie de-gli animali con conseguente minore resistenza nei confronti degli agentipatogeni e più facile sviluppo di infezioni come mastiti, metriti, ecc. Infi-ne vengono segnalati effetti negativi sull’efficienza riproduttiva delle bo-vine (Guthrie, 1979) causati con tutta probabilità da un insufficiente ca-tabolismo epatico degli ormoni steroidei con conseguente alterazione deicicli estrali.

I sintomi di tossicosi compaiono generalmente con concentrazioni diaflatossine nella razione molto elevate, dell’ordine di 100-300 ppb. Tut-tavia in situazioni di particolare suscettibilità anche pochi ppb possonoavere effetti negativi sulla salute degli animali. In particolare la sensibi-lità sembra essere maggiore negli animali giovani, nelle bovine moltoproduttive, nelle situazioni di stress e durante la fase puerperale. Inol-tre la somministrazione di piccole dosi per lunghi periodi può dare luogoa forme di intossicazione cronica.

47

AFLATOSSINE E GESTIONE AZIENDALE:relazioni tra performance della mandriae contaminazione di alimenti e latteProf. Giuseppe Succi, Dott. Alberto Tamburini, Dott.ssa Anna Sandrucci

Istituto di Zootecnia Generale - Stazione Sperimentale di Zootecnia - Facoltà di Agraria

Università degli Studi di Milano

MATERIALE E METODI

Lo studio si è articolato in due fasi della durata di quattro mesi cia-scuna durante i quali sono stati fatti effettuati campionamenti e analisidegli alimenti e del latte di un campione di aziende lombarde per la de-terminazione delle aflatossine. Il campione era costituito da 116 aziendenella prima fase e 79 nella seconda fase. Alcune aziende erano presentiin entrambe le fasi.

Sul campione di aziende oggetto dello studio sono state determinateper via analitica la concentrazione di aflatossina B1 negli alimenti per ilbestiame ed eventualmente nell’unifeed e la concentrazione di aflatossi-na M1 nel latte. Inoltre attraverso un’intervista effettuata dai tecnicidelle APA in ogni azienda sono stati rilevati: la composizione della razio-ne, alcuni indicatori del benessere della mandria e l’incidenza di alcuniproblemi sanitari. Inoltre sono stati raccolti i dati relativi alla produzio-ne e composizione del latte derivanti dai controlli funzionali e alcuni in-dicatori dell’andamento riproduttivo.

L’elaborazione qui presentata si riferisce ai dati delle aziende delcampione nelle quali è stata effettuata la determinazione delle aflatossi-ne dell’unifeed e per le quali quindi erano sempre note la concentrazionedi B1 della razione e la quantità totale di B1 ingerita giornalmente(espressa in µg/d). Inoltre, salvo diversa indicazione, gran parte dei ri-sultati riportati si riferiscono alle analisi effettuate durante la prima fa-se che era quella temporalmente più vicina al momento di rilevamentodei dati descrittivi.

RISULTATI E DISCUSSIONE

Le 60 aziende oggetto dell’elaborazione hanno fatto registrare unaproduzione media di latte di 28,1 ± 4,2 kg/capo al giorno con percentualidi grasso e proteine del 3,63 ± 0,25% e del 3,30 ± 0,11%, rispettivamen-te. Il Linear Score, trasformazione logaritmica del numero di cellule so-matiche (log(cellule/12.500)), è risultato mediamente pari a 4,6 ± 0,6. Ladimensione media delle aziende era di 108 ± 74 bovine presenti.

La concentrazione di B1 negli unifeed è risultata mediamente pari a0,52 ± 0,34 ppb nella prima fase e 0,65 ± 0,47 ppb nella seconda fase di-mostrando che i livelli medi di contaminazione delle razioni erano piut-tosto contenuti. Le concentrazioni di M1 nel latte sono risultate rispetti-vamente pari a 27,1 ± 18,2 e 22,4 ± 21,6 ppt nella prima e nella secondafase. I tassi di passaggio sono risultati nelle due fasi compresi tra il 2 eil 4%, in linea con quanto indicato dalla bibliografia tenuto conto del li-vello produttivo delle bovine.

Per quanto riguarda i parametri riproduttivi le aziende prese in con-siderazione avevano mediamente 2,25 ± 0,54 inseminazioni per concepi-mento, 89,8 ± 17,8 giorni di intervallo parto-1ª inseminazione e 146,7 ±28,7 giorni di intervallo parto-concepimento.

a) Relazioni tra ingestione di B1 con l’unifeed, rilascio di M1 nel lattee produzione lattea

Nella figura 1 sono messe a confronto stalle con differenti valori di con-centrazione di B1 nell’unifeed: <0,35, 0,35-0,65 e >0,65 ppb. I valori limitesono stati scelti in funzione della distribuzione delle stalle. Dal grafico èpossibile notare come, a fronte di un prevedibile aumento dell’ingestionetotale di B1 all’aumentare della sua concentrazione nelle razioni, la con-centrazione di M1 nel latte abbia mostrato un incremento solo nella classe

48

a più alta concentrazione di B1 nella razione (>0,65 ppb). La produzionelattea invece è risultata sostanzialmente simile tra i tre gruppi.

Nella figura 2 si è effettuato il confronto tra un gruppo di stalle cheha fatto registrare, in entrambe le fasi in cui si è articolato lo studio,concentrazioni di B1 nell’unifeed costantemente superiori a 0,65 ppb eun gruppo di stalle che invece si sono mantenute costantemente al disotto di tale limite. Dal confronto emerge che le stalle con concentrazionidi B1 sempre alte hanno avuto tassi di rilascio dell’aflatossina nel lattepiù elevati di quelle costantemente basse. Tale risultato potrebbe sugge-rire una tendenza all’aumento del tasso di rilascio in conseguenza del-l’ingestione di B1 per lunghi periodi.

Per quanto riguarda le relazioni tra concentrazione di B1 nella razio-ne e produzione quanti-qualitativa di latte (figura 3) il confronto tra leaziende con concentrazioni di B1 sempre alte in entrambe le fasi e quel-le con concentrazioni sempre basse ha evidenziato una superiorità pro-duttiva delle prime: tale dato può essere giustificato dal fatto che le stal-le ad alta produzione hanno la necessità di impiegare nella razione unelevato quantitativo di alimenti concentrati che sono risultati a più altorischio di contaminazione. La qualità del latte, invece, sia come LinearScore che come composizione in grasso e proteine non è risultata diversatra i due gruppi di stalle.

Il confronto tra stalle con concentrazioni di M1 nel latte superiori ailimiti di legge (>50ppt) e quelle con concentrazioni inferiori ha messo inevidenza in entrambe le fasi ma più chiaramente nella seconda (figura4) un tasso di rilascio superiore nelle prime rispetto alle seconde. Questorisultato potrebbe suggerire una tendenza all’aumento del tasso di rila-scio con l’incremento del livello di contaminazione delle razioni e, conse-guentemente del latte.

Il tasso di rilascio è risultato inoltre influenzato dal livello produttivoin quanto più elevate produzioni giornaliere hanno comportato tassi dirilascio maggiori (figura 5). In particolare per produzioni di 30 kg di lat-te il tasso di rilascio si avvicinerebbe al 3% mentre per produzioni di 20kg sarebbe di poco superiore all’1%. Il risultato è in accordo con quantoriportato nella letteratura (Veldman et al., 1992) e potrebbe essere ri-condotto ad una minore capacità filtrante del tessuto mammario alle al-te produzioni.

La relazione tra l’ingestione di B1 con la razione e la concentrazionedi M1 nel latte è stata studiata mediante un’analisi della regressione (fi-gura 6). Dal grafico riportato è possibile notare come in base ai dati ana-lizzati per ottenere un latte che si mantenga al di sotto dei limiti di leg-ge in termini di concentrazione di M1, cioè 50 ppt, è necessario che le bo-vine non ingeriscano più di 80 µg al giorno di B1 con la razione.

b) Effetti dell’ingestione di B1 con la razione sulla produzione di latte,sullo stato sanitario e sul benessere della mandria

La figura 7 mostra il confronto tra gruppi di aziende caratterizzateda differenti capacità di ingestione da parte della mandria. La capacitàdi ingestione di ogni azienda è stata valutata dai tecnici come bassa,normale o alta in rapporto al livello produttivo dell’azienda stessa. Ilgrafico mostra come le aziende con elevata capacità di ingestione sianocaratterizzate da elevate concentrazioni di B1 nelle razioni e conseguen-temente da ingestioni totali di B1 molto alte, sensibilmente maggiori ri-spetto alle aziende con bassa ingestione. Questo risultato sembrerebbeescludere un effetto negativo dell’aflatossina B1 sull’ingestione di so-stanza secca delle mandrie almeno ai livelli di contaminazione riscon-trati in questa indagine.

49

L’effetto dell’ingestione di B1 con l’unifeed sulla fertilità è stato valu-tato assegnando alle aziende punteggi da 1 a 3 in funzione dell’inciden-za di alcuni problemi di fertilità (ritorni irregolari, cisti, calori silenti,ipoplasia ovarica, riassorbimenti embrionali/aborti) e sommando i valoridi ciascuna azienda in modo da ottenere un unico punteggio riassuntivo.In base a quest’ultimo le aziende sono state classificate con 3 differenticodici corrispondenti rispettivamente a lievi, medi e gravi problemi diipofertilità.

Nella figura 8 sono rappresentate le aziende appartenenti alle dueclassi estreme; dal grafico non sembrano emergere relazioni importantitra l’ingestione di B1 attraverso l’unifeed e la presenza di problemi diipofertilità nella mandria. Infatti tra le aziende caratterizzate rispetti-vamente da lievi e gravi problemi di ipofertilità non vi sono sostanzialidifferenze nell’ingestione di B1 (sia come concentrazione che come inge-stione totale) con la razione né nell’escrezione di M1 con il latte. L’assen-za di relazione tra i problemi della sfera riproduttiva e l’ingestione diaflatossina B1 è confermata dalla regressione effettuata tra l’ingestionetotale di B1 con l’unifeed (in µg/d) e il numero di inseminazioni per con-cepimento (figura 9).

Anche l’incidenza di mastiti acute nelle mandrie non è risultata in-fluenzata dal livello di ingestione di aflatossina B1 con la razione. Infat-ti, come è evidenziato nella figura 10, le aziende che mostravano un’inci-denza di mastiti acute in aumento e un elevato Linear Score erano ca-ratterizzate da una minor ingestione di B1 con la razione e da una mi-nor concentrazione di M1 nel latte rispetto alle aziende con minor inci-denza di mastiti. La percentuale di rilascio dell’aflatossina M1 nel lattein funzione della B1 ingerita è risultata molto simile tra i due gruppi dimandrie. Questo risultato non sembrerebbe confermare le ipotesi relati-ve ad un probabile aumento della percentuale di rilascio conseguente al-la presenza di stati infiammatori della mammella.

L’assenza di relazioni tra l’ingestione di B1 (in µg/d) con la razione el’insorgenza di mastiti sarebbe confermata anche dalla regressione mo-strata nella figura 11 che mostra come i valori di Linear Score in funzio-ne dell’ingestione di B1 si distribuiscano “a nuvola”.

Un altro tipo di patologia su cui si è indagato è quella rappresentatadai problemi podali. Anche in questo caso, in maniera simile a quanto vi-sto per i problemi di ipofertilità, le patologie rilevate erano più di una(dermatite, ulcera soleare e codone) classificate come assenti, nella nor-ma e in aumento; i punteggi sono stati sommati in maniera tale da otte-nere un’unica classificazione delle aziende che riunisse l’incidenza deidiversi problemi. La figura 12 mostra le medie della produzione lattea,dell’ingestione di B1 (in µg/d) e della concentrazione di M1 del latte del-le aziende caratterizzate rispettivamente da assenza di problemi podalie da incidenza crescente degli stessi. In questo caso all’aumento dell’in-gestione di B1 e della concentrazione di M1 nel latte sembra corrispon-dere un aumento dell’incidenza di zoppie.

Anche l’incidenza di ritenzioni placentari (figura 13) è risultata in au-mento nelle aziende con maggiore ingestione di B1 e maggiore concen-trazione di M1 nel latte suggerendo l’esistenza di un effetto della pre-senza di B1 nella razione sulla tendenza a sviluppare ritenzioni placen-tari.

Risultati simili sono emersi anche per quanto riguarda la relazionetra l’incidenza di metriti e l’ingestione di aflatossine: dalla figura 14emerge che le mandrie con più elevata ingestione di aflatossina B1 conl’unifeed erano anche quelle caratterizzate da un incremento dell’inci-denza di metriti.

Lo studio ha preso in considerazione l’incidenza di diversi altri pro-blemi di sanità e di benessere quali ad esempio diarrea, stipsi, blocchi

50

ruminali, inappetenza, dislocazioni, mastiti durante la fase di transizio-ne. Tuttavia per queste patologie non è stato possibile individuare anda-menti chiari in funzione della presenza di aflatossine nella razione acausa della scarsa numerosità di alcune classi di aziende.

In conclusione per quanto riguarda le relazioni tra l’ingestione diaflatossina B1 e l’insorgenza di patologie nella mandria non sono emersieffetti evidenti sull’ingestione, sulla fertilità né sulle mastiti. Per controsembra emergere una relazione tra ingestione di B1 con la razione e l’e-mergenza di problemi podali e di alcune patologie dell’apparato ripro-duttivo quali le ritenzioni placentari e le metriti. Tali risultati andrebbe-ro tuttavia confermati attraverso studi più mirati in quanto la scarsanumerosità del campione e la notevole variabilità tra le aziende nonconsente di trarre conclusioni certe sulle relazioni tra i parametri consi-derati.

51

52

53

54

55

56

57

58

LE PROBLEMATICHE DEL CAMPIONAMENTO

Il controllo della qualità degli alimenti destinati agli animali sta as-sumendo sempre più importanza per il ruolo che può svolgere sia nelmiglioramento dell’efficienza produttiva, sia nella tutela della salute delconsumatore. La qualità degli alimenti zootecnici può essere controllataal momento dei diversi passaggi che una derrata subisce a partire dallaprima fase della raccolta in campo; o dell’uscita da uno stabilimento, sedi provenienza industriale; oppure nel momento in cui oltrepassa il con-fine nazionale, se di provenienza estera; può subire ulteriori controlli alsuo ingresso in un’industria mangimistica e quindi nuovi controlli primadi uscire dallo stabilimento, dopo essere stata miscelata con altre derra-te in modo da costituire un mangime composto. Può infine essere con-trollata in allevamento, sia per iniziativa dell’allevatore (o dell’Associa-zione Allevatori, o dell’industria che trasforma il latte), che degli organidi vigilanza preposti.

Il controllo di qualità degli alimenti zootecnici, sia che venga effettua-to dall’industria che da laboratori pubblici o privati, può essere suddivi-so in due grandi capitoli, anche se in molti casi vi sono interconnessionitra i due: controllo della qualità nutrizionale e controllo della qualitàigienico-sanitaria. Per affrontare questi due aspetti, non va sottovaluta-to un problema troppo spesso trascurato: quello del campionamento, chediventa addirittura elemento prioritario nel caso si debbano controllarecerti fattori antinutrizionali, quali sono appunto le micotossine.

Il campione di foraggio o di mangime semplice o composto che arrivaal laboratorio deve essere rappresentativo della partita da cui è statoprelevato, altrimenti potremo effettuare su di esso analisi anche perfet-te, ma i risultati ottenuti non saranno veritieri e non corrisponderannoalla partita in esame. Già abbiamo scritto che il principale ostacolo chesi deve superare è costituito dalla eterogeneità della massa da campio-nare: a questa eterogeneità di partenza si ovvia prelevando piccolequantità di prodotto in punti diversi della massa, per poi riunirli in uncampione globale che, previa adeguata miscelazione, subirà una riduzio-ne di massa fino ad ottenere il campione da inviare al laboratorio dianalisi.

L’effettuazione di un campionamento adeguato è sempre importante,ma diventa addirittura essenziale quando si vanno a cercare contami-nanti in tracce. Per comprendere l’importanza del prelevamento nell’a-nalisi delle micotossine, è necessario considerare quale sia la loro distri-buzione in una derrata alimentare; usualmente tali tossici si trovano inconcentrazioni molto elevate in quei siti in cui si è sviluppata la muffatossigena. In pratica, in una partita di granaglie si possono trovare sac-

59

CONTAMINAZIONE DI ALIMENTIDA AFLATOSSINE: risultati dello studio,aspetti pratici e proposte di controlloProf. Amedeo Pietri

Istituto Scienze degli alimenti e della nutrizione

Università Cattolica del Sacro Cuore - Piacenza

che di contaminazione a contenuto di micotossine molto alto; questo si-gnifica che in realtà solo una porzione di semi è contaminata e in questisi ha un contenuto di micotossine estremamente alto e variabile. Da stu-di effettuati su diversi semi oleosi, si è visto che il campionamento è digran lunga la fonte maggiore di errore sul dato finale di analisi.

Le norme quantitative da rispettare per un corretto campionamento,con particolare riferimento ai mangimi concentrati, sono contenute nelladirettiva CEE n. 76/371 (D.M. 20.04.78, GURI 15.06.78 n. 165) e rias-sunte nelle tabelle 2 e 3; le definizioni utilizzate sono riportate in tabella1. Come si può desumere dalle tabelle, nella Direttiva viene effettuatauna distinzione preliminare tra partite nelle quali le sostanze o i prodot-ti oggetto di controllo si presumono ripartiti in modo uniforme e partiteche non possiedono questo requisito (partite inquinate). In questo secon-do caso (è il caso delle micotossine) la massa da campionare andrà sud-divisa in sub-unità da trattare come a sè stanti e tra le quali suddivide-re in numero di prelievi elementari, definito in funzione delle dimensio-ni della partita. Ognuna di esse originerà un proprio campione finale di-stinto dagli altri e corredato da annotazioni sufficienti a collegarlo inmaniera univoca alla “zona” di provenienza. Queste norme nulla diconoriguardo al campionamento dei foraggi; per questi ultimi si possono uti-lizzare le indicazioni dell’ISO (ISO/TC/34/10 n. 324), che oltre alle gra-naglie e alle farine, prendono in considerazione anche i fieni e i foraggifreschi o insilati (tabella 4). Nel caso di insilati conservati in trincee, sic-come è praticamente possibile prelevare solo sulla superficie di taglio, èconsigliabile effettuare il prelievo dei campioni elementari lungo la dia-gonale del fronte, in modo che il campione globale rappresenti i diversilivelli della massa.

Tutte queste normative prevedono appositi strumenti per il prelievodei campioni primari (pala a fondo piatto con bordi laterali verticali,campionatore conico, sonda a lungo setto o a partizioni). Per i foraggisecchi in balle può essere utile un seghetto.

La Commissione delle Comunità Europee ha emanato una Direttiva(98/53/CE del 16/07/98, GUCE L/201/93 del 17/07/98) “che fissa metodiper il prelievo di campioni..... per il controllo ufficiale dei tenori massimidi taluni contaminanti nei prodotti alimentari”. L’allegato 1 riguardaproprio le “Modalità di prelievo dei campioni per il controllo ufficiale deltenore di aflatossine in taluni prodotti alimentari”; il documento si rife-risce ad alimenti destinati ad uso umano, ma può ugualmente essereutile anche per partite ad uso zootecnico. Alla fine del documento è indi-cato come comportarsi per il latte da controllare per il contenuto in afla-tossina M1 (o anche per altri controlli): occorre prelevare un minimo di 5campioni elementari, mentre il peso del campione globale deve essereminimo di 0,5 kg o litri.

Anche le norme ISO citate, prevedono il campionamento di liquidi esono abbastanza simili; nel caso di latte sfuso, per partite fino a 2,5 t, sidevono prelevare 4 campioni elementari, oltre questo quantitativo, 7campioni elementari. Il campione elementare deve essere minimo di 0,1kg o 100 ml, quello finale minimo 0,5 kg o 500 ml.

Il campione di latte destinato al controllo dell’AFM1 va evidentemen-te conservato in maniera adeguata: nel caso non venga portato immedia-tamente al laboratorio, bisogna congelarlo.

Considerazioni conclusiveDa quanto riportato, è evidente che seguire le norme in determinate

situazioni può risultare particolarmente difficile; bisogna pertanto sfrut-tare circostanze favorevoli, ad esempio un buon campionamento può es-sere effettuato durante la movimentazione di una partita (carico/scarico)

Va detto anche che una cisterna di latte è senza dubbio molto più

60

omogenea di un silo di granaglie e che l’inosservanza delle norme dicampionamento incide assai meno sul risultato di analisi per l’aflatossi-na M1 nel latte che per la B1 nelle granaglie. Per motivi facilmente in-tuibili, certi trattamenti fisici rendono molto più omogenea una partita eriducono la possibilità di errore: un prodotto in farina è senza dubbio piùomogeneo di uno in semi, come pure un mangime composto che ha subi-to una miscelazione è molto più omogeneo delle singole materie primeche lo compongono.

LA CONTAMINAZIONE DA MICOTOSSINE

PremessaIn condizioni favorevoli allo sviluppo di funghi tossigeni, le micotossi-

ne possono essere formate in una qualunque delle fasi di produzione e ditrasformazione di un prodotto alimentare. In particolare, le micotossinepossono essere prodotte nelle piante infette in pieno campo; nel corsodelle operazioni di raccolta; nelle derrate immagazzinate (stoccaggio,trasporto); nel corso delle trasformazioni tecnologiche e delle preparazio-ni alimentari.

Le conseguenze della presenza di contaminazioni da micotossine nel-le derrate alimentari sono evidenti essenzialmente negli allevamentizootecnici, ma esse hanno un impatto non trascurabile anche sulla salu-te umana. Negli allevamenti, le micotossine sono responsabili sia di mi-cotossicosi sub-acute che acute. Di gran lunga più frequenti sono le ma-nifestazioni sub-acute o croniche che, compromettendo lo stato di salutedegli animali, riducono le loro attività vitali e quindi le produzioni zoo-tecniche.

Diverse ricerche condotte su specie di interesse zootecnico, hannoconsentito di stabilire quale sia il rischio di trasmissione delle varie mi-cotossine o di loro metaboliti tossici in carne, latte e uova: tale rischio èreale solamente per l’aflatossina M1 nel latte e per l’ocratossina A nellecarni suine.

Il pubblico sa ancora molto poco sui tossici naturali e sulle micotossi-ne in particolare, ma non è detto che sia sempre così, anche perché lagrande stampa ha iniziato ad interessarsi al problema. Le notizie quindicominciano a circolare: su riviste specializzate vengono talvolta pubbli-cati articoli specifici sulle micotossine; sono prese in considerazione so-prattutto le aflatossine, con indagini su latte e formaggi prelevati al det-taglio; vengono espressi giudizi su prodotti di varie marche, dato che l’a-flatossina M1 è presente in molti campioni di latte e formaggio, ed inqualche caso a un livello giudicato eccessivo. I consumatori vengono in-formati che dal 01.01.99 nella UE è entrato in vigore un limite di 50 na-nogrammi/kg (parti per trilione, ppt) per l’aflatossina M1.

Le aflatossineNella maggior parte dei casi, la AFB1 è quella presente in maggior

quantità e sulla quale è stato focalizzato l’interesse dei ricercatori pervia della sua elevata tossicità acuta e cronica e per l’attività canceroge-na che esplica sugli animali, oltre che per i potenziali effetti sull’uomo.

Gli alimenti che contengono AF con maggior frequenza sono: arachidie derivati, mais e derivati, noci brasiliane, pistacchi, mandorle, fichi sec-chi, alcune spezie (peperoncino); ma va ricordato che una cattiva conser-vazione può far comparire le AF anche in prodotti non considerati a ri-schio. Le AF provocano il cancro del fegato e a volte anche del rene, intutte le specie animali studiate; l’AFB1 è l’epatocancerogeno, attivo peros, più potente che si conosca.

61

Per l’Italia, le AF sono soprattutto un problema connesso con l’impor-tazione di derrate da paesi a clima caldo e umido, mentre la contamina-zione dei prodotti locali è poco frequente e a livelli piuttosto contenutisia per motivi climatici che per le migliori tecniche agronomiche, di rac-colta e di conservazione dei prodotti stessi. L’UE ha recentemente ema-nato un regolamento (1525/98, sopra citato) che fissa il tenore massimodi AF in frutta secca, cereali e derivati: sono tollerati 2 e 4 µg/kg (micro-grammi/kg, o ppb) rispettivamente di AFB1 e AF totali.

Diverse materie prime importate destinate all’alimentazione animalesono frequentemente contaminate da AF; la popolazione umana puòquindi essere indirettamente esposta all’AF per il consumo di latte, car-ne e uova ottenuti da animali che hanno ingerito prodotti contaminati.Durante il processo digestivo, l’AF viene in parte assorbita e trasportataal fegato, dove viene metabolizzata, dando origine a diversi idrossi-deri-vati che finiscono nel circolo sanguigno e vengono poi eliminati tramitel’urina e la bile (o il latte).

Aflatossina M1Numerose ricerche, hanno consentito di stabilire il rapporto tra con-

centrazione di AFB1 nella dieta e livello di AFB1 o dei metaboliti presen-ti nei tessuti. La quantità rilevabile nei tessuti è quasi sempre trascura-bile, tranne che per l’AFM1 nel latte. L’AFM1 (“milk toxin”) è stato il pri-mo metabolita della B1 ad essere identificato. Tutti i mammiferi che in-geriscono AFB1, ne eliminano una quota come AFM1 nel latte; nel casodella vacca da latte, la quota eliminata è dell’1-3% di quella ingerita.L’AFM1, che ha una struttura simile a quella della B1, ha evidenziatouna tossicità acuta paragonabile a quella della molecola da cui deriva,mentre la cancerogenicità epatica (verificata sulla trota e sul ratto) è al-l’incirca del 2-8% rispetto alla B1.

Lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha clas-sificato numerose sostanze in base all’intensità dell’effetto cancerogenoe tra queste le AF e altre tossine; la classificazione è la seguente:1 = cancerogena per l’uomo2A = probabilmente cancerogena per l’uomo2B = possibilmente cancerogena per l’uomo.3 = non classificabile come cancerogena per l’uomo.

L’AFB1 ha come classificazione 1, l’AFM1 è stata classificata come 2B,che significa che c’è la possibilità che questa tossina sia cancerogena perl’uomo anche se non ne abbiamo la certezza, però lo è per alcune specie,per cui va tenuta sotto controllo.

Alcuni gruppi di ricercatori hanno anche stabilito la quantità massi-ma ingeribile giornalmente (TDI, tolerable daily intake) di alcune mico-tossine, espressa in nanogrammi/kg di peso corporeo per giorno: questivalori sono stati stimati in base agli usuali criteri, vale a dire su datiepidemiologici e su prove su animali, per un rischio di un caso di tumoreper 105-106 individui per anno. Per l’AFB1 è stato calcolato un valore di0,014, mentre per l’AFM1 il valore è di 0,2.

Il limite massimo per l’AFM1 di 50 ng/kg di latte fissato dall’UE, ven-ne introdotto prima dalla Svizzera e poi da altri paesi, giustificandolocon la considerazione che la dose giornaliera tale da produrre un rischiodi 1:106 è dell’ordine di 1-10 ng/soggetto: pertanto, la concentrazione ac-cettabile di AFM1 nel latte deve essere inferiore ad alcune decine ding/litro.

Se in una azienda viene prodotto latte con una concentrazione diAFM1 che eccede i 50 ng/kg, il Regolamento proibisce la diluizione conaltro latte, per rientrare nel limite.

In base alle nostre conoscenze attuali, il rischio derivante dall’assun-zione di queste quantità di aflatossine è estremamente ridotto; tuttavia,

62

la presenza dell’AFM1 nel latte desta qualche preoccupazione, perché ri-guarda un alimento di largo consumo e indispensabile per l’infanzia, fa-se della vita nella quale le difese immunitarie non hanno ancora rag-giunto la loro massima espressione. L’AFM1 si lega alla frazione protei-ca del latte, per cui è presente nei formaggi e in altri latticini prodotticon latte contaminato: i livelli di contaminazione sono di 3-4 volte supe-riori rispetto al latte di partenza.

Oggi il problema è anche quello dell’immagine. Il latte ed i prodottilattiero-caseari in genere hanno un’elevata immagine commerciale enessuno del settore vuole che scada: purtroppo, un’informazione nonscientificamente obiettiva sull’argomento da parte dei media potrebbeprocurare un allarme e influenzare i consumi.

Aflatossina B1 nei mangimiCome abbiamo detto per limitare il livello di AFM1 nel latte, in tutti i

paesi della UE è stato fissato un limite di 5 µg/kg (ppb) di AFB1 per imangimi destinati alle bovine in lattazione, ma vi è un limite anche sul-le materie prime. Tuttavia, anche rispettando questo limite, non si è si-curi di rientrare nei 50 ng/kg di M1 nel latte, per cui probabilmente que-sto limite verrà abbassato (a 3 µg/kg?) a causa di questa incongruenza.

Il passaggio dell’aflatossina nel latteQuanto è il cosiddetto carry-over, cioè la percentuale di AFB1 che fini-

sce nel latte come AFM1? Sono state fatte molte ricerche, che possonoessere così riassunte (Veldman et al. 1992):– Elevata variabilità individuale tra gli animali– Inizio lattazione: carry-over 3,3-3,5 volte maggiore rispetto a lattazio-

ne avanzata (superiore al differente livello produttivo)– Le infezioni della mammella influenzano il carry-over– Sull’insieme della mandria:

AFM1(ng/kg latte) = 1,19x(µg di AFB1 ingeriti/capo/giorno) + 1,9– Ingestione media di AFB1 inferiore a 40 µg/capo/giorno se si vuole

produrre latte con AFM1<50ng/kgDa una serie di prove è stata ricavata questa equazione, che si è di-

mostrata abbastanza precisa, per prevedere sulla base di una certa con-taminazione della razione, quale sarà la contaminazione del latte. Biso-gna considerare i microgrammi di AFB1 ingeriti per capo per giorno, emoltiplicando questo valore per 1,19 (e poi sommando 1,9) si trova laconcentrazione (ng/kg o ppt) dell’AFM1 nel latte. Questo significa, inpratica, che se si ha una ingestione superiore a 40 µg/capo/die, si supera-no i 50 ppt.

Questa è una situazione media, cioè quando gli animali ingerisconouna quantità costante di AF. Va tenuto presente che le variazioni sonomolto rapide: se si somministra una razione contaminata, l’AFM1 com-parirà nel latte già nella mungitura successiva, anche se ci vogliono dueo tre giorni perché il livello diventi più o meno costante; se poi si sommi-nistra una razione esente da AF, i livelli nel latte diminuiscono dallamungitura successiva e vanno a zero in 2-3 giorni.

In conclusione, la presenza di AFM1 spesso riscontrata nel latte pro-dotto nel nord Italia, può essere dovuta ai seguenti motivi (in ordine diimportanza decrescente):1) l’impiego di materie prime contaminate da AFB1, sia come tali che

nella produzione di mangimi. I prodotti più frequentemente contami-nati sono i panelli o le farine di estrazione di arachide, di cocco, dipalmisto, di cotone, i sottoprodotti del mais;

2) l’andamento climatico di questi ultimi anni (con estati calde e siccito-se), che ha favorito lo sviluppo dei funghi produttori di AFB1. Derrate

63

quali il mais e i suoi sottoprodotti di produzione nazionale sono fre-quentemente contaminate, molto più che in passato; anche farine diestrazione di girasole, di lino, di soia e altri sottoprodotti possono pre-sentare contaminazioni, anche se a livelli molto contenuti;

3) i foraggi aziendali, quali trinciato e pastone di mais, ma anche i fieni,sono talvolta contaminati (anche se di solito a livelli molto bassi) perle ragioni sopra esposte;

4) le modalità di conservazione in azienda di concentrati e foraggi nonsono talvolta adeguate.

ANALISI DELLE AFLATOSSINE

I metodi per l’analisi delle micotossine in generale e delle aflatossinein particolare, sono numerosi e talvolta piuttosto complessi; la comples-sità è dovuta alla diversità dei prodotti contaminati. Indipendentementedal metodo utilizzato, il procedimento analitico comprende: campiona-mento, preparazione del campione, estrazione della tossina, purificazio-ne dell’estratto, separazione della tossina, quantificazione/conferma.

I metodi per l’analisi delle micotossine possono essere divisi in duegruppi principali:– metodi chimico-fisici– metodi biologici

Metodi chimico-fisiciPossono a loro volta essere suddivisi in:

– metodi cromatografici (cromatografia su strato sottile (TLC), croma-tografia liquida ad alta efficienza (HPLC))

– metodi strumentali (fluorodensitometria, spettrofotometria)– metodi rapidi (fluorescenza verde-gialla, minicolonna).

Tra queste tecniche, la TLC è sempre meno utilizzata perché è semi-quantitativa e talvolta non sufficientemente sensibile (soprattutto perl’AFM1), anche abbinandola alla fluorodensitometria. I metodi rapidi ba-sati sulla fluorescenza sono praticamente dei test di campo applicabilisu pochi prodotti (mais, cotone); il test che sfrutta la minicolonna è basa-to sull’estrazione del campione con un appropriato solvente, con succes-siva cromatografia sulla minicolonna, che trattiene le aflatossine: è untest qualitativo utile solo per l’AFB1.

L’HPLC con rivelazione fluorimetrica è oggi la tecnica di riferimentoper l’analisi delle aflatossine e di alcune altre micotossine, per l’elevatasensibilità e la specificità che essa possiede: abbinata ad una buona tec-nica di purificazione dell’estratto, consente di rilevare l’AFB1 negli ali-menti a livelli di 0,1 ppb e l’AFM1 nel latte a livelli di 1-2 ppt. Assiemeai grandi vantaggi dell’HPLC, va però tenuto in considerazione l’elevatocosto e la necessità di disporre di personale particolarmente qualificatoe di un laboratorio attrezzato.

Metodi biologiciPossono a loro volta essere suddivisi in:

– saggi biologici (colture di cellule e di tessuti, prove su animali o sumicrorganismi)

– saggi immunologici (radioimmunologici (RIA), immunoenzimatici(ELISA, Enzyme-Linked Immunosorbent Assay), o basati su colonnadi immunoaffinità).I saggi biologici possibili sono diversi, ma molti di questi sono non

specifici e poco accurati; in qualche caso (prove su animali) sono anchecostosi e lenti, oltre a richiedere personale specializzato.

64

I saggi immunologici sono decisamente più interessanti. Il principiobase dei tre metodi immunochimici è la formazione di legami multiplinon covalenti altamente specifici tra la tossina e l’anticorpo immobiliz-zato su una fase solida.

La tecnica RIA è molto sensibile, ma presenta parecchi svantaggi. Iradioisotopi, che possono costituire un rischio per la salute, presentanodifficoltà di smaltimento e possono avere brevi tempi di vita; talvolta so-no anche piuttosto costosi.

La tecnica ELISA è sensibile, altamente specifica, piuttosto veloce enon richiede attrezzature particolarmente costose. Essa consiste in unaprocedura a due passaggi: (1) reazione tra anticorpo e tossina (antigene)di solito effettuata in un pozzetto, e (2) misura del colore sviluppatosiper la reazione tra un substrato specifico ed un enzima legato alla tossi-na o all’anticorpo.

Tecnica ELISAIn pratica, i pozzetti sono sensibilizzati con anticorpi specifici per l’a-

flatossina; aggiungendo gli standard di aflatossina o le soluzioni deicampioni, i siti di legame dell’anticorpo sono proporzionalmente occupatidall’aflatossina. Ogni sito di legame rimasto libero viene occupato nelpassaggio successivo dalla tossina coniugata ad enzima; ogni coniugatonon legato viene quindi eliminato con un lavaggio; il substrato dell’enzi-ma e il cromogeno sono aggiunti nei pozzetti e incubati. Il coniugato le-gato trasforma il cromogeno incolore in un prodotto colorato e l’intensitàdel colore (assorbanza) viene misurata con un piccolo fotometro. Ovvia-mente, maggiore è la quantità di AF nel campione (o nello standard), mi-nore è l’intensità del colore sviluppata. La tecnica può essere applicatadirettamente al latte liquido per la ricerca dell’AFM1. Per l’analisi quan-titativa delle aflatossine negli alimenti, bisogna tener conto della seletti-vità dell’anticorpo: di solito è del 100% per l’AFB1 e analoga per l’AFB2,inferiore per AFG1 e AFG2; per cui il risultato complessivo è dato daAFB1 + AFB2 + una quota di AFG1 e AFG2, se presenti.

Tecnica della colonna di immunoaffinitàCon l’avvento della tecnologia degli anticorpi monoclonali e delle co-

lonne di immunoaffinità, gli anticorpi sono stati legati covalentemente aun gel di agarosio; le colonne consistono in piccoli tubi in plastica a formadi siringa, contenenti anticorpi anti-aflatossina legati al gel di agarosio;l’estratto grezzo viene fatto passare attraverso la colonna e l’aflatossinapresente viene legata dagli anticorpi specifici e separata dalle sostanzeinterferenti della matrice; un ulteriore lavaggio con acqua o tampone eli-mina le sostanze estranee dalla colonna e infine l’aflatossina viene otte-nuta in forma pura e concentrata mediante eluizione dalla colonna conun solvente organico polare in grado di staccare l’antigene dall’anticorpo.

Questa tecnica ha consentito di semplificare e abbreviare i tempi ri-chiesti per la purificazione dell’estratto del campione.

Nel caso del latte, si può far passare direttamente il latte nella colon-na, che blocca selettivamente l’AFM1.

La separazione e quantificazione/conferma della tossina, vengono ef-fettuate mediante HPLC con rivelazione fluorimetrica. Questa procedu-ra è oggi la migliore disponibile per l’analisi dell’AFM1 nel latte e deri-vati, ma la stessa tecnica può essere utilizzata per l’analisi delle aflatos-sine negli alimenti, compresi i foraggi.

Una ditta presente sul metodo, in alternativa all’HPLC – tecnica nondisponibile ovunque per i motivi sopra citati – propone, dopo l’estrazionedella tossina, la purificazione con colonna di immunoaffinità e la deter-minazione quantitativa mediante un apposito fluorimetro, tarato conapposite soluzioni di riferimento; per ottimizzare la fluorescenza delle

65

aflatossine, si utilizza una soluzione di sviluppo. Questa tecnica non èsufficientemente sensibile per rivelare l’AFM1 nel latte a livello di partiper trilione, come richiesto invece dalla normativa ufficiale; anch’essatende a dosare la somma delle aflatossine, piuttosto che la sola AFB1.

Dopo questo esame di quanto offre il mercato, le considerazioni che sipossono fare sono le seguenti:– è scontato, almeno fino ad oggi, che l’HPLC con rivelazione fluorime-

trica costituisce la tecnica di riferimento per l’analisi delle aflatossinenegli alimenti, compresi il latte e i derivati;

– risulta pure evidente che tale tecnica viene ulteriormente potenziatacon l’impiego delle colonne di immunoaffinità, specialmente per l’ana-lisi di tracce nel latte e derivati;

– qualora non si disponga di uno strumento HPLC o il numero di analisida effettuare sia elevato (con la necessità di ridurre i costi), la tecnicaELISA può essere una alternativa per l’analisi dell’AFM1 nel latte;

– per gli stessi motivi, l’impiego della colonna di immunoaffinità conquantificazione fluorimetrica diretta (metodo Vicam) può essere unaalternativa per l’analisi delle aflatossine negli alimenti.

COMMENTO AI DATI OTTENUTI NELLA RICERCASUGLI ALLEVAMENTI

L’aspetto metodologicoL’analisi delle aflatossine è stata effettuata con la tecnica ELISA, sia

per gli alimenti (unifeed e singoli componenti della razione) che per illatte; l’accuratezza della tecnica è stata verificata effettuando in paralle-lo, su un elevato numero di campioni, anche l’analisi mediante HPLC.

Per quanto riguarda il latte (figura 1 relazione Dott.ssa Rizzi), dallaregressione lineare dei dati si ottiene una retta con un coefficiente dicorrelazione assai significativo (r = 0,892), anche se l’intercetta un po’superiore allo zero (9,178) e il coefficiente angolare un po’ superiore aduno (1,115) indicano una certa sovrastima del dato analitico nel casodella tecnica ELISA; ad esempio, utilizzando questa retta, un campionedi latte contaminato da 50 ng/kg di AFM1 quantificati mediante HPLC,risulterebbe invece contenere 64,9 ng/kg di AFM1 con la tecnica ELISA.Va tenuto presente che mentre con l’HPLC si dosa solamente l’AFM1,con la tecnica ELISA si dosa la somma (o quasi) di AFM1+AFM2.

È pure evidente, a prova dell’affidabilità della tecnica ELISA, che nonvi sono né falsi positivi né falsi negativi.

Ben diverso è invece il caso dell’AFB1 negli alimenti (figura 2 relazio-ne Dott.ssa Rizzi); dalla regressione lineare dei dati si ottiene una rettacon un coefficiente di correlazione appena significativo (r = 0,216), con idati assai dispersi. Sulla significatività della regressione incidono sicura-mente i molti campioni risultati positivi con l’ELISA ma non con l’HPLC(falsi positivi), uno dei quali ha fornito un valore piuttosto elevato; vi èanche un piccolo numero di falsi negativi. È evidente che molti alimenti,seppur accuratamente macinati, possono essere non perfettamente omo-genei come contaminazione; ma soprattutto, molti sono matrici difficiliper la tecnica ELISA, per cui se si devono effettuare valutazioni quanti-tative accurate è senz’altro preferibile ricorrere alla tecnica HPLC.

La contaminazione da AFM1 del latteLa percentuale dei campioni risultati superiori ai 50 ng/kg è stata del

6 e dell’8 % rispettivamente nella prima e nella seconda fase; tale pecen-tuale è da considerarsi abbastanza soddisfacente (soprattutto se si tiene

66

conto che i campioni provenivano da aziende-problema), anche se evi-dentemente vi sono ampi margini di miglioramento, soprattutto se con-sideriamo quanto è stato fatto in altri paesi europei.

In particolare, in alcune regioni della Germania, il problema è statoaffrontato coinvolgendo anche i produttori di mangimi; questi ultimi sisono impegnati a fornire agli allevatori mangime che contenesse menoAFB1 possibile e in ogni caso sempre al di sotto di 3 µg/kg. I risultati, ve-rificati di anno in anno mediante analisi su numeri elevati di campioni,sono stati i seguenti:1) su oltre 2000 campioni di mangime analizzati, solamente 4 superava-

no i 3 µg/kg e moltissimi non contenevano AFB1;2) su parecchie migliaia di campioni di latte prodotto dalle singole azien-

de analizzati, solo alcuni superavano (di poco) i 10 ng/kg di AFM1 epertanto questo latte veniva garantito come “baby food quality”.Una bassa contaminazione da AFM1 del latte prodotto in Italia in ge-

nerale e in Lombardia in particolare, è quindi particolarmente impor-tante anche per gli aspetti concorrenziali nei confronti del latte prove-niente da Francia e Germania.

La contaminazione da AFB1 degli alimentiPer quanto riguarda i risultati delle analisi effettuate sugli alimenti

prelevati presso le aziende sottoposte all’indagine conoscitiva, possonoessere fatte le seguenti considerazioni:1) su 172 campioni di foraggi analizzati (figura 19 relazione Dott.ssa

Amodeo), in nessuno la concentrazione di AFB1 ha superato i 2 µg/kgsul tal quale. Non solo, ma la media si attesta su un valore veramenteirrisorio (0,15 µg/kg). Questo dimostra che l’apporto di AFB1 al totatedella razione dovuto ai foraggi è praticamente trascurabile, solamen-te in alcuni casi si hanno piccole contaminazioni dell’insilato di mais,del fieno o del fieno silo, comunque dell’ordine di pochi decimi diµg/kg. Tra l’altro, questi ultimi dati andrebbero verificati anche con latecnica HPLC, in quanto si tratta di matrici piuttosto difficili per latecnica ELISA: probabilmente, le contaminazioni sarebbero ancorapiù basse o addirittura inesistenti;

2) le analisi condotte sulla granella di mais (figura 18 relazione Dott.ssaAmodeo) evidenziano una contaminazione limitata, ma non trascura-bile. Nel 7,3% dei campioni, l’AFB1 supera i 5 µg/kg, con una media di8,4 µg/kg; questi dati sembrano piuttosto realistici, in quanto sono inaccordo con quelli ottenuti in indagini pluriennali utilizzando l’HPLCcome tecnica d’analisi. Qualora (come spesso succede) si utilizzino 4-5kg di mais nella razione, questa contaminazione è tale da apportareuna quantità di tossina vicina (o superiore) ai 40 µg/capo/giorno, valo-re considerato come limite per non oltrepassare i 50 ng/kg di AFM1nel latte prodotto dall’intera mandria;

3) le analisi effettuate sui concentrati (mangimi complementari prodottidall’industria o materie prime) confermano quanto già noto: a partela granella di mais, gli apporti di AFB1 alla razione sono da attribuireprincipalmente ai concentrati; in particolare, alcune materie primeappaiono particolarmente a rischio. Tra queste, i sottoprodotti delmais e il cotone in semi, che quindi vanno controllati prima del loroinserimento nella razione (figg. 16 e 17 relazione Dott.ssa Amodeo).

Correlazione tra contaminazione da aflatossinadegli alimenti e del latte

Per tutte le aziende delle quali, in uno o più momenti del periodo diosservazione, assieme al dato di contaminazione da AFM1 del latte, siconosceva anche la contaminazione da AFB1 dell’unifeed o dei singolicomponenti della razione, è stata effettuata una regressione lineare tra

67

concentrazione di AFM1 nel latte (ng/kg) e microgrammi totali di AFB1nella corrispondente razione (figura 5.). La correlazione è risultata si-gnificativa (r=0,43) anche se in effetti i dati appaiono abbastanza dis-persi.

Utilizzando l’equazione della retta ottenuta, ad un quantitativo di 40µg di AFB1 nella razione, corrisponde una concentrazione di AFM1 nellatte di 37,3 ng/kg, contro i 50 ng/kg dell’equazione proposta da Veldmanet al.. Se teniamo conto del fatto che quest’ultima è stata ricavata da da-ti ottenuti mediante apposite sperimentazioni, con analisi effettuate tut-te mediante HPLC, mentre quella attuale presentata in figura derivaovviamente da una ricerca di campo, con tutti i problemi sia di campio-namento che di affidabilità delle tecniche analitiche a cui si è già accen-nato, possiamo concludere che il risultato ottenuto non si discosta poi dimoltissimo e può considerarsi senz’altro soddisfacente.

PROPOSTE OPERATIVE

Il problema della aflatossina nel latte è un tipico problema di filiera,ma l’anello centrale e il punto chiave sono senza dubbio l’allevatore e lasua gestione aziendale.

Come abbiamo visto, gli apporti di AFB1 alla razione provengono qua-si esclusivamente dal mais prodotto in azienda e da concentrati acqui-stati sul mercato.

Come si può ridurre nel mais la presenza di micotossine in generale edi aflatossine in particolare?

Ecco alcuni suggerimenti pratici:11) Scegliere ibridi a ciclo di maturità non troppo lungo (prima si racco-

glie, meno rischi si corrono).12) Effettuare concimazioni equilibrate.13) Evitare stress idrici (una pianta stressata è più facilmente attacca-

bile dai funghi).14) Combattere gli attacchi degli insetti (trasportano le spore fungine e

ne favoriscono l’insediamento sulle spighe).15) Limitare al massimo i danni meccanici alle cariossidi alla raccolta e

in tutte le successive fasi di movimentazione della partita (una ca-riosside integra resiste meglio all’insediamento dei funghi).

68

µg di AFB1 nella razione

16) Effettuare l’essiccamento delle cariossidi in modo tempestivo (muc-chi di mais ad umidità oltre il 18-20% sono a rischio di rapido svi-luppo fungino).

17) Nel caso che l’essiccatoio non sia in grado di effettuare entro pocheore l’essiccamento, trattare la granella con sostanze ad azione anti-muffa.

18) Essiccare il mais ad un tenore di umidità inferiore al 14% per noncorrere rischi durante la conservazione.

19) Pulire accuratamente sili e locali di stoccaggio e trattare le pareticon antifungini.

10) Durante lo stoccaggio, fare attenzione a che non si verifichino con-dense d’acqua in certe zone, controllare periodicamente il prodotto.

Per quanto riguarda le materie prime acquistate:11) Evitare i prodotti ad alto rischio di presenza di aflatossine.12) Chiedere garanzie al venditore riguardo alla qualità del prodotto;

prelevare un campione ufficiale alla consegna.13) Conservare in siti puliti e trattati il prodotto acquistato.14) Eventualmente utilizzare adiuvanti tecnologici che riducano il tra-

sferimento dell’AFB1 nel latte come AFM1 (utilizzare solo prodottitestati, senza aspettarsi riduzioni miracolose).

Per quanto riguarda i mangimi complementari industriali:11) Non acquistare mangimi contenenti materie prime ad alto rischio.12) Scegliere mangimi formulati con materie prime a basso rischio, con-

trollati per l’AFB1.13) Definire con il fornitore il limite massimo di contaminazione accet-

tabile (2-3 µg/kg?).14) Scegliere mangimi con adiuvanti tecnologici in grado di ridurre il

trasferimento dell’AFB1 nel latte come AFM1 (ancora senza aspet-tarsi la soluzione del problema).

15) Prelevare un campione ufficiale della partita alla consegna.

Gestione dell’emergenza

Se viene riscontrato un livello elevato di AFM1 nel latte, cosa bisognafare?

LatteriaComunicazione immediata all’allevatore del superamento del livello

di attenzione per l’AFM1 nel latte di massa (30-40 ng/kg).

Allevatore1) Considerare i componenti a rischio nella razione.2) Rilevare se sono state introdotte nella razione nuove partite di mangi-

mi semplici o composti negli ultimi giorni ed eventualmente sostituirle.3) Far analizzare immediatamente i componenti più a rischio della ra-

zione presso un laboratorio affidabile. Eventualmente farsi assistereda persona competente.

4) Se l’AFM1 nel latte di massa supera i 50 ng/kg, togliere immediata-mente dalla razione i concentrati a rischio aflatossina e sostituirli conun mangime “sicuro” (a base di farine di soia e girasole per l’apportodi proteine e sottoprodotti della molitura, frumento, orzo per l’apportodi energia, più eventualmente altri sottoprodotti non a rischio).

69

70

DEFINIZIONI

• Partita da campionareQuantità di prodotto costituente una unità avente caratteristiche presunte uniformie di dimensioni tali da consentire il prelievo di campioni da ogni sua parte.

• Campione elementareQuantità prelevata da un punto della partita.

• Campione globaleInsieme dei campioni elementari prelevati da una stessa partita.

• Campione ridottoParte rappresentativa del campione globale, ottenuta mediante riduzione di que-st’ultimo.

• Campione finaleParte del campione ridotto o del campione globale omogeneizzato.

Tabella 1

Tabella 2Requisiti quantitativi per il controllo delle sostanze o dei prodotti ripartiti in modouniforme nell’alimento

7–––––––––––––––––––

�20 � peso in tonn.�n. max = 40

Numero di campionielementari

n. confezioni

4–––––––––––––

�n. confezioni�n. max = 20

4

n. recipienti

4–––––––––––––

�n. recipienti�n. max = 20

4

Un formellatoo mattonella

per partita di 25 unitàcon un max di 4

4 Kg

Campione globale(quantità minima)

4 Kg

peso di 4 conf.

4 litri

vol. di 4 recip.

4 Kg o4 formellatio mattonelle

500 g

500 g

500 g

500 g

CampionefinaleTipo di alimento

Alimenti minerali formellatie mattonelle di sali minerali

Alimenti liquidi o semiliquidi

Recipienti di1-4 recip.

Contenuto > 1 l5-16 recip.> 16 recip.

Recipienti di Contenuto ≤ 1 l

Alimenti confezionati

1-4 confez.confezioni > 1 Kg 5-16 confez.

> 16 confez.

confezione ≤ 1,0 Kg

Alimenti alla rinfusa

partita < 2,5 tpartita > 2,5 t

71

Tabella 3Requisiti quantitativi per il controllo delle sostanze e prodotti indesiderabilisuscettibili di essere ripartiti in modo non uniforme negli alimenti

Tabella 4Requisiti quantitativi per il campionamento dei foraggi

* Si avrà sempre almeno un campione finale analizzato per ogni campione globale formato

* Numero di prelievi elementari (per entrambi i tipi di foraggio):

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––�40 � peso della partita in tonnellate con un minimo di 10

ed un massimo di 50 campioni elementari

Campione globale

20 Kg

10 Kg

Quant.min

Num.min

Campionefinale *

1 Kg

500 g

1234

4 Kg

1

234

4 Kg 500 g

n. confezioni4

–––––––––––––�n. confezioni�

nella partitamax 40

–––––––––––––––––––�20 � peso in tonn.�

min 7 max 40

Numero di campionielementari

Campioni elementari *(minimo)

0,2 Kg

0,1 Kg

Tipo di alimento

Foraggi freschi ed insilatiRadici e tuberi freschi

Foraggi affienatied essiccatiRadici e tuberi secchi

Alimenti alla rinfusa

< 1 t1-10 t

partita1 t – 40 t> 40 t

Alimenti confezionati

1-4 confez.partita

5-16 confez.

Partita oltre 16 confezioni:17-200200-800> 800

Tipo di alimento Campione finale(minimo)

Campione globale(massimo)

1 Kg

LEGISLAZIONE DI RIFERIMENTO:

REGOLAMENTO (CE) N. 1525/98 DELLA COMMISSIONEdel 16 luglio 1998che modifica il regolamento (CE) n. 194/97 che stabilisce tenori massimiammissibili per alcuni contaminanti presenti nei prodotti alimentari.

DIRETTIVA 98/53/CE DELLA COMMISSIONEdel 16 luglio 1998che fissa metodi per il prelievo di campioni e metodi d’analisi per il con-trollo ufficiale dei tenori massimi di taluni contaminanti nei prodotti ali-mentari.

D.L. 241del 22 maggio 1995Approvazione dei “metodi d’analisi per il controllo ufficiale degli alimen-ti per animali”, supplemento n. 12.

D.L. n. 241del 11 maggio 1998Regolamento recante norme di attuazione delle direttive 92/88/CEE,94/16CE 96/6/CE, relative alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nel-l’alimentazione degli animali.

D.L. 21 maggio 1999Attuazione delle direttive 97/8/CE della Commissione, relative alle so-stanze ed ai prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli animali.

72

RegioneLombardiaAgricoltura

20124 MILANO - Piazza IV Novembre, 5

Foto

com

posi

zion

e e

Stam

pa:S

tam

per

ia S

tefa

no

ni -

Bg

035.

4124

.204